Luigi Speranza -- Grice ed Eccelo: la ragione conversazionale e la setta
di Lucania -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean. It is thought that fragments of a text attributed to POLO di
Lucania may have been written by Eccelo. Grice: “As if I cared.”
Luigi Speranza -- Grice ed Eccecrate: la ragione conversazionale e la
diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean. Grice: “Must say Giamblico has a broad criterion in mind: if
someone speaks Greeks and comes from Crotona or Taranto, and KNOWS Pythagoras’s
Theorem, he is a Pythagorean. Eccecrate.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Eco:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della rosa segnata
-- il nome del nome – la scuola d’Alessandria – filosofia alessandrese –
filosofia piemontese -- filosofia italiana – LA SCUOLA DI BOLOGNA -- Luigi
Speranza (Alessandria). Filosofo alessandrino. Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Alessandria, Piemonte. Grice: “Eco thought that
his “Guglielmo da Bascavilla” was a clever composite of Holmes, who deciphered
the enigma of the Baskervilles, and William Occam – and has his tutee claim
that he died of the black plague – but Gal has now discovered he did not!” -- Eco
philosophised at the oldest varsity, BolognaGrice: “Of course, ‘varsity’ is
over-rated, as I’m sure Cicero would agree!” -- Grice: “I would not call Eco a
philosopher, since his dissertation is on aesthetics in Aquinas! Plus, he wrote
a novel!” -- scuola bolognese-- possibly, after Speranza, one of the most
Griceian of Italian philosophers (Only Speranza calls himself an Oxonian,
rather!“Surely alma mater trumps all!”). Figlio di un impiegato nelle Ferrovie, consegue la maturità al liceo
classico Plana d’Alessandria. Tra i suoi compagni di classe, vi e il
fisarmonicista Coscia, con il quale scrive spettacoli di rivista. E impegnato
nella GIAC (l'allora ramo dell'Azione Cattolica) e chiamato tra i responsabili
nazionali del movimento studentesco dell'AC, progenitore dell'attuale MSAC. Abbandona
l'incarico -- così come fanno Carretto e Rossi -- in polemica con Gedda.
Durante i suoi studi universitari su AQUINO, smise di credere in Dio e lascia
definitivamente la chiesa cattolica. In una nota ironica, in seguito commenta.
Si può dire che lui AQUINO (si veda) mi miracolosamente cura dalla
fede». Laureatosi in filosofia a TORINO (agli esami riportò sempre
30/30, anche con lode, tranne quattro casi: FILOSOFIA teoretica e letteratura
latina, in cui ottenne 29/30, e storia della letteratura italiana e pedagogia,
entrambi superati con 27/30) con
relatore PAREYSON e tesi sull'estetica di AQUINO (controrelatore Augusto GUZZO),
comincia a interessarsi di filosofia e cultura medievale, campo d'indagine mai
più abbandonato (vedi “Dall'albero al labirinto”), anche se successivamente si
dedica allo studio semiotico della cultura popolare contemporanea e
all'indagine critica sullo sperimentalismo letterario e artistico. Pubblica
“Il problema estetico in AQUINO”. Partecipa e vince un concorso della Rai per
l'assunzione di telecronisti e nuovi funzionari. Con Eco vi entrarono anche
Colombo e Vattimo. Nel concorso successivo entrano Milano, Fabiani, Guglielmi,
e molti altri. I vincitori dei primi concorsi sono in seguito etichettati come
i "corsari" perché seguirono un corso di formazione diretto da
Gennarini e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del dirigente Guala, svecchiare
i programmi. Con altri ingressi successivi, come quelli di Serra, Garroni e
Silori, questi filosofi innovarono davvero l'ambiente culturale, ancora molto
legato a personalità provenienti dall'EIAR, venendo in seguito considerati come
i veri promotori della centralità della RAI nel sistema culturale
italiano. Dall'esperienza lavorativa in RAI, incluse amicizie con membri
del Gruppo 63, E. trasse spunto per molti scritti, tra cui il celebre articolo Fenomenologia
di Bongiorno. Codirettore editoriale della casa editrice Bompiani. Pubblica
il saggio “Opera aperta” che, con sorpresa dello stesso autore, ha notevole
risonanza e da le basi teoriche al Gruppo 63, movimento d'avanguardia che
suscita interesse negl’ambienti critico-letterari anche per le polemiche che
desta criticando fortemente autori all'epoca già consacrati dalla fama come
Cassola, Giorgio Bassani e Pratolini, ironicamente definiti Liale, con
riferimento a Liala, autrice di romanzi rosa. Insegna a Torino, Milano,
Firenze e Bologna -- dove ottene la cattedra di Semiotica. A Bologna è stato
fra i fondatori del primo corso di laurea in DAMS, poi è stato direttore dell'ISTITUTO
DI COMMUNICAZIONE e spettacolo del DAMS, e in seguito inizia al corso di laurea
in Scienze della comunicazione. Infine è divenuto Presidente della SCUOLA
SUPERIORE (‘high school’ – H. P. Grice) di Studi Umanistici, che coordina
l'attività dei dottorati bolognesi del settore umanistico, e dove ha ideato il
Master in Editoria Cartacea e Digitale. Insegna alla New York University, Northwestern
University, Columbia, Yale, Harvard (Norton lectures sponsored by the
Department of Romance Languages), University of California-San Diego,
Cambridge, Oxford – Weidenfeld lectures at the female-only St. Anne’s, São
Paulo e Rio de Janeiro, La Plata e Buenos Aires, Collège – formerly ISTITUTO --
de France, École normale supérieure (Parigi). S’interessa all'influenza dei mass media nella cultura
di massa, su cui pubblica saggi in diversi giornali e riviste, poi in gran
parte confluiti in Diario minimo e Apocalittici e integrati. Apocalittici e
integrati (che ebbe una nuova edizione). Analizza con taglio sociologico le
comunicazioni di massa. Il tema e già stato affrontato in Diario minimo, che
include tra gli altri il breve articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno.
Sullo stesso tema, svolge a New York il seminario “Per una guerriglia
semiologica”, in seguito pubblicato ne Il costume di casa e frequentemente
citato nelle discussioni sulla controcultura e la resistenza al potere dei mass
media. Significativa e anche la sua attenzione per le correlazioni tra
dittatura e cultura di massa ne “Il FASCISMO eterno”, capitolo del saggio
Cinque scritti morali, dove individua le caratteristiche, ricorrenti nel tempo,
del cosiddetto "FASCISMO eterno", o "Ur-FASCISMO": il culto
della tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell'azione per l'azione,
il disaccordo come tradimento, la paura delle differenze, l'appello alle classi
medie frustrate, l'ossessione del complotto, il machismo, il "populismo
qualitativo Tv e Internet" e altre ancora. Da esse e dalle loro
combinazioni, secondo E., è possibile anche "smascherare" le forme di
FASCISMO che si riproducono da sempre in ogni parte del mondo – “non solo a
Roma!”. In un'intervista mise in
evidenza la sua visione rispetto a, della quale E. si definiva un "utente
compulsivo", e al mondo dell'open source. Pubblica un saggio di teoria
semiotica, “La struttura assente”, cui seguirono il “Trattato di semiotica
generale” e i saggi per l'Enciclopedia Einaudi poi riuniti in Semiotica e
filosofia del linguaggio. Fonda VersusQuaderni di studi semiotici. È
anche stato segretario, vicepresidente e presidente onorario della IASS/AIS
IAssociation for Semiotic Studies. È stato invitato a tenere le conferenze Tanner
(Cambridge), Norton (Harvard), Goggio (Toronto), Weidenfeld lectures on
comparative literature and translation, sponsored by the female-only college
St. Anne’s (Oxford,) e Ellmann (Università Emory). Collabora sin dalla sua fondazione alL'Espresso, sul
quale tenne in ultima pagina la rubrica “La bustina di minerva” (nella quale,
tra l'altro, dichiara di aver contribuito personalmente alla propria voce su ),
ai giornali Il Giorno, La Stampa, Corriere della Sera, la Repubblica, il
manifesto e a innumerevoli riviste specializzate, tra cui “Semiotica”, fondata da
Sebeok), Poetics Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communications
(rivista parigina del EHESS), Problemi dell'informazione, Word et Images, o
riviste letterarie e di dibattito culturale quali Quindici, Il Verri (fondata
da Anceschi), Alfabeta, Il cavallo di Troia, ecc. Collabora alla collana
"Fare l'Europa" diretta da Goff con lo studio “La ricerca della
lingua perfetta in Italia” in cui si
espresse a favore dell'utilizzo dell'esperanto. Traduce gli Esercizi di stile
di Queneau e Sylvie di Nerval (entrambi presso Einaudi) e introduce opere di
numerosi scrittori e di artisti. Collabora anche con i musicisti Berio e
Bussotti. I suoi dibattiti, spesso dal tono divertito, con Nanni,
Calabrese, Fabbri, Volli, Leonetti, Balestrini, Almansi, Oliva o Corti, tanto
per nominarne alcuni, hanno aggiunto contributi non scritti alla storia degli
intellettuali italiani, soprattutto quando sfioravano argomenti non consueti (o
almeno non ritenuti tali prima dell'intervento di E.), come la figura di James
Bond, l'enigmistica, la fisiognomica, la serialità televisiva, il romanzo
d'appendice, il fumetto, il labirinto, la menzogna, le società segrete o più
seriamente gli annosi concetti di abduzione, di canone e di classico. Grande
appassionato del fumetto Dylan Dog, a E. è stato fatto tributo sul numero 136
attraverso il personaggio Humbert Coe, che ha affiancato l'indagatore
dell'incubo in un'indagine sull'origine delle lingue del mondo. È stato inoltre
amico del pittore e autore di fumetti Pazienza, suo allievo al DAMS di Bologna,
e scrive la prefazione a libri di Pratt, Schulz, Feiffer e Peynet. Scrive la
presentazione di "Cuore" a fumetti, di Bonzi e Denis, pubblicata su "Linus".
Il suo romanzo, Il nome della rosa, riscontra un grande successo sia presso la
critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un best seller venduto in
trenta milioni di copie. Il nome della rosa è stato anche tra i finalisti del
prestigioso Edgar Award e ha vinto il Premio Strega. Dal lavoro e tratto anche
un film con Connery. Pubblica il romanzo, Il pendolo di Foucault, satira
dell'interpretazione paranoica dei fatti veri o leggendari della storia e delle
sindromi del complotto. Questa critica dell'interpretazione incontrollata viene
ripresa in opere teoriche sulla ricezione (cfr. I limiti dell'interpretazione).
Altri romanzi sono L'isola del giorno prima, Baudolino, La misteriosa fiamma della regina
Loana, Il cimitero di Praga e Numero zero, tutti editi da Bompiani. E stata
pubblicata una versione "riveduta e corretta" di Il nome della rosa,
con una nota finale dello stesso E. che, mantenendo stile e struttura
narrativa, è intervenuto a eliminare ripetizioni ed errori, a modificare
l'impianto delle CITAZIONE LATINE e la descrizione della faccia del
bibliotecario per togliere un riferimento neo-gotico. Molte opere sono
dedicate alle teorie della narrazione e della letteratura: Il superuomo di
massa, Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Sulla
letteratura, Dire quasi la stessa cosa. È stato inoltre precursore e
divulgatore dell'applicazione della tecnologia alla scrittura. In
contemporanea alla nomina di curatore ospite del Louvre, dove organizza una
serie di eventi e manifestazioni culturali, usce per Bompiani Vertigine della
lista. Nel Bompiani pubblica una
raccolta dal titolo Costruire il nemico e altri scritti occasionali, che
raccoglie saggi che spaziano nei vari interessi dell'autore, come quello per la
narratologia e il feuilleton. Il primo saggio riprende temi già presenti ne Il
cimitero di Praga. Muore nella sua casa di Milano a causa di un tumore del
pancreas che lo aveva colpito due anni prima. I funerali laici si sono svolti nel Castello Sforzesco di Milano, dove
migliaia di persone si sono recate per l'ultimo saluto. Sono state eseguite due
composizioni alla viola da gamba e al clavicembalo: Couplets de folies (Les
folies d'Espagne) dalla Suite n. 1 in re maggiore dai Pièces de viole, Livre II
di Marais e La Folia dalla Sonata per violino e basso continuo in re minore, di
Corelli. Nel proprio testamento E. chiede ai suoi familiari di non autorizzare
né promuovere, per i dieci anni successivi alla sua morte alcun seminario o
conferenza su di lui. Il corpo di E. è stato infine cremato. La moglie,
rifiutando la proposta di tumularne le ceneri nel Civico Mausoleo Garbin, ex
edicola privata del Cimitero Monumentale di Milano ora provvista di piccole
cellette destinate a ceneri o resti ossei di personalità artistiche illustri,
ne ha preferito la conservazione privata, con il progetto di costruire un'edicola
di famiglia nel medesimo cimitero. Nei suoi romanzi, E. racconta storie
realmente accadute o leggende che hanno come protagonisti personaggi storici o
inventati. Inserisce nelle sue opere accesi dibattiti filosofici sull'esistenza
del vuoto, di Dio o sulla natura dell'universo. Attratto da temi piuttosto
misteriosi e oscuri (i cavalieri Templari, il sacro Graal, la sacra Sindone
ecc.), nei suoi romanzi gli scienziati e gli uomini che hanno fatto la storia
sono spesso trattati con indifferenza dai contemporanei. L'umorismo è
l'arma letteraria preferita dallo scrittore di Alessandria, che inserisce
innumerevoli citazioni e collegamenti a opere di vario genere, conosciute quasi
esclusivamente da filologi e bibliofili. Ciò rende romanzi come Il nome della rosa
o L'isola del giorno prima un turbinio variopinto di nozioni di carattere
storico, FILOSOFICO, artistico e matematico. Centrale ne Il nome della
rosa è la questione del riso, post-modernisticamente declinata. Ne Il
pendolo di Foucault Eco affronta temi come la ricerca del sacro Graal e la
storia dei cavalieri Templari, facendo numerosi cenni ai misteri dell'età
antica e moderna, rivisitati in chiave parodistica. Ne L'isola del giorno
prima l'umanità intera è simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che
cerca un'isola al di fuori del tempo e dello spazio. In Baudolino dà vita
ad un picaresco personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso
terrestre (il regno leggendario di Prete Giovanni). Ne La misteriosa
fiamma della regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del
ricordo, rivolto, in questo caso, ad episodi del XX secolo. Il cimitero
di Praga è incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla
storia 'europea' del popolo ebraico. Il suo ultimo romanzo, Numero zero,
riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del
complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando
fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave
complottistica. E tra i firmatari della lettera aperta a L'Espresso sul
caso Pinelli e successivamente della autodenuncia di solidarietà a Lotta
Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso
alcuni militanti e direttori responsabili del giornale, inquisiti per
istigazione a delinquere. I firmatari si autodenunciavano alla magistratura
dicendo di condividere il contenuto dell'articolo. Peraltro le severe critiche
di E. al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una
serie di articoli scritti sul settimanale L'Espresso e su Repubblica, specie ai
tempi del caso Moro -- articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di
desiderio. In effetti l'arma che ha caratterizzato l'impegno politico di E. è
diventata l'analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di
massa. Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia
semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto
dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi
arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare
una sedia davanti a ogni televisore. In questo senso la guerriglia semiologica
è una forma di critica sociale attraverso l'educazione alla ricezione. Partecipa
alle attività dell'associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori
e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al
dibattito politico-culturale italiano. Il suo libro A passo di gambero contiene
le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica
di Bush, al cosiddetto scontro tra etnie e religioni. Nelle settimane delle
rivolte arabe, durante una conferenza stampa registrata alla Fiera del libro di
Gerusalemme, scatena una polemica politica la sua risposta a un giornalista
italiano che gli domanda se condivida il paragone fra Berlusconi e Mubarak,
avanzato da alcuni. Il paragone potrebbe essere fatto con HITLER. Anche lui
giunse al potere con libere elezioni". Lo stesso E., dalle colonne de
l'Espresso, smente tale dichiarazione chiarendo le circostanze della sua
risposta. E. fa parte dell'associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della
Repubblica italiana — Roma, 9 Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte — Roma. Onorificenze straniere Commendatore dell'Ordine
delle Arti e delle Lettere (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore
dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia), Cavaliere dell'Ordine pour le
Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale di Germania)nastrino
per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften
und Künste (Repubblica Federale di Germania), Premio Principe delle Asturie per
la comunicazione e l'umanistica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaPremio
Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica (Spagna), Ufficiale
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme
ordinariaUfficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Gran croce al
merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germanianastrino
per uniforme ordinariaGran croce al merito con placca dell'Ordine al merito
della Repubblica Federale di Germania, Commendatore dell'Ordine della Legion
d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine
della Legion d'Onore (Francia), Parigi. Cittadinanze onorarie Monte Cerignone, Nizza
Monferrato, San Leo, 11 giugno. Torre Pellice,. Lauree E. ha ricevuto 40 lauree
honoris causa da prestigiose università europee e americane, come quella del,
che gli è stata conferita dall'Università federale del Rio Grande do Sul, di
Porto Alegre, in Brasile. In occasione della laurea in comunicazione conferita
da Torino, E. rilascia severi giudizi sui social del Web che, a suo dire,
possono essere utilizzati da «legioni di imbecilli» per porsi sullo stesso
piano di un vincitore di un Premio Nobel. Le affermazioni di E. suscita
approvazioni ma anche vivaci discussioni. Affiliazioni e sodalizi accademici. E.
è stato membro onorario della James Joyce Association, dell'Accademia delle
Scienze di Bologna, dell'Academia Europea de Yuste, dell'American Academy of
Arts and Letters, dell'Académie royale des sciences, des lettres et des
beaux-arts de Belgique, della Polska Akademia Umiejętności ("Accademia
polacca della Arti"), "Fellow" del St Anne's, Oxford e socio
dell'Accademia Nazionale dei Lincei. E. è stato inoltre membro onorario del
CICAP. Altro Gli è stato dedicato l'asteroide 13069 Umbertoeco, scoperto
nel da Elst. è stato nominato Duca dell'Isola del Giorno Prima del regno
di Redonda dal re Xavier. Nel il
comune di Milano ha deciso che il suo nome venga iscritto nel Pantheon di
Milano, all'interno del cimitero monumentale. E. scrve saggi di filosofia,
semiotica, linguistica, estetica. “Il PROBLEMA ‘estetico’ in AQUINO” (Torino,
Edizioni di Filosofia); poi Il problema estetico in Tommaso d'Aquino, Milano,
Bompiani, Filosofi in libertà, come Dedalus, Torino, Taylor, poi in Il secondo
diario minimo. Sviluppo dell'estetica, in Momenti e problemi di storia
dell'estetica, Dall'antichità classica al Barocco, Milano, Marzorati, Arte e
bellezza nell'estetica, Milano, Bompiani, Storia figurata delle invenzioni.
Dalla selce scheggiata al volo spaziale, e con Zorzoli, Milano, Bompiani); “Opera
aperta: forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee” (Milano, Bompiani);
Diario minimo, Milano, A. Mondadori (include i saggi Fenomenologia di Mike
Bongiorno e Elogio di Franti) Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, Il
caso Bond. [Le origini, la natura, gli effetti del fenomeno 007], e con Oreste
del Buono, Milano, Bompiani, Le poetiche di Joyce. Dalla "Summa" al
"Finnegans Wake", Milano, Bompiani, ed. modificata sulla base della
seconda parte di Opera aperta; Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive,
Milano, Bompiani (poi in La struttura assente); Autoritratto dell'Italia, e con
Argan, Piovene, Chiarini, Gregotti e altri, Milano, Bompiani, La struttura
assente, Milano, Bompiani, La definizione dell'arte, Milano, Mursia, L'arte
come mestiere, a cura di, Milano, Bompiani, I sistemi di segni e lo
strutturalismo sovietico, e con Faccani, Milano, Bompiani, L'industria della
cultura, a cura di, Milano, Bompiani, Le
forme del contenuto, Milano, Bompiani, I fumetti di Mao, e con Chesneaux e Nebiolo, Bari, Laterza, Cent'anni
dopo. Il ritorno dell'intreccio, e con Sughi, Milano, Bompiani, Documenti su il
nuovo Medioevo, con Francesco Alberoni, Furio Colombo e Giuseppe Sacco, Milano,
Bompiani, Estetica e teoria dell'informazione, a cura di, Milano, Bompiani, I
pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi
delle scuole elementari, e con Bonazzi, Rimini, Guaraldi, Il segno, Milano,
Isedi; Milano, A. Mondadori, Il costume di casa. Evidenze e misteri dell'IDEOLOGIA
ITALIANA, Milano, Bompiani, Beato di Liébana. Miniature del Beato de Fernando I
y Sancha. Codice B.N. Madrid Vit., testo e commenti alle tavole di, Milano,
Ricci,Carmi. Una pittura di paesaggio?, Milano, Prearo, Trattato di semiotica
generale, Milano, Bompiani, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare,
Roma, Cooperativa Scrittori, Milano, Bompiani, Stelle et stellette. La via
lattea mormorò, illustrazioni di Druillet, Conegliano Treviso, Quadragono
Libri, Storia di una rivoluzione mai esistita. L'esperimento Vaduz. Appunti del
Servizio opinioni, Roma, Rai, Servizio Opinioni, Dalla periferia dell'impero,
Milano, Bompiani, Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, Carolina
Invernizio, Matilde Serao, Liala, con altri, Firenze, La nuova Italia, Lector
in fabula, Milano, Bompiani, De bibliotheca, Milano, Comune di Milano, Postille
al nome della rosa, Milano, Bompiani, Il
segno dei tre, Milano, Bompiani, Sette anni di desiderio. [Cronache], Milano,
Bompiani, Semiotica e FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO, Torino, Einaudi, Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani,
Lo strano caso della Hanau, Milano, Bompiani, Saggio in Leggere i Promessi
sposi. Analisi semiotiche, Manetti, Milano, Gruppo editoriale Fabbri-Bompiani-Sonzogno,
I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, Vocali, con Soluzioni felici
di Malvinni, Napoli, Collana "Clessidra" di AGuida Ed., Il secondo
diario minimo, Milano, Bompiani, Interpretation and Overinterpretation,
Cambridge, La memoria vegetale, Milano, Rovello, La ricerca della lingua perfetta
nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, Sei passeggiate nei boschi
narrativi, Milano, Povero Pinocchio. Giochi linguistici di studenti del Corso
di Comunicazione, a cura di, Modena, Comix, In cosa crede chi non crede?, con CMartini,
Roma, Liberal, Kant e l'ornitorinco, Milano, Bompiani, Cinque scritti morali,
Milano, Bompiani, Talking of Joyce, con Liberato Santoro-Brienza, Dublin,
University Colleges, Serendipities. Language and Lunacy, New York, Columbia, Tra
menzogna e ironia, Milano, Bompiani, La bustina di minerva, Milano, Bompiani, Riflessioni sulla bibliofilia, Milano, Rovello,
Diario minimo, Secondo diario minimo, Bustina di minerva e altre parodie da raccolte in tedesco) Sulla
letteratura, Milano, Bompiani, Guerre sante, passione e ragione. Pensieri
sparsi sulla superiorità culturale; Scenari di una guerra globale, in Islam e
Occidente. Riflessioni per la convivenza, Roma-Bari, Laterza, Bellezza. Storia
di un'idea dell'Occidente, CD-ROM a cura di, Milano, Motta On Line, Dire quasi
la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, Mouse or Rat?,
Translation as Negotiation, London, Weidenfeld et Nicolson (Experiences in
translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa) Storia della
bellezza, a cura di, testi di E. e Michele, Milano, Bompiani, Il linguaggio
della Terra Australe, Milano, Bompiani, Il codice Temesvar, Milano, Rovello, Nel
segno della parola, con Giudice e GRavasi, a cura e con un saggio di Dionigi,
Milano, BUR, 2A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Collana
Overlook, Milano, Bompiani, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia,
Milano, Rovello, Sator Arepo eccetera, Roma, Nottetempo, Storia della
bruttezza, a cura di, Milano, Bompiani, La cospirazione impossibile, con
Odifreddi, Shermer, Randi, Attivissimo, Montali, Grassi, Ferrero e Bagnasco,
Polidoro, Casale Monferrato, Piemme, Dall'albero al labirinto. Studi storici
sul segno e l'interpretazione, Milano, Bompiani, Historia. La grande storia
della civiltà europea, e con altri, Milano, Motta, Storia della civiltà
europea, e con altri, Milano, Corriere della Sera, Nebbia, e con Ceserani, con
la collaborazione di Ghelli e un saggio di Costa, Torino, Einaudi (antologia
letteraria di racconti a tema) Non sperate di liberarvi dei libri, con
Carrière, Milano, Bompiani, Vertigine della lista, Milano, Bompiani, Il
Medioevo, a cura di, Milano, Encyclomedia, La grande Storia, a cura di, Milano,
Corriere della Sera,. Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani,
Scritti sul pensiero, Collana Il pensiero occidentale, Milano, Bompiani, L'età
moderna e contemporanea, a cura di, Roma, Gruppo editoriale L'Espresso, Storia
delle terre e dei luoghi leggendari, Milano, Bompiani, Da dove si comincia?,
con Stefano Bartezzaghi, Roma, La Repubblica,. Riflessioni sul dolore, Bologna,
ASMEPA, La filosofia e le sue storie, e con Fedriga, Roma-Bari, Laterza, Pape
Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida, Milano, La nave di Teseo, Come
viaggiare con un salmone, Milano, La nave di Teseo, Sulle spalle dei giganti,
Collana I fari, Milano, La nave di Teseo, IL FASCISMO eterno, Collana Le onde,
Milano, La nave di Teseo, Cinque scritti morali, Bompiani, Sulla televisione.
Scritti, Marrone, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo, Narrativa Il nome
della rosa, Milano, Bompiani, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani,L'isola
del giorno prima, Milano, Bompiani, Baudolino, Milano, Bompiani, La misteriosa
fiamma della regina Loana. Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, Il cimitero di
Praga, Milano, Bompiani, Numero zero, Milano, Bompiani, Narrativa per
l'infanzia La bomba e il generale, illustrazioni di Carmi, Milano, Bompiani, I tre cosmonauti,
illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Ammazza l'uccellino, come
Dedalus, illustrazioni di Monica Sangberg, Milano, Bompiani, Gli gnomi di Gnu,
illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Tre racconti, Milano, Fabbri (raccolta dei tre precedenti) La storia de
"I promessi sposi", raccontata da, Torino-Roma, Scuola Holden-La
biblioteca di Repubblica-L'Espresso, Traduzioni: Queneau, Esercizi di stile,
Torino, Einaudi. Gerino, Morto lo scrittore E. Ci mancherà il suo sguardo nel
mondo, in la Repubblica, Delfino e Camagna, Alessandria piange E., in La Stampa,
Bari, "A passo di critica: il modello di media education nell'opera di E.",
Firenze, Èco, E. Treccan iEnciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.su
tuttoggi.info. 'Il nome della rosa' debutta su Rai1 e conquista gli ascolti
della prima serata, su la Repubblica, quotidiano la Stampa; Coscia: «quando
suono col mio amico E.», su genova.mentelocale. «È il lato dolente e angoscioso
di un uomo che è cresciuto nell'Azione Cattolica, che l'ha lasciata in polemica
con il grande Gedda; un uomo, E., che ha studiatodicono AQUINO, e che un giorno
se n'è uscito dalla chiesa proclamandosi orgogliosamente ateo, o se si
preferisce, agnostico. (In Rassegna stampa cattolica: Palmaro, E. è solo un refuso, 2 «His new
book touches on politics, but also on faith. Raised Catholic, E. has long since
left the church. "Even though I'm still in love with that world, I stopped
believing in God in my after my studies on AQUINO. You could say that AQUINO miraculously
cures me of my faith. Il suo nuovo
libro tratta di politica, ma anche di fede. Cresciuto nel cattolicesimo, E. ha
lasciato da tempo la Chiesa. Anche se io sono ancora innamorato di quel mondo,
ho smesso di credere in Dio dopo i miei studi universitari su Aquino. Potete
dire che egli mi ha miracolosamente curato dalla mia fede. (Articolo in
Time) Liukkonen, Petri, E.. Pseudonym:
Dedalus in. E., quando l'Torino gli
consegnò il libretto con 27 in letteratura italiana, su la Repubblica, Galdo,
Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe dirigente
italiana, Sperling et Kupfer, Milano Giuseppe Antonio Camerino, E.,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. "Riparte il Master in Editoria, ideato da E."
Capozzi Bondanella, Cinque scritti morali, Bompiani Intervista a E. Wikinotizie,
su it.wikinews.org. E., Ho sposato?, «l'Espresso»,
4Con lo pseudonimo di Dedalus: Dedalus e il manifesto, su ilmanifesto, Ostini,
Sclavi citazione: "Sto leggendo un libro [In cosa crede chi non crede,
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tecalibri.info. Opere in Teca Libri/2, su tecalibri.info. Considerazioni su:
"Non sperate di liberarvi dei libri", su antonietta.philo.unibo ).
Golem L'indispensabile (il sito della rivista)rivista online diretta da Umberto
Eco, Renato Mannheimer, Bertelli, Danco Singer Un articolo di Eco su, su
espresso.repubblica. encyclomedia, su encyclomedia. Il «questionario Proust» a
Umberto Eco, su elapsus. E., in Perlentaucher, Perlentaucher Medien GmbH. Opere
di E. V D M Vincitori del Premio Strega V D M Vincitori internazionali del Prix
Médicis V D M Vincitori del Premio Bancarella V D M Vincitori del Premio Cesare
Pavese V D M Vincitori del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea
V D M Vincitori del Premio Mediterraneo per stranieri, Europeana agent/base/ Filosofia
Giallo Giallo Letteratura Eco provides a bridge between Graeco-Roman
philosophy and Grice! Eco is one of the few philosophers who considers the very origins of
philosophy in Bolognaand straight from RomeOn top, Eco is one of the first to
generalise most of Grice’s topics under ‘communication,’ rather than using the
Anglo-Saxon ‘mean’ that does not really belong in the Graeco-Roman tradition.
Eco cites H. P. Grice in “Cognitive constraints of communication.” Umberto
b.2, philosopher, intellectual
historian, and novelist. A leading figure in the field of semiotics, the
general theory of signs. Eco has devoted most of his vast production to the
notion of interpretation and its role in communication. In the 0s, building on
the idea that an active process of interpretation is required to take any sign
as a sign, he pioneered reader-oriented criticism The Open Work, 2, 6; The Role
of the Reader, 9 and championed a holistic view of meaning, holding that all of
the interpreter’s beliefs, i.e., his encyclopedia, are potentially relevant to
word meaning. In the 0s, equally influenced by Peirce and the structuralists, he offered a unified theory
of signs A Theory of Semiotics, aiming at grounding the study of communication
in general. He opposed the idea of communication as a natural process, steering
a middle way between realism and idealism, particularly of the Sapir-Whorf
variety. The issue of realism looms large also in his recent work. In The
Limits of Interpretation 0 and Interpretation and Overinterpretation 2, he
attacks deconstructionism. Kant and the Platypus 7 defends a “contractarian”
form of realism, holding that the reader’s interpretation, driven by the Peircean
regulative idea of objectivity and collaborating with the speaker’s
underdetermined intentions, is needed to fix reference. In his historical
essays, ranging from medieval aesthetics The Aesthetics of Thomas Aquinas, 6 to
the attempts at constructing artificial and “perfect” languages The Search for
the Perfect Language, 3 to medieval semiotics, he traces the origins of some
central notions in contemporary philosophy of language e.g., meaning, symbol,
denotation and such recent concerns as the language of mind and translation, to
larger issues in the history of philosophy. All his novels are pervaded by
philosophical queries, such as Is the world an ordered whole? The Name of the
Rose, 0, and How much interpretation can one tolerate without falling prey to some
conspiracy syndrome? Foucault’s Pendulum, 8. Everywhere, he engages the reader
in the game of controlled interpretations. “Il nome della rosa” is about the
dark ages in Northern Italy, where the monks were the only to find a slight
interest in philosophy, unlike the barbaric Lombards!” -- Il problema estetico in San Tommaso. Torino: Edizioni di Filosofia. 2d revised ed.:
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(entretiens avec Jean-Claude Carrière). Paris: Grasset. Club Edition. Livre de Poche. Translations: Non sperate
di liberarvi dei libri. Milano: Bompiani Edition Mondolibri. Nadie acabará con los libros.
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Normal University Press Não contem com o fim do livro. Rio de Janeiro. Record
Ne nadeiytes’ izbavit’sja ot knig! Moskva: Symposium. Min elpizete na
apallageite apo ta biblia. Athena: Ekdotikos Organismos Libani Nie myśl, że
książki znikną. Warszawa: WAB Nu speraţi
că veţi scăpa de cărti. Bucuresti: Humanitas (Japanese transl.) Tokyo: Hankyu
Communications Korean tr. Seoul: Open. This is not the end of the book. London:
Harvill Secker Vintage Books Ne rémelje, hogy megsza badul a könyvektől.
Budapest: Europa Konyvkiado Nesitikėkite atsiktatyti knygų. Leydikla: Zara
Kitaplardan kurtulabileceğinizi sanmayin. Istanbul: Can Yainlari Tova ne e kpajat na knigite.
Sophia: Enthusiast Nebbia, with Remo Ceserani eds. Torino: Einaudi Il
Cinquecento. Corriere della Sera Historia (Editor). Milano: Motta Il Medioevo
(Editor) La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso. Il Medioevo. Encyclomedia
Publishers.Translations: Idade Media: Barbaros, Cristao e Muçulmanos.
Alfragide;, Dom Quixote, Idade Media: Catedrais, Cavaleiros e Cidades,
Alfragide: Dom Quixote Idade Media:
Castelos, Mercadores e Poetas.Alfragide: Dom Quixote Ortacag: Barbarlar,
Hiristiyanlar, Muslumanlar, Istanbul: ALFA Oetacag: Katedraller, Svalyeler,
Sehirler),Istanbul:ALFA La grande Storia. Corriere della Sera, L’antichità.
Grecia. Milano: Encyclomedia L’età moderna e contemporanea. La Biblioteca di
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(with Pezzini) El museo. Madrid: Casimiro (with Fedriga, eds.) La filosofia e le sue
storie. Roma: LaterzaUmberto Eco. Keywords: il nome del nome, lingua perfetta;
semiotica, la rosa segnata --. Refs.: Umberto Eco on H. P. Grice in “Cognitive
constraints on communication,” Luigi Speranza, "Grice ed Eco: semantica
filosofica," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Eco.
Luigi Speranza -- Grice ed Ecebolio: la ragione conversazionale e il
circolo di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Giuliano. More of a
sophist, he appears to have had flexible religious convictions (or none) –
Giuliano recalls: “He may be a pagan or a Galileian as the political climate
demands!”
Luigi Speranza -- Grice ed Efanto: la ragione conversazionale e la setta
di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Iamblicus, a
Pythagorean. He appears to be the same person referreed to by Ippolito as
Efanto di Siracusa. According to Ippolito, Efanto believes it is impossible to
have an accurate knowledge of things, but also believed that everything in the
world is formed by size, shape, and capacity. He claims that the world is a
sphere, the most perfect of all geometrical shapes, reflecting the fact that it
was the product of a divine mind, which as also source of all movement. A work
on kings attributed to him may be a a different author.
Luigi Speranza --
Grice ed Egea: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. According to Iamblichus of Chalcis (“Vita di
Pitagora”), a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice ed Egnazio: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A follower of the Garden. He wrote a poem, “The rerum natura.” It
bears some resemblances to the work of the same name by Lucrezio and is
generally thought to have been written after it.
Luigi Speranza --
Grice ed Eirisco: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice ed Elandro: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.
Luigi Speranza -- Grice ed Elcasai: la ragione conversazionale e a
gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A gnostic. One of his followers,
Alcibiade, brings an essay by him to Rome, claiming that its contents are revealed
to E. by an angel. The cult he founds believed in reincarnation and that
Pythagorean science provides a means of predicting the future. There is also a
magical healing side to the cult, and it claims to be able to cure rabies.
Luigi Speranza -- Grice ed Eleucadio: la ragione conversazionale e la
scuola di Ravenna -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo italiano.
Luigi Speranza -- Grice ed Elicone: la ragione conversazionale e la setta di Reggio -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Reggio).
Filosofo italiano.
A Pythagorean, cited by Giamblico. He was renowned as a legislator and helped
to revise the constitution of Reggio.
Luigi Speranza -- Grice ed Elio: la ragione conversazionale e a setta di
Praeneste – il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. A teacher of rhetoric. A
popular and prolific author, and some of his essays, mainly collections of
anecdotes, survive. In his more philosophical works he takes the line of the
Porch. ELIO – Miscelanea storica –
ed. Wilson, Loeb Classical Library. Claudio Elio. Elio
Luigi Speranza -- Grice ed Eliodoro: la ragione conversazionale ail portico
romano sotto il principato di Nerone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch.
During Nerone’s principate. E. seems to have been an informer with regard to at
least one of the many plots of the period.
Luigi Speranza -- Grice ed Eliodoro: la ragione conversazionale all’orto
romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The Garden. A close friend of
Adriano. He succeeded Popillio Teotimo as Garden Master (or Tyrant). Eliodoro.
Luigi Speranza -- Grice ed Elpidio: la ragione conversazionale e il
circolo di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher with whom Giuliano is
in correspondence. Elpidio.
Luigi Speranza -- Grice ed Elvidio: la ragione conversazionale a Roma
antica – il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). FIlosofo italiano. The son in law of TRASEA (si veda).
Porch, involved in politics, he spends periods in exile. Admired as a man of principle. Elvidio Prisco. Elvidio.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Emiliani:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica – scuola
di Lugo – filosofia lughese – filosofia ravennese – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lugo).
Filosofo italiano.
Lugo, Ravenna, Emilia Romagna. Grice: “I like Emiliani; of course in proper
English we don’t pluralise ‘meanings’! But he speaks of ‘significati,’ which is
literate! The vernacular Italian is ‘segno,’ and the ‘ficare’ is also learned
latinate! Gotta love him!” Dio è la mia speranza Anch'io vivo nella
speranza di avere amici in cielo che pregano per me e che attendono di unirsi a
me nella nostra comune patria. Dobbiamo sempre ricordare che questa vita
terrena è soltanto un passaggio verso la nostra vera patria che è quella
celeste. La Madonna è apparsa e ha parlato a moltissimi veggenti di molti
popoli e nelle più svariate circostanze, come una persona viva, che promette,
annunzia, loda, esorta, profetizza, prega, guida e protegge dai pericoli,
risana i malati, opera i miracoli, piange, invita alla conversione ed alla
penitenza, aiuta ad avvicinarsi a Cristo, suo Figlio. La mia sicura bussola è
camminare sulla strada della carità in ogni circostanza della vita. La presenza
in noi dello Spirito Santo è la caparra della nostra vita eterna futura. Solo
Dio resta. Egli è l'unica roccia a cui mi posso aggrappare per non essere
travolto dai flutti tempestosi in mezzo ai quali galleggio. E., Dio è la mia speranza, Edizioni Studio
Domenicano. Nel suo saggio sul segnato, valore, communicazione e ragionamento,
Emiliani presenta un'analisi del ‘segnato,’ topico della semiotica. Il segnato è
un modo di una correlazione astratta posta dall'attività razionale
intersoggettiva e cooperativa con cui un contenuto e intenzionato e strutturato
in ordine al valore della profferenza e alla correttezza del ragionamiento
conversazionale. La forme logica non è innata, né e un atto o evento psichico
soggettivo, ma una struttura intersoggetiva astratta e relazionale, invariante
intersoggettivamente. Il segnato (non il ‘segno’) fonda la correttezza del
ragionamiento conversazionale (colloquenza – dialettica), segnato dal segno di una
operazione (negans, negatum, negatore; connettivi, -- conjunctum, congiutivo,
disjunctum, disgiuntivo, ‘if’ filoniano, il quantificatore universale o totale
(ogni), il quantificatore parziale o essitenziale (G. jemand), il descrittore,
descriptum) non è privo di ‘segnato’. Il segno di negazione, p. es., ‘non’, segna
la negazione. ‘Non piove’ segna che non è il caso che piove. Il segno (‘non’) ha
come UNICO segnato quello che s’esprime nella forma logica (explicatura, no
implicatura). L’intensionale e il contenuto nozionale di ciò che è mentato o
segnato, distinto dal segnato estensionale o funzionale – e spiegabile in una
teoria di mondi possibili. Pensatile sempre dentro e mediante una determinata
struttura logicha. L’atto de denotare (referire) e l’atto di predicare sono le
due elementi di un complesso proposizionale (“Fido is shaggy”). Un oggetto dell'universo
di riferimento, considerato reale nel modo più ampio (valore di una variabile).
Il valore di una profferenza è spiegato da una teoria della correpondenza. Il valore
di soddisfacibilità e parte del meta-languaggio che presuppone la sintassi, la
semantica, e la prammatica. Lo scopo del griceanismo: il segnato. Fondamento
della introduzione del segnato, simbolo mono-semantico, simbolo bi-semantico,
simbolo tri-semantico, segnato del termine, segnato della formula del
linguaggio. Relazione estensione/intensione, referenza e predicazione. Il
valore della profferenza di soddisfacibilità e meta-linguistico. Rapporto tra
sintassi, semantica e pragmmatica – linguaggi- oggeto e meta-linguaggio. Il linguaggio
di una teoria del ragionamiento formalizzata elementare – Sistema G-hp. Calcolo
di predicati di primo ordine con identità.
Sintassi di una generica teoria del ragionamento normalizzata
elementare. Simbolo primitivo. Definizione ricorsiva del termine, definizione
ricorsiva della formula del sistema G-hp. Termine aperto e termine chiuso.
Formula aperta e formula chiusa. Profferenza semplice, proferrenza complessa.
Componente deduttivo, induttivo ed adduttivo di una generica teoria del
ragionamiento elementare (G. R. I. C. E. – gruppo per la ricerca dell’inferenza
e la comprensione elementare). Il segnato di una profferenza in romano ed
italiano (Piove). Il segnato intenzionale di una profferenza semiotica
comunicativa, distinzione tra atto intenzionale dell'io e forma intenzionale
con cui ciò che è segnato e compressibile dal ‘tu’, intenzionalità e
consapevolezza, forma intenzionale, contenuto intenzionato. Profferenza e modalità
intenzionale. Tre dimensioni del segnato nella profferenza comunicativa; Il
segnato della profferennza assertiva (il simbolo di Frege),L’assertivo di una
profferenza semplice. Segnato intensionale (il senso fregeiano) di una
profferenza semplice. Il topico o denotatum di una profferenza semplice (“The
dog is shaggy”). Il segnato logico del termine, il segnato intensionale del
termine, il segnato referenziale del termine, ragioni che giustificano
l'introduzione di una descrizione chiusa nel Sistema G-hp di una teoria del
ragionamento Normalizzata elementare. Il segnato logico, intensionale e
referenziale del segno predicativo (‘shaggy’), il segnato logico del segno
predicativo, il segnato intensionale del segno predicativo, Relazione tra
segnato logico e segnato intensionale del segno predicativo. Il segnato
referenziale del segno predicativo, rapporti tra il segno intensionale e il
referente o denotatum or relatum di un segno predicativo. Il segnato del segno mono-sematico.
Il segnato logico del segno del negare
(cf. Grice, “Negation and Privation”). Il segnato logico di una operazione di
connessione fra sintagme: le particelle coordinante ‘e’, ‘o,’ e subbordinante,
‘se’, il segnato del segno di quantificazione totale o universale, ‘ogni’ – il
segnato del segno di quantificazione sustituzionale parziale o esistenziale
(Ex), Il segnato del segno dell’articolo definito (‘il’), descrizione, el
segnato logico dei segni ausiliari, il segnato intensionale e referenziale di
una profferenza complessa, il segnato intensionale di una profferenza
complessa; il denotatum di un profferenza complessa. Refutazione delle
impostazione convenzionalista (in termini di implicatura convenzionale) di
Strawson circa l'interpretazione del formalismo. Ragioni della inadeguatezza
dell’approccio di Strawson, interpretazione logica, interpretazione intensionale
e interpretation referenziale della semantica di una teoria dell’inferenza elementare,
interpretazione intensionale del linguaggio di una teoria, interpretazione
referenziale del linguaggio di una teoria, il valore di satisfactorieta di una
profferenza nel sistema G-hp nel quadro del meta-linguaggio. I requisiti della
definizione del valore di soddisfacibilità; condizioni che rendono la definizione
di ‘soddisfacibile’ adeguata al contenuto della nozione intuitiva, condizioni
che devono essere soddisfatte perché la definizione del valore sia formalmente
sana. Il valore di soddisfacibile associato a una profferenza del sisstema
G-hp. Considerazioni sulla definizione del valore di soddisfacibile, distinzione
tra concetto di soddisfacibilità e criterio di soddisfacibilità. Il valore di
soddisfacibilità associato ad una profferenza non è ‘segnato’ dalla profferenza
o profferente a cui è associata, il soddisfacibile rispetto alla profferenza a
cui a associate non e ‘segnato’, ma un valore. Il soddisfacibile è meta-linguistico,
profferenza soddisfacibile, relazione tra profferenza soddisfacibile e
ragionamento sano. Il principio di bivalenza (Tertium non datur – il terzo
incluso). Stato del problema: la polemica Grice/Strawson. Il valore di
soddisfacibilità è associabile soltanto alla profferenza per la quale il
communicatore o profferente (implicans, implicaturus) segna che p o q, il
valore di soddisfacibilità e associabile a ogni profferenza. Critica di un
sistema bivalente che accetta la categoria confuse di “lacuna” di valore di
soddisfacibilità. Bivalenza e il sistema considerato poli-valente. Bivalenza e
l’intuizionismo di Lemmon e Dummett. Communicazione e segnato, rapporto tra
materia e forma dell’espressione per la quale il communicatore o profferente o
implicaturus segna (empiega) che p o q e il rispettivo segnato. Il segnato come criterio per determinare la
primitività di un simbolo, Le regole o teoremii di formazione sintattica
d’introduzione e eliminazione, il teorema del ragionamiento sano definito dalla
sintassi e il segnato logico. Communicazione naturale, segnare artificiale,
arbitrario, non naturale, e segnato. Natura, genesi, funzione e invarianza
della forma e struttura logica. Natura, genesi e funzione della forma predicativa
(“Fido is shaggy”), natura, genesi e funzione della forma soggettiva o topica,
natura, genesi e funzione della forma logica semplice, Natura, genesi e
funzione della forma logica espressa da un simbolo mono-semantico di operazione
logica, Rapporto tra l'attività dell'io intenzionante (implicaturus, e la
struttura logica intesa come modalità con cui il contenuto e intenzionato (“He
went to bed and took off his boots”). L'invarianza della forme o struttura
logica. Significato. «Noi non
sappiamo che cosa significano le parole più semplici, tranne quando amiamo e
desideriamo.» E., “Significati e verità dei linguaggi delle teorie
deduttive (Emerson) Il significato è un concetto espresso mediante segni che
possono essere grafici, verbali-orali, o mediante cenni e gesti. Il significato
permette di capire o esprimere il senso, il valore o il contenuto del segno.
Secondo il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, il segno linguistico è
costituito dall'unione di un significato (un concetto, cioè la nozione mentale
che abbiamo di un determinato oggetto) con un significante (cioè una forma
sonora, o un'immagine uditiva). Il triangolo semiotico In semantica
(la disciplina che studia i rapporti tra segni e oggetti), secondo il classico
modello a tre elementi, il significato è la nozione o immagine mentale generica
che possediamo di un oggetto, la quale media tra la parola e la cosa. Ad es. il
concetto di albero ci dà modo di riconoscerlo sia che si tratti di una quercia
sia di un melo. Il significato è indicato graficamente o foneticamente dal
significante, mentre l’albero reale al di fuori della sfera linguistica è detto
referente. Va notato che mentre significato e significante sono sempre
presenti, il referente può mancare o cessare di esistere (es. nelle parole
“Napoleone” o “unicorno”). In semiotica, il significato è uno dei vertici
del triangolo semiotico postulato da Peirce, come mostrato nella figura
accanto. Per quanto riguarda la porzione di realtà indicata, si distingue
in genere tra: denotazione, ovvero ciò che una parola indica in quanto
tale (uomo, e il suo significato di animale razionale); riferimento, ovvero ciò
che una parola indica in una frase determinata (quell'uomo è alto). Frege,
Senso, funzione e concetto, (edizione originale). Giorgio Graffi; Sergio
Scalise, Le lingue e il linguaggio. Bologna, Il Mulino, Ogden e Ivor Armstrong
Richards, Il significato del significato. Studio dell'influsso del linguaggio
sul pensiero e della scienza del simbolismo, con saggi in appendice di B.
Malinowski e F. G. Crookshank, trad. Luca Pavolini, Milano, Il Saggiatore (orig.: The
Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of
the Science of Symbolism, London, Routledge et Kegan Paul). Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica
generale, Bari, Laterza, Disambiguazione Semantica Semantica lessicale
Significato (psicologia) Struttura (semiotica) Triangolo semiotico Alemma di
dizionario «significato» Portale Linguistica: linguistica Segno concetto base della semiotica
Significante Triangolo semiotico. Grice: “Alessandro Emiliani should be carefully distinguished
from Alessandro Emiliani. Alessandro
Emiliani is a philosopher; Alessandro Emiliani is a semiotician!” Alessandro Emiliani. Emiliani. Keywords:
semiotica, Dr. Wilde, Wilde lectures on religion? That’s after Henry Wilde, not
a doctor? He was a doctor: “Dr. Henry Wilde”, significati”-- -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Emiliani” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice ed Emina: la ragione conversazionale a Roma
antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A Pythagorean and a historian. Lucio
Cassio Emina.
Luigi Speranza -- Grice ed Emone: la ragione conversazionale e la setta
di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorian
according to Giamblico. Emone.
Luigi Speranza -- Grice ed Empedo: la ragione conversazionale e la setta
di Sibari -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico. Empedo.
Luigi Speranza -- Grice ed Empedotimo: la ragione conversazionale
all’isola – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According to Eraclide di Ponto, E.
has a vision that reveals the structure of the universe. Empedotimo.
Luigi Speranza -- Grice ed Endio: lla ragione conversazionale e a setta
di Sibari -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Sibari). Filosofo
italiano. Pythagorean. Giamblico. Endio.
Luigi Speranza
-- Grice ed Ennea: la ragione conversazionale e
la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Iamblicus of Chalcis, a Pythagorean. Ennea.
Luigi
Speranza -- Grice ed Ennio: la ragione conversazionale a Roma antica – scuola di Salento – filosofia
salerniana – filosofia campanese -- Roma -- il primo filosofo inglese, il primo
filosofo latino – scuola di Salento -- filosofia salernese -- filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salento). Filosofo salentese. Filosofo salernese.
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Salento, Salerno, Campania. Poeta,
drammaturgo e filosofo romano;mMuore a Roma. Viene considerato, fin
dall'antichità, il padre della filosofia latina, poiché fu il primo ad usare LA
LINGUA LATINA la come registro letterario. Ennio che ascolta Omero, immaginato
da Sanzio nel Parnaso, Stanze Vaticane. Nasce a Rudiae, nei pressi di Lecce,
città dell'antica Calabria -- Salento, nella Puglia meridionale -- in cui
allora conviveno tre culture: quella dell’occupante romano, quella OSCA dei
centri minori indigeni italici, e quella greca che ha come centro maggiore
Taranto. GELLIO (si veda) testimonia infatti che E., pur vantandosi di discendere
da Messapo, eroe eponimo della Messapia e dei Messapi, e solito dire di
possedere “tria corda,” poiché sa
parlare in romano, osco, e greco. Durante la guerra punica milita in
Sardegna e vi conosce CATONE (si veda) MAGGIORE, censore, che lo porta con sé a
Roma. Qui ottenne la protezione di illustri romani quali SCIPIONE (si veda)
l'Africano. Poco tempo dopo, entra in contatto con altri aristocratici del
circolo degli Scipioni, come il generale MARCO FULVIO NOBILIORE. Queste
amicizie lo ponneno in conflitto con CATONE, diffidente nei confronti delle
altre culture e di quella greca in particolare. MARCO FULVIO NOBILIORE,
nella guerra contro la lega etolica, conduce con sé E. al seguito, con il
compito cioè di celebrare le gesta, come in effetti fa nella prae-texta
“Ambracia.” Questo scandalizza CATONE, in quanto comportamento contrario al
costume degl’avi, al mos maiorum. QUINTO FULVIO NOBILIORE, figlio del generale,
gli assegna dei terreni presso la colonia da lui dedotta a PESARO.
Riconoscente, Ennio espresse orgogliosamente questa concessione. Nos SVMVS
ROMANI qui fuimus ante Rudini -- E., Annales. H. P. GRICE: “A more complicated case of majestic
plural than ‘We are amused.” Ennio implicates that he and his descendants are
Roman. The use of ‘fuimus’ implicates, but does not say, that he yielded his
own citizenship to that place in the middle of nowehere. Ennio, messo a capo del collegium scribarum
histrionumque, vive con una sola serva al suo servizio, attendendo alla sua
filosofia e la composizione delle sue tragedie e del poema epico. Annos
septuaginta natus - tot enim vixit Ennius - ita ferebat duo quae maxima
putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis paene delectari videretur. A
settant'anni - tanti, infatti, ne visse – E. sopporta la povertà e la
vecchiaia, che si suole considerare come le cose più moleste, quasi sembrando
che ne godesse (Cicerone, De Senectute). Tra i suoi discepoli ricordiamo il
nipote, figlio di sua sorella, il tragediografo e pittore MARCO PACUVIO, e il
commediografo CECILIO STAZIO, con cui condivide l'abitazione. Sofferente di
gotta, E. muore a Roma. Per i suoi meriti, oltre che per l'amicizia personale,
e sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica Via Appia, dove e raffigurato
da un busto su cui e inciso un epitaffio in distici elegiaci che CICERONE crede
composto dallo stesso E. Aspicite, o cives, senis Enni imaginis formam:
hic vestrum panxit maxima facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec funera
fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virum. Ecco, o cittadini, i tratti
dell'effigie d’Ennio: costui le massime gesta canta dei vostri padri. Nessuno
di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le bocche
degl’uomini. Testa di E., dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. E. sperimenta
la filosofia in numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma sono poco
conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il vero padre
della filosofia e della letteratura (‘grammatica’). Della maggior parte di
questa filosofia rimangono solo pochi frammenti e titoli. Per quanto
riguarda la filosofia epica, si conoscono gli “Annales” e “Scipione”. Gl’
“Annales” sono il testo nazionale del popolo romano. E. narra la storia di Roma
anno per anno, come spiega lo stesso titolo, dalle origini. Gl’Annales e
strutturata in XVIII libri, suddivisi in III gruppi di VI, detti esadi. Nel
proemio E. racconta che Omero stesso gli era apparso in sogno per rivelargli di
essersi re-incarnato in lui dopo avergli esposto la dottrina pitagorica della
trans-migrazione dell’anime. Mentre nei primi libri sono raccontati gl’eventi
che vanno dalle origini all'invasione di Pirro, nei successivi il racconto
arriva fino a due anni prima della sua morte. Nella seconda esade, poi, E.
polemizza con coloro che lo criticano per aver introdotto l'esametro,
polemizzando contro gl’autori che scriveno in saturni, con chiaro riferimento a
NERVIO, che comunque omaggia, non ripetendo la narrazione della guerra punica -
e racconta gl’eventi sino alla guerra
macedonica. Per quanto riguarda l’altre composizione, per concorde affermazione
degl’antichi, E. eccelle nella tragedia, con composizioni come “Alessandro”,
“Andromaca prigioniera”, “Medea”, “Tieste”, “La morte d’Achille,” “La morte
d’Aiace”; “Il riscatto del corpore d’Ettore”;
“Ecuba”, “La morte d’Ifigenia ad Aulide”, “Telamone”, e “Telefo”. A
parte, come “praetextae”, “Il ratto delle Sabine da Romolo e i suoi compagni” e
“Ambracia, o la gesta del generale Fulvio”. Che non e un grande comico, lo
testimonia il fatto che restano solo pochissimi versi e due titoli di testi
commedidi la “Caupuncule” e il “Pancratiaste”. Allo stilo dotto
apparteneno “Epicarmo” ed “Euhemero”, DI CARATTERE STRITTAMENTE FILOSOFICO; gl’
“Edifagetica”, o ancora, sul versante della poesia disimpegnata, le “Saturae” e
gli “Epigrammi.” E. e il primo romano (naturalizzato) a scrivere un poema
in esametri, no saturnini. Il suo capolavoro, gl’Annales, e la prima epica a
narrare la storia di Roma dalle origini facendo di E. il vate filosofico di
Roma e tra i principali modelli stilistici del De rerum natura di LUCREZIO e
dell'Eneide di VIRGILIO. Scrive numerose commedie e tragedie di cui restano
pochi frammenti, e da altri frammenti si ritiene che abbia scritto anche alcune
satire filosofiche, anticipando addirittura LUCILIO, considerato il padre del
genere. O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti. O Tito Tazio,
tiranno, tu ti attirasti disgrazie tanto grandi! Poiché i frammenti a noi
pervenuti sono pochi e giunti per tradizione indiretta, non siamo capaci di
valutare la struttura compositiva del poema maggiore e le tecniche della
narrazione, ma emergono con sufficiente chiarezza le caratteristiche della
lingua e lo stile elevato e solenne, che appaiono frutto di un geniale
contemperamento di tratti tipicamente romani e audaci innovazioni. Ricorre
spesso ad arcaismi, tratti distintivi di derivazione omerica -- tanto che si
presenta nel proemio come Omero redivivo, e ORAZIO stesso lo definisce alter
Homerus, "altro Omero". Infatti e ritenuto uno dei principali fautori
dell'ellenizzazione. Nonostante CATONE e uno dei filosofi più attaccati alla
cultura romana, riconosce e apprezza in E. le doti filosofiche. E. introduce
l'esametro nella letteratura, formando i suoi versi anche solo con degli
spondei -- infatti sono detti versi olospondaici. In E. abbonda LA
METAFORA FILOSOFICA, sempre molto presenti nei poemi epici, le allitterazioni e
l'uso della retorica. La vita: Ennio e i suoi continuatori, su sapere.it,
De Agostini Editore S.p.A. Annali. Commentari. Napoli: Liguori Editore, Quintus
Ennius tria corda habere sese dicebat, quod loqui Graece et Osce et Latine
sciret("Quinto Ennio diceva di avere tre anime in quanto parlava greco,
osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes Atticae, Cornelio Nepote, Catone, Skutsch. Quinto
Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano solo 14 versi,
dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero viene descritto
come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle Sabine. ^
Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro gli Etoli
nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^ Catalogo di cose
buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente superficiale, come
evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in Apuleio, De magia,
11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a momenti particolari
della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae Sepolcro degli Scipioni
Ènnio, Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, E., in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Quinto Ennio, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere
di Quinto Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di
Quinto Ennio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Quinto Ennio, su
Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi e illustrati da
Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, Remains of old latin.
Vol. 1: Aennius and Caecilius, Warmington (a cura di), Cambridge-London,
Ennianae Poesis Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus
Teubneri. Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Letteratura Portale Lingua latina Portale Teatro.
Annales (Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto Ennio Marco
Fulvio Nobiliore politico romano Ambracia. Quinto Ennio was a famous arly Roman poet. In his
poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from philosophy and
helped to introduce these to the Roman world. Grice: “We can tell an English
philosopher by his references to events in the history of England – as when I
say that “Harold Wilson is a great man’ means the same as ‘the Prime minister
is a great man’. The Romans were able to refer to Roman history through Ennio,
who knew it!” -- Ennio. Keywords: il
primo filosofo inglese, il primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Ennio”, The Swimming-Pool Library. Quinto Ennio. Ennio.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; osia,
Grice ed Enriques: FILOSOFO EBREO-ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale arimmetica – scuola di Livorno – filosofia livornese --
filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Flosofo livornese.
Filosofo toscano. Filosofo italiano. Livorno, Toscana. Grice: “I like Enriques;
of course his “Problemi della scienza’ implicates that philosophy does not have
any!” Il Dipartimento "Federigo
Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via
Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello
Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria
Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa
e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di
perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare
con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi.
Lincei. Insegna a Bologna. È invitato presso l'Roma, per occupare la
cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath
a divenire un collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui
pubblicazione è stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del
movimento per l'unità della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”).
Quando però sono promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso
dall'insegnamento e da qualsiasi altra occupazione legata all'attività
culturale. Durante l'occupazione tedesca è dapprima nascosto in casa di Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna
a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani
ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni
articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato
direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di
geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico
occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società
filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e
Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato
direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra
l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. È un
filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta.
I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per
importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di
cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della
matematica e della fisica. E. recepì immediatamente la portata delle novità
introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza
a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i testi
scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole
superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la
trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue
opere più diffuse di matematica elementare si ricordano: Questioni
riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare,
Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con
U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe); Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni
(con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica
antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura,
Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in
particolare: Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria
descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle
funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie
algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative
ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza.
Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non
facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima
metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto
interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste
materie si ricordano: Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo
e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il
pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e
razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in
"Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica,
Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G.
Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato
da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni,
Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti,
ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina
al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi
italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della
scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti
fondamentali del pensiero scientifico nella prima metà del sec XX: la sempre
maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la
tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica,
sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano,
fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza
(rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare
le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva
specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie
elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di
principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le
successive verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di
posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno
tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione
critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di
giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo
Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali
derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono
giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali.
I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti interpretativi
ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio storico e
descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta questo
difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo
carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio,
Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto
agli indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche. Per superare il problema della eccessiva frammentazione del
sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali della fisica, della
geometria, della matematica e delle altre scienze naturali con criteri unitari,
approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e la sua genesi storica.
Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo aspetto caratterizza il
metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e impegno moltissimi aspetti
di storia della scienza. La storia della scienza fa parte della scienza stessa.
Per capire veramente un teorema non è sufficiente capire solo la sua
dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è stato formulato, quali
sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua formulazione e come
sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle teorie scientifiche.
Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della scienza avviato da Mach
e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e scienziati Professore del circolo
di Vienna. Valenza fisica dei concetti geometrici. La geometria può essere
considerata come il primo capitolo della fisica, diversamente dai matematici e
filosofici formalisti che la considerano una scienza astratta. L'orientamento
formalista nella geometria è stato delineato da Kant (Critica della ragion pura)
per il quale i postulati geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva,
ma sono giudizi sintetici a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle
percezioni sensoriali. La tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di
filosofia teoretica con orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in
opposizione a Kant si è delineato un approccio fisico-sperimentale ai principi
geometrici, al quale hanno aderito molti storici e filosofi della scienza. Ha
contribuito alla riscoperta del significato più autentico, di carattere
storico, intuitivo e sperimentale alla base della geometria, della matematica e
delle scienze fisiche. Contributi su Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su
amshistorica.cib.unibo. “I numeri e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il
pragmatismo” su amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su
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Wolf, A History of Science, Technology
and Philosophy, su amshistorica. cib.unibo.L'autore cura una decina di manuali
didattici di geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica
superiore. Inoltre pubblica un'ampia serie di testi di storia e di filosofia
della scienza e numerosi articoli specializzati. Mille anni di scienza in
Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul Catalogo Italiano dei
Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di Scientia. Antonucci e
Beer, Sapere ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nell’università, Roma,
Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,
Nastasi, E. e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di
Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E. E. (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E., su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su
Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University. Opere di E., su Liber Liber. E. su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di E., Polizzi, E.,in Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.
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di Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del Centro Studi E. di Livorno.
"Le Armonie Nascoste", un recente documentario su Enriques su
lalimonaia.pisa. Coloro
che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i
mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un
mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi aggiunge un’osservazione
che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni. Da noi, dice, il filosofo perde
il tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa. Infatti il filosofo che ha
percorso gli studi romani antichi classici, domanderebbe invano alla dialettica
che gli fu insegnata, un concetto adeguato di quello che è l’ordinamento di un
calcolo deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e
del valore dei principi che s’incontrano in la geometria. Che cosa e una
definizione, un’assioma, un postulato? Che posto occupano nell’organismo della
teoria dialettica? Quali sono i criteri che presiedono alla loro scelta o che
permettono di giudicare della loro accettabilità? Tutte queste domande rimangono
senza risposta, pel filosofo, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche
oscura dottrina del concetto. Certo esse non ricevono lume dalle minute
classificazioni sillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato,
quando mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la
coerenza formale di una dimostrazione geometrica. Ora è essenziale rilevare che
il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento della propria disciplina, si
ritrova in faccia alla dialettica nella posizione stessa dei filosofi che hanno
lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della dottrina del ragionamento
procede appunto dalla critica dei filosofi che hanno riflettuto intorno alla
natura e all’ordine della consequenza logica. Come padre della dialettica viene
designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere ritenuto se non raccoglitore
e sistematore di ciò che nella dialettica e elaborato prima di lui, qualunque
sia il contributo originale che può aver recato al sistema. L'affermazione
precedente apparirà tosto giustificata quando si ricordi che le matematiche
avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno sviluppo assai elevato, [Il
vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli Elenchi Sophistici) di
aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto il paragrafo,
riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o dialettica o
collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro asserto. La logica
degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si comincia a scrivere
trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio all'epoca di Platone, ed
in più o meno stretta connessione coll’accademia da cui pure usce Aristotele,
alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una profonda elaborazione critica
(Eudosso, Teeteto...), che costituisce il precedente storico degli Elementi
d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la dialettica aveva ricevuto uno
straordinario sviluppo nelle discussioni dei Sofisti, sia presso i primi
insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi — come Protagora dì Abdera
— sostenitori dell’ empirismo avverso il razionalismo metafisico del circolo di
Velia, sia, più specialmente, presso i Megarici ed altri pensatori affini, che,
in connessione coi circoli socratici, ripresero e svolsero in un modo
formalistico la veduta veliatica. La finezza di alcuni sofismi attribuiti a
filosofi di Velia, basterebbe da sola a testimoniare della profondità dell’analisi
da essi ragggiunta, di fronte a cui fanno talora meschina figura le spiegazioni
o confutazioni d’Aristotele negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse
polemiche aristoteliche contro avversari non nominati (per esempio, intorno
alla necessità e al carattere dei principi negli Analytica posteriora) valgono
ad indicare che il problema logico dell’ordinamento di un calcolo
analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute diverse, alcune delle quali si
riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in
confronto a quelle adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele,
che furono raccolti sotto il nome comprensivo di Organo, manifestano la doppia
origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla pratica della colloquenza.
Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De Interpretatione) si riferiscono
alla classificazione o tassonomia delle espressione isolate e della
proposizione, formando quasi una introduzione a tutta l’opera. I due saggi successivi
(Analytica priora e Analytica posteriora) svolgono appunto la colloquenza come
calcolo, quale risulta dall’analisi del ragionamento. Invece i due saggi
(Topica ed Elenchi Sophistici) concernono l’arte della colloquenza o argomentare,
mirante — non all’analitico ma soltanto al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’
in rapporto alla pratica della colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte
il nome eleatico-platonico di ‘colloquenza’, mentre distingue col nome di
propedeutica analitica – lo studio dell’analitico -- l’esame del procedimento
della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza si desumono
le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da Kant in
quella parte della Critica della ragion pura che costituisce l’Analitica
trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è usato dal nostro per designare
procedimenti del discorso che, non partendo da principi, non hanno valore
dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima, [Quest’osservazione è
fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi nel titolo di un
saggio di Democrito d’Abdera: rtepi
Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne
abbia conservato il ‘significato’, rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa
e formale) del ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e
spalmente presso gli Stoici. Ora questi filosofi, appunto a partire da Zenone
Cizio, designano come “to logikón” quella parte della filosofia che ha
relazione al “logo” o discorso, e che comprende questioni attinenti al
ragionamento e questioni rettoriche o di grammatical della profundita; mentre
la scuola contemporanea di Epicuro ha tratto sicuramente da Democrito il nome
di canonica, con cui designa le regole del metodo. Siffatte osservazioni,
tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica sui successori,
non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà a ricercare in
questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche, ed in
particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per formarsi un concetto
dell’origine della logica, sarebbe interessante di ricercare se e quali
([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B. 10^. Diog. Laert. (In
Arnim, Diogenes). CO Aggiungeremo che Prantl opina che il nome proprio vj, come
appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo di esso e
della rettorica, introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli stoici] rapporti
sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili disquisizioni e
implicature dei sofisti. Clairaut, per
spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à
convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux
vérités le plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è
dovuta a “sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que
la Grece avait le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son habitude
de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’
elle est.” Queste
affermazioni sono state frequentemente contestate, giacche è difficile
riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta, non dico
sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori, che hanno
elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare, a questo
proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora e di
Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il
carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti
della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai
critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i
rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono
attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr.
Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso
genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne
l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta
si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate
almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un
altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la
dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla
filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso Aristotele,
come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e, d’altra parte,
l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri argomenti intorno al
moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo in evidenza il loro
significato e valore matematico, sicché il sottile dialettico in cui la tradizione
non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’, si scopre ai nostri occhi come
iniziatore di quell’ ordine di considerazioni che costituisce l'analisi
infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo riconoscere che proprio dalle
considerazioni infinitesimali — in cui il pensiero i trova esposto a non
sospettate fallacie — trae origine la critica del ragionamento, onde ne esce
fuori la sco perta del principio di contraddizione e il procedimento [Adversus
Aialhcmaticos, I. III. Cfr. Diog., L.,
Vili, 57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed.
Didot] di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che
spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide,
viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione
delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed
anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente
questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel
commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che
costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a
Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di
questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione
fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto
il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la
geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria,
o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso,
preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino
della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne, cap. X. La
logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione
pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o
una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera
concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica
traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che
appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva
urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il
lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si
affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti
dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo
che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve
riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza
larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti
alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i
filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro
speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché
essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento
coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di
Giarablico (Diels, Pyth.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci viene
attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè dell'
esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che si
riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai
suoi principi, nasce il metodo dialettico, che è il germe della logica. La
quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le controversie fra empiristi
e razionalisti, e — per opera di questi — si proseguiva lo sviluppo dell
analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava criticamente i principi
(Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla teoria fondamentale degli
incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad involgere l’intiero problema
dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca logica non poteva limitarsi
all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali della deduzione, anzi
doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della scienza e alla valutazione
dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede riescono sommamente espressivi
ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene forse, si sia esagerata dallo
Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può. “Sur la riforme qu' a subie
la malhématique de Platon à Euclide et gràce à laquelle elle est devenue
Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di Copenhagen”)] avere esercitato
su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto, allorché designa il movimento
critico el tempo col nome di riforma platonica dèlle matematiche. Riferiamo
alcuni passi della Republica 510. Quelli che si occupano di geometria e di
aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”, e le figure e tre specie di
angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni; e come avendone certa
scienza questi supposti li prendono per base, e quasi fossero evidenti non
pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè agli altri; anzi, di
qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto giungendo infine a ciò
che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per ciò, di figure visibili,
e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a quelle di cui queste sono l’immagine,
ragionando sul quadrato in se stesso e sulla sua diagonale, anziché su quello o
quella che disegnano; e cosìutte le figure che formano o disegnano (quasi ombre
o immagini specchiate dall' acqua), tutte le adoperano come rappresentazioni,
cercando di vedere attraverso di esse i loro originali, che non sono visibili
se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ». (511). Questa specie invero io la
dicevo intelligibile, e intendevo dire che l’anima nell’ investigazione di
essa, è costretta a valersi di remesse. Ci valiamo dell’ed. Didot e della trad.
it. edita da Laterza, che riportiamo con lievi modificazioni. non procede al
principio, perchè non è in grado di andare oltre alle premesse, ma si vale,
come d’ immagini, degli originali appartenenti al mondo di quaggiù, da esse
imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di fronte a quelle,” mentre “il
ragionamento che usa la forza della dialettica, considerando le remesse non
come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi punti d’ appoggio e di
partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al principio universale,
e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne derivano, perviene al
fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede dalle idee stesse alle
idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la distinzione posta fra
la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza del geometra
(3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la ragione”. La stessa distinzione
ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le scienze affini sognano rispetto
all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi aperti, intanto che si
valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non sanno renderne conto.
Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e che ha la fine e il
mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza?... ».Vi è
qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova respingere l’
interpretazione più comune, che stabilisce una differenza radicale fra la
ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché non si riesce a
dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo che esse
esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o di forme
matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo d'intendere
la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie ammettendo che il
posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla dialettica, si
riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze (pafW’yiJ.aT*)
secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche considerate come arti
(zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi dello
stesso dialogo, p. es.: Rep. (527) anche
coloro che sono poco profondi in geometria, non metteranno in dubbio che questa
scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla terminologia che usano
quelli che la professano. È una terminologia troppo ridicola e misera, perchè —
quasi si trattasse di scopo pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare
o di aggiungere. Invece tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma
qual’ è l’ordinamento della geometria vagheggiato da Platone? su che base
vorrebbe egli edificarne i principi? I passi citati indicano assai chiaramente
che per conferire alla scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G.
Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques:
Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande
che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati
(axioma), mercè cui si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo
appello ad operazioni pratiche sopra modelli sensibili. La base della
geometria, edificata secondo i criteri della dialettica, consisterebbe duue in
pure definizioni (il procedimento dialettico ha appunto come scopo di definire
i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi — che Platone
riguarderebbe come conoscenze innate, giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis)
esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà elementari che una figure
visibile ha porto occasione di riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice
(dianoia), apparirebbero fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli
Analytica di Aristotele, vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati
dai geometri nell ordinamento logico della scienza, criteri che sara
interessante di raffrontare a quelli che appaiono, in atto, negli Elementi
euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore definisce il
concetto della scienza di cui imprende lo studio. Anzitutto e da dire il
soggetto e lo scopo di questo studio: il soggetto è la dimostrazione e lo scopo
è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi, negli stessi
Analytica priora, viene a stabilire la teoria del sillogismo (teorico o
aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad esaminare — nei posteriora —
l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle matematiche.
Quest’ ultimo trattato, che qui occorre specialmente esaminare, si apre coll’
enunciato che ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva
sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte
le scienze. Infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione,
di tutte le altre arti. Ora dal concetto stesso del sapere segue
necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da principi
immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui
precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due
specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o che non vi sieno
principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un
regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar
luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari
[Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in «
Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse
la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi
empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici
(imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici,
critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa —
che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta
con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta
la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente
alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni,
che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle
credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel
mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o
ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano
interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio
della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una
interpretazione inversa. Infattim la
teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che
stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare
l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione
delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la
quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e
di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per
Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto,
offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q)
della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine
naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno
assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui
si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione,
on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di
cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora,
proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più
precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più
specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’
(semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di
concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria
logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei
Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione
del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo
delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto
da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post.. Ciò non
toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice (òtavaa), fondamento
della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle dottrine
d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento degli
Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo le
indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in
Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune
osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una
questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione
‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici
pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow »
compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo
rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo
assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni
prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di
Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che
questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari
(Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni.
Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli
ngoli retti sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione
debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano
ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la
definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma
non giova insistere su tali difetti, che appartengono all’esecuzione e non
modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo,
avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i
casi d'esistenza delle intersezioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rilevare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formulazione
dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg.
Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I
Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da
supposizioni d’esistenza: p. es. esistono linee piane che giacciono tutte da
una parte ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di *
assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti
o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è
la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli
àfjuojtara archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando
soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide,
cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla
logica degli antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino
accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica
dei antichi suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la
copia o la visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo
spazio continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carattere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presupposto metafisico della
logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale, immaginarono
la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo statico della
classificazione delle forme geometriche: tale è infatti il carattere dell’
ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina platonica non
superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo più avanti,
si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue vedute
filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più tardi, all
epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse alla teoria
sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti alla
deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder di
vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur riguardato
nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto del filosofo
greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi cenni che
Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora, non suppliscono
certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive (significate da
particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo ricorrono nello
sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna a (i) Cfr. Cli.
Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi] riflettersi sulla
teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro costruttivo del
pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si riflette in una
concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che abbia ammesso
l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia che abbia
rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera
attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele:
De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute.
Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle
scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia
della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare
più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da
cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla
fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una razionalizzazione
dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni (ofttTe'.v ~ì
6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio tecnico del
tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata mediante il
ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià Xóyo'j,
viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione
razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. Diel. A. 59 i eh. A. 114. Cfr. E.: La teoria democritea
delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia) Anzitutto Democrito
viene additato da Aristotele come il primo a trattare delle definizioni di cose
fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate crebbe l'uso del definire e si
estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene intendere che Democrito inizia
quel modo di definire proprio della scuola socratica, in cui si ricercano i
caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è più difficile dire se
lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello alla nozione comune
che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti; e tuttavia questo
criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate sembra avere
attinto. In un frammento della già citata opera logica di Democrito rtsp:
àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono distinte due speecie,
di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j; Siavaas), l’altra alla
sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente Democrito: “Vi sono due forme
della conoscenza: una conoscenza pura o legittima (yvyjafyj) ed una adombrata spuria
(av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima forma adombrata spuria le cinque sensi:
la vista (visum), l’udito (uditum), il gusto (gustatum), l’odorato (odoratum),
il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura è completamente distinta. Ed aggiunge
ce questa conoscenza pura è relativa ad un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus
Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223, 2). (! ) In Diel» B. II) orbano di
pensiero più raffinato che prende il posto di un vedere o di un udire o gustare
o odorre o tastare nel più piccolo (mettendoci così in rapporto colla vera
natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche in altri modi Democrito esprime la
relazione fra le due forme del conoscere; per esempio ove dice che « apparenza
(vòptoi) il colore, apparenza il dolce, apparenza l'amaro. In realtà soltanto
gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo parlare i sensi contro l’intelligenza,
soggiunge povera me, prendendo da noi la tua fede, tu vuoi confonderci; la tua
vittoria è la tua caduta. Troviamo qui una notizia estremamente interessante. Democrito,
al pari di Platone e di Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema
dell'origine dell’idea. Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese
alla supposizione della conoscenze innata (teoria della reminiscenza --
anamnesis), anzi piuttosto sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è
lecito pensare che a lui possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam
visto esprimere in An. Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come
possa conciliarsi questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione
induttivamente acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della
scienza dimostrativa, ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di
Democrito (in rapporto alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto
in Diels B. 9.] supposizione atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà.
Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione
in generale derivassero da piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie
ad impressionare gli organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in
quella guisa in cui la luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini
rispondente alla conoscenza inteligibile partenti direttamente dagli atomi —
sono di natura più fine. Si comprende quindi che esse possano liberarsi dalla
mescolanza colle immagini più grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando
il confronto di sensazioni ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose,
permette di fissare i caratteri comuni che definiscono il concetto. Che
effettivamente Democrito riconoscesse il valore logico del concetto, quasi come
anticipazioni dell'esperienza, resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in
Sesto (VII, 1401), che egli assumeva come criterio della comprensione delle
cose oscure il fenomeno, e come criterio della ricerca'il concetto, èvvoia
xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole lo del termine. Ivvotoe che già notammo a
proposto della designazione di y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli
assiomi, giacche abbiam pur detto che codesto termine non si trova nella [Cfr.
p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2 ) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di
Platone ed Aristotele, ma invece, più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad
un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£ sembra fare allusione Plutarco presso
Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici allegano a causa di ciò (cioè della possibilità
di arrivare a cose che non si conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà;
èvvofa?. D’altronde Diogoene Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice
esservi DUE criteri della verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di
svvoia viene adoperata l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli
Epicurei, designando l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato
preciso che gli Stoici davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da
un passo del De Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che
riposero la verità nei sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui
cum vehementer aaerint sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a
corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere
notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo
explicant. Da questi riferimenti sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano
adottato, al pari di Aristotele, la dottrina democritea dell’ origine sensibile
dei concetti – nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr.
Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di
Zenone Cizio (280-209 a. C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto
gli Epicurei conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma
spogliando i concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire
agli intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;)
viene ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis
ad id, quod non percipiebatur, adducit.” In corrispondenza di queste vedute, di
carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la dottrina
democritea della scienza, che Zenone Cizio dice essere una comprensione sicura
e ferma e immutabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un
possesso immutabile dalla ragione, nell’accoglienza delle rappresentazioni »
(èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto gli Stoici non giunsero a quello
schietto empirismo, che si vede accolto da Epicuro, per cui è accettata sempre
come vera ogni sensazione o apparenza: richiesero anzi che all apparenza si
aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che per il saggia ha motivo nell
identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos universale. Così il
concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim, 111. () Riferimenti di Sesto
e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68. (' ) Cfr. Sesto e Cicerone in
Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61. 3] stoica
ha fatto proprio, doveva pur sempre conservare al pensiero una certa dignità, e
quindi facilitare il trapasso alla veduta posteriore degli eclettici (Cicerone),
per cui le commune notio vengono ritenute non più come uniformità della natura
bensì come idea innata, attestanti la reminiscenza della vera origine divina
dell' uomo, onde la teoria stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a
fondersi colla neoplatonica. Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono
il principio del determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli
Epicurei, che ne adottarono la teoria atomica, spogliata bensì del suo più
profondo significato meccanico. Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi
dal razionalismo del maestro d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole
di cui abbiamo chiaro riferimento da Sesto Empirico, e che Gassendi ha
ricostruito con precisione nella sua Logica. Riferiamo la parte essenziale dei
canoni epicurei così formulate. Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens
sensum, sensiomque superadiecta, in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. Pari 1,
De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est anticipatio, seu
prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel proportione, vel
similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti
appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio. Est
anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens est, ex rei
evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento,
diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare
al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e
distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli
Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si
applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr.
Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta
o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone —
ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte
alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito. D’altronde
il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la riserva degli
scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la sospensione del
giudizio mirava a conquistare quella atarassia o imperturbabilità dell' animo,
che si riduce infine alla vittoria sulle passioni, inculcata dall'Abderita. Ma
il apporto teorico della scepsi con Democrito resulta da ciò che questi aveva
ridotto la realtà alla materia indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili;
un passo ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva
naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il
grande atomista aveva scorto l'oggetto intelligibile della conoscenza. E certo
questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razionalisti,
sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi
riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto
il nome di idea) che 1 altro aveva considerato vane apparenze. Inoltre, anche
nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che
investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad
ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal
guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lontana da quella per cui
il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di Locke
(i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda)
alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a
negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della
materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo
fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della
verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a
tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità,
costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza:
lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del positivismo
moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più progredita ispira
oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della logica interessa
soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto aristotelico
della dimostrazione: intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico. Ricompare
qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi
oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni
premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argomento prende
forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici
pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si
ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incertezza della sensazione si
riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che
sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e
valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che
critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore; ma resulta assai chiaro
che essa deve riferirsi particolarmente ai fìsici matematici, e vi è forse
qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla
scienza il compito di spiegare razionalmente i fenomeni. Infatti abbiamo già
accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie
367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da Aristotele, ove
eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni costituisce un
circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi aristotelica, notando
che dal vero si può dedurre il falso; e certo l'argomento — in stretta logica —
non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto o scettico sia portato a dare il
maggior peso a questa constatazione negativa, Cameade non vi si arresta. Dopo
aver negato l'esistenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso,
egli accorda pure alla conoscenza un valore probabile; e questo valore lo
riconosce, in primo luogo, ad ogni rappresentazione dotata di sufficiente
evidenza, ma in grado più alto alle catene di rappresentazioni legate 1’una
all'altra in un sistema logico (ibidem, VII, 176 e seg.). Non diverso è, in
ultima analisi, il criterio positivo con cui anche oggi possiamo giudicare il
valore delle teorie scientifiche: soltanto appare, ai nostri tempi, un
atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto collo sviluppo della trattazione
matematica della fisica; mentre il sentimento degli scettici risponde ad una
scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che alla mentalità di matematici — a
quella dei circoli medici, in cui Io scetticismo antico ebbe accoglienza.
Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui valore probabile viene desunto dalla
verifica sperimentale delle conseguenze che ne dipendono, caratterizza il
metodo deduttivo-sperimentale della scienza moderna. L. c. An. posi.] quale si
disegna in Kepler, Galileo e Descartes. L' esame intorno allo sviluppo della
logica post-aristotelica, in cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di
qualche predecessore, ci ha mostrato che in verità il realismo logico di
Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero greco; il quale ha toccato
posizioni affatto conformi alle più alte vedute moderne. Ma della critica
speciaente istituita dai geometri dopo Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per
misurarne il significato; e secondo le apparenze dobbiamo ammettere che le fini
ricerche di Apollonio su questo soggetto non abbiano trovato prosecutori.
D’altra parte l’opera dei filosofi che hanno riflettuto sulla scienza, nella
filosofia romana, non aderendo propriamente ad uno sviluppo scientifico, e
tanto meno matematico, prese spesso quella forma negativa che nel modo più
raffinato ci presenta la dottrina scettica. Infatti per osservatori cui non sia
dato di riprendere e di proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi
matematici, la confutazione di un ordine di verità necessario, quale è affermato
da Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della
scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che
ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della
logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto
sviluppo formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo
il disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio),
tuttavia non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale
dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel
linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli
stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si
scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che
riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia.
Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento
delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo
moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve
nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo
per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano
Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi
due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that
Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di
Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori
neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del
più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata
da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano
Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio
scolastico, formarono il trivio (grammatica Rettorica, Dialettica) ed il
quadrivio (Aritmetica Geometria Astronomia Musica). Specialmente degno di nota che questa prima
parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche, fisiche
ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”,
tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva
venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta
dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in
Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la
progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili
distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui
a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma
aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto,
sebbene sarebbe interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per
esempio, in Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della
particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et
q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q).
(notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo
Veneto. Ma, quanto alla questione della realta degl’universale, diremo che si
tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se
all’idea generali corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un
passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il
genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste
soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se
apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza
separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione troppo
profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel
vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista (negante la
realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche,
avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per riguardo
ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni
Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha
preso il nome di terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di
Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa)
della singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica
si riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam,
Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio
significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus
conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut
consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera
lo stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il
‘significato’ (o ‘signato’) dell’espressione sia da cercare nella sua comprensione o
connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di cui esso
esprimerebbe l'unità sostanziale; e si afferra
invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’ insieme
delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la specie di
certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di questa veduta,
la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale al concreto
particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde è fatto
invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della
esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato della polemica
intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la
libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità
delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a
favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice
l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente
tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione
anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della
logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e
si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico. Studio
storico preliminare SeaR Edizioni Quanto segue è, nella
sostanza, il contenuto di una conferenza tenuta a Palermo presso
ristituto Platone il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine
di queiranno, riprodotto in un numero limitato di co pie, con aggiunte
note critiche e documentarie, per le «Dispense di Arx» di Messina, edite
da Salvatore Ruta. Oggi il testo viene ripresentato con
maggiore digni tà tipografica e tiratura, onde favorirne la diffusione,
con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova collana della Sear di
Scandiano. Poiché è certamente la prima volta che con una
certa organicità viene affrontato questo argomento, il presente scritto
può a ben diritto definirsi una novità. Tuttavia, dal momento che
il nostro testo viene presentato come uno «studio storico preliminare»,
il lettore potrà dedurne che: a) i dati storici, biografici e
letterari, le notizie contenute ed ogni altra informazione non sono frutto di
fantasia o di illazioni avventate, ma desumibili nella loro grande maggioranza
da fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi
riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte, qualcosa di non
definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente
specificato da successive indagini e approfondimenti di maggior
respiro. Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a molte
notizie documentarie non sarei pervenuto se non avessi tenuto conto, nel
corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi
per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa
parte di alcun segreto esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del
patrimonio storico della nazione italica e come tale lo offriamo alla
meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno trovarvi spunto di
interesse interiore, nonché agli storici «laici», perché almeno in questa
occasione si rendano conto del tipo di dimensione occulta che corre
parallela e interferisce nelle vicende della storia: nella fattispecie,
prendano atto dell 'esistenza, sinora ignorata, delle correnti esoteriche che
tentarono di dare al fascismo queiranima priva di compromessi che
non fu capace di far sua. Renato del Ponte
Entrando il Sole nei Gemelli — Nella prefazione da lui posta ad un
recente lavoro dedicato soprattutto alla cosiddetta «Nuova Dstra», il
noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve senza dubbio riconoscere una
notevole apertura mentale e un’intelligente operazione culturale
volta alla riscoperta di alcune tematiche proprie della destra
tradizionale, ha potuto osservare come alla «Nuova Destra» sia mancata
«precisamente una rilettura della componente “magica” ed “esoterica” della
cultura di destra». La «Nuova Destra» si troverebbe anzi, attualmente, «in
difficoltà sul piano propriamente politico forse anche perché ha
trascurato l’analisi di fenomeni ai quali si dimostrava sensibile (...)
la destra tradizionalista “esoterica’^): tale fallimento, dunque, sarebbe
implicito nel «completo abbandono di un bagaglio culturale di indubbia
rilevanza» (1). Tale diagnosi ci pare esatta e le acute
osservazioni del Galli (al quale si debbono anche tentativi di penetrare
nel mondo oggi ancor poco conosciuto, proprio perché poco adeguatamente
studiato, dell’eso- GALLI, prefaz. a: ZUCCHINALI, A destra in
Italia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro non merita,
di per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto superficiale e
limitato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in questo
largamente superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente a
sinistra, come La destra radicale, a cura di F. Ferraresi, che è del 1984),
eccessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova
Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente. In sostanza,
ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni preliminari del
Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i profeti della fine
del «mito incapacitante»... terismo del III Reich), che ben difficilmente,
del resto, potrebbero essere recepite nella loro portata da quanto
sopravvive della «Nuova Destra», proprio per la sua impostazione profana e
modernista (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,
per sua intrinseca natura da sempre impermeabile ad ogni discorso
«intelligente»), potranno ser- In una relazione sul tema tenuta nel
giugno 1984 a Torino (pare per la Fondazione Agnelli), il cui testo
abbiamo potuto leggere, il Galli osserva come «la storiografia ufficiale
e accademica abbia sempre esitato a muoversi in questa direzione, appunto per
il timore di spostarsi dal piano della storia a quello della fantasia».
Ciononostante il Galli, che dunque sembra muoversi tra i primi al di
fuori di tale logica paralizzante, afferma come «vi siano sufficienti elementi
per una riflessione storica organica sulla componente esoterica soprattutto dei
nazismo, mentre per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione
potrebbe concernere esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11 presente
volumetto dovrebbe dunque servire ad ampliare le prospettive conoscitive
del Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio
sull’ultimo punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le correnti
esoteriche del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha
preceduto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed
alcuni settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo
anticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragili,
contrariamente a quel che potrebbe pensare il Galli stesso, che in questo caso
pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate sulla scia del
famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per un discorso
preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio saggio su La realtà
storica della «Società Thule», in introduzione alla prima traduzione italiana
di: Prima che Hitler venisse di Rudolf von Se- bottendorff. Edizioni
Delta-Arktos, Torino. Su Evola e certi ambienti delle SS, pubblicherò in
seguito documenti provenienti dall’archivio di stato tedesco (Quartier Generale
di Himmler), in cui tali tematiche saranno ulteriormente trattate. In un
recente articolo che vuole costituire una sorta di recensione del libro
della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza gli interes-
virci qui da spunto iniziale per una breve indagine preliminare,
necessariamente per ora limitata, su una corrente di pensiero indubbiamente
assai minoritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di recente
sottolineato, «nel contempo assolutamente necessaria per l’Italia, che ha
svolto ed è destinata a svolgere ancora una funzione molto
importante, per non dire essenziale, per la nostra nazione: quella
della conservazione dtXV identità delle nostre radici. Essa, se è
stata opacizzata nelle masse e in una classe dirigente sclerotizzata e
corrotta per incapacità e colpevole negligenza, nondimeno persiste immutata,
come presenze e immagini primordiali, negli archetipi divini che presiedono
alle nostre sorti. Il compito di tale minoranza, al di là della pura
e semplice azione conservativa, è stato quello di saper ridestare
nei momenti opportuni quelle immagini, sì che divenissero presenze vive
ed operanti, concretizzandole nelle nuove realtà della nazione italica.
Si tratta delle immagini primordiali e delle epifanie divine del Lazio e
dell 'Italia delle origini, ovvero della Saturnia tellus: quelle che
hanno reso possibile la manifestazione sul nostro suolo della
tradizione di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni
si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in
concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta»).] Conventum Italicum,
comunicato anonimo in «Arthos»] hanno reso evidente essere emanazione
della Tradizione primordiale — ed il suo
rinnovellarsi attrverso i tempi. Il precedente riferimento del
Galli all’esoterismo è, nel nostro caso, più che pertinente, dal
momento che la trasmissione e perpetuazione della tradizione
romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha potuto avvenire, per motivi ben
comprensibili, per via segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme
e vie anche molto diverse. Se oggi si può parlare di «de¬stra» esoterica
è soltanto perché, per circostanze storiche particolari, in un ambito
(peraltro, assai ristretto) della destra del nostro secolo certe
tematiche hanno potuto trovare parziale ospitalità: va da sé — e
non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la .tradizione di cui tali
correnti sono portatrici si situa ben al di là e al di sopra di ogni
miserabile dialettica fra destra e sinistra, termini e concetti di
derivazione parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati ad
inquadrare forme di realtà spirituali quali quelle a cui ci
riferiamo. Tuttavia, dal momento che il presente intende essere
semplicemente uno «studio storico» su tale cor- Per tali
evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del mio Dèi e miti
italici. Il ed., ECIG, Genova, specialmente in connessione con le figure di
Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso). Si deve peraltro notare
che ad interessi esoterici inerenti anche alla tradizione romana non
furono aliene certe personalità della «sinistra storica» e nel corso
della nostra esposizione non mancherà un esempio concreto. ] rente,
dovremo fare solo riferimenti indiretti e limitati al suo lato esoterico,
quanto invece insistere sui suoi riflessi politici, culturali e
religiosi. L’abbiamo definita «corrente tradizionalista romana» nel
Novecento: un’élite che ha in ogni caso lasciato una sua impronta in una certa
epoca e che, nell’incertezza del «pensiero debole» attuale,
potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio radicalmente
alternativo, poiché radicalmente (e qui l’espressione va intesa, con
coscienza di causa, nel suo pieno valore etimologico, a radicibus)
orientata contro gli pseudovalori che reggono la scena del mondo
moderno. Non è mio compito qui riassumere i termini della
questione intorno alla possibilità della trasmissione della sacralità e
della tradizione di Roma dall’epoca degli ultimi sapienti pagani sino ai
nostri giorni: è uno studio che, in riferimento soprattutto alle
gentes dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri,
abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica- Derivo l’espressione
di «corrente tradizionalista romana» dal pderoso (e ponderoso) lavoro di P. DI
VONA, Evola e Guénon. Tradizione e civiltà, Napoli, in cui, nel VI cap., intitolato
appunto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del
tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che
col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singoli casi,
che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene organizzata
in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche comuni, ideologicamente
e politicamente parlando, ma ad una tendenza che potè assumere aspetti e
sfaccettature diverse, come proprio i casi di Reghini, Evola e De Giorgio
(e non sono certo gli unici) sono a dimostrare. zioni (8) e che non
mancherà di ulteriori sviluppi. In questa sede sarà sufficiente
fare rapido riferimento a quell’epoca gravida di grandi e decisive
trasformazioni che fu il Rinascimento italiano. È soprattutto nel corso del XV
secolo che tradizioni occulte, sopravissute per secoli nel più grande
segreto, paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuova
manifestazione dal contatto con personalità dell’Oriente europeo di altissima
rilevanza intellettuale, come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il
grande rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi anni
dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cenacolo esoterico a Mistra, la
medievale erede dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a
conservare testi dell’antichità pagana (come le opere dell’imperatore
Giuliano, che vi venivano trascritte), si celebravano veri e propri riti e si
elevavano inni in onore degli dèi olimpici. La figura e la
funzione di Pletone sono ancora troppo poco note in generale e, in
Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi- (8) Cfr.
ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizione sacrale romana,
parti I e II, in «Arthos»] ; vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO,
RelazionesuH’altare della Vittoria, con un’introduzione di R. del Ponte su
Simmaco e isuoi tempi. Edizioni del Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel
sud del Peloponneso sono attestati, a livello popolare, culti nei
confronti degli dèi classici sino al IX secolo della nostra era.
(10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi
approfonditi. 18 ta a citare, a proposito di lui, la
sua partecipazione al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia
Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca- reggi (o «delle
Cariti», o «Muse»), concepita da Cosimo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il
Magnifico su suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero
essere ancora più interessanti e gravidi di conseguenze, se si considerino i legami,
ad esempio, fra Giorgio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala-
testa. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il cadavere agli Ottomani
(1464), i quali avevano occupato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente
in un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malatestiano». Lo stesso
Malatesta dovette pure essere in rapporto con la ben nota «Accademia
Romana» di Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-
stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo Ci si dovrà
pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del
Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II), Sansoni, Firenze 1936;
P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie
della Tradizione» (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è
in corso di stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo
«Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di
recente, ci è capitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina
satirica di sinistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e
documentato su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La
repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire»] Per
mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi- mus), 1
’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il
quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori «spregiava
la religione cristiana ed usciva in violenti discorsi contro i suoi seguaci...
venerava il genio della città di Roma.Quale rappresentante di
queU’umanesimo, che gravitava verso il paganesimo, si schierarono ben presto
attorno a Pomponio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle idee
e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati consideravano la loro
dotta società come un vero collegio sacerdotale alla foggia antica, con
alla testa un pontefice massimo, alla quale dignità fu elevato Pomponio
Leto» (12). Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia
del Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa- lestrina,
l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore della celeberrima
Hypnerotomachia Poliphili, un testo molto citato, ma molto poco letto e
soprattutto compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermetica si sposa
all’esaltazione, non tanto filosofica. fu notoriamente nemico dei
papi e ammiratore del movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon
et le platonisme de Mistra, Paris 1956, p. 344, nota. L’opera del Masai è
a tutt’oggi la più completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio
Gemisto Pletone). Si noti che il Platina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal
Bessarione, si prodigò per la liberazione da Castel Sant’Angelo dei membri
dell’Accademia Romana nel 1468, dopo che furono accusati dal papa Paolo
II — non senza fondamento — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343)
si domanda se l’Accademia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di
quella di Mistra». L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi. II, Roma] quanto
mistica, del mondo della paganità romanoitalica, culminante nella visione di
Venere Genitrice. Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna,
realizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente palazzo gentilizio
eretto sulle rovine del tempio di Fortuna Primigenia (ancora oggi ben
identificabili nelle strutture originali), vantava discendenza diretta
dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si potrà allora intravedere
come l’apporto vivificante della corrente sapienziale reintrodotta in
Italia da Gemisto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio di
una tradizione antichissima, gelosamente custodito nel silenzio dei secoli col
tramite di alcune famiglie nobiliari italiane, in ispecie laziali,
generosamente fruttificando: nel senso di spingere ad un rinnovamento
tradizionale non solo l’Italia, ma persino, ad un certo momento, lo stesso
papato, se avventi 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna
possedessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno sino al
1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Alba-
no). Sempre era visibile nel giardino Colonna al Quirinale l’aitare
antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da: P.
COLONNA, I Colonna, Roma). Tolomeo 1 Colonna ostentava il titolo di
Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe progenitus (cfr. FEDELE,
s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana», X, 1931). Ha compiuto
un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poliphili (editio princeps nel 1499,
presso Manuzio) come opera di Francesco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di
Polifilo prenestino, Roma 1980. Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno
di Polifilo: una quéte dell’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in
considerazione della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco
Colonna, la considera come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce
(/ Rosacroce, Milano). ne che poco mancò che salisse al soglio
pontificio quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo
diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato, come scrisse in una
lettera privata ai figli del maestro dopo la sua morte, «il più grande dei
Greci dopo Platone». Ma altri tempi tristi dovevano giungere,
tempi in cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimostrò il bagliore
delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti nell’anno di Cristo 1600 il corpo,
ma non l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso, ma impaziente,
di dottrine orfico-pitagoriche, che trovavano analoga eco — frutto di una
linfa non mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella
poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese Tommaso Campanella,
lui pure oggetto di odiose persecuzioni. Bisognerà giungere
sino all’unità d’Italia, parzialmente realizzatasi nel 1870 con la fine della
millenaria usurpazione temporale dei papi, per trovare una situazione
mutata. A questo punto bisogna chiarire una volta per tutte, con la
maggiore evidenza, che dal punto di vista del tradizionalismo romano
l’unità d’Italia — indipendentemente dai modi con cui (14) Si
dovrà ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le
opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente
pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca Marciana da lui fondata,
a Venezia. potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari
e prevaricatori della dignità e delle sacrosante autonomie di diverse
popolazioni italiche) e dall’azione di certe forze sospette (Carboneria,
massoneria e sette varie) che per i loro fini occulti poterono
agevolarla — era e rimane condizione imprescindibile e necessaria per
ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au- gustea (e dantesca):
quindi per propiziare il rimanifestarsi nella Saturnia tellus di quelle forze
divine che ab origine a quella realtà geografica — consacrata dalla
volontà degli dèi indigeti — sono legate. È un dato che si dovrà
tenere ben presente, per meglio intendere certi fatti che avremo modo
di esporre in seguito. Intanto, negli ultimi anni del XIX
secolo è nell’aria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà avvertito
dalle anime più sensibili. Fra queste, il grande poeta Giovanni
Pascoli, con un equilibrio ed una compostezza veramente classici,
valendosi di una sensibilità non inferiore a quella con cui in quegli
stessi anni conduceva l’esegesi di certi lati occulti della dantesca
Commedia, con il seguente sonetto (e col corrispondente testo in esametri
latini, da noi non riprodotto) celebrava in una semplice aula scolastica
la solennità «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il fumido muso
ad una branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e n’echeggia
il frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca del
toro, l’arator guarda lo spazio: sotto lui, verde acquitrinoso il
Lazio; là, sul monte, una lunga breccia bianca. È Alba. Passa
l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che percuote
nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al
sole brilla, come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera in
un polverio d’oro. Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto
nuovo di ordine archeologico il punto di riferimento importante ed
essenziale per il secolo che sta per aprirsi: la scoperta nel Foro da parte
dell’archeologo Giacomo Boni (un nome che non dovremo scordare) del cippo
arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in caratteri
antichi del termine RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’effettiva
esistenza in Roma della monarchia e, con quanto ne consegue, la
sostanziale fondatezza della tradizione annalistica romana, trasmessa nel
corso di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Maximi dei pontefici
sino a Tito Livio e, al termine del- [PASCOLI, Antico sempre
nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna. 11 lettore
esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate
realtà primordiali dell’Urbe. ] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes
sacerdotali ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori
della sapienza delle origini, come poterono essere un Macrobio ed un
Marziano Capella nel V secolo. È come se, fisicamente, una parte di
tradizione romana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a smentire
l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in nome di un
presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più
antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi seguaci
italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata
innumerevoli volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni
tradizione da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli
in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che
Giacomo Boni fu in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere
degli studi islamici e deputato al parlamento nei banchi della
sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di
una principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’autore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin dal 1852, dove
si sosteneva l’identità di Enea col dantesco «messo del cielo» che apre
le porte della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati
di Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e quasi
cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei (16) Cfr. M.
CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante
Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva
l’unione di Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani sarebbe
stato l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero manifestate
all’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa proprio
negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè
Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come Schola
Italica — determinate influenze derivanti dall’antica tradizione
romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte
Libero Ric- ciardelli) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro
riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella rivista «Commentarium»
diretta dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una lettera di
congedo dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini la proti?)
«Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente autorevole,
autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto da potere
essere ritenuto portavoce di sede superiore Don Leone Caetani, Duca di
Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di
Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova). Gli scritti firmati da «Ottaviano»
in «.Commentarium» sono tre: La divinazione pantéa, Per Borri, Gnosticismo e
iniziazione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto,
consistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si
rimanda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano», doveva
riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle
dell’organismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un
curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola anima o
anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si accenna al
«ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di convenzione che Enea
presenta a Proscrpina. pria fede pagana: non sono che pagano e
ammiratore del paganesimo e divido il mondo in volgo e sapienti volgo, che i
miei antenati simboleggiavano nel cane e lo pingevano alla catena sul vestibolo
del Do- mus familiae con la nota scritta: Cave canem; cane perché latra,
addenta e lacera. In quegli stessi anni (a partire dal 1905) era
cominciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Reghini. La sua importanza
fra i più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e del
filone romano-italico in particolare, risiede certamente non tanto nel
tentativo, vano e fatalmente destinato all’insuccesso, per quanto
disinteressato, di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),
quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed [OTTAVIANO,
Gnosticismo e iniziazione, cit., p. Tentativo che si concretizzò soprattutto
con la creazione del Rito Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal
Reghini, Edoardo Frosini ed altri (vi sarà accolto come membro onorario
Aleister Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che
si fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di
Piazza del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del
Gesù di Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino
ai provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha
dedicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Reghini di
cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: Reghini visse, povero e
solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’egli difese e incarnò, a suo
modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno di quelli che lo conobbero
potrà dimenticarlo» (Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze).alla riscoperta della
tradizione classica e romana, che gli era stato dato in compito di
rivitalizzare «in segreto», così come egli stesso si esprime in una
lettera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel numero di aprile 1914 di
«Ultra»: «sai bene come il nostro lavoro, puramente metafisico e
quindi naturalmente esoterico, sia rimasto sempre e volontariamente
segreto. In tal modo il Reghini ben si inseriva nel filone
della corrente tradizionalista romana, in quella sua variante che si può
legittimamente definire orfico- pitagorica, col contributo di numerosi
scritti, soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra molti
articoli e opere impegnative, come Per la restituzione della geometria
pitagorica, I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica,
Aritmosofia REGHINI, La «tradizione italica», Ultra» Allo stesso
modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si potrebbe parlare per
il filone essenzialmente seguito dalla corrente kremmerziana. È chiaro
come nessuna di queste correnti possa pretendere di identificarsi con il filone
centrale deWa tradizione romana (come vorrebbero, ad esempio, certi
continuatori del Reghini dei nostri giorni), rappresentandone, semmai,
corollari concentrici ed espressioni validissime, ma essenzialmente
periferiche. Il nucleo della tradizione romana è altra cosa: può
includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra nella sua
essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà
riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso
divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il tuttora inedito Dei
numeri pitagorici. Con questa attività egli avrebbe perseguito la
missione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tradizione pitagorica
della Magna Grecia allorché, ancora giovane e studente a Pisa, fu
avvicinato da colui che sarebbe divenuto il suo maestro
spirituale: Armentano, calabrese, ufficiale dell’esercito all’epoca
in cui lo conobbe Reghini. Ad Armentano apparteneva Di
recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del Reghini, è
stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesimo, pitagorismo,
massoneria, ed. Mantinea, Fumari, a cura dell’Associazione Pitagorica, un
gruppo costituitosi solo nel giugno 1984 con un poco iniziatico «atto
notarile» (sic), ma che vanta diretta discendenza dal gruppo del Reghini. La
raccolta è stata purtroppo eseguita con dilettantismo, senza criteri ed
inquadramenti storico-filologici e gli scritti reghiniani (uno
addirittura incompleto) non seguono nè un ordine logico, nè cronologico. Il
saggio sll’Interdizione pitagorica delle fave si potrà leggere ora completo in
«Arthos. DIOGENE LAERZIO ricorda come il pensiero di Pitagora
avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia: «Come
dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano Archiloco,
che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti
Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz;
trad. ital. Bari. Per alcune notizie su Armentano (ed una sua
foto), cfr. R. SE- STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino
interno dell’Associazione Pitagorica, Di Armentano si vedano le Massime di
scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di «Atanòr» ed
«Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’Italia per il Brasile,
dove muore. È sintomatico come anche «Ottaviano» in quel periodo si
sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancouver in Canada.] quella
misteriosa «torre in mezzo al mare. Una vedetta diroccata, su di uno scoglio
deserto dove, con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane
protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mondadori, Milano), «Luciano» {alias
Giulio Parise), avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia di un amico
non nominato, vale a dire proprio il Reghini. Fu proprio
nella torre di Scalea, in Calabria, che il Reghini rivide nell’estate
1926 il testo della traduzione italiana deirOccw//flr Phylosophia di
Agrippa, a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pagine su E.C.
Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra l’altro: «E perciò,
in noi, il senso della romanità si fonde con quello aristocratico e
iniziatico nel renderci fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze
e deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà possibile di
rimettere un po’ a posto le cose, e noi speriamo che ci venga consentito,
una qualche volta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoterismo romano.
Quanto alla permanenza di una “tradizione romana”, si vorrà ammettere che
se una tradizione iniziatica romana pagana ha potuto perpetuarsi, non può
averlo fatto che nel più assoluto mistero. Non è quindi il caso di
interloquire con affermazioni e negazioni. ALERAMO, Amo, dunque sono,
cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto
d’aver già operato fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente
accadute». REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,
Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi aspetti, per i
tentativi di rivivificazione della tradizione italica. Nel numero di
gennaio-febbraio 1914 di «Salamandra», in un articolo dal titolo
fortunato, poi ripreso d’EVOLA (si veda), Imperialismo pagano, Reghini coglieva
occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio universale
che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e
l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre ricollegata
nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di
alcuni grandi iniziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagine di
«Ultra», precisava nello stesso tempo, in un importante articolo
dottrinario, che: «Il linguaggio e la razza non sono le cause
della superiorità metafisica, essa appare connaturata al luogo, al
suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la città eterna, si
manifesta anche storicamente come una di queste regioni magnetiche della terra.
Se noi parleremo del mito aureo e solare in Egitto, Caldea e Grecia prima di
occuparci della sapienza romana, non è perché questa derivi da
quella, ché il meno non può dare il più» Lm Filosofia occulta o la Magia, voi.
I, rist. Mediterranee, Roma. L’articolo fu poi ripubblicato in
«Atanòr, pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima
casa editrice di Roma). (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della
filologia in rapporto alla sapienza metafisica, in «Ultra. Intanto, nella
notte del solstizio d’inverno del 1913, si era verificato un insolito
episodio, gravido di future conseguenze: in seguito a misteriose
indicazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia Antica era stato
rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29), accuratamente celato e protetto da
un involucro impermeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i
segni di un rituale. «Ed il rito — riporta «Ekatlos — fu celebrato
per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati,
accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella
sua luce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della razza nostra
romana; e un “segno che non può fallire” fu sigillo per il ponte di salda
pietra che uomini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio profondo
della notte, giorno per giorno». «Il significato, le vere
intenzioni e le origini di tali (29) Lasciamo ogni responsabilità
circa l’identificazione di «Ekatlos» con il principe Leone Caetani, già da noi
incontrato, all’anonimo autore (si tratta, peraltro, certamente di C.
Mutti, fanatico integralista islamico) di una postilla alla parziale
traduzione francese della rivista evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A
propos de l’article d’Eka- tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani,
in: J. EVOLA, Tous les écrits de «Ur» et «Krur», 111 [Krur], Arché,
Milano 1985, pp. 475- 486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi
note (in cui ancora una volta si dimostra come tra fanatismo religioso e
via iniziatica esista un divario invalicabile) la pesante responsabilità
delle poco ragguardevoli espressioni usate nei confronti del benemerito
principe romano. EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in
«Krur», oggi in: GRUPPO di UR, Introduzione alla Magia, voi. Ili, Roma] riti
pongono un problema», osserva il Di Vona (31), «ma il loro fine immediato
fu esplicito, e come tale è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel
dovuto modo da un gruppo che si propose di dirigere verso la
vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma l’episodio ha un
seguito: il 23 marzo 1919 (giorno in cui cade la festa romana del
Tubilustrium, o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a
Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di
Combattimento (dal 1921 denominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli
astanti vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva
riesumato l’antico rituale, preannuncio a Mussolini: «Voisarete Console
d’Italia». E fu la stessa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Roma,
vestita di rosso, offrì al Capo del Governo un’arcaica ascia etrusca, con
«le dodici verghe di betulla secondo la prescrizione rituale legate con
strisce di cuoio rosso. Con tale atto dal sapore sacrale, come è
evidente. VONA, Evola e Guénon EKATLOS. La notizia è riportata con
altri particolari nel «Piccolo» di Roma -- cfr. Appendice. Particolare
curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini parti in aereo alla volta
di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo, 24 maggio, anniversario
dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero di Redipuglia, alla
presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via del ritorno verso
Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto, ad un atterraggio
di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca Cere, donde
forse proveniva l’arcaico fascio.le correnti più occulte portatrici della
tradizione romana avrebbero voluto propiziare una restaurazione in senso
«pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti concorrono a
rafforzare questa supposizione. Dopo essere stata composta proprio nel
1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923 (altre significative
coincidenze di date), fu rappresentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae
sa- crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la
presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia (o, meglio, alla
latina, il Carmen solutum) risulta opera di un certo «Ignis» (pseudonimo
sotto cui si celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bravo), che
risulta godere di appoggi assai influenti, come quello di Ardengo Soffici [cfr.
Appendice], e appare, specialmente in quel terzo carmen che fu recitato,
più che una semplice rappresentazione scenica, un vero e proprio atto rituale:
un rito di consacrazione, certamente denotante nell’autore, o nei gruppi
restati nell’ombra di cui egli era emanazione, una conoscenza non solo
filologica della tradizione romana (si pensi che in intermezzi scenici
vengono cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei
Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti, come lascia
intendere il rito di incisione su lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e
l’esegesi, voluta- mente incompleta, dei significati del nome di
Roma. Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste
affinché i simboli da esse evocate, come l’aquila o il fascio, non restassero
puro orpello di facciata, continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in
cui Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione ufficiale, dalla
Libreria del Littorio, con i frontespizi ornati di caratteri arcaici romani,
disegnati appositamente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del Lapis
Niger già da noi incontrato, il quale avrà il privilegio poco dopo, alla sua
morte, di essere inumato sul Palatino stesso. Ancora noteremo
come sintomatica l’uscita, nello stesso 1923, della Apologia del
paganesimo (Formig- gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore
delle iniziative pubblicistiche di Evola. Uscirono le due riviste di studi
iniziatici «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Reghini, e in cui iniziò una
collaborazione il giovane Evola: affronteranno con un rigore ed una
serietà inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista
dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di particolare interesse: vi
comparvero, per la prima volta in Italia, scritti di Guénon, fra cui a
puntate, prima ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È peraltro
evidente come il contenuto di queste riviste non avesse un valore
puramente speculativo, come dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5
magicum (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di Fu
proprio Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mise a punto il prototipo del
fascio romano (oggi al Museo dell’Impero) per il Regime Fascista: è
quello che compare sulle monete da due lire di quel periodo (cfr. V.
BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma «Ignis», che preludono a
quelli del successivo Gruppo di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso
pagano da parte del fascismo sperata dalla corrente tradizionalista
romana non solo stenta a verificarsi, anzi è messa pericolosamente in
forse dalle mene degli ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr» Reghini con
parole di fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da Mussolini in
occasione del Natale di Roma: «Il colle del Campidoglio, egli ha
detto, "‘dopo il Golgota, è certamente da secoli il più sacro
alle genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la
romanità, perviene piuttosto ad irriderla ed a vilipenderla. Noi ci
rifiutiamo di subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle
del Campidoglio». E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto
Matteotti: ecco un clamoroso delitto politico viene a sconvolgere
la vita della nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari e da ogni
gradazione di democratici, a Mussolini non resterebbe che battere
la via dell’imperialismo ghibellino, se non esistesse un partito che già lo
sta esautorando tengano ben presente i nostri nemici che, nonostante la loro
enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste ancor oggi, come è esistita in
passato, traendo le sue radici da quelle profondità interiori che
il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena iniziatica pagana e
pitagorica, inutilmente e secolarmente perseguitata». L’ordine del
giorno Bodrero e le successive leggi sulle società segrete tolgono
ulteriore spazio all’attività pubblicistica di Reghini, che peraltro confluisce
nel «Gruppo di Ur», formalmente diretto da Julius Evola. A noi qui
non interessa tanto esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto dal
Gruppo di Ur, cui parteciparono, come è noto, personalità appartenenti
alle principali correnti esoteriche operanti in quegli anni in Italia,
dai pitagorici ai kremmerziani, dagli steineriani (antroposofi) ai
cattolici eterodossi come il De Giorgio, quanto sottolineare come in
quella sede dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il programma
di influenzare per via sottile le gerarchie del fascismo, nel senso già
voluto dal gruppo manifestatosi con la testimonianza di «Ekatlos» (che,
non lo si dimentichi, viene riportata proprio nel terzo dei volumi che
raccolgono le testimonianze di tutto il gruppo — in apparenza slegata da
esse — successivamente apparse col titolo di Introduzione alla
Magia). In un inserto per i lettori comparso nel n. 11-12 di «Ur», Evola
poteva scrivere: «... possiamo dire che una Grande Forza, oggi più
che mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella barbarie, che è la
cosidetta “civilizzazione” contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di
fatto ad una opera che trascende di certo ciascuna delle nostre
stesse persone particolari». Del resto, molti anni più tardi, Evola
stesso dichiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobiografia spirituale
che l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a «destare una forza
superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far
sì che «su quella specie di corpo psichico che si voleva creare, potesse
innestarsi per evocazione, una vera influenza dall’alto», sì che «non
sarebbe stata esclu sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte,
un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente generale. Un’indagine
ben più approfondita, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli
evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del Grupo di Ur,
delle radici esoteriche e dei contenuti iniziatici della tradizione romana: a
parte i contributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e, pare,
anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui ricordiamo l’importante saggio
(nel HI volume) Sul «sacro» nella tradizione romana, ancora una
volta fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma come
«PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sulla tradizione occidentale, sulla
scorta di un’attenta esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio)
e di personali acute intuizioni, nonché di probabili «trasmissioni»
iniziatiche, non esiterà ad indicare nel mito di Saturno il «luogo» ove è
racchiuso il senso e il massimo mistero iniziatico della tradizione
EVOLA (si veda), Il cammino del cinabro, Milano (li ed.), p. 88.
Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è stato da me
compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla versione tedesca del
I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag, Interlaken 1985). Si
tratta del notevole ampliamento, riveduto e corretto, di un mio precedente
studio già apparso in «Arthos romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata
ulteriormente nel nostro recente Dèi e miti italici. Intanto, una serie
di articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e chiesa
cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Critica fascista» di Bottai e in
«Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la successiva comparsa di Imperialismo
pagano, che quegli articoli raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio
sul Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è interessante
segnalare quello particolarmente violento e ambiguo, del futuro papa
Paolo VI, Montini, allora assistente centrale ecclesiastico della Federazione
Universitari Cattolici Italiani, che aveva come organo culturale la
rivista «Studium» (redazione a Roma e a Brescia. Dalle pagine di
«Studium» il Montini accusava «i maghi» riuniti attorno a Evola di «abuso
di pensiero e di parola di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e
di superstiziose magie.. G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in
«Studium». Oltre che del futuro Paolo VI (certamente il più nefasto fra i
papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche gli attacchi del
futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore del
paganesimo; // nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola
replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome esprime felicemente
che vesti gli si confacciano più che non quelle della romana
virilità» nell'«Appendice Polemica» di
Imperialismo pagano. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono
tratte dalla ristampa, presso Ar di Padova) si scomodò tutto
Ventourage del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a
«L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivocabile e tragico
appello da parte di esponenti della «corrente tradizionalista romana»,
prima del triste compromesso del Concordato, affinché il fascismo,
come si esprime EVOLA (si veda), «cominciasse ad assumere la romanità
integralmente e a permearne tutta la coscienza nazionale», così che il terreno
fosse «pronto per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia
delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere e realizzare il
lato sacro, spirituale, iniziatico della Tradizione». A questo scopo
Evola non risparmiava taglienti critiche alle gerarchie del Regime. Il
fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse e da forze brute
scatenate dalla guerra europea. Il fascismo si è alimentato di
compromessi, si è alimentato di retorica, si è alimentato di piccole ambizioni
di piccole persone. L’organismo statale che ha costituito è spesso incerto,
maldestro, violento, non libero, non scevro da equivoci. Di più: Evola prevedeva
addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la
pubblicistica fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, d’Educazione
fascista a «Bibliografia fascista», sino alla stessa bottaiana «Critica
fascista» che aveva ospitato i primi articoli evoliani.] esiti e gli
sviluppi della Seconda Guerra Mondiale: L’Inghilterra e l’America,
focolari temibili dei pericolo europeo, dovrebbero essere le prime
ad essere stroncate, ma non occorre di certo spendere troppe parole
per mostrare che esito avrebbe una simiie avventura sulla base
dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le
sue possibilità si compenetrano strettamente con la potenza industriale
ed economica delle grandi nazioni.Era dunque necessario che il fascismo,
che «bene o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora
un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a quella della Roma
precristiana prima che fosse troppo tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio
e non le due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivoluzione. Nostro
Dio può essere quello aristocratico dei Romani, il Dio dei patrizi, che
si prega in piedi e a fronte alta, e che si porta alla testa delle
legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli afflitti
che si implora ai piedi del crocifisso, nella disfatta di tutto il
proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia,
considerato dai papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con
la Chiesa Cattolica e nasceva il monstrum giuri- Che il cosiddetto
Concordato abbia sortito un effetto a dir poco nefasto sulle sorti, non
solo dello stesso fascismo (come le vicende stori- dico della Citta del
Vaticano. Veniva con ciò tolta ogni speranza residua di azione
all’interno degli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-
ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in ombra, del
«tradizionalismo romano»: alcuni di loro, come già si è accennato in nota,
abbandonarono per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel corso degli
anni Trenta. Restava il «programma minimo» indicato ancora
da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fascismo avrebbe dovuto:
«promuovere studi di critica e di storia, non parti- giana, ma
fredda, chirurgica, sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente
dovrebbe promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il lato
spirituale della paganità, sopra la sua visione vera della vita.]. che
successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini e di
Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo ancora oggi
sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio clericale-borghese
ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormentare la coscienza delle «masse»
ed a stroncare, con un autentico «terrorismo di Stato», qualsiasi velleità di
reazione delle minoranze coscienti della necessità di mutare uno stato di
cose ormai incancrenito. Mussolini non si era reso conto che prima
di lui uomini non solo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli
Svevi, perfino Carlo V ecc. si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto
e transazione con la Santa Sede. ogni intesa tra Santa Sede e Stato
italiano avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della
validità Chi avesse pensato che la Scuola di Mistica Fascista,
fondata significativamente poco dopo la «Conciliazione», nell’ambito
del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe svolto una
funzione del genere, avrebbe dovuto ben presto ricredersi amaramente. In
realtà, il sentimento religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto
costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si configurava con
precisione come cattolico. Lo dichiara, in una maniera che non potrebbe essere
più esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo Mussolini, in
un discorso tenuto alla Scuola. La nostra esistenza deve essere inquadrata in
una marcia solida che sente la collaborazione della gente generosa
e audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni
cosa nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contingente od eterna,
nasce e finisce in Dio. E non parlo qui del Dio generico che si chiama
talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro
Signore, creatore del cielo e della terra, e del suo Figliolo che un
giorno premierà nei regni ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà,
speriamo, i molti difetti legati alle vicende della nostra esistenza terrena.].
dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni
dello Stato italiano» (SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica
conciliare. Volpe, Roma2). Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1°
dicembre 1931. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si veda: D.
MARCHESINI, La scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano. E il filosofo
Armando Carlini, discutendo della nuova mistica, ravvisava la nota più
originale del fascismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi
cristiano, anzi cattolico; perché «il Dio di Mussolini vuol essere quello
definito dai due dogmi fondamentali della nostra religione: il
dogma trinitario e quello cristologico. Quel programma che abbiamo detto
minimo cercherà Evola più tardi in parte di compiere con l’organizzare il
lavoro di alcuni suoi insigni collaboratori attorno al «Diorama filosofico», la
pagina speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindicinale e
mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di Farinacci, «11 Regime
Fascista». La tematica della tradizione romana, esaminata nei suo simboli, nei
suoi miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequentemente negli
scritti dello stesso Evola, di Giovanni Costa (già da noi incontrato), di
Massimo Scaligero e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund
Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britannica) e lo storico tedesco
Franz Altheim. Analoghe collaborazioni sono fornite dall’allora giovane
Angelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire
degnamente l’impor- (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in
«Archivio di studi corporativi». Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del
fascismo, Roma tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia
delle Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De Giorgio, già
collaboratore di «Ur» e di altre iniziative evoliane. Nel contesto della
corrente da noi definita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una
posizione piuttosto anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con
sospetto: egli infatti concepisce in Roma la sede eterna, geografica e
storica, ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé stessa
la religione pagana e il cristianesimo, tesi elaborata soprattutto ne La
tradizione romana. D’altra parte, è lo stesso De Giorgio a ribadire con
sorprendente sicurezza la persistenza del culto di Vesta in un misterioso
centro, nascosto e inaccessibile: «Il fuoco di Vesta arde
inaccessibilmente nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano
sa- [L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed.
Flamen, Milano) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il
manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota
introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori del
«Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli omonimi
[si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che noi
sappiamo corrispondere al «TAURULUS», cioè Corallo Reginelli, tuttora
vivente. L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1
’occasione per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente
tradizionalista nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica
(si vedano il bollettino «Il rogo», e la
successiva rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si
veda la nostra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da un parere
di Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa del
discorso sulle origini della tradizione romana). prebbe penetrare e
a lui deve l’Europa intera la sua vita e il prolungamento della sua
agonia. Da questo fuoco occulto partono scintille che alimentano le
crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ritorno alla Romanità
attraverso le varie vicende di cui s’intesse la storia delle nazioni europee
considerata geneticamente, internamente e non sul piano limitatissimo della
contingenza dei fatti e degli uomini. Queir immane conflitto, già
previsto da Evola nel 1928, e che anche il De Giorgio giudicava del
tutto inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e il
nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato più manifesto, per i
fini dello studio che qui andiamo conducendo, di occultare del tutto le fila
della corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorrendo la trama.
Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la ristampa
dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta pare significativa),
curata nel 1968 dal «Centro Studi Ordine Nuovo» di Messina, a tentare [
GIORGIO, (vedi anche L’edizione,
ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne tolta subito dalla
circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si può considerare
oggi una vera rarità bibliografica. di riannodare i termini di un antico
discorso: «L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore a
Mussolini per metterlo in guardia contro il ventilato proposito della
cosiddetta “Conciliazione’)) si afferma nell’anonima introduzione risuona oggi
con inusitata attualità e fa si che Imperialismo pagano venga guardato come un
oracolo. Ed è proprio provenendo dalle fila di «Ordine
Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha tenuto in buona
considerazione almeno fino a che la
sua ala borghesemodernista, condotta da Rauti, non confluì nel MSI che
comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni
Settanta, il «Gruppo dei Dioscuri», con sede principale a Roma e
diramazioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei
Dioscuri» venissero riprese [EVOLA (si veda), Il cammino del cinabro:
«L’unico gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in
compromessi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo. L’interesse dei
«tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine Nuovo» si esaurisce sin
dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una parte, la frazione
rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui ed estenuanti
«giochi di potere» all’interno del partito e in declamazioni
populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta Nuova Destra proviene
quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed ambiguamente
compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista» ed
extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì nelle
velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con
conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero. tematiche
e pratiche operative già in uso nel «Gruppo di Ur» ed è perlomeno probabile che
lo stesso Evola ne fosse al corrente. Fatto sta che nei quattro
«Fascicoli dei Dioscuri», usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma
da una parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tradizionalismo
dovrebbe far riferimento, ritornano con grande evidenza. Per
l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei Dioscuri», intitolato
Rivoluzione tradizionale e sovversione (Centro di Ordine Nuovo, Roma), il
più grande dei meriti di Evola è quello: «di avere rammentato il
destino di Roma quale portatrice dell’Impero Sacro Universale e di
avere tratto da tale verità le necessarie conseguenze in ordine
alle idee-forza che devono essere mobilitate per una vera rivoluzione
tradizionale». Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fascicolo»
intitolato Impeto della vera cultura, il mito di Roma viene additato come
l’unico che sia in grado di condurre ad una superiore unità gli sforzi di tutti
i tradizionalisti italiani: a tutti i tradizionalisti, anziché proporre
uno dei tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si può
ricordare la presenza di una forza spirituale perennemente viva e operante,
quella stessa che il mondo classico ed il medio-evo definirono
l’AETERNITAS ROMAE Il gruppo dei dioscuri ha notevole importanza come
cosciente riconnessione alle precedenti esperienze sapienziali e come
indicazione, per taluni elementi particolarmente sensibili dell’area
della destra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri del tradizionalismo
romano, anche se la particolare via operativa scelta e, soprattutto, la
mancata qualificazione di taluni componenti, porterà ben presto
alla distruzione dall’interno del gruppo stesso, di cui non si sentirà più
parlare già prima della metà degli anni Settanta (ci viene detto che
frange disperse del gruppo continuerebbero a sussistere soprattutto a
Napoli). È tuttavia da supporre che alcuni dei gruppi periferici, sia pure
trasformati, ne abbiano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messina, molto
probabilmente nell’ambito di alcuni dei vecchi membri del «Gruppo dei
Dioscuri» viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a
circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un maestro a un
discepolo, piuttosto interessante. La via romana degli dèi:
«Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosità, fornendo alla tua
mente profonda gli argomenti per una serie di esercizi di meditazione affinché
con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvimento del rito» [ La via romana
degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore Operativa, Messina (ciclostilato ad uso interno),E certamente
non priva di connessioni genetiche col gruppo romano appare la sortita,
improvvisa, verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messina, del
«Gruppo Arx», successivamente editore del periodico «La Cittadella» e
degli omonimi quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itinerari
di approccio alla «via romana degli dèi» sono indicati attraverso la
cosciente riappropriazione del- Vanimus romano-italico, rivissuto nel
rito stesso, e nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione
a forme anche esteriori del culto cristiano. Quanto segue è storia
dei nostri giorni, dal momento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta
vi è stata una nuova cosciente ripresa del moderno «movimento
tradizionalista romano», una cui rimanifestazione pubblica si estrinsicherà in
una data ed in un luogo alquanto significativi. Infatti, il 1° marzo
(data in cui iniziava l’anno sacro romano), a Cortona (donde in epoca
primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta
della Troade) si tenne un importante Convegno di studi sulla Tradizione
italica e romana, che, a [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero
speciale triplo di «Arthos», daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una sintetica
analisi sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi,
cfr. R. DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie della
Tradizione» parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei
tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre la questione — non
puramente dottrinale o formale di una cosciente riconnessione aWaurea
catena Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur in
quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore, intenda coscientemente
riassumere il fardello delle proprie radici etniche e spirituali.
Successivamente ad un nuovo Convegno a Messina, sul Sacro in Virgilio, la
rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori
difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo romano» (di cui è
parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune collane di libri
specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma la loro presenza
è destinata a riaffiorare a livello di influenza sottile e indiretta di gruppi
o ambienti eticamente sensibili di un’area superante i limiti stessi del
mondo della «destra politica. Il futuro dimostrerà se la funzione
di questa minoranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli
Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale di «Arthos»,
daH’omonimo titolo. [Ci limiteremo a ricordare la collana «1
Dioscuri» per le ECIG di Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani
di C. Pascal, il mio Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell
’Eliade di N. D’Anna e Arcana Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di
«Studi Pagani» del Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di
antichi (Giuliano Augusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De
Angelis, Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di
testimonianza, sia pure «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito
capacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destinato a risorgere
continuamente dalle sue ceneri, poiché riposa nella mente feconda degli
dèi archegeti di questa terra. Appendici
documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma: Il Fascio littorio a
Mussolini» Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a
Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina
Ribulsi, che offriva al Presidente del Consiglio come augurio per la data
del XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente ricostruito
secondo le indicazioni storiche e iconografiche. L’ascia di bronzo
è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col
foro per la legatura al manico: alcuni esemplari simili sono conservati
nel nostro Museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la
prescrizione rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso che formano
al sommo un cappio per poter appendere il fascio, come nel bassorilievo per la
scala del Palazzo Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto
con elementi antichissimi e nuovissimi è stato offerto al Duce come
simbolo della sua opera organica di ricostruzione dei valori della nostra
stirpe allacciando le vetuste origini alle fome più vibranti dell’attività
gagliarda e rinnovata che prende le mosse. La rudezza
espressiva del Fascio è ingentilita dal contrasto tra il verde della
patina bronzea e il rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica
tonalità che producono le colonne di porfido presso la porta di
bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano.
L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria
composta dall’offerente, la quale nell’Università Popolare fascista svolge una
fervida opera di propaganda di romanità viva. Il Duce gradì
l’augurio ed il voto accogliendoli colla sua consueta serena nobiltà, non
senza un segno della vivacità del sorridente suo spirito latino: «Lei mi
ha dato una lezione di storia» — osserva in tono scherzoso. Singolari
parole in bocca di chi dà e darà non poco a fare agli storici
futuri. (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a «I
solenni riti del XXIV Maggio, senza indicazione di paternità). Da:
IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tragedia in cinque carmi. Editrice
Libreria del Littorio, Roma pag. non numerata, IV dopo il
frontespizio: LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E. MUSSOLINI
Mio caro Presidente, permettimi ti dia, scritte e sottoscritte
anche da me, che ne resto garante, alcune prove di pregi eccezionali della
tragedia, che, in fondo, in un vero poema epico delle origini, è
l’esaltazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un mio giudizio,
già a te noto; Rumori è tragedia romana che può stare a paro col Giulio Cesare
di Shakspeare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Roma, dato da
Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a Virgilio e ad Orazio: Augusto,
vive, oggi, tra noi tutti in ispirito, più per questi due poeti, da lui
protetti, che per la sua politica imperiale. E tu vedi come
Rumori sia stato giudicato, prima ancora che esistessero l’idea e la
forza fascista, tragedia degna di Roma quando competenti — dai nostri a
Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudizio — corrono all’iperbolico per
lodare Rumori di ignis bisogna concludere che ci si trova davanti ad un’opera
d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana opera che è, anche per se
stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista Mi rileggo, e
mi credo, caro Presidente ed amico carissimo, di averti scritto una
lettera storica. Fai che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo
nome vada unito a quello della tragedia Rumori, al poema di Roma e degno
di Roma: e di questo legame in avvenire, spero che tu possa essere un po’ grato
al tuo affezionato amico e devoto ARDENGO SOFFICI pag.
successiva non numerata: IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Caro
Soffici, bisogna assolutamente far marciare Rumori. Il Governo appoggia
fervidissimamente l’iniziativa perché essa rientra nel grande quadro
della rinascita nazionale. Saluti fascisti e
cordialissimi. f.to MUSSOLINI Roma,
AUGURE Manifesto è dunque: amor
essere ROMA. Se tutte move,
ed incende, le create cose... legge si è
Amor dell’universo vita così, un
tanto Nome, a noi predice: dono di regno e potestà sovra ogni terra,
e dello spirito, e d’imperio. Confirmato si è, per te, prodigioso
il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti... su la
Città terribili chiamerebbero fortune. Li trasmettano, oralmente, i
Pontefici ai Pontefici. Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome
palese, se concluso non avrai, prima, il solco sacro. Permesso e
commesso mi è: Nunziare, allora, in gran letizia, al Popolo... quel
Nome che licito non più mi è dire quando, già per tre volte,
qui, in tre diversi suoni, de la gran Madre nostra il Nome risonò.
{Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per numerare i
significati del nome). Di significati cinque: È... ’l
Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città: Valentia... Ròbure...
Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice! Vostra nei nomi vostri oh Re! suoi fondatori... Come del
grande Rumon: URBE: la Città del Fiume! {Pausa)
Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare, in così breve Verbo,
sì pieni... tanti arcani. Mirifici! donando Nomi nove:
in quattro occulti ed un Medio palese, e quando, nove, siamo
al Rito. Ili Da: COSTA, Apologia del paganesimo, Formìggini. Il
pagano è, per definizione, buono. Né un greco, né un romano avrebbero
concepito che l’uomo potesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui
litigassero per così dire due nature, che la manifestazione esterna fosse
diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella sociale vi
fossero mezzi termini, transazioni, compromessi. Esso è quello che
naturalmente è, cioè buono, come ideale supremo della vita, come dovere, come
necessaria fatalità insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita
interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo, con un pragmatismo
sano e forte che non ammette ipocrisie, doppiezze, scuse.
Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato concesso, per virtù
di dottrine religiose e culturali che si sono formate a lui d’intorno,
una distinzione ed una separazione del suo essere intimo,
spirituale, psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, materiale.
All’antico quando di questa scissione apparve per un momento la possibilità,
egli ne cacciò da sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.
La concezione pagana della vita ha fatto perciò l’uomo tutto d’un
pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la
vita nel paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo ed è
stata accettata non come un male, ma come un bene che bisognava con
interezza di carattere vivere interamente e sanamente per sé e per gli
altri: Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al paganesimo
poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera cui le sue spalle non sanno
sottostare. Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritornare ad
essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per due millenni il suo
desiderio di seguire il messaggio cristiano e la sua manifesta impotenza
di non saperlo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare in sé
l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono avere il medesimo valore
ed il loro prevalere non può essere determinato che da circostanze
speciali di individuo, di momento e di luogo che l’uomo può intravvedere, non
deve violare con convinta testardaggine. L’equilibrio di queste forze,
l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella
vita, assoluto. Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,
Messina: L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che
essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini sono personae,
perché qualsiasi cosa possano essere nella realtà esse sono state
personalizzate e forme di pensiero sono state proiettate su un altro piano.
Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni sono così antiche e sono
state costruite con tanta ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di
ricostruirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di meditazione, che
l’allievo può fare su una divinità. Resta un minimo «invito», un minimo
stimolo, perché il meccanismo scatti e l’immagine si ricomponga, sia pure su un
piano semplicemente psichico. Così, della limatura di ferro, dispersa su
un piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto in
mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli anche se essi sono
pochi e molto distanti. AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO (imda «Ygieia»,
Reghini Piscio littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU
dalla tsl- bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa. aOltnl
rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva al Proatdanta dr’.
Contiguo romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei
eaattamcDte licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie e
leooograflclia. l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa tomba
etmaca hlmtneoarta ed ba la forma aorra eoi foro per la Vantura hi
manico: alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«! nostro Ma.*«o
Klrcberiamo. é La dodict verace di l>ctulla. ascondo la
prescrizione rit'iale. sono legala con tirisele cuoio rosso cba formano al
tonimo ua cappio per poter appendere fi fascio, conta nel
ba.MorUiero per la acala del Pa lazzo Capitolino dd Conaenalori.
Il fascio ricomposto con elementi antl- fhlHilmt a nuoTltaUnl k
stato offerto al Dora come simbolo della saa opera onrantea di
rieoatruztona del valori della no- Mra attrpa,,,allacciando le veia«ie
origini alla fonn più vibranti dell'attività ga- giarda a rinnovata
cha prendo la mosse Là rudezza espressiva dal Fascio è ingantlHta dal
contrasto tra (I verde della patind bronsea e U rosso del molo che ricorda
la stes.aa armonica tonalità che pm- doeono le colonne di porfido presso
la porta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio 41 Massenzio al foro romano. L'oflerla
efa accompagnata da ani epl- graia latina dedicatoria composta
dall'orfarente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare faartsta avolga una
fervida opera di pro- pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi
raugorto a fi voto acro- Mlaodoll colla sua consueta serena
nobiltà. 2«m senza tm segno della vivacità del sor> ridaots ano
spirito latino: Let mi ba dato nna testone di storiaosservò In tono
aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl db a darà non poca a fare
agli storici fu- tnrl Riproduzione da «11 Piccolo. Grice: “Like Reghini, of the
movimento tradizionalista romano, Enriques was, for different reasons, all into
Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques. Keywords: implicature
arimmetica, unity of science, history of logic, foundations of mathematics, the
synthetic a priori. Grice e Enriques
su Peirce, l’arimmetica pitagorica, Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Enriques” – The Swimming-Pool Library. Enriques.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice ed Enzo: la ragione conversazionale e l’uomo – la scuola di Burano
– filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Burano). Filosofo
buranese. Filosofo Veneziano. Filosofo Veneto. Burano, Venezia, Veneto. Grice: “I like Enzo; for one, his “Ubi es?” is
a classic – only in Italy they take the Bible so seriously – “Ubi es” can be
interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo does.”. Figlio
di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà
appena cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale bontà. La madre, Flaminia Vio, è una bravissima maestra
merlettaia. Da lei apprende il rigore e lo spirito di rispetto verso
l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che vive al servizio della Chiesa,
ad accompagnarlo dalle suore perché
serva come chierichetto alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del
parroco di mandarelo in seminario a Venezia per permettergli di continuare gli
studi, ma preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a
Venezia il cugino che posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli
anni di studio ginnasiale, si imbatte
per la seconda volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato
quando, aveva deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una
vecchia Bibbia trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più
corposo e sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo
delude, intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti
concettuali per poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa
reazione anche quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura
della Bibbia è seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o
la terza materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura
pastorale come vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del
Polesine. Qui, meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la
lingua tedesca per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso
incarico nella vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco
di Caorle e nella popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva
conosciuto questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con
il patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità
vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S.
Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato
con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i
ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi",
organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni".
Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla,
segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi
era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva
conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato
il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le
varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle
tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello
ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella
scelta. A Roma è ospite presso il
Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a
prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del
Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro
papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto
preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più
bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi"
e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto
Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma
soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista
Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere
il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può
però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la
funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra
il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche
scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di
essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è
quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui
si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro,
dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione
della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e
ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad
insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di
Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che
studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento
nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura
la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato
patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il
suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero,
trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella
Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni
dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate, perché lui, che da tempo nella santa messa
pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto
Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro
stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa
cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue
sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione
che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei
difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a
Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario.
Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a
Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento. Tiene a Venezia dei cicli di seminari di
esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da
Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi
invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel
manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il
capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o
non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per
la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne
legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile
a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus"
che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma,
il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della
storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari.
Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha
un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico
biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera
fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre
capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e
un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a
continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto
quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su
Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di
Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium,
al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la
connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi
appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il
progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre
opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle
origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della
filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo
e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium:
Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La
terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le
parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi
G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di
Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime
dieci parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R.,
Bompiani, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli,
Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V.
La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione
spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi,
Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,
Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con
Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le
parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due
lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio,
Rovato, Lo Spirito di Cristo nel
progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La
rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento
di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die
monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo,
IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con
pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti
su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”,
Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico
di pace (on line), Madera R. Date al
cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La
Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,
Della Pergola F. La Bibbia svelata,
e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C.
Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani, MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F.
Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della
Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di
Matteo, Della Pergola F. La lunga
battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile
Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro.
La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo.
Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto
credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date
al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la
Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. DISCORSO DELLA RELIGIONE ANTICA DE ROMANI,
’fcSbr lnjìeme <rrn altro Difcorfo della CaUrametatione,
f£) difciplma militare, % agni, et efferati] antichi di detti
Xomani, Comporti in Franzefc dal S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo Li
onde, et Bagty delle Montagne del Dclfinato, 'otti in Toscano da M.
Gabriel Simeoni Fiorentino. di Medaglie et Figure, tirare de i
marmi amichi, quali fi trouano à Roma, et nella Francia. IN LIONE, APPRESSO
ROVILLIO. Armoiries dudiB S.(juiUdume du Choul. hi'
BEATVS. J m I r I r Hi. alla
christianissim a et ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Caterina
de Medici, Guglielmo Rouillio humiliflìmo fcruitore, (aIutc et con^ 'c'N
tentezza Tempi- '% terna. i ^4. purità et dolcetta della
lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in
tanto pregio, che doppo la (^reca (èj? la Latina fi Toscani medesimi Jludian dolaci ingegnano
ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì ammirano, (gj (
come hanno fatta t*Ariofio,il "Bembo, fèd il Sennaz&aro') ne
iloro ferini cercano di imitarla, et in fomma, non fi troua natione à cui
non piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano, che
in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera nel
fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri,nafcendo ( come io credo)
<juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi fcriuono di \na
medefima maniera, come fanno la Latina et In Toscana, le quali oltre di
ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle ‘Provincie, che
nelfignificato, nel fittone, Qf nell'accento fi poffono meritamente nominare f
or elle. Jtla fi come ogniTofianofe non ben letterato, non può ne
parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire le parole, (gfi
leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi ritrova.
Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare Jrfejftre (jabncl
Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à quelli et I ig* 10 che io medefimo ne
ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di' mojlro in più opere fue
fampate in Francia et in Italia, mi fon mojfo à gregario di tradurre in toscano
il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe dal S.
(julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale fatica
volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro della
Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando
futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato
nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i ardire di
dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer riguardo che il prefente
habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter più
degnamente quello mio conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non
meno nobile, che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono
fiere, che la grandezza et profferita dell’imperio romano non nacque
ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto
frequente (anchora chefaljo, altrettanto che 11 noffro ordinato
dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero } della Religione dei loro
falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni
come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando et temendole
felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non
haueuono poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre
&> Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita et buono
animo loro t ch e alla loro cieca credenza,tion anchora illuminata
dal Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti che
io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la fua regia et bella
prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini# fineffl longa vita. Di Lione
el dì }0.dùdgofio,itf8. Difcor, 'S:5Stata comune opcnionc
d’alcuni hiftori ci antichi che lano, primo Re de Latini, forte el primo
che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che quello faccflìno in
Candia Foraneo et Dionigi,& che di qui tutte le republichc, i
Principi, et gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi poi à fare templi
magnifìchi, ornatifsimi et ricchi: tra cuttii quali i
Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimonie, et culto
della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi et merauigliofc,
come anchora hoggi fi vede per quella piùintcra et più bclla, chc in
Ra marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano Imp.da; luy chiamata
Panteone, et da noi fi oggi la Ritonda rispetto alla fua forma.. Quello tepio
di fuoraecompono di mattoni, et dentro folcua eflcre ornato di marmi di
diuerfi colori, con certe cappcflettc,in ogniuna delle quali era porta
laftatua et vno Diodi quel tempo: ma fopra tutte vi era venerata quella
di Mtncrua*fatradauorio per lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrcco:5 e
dart'altrapartc quella di Venerei gl orecchi della A 3 Imo
prima inuentore it templi Tempio dt M.AgripJW.P tfó t
Udititi dtUa Perla di Cleopatra. Torma
er ricchezza del Panteone dedicato i
Gioite. Sacrilegio di Costantino impera. quale pendeua la
Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana d’Egitto, la quale Augufto haucua per
quello effetto fatta diuiderc in due parti, non hauendo potuto trouarnein
tutto il mondo vn’altra che la fomigliaflc.Concio Ila che la compagna di
quella mangiata da Cleopatra nel conuitodi Marcantonio pefaflc mezza
oncia, che fono l x x x. carati, et folfc (limata cento fcllerti j, di
lcflertij che al modo nollro varrebbono cc. cinquanta mila feudi. Di
quella Perla Icriuendo Plinio ncll’v ni. libro dcH’Hilloria naturale,
dice che ella era di co lì marauigliofa grandezza Se bellezza, che la Natura
non haucua mai fatto opera ne più perfetta ne più pretiofa. Ma tornando
al proposto del nollro tempio, dico che egli ha le porte di bronzo di
fmifurata groflezza et altczza,con colonne innanzi nel medelìmo modo fmifuratcrte
quali nel principio lolcuono ellèrc x v i. ma hoggi à x n i. fono
ridottc, conciolìa che due ne fumo guade dal fuoco, et la terza non fi fa
ciò che ne lìa feguito. Le traui, architraui et cornici di querto
mirabile tempio erano ùmilmente di bronzo dorato, et finalmcn te fu
la fua principale dedicatone à Giowc Vincitore, ò Vendicatore, quantunque
Dione fcriua che Agrippa lo facerte fare in honorc d’Augudo. Collantino
terzo dipoi, Imperatore et nipote d’Hcraclio,Ieuò la copertura di qucdotcmpio,la
quale era di piadrc d’argento, et interne con molte rtaruedi marmo et di bronzo,
che feruiuonodi bellezza et d’ornamento àRoma, le fece metrere
lòpra mare pcnlàndo diportarle in Codantinopoli,il q naie facrilegio non
volendo lafciare impunito Iddio, fece che in Siracufa, Città di Sicilia, lì
morì Codand Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo
rapite dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!
fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. giornichcegli (lette in
Roma, che in c c.anni non haucuorno fatto i Corti et tante altre barbare
narioni. L’architettura di quello tempio (per quello che io ne hò potuto
conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa et mirabile, lì come anchora
li può vedere inRoma,& vedranno qui quelli,che non vi fono (lati, per
la medaglia di detto Agrippa^riprcfcntata qui difottoal
naturale. MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici quello tempio
fece già fare (pacando per Atene) HadrianoImpcratote,il quale dedicò
limilmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne di marmo
Frigiano, conporrichi&loggieintorno per paifeggiare al coperto, limili
àichioftri delle nollre chiefe. Fece oltre à quello nel detto tempio vnn
libreria, Se dal fuonomcvngynnafio ornato di cento colonnedi
mar- Tempio d’Adriano. Librrrié
d'HadrU- no. HMSfri.v, 8 raufanU. mo che egli haucua,comc
fcriuc negl’ Attici Paufiinia? fatte condurre di Libia: foggiugncndo il
detto Autore che il nome d’Hadriano fi trouaua per infino nel tempio
comune à tuttegli Dijila quale verità apparile anchora per le medaglie Greche,
quiui battute per memoria di cofi nobile edificio:& nelle quali fi vede
il*? «fcp.,, chcè il portale della chicfii, con altre letrerc
Greche, che diconoKoiNON&moTNiAs, cioè tempio communeà ruttigli
Dij. ADRIANO GRECO. BRONZO. BRONZO. Ma.lafciando (lare i
templi dedicati à tutti quelli falfi Dij et Demonij, pieni di fuperftitioni et di
bugie, venghiamo (blamente à confiderarc la grandezza et Tempio di ma g n ificcnza di quello di
Salomone, il quale di ricchcz Sélmonc. ^ ^bellezza ha pafiito tutti
gl’altri,conciofia chcncll’ Arca douc erano ferrate le leggi et comandamenti
di Dio, fi vedeuono infinite pietre pretiofedi grandifiìmo
pregio, pregio, et l’Arca medefima era coperta di grolle
piaftre tutte d’oro.Quiui fimilmcnte era vna tauola tutta doro malficcio
con innumcrabili vali d’oro et d’argento, di stlomo calici, ampolle, et altre
cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf ' niftrationc et cerimonie de i
facrificij. Vncandellicre S andiflimo d’oro, del quale vlciuonotre
rami da ogni to con altrettante lucerne, figurate per i fette
pianeti, tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco, era
più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’altre ltelle. Et tutte
quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del prefa di Giudea) innanzi
ài trionfo di Velpafiano et di Titofuo figliuolo, &pofte nel tempio
della PaceàRoma, &di poi {colpite nell’Arco trionfale di marmo, edificato
in honoredi Tito Vepafiano dal Senato Romano, il quale Arco con molti
facrificij fi vede anchora quafi tutto intero. Quello tempio di
Pace, del quale tra l’altrccofe piu IT eccellenti della Città di Roma
Plinio ha fatto mentione Minio. nc
lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc- H aodUno. podi Commodo
Imp.Sicomc fcriue Herodiano,foggiugnendo ch’eglicrafopra ogn’altro ricchiflìmo
&ornatiflìmo di (lame et altre cofc belle coli dentro >comc
fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le medaglie de due fopradetti padre et
figliuolo Imperatori. VESTTqvTZd R ITR u TT^i Z> f xArco
Triomplfdle di Tito in Ronu. i BRONZO. BRONZO Della bontà et valore
di quelli d uc Principi, che rir duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro
l’obedicnza de Romani, et della miferabile prefa
&diftruttioncdcl tcjnpio di Salomone, ha Icritto affai à pieno
Iofcpho nel fuo libro, che tratta della guerra de i Giudei.VESPA SIA NO.
"C TITO. ARGENTO BRONZO. Il VESPASIANO. TITO bronzo.
argento. VESPASIANO. BRONZO. ARGENTO. AMA i} Jtt *A
T l ST *A Z^nTTTZa, quale è nelle mani Je fautore. gradiftìmo
piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f edificare et ornare quello
tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm » belIecole,ch’ei potette
haucrc,come quello, che doppo vela prefadi Giudca,haucua mcfl'o in pace tutto
il mondo: il che moftrano anchora le Medaglie battute al Tuo tem po
cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne trouano alcune colfimulacrodclla
pace, accompagnato da lettere che dicono,PACi orbis ter rar vm. et in
alcune altre fi vede la Pace con vn torchio accclo in mano, che
abbrucia et diftrugge vn fafeio d’archi, di frcccic, di cela tc,di
fcudi,& di corazze con altri inftrumenti della guerra^ nell'altra mano ha
vn ramo d’vliuo et lettere che moftrano la pace d’Augufto, con quelle
parole, pax ptee. avgvsti. VES.VÌfSPÀS I A NO. DOMINANO.
BRONZO. BRONZO. E li come Vefpalìano ha di fopra figurata la pace
eoa Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la difegnà poi
con vn ramo di Palma. Pace nutrì- Quelle fono tutte le figure antiche
della pace, tanto cc detta feti dcfidcratadaogniuno,comequelIa cheè
nutrice della ctu pubti- p U bIi caV tilita,&con lafclicitàdellaquale
fi conferma il mondo.La pace è quella, per la quale la Natura Humana va
crefcendojlc richezzc fimilmcnte multiplicano,la virtù VESPASIANO.
TITO. BRONZO. virtù c in pregio, et finalmente ella contiene
in (e tutte le colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello mondo. Et
che ciò fia vero, ficonolce, che nel tempo di pace fiorifeono affai piu i
begli ingcgni,& i principi fauorifeo no piu i letterathcomc quelli, che
intrattenendo coli i virtuofi, i lettori publici, &crcfccndo il
numcrodeCol legi&dcllclcuolc,conolcono pcrtal mezzo, haucreà
reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba perpetua à gl’orccchi de noftri
fucccflori : fi come lenza quelli vegliamo che non farebbe piu memoria de
nomi et fatti di Filippo, ò Aleflandro Re di Macedoni a,diCe (are,
ne di Pompeo, di Cyro, de Perii, ne de Greci:& la gloria
&grandezzade Romani col nome di tanti huomi ni eccellenti farebbegia
del tutto fpentaxhec quella colà(Signore illuftriflìmo)Ia quale vi può portare
maggio re gloria et honore,facendoammacftrarc et introdurre nelle
buone lettere il figliuolo del Re, che meritamente fua MaelU
haconftituito lòtto ladifciplina et cuftodia voftra:dclla quale tornando
à propofito della noftra pace,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece
fa re l’altare della Pace in Roma, et Agrippa Tacerebbe, fi
comcanchoradimoftra Ouidio nei Tuoi Falli, doue ci dice,
Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad /tram, Hac erit a mtnjis
jìnefecunda dies. Veggonfi le forme di quello altare perle
Medaglie diTiberio,battutcin honore d’Augulto, quali limili à
quelle di Nerone, doue fono lettere che dicono pace avgvsti p erpet v a,
et nell’altra, ara pacis. TI >5 Lf Intere C T
letterati rendono il nome de U principi immortale.
V Altare d Pace. OVIDIO (si veda) TIBERIO. NERONE T BRONZO.
Tempio di Numa Pompilio fu il primo che infegno di pace edi Un °uJrI et ^
crm ° ^ r ^P‘° Lano,iI quale (come fcriue Pro tL ? copio)era quadro
&grandecomc vna Capella, tutto di bronzo,& tanto alto,
quanto la ftatua di ramedi Iano vi potefle ilare dentro, la quale non era
lunga piu di cinque piedi,& con due vifi,l’vno riuolto allenente, et all’occa
fo l’altro ronde ci fu detto Gemino,& del quale Plinio nel libro xx x
v.de l'hifloria naturale ha cofì fatto mentione. unmgcmi' Ianni geminiti a
'Numd Rege dicdttts, qui pdeii, belli que dr~ gumenro colitur.
Augufto AVGVSTO. BRONZO. Haucua quello tcpio due porte
di bronzo, Icquali in tempo di pace ftauano chiulc, et aperte in quello
della gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice, Sunt
gemina belli porta. Furono quelle pone tre volte fermate al tepo de
Romanica prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo Tito Manlio,&
la terza et vltimafotto Augullo,quado piacque al Signorc&fabbricatorc
del’ vniucrlo,vcro au tore& di pace et di luce, pigliare carne
humana: della quale cola lafciò mcmoriail fucccflorcd’ Augullo(doppo che
ei fu deificato) facccndo battere medaglie, nelle quali lì veggono due
mani llrettcinfieme,convn Cadu eco nel mezzo, et due corni d’abbondanza
con parole, che dicono, pax. Significando che dalla concordia
dipende la copia di tutù quanti i beni. Caduceo
inftgm pace. Bavgvsto: ARGENTO. Tito Liuio
lcriue,che doppofa guerra Adliaca,hauc% do Ccfarc pacificato il mondo per mare
et per terra, fer mò il tepio di Iano. Et Nerone dipoi lenza haucrc
rigardo à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc medaglie, et la figura del tepio di Iano,d’haucrc{bFo
rcnduto lapacc Umilmente per mare et per terra al Popolo Romano^,
facendo fcolpire coli fatte parole,pace popvlo ROMANO TERRA MARIQVE
PARTA, I ANVM CIVSIT NERONE. DI BRONZO. Tro . ip Trouafi
vn Marmo in Roma di colore bia co et tondo/! quale mie parfo di riprefcntarc
qui innanzi, per moftrarcla differenza delle parole che gli fono intorno,
limili nondimeno nel fenfo à quelle, che nella medaglia di Nerone habbiamo
viftequi fopra, ianvm c l v SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO VBIQVE
PARTA. Plinio nel libro xxm. dell’hiftoria naturale (feri-
IANO uendo di Iano gemino) dice che i Romani nella primin0 ‘
magucrra,chchcbbonocon i Cartagincfi,fcciono battere molte medaglie di bronzo,
da vn de lati delle quali era la teda di Iano con due vili, et dall’altro
la poppa d'vnanauecon quella parola, Roma. Si trouano ancora
medaglie di Iano,ncllc quali fi riprefentano nauili et trofei'Ja deferittion
delle quali fi vedrà piu allongo nel libro de l’Antiquità di Roma,
il quali’ Autor mcttra torto in luce. MEDAGLIA DI I A
Na BRONZO. La caufa perche Iano fi depingeua con due vili, ellata
affai benedichiarata da Plucarcho nel libro delle lue Ijjjf quilUoni,doucdicc
chcqùcflo nacque perche Iano era B aUno con due uijì.
Ouidio. Berofo. Uno Diodeli pace .
IO (lato i! primo che haucua
rend u ti i collumi rozzi delle pedone piu ciuili, dando loro leggi, et inoltrando
che per la commodita de mari Se de fiumi gl'huomini potcuono hauerc
Tempre abbondanza di tutte le cofc, tranfportandolc d’vn luogo ad altro. Alcuni
altri dicono che arriuando Saturnoin Italia in vna naue,& infegnando
a Iano l’arte dcllagricultura, et altre cole vtili et buone, lancio
prclèpcr compagno nella Monarchia, et per eterna memoria del Tuo- nome,
fece battere medaglie con due vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale
Saturno era venuto in Italia:di che anchora. pare che habbia. rcnduto
teftimonio Ouidio,doueci dice, ±At bona pojleritds Unum formante in
are Hofitis aduentum tejlificata Dei. Io nondimeno
m’accofterci piu volentieri all’oppenionc di Macrobio, che dice cnc Iano Tu
(colpito con due vift,percflere Rato vn Re molto Tauio, che confidcrado
le cole pallatc,giudicaua Se prouedeua à quello che doucuaaucnircjchc e certo,
quella prudenza, la quale epiuneccflaria àtuttc le noftre attioni :
laonde confidcrado la varictadcllc leggi Se manierede collumi de
gli huominbparc che quafimcriramcntelanollravita fi polla aflomigliare alla
figura di Iano con due vili. ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di pace
Se di concordia, doppo che Romolo &Tatios’accordornoinfie mcj&che
per la pacc& vnioncchc quelli due popoli ha ucuonofatta l’vnacon l'altro,
l’imagine di Iano Tu Tcolpita con due vifi,& nel tépo pure di Romolo fatta
di legnoTolamcte/ccondo ilcollumc de grantichi,volendo mollrare Se
fignificarcchclapoucrtaè amica diDio, come zi come quelle che
contienile in fe l’honcftà, et la pace, quello che conferma Tibullo ne
Tuoi verfi > douepar- ritmilo. landò dellantichcimagini degli Dei,
dice. Ne pudeatprifco Vos ejjìe e Jìipite fatto s. Sic
Reterei fedes incoluijhs aui. Tunc meline renuere fdem } cttm
paupere culeu S tabarin exigua ligneus adcDetts. N urna di
poi fu quello, che fece fare quxfta imagine di bronzo da Mamurio Ofco,grandi(hmo
maeftro di Ju xm<t. fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu
chiamato àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di poi foleuono
portare nei facrificij r faccrdoti detti Salij, come noi moftraremo
apprclfo piu dillcfamcntc nel difcorlo de noftrifacerdotij.
Quello Iano fu chiamato anchora quadriforme, et dipinto con quattro vili, come quello che
haueua fignoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo, nella qualeforma
di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nelle fuc Medaglie.M. AVRELIO.
DIOCLETIANO ADRIANO BRONZO. Etpcrchcgia dal Signore Iacopo Strada
Mantovano, grandiflìmo et diligente amatore &inueftigato delle cofe
antiche, mi fu altre volte donata la figura d’ tempio di
Ianoquadrifrontc, però mie parfo di fentarlo qui fotto al naturale, ocr
maggiore inrell del lettore. ~Ò CON z 4 - Hauendo à baldanza
fcritto de templi della Pace &di Iano,ragionercmo al preferite di
quelli della Dea Cócor dia, alla quale gli Antichi ne edificarono tati,
che non ha rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma purccominciando da
quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia c oneordu ^ ua ^ a< ^
re et mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio impesto da radore, diremo, chele la
concordia et la pace fono vnà Tiberio. mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc
quello, del quale Dionr. Dione haragionato nel libro l v i. dell’
hiftoria Romana, fcolpito per le medaglie di molti Imperadori, nelle
quali fi vède la concordia con vna tazza in mano, in legno della fuadcità,&
nell’altra tiene vn Corno d’abbondanza,fignificatorc della copia di tutti i
beni, quando gli huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche volta
con due figure, che fi danno la mano I’vna all’altra : nel modo che fi
vede qui difotto, potrà il lettor vedere la concordia. wm .
aj Et perla medaglia di Bronzo, di Caracalla, potrà veder il
lettore la concordia tra lui et il Tuo fratello Geta, lignificata per la
mano delira che fidano l’vno all’altro, accompagnati da vna vettoria che
gli corona améduc. ''che mollrala vettoria d Inghilterra, douc erano
Itati tutti infieme. Nelle McdagliediM. Antonio Triumuiro lì troua
anchorala tefta di Concordia da vn Iato, Se dall’altro duemani ftrette
infieme con vn caduceo nel mezzo, et lettere che dicono, marcvs antonivs,
caivs BLICAE CON.r Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno
fcolpita la Concordia con ducfcrpichc cingono vn’altarc, fopraal quale e
polla la tcftad Auguflo, lignificando la concordia del Triumuirato:& nelle
medaglie d'Augufto li figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna
mano tiene U Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti
àiTriumui ri,quali furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra
rechc dalla loro vnionc nafceua il bene della R ca,&di tutta fhumana
generinone, fpecificato mili parole, salvs generis h v m a MARCO
ANTONIO ARGENTO. AVGVSTO TRIVMVIRO ARGENTO Ma volendo vedere quanto
folle {limata la concordia àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, et dagli
Efferati loro, riguardiamo alle altre medaglie, che foleuono fare, in alcune
delle quali fi vedeuano cofi fatte parole, concordia miei tv m, con
vnavettoriache coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due
Imperatòri, lignificando d’haucre vinto per fvnionc et vir Concordi* degli
foldati Romani, I et virtù de loro fo!dati:& in altre fi troua la
concordia con due infegne militari in mano, et le medefime
parole. SEVERIN A. ARGENTO. C^VINTILIS. ARGENTO B—i.
11*a* ’Hcbbono Tempre tutti i piu faur Imperatori quefta ferma
Ipcranza^he nella concordia de foldati confiftcuono tutte le vettoric Se la
falutc del popolo Romano, et pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia.
HADRIANO BRONZO. BRONZO. Per alficurarfi poi meglio
deirvnionc degli Efferati loro, gli faccuono giurare per mezzo i
facrificij, non trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto
la religione. A quefta concordia dcdicomo glantichi fa Cornac- C
om<tcchU chia,&di qui nalce chcEliano ha Icritto che gl'anticht
dcdUaualncl far matrimonio inuocauono quello vccello.Il Po- ^ Con<0,
’Iitiano fcrittorc diligcntiffimo fa. nelle lue Mifccllancc
mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice haucrc veduta vna
medaglia doro della minore Fauftina, figliuola di M. Aurelio, Semoglic di
L.Vcro,ncI rouefeio della quale era vna Cornacchia con lettere, che
diccuono, concordi a. Et perche io n’ho vn altra limile nelfc mani, però mie
parfo riprcfcntarla qui difotto. Fauftina. La quale colà per
p UMU vo ! u 1, ° ^ompagnarc la fopradcrra Medaglia con moglie di
vn alcra d orodl Plautilla Augufta, figliuola di Plaudo, cauviu Jaqualc
fiotto Scucro goucrnò tutto Tlmpcrio Roma** P ' fu poi moglie d' Anronino
Caracalla, figliuolo di Scucro Impcratore,douc
fipotravedcrcinchcmodo fi dauano la fede in fiegno di concordia due
pcrfionc maritate,con quelle parole, felix concordia.: FAVSTIN A.
doro. PLAVTILLA D ORO. Vfauono .'
Vfauono limilmcntcgrimpcratori di {tendere la man drittafoprale infegne
dciloro foldati, inoltrando 1 vni~ onc &concordiache doucuaclfcrcin
vn Campo, et dallequali nalceuono quali tutte le vettoric loro, li come
io ho già inoltro nel dilcorfo pallàto, che io feci del modo del
campare antiquo de Romani; TRAIANO. FILIPPO ARGENTO. BRONZO. Sono à Roma
anchora moiri altri Templi, come quello della Speranza col Tuo limulacro,
adorato da i Romani nel modo, che li vedcperlc mcdaglie d’Adriano,d’Anronino
Pio, di Traiano et di Plotina, con limili fcritturc, spes popvli roman \
y spes Temp i 0 a PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane.
HA 3i HADRIANO. ANTONINO PIO BRONZO. BRONZO. Per mezzo di tutte
le fopralcrittc imprefe noihabbiacomegtd n mo conolciuto chiaramente come
gl’antichi figuragli Tu uono laPace,Ia Concordia,& LA SPERANZA, reità à
moTtdc. ftrare hora come da quelli era dipinta la Fede. Facccuono quello per
mezzo di due mani diritte congiunte interne, nclmodoqualichclioggianchora fanno
i nollri orefici in certi anelletti d’oro: ma l’accompagnauono i
Romani con l’H onore, con la Verità, et con l’Amore, come a Roma li vede
anchora hoggi fcolpito in vn marmo bianco. FICV de gl* Antichi
romani. F I (j Z/ It D E L L <A FEDE ritratta da yn marmo
antiquo in Roma. lo non midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì,
modi, in quanti gl’antichi dipingcuono la fedc,& malfimccol caduceo, et con
le mani, macontenterommifolamenredi ripreientare come priuatamentc et publicamcnte
ella fu figurata et intrattenuta da i buoni et cattiui Imperatori con fuperflue
Ipcfc, nella maniera che lì PLOTINA BRONZA VESPASIANO. DOMI TI
ANO BRONZO BRONZO. ohi» da vede per la medaglia
di Com modo Imperatore,}! qua lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua
comperare da soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto., -iiDBlnrfj
.'ro'ur.icni.IRVW •|f.i Z incuci i nhs-7'i:-' ìbdo fosiru.rn
sfj&rvr/ ac O !tiu 0 • E;n.».v * i ; ili i,j& ti
i rjjscjj Adriano, 1 fclijiàojrn HADRIANO.
COMMODO. BRONZO. BRONZO.Tra tutte le medaglie che io tengo
piucare,io n’ho * vna d’argcnto,donatami già dal S.TcforicroGrolicro,
(iugulari flìmo amatore delle co fc antiche, nelle quale fi vede
daduc lati fcolpitc le mani in legno di concordia,con lettere, che ncll’vno
dicono, fidis e x eroi t v v m, et nell’altro, fide s provino i a rvm. La
quale cola come rara,& poco vifla da coloro, che fi dilettano delle
mcdaglie,potcndo arrecare loro qualche r 1 marauiglia,pcrò fara caufa che
io narrerò qui le cagioni, ond^ ella fu in tal modo battuta. Quello
era che volendo le Prouincic, alla guardia De f critlio, delle quali
erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze no reiterare la fede et patti
che haueuonoinficme, face uono nel melò di Gennaio battere cofi fatte
monete : et infogno diconcordia ne
faccuono prefente l’vno all’altro. MEDAGLIE. D'ARGENTO. il
primo che edificate mai tempio alla Fedepubliea, piddcUdfe- fu
NumaPompiliOjfi come recita HalicarnalTco, quiui de fatto U facendo
lacrificio alle fpefe del comune, doue i SaccrN|WM ‘ doti detti Flamini
facrificauono fenza fare fangue, vediti di panni bianchi, et portati in vn
carro con vna mano coperta cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede
publica,comc cofafagranon fi debbe violare. Ma perche io mi trouohaucre
detto di foprachegrantichiftimorhono- no l'honorc come Dio,&gli fecero vn
tempio,come à re. conferuatore della fede promefla: però àconfermatione
di quello dico,chc chi di ciò dubitate, vada à vedere cicerone, il
fecondo libro, che Cicerone ha fatto della nkura de r. Liuto." gli
Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu quello T 'd* m 1"
che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl lonorc > et Mario
no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle medaglie di Vitcllio, tù cr
ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali mezza ignuda Tifici, tiene
nella mano delira vn’hafla,& nella finillravn Cor tbonorea- noc0
pja,con il piè deliro fopra vno morrionc: l’altra detta utrta. ^ l
atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna halla nella mano manca,
et nella ritta vn fccttro,Ie gambe armate, et il pie ritto fopra vna
tcftugginc,con lettere che dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi Umilmente
nelle medaglie d’Antonino Pio dipinte Iefigure dell’honore con il tuo corno
d’Abondanza, il quale tiene nella mano mancatchccrinfegnachc portano tutti
i noftri Dei et Dee. VITELLIO. M. A VRELIO.
BRONZO. Fu anticamente collocato il tempio di virtù innanzi T . en !f,, '
0 et à quello dell’honorc, lignificando
che all’honorc et dignità mondane, non fi può facilmente peruenirc lenza
il mezzo di virtùràpropofito della quale materia io ho tra l’altrc vna
medaglia di Gordiano, nel rouefeio della quale c vn'HercoIc ignudo,
appoggiato fopra la fua jj mazza,& fopra al braccioha la pelle del
Iione,con lette coUfìgura rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per
le t0 ** medaglie di Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, et di
Filippo fi vede che la virtù c dipinta in altri modi come qui di
lotto. FILIPPO. GORDIANO. ARGENTO. ARGENTO. Per la diligizafeuiene
al fine deU'impre r<Come gfan tichi ordinauono le
eafe [agre 4 iloro Dif. Tempio di Mercurio cr di
Bacco. Per la medaglia fopradettadi M. Aurelio et quella
di Filippo, fi vede l’Imperatore vcftito della Tua corazza, vn
morrionein tcfta,vn’hafta in mano,& accompagnato da Tuoi foldati paflarc
fòpravn ponte innanzi à tutti, perfornirela fuaimprefaja quale ha
figurata per le parole che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra medaglia di
Filippo fi vede il padre et figliuolo correre à cauallo leggiermente, per
moftrare la diligenza,con la quale ei veniuono à capo di tutte le loro
imprefc,con limili parole, virtvs avgvstorvm. Ma lafciando qui
l’interpreratione di tutte quelle cole, farà piu à propofito tornare alla
noflra religione, et moftrare, fecondo Virruuio, come &douc
gl’antichi foleuono fare iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mercurio nel
mercato-.cT A pollo et di Bacco vicino al Theatrord’Hercolc nella Citta, douc
anchora non eranoi gynnafij ne gl’anfitcatri : di Marte fuora della
terra: di Venere allacampagna,&à Cerere fopra al porto fuora
della Città, eleggendo femprcluoghi,doue non frequen taflino
35 taffino molto Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala
ncceffità de facrificij, et i quali fi guardauono rcligiofamcntc et cattamente. Il medefimo Autore fcriuendo
dcH'architettura dcrcmpli nel fuo terzo et quarto libro dice,chc a
Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi doueua ofleruar l’ordine Dorico:à Venere,
Flora.Profcrpina, et le N ymfc de Fonti, Corintio, cioè con le colonne
Toltili, dilicate, pulite^ ornate de fogliami perla morbidezza delle Dee:
et fé Ionico, à Giunone et Diana, fi doueua nondimeno in ciò alla
mediocrità haucrc riguardo: fcriuendo anchora appretto le regioni
&quarticri,verfo i quali doueuono edere volti colifatti templi, altari,
ftatuc,& altre fìgurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi
conofce, che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione
errorno grandemente i Romani,& molto piu il popolo, ncll’hauerc
conofccza d vn folo et vero Dio, come piu oftinato in quella imprcffionc che
vna volta ha fattada cagione del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne
Tuoi verfi, quando ditte, Puerorum infanti a primo
Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter Uagìtus de ftrre mola.
Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati, il piu celebrato fu
quello di Giouc Capitolino,cofi chiamato per cffcrc ftato fatto in Campidoglio,
fi come fi vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve ftalc,douc
cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a fcdere,fatto in forma quadrata
con la factta in vna mano, et nell’altra vno feettro con lettere che dicono,
iyppiter. o p t iu vi max. capjtolinvs. C 4
Tempio di Minerva, di Marte, CT d’HcT' cole, di
venere, di fio ra, c di Proftrpina. Errore
de Romani nel la religione. Pruduti io.
Tempio di Gioue Capitolino. Tempio di Giove
Veti dicatore, Olympico, CT Tonile. AVRELIA QVlRINA,
VESTALE. ARGENTO. Quello tempio fu prima deftinato da
TarquinoPufco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma quadra,
et ogni faccia di CC. piedi con rrc ordini di colonne, fi come lì troua nelle
medaglie di Traiano, nelle quali lìveggono fopra al detto tempio molti
trofei, carri trionfali, vetrorie, et altre cofc belle. Vna altra
mcdaglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò Vendicatore, la quale fece
battere Alelìàndro Scuero, figliuolo di Mammear&r altre di Gioue Olympico
et Tonante, fatte da Augufio, comepiu àlungo lì vedrà nel mio libro delle
Antichità di Roma. Traiano r* fe, TRAIANO.
ALESS. SEVERO. BRONZO. 4 BRONZO. AVG vh O, AVGVST
67 argento. MEDA. DE PETIHVS. ARGENTO. 4
+ '(co pura tito- lano
tcile pio, che : de
yit TEMPIO Z> I Cj 1 0 V E, ritratto
dalli Antico. Spefa fatta nel tempia di Gioue. Cofe
ftngul ari neltépio di Gioue Capitolino* h aUcmdf feo.
Tlinio . Dicono gl Hiftoriciche Tarquinofuperbo (pcfc nella
fondanone di quello tempio x L.mila libre d’argento, nel quale oltre
all’altre cole lingolari fi vedeua vna ftatua d’oro aita dieci piedi, vi.
Tazze di fmeraldo, vi. vali mur rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando
di quella prouincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella, che
melìa àparagonc con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le faceua parere di
colore di cenere pi u tolto che di fcarlactordella quale velie dicono che era
già fiato fatto vn pre fcntc (come di cofa rara) dal Rcd’IndiaàqucIlodcPcrfiani,&chc
quello dipoi l’haucua donata al detto Impcratorc.Era fimilmcntc in quello
tempio vna calìa di marmo, guardata da x.huomini,ch’ci chiamauono
Dcccmuiri, nella quale erano i libri Sibillini, contrccappellcttc legrctc d’vna
medefima maniera, douenon era lecito à neffuno d'entrarc(comc fcriue
HaIicarnalTeo)fi: non à ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle
Cappelle, cioè quclladcl mezzo, era lartatuadiGioue, nell’altra ama
diritta Mincrua, Stalla finiftra Giunone: douc afferma Plinio hauerc
veduto vn cane di bronzo, che c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua
vna ferita. Io nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragraltri
vccelli dedicata à Gioue,non volédo gli antichi lignificare altra cofa, fc non
che come l’Aquila è Reina de gli vccelli, coli Gioue c Signore di tutti
gli altri Dij,fi come hanno mofiro non folamcntci Romani, mai Greci
anchorancllc loro medaglie. Àlefian ALESSAND. RE DI GLI
EPIROTI." ARGENTO. Non voglio mancare d’aucrtire il
Icttorecomc Gioue,Giunone,&Mincruafurno figurati da gli antichi per
tre animalirquali furono, per la ductta Minerua, per Giunone il Pagonc,
et per Gioue l’Aquila, fi come fi vede in vna medaglia d Antonino
Pio. ANTONINO PIO. V arieti deli Aquila falla tefta di
Cio Vcdefianchora in dì molte medaglie, tanto di Confoli,
comcd’Impcratori,che l’Aquila c poftafopra la facttadi Giouc,altroucchcella
porta il Tuo fimulacro ò figura filila tcfta, et in altri luoghi lctcftedi
Giouc &di Giunone fopra le due alle. Per la figura d’vna
Pila antica che fi vede qui di fiotto, Giouc c accompagnato della fina
Aquila, &Giunonc dal fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente,
&prefientc al fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo caduceo, et col
Cappello chiamato Galero da i Latini. V Z>’ V N ? 1
ÌTJl . "> fica ritratta et\n marmo di Roma. H AD AVGVSTO.
argento. re Den cnc Scappella di Giunone foflefeome e detto) nel tempio
di Giouc, nodimeno haueua anch’ella il Tuo tempioàpartCjComefi vede nella
medaglia di bronzo d’Augufto,doueè il tempio di Giunone arrichito
dinan zi di quattro colonne Doriche, et nel fregio e tale inferir
zione,i vn o n i.conilnomcdcmacftri di HI ROMANI. HADR. GRECO.
BRONZO BRONZO. AVGVSTO' n r n m i n Et come l’Aquila era di
Gioue, coli il pagonc&lo bruzzolo furono cólagrati à Giunone, come fi
vede nelle medaglie di Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe
ratorc,& il Tuo carro tirato per i Tuoi pauoni, di che ha fatto
mentione Ouidio, * Halili Saturnia curru Ingrediturliquidum
fauonibus aera fiBis. FAVSTI NA FILIPPO ARGENTO G1VLIA PIA. FAVSTINA ARGENTO. BRONZO. FAVSTINA. BRONZO
ARGENTO MINERVA Mincrua(comc c detto) per eflcrc dedicata la Ci- v A uctta,
nafccua che nelle Medaglie degli Atcniefi fi ve- JJ“J dcua da vn lato la
teda della Dea, et dall’altro il detto Minena. vccello con lettere Greche
che diccuano,athna, cóli nominata da loro Minerua:&come m olirà il
rouefeio de la prima medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe, et tenendo vn ramo di Palma co i picdi.Pcr i!
volodi la Ciuettagli Ateniefi ftimauano il fimbolo de la vittoria.
D 5 Giouc Vincitore. Mintruj
nutrice. Lypnuco. MONETA
ATHENIESE. ARGENTO. MONETA ATHENIESE.
ARGENTO. Ec fi come Gioue fu da Greci et Romani
chiamato Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con vna vetroria nella mano
diritta, et nell’altra vn’hafta in luogo di fccttro,cofi fu Mincrua
figurata da loro vettoriofa, accompagnandola con vna vcttoria,ncl modo che fi
vede per le medaglie di Lyfimaco, vno de fucccflbri d’Aleffandro Magno,
doue da vn lato è la fua teda con vn i Diade u. Diadema,
&dua corna, in fegno di grande honore, per haucrc fermato et ritenuto
vn toro per le corna, il quale (cappato delle manidi colui, che lo menauaper fare
facrificio ad Aleflandro, fi fuggiua. LISIMACO. ARGENTO.
LYSIMACO. BRONZO. Erano principali tutori et auocatidella Città di
Roma G ioue, Mi nenia, et Giunone, &di qui nafccchePollioneha fcrittonel
libro della fua Architettura, che il D a ' Si luogo più
a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire et Icorgcrc tutto il fito di Roma, quale c il
Capidoglio,fu eletto per edificami il tempio di quelli tre dij.Ondc
torntdiToZ riandò alla ftolta fupcrllitione de Gentili, che non folanL mente
adororno Giouecomc Dio omnipotéte,ne fi con tcntomo’di dedicarli
l'Aquila,come Reina di tutti gl’ vccclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri
Dij,ma gli con Ammone f a g rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter
Ammoni mettendolo fopraquello à fcderccon lo Icettro in mano. Nacque
quello vocabulo Ammon dalla rena, che i Greci chiamano «w** .ciochc
Plinio (fcriuendo del Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato
in quello modo. Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci Ucrynum
Jìiìldt in drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo iuxtd quod
gignitur drhor. Quantunque Tinterpreted’ A rato Latino, ò Ballo,
ó Celare che fi fbflcjfcriuachc quello fia il Montone, che anchora
di poi fu meflb il primo tra i legni cclelli per ha uerc infognata a
Bacco Tacquaperilfuo ElTercito,chc da lui condotto per la Libya fi moriua
di fete,fi come piu à pieno potrà il lettore vedere nel mijibro di
Q^Curtio, o xv 1 1. di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib. che
Arriano ha Icritto de fatti d’ AlclTandro Magno. Meda.
MED.. D’HAD. BATTVTA IN GRECIA, BRONZO. BRONZO. Fuanchoraà
Gioue dedicata la Capra, per hauerlo t* c*pré nutrito del Tuo Iartc,ondc
ei fu detto Egiuco,& da Greci ùtyic X t f,Ia quale capra intendcuono
quella della Nymfa Amaltea^he l’haucua allcuato, A come afferma Gcrma
nico Celare ncAioi vcrA d’ Arato, douc ci dice, -lUaputatur
Nutrix ejje louu/i 'vere luppicer infdm Ubera Crete* muljìt
fidi^ima capra, Sy dere qua clarograrum cejlaturalumnum.
Il che moftrarono anchora meglio Filippo Se Valcriano Imperatori, facendo
nelle loro medaglie mettere vna volta la Capra fola con lettere che
dicono, io v i conservatori a v cvsT i, et altrouc la Capra che
portaua addoffo vn Gioue à modo di fanciullo con altre lettere à quello
modo, iovi crescenti. Vi V Gioite vittore. Calcidonio
dittico. DELLA FILIPPO. ARGENTO.
RELIGIONE VALERI ANO. ARGENTO. Attribuì Umilmente molti altri nomi et dignità la
fuperftitiofa antichità à quello Gioue,vna volta chiaman dolo
Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei donaf fclcvcttoricj&cohlo
fugurauonoconvna Vettoriain mano,& con vno fccttro nell’altra:&
vn’altra volta face uonola Vcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’ Alloro,(ì
come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci donio antico, poco
minorcd’vna medagliada quale pietra anticamente fu confcgrata à Gioue
Fulguratorc, per vfeirne il fuoco, onde i noftri Soldati
l'adopranoancho ra hoegi all’archibufo. CALCAL CIDONIO ANTICO BRONZO
MEDA. GRECA. BRONZO. DOMITIANO. BRONZO.
MARCO AVRELIO (ANTONINO (si veda)) BRONZO BRONZO a cottegli
Per le medaglie qui appreflo, fi vede Gioue mezzo '• ignudo di Copra, et dalla
cintura in giù vcftito,chc fta à ciò**. federe nel mezzo di quattro
elementi, tenendo da vna mano vna hafta, et l’altra la ripofa Copra la
tefta de l' Aquila,fi comclalcultturalo dimoftra peri due carri celedi
dclSo!c,& delaLuna:& per i due fimulachri che fono Cotto i Cuoi
piedi, lignifica gl’altri due elementi, cioè, l’acqua et la terra,
hauendo il Z odiaco attorno, doue Cono riprefentati i dodici Cegni ideili.
Et la cagion perche riprefentauano cofi Gioue, era, chcgl’antichi nella loro
miftica et occulta theolo^ia volcuono lignificare, che le cole lupcriori
debbono a gli huomini efìcrc celate, et Colamcnte manifcftc à Dio.
Mafuadiuinità et tutte le Cuc potenze, ci ha moftrato Alcxandro figliuolo di
Mammea per i Cuoi medaglioni battuti in Grecia, doue fi veggono da vn lato
caratteri abbre DEGL’ANTICHI ROMANI breuiati, che dicono XrTOKPA'Tnp
K^riAP ma'pkos atpe*aioì iebaitòs a* AEfg a n a po z, che iLatinihan
no interpretato,imperator caesar marcvs AVRELIVS AVGVSTVS
ALEXANDER. Alexandr o mamme a. bronzo. I
Greci chiamorono Giove per varij nomi, malfimamcncci Siraculànijcomc recita
Tito Liuio nel quarto libro della terza Dccadctcon ciò Ila, che hebbero
il tem- t empio di pio di Gioue detto Olimpio,alcrimcnti Eleo,
celebrato primajpcril Tuo oracolo, et dapoi per i giochi publici
che lìfaccuono in Elide, nel Campo di Pifar&di là e venuto il nome di Gioue
Elco,come lì potrà vedere per la medaglia Greca polla quidifotto,nelìa
quale lì troua da la bandadritta il lìmolacrodi la teila di Gioue con
que- Gioue Ite lettere Grechc,s e rs iAET02 > chcfignificano J ciovE
^ ELEO.EtncI rouefcio elcolpito il fuo Folgore et l’Aquila con tale
inlcrizionc,zr paro sion: la quale cifaapparircchela città di Siracufa
portògrandiflimo honorc a Giouc Eleo, à cui fece edificare vn cofi
bcllilfimo tèni pio,& battere fimili medaglie in fua eterna
memoria. MEDA. DE I SIRACVSANI BRONZO. SttBd fot» tiferà
di Giouc. Per le medaglie d’argento che furono battute
per Lucio Lentulo,& Caio Marcello Confoli,fi troua la tetta di Giouc
d'vna banda con tale inflizione, ivcio L E N T V L Oj CAIO MARCELLO
C ONSVL I» b v s. &da l’altra è vn Giouc coi fuo Folgore nella
man dritta,& l’Aquila nell’altra, &innanzi aìui vno piccolo
altare,& dietro laftella falutifcra,laquale c polla nel fecondo luogo tra
le fteile erranti: lignificando tutte quelle cofc vn facrificio fatto per detti
Confoli à Giouc, per caula del Folgore caduto fopra il fuo tempio
Capitolino à Roma. Meda? ss> MEDA. DI L. LENTVLO, ET
C. MARCELLO, CONSOLI. ARGENTO. I Romani chiamorono
quello Giouc Confèruato- Gioite cc%> re, fi come noi leggiamo nelle
medaglie di Diocletiano { enutort ' Si di Gordiano Imp.che lo dipinlcro
ritto eon due faeffe nella man delira, et nella finiftra vn’hafta,
infieme col medefimo Imperatore fiotto la cuftodia fua,&
lettere che dicono, io vi conservatori. Nclrouelciodcll’altra medaglia di
Diocletiano fi troua vn’altro limile Giouc, che prclènta vna vetraria, la
quale ha fiotto i piedi vnglobo,&Gioue {aquila vicina àifiioi: fi come
Licinio ne fece battere vn’altra,doue l'aquila hain becco vna Corona
d’allòro et lettere in quella guifa, ioyi CONSERVATORI AVGVSTORVM
NOSTRORVM. Domi DOMITIANO ANTON. PIO ARGENTO ARGENTO GORDIANO BRONZO.
ARGENTO MASSIMIANO • LICINIO. ARGENTO. ARGENTO. Oltre
à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu Dìutrfe po anchora chiamato
Statore, Propugnatore, Vendicatore dl et Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte
Vincitore fu honoraro da Romani, coll ancora fu adorato da loro
Gioue Vendicatore, perche da lui erano punitele cole Gl- owf v j_
malfatte. tote. GORDIANO. ARGENTO. ALESS.
SEVERO ARGENTO GORDIANO. DIOCLETIANO argento. ARGENTO. Del
Seneca, CJ. della religione Del foprafiguratoGioueCullodc
nella medagliadi Nerone, ha fatto mentionc Seneca, nel fuo fecondo libro
delle qucflioni naturali,douecidice: Quem Iouem tnteUigunr cujlodem
rettorémtjue \niuerf. Qucllo,chc parimente fi vede nelle medaglie d
Hadriano, douc Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono conia filetta in
mano dritta, Se lettere chcdicono, ivpiter cvstos. Vcfpafiano le fece battere
con inferi zion diffcrcntc,chc dice, iovis
cvstos. Cicerone. NERO. ORO.VESPASIANO.
ARGENTO. Ma quanto à Gioue Statore, cofi chiamato, perche,
mediante lui, fi confcrua ognicofinli vede che Cicerone ne fece anch’egli
mcntione nclloratione, cheei fece innanzi che andare in cfiglio:doue ei
dille; O Gioue Statorc,quale i noftri antichi cofi chiamarono, come
confèruatoredi quello Imperio,& dalle mura del cui rempio io tenni difcollo
le violéti imprefedi Cati!ina,doppo che Romolo l’hebbe edificato nel palagio,
apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in
aiuto alla Rcpublica et Città diRoma, Stame in tutte le difgratie mie.
yltore P'S <r 3 Vlcorc fu chiamato, et honorato da
Romani come Marce, per edere l’vno et l’altro vendicatore delle
cofe mal fatte: et in Italia, maTTimamcntc nel territorio Capouano detto
Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun fanciullctto lenza
barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’
Encida, quando dille: Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus
aruis r Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra
vna medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà federe
nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nella manca lo fcettro,con vna
corona di Quercia, o d’Vltuo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per
la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto
affermachefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, et tiene qualche poco del colore
cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI
ARGENTO. Tempio d'Augufto in Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua
in Roma (come e dctto)iI Tuo tempio magnifico, et era chiamato Scruatorc
Se Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome
fcriuc Filone nel libro della Tua legationcà Caio Ccfarc) à A
uguftoConfcruatorc, chiamato hauuto in vcncrationcda i
nauiganti.Era quello grandillimo et altiflìmo tempio pollo innanzi
al Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di
flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se d’oro, con
portichi Se loggic per Ilare al coperto, et palleggiare, et vna libraria accompagnata
dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano
porgeuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volcuono pigliare porto in
Alcflandria: benché quali per tutto il modo foflcro flati dirizati et fatti
molti altri tem pii in memoria d’Augufto et per eternità del fuo
nome, li come li troua nelle medaglie battute al tempo di Tiberio, il
quale cominciò vn tempio in honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io
confagro al fuo nomccon ofHcij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il
che ei conferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmulacro della pietà à
federe con vna tazza nella man dritta, et la fianca ripofafopra
vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi
parenti, con quelle parole, e. caesar divi avgvsti pronePOS AVCVSTVS
PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. et poi
quella altra appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia Sdtrificio to
mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ridiCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono)
tra gli Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA ugujlo (omincUto
per Tiberio, cr fornito per C4ligula.<r 5 detto tempio vn’altare,fopra
al quale c vn Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato
Vittimario,con vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio,
teneri do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn
miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVGVSTO ORO MEDAGLIONI
DI TIBERIO. Tempio dkugujlo reflituito
per A nto~ nino. Comminciando dipoi quello tempio col tempo
à rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h vede per le Tue
medaglie d’argento, d’oro, et di bronzo, douc fono lettere che dicono
.templvm divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece
fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici),
che haucua riccuuti da lui. Anto » c-j ANTONINO
PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi, furono anchora fatti molti
altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti de te, et per
diuerfe vie la fua eternità con quelle parole, providentia, hauendo quei
Romani quella vana opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro
concedere tutto quello,dichehaueuonobifogno per laucnire. tu»-, -Et coli per tutte l’altre
medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro deificati,
folcuono gl’antichi (colpire quelli altari in legno della loro
deificatione- Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone, chela
prouiXkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantiene femprcfelice
colui,checlla piglia vna volta iti cura: et altri hanno detto che
folamenteriguardaua Se pcnlàDtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati
Epicuri£al(amcntecrezpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna cura de
mortali. Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo hauerctra
molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin honore dell’antichità, vn Diafpro,
nel quale è (colpita vna vtformU* formica con tre fpighc in
bocca,fignificatricc della ProK de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre
volte trouata ne i fondade*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla
mia cafa della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma et ràra,mi
c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale. Diafpro Et perche Plotina
ha già comporti in 4. libri della Prouidenza, inoltrando che tanto le
piccole come le grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io
rimetterò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli to mio, dico
chegl’antichi riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato
Cicerone nel libro della naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile
clafembianzad’vna matrona ftolata, ò velata et dritta, che in vnamano
hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare
che voglia lignificare che la Prouidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona
madre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la figurorno (benché con
diuerlì atti) Traiano et Pertinace Imperatori. r. ;•
- fiorini. PROVIDENZA. Cietront. Alcuni
altri Imperatori, comeTito, la fecionodipin gereconvntymone& vn
globo, inoltrando come ella gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò
per vna filetta di Giouc accompagnata da molte altre. A leda
ndroScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo et Fio riano per vna
fcminaftolatacon vn globo in mano,vn fccttro &vn Corno
d’abbondanza. rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta
da antichi. Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare,fc io non
auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma
ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o catti u i,cKc
ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro templi,ttatue et altari,
et doppo la morte di lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi
dibuo ni Principiai fondatori di pace, et (non ottante che ha ueflino
maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re E
4 CONSECRATIONE V<tra f a . flit ione ir Romani
nel fanttfitar loro ^ imperato^ ri.
FLORIANA HI S S. MAMM EAT BRONZO ftauratori
della Città di Roma, fteome auenne di Lu cio Settimio Scuero,il quale
oltre aireflcrehuomobarbaro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto
pcrucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò et tradì Clodio Albino gcntilhuomo
Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì et fece
dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùtti i titoli di
buono Imperatore. S ARGE NTO Ma che diremo noi di
quello Monftro di Natura cominciato et non finito,il quale doppo la fua morte
fu connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del quale
foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelcnare, che egli era ftato fatto Dio p
c r mezzo del boccone d’vn fungo? clodio;
ORO. Et per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,
Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &: buoni
coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c . pcratori,&
canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno
d’clTcrc Tempre nominato& ricordato il nome d Antonino Pio, lolito
dire che piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn
Cittadino, che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £
Antonino piena di pietà et degna d’vn buono Imperatore, come
cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc come à Traiano,
vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino fi vede qui di
fono. 'i .... e $ c w • . • • r 0 amo moftraco
cornea! tempo anticogli ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati, &diuentauonoDijdoppo ^TLi
]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &altio di ttm - rar *
* n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-' et Reonfegnado
loro Sacerdoti et Flammini nel modS che di Celare A ugufto ha già fcrirro
Prudcnrio^diccndo: Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate
fejnuta ? olì eritas t men fa t atque adytit } et fiamme^ tris
ANTONINO PIO. BRONZO ON. PIO. BRONZO Uuguft
AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar
iacuit, refj>onfa popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta
Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.
Equanto al reità della conftgratione, chiamata da Greci et della
quale ha le ritto minutamente He radiano al vij.capitolo del iii
j.Iibro,mi è parlo non folaménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta
dalle medaglieantiche d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tradurla in
volgare,pcr maggiore intelligenza del lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO
BRONZ O. c Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte loro
tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell'
Imperio, in quello modo penlando efTcre ri-ceuutr nel numero de loto fallì
DijrEa Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di lamenti,
folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato
re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc
del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di prctiofì panni d’oro
&dcntroui quella ima gine Erodiano. b o«».f W «HV
Ccrimonù de Roma* nella mori de loro l« fe
rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/!
ripolaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato ri vcftiti di
bruno,chequiuigran parte del giorno dimo rauono.Et dal lato deliro tutte
le Donne Romane, ciascuna fecondo ladignità et grado dcloro padri,ò mariti,
fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente
vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne
in Francia)# tue te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie
vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara,
fingendo di toccare il polfo all’ammalato,# mollrando che gli andaua fempre
peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i
Magillrati tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i
loro. officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi palchi con ilcalc,dai’vn
de quali tutti i piu nobili giouani et patritij Romani, et dall’altro le piu illullri
donne cantaHimi tan- uonoHynni et Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo,
tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di pt
funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono fuora
della Città in vn luogo chiamato il capo di Marte,douecravn tabernacolo quadro
fatto di gradirmi legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, et di
falcine, et di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro, di
flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era vn
altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte et le fincllre aperte, et coli di
mano in mano mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre
diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri
fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni, Fanali,
dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a
inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra al fecondo
ftaggio.quiui fpargcuono gradequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc,
et d’vngucnti odoriferi di tutte leparri
del Mondo, facendoqualì à gara di chi più, ò meglio, porc/Tc honorare, et fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fatto quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno al
tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé Pyrricada gli
antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 ' ceuono il mcdelìmo
i Cocchi, ò carrette, fopra lequali i carrettieri erano
vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmilì,con mafchcrc fomiglianti à i Capitani,
et principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et con
finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’Imperio,
pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco nel Tabernacolo, et il
limile faccuono tuttigl'altrhpoidi mano, in manoùl quale per la materia tato
fecca,& le cofc vnte deprofumi, et olij profumati, leuaua { j, e
fubito le fiamme in alto,pcr mezzo lequali, vfcitavn’ A- t*
quila viua del minore et più alto Tabernacolo, fc n’an- « daua
volando in verfo il cielo, quiui di terra portando i cieli (come crcdeua
&gridauala lloltitia de Romani nql me delìmo tempo) l’anima del loro
Imperatore), il quale poi coli adorauono come Dio, et gli faccuono altari
et templi, come e detto di
fopra » Crwr, -* r-’ìRtn '’ M. AVRELIO (ANTONINO (si veda) FAVSTINA
4U« tu1
PERTINAX. BRONZO. FAVSTINA. ARGENTO.Crédcuonoi Romani
qiicfto mi fieri o non Iblam" elfere vcro,ma molti giurauono hauerc
veduto vfeire del fuoco l’anima dell Imperatore, et altri pagauono
huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn do che l’Axjuila di
Gioue l’haucua portata in Ciclo, et coli
ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo* collocato nel
numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori et Imperatrici
ch’elPopo.Ro. fece fàlir per forza alciclo nel medefimo modo che Scucro.
Ma ri tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc fcritto de i
più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc Capitolino, di quel
d'Augufto à Roma&in Alcflandria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci
reftai vede- Tempio «K rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba
edifica ^j c pg % rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,&
Republichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per
lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n tunquepcr Ja
fuagrandezza folle a pena tornito in CC. anni,& fondato rifpetto a i
tremuoti in vn Pantano, talmente che ci fu connumcrato per vno dei lette
miracov li del Mondo, et di poifcolpito in piu medaglie di diucrfi
Imperatori. CLAVDia ARGENTO stnr. *4 Ma pcrcbeil fimulacro
interodi Diana,qualc era nel Àmpio degli Efcfij,nonfi. può
interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi
farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo, che io
ihoirt e ” due '.Ikimfc K.OII
8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l
aura antonino Pio, nell'vna delle quali e Icritto aptemhx e «• e x i a n,
cioè, Diana degli Efelìj, et nell’altra quella l ola parola, e « e sia
spedendo tutte l’altrc lettere perdute. ANTOM. PIO COMMODO BRONZO Dtfcrizìon
del tempio di Diana. Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv.
piedi, et la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne,
ogniunaalta lx. piedi, et nondimeno fu abbruciato da quello fcclcrato
Eroftrato,folamentc per dire che egli hau ua fatto qualche cofa degna di
mctporia:bcnche di poi fu rillaurato et rifatto anchora piu bello da
Dinocratc, Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque
lolccUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di ~
Diana, trouarlì tutti i giouani,& fanciulle, vergini del
paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò
imagine di quella Dea fu fccodo le fue dignità et qualità dipinto et figurato
da gli antichi in diuerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata
perdi; JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta piena, la
dilegnauono per la lua chiarezza con vno torchio v
8x chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mcdagliedi
GiuliaPia, moglie di Seuero Imperatore, con lettere chedicono, di an a
lvcifera. GIVLIA PIA. argento. BRONZO. Et per inoltrare
anchora meglio che Diana &la LlTna eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho
fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima
Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo carro tirato
daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia, quantunque l’interprete
d’Arato habbia detto che quello fignificaua la fila leggerezza. Ma
quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma no,& vn ccruio
apprcfio,voleuono lignificare che cacciando, ella pigliaua et ammazzauai ccrui
pcrforza,no minadola »^óa«c, et per memoria che ella era la prima
cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al fuò
tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadifcorfo nel libro, che per
comandamento di fua Maefli iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò
rimette rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.
MEDAGLI E D’H OSTILIO. ARGENTO. Trouanfi anchoradelle medaglie,
doue Dinnac dipinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua
ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia di Gcta
Triumuiro, nella quale da vn lato è fcolpita la tefta di Diana, et dall’altro
vn cinguialc, ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane
appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana
cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaffo,d’vn,
arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc gugio,(cnzaraiiirode quali non
fi può cacciarci come mortra la medaglia qui di lotto. med 7
~d f C~P OS T VMO. ARGENTO. Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna
volta Diana figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco in vna
mano, et con l’altra /opra al turcharto, facendo legno di cauarne vna freccia
pcrtirare,&: nel mezzo lettere, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di
fotto,sicix.i a. et altre che dicono, im perator vNDEciEs.Et L nel
rouefciod’vn altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna
mano, et nell’altro vno fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli
rtiualcrti infino à mezza gamba, colà prò- £ 1 pria per lei come
cacciatrice, &i quali daPolluccfono An<lro »”ftati Endiomidi chiamati.
des ' AVGVSTO. Tra cucce le medaglie d oro, che fanno
ìjjj.furnorro uaccàTolofa, et rraquelleche mi vennero nelle mani,
io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana, col Tuo arco et la
faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui mezzo c vn trofeo naualc,in cima
al quale è vna celata antica:& della prua della natte, c fitto vn
tronco come vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna corazza, et da
l’altro pendono due dardi et vna rotelIa:& à pie del tron co è vn
Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in legno della rotta di Sello
Pompeo, quando Ccfarc Auguro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al
frontilpiTri gSbe, c ° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con
impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifiUsùiU can do
che Augullo ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi.
- av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute in
honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani
lebrato in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s ”
aringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl teforo portatone à
Roma,iI quale-fu {limato tanto, quanto quello che i Romani cauorno di
Cartagine. MAJICELLINO BRONZO.. Animali tonfatati i
Diana. Solcuono gl antichi placare Diana imolando la
ceriliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati lei, fi
come tcftimoncranno le medaglie Latine et chc,che io ho fatto ritrarre qui di
lotto. FILIPPO BRONZO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro
della fua Cofmògra to“ra*ro~ et 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria et polon. chiamato
Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della quinta Decade, lo chiamò
parimente Tauropolum, et Tauro poli* i ficrificij,chclifaccuonoà Diana.
Dionilìo nondimeno nel fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia
mataTauropoU dalla regione, ma dalla quantità de tori,
ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però detta dum Tau eguale
colà appari Ice vera per la medaglia Gre ca qui di fottojdoue fono
lettere, che dicono, e petp i IÓN DAMASI AZ. MED MEDAGLIA
GRECA D I DIANA. ARGENTO. Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata
chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che
l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti.
libro, douc parlando della Rcina delle Amazonc dice, che ella faceua ogni
giorno cflcrcitarc le Tue vergini allacaccia, acciò chcpiu facilmente
tollcraflino il difagio dcllarme et della guerra, facendo le fare vn
certo facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori tanto
Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi Tdurouoliumjduropolum,
et Tauropobolum, et malli me Suidane i Collcttanei, chiamando Diana
Tduroholosfal Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale
l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento ' d’ Aulo
Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana con vna luna in teda,
l’arco et il turcafTo:& dall'altro il fa orifìcio del toro, nel modo,
che fi vede qui di fotro. F 4 Sacrifìci» di
Diati» ordinato da la regi, na deli amazonc. Diana
chi mata Taurobolos. AVLO POSTVMO ARGENTO. eia, et ma/firneàLettora,doue
fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro
GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi
conofcechcifacriti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre degli Dij
congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium& •>• altre
volte Taurtuolium, &non folamente à Diana
Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente credere àSuidas:
benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai diftefamete fcritto
negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la Francia. LeBor*
inpropugrutcttlo \rbis. matri devm pomp. philvmenae
t*VAE PRIMA EECTORÆ TAVROBOIIVM F e e r T. . tìdi°G4f!o
fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S. Tomafo giuu mezza rouinata
nella medefima terra, vn’altro epitaffio in vna
S* hi vna colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi
conolce che i Decurioni di quel tempo, cioè gouucrtorì della Tcrra,feciono il
facrificiodi Tauropolium alla madre degliDij per la falutc diGordiano
Imperatore, et di Sabina Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc
diruto in columna i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP.
ANTONINI GOR- DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£, PROQVE
STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N.
GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M.
EROTIO ET FESTO CA- NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho
io veduto altre yolte yna medaglia d’argento, et vno Epitaffio fatto
in quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE
SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMINI N. M. ANTONINI GORDIANI PII FEL1CIS
INVICTI AVGVSTI DECVRIALES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM DEVOTI NVM1NI
MAIESTATICHE EORVM. Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin
otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- cibele
Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea coronata d’vna Torre con vn
tamburo nella man manca appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta
tiene certe fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due
liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla in mano, et cappeggiato
à vn Pino, come albero conF 5 Carro de la madre del divino, tirato
di duo leoni. Dichiarationedel'in fegna de
la madre de gli Dei.{agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida,
eh ciò Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue
diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,' et dedicatele le
Pine, onde Marciale ha detto di quelle parlando, Toma fumus
Cybeles. Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro,co-.
mefcriuc Virgilio, Et iunBi rerum dominai fubiereleones.
voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile terra,chc ben
coltiuata,non diuenti fertile et buona. La torre lignifica leCitta et edifìci
j de quali la terra è ornataci tamburo la mondezza della terra, benché
alcuni veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, et le fpighe,ch© la terra fola è quella che
nutrifee l’huomo. Figura u :• '• :•> FJG y R A~ DE LA MADRE DE
I DEI R I 7 RATTA del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa
di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS L. CORNELIVS SCIPIO
OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM SIVE CRIOBOLIVM, FECIT DIE
IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO COSS. Cibelt tOfriU.
Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato Cibelc
torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con altre facttc, la quale c tanto
vecchia et frulla, che non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole
Greche. Meda Vari I nomi de la madre
dei Dei. Diana conferuatrice, adorata in
Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi
madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcnte nutrilcetuttigrhuomini et animali
del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci et Romani le dettono più nomi
et attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cerere,^ Terra,Prolcrpina,
&fecondo Lucretio, madre delle beftie. Veda, &Diana:il che li
vede et conferma per due medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle quali
c Diana da vn lato con quelle parole, 2 atei p a, et da l’altro il
folgorc,dcdicatole cornea Velia,& limili parole x i aeqi a r a ©ojc a
e n 2, ci oc, medaglia battuta dal Agatoclc in honoredi Diana
confcruatrice. Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc
faglie clonate alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti- doro et inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di
Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et
perchcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc convnfolgorc in mano,&
à federe fopra vn qucflc parole, ind mi cparfo non fuora di
fotto. L’vna. GLIA GRECA.
bronzo. if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia,
nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due
lioni et àfcDd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna mano, et nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO. Figuro MED. DI C. VOLTEIO ARGENTO
ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W Figurornoanchoragl’antichiil
lìmulacro di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘
che cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due
Honi Copra i bracci, et diuerfr animali incorno, produtei da lei come Dea
della Natura, et di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, et
quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd motto tempo che ella fu
ricrouata in vna grotta ancichiflìmaàRomadadipinturadellaqualemi donò altra
volta M. Antonio Fantuflì dipintore Romano, la quale io ho polla nel
miolibro de la Natura de gli dèi, per dame la villa à .gli amatori
dell’antichità. Furono tutte quelle forme attribuite à Dianacondiuertì
nomi di triforme, come per il tellimoniodiPaufania la chiamò
Alcamcnc:& Virgilio, dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in
terra. Diana,& nell’inferno Profcrpina, coli laf : ciò fcritto,
Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche
la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro
primo libro dell antichitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro, ma folamence
dirò come fotto la deità et nome d’Hccate i più ricchi Romani foleuono
ogni mefe far facrificio à Diana, mettendo fopra i canti delle llradc della
Città, pane et altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via, come
fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, et Proferpina fodero vna mcdclima
coCa. Hauendoà baftanza parlato di Diana, et defìderan- do venire
alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la quale
fccondoi Poeti, nacque.de l capo diGio Dea di
mtura. Diana triforme. Paufinid. Virgilio.
Sacrifìcio fattoi Dia na fotto il nome di He
tate. Ateneo. MINERVA. di Giouc, pcreflcrcrintcllctto
collocato nella certa dell* huomo.Armaronla oltre à quello gl’antichi
d’vno feudo, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuomo fauiodcbbecon force
animo et intrepido vifo refiftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che
ella hauc* ua fopra al morrionc, fignificaua rornamenro di tutte
lefciczc, &cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefcgrcta,&l'hafta che ella haucua in
mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, et batte di lontano et con
vandrdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo Mintrtu.
detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le tenebre il fuolplcndore-.i qualitutti
lignificati pare chedcfcriucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua
Mctamorfofi, quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis
hafiam, Datgaleam capiti, defendituragide pettus,
‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi;
accia factum canentis oliua, Jrfirartque deos «perù vittoria
finis. Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella, che fondò
ie untoti Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOti-
Atene. r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue
Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che
Mincrua none altro che la virtù del fole, mediante la quale lafapienza entra et
penetra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla fommkàdcU’aria :
però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc.
I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo
deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del corpo.
Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4 cioè Dea della guerra,
lignificando chei Soldati debbo- d
u no non fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr
<caci, ma proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn
imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico: quello che confermò
anchora Saludio dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il
configlio, et la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo
difegno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatrice d’Atcnc, è, che
dicono che nafccndo difeordia tra lei et Nettuno, di chi douede porre
nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli,
&giudicorno che Ncttuqualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla
detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccndo la
terra, et facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, et Minerua l’vIiuo,fu fententiato
chcl’vliuo, piu che il cauallo fodènccedirio et vtile alla vita humana,&
cofi redo la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo et cdcrechiamata Pacifera,
come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit Iio,& di Commodo
Imperatore. - 4 ut 1 q ncrua. fT V 1 t\ e k
\l A,|f I. fi, * . I 1 • "• «f; IM,1
- f . n L M. AVRELIO (ANTONINO (si veda)) COMMODO BRONZO Ttfle di
mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua anchora la celcbrationc della
fella et giuochi di Minerua, tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano,
che i fanciulli facendo vacationc dalle fcuolc et da gli ftudij porrauono
la mancia ài loro maellri in honore della Dea,come quel Jache
aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. libro^ nefuoi falli Ouidio
anchora meglio ha dichiarato, quando ci dice, 'Pallata nunc putrì
tener a j ornate p nella: Qui lene placarit Palla
Ja,Jolhuerir. L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua
nettv- et di Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare« n o. ria di ragionare
anchora di quello Dio,il quale (come il Delfino fcriuc Higinio) fi
dipingevi con vn Delfino fotto il dedicato ì piede 5 ò la "mano
mancaappogiataui fopra, hauendo il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta,
fi come dimollrano i rouefei delle medaglie di M Agrippa.
M.Agr M. AGRIPPA BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi
dipinto Nettuno con uettunodi vn Tridente et vna Acroftolia (ornamento
antico di galea) in mano, come fi vede ne rouefei di due mie te cr
una medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*
fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redvci, in fegnodi ringratiare lo
Dio del felice ritorno dalle imprefe nauali. Acrojlolta dagli
antichi. AVGVSTO. VESPASIANO ARGENTO. G z 100
ut -inai : vufciiut 4t- Attribuirno parimente
grantichiii Tridente a Nctmttuno 4 tuno,,n %no dello feettro, et ancho per
efl'erc vno inperfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai,
dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato,come fi vede
per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, et la vetroria hanuta de
Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che dicono, MAGNVS IMPERATOR
ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O ilARITIMAE EX
SENATVSCONSV MED. DI PO MP ioi Io ho tra molte
pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <mforci, l’Agata di forco
figu rata, nella quale è il mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio
appoggiato fopra vn tmo* va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella
vna Corniolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettuno fui fuo carro,
tirato da due caualli, nel modo, ch’egli tumoriè anchora figurato in vna
medaglia di M. Agrippa con rito dà <a lertcrc che dicono aeqvoris me
omnipotens. AGATA. CORNIOLO. M. AGRIPPA. argento
v."“ v - -m VA monete
ioz N rtttmo i fiutilo. La caufa perche
glancichi dedicorno il causilo à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che
trouò il modo di domarli &frenarli, come dice Virgilio nel
y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir
Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat. Fanno vera
teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede
Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn
Delfino. HÌppOCTé tid. Confutili.
Nettuno in h entore di tutte del tuuigtr.
A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tempio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia, fi come gl'antichi Confualia, nel quale tempo tutti i
causili > muli, et mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori et ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc, e che
per quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del mare^ di poi adoratocome Dio.Et
per le due medaglie, et vn
Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi lignificare che Nettuno haucua
poflanza tanto in mare Ncttuno ^ quanto in terra,figurando vn
caualloconla coda tor- gnordrima ta et diuifà in due partidnfegno de iduc
Elementi, l’vno (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo,
et l’altro (qual’ è il marc)difcgnato
dietro per la coda in forma di Delfino. ANTICO NICCOLO. Qi
CREPERIO. GALLIENO. Quando i Romani volcuono moftrarc di
ringratiarcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo faccuono Scolpire
nelle loro medagliedavn lacoconil Tridente^ dall’altro mctteuono
vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare
Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, et Tito fuo figliuolo. Imp.Rom. MED.DI
DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO.
ARGENTO Ritor I E servir API a
Machione Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi,
altari et fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu il
primo chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor fc prima da qualche
Dio flato innazi à lui. Quelli al rem po di Homero fi vcdcchcnon era
anchora flato collocato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta
fa medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla
diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj figliuolo
d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo ncccflarij perla fanità
dcllhuomo, et lo fa tato eccellete in quella arte, che ci dice che
rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio. tantiochc Efculapio nacque di
padre et di madrc,chcn6 fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in
mezzo à vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n guardia à
Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medicarenella quale vfarono dipoi
fempregl’antichi fino al tcpod’Hippocrate,che la riduflc alla fua
perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a et dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci fucòfiigra-
pnfctno to, fattogli vn tempio, et vna flarua d’oro et d’auorio per
" f le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau
fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio
Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in nedeiimamarmo bianco fi
vede anchora à Roma,& in molte me daglic et pietre antiche, cioè
vcflitod’vn mantello alla do Eufebio. Greca, con vn baflonc in mano, et fopra
al quale(attorcigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella maniera
che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo,
ritratti qui di forco al naturale. G 5 .ori oia/ì Jr
ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti dedicata ì
Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto) che fi
come quelle fi fpogliano et mutano la icorza, cofi auiehedc
Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fattiti, rendendo loro vn
corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi
bifogni al buo Medico edere prudente circa alia finità d’vna
perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia dedicata
à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:& Macrobio dice che
quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come bifiogna che habbia
il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn
huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga, in
modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilbaftonegl’è attribuito, come quello
che ^er appoggiarli e ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a quello
dedicata à Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe
edere vigilante più la notte che il giorno intorno all'infcrmo.fi come lì vede
ne rouefici delle medaghedi Nero nc,&di Vitcllio. NERONE. VITE L
LrO. ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma
nel mezzo del Teuero vn’Ifoletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel
mezzo,luaga due ottani di miglio, appuntata da bado, et piu larga di
fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola fu già confagrata à
E(culapio,ati!ina,doppo che Romolo l’hebbe edificato nel palagio,
apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in
aiuto alla Rcpublica et Città diRoma, Stame in tutte le difgratie mie.
yltore P'S <r 3 Vlcorc fu chiamato, et honorato
da Romani come Marce, per edere l’vno et l’altro vendicatore delle
cofe mal fatte: et in Italia, maTTimamcntc nel territorio Capouano detto
Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun fanciullctto lenza
barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’
Encida, quando dille: Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus
aruis r Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra
vna medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà federe
nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nella manca lo fcettro,con
vna corona di Quercia, o d’Vltuo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per
la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto
affermachefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, et tiene qualche poco del colore
cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO. Et Ti Tempio
d'Augufto in Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua in Roma
(come e dctto)iI Tuo tempio magnifico, et era chiamato Scruatorc Se
Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome
fcriuc Filone nel libro della Tua legationcà Caio Ccfarc) à A
uguftoConfcruatorc, chiamato hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era
quello grandillimo et altiflìmo tempio pollo innanzi al Porto,picno
di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di flacuc
marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se d’oro, con portichi
Se loggic per Ilare al coperto, et palleggiare, et vna libraria accompagnata
dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano
porgeuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volcuono pigliare porto in
Alcflandria: benché quali per tutto il modo foflcro flati dirizati et fatti
molti altri tem pii in memoria d’Augufto et per eternità del fuo
nome, li come li troua nelle medaglie battute al tempo di Tiberio, il
quale cominciò vn tempio in honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io
confagro al fuo nomccon ofHcij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il
che ei conferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmulacro della pietà à
federe con vna tazza nella man dritta, et la fianca ripofafopra
vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi
parenti, con quelle parole, e. caesar divi avgvsti pronePOS AVCVSTVS
PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. et poi
quella altra appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia Sdtrificio to
mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ridiCéU&uU. ccuuto (comeci
penfauono) tra gli Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA ugujlo
(omincUto per Tiberio, cr fornito per C4ligula. <r 5 detto
tempio vn’altare,fopra al quale c vn Buc,tcnuto da colui che n’haucua la
cura, chiamato Vittimario,con vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me
facrificio, teneri do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc
vn miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della
beftia. AVGVSTO. ORO. MED ÀGLI ÒNI DI
TIBERIO. Tempio dkugujlo reflituito
per A nto~ nino. Comminciando dipoi quello tempio col tempo
à rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h vede per le Tue
medaglie d’argento, d’oro, et di bronzo, douc fono lettere che dicono
.templvm divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece
fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici),
che haucua riccuuti da lui. Anto
c-j ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi, furono
anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen-
imiti de te, et per diuerfe vie la fua eternità con quelle parole,
providentia, hauendo quei Romani quella vana opinione, chela
deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto quello,dichehaueuonobifogno
per laucnire. tu»-, -ilKrTivb'Jì E coli per tutte
l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro
deificati, folcuono gl’antichi (colpire quelli altari in legno della loro
deificatione-. Deferivo Scriuc Apulco nel dogma di Platone, chela prouiXkJu
denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantiene femprcfelice colui,checlla
piglia vna volta iti cura: et altri hanno detto che folamenteriguardaua
Se pcnlàDtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecrezpÙHro.
deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali. Ond’io à propofito di
quella Prouidenza mi ricordo hauerctra molte altre pietre intagliate,
cheiofcrboin honore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna
vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della ProK de Polii-
uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i fondade*K4. menti d’vna
delle torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa della Maddalena, che
per edere cofa anttchitfìma et ràra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al
naturale. Diafpro. Et perche
Plotina ha già comporti in 4. libri della Prouidenza, inoltrando che
tanto le piccole come le grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io
rimetterò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli to mio, dico
chegl’antichi riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato
Cicerone nel libro della naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile
clafembianzad’vna matrona ftolata, ò velata et dritta, che in vnamano
hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare
che voglia lignificare che la Prouidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona
madre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la figurorno (benché con
diuerlì atti) Traiano et Pertinace Imperatori. r. ;•
fiorini. PROVIDENZA. Cietront. 'V ' > r
! Alcuni altri Imperatori, comeTito, la fecionodipin
gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella gouernaua il mondo.
Antonino Pio la figurò per vna filetta di Giouc accompagnata da molte
altre. A leda ndroScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo et Fio
riano per vna fcminaftolatacon vn globo in mano,vn fccttro &vn Corno
d’abbondanza. rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta
da antichi. Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare,fc io non
auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma
ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o catti u i,cKc
ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro templi,ttatue et altari,
et doppo la morte di lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi
dibuo ni Principiai fondatori di pace, et (non ottante che haueflino
maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re E
4 CONSECRATIONE V<tra f a .flit ione ir Romani nel
fanttfitar loro imperatori. FLORIAN A S S. MAMMEAT BRONZO.
ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu cio Settimio Scuero,il
quale oltre aireflcrehuomobarbaro,beftiale,homicida,&che di fimplice
foldàto pcrucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò et tradì Clodio Albino
gcntilhuomo Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno
s’attribuì et fece dare più per paurache per volontà dal Senato Romano
tùtti i titoli di buono Imperatore. S ARGENTO Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura
cominciato et non finito,il quale doppo la fua morte fu connumerato
daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del quale foleuadirc Nerone, che
l'haueua fatto auelcnare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del
boccone d’vn fungo? clodio; ORO. E per contrario
furono i buoni Principi, di T raiano, Antonino Pio,& Marco Aurelio,
che per le loro virtù &: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati
ottimi Impcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa
re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato& ricordato il
nome d Antonino Pio, lolito dire che piu tofto volcuacolcruarc
&faluare la vita d vn Cittadino, che ammazarc mille defuoinimici.
Parola certamente £ Antonino piena di pietà et degna d’vn buono
Imperatore, come cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli
dirizarc come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel modo che £
Antonino fi vede qui di fono. amo moftraco cornea! tempo
anticogli ucrrdctì
Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo ^TLi ]aI . 0r °
m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &altio di ttm - rar n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli
ficdegl’agncl-' et Reonfegnado loro Sacerdoti et Flammini nel modS
che di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti».
Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta ? olì eritas t men fa t atque
adytit } et fiamme^ tris ANTONINO PIO. BRONZO. ON. PIO BRONZO. Uuguft
AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar
iacuit, refj>onfa popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta
Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum. Equanto
al reità della conftgratione, chiamata da Greci et della quale ha le
ritto minutamente He radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è
parlo non folaménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle medaglieantiche
d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tradurla in volgare,pcr maggiore
intelligenza del lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO BRONZ
O. c Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte loro
tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell'
Imperio, in quello modo penlando efTcre ri-ceuutr nel numero de loto fallì
DijrEa Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di lamenti,
folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato
re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc
del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di prctiofì panni d’oro
&dcntroui quella ima gine Erodiano. b o«».f W
«HV Ccrimonù de Roma* nella mori de loro
l« fe rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/!
ripolaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato ri vcftiti di bruno,chequiuigran
parte del giorno dimo rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane,
ciascuna fecondo ladignità et grado dcloro padri,ò mariti,. fenza ornamento alcuno
d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco
leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne in Francia)#
tue te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie
vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara,
fingendo di toccare il polfo all’ammalato,# mollrando che gli andaua fempre
peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i
Magillrati tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i
loro. officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi palchi con
ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani et patritij Romani, et dall’altro le piu illullri
donne cantaHimi tan- uonoHynni et Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo,
tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di pt
funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono fuora
della Città in vn luogo chiamato il capo di Marte,douecravn tabernacolo quadro
fatto di gradirmi legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, et di
falcine, et di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro, di
flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era vn
altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte et le fincllre aperte, et coli di
mano in mano mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre
diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri
fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni, Fanali,
dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a
inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra al fecondo
ftaggio.quiui fpargcuono gradequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc,
et d’vngucnti odoriferi di tutte leparri
del Mondo, facendoqualì à gara di chi più, ò meglio, porc/Tc honorare, et fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fatto quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno al
tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé Pyrricada gli
antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 ' ceuono il mcdelìmo
i Cocchi, ò carrette, fopra lequali i carrettieri erano
vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmilì,con mafchcrc fomiglianti à i Capitani,
et principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et con
finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’Imperio,
pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco nel Tabernacolo, et il
limile faccuono tuttigl'altrhpoidi mano, in manoùl quale per la materia tato
fecca,& le cofc vnte deprofumi, et olij profumati, leuaua { j, e
fubito le fiamme in alto,pcr mezzo lequali, vfcitavn’ A- t*
quila viua del minore et più alto Tabernacolo, fc n’an- « daua
volando in verfo il cielo, quiui di terra portando i cieli (come crcdeua
&gridauala lloltitia de Romani nql me delìmo tempo) l’anima del loro
Imperatore), il quale poi coli adorauono come Dio,& gli faccuono
altari et templi, come e detto di
fopra. C rwr,-* r-’ìRtn M. AVRELIO. FAVSTINA
4U« tu 1 PERTINAX BRONZO FAVSTINA ARGENTO Crédcuono i Romani qiicfto
mi fieri o non Iblam elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto
vfeire del fuoco l’anima dell Imperatore, et altri pagauono huomini
à polla per confermare coli fatta bugia, diccn do che l’Axjuila di Gioue
l’haucua portata in Ciclo, et coli ecco
in cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo* collocato nel
numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori et Imperatrici
ch’elPopo.Ro. fece fàlir per forza COM
forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri tornando alla materia
de noftri templi, doppo haucrc fcritto de i più trionfanti di tu
tti,cioc,di quello di Giouc Capitolino, di quel d'Augufto à Roma&in
Alcflandria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K
rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg % rione
del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu blichc dell* Alia
maggiore, contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di
religionc,qua'n tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in
CC. anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, talmente che
ci fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, et di
poifcolpito in piu medaglie di diucrfi Imperatori. CLAVDia ARGENTO stnr.
Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio degli
Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi fo p
ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo,
che io ihoirt e ” due .Ikimfc K.OII 8o
DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a
nntonino Pio, nell'vna delle quali e Icritto aptemhx e «• exian, cioè,
Diana degli Efelìj, et nell’altra quella l ola parola, e « e s i a
spedendo tutte l’altrc lettere perdute. ANTOM. PIO COMMODO.
BRONZO. Dtfcrizìon del tempio di Diana. Era la lunghezza
di quello tempio ccccxxv. piedi, et la larghezza e e x x. ornato di e x x
v 1 1 . colóne, ogniunaalta lx. piedi, et nondimeno fu abbruciato da quello
fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau ua fatto qualche cofa
degna di mctporia:bcnche di poi fu rillaurato et rifatto anchora piu
bello da Dinocratc, Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui
aduque lolccUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di Diana,
trouarlì tutti i giouani,& fanciulle, vergini del
paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò
imagine di quella Dea fu fccodo le fue dignità et qualità dipinto et figurato
da gli antichi in diuerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata
perdi; JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta piena, la
dilegnauono per la lua chiarezza con vno torchio v 8x
chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mcdagliedi GiuliaPia, moglie
di Seuero Imperatore, con lettere chedicono, di an a
lvcifera. GIVLIA PIA argento. BRONZO. Et per inoltrare anchora
meglio che Diana &la LlTna eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho
fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima
Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo carro tirato
daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia, quantunque
l’interprete d’Arato habbia detto che quello fignificaua la fila leggerezza.
Ma quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma no,& vn
ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cacciando, ella pigliaua et ammazzauai
ccrui pcrforza,no minadola »^óa«c, et per memoria che ella era la
prima cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al
fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadifcorfo nel libro, che per
comandamento di fua Maefli iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò
rimette rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.
MED AGLI E D’H OSTILIO. ARGENTO.Trouanfi anchoradelle
medaglie, doue Dinnac dipinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella
foleua ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia
di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è fcolpita la tefta di Diana, et dall’altro
vn cinguialc, ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane
appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana
cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaffo,d’vn,
arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc gugio,(cnzaraiiirode quali non
fi può cacciarci come mortra la medaglia qui di lotto. med 7 ~d f
C~P OSTVMO ARGENTO Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna volta Diana figurata
tutta ritta in habito virginale, con l'arco in vna mano, et con l’altra
/opra al turcharto, facendo legno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel
mezzo lettere, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sicix.i a. et altre
che dicono, im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn altra fi vede con
la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano, et nell’altro vno
fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba,
colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono
An<lro »”ftati Endiomidi chiamati. des ' AVGVSTO. Tra cucce le
medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro uaccàTolofa, et rraquelleche mi
vennero nelle mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di
Diana, col Tuo arco et la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui
mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata antica:& della
prua della natte, c fitto vn tronco come vno Itile con due rami, vno
riuclliro d’vna corazza, et da l’altro pendono due dardi et vna rotelIa:&
à pie del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in
legno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Auguro racquiftò la Sicilia,
la quale in mezzo al frontilpiTri gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata
per tre gambe, con impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s
ar,co!ì fignifiUsùiU can do che Augullo ringratiaua Diana della vettoria
hauutadc nimici Tuoi. AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute in
honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani
lebrato in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s” a
ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl teforo portatone à
Roma,iI quale-fu {limato tanto, quanto quello che i Romani cauorno di
Cartagine. MAJICELLINO,. BRONZO.. Animali tonfatati i
Diana. Solcuono gl antichi placare Diana imolando la
ceriliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati lei, fi
come tcftimoncranno le medaglie Latine et chc,che io ho fatto ritrarre qui di
lotto. FILIPPO. BRONCO. Tempi o di Scriuc
Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua Cofmògra to“ra*ro~ et 1 che quello
tempio cra fondato nclflfola d’Icaria et polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio
neh ni. della quinta Decade, lo chiamò parimente Tauropolum, et Tauro poli*
i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondimeno nel fuo libro de Sicu
Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma dalla
quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre
ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i IÓN DAMASI
AZ. MED f vi. MEDAGLIA GRECA DI DIANA ARGENTO Chequcfto
fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi
facrificij dal toro che l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora
Diodoro nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazonc dice, che
ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue vergini allacaccia, acciò chcpiu
facilmente tollcraflino il difagio dcllarme et della guerra, facendo le
fare vn certo facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, et Tauropobolum, et malli me Suidane i
Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora
conferma Euftathio) il quale l’era facrificato, come fi vede nella
medaglia d’argento ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato
Diana con vna luna in teda, l’arco et il turcafTo:& dall'altro il
fa orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro. F
4 Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi, na
deli amazonc. Diana chi» mata Taurobolos . tttJICi
: v ni' AVLO POSTHVMO ARGENTO. eia, et ma/firneàLettora,doue
fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro
GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi
conofcechcifacriti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre degli
Dij congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&
•>- • altre volte Taurtuolium, &non folamente à Diana
Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente credere àSuidas:
benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai diftefamete fcritto
negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la Francia. 'a • ;
' b - •• t . e* V. ... LeBor* inpropugrutcttlo
\rbis. matri devm pomp. philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE
TAVROBOIIVM F e e r T. . tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna
piccola chiefa di S. Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra,
vn’altro epitaffio in vna S* hi vna
colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi conolce che i
Decurioni di quel tempo, cioè gouucrtorì della Tcrra,feciono il facrificiodi
Tauropolium alla madre degliDij per la falutc diGordiano Imperatore, et di
Sabina Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in columna
i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR-
< DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£, PROQVE
STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N.
GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M.
EROTIO ET FESTO CA- » NINIO SACÈRD. Di quella Sabina
Tranquillina ho io veduto altre yolte yna medaglia d’argento, et vno
Epitaffio fatto in quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1
LLIN AE SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMINI N. M. ANTONINI GORDIANI
PII FEL1CIS INVICTI A VG V STI DECVRIALES AEDILIVM PLEBIS CERI ALI
VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EOR VM. Trouafià Roma vn
gran marmo antico fcolpitoin otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì
fa mentione delcibele Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea
coronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato fopra alla
fuacolcia,& con la ritta tiene certe fpighe di grano, à federe fui fuo
carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna
palla in mano, et cappeggiato à vn Pino, come albero con- F
5 9Carro de la madre del divino, tirato di duo
leoni. Dichiarationedel'in fegna de la madre de gli
Dei. {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò Candia,
òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue diPinij&doue cllac adorata
principalmente per Dea,' et dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di
quelle parlando, Toma fumus Cybeles. Ma quanto à i due
Iioniche tirano il Tuo carro,co-. mefcriuc Virgilio, Et iunBi
rerum dominai fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non fi
troua cofi Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile et buona.
La torre lignifica leCitta et edifìci j de quali la terra è ornataci
tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino che ciò lignifichi
i venti rinchiufiui dentro, et le
fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee l’huomo. Figura : FJG
y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA del marmo artico, il qual fi
vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS L.
CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM SIVE CRIOBOLIVM,
FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO COSS. Cibelt
tOfriU. Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato Cibelc
torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con altre facttc, la quale c tanto
vecchia et frulla, che non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole
Greche. Meda Vari I nomi de la madre dei
Dei. Diana conferuatrice, adorata in
Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi madreche
nutriteci figlìuoli.la terra limilmcnte nutrilcetuttigrhuomini et animali del
Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci et Romani le dettono più nomi et attribuirne
diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cerere,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo
Lucretio, madre delle beftie. Veda, &Diana:il che li vede et conferma
per due medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Diana da vn
lato con quelle parole, 2 atei p a, et da l’altro il folgorc,dcdicatole
cornea Velia,& limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc,
medaglia battuta dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice.
Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate
alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti- doro et inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di
Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et
perchcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc convnfolgorc in mano,&
à federe fopra vn qucflc parole, ind mi cparfo non fuora di
fotto. L’vna. GLIA GRECA. bronzo. V «A » if pino con-
L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia, nella quale madre dc*i ^
vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due lioni et àfcDd. dere fopra vna
Tedia con vn ramo di pino in vna mano, et nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO BRONZO Figuro MED. DI C. VOLTEIO.
ARGENTO.; ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W DE GL’ANTICHI
DOMANI. Figurornoanchora gl’antichiil lìmulacro di quella
Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che cllanutricaua tutto
il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i bracci, et diuerfr
animali incorno, produtei da lei come Dea della Natura, et di più
due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, et quella erano
vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd motto tempo che ella fu ricrouata in vna
grotta ancichiflìmaàRomadadipinturadellaqualemi donò altra volta M. Antonio
Fantuflì dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura
de gli dèi, per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamcnc:& Virgilio, dichiarandoci
che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,& nell’inferno
Profcrpina, coli laf : ciò fcritto, Tergeminamque
Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche la figuradi Diana,
ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell
antichitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro, ma folamence dirò come fotto la
deità et nome d’Hccate i più ricchi Romani foleuono ogni mefe far
facrificio à Diana, mettendo fopra i canti delle llradc della Città, pane
et altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via, come fcriuc Ateneo,
llimando che Diana, la Luna, et Proferpina fodero vna mcdclima coCa.
Hauendoà baftanza parlato di Diana, et defìderan- do venire
alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo da ^inerita la quale
fccondoi Poeti, nacque.de l capo diGio Dea di mtura. Diana
triforme. Paufinid. Virgilio. Sacrifìcio fattoi
Dia na fotto il nome di He tate. Ateneo. MINERVA di
Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell* huomo. Armaronla
oltre à quello gl’antichi d’vno feudo, nclqnalcera il capo di
Mcdufa,moftradochcrhuomo fauiodcbbecon force animo et intrepido vifo refiftcrc
aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc ua fopra al
morrionc, fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefcgrcta,&l'hafta che ella haucua in
mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, et batte di lontano et con
vandrdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo Mintrtu.
detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le tenebre il fuolplcndore-.i
qualitutti lignificati pare chedcfcriucffc affai bene Ouidio nel Certo libro
della fua Mctamorfofi, quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta
cuflidis hafiam, Datgaleam capiti, defendituragide pettus,
‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi;
accia factum canentis oliua, Jrfirartque deos «perù vittoria
finis. Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella, che fondò
ie untoti Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOti-
Atene. r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue
Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che
Mincrua none altro che la virtù del fole, mediante la quale lafapienza entra et
penetra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla fommkàdcU’aria :
però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc.
I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo
deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del
corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4 cioè Dea della
guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non fidamente edere
del continouo armati Spederei- S* frr <caci, ma proueduri di configlio:
&rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del
nimico: quello che confermò anchora Saludio dicendo, che ei bifogna
prima configliarfi,& doppo il configlio, et la deliberationc fatta
mandar predo ad effetto ìlfuo difegno. Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno
fatta fondatrice d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia tra lei et
Nettuno, di chi douede porre nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo
per pacificarli, &giudicorno che Ncttuqualc di loro due produrrebbe cofa
piu vtilc alla detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per il
che pcrcoccndo la terra, et facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, et Minerua l’vIiuo,fu fententiato
chcl’vliuo, piu che il cauallo fodènccedirio et vtile alla vita humana,&
cofi redo la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo et cdcrechiamata Pacifera,
come fi vede nelle medaglie di M. Aurevulimit Iio,& di Commodo
Imperatore. 4 ut 1 q ncrua. fM. AVRELIO (ANTONINO (si veda)) COMMODO.
BRONZO. Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua
anchora la celcbrationc della fella et giuochi di Minerua, tjuatria.
chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facendo vacationc dalle
fcuolc et da gli ftudij porrauono la mancia ài loro maellri in honore
della Dea,come quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1
1. libro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichiarato, quando ci
dice, 'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella: Qui
lene placarit Palla Ja,Jolhuerir. L’occafione fopradetta della
difeordia di Mincrua nettv- et di Nettuno, pare che mi porgea
conuencuolcmare« n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale
(come il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto
il dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo
il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta, fi come dimollrano i rouefei
delle medaglie di M Agrippa. M.Agr IM.
AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con
uettunodi vn Tridente et vna Acroftolia (ornamento antico di galea)
in mano, come fi vede ne rouefei di due mie te cr una medaglie d’argento,
l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa* fiano.douc fono lettere che
dicono, neptvno redvci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dalle
imprefe nauali. Acrojlolta dagli
antichi. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO. G
z 100 ut inai* : vufciiut 4t- Attribuirno
parimente grantichiii Tridente a Nctmttuno 4 tuno,,n %no dello feettro, et ancho
per efl'erc vno inperfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai,
dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato,come fi vede
per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, et la vetroria hanuta de
Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che dicono, MAGNVS IMPERATOR
ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O ilARITIMAE EX
SENATVSCONSV MED. DI PO MP ioi Io ho tra
molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <mforci, l’Agata di
forco figu rata, nella quale è il mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn
braccio appoggiato fopra vn tmo* va Co alta maniera d'vn fiume,&
doppo quella vna Corniolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettuno fui
fuo carro, tirato da due caualli, nel modo, ch’egli tumoriè anchora figurato in
vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a lertcrc che dicono aeqvoris me
omnipotens. AGATA. CORNIOLO M. AGRIPPA argento. v."“ v -
-m * .VA monete ioz N
rtttmo i fiutilo. La caufa perche glancichi dedicorno il causilo
à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di domarli
&frenarli, come dice VIRGILIO (si veda) nel y.dil'EncidL / ungir
eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir Frana f'eris ì manilupjue
omnes ejfundit babenat. Fanno vera teflimonanza di quello,
’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede Nettuno uallo,&
dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn Delfino. HÌppOCTé tid.
Confutili. Nettuno in h entore di tutte del
tuuigtr. A iNettuno cauanere recionoiKomanjgia vn tempio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia, fi come gl'antichi Confualia, nel quale tempo tutti i
causili > muli, et mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori et ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&
che D E GL’ ANTICHI ROMANI. 103 ' che per quello
ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del mare^ di poi adoratocome Dio.Et per le due
medaglie, et vn Niccolo, figurate
qui Cotto, vollono glantichi lignificare che Nettuno haucua poflanza tanto in
mare Ncttuno ^ quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor-
gnordrima ta et diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno
(quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, et l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per
la coda in forma di Delfino. ANTICO NICCOLO. Qi
CREPERIO GALLIENO Quando i Romani volcuono moftrarc di ringratiarcNettuno di
qualche vettoriahauuta in mare, lo faccuono Scolpire nelle loro medagliedavn
lacoconil Tridente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai
d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano,
et Tito fuo figliuolo. Imp.Rom. MED. DI
DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO ARGENTO ARGENTO Ritor
I E servir API a Machione DE GL’ ANTICHI ROMANI.
105 Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari et fimulachrijdiciamo
chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo chctrouò l’vfo della Medicina,
infcgnataglifor fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al
rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collocato nel numcrodegli
Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma
quadoci parla diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo
Ma(hégj figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij
figliuolo ncccflarij perla fanità dcllhuomo, et lo fa tato
eccellete in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat
Stantio. tantiochc Efculapio nacque di padre et di madrc,chcn6 fumo
da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à vn campo,&
trouato da certi cacciatori, fu dato i n guardia à Chironc
Centauro,chcgl’infegnò lar te di medicarenella quale vfarono dipoi fempregl’antichi
fino al tcpod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha-
Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi Schiauonia,
Umdu^a et dagli antichi chiamata Epidauro, doue ci fucòfiigra- *
pnfctno to, fattogli vn tempio, et vna flarua d’oro et d’auorio per
" f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau
fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio
Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in nedeiimamarmo bianco fi
vede anchora à Roma,& in molte me daglic et pietre antiche, cioè
vcflitod’vn mantello alla do Eufebio. Greca, con vn baflonc in mano, et fopra
al quale(attorcigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella maniera
che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo,
ritratti qui di forco al naturale. G 5 .ori oia/ì Jr
ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO
ANT. Tornato. Microbio. I a Ciuciti dedicata ì
Efculapio. SIGNIFICA i™ la fcrpc secondo Fornuto che fi come quelle
fi fpogliano et mutano la icorza, cofi auiehedc Mcdccichc riducono
gl’ammalaci dalla malaria alla fattiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri
voglionoche fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi bifogni al
buo Medico edere prudente circa alia finità d’vna perfona. Ma
Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia dedicata à Efculapio per
edere buona a molte mcdicinc:& Macrobio dice che quello e, perche la
ferpe ha la villa fiottile, come bifiogna che habbia il Medico nella
cura d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn huomo
ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga, in modo,ch’ei non
caggiaaffatto.EtEufebio,chcilbaftonegl’è attribuito, come quello che ^er
appoggiarli e ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à
Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe edere vigilante
più la notte che il giorno intorno all'infcrmo.fi come lì vede ne rouefici
delle medaghedi Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L
LrO. * ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero
vn’Ifoletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,luaga due ottani di
miglio, appuntata da bado, et piu larga di fopra, à modo d’vna
poppacL’vna naue:la quale Ifola fu già confagrata à E(culapio,doppo che
il fuo lìmulacro fuilato condotto à RomafQttolafbrma d’vnalcrpc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in
honorcdcl quale fedo* no già i Raugei battere monete con la lèrpc &:
conlctrere Greche, che diceuono epuat pio N,la. quale Città
(comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal tempio d’Efculapiojlontanodaquellacinque
miglia,douecon molte cerimonie fu adorato come Dio.
MON. Simulacro d'Efculapù portato fa Roma.
Moneta é i Epidauri Quelle parole Greche attorpatop o
taaepia •NOS, r A A A I E NO X, O TAAEPIA NOJ KAJXAPES.nOH
dinotano altra co(à,fc nonchcVaIeriano Imp.fccc battere quella medaglia
con l’effigie Tua &rde due Tuoi figliuoli Gallieno et Va!criano J et i tre
tcpli nel rouelcio con tali parole Greche, tpix neokopoi
nikomhaeon: lignificano chetrc guardiani de detti tcpli pregauono
pcrlafanità et falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti tre
Impcradori. iTP I C N t^KD k PvA-N Nel
Vittri di ThafiU. . io* Ncllhorto dcllachielàdi
S.BartoIomeo,che c ncll’lfola nominata di (opra, fi vede anchora vna
nauicclladi pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de
(uoi colori, nella qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe, che
alcuni vogliono che fia delle reliquie del tempio già detto d’Efculapio :
&quafi Tempre nelle medaglie de gli Imperatori fi trouala ferpe con
la fanità,chc fiotto figura SANITA> d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò
veramente la ticneabbracciata, lignificando che da quello Dio dipendeua la
fanitàfiola. Anton, pio. BRONZO. M. AVRELIO (ANTONINO (si
veda) ARGEN TO. M. AC ILI A ARGENTO. ARGENTO.
Sono no Medaglione din. Aurelio trouato in JU
ione. Pub. Vittore. Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi portato vna
vecchia medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti del la
vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui di fottoalnaturalc,pcrfarc
meglio intendere àgl’amatori del l'antichità in che modo,fotro colore d’vna
ferpe, gl’antichi fingeuonodi fare facrificio iEfcuIapio per le
manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno vliuo.&dinazi la
Vcttoria,chc porta vn’altra tazza piena di frutte.
MEDAGLIONI. M. AVRELIO. COMMODO. Non fi potendo lenza la finità
fare bene alcuna cofa, pare che meritamente ella debbia haucre luogo tra
tanti altri Dijril tempio della qualefcome fcriué Publio Victore)era
nclvi.quartiere della Città di Roma, quantunque Domitiano le ne faccfTc
edificare vn’altro piccolo, 1 doppo il pericolo che egli haueua portato
nella venuta di Vite Uioà Roma. DO. Ili
CASTITÀ. L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua,
(colpita nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Imperatore, fu
limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra vna Tedia con lo feettro in
mano, et due colóbc appreffo, lignificando che come la colomba c bianca et pura,
^ fo/om coli la caftitàdcbbe edere fenza
macchiarla Donna da bt j imbolo bene fcmplicc&purafimilmentc.
dictjUu. gTvlia PIA ARGENTO DOMITIANO ARGENTO. Quelli, che hanno
dichiarata la Caftità, dicono che dtu cajli - ella c vna virtù, che
cfccd’vn buon cuorc:& piu torto cofentc di patirc,chc fare atto lontano
dall’honcrto &dall'honore.Et le pure egli auicne che cllafia forzata,
non per quello riccue alcun torto, non fi potédo corrompere il cuore
accompagnato da vna buona indiamone et nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente
chara et li ber P ret ' 0 ^ a )g^
an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la Libcrtà,chia« T a. madola,comc
l'altrc, Dea, amata et cerca da tutti i begli ingegniionde ci non
farebbe polfibile di fcriucre à pieno lacontentczza di colui, che viuendo
liberamente lenza ambinone, fi contenta di quello checglihà,
ncconofcc perfona che per Pallidità de beni di quello mòdo
(fottopoftiaU‘inuidia& alla fortuna) gli porta comandare, et farlo pervn poco di bene incorrere
ingrandirtìmimali, quello che anchorapcr Euripide c ftato dottamente
Euripide. dichiarato,douc ci dice: 'Ham hberum effe, maximum dico
bonum: Quoti fi quii ejl pauper,puter fe diuirem. Et
Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà fimilmente dille, che
la vera libertà non era alerò chcpo Tempio di tere viucrecomc l’huom
volcua.il tépiodi quella Dea uberei. cra nc j m 5 tc Aucntino, ornato di
molte ftatue &r cotóne di bronzo, onde per l’orazione che Cicerone
fece à i Pótcfici per la fuacafa, fi conofcc come Claudio l’haucua
conlagrataalla Dea Libertàd’habito della qualeerad’vnaDonnacon vna Itola, òvn
velo addoflb,vn’haftain vna mano, et nell altra vn capello, folitodarfi
àiferui, che erano liberati da i padroni, quantunque alcuni altri
habbino detto che forte vna campana.GAL. Chequcfìocappcllofairein legno della
Libertà(fì co il cappella me io ho più chiaramente inoltrato nella fine
del mio li bro dell’antichità di Roma)lì vede nelle medaglie battu
rein honoredi Brutto libcratoredella Patri a,& di Ccfa quidi fotto al
naturale. CALIGVLA. BRONZO: GALBA. ~ TRAIANO. BRONZO-
ARGENTO. cnc delia libertà nalcc la felicità, io accompa- FELICI
gneròqucltacon quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA fcciono vn tempio et vn’alcare,dcl
quale fcriuendo Plinio dice che la (latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta
da rufits! ° Archcfilao Pla(les,& coftata à Luculloix.gran
fcftertij, (limando i Romani cflcre all'hora i tempi felici, et la vera
Felicità regnare per tutto, quando i loro Imperatori haucuono viuuto,ò regnato
lungamente:quando haueuonogencratibci figliuoli,&foggiagati, et vinti i
loro nimicijondclapaccpublica regnaua: quando fi feopriua qualche tradimento
òcogiuratione contro all lm perio,& quando egli era abbondanza di
grano, ò le naui cariche di quello, et d’altre mercanzie arriuauono
al portod'Oftiaàfaluamento. FAVSTINA. BRONZO. BRONZO CARACALLA TACITO
ARGENTO. ARGENTO. wj ANTON. PIO. SEVERO BRONZO.
ARGENTO. Maqucllacla vera felicità quando la Giuftitia regna in vn
Reame, laqualefa che gl'imperatori, i Rc,& le Re ^ia* 71 publichc
durano Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i Principi dire che Giouc fenza
la Giuftitia non farebbe potuto fta reinciclo,nclaRepublicain piede pu re
vn’h ora. E v la Giuftitia vna perpetua et ferma volontà di fare
ragione adogniuno, &viuédo virtuofamente, non fare torto à
perfona, rendendo àciafcuno quello che c fuo. Della Giuftitia fono nate
due leggi, l’vna publica, et priuata Lfgg[ fUm l’altra. La publica c di
por méte alla comunefalutc de- blica&pri gli ftati,& la priuata è
quella (come anchoras’accordail uiU ‘ Iurifc5fuIto)de i particulari.
Quella cóccrnc la religione, le colè fagrc,i Sacerdoti et iMagiftrati:&
quella è fon data fulla ragione naturale, ciuile,&: humana:della
quale fc piace al lettore di fapcrne piu oltre, legga Plutarco, v lutano.
doue,fcriucndo della dottrina de principi, moftra aflài: chiaramente
quantoprctioIa,fanta, Se ncccflariacofa è la Giuftitia :lacui forza è
tale, che ella regna in inferno (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi
gate le fcc H » rr n:i n* DELLA RELIGIONE
leratczzc degli huomini fecondo i meriti et grandezze loro.Quefla a
Juque volcdo (colpire, ò dipingercglantichija (aceuono con vna taflàin vna
mano, che era la gruatMgii r ‘ tta : et nella manca le dauono lo feettro,
ponendola à intubi u federe in vna Tedia nel modo, che l’hà figurata
HadriaGiujìitia, no nc jj c f uc mC( J a gIi C- quelli che non hanno cognitione
delle cole antiche, l'hanno figurata nel modo, che fi vede hoggi, cioè
con la fpada et le bilancic,che fono propriamente le infegne,con le quali
foleua l’Equità cflèrcdifcgnatadagl’antichi. TIBERIO BRONZO BRONZO ADRIANO-
ALEX.M A M M E A. ARGENTO. BRONZO. Che l’Equità folle dipinta
nel modòdettodi fopra,& E ^in luogo dilpadacon vn corno d’abbondanza, li
vede ta. per le medaglie di Gordiano et di Filippo, non altriméti
che fi folle in limile modo il fimulacro della Dea Mone rain quelle di
Collante,& di Diocleciano,con lettere, che diccuono, sacra moneta
avgvstorvm et nontuf CAESARVM NOSTRORVM. fr< GORDIANO. ARGENTO FILIPPO
BRONZO «MITCJb MS COSTANTE. DIOCLETIANO BRONZO. MED. D I T.
ARGEN Volendo t»TlmpcracoriRomani dare cimorc ài talli £!$Z
ficittori delle mon'ete,hlccuono in quelle (colpire le ima perfori f, inj
lorojconfidciando che non e cola che piu ìmpedll ZX. ca l'abbondanza de
iviueciin vna -Città, quanto la mo- ‘ inugini nel nc rafalfa,aftcncndofi
gl'huomini forcOicn di portami u lormonc ^ j oro mcrc hantic:chec pure vn
peccato troppo cnorme,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno
all’vniuerfale per vno vtile particularcjcorrópino quek lo
che -irJP» DEGL’ANTICHI
ROMANI u* Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco
non hanno potuto ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin
Romani crearono tre huomini,da loro detti T riumuiri, * te monefopraie monete
con autorità di fare battere oro, argéto et bronzo, come fi vede per le
medaglie di Celare DitAVGVSTO BRONZO. L'officio di Macftri
delle monete era di guardare,& fa reproua selle erano di buona
lega, prima che farle ftapare,& poi ch'elle erano battute, selle erano di
pefo : ond’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona vfim za fi
mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Romano, ^erò lafirinflè a i Triumuiri
delle monete quella autorità accompagnata dalla poflànzade Tribuni, come
fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto Otonc, CaioPlotio Ruffo,
&diuerfi altri. UO della religione AVGVSTO. '
BRONZO. BRONZO. Trouanfi anchora molte altre medaglie lenza l'imaginc
d’Augufto,per le quali fi conolcc quello edere vcro,chc noi habbiamo fcritto
qui di fopra,&maflìmc per lcparole,chc accompagnate d’vna corona
ciuica, dicono, avgvstvs tri bvnitja pot est a t e. et dall’altro lato, AERE,
ARGENTO, AVRÒ FLAVO FERVNTO AVGVSTO BRONZO. BRONZO. Pc l'cr i quali tcftimonij chiaramente vergiamo
che tale autorità di fare battere monete, pcfarlc,& e {laminarle,
apparteneua anticamente à i Tribuni, et mafiìtnc che tra le loro leggi fi
trouano fcrittc cofi fatte pa- hrggi (fr role, TRIBVNI SVNTO DOMI, PECVNIAM
PVBLI- ttnuirali. CAM CVSTODIVNTO, &! più baffo, AES, ARGENTVM,
AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO. Erano tutti huomini da bene et virtuofi
quelli, à qua • li gl’imperatori concedcuono cofi fatto Magiftrato,
con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle medaglie i nomi> loro, per
piùficurtà delle monetc,& perche il popolo conofirefie quando
&fotto quali huomini erano fiate battute.Pur nondimeno mancò col
tempo ( come fanno tuttel'altrc^quefta buona vfanza,& pallate le medagliedi
Claudio et di Neronc, non fi trouò neviddepiù l’Equità dipinta con la
bilancia in mano. BRONZO. NERONE BRONZO. Soleuono tutti i buoni Principi
et Imperatori Romani vifitando le Prouincic fuggette alloro Imperio
H 5 ua DELLA RELIGIONE fare lcrcparationi per tutto doue
erano neceflàrie,& fopra tutto liuiHtarc Je monete, et farne battere dcllc
: nuouc per le Città principali in ogni regione. Ciò che strabane,
conferma Strabonc, quando ci dice, che i Principi Romani lèdono battere monete
d’argento et d’oro nella Luigixm- G*ttà di Lioneda quale cofa imitò Luigi
mi. Impera- perutorc 4 . tore et Principe virtuofo et bellicolb, amato da
tutto il Rrdì ma mondo, quantunque sfortunato fi
trouafleneH’imprelà che ci fece in Vnghcria. Somigliò molto quello
buon Principe Hadriano Imperatore, con ciò lìa che ei fece-*
a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli hauc-ì ua rillaurateal
fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei buoni Principi Romani ficeuono
fcolpirc le* infegne della Religione nelieloro medaglie,colì quello
religiofó Imperatore mctteua nelle fue monete da vn lato vn tempio con la
figura d’vna Crocc,& parole che diccuono, c hristi an a re Li ciò. et dall’altro,
vna Croce maggiore con qucllcaltrc parole > lvdovicvs imperator.
MED. DI LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT RE DI FRANCIA.
ARGENTO. Non è molto tempo éhc vn lauoratore di terranei vafo
piena paefedi Lione, trouò lauorado vnltio campo, vicino à vna
tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran vafo di terra troultoa'ppieno di medaglie
d’argéto del detto Imperatore, delle quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo
non fuora'pro- Uour ' polito di moftrarne qui di Lotto lcflempio al
Lettore. MONETA DI LVIGI IlÌL 'Mone li 4 MONETA DEL
MEDESIMO. ARGENTO. tini A' ri. CICERONE
(si veda) Volle quello magnanimo et virtuolo Principe
(coli valorofamencc operando, et facendo officio di pio et catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri in che
modo fi debbe imitare la virtù, honorare la memoria de gl'antichi,
portare riucréza alla R cligionc,tcmerc Dio, et ama re la Republica&
la Patria: Quello, che anchora ci ha infegnato CICERONE (si veda)
dicendo, nel fuo libro della Natura Diffinitio i- degli Dei,chc leflcrc
pio none altro che la riucrenza w dì vut*. c | ie no | debbiamo hauercà
Dio, à i noftri maggiori, ài pitturi de parenti,à gl amici,& alla
patria. Quella virtù fu dipinta da Antonino Pio in habito di Matrona, ò
dona vedoua conia fua verte lunga, vnturibulo in mano, chiamalo da
i Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn feftonccol fuoco accefo
pcrfacrificare. Antonino Wt -r.'- . JWjr .
' £ -pr • Xttrr 4. onci/ ANTONINO PIO ADRIANO BRONZO ARGENTO diariamente
nel libro della Cita di Dio, dice chela vera pietà non è
altrochel’adoratione d’vnfolo Dio,creatore del ciclo et della terra, ribattendo
et dannando l’oppinioni de gl’antichi Romaniche cglihauclfino inRoma(comc
afferma Prudcntio)tanti templi &alcari,quah indenti*. ti penlàuono
edere Dij nella Naturaci che tutta volta fivcdechcnalceuada buona
intentione, facendo quello per religione : della quale cofa ci fan fede le
medaglicdi Giulio Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f egntlìano,
d’Hadriano, d’Antonino Pio, et di Màico Aure- l* rtii&iolio,pienc d’antichi
inftrumenti di religione, come d’vn cappello,d’vn lituo, d’vn
prcfcriculo, d’vn fimpulo,d’vn coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze et validi
molte fort£ dequah (come cofa aliai nota) non bilognagià fare più
lunga mcntione. j GIV. ANTONINO PIO. M.
AVRELIO. argento. Argento. PtlUdioii Da l’atto pio di
religione, venendo à quello che fi Tnia. debbe vfareinuerfo i padri, noi
ne faremo qui fede per lemcdaghe di M.Herennio, che portò fuo padre
Tulle fpalle,& per quelle di Cefare,doue fi vede Enea, che fimilmente
portò Anchife nel medcfimo modo, portandoin manpil Palladio di Troiarondc
Vergiliolcrifle, ^At t>w ^ÀeneAs. M. HE- DE GL'ANTICHI
ROMANI. M. HERENNIO. GIVLIO CESARE. ARGENTO. ARGENTO. Quello
medefimo ateo pio pare che habbia concefi. Co la Natura infino à
gl’animali bruti, onde veggiamo che la Cicogna fofticne et nutrifee il
padre et la madre vitti di u nella loro vecchiezza: Cofa da farebene
arroflìre, et c,f0 £' w * vergognare gl’ingrati, che rendono male per
bene ài loro benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al
quale temendo anchora di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di
che fumo amorcuoli et grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa
gliuoli,& maflìme Antonino Pio,nel rouefeio d’vna medaglia, nel quale
fi vede la Pietà con due figliuoli in braccio, et due altri ài piedi:Et
nelle medagliedi Domina, et di Sabina moglie di Traiano fi vede anchora
la Pietà figurata in diuerfe maniere. Anton. AV
ÌJÌ3K fcl et * l»,° ì'r* iz* ANTON. PIO. M.
AVRELIO (ANTONINO (si veda)) BRONZO. DOMITI A. ARGENTO.
ARGENTO. SABINA. bronzo.
.Tv DE G’LANTICHI ROMANI. izp Per le medaglie
battute di Titofigliuolo di Vefpafia no, fi vede la Pietà che mette inficine
d’accordo i duo fratelli Dominano et Tito, dandoli la mano l’vno ali
ai tro,pcr mofirare l’amore, il quale debbono duo fratelli portare
I’vno all’altro. TITO. BRONZO ma. Vlinio.
CLEMENZA. Era il tempio della Dea Pietà in Roma, fatto da At- t
mpio di tilio fulla piaza,douc era fiata la cala di quella figliuo-la,
che haueua già dato la poppa à Tuo padre in prigionc,conIafua
fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlàto da lei, et col quale(comcdice Plinio)
non fi può fare comparatione alcuna.Et perche dalla pietà nafee
lami*. fericordia& la clcméza,hò giudicato. non fuora di pròpofico accópagnare
con qucfti eflcmpli la cella di Giulio Celare(comc quello ched’humanicà&di
clemenza pafiò tuttii Principi del mondo) ftampatain vna medaglia di
Tiberio, aggiugnendoci vna Temenza antica degna d’efierclcritta con
lettere d’oro, fi come era in vn BcUifiima marmo, che diccua,nihil est
qvod magis ftntmùu I 1 DECI AT PRINCIPEM QVAM
LIBERALITAS ET ole menti a. Etnei vero, non è cofa nel mondo
piu E retiofa et piùconueneuoleà vn Principe che la liberata et la
mifcricordia. TIBERIO.
BRONZO. VITELLIO. ARGENTO. Da quelli atti pij inuerfo la
rcligione, il padre, la madrc,i parenti et la Patria,proccdc poi l’eternità de
nomi di coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno dimoftrato i Romani
per ifimulacri delle loro vcttoric, perle fcftc et giuochi fccolari,
penanti magnifichi et ricchi templi &cdifitij, ne i quali faccuono
fcolpirc f Eternità come vna Dea in habito di matrona, con vn’hafta
nella man dritta,& nell’altra vn Corno d'abbondanza, et il pie
manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno figurata con due teAe in mano, fi come
fi vede in vna medaaliad'Aadriano, TITO VESPA FAVST1NA.rii. Et Filippo
Imperatore riprcfentò l’eternità ne i fuot giuochi Secolari fopra vno
elefante^ quale fignificaua vna longa et cjuafi eterna vita. I Romani la
difpinfero con duo elefanti, et alcune volte conduolioni cnetirauono il
cirro de glImperatorc> o Imperatrice eh crano> fiati
deificati. W I x TERRA. Gl' titubi ftcnficaut
noi la ter T4. : TJt GIVLIA PIA FILIPPO. E certo,cofa
molco difficile (confìderato il numero fìgrandedcgli Dij antichi) di
potere crollare Je medaglie àpropofito di cutrùpurc fermando la mia
imprefa, io m ingegnerò di ripreientarci tutte quelle, nelle quali
furono figurati gli Dij.ò Dee à modo loro, che portornoqunlche vrilcalIJuimana
natura, come la terra, alla qualcfc ono vn tempio, et in luogo che a'
glabri Dcifàcrificauono con l’inccnfo J et altri buoni odori, à
quella fàceuono fàcrificio de femi, eccetto che delle faue, et altre colè
aromatiche : là onde per la medaglia che fece ftamjxtrcCómodo in honorc
della tcrra,fi vede che ei la fece a giacere in terra mezza ignuda, come
cola ftabilc con vn braccioappoggiato (opra vn vafo,dcl quale efee
vna vite,&con Tauro ripofà fopra vn globo celefte, intorno al quale fono
un. piccole figure che le prefenra- ' no TvnadclTvuc, l’altra delle
fpighccon vna corona di fiori, l altra vn vaio pieno di liquore,*:
l’vltimac la Vcttoriaconvnramodi palma et lettere che dicono, te ltvs stabilts,
lignificando che tutte quelle cofechc la tetra produce/onoper
lavitadelThuomo. MEDAGLIONE CO M MODO.
Perhaucre affai lungamente trattato delle feite Ce- C e r e* reali
nel mio libro dell’Antichità di Roma, io non nc RE * parlerò qui
altrimente, contentandomi folamétc di met tcrc innanzi il rouefeio della
medaglia di C. Mcmmio c nummi» Edile Curulc, nella quale fi vede Cerere
che hà in vna ^naltQt mano tre fpighe,& nell'altra vn torchio accefo,
&il pie rc»u. manco fopra vna ferpe, con parole che dicono,
mem I 3 MIVS. AEDILI5 C £ R. £ ALIA PRIMVS F E C I .tJ Ma per
altre medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi vede femprc Cerere con due
torchi nel fuo carro, tirato da due lerpi.Etin due altre medaglie fi
trouacon la vede alzata, con due torchi, et à i piedi la manica di Tarati porto
co tro,& nell’ altra ilporco,òla porca, che gli antichi le foenrere. *
Ictiono racrificare,pcrchcguada le biade: onde Ouidio haferitro,
Prima Ceres grauid* gauifaejì fanguine porca, i Ulra fuas
merita cade nocentu opes. debutiti ^ comc cra p cr mcdh d’ammazare
il porco, coli era fcfo fra li proibito d’immolarei buoi nellàcrificio di
Cerere, perRoawni. chelauorano Se non guadano i beni della terra, onde
ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi fende anchora, kA bone fuccintti
cultros remouete minijìri: %os aree, ignauamfacrijì care
fuem. lAptd mgo cern ix non efl ferienda fecuri:
ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. *Ve. ME MED. h Óf>ì
» » ùueihi Cerere e la Pace, con ciò lìache la guerra porga
impedimento al lauoratore di coltiuare&lcminare i campi, eflendo
conrtretto di fuggirli &faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti i
Tuoi beftiami. Quello che Umilmente ha bene fcritto OVIDIO (si veda) nel
u n. deludi Farti, doucei dice, Pace Cerei Uta \os orate coloni.
Perpetuam pacem,pacifì cum <jue Z)eum. EtTibullo quel medelìmo
nella x.Elegia> Intere a pax ama coldt,pax candida p)
Z)uxit aratura fub tuga curila boues. Et poco piu
difetto, ‘Pace bidens fornir yue Vigent-jit trijtta
Stillini in tenebra occupat arma Jìtics. Quando gl’antichi
dipingcuono la Pace col Caduceo, vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil corno
d’abbondanza, lignificando che la Pace era quella,chcf celia multiplicarc il
grano et le frutte per la vitadcU'hua i, I 4 uloitioJ
- PACE. L4 guerra contraria à Cerere. OVIDIO (si veda) »
’i h t%J*v Tibullo» BACCO. Il buco
fi reificato, Bieco. mojondc il raedelìmo Tibullo nella
x.Elegiaparimentc dille, irnobispax alma y>eni,Jj>icdmejue tenero, ‘P
erfluat pomis candidai ante [mot. OTTO ARGENTO. VESPASIANO.
ARGENTO. Et lì come Cerere haueua la corona di ipighe per
infegna,& per vittima la T roia,colì al atdrc Libero, altrimente detto
Bacco, lì ponetiaintcfta Ta corona d’Ellcra, et il becco à i piedini
quale gl era £acrificato,perchc guaita le vignc,ondc Virgilio dille,
Saccho caper omnibus ari* Caditur. Et nel
rouclcio della medaglia di Molò lì vede vn faccrdote col Tuo habito
innanzi à vn’alrarc riucllito d’vn fellone, che con vna mano tiene il
Jituo,&: con l’altra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda vnminillro
per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longuamenteferbato vna Corniola
antica, nella quale c vn Satiro, che conduce vn becco fuiralrarc,doue e il
fuoco aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio Bacco. Corniola
CORNIOLA ANTICA. f 'Wm. ir Ma perche
di Bacco in diuerfe manicre,come farebbe à dire, in for- e «to'. ma
d'vn fanciullo che abbraccia vn grappolo d’vue,& vn'altra volracome
vngiouane co vn ramo di Pino, nel modo che fi potrà vedere nel libro, che
io ho comporto in Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e
par fo di ripreientare qui al naturale il piccolo Bacco di
bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu la re et arti fitio* f à)tra
le mie ftatuc et medaglie antiche. l'iCLOLO MMOLACRO DI BACCO. d’antichi
lo leuono dipingercilfimulacrò. Ciltuv. il Vogliono
gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo) lignificare che vn'huomo troppo
fuggetto al vino,diuéta limile à vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic fifa.
Trouomi anchora due Niccoli antichi, i quali riprefentano quello Bacco
ignudo con vnbaftoncin manometto da i Latini Tyrfo,& nell'altra vn
grappolo d’vuc,& intorno kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^ c di Tigre, animale
particularmentc Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et quanto alle Baccanti, ò
Bacchidc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella di Bacco, io ^ ne metterò
qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia Greca, et M, chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da
Parma, grandissimo amatore delle cole antiche idoue da vn laro c Bacco
incoronato d HeIIera,& lettere Greche, chediconó avì un, cioè libcro,&
dall’altro fono le Baccanti,chc ballano, facendo vn prclcntc à Dionifio
(chccofi ancho ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di facrifìcio,
et lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol dire, Donod Dionifio. » i,",
NICCOLI ANTICHI. MEDAGLIA GRECA ARGENTO. E per glabri due
medaglioni di Bacco porti qui di fiotto, dequali vno e di Nerone, et l’alerò
d’Antonino Pio, fi vedrano lefefte Baccanali, &vn Bacco nel Tuo car
buccmmIì. rotiraroda d ue Pantere (animali dedicati à lui) accompagnato
de Tuoi Satiri con tutto il Tuo mifterio : et qualche volta per due tigri,
comcdice Propcrtio, parlando d'Ariadna rapita da Bacco, Lynciius in
c*lnm \c&d \ArUdna. tu'u. Et per le medaglie di Filippo &di
Gallieno fi vede anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere
che dicono, LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV-sti, rimettendo il
lettorcal mio primo libro dell’Antichità di Roma, doucpiù lungamente io
hòdifeorfo di a J querti Baccanali.»V, ME 1 ’»t 4 -
k V km LIBERALITÀ. XAuitdeU
Oberatiti. FILIPPO MEDAGLIONI. NERO. ANTONINO
PIO. Si come da Ccrerc e Bacco nalce l’abbondanza d’ogni cofa,cofi
dall’abbondanza dipende la liberalità, Dea delidcrata et cara acuito il
mondo, la quale tira à le il cuore dcH'huomo.comc la Calamita il ferro,
tanto che lìnoà quelli che habitano nelle eftreme parti del mondo per la
loro liberalità ne vengono lodati, anchora che non lì fpcri cofa
alcunadaloro:!! come vituperati &in poca Rima fono quelli, che fono
tutti lepolti nella loro GALLIENO.
BRONZO auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo fplcn-
Liberalità dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito, di
Vef pafiano,di Traiano,&d’Alcflandro di Mammca, trouer
rcmoch’ei dura infino a hoggi, ne hard forza il tepo che fi fponga mai :
della quale cola fé alcuno dubicalfc, vada à leggere Tranquillo, et vedrà come
Auguftohauc- sartorio ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al popufo
Romano vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata Congiarium,
da Tofeanila mancia, et dai Franccfi larghe zarlc quali quando fi dauonoà
i foldati, fi chiamauono Donatiuojcomc fi vede in più luoghi nel libro di
Taci to,douc parlando di Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^.
pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai mancòquefio liberalifiimo Principe nel
Tuo Imperio, che palio cinquanta anni, di donare quella mancia,
dilhibuendot.il volta xxx. piccoli feftcrtij per huomo, altre volte x
l. et altre volte, e
CL.comediceSuetonio, tantoché non crafanciullo(purccheci pallafic xi i.
anni) che non haueffe qualche colarla quale vlanza fu conferuata da tutti
glabri Imperatori buoni &cattiui,chc voleuonohalicre lagratia del populo
Romano,come fi inoltrano le Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di
Traiano, d’Hadriano,d’ Antonino Pio,di M. Aurelio, &: dimoi ti altri,
i quali tutti farebbono tropo lunghi à raccon- Congiario .
Liberalità di Augusto Cesare. tare. TI
IV t/i liberatiti di il. Aure Ito .
Pittiti de U Liberati ti. TITO. TRAIANO BRONZO.
RRONZO. La maggioredillributioncnon Ci faccua croppafpcffò,mala minore fi
benc,comchà {cricco Succoniordalla quale liberalità cofi
vfacainuerfoilpopolo,nafceua che Ipefio finoà i cacciui Imperacori erano
màtenuti in iliaco &difefi da lui,& da foldaci nella pacc,& doppo
hauc rcccrminaca qualche pericolofa et difficileimprefa, nel quale
ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello conciario, et faceuono quello donaciuo.
Onde era le mie medaglie io in ho vna di M. Aurclio,doucfi vede che
egli baucua vlaca quella liberalità già fecce voice, figurando
nelrouefcio di detea medaglia la Liberalicà,vellita d vna velia funga,.
come falere Dee > con lettere che dicono, liberalitas avgvsti s epti m
a. nel modo che anchora fi vede nelle medaglie di Gordiano minore, et Tacito Imperatore con altre limili parole,
cioè, li b e RALITAS AVGVSTI T ERTI A ET QVARTA, CÌÒ che
anchora fccionoin vna altra maniera Filippo il padre et figliuolo, come fi vede
per le lor medaglie pólle qui appreflo. M.Au DEGL’ANTICHI
ROMANI. M. AVRELIO. GORDIANO BRONZO tt nella medaglia a
Adriano &: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti fi veggono ìin.figurc,
onde la maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff Im pcratoreà federe
fopravna Tedia, con vnruotolodi [miro. * carta in vnamano,& con
l'altra moftra di donare qualche cofaà vno,chc fi prefenta innanzi àlui:la
qualità et Comma della quale,parc
che fia figurata per i punti, che fi veggono notati nel rialto doue ci
tiene i piedi,! quali fa cilmente potrebbono cflère il numero de
feftcrtij:& l’altro FILIPPO PADRE. FILIP. FIGLIVOLO. DELLA
RELIGIONE trochemoftradilalire, e colui che riceuc il donatiuo
conlimaginc ritta della Liberalità da vn lato, che tiene vn Dado in mano
con limili parole, liberalità a ve v s t i ; Dentizione di
nobili tì. ADRIANO BRONZO ALESS. SEVERO.
BRONZO. Ugge de Macedoni/- Ugge delle
Amazzoni, crdrglt Sey ti. Il Dado, portato dalla Liberalità,
è tanto conofciuto,che io non ne parlerò piu oltrc,dcliderofo di moftrare che
la liberalità nafee da nobilità di cuore: la quale co là fola ha cauGito
che i nobili virtuofi fono (lati honorati comegiufo, onde c vfcitalapoflanza
reale,& tutti gli altri principati, che mediante la Giu fona et l’Equità
hanno mantenuti i loro fuggetti 3 6r quelli difelì dai loro nimici.Di qui
nafee che tutti coloro, che afpirano alla lode et alia gloria, li danno
volentieri all'eflcrcitio della guerra, per eflèrc tanto
priuilegiati:ondeiMacedonijfo leuono condannare colui àportarcvna corda
in luogo di cinturaci quale no hauefle fatto qualchccola honorcuolc alla
guerra. Alle Amazzoni non era permclTo maritarli, fe prima non haueuono
fuperato vn loro nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona
toccare la tazza òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla
guerra meritato qualche honorc. Di tutte quelle cofc fanno fedele
hiftorieRomanc,douefi leggono le qualità de premi) che fi dauonoà coloniche
haueuono fattoqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le corone c " 0
"' ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, et le nauali,infieme con ti-
KomLi. toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede della virtù loro:
onde non c da marauigliarfi,fe Roma venne in coli fatta grandezza, poi che di
grado ingrado dTaltaua et ho^ norauai Tuoi foldati, fino alla dignità
dell’Imperio,& il Confido ò Imperatore riftoraua il buon foldaco con
catene d’oro,maniglie, corone, et ricchi fornimenti dicaualli,fi come moltra
vn’Epitaffio che fi vede in Turino, inoltratomi già dal Symeonc,il cui
tenore è quello, C. GAV IO L. F. STEL. SILVANO
PRIMIPILARI LEG. Vili. AVG. TRIBVNO COHOR. II. VIGILVM TRI B V NO
COH. XIII. VRBAN.
TRIBVNO COH. XII. PRAE TOR. DONIS DONATO A DIVO CLAVD.
BELLO BRITANNICO TORQVIBVS ARM1LLIS
PHALERIS CORONA AVREA PATRONO COLON. D D Et
fi come dei buoni Temi nalcono anchora i buoni frutti, cofidegli huomini virtuofinafconoinobili,
purc che fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali quado fono
accompagnate infieme, fanno che la nobilità fia K CICERONE (si
veda). Dichiaratione delti nobiliti. Tlinio.
Cornelio Nipote. Tullio.
luuenale. Annotile. perfetta et duri fiempiternamentc. Stimauafi
amicameli te la nobilita che nafceua dalla gcncrofità del
fanguc,difcgnata da Cicerone nelle fue Topiche à qucflo modo, C tntile s
fune, qui inter fe todem nomine funr, quia! ingenui s oriundi funr quorum
maiorum nemo feruitutem feruiuit,qui capire non funr diminuti. La quale
definitionc dice Tullio edere nata daSccuolaPontefice,&io l’hò intcrprecara
in quello modo, Nobili fono coloro che ha no vn me • defimo nome, che
nafeono di padri et madri liberi, glan tichide quali non hanno mai
fcruiro,nccambiato di (la to,conciò fia che la mtitatione faccia perdere
la nobilita et la gctilczza, la quale gl'antichi riprefentauono per
leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide loro maggiori, come
recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo' ria naturale, Se Cornelio Nipote
nel libro de gli Huomi ni illuflri.il quale parlando di Portio Catone
òìcc, Imago buius funeri* grati* producifolet. Della quale oppenione
canchora M.Tullio, Se gl’antichi chiamorno tali imagi ni Stemmata, come fi vede
in lu uenale, quando beffan doli di tale nobilita fienza l’operc nobili,
dice. Stemmata quid ' fucilanti quid prodejl Pontice longo
Sanguine cenferifè) pt&os o fendere vultas Jrfaiorum?& fante s in
curri! us ^AemilUnosI Ariflotilc nondimeno nclv.libro della Politica
dicc,che nobili fono coloro, i preccfTori de quali fono flati, ò ricchi,ò
virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie per foccor rere la
Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza la ricchezza non può
flare.Etfc qualcuno domadafleche differenza c tra la nobilita
d’AriflotileSr di Sceuola, tifipondo, che Ariflótile domanda la ricchezza, et Sceuola
non: nonrattclochc la nobilita può viucrccon la pouertà:
benché col tempo poi(volendofì palcerc di quello fumo di direche fono
nobili) fi muoiam di fame : onde nafee che gli antichi faui hanno Icritto
che la vera nobilita condite nella virtù,comc quella, alla quale non può
mai mancarc:& quello è quello di che ragiona luucnale, dicendo:
Tota licet Veteres exornent indizile cera tria:nohiliras fola
efyOtque Vmca v ireos. Conciò lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua
nobilita, mediante i fattidefuoi antccclTori,condannafemedelìmo,non fendo egli
virtuofo,& lì può dire di lui quel locherifpofe Anacarfeà vn’altro
che lo chiamaua bar- Rìjpofta baro,& nato nella Scytia,chc fu tale,
la mia patria ****&& COME BARBARA MI ARRECCA QVALCHE 1 Nf
AMIA, MA TV FAI D 1 S HONORE ALEA TVA che e' tanto nobile et c e nti
l e. Circa che bifogna conchiudere che la vera nobilita c quella,
g* che procede dalla virtù propria, nel modo cheproua Boetionelm.
libro di Confolatione,doucei dice,^?#^ Jì quid ejl in nobilitate
bonumjd arhitror effe folum,vr importa noi? dii us necefuudo vide a tur, ne a
maiorum V ir tute degenerent. il quale propofito feguita dicendo,
TJmu enim rerum pater ejl, XJnus cuntta mmiBrat-.
J Ile dedir Tinello radiati Dediti cornua Luna: 1 He h
ornine s et ferri* Omne liumanumgenus m terris Similifurgit ah or
tu. K i i 4 » Dedit fè) fiderà Calo:
Hic claufit membri! animo s Celfafedepetitos. Mortale!
igitur cunBos Edit nobile germen. Quid gentts féj proauos
Jlrepifù ? Si primordia 'vejlra ^yiutorénujue Deum
fieftes, Nullus degener exrat, Ni 'finn peiora
fouens ‘Propriumdeferat ortum. Parmi d’aucrtirc qui il
lettore della differenza eh ed tra nobile et generoforcon ciò fia che A
riftotilc nel principio dell’Hiltoria degli animali,fcriue che nobile è
quel ladifftren lo che c nato di buona razza, et colui gencrofo che
non ** traligna dalla fua razzala buona, ò cattiua, allegando
fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il lupo (dice egli)
farà ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo, perche non
deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:& ignobile perche egli
e ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può dire nobile et gcnerofo
inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme, et gencrofo, perche non digcncra dal fuo
femeronde nafee che fi comclc virtù dell’animo meritano d’eflcrc
lodate con parole, l’opere virtuofe richieggono d’cficrc honoratecon i
fatti.Cocludédo chcegli è impoffibile che vn principe, fia gràde quato
vuole, poffa nobilitare vn’huomo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci
ha aliai bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta,
figliuolo di Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita
inhabitod’vnaDonnada benc,conlofcetrro nella mano dirirra. et nellamanca il
fimulacro di Mincrua, per inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe
ccccllcn'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile
accompagnato. GETA O natura tegli huo.miiu e la no -
genio» pinta conieruata&.crc(ciuta, però non fàràimpertintntetrattarc
anchqra qualche colà dello Dio di Natura, G°iró d io chiamato dagl
antichi Genio, et il quale ftimaronopadredegli huomini,& figliuolo
diDiorpenfandoncllalo ro rèligiòncehc ciafcuno haueffe particolarmente vn
ge nÌGk& vno intelletto diuerfo Se propriojcomc lì vede per la
medaglia di Nerone, nella quale òlcritto, genio a vcvsTijin quelle
d’AntoninoPio, genio senatvs, in quelle di Collantino, genio pop vii rom
ani^ in quelledi Claudio, genio exerci t v vMrfigù randolo mezzo
vcllito& mezzo ignudo, con vno altare ^io. innanzi A: yiì fuocojvna
tazza nella manodiritta, et nel-,• - ;; » j l’altra vn Corno
d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to A m rhi ano Marcelli no nel xxv. libro
che egli ha fatta 'di Giuliano Imperatore.. K •n
ANT. PIO BRONZO NERONE BRONZO COSTANTINO CLAVDIO Scriuc
Ccnforinoncl libro da lui fatto De die nautiche (ubico che noi nasciamo, noi
fiamo accompagnati da vngcnio, chcciconducc,guarda et non mai ci
abbati donna. Altri hanno detto, et maflìme Fiacco nel lib.chc
lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare et Genio era b
KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huomohabbia due Lari, cioè
l’vn buono et l’altro catriuo, chiamado il buono Larc,&: il cattiuo
Lemure, come noi hoggi anchora diciamo buono Angelo et cattiuo;à
pro { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo nella vita di Bruto } chc a
notte mentre che ci penfaua con vna lucerna accerti alle facccdc della
guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in forma d’vna perfona tragica, et più grado
che il naturateci quale fubito domandò Bruto (comehuomo intrepido
che egli era)chi egli folle, ò quello che ci cercaflc, et che quello
rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio, il quale tu ve drai à Filippo:di
che non punto fpauctatoBrutogli diffe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che
auennepot innanzi eh’ eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione
fono flati et fonoi noftriTcologi, cioè che noi flamo Tempre accompagnati
(cornee detto) da vno Angelo buono, che ci guida al bcne,& da vn
cattiuo, che ci mena al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein
lui era vno fpirito, ò Genio particularc et diucrlo da glaltri-Nel tempo
de Romani non era lccito(comelcri uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e
\ erborarti oUigationibus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del Principe,
riputando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàccdolo& fapendofl, erano
puniti graueméte, laonde rom peuonograntichi più torto il giuramento
fitto fotto il nome d’ogni loro Iddio, che Torto il Genio del
Principe lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia da lui
fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cura che hanno di noi i
noftri Genij,quando ci dice: Et vigiUntnoJìnt frmper in \rbt
Ldres. Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo à parte
&fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro K 4
>5* Lare c r L( mure- Buoni c r
canini falliti. Genio appi rato 4 Bruto. P
Ul* Difefo di giurar per il genio de t'imperato,
re trai Romani. Tertulliano. Gnidio, f$i, Xf tjfmdro Dij
domcftici et particulari,il che hà confermato SparbaHfMin tiano, quando nella
vita d’AlelIandro figliuolo di Mamfui Urtino mea, dice che egli haucua nel luo
Larario l’imagine di GUfuchrf- Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è
molto tempo fio. che in Lione fui monte della croce di Colle fu
trouara vna Lucerna ant cadi bronzo che mi fu donata, nella
quale erano fcrittc coli fatte pa rolc, l a ri b v s sacrvm . 1 con altre
più baflc,^ più piccole, che lignificandola pu blica felicità de Romani,
dicono, p ve lic /e telici* tati ro m a n or v M,nel modo che lì vede qui
di fottoi ' ~LV CE jTiTJl JL KT1 ' di H ronzo, trovata
in Lione Canno LARI B V S SACRVM P. F.
ROMAN. Stima 5 r 153 Stimarono gl’antichichei Lari
follerò figliuoli della iUri pgiil Luna et di Mercurio, come fi vedeindiuerfi
Autori, la «oli di uh quale oppenione mi porge materia di parlare di
Mercurio lecondo la Teologia de gl’antichi, che volcuonò mercvche la ftella di
quello Pianeta facelle gli huomini elo- R 1 °* ìquenti
&grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella dì èra congiunto col
Sole et con Gioue,comeper contrario volcuonoche ci folle dannofo cficndo
accompagna to da Martc,ò da Saturno Et lacaufa perdici Poeti nan
ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli Dei il caduceo, il cappello
chiamato Galero da Latini, et laiicaf capo et ài piedi, è, pcrchevolcuono
lignificar, che ficome vn’vcccllo vola leggiermcntepcr l’aria, coli la
paroJafàcilmcnte efee della bocca d’vn’huomo eloquente. I Greci lo
chiamornoe PMH2,cioé interprete, ò Tur- uermet. cimanno,&Dio della
Mercatura, perche le parole fono quelle che fono mezzane d fare comperare, ò
vende- menadi»revnacofa. *'• a 7 r N T O. coprilo di
Plauto nondimcmo et glabri Icmtori più antichi Mercurio hanno chiamato il
cappello Pccafo, come fi vede perle ntafo. Icntture di piu marmi antichi
che dicono, cvm m e r cvrio petasato, volendo lignificare cheli come il
cappello cuoprclatcfta,cofi le parole fcruono per coprirli et giuflificarlì
contro alle falfc calunnie degli huomini maligni et inuidiolì. Altri
hanno detto, che quello cappello lignificauache vn buono
Ambafciadoredoueua goucrnarli nelle fuc faccédc fegrctamente:& il
Caduceo che Mercurio ha in mano,Ia pace che il piu delle volte lì tratta
per mezzo d hu omini eloquenti, come lì vede in diuerle medaglie de
glantichi. VESPASlANO. FOSTVMO. ARGENTO. BRONZO.
ylìnio Della lignificatione delle dueferpi intornoai Cadu ceo ha
Icritto Plinioallài diftefamentc,& però io (come cofa fu peritinola)
rimetterò il lettore à quella lezione: et pcrfaperncla fauoIa,àHiginio,
il qualenel Tuo libro t adirò in Agronomico ha fatto il medelìmo,
confermando che f'gnadip*- J Caduceo fu concedo à Mercurio in légno della
pace: " la i 5f la quale volendo dipingere
gl’imperatori nelle loro monete, &moArarecncei n’erano flati autori, faceuono
battere nelle monete la Dea di Felicità, con vn Caduceo
peuciinvnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni- T A ficandochc nella
pace publica non fi (ènte careflia. GALBA TITO BRONZO. BRON ZO. Ne i
Comenrari j di Celare fi troua fcritto che i Franccfi adorornoMercurio/rome
inucncore di tutte Farti, et guida de camini, (limando che egli hauefle
gran poffanza per fare ricchi i mercanti, ciò chcconferma Plinio
nclxxxnii. libro dellHiftoria naturale, parlando de coloflì&ftatue antiche,
et doueei dice, che Scnodoro haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di
fiatue tutti glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuernia quella di
Mercurio d'altezza di c c c c. piedi.Solc uonooltreàqucflograntichi
attribuire il galloà Mcrcù rio,figni beando che i mercanti debbono edere
vigilati ti&folliciti lamattinaàbuon’hora, volendo arricchire
&farc bene le faccende loro. Tra le mie pietre antiche, io
ho Mercurio dorato da franctjì.
Plinio. Scnodoro fcultor ecctUauifii. mo.
Statua di Mercurio fatta in AuMernia. ij<r io Ho vn Niccolo
&dùe Corniole, ncllequalrfono le figure di Mercurio. Nel Niccolo fi vede
con vna boria in mano,& nell’altra il caduceo. Et nella
Corniolaàfcdcre fopravn granchio marino: con il caduceo in vna mano, et con
l’altra tiene l'vno de piedi del granchio; col cappello in tefta.Per
Mercurio c fignificata la paro Ja,& per il granchio, che i mercanti
non fi debbono affrettare nelle parole, ne (penderci loro danari fenzacon
fidcratione. I fi s
/.r V i > 7
Sono (lati alcuni altroché hanno detto che l’eloquen zà fu attribuita à
Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo che haueua ordinate et meflè le parole
inficine per ifprimefei concetti della mente, deformare vna bella
oratione, ncceflaria à gl'Auocati et Procuratori, et pero dille
Vitruuiocheil fuo tempio lì doueua edificare preflò alle piazze.
Grande fu certamente la curiofità et fupcrlìitionc de
gl’antichijvolendoche Gioue finalmente fignificaflè il ciclo,
&Giunone l’aria, per cflerecofi vicino l’vnoallaltro:Nettuno il
mare:&Plutonela terra, 8c che la mogi ie di Netruno folle Salaria, et quella
di Plutone Profcr 1 >ina,fi come Giunone di Gioue, alla quale
attribuirno a cura delle Donne grollèjinuocandola in quel tempo
cheell’crano vicine à partorire, et poi che il figliuolo era nato (come
Diodoro afferma) lalciandone la cura à Dinna,ncl modo che fi può vedere
per l'hynno fatto da Callimaco in honore della Dea. Et quando le
Donne Romane che non potcuonoingrauidare,voleuono hauere figliuoli,cllc
andauono al tempiodi Giunone,chia mata Luci na,douc llaua vn facerdotc
detto Lupcrcalc, che fattole fpogliare tutte ignude et dillcndcre in
terra, le pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,come fi vede
per le medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle quali fi vede Giunone à
federe in habito didonna vedouacol fuo lecttroinmano come Rcina,&
nellaltra vna sferza et lettere che dicono, ivnoni
lvcinae. Lucilla Menurio Dio d’rioquenza. Vitruuio. GIVNONE. Giunoneiutrice
de le dine gr 4 uide. Diuotione de le donne
Romane 4 Giunone Lucina DELLA RELIGIONE LVCILLA BRONZO.
BRONZO cerimonie Quando quelli facerdoti Lupercali corrcuono per dt
faccrdo- mezzo le llradc, erano tutti ignudi,eccctto le parti vcrt« Lupcrca- g
0 g no f ejC h c erano coperte di pelli di beccbi,llati faenfi cati fu
l'altare di Giunonc.Et delle coreggie che haueuano Era pure grande quella
luperllitionc chele Donne Romane pcnlalTino (clTcndo coli battute da i sacerdoti
di Giunone d’hauereàingrauidare,&chc la felicità piu grande era di
hauer molti figliuoli, come fi vede perle infraferittte Medaglie.
FAVSTINA GIVLIA M A MME A. ARfitNTO. BRONZO 155 no in
manoandauono pcrcotcdo le mani delle Donne che le norgeuono loro per
ingrauidarc. Era qucfto luogo chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma, et dedicato
allo Dio Lupino, chiamato altrimenti daiRomaniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono
già- poppatala lupa Romolo et Remo, come moftrano le piccole imagini
Fatte di bronzo, che hoggi anchora fi veggono in Campidoglio, et le molte
medaglie di Confoli et d’imperatori. ME DAGL ÌE
Di' D io lupino ò nero, Pan Lyceo.MEDA. DI SESTO P
lOmI l(Zo DE LA RELIGI ONE DOMIZIANO ADRI
ANO. È Romolo di poi la Tua morte conlagrato et meflo nel numero de
gli Dei, come fi vede perle medaglie d’Anconino Pio, nelle quali è Romolo
veftito come vn Marte,che tiene da vna mano vn’hafta et dall’altra
vn trofeo fullcfpallc con quelle parole, romvlo avg. ANTONINO
~P To. BRONZO. BRONZO. La lini plici ta degl’antichi fu tale,
che non badando roma. j oro j iaue r C deificato Romolo, fcciono
anchoradiuerfi templi à Roma, et la chiamorno Dea, dipingendola vna
r volta DE GL’ANTICHI ROMANI, k;i volta vcttoriofa con vna hafta in
vna mano,& nell altra vna vcttoria che l’incoronaua di lauro, et altra
volta con vn globo, in fegno della Monarchia,& limili parole* r o m
ae AETERNAE. NERONE ARGENTO FILIPPO ARGENTO. Roma eter
no. Et nelle medaglie di Malfientiofitrouano Umilmente più templi dedicati
i Roma eterna, la quale i lèdere fopra certe infegne militari,&convn
morrione in tcfla, hi in vna mano lo ficctcro,& nell’altra vn globo,
che ella prefenta all’Imperatore coronato d’alloro, lignificando
che egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff entio vna
Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi, il ‘onferu*dardoche egli hi
in vna mano,& dell’altra piglia ilglo bordino con la fiua corazza et mantello
militare, et lettere intorno che dicono,
conservatori vrbis AE T E R N AE. \C l MASSENTIO
BRONZO. BRON ZO. Vcfpafiano fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue
meda SdTRoM gta Roma con vn celatone incapo, la veflecinta, meznrOr meda-
za ignuda, lo feettro in mano, gli (liualetti in piedi, col glie di ve-
Teuero prediche havn giunco in manovella appogfrajìin 0 . gj ata ( a f cttc co
ijj ? lettere che dicono, Roma.Ec nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn
ramo d'alloro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con vn globo
fotto i piedi. VESPA’ iiti M. AVRELIO
ANTONINO (si veda) BRONZO Mentre che io fcriucuo quelle cofc,mi fu donata vna
KmJi. 4 medaglia di bronzo, nella qualeda vn Iato è la teftadel
Sole,& dall’altro vna Luna convn globo, et due (Ielle r opra,con
lettere fottoche dicono, Roma, lignificante le vectorie et fatti de Romani
rifplcndeuono, coll Sole per tutto il mondo, &erano (àliti (ino al
cielo. ITALIA. MEDAGLIA DI ROMA? BRONZO. Non
ballando à i Romani haucrc figurata Roma in tanti modijfcciono quel
limile d’Italia, coronàdola come Reina del mondo à federe fopra vn globo
(Iellato, et mezza ignuda con
vnofcettro&vn corno d’abbódanza,in fegno della fertilità del paefe
d’Italia, come fi vede nelle medaglie d’Antonino Pio.
ANTONINO PIO BRONZO BRONZO. Volendo à pieno narrare le Iodi di queda
Prouincia, noi ci diuertiremo troppo dal nodro intento principale:
Pur DEGL’ANTICHI ROMANI. i<r 5 Pur nondimeno non
lafciercmo di recitare qui quei yerfi che il Petrarca, tornando di
Proucnzain Italia, Pt(Wrt, cantò arriuato falla cima del Mon Gencua,in
quello modo, Saluecard T)eo tellnsfdnBifimd ftlue, Teìlus
tuta honis } teUus metuenddfuperbis » Tellus nobilibus multum
genero f or oris . Ne manco voglio lafciare in dietro che Collantino
Impciatorc fece battere medaglie di bronzo in Roma,nelle quali da vn lato è la
lupa che lecca Romolo et Remo mentre ch’ci la poppanoj&rdall’altro la
Tua tetta. Et in Collantinopoli Umilmente dipoi fece battere monete d’argento
et d’oro con la Tua tetta, et lettere che dicono, constantinopolis, lì
come in quel Jc di Roma haueua metto, vr b s koma. Ver fi iti
Vttrarcd in lode i'itnIU. COSTANTINO. BRONZO.
ARGENTO. ScriueStrabone(parlado d’Italia) che in quettaProuincia fitroua
il temperamento dell'aria migliore che in altro luogorl’abbondanza delle
fontane et de bagni ft «* falubri,per Jacommodità&fanità dell'huomo,
i frutti i L 3 buonijc mine-di cuttii metalli, et marmi di diucrfi
coìtJid gU lori, onde non fcnza ragione, è ella Hata Regina del rtgin*
del mondo, producendo tutte le cofc neceflarie alla vita mondo.
humana:huomini eccellenti ncllarmc, et nelle lettere, nella pittura,
(cultura, architettura, et in tutte lecofe più rare&fingulari,lc
quali con molti libri farebbono anchorain piede, fe la maladctta et barbara
natione de Gotti, non l’haueflc tante volte corla et moleftata.Ma
perche di fopranoici trouiamo hauere aliai ragionato vetto- delle
Vcttorieicolpitc per tante medaglie, non faràfuoradi proposto (feguitando il
fubietto della noftra materia) di (criucrecomeanchora quella fu da gli
antichi riputata vergine et Dea, et fattili più templi nella Gre- .
pittura del cia,douc (comefcriucTaufaniaró^tf/Và) ella fu adorala vetto-
figuratacon l’alie,vna corona d’ Alloro in vna mano,& nell’altra vna Palma,
’& lotto i piedi vn globo :anchora che Domitiano la facelTc dipingere con vnCornocopia,fignificando
che dalla Vettoria nafee l’abbondanza delle cofc.
DOMITIANO. BRONZO. BRONZO. ic 7 tc perii rouelcio della
medaglia d’argento diL.Hoftilioli troua la Vettoria figurata con vn Caduceo
in vna delle maniche lignificala pace di Mercurio, Se ncLl’altra vn trofeo
delle fpoglie d i ninnici, modrando-chc la guerra et la Vertoria
apportano la pace. JL. HOSTIL1O. ARGENTO.
DOMITIANO. BRONZO. Ma Tuo Imperatore la feccfcolpire nelle fue meda-
vittore del glie d’argento con vna palma et corona d’Alloro fenza
'alimonie quellochc no voleua chcella difpartiffc mai da.ìui: Se co fi la
dipinfero gli Atenicfi (come dice Pausania nelle fue Attiche) per quella
medefima ragione. VÈSPASIANO. TITO VESPA. L
# ics Labaro in l cm,c medaglie doro io n’ho vna
d’Auguflo,’ ftSM pria- nel rouefeio della quale e vna Vetcoria
Copra vn globo cipde de et l’alie aperte per volare, con vna corona
d’Alloro in ri«per<- vna mano ^ nell’altra il Labaro, infegna dcll’I
mperatore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta, folita portarli innanzi al
Principe, quando in perfona fi trouaua alla guerra, come inoltrano le
lettere che intorno alla, medaglia dicono, i mperator c Nella
declinatiòne dell’Imperio Romano, commin-' linoni ciorno di P oi
gl’l m P cratori a fare <ii P in 8 ere l’Aquila in tT quello labaro,
come fi vede nel rouefeio della medaglia di Maflcntiojdouc fi vede
armato della corazza, et velie militare con il Labaro in vna mano,&
nell altra vn ramo d’Alloro,le gambe armate, et vna Prouincia, ò nimico folto i
piedi, et lettere che dkono, victqru 1 AVGVSTI LIBERATORI ROM ANOIVM.
Bctt che dipoi folle vinto da Collantino Imperatore, in virtù
d’vna Croce, ò figlilo moftrato al detto Costantino i<r? {lamino
in vifionc, et ancho perche fu aiutato affai i lf'g»optr da 1 medefimi
Romani, et chiamato in Italia, non potè- ^n 0 ^ Un do più fopportarela
tyrannide di coli crudele huomo. Haucndo coli Coflantino reftituito nella
fua dignità Tlmperio, fi fece Chrifliano, et volle che tutti gl abri
cojUntino adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, et per
l’innanzi portò lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii
pcrinfegna,di fcarlatto, et d’oro con quello carattere» fesche non
lignifica altro fe non il nome et la virtù di christ o, accompagnata da
lettere, A. et w .cioè, che sìgnìficatio il principio et la fine di tutte
le cole è Di o, et ancho per- nf<u, “ n che i Greci feriuendo il
nome di Chrillo, cominciano per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti
hanno errato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Croce d’oro che
Collantino haueua fatta lare partendo di Francia per andare à combattere
in Italia con Malfentio. Vfarono poiifucccfiori di Collantino lungo tempo
quella infogna, come fi vede per le monete di Collante» nelle quali èl
lmpcratorc armato col mantello digucrra, vna Vettoriain mano, che lo vuole
incoronare d’Al loro,& in vna altra tiene il labaro col fopradetto
fegno di Collantino, pofando i piedi fulla prua d’vna galea» il
tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria, et let tcrecbc dicono, f elix temporvm
reparatio* V, L
MASSENTIO. ARGENTO. COSTANTE. ARGENTO. G'udUno
Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino àpojìata. £
j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella inlègna&figillodi
Coftantino con limili parole, s a lvs DOMINORVM NOSTRORVM
AVGVSTORVM LVCET, COSTANZO. DECENTIO. BRONZO. BRONZO. s. a mbro-
Chetale figillo forte il fegno diChrifto, dimoftra S. I 10 '
Ambrogio nel v. libro, et nella Epiftola xxix. che egli
fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi àquerto
modo: Chrijhts . i 7 x Chrijlus purpureum gemmanti textiu
in auro, Signabat labarum,clypeorum infignia Chrijlus
£crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis. Era quello flcndardo
fatto di fcta pagonazza chermi fina con vna frangia d’oro tutto intorno,
ornata di pietre pretiofe,nel mezzo del quale era la Croce di Chrifto
fatea di riite uo,& nel mezzo di quella ricamato il fegno di Coftantino, &cofi
legata fullacima d’vna lancia dorata fi portauain tutte le guerre dinazià
fopradetti Imperatori, quali nel modo che fanno hoggi gli ftcndardi,
dedicati chià vn Santocchi àvn’altrod’alcu ne religio iccompagnie. Ma
ritornando all’imagini delle noftrc comedipin Vettorie,dicochegrantichi
ladipinferoin formad’An gclo con l’alic,& bene fpefioà federe fopra
le fpogliede torio. nimici con vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con
vna palma, &vno feudo &paroleche diceuono,vicTORi a a vg vs
ti, nel modo che l’ha dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano. do ci
dice: Jpfa Duci [aerai ZJittoria panderetalos, Et palma
viridi gaudens et amica trophaù. Cujlos imperij 'virgo qua fola
mederii ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m. Et
Plinio dille, Eaborem in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI M.
IONE COMMODO. avremo. BRON/O. Et perche la
vettoria non fi può acquetare IcnzaFatit ° ca >f enza virtu,ne lènza forza,
non farà fuora di propofifigura codi ragionare qui d’HcrcoIe, che ne guadagnò
tante in <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo figurare la
virtiUo ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro appoggiato fopra
al fuo ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata intorno al
braccio, et altre volte tenédo abbracciato Anteo, il quale vccifc, come dice
Giuucnalc, - Ceraie il us ctquat H erettiti ^Anteum
pronti a tellure tenenti*. Nel quale modo lo dipinfcroanchora nelle
loro medaglie Hadriano& Poftumio, con quelle parole, hercvli
MACVSANO, HA D. D’ADRIANÒ. POSTVMIO. BRONZO.
BRONZO. Et fi come la mazza et in
lione fono due cofc fortiflì- Pm . mc,& la virtù e fiata Tempre
figurata ignuda, come quel tribuirono la che non cerca ricchczzc,ma
immortalità,gloria,& ho norc,comc fi è vifto in vn marmo antico che
dice, vi r- U pelle del T VS NVDO HOMINE CONTENTA EST, Cofi
el’antichi volendo moftrare la virtù d’Hercole, doppo la morte lo
figurorno ignudo, con la pelle del lione et con la mazza, &. la mazza et la pelle
infiemc,comc fi vede per le medaglie qui di fiotto. PRIN. Ss.
JW/ »74 PRINCIPESSA DI
MACEDONIA. BRONZO. BRONZO. Q^CINCINNIO III. VIR.
AVGVSTO. argento. ARGENTO. mix* di Fu chiamata da Greci quella
mazza psrraAc*, la quale Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo
Hercolc)accompa-] Ja Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn
ramod’Alloro Kbopalos. nc J} a ma dritta,& nella finiftra la
mazza,& vna pelle di lione,chiamandolo Vincitore: et volédo per la
mazza anchora lignificare la prudenza, conia quale fi gouernaua in tutte
le fucimprefe. ;; i CAN. i uaif f [lor
llc<5 n» ifltf Vii CANTIO.
MEDAGLIONE D’ARGENTO. COMMODO. Apulco lo nominò cercatore del mondo, domatore
Epitetili de gl
huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore di lioni et di
tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo. In honorc fuo,ncI modo
che fi vede qui di Cotto. t tonilo. MED. GRECA. C. BRONZO.
POBLITIO. ARGENTO. | iv laVttUia i/wiv. w v< » »•»»
pelle di lione et della mazza, fu, perche in quel tempo
nons’vfauonoaltrearmijche le pelli dcgranimalifaluatichi> per coprire il
corpo : et i baffoni per offendere i nimici, i 7 <r Arme
che nimici^ vendicare l’ingiurie. Et perche Homcro con o mo ^‘ a ^ cr *
P° ct * hanno fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe "L Suo ro cane con tre
teftejdell’inferno^crò mi c parfo non HtrcoU. fuoradi propofito
riprefentare qui appreso la figura d’vna pietra antica, fiatami mandata
da Narbona,&ritrouata in quel tempo che fi cauauono i fondaméti de i
baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di fiotto. S1MVLACRO DI
HERCOLE ET DI Cerbcro.ririrato d’vn mattilo antico di
Natbona. “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero per tutti
i vitij,lfati fupcrati et vinti della virtù d’HercoIe, co me più
apertamente potrà il lettore vedere nel trattato * che hà fatto Lilio
Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi leda (fatua del quale fu
altrimenti dipinta con tre palle nella mano diritta, &nclla manca la
mazza, volendo Lffr ; wr . perle tre palle lignificare la virtù di tre
colè, cioè, lènza tudiHcrto ira,fenza auaritia,& lenza defiderij
vitiofironde ancho- k ’ ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua di bronzo
con vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era flato il
fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi. Fu oltra à quelfo
dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A fpctic di Salicio, del
quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica girlandc, volédo fare à
Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 " ffro Virgilio, doueci
dice, “ Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria circuì n
*?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit. Soggiugncndo
altroue, Copulai ^Alcida gratif ima. La quale cofa fi conferma
ancora meglio per la medaglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da vn Iato c la
fua telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno ai
collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni, et Fetonte caduto del
carro del fole con ini i.caualli, la faccia del fole, et lettere intorno che
dicono, a’at'nata z h t n n, lignificando che ei cercauacofc
impolfibilipcr le forze fiumane. M MED. GRECA
D’HERCOLE. BRONZO. BRONZO. Fuanchoradipintoquefto Hercole dagl’antichiGrc
cicon la pelle della teda del lionc in capo, in cambio di celata,
vn’arco,vn turcaflo,& la mazza,volendo lignificare che la virtù dell huomo
fcrcifccdi lontano. MED. GRECA BRONZO. D’ERCOLE
BRONZO. Non V .r,.t* mi t'W. §*
T* 1 b i^v flfr m m
17 Non porto fare che (criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor
di&non mi rida anchora della bertialità di Commodo Imperatore,
che vanamente afpirando aU’immorralita p * zz u del Tuo
nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto iuuidiofo £ della virtù
d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio, &della carta
fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M. Aurelio, vollceflcrc
chiamato Hcrcole figliuolo di Giouc:& lartciando I'habito d’imperatore
Romano, fi veftì d’vna pelle di lionc, portò vna mazza in
mano:&mefco landò le vcfti di porpora ricamate d oro con quella
altra, non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi al popo
Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’argcnto,& di brozo,
nelle quali da vn lato eia fua iella acconcia come quella d'Hercolecoil la
pelle del lione, et d’allaltro l’arco,
il turcaflo,le freccierà mazza, et lettere che dicono, hercvl 1 romano
avgvsto. p, MEDAGLIONE DI COMMODO. bronzo. bronzo. M
z Dione. Colonie Commo dma. COMMODO.
BRONZO. Ne contento anchora Commodo di quello, vollc(co me
ferine Dionc)eflerc chiamato Hercolc fondatore di Roma, facendo battere
monete, nelle quali fi vedeua in habito d’Hercolc condurre due buoi, in
fegno di nuoua colonia, Scche ci voleua mettere nuoui habitatori in
Roma, la qualcchiamò Commodiana,&Cómodiani i Tuoi faldati, comefi
vedepcr le lettere, chcdicono,coLo N I A LVCII ANTONINI COM MODIAN A. et altrOUC,
HERCVLES ROMANVS COND1TOR. COMMODO. Ma quello chein
quello moltrò anchora più la Tua pazia, furono i titoli,! quaIi(fcriuendo
al Senato Romanojs'atcribuiua in quello modo, IMPERATOR CAESAR
LVCIVS AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS PIVS FELIX SARMATICVS
GERMANICVS MA-XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S TERRARVM INVICTVS ROMANVS
HERCVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNITIAE POTESTATIS XVIII. IMPERATOR Vili.
CONSVL VII. PATER PATRIAE CONSVL1BVS PRAETORIBVS TRIBVNIS PLEBIS SENATVIQ^VE
C.OMMODIANO FELICI SALVTEM. Andando poi per paefe. lì faccua portare
innanzi la mazza,& la pelle di lionc, onde molte ftatuegli furono fatte
alla fomiglianza dell’altro Hcr cole antico.Dal quale propofìto
ritornando à quello del noftro Hcrcole vcro, et lanciando in dietro tutte
le fauolepcr accodarci alla verità deirhiiloria, diciamo che(lccondo Halicarna lTeo)
Hcrcolcfu vno eccellente Capitano, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn
efferato gagliar do, pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando
i cattiuicoflumide gl’huomini, ipegnendo i Tiranni,! ladri, et giada
Alni coll Greci, come Barbari, et Latini: edificando nuouecittà:&
drizzando per publica vtilità (quello che è il debito d’ogni buon
Principe) i camini, et fiumi che
guadarono il paefcrdella virtù del quale, quatuque iohaueffi deliberato nó fare
coli lungo dffeorfo* nondimenoilgran numero di mcda^licchc
iomitroua di lui, mi conllringono,per piacere ai letterati amatori
delle cofc antiche, di leguitarc et mettere inanzi Hcrcole,chiamato da i
Franiceli Ogmionffccondo la narratior. ri M 3
. rou[' r8i I nomi istituii
che fi duua Commodo. Qual fu hcrcole fecondo
li Hi fonografi.hcrcole Gallico. l i$zne di
Luciano oratore &Filofofo Greco, il fenfo della come i Fri quale
fatto prima latino da Erafmo, è tale: I Francefi in « fi dipinfe loro
lingua hanno chiamato Hercole Ogmion,& l’hanroucrtole. n0 formato in vn
modo molto nuotio et Urano, però che ei l'hanno figurato vecchio, canuto,
et decrepito, tutto caluo dinanzi, con pochi capelli, dietro
"rinzuto, et cotto dal Sole come vn contadino vecchio, o
marinic rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole fenon per
l’habitochc ci porta, veftito d’vna pelle di lionecon la mazza, l’arco
tefo, et il turcafiòda quale cola io harciccr tamentc penfaro che folle
Hata fatta da i Francefi in dcHtrtolc rifione et difprcgio di quei Grcci,chc
haueuono fcritto negno^l ^ oro Hercole haueuafeorfo come virtcitorc
ilRe f ranci*, gno di Francia, {ciò non hauclfi villo vn numero
infini to di huomini,& di donne legate per gl’orccchicon cate•
nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua d’HercoIe, lenza fare non folamcntc légno
d’cllérccofi menate contro alla loro voglia, et di volere rompere i
legami, ma parendo che tutti facclfinoà gara di follccitarc il palTo piu
di lui, dubitando nonrcllarc indietro, anzi leccando lecatenc,
comecola grata, métrcchc Hercole col vifo volto inuer fo loro gli
guardaua tutti allcgramentcril quale miflcrio mentre che coli riguardato
arrccaua marauiglia à Lucia no, dice che vn altro Filofofo Francclc,ma
dotto in Grcco,fc gli fece innanzi et dille. Amico io ti voglio dichiarare la
difficultà di quella dipintura: Sappi che noi altri Francefi non
attribuiamo l’eloquenza à Mercurio, come vo i a Ic r i Greci folcre fare, ma à
Hercole, come quclédanreolc. lo che è più robullodi Mercuriodà onde tu non
«debbi marauigliarc fe tu lo vedi vecchio, con ciofiaj che l’eloqucnza
rade voice è ne i giouani,eflendo offufcaci dalle tenebred’ignoranza,ondc
la lingua de vecchi lènza pafjfione pronuncia più cleganrcmcnrcifuoi concerti,cncc
il lignificaco di quella pitcura, volendo inoltrare, che il parlare
ornaco li eira apprcflo le perfone perlaconuenicnza,che
hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci debbi marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc,
che egli habbia la lingua toraca, conlidcrandoche noi vfiamo nelle
nollre Comedicdidire,che cucci coloro hanno bucara la lingua che parlono
aflai,& bene, come faceua Hcrcole:che per ciò(lecondo l’opinione di
noi alcri Francclì ) lì rcn- Hfrf0 / f dcua luggecce cucce
lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo fcrf ccua, mediate
léfóttìliflìmc et ingegniolc ragione ch'ci
{àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe
leacucezza et foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom freccie, per
l’arco et pel curcalTo:onde voi alcri Greci loIecedirechela parola c
pennucacome vndardodaqualcinccrprecacione ci fcruiràhora Umilmente per
ilcriuc redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon le quali ammazzo il TerpencePitone,&
per ciò daHomcrofu decco L0> ^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i
Greci Io figurornoinquello modo, come fi vede per le medaglie di Nerone,
doue da vn laro c dipinco con vna corona d’alloro, il curcaflo Tulle fpalle et la
ftella di Febo, con lectcrc che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo
Conferua tore,lì come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel
me defimoTenfo. A M 4 CLAVD. NERONE.
ARGENTO. MEDAGLIA GRECA. BRONZO. Apollo dio di
[oiukori di lira. Quella lira fu attribuirai Apollo, perche
gl'antichi penfornoche cifofle Dio de fonatori, dipingendolo ancora con i
capei lunghi fenza barbala lira, et vn ramo d alloro in mano,& vn
altra volta con vna tazza et vna, velie lunga fino à i piedi, per
mollrare la fua deità. AN I l ANTON.
PIO. CARACALLA. ARGENTO. ARGENTO. Ma i Grecigh attribuirne non
folamcntclalloro per vdHoroc 5 la fauoladi Dafne, ma per la virtù
della pianta Tempre f*sr*to ai verde, volendo mollare l'ctcrnftà del
Sole, et perche - 1 ella feruiua nella purificatone de i
facrificij, et perche la è mai touo factranonla tocca,comciha fcritto
Plinio:& pcrchcdi U f* u ~ quella s’ornauonoi turcaflì, le citare,
&i cappelli de gli L'alloro de Imperatori, quando trionfauono con vn
ramo d’alloro dic .* t0 in mano, onde il medefimo Plinio la chiamò
Portinaea delle cale de i Cefiiri et de Pontefici, et nuntiatrice di \
vettoria, conciò fia chela coróna d'alloro foleua ariti- 1
camente Ilare legata dinanzialpalagio de gli Imperatori, con quella di
Quercia in mezzo, come fi vede per il tcftimoniod’Ouidio nel primo libro
del Mctarriorfo- o iddio. (co douc ci dice, *
JMediamtjtie tuebere ejuercum. Delle quali corone fi rrouano tutte
piene le monete de gl'imperatori in quello modo, < M j
v: c'n;.m r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop tic DE LA
RELIGIONE AVGVSTO. BRONZO. ARGENTO. Plinio. Inodore
di rdUoroftfc ttiU pejle. Dbterpcpà ture de U
flatua d'Ar pollo. Probo. La virtù di qucfta
pianta c tale, che fc nel tempo di peftc(comc fcriue Plinio) i’huomo
(blamente l'odora Se porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per certo
fi legge che cflendo vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò à
Laurentojcoficonhgliacoda i medici Tuoi, per cflcrc quel luogo abbondante
d’allori. Et quanto alì’imagine d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la
lira, con la quale lo (oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore
Gallieno (volendo moftrarela (ua im prefa d’Oriéte) lofecefcolpire
informa di Ccntauro,con la lira in vna mano, et nell'altra vna palla con quefte parole.,
apollini comiti, moftrando che egli andaua col fauorc del Sole. Ma Probo
lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in capo, et con la briglia in mano di n
n.caualli, chiamandolo luuitto con quefte parole, soli invicto. Et glabri
Imperatori, come Coftantino, Aureliano Se Crifpo ftamporno nelle loro
medaglie il Sole ignudo, coronato di razzi, con vna palla nella mano
diritta, Se nella DE GL'ANTICHI ROMANI. nella manca vnasfcrza,
con limili parole, soli invicto coMiTi, fignificando,che con 1 aiuto d Apollo
egli haueuono vinto &lbttomeflcdiucrfe
regioni. GALLIENO. BRONZO. COSTANTINO. BRONZO- PROBO. BRONZO. A
VP ELIANO. BRONZO. Ec perche alcuni hanno detto che il tempio del Soìè
Tempio del era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi la SoIe
' medaglia di M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fifigurato il Sole in
vn.tcmpio quadrato,& accompaqnato da simili parole, in. v ir r, p. c. cioc,
trxvmvir i38 vir reipvblicae constitvendae, &dalf altro Iato, MARCVS
ANTONIVS 1MPERATOR. M. ANTONIO TRIVMV IRÒ. ARGENTO. Moneta
di I Rodi anidipinfono nelle loro monete il Sole coni KodianL razzi
j n capo, lenza barba, et con i capei lunghi da vn lato, et dall’altro
(colpirnovna rolà,Hora in vn modo,& horain vnoalcrocon quelle
parolcpoamN apiztoKPITOI, Se POAION, MONET ARO PIANA. VVù OiT^
v iV MONE DE GL'ANTICHI ROMANI. <i8j> MONETA RODI
ANA. BRONZO.ALTRA MON. RODIANA. ARGENTO. Etne roucfci delle
medaglie d’oro di Traiano, Ha- Vorlpat ' driano>& Aureliano
Imperatori fi troua ( fecondo l'v- u°mc2gul fanza de Greci) fcolpito I
Oriente per la faccia del So- de limptle,con lettere che dicono, oriens. Ma in quelle
di ratoru Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo accompagnara
dadueferpi,comcPythio, et nelroucfcio della medefima medaglia vna Vettoria,che
tiene per la briglia i caualli del Sole. TRA Coloffo
Rodi TRAIAN CL AVREL1ANO. ORO. ARGENTO, ' Non erTlaTnaTa Tintcntionedi
fcriuerc altrimenti del ColofTodiRodi, il quale è la flatua d’Apollo,
perche io ne haueua già parlato nel fecondo mio libro dell’ANTICHITÀ DI
ROMA, ma essendomi flato predato vn certo libro Greco antichiflìmo, et lenza
Autorc/critto a mano da M Giorgiodi Vauzelles Caualierc di Rodi, ed onore della
Torretta, quale egli haueua portatodi Grccia, non ho voluto mancare di
communicarc a gl altri huomini ì*r huomini quello, che io ne ho
ritratto intorno à quello, nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del
mondo (dice egli) era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi Deferito fatto
in honorcdel Sole, da Colalìe in dodici anni,& altodi fettanta cubiti. La
bafeche lo fofteneua era trian a. golare, et ciafcuno lato (ottenuto da
fettanta colonne di marmo. La (tatua era tutta vota dentro et fatta à
(cala à vite, per la quale fi faliuafinoà la cima:&quiui erano
diuerfi ftromenti, che in verfi Iambici faccuono vna mufica foaue. In quella
(tatua, la quale era volta inuerfo Egitto, fi vedeua tutto il paefedella
Siria, et i nauili che andauono in Egitto, mediate vno fpecchioche ella haucua
legato intorno al collo, cttcndo del retto tutta ignuda, con vnafpada
nella mano diritta, et nella manca
vn’hafta lunga,tanto che la (pefa costa ccc talenti d’oro. Aucnne di poi, che
doppo cinquanta anni, che ella era ftatafatta,ellafu metta per terra da
vntremuoto, che durò vii. giorni, et coli rotta in Mirrile piu parti (ì
trouauono pochi huomini, che potettmo ab- trmuoto ' tracciare vnodei fuoi
diti grottì,& colui che ne comperò i pezzi del bronzo, ne caricò 500.
Camelli.Ma ritornando al noftro Apollo, et alla diferenzachc egli hebbe
rifiorii* con Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A P °£
9 libr.de fuoi Floridi, dico che à cottui parcua edere coli
eccellente, che accecato dalla fua infolenza, non fi vergognò di volere
competere nella mufica cori vntanto . v Dio,allaprc(cnza delle mule, le
quali, data la fentenza in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato Marfiaad
vno al- M bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua temerità,
fiortiutt. lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne i. t:
fuoi isn . Tuoi Farti, dicendo, o uidio. ‘Prouocat et e
Phcebum i < Phxbo fuperante pependin. Cafa recejprunt a cute membra
fua. Et Nerone nel fuofuggello, del quale la figura cpofta
qui di fotto. sy OO LL LO DI NERONE RlTRATTO d’ t ma pietra
tattica. Dipingeuono fimilmcntcgrancichi Apollo accomdtUc°Mufe pagnato
bene (peflo dalle Mule, volendo inoltrare che con Apollo, tra lui Sdoro,
è vna naturale conuentione, fi comcmoVirgilio, rtrò Vergilioall’horache della
natura di quelle ragionando dille, In medio rejìdens compleBìtur
omnia ‘Phccbut. l*. ùv/è Le quali però fumo da gl’antichi vergini
figurate(coucrgini. mc h a fcritto Phumuto) perche il frutto delle
feienze « . ' nafee, nafcc dal giuditio dell’ingegno, et perche la
virtù occul ta fi contenta del fuo ornamento naturale: &: che l'habitationc
delie Mule uer i monti &; per i bofchi,non fignifica altrove non cal gli
huominipiù dotti et ccccl- imonti. lenti viuono,& vanno volentieri
foli,& feparati dalla ignoranza della plebe, (blamente (come dille il
Petrarca)al vii guadagno intenta, imaginandofi la (ciocca, che le lue
ricchezze le habbinoà infondere ad vn tratto la fapienza,& la
dottrina nel capo, perii che diuenuta infolcntillìma, et volendo
riprendere quei, che fanno più dilei, rimane alla finelcorbacchiata et fcorticata,
come vna bcllia della propria pellciilqualc propofitocoti fermò Plutarcho
quando fcrilTechei templi delle Mufe non fi trouauono altrouc le non
lontani alle Citta, et a i eradichi de gli huomini plebci:& Orfeo et Proclo
hano voluto che le Mufe fodero le prime inucntrici della gionc . rc rcligionc,dclla quale ritorneremo fubito a
parlare, che noi haremo inoltrata la figura del Trepie,ò Tripode
d'Apollojgià tanto celebrato et venerato da gl’antichi. S Apollo, Di
quello adunque fi vede il difegno nelle medaglie d’argento di
Vitcllio,& di Vefpafiano,& (quello che io Rimo anchora più cofa
rara) in vn dialpro rollò antico che io hò meco, douc egli e figurato con
vna cornac- a j chia,la lira,& vn ramo d’alloro, tutte cofe
conlagrate à a pollo, lui, come qui fi vede. N t>4 DIASPRO
ANTICO. VITELLIO. ARGENTO. VESPASIANO:ARGENTO. Il
iimu Tf » Il fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella
ìtsoledrt loro lingua HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impelatore Antonino,
coli chiamato anchora lui, il quale nel (,«/„ monte Palatino gli fece
fare vn tempio (come fcriuc Lampridio)& qui volle che non folamcntci
Romani, r ma i Chriftiani et Giudei facchino tutti i loro
facrificij, non per altra ragione, fe non perche nella fuagiouanez- rèpio
dedi za egli era flato fatto fàcerdotc del Sole, honorato et ** s
®: tenuto in grande riuerenzada i Fenicij, però che gl’ha-
tiero&mo» ueuono fatto vn tempio marauigliofo di pietre quadra-
Antonino te, et (come fcriuc nel 5. libro Herodiano) ornato
dargento,d’oro,& di pietre prctiofè : onde io ho tra le mie le. due
medaglie d’argento del detto Imperatore, nelle quali fi vede in abito di
fàcerdotc di Fenicia facrilicare al Sole con vna tazza in vna mano,&
nell’altra vn ramo d’a!loro,&fopra l’altare, doue c il fuoco
accefo,fi Vede il Sole,& lettere che dicono ncll’vna delle medaglie,
svmmvs sa cer do s, et nell’altra, invictvs sacerdos,chc fono i medefimi
epiteti del Sole. HELIOGABALÒ. ARGENTO. FORTV NA. t5rf
Io nonmidiftcnderò più oltre àfcriucre la vita federata di quello Imperatore,
ma bene mi dorrò del cieco et tirannico arbitrio della Fortuna, che lo
meflc in quel luogo che ci non mcriraua,ficomcanchora veggiamo che
ella fa di molti altri à i tempi no(lri,onde gl’antichi volendo moltrarc
la fua portanza, et come ella gouerna tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con
vn corno pitta* de d’abbondanza in vnamano,& nell'altra con vn
timone U fortund. Ji nauc fopra vna palla. TRAIANO BRONZO. HADRIANO.
ORO. ARGENTO. ANTON. PIO. ARGENTO. 1*7 F,u Umilmente
figurata da glantichi à federe in terra col comocopia,& vn braccio
appogiato fopra vnaruota,per moflrarc la fua inconftanza, et limili
parole, fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le Aprile
rrcclcbratilfimo pittore Greco,domandato perche haucuadipinta la Fortuna à
federe, rifpof? chchaucuaciò fatto per che ella non haucua mai
ripofo. ANTON. GETA TRAIANO. argento. argento.
Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i Greci lachiamorno sella
folle fiata buona,*«^ w, ^ ^ *»»comc fi vedrà per vno intaglio antico
portato di Gre- fortuna cia,& donatomi da Frate Andrea Thcuet
d’Angulcmc, nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con molte al-
Caladi tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel libro
che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnando in quello mezzo la nollra
Fortuna d’vnDiafpro, et d’vna Corniola
antica,doueella c fcolpita con vn corno d’abbondanza, et vn ramo d’alloro,
lignificando DIASPRO antico, corni OLA ANTICA. La fortuna
accompagna il Ut to diCefari. Vlinio. Difftnition de la
fortuna. Arijlofane.Tempio fuperbo de la Fortuna in
Prenefte. Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro acr
compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori, et che quando ci veniuonoà
morire, in Tua prefenza eraportataàiloro fuccelforr.ondePlinio la chiama
leggiera, inconftante,&fallacc,come quella che fauorilcei manco
degnirnon dimeno, alla verità, la Fortuna non c altro che la prouidenza
di Dio, dalla quale fecondo i noftri iteriti noi riceuiamo male,ò benè.Et
la caufa perche gl'antichila dipinfono anchora cieca, fu per la
cagione nominata di fopra-di che ha molto bene icritto Ariftofahe nel fuo
Plutone,DiodcIleRicchezze:il quale argu • mento hà Tradotto Luciano nel
fuo Mifarftropos.il detto Ariftofanc fcriue che quando Giouc donale
richczzo à i buoni, ei fi moftra zoppo, et porgedoleà icattiui,corre
leggiermente. A‘ Prtfncftc anticamente fu il fupérbo . tempio di Fortuna
cdificatoda Sylla, con la Tua ftatuà di bronzo dorata, la quale èra di
tanta eccellenza cheli foleuadire perproucrbio(volendolodarc vna
cofaben dorata w> dorata) la doratura Prcneltina. Nc
contento Sylla di quello, cominciò à fare il pauimento di detto
tempio di Mufaico,chegl’antichi chiamorno Lytoftrates, con mirabili
figure di diuerlì colorali comcPlimo (parlando dei pauimenti) fcriuc nel
xxxv. capitolo del xxxvi. libro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna
può molto nella guerra, però mie parfo di collocarla preffo lo Dio Marte,
al quale i Romani feciono fare diucrli templi,&dandoglifacerdoti,
detti Salijdo chiamorno vna volta Vincitore, all'hora cheei porrà vna
Vettoria (lilla mano:vn’altra volta Propugnatore, Vendicatore,
&Pacatore, quando egli haucua nella mano dritta vn
ramod’vliuoj&nellaltrala fuahalla con la corazza à i piedi, et dinanzi
targhe, rotelle, et il celatone,con vn pen nacchio,& lettere
cnedicono, Marti pacatori, lignificando che quelli che vanno alla guerra, li
debbono lenza paura moftrarc à inimici. M«
[aito. MARTE- Epiteti di Marte. Qui ua alla
guerra non deve ha tter paura. V1TELLI O. ANTON.
PIO. zoo L’haftachc eiportauafu chiamata Qiiiris dai
Sabini,& Romolo Quirino,comefi vede per le infralcrittc medaglic,doue
egli è dipinto tutto armato, per fignificare,che lui era vendicatore, nel modo
che lo chiamarono i Romani. QniriJ. Marte QH* rtno. ANTON. PIO. BRONZO.
V aoi GORDIANO. ALEX. MAMMEA. BRONZO. HADRI
ANO. ARGENTO. CLAVDIO. BRONZO Il tempio di Marte
Vendicatore fu fatto i Roma per Tépioetifì Cefare Auguftoin forma tóda,à
cau fa della gucrra.chc egli haueua giurata concra Filippo, per vendicare
fuopa da a ugufto dre,come fcriue Suctonio,& Ouidionci Falli, doue ei
Ct f* re ’ dice Tempi d feresfè) me vittore Vocaberis Ultori
ouidio. Uoueraty&fufoUtnt ab bojlereJit. Scriue
Dione neliniUibrodellHiftoriaRomana, che OÌ9at » N
5 ARGENTO. r pmfr.DELLA RELIGIONE Celare Augufto edificò
quello tempio in Campidoglio} et vi fece portare gli ftendardi
&inlcgne militari, con l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo
anchora maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece condurre il carro
fui quale egli haueua trionfato. AVGVSTO. L. - CTN NX ARGENTO.
ARGENTO. Si come gi’antichi dipinlero Marte, nelle maniere già ville
di fopra, chiamandolo infieme con Giouc Vendica torc et Propugnatore, et in
molti altri modi Greci et Laùniche forebbono troppo lunghi à raccontare, coli
dir pin AVGVSTO., . Ci, ARGENTO.*>3 jpingendo
Venere, la chiamorno Vincitrice, con la Vetraria, Io feeeero et appogiata fopra
vno grande feudo, et v e n b altra volta con vn morrionc in luogo di Vettoria,ò
con R E * vna palla, in figno che ella haucua fupcrate in bellezza
tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde Poeti, era carro div e
tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio, - JuriBif^ue per dir A
cygnis 'C arpie iter. CARACALLA M ACNVR B FcX
nere tratto da duo tigni. PLAVTILLA. FAVSTINA. La
Ve io4 venere La Venere chei Greci chiamorno Afroditi,i
Latini 1 hanno detta Dea di bcllcza,&di
gencratione,nata(fec6 do i Poeti)dclla fchiuma del marerEt Cicerone nel
libro della Natura de gli Dei,parlado di i n i. Venere, dice che
Tempio di l’vna fu figliuola del Cielo,& di Giouc,&haucre vifto
il eMc* hi o tempio in Elide: l’altra vfeita della fchiuma del
mare: la terza di Gioue& Dione moglie di Volcano:& la quar
ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc fu quella mari-J D*r vene* tat
‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio hàpo re fecondo fto due
Venere, vna cclefteche incita gl’huominialbuo vintone. no amorc> et l’altra
terrena che gli muouc al piacererdicendo chela prima fenza madre fu figliuola
del CicIo,& venere uc- 1^ altradi Dione &diGioue:Iaquale 1
Fenicijvenerauo ne rata Tcnicij. ta dai no
afiai, per cflere (lata moglie d’ Adone, et Adone nato nel pacic loro,
onde in memoria della mortedi quello lamentandoli lefaccuono
facrificio:le quali fàuololc opinioni et fu perftitioni lanciando tutte
in dietro, venghiamoà vedere come fenfa laVcttoriala dipinfcCefare Dittatore
nellefue medaglie. ARGENTO GIVLIO CESARE. Et
ne ANTICio* Et ne i rouelci delle medaglie d’argento di Cefa
re mi norc,fi veggono due Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut re
volando, et lei che ticncabbracciato il fuofccttro con 11,. lo d 4
duo lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii. cupidi. GIVL.
CESARE ARGENTO AVGVSTO ARGENTO. Auguftodipoi dedicò à Giulio Celare il
tempio di Tempio di Venere Genitrice, coli adorata da i Romani, &alla
qua- j' n ' rede ' le haucua Cefarc fatto vn bullo di perle, le quali
(come A u g u ji 0 fcriue Plinio nel libro xxx vi. dell Hilloria
naturategli Ctfurt, haueua portate d’Inghilterra, hauendo prima
farrofabricarla detta figura diVenere Genitrice da Archefilào:& per la
fretta di dedicarla,non fi fendo potuta fornire, coll imperfetta la collocò nel
mezzo del fuo Foro. AVGVSTO CES ANT INOVS. Tempio
£ fAntinoo magnifico e di fiotto da Adriano,
fopra il Ni lo. Taufania in Arta£ck. Io non hareì
altrimenti qui fcritto d’ Antinoo, quali tunqucHadriano Imperatore lo
faccflegià deificare, fc 10 non mi forti per forte ritrouate due
fue medaglie, che 11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello,
doppo chcei fu morto, accompagnando Hadriano nellafuapc
regrinationc fopra al Nilo:il quale non cotento di quello, et doppo haucrlo
pianto molti giorni, gli fece edificare vn tempio, &vno altare, con vna
Città chiamata dal fuo nome,douc meflè faccrdoti et Flamini per
farti làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea feccfir
milmcntc vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne igynnafij,&
per tutta la Città fono nome di Dionifio, come narra Paufania.EtpcriI
rouefeio dvnamcdaglia ch’io mi trouoncllcmanijè riprefentato il tempio
magnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il Nilo in fuo honore,&
adornare et arricchire di belle ftatue& indagini, con talcinfcrittione, AAPiANos
okoaomhìen, che voi dire, adrianvs constrvxit, frdifottoil
tempio de gl’Antichi romani. tempio è
vnCrocodilo, animale particolare del fiume Nilo, nel quale mori
Antinoo. MEDAGLIONE GRECO CANTI NO O. k
MEDAGLIONE GRECO D’ANTINO. Antmoo tu Ma nell'altra fua
medaglia fi vede vn giouane di Biti toin b iti- n i a Ji marauigliofa
bellezza con lettere Greche che dico nO,OZTIAlOZ MAPKEAA02 O IEPETt
TOT AN * » or. et dall’altro lato, t 012 axaioxx an e ©hke,
cioè, HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS ANTIN0I acheis dic avit, et nel
rouefeio della medaglia c il eauJb fcolpito il cauallo Pcgafo,&
Mercurio con i talari et il regdfo. Caduceo. DAGLIONE
GRE D'ANTINO. Finalmente per l'intera cognitionc de i templi
antichi, quanto alla religione io ne ho farti ritrarre 1 1 1 i.qui di
lotto, de quali pcreflère le medaglie logore, non ho potuto tirare (enfo
alcuno. CL. NERONE. TITO. BRONZO. BRONZO. SEVERO.
bronzo. bronzo. L’ vicini o di quelli quartro templi,fattoin forma
ron VESTA da,parequafi limile à quello di Velia tanto riuerira da r
Romani, per ripofare là dentro Iaftatuadi Mi nenia, ftata portata, da T
roia:& la quale era in tanta vencrationc O no Tempio
di Pace abbru ciato. DELLA RELIGIONE che mai huomo
non l’haucua vida.Nondimeno quado abbrucici il tempio della Pace, il
fuoco s’appicò anchora à qucfto,onde le vergini Vedali prefo il Palladio,
et con cdo paflandoperla via facra, lofaluornofìno al palagio
dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone irouefei delle medaglie di
Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è altroche vna piccola datua di
PaIlas,con l’hadainvna mano, et nell’altra vno
brocchiere. VESPASIANO. GIVLIA PIA. ARGENTO. ARGENTO. CLAVDIO VESPASIANO. ARGENTO
BRONZO. Fedo DEGL'ANTICHI ROMANI. in Fccionogl’antichi
quello tempio di Vefta informa Tempio di tonda, llimando che tale Dea
folTe la terra, et il primo fu Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto
Ipctie direligione, la ferocità de Tuoi fuggetti.
EVINTO ARGENTO. NERONE. ORO. VESPASIANO. ORO.
L’entrata dfq nello tempio era vietata à gl’liuomini, comeànoi
hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^ nache già (late riformate
:& il numero delle Vertali fu drOcvrfiancl principio mi.&dipoiv i.&
coli durò lungarni nte, w O ‘ z mi come mollrano
le medaglie di Fauftina, et di Lucilla^ ùiu'vr/lì nc ^ c c I ua ^ fi vede
il loro modo di facrificare,con i loro li. vefti menti bianchi.chia mari
dai Latini Sufftul*, lun ghetti et quadrati, tanto che le ne potcuono
coprire la iella, et Maflìma tralalrrefcome farebbe tra le noftrc
la BadefTa)hauere come prima il fympulo (vafo ordinato peri
facrificij)in mano, et l’altra innanzi alci, chela riguardaci turibulo in mano
Umilmente detto ^cerradi Latini, col quale(facendoalIa Dcafacrificio)dà
lo incendo alla Dea fopra all’altare, dipinto inficmc concila nel modo
che fi vede. '-'FAVSTINA: medaglione di BRONZO. LV
CILLA. Augmcntorno col tcmpo quelle Vertali fino al nume fiali
orditi* ro di vcnth&bifognaua per edere Monache cheellefof tt al
[imi- £ no natc Ji padre libero non feruo, vergini, et lènza ma fta. 1 Vt
~ cula alcuna nella loro pcrfona,& d’età di Tei anni fino à dieci,
nel qual tempo era loro infegnato 1 vfo del facrificare,comc moflra la medaglia
di Fauftina, netta quale fi vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al
Munifleroda quale zi 3 quale à capo d’altri X.
anni faceua làcrificio, et ncll’vltimo della fua vecchiezza inlègnaua all'altre
que- fiomedefimo,con qucftaconditionc,chcinxxx. anni vajffti io. fi
poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u ge^tutte
quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari lunate &.
capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘ detto che la principale
di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro mani chiamata Maflìma : noi prouerremo
quello per due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel noftro
tempo,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello modo.
Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale. FL. MANI LI AE
V V. MAXIMAE, CV1VS EGREG1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM MORVM
D1SC1PLLNAM INDEOS QVOQ. PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENATVSLAVDANDO COMPROBAV1T
AEM1LIVS FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I SILVANVS ET H IR E N E
V S SOROR 1 S FILII A' MILITUS OB EXIMIAM ERGA SE l’IETATEM PRAESTANTIAM
Q Epitaffio di Claudia Elia Claudiana ZJ e fiale. CL. AE LI AE
CLAVDIANAE V V. MAX. RELIGIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q. CVIVS RITVS ET
PLENAM SACRORVM ERGA DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AETERNAE LA V DIBVS SS.
COMPROBATA OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS ADMON1TIONIBVS SEMPER PROVECTA. Erano
quelle vergini Veftali hauute in grandilfima vcnerationcdal popolo
Romano, come fi vede nelquin veneranoto libro della prima Deca, di Tito
Liuio, douc èferitto wrfoUv* c b c rincontrandole vna volta à piede
Albino huomopo fiali. polare,comadòalla moglie et a i figliuoli di
Icéderedel carro, perfarui fiilircfopra levcftali: &quefto
aueniua pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al fuoco pcr- fuoco
per - p Ctuo,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d pttU °' qualcfe
per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal gran Pontefice
acerbamcte caftigare,quantunquc ogni r inoiutio- annofoflTcda loro
rinouato,quafi nel modo che fogliane del fuoco mofarenoidcl gran cero di
Pafqua.Su l’altare degli He U fitto fan brei fimilmcntcftaua Tempre il
lumeaccefo,fignificanno in anno . do che le grafie di Dio Ita no Tempre per
gl'huominiapparecchiatc tanto di dì, che di notte:& nella miftica Tco
logia de gl’antichi Verta non fignificaua altroché fuoco,
ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo continouo mouimcnto per le
medefimo non genera nulla,però era dalle vernini guardato : &i Poeti
anchora (parlandodi fuoco. Vefta)l’hanno Tempre prefa et intefa in qucfto
fcnlo,co me fi vede in Ouidio,quando ci dice, ’Nectu aliud
"vejlam ejuampuram intelligejlammdm, ‘Natdque de fiamma, corpora
nulla. vides. Iure igìtur virgo e[,(jua [emina nulla
remittìt, *tiec capirà comires virginitatis amar, dciic’vc-
Anzi furono quelle Veftali in tata auroriti,chelpcf flali. Co
pacificornoinficmeil Popolo Romano nelle guerre ciuili:& ho ollèruato
io che,quado entrauono la prima Lt ve fiali volta in Muniftero fi
tofauono, come anchora hoggi fan togate. no ] c Monache noftre: ne era
loro permelTo di lafciarfi piu DE GL’ ANTICHI ROMANI.
più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio, quando al xvi.Iibro
dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos efiejua C<t pillata
dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea capillus defertur.\\ vitto loro
vfciuadal publico, et durò quella vfanza (ino al tépodiTeodalio
Imp.chriftiano, al quale mandorno iGécilhuomini Romani Symmaco
Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora faceua refideza il
detto Impcratore^pregandolodi confcruarc i priuilegi alle loro Vertali, acciò
che elle potelfino cflèguire i teliamoti &lafciati ftati loro fatti da
diucr Ce pcrfone,però che i loro beni potcuono cflcrc tali, che di
quello che farebbe auanzato loro, harebbono potuto aiutare molte pouere
pcrfonc,& guardare che aliai di loro nonfoflero andate mendicando per
Roma, et potendo giouare anchora à iforerticri.Nondimcnofu tan to in
quello roftinationedcH’Imperatore,che Symmaco non potette ottenere il defiderio
Tuo, ne del Popolo Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali tutte
l’entrate, di che egli dolédofl nella fua oratione,dice limili
parole: Honorauerat lex parentum TJejlales virgines,ac minitlros
Deorum vittu modico, iu fi fijue priudegmfijtt muneris huius integriti
yfque ad degentres trapelerai. Soggiugnendo più baffo. : Sequura ejl hoc fames
puhlica, et Jf>em prouinciarum omnium me fi agra decepit,. 'Non fìtnt
hac "pitia terrarum, nihil imput ernia aufiu, nec rubigofe getibus
ohfuit, nec auena frugei necauit. Sacrilegio annus exaruit. Ne cefi enim
fiit perire omnibus quod religionibus negabatur. Quid tale
proauipertulerunt,cum religtonum miniftros honor publicus pafeeretì A' i
quali argu menti rifpofe poi affai bene Prudentio,moftrando che
innan* O 4 ir 5 Le Veftali haue ujno lor
vitto dal publico. Teodofìo imp. Cbriftiano.
Symmaco patritio am bafi. Amba f. di Symmaco
nulla . Aifrojìa de Prudcntioi Symmacozi che il
Palladio, ncVcfta, ne lari, ne Dei penati follerò itati portaci
àRoma,ilportod’Hoftiacra picnodinaui li carichi digrano,i granai pieni
iìmilmétc,& tanta gran de abbondanza di viueri erano in Roma,chc
neiTunofo reitiero che vi venifle per vederci giuochi Circciì,non
morì di famc,& che fc tal volta la terra iterile non renderla le biade in
abbondanza, naiceuaqueito,ò per cagio Trudtntio. ne dcH'aria.ò per
altri accidenti naturali, il cheanchora meglio dichiara nel principio del
iuo libro fecondo, doue dice parlando contro àSymmaco: Ultima
legati defitta dolore querela ejl, ! Palladiu quod farra focu,vel
quod fip'u ipfs U irgimbm } caìlifque torti alimenta negentur. h
XJeJlales foluù faudenturfumptibus ignei. Doppo laqualc
rifpoitadcicriucndo la vita et modi honciti delle vergini Vertali, dice in
quello modo: Qua nunc Oefalis fu virginità tu bone fot,
2)ifcutiam,qua lege regat decus omne pudori*. kA c primum parua teneri i
capiuntur in annis, lAnte Voluntati* propria, quam libera feda
Laude pudiciria feruens,(Q amore Deorum, 1 tifa maritandi condemnat
vincala fexus. Captiutts pudor ingrata addicitur arit,
‘Nec contenta perir miferisfed adempta voluptas, Corporii
intatti meni non intatta tene tur. ’Necrequies dar uri Ila torli,
quii ut innuba cacum ZJulnuiy&' amiffat fujjnratfoemina
redat. Tum,quianon totum JJ>es falua interfeit ignem, Nam
refdes quandoquefaccs adolere licebir, Feda Dtfcrizione della
uita delle Ve fiali. FeJldrjue decrepiti s offendere flammea canti
Tempore prafcripto, membra intemerata retjuirens, Tandem virgineam
fajlidit Zdejìa feneBam, 2)um rhalamit habilis timuit Vigor, irrita
nuUns Foecundauit amor materno vifcera par tu, Tdubir anta
veterana [acro perfunBa labore, 2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata
tuuentus, Transfert emerita* ad f ultra iugalia rugar,
Z)ifcit &• in gelido noua nupra repefcere leBo. Intere a
dum torta vagos ligat infula crine s, Fataléfjue adoler primas innupta
facerdos, Fertur per mediai vt publica pompa platea t.
Rilento refdens, molli scejue ore reteBo Imputar attonita virgo
ffeBabilis Vrbi: Inde ad concejfum cauea pudoralmus expers
Sanguina, it pietas hominum vifura cruento s Congrejfu, morte fjue,^d
vulnera Vendita pajlu Spellatura facris oculisfed et illa Verendis,
Vittarum infignU phalerufuiturtjue lanifis. 0 tenerum mirimene
animarne onfurgit ad iBus, Et tjuoties viBorferrum iugulo inferir, illd
T)elicias ait effe fuas,peBufe]ue incentri TJirgo mode fi a iubet
conuerfo pollice rampi, *He lateat pars ‘itila anima vitalibus
ima girini impreffd dum palpitar enfe fecutor. Hoc illud
mentum efl,tjuod continuare feruntur Excubiat, Lari] prò maiejlate
palati], Quod redimane viram populi.procertimaue falutem,
‘Perfundunr quia colla comis bene, Voi bene cingane Tempora taniolrsjtf
litia crinibue addane. 9 5 p ompa iti le V
filali nel tempo di Prudenti. Di qual ma
feria fabricauono gli antichi le imagini. p aufania in
Arcadie if. \A uite è mtn fugget ta à
corrosione. U8 Et quia fubterhumum lujlrales rejlibus Ombrìi
In fldmmam tuguUnt pecuJes,&' murmurc mifeent. Quello c tutto
quello che Prudentio fcriue della fuper (licione et pompa delle Vertali,
che acconcic lafciuamente andauono fopra i loro cocchi, o carrette à vedere
tutte le felle St giuochi cheli faceuono ne i circhi et Amfiteatri et (oltre à quello che fi conuienc
all’habito,& l’animo pio de i religiofi)pigliauono piacere di vedere
i gladiatori combattere con le beftic feroci, et ammazare le pcrfone,ondc Prudentio nella fine
de verfi fopradetti priega l'Imperatore di tor via coli fatti fpettacoli
crudeli, dicendo in quello modo, Te precor ^ Aufonij T)ux
^Auguftifìme regni, TJtum trifie ftcrttm tube *s,yt exter a
rolli. Hauendo à baftanza fcritto de templi, et nomi de gli
Dei et Dee de gl’antichi Romani,rcfta à vedere, et faperela materia della quale ei fabricauono le
imagini Sellarne loro. Qucfteerano (come IcriucPaufania)
dcbano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di loto,di milacc, et di
boflolo, anchora che Teofrafto vi aggiunga la radice deU’vliuo per le
ftatue minori, et Plinio la vitc^ quando ci dice dhauere veduto nella
Città di Polonia il fimulacro antichiflìmo di Gioue fatto di legno di
vite : la quale cofa io crederrei facilmente potere effere fiata vera,
confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono i fopradetti legnami, come
quelli che durauono aflai, la vite fenza dubbio, è quella che è men
fuggetta alla corrozionc,ficome fi è villo per diuerfe fperienze, quantunque la
ftatua di Mercurio in Arcadia non forte fatta d’alcuno de i fopradetti
legnami, ma di quello che c chiama zip chiamato
Thya,& da Homcro Troìetbes ; la fpctic del rhya. quale è limile
aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore et di frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in
pregio per l’odore tra tutti quelli, che nafeono nella contrada di
Cyrcne,foggiugnendo che della Tua radice fi faccuono anchora mille intagli et cofc
pretiofe. Vfiirono fi Gli antichi milmcntc gl’antichi di fare ftatue di
cera et di falc, onde u b aron ? di non è molto tempo che in vna grotta
prefloà Volterra i magni et nefurno
alcune ritrouatc, fi come anchora fi trouano molte cole antiche di vetro,
tra le quali io ho vn vafo fatto in forma della teftad’vn Moro, et ripieno
il fondo di certa compofitionc anticaglie fa molto di buono, il
qualccon molti altri fu trouatogiànel Delfinaroin cala del fignore della Motta,
che ne fece prefente alla buona memoriadi Monfignore d’Orliens. Adopcrorno
oltre à quello gl’antichi nelle imagini loro, l’oro, l’argcto, il
bronzo,il ferro, lo llagno,il piombo, l’auorio, &ìater ra grafia
detta arzilla, accompagnandole permaggiorc ornamento de iloro templi, di
pietre pretiolè, et finalmente fi feruirono d’ogni forte di marmi, portati
dilon tani paefi. Dal quale ragionamento venendo al modo
&ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu Ili fumo
diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani. Flamini,
&Archiflamini, che tcneuono i primi ordini fagri:gl’Auguri per
gl’vccelli:i Salijper Marte, et altri preti particulari (quali come
i noftri Canonici) che furr rr lì 1 • i i
Sacerdoti no afiegnati alla memoria de loro Imperatori, da
poi che Augnati» egl'erano fiati deificati, come gl’Auguftali
d’Augufto, gl’Heluiani d'Heluio,gr Antoniani d'Antonino, gl’Au -
TulTiìanU rcliani d’ Aurelio, et i Fauftiniani di Faufiina, tutti
oidi- f*»fiinia- na nati per la religione, pietà, et fàntità, la
quale Cicerone interpreta per la fciéza d’adorare i loro Dei, ò più
rollo demonij,& per fare facrificij, cerimonie
fagre,dedication',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti
&altre loro vane pompe diaboliche, et vane fupcrllitioni.
Sicrrdotio ic i futi Amili. QUffto
fienfi do è detto da Li tini. Ambir tuli fieri. 2) e s^t
Cervo ti 1 et fz^ti Ornali elei facrificio chiamato isi
mheruale . Omolofuil primo inuentorc di quello ordinc,8c
dicreare il primo facerdotc per i facrificij publici intorno alle
terrc,& alle biade, acciochc elle crcfccffino in maggiore
abbondanza, pigliando per infegna vna corona, ògirlanda di fpighe,
legata con vn cintolo bianco, ne palfauono il numerodi xn. Quelli
cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio era tale. Il primo
di quelli facerdoti accompagnato da tutti graltri,&r coronato d’vna
girlandadi quercia, cantando le Iodi di Cerere con vna troia,© vna vacca
pregna circundaua tre voltci campi pieni di biade, et doppo hauerebeuto del
vino,& del latte innanzi che fegarc le biade/acrificauaà Cerere la
troia, ò la vacca. Et il paftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna et da tutte altre malattie, gli fpruzaua prima 1
acqua fopra, &di poifatta vnafaccellinad’aIloro,& di fauina
mefeolata con zolfo I’acccndeua,& tre volte circondando il Tuo
belliame con certi verlì facri Io profumaua,facrificandoneH’vltimo vna torta di
miglio, et di latte alla Dea Pale,auocata dei pallori, credendo in quello
modo rende, in rendere ficuro( come e detto) il Tuo gregge da
tutti quanti i mali. ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z> E U lor
dignità. Verta fpetie di religione fu portata à Ro- cicerone
ma et inlegnata da i Tolcani, la quale A»g»re. Cicerone (per eflèrc flato
di quefto ordinc^ Icriue nel libro della Natura de rate di prò gli Dei,
8i doue egli hi parlato de Diin- ^tf^aiKo natione,cllerc fiata tanto
venerata da Romaniche non mani. harebbono mai fatto, ne deliberato cofa
alcuna dentro o fuora di Roma,che prima non haueflìno prefo l’Augurio.
Anzi venne quella dignità in tale riputatione, rifpetro allhonorc et vtile,
che ne riceucuono quelli eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono
d’entrare in quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie di Pompeo,
et di Cesare Dittatore, che vi mcllèanchora M. Antonio et Lepido, nelle
quali fi troua il lituo(bafto- m. Anione torto et limile alpaftoralcdeinoftri
vclcoui^ilfympulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini, tutte infegne che
moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio. IL LI
« IL L 1 TU 0, S USTORI B UVgurale degl’antichi Romani. GIVLIO
CESARE. POMPEO. Argento argento. M. AVR. zz 5 M.
AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO. RESTI T.
ARGENTO. ARGENTO. ARGENTO. M. ANTONIO. ARGENTO.
ARGENTO. Erano Nuwfro de gli
Auguri. Auguratorio. jJtuoJbajlo ne Augurale. zi 4
Erano in quello Collegio degli Auguri tre nel principio diputati,àcaufia delle
treTribu,&di poi quattro comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il
popolo col tempo che quello numero folle crclciuto, ve nefuro no
aggiunti cinque della Plebe et mi. Patri tij, et coll continouò dipoi
femprequeftavfanza di noueinterpreti de gli Dei fino alla fine. Il luogo, nel
qualcfipigliauono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc l’Auguratore ftaua
àlcdcrccon latclla velata, et il Lituo in mano,col quale fegnaua 1
quattro angoli del ciclo, eficndo veftito d’vna verta doppia, et lunga,tintain
Scarlatto, &chiamata Lena, o Trabea da i Latini, come fi vede nelle
medaglie di M. Antonio, con tale infcrizione, MARCVS ANTONIVS LVCII
FILIVS MARCI NEPOS, AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M. Et in vn’altra
fi vede la terta del Sole, con tali parole abbrcuiatc,TRlVMViR
REIPVBLICAE consti. TVENDAE CONSVL DESIGNATVS ITE R VM ET TERTIVM:
et figurate con altre di LcntuloSpinter,nel modo che fi vede qui di
fiotto. m. anto"n ia ARGENTO. Lcntu
LENTVLO SPINTE R.. ARGENTO. ARGENTO. Ec per venire alla
conclùfione di quanto io voglio vtjtidiftfcriuerc de gl’Augurij, io metterò qui
dinanzi la. figura a»* ritratta dVnà medaglia d’argento d’Augusto, nella
quale SUuU ' fi veggono ifacerdoti conlorovcfti lunghe, et il fimpu
I . lo, et lituo in mano x tutti inrtrumenti accomodati alla loro
religione, V P • H] k
i fi Wc ite • xXrGygt ET SACERDOTI. CHE.
PORTANO L'Vfittgnt tltld religioni per mejlrdr U fitti. Quanto all’augurio
de Galletti, et del loro beccare, onde gl’Aurpici de i Romani folcuono
pigiare l’augurio, et giudicare delle cofefuture,anchora che io ne habbia
ragionato qui difopra,&chciociò ftimicofa ridicu la, vana et piena di
fuperftitionc, io nondimeno non ho voluto mancare per fatisfatione del
lettore et de gli amatori delle buone lettere di moftrarne qui
Ja.prefente figura. P a FiayK^f È ITA ATT A Dt-LL c/f JUXD^GtliA
D'iAMgmtt iiJU.Lef ìit rriummrt. I Romani hcbbcro in tale
venerationc i lacerdoti drepolli allo Aufpicio, che ei fondauono tutto il
loro giuditiodcllccolcaucnire et di quello che doucuono fare,(opra il
beccare de polli, non cominciando alcuna imprefa che prima non hauclTìno
prefo quello augurio,ncl quale fé vedeu ono beccarli allegra mentc,piglia
*uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua, ne de ronon faccuono in
quel giorno cola alcuna. L’huomo, che baueua la cura di quelli polli, li
chiama ua pvll a • Rio, et la gabbia, ò Hia douc erano rinchinlì,
cavea tVL l aria, fatta nella medelìma forma diqucliachclì vede di
marmo nella loggia del palagio dei Cardinale Cclìsin Roma,accompagnara
d’vn bcllilHmo epitaffio pollo qui di Lotto nel modo chefegue, wt
I. 0 ST1U *P ZJ L L ria, ritratta <Tì>n marmo antico in Roma
. M. POMPEIO M. F. ANI ASPRO LEG. XV. APOLLlNAR.> COH. III.
PR. PRIMOP. LEG. III. CYREN PRAEF. CASTR. LEG. XV. VICTR.
ATIMETVS LIO. PVLLAR1VS FECIT ET SIBI ET M. POMPEIO M. F. ET
C1NCIAE COL. ASPRO SATVRNINÆ, FILIO
SVO ET VXORI SVAE M. POMPEIO M. F
COL. ASPRO FILIO MINGRI U.varro. 1 fdctrioti
differenti fecondo le dijferentìt de gli Dij. Ornamento
del flamine Diale. Del Flamine Diale. Sacerdoti di Giouc& di
Marte fumo oradinari, et chiamati Flamini da Numa Pompilio: onde Varrone
nel libro della Lingua Latina dicc,chcgrantichi hebbero tanti Flamini j.
quanti haueuono Difc come il Diale di Gioue, il Marnale di Marte, il
Quirinale di Romolo, il Volcanale dì V òlcano, et molti altri alla
differenza de noltri che noi chiamiauono Vcfcoui, Archiuefcoui,
Patriarchi, Cardinali. Mail Senatodipoi ordinò anchora Flamini à
^'Imperatori diati da loro deificati-come gl’Auguftali per Augufto,&
gl’ Antonini per Antoninoctra quali il Diale era meglio vellico de
gl'altri, et haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata loiamente per i Magiftfaci,
&il Flamine lolo portauail cappello biancojfcnza.il quale non gli era
lecito vfeire fuora dicafaCAP .«. z)i CAPPELLO DEL
FLAMINE ritratto et i>n fregio antico di marmo eh e in /Lorna. De
Sali], Ra tutti quelli faccrdoti ne fece Numa anchorax 1 1.
chiamati Salij,da i Etiti Io Icnni,che ei faccuorio ne i loro
facrificij. Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe infìnoà x xiiil et di x x
1 1 n. alla fine flirtanti che feciono vngran Collegio^, ne potcuono
cfleredi quello ordine le non quelli, che non haueuono padre ne madre. Di
quelli Icriué Tito Liuio, egli andauono cantando et ballando per mezzo la
Araba, et cantando veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porrauono in mano lo
feudo célerte 1 chiamato, zHncilè ì in honorc di Marte, come lìvedeDtr le
medaglie d’Àu’truAn <^efaxe,& d’Antonino nmm Poi» pii
infittiti iSalif. Tutto fillio. Anale,
jcu ànrrltM* 1 AVG. CESARE. ARGENTO. ANT. PIO.
BRONZO. totani*- L’acconciatura di quelli Salijcra vna velie
honorcturddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna celata in capo,&
quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con vna daga,o pugnale che
portauonoin mano. Uj, < Sdendoti tbumeti
Epuloni. 2>e \ij. h uomini Epuloni. Er quanto fi è
potuto conofccre, quello ordine d’Epuloni era vna fpetie di
faccrdoti,trouatida i Pontefici ppr ordinare! conuicichei Romani
faccuono,cclebran do le fede de i loro Dij, annuntiando il giorno
nel quale fi doueua fare la cena di Gioue:doucfc per fortuna accadcua che
la folcnnità non foflcintcramcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci lo diccuono
à i Pontefici, che rimediauono à tutto ; quantunque i i lutili*.
GrccigHchiamaflbno piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di buon tem po, che
fare facnficio à i loro Dij. L. CAL xjj L. CALDO
SEPTEMVIR EPVLONE. ARGENTO. Vedeli la memoria di coftuianchorahoggi
in Roma Vir<tm ^ e • 1 _ | \ c ' c * . ., ittica che
per le paroleinragliarcin vna Guglia, o Piramide di mar fìutdcint *
jno quadrata, che fono tali, opvs a bsolvtvm D i E _ «irto*. BVS
CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII TRIB. pleb. septemviri epvlon v m> le
quali interpreta* tc voltano dire,ch'ella fu fatta in ex xx. giorni per
tc> ftamenro di Caio Cornelio,Tribuno della plebe, et del numero
di quelli v 1 1. Epuloni, moftrando l’autorità et portanza che egli haucuono con limili parole,
tv c ivs CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM. De due y cl xv.
huomini. Tarquino fumo ordinati due mini per fare fieri ficiorà
quali ne agg Zeftio et Licinio Tribù olì fletterò lino à temp
Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan donc duciamo che in tutto furnox
v.lacerdoci fulamcn M buonitc:l’officio de quali era d» leggere et interpretare
i librila P 3 mento il tm. J»< tfcri;
oSibilIini:&rifpondcre et consigliare al popolo Romano tutte le cole
dubbiofcj affiftcndoiifacrif icijd'A* pollo.romcmoftra il Tri
podeftampato nelle medaglie di Vitcllio et di Velpafiano con lettere che
dicono» qvindecim vir sacris fAc ivndis. \ VITELLIO.
VESPASIANOTli ARGENTO. ARGENTO. Del gran ‘Pontefice. Ra tutti
i Pontefici creaci da Numa nc fu fatto vno più grande degl altri,il qua*
lecol tempo venne in tanta riputatone chenonpoteua eflerne alcuno
fenonSe t l cttione Ba^aa a natorc,& cofi m orendo glabri
Pontefici drigri fon minori ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i
nc *ɓcZ* ftri Cardinali vn Papa. Haueua quello gran Pontefice 5 cura
delle eofc Sagre, coli priuatc come publiche» delle cerimonie, prodigi],
rnortorijjd’intcrpretarc le cofc diui? hp.u * nc,fegnare,{criucrc
accomandarci qualialtari&r Dij fi * doucuono fare i facrificij : et Sopra
tutto. por mente 8t ’
prohibire a x J5
prohibirc che nuoue vfanze non entragno in Roma
perdifturbatc,o corrompere le cerimoniedclla loro pri ma
religione et loro Dij : della quale autorità ha ferino non
ricette Cicerone nel Po ratio ne che fece per conto della fua prò U0
"‘ 0n 0tte pria cala in quello modo» Cum multa,
diuimtusfponnfi- cerimonie ces.amaiorilms no (lri« inuenta arane
inftirura fune, rum mini rt ^~, J v,, 1
1 gwnr. praclanns quam quod )>o; @T religioni bui Deorum
immorta lium, (g) flemma Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt ampi
fimi clarifiimi Citte; ReipuMicabene gerendo, ‘Pontifico s religione;
fapienttr interpretando, Rempuilicam conferttarenr. Laonde per
meglio inoltrare la lua autorità et dignità chcgl’antichi (timauono
tanta, eiportaua vn cappello, fatto nel modo che lì vede per le medaglie
di Celare Die tatore in compagnia del fimpulo& lettereche dicono,
^fg^UnPò CAESAR IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All teficc.
chora che in altre medaglie fi vegghino la tazza, il cappcl lo, il
limpulo,&: il lituo, come proprie infegne del gran
Pontefice. GIVL. CESARE. ARGENTO argento li „
Non ottante quello fi veggono anchora affai meglio cappella ^
quelle inlègnc della religione, et cappello del gran Potè u$xT ° ^ ce nc
» fregi di marmo, che fono in Roma {colpite in quello
modo. .MM CAPPELLO 2) E L ‘Pontefice.
confetta- La confccratione di quello Pontefice è tanto ridicutione dipo la et llrana,che
ella merita d’efièrc tutta interamente di“rldentio. mollrata nel medefimo modo
che l’hà ferina Prudentio:il quale dice che quello Pontefice nel fuo habito
P5tificale,con la miccra in tc(la,& la velie alzata entraoain vna
foflà,fopra la quale era vn pótedi legno tutto buecato,douc dal Victimario era
condotto vn toro ornato Horr Mi tutro fi° r * > et d’oroin torno
alcapo, che il detto coa ctto,& del fangue co fi caldo che n’v •
cr i bufehi del ponte,cra il detto Pon teficc
cerimonie ductorctcriuanelp Mti - feiua et trapclaua
p Cenativi loridi. il tordo di * litato
libo. teficc tutto imbrattato con fregartene gl’occhi 3 gI’orecchUclabia
et la bocca, et coll vfeendo fu ora coli fporcho et brutto,& molto
terribile a riguardare, era da tutto il popolo falutato et adorato. L’altre
cerimonie, fatte per i piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini et alberano
i conuiti magnificamente apparecchiati, de quali hi jfcritro Macrobio
dicendo, che all'entrare della Cenale tifici, prime viuande prefentate
erano fpinofi di mare, dipoi s P ino fì et peloridi et fpondili,fpetic di nicchi, o
chiocciole mari- spo ^ c p* ne,& tordi,chc i Romani ftimorno cofi
dilicato cibo, che venuti in tauolalafciauono ogni altra viuanda, et pc^trouarli mcgliori nel tempo d'Auguftogli
riempieuono dentro di più buòne cofe. Dipoi feruiuòno fparagi con vna gallina
grafia, oingraflàta àpoda, la quale vfanza leuò via pcrleggc et bando
publico Caio Annio cjjoAmifa Eannio, volendo che le galline fi
mangiaflero,comc elle ramo. erano trouatc,dclmodode iquai conuiti
chivuole anchorapiù àpieno vederne lniftoria, legga Varrone et ColumcIla,doucegli infognano tutti i modi
della gola. Doppo quelle colè veniuono piatti d’oftrighe,
peloridi, che ci chiama, Salanos nigros ffialbos, fpondilos &gly-
BaUnL comandas,fpetie di nicchi et d'altri pefei che non fi poffano (non
fendo in vfo) altrimenti dichiarare al nortro BeccafiebU tepo,
bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di porco, cingialc, rorpórj . capretti,
bcccafichi impattati, po!ipi,oporpori et murici «i sangue del sangue de
quali gl’antichi faccuono lo fcarlatto, et de quali fcriuédo Seneca nella prima
Epiftoladel x 1 1 1 1. libro dice, marauigliandofi della gola degli
huomini, O quanteforti di Conchili portati di lontani paefi pallazfcUmatti
noper loftomacodell’huqmo,chclbno ben poucri d’in Seneca. gegno. gegno, &dilgratiati
poi che maggiore hanno lappemo che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna
teda di cinguiaIc,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di
Somsommta. mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc figliato
frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quanto più erano piene di
latte. Doppo quelle leruiuonoi petti dcH'anitre faluatiche, ccrucllid’animali
Jeifi, lepri, vani detta molti vccelli arroftiti,con pani della Marca
d’Ancona, Ancona. quali fifaccuo no di farina ftcmpcrata noue giorni ncl^
latifana,oalica,&poiarroftica con zibibbo in vna pentlinio. toladi terra
dentro alfornoja quale (come dice Plinio) non fi poteua poi altrimenti
disfarete mangiare fc non meda nel lattc,o nell’acqua et nel mclIe.Et
taleerail mo do del cenare et l’apparecchio delle viuandede Pontefici,
ripiene d’vn fi grande numero di viuande mefeokte. 2) e fi
cerdoti ^ugttjldli^ di loro collegio* I berlo Celare fu quello chccrcò
prima, il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò Ihauerc edificato vn
ten^io ad Auguro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi apporne fi
vede rUerio c» fare fondi glihngyfU predo
la morte di Tiberio per la fua medaglia di bronzo..CESARE.
CALIGVLA. BRONZO. BRONZO. Scriuc Strabono nell in.Iibro della
Tua Geografia che Tempio à LyoncdoucilRodano&laSona fi congiungono
in- * A w* ficmc,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la morte
’^yoM? d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuincic della
Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che quello
poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di né,rifpctto alle
gran colonne di getto che vi fi veggono w dentro:&quiui penfcrei io
che folle fiato il collegio de i faccrdoti Auguftali, come chiaramente
dimoftra vna pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle
Mo nache di S. Pietro, in Lyonc, IO VI O. M. (VADCINNIVS VRBId FIL. MARTINVS
SEQ. SACER.DOS ROM AE ET A VG. AD ARAM AD CONFLV ENTES
ARA. RIS ET RHODANI FLAMEN ff. V 1 R IN CIVITATE
SE QJ/AN OR VM. Ter Per il (opra (cricco epitaffio (ì
conofcc, che non Co IamenccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il mondodoppo la
morte d'Auguflogli furono edificati templi, dcrizati a ^ CiU ' con vn
collegio di Sacerdoti detti Stxtum-'vir't^iu Ut. gujlalesjin
honored’Auguflo, comcanchora fi vedein vna pietra fcritta alla porta di
S.Giufto in Lyone,in quello modo, D. M. C AL VISI AE
VBRICAE ET MEMORI AE S A N C TISSI MAE P. POMPONIVS GEME LLl N
VS limi. VIR AVG. LVGD.
À CONIVGI CARISSIMAE ET INCOMPARABILI POS VIT. Tranquillo Quello collegio de gl’ Augurali venne col
tempo in sagio gA tanto credito, che( fecondo che fcriuc
Tranquillo) Scrba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi che fode Imperatore, vi.
volleencrare dentro, et fu riceuutotraifàcerdoti Auguflali,de quali
inficmecol Scflumuiratohaucndo àbaflanzafcritto,& maffime neh
n.libr.delle mie Antichità di Roraacócro all’oppenione dclI’Alciato nelm.
libro.del Codice, et moftroqual’era rautoritàdc Decurioni,&comeei
dona uono &diftribuiuono quelli offici) perle Prouincic,tor
nero à parlare della Cittàdi Lyone,la quale doppo edere data popolata daPlanco
per ordine del Senato Romano, paflò di grandezza, di magnificenza, et di
richezza tutte raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc& traffichi che fempre
fono flati in edà fatti, come ^iùi I Ugo io ho moflro ne detti mici libri
dell’Antichità di Roma, cdcndoobligatodi pagare quello debito alla mia
patria. De Aleuto. lodi della Città di Lyooe. X
e Sacerdoti di Cy Itele Madre degli Dei. Sacerdoti di quella dea fumo
detti Galli^ Archigalio il maggiore di loro:i qua li nel principio della
primaucra (come recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa re vnagran
fella in honoredi quella, por il lìmulacro.o ftatua della,
acompngnato dalle più prctiolè cole, che haueuono in cala, come
vali riccamente lauorati d’oro et d’argento, elfendo permeffoà ogniuno di
traucllirlì et vcltirlì in che modoglipiaccua celebrando quella fella,la quale
chiamarono Megalejìa &ioè, maggiore di tutte lai tre. Quella fu
folcnnemcntc già fatta da Commodo Impalipoi che cghhcbbc scampato dalla congiuratione
di Materno, et fattoli tagliare la tella, però che clTo Commodo volendo
ringratiare la dea del pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue tele
reliquicdi quella, et il popolo fecegrandi/Tima allegrezza et diuerlì
giuochiper la falutc del Principe, chiamandoli Seteria, cioè,facrifìcij di
falutc:dcllc quali cerimonie chi vuole più largamente fapere, legga
ilxxix. libro delle Decadi di LIVIO (si veda).Vedclì adunque che
l’officio di tutti quelli faccrdoti non era altro che fare
facrificio à i loro demonij più rollo che Dij,inlIcmecon proceffìoni&
orationi, oringratiamenti di qualche vetroria hauuta, opcr mitigare l’ira
dclcielo : portando innanzi il lìmulacro di Giouc, et fu per i canti
delle vie pofandolo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di fa
• re per lafèlla del corpo di Chrillo,anchora che non conuenga quelle
vere et lecite à quelle falfc et profane cerici Calli, Sacer doli di
Cybele. Tejla in onore di <jne /la Dea.
MrgalcfU. Sacrificio di falutc d't to Sotcria. Tifo
Limo. Qual tra l'officio d'i faccrdoti. Cofiumi
de gli antichi guardati in trancio. Ordine del le
procreo ni degli antichi. Nel I-libr. degli F ajli.
monic aflomigliare. Et à quello propofito io mi ricordo hauere veduta vna
medaglia di Dominano, nel rouclcio della quale era vna proceflìone fatta
dai Romani, douc fi vedeuono innanzi à tutti i fanciulli chetici, e poi i
fiiccrdoti più vecchi in habito, et getto dicaminarei tutti con vna
girlanda in tcfta.in mano vn ramo d’allo; ro,& l’Imperatore
ncll’vltimo, vettito di (carlatro:onde none dubbio alcuno che i prieghi,
l'offerte, i voti,i facrificij,& l'orationi fono i mezzi, per i quali
s’arriuaàgl’orecchi del divino: quello che afiai bene haferitto OVIDIO (si
veda) quando ei dice, Fleti itur ir ar ut 'voce rogante Deut. Sape
Iouem \idi,cum fetta mietere pellet Fulmina, th ur e dato
fujlinuijjemanttm. L’orationeha tanta forza,fccondo Pittagora, chc
media te quella fiorirono tutte falere virtù, et ella conduce
l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo Dio.il quale c
quello che ci fa forti contro àtutte le paffioni &r dilgratie
humane,rifufcitandoinnoi Iafpcranza che faremo difefi da lui,&per mezzo
dcH’orationcfà remo ripieni di carità con animo di correggerci de noftri
errori, &nó tornare piùà peccare, comchabbiamo fatto per il pattato,
trouàdoci tanto fortificati.che cofi fa cilmentenon potremo piùcrrarc:Sc
finalmente deliberando di viueregiuftamentc, et accompagnarci con la
temperanza con fermo propofito di vincere tutti
gl’tnfortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio, eflendo ragioncuole che fotte
ringratiato colui, checidaua&dona tutti i beni, il che non fi può
fare per altro mezzo migliore. fittene, che quello dcll’orationc:ilchc
cófcrmò finalmente Pi* F de loratione fecondo
Pittagora. cone tone dicendo, chcà l’huomoera ncccflàrio d’honorarc,
et riuerirc Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,& prolpc murre in rare
in ogni atrionc:ondc fi vede che quelli che di que- ;ìfi fto non hanno
curarono il più delle volte dilgratiati, ne damentode fono mai eflauditi
da Dio, come per contrario fortunati o felici tutti coloro che ricorrono
à Dio, come moftra Omero dicendo, o't « èiriT<i'S»T«i, ixdtut
Ti<t>u»r iu-n. Cioè, coluièeffaudito dal divino, che olIcruai fuoi
precetti. colui indi Era parimente l’officio di quelli fiiccrdou di fare
ogni [ 0 he annoi voti publicidoppoleCalendidi Gennaio, come
fuoiprtutfcnueTacito nelfcfto libro de fuoi Annali, e PLINIO (si veda) Secondo
nel fuo Panegirico, dicendo che i Romani vfauo atiiom* nodi nominarci
voti perl’eternità. deH'Impcrio, per la rL fanità de Cittadini, et principalmente
per Ja falutc de Principi, che è quello che i Latini propriamente hanno
detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij publici : onde 2T* 0 * nafccche
fi trouano lettere diuerfe fcritte in quella forma, vota PVBLICA, QVIN QV
ENNAL1A, DECENNALI A, VICENNALIA, TRICENNALIA, QVADRIcennalia, come fi vede in
più medaglie di Impera severo geta: ARGENTO. ARGENTO. CRISPO.
GIVLIANO. BRONZO. ARGENTO CONSTANTI NO. GIVLIANO. BRONZO.'
BRONZO. Mallìm/a MAòSIMIANO. DIOCLETlANO. BRONZO. BRONZO.
Faccuanfi quefle cerimonie da ifaccrdoti &? Flamini vertici nel loro habito
(accrdotalc alla pri Lenza deConfoli, Pretori &Cenfori, che pigliauono il
votopubli cp innanzi à tutto il popolo Romano. CARACALLA.
bronzo MEDAGLIONE DI CR tSPINA. Tutti iM agi
tirati di poifaceuonofcriuerequeftLvo ìuotiferitri in vn marmo>o in vna
tauola di ramc.battendo meda wlicchc mollrauono gl’anni domadati per
ricominciar- uolc di t * li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di
xx.di xxx. &tal Wf * Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le
medaglieri Maffentio et Dccentio,neIlcqualic ferino, votis
qvin- QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E NN A LI B VS, ornate di cappelletti
guarniti nella fommitàdel laboro,& intórno lettere che dicono, v ictorue do
minouvm NOSTRORVM AVCVSTORVM ET CAESARVM. M ASSENTI O.
DECENTIO. BRONZO BRONZO. $CUZ> O 7)1 FORM .A
oliale gratto del marmo antico. TERi Etpcr le medaglie d* Antonino
Pio &. di M. Aurelio Ci veggono i voti fatti per zo.anni conejueftc
parole,v ot a syscepta vicennalia,& iUàcerdotc il qual pròmetto de
render i voti.; i-,|K3Kl L'/ * v Ó Q. 4
é MS della religione FLAVIO Gl VL IO CRISPO ”
BRONZO. BRONZO. Tra l’altrc mie medaglie ione hòdue d’argento l’vna
di Valente et l’altra di Teodono Irap.ne rouefei delle, voti# jo. fi
veggono i voti di xxx.&2fxxx.anni,conrimagi tir 4 m ne di Roma
à federe,chc tiene vn globo io mano con la croce difopra, SIGNIFICANDO
[imperio de principi Chriftiani. VALENTE. TEODOSIO. Quello
elici faccrdotidomandauonoin quelli voti inliemecol popolosa lunghezza di
vita per gl’imperatori. Ronwiù w lor uoti,<ì gli
Dei. a*? ratori, ficurtà dell’Imperio, la grandezza della cala de
cfcr donni i i.Principi,la fortezza delleflercito^a fidelità del Sena-
<<4 " 4no ' to,la bontà del popolosa pace del mondo, et Iavcttoria
contro à nimici,comc li vede per le medaglie polle quidi fopra,doue
habbiamo villo, vie tori a domi NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET CAEsarvm,
in maniera che quelli voti hanno durato infino àhogg’,&fubito che i Romani
erano giunti al termine di elfi, di nuouo ringratiauono il divino, et (come
fcriuc PLINIO (si veda) Secondo à Traiano)faceuono altari con facri p /&„•„
$ f _ ficij, balli, fede et conuiti, dimando opera rcligiofa et pia,quello che piu torto fi doucua profano Si
empio KO manintt giudicare, poi che egli haueuono licenzadi fare ogni ma
ringratù lcicon ciò fia infino che negli Anfiteatri i carcerieri
correuòno per il circo, le bertic feroci erano ammaza- noti «iute, i gladiatori
sbranati, et gli Imperatori faliti lopra vn piut, ‘ palco ragionauono di
dare la Mancia ai-popolo, che fdtrimnti gridaua ad alta voce, c<w
?~ Denofins dnnu dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino, cr Et mentre
che fi faceuono quelli voti, il Pontefice era tramo di vcftito d’vna verta lina
tutta bianca, et lunga fino ài piedijfignificando la fermezza d’vna
rifplendcnte virtù: za. et de gli
altriiàcerdoti chi cantaua hymni &peani,chi fonaua flauti, chi la
lira, o la ceterajn tanto che il miniftrodcl facrificio tcneua vn bue,&
vn’alcro detto vittiroario lammazaua,comc fi potrà vedere nelle Medaglie di
Dominano, et di Geta per la cclebrarionc de i cMtuu* loro giuochi, et fcfte
feculari. ™ bi 5 ri. » -enfe- r*b% tljrm 4 FtGVRA
ritratta ht* gmochifeciLm d\yt*g*fb. iiiiiii
DOMITIANO ANT. GETA BRONZO. BRONZO. domiti
ano: BRONZO. BRONZÒ. Facendoli quelli facrificij, tutto
il popolo in Geme con l lmperatorc fi inginocchiaua.&adorauono i
loro fallì Dij,come lì vede nelle mcdagliedi
Dominano. DOMI Sagrauono nmilmcntc le imagini de i loro Dij >
non firn* togli per amore di quelle (come dice Platone) ma perche
elle fomigliauono le deità di quelli, come noi hoggi figuriamo le no(lre,&
tral’altrc cofc venerauono affai la faetta di Gioueffimaginedellaqualccra
confagràta dal gran d! UtoZ Pontefice, (limando che per quella via il
popolo &lc fiumi!*» biade farebbono accurati dalla tempefta del
ciclo, co4i Romam. me fa vc dcpcr le medaglie qui di fotto. AVGVSTO! A N
T. P 1 0 A’ que ijj A' quello mcdcfimo effetto quello
che i Cetili oflci> ùauono& crcdcuono nella loro fupcrftitiofa
religione, noi l’vfiamo hoggi nella conlàcrationcdcllc noftrc cam
Confacrapanc, (limando che fonate caccino il mal tempo, fi come egli vfauono
ilfalc,l’acqua&gli cflorcifmi,pcnfan • do che cacciafiìno i cattiui
(piriti d intorno à i luoghi, et à le perfone:ondcio mi marauiglio grandemente
che tanti begli ingegni, et valorofi faui,& prudenti huomini, come
fumo i Romani, penlàflino ((appendo la licen tiofa& dishonefta vita
di Gioue) che egli hauefle forza La uta 4 di tonare, danneggiare, mandare
laette, et beneficare le ^ iou * co le humanc,chiamandolo Ottimo, Mafiìmo
et Omni potente, et perche più torto non crcdefiìnodi poi che
Chrifto era già nato di molto tempo, che come illoro Efculapiojchci
fcciono volare al cielo per forza, non hrrtligio. poteflè più torto Giefu
Chrifto hauere rifulcitato i morti, et che ci folTc figliuolo d’vna vergine,
come ei diceuono che vergine era Verta &madrc de gli Dei, et chc noftro
Signore haueua alluminato vn cicco, come egli affermauono hauere veduto fare
quello medefimo miracolo à Vcfpafiano in Alertandria.Ma tutta quella
incredulità nafceua dal demonio che gl’accccaua. Haucndo aliai à balla
nzaoflcruato et Icritto de l’ordine di quelli facerdoti,facrificij et voti,
i quali erano anchora, che fecondo lefortune che egli haueuono (campate
et la qualità de voti fatti, egli
appicauono alle mura de haucr t /Um templi le tauole,douc erano dipinti
tutti i cali, fi come pato qual hoggi fi coftuma in Fiorenza, et in molte altre
chicfe f . he ca f° d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw. Me
rnr qual ca gioitegli ut fichi facrificomo. Cerimonie
del ftcrificiò. Moti. PLINIO (si eda) nel libr. de t Hifioria
tutur. N«n» M facùfico il primo 4 Dio, fecondo il
diredi PLINIO (si veda). Microbio. VIRGILIO (si veda). purgatione
degli antichi con l'oc qua ffiarfa. Jrfe tabula facer ZJ
attua paria indicai h umida Sufj>endiJJe potenti ZJefimenta
maria Dee. Refla à vedere tutte le cerimonie et inftrumcnti
vfad da glantichi ne i loro làcrificij,i quali fc alcuno mi domandali!
perche erano fatti, rifponderei per tre cofc. La prima,pcr honore di
Diod’altraper vtilcdel faccrdote, che impetrauafanitàper il Principc, et per
il popoIo;comc cofa più prctiofa tra l’altre, et la terza, per domandare
perdono à Dio dcgl’crrori commcflì, pregandolo di volere fanarc l’alma
inferma. Era adunque il principio di quello facrificio che il prete innanzi,
che ammazzare la bcflia,lcmcttcua fui capo, o Culla fronte della farina,
dell’orzo arroflito,& del fale tutti mcfcolati inficine, la quale millura
gl antichi chiamorono Mola, come fi vede in Plinio, quando ei dice, che
Numa fu il primo chcfacrificò à Dio col grano, et lo pregò con la
mola falatarnondimeno innanzi che fàcrificareil faccrdote fi lauaua,&
quando volcua folamcntc rappacificare l'ira de gli Dei,o rallegrarli fi gettaua
l'acqua fopra» come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio parlando di
Didone apparecchiata per fare facrificio, ^yfnnam,cara mihi
nutrixfuc fi fi e fororem. Die corpus properet fluuialifargere
lympha. Etaltroue quando il detto Poeta parla della fèpoltura
di Mifeno,ci moftra come gl’ailìilenti al facrificio erano purgati dal
facerdote con l’acqua fparfa convn ramo d’vliuo,o d’alloro nel modo
chefeguev Idem ter focios pura circumtulit
inda, Spar $pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi olia*, Mai Romani di
jjoì in luogo di quelli rami vfarono vn’afperge, limile a quella che fi
colliima hoggi nelle nollre chicle, come li vede in più medaglie et fregi
antichi che fono à Romaà quello modo.Quelta alperge llaua ncll’acqua,douc prima
era /laro fpcntovn torchio accerojchchaueuaferuiro al làcri ficiofu
l’altare. Et di qui nacque l’acqua di Mercurio . predo alla porta
Appia,della quale via ua il popolo Ro" « £££ manoinuocando Mercurio,
et penfando coli fcanccl- s ^ rr fi i ~ Ure i peccati leggieri et fpccialmcnre
la fede rotta, et le ‘ÌZ bugic.Oltrc a quello ho olléruato che gl’antichi
drizauono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica, douc del continouo
teneuonol’acqua, con la quale li toccauono prima che entrare nel tempio per
fare fa orificio. A %}( ‘PILLjl T 1 2t sAT DEL ' marmo
antico. I !» ir Vfauonodi poi vn’altro
vafctto minore et portatile. li con acqua, limile à quello che portano
anchora hoggi uà nelle chicfc et fuora i noftri preti. 1 1
FigVra sin ir tot tf
VI FigVK^l 2)' UK VASETTO portàtile a tenere l acqua
[aera. Ma gl’Hebrcià l’entrare de loro templi vfauonovn Tind gran
vafo fatto in forma di Tina, chiamato da i Latini altrimenti lal>rum ì
del quale i facerdoti che andauono per (acrilicare pigliando dell’acqua lì
lauauono le mani,& i piedi, et il modo di volendola benedire vi
gittauono dentro le cenere della f ar l ac ì u4 vittima arfa,& di
quella con vn ramo d’hifopo bagna- degli h «uonogl’alfiftenti, benché io ho
ofleruatoche nella fine trfi * de loro facrifìcij, quando il fuoco era
per mancare, vi gittauono fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo, et cornino,
et della cenere diqucfte tre cofefaceuono l’acqua facra.Douec
danotarcchein tutti i facrifìcij antichi lì rrèfortidi trouauono tre
forti di purgationi,cioè di pino, di zolfo, pmrgationi et d’acqua, quello
che conferma Plinio nel vi. libro quando ei dice che la teda, o vero pino
tra tutti gl’albcri, che fanno la ragia, è molto grato per il fuo fuoco
nei R i5 8 vrodo. facrificij. Del zolfo (come
dice Proclo) vfarono i faccrdoticon 1 alphalto o bitume, et acqua di mare nelle
loro purificationi,pcrchc il zolfo per l’acutezzadcf fuo odozoìfo. ^ re
ha forza di purificare.Et Plinio /criue che il zolfo è buonoalla
religione &per purgare le cafe col fuo fumo. Oltre a quello i fàccrdoti
ftauono conrinenri et digiunauono prima checntrarc al facrificio,ondc volenti»*
^.° ^ uma Pom P'^° pregare perla ricolta et facrificnre, Tompj&di s
aftenne prima dal mangiare della carne, et dalle donGiulUno nc. Et Giuliano
Imperarore(fe noi vogliamo credespartùno. re a Spaziano) fi contentò prima che
andare al facrificio di cenare d’hcrbe et di pere folamenteicon ciò fia
(come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca piùtofto alla fanità chele
gioui,confiderato che le infermità nenzf. afii ' fi N g uarifcon °
benc fpàfo per dieta. Et cofi per fobrieta,pcr carità, et religione debbiamo
cercare di purgare, et nettare l’anima, acciochc ella viua ficura contro
ì ogni pericolo che le poteflè auenirc, cacciando da noi .
tutti i penfierichecipo{ Tonoporrarepregiudicio, &o£ fufcarci 1
ingegno et la ragione, confiderato che I’aftinenzaguardal huomo di peccare, la
/obrietà fa finge TauoUfu- gno fottile, &ildigiuno perl’eflèmpiodellatauoIa
/agra bru'dì ri- et ^ 0 ^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc
lungamente. La legge tagorid. de i Bracmani era tale, che ella non patiua,
che alcuno ugge de entraflè nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi
dalla diunto i carne, dal vino, et dal peccato. Et le noi porremo
ben hjUncnzi. mente al x xx v. libro di Tito Liuio, noi troueremo
il digiuno c ^ c il digiuno fu oflcruato per «lamichi, quando ei diojjWo ce,
che comandando il Senato all’officio de’Dicci huoSf anti ' mini di riguardare i
libri Sibillini, PER INTENDERE IL SIGNIFICATO d'alca ni prodigaci rilpofono,chc
bilogna di cinque in cinque anni ordinare i digiuni in honore della Dea
Cerere. Ma quanto alla continenza, ella c vtile all’anima &r al
corpo,comc inoltrarono ilaccrdori degli Atenielì chiamati Hierofantes, i quali
lìcallrauono h icrofdn* col bere il fugo di la cicuta.Ne balla quello
(blamente, Us ‘ che ei bifogna fpogliarlì d’ogni affezione et pallìone
particulare, come dice Cicerone nelle Tue queltioni cicerone Tulculanc,
chiamandole pcllifercmallattie dell’animo: ondeincambio, che gl’antichi
penlauonodilauare con l’acqua i loro peccati, lauiamo noi con la
penitenzai penitenza noltri euori/eguitandoin quella la Temenza di
Seneca. èilueromo in Thiefte,dooc ei dice, t&fi'ì /£ Qutm
poenitet peccajje,pene e/l innocens.. Iute. La quale cofa ci
feruira di vero zolfo, Se vera bitume, Seneta * come Icriflc Ouidio,nel
libro </r Tonto, ouidio. Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia*
reddunt, Cùm bene peccati poenieuijje V idear. Vlauono
anchora gl’antichi rElcmolìna, come ferme Spartiano nella vita d’Antonino
Caracalla, dicendo, s P* rtiano ' 'Nontenaxin Urgitionem, non lentus in
eleemofynam. Ec La limojìn* Homcro narra d’vn giouaneche s’adira con
Anrinoo “ ^P r< \“ Proco, perche egli haucua ingiuriato vn pouero huo-
m tr^gU mo, che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R- 0 »della
Tua cala, inoltrandogli che Diocclclle lopunirebbe.E' certo che i laccrdotidc
Gentili innanzi che fare tf*eerdo i i facrifìcio lì
confeflauonod’hauereerrato,domandando (come dice Pitagora et Orfeo) ài
loro Dij Tempre cofe facrip.care giulle,doppo la quale confcdionc publica
il preteche u f auAno ld andaua innanzi et miniltraualecole fagre vfaua
di f lr co ^ c P,onr ‘R a 2.60 silcntio ne - mili parole, hoc age,
per fare che il popolo tacef<'ir™ ncl fc,& ftclfc intento à i sacrificij,
facccndo fare largo con grf . 7 vna bacchcttaùl qualc filentio è
neceffario nelle cofcfagrc,come Icriuc VIRGILIO (si veda) quando dice,
Hinc fida filtntia fiacris. Non elfendo dubbio alcuno che ogni bene
procede rune ft- dal poco parlare. Et coli il prete comandaua
fautrtfatrfto. crù,ò funere linguis, che altro non è, come dice Fedo, che
honafiari, le quali parole io ho vfate latine per non vfeirefuora de
termini antichi circa ài facrificij, maflì- inamente che i noftri poethvolcndo
dire filentio, vfarono aliai quello \cxbo fiauere. Finalmente quando
il prete s’appreflaua all’altare per facrificare, ei lo troua ornato
in quello modo, FigVX^i 2 ) 1 U ^ LT^XE 0 nato de
fiefioni,come fi vede nel marmo antico Menandro. Ed il faccrdotc era
coronato d’herbe chiamate ver- verbene. bene, per edere appropriate, et (limate
felici ne i sacrifìcij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri: quantunque
noi impropriamente parlando chiamiamo verbene Talloro,Tvliuo, e la
mortine, nondimeno Menandro afferma che quello è proprio la mortine vfata
nelle loropurifi cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo
cinque foglie: anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè
proprietà albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra
^Muo. femina impudica lo toccaua, o piantaua,non portadè frutto, et
fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i loro altari di quede foglie, pur
nondimeno (limauono che ogni divino haueife la sua erba e albero
particularc: come Giove Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia, Apollo
l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel fuo buono odore,Pan
il pino, et gli Dei infernali Tarcipreflò, per non rimettere mai quefla pianta
vna volta f° tagliato tagliata, non più che vn morto non e buono à
nulla: BACCO Tcllera, et Hercolcil popolo nominato di (opra.
veUeraeoStimauono parimentechc ogni loro divino hauede un animale proprio, come
BACCO la capra, o ilbecco, perche ogni dìo I ROMANI eonfatrarono ad
ogni divino la fua berba. Varcipref- ei nuoce alle vigne.
Cerere la troia, perche guadale biade, Diana il cervo e il cane, Nettuno dl
cauallo per proprio. le ragioni allegate di sopra, Fauno, laca^l, Gioue il
toro, Efculapio il gallo, et Ifis, Tocha. Nell’immolare adunque, o sacrificarc
quedi animali, il flamine, o sacerdoteera veditod’vna vede di lino bianca,
chiamata da Latini SIGNIFICANDO CHE la purità è grata al divino, e
perche ogni cosa che esce della terra, è nel suo t fce di u principio pura
e netta daquaje usanza c anchora hoggi terra ' m ~ R 3 “ t0
Zdi trai noftri preti nella popa di loro faenfieij, et nel prin
cipio che egli entrano all'altare : et vogliono alcuni che gl'Egittij ne
fodero inuctori,vfando le dette velli ne i facrificij d’vn lino detto
A^/flWjonde fu detta la vede Xylin* rUnio. nel modo che lo
IcriuePlinionel xvi ni. libro dell’Hicucrone. fLoria naturale. He CICERONE (si
veda) dice nel saggio delle Leggi, che il colore bipco e molto grato al
divino: &r che le vedi colorate non debbono servire le non à
gl'huomini di HrfWfo de guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi
lun[kcerdoti go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede per la
prclcnte figura. SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI, co Ài
Jlom*. Veluuon a 3 Veftiuonfi
ancora quelli faccrdoti d’vna tonaca drpinta,&foprala tonaca vna falcia
intorno al petto, fi comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito
Liuio,dicendo che ei creò à Giouc vn Flamine Diale perpetuo, vcftillo d’vna
bella verte, et gli donò la Iella Curulc: et clic oltre à quello ordinò xii.
preti Salij per fare lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca dipinta
con vna falcia di rame intorno al petto, quali nella maniera che vlàno hoggi i
noftri facerdori.ma di feta ornata d’argento, et d’oro, e di piecre
pretiofe.Ornolli Umilmente d’vn cappello di la nabiàca, chiamato Albogalcro,il
quale perche à caufa del troppo caldo non poteuono Iellate fopportare,fi
legauono vn filo intorno al capo, non ssendo loro lecito d’andare lènza
nulla in terta, nondimeno bisogna che idi delle felle lo portaflino, pcr
moftrare meglio la dignità facerdotale: oltre à tutte quelle cofe
bifognaua che il facerdore antico hauerte il capo raso/ccondoil modo degli
Egitti], come fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che altroue i preti
portauonoi capcgli,main Egitto nonronde Commodo Antonino volendo portare (come
fcriue Lampridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie il capo: ia quale
cola gl’interpreti della Icrittura (aera, et mallìmc S. Hieronimo hanno
interpretata che la tefta rafa non vuole altro lignificare,, che la
depofitionc di tutti i penficri et cofe temporali, et che la corona, ò
cherica de ipreti fignificala corona del cielo. Ma ritornando alle
cerimonie de noftri facrificij antichi, dico che quando fi veniua à facri
ficare, il facerdore voltandoli dallaltarc inuerfo il popolo, si mette la mano
al R 4 Tonaca do i fateraori. LIVIO (si veda) A
Ihogaleroyucjlimtn to del flamine Diale Al sacerdote non è lecito
andar colla testa ignuda. Il sacerdote antico ha la testa
rafa. Commodo si fa radere il capo. Hieronimo.
Cherica de freti. Segno di filmilo. DELLA RELIGIONE
la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che fi sonatori
volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo "io. ^ auc ‘ e cctcrc fonauono,i quali flauti ne i
facrificij erano di boflolo : et nelle fede et giuochi fècolari
d’àrornamento g cnto > et la vittima paffo à paflo andaua caminando
4riu uitti- verfo l’altare ornata di fiori intorno al capo, et certi pam '
ternoftri dorati, che le penderono dalla punta de corni, efifendo
condotta da i vittimarij mezi vediti d’altre pelli ntn, JU di beftie,chc
egli haueuonogia facrificate, comc moftra OVIDIO (si veda)
dicendo, -Induraque cornilus auro vaglio. Vittima. EtVergilio,
vlinio. ^ ft atUdm ante ar4S dUrata fronte iuuencum. Quello
che ha confermato Umilmente PLINIO (si veda), nel saggio dell’Historia
naturale, dove ci dice che non si pensa nel suo tempo ad altra colà che
trovare una gran bestia, con le corna doratc, pcr farne onore e sacrificio
«à gli Dij immortali nel modo che fi vede qui difotto. FIG DE GL
ANTICHI ROMANI. is 5 FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ marmo antico,
che fi vede in Roma. Mala viteima minore cheli doneua imolareà qual- i»
oUtione che Dio,era coronata d’vn ramo delle foglie dell albero
dedicato arale Dio,o veramente d’vna falcia di lana, chiamata infula,
dalla quale pendeuonoduc bendedette Tal viti da Greci, et Vitu et a i
Latini, et fe menata all'altare Lenza clfcre legara(quantunquc per l’adietro
ella lo fo ledè ellèrcjcome inoltra Iuuenaledicendo, Sei
proctil extenfum perulans <j uatìt hojìia funem.) segni di ella
faccua refiltcza d’accoltarlì, o fi fuggiua,o che per-, colla gridaua,o
cadcua da vn’altro lato che quello, che lime de ro dilègnauono i Romanici
pélauono quello cllere mal- mani R 5 VIRGILIO (si veda). 1 Vittima
ri j dowrjlit duerno le bejUcperle vittime. Tranquillo.
Audacia di Ceftre. Btfticpiù utili ithuo
a<r<? ‘l’augurio,# illacrificio non grato à gli Dij, nondimeno non
lafciauonod’ammazzarlaful luogo medcfìmo,doue era fopragiunta, come per
contrario,pigliauonoin bcne/c pacientcmente ella afpcrtaua il
colporqucllo che ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc dice.
Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm. et Hadriano Imperatore nelle fuc
medaglie. MED. GRECA D’HAD~RIANO. BRONZO. BRONZO Dipoi
per ouuiare à quefli dubbi), Scnondifturbarei {acri fìcij,ordinorno gli antichi
i vittimarij à polla, che domellicauono le beftie, et coli facilmente le
conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del fuggire, o non fuggire della
vittima(come lèriucTraquilh faceflèconto,&non IalcialTedi combattere
doue rione lì prefentaua : anzi fumo gl’antichi in quelli, riolì,
che prima che itnolare vna bcftia.la poneuo mentedaleapo lino ài piedi,
accioche ella folle fènz ^, ~ula, et coli pcnfauono douerc essere molto
piùgraIoro Dij. Etfurono le vittime usate dai Romani,!* ;a, la troiani
bue, &la capra, come bellic più manfuece z6 7 fuctc et facili
à condurre douc l’huomo vuole, ed anno, trono cho come beftìe più vtili
alla vira dell’uomo, con ciò lìache le pecore danno il latte et la lana,
et i buoi lauora- p t u e de «noia terra, e del jfelo delle capre gl’antichi
faccuono ft roniin feltri per la pioggia, et delle pelle dccaftroni
cucite in- v ^ 0 ‘*, ^ oUd ficme, i foldati mantelli perla guerra.Et coli
nelprin cipio del facrificio illàcerdotc Romano veniua all’altare velato
Scoronato d’alloro in compagnia del coro di fanciulli^ fonatori di flauti
et di ccrere.che fonauono& cantano, come mostra la medaglia di
Longino Triumuiro. ti Romani perla gu nr ra. LONGINO
TRIVMVIRO. ARGENTO. ARGENTO. Oltre àqueflo non farebbe parfo interamente
buono ilfacrificiOjfc illaccrdore non haueflè tenuta la mano fu l’altare, come
ha moftro Vergilio nel 4. dell’ Ac- vtrgilio. neid.doueei dice:
Talli ut orantem JiBis ardfijue tenentem ’^duJtit
omniporens. Volta soltuono i Voltaua Umilmente il iàcerdotc il vifo
all’Oriente nel g^Umt P rc g arc gli Di j, -fida mattina di
buon’hora, {limando titutxr f*- gl’antichi che quello folle il tempo
proprio, nel quale gli ucrfrorié- Dci lecndeuono nel tempio perricctiere
et vdirc i priete. ghi, et voti di queflo et dic]ucllo: Ia<]uaIev{anzahabbia
Forano, moritenutaanchora noi ncllanoflra Rcligione:& Porfino ha voluto che
le ftatue et entrate de templi fiano tutte volte aH’OrientCjConforme in
<juc{lo(feben miricordo)con Vitru uio. FiqLm^t TlTt^T^l Z> Lla
colonna di Traiano. tifine 1 Doppo quello il sacerdote piglia tra le corna
della vittima del pelo, e lo gitra sopra il fuoco accelo, nel modo che ha
fcritto Vergilio quando dice. Et fummat carpens mediti inter comua
feto*» Jgnibta imponitfacris. La quale fuffumigatione
fatta con altre di frutti et biade
primaticcie, chiamate dai Greci come si vede per la figura. i
Co VIRGILIO (si veda). FlGVRA T> E COLTURE, don erano
polle le primicie ftj fruttijnnanzi cine facrifìcafiino. Gl’antichi
pensano quelto cflcreaugurio di futura fertilità, rendendo gratic à gli
Dij d’cflcrc arriuati in vn tempo più ciuile,& più bcllo,nel quale in
cambio di ghi ande et d’orzo potcuono mangiare viuande più dilicate. I
granelli di quello orzo mclcolati con Tale ( Sic mifcel
a 7 o Cerche mef tnifìellam inteìligunt Oraci ex hordeo, et f*le>
mar eri am ) Ronuni f- fichiamauono Ole&cUle,\ quali coli
magiauonagl'anorzo con il tichi,prima che folle in vfo il macinare. Ne vi
mefcolart ficrifi- uono *1 P cr h fertilità, eflcfndo cola (Ieri le, nc
manco àj. per ringratiaregli Dij,ma perche lo Rimarono vn
legaUftlcriprc mc £ f e£, no d’amicitia, et di qui nafceua che innanzi à
game dumi gl hofti&aglamici liprclentaua il (ale prima che tutte
citu. l’altrccofè, volendo /igni ficare la fermezza dcH’amicitia,&
moltrarechecomedi più acque fijfavn corpofoIidò(quajc c il (ale)cofi della
volontà di più perfone fi genera vna perfetta concordia et amicitia. il
medefimo faccrdote d ipoi gittaua tra le corna della vittima la mola, et verfaua
del vino,comehà moftroVergilio, douc ei dice. Simbolo di
ucraamicitu. Mola. Vrobatione -Frontone inuergit
vinafacerdos. della uitti - lignificando per quello che la vittima era
crcfciuta in di ma " gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc
fecllahaucua paura, {limando che lenza la mola il ficrificio non è grato
à i loro Dij:&: il vino era portato in vn vafo detto l 0 .
Prcfcriculo,per vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo chcfe ne
veggono à Roma invìi marmo antico. VUSO VUSO, Tinnirò DEL
M^tR mo antico-, chiamato ^ref inculo. Ma innanzi che il prete
fpargefleil vinofu la tcftadel Ia vittima,
eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro pie s imputo. colovafo,
fatto nel modo che fi vede qui difotto,& ritratto da diuerfi marmi et medaglie
antiche. SI MTV LI TIRATI D‘V 2ST fregio dntico cine in
Roma. Ne man t 7 i i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono quelli
fiicrificij fenza fuoco, il non fucrifi- q Ua J c era dilegnc
(ceche porte fu l'altarc,fi come vfiamo ““fuoco, anchora hoggi ne i
noftri facrificij (non per ouuiareallc tcnebre,ma per moftrarc
nell’adoratione fegno di gioia) et come fi vede per il candeliere de
gl’antichi, fatto in quella forma, CERVELL ERE, RITRUTto del
nurmo antico. Lclegnedel detto facrificiononpoteuonoc/Ièred’vtéttiu o tu-
liuo,d’alIoro,ne di quercia, perche gl’antichi ftimauono *’"*• che
tutti quelli alberi faceflìnocattiuoaugurio:& quanfidccold il do il
facerdote racccndcua,pigliaua vna fiaccola di piP in0 \ • no guardando bene di
non errare fecondo l’ordine delle cerimonie ’o, • i, i i< -t
primdch oc loro cerimonie antiche,doppo le quali il prete toccaua
eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella per infino
allacoda, yergìlìo, come ha moftro VIRGILIO (si veda), dove dice» Et
tempora ferro Stimma notar pecudum. Comandando dipoi al
vittimano di mettere i coltelli fo pra alla bcftia,come dinuouo ha
inoltrato VIRGILIO (si veda) qua do dice, Supponunr alif
cultros, Et di qui c nato che gl’antichi diceuono mattare, cioè
crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto nel modochefi vede qui
difotto, MAGLIO ET SCURE con quali ammazzinone le
Vittime. Non è lecito ai ministri di percuotere la vittima» ^
fé il faccrdote non Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi
cflerc differenti, mi è parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte
> (beco. FICfV'R^l Z>’ l MJlslJSTXJ del
facrifdo, ritratta del marmo antico. Et tutti quelli ch’andauono innanzi 1
. grand jfacrifì cijdicenro buoi, chiamati Hecntombc,ciòè
trombet ti, fonatori di flauti, o dicorni, et quei chcconduccuo no
le vittime, óccheporrauono i vali, Se altre cofe ne ceflaric per il
ficrificio, èrano differen temerne corona ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi
vedc.qui difolto, H eeatobr. SO no innanzi alle
vittime, Quella vittima era bene fpellbammazata di coltello,
colteUochi fubico che il làcerdotc comandaua di ferirla nella gola, Sf
" il quale coltello, chiamato Seeejpira, è simile à quello
ritratto da i marmi et fregi antichi, che fi veggono in Roma. S
a v zf? Wf i <K1 / X r z J ! qjj ^ L 1
ammazzino le vittime. Etalcunialtri tcneuonograndillìmi bacini da
loro detti difchi,per riceucre gli inteftini della beftia,Ia forma
de quali Ci vede in Italia et in Francia in molti luoghi fatta à quello
modo. S Tutte quelle colè non erano fatte lènza millerio, con
ciò lìa,chc doppo haucre glatichi sacrificato i buoi, per Mijitrio
memoria del facrificio,& in honorede loro Dij faccuono f u I luogo (colpire
1 bacini, &:i tcfchidc buoi, có fcfto* pojitnticni. # . c • . \
| . r, nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi antichi, et maflìme
fopraà gl’archi delle pone di S. Giufto in Lyonc. 2) 1 S CO, 0 2
CI Fregio *7* FX3 q io TTYZTro Wltm marmo
antico eh' è in Lyone. Pelle detto vittima in- Alcuni
alcri,lcQrticatada vittima/accuorio rtietrère la pclleconl’altreinfegne
della religione, dormendo bene fpeffone i templi fopra le dette pelli, per
affettare la ri- religione. fpofta de iloro Dij,come mollraVerglio,
quando dice, y ‘Pellihus ine uh ut t JlratisJomnofque perirne. S
4 vìD l UT'' I Giu Et ficome letcftedc buoi erano quiui
collocate per mostrare la pietà e la religione, et tutte le loro
cerimonie vfate nei facrificij, colici mctteuonoanchora quelle de
caftroni facrificati,fi come fi vede nel fopradetto fregio, onde io ho fatta
ritrarre la figura. a i,/V'y, ' ' . ^ x yfq i8o' /.
TESCHIO DEL' TO X q mejfo tra le infegne della religione. ito
‘ I Giudei (come fcriue Straberne al vi. libr.)haueuo- i Giudei no
anch’eglino quella vfanza di dormire ne i tcmpli,& di vegliami dentro,
come faccuono i Romani, perche tomcTUo- comehà detto Cicerone, gli Dei
parlano (blamente à mni ' coloro che ei trouano dormendo : la quale
vfiinza (co me (criucEufebio Panfilo) fu dipoi tolta via daCoftan E “A
bio tino,auertito de i maliche fotto colore di bene fi face uono là
dentro. PELLE PELLAI VITTIMAI.Vltimamcnte il fiicerdotefaceuarizarc vna
gran tauola chiamata EncUhrnjz ome i vafi, che fcruiuono per ifacrificij,
fumo detti EncUbria,, fopra la quale faceua porre la vittima (parata
percercarcdiligctemente gl’in QsoUinte teftini (quali erano il cuore,iI
polmone &il fegato)con vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli
Dei s’erano contentati del facrificio et pacificatila i Greci (come scrive Pausania)
appreflo auere guardati gl’inteftini de Taufaù. glagnclli, capretti, et vitelli,
folcuono predire le cose ;.v: S 5 jl8i della religione
officio de future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme
t^nelfacri' delfuoco,dal q ua le era la vittima abbruciata. Hauen ficio.
do i faccrdoti coli bene effeminati gl’intcftini, faccuono diuiderele membra
della beftia, et quelle coperte di farina,& polle in vn paniere, ne
faceuono offerta à c o lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì
(limauono la vit tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la
vittimafquar DoUbré tata, fu chiamato Dolabra ‘Pontifici, fi come Tito
Liuio ponfj/icu, ha nominato quello, col quale fe le tagliaua la gola,
Se ua,yel a fecando SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am
mazzauonoi piccoli animali, fumo detti Cultrii come ottico nel hàmoftro
Ouidio quando ci dice, il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros
form, lnficit. Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia,
detti Ve natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita di
Claudio, douc ei dice, Reperti eejuejlri ordinuduoin pu hlico cum dolane
et "venatorio cultro. Solamente i Giudei Coltelli di
nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra. putra per *
e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\ L’altro coltello, col
quale era fquartata la vittima, coltelli per era fatto nel modo,che fi
vede qui (otto. uìttim LTXO COLTELLO
^ANTICO. Inuitami la diuerfitàdi quelli co!telIi,& per fare pia piwr p
f j ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare quindi de coltelli
forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij portauono appiccati alla
cintura in quello modo. COL i8 4 della religion e COTTE L Li CHE
‘PORT^V^'HO w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura. Etfc alcuno
purefteflc anchora in dubbio del modo di quelli facrificij, mi è parfo di
riprefcntarc qui al naturale quello che fi è potuto ritrarre della
colonna di Traiano à Roma. S.JCR 1 Bh>'ob A. ih' iup 31 l MI
51 1141^Ha . ; t pn jnnr. 3 KV)*j f :J. ^ 'ff ’ !:Ì,W MJtll 11 * 03
1 n I :, obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; : onta* zfy
sucrifTcTo~~u wr Tcori fxZf ttò dalla colonna di Traiano. Riguardata
la vittima, e fatto preferite al sacrificatore di pezzi migliori, il prete gli
faceua abbruciare sull'altare, quantunque benefpclfo la carne reftaflè i i sacerdoti
doppoil (angue fparfo fu l'alrare,come hi tno ftro VIRGILIO (si veda)
quando ei dice, Sanguinis @r [acri patera. Mane gran sacrificij
dntida i la vittima h gittaua tutta intera dentro al fuoco, come
hi dimostro il medesimo poeta dicendo, Etfolida imponunt
taurorum inferra fammi s. La ittLa quale carne non era coli torto
porta dentro a 1 fuo frtu ì'tc co, che il prete vifpargcua fopra delì
incenfo del corto, nerliiuen et altre cole odorifere, che ci pigliaua
dentro à vna caf fetta detta ^ cetra da I LATINI, e de noi hoggi
Turibulum, come moftrala predente figura, t ~ . d C S S E TT yA
DOVE TEMEVANO ifacerdoti line enfi. W ’ : il uino in
Qucfto iflccnfo,o profummo (comeio penfo) s’ab ufo ntl fa bruciaua per
amorzarc il cattiuo odore della carne «rifido, abbruciata, doppo il quale
il facerdote vcrfauadcl vino rane in mag fu l’altare, e all’hora fi
ftimaua fornito il sacrifici tono in ma g LU I aitare, oc auuuia u muuw
lumuu n facrificio, gior pregio quantunque il più perfetto et maggiore
era tenuto quel mi Curi j Q ^ c j
lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn becco, ed’vn montone, e appreflo
àgl’Ateniesi d’vna troia.d’vn montone e d’vn toro, chiamato dai Romani
Solitaurilia, e fatto da Censori per lustrare, o purgare la città di
Roma, come qui lo dimoftra la figura, ~ “ SjLCZi nel sacrifi
ào. Solitaurilia. SACRIFICIO CHIAMATO SOLitauri hajirato dui marmo
antico. Qiì e ft ovoca bolo, folo, dirnoflra laqualirà delfacrU
ficio, cioc che egli era perfetto e intero, conciofia che solum in lingua T
ulca sìgnifica intero, come dimoierà. Solum LIVIO (si veda), chiamando gli
ftrali fohferrei, cioè tutti di LIVIO (si veda). erro. Nel resto e ultimo
de sacrificij i medesìmi preti apparecchiauono la cena, alla quale era
permeilo di Ctnd i trovarsì à
ciafcuno, che era flato prelènte aIlacrificio: e preti Rodi quel che
auanzaua,poteua il facrificarorcportarc et mnu donare ài parenti, &à
gli amici,qualì come li fa nella < noftra religione hoggi del
pane,che ogni domcnicair diftri nijlribu diftribuifce per
Icchicfc.il modo del loro mangiare craj tionejetta nc l tempio ftauono
tutti ritti con certi panetti tonati anti diin mano, mentre che ficantauono
d’altra parte le lodi del divino, facendo cuocere la loro carne dentro à
vn vafo detto Olld,&. da noi Pentola, nel modo che da i marmi
antichi ella fi vede ritratta qui difotco. PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl El
ettori ftceuano cuocere Ucarne de li facrijìcij. Avendo anchora olìcruato
per la icultura d'vn'altro marmo antico, che fi vede fopra la porta della
chicia di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit tima era
fiata pofta morta lu l’altare, il vittimario fe la caricaua fu le (palle,&
la portaua per metterla in pezzi, et farla cuocere, come fi vede
pcrilgiouane vittima rio,che porta la pentola et la mcfiola,& il
facrificatorc noUfiU il paniere douc era la mola falata, però mi è parlo
di u, ripresentarne qui la figura al
naturale. Eigv 4 >M Me FiqUR^l T12tUT<st'
D'V'N fico eh’ è /opra la porta de la chiefa di Tcauiett in
Seauiolois. J Cerere lulus per le biadc, di Venere Ereriches, c ioc
picn d’amore, e di BACCO, dityramhus: benché grimbriachi h yanl de
haucuono i loro hynni à parte, i quali Ariltofanc inXdba chiamati ft yÌHunct, à
caufa che i Greci chiamano e». 4 1 tremito de la tefta*p>*a'>irr,
et mangiare et bere J troppo. H ora appreflo à tutte quelle cole,
il prete, liccnvenilio. tiaua ogniuno,comc moftra Vcrgilio, quando dice,
Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 . 1* il fine del ^ et: volendo
mollrarccheil facrificio eraforni fecrifieio. to, comehoggi anchora fanno i
noftri preti alla fine della mefla, quando dicono, ItemiJJa e fi. In quelli
templi tra l’altrc era vna Tedia à parte dinanzi all’altare, perii
Principe, o quello che tencua la giuftitia, intorno ali ai r tare
vn coro, et nel rcfto del tempio erano portichi Ioggie,doucil popolo
lpaflcggiaua, afpcttando che lì facelle il lacrificio. Et certamente che Te noi
mettiamo ogni induftria et facciamo ogni grande fpela per Tare bei
palagi, e: belle cafe,tanto più douerremo ingegnarci di fare beile chielc,
Scorationi à Dio, per intrattenere Religione co a P‘ cta, * a religione et la
mifericordia,come ci hati degli enti noinfegnato OTTAVIANO (si veda),Vespasiano,
Nerva, &M. 'Jf ehi impero Aurelio, tutti buoni e diuoti
Impcratori,pcr quanto li tifarne vede nelle loro medaglie, doue fono
tutte infegne della gnifiebité antica loro religione, nel modo che fi
trouano qui difottO; ANTON. A Pf 2*1 ANTON.
PIO. M. AVRELIO. ARGENTO. ARGENTO. Ma perche gl’ Egitcij fono (lati
i primi, che Icuando Religione gl’occhi in verfo ilcielo, e affifando la
mente nella cognitione del divino trouorno molte cerimonie, e modi di
religione:pcrò ho giudicato non fuora di propofito, Io fcriuere qui
neH’vlfimo qualche colà di loro: et come penfando che il Sole et la Luna
fodero Dij,chiamorno quello Ofiris,& quell’altra Ifis, adorata poi
infino a Roma, come fi vede per la infraferitta medaglia, dclla quale io ho scritto
altrove adai largamente. MEDAGLIA DEL CINOCEFALO. ARGENTO. E
Commodo imperatore (come fcriuc Spartiano) hpiiorò molto tra gli altri
facrificij, quello di quella Dea, come fi vede nelU fua medaglia, doue
ella tiene vna sfera in mano, come madre di tutti Parti, et vn
vaio, ovcroamfora piena di Ipighe, SIGNIFICANDO LA FERTILITÀ d’Egitto. BRONZO. BRONZO. L’vfanza
de gl’Egitij nell’adorarc i loro Dij, è nel principio pura e semplice, senza
effuzione di sangue, o usare altra crudeltà, però che egli offeriuono sull'altare
quei medesimi frutti che ei mangiano, il che feciono anchora tal voltai Romani,
come dimostra la figura: e abbruciando le radici et le foglie insiemc, guardauonoi
frutti offerti all’altare, pacificando il divino celeste col fumo
fidamente. v pinzi fogli Egitti/ nelTadora rt » loro X>ij. s^Cz/ SACRIFICIO
2)1 FRVTTI TIRATO del marmo antico di Roma. Scrive Porfirio che in
quel primo tempo non sono Porfirio. In uso ne rincenfo, ne Iamyrra, nc la
cannellate il zol fine il zafferano, ma l'erba verta, la quale mostra la
potenza della cerra, e tale sacrificio quale si faccua propriamente dell’erbe
si chiamava da Greci 5v*t*. Di poi vennero Hiperbio e Prometeo che trovorno
il Hipfr&io modo di Eterificare le bclfic,& di conoscere selle
erano intere &fane,& il facrificio grato à gli Disperò chefcil
fiacri fi tatotoro rifiuta u a la farina, o le capre i ceci, chc sono pre- acif
~ (curati loro, giudicauono il sacrificio ne le bestie edere buono. Dipoi
offerirno myrra e zafferano, e ndl'vlti- T 3 Cerimonie degli
Egitti f, i felli' tarloroDij ld mattina. VITRUVIO (si veda). Itore
certe per far oratione, cr citare. PLINIO (si veda) TACITO (si veda). Macrobio,
Marcellino, Cojlume t Orfeo à far giurare i
forejiitri entrido nel la fua religione. L ecofebuo ne
communicate ima Ugni, perdo nolorriputatione. mofcciono vna
vera beccheria dei facrificij loro. L’altre cerimonie de gl’Egittij erano di
falutare la mattina i loro Dij, il quale modo da gl’antichi fu detto
adoratio- nc, comc mostra VITRUVIO (si veda) nel saggio dell’Architettura,
doueci vuole che i templi del divino fiano prdl'o alle ftrade
macftrc:acciochc i paflànti gli pollino più commodamentc salutare e
adorareda quale vfanza pare che habbino ritenuta i nostri preti, dicendo
il mattutino, et terza et feda, comcgr Egirtij faccuono orationc la
prima, feconda e terza hora, cantando hynni et altri canti, fitti in
laude del loro Dci,& fcritti, come scrive PLINIO (si veda), ne i loro saggi
di religione, per figure e caratteri di bestie, d’uccelli, e d’altre cose, che TACITO
(si veda), Macrobio e Marcellino chiamano Hyerogliphice, come anchora si può
vedere ne i loro obelisci, o vero piramidi e guglie, delle quali ragiona
Plinio al x x x v i. hb.dcl- fHiftoria naturale in quello
modo,Gl’intagli, caratteri, et imagini,chc noi veggiamo, fono lettere de
gl’Egittij fcnzaordine e intelligenza di persona, fcnondi coloro
che sono prepossi alla religione. Ed Orfeo (come narra Firmico) mollrando
à gli huominiforellieri, chc entrauono nella fua religione, i lecreti et miflerij
di quella, gli faceua prima folla portadel tempio giurare, che non
riuclcrebbono maicofa, che egli hauellìno veduta ài profani, cioè à
quellichcnon erano dell’ordine loro: e certamente non fenza ragione,
conlìdcraco come le cole buone perdono di rìputationcquando ellcfonocoftì
municatc à huomini ignorami, incredulfonuidioii, per- fidi et maligni.
Vlauono oltre à quello gl’Egittij, che pigIiauonogl’ordinifacri,di pigliare
anchora prefentida ogniuno. a* 5 ogniuno,& poi faccuonovn
conuitoà tutti quelli, che erano flati prefentialle cerimonie loro: e il
gran sacerdote (come noi diremo hoggi vno de i noftri vefcoui) infegnaua
poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn libro, o ruotolo, come
quelli che vfauono i Giudei. I ROMANI poi haueuono altri vigniti de
ordini tra loro, come il maggiore e minori Pontefici, flamini, archiflamini,
e protoflamini, simili al nostro papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vescovi,
abbati priori, canonici e altri, à i quali porta uono molto ho- nore&
obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cicerone fcriuc,che la religione fu
quella che fece coli gran- urrllgim di I ROMANI, anchora che egli
haueflino affili nationi superiori à loro in molte cose. Pofledcuono
parimente gl’antichi benefici) con la dispensa del maggiore Ponte-
eB fìce,come fi vede in Tranquillo nella vita di CLAUDIO, et doti
Antichi in LIVIO, quando ci dice che il figliuolo di Fabio Massimo
ha due bencficij, quando ci fu fatto pontefice: i quali beneficij sono di si
gran valuta, che non solamentc ei poteuono intrattenere le loro case e
famiglie magnificamcnte, ma perenire alle sommc dignità de i loro
trionfi, non lasciando per questo di tenere altri offici) secolari e
publichhandarc alla guerra, e fare mercanti a, secondo che roccasione si presentaua:
et erano quefli bcneficijdidueforti d’vnaVfa fuggettaalla colla-
tionedc Ponteficbde la Republica, et degli Imperatori, e l'ahra reftaua
libera et hcreditaria di mano in mano à R 0m JT « i fucceflorijche
chiamorno tali facerdotij Gentilirij, e tuamentr. quafi al modo noftro
patronati:de quali hà coli parlato CICERONE, nel libro de Aruftìcum
reftonfìs, Ei fono (dice citarne., che hanno fattoi T 4 egli) in
qucfto ordine molte perfone intrjte de facrificij Gentilicij in
quello iftclTotcmpio.Nc e damatntjiaf. rauigliarfi fc l’enrrattc di quelli
benefici j antichi erano cofi grandi, confidcraro che quando i ROMANI
veniuonoa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono digrandissimi beni, cosi
indanari,& penfioni,comcin tcrre& altre cole (labi li, et i Re
&gl IMPERATORI le faccuono fijonluioni a quelle, che in Francia fi chiamono
Fondationi rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe e
pagate dai Riceuitori del Dominio, cofi quelle de ROMANI paflàuono per le mani
de questori, o Telorieri, fi co- coUcgìdd m x c mostra LIVIO, quando ei
dice che NUMA ordine V rftaii no i Collegi de i Flamini et delle vergini
Vcftali,&: aflc- - N ^ id4 £ n ° foro entrate et prouifionidei beni
publicida quale vfanza non bifogna dubitare che non fo/Iè poi ofleruata
et matcnuta da gl altri fondatori che vennono do- cSformiti P° lui.
Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi troucrrcmo e vedremo che
gl’ordini della noslra reli- Gentili con gionefonóin moire cole limili à
quelli de gl’antichi Egit k nojircin tij, ROMANI, comclbno i camicide
pretine ftolcde piì- netejecherichc ralc, che i Franzcfi, chiamano corone,
lo inclinare della tcfla, volgendoli all altare, il principio et la fine
del sacrificio, i prieghi, i voti, l’orationi, gl’fiy tini, le mufichc delle
voci,ifuonicomequellidegli organi, proccfIìoni, et molte altre cofc,chc vn
buono spirito potrà facilmente ricorre, hauendo bcneconlideratc quelle
cerimonie et qucIle:ecccttoche quelle de Gcn-’ df ti,icrano
«tlupcrfiitiofe, ma lenollre sono Chri- g aitili. diane et catholichc,
eflèndo fatte inhonoredi Dio Padre Omnitenrc, &di Gicfu Chrillofoo
figliuolo, à cui fia gloria eternalmente. Grice: “There are many issues about philosophical
theology, as we may call it. The romans were into cult, rather than religion –
they didn’t even know where ‘religio’ came from, and Lucrezio famously
disagreed with Cicero – It seems it was all about killing livestock in lieu of
humans, as the barbarians did!” -- Grice: “Enzo
should concentrate a bit on how the ancient Romans dealt with their civil
religion. Roma and romanitas. Carlo Enzo. Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi,
ermeneutica, i quattro sensi – from Genesis to Revelations: a new discourse on
metaphysics, eschatology – perhaps Moses got more than the 10 comm from Sinai
--. Ebraismo e romanita –
romanita pagana – la teologia naturale dei romani antichi – la religione civile
dei romani – I simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale
della Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi
Speranza -- Grice ed Epicaride: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. He is said to have been a Pythagorean who solved the problem of not
being allowed to eat living things by killing those things first!
Luigi
Speranza -- Grice ed Epicarmo: la ragione conversazionale all’isola -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes comedies. He achieved a
reputation as a philosopher through several works. He was one of the seven
sages (according to Hippoboto) and may have been a Pythagorean.
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Epicoco: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della religione civile dei romani – scuola di Mesagne –
filosofia mesagnese – filosofia brindisese -- filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Mesagne). Filosofo mesagnese. Filosofo brindisese. Filosofo
pugliese. Filosofo italiano. Mesagne, Brindisi, Puglia. Grice: “I
like Epicoco; he has a way with words – e.g. ‘only the sick heal.” Is that
synthetic a priori?” Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis on some
symbols, like blood, and Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’ Insegna a San Carlo Borromeo
all'Aquila. Altre opere: Vergine Madre
figlia del tuo figlio; Itaca editrice; Jesu dulcis memoria; Itaca editrice; Il
grido di Benedetto XVI; con Masciarelli; Tau editrice; Futuro presente.
Contributi sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo Amato e Paola
Bignardi; Tau editrice; L'Immacolata perfezione. Sentieri in preparazione alla
festa dell'Immacolata; Tau editrice Io
vedo il tuo volto. Arte e liturgia; Tau editrice Ex coelesti virtute. Miscellanea di studi in
onore di S. E. Mons. Giuseppe Molinari nel Suo 50º di Sacerdozio; Tau
editrice Etty Hillesum. Introduzione ad
una donna; Tau editrice Piccola introduzione
alla Bibbia; Tau editrice Qualcuno
accenda la luce. Conversazioni sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco;
Tau editrice Giovanni Paolo II. Ricordi
di un papa santo; con Mons. Piero Marini; Tau editrice La misericordia ha un volto. Il Giubileo
straordinario della Misericordia secondo papa Francesco; Tau editrice Preghiere di ogni giorno; Tau editrice Nati per amare. I giovani raccontano la
famiglia; LUP Solo i malati guariscono.
L'umano del (non) credente; San Paolo, Milano
Educare è meglio che curare; Tau editrice, La malattia è un dono di vita. Storia di
Teresa Ruocco; Tau editrice La stella,
il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano Quello che sei per me. Parole sull'intimità;
San Paolo, Milano Amen. La Parola che
salva; San Paolo, Milano Sale non miele.
Per una fede che brucia; San Paolo, Milano. Telemaco non si sbagliava. O del
perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano L’amore che decide; Tau editrice, Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta
piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un
percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità
della testimonianza, Città Nuova, Roma,. Note
A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose, Giovani: don E. (filosofo), “proporre un incontro che può
cambiare la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre. Intervista a Il Faro di Roma Scheda in Itaca
libri Scheda sito San Paolo Scheda del docente nel sito dell'Università
Pontificia Articolo incarichi diocesani Intervista a Credere Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi, su
diocesilaquila. Scheda sul profilo di don Luigi Maria Epicoco Radio Radicale Comunicato stampa Sito Rai Caterpillar Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in
prima serata Membri Cavalieri della Luce
Archiviato iin. Testimonianza nella
rivista Credere Roma Sette sul nuovo
Messalino edito da San Paolo Intervista
e nuovo libro sul sito Aleteia La
prefazione di Massimo Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco Don Epicoco nuovo preside dell’Issr
L’Aquila Conferenza d’E. a Nizza Ricerca Religione sistema di credenze e attività
umane nei confronti di una o più entità sovrannaturali Lingua Segui Modifica La
religione è un costrutto sociale formato da quell'insieme di credenze, vissuti,
riti che coinvolgono l'essere umano, o una comunità, nell'esperienza di ciò che
viene considerato sacro, in modo speciale con la divinità, oppure è
quell'insieme di contenuti, riti, rappresentazioni che, nell'insieme, entrano a
far parte di un determinato culto.[1] Alcuni simboli religiosi. Da
sinistra a destra, dall'alto verso il basso: Cristianesimo, ebraismo, induismo,
bahaismo, Islam, Neopaganesimo, Taoismo, Shintoismo, Buddismo, Sikhismo,
Brahmanesimo, Giainismo, Ayyavazhi, Wicca, Templari e Chiesa Nativa Polacca Va
tenuto presente che «il concetto di religione non è definibile astrattamente,
cioè al di fuori di una posizione culturale storicamente determinata e di un riferimento
a determinate formazioni storiche». Lo studio delle "religioni" è
oggetto della "Scienza delle religioni" mentre lo sviluppo storico
delle religioni è oggetto della "Storia delle religioni".
EtimologiaModifica Cicerone fu il primo autore a proporre un significato
etimologico, collegato all'attenzione verso ciò che riguardava gli dèi, e una
definizione del termine religio. Lattanzio, apologeta cristiano, criticò
l'etimologia di "religione" proposta da Cicerone, ritenendo che
questo termine dovesse essere riferito al "legame" tra l'uomo e la
divinità. Il termine religione deriva dal latino relìgio, la cui etimologia non
è del tutto chiarita[2]. Secondo Cicerone, la parola originerebbe dal
verbo relegere, ossia "ripercorrere" o "rileggere", intendendo
una riconsiderazione diligente di ciò che riguarda il culto degli dèi[3]:
(LA) «qui autem omnia quae ad cultum deorum pertinerent diligenter
retractarent et tamquam relegerent, sunt dicti religiosi ex relegendo, ut
elegantes ex eligendo, diligendo diligentes, ex intelligendo
intelligentes» invece coloro che riconsideravano con cura e, per così
dire, ripercorrevano tutto ciò che riguarda il culto degli dei furono detti
religiosi da relegere, come elegante deriva da eligere (scegliere), diligente da
diligere(prendersi cura di), intelligente da intelligere(comprendere)»
(Cicerone. De natura deorum II, 28; traduzione in italiano di Cesare Marco
Calcante in Cicerone. La natura divina. Milano, Rizzoli, 2007, pagg. 214-5)
Jean Paulhan evidenzia come Lucrezio fece invece derivare religio dalla radice
di re-ligare, nel significato «dei legami che uniscono gli uomini a certe
pratiche – derivazione che fu poi ritenuta tale anche da Lattanzio e Servio
Mario Onorato (però col significato di «legarsi nei confronti degli dei).
Secondo Albrecht, da essa, poiché verbo contrario all'idea di liberazione,
Lucrezio ne derivò il significato negativo, del quale è: «molto grafica
l'espressione religione refrenatus, che rispecchia le inibizioni al pensiero
filosofico causate dal paganesimo: l'uomo è trattenuto, impedito, essendo le
sue mani letteralmente "legate dietro la schiena"». Inoltre «parla
spesso dei “nodi stretti” [...]della religio, dai quali Epicuro avrebbe
liberato l'umanità». Un significato simile le aveva attribuito lo storico greco
Polibio, dando alla religione, ma con particolare riguardo alla tradizione e ai
costumi dei Romani, il senso di un instrumentum regni. Nello specifico
Lattanzio, che fu ripreso anche da Agostino d'Ippona (354-430)[9], correggendo
Cicerone, sostiene: (LA) «Hoc vinculo pietatis obstiicti Deo et
religati sumus ; unde ipsa religio nomen accepit, non ut Cicero interpretatus
est, a relegendo.» Con questo vincolo di pietà siamo stretti e legati
(religati) a Dio: da ciò prese nome religio, e non secondo l'interpretazione di
Cicerone, da relegendo.» (Lattanzio. Divinae institutiones IV, 28.
Traduzione di Giovanni Filoramo. Le scienze delle religioni. Brescia,
Morcelliana) Così Alici mette a confronto la lettura etimologica offerta da
Agostino in De civitate Dei, che si richiama a Cicerone, con quella di
Lattanzio il quale "preferisce insistere sull'idea primitiva di 'ciò che
lega' di fronte agli dèi": «tale legame sarebbe pure indicato
dall'uso simbolico delle vitae, cioè delle bende con cui si coprivano il capo i
sacerdoti» (Alici. Nota 5 in Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani,
2004, pag.462) Tuttavia lo storico delle religioni italiano Montanari osserva
che: «Etimologicamente, religio non deriva da religare('legarsi faccia a
faccia con gli dèi'): questa interpretazione, di fonte cristiana (Lattanzio),
fu attribuita agli antichi, ma sulla base del nuovo culto monoteistico.»
(Enrico Montanari. Roma. Il concetto di "religio" a Roma. In
Dizionario delle religioni (a cura di Filoramo). Torino, Einaudi) Quindi, per
Enrico Montanari, l'origine del termine "religione" è da ricercarsi
nella coppia dei termini religere/relegere intesi come "raccogliere
nuovamente", "rileggere" osservare "con scrupolo e coscienziosità
l'esecuzione di un atto" e quindi eseguire con attenzione l'"atto
religioso". Furono i primi teologi cristiani, nel IV secolo, a rovesciare
il significato originario del termine per collegarlo al nuovo credo. Allo
stesso modo osservò Leeuw che coniando
l'espressione homo religiosus lo oppose all'homo negligens: «Possiamo
quindi intendere la definizione del giurista Masurio Sabino: religiosum est,
quod propter sanctitatem aliquam remotum ac sepositum a nobis est. Ecco
precisamente in che cosa consiste il sacro. Usargli sempre debiti riguardi: è
questo l'elemento principale della relazione fra l'uomo e lo straordinario.
L'etimologia più verosimile fa derivare la parola religio da relegere,
osservare, stare attenti; homo religiosus è il contrario di homo negligens.»
(Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion. In italiano: Leeuw.
Fenomenologia della religione. Torino, Boringhieri) Storia della
definizioneModificaOccidenteModifica Grecia antica Lo stesso argomento in
dettaglio: Religione dell'antica Grecia. Il termine che nella lingua greca
moderna indica la "religione" è θρησκεία (thrēskeia). Tale termine è
collegato a θρησκός (thrēskos; "pio", "timoroso di Dio").
Quindi anche se nella cultura religiosa greco-antica non esisteva un termine
che riassumesse quello che noi intendiamo oggi per "religione",
thrēskeia possedeva tuttavia un ruolo e un significato precisi: indicava la
modalità formale con cui andava celebrato il culto a favore degli dèi. Scopo
del culto religioso greco era infatti quello di mantenere la concordia con gli
dèi: non celebrare loro il culto significava provocarne l'ira, da qui il
"timore della divinità" (θρησκός) che lo stesso culto provocava in
quanto connesso con la dimensione del sacro. Roma antica Lo stesso
argomento in dettaglio: Religione romana Monaci manichei intenti a
copiare testi sacri, con un'iscrizione in sogdiano (manoscritto da Khocho,
Bacino del Tarim). Il manicheismofu una religione perseguitata, al pari di
altre, nell'Impero romano in quanto contrastava con il mos maiorum. La concezione
romana di "religione" (religio) corrisponde alla cura nei confronti
dell'esecuzione del rito a favore degli dèi, rito che, per tradizione, va
ripetuto finché non risulti correttamente eseguito. In questo senso i romani
collegavano al termine di "religione" un senso di timore nei
confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della
religione stessa. In un ambito più aperto i romani accoglievano comunque
tutti i riti che non contrastassero con il mos maiorum dei tradizionali riti
religiosi, ovvero con il costume degli antenati. Quando nuovi riti, e quindi
novae religiones, venivano a contrastare con il mos maiorum questi venivano
proibiti: fu il caso, ad esempio e di volta in volta, delle religioni ebraica,
cristiana, manichea e dei riti bacchanalia. La prima definizione del
termine "religione", ovvero del suo originario termine latino
religio, la dobbiamo a Cicerone il quale nel De inventione così la
esprime: (LA) «Religio est, quae superioris naturae, quam divinam
vocant, curam caerimoniamque effert. Cicerone. De inventione) Con l'epicureo
Lucrezio si affaccia una prima critica alla nozione di religione intesa qui
come un elemento che sottomette l'uomo per mezzo della paura e da cui il
filosofo deve liberarsi[20]: «Humana ante oculos foede cum vita
iacere / in terris oppressa gravi sub religione / quae caput a caeli regionibus
ostendebat / horribili super aspectu mortalibus istans, / primum Graius homo
mortalis tollere contra est / oculos ausus primusque obsistere contra» «La vita umana giaceva sulla terra alla vista
di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo
dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un
uomo greco per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e per
primo resistere contro di lei.» (Lucrezio. De rerum natura. Traduzione di
Giancotti in Lucrezio. La natura. Milano, Garzanti, primum quod magnis doceo de
rebus et artis religionum animum nodis exsolvere pergo -- Lucrezio. De rerum
natura) Occidente cristiano Massacre
saint Barthelemy di Dubois conservato presso il Musée cantonal des Beaux-Arts
di Losanna. A seguito dei massacri provocati dalle Guerre di religione i
pensatori francesi del XVII secolo misero in dubbio la sovrapposizione delle
nozioni di civiltà e religione fino a quel momento in vigore. Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:Cristianesimo. Ebrei in
preghiera il giorno dello Kippur, opera di Gottlieb. Nell'Occidente cristiano,
l'Ebraismo, come l'Islām, verrà indicato come una religione solo a partire dal
XVII secolo. Le prime comunità cristiane non utilizzarono il termine religio
per indicare le proprie credenze e pratiche religiose[22]. Con il tempo,
tuttavia, diffusamente a partire dal IV secolo, il Cristianesimo adottò tale
termine nell'accezione indicata da Lattanzio, individuandone l'unicità in
quanto la "religione" era l'unica via di salvezza per l'uomo.
La relazione tra religio cristiana e quelle dei culti o delle "filosofie"
precedenti fu variamente interpretata dagli esegeti cristiani. Giustino, ma
anche Clemente Alessandrino e Origene, sostennero che partecipando tutti gli
uomini al "Verbo" coloro che tra questi vissero secondo
"ragione" erano comunque dei cristiani. Con Tertulliano la prospettiva
cambia e le differenze tra mondo "antico" e il mondo dopo la
"rivelazione" cristiana furono decisamente accentuate. Con
Agostino d'Ippona, ma già precedentemente con Basilio, Gregorio Nazianzeno e
Gregorio di Nissa, il pensiero platonico rappresentò per i teologi cristiani un
esempio della comprensibilità di cosa fosse la vera
"religione". Rispetto ai significati del termine
"religione" nel mondo cristiano, lo storico delle religioni svizzero
Michel Despland osserva che: «Diventato cristiano l'Impero, si trovano
presso i cristiani tre accezioni della parola. La religione è un ordine
pubblico mantenuto dall'imperatore cristiano che instaura sulla terra la
legislazione voluta da Dio (idea imperiale). Può anche essere l'eros dell'anima
individuale verso Dio (idea mistica). Infine religio può designare la
disciplina propria ai battezzati che hanno fatto voto di perfezione e sono
diventati eremiti o cenobiti (Monachesimo).» (Michel Despland. Religione.
Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques
Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario
delle religioni. Milano, Mondadori) Quindi se inizialmente il termine
"religione" è assegnato esclusivamente agli ordini religiosi[26], a
partire dalla Francia il termine accoglie dapprima anche quei pellegrini o
cavalieri che se ne mostrano degni attraverso il mantenimento dei loro voti,
poi i mercanti onesti e gli sposi fedeli, aprendo così il termine all'intero
mondo laicale che osserva con scrupolo i precetti della Chiesa. Con la
Scolastica la "religione" venne collocata tra le "virtù
morali" inserite nella "giustizia" in quanto essa rende a Dio
l'onore e l'attenzione che gli sono "dovuti" esprimendosi con atti
esteriori, come la liturgia o il voto, ed atti interiori, come la preghiera o
la devozione. Infine il termine "religione" diviene sinonimo di
"civiltà". Con la Riforma protestante a partire dal XVI secolo il
termine "religione" è assegnato a due confessioni cristiane distinte,
e solo con il XVII secolo l'Ebraismo e l'Islām saranno considerate
"religioni". Le Guerre di religione provocarono in Francia
l'abbandono dell'idea che il termine "religione" potesse essere
sovrapponibile a quello di civiltà e, ad incominciare dal XVII secolo, alcuni
intellettuali francesi avviarono una critica serrata al valore stesso della
religione. «Vive forze nazionali si risvegliano e insorgono contro
l'adattamento compiuto dopo le guerre di religione. Da allora la religione è
vista come riguardante un'autorità oppressiva, la fede come una credenza poco
ragionevole, anzi quasi irragionevole. In Francia, le intelligenze cominciano a
preferire la civiltà alla religione. E c'è la tendenza a credere che quanto
l'uomo più si civilizzerà tanto meno sarà incline alla religione.»
(Despland. Op.cit.) Occidente moderno e contemporaneo La Modernità attribuisce
valore supremo alla razionalità affrontando con questo strumento conoscitivo
anche l'alveo della religione che così viene sottoposto al suo esame. Se
da una parte autori come Leibniz e Malebranche dopo l'analisi razionale
esaltarono i valori religiosi, altri, come ad esempio Locke o JRousseau,
utilizzarono la "ragione" per spogliare la "religione" dei
suoi contenuti non giustificabili razionalmente. Altri autori, come
Toland o Voltaire furono propugnatori del deismo, una lettura decisamente
razionalista della religione. Con Hume vi fu un rifiuto dei contenuti
razionali della religione, nell'insieme considerata un fenomeno del tutto
irrazionale, nato dai timori propri dell'uomo nei confronti dell'universo.
Partendo dal giudizio di "irrazionalismo" della religione, in
Occidente, con ad esempio Julien Offray de La Mettrie o Helvétius, si
affacciarono le prime critiche radicali alla religione che portarono all'affermazione
dell'ateismo. In questo ambito Holbach giunse a sostenere che:
«L'idea di un Dio terribile, raffigurato come un despota, ha dovuto rendere
inevitabilmente malvagi i suoi sudditi. La paura non crea che schiavi che
credono che tutto divenga lecito quando si tratta o di guadagnarsi la
benevolenza del loro Signore, o di sottrarsi ai suoi temuti castighi. La
nozione di un Dio-tiranno non può produrre che schiavi meschini, infelici,
rissosi, intolleranti.» (Holbach, Il buon senso, a cura di S. Timpanaro,
Garzanti) Culture non occidentaliModifica Nelle culture non occidentali il
termine "religione" viene reso con termini che non hanno la stessa
etimologia latina. Così, se in Occidente, fatto salvo la lingua greca, il
termine "religione" ha ovunque origine dal latino religio,
l'etimologia del termine ebraico origina invece da un termine proprio
dell'antico persiano, allo stesso modo l'arabo dove il termine
"religione" origina dall'avestico. Nelle lingue del Subcontinente
indiano invece il termine "religione" viene reso con termini di
origine sanscrita e, in Estremo Oriente, con termini di origine cinese.
Vicino e Medio OrienteModifica In lingua ebraica il termine occidentale
"religione" viene reso come(alfabeto ebraico) traslitterato in
caratteri latini come dath. Tale termine compare alcune volte nel Tanakh, così
nel Libro di Ester Il re ordinò che così fosse fatto. Il decreto (dath) fu
promulgato a Susa. I dieci figli di Amàn furono appesi al palo.» (Libro
di Ester) In questo verso (dath) sta per "editto", "legge",
"decreto". L'ebraico dath deriva dall'avestico e dall'antico persiano
dāta. Il termine avestico dāta possiede in quella lingua sempre il
significato di "legge" o di "legge di Ahura Mazdā"[30],
ovvero legge del Dio unico e supremo dello Zoroastrismo. (AE)
«ahmya zaothre baresmanaêca mãthrem speñtem ashhvarenanghem âyese ýeshti, dâtem
vîdôyûm âyese ýeshti, dâtem zarathushtri âyese ýeshti, darekhãm upayanãm âyese
ýeshti, daênãm vanguhîm mâzdayasnîm âyese ýeshti.» Con questo zaothra e
baresman desidero questo Yasna per il generoso Manthra, il più glorioso e lo
desidero per Dāta, la Legge, la più gloriosa, santificata Aša, istituita contro
i daēva, e per la legge insegnata da Zarathuštra. Desidero, questo Yasna, per
Upayana, l'antica tradizione mazdea, e per Daēna, la santa religione
mazdea.» (Avestā II, 13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in Avestā.
Torino, UTET) In lingua araba il termine occidentale "religione"
viene reso come دين (alfabeto arabo) traslitterato in caratteri latini come
dīn. Oggi ho perfezionato la vostra religione ( dīn) compiendo per voi il mio
beneficio e ho scelto per voi l'Islām come religione ( dīn)» (Corano) Il
termine arabo dīn deriva dal medio persiano dēn. In lingua persiana il
termine occidentale "religione" viene reso come دین (alfabeto
arabo-persiano) traslitterato in caratteri latini come dīn. Tale termine deriva
dal termine medio persiano dēnche, a sua volta, deriva dall'avestico daēnā che
in quella antica lingua significa "religione" intesa come splendore,
luminosità di Ahura Mazdā. Daēnā a sua volta proviene, nella medesima lingua,
dalla radice dāy(vedere). (AE) «nivaêdhayemi hañkârayemi mãthrahe
speñtahe ashaonô verezyanguhahe dâtahe vîdaêvahe dâtahe zarathushtrôish
darekhayå upayanayå daênayå vanghuyå mâzdayasnôish» Annuncio e celebro in
lode del benefico ed efficace Manthra, ašavan, rivelazione contro i daēva;
rivelazione che viene da Zarathuštra, e in lode di Daēna, la buona religione
mazdea, che ha un'antica Tradizione» (Avestā Traduzione di Alberti, in
Avestā. Torino, UTET) Subcontinente indiano La bandiera dell'India. Al centro
della bandiera è collocato, raffigurato in blu, il Čakra di Aśokaovvero il
sigillo che compare negli editti promulgati dall'imperatore indiano Aśoka e che
rappresenta il Dharmačakra, la "Ruota del Dharma". Nella lingua
hindi, la lingua ufficiale e più diffusa dell'India, il termine occidentale
"religione" viene reso come (alfabeto devanagari) traslitterato in
caratteri latini come Dharma. «È abbastanza difficile trovare un'unica
parola nell'area dell'Asia meridionale che denoti ciò che in italiano è
definito "religione", un termine effettivamente piuttosto vago e
dall'ampio raggio semantico. Forse il termine più appropriato potrebbe essere
il sanscrito dharma, traducibile in diversi modi, tutti pertinenti alle idee e
alle pratiche religiose indiane» (William K. Mahony. Induismo,
"Enciclopedia delle Religioni" vol. 9: "Dharma induista".
Milano, Jaca Book, 2006, pag.99) Gianluca Magi precisa tuttavia che il termine
Dharma «è più ampio e complesso di quello cristiano di religione e,
dall'altro, meno giuridico delle attuali concezioni occidentali di
"dovere" o di "norma", poiché privilegia la consapevolezza
e la libertà piuttosto che il concetto di religio od obbligo» (in Dharma,
"Enciclopedia filosofica" vol.3. Milano, Bompiani. Il termine Dharma
è usato nella maggior parte delle religioni di origine indiana per indicare
tali contesti religiosi: Induismo Sanātana Dharma), Buddhismo Buddha Dharma),
Giainismo Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh Dharma). Ma anche per indicare le
religioni occidentali come l'Ebraismo (Dharma ebraico) o il Cristianesimo
(Dharma cristiano) Il termine Dharma deriva dalla radice sanscrita dhṛtraducibile
in italiano come "fornire una base", ovvero come "fondamento
della realtà", "verità", "obbligo morale",
"giusto", "come le cose sono" oppure "come le cose
dovrebbero essere". O guardiani dell'ordine cosmico (Ṛta), o Dei le
cui leggi (Dharma) sono sempre realizzate, voi salite sul vasto carro del cielo
più alto; a chi, Mitra e Varuṇa, mostrate il vostro favore, la pioggia del
cielo dona abbondanza di miele» (Ṛgveda) Estremo Orientesānjiào yījiào
Tre religioni (insegnamenti) una religione (insegnamento). Confucio (Kǒng Qiū)
e Lǎozǐ proteggono il Buddha Śākyamuni Shìjiāmóuní) infante. Rotolo dipinto su
seta, Dinastia Ming conservato presso il British Museum di Londra.
Scrittura oracolare su ossa, all'origine del carattere cinese (zǐ, bambino). Il carattere cineseche indica
la singola "religione" è (jiào) e si compone, oltre del
carattere (zǐ), del carattere (lǎo, vecchio), il tutto ad indicare
l'insegnamento. In lingua cinese il termine occidentale "religione" viene
reso come, traslitterato in caratteri latini in zōngjiào (Wade-Giles
tsung-chiao). Da questa lingua il termine religione viene così reso nelle altre lingue
estremo-orientali in: lingua giapponese shūkyō; lingua coreana jonggyo lingua vietnamita tôn giáo. In lingua
cinese (jiào) rende anche il khotanesedeśanā, a sua volta resa del sanscrito
deśayati(causativo del verbo di III classe diś: "mostrare",
"assegnare", "esibire", "rivelare") e anche il
sanscritośāsana (insegnamento). Il carattere è formato da (zǐ, bambino, dove la figura
stilizzata è avvolta in fasce e agita le braccia), (lǎo, vecchio). Mentre (zōng) indica "scuola",
"tradizione acclarata", "religione" quindi
"insegnamento di una tradizione acclarata/religione". Il
carattere cinese (zōng) è formato dai
caratteri (mián, tetto di un edificio) e
( shì "altare", oggi nel significato di "mostrare") a sua
volta composto da (altare primitivo) con
ai lati (gocce di sangue o di
libagioni); il tutto a significare "edificio che contiene un
altare". Le singole religioni vengono indicate dal nome che le
caratterizza seguite dal carattere (jiào): Buddhismo (Fójiào da Fó Buddha),
Confucianesimo (Rújiào, da Rú, letterato confuciano), Daoismo (Dàojiào da Dào)
Cristianesimo (Jīdūjiāo da Jīdū Cristo),
Ebraismo ( Yóutàijiào da Yóutài Giuda),
Islām (Yīsīlánjiāo da Yīsīlán Islām). DescrizioneModifica Il dibattito
sulla nozione di religioneModifica La nozione di "religione" è
problematica e dibattuta. Da un punto di vista fenomenologico-religioso
il termine "religione" è collegato alla nozione di sacro:
«Secondo Nathan Söderblom, Rudolf Otto e Mircea Eliade, la religione è per
l'uomo la percezione di un "totalmente Altro"; ciò ha come
conseguenza un'esperienza del sacro che a sua volta dà luogo a un comportamento
sui generis. Questa esperienza, non riconducibile ad altre, caratterizza l'homo
religiosus delle diverse culture storiche dell'umanità. In tale prospettiva,
ogni religione è inseparabile dall'homo religiosus, poiché essa sottende e
traduce la sua Weltanschauung (Dumézil). La religione elabora una spiegazione
del destino umano (Widengren) e conduce a un comportamento che attraverso miti,
riti e simboli attualizza l'esperienza del sacro.» (JRies. Le origini, le
religioni. Milano, Jaca) Da un punto di vista storico-religioso la nozione di
"religione" è collegata al suo esprimersi storico: «Ogni
tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo
l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione
che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle
religionie della scienza della religione, ha una origine storica precisa e suoi
peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. Considerata
questa prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura
operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la
"realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come
work in progress, che cosa sia "religione" in quelle società e in
quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e
nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.» (Giovanni Filoramo.
Religione in Dizionario delle religioni (a cura di Filoramo). Torino, Einaudi)
Da un punto di vista antropologico-religioso la "religione"
corrisponde al suo modo peculiare di manifestarsi nella cultura: «Le
concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e
rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del
pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di
riferimento. Comba. Antropologia delle religioni. Un'introduzione. Bari,
Laterza, 2008, pag.3) Anche se come evidenzia lo stesso Enrico Comba:
«Non è dunque possibile stabilire un criterio assoluto per distinguere i
sistemi religiosi da quelli non religiosi nel vasto repertorio delle culture
umane» (Comba) Quindi, come notano Carlo Tullio Altan e Marcello
Massenzio, il fenomeno della religione: «come forma specifica della
cultura umana, ovunque presente nella storia e nella geografia, è un fenomeno
estremamente complesso, che va studiato con molteplici procedure, mano a mano
che queste ci vengono offerte dal progresso degli studi delle scienze umane,
senza pretendere di dire mai in proposito l'ultima parola, come accade per un
lavoro che sia costantemente in corso d'opera. Altan e Massenzio. Religioni
Simboli Società: Sul fondamento dell'esperienza religiosa. Milano, Feltrinelli)
Analisi filosofica Lo stesso argomento in dettaglio: scienze delle religioni
Natura problematica della definizione di "religione" Weber
sostenne che la definizione di "religione" si può declinare alla fine
della ricerca su di essa. Kołakowski ha osservato che, come per altri
ambiti umanistici, difficilmente si potrà addivenire ad una definizione
condivisa del termine "religione". La definizione moderna del termine
"religione" è problematica e controversa: «Definire la
religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. È infatti evidente che,
se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima non
può avere luogo in assenza di una definizione. Filoramo. Già Weber aveva
sostenuto che: «Una definizione di ciò che la religione 'è' non può
trovarsi all'inizio, ma caso mai, alla fine di un'indagine come quella che
segue.» (Weber. Economia e società Milano, Comunità, Spiro e Saler obiettano
in proposito che quando non si definisce l'oggetto di indagine in modo
esplicito si finisce per definirlo in modo implicito. Lo storico
Kołakowski rileva invece che: «Studiando le attività umane nessuno dei
concetti di cui disponiamo può essere definito con assoluta precisione, e,
sotto questo aspetto, 'religione' non si trova in una situazione peggiore di
"arte", "società", "storia",
"politica", "scienza", "linguaggio" e
innumerevoli altre parole. Ogni definizione della religione deve essere fino ad
un certo punto, arbitraria, e, per quanto scrupolosamente tentiamo di far sì
che si conformi all'impiego attuale della parola nel linguaggio comune, molte
persone riterranno che la nostra definizione comprenda troppo o troppo poco. Kołakowski.
Se non esiste Dio. Bologna, Il Mulino) Le spiegazioni sulla natura e le ragioni
dell'esistenza dei credi religiosi Ulteriori informazioni Questa sezione
sull'argomento religione è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
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Feuerbach sostene che: la religione consiste di idee e valori prodotti dagli
esseri umani, erroneamente proiettati su forze e personificazioni divine. Dio
sarebbe quindi la costruzione di un Super uomo (uomo potenziato con attribuiti
ideali dati dall'uomo stesso). È una forma di alienazione (che non ha lo stesso
significato attribuito da Marx), in quanto la religione estranea l'uomo da sé
stesso facendogli credere di non essere in prima persona: l'uomo è sottomesso
da sé stesso. La religione si trova ad essere dunque un rifugio dell'uomo di
fronte alla durezza della realtà quotidiana. Marx affermò che: la
Religione è «il gemito della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza
cuore, così come è lo spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità.
Essa è l'oppio dei popoli. Secondo l'ottica di Weber: le Religioni
mondiali sarebbero capaci di raccogliere vaste masse di credenti e di
influenzare il corso della storia universale. Weber non crede che la religione
sia una forza conservatrice (Marx), bensì crede che essa possa provocare enormi
trasformazioni sociali: La religione influisce sulla vita sociale ed economica.
Il Puritanesimo e il protestantesimo, ad esempio, furono all'origine del modo
di pensare capitalistico. Ne ”L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”
Weber discusse ampiamente l'influenza del cristianesimo sulla storia
dell'Occidente moderno. Weber scoprì che effettivamente alcune religioni sono
caratterizzate da un ascetismo ultramondano, che privilegia la fuga dai
problemi terreni, distogliendo gli sforzi dallo sviluppo economico. Il
cristianesimo sarebbe una religione di salvezza per Weber, poiché è incentrata
sulla convinzione che gli esseri umani possano essere salvati purché scelgano
la fede e seguano le sue prescrizioni morali. Le religioni di salvezza
presentano un aspetto rivoluzionario perché sono caratterizzate da un ascetismo
intramondano, cioè uno spirito religioso che privilegia la condotta virtuosa in
questo mondo. Le religioni asiatiche invece avevano un atteggiamento di
passività rispetto all'esistente. Tra le riflessioni contemporanee,
particolarmente interessante è la spiegazione del fenomeno religioso proposta
da Gauchet a iniziare dall'opera Il Disincanto del mondo: secondo lo storico-filosofo
francese, la religione non è né una tensione individuale verso il trascendente,
né una costruzione funzionale alla giustificazione del potere. La religione va
invece intesa, in una prospettiva storica e antropologica, come maniera
particolare di strutturazione dello spazio sociale e umano. In particolare la
forma più pura di religione è da rintracciare negli animismi che caratterizzano
quelle società che Pierre Clastres definisce “contro lo Stato”. Nelle società
di questo tipo, la legge viene cioè fatta risalire a un tempo e a forze
assolutamente altre rispetto al presente e nessun membro della società può
quindi rivendicare un rapporto privilegiato con il trascendente. La nascita di
un'istanza separata del potere è indisgiungibile da una trasformazione della
religione: dopo tali trasformazioni, il mondo terreno e la realtà trascendente
entrano in rapporto. La religione, che nella sua forma più pura era un
disinnescamento totale dell'instabilità sociale, una rimozione assoluta della
divisione attraverso l'assolutizzazione della separazione terreno/trascendente,
si apre a quella che Gauchet definisce l'uscita dalla religione. Alcuni
termini classificatori e descrittivi delle religioni Tylor introdce la nozione
di "animismo". Il teologo calvinista Viret che, nel suo
Instruction chrétienne introduce il termine "deismo". Friedrich
Schelling nel 1842 introdusse per primo il termine "enoteismo" poi
ripreso e diffuso dall'indologo Friedrich Max Müller. Toland nel suo
Socinianism Truly Stated. By a pantheist utilizzò per primo la nozione di
panteismo. Animismo (dall'inglese animism, a sua volta dal latino anĭma) è il
termine introdotto nello studio delle religioni primitive dall'antropologo
Tylor che nel suo Primitive Culture: Researches into the Development of
Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, lo utilizzò per
indicare quella prima forma di credenza spirituale ("anima" o
"forza vitale") che viene riscontrata in oggetti o luoghi. In tal
senso la teoria di Tylor si opponeva a quella di Herbert Spencer(1820-1903) che
invece poneva nell'ateismo le convinzioni degli uomini primitivi. La
teoria "animistica", già messa in discussione da Mauss e da Frazer, è
rifiutata oggi dalla maggior parte degli antropologi. Tuttavia, come nota
Jacques Vidal[37] «in mancanza di altre espressioni l'uso del termine
rimane frequente.» Carlo Prandi[38] nota anche come tale termine venga
utilizzato per indicare le credenze religiose dell'Africa subsahariana, quelle
afrobrasiliane e quelle attinenti alle culture dell'Oceania. Ateismo
Esistono religioni atee, per considerarle tali prevale la definizione legata al
culto piuttosto che al sacro, e l'interpretazione strettamente etimologica su
quella abituale di "atteggiamento antireligioso. Durante i lavori del
Parlamento Mondiale delle Religioni (PoWR) i buddisti, guidati dal Dalai Lama,
protestarono contro l’uso del termine Dio che essi rifiutano, concordando solo
su quello di Realtà suprema. Il termine "Deismo" (dal francese
déisme, a sua volta dal latino deus) fu coniato dal teologo calvinista svizzero
di lingua francese Viret che nella sua Instruction chrétienne (Ginevra) lo
utilizzò per indicare un gruppo che si opponeva agli "ateisti", ma
Viret descrisse questo "gruppo" come di coloro che pur credendo in un
Dio unico e creatore rigettavano la fede in Gesù Cristo. Il poeta inglese
John Dryden, in Religio Laici definì il "Deismo" come la credenza in
un Dio creatore rifiutando qualsivoglia dottrina propugnata dalla tradizione e
dalla rivelazione. Con la pubblicazione del Dictionnaire historique et
critique (Rotterdam) di Bayle, che
riprese la nozione di Déisme (s.v. "Viret"), il termine si diffuse
ampiamente nella cultura europea. Tuttavia il significato di
"Deismo" ha posseduto, di volta in volta, connotazioni diverse. Wood ne
ha identificate quattro: credenza in un Essere supremo privo di tutti gli
attributi di personalità (come intelletto e volontà); credenza in un Dio, ma
rifiuto di qualsiasi cura provvidenziale da parte di questi per il mondo; fede
in un Dio, ma negazione di ogni vita futura; credenza in un Dio, ma rifiuto di
tutti gli altri articoli di fede religiosa. Molti filosofi e scienziati, per lo
più illuministi del Settecento, sostennero tali posizioni; varianti
istituzionalizzate del "Deismo" sono il Culto dell'Essere supremo
durante la Rivoluzione francese e la spiritualità della Massoneria.
EnoteismoModifica "Enoteismo" (dal tedesco henotheismus, a sua volta
dal greco εἷς eîs + θεός theós "un dio") fu il termine coniato da Schelling
in Philosophie der Mythologie und der Offenbarung per indicare un
"monoteismo " rudimentale sorto durante la preistoria della coscienza
e precedente al "monoteismo evoluto" e al politeismo. In questo senso
il termine si presenta simile a quello di Urmonotheimus ovvero "monoteismo
primordiale" elaborato nel 1912 dall'antropologo e sacerdote Wilhelm
Schmidt. Successivamente, Müller utilizzò questo termine per indicare una
pratica propria del Ṛgveda consistente nell'isolare una divinità rispetto alle
altre durante le invocazioni rituali. Nel suo significato
storico-religioso, "enoteismo" occorre ad indicare quella forma di
culto per cui una divinità viene, durante il rito, momentaneamente isolata e
privilegiata rispetto alle altre, assurgendo così a divinità principale.
MonoteismoModifica Il termine Monoteismo (neologismo greco, dal grecoμόνος,
mónos = unico, solo e θεός theós = dio) caratterizza quelle religioni che
propugnano l'esistenza di una singola divinità. Lalande ha così descritto, nel
suo Vocabulaire technique et critique de la philosophie, revu par MM. les
membres et correspondants de la Société française de philosophie et publié,
avec leurs corrections et observations par André Lalande, membre de l'Institut,
professeur à la Sorbonne, secrétaire général de la Société, Parigi, il termine
"monoteismo": «Dottrina filosofica o religiosa che ammette un
solo Dio, distinto dal mondo» Il tema, controverso, è quali possano
essere le religioni ascrivibili a questo contesto. Dopo una disamina di tale problema, Paolo Scarpi così
chiosa: «In questa prospettiva, pertanto conviene limitare l'uso del
termine monoteismo alle forme religiose che storicamente si sono affermate come
tali e che hanno elaborato una speculazione teologica finalizzata alla
dimostrazione dell'unicità di Dio» Intendendo in questa prospettiva
sostanzialmente l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islām. Di tutt'altro avviso è
invece, ad esempio, Theodore M. Ludwig che nella Encyclopedia of Religion nata
dal progetto internazionale proposto da Mircea Eliade include, sia
nell'edizione del che nella seconda edizione, nella voce Monotheism, altre
religioni oltre quelle qui sopra citate come lo Zoroastrismo, la Religione
greca nella forma di alcuni culti e nel pensiero di alcuni teologi greci, la
Religione egizia del culto di Aton, il Buddhismo nella forma della Terra Pura,
l'Induismo in alcune sue particolari manifestazioni e il Sikhismo.
PanteismoModifica Il termine Panteismo (dall'inglese pantheism a sua volta dal
greco παν pan + θεός theós = tutto Dio) letteralmente significa "tutto è
Dio". Tale termine fu derivato da analogo termine, pantheistic, utilizzato
dal filosofo irlandese Toland nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist,
ed ebbe larga diffusione in Europa durante le polemiche inerenti al
Deismo. Oggi il termine "Panteismo" occorre come termine
tecnico-descrittivo per individuare quei credi religiosi, o
filosofico-religiosi, che individuano una divinità che abbraccia ogni cosa,
ovvero Dio che compenetra ogni aspetto e luogo dell'universo rendendo così
sacro ogni aspetto dell'esistente, anche quello naturale. Sono imparentati ad
esso i termini di "panenteismo", termine coniato da Krause per
indicare una visione in cui Dio è sia immanente che trascendente. e di
"monismo", genericamente ogni dottrina unitaria che presuppone
un'unica sostanza, nella fattispecie la concezione di un unico Dio impersonale
ed ozioso. PoliteismoModifica Il termine "politeismo" è
attestato nelle lingue moderne per la prima volta nella lingua francese
(polythéisme). Il termine polythéisme fu coniato dal giurista e filosofo
francese Jean Bodin, e quindi utilizzato per la prima volta nel suo De la
démonomanie des sorciers (Parigi), per poi finire nei dizionari come il
Dictionnaire universel françois et latin (Nancy), il Dictionnaire philosophique
di Voltaire (Londra 1764) e, l'Encyclopédie di D'Alembert e Diredot (seconda
metà del XVIII secolo), la cui voce polytheisme è curata dallo stesso Voltaire.
Utilizzato in ambito teologico in opposizione a quello di "monoteismo";
entra nella lingua italiana. Il termine polythéisme, quindi
"politeismo", è formato da termini derivati dal greco antico: πολύς
(polys) + θεοί (theoi) ad indicare "molti dèi"; quindi da polytheia,
termine coniato dal filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria per
indicare la differenza tra l'unicità di Dio nell'Ebraismo rispetto alla nozione
pluralistica dello stesso propria delle religioni antiche, tale termine fu poi
ripreso dagli scrittori cristiani (ad esempio da Origene in Contra Celsum).
Tale termine indica quelle religioni che ammettono l'esistenza di più dèi a cui
destinare i culti. Non vi rientra pertanto il Dualismo, che nella versione
classica del Manicheismo vede il mondo retto da due principi opposti in lotta
tra loro, il Male e il Bene, quest'ultimo destinato a trionfare alla fine dei
giorni. Il termine Dualismo viene inoltre esteso ad eresie quali gli Gnostici e
i Catari, che nell'esaltare la figura del male distinguono nettamente tra
spirito e materia, ma trattandosi di Cristiani, per quanto borderline, vanno
inclusi tra i Monoteisti. Religioni (in ordine alfabetico) con maggior
numero di fedeliModifica BuddhismoModifica Il Buddhismo nel mondo Il
Buddhismo è una religione che comprende una varietà di tradizioni, credenze e
pratiche, in gran parte basata sugli insegnamenti attribuiti a Siddhārtha
Gautama, vissuto nel Nepal, comunemente appellato come il Buddha, ossia
"il Risvegliato". Le numerose scuole dottrinarie afferenti a
questa religione si fondano e si differenziano in base alle raccolte
scritturali riportate nei Canoni buddhisti e agli insegnamenti tradizionali
trasmessi all'interno delle stesse scuole. Le due grandi differenziazioni
all'interno del Buddhismo riguardano le correnti Theravāda, presente
prevalentemente in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos, e Mahāyāna,
presente invece prevalentemente in Cina, Tibet, Giappone, Corea, Vietnam e
Mongolia. Cristianesimo I cristiani nel mondo per nazione Il
Cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo, in particolare in Occidente
(Europa, Americhe, Oceania). Le forme storiche del cristianesimo sono
molteplici, ma è possibile indicare quattro principali suddivisioni: il
Cattolicesimo, il Protestantesimo, l'Ortodossia e l'Anglicanesimo. Oltre a
queste quattro suddivisioni, esistono alcuni credi che si riallacciano al
Cristianesimo ma non sono classificati nelle quattro categorie principali, tra
cui Mormonismo e i Testimoni di Geova. Tutte queste tradizioni cristiane
riconoscono, seppure con piccole varianti, che il loro fondatore, Gesù di
Nazaret, è il Figlio di Dio, e lo riconoscono come Signore. Credono altresì, a
parte i Testimoni di Geova, i Mormoni e i Protestanti Unitari, che Dio è uno in
tre persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Inoltre, tenendo
presente che la Bibbia protestante ha 7 libri in meno della Bibbia cattolica,
considerano la Bibbia un testo ispirato da Dio. La Bibbia dei cristiani è
composta dall'Antico Testamento, il quale corrisponde alla Septuaginta,
versione e adattamento in lingua greca della Bibbia ebraica con l'aggiunta di
ulteriori libri[50], e dal Nuovo Testamento: quest'ultimo ruota interamente
sulla figura di Gesù Cristo e del suo "lieto annuncio"
(Vangelo). Induismo Induismo nel mondo L'Induismo è un insieme di
dottrine, credenze e pratiche religiose e filosofico-religiose che hanno avuto
origine in India, luogo dove risiede la maggioranza dei suoi fedeli. Secondo la
tradizione, questa religione è eterna (Sanātana dharma, religione eterna) non
avendo né un principio né una fine. L'Induismo fa riferimento ad un
insieme di testi sacriche per tradizione suddivide in Śruti e in Smṛti. Tra
questi testi occorre ricordare in particolar modo i Veda, le Upaniṣad e la
Bhagavadgītā. IslamModifica Presenza musulmana nel mondo L'Islam è
la più recente delle tre principali religioni monoteiste originarie del Vicino
Oriente. Ha come principale riferimento il Corano considerato libro sacro. Il
testo in lingua araba, una raccolta di predicazioni orali, è relativamente
breve rispetto ai testi sacri ebraici o indù. Il termine Islam significa
letteralmente "sottomissione", intesa come fedeltà alla parola di
Dio. L'Islam condivide con l'Ebraismo e il Cristianesimo gran parte della
tradizione dell'Antico Testamento, legittimando il riferimento biblicosecondo
cui Isacco (progenitore degli israeliti) e Ismaele (progenitore degli arabi)
erano entrambi figli di Abramo. Riconosce la vita e le opere di Gesùritenendolo
però un profeta. La figura di riferimento dell'Islam è Muhammad (Maometto),
vissuto nel VII secolo nella penisola arabica, di cui la Sunna raccoglie gli
aneddoti. Le due suddivisioni principali di questa religione sono l'Islam
sunnita e l'Islam sciita. Altre religioniModifica Altre importanti
religioni, diffuse soprattutto in Asiasono: Animismo Bahá'í
Confucianesimo Culti sincretici africani Ebraismo Ermetismo Esoterismo
Giainismo Gnosticismo Manicheismo Mitraismo Shintoismo Sikhismo Taoismo
Zoroastrismo Nuovi movimenti religiosi Lo stesso argomento in dettaglio: Nuovo
movimento religioso. Bambini di Dio Chiesa dell'unificazione Meditazione
trascendentale Movimento raeliano Neopaganesimo Organizzazione Sathya Sai
Pastafarianesimo Rajneeshismo Rastafarianesimo Sahaja Yoga Scientology
Testimoni di Geova Wicca NoteModifica ^ a b Religione, in Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sull'etimologia di
"religio" si possono vedere gli studi di Huguette Fugier, Recherches
sur l'expression du sacré dans la langue latine, Saint-Amand, Bedy, e Lieberg, "Considerazioni
sull'etimologia e sul significato di religio", Rivista di Filologia
Classica, Paulhan, Il segreto delle parole, a cura di Paolo Bagni, postfazione
di Marchetti, Firenze, Alinea le fait de se lier vis-à-vis des dieux»,
symbolisé par l'emploi des uittæ et des στέμματα dans le culte. Ernout e
Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine - Histoire des mots,
ristampa della IV edizione, in nuovo formato, aggiornata e corretta da André,
Parigi, Klincksieck, Albrecht, Terror et pavor: politica e religione in
Lucrezio, su basnico. files.wordpress.com, ETS, cfr. anche Schilling, The Roman
Religion, in Bleeker e Widengren (a cura di), Historia Religionum I - Religions
of the Past, Leiden, E. J. Brill, Polibio, Storie, Concetta Aloe Spada, “L’uso
di religio e religiones nella polemica antipagana de Lattanzio”, in Bianchi
(ed.), The Notion of «Religion» in Comparative Research. Roma: 'L'Erma' di
Bretschneider, Retractationes I, 13. Anche se in De civitate Dei Agostino segue
invece l'etimologia offerta da Cicerone: «Eleggendo quindi Dio, o
piuttosto rieleggendolo (da cui verrebbe il termine religione) avendolo perduto
per nostra negligenza» (Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, Cfr.
anche Filoramo. Che cos'è la religione. Torino, Einaudi, Filoramo. Filoramo; Le
scienze delle religioni. Brescia, Morcelliana, Cfr., ad esempio, Paolo Scarpi.
Grecia (religione) in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo).
Torino, Einaudi, Dialetto ionico. ^ Questo tuttavia al di fuori del dialetto attico,
cfr. in tal senso e per una più approfondita disamina dei termini Walter
Burkert, La creazione del sacro, Tutti questi dati si intrecciano e completano
la nozione che la parola thrēskeia evoca di per sé stessa: quella di
'osservanza, regola della pratica religiosa'. La parola si ricollega a un tema
verbale che denota l'attenzione al rito, la preoccupazione di restare fedeli a
una regola.» Émile Benveniste. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee,
Torino, Einaudi, Per i Romani religio stava a indicare una serie di precetti e
di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine,
venerazione e timore degli dèi.» (Mircea Eliade. Religione in
Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, Montanari. Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, Montanari. Va
precisato tuttavia che gli epicurei non negavano l'esistenza delle divinità
quanto piuttosto affermavano la loro lontananza e il loro disinteresse nei
confronti degli uomini. ^ Si riferisce ad Epicuro. Despland. Religione. Storia
dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques
Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario
delle religioni. Milano, Mondadori, I Apologeticum Tra questi Giustino cita
esplicitamente Socrateed Eraclito: «Coloro che hanno vissuto secondo il Logos
sono cristiani, anche se sono stati considerati atei, come, tra i Greci,
Socrate ed Eraclito, ad altri simili, e tra i barbari, Abramo, Anania, Azaria,
Misael, Elia, e molti altri ancora, dei quali ora non elenchiamo le opere e i
nomi, sapendo che sarebbe troppo lungo. Di conseguenza coloro che hanno vissuto
prima di Cristo, ma non secondo il Logos, sono stati malvagi, nemici di Cristo
e assassini di quelli che vivevano secondo il Logos; al contrario coloro,
quelli che hanno vissuto e vivono secondo il Logos sono cristiani, non soggetti
a paure e turbamenti» (Giustino. Apologia Traduzione di Girgenti in
Giustino Apologie. Milano, Rusconi, Cfr. a titolo esemplificativo Agostino
d'Ippona. De vera religione, Una religione è un Ordine religioso» (Michel
Despland. Op.cit..) ^
Antonin-Dalmace Sertillanges. La philosophie morale de saint Thomas d'Aquin. Parigi, Despland. Brown,
Driver, Briggs. A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament. Oxford,
Clarendon Press, 1968 ^ Dāta' nella Encyclopædia Iranica. ^ «DlN, I. Definition
and general notion. It is usual to emphasize three distinct senses of din: judgment, retribution; custom, sage; religion. The first refers to the
Hebraeo-Aramaic root, the second to the Arabic root ddna, dayn (debt, money
owing), the third to the Pehlevi dēn(revelation, religion). This third
etymology has been exploited by Noldeke and Vollers.» (Louis Gardet.
Encyclopedia of Islam, Leiden, Brill, Spiro. Religion: problems of definition
and explanation, in Banton, Anthropological Approaches to the study of
Religion. London, Tavistock, 1966, pag. 90-1. ^ Benson Saler. Conceptualizing
Religion: Immanent Anthropologist, Trascendent Natives, and Unbounded
Categories. Leiden, Brill, Marx,
"Introduzione" alla Critica della filosofia hegeliana del diritto
pubblico, in Opere filosofichei, Torino, Einaudi (traduzione italiana Einaudi Bolle.
Animism and
Animatism. Encyclopedia of Religion NY, Macmillan, Dictionnaire des Religions
(a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni. Milano,
Mondadori, Prandi. Dizionario delle religioni (a cura di Filoramo). Torino,
Einaudi, Bascone, Manualetto di storia religiosa: introduzione Küng, Ciò che
credo, Rizzoli: La sua etimologia è del tutto simile a quello di
"Teismo" derivando quest'ultimo dal greco théose il primo dal latino
deus. Encyclopedia of
Religion, vol.4. NY, Macmillan, Müller. Selected Essays on Language, Mythology
and Religion, Londra, Ludwig. Monotheism, in Encyclopedia of Religion vol.9.
NY, Macmillan, Owen. Concepts of Deity. Londra,
Macmillan, Cerutti, Storia delle religioni, EDUCatt: 2Scarpi, Politeismo in
Dizionario delle religioni, Torino, Einaudi, Nocentini, L'Etimologico, Firenze,
Le Monnier, Pironti. Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e
religione vol.6 della Grande Storia dell'antichità (a cura di Umberto Eco).
Milano, Encyclomedia Publishers/RCS, Da tener presente che la Bibbia
protestantecontiene una differente raccolta di libri rispetto a quella, ad
esempio, cattolica. BibliografiaModifica Ugo Bianchi (a cura di),
The Notion of 'Religion' in Comparative Research. Selected Proceedings of the
Congress of the Association for the History of Religions, Rome, Roma, 'L'Erma'
di Bretschneider, 1994. Angelo Brelich,
Introduzione alla storia delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza, 1991.
Walter Burkert, La creazione del sacro, Milano, Adelphi. Yves Coppens, Origines
de l'homme - De la matière à la conscience, Paris, De Vive Voix, Coppens, La
preistoria dell'uomo, Milano, Jaca. Nola, Attraverso la storia delle religioni,
Roma, Di Renzo Editore, 1996. Ambrogio Donini, Lineamenti di storia delle
religioni, Roma, Editori Riuniti, Eliade, Trattato di storia delle religioni,
Torino, Bollati Boringhieri, 1999. Giovanni Filoramo, Storia delle religioni,
Roma-Bari, Editori Laterza, Filoramo, Giorda e Spineto (a cura di), Manuale di
Scienze della religione, Brescia, Morcelliana, 2019. Voci correlate Ateismo
Antropologia delle religioni Credenza religiosa Critiche alla religione Culto
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Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN, FR ) Religione, su
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Encyclopedia of Science Fiction. Opere riguardanti Religione, su Open Library,
Internet Archive. Religione, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Schilbrack, The Concept of Religion, in Zalta (a cura di), Stanford
Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information
(CSLI), Università di Stanford. Dale Tuggu, Theories of Religious Diversity, su
Internet Encyclopedia of Philosophy. Centro
Studi sulle Nuove Religioni, su cesnur. Portale Religioni: accedi alle voci di
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del popolo romano Storia delle religioni Dio entità divina, essere
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Religione romana credenze del popolo romano Lingua Segui Modifica La religione
romana è l'insieme dei fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati
nel loro evolvere come varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico
e sociale della città e del suo popolo. Giove Tonante in una scultura. Le
origini della città, e quindi della storia e della religione di Roma, sono
controverse. Recentemente l'archeologo italiano Carandini sembrerebbe aver
quantomeno dimostrato di poter datare l'origine di Roma all'VIII secolo a.C.,
saldando quindi le sue conclusioni, basate sugli scavi da lui condotti nella
zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita dal racconto
tradizionale. Le origini della religione romana vanno individuate nei
culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia, nelle tradizioni
religiose dei popoli indoeuropei che migrarono nella penisola, nelle civiltà
etrusca[9] e della Grecia[10] e nelle influenze delle civiltà del Vicino
Oriente occorse lungo i secoli. La religione romana cessò di essere la
religione "ufficiale" all'interno dell'Impero romano con l'editto di
Tessalonica e i successivi editti promulgati dall'imperatore romano convertito
al cristianesimo Teodosio, il quale proibì e perseguitò tutti i culti non
cristiani professati nell'Impero, soprattutto quelli pagani. Precedentemente
c'era stato il vano tentativo dell'imperatore Giuliano di riformare la
religione pagana per contrapporla efficacemente al cristianesimo, ormai
ampiamente diffuso. Una religione civile L'espressione "religione
romana" è di conio moderno. Il termine italiano "religione"
possiede tuttavia la sua chiara etimologia nel termine latino religio ma, nel
caso del termine latino, esso esprime una nozione circoscritta alla cura nei
confronti dell'esecuzione del rito a favore degli dei, rito che, per
tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente eseguito, e in questo
senso i Romani collegavano al termine religioil vissuto di timore nei confronti
della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della religione stessa. Religio
est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert.
Cicerone, De inventione) Pertanto, l'integrità e la prosperità di Roma
(monarchica, repubblicana, imperiale) erano la finalità dello Stato e, a questo
scopo, doveri civili e religiosi coincidevano: lo Stato si è attribuito il
diritto di stabilire e specificare qual è il sacro e pertanto la religione
romana è una religione civica, una religione che ha carattere pubblico e, di
conseguenza, nella organizzazione istituzionale di Roma è presente anche un
apparato religioso. La nozione moderna di "religione" è
invece più complessa e problematica andando a coprire un più ampio spettro di
significati: «Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti,
in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di
orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di
modelli di riferimento» (Enrico Comba, Antropologia delle religioni.
Un'introduzione. Bari, Laterza) Precisare la differenza di
"contenuto" tra il termine latino religio e quello di uso comune e
moderno di "religione" rende conto della caratteristica unica dei
contenuti religiosi del vivere romano: «La religione romana (o più in
generale greco-romana) può essere caratterizzata da due elementi: è una
religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto. Religione sociale,
essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una comunità e non in quanto
singolo individuo, persona; è squisitamente una religione di partecipazione e
nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita la vita religiosa del romano
è la famiglia, l'associazione professionale o di culto, e soprattutto, la
comunità politica.» (John Scheid, La religione a Roma. Bari, Laterza) Ne
consegue che per i Romani la religio non aveva molto a che fare con quello che
noi indichiamo come credenza religiosa individuale in quanto è lo Stato a
essere il tramite tra l'individuo e la divinità: «L'atteggiamento religioso
del romano va distinto dal sistema della fede. Religio non equivale a
credo.» (Robert Schilling, Rites, Cultes, Dieux de Rome. Parigi,
Klincksieck; cit. in Scheid) Il sentimento religioso romano (pietas) verte
dunque nella forte volontà di garantire il successo alla respublica mediante la
scrupolosa osservanza della religio, dei suoi culti, dei suoi riti, della sua
tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dei e garantire
la pax deum (pax deorum). Tale concordia con gli dei determinata dalla
scrupolosa osservanza della religio e dei suoi riti è testimoniata, per i
Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel mondo.
(LA) «...sed pietate ac religione atque una sapientia, quod deorum numine
omnia regi gubernarique perspeximus, omnes gentes nationesque superavimus. Cicerone,
De haruspicum responso, 9; traduzione di Bellardi, in Cicerone, Le orazioni
Torino, UTET) Il che fa concludere a Cicerone: Et si conferre volumus
nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur,
religione, id est cultu deorum, multo superiores. Cicerone, De natura deorum.
II, 8; traduzione di Calcante. Milano, Rizzoli) La "mitologia"
romana: le fabulae La nozione di sacro (sakros) nella cultura romana Lapis
niger stele (modificato).JPG Qui sopra il cippo del Lapis Niger risalente
al VI secolo a.C. che riporta un'iscrizione bustrofedica. In questo reperto
archeologico compare per la prima volta il termine sakros (Forum inscription
(dettaglio).jpg: sakros es). Dal termine latino arcaico sakros originano due
successivi termini latini: sacer e sanctus. Lo sviluppo del termine sakros, nel
suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al sanctus per via
del suo participio sancio che è collegato a sakros per mezzo di un infisso
nasale[20]. Ma sacer e sanctus, pur provenendo dalla stessa radice sak,
possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, sacer, è ben
descritto da SESTO POMPEO FESTO nel suo “De verborum significatu” dove precisa
che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est
eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur». Quindi, e in questo
caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle
dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non
si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'homo sacer non appartiene, non
è perseguito, né è tutelato dalla comunità umana. Sacer è quindi ciò che
appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dei, come gli
animali del sacrificium (rendere sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak
inerisce a ciò che viene stabilito (quindi ciò che è sak) come non attinente
agli uomini. Sanctus invece, come spiega il Digesto, è tutto ciò che deve
essere protetto dalle offese degli uomini. È sanctaquell'insieme di cose che
sono sottomesse a una sanzione. Esse non sono né sacre, né profane. Esse non
sono comunque consacrate agli Dei, non appartengono a loro. Ma sanctus non è
nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che
circonda il sacer anche se non lo riguarda. Sacer è tutto ciò che appartiene
quindi a un mondo fuori dall'umano: dies sacra, mons sacer. Mentre sanctus non
appartiene al divino: lex sancta, murus sanctus. Sanctus è tutto ciò che è
proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche sanctus si
relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col tempo, sacer e sanctus si
sovrappongono. Sanctus non è più solo il muro che delimita il sacer ma entra
esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto sanctus, all'oracolo
sanctus, ma anche Deus sanctus. Su questi due termini, sacer e sanctus, si
fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta, religio, ovvero
quell'insieme di riti, simboli e significati che consentono all'uomo romano di
comprendere il cosmo, di stabilirne i contenuti e di mettersi in relazione con
esso e con gli Dei. Così la città di Roma diviene essa stessa sacra in quanto
avvolta dalla majestas che il dio Iupiter ha consegnato al suo fondatore,
Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città di Roma offre una collocazione
agli uomini nello spazio "sacro" da essa rappresentato. La sfera del
sacer-sanctus romano appartiene al sacerdosche, nel mondo romano unitamente
all'imperator[21] si occupa delle res sacrae che consentono di rispettare gli
impegni verso gli Dei. Così sacer divengono le vittime dei
"sacrifici", gli altari e le loro fiamme, l'acqua purificatrice, gli
incensi e le stesse vesti dei "sacerdoti". Mentre sanctus è riferito
alle persone: i re, i magistrati, i senatori (pater sancti) e da questi alle
stesse divinità. La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale
indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato
di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo. Da qui anche il termine,
sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo
questo insieme di significati, il sakrossancisce un'alterità, un essere
"altro" e "diverso" rispetto all'ordinario, al comune, al
profano. Il termine latino arcaico sakros corrisponde all'ittita saklai, al
greco hagois, al gotico sakan. La presenza di una mitologia romana che
prescindesse da quella greca è stato oggetto di dibattito fin dall'antichità.
Il retore greco Dionigi di Alicarnasso ha negato questa possibilità attribuendo
a Romolo, fondatore della città di Roma, l'espressa intenzione di cancellare
qualsivoglia racconto mitico che attribuisse agli dei le condotte sconvenienti
degli uomini: τοὺς δὲ παραδεδομένους περὶ αὐτῶν μύθους, ἐν οἷς βλασφημίαι
τινὲς ἔνεισι κατ´ αὐτῶν ἢ κακηγορίαι, πονηροὺς καὶ ἀνωφελεῖς καὶ ἀσχήμονας ὑπολαβὼν
εἶναι καὶ οὐχ ὅτι θεῶν ἀλλ´ οὐδ´ ἀνθρώπων ἀγαθῶν ἀξίους, ἅπαντας ἐξέβαλε καὶ
παρεσκεύασε τοὺς ἀνθρώπους {τὰ} κράτιστα περὶ θεῶν λέγειν τε καὶ φρονεῖν μηδὲν
αὐτοῖς προσάπτοντας ἀνάξιον ἐπιτήδευμα τῆς μακαρίας φύσεως. Οὔτε γὰρ Οὐρανὸς ἐκτεμνόμενος
ὑπὸ τῶν ἑαυτοῦ παίδων παρὰ Ῥωμαίοις λέγεται οὔτε Κρόνος ἀφανίζων τὰς ἑαυτοῦ γονὰς
φόβῳ τῆς ἐξ αὐτῶν ἐπιθέσεως οὔτε Ζεὺς καταλύων τὴν Κρόνου δυναστείαν καὶ κατακλείων
ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ τοῦ Ταρτάρου τὸν ἑαυτοῦ πατέρα οὐδέ γε πόλεμοι καὶ τραύματα καὶ
δεσμοὶ καὶ θητεῖαι θεῶν παρ´ ἀνθρώποις» Censurò tutti quei miti che si
tramandano sugli dèi, in cui erano offese e accuse contro di essi, ritenendoli
empi, dannosi, offensivi e non degni degli dèi e neppure degli uomini giusti.
Prescrisse inoltre che gli uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel
modo più rispettoso possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna
della loro natura divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu
evirato dai figli né che Crono massacrò i figli per paura di essere
detronizzato, che Zeus pose fine alla supremazia di Crono, che era suo padre,
rinchiudendolo nelle carceri del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né
ferite, né patti, né la loro servitù presso gli uomini.» (Dionigi di
Alicarnasso; trad. di Guzzi) Calco in gesso della fronte del
"Sarcofago Mattei" (III secolo d.C.), conservato presso il Museo
della civiltà romana (Roma). L'originale del calco è murato nello scalone
principale di Palazzo Mattei in Roma. Questa fronte del sarcofago intende
raffigurare una delle fabulae fondative della civiltà romana: il dio Marte che
si avvicina a Rea Silvia addormentata. I gemelli Romolo e Remo sonoil frutto della relazione tra il dio e Rhea
Silvia, figlia di Numitor (Numitore), questi discendente dell'eroe troiano
Aeneas (Enea) e re dei Latini. Allo stesso modo il filologo tedesco Georg
Wissowa e Koch hanno diffuso in età moderna l'idea che i Romani non avessero in
origine una propria mitologia. Diversamente Dumézil in varie opere aventi come
oggetto la religione romana ha invece ritenuto di considerare la presenza di
una mitologia latina e quindi romana come diretta eredità di quella
indoeuropea, al pari di quella vedica o di quella scandinava, successivamente
il contatto con la cultura religiosa e mitologica greca avrebbe fatto
dimenticare ai Romani questi loro racconti mitici basati su una trasmissione di
tipo orale. Lo storico delle religioni italiano Brelich ha ritenuto di
individuare una mitologia propria dei Latini che, seppur priva di ricchezza
come quella greca, è comunque parte autentica e originaria di quel popolo. Lo
storico delle religioni italiano Dario Sabbatucci[31]riprende di fatto le conclusioni
di Koch quando individua nei Romani e negli Egiziani due popoli che hanno
concentrato nel "rito" religioso il contenuto "mitico" non
estraendone, a differenza dei Greci, il racconto mitologico. Più recentemente
lo storico delle religioni Bremmer ritiene che i popoli indoeuropei e quindi di
eredità indoeuropea, tra questi anche i Latini e i Romani, non abbiano mai
posseduto dei racconti teogonici e cosmogonici se non in forma assolutamente
rudimentale, la particolarità della mitologia greca risiederebbe quindi nel
fatto di averli elaborati sull'impronta di quelli appartenenti alle antiche
civiltà orientali. Allo stesso modo Bread critica le conclusioni di Dumézil
sulla presenza di una mitologia indoeuropea, collegata all'ideologia
tripartita, presente anche nella Roma arcaica. Si osserva la penetrazione
di racconti mitici greci in Italia centrale con i reperti archeologici che li
raffigurano. L'influenza greca emerge in modo decisamente impressionante con la
costruzione del tempio a Iupiter Optimus Maximus al Campidoglio. Carandini
ritiene di individuare una precisa cesura tra la mitologia originaria del Lazio
e quella successiva determinata dall'influenza greca: «Ma a partire da un
certo momento la creatività mitica originaria si esaurisce e gli ulteriori
sviluppi cominciano a perdere autenticità, per cui viene a prodursi una cesura.
Questa cesura cade a nostro avviso nel Lazio al tempo dei Tarquini quando
avvengono manipolazioni del mito indigeno ed intrusioni di miti greci
paragonabili a un grosso intervento chirurgico nella cultura del tempo.»
(Carandini, La nascita di Roma) Le mediazione etrusca all'epoca dei Tarquini,
per mezzo della quale entrano nella religione romana anche nozioni mitiche
proprie dei Greci, era già stata evidenziata da Eliade: «Sotto la
dominazione etrusca perde di attualità la vecchia triade costituita da Giove,
Marte e Quirino, che viene sostituita dalla triade formata da Giove, Giunone e
Minerva, istituita all'epoca dei Tarquini. È evidente l'influenza
etrusco-latina, che del resto apporta alcuni elementi greci. Le divinità hanno
ora delle statue: Juppiter Optimus Maximus, come d'ora innanzi sarà chiamato, è
presentato ai Romani sotto l'immagine etruschizzata dello Zeus greco.»
(Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose) Se quindi i racconti
mitologici greci, questi decisamente influenzati dal contatto della civiltà
greca con quelle orientali, segnatamente con la civiltà mesopotamica, penetrano
nell'Italia centrale determinando la successiva e decisiva influenza della
mitologia greca sulle idee religiose latine, resta che alcuni racconti di
natura mitica, alcuni dei quali anche di possibile eredità indoeuropea, possano
essere appartenuti alla cultura orale latina arcaica e poi ripresi e in parte
riformulati dai letterati e dagli antichisti romani dei secoli
successivi. L'accezione moderna del termine "mito" inerisce a
racconti tradizionali che hanno come oggetto dei contenuti di tipo
significativo, il più delle volte afferenti al campo teogonico e cosmogonico, e
comunque inerente al sacro e quindi del religioso: «Il mito esprime un
segreto proprio delle origini, che conduce ai confini tra gli uomini e gli
dei.» (Jacques Vidal, Mito, in Dizionario delle religioni(a cura di
Paul Poupard). Milano, Mondadori) «Il mito si distingue dalla leggenda, dalla
fiaba, dalla favola, dalla saga, pur contenendo in varia misura, elementi di
ciascuno di questi generi letterari. Tutti questi tipi di racconto hanno in
comune il fatto di non essere portatori di quei contenuti di verità che rendono
il mito profondamente coinvolgente sul piano esistenziale e religioso»
(Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Filoramo), Torino,
Einaudi) Il termine moderno mito risale a μύθος laddove, invece, i Romani
utilizzano il termine fabula (pl. fabulae) che possiede origini nel verbo for,
"parlare" di contenuti religiosi. Se fabulaper i Romani è quindi il
"racconto" di natura tradizionale circondato da un'atmosfera
religiosa, esso possiede l'ambivalenza di essere anche il "racconto"
leggendario che si oppone a historia, il "racconto" fondato
storicamente. Ne consegue che il fondamento di verità di una fabula è lasciato
all'uditore che ne stabilisce il criterio di attendibilità, questo stabilito dalla
tradizione. Così Livio, in Ad Urbe Condita, ricorda che tali fabulae fondative
non si possono né adfirmare (confermare), né refellere (confutare). Le
fabulae fondative di Roma si riscontrano sostanzialmente coerenti in una
letteratura che prosegue per circa sei secoli[44]. Tali fabulae narrano di un
primo re dei Latini, Giano, cui segue un secondo re giunto esule dal mare,
Saturno, il quale condivise con Ianus il regno. Figlio di Saturnus fu Pico, a
sua volta padre di Fauno che generò il re eponimo dei Latini, Latino. A partire
da Ianus, questi re divini introdussero nel Lazio la civiltà, quindi
l'agricoltura, le leggi, i culti, fondando città. EvoluzioneModifica Lo
sviluppo storico della religione romana passò per quattro fasi: una prima
protostorica, una seconda fase, contrassegnata dall'influenza delle religioni
autoctone; una terza contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche
religiose etrusche e greche; una quarta, durante la quale si affermò il culto
dell'imperatore e si diffusero le religioni misteriche di provenienza orientale.
Età protostorica Fondazione di Roma. Nell'età protostorica ancora prima della
fondazione di Roma, quando nel territorio laziale c'erano solo tribù, nel
territorio dei colli si credeva nell'intervenire nella vita di tutti i giorni
di forze soprannaturali tipicamente magico-pagane. Queste forze non erano
tuttavia personificate in divinità ma ancora indistinte e solo col rafforzarsi
dei contatti con altre popolazioni, tra cui i Greci, i Sabini e gli Etruschi,
tali forze cominceranno a essere personificate in oggetti e, solo a Repubblica
inoltrata, in soggetti antropomorfi. Sino ad allora erano viste come forze
chiamate numen o al plurale numina, grandi in numero e ciascuna avente il suo
compito nella vita di tutti i giorni. Età arcaica Lo stesso argomento in
dettaglio: Età regia di Roma. La fase arcaica fu caratterizzata da una
tradizione religiosa legata soprattutto all'ambito agreste, tipica dei culti
indigeni mediterranei, sulla quale si inserì il nucleo di origine indoeuropea.
Per la tradizione romana si deve a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, la
sistemazione e l'iscrizione delle norme religiose in un unico corpo di leggi
scritte, il Commentarius, che avrebbe portato alla definizione di otto ordini
religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i
Feziali e i Pontefici. Busto di Giano bifronte, culto istituito da
Numa Pompilio Gli dei principali e più antichi venerati nel periodo arcaico, la
cosiddetta "triade arcaica", erano Giove(Iupiter), Marte (Mars) e
Quirino (Quirinus), quella che Georges Dumézil definisce invece “triade
indoeuropea. Proprio a Iupiter Feretrius (garante dei giuramenti) è dedicato il
santuario cittadino di più antica consacrazione: stando a Tito Livio era stato
proprio Romolo a fondarlo sul colle Palatino[48], così come fu responsabile
della creazione del culto di Iupiter Stator (che arresta la fuga dai
combattimenti). Tra le divinità maschili troviamo Liber Pater, Fauno,
Giano, Saturno, Silvano, Robigus, Consus (il dio del silo in cui si racchiude
il frumento), Nettuno (in origine dio delle acque dolci, solo dopo l'apporto
ellenizzante dio del mare), Fons (dio delle sorgenti e dei pozzi), Vulcano (dio
del fuoco devastatore). In questa fase primitiva della religione romana è
riscontrabile la venerazione di numerose divinità femminili: Giunone in diversi
e specifici aspetti (Iuno Pronuba, Iuno Lucina, Iuno Caprotina, Iuno Moneta),
Bellona, Tellus e Cerere, Flora, Opi (l'abbondanza personificata), Pales (dea
delle greggi), Vesta, Anna Perenna, Diana Nemorensis(Diana dei boschi, dea
italica, introdotta secondo la tradizione da Servio Tullio come dea lunare),
Fortuna (portata in città da Servio Tullio, con vari culti entro il pomoerium),
la Dea Dia (la dea “luminosa” del cielo chiaro), la dea Agenoria (la dea
rappresentante dello sviluppo). Frequenti sono le coppie di divinità
legate alla fertilità poiché essa era ritenuta per natura duplice: se in natura
esistono maschio e femmina dovevano esserci anche maschio e femmina per ogni
aspetto della fertilità divina. Ecco così Tellus e Tellumo, Caeres e Cerus,
Pomona e Pomo, Liber Pater e Libera. In queste coppie il secondo termine rimane
sempre una figura secondaria, minore, una creazione artificiale dovuta ai
sacerdoti teologi più che alla reale devozione. Il periodo delle origini
è caratterizzato anche dalla presenza di numina, divinità indeterminate, come i
Larie i Penati. Età repubblicana Lo stesso argomento in dettaglio:
Repubblica romana. La mancanza di un "pantheon" definito favorì
l'assorbimento delle divinità etrusche, come Venere(Turan), e soprattutto
greche. A causa della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche
della religione romana, alcuni dèi romani furono assimilati a quelli greci,
acquisendone l'aspetto, la personalità e i tratti distintivi, come nel caso di
Giunone assimilata a Era; altre divinità, invece, furono importate ex novo,
come nel caso dei Dioscuri. Il controllo dello Stato sulla religione, infatti,
non proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi tendeva a favorirla, a
condizione che questi non costituissero un pericolo sociale e politico. Nel II
secolo a.C. furono ad esempio proibiti i baccanali con Senatus consultum de
Bacchanalibus perché durante tali riti gli adepti praticavano la violenza
sessuale reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò era in
contrasto con le leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini, pur
permettendole nei confronti degli schiavi, mentre il culto dionisiaco fu
represso con la forza. Età alto imperiale Alto Impero romano.
L'imperatore Commodorappresentato come Ercole La crisi della religione romana,
iniziatasi nella tarda età repubblicana, s'intensificò in età imperiale, dopo
che Augusto aveva provato a darle nuovo vigore. Augusto ripristinò alcune
antiche tradizioni religiose che erano cadute in disuso, come l'augurio della
Salute, la dignità del flamine diale, la cerimonia dei Lupercalia, dei Ludi
Saeculares e dei Compitalia. Vietò ai giovani imberbi di correre ai Lupercali e
sia ai ragazzi, sia alle ragazze di partecipare alle rappresentazioni notturne
dei Ludi Saeculares, senza essere accompagnati da un adulto della famiglia.
Stabilì che i Lari Compitali fossero adornati di fiori due volte all'anno, in
primavera ed estate. (Svetonio, Augustus) Le cause del lento degrado della
religione pubblica furono molteplici. Già da qualche tempo vari culti misterici
di provenienza medio-orientale, quali quelli di Cibele, Iside e Mitra, erano
entrati a far parte del ricco patrimonio religioso romano. Col tempo le
nuove religioni assunsero sempre più importanza per le loro caratteristiche
escatologiche e soteriologiche in risposta alle insorgenti esigenze della
religiosità dell'individuo, al quale la vecchia religione non offriva che riti
vuoti di significato. La critica alla religione tradizionale veniva anche dalle
correnti filosofiche dell'Ellenismo, che fornivano risposte intorno a temi
propri della sfera religiosa, come la concezione dell'anima e la natura degli
dei. Un'altra caratteristica tipica del periodo fu quella del culto
imperiale. Dalla divinizzazione post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di
Ottaviano Augusto si arrivò all'assimilazione del culto dell'imperatore con
quello del Sole e alla teocrazia dioclezianea. Età tardo imperiale Tardo
Impero romano. Diocleziano assunse il titolo di Iovius, Massimiano quello di
Herculius. Il titolo doveva probabilmente richiamare alcune caratteristiche del
sovrano da cui era usato: a Diocleziano, associato a Giove, era riservato il
ruolo principale di pianificare e comandare; Massimiano, assimilato a Ercole,
avrebbe avuto il ruolo di eseguire "eroicamente" le disposizioni del
collega. Malgrado queste connotazioni religiose, gli imperatori non erano
"divinità", in accordo con le caratteristiche del culto imperiale
romano, sebbene potessero essere salutati come tali nei panegirici imperiali;
erano invece visti come rappresentanti delle divinità, incaricati di eseguire
la loro volontà sulla Terra. Vero è che Diocleziano elevò la sua dignità
imperiale al di sopra del livello umano e della tradizione romana. Egli voleva
risultare intoccabile. Soltanto lui risultava dominus et deus, signore e dio,
tanto che a tutti coloro che lo circondavano fu attribuita una dignità sacrale:
il palazzo divenne sacrum palatium e i suoi consiglieri sacrum consistorium.
Segni evidenti di questa nuova qualificazione monarchico-divina furono il
cerimoniale di corte, le insegne e le vesti dell'imperatore. Egli, infatti, al
posto della solita porpora, indossò abiti di seta ricamati d'oro, calzature
ricamate d'oro con pietre preziose[63]. Il suo trono poi si elevava dal suolo
del sacrum palatium di Nicomedia. Veniva, infine, venerato come un dio, da
parenti e dignitari, attraverso la proschinesi, una forma di adorazione in
ginocchio, ai piedi del sovrano. Nella congerie sincretistica dell'impero
durante il III secolo, permeata da dottrine neoplatoniche, e gnostiche, fece la
sua comparsa il cristianesimo. La nuova religione andò lentamente affermandosi
quale culto di Stato, con la conseguente fine della religione romana, da ora
indicata spregiativamente come "pagana", sancito dalla chiusura dei
templi e dalla proibizione, sotto pena capitale, di professare religioni
diverse da quella cristiana. Flavio Claudio Giuliano, discendente del
cristiano Costantino I, tentò di restaurare la religione romana in forma
ellenizzata a Costantinopoli, ma la sua morte prematura nel 363 pose fine al
progetto. Teodosio Iemanò l'editto di Tessalonica per la parte orientale,
rendendo il cristianesimo unica religione di Stato, con i decreti
teodosianicominciarono le persecuzioni ai danni dei pagani nell'Impero romano;
infine nel 394, i decreti furono estesi alla parte occidentale, dove stava
avvenendo specialmente a Roma una rinascita pagana. Emersero correnti
neopagane, come la Via romana agli dei e il neo-ellenismo. Organizzazione
religiosa Lo stesso argomento in dettaglio: Sacerdozio (religione romana).
Secondo la tradizione, fu Numa Pompilio a istituire i vari sacerdozi e a
stabilire i riti e le cerimonie annuali. Tipica espressione dell'assunzione del
fenomeno religioso da parte della comunità è il calendario, risalente alla fine
del VI secolo a.C. e organizzato in maniera da dividere l'anno in giorni fasti
e nefasti con l'indicazione delle varie feste e cerimonie sacre. Collegi
sacerdotali Augusto nelle vesti di pontefice massimo La gestione dei riti
religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali dell'antica Roma, i quali
costituivano l'ossatura della complessa organizzazione religiosa romana. Al
primo posto della gerarchia religiosa troviamo il Rex Sacrorum, sacerdote al
quale erano affidate le funzioni religiose compiute un tempo. Flamini,
che si dividevano in tre maggiori e dodici minori, erano sacerdoti addetti
ciascuno al culto di una specifica divinità e per questo non sono un collegio
ma solo un insieme di sacerdozi individuali; Pontefici, in numero di sedici,
con a capo il Pontefice massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo
del culto religioso; Auguri[66], in numero di sedici sotto Gaio Giulio Cesare,
addetti all'interpretazione degli auspici e alla verifica del consenso degli
dei; Vestali[46], sei sacerdotesse consacrate alla dea Vesta; Decemviri o
Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla divinazione e alla interpretazione
dei Libri sibillini; Epuloni, addetti ai banchetti sacri. SodaliziA Roma vi
erano quattro grandi confraternite religiose, che avevano la gestione di
specifiche cerimonie sacre. Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli
dei campi" o "fratelli di Romolo"), in numero di dodici, erano
sacerdoti addetti al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più
tardi identificata con Cerere. Durante il mese di maggio compivano
un'antichissima cerimonia di purificazione dei campi, gli Arvalia. Luperci,
presiedevano la festa di purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si
teneva il 15 febbraio, il mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani.
Salii[66] (da salire, ballare, saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi
in due gruppi da dodici detti Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i
sacerdoti portavano in processione per la città i dodici ancilia, dodici scudi
di cui il primo donato da Marte al re Numa Pompilio, i restanti copie fatte
costruire dallo stesso Numa per evitare che il primo venisse rubato. La
processione si fermava in luoghi prestabiliti in cui i Salii intonavano il
Carmen saliare ed eseguivano una danza a tre tempi (tripudium)[68]. Feziali
(Fetiales), venti membri addetti a trattare con il nemico. La guerra per essere
Bellum Iustumdoveva essere dichiarata secondo il rito corretto, il Pater
Patratus pronunciava una formula mentre scagliava il giavellotto in territorio
nemico. Dal momento che, per motivi pratici, non era sempre possibile compiere
questo rito, un peregrinusvenne costretto ad acquistare un appezzamento di terreno
presso il teatro di Marcello, qui fu costruita una colonna, Columna Bellica,
che rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva quindi
svolgere il rito. Feste e cerimonieMagnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Festività romane. Suovetaurilia, Museo del Louvre
Delle feste maggiori (feriae publicae) le più importanti, oltre a quelle
suddette, erano quelle del mese di dicembre, i Saturnalia, quelle dedicate ai
defunti, in febbraio, come i Ferialia e i Parentalia e quelle connesse al ciclo
agrario, come i Cerialia e i Vinalia di aprile o gli Opiconsivia di
agosto. Sulla base delle fonti classiche si è potuto individuare quali
tra le numerose festività del calendario romano vedevano un'ampia partecipazione
di popolo. Queste feste sono la corsa dei Lupercalia, i Feralia celebrati in
famiglia, i Quirinalia celebrati nelle curie, i Matronalia in occasione delle
quali le schiave venivano servite dalle padrone di casa, i Liberalia spesso
associata alla festa familiare della maggiore età del figlio maschio, i
Matralia con la processione delle donne, così come i Vestalia, i Poplifugia
festa popolare, i Neptunalia, i Volcanalia e infine i Saturnalia, la cui vasta
partecipazione di popolo è attestata da numerose fonti. Durante le
cerimonie sacre spesso venivano praticati sacrifici animali e si offrivano alle
divinità cibi e libagioni. La stessa città di Roma veniva purificata con una
cerimonia, la lustratio, in caso di prodigi e calamità. Sovente anche i giochi
circensi (ludi) avevano luogo durante le feste, come nel caso dell'anniversario
(dies natalis) del Tempio di Giove Ottimo Massimo, in concomitanza del quale si
svolgevano i Ludi Magni. Pratiche religiose «Cumque omnis populi Romani
religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid
praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve
monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita
persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse
nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum
inmortalium tanta esse potuisset. CICERONE (si veda), De natura deorum.Tra le
pratiche religiose dei Romani forse la più importante era l'interpretazione dei
segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei. Prima di intraprendere
qualsiasi azione rilevante era infatti necessario conoscere la volontà delle
divinità e assicurarsene la benevolenza con riti adeguati. Le pratiche più
seguite riguardavano: il volo degli uccelli: l'augure tracciava delle
linee nell'aria con un bastone ricurvo (lituus, vedi Lituo), delimitando una
porzione di cielo, che scrutava per interpretare l'eventuale passaggio di
uccelli; la lettura delle viscere degli animali: solitamente un fegato di un
animale sacrificato veniva osservato dagli aruspici di provenienza etrusca per
comprendere il volere del dio; i prodigi: qualsiasi prodigio o evento
straordinario, quali calamità naturali, epidemie, eclissi, ecc., era
considerato una manifestazione del favore o della collera divina ed era compito
dei sacerdoti cercare di interpretare tali segni. Lo spazio sacro Edicola
dedicata ai Lari nella Casa dei Vettii a Pompei Lo spazio sacro per i Romani
era il templum, un luogo consacrato, orientato secondo i punti cardinali,
secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo spazio sacro del
cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni. L'altare o
ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte e ai
sacrifici. Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente
gli altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli
incroci delle strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i
sacella, che riproducevano in piccolo le facciate dei templi. Il principale
edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria dimora del
dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due termini
diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro. Il tempio romano
risente inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti
elementi dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del
tempio romano rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto podio,
accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare maggiore
importanza alla facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro di
recinzione e privo dunque del colonnato. «“Roman religion” is an analytical concept that is
used to describe religious phenomena in the ancient city of Rome and to relate
the growing variety of cults to the political and social structure of the city.
Schilling Jörg Rüpke, Roman Religio, in Encyclopedia of Religion, New York,
Macmillan, Sul considerare la "religione romana" strettamente
collegata alla città di Roma: Although Rome gradually became the dominant
power in Italy during the third century BCE, as well as the capital of an
empire during the second century BCE, its religious institutions and their administrative
scope only occasionally extended beyond the city and its nearby surroundings
(ager Romanus). Schilling, Rüpke, Roman religion, in
Encyclopedia of Religion, vNew York, Macmillan) Ma anche: «La religione
romana esiste solo a Roma o là dove stanno i Romani» (John Scheid, La
religione a Roma. Bari, Laterza, Cfr. Andrea Carandini, La nascita di Roma.
Dèi, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà. Torino, Einuadi; Milano,
Mondadori La datazione risale all'erudito romano Varrone. Altre datazioni come
quelle proposte da Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano
molto. Fabio Pittore indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si
spinge fino all'814-813. Per una sintesi, cfr. Viglietti, L'eta dei re in La
grande storia dell'antichità -Roma (a cura di Umberto Eco), Così Eliade in
Storia delle idee e delle credenze religiose: «orbene, l'etnia latina da cui è
nato il popolo romano, è il risultato di una mescolanza fra le popolazioni
neolitiche autoctone e gli invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»;
diversamente Dumézil, in La religione romana arcaica, A differenza dei greci
che invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in
Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che
occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da
un popolamento denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono
a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati
semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stati, agli antipodi,
i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.» ^ Per un'introduzione alle
religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, Religione degli Indoeuropei
in Dizionario delle religioni (a cura di Paul Poupard). Milano,
Mondadori; Gendre, Indoeuropei in Dizionario delle religioni (a cura di
Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi; Boyer, Il mondo indoeuropeo in L'uomo
indoeuropeo e il sacro, in Trattato di antropologia del sacro (a cura di Julien
Ries) vol. 3. Milano, Jaca, Martinet, L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture,
Bari, Laterza; Villar, Gli Indoeuropei, Bologna, il Mulino, Per le decisive
influenze della cultura religiosa etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi,
L'homo romanus: religione, diritto, e sacro, in Le civiltà del Mediterraneo e
il sacro., in Trattato di antropologia del sacro (a cura di Julien Ries)
Milano, Jaca, Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca
sulla religione romana si rimanda alle conclusioni di Georges Dumézil in La
religione romana arcaica, Milano, Rizzoli. Cfr. al riguardo Pricoco, in Storia
del cristianesimo (a cura di Filoramo) Bari, Laterza, Gli editti contro gli
eretici e gli apostati furono in seguito raccolti nel sedicesimo libro del
Codice teodosiano. Per i Romani religio stava a indicare una serie di precetti
e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza,
sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.» (Mircea Eliade, Religione
in Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, Montanari,
Dizionario delle religioni (a cura di Filoramo, Torino, Einaudi, Virili, La
politica religiosa dello Stato romano, Nuova Archeologia (inserti),
marzo/aprile 2013. ^ «Ogni tentativo di definire il concetto di
"religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non
può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti
fondamentali e generali della storia delle religioni e della scienza della
religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne
condizionano l'estensione e l'utilizzo. Considerata questa prospettiva, la
definizione della "religione" è per sua natura operativa e non reale:
essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà" della
religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che cosa
sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto di
indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai
modi a noi abituali.» (Giovanni Filoramo, Religione in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, In tal senso Boyancé, Etudes sur la
religion romaine, Roma, École française de Rome, 1972, p.28. ^ Deum al posto di deorum per l'arcaicità del
genitivo. ^ Cfr. Julien Ries in Saggio di definizione del sacro. Opera Omnia.
Milano, Jaca: Sul Lapis Niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino al Comitium, 20
metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio Severo, nel luogo che si dice sia
la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei re, figura la parola sakros: da
questa parola deriverà tutta la terminologia relativa alla sfera del sacro Benveniste:
«Questo presente in latino in -io con infisso nasale sta a *sak come jungiu
'unire' sta a jug in lituano; il procedimento è ben noto.», in le Vocabulaire
des institutions indo-européennes, Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di
Mariantonia Liborio) Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino,
Einaudi, Qui inteso come ricolmo di augus, o ojas, dopo l'inauguratio, ovvero
pieno della "forza", della "potenza", che gli consente di
avere relazioni con il sakros, quindi non nell'accezione molto più tarda
riferita prima al ruolo militare e poi politico di alcune personalità della
Storia romana. Ries, Saggio di definizione del sacro, in Grande dizionario
delle Religioni (a cura di Poupard). Assisi, Cittadella-Piemme, Ries, Saggio di
definizione del sacro, Ries, Saggio di definizione del sacro, Dionigi di
Alicarnasso, Questa versione della fabula è in Ovidio, Fasti, Religion und
Kultus der Römer, In Der römische Jupiter. Una riassuntiva è La Religion
romaine archaïque, avec un appendice sur la religion des Étrusques, Payot,
1966, edito in Italia dalla Rizzoli di Milano con il titolo La religione romana
arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa romana. Con un'appendice
sulla religione degli etruschi. In Tre variazioni romane sul tema delle origini
con revisioni, Roma, Editori Riuniti, Ad esempio in Mito, rito e storia, Roma,
Bulzoni, Insieme a Nicholas Horsfall in Roman Myth and Mythography, University
of London Institute of Classical Studies, Bulletin Supplements Cfr. ad esempio
Early Rome, In Religions of Rome I vol. (con John North e Simon Price),
Cambridge, In tal senso cfr. Mauro Menichetti, Archeologia del potere. Re, immagini e miti a Roma e
in Etruria in età arcaica, Roma, Longanesi, Da ricordare che la stabile
presenza dei Greci nelle colonie italiane è databile fin dall'VIII secolo a.C.
^ «The most impressive testimony to early Rome’s relation to the Mediterranean
world dominated by the Greeks is the building project of the Capitoline temple
of Jupiter Optimus Maximus (Jove [Iove] the Best and Greatest), Juno, and
Minerva, dateable to the latter part of the sixth century. By its sheer size
the temple competes with the largest Greek sanctuaries, and the grouping of
deities suggests that that was intended. Schilling, Rüpke, Roman religion, in
Encyclopedia of Religion, New York, Macmillan, In tal senso e ad esempio cfr.
Charles Penglase, Greek Myths and Mesopotamia: Parallels and Influence in the
Homeric Hymns and Hesiod, Londra, Routledge, Myth is a traditional tale with
secondary, partial reference to something of collective importance.» Walter
Burkert, Structure and History in Greek Mythology and Ritual. Berkeley, University of California Press, Per il
livello teocosmogonico cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a
cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, Come "fondamentale indicatore
religioso" e come "irruzione della dimensione del sacro" cfr.
Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Filoramo), Torino,
Einaudi, Da considerare che il termine "mito" (μύθος, mýthos)
possiede in Omero ed Esiodo il significato di "racconto",
"discorso", "storia" (cfr. «per gli antichi greci μύθος è
semplicemente "la parola", la "storia", sinonimo di λόγος o
ἔπος; un μυθολόγος, è un narratore di storie» Graf, Il mito in Grecia Bari,
Laterza; cfr. «"suite de
paroles qui ont un sens, propos, discours", associé à ἔπος qui désigne le mot, la parole, la forme, en s'en
distinguant...» Pierre Chantraine, Dictionnaire Etymologique de la Langue
Grecque. Un racconto "vero" (μυθολογεύω, Odissea; così Chantraine
(Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque: «"raconter une histoire
(vraie)", dérivation en εύω pour des raisons métriques».),
pronunciato in modo autorevole (cfr. «in
Omero mýthos designa nella maggior parte delle sue attestazioni, un discorso
pronunciato in pubblico, in posizione di autorità, da condottieri
nell'assemblea o eroi sul campo di battaglia: è un discorso di potere, e impone
obbedienza per il prestigio dell'oratore.» Maria Michela Sassi, Gli inizi della
filosofia: in Grecia, Torino, Boringhieri), perché «non c'è nulla di più vero e
di più reale di un racconto declamato da un vecchio re saggio»(Giacomo Camuri,
Mito in Enciclopedia Filosofica, vol.8, Milano). Nella Teogoniaè μύθος ciò con
cui si rivolgono le dee Muse al pastore Esiodo prima di trasformarlo in
"cantore ispirato" (Τόνδε δέ με πρώτιστα θεαὶ πρὸς μῦθον ἔειπον)
Deriva *for, il suo valore religioso è messo in evidenza da Émile Benveniste
(in Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi).
Dall'arcaico *for deriva anche fatus e fas ma anche fama e facundus; il suo
corrispettivo greco antico è phēmi, pháto, ma manca completamente in
indoiranico il che lo attesta nell'indoeuropeo di parte centrale (vedi anche
l'armeno bay da *bati). ^ Termine e nozione di eredità greca. Brelich; per
un'esaustiva rassegna dei testi Brelich rimanda ad Albert Schwegler, Römische
Geschichte, Tübingen, Cfr., comunque, Virgilio Eneide, Dionigi di Alicarnasso,
Antichità romane, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC,
Dumezil, La religione romana arcaica, Livio, Champeaux, La religione dei
romani, Jacqueline Champeaux, Champeaux, Champeaux, Champeaux, Aurelio Vittore,
Epitome; Aurelio Vittore, Caesare; Lattanzio, De mortibus persecutorum;
[1]Panegyrici latini, Bowman, "Diocletian and the First Tetrarchy"
(CAH); Liebeschuetz; Odahl; Williams Barnes Bowman, "Diocletian and the
First Tetrarchy" (CAH); Odahl; Southern; Williams Barnes; Cascio,
"The New State of Diocletian and Constantine" (CAH), Aurelio Vittore, Caesares, Horst, Costantino
il Grande, Aurelio Vittore, Caesares; Eutropio; Zonara, Aurelio Vittore,
Caesares; Eutropio, IX, 26; Eumenio, Panegyrici latini, Floro, Epitoma de Tito
Livio bellorum omnium annorum DCC, Champeaux, Champeaux, Rüpke. La religione
dei Romani, Torino, Einaudi, Montero, Sabino Perea (a cura di), Romana religio
= Religio romanorum: diccionario bibliográfico de Religión Romana, Madrid,
Servicio de publicaciones, Universidad Complutense. Fonti primarie Floro,
Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I. Livio, Ab Urbe condita
libri. Fonti storiografiche moderne R. Bloch, La religione romana, in Le
religioni del mondo classico, Laterza, Bari Brelich, Tre variazioni romane sul
tema delle origini, Editori Riuniti, Roma Champeaux, La religione dei romani,
Il Mulino, Bologna Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità
romano-italica, ECIG, Genova Ponte, La religione dei romani, Rusconi, Milano
1992 G. Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 2001 D. Feeney,
Letteratura e religione nell'antica Roma, Salerno, Roma Kerényi, La religione
antica nelle sue linee fondamentali, Astrolabio, Roma, Lugli, Miti velati. La
mitologia romana come problema storiografico, ECIG, Genova Sabbatucci, Sommario
di storia delle religioni, Il Bagatto, Roma, Sabbatucci, Mistica agraria e
demistificazione, La goliardica editrice, Roma, Sabbatucci, La religione di
Roma antica, Il Saggiatore, Milano, Scheid, La religione a Roma, Laterza,
Roma-Bari 2001 Voci correlate Mitologia romana Via romana agli dei Sacerdozio
(religione romana) Sacro (Romani) Dies religiosus Religione romana, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Religio romana, su novaroma Portale
Antica Roma Portale Religioni Flamine floreale Palatua Flamine
pomonale Wikipedia Il contenutoGrice: “The
Italians take ‘natural theology’ for granted; at Oxford, as Webb pointed out in
his very first Wilde lecture on natural theology, things ain’t that easy, and
they are not meant to be easy by the lecture founder, Dr. Wilde. Webb analyses
Wilde’s letter in some detail. There’s naturalism and natural theology, there’s
revealed theology, but there’s also civil theology, and it’s nice Webb’s main
source is Varro!” Grice: “Most of the best Italian philosophers have been very
much ANTI-ROMA; in part influenced by classical culture, but more so by the
German protestant movement, which also had affinities with the Italian passion
for ‘l’antico’” “Ironically, Roma is considered hardly a representative of
romanita!” Cf. the neo-paganism of Evola, which is meant to represent romanita.
-- Luigi Maria Epicoco. Epicoco. Keywords: Wilde readership in natural
religion. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Epicoco” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi
Speranza -- Grice ed Epitetto: la ragione conversazionale -- Roman slave –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Upon freedom, he studied philosophy
under Musonio Rufo, but he was expelled from Rome under Domiziano. For some
reason, the emperor Antonino took a liking to his mode of philosophising, even
though, of course, due to their different classes, they never met in the flesh.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eraclide: la ragione conversazionale e l’esperienza -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. He writes a large work expounding the
empiricist philosophy which attracted the admiration of Galeno.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eraclio: la ragione conversazionale e il cinargo romano --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
romano. Cinargo. He invited the emperor Giuliano to one of his lectures, hoping
to make an impression. He did, but it was an unfavouable one, and Julian duly
produced a written piece critical of him.
Luigi
Speranza -- Grice ed Era: la ragione conversazionale e l cinargo romano -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of the Cinargo, and emulated
the antics of Diogene the sophist by publicly criticizing emperor Tito in a
packed Roman theatre. Unfortunately for E., whereas Diogenes had only been
flogged, E. was beheaded.
Luigi
Speranza -- Grice ed Erato: la ragione conversazionale e la setta di Crotone --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo romano. A
Pythagorean, according to Giamblico.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice ed Ercole: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della difesa della metafisica – transnaturalia -- esologia,
essologia, e sinautologia – scuola di Spinazzola – filosofia pugliese -- filosofia
italiana Luigi Speranza (Spinazzola). Filosofo spinazzolese. Filosofo pugliese. Filosofo
italiano. Spinazzola, Barletta-Andria-Trani, Puglia. Grice: “I
like it when Ercole emphasizes that bit in De Interpretatione which I love –
every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo, semantikos, -- adds Ercole
quoting from the Greek) of this or that – even a prayer!” -- Grice: “I must say
I love Ercole; for one, he expands on my idea of the longitudinal unity of
philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he thinks history can be
regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism – this is pretty
interesting; for another, he tutored for years on the very same topics I did,
notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a theory of
semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si
perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche alla
"Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo
iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione
all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato
contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo
classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre
opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia,
Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua
abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana,
Milano, U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e storicamente
considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano” (Torino,
Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer” (Roma,
Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del pitagorismo” (Roma,
Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia della natura di
Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica di Ceretti”
(Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di Ceretti”, “La
sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica, la logica
kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona), “La
logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani. Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo
quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano
mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e
l'uno e l'altro. È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle
mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o
fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in
questa Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli
scritti suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo
permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza
voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso. Ciò non ostante,
non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo
general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato
Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata
da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità »
per E,, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si potrebbe, senza
tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua Sinossi.
Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora non la
conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra nel
1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci,
dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito
de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che
può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico. In giovinezza viaggiò, e
per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse
genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone
la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni. Ed è, certo, da tal visione
ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a
procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto
più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e
lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le
lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure
conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida
e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe
mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente
un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero
filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un
fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere
(1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario
comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche
e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano
una riforma sociale basantesi su principii filosofici. Comincia a
pubblicar qualcuna di tali opere, e propriamente, di contenuto poetico, un
poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio in Italia ed alcune Liriche, e di
contenuto filosofico, i tre primi volumi di un'opera scritta in latino
intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti poetici pubblicò sotto il
pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto filosofico sotto il pseudonimo di
Theophilus Eleutherus; e, quel che più importa, si de' primi che del secondo
non ne mise in pubblico (così comincia a comprendersi l'oscurità di Ceretti)
che pochissimi esemplari, quasi a scandagliar primamente con essi la pubblica
opinione. De' primi qualche giudizio, e abbastanza favorevole, venne
fuori, e poi non se ne parlò più; del secondo, che io sappia, non se ne parlò
punto, e credo che non lo lesse nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica
autobiografia, riferendosi specialmente a questa L'elenco compiuto di
esse si trova nella mia citata Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e
piccole non sono meno di una quarantina. opera filosofica, dice: «
Tuttochè questi volumi non fossero letti da nessuno, furono però variamente
interpretati, e da taluni supposti essere inintelligibili pel proprio autore;
perciò mi guadagnarono la fama della madre notte, che non lascia vedere cosa veruna.
Dopo questa prima, quasi ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle
pubblicare più nulla; e cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità.
Singolare uomo! rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era
contentissimo, e quasi ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo
l'adagio, che sovente ripete: Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui
veramente non si era nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso
recesso ei volgeva ed agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee
poetiche, filosofiche, storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e
costante, queste idee veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere
egli stesso, e dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto da una
paralisi, da prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a poco a
poco smettere lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor sempre
l'occuparono fino alla morte. Quanto agli scritti, omettendo di allegare
i poeticoletterari, che non è qui il luogo e l'intento, ricordo i principali
filosofici. La citata opera latina doveva essere La mia celebrità, pag.
101, allegata alla mia citata opera. di otto volumi, ma egli non ne
scrisse che propriamente cinque e non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e
ad un'altra opera filosofica, intitolata : Idea circa la natura e la genesi
della Forza, e rimasta incompiuta, scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia
speculativa; Sogni e Favole (il titolo par letterario, ma è opera filosofica e
voluminosa); Considerazioni circa il sistema generale dello spirito e circa il
sistema della natura entro i limiti della riflessione; Insegnamento filosofico;
Stramberie filosofiche, e parecchie altre minori. Nella gran massa
de'suoi scritti il pensiere del Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma
si mutò anzi non poco, e passò per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche
il pensiero poetico, sociale e letterario) si possono riassumere in quattro o
cinque, e sono la fase poetica; la fase filosofica hegeliana; la fase
filosofica di transizione; la fase utopistica e riformativa sociale; e
finalmente la fase detta del sistema contemplativo (filosofica
anch'essa). La fase poetica fu la prima della mente del Ceretti, e la
prima si per aspirazioni che per studi e produzioni. Ciocchè si è notato
rispetto alla generale evoluzione della sua mente, va notato anche di questa
specifica fase poetica, in quanto egli passò per varii stadii e varie maniere
di concezione e corrispondente produzione poetica, cominciando dalla
leopardiana e foscoliana, passando un po' per quella di Giusti e finendo con
una concezione e forma poetica umoristicofilosofica. Quanto alla fase
filosofica hegeliana, ella è dalla sua propria designazione indicata
chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne' suoi svariati, larghi e profondi
studi filosofici giunse ad accogliere come risultato finale di essi la
filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato, credo, il solo hegeliano, o
certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più che egli non si limitò alla
pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma si allargò ed elevò ad una
propria produzione sotto il nome di riformazione del medesimo. Ma ecco
che il Ceretti nella fase filosofica in genere subisce di bel nuovo una evoluzione,
la quale passa per diversi stadii, ognuno de'quali è una specifica fase
filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o queste specifiche fasi sien
due, l'una hegeliana, ch'egli designa come « speculazione hegeliana», l'altra
di allontanamento da essa, ch'egli designa come di « divorzio dalle idee
hegeliane » 2). Io però (come ho ampiamente mostrato nella mia citata
Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere dell'autore, dico che
queste fasi specifiche del suo [ocr errors] Nella prefazione alle
Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni pei tipi di Bona,
alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella storia filosofica
passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia ellenica, del
neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto dell'hegelianismo,
guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un ulteriore sviluppo
speculativo, e si costituì in proprio sistema.Vedi La mia celebrità.
pensiere filosofico son tre, cioè la hegeliana, una seconda, che ho appellata
di transizione, e finalmente quella del sistema contemplativo. Or la
Sinossi, che si pubblica presentemente, è un'opera che cade appunto nella fase
di transizione del pensiere filosofico di Ceretti; e di ciò fra poco. Quanto al
così detto sistema contemplativo cerettiano, che non entra neppur esso nella
considerazione e nei limiti della mia Introduzione, rimando il lettore a
ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia, segnatamente a pagina cccxxix
ss. Qui mi limito a dir solo che esso è un complesso di idee stoiche,
pessimistiche e subbiettivistiche, ed il subbiettivismo poi (già cominciato
nella fase di transizione) è spinto a tale estremo da essere un subbiettivismo
più immaginativo che pensivo. In filosofia il Ceretti cominciò coll’Idealismo
assoluto hegeliano, procedè, attraverso l'Idealismo obbiettivo di Schelling,
verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte (fase di transizione); e questo
Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il sistema contemplativo nel senso
predetto. La fase utopistico-sociale è pure in grosso e chiaramente
designata dalla sua denominazione stessa. Infatti, il Ceretti in essa propugna
uno stato sociale e una relativa costituzione, che non sono lontani da quelli
della repubblica di Platone, ossia da una società civile addirittura
utopistica. Poste queste generalità, vengo allo scopo principale di
questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo [ocr errors]
particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non s'intenderebbe
ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente pensiere filosofico
cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in parte, deviazione,
cosi comincerò da quest'ultimo. L'antecedente pensiere, che fu anche il
primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è stato parimenti detto che il
Ceretti non accolse l'hegelianismo come un semplice riproduttore di esso, ma
come un riformatore del medesimo. Ora, che cosa pensava egli dell'hegelianismo?
pensava che, nella storica evoluzione filosofica il pensiere hegeliano
rappresentasse il momento culminante, il pensiere speculativo più puro, però
non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo assoluto. Da questo
modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui accolto, seguivano due cose.
L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente pensiere, il pensiere hegeliano
fosse il più elevato e il più compiuto, pur non era interamente compiuto, era
ancora difettivo. L'altra, che bisognava correggerne i difetti ed integrarlo.
La correzione e la integrazione sono appunto la riforma dell'hegelianismo,
quale il Ceretti la intende; e la esecuzione di ciò costituisce un proprio
sistema filosofico, che è il sistema panlogico cerettiano. [merged
small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Logus hegelianus (aveva egli detto
nella citata opera latina) est cogitationis cogitatio magis pura quam omnis
hactenus a philosophia prolata logica cogitatio, nondum vero quantum logus
absolutus requirit. Chi non ha l'edizione latina confronti la traduzione
italiana, vol. I, Prolegomeni. I difetti, che il filosofo intrese trovava nel
filosofo di Stoccarda si estendevano a tutte le tre parti della filosofia di
quest'ultimo, alla Logica, alla Natura ed allo Spirito. Rispetto alla
Logica ei trovava i seguenti. Primo: la Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si
genera dialetticamente in sè stessa in modo inconscio. Ora, il Ceretti trova
giusto che la Nozione si generi dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però
vizioso ed irrazionale il prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce
Nozione (di un'Idea che non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica,
nel suo processo dialettico, è una astratta semplice esplicazione delle
categorie, mentrechè, per essere vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il
Ceretti, un processo di esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta
trattazione costituisce piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume
astrattamente in un risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso
esplicativo. Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si esprimano
in linguaggio più comune, essi si riducono alla rimproverata incoscienza e
astrazione (non concretezza) del processo dell'Idea logica hegeliana. Il
rimedio a questi vizii (e questo è uno de' punti della riforma hegeliana) è per
lui, primamente che la Nozione o l'Idea logica sia accompagnata da coscienza,
secondamente che il processo dialettico logico fosse esplicativo ed implicativo
ad un tempo, in terzo luogo, che tal processo logico non lo si vedesse ed
esprimesse in un semplice risultato, ma che si veda, affermi e verifichi in
ogni singolo momento del suo corso. Rispetto alla Natura (e
corrispondente filosofia), ei trova il general difetto che il processo
dialettico, che Hegel segue in questa, è anche astratto (come nella Logica) e
non locca le concretezza della Natura istessa. La filosofia della Natura per
Ceretti non dev'essere, come per Hegel, un’Idea raccoglientesi in sè stessa dal
suo Esser-altro, ossia dalla sua esteriorità, ma dev'essere anche e piuttosto
un veramente naturare l'Idea logica. L' emendazione a tal difetto s'intende
bene che pel Ceretti consista nell'effettuare il processo naturale della
Nozione o dell'Idea in guisa che questa realmente si obbiettivi e concreti
nell'esteriore realtà. Finalmente, rispetto allo Spirito, il filosofo
intrese trova, lasciando da banda qualche vizio secondario, due vizii
principali. Il primo è che, nel processo dialettico hegeliano, lo Spirito sorga
in ultimo come un risultato, invece di sorgere e costituirsi in tutta la serie
evolutiva dello Spirito stesso. Il secondo è che lo Spirito non raggiunga
quella libertà, nella cui essenza il filosofo tedesco lo fa massimamente
consistere. Anche qui l'emendazione consiste nel rimuovere i notati difetti, e
però far sì che lo Spirito si costituisca tale nella suc: cession graduale
della sua evoluzione e raggiunga veramente la libertà. lo qui allego
senza discutere: qualche vizio rilevato anche a me è parso reale, altri no:
rimando per questo il lettore alla mia opera sul Ceretti e lì, in una
discussione piuttosto ampia in proposito, veda e giudichi da sè stesso.
Come effettua ora il Ceretti la emendazione dei predetti vizii e la conseguente
riforma dell'hegelianismo? Come segue. Va innanzi tutto notato che
egli nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso; e qui ha
ragione, e mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e profondo.
Giacchè ei pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti costituiscono e
debbono costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di un solo universale
Principio, di una sola universale Idea, di un solo universale Pensiere.
L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo principio, comprensivo di
Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la catena storica della
filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo stesso, pur accogliendolo,
ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa egli. Di fatto, oltre al
pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto del significato della storia
filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha accolto anche il principio, pur
hegeliano, di tre generali forme di sistemi, vale a dire il sistema dommatico,
lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre, accolto il pensiere hegeliano
fondamentale della triplice forma del principio assoluto, forma logica,
naturale e spirituale, non che la conseguente triparti (1) Citata
Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i corrispondenti luoghi latini dell'opera
di Ceretti, zione e trattazione di tutta la materia filosofica. Ha
parimenti accolto il concetto enciclopedico della filosofia, il metodo
dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna, ed altri principii. Ma,
ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica e riforma
l'hegelianismo. Punti importanti della riforma son primamente l'Assoluto
ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che con essi
il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone anzi nel
cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in tutta la
filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia hegeliana,
mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo, insomma), ne è
l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente, i due, il Logo
assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la sua concezione
riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui sistematicamente
disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un Panlogismo, ossia una
universale considerazione speculativa del Logo. Il logo è cosi il nuovo
principio, che il filosofo intrese pone innanzi, modificando l'Idea hegeliana e
specialmente allargando, anzi addirittura universalizzando l'Idea logica di
Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo in Ceretti una seconda designazione
di tal nuovo principio, ed è quella di Coscienza. Come questa seconda
designazione comincia già ad essere importante nella prima fase filosofica del
Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia prevalentemente determinante nella
seconda (in quella di transizione, in cui cade la Sinossi); cosi vuol essere
chiarito come la stia con questi principii, che apparentemente paion due (Logo
e Coscienza) e realmente sono il solo principio novello cerettiano. Si
noti che uno de' punti cardinali cerettiani della riforma è che l'Idea o la
Nozione logica sia non già inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi,
d'altra parte, che il principio cerettiano (sorgente dall'hegeliano e
modificante l'hegeliano istesso) è, come s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal
Logo assoluto (secondo il vizio antecedentemente rilevato e la relativa emendazione)
Ceretti lo vuol conscio; ed allora è un passaggio più che naturale, è una
naturale esigenza che il Logo assoluto conscio sia e divenga in lui Coscienza
(non certo subbiettiva od obbiettiva, ma assoluta). In tal guisa Logo
assoluto e Coscienza pel filosofo intrese costituiscono in fondo un sol
principio, e sono il suo novello principio emergente dall'hegeliano. Dico
emergente dall'hegeliano, anche perchè, notoriamente, in Hegel, accanto
all'Idea, che è posta come principio assoluto, spicca come tale anche lo
Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea conscia. Quando si vede la cosa
cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti spiccano due principii, almeno
due speciali denominazioni di un sol principio, che son poi in fondo un sol
principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito, che son poi (l'unico
principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e in Ceretti spiccano il Logo
e la Coscienza, che son poi (pur un unico principio) il Logo conscio, o
puramente e semplicemente la Coscienza. Che poi e come poi Ceretti colla
Coscienza crede di porre innanzi un principio diverso dallo Spirito di Hegel, o
almeno più largo dello Spirito, lo vedremo più innanzi. Ora, pel progresso del
discorso, è necessario rilevare primamente un'altra cosa: ed è che dei predetti
due principii cerettiani (che in fondo son poi uno), il primo o Logo assoluto è
quello che dà più specialmente denominazione, concezione e sistemazione alla
fase hegeliana del Ceretti, ossia al Panlogismo: ed il secondo, o la Coscienza
(pur già appariscente nella predetta prima fase), è quello che dà più
specialmente l'intonazione, la concezione e la sistemazione della seconda fase,
cioè di quella di transizione, in cui cade la Sinossi. Il che vuol dire, in
altri termini, che il Logo informa prevalentemente il sistema panlogico
dell'opera latina, Pasaelogices specimen (prima fase), e la Coscienza informa
più particolarmente la presente opera italiana della Sinossi. Diamo ora
brevemente uno sguardo al sistema panlogico, che per me costituisce ancor sempre
il più poderoso, più originale e più speculativo pensiere Per veder ciò,
naturalmente, non bisogna limitarsi al fuggevolissimo e magrissimo cenno che ne
fo qui; ma bisogna leggere l'opera cerettiana, alla quale un buon aiuto, mi
lusingo di dirlo, è la mia citata Notizia. del Ceretti: il quale sguardo
ci agevolerà l'entrata nel pensiere della presente opera sinottica. Il
Logo per lui è tutto, è l'universale realtà, è l'assoluta realtà; e la
filosofia è la scienza che considera appunto il Logo nella sua universalità ed
assolutezza. Il Logo ha tre forme di esistenza, cioè è Logo in sé, Logo fuori
di sè, Logo per sè; forme, che pel Ceretti hanno anche il significato e valore
di essere il Logo nella sua Subbiettività, il Logo nella sua Obbiettività
(obbiettivazione, estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività e
Obbiettività. Si consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si
troverà che il Ceretti attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza
che Hegel attribuiva alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è
Pensiere ed Essere insieme: può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere
nella Logica, prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza
nello Spirito. Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per
dire, colla prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il
Logo é essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è
essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non
è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è
soltanto la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed
è sempre Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali,
sono le tre predette. Queste tre forme di esistenza, speculativamente
considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali
è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un
po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o
dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da
(85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da
cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè. A maggiore
intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto
di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di
considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come
il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi
dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è
pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e
obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la
Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la Lo
dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha in
Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può intender
meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del Panlogismo
cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole, dottrine del
Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o Pasalogice:
titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche un'altra cosa,
cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane, in quanto la
Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia corrisponde
alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la Sinautologia corrisponde
alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del medesimo.
Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del pensato, e finalmente
la Sinautologia è la considerazione speculativa del pensiere del
pensante. Sempre dunque considerazion del pensiere: Il pensiere del
pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere del pensato è
la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e l'ultima è la
considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di pensiere
subbiettivo e pensiere obbiettivo). Ciò posto, ecco ora come l'autore
pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali, dirò
qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente
Sinossi apparisce poco o punto. Esologia. Questa è la logica cerettiana,
nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è
essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La
Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora
esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo
naturale, Natura). Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre
dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La
prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la
seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo
considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.
Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana,
corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella
dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo
il Ceretti col nome di Prologia. La Prologia cerettiana (vicinamente alla
dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e
del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla
Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi
diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè
l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la
Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del
Giudizio stesso. Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento della
cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non posso però
a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che pervade
(come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale triplicità,
come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione. È inutile
dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle particolarità della
teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio e del
sillogismo. La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera questo
(come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di
Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti
e La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea
appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii
subordinati, come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la
essenza, la necessità, ecc. Chi è pratico delle cose hegeliane, si
accorge che il Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli
spostamenti, trasportando e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e
persin l'essenza stessa), che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La
cagion di ciò, a mio credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica
(anzi tutta la materia filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della
Riflessione e della Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii
o momenti hegeliani dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della
riflessione) sotto il proprio Essere, considerato appunto secondo il momento
della riflessione; ossia ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso.
L'Autologia finalmente, che è pensata come unità della Prologia e della
Dialogia, tratta de'tre principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che
anche in questi vengono distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati
come Sapere immediato, mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc.
I tre principii predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa
e sfera subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e
costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico
(ossia logico). Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane
poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella
storia, e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche
(esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle
particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è
pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di
Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò
un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e
paragonarla con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e
il generale andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una
modificazione. EssOLOGIA.La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice
anche Non-Logo, ossia l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa
parimenti come Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza
ancora inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende
benissimo; perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a
passare per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza.
Questo stato ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella
mentovata designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di
incoscienza. Qualche cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche
come Coscienza dormente. Distingue la Natura (alla hegeliana) in
meccanica, fisica, organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo
fisico e Logo organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il
punto culminante della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è
l'organo sensorio. Col senso poi (che è funzione e manifestazione di
quest'organo) si esce dalla sfera della Natura propriamente detta e si entra in
quella dello Spirito, ossia della Coscienza del Logo conscio, e però del
pensiero del pensante, la cui speculativa trattazione è la SINAUTOLOGIA.
Il concetto della sinautologia dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in
questo, che il pensiero del pensante da essa considerato esprime la concretezza
del pensiero istesso, cioè la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel
Pensiero), che nella Esologia e nella Essologia era ancora inconscio. Le
parti in cui si suddivide la Sinautologia sono l'Antropologia,
l’Antropopedeutica e l'Antroposofia. Queste stesse tre parti sono ulteriormente
divise in altre subordinate, trattandosi in ciascuna in grosso quei principii
che nell' hegelianismo fan parte dello Spirito e della filosofia dello Spirito.
Nelle particolarità io rinunzio di entrare, tanto più che la maggior parte di
esse entrano nella Sinossi, che si presenta ora al pubblico. Con ciocchè
è detto, che io lascio senza apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel
caso di conoscere quelle antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è
continuazione, dall'altra, ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla
presente opera sinottica. Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi
riferirò: l'uno è quello dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa:
l'altro è quello di dare una idea generica del suo contenuto e di rilevare
alcune cose che mi paiono degne di nota. Per ciò che concerne il primo
punto, il manoscritto che mi fu consegnato, di indicazioni del contenuto e
dello scopo dell'opera non portava che soltanto il titolo generale di essa,
cioè Synossi dell'Encyclopedia speculativa. Non aveva prefazione od altra
indicazione di sorta, ma cominciava subito col primo paragrafo, e così
senz'altro continuava in sussecutivi paragrafi fino all'ultimo. Or bene,
io ho creduto utile di fare innanzi tutto due piccole innovazioni: primamente,
di ammodernare l'ortografia dell'autore; secondamente di fornire l'opera di
intestazioni. Quanto all'ortografia, Ceretti era un uomo, dirò cosi,
stampato sul classico, e però rispetto ad essa ha ancora ritenuto le forme
latine e greche. Gli è per ciò che, conformemente al saggio ricorrente nel
titolo predetto, egli scriveva analysi, systema, sympathia, philosophia, abysso,
e via dicendo. Adduceva anche le ragioni di ciò, e, in una scrittura
umoristica, riferendosi a questo punto, pregava che lo « si lasciasse
spropositare a suo agio, perchè la sua crassa ignoranza di orthographia
italiana non gli permetteva di fare altrimenti ». Senza che io mi
distenda su questo punto, il lettore intenderà che al nostro tempo una tale
ortografia non poteva trovar favore presso il pubblico. L'autore stesso,
Nella Prefazione ai Sogni e Favole (ancora inediti, ma che si pubblicheranno
fra non molto). del resto, non l'aveva seguita neppur egli in tutte le
sue scritture italiane. Per esempio, non l'aveva seguita nè in una sua prima
opera filosofica italiana, rimasta incompiuta (intitolata Idea circa la genesi
e la natura della Forza), nè in qualche opera letteraria de' primi tempi
(poniamo, nelle Lettere d'un profugo): in generale poi non l'ha mai seguita
nelle sue opere poetiche italiane. Io poteva dunque senza scrupoli
innovarla. Quanto alle intestazioni, mi sono parse utilissime anch'esse.
Il Ceretti è uno scrittore molto difficile, è sovente oscuro. Leggere una sua
opera senza intestazioni di sorta, tranne quella del titolo generale, è una
cosa che non invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad agevolare a questo
l'intelligenza e la lettura della medesima, ho diviso innanzi tutto l'opera
nelle grandi e generali parti che la costituiscono, e ho dato loro le
rispettive intestazioni; poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi, dando, sia ad
un solo sia a più insieme, la intestazione corrispondente al pensiere da essi
espresso. Per la giusta lezione del testo mi son dato tutta la cura
possibile. Non una, ma ben molte volte sono intoppato in difficoltà: tanto più
che il manoscritto era scritto da un amanuense. Nelle difficoltà ho fatto fare
scrupolosi raffronti coll'originale, nei quali la figlia dell'illustre
filosofo, tuttora amorosamente intenta alla pubblicazione delle opere paterne,
mi ha prestato valido aiuto. Ma, Ad onor del vero, mi piace di far noto
che l'opera della figlia verso il padre non è soltanto di riconoscenza filiale,
ma di intelligente ad onta del buon volere e degli aiuti, mi è rimasto
qualche scrupolo, che in questo o quel luogo qualche mancamento od inesattezza
vi sia rimasto. Quanto a mancamento, mi cade in acconcio di potere
affermare siccome una verità, che, per chi conosce le opere filosofiche
cerettiane, quelle che susseguono l'opera latina in genere si risentono un po'
tutte di qualche mancamento rispetto all'ordinamento e all'integrità del
pensiere. Questo, secondo me, proviene da più cagioni: l’una, che, avendo ogni
scrittore un momento culminante nella sua attività intellettiva, il Ceretti lo
ha avuto nell'opera latina: l'altra che, avendo egli, dopo la pubblicazione de'
tre primi volumi di questa, fermamente deliberato di non pubblicar più nulla,
ha creduto che le sue opere rimanessero inedite; e con tal credenza la cura di
esse è minore: una terza, che negli ultimi dieci anni di vita (in cui cadono
quasi tutte le opere filosofiche italiane, compresa la Sinossi) egli fu travagliato
dalla mentovata infermità. Continuando a dire dell'opera da me prestata,
rilevo che, per l'accennata difficoltà e talvolta anche oscurità del pensiere
dell'autore, vi ho pure aggiunto delle note illustrative, ove mi son parse
necessarie od almeno utili. E finalmente, un po' per la ragione ora
detta, un po' per continuare a far conoscere la persona é gli scritti di
Ceretti, un po' per agevolare al lettore l'entrata nel prestazione, come
ha anche dimostrato, benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata pubblicazione
delle Grullerie poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse
contemporaneamente ad esse. pensiere della Sinossi, vi ho preposta la
Introduzione che sta ora leggendo. Per ciocchè concerne il secondo punto,
quello del contenuto, comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del
lettore sul principio costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio,
come ho già detto innanzi, che l'autore crede distintivo della propria
filosofia da quella di Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più
specificamente l'Idea conscia, ossia lo Spirito. Ebbene, dal poco che ho detto,
antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la
differenza che Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di Hegel a
me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E che la
cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore. Nella sua
Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso de'suoi
pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi che l’Assoluto è la Coscienza, e la Coscienza
nel suo svolgimento è, correttamente parlando, una storia, ma fui lontano dal
distinguere la Coscienza dallo spirito e considerare lo spirito come un momento
storico della Coscienza. Per me la Coscienza era un ente, piuttosto che il
termine generale, la cui distinzione costituisce gli enti ». È chiaro
dunque che una distinzione vera dei due principii non l'aveva ancor fatta. Però
qualche cosa di (1) La mia celebrità citata, . Il tempo di cui parla è,
certo, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina,
pubblicazione che cessò il 1867, distintivo cominciava ad andargli pel
capo. Di fatto, egli afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di
cui si sta parlando « principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più
generale dello spirito, Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico
momento. Quest'idea gli era balenata molto tempo prima, ma piuttosto come
un'imagine dell'idealità che come una categorica avvertenza, la quale
avvertenza principiò in questo tempo ed ebbe il suo categorico fondamento
anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale riposa la nostra cogitabilità »
(1). Da questo luogo, che conferma il primo, non solo emerge
ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor veramente fatta
nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure aveva cominciato a
parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo baleno di pensiere
presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora veramente visto,
compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto, che io non aveva
neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato e, sopratutto,
documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di farlo qui.
Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal distinzione, ed
è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale e fondamentale
principio Può parere strano che il Ceretti faccia poggiare la
cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano sparisce, quando si pensa che per
lui l'infinito nulla è uno de' modi di designare l'essere indeterminato. Ora,
il pensiere è appunto o una determinazione dell'essere indeterminato, o una
ulteriore determinazione dell'essere già determinato. di tutto l'Essere e
di tutto lo Scibile (Pensiero). E la ragion principale della distinzione, come
si scorgerà dalla lettura dell'opera, consiste per lui specialmente in ciò:
Che, giusto perchè la Coscienza è l'universale ed assoluta realtà, l'unico
universale essere, ella accoglie sotto di sè l'istesso spirito come uno de'
propri momenti, una delle proprie manifestazioni e forme di esistenza. Ad
intendere ciò, e in generale la larghezza della Coscienza cerettiana, allego
volentieri il seguente luogo, nel quale ei dice che il filosofo speculativo «
considera l'animale come un momento definito nel sistema della Natura, la
Natura come un momento nel sistema spirituale, e lo Spirito come un sistema nel
sistema della Coscienza. Ora può meglio comprendere il lettore, perchè
io, nel dividere la Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la
relativa intestazione, ho sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto,
l'istesso autore dice che: « la Coscienza, sendo il termine più generale, che
possibilita l'essere e l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più
generale, nella cui distinzione si distingue logicamente l'Enciclopedia
speculativa. Volendo ora con un breve cenno introdurre il lettore nel
contenuto della Sinossi, rilevo innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle
quali ella è divisa, sono la Coscienza universale, ossia i Principii logici o
logico-metafisici, che Si confrontino specialmente il g 164 e la mia
relativa nota, non che il S 203. Sinossi voglian dirsi (Logica); la
Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza
spirituale o Principii spirituali (Spirito). Quanto alla Coscienza
universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in
particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto
ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità;
poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere
la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere
sistematico logico. Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in
a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile
speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è
quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè
stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore. Queste verità
necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella
Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei
pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della
Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia
necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale
a dire, alla forma o tipo logico. Quanto alle verità logiche supreme,
elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza. E, di fatto,
ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come
« verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta
nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più
particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella
proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante. A queste due
proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin
dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può
essere fuori della Coscienza. Quanto alla natura della Logica, ei
l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della
cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».
Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma
limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la
categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e
quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale
il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati
ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero
finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza. Questa individuazione,
soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura. (1) La Coscienza pensante è
per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la dice, a differenza delle
forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza riflessa e la Coscienza
sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza estetica e si estende alla
religiosa). Sinossi Vedi Sinossi [blocks in formation]
Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione,
in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa
in due termini, che hanno l'apparenza della separazione, e che sono a l’lo e il
Non-Io. Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la Natura in
a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica). Cominciando a dir della
prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura istessa,
di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e persin coscienza.
Tocca parimenti della considerazione riflessa (o empirico-induttiva), la quale,
oppostamente alla prima, considera la Natura come disanimata e puramente
meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per egualmente false, ritenendo
invece per unicamente vera la considerazione speculativa. Conformemente a
quest'ultima, piglia le mosse da’ principii primitivi e condizioni prime della
Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il Movimento, la Forza; quattro principii
che nella loro unità costituiscono poi la Materia. Questi principii ei riunisce
in guisa da ricordare addirittura la consimile unione di Spencer, la quale, del
resto, prima che spenceriana, è stata già hegeliana. Si addentra poscia
vieppiù nella Natura, e la considera nella vita e nel movimento dei corpi
celesti. Ribatte la considerazione estetica, che attribuisce a « Vita e
Coscienza analoga all’umana », siccome questi (1) Sinossi
[ocr errors] fantastica. Rispetto alla Vita di essi, rileva egli, la
speculazione (e considerazione speculativa) a ritiene giusto » che « i corpi
celesti.... debbano possedere necessariamente la propria vita, dalla quale
abbiano il proprio movimento, la propria forza e le proprie fasi formali ma
respinge interamente che « detta vita possa essere analoga all'animale ed alla vegetale.
Passa quindi a considerare, secondo la speculazione, la Coscienza nei corpi
celesti; e, anche qui, pur ammettendo una generica coscienza ne' medesimi, dice
che « la Coscienza propria de' corpi celesti non può sotto verun rapporto
somigliare a quella degli animali e delle piante ». Ritiene però che «
l'armonia generale de’loro rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici
prova evidentemente che sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla
coscienza pensante e razionale. Allontanandosi, ciocchè qui dice
l'autore, non poco dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare
ulteriormente il suo pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la
ragione, per la quale egli respinge anche la considerazione riflessa della
Natura (che è poi in grosso la considerazione delle scienze naturali).
Riattaccandosi a quest'ultima, dice che, se la considerazione estetica
attribuisce vita e coscienza agli astri, sbagliandosi nel modo
dell'attribuzione, la riflessione spegne Sinossi Sinossi.
addirittura l’una e l'altra. Imperocchè essa, nella concezione e considerazione
della natura, è dominata « dalla cardinale irrazionalità » di considerare il
pianeta terrestre « come un ente meccanico e fisico, e non mai come un
organismo planetario vivente e cosciente di vita e coscienza propria, altra
dalla vegetabile ed animale. L'autore attribuisce alla riflessione l'errore
della « diremzione (scissione) della Natura e della Coscienza », per cui « deve
necessariamente considerare i singoli fenomeni come altri da quelli della Vita
e della Coscienza o . Diversa poi, a senso dell'autore, è la speculativa
considerazione si della Natura in genere, che dell'ordine terrestre. In quanto
che « la speculazione, ponendo il principio generale, che la Natura e l'Idea
della Natura sono reciproci fattori, deve conchiudere necessariamente che una
Natura qualsivoglia non può esistere se non come viva e cosciente. Le diverse
specifiche nature sono appunto differenziate dalle differenze specifiche della
loro vita e coscienza ». E, conformemente a ciò, rileva i diversi gradi di vita
e coscienza de' corpi celesti, de' minerali, delle piante, degli
animali. La speculazione (aggiunge egli) concepisce che nessuna esistenza
è possibile se non in quanto sia Coscienza, e nessuna Coscienza è possibile se
non come un sistematico svolgimento dall’una nell'altra determi Sinossi Sinossi
nazione, locchè è Vita ». Mette però in rilievo che « Vita e Coscienza nella
speculazione non sono menomamente limitate all'analogia del processo vegeto-animale;
epperciò, dicendo che i corpi celesti, il globo terrestre e le materie
terrestri sono vive e coscienti, non intendiamo dire che un numero finito di
organismi componga un tale organismo, ma semplicemente che tutta la natura è
organica, viva e cosciente, e conseguentemente ogni organismo è principio e
fine di altri organismi, cosi nel proprio totale, come in ciascuna minima
particella divisibile all'infinito. Non men lontano dalle comuni
intuizioni è ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia e psicologia
del globo. Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti non attribuisce
il significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per la quale egli
ha adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo siccome un organismo
vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il globo come un individuo
organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente che vi sia un'anatomia,
una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte però ch'egli « usa questi
vocaboli in un significato più generale che non in quello della vita
vegeto-animale. E quanto all'espressione di psicologia del globe, che è quella
che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne giustifica e
chiarisce Sinossi il significato come segue. « Dobbiamo per prima
cosa notare, dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato
analogo a quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato
amplissimo di coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso
della sua facoltà locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica;
ma questo non vuol dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e
di meccanica razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma
semplicemente il senso regolativo della statica, requisito della pratica della
locomozione; ma non è una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della
medesima. In questo significato generalissimo di coscienza la terra possiede la
sua psicologia, non altrimenti che ogni individuo vivente. Da tutto
ciocchè il Ceretti dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza
e corrispondente psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli
attribuisce sì ai primi che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo
ultimamente allegato chiama coscienza vivente, cioè una coscienza che si
caratterizza e risume nella vita, una coscienza che potrebbe chiamarsi
inconscia. E questa è quella coscienza che antecedentemente io stesso ho
designata come generica, non già come specificata e molto meno come
individuata. Ad intender ciò, si pensi che per CERETTI il principio
universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la Sinossi Coscienza
come universale ed assoluta. In quanto la Coscienza è universale ed assoluta, è
già Coscienza la Natura stessa, che è una delle forme di manifestazione ed
esistenza della Coscienza. Se è così, è ben naturale ch'ei pensi come cosciente
(genericamente, non individuamente gli astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la
Coscienza della Natura, nelle formazioni siderali della medesima, non si è
ancora individuata, soggettivata, ossia è una coscienza che non è ancora
presente a sè stessa, non è consapevole di sè stessa, è una Coscienza ancora
inconscia. Ora, CERETTI pensa che tutto il processo della coscienza
naturale o, come comunemente diciamo, della Natura, consiste appunto nella
graduale individuazione e soggettivazione di questa Coscienza. Nella terra ed
in genere nella natura minerale tale individuazione, almeno tal vera e reale
individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua i relativi gradi
evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza verso una propria
individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare nella vita
vegetativa. E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa, chè, benchè la
pianta abbia « un'individualità distinta dall'individualità planetaria,
quest'individualità si manifesta tuttavia equivocamente nella vita vegetabile.
E di questa equivocità arreca varie ragioni. Sinossi Sinossi Additata
l'individuazione nella pianta, passa ad additarla nella ulteriore e superiore
forma di esistenza della animalità. È primamente nell'organismo animale che,
secondo il Ceretti, avviene la compiuta individuazione, la quale, si noti, non
è ancora soggettivazione in tutta l'animalità. La soggettivazione, che è il
grado supremo dell'individuazione, da una parte, « si palesa progressivamente
nelle specie superiori, dall'altra, si manifesta nella sua vera compiutezza
soltanto nell’uomo; il quale nella serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia
il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Quando l'animale, dic'egli, arriva
definitivamente alla soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io
distinto categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza
spirituale. Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente
questo passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano.
Con l'antecedente esposizione Ceretti, nella Evoluzione della Coscienza, esce
dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale, cioè nella terza
parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di senso e pensiero,
vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice, fasi dello spirito,
le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il concetto. Il concetto è
la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva, secondo Sinossi
che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento è da lui inteso in
senso più largo del senso, tanto che designa come momenti del sentimento
l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il sentimento viene ad
esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto, quella funzione che
costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, e che
perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano facoltà rappresentativa
(Vorstellungsvermögen). Segue l'evoluzione della Coscienza spirituale in
quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana, fan parte dello spirito
soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato primitivo dell'uomo (primitiva
coscienza umana); sonno, sogno e veglia ; temperamento; specifiche disposizioni
mentali, tra le quali piglia di mira anche il genio nella sua distinzione
dall'ingegno; carattere e criterio. Dopo di ciò passa alla considerazione
di quei principii che possono designarsi come costitutivi della Coscienza
oggettiva (oggettivata), che corrispondono a quelli del cosi detto spirito
oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa Sinossi risume ne' tre di
Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti sociali degl'individui
consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla Coscienza. Il Diritto,
facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza morale,
statuisce Ei dice di fatto: La Coscienza che dalla sensazione si svolge
nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità
». Sinossi, S 128. una legge che divien comune e normativa nei rapporti
esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le esigenze della Morale e del
Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo della civile
società. Continuando, l'autore segue l'evoluzione della Coscienza
spirituale nella sua costituzione sociale. Da prima rileva e determina i gradi
evolutivi di questa ultima nel regime patriarcale, strategico (militare) e
politico. Poscia viene alla determinazione della ragione, la quale è « come il
fattore essenziale del buono e del giusto contenuto » nelle organizzazioni
sociali. Alla ragione disposa la coltura, in quanto l'una e l'altra si
suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei si esprime, reclama un
libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo della ragione; questa
e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si possono reciprocamente
realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del proprio sistema. Termina
questa parte con la distinzione, la determinazione ed il rapporto dello scibile
delle discipline finite e dello scibile speculativo. Assolta questa parte
della Coscienza spirituale, passa all'ultima e suprema della medesima, che è
quella che si riferisce all'Arte, alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale
lo stesso, alla Coscienza artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste
tre ei considera non solo Sinossi Sinossi, nel suo principio, ma anche
nella sua storica evoluzione. Gli stadii di si fatta evoluzione sono in genere
l'asiatico, il pagano, il cristiano; e quindi arte, religione e filosofia
asiatica; arte, religione e filosofia pagana; arte, religione e filosofia
cristiana. Quanto all'arte, egli accenna non solo all'arte in genere, ma
anche alle diverse forme di arte, additandone l'evoluzione appunto ne' predetti
stadii asiatico, pagano e cristiano. Il medesimo fa per la religione, e
qualificando la religione e le religioni asiatiche per naturalistiche, la
religione e le religioni pagane per antropomorfistiche, la religione e le
diverse forme religiose cristiane per spiritualistiche. E finalmente,
quanto alla filosofia, rilevato il generale concetto di essa e il suo legame
coll'arte e colla religione, viene a toccare della sua storica evoluzione.
Comincia dalla filosofia asiatica, nella quale dà importanza alla filosofia
indiana, essendo questa nell’Asia « la sola che si possa considerare come un
tentativo di speculazione esordiente. Ella si distingue in tre grandi periodi,
di cui il primo è teologicamente ortodosso, epperò armonizza colla religione
costituita; il secondo ed il terzo consistono di sistemi teoretici, che però
non negano il principio fondamentale della religione, alla quale
contradicono. Passa alla filosofia pagana, la quale si risume
essen Sinossi, zialmente nella greca, e nella quale la speculazione non
s'ispira, come l'indiana, alla teologia, ma « si sente perfettamente libera da
ogni prestatuto, da ogni estrinseco alla speculazione » stessa. E ciò si mostra
fin dall'inizio della filosofia greca, nella quale « i primi filosofi furono
fisici non teologi ». Ella « si distingue in tre grandi cicli. Nel primo è
speculazione naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel
terzo è speculazione pneumatologica. Termina colla filosofia cristiana,
nella quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta
filosofia scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma
piuttosto a quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto
di vista filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a
nuova speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una
semplice rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si
distingue per la forma delle nuove filosofie », come in BRUNO (si veda), in
Giacobbe Böhm e in qualche altro. Quello però che fonda la filosofia
cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i
posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia
cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano
dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella
si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia [Sinossi] unità distinta
dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla Idea fuori di sè stessa (Natura).
Questa concreta unità prima è realizzazione dei suoi termini separabili, che
astrattamente si svolgono in astrazioni fisiche o metafisiche; poscia è
concreta unità dei suoi termini indirimibili e distinti. Questa è la tela
del pensiere filosofico della Sinossi dell'enciclopedia speculativa. Ora, a
complemento della cosa, credo ancora utile di rilevare alcuni punti ed alcune
opinioni dell'autore, che mi sembrano degni di nota. Primamente mi
riferisco al punto concernente le idee cerettiane sugli astri in genere e sulla
terra in ispecie, e propriamente riguardo all'animazione e persin coscienza che
l'autore ha vedute in essi. Innanzi tutto allego un luogo di un'altra opera
di lui: in questo si dice chiaramente come egli intende l’evoluzione
planetaria, la quale poi non è altro che l'evoluzione di ciocchè si nella
Sinossi, si in questa mia Introduzione si è appellata la Coscienza naturale. «
La mia astronomia, dic'egli, ossia perlustrazione de' corpi celesti, non
somiglia punto alla disciplina finita (cioè all'astronomia de' naturalisti) di
questo nome, ma si riferisce semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa
la genesi di quei corpi. L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo
celeste corrispondono alle varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e
cosi oltre, e conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso
appartengono a [Sinossi] vari momenti della sua età. Cosi, per es., la
vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale momentaneità della
vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si chiama Terra.
Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed animale, ossia
vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una manifestazione
planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in altri termini
che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In conseguenza di ciò il
Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita e coscienza del pianeta
terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha parlato di anatomia,
fisiologia e psicologia della terra. È indubitato che queste ultime
espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente ancora suonavano
alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada nella scienza il
realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano perdendo non poco
della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e senza meraviglia (io
almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri seriissimi, che veggono
la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti libri (che io credo
seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per esempio, il Cosmos
die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen Principien auf Grundlage
der exakten Naturforschung dargestellt von Wolff. Leipzig. La mia celebrità già
citata. Ebbene, Wolff parla anch'egli non solo di psicologia animale, ma
anche di psicologia della pianta e psicologia della cellula. Notoriamente, di
quest'ultima ha parlato e scritto Haeckel, seguito poi da altri. Ma con ciò
siamo nella natura organica. Wolff va ancora più innanzi e parla anche di
fisiologia della natura inorganica (si badi bene, inorganica). E non si arresta
neppur qui: parla persino di segni di manifestazioni psichiche nella natura
inorganica: e, dopo avere additati questi segni, anche coll'appoggio di
Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene alla conclusione che nella
natura inorganica c'è un fondo psichico (einen psychologischen Hintergrund der
anorganischen Natur). Siffatte manifestazioni, secondo il Wolff, « non sono
però segni di una esistenza individuale animata, ma comuni manifestazioni di
specie » o generi. Anche Ceretti pensa la cosa in grosso allo stesso modo;
giacchè la sua Coscienza degli astri e della terra non è individuale, ma
generica come ho fatto innanzi rilevare. Fo considerare, inoltre, come
ora si parli non poco di Panpsichismo: chi è a notizia della recente
letteralura filosofica, lo sa. Lo spirito universale di Hegel (der Weltgeist),
lo spiritualismo assoluto del medesimo sono imparentati con si fatte
intuizioni. Non vi è meno imparentato l'Inconscio del vivente filosofo Hartmann;
giacchè l'Inconscio contiene in sè un ele Vedi dell'Opera citata di Wolff.
Al secondo volume di detta Opera, mento pensivo e spirituale che, foss’anche
inconsciamente (e, del resto, nella natura dev'essere cosi), si manifesta ed
agisce nel mondo materiale. Altra intima parentela con queste intuizioni
ha l'attuale e assai generale Monismo; perchè col Monismo si ha un solo
principio superiore, che è spirituale e materiale, conscio ed inconscio
insieme, e che è presente ed agente così nell'animale e nell'uomo, come anche
nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque bisogna guardare e giudicare con
sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il Ceretti dice intorno
all'animazione e coscienza degli astri. L'aver testè ricordato il nome di
Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per la mente, che accanto
a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e propriamente, da una
parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito a quello nella comune
provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi provengono da questo, ma
si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un principio opposto a quello
dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando l’Inconscio, Ceretti la Coscienza,
ossia il Conscio. È questo un punto assai degno di considerazione, ma che
meriterebbe uno sviluppo, il quale non può entrare in questa Introduzione.
Prego però che gli rivolgano la mente coloro che ora conoscono il Ceretti, fino
a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra occasione, nella quale ritornerò su di
ciò. Un altro punto, che si collega ai precedenti e pure degno di rilievo
da parte del Ceretti è il dichiarare e ribatter ch'ei fa come assurda la «
supposizione d'una natura meramente inorganica, cieca e macchinale. Con questa
dichiarazione egli si fa, sia direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del
Positivismo e dell'Evoluzionismo, in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi
interamente a lui. Io non ispregio punto, anzi pregio moltissimo le dottrine
positivistiche ed evoluzionistiche: e persin dichiaro novellamente (l'ho già
fatto altra volta) che accolgo l'evoluzionismo disposato all'hegelianismo sotto
il generale concetto e processo di evoluzione finale. Ma ritengo immensamente
irrazionale l'evoluzionismo meccanico, col quale non solo non si possono
spiegare i prodotti superiori della realtà, l'arte, la religione, la scienza,
la vita domestica e sociale ecc., ma neppure la vita animale e vegetale, e
diventano inesplicabili gli stessi prodotti minerali nelle ordinate formazioni
dei medesimi. Già l'antichità al meccanismo atomistico e in genere
naturalistico aveva giustamente contrapposta la finalità, specialmente nelle
scuole platonica ed aristotelica. Il principio finale, che fu accolto ne' tempi
e filosofi posteriori, è stato nell'ultima filosofia accentuato specialmente da
Schelling ed Hegel, che han visto ed affermato nella natura un finale,
razionale e progressivo organizzarsi della medesima in tutte le sue
maravigliose forme. L'evoluzionismo con Spencer ha assai progredito
a [blocks in formation] riguardo de’due grandi filosofi tedeschi in
moltissimi rispetti; ma, d'altra parte, col meccanismo ha immensamente
regredito rispetto ad essi. Chi sarà l'uomo ragionevole che potrà pensare che
la scienza si possa costituire meccanicamente ed automaticamente? Ebbene è
proprio cosi che dee pensarne la costituzione e formazione chi accetta il
meccanismo comtiano e spenceriano; giacchè da’principii comtiani e spenceriani
riguardo alla scienza non ne discende altra conseguenza. Innanzi a una tale
assurdità o debbon cadere senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo, o
bisogna, come io penso, integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne questo
mio pensiere, sono lieto d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo assai
rispettabile e favorevolmente noto nella scienza, col Vacherot. Il quale, pur
movendo dall'hegelianismo, è giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra via a
quella conclusione (all'Évolution finale), cui songiunto anch'io. Altro
punto che voglio rilevare è quello dell'opinione del Ceretti rispetto
all'origine e natura della specie; e lo fo volentieri, perchè si tratta di cosa
oggi tanto dibattuta. Rispetto a questo punto parrebbe che egli si discostasse
tanto da Hegel quanto da Darwin; ma a me sembra che, in fondo, ei riesca alla
stessa idea di quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo supporre che una
specie si Vedi Le nouveau spiritualisme del VACHEROT, Paris, specialmente
il capitolo intitolato l'Évolution finale, pag. 359. Nell'istesso anno 1884,
nel mio Teismo filosofico cristiano, senza che io sapessi nulla del filosofo
francese, ho sostenuto lo stesso principio, con la stessa espressione di
evoluzione finale. tramuti in un'altra come tale, perocchè le specie sono
mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo
naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò parrebbe quasi quasi che non
ammettesse vere specie di sorta e non si accordasse col darwinismo. Ma, d'altra
parte, ei soggiunge: « La vera trasformazione della specie non si deve
investigare nelle specie come lali, ma piuttosto ne'minimi termini della
specie, ossia nelle variazioni individuali. Queste variazioni, tuttochè lentissime,
modificano col volgere de' secoli le specie » (1). Ora a me pare che
l'opinione cerettiana si converta colla darwiniana: perchè secondo i darwinisti
le modificazioni alle specie provengono e non possono d'altronde provenire che
dagl'individui. Un altro punto non meno dibattuto e controverso è ai di
nostri quello della religione; e mi piace di rilevare l'opinione cerettiana in
proposito. Innanzi tutto egli è contrario ad ogni religione filosofica o
scientifica che voglia dirsi. « Provate, dic'egli, a istituire un culto, ossia
una pubblica credenza filosoficamente ragionata; e voi fallirete senza dubbio
al vostro scopo, perocchè la Coscienza pubblica non è disposta a un filosofico
sistema ». E per tal rispetto può dirsi ch'ei si oppone al positivismo, a
dir vero, non a quello del fondatore del medesimo, perchè Comte ammetteva la
ragion di essere della religione, ma al comunale positivismo, che vuol
sostituita la religione colla scienza. E, venendo poi ad esprimere Sinossi
il suo pensiere su tale importante argomento, ei dice: « La religione che
conviene al nostro tempo e alla nostra civiltà non può essere una religione di
miti e di misteri. Non può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un
luogo, epperciò non può essere una religione autorizzata da un codice e da una
tradizione. Il solo fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è
l'idealismo trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione
generale che governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio,
possibile oggetto d'una credenza religiosa. Probabilmente il lettore
troverà che anche questa religione proposta dal Ceretti (e che abbastanza
generalmente, e da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da filosofi,
scienziati e uomini colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io, per parte
mia, penso lo pensava anche il filosofo intrese) che la religione
in genere sorge dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè può essere
mai filosofica o scientifica che dir si voglia; così una religione scientifica,
quale la vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera e, per giunta,
assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che costituisce
qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa de'
credenti. Questi sono i punti principali e le relative opinioni
dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.
(1) Sinossi, Prima di terminare questa già lunga Introduzione, non posso a meno
di rivolgere ancora l'attenzione del lettore sulla posizione della Sinossi nel
complesso e nel corso del pensiere filosofico dell'autore, non che sulle
ragioni che hanno consigliata la pubblicazione dell'opera. Quanto alla
posizione, ho già detto che essa rappresenta una fase o momento di transizione
dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto dall'autore ed espresso, pur già
con modificazione, nella sua opera latina) ad un assoluto idealismo
subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai vicino a quello di Fichte.
Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso dello schellinghianismo,
del quale son visibili alcuni vestigi nella presente opera. Il lettore che
leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da sè stesso. Se non che
io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho già rilevato nella
mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso, rimando il lettore a
questa. Quanto alle ragioni della pubblicazione (oltre al desiderio, anzi
volere della figlia del filosofo, la quale crede dovere filiale di cooperare a
far conoscere e pregiare il suo genitore), elle son varie. L'una è che, benchè
ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla latina, ciò non di meno, con
tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre parti che la costituiscono, è pur
sempre tale da meritare di essere conosciuta. Una seconda è che, Alla più
volte citata notizia, siccome essa rappresenta una delle fasi di transizione
del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer questo tutto intero, era
necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che essa, tra le opere
filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle migliori. Una terza
ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica latina, è bene che
se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che, essendo rimasta
incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che concerne la filosofia
dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi, che si estende anche a
questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello spirito nell'opera
latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un generico fondo
hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è questa che,
come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana, assai
probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o logica
del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è rimasto
incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione della
stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa giunge,
come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la sinossi,
invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la filosofia della
natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non è improbabile
che Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la logica nell'opera
latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella sinossi, che fu
scritta dopo. Termino esprimendo il voto, che una così eminente individualità
filosofica, poetica e letteraria, quale fu CERETTI (si veda), venga sempre più
conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla degnamente, non
bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna abbracciarle tutte;
giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e complessa, bisogna vederla
e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue opere. Dividerò
e tratterò in "varii punti la quintuplice forma di Logica enunciata
nel titolo. Il primo punto è che questa quintuplice forma di Logica
si riattacca nel modo più intimo al mio scritto già pubblicato ed
intitolato: L'essere evolutivo finale come tentamento di una nuova
concezione ed orientazione del pensiero filosofico uscente dall' Hegelianismo.
E si riattacca in guisa che la concezione, la posizione e la soluzione
delle indicate forme logiche dipendono in tutto e per tutto dal
medesimo. Il secondo punto concerne la importanza della trattazione delle
enunciate forme logiche. La importanza, quanto alla Lo gica
aristotelica, è addirittura imm ensa, in quanto sì fatta Logica conta
ormai 24 secoli di esis tenza, di ammirazione e di attuazione nel
pensiero umano in genere e nel pensiero filosofico in ispecie. Per ciocché
concerne la importanza della logica kantiana, benché questa, relativamente al
tempo, conti poco più di un secolo di esistenza, pur la sua importanza è
assai grande, in quanto, da una parte, continua ed ulteriormente esplica la
Logica aristotelica, dall'altra, prepara la via, l'indirizzo e la stessa
materia alla susseguente Logica di Hegel. Quanto poi alla Logica
hegeliana, se la sua importanza rispetto al tempo è immensamente minore
della aristotelica, e, relativamente, della stessa kantiana, con- tando
appena circa un secolo di vita, pur non di meno, considerata come entit à
del fatto logico in se stesso, è grandissima anch' essa. Giacché, la
Logica hegeliana, da una parte ; riattaccandosi e contrapponendosi com e_
reale od ontolog ica alla aristotelica ritenuta e detta formale, e,
dall'altra, sviluppando, integrando e realizzando in un compiuto organismo
dialettico il tentativo ontologico kantiano, è divenuta il più impor-
tante fatto e pensiero logico de' tempi nostri. Quanto alla importanza
della cosi detta Logica matematica, tale importanza rispetto al tempo è
di bel nuovo assai minore non solo della 24 volte secolare ari-
stotelica, e della poco più che secolare kantiana, ma della stessa secolare
hegeliana. Giacche la Logica detta matematica conta soltanto pochi
decennii di vita, ed anzi, nella sua ultima determinata forma, appena una
ventina d'anni. E da ultimo, per ciocche concerne la importanza
della Logica indiana, tale impor- tanza è grandissima anch'essa; in primo
luogo, perchè la Logica indiana è una reale e vera forma logica distinta
dalle altre, e pensata ed esercitata da un popolo anti- chissimo tuttora
pensante e logicante con essa; in secondo luogo, perchè, rispetto alla
universale evoluzione della Logica in genere, la Logica indiana è la prima
ma- nifestazione, avente ragion di essere come le altre. A queste ragioni
essenziali potrei aggiunger l'altra di opportunità ; ed è che essa è
assai poco conosciuta, ed è invece degnissima di esserlo, il che avverrà
coll'accenno mentovato della medesima. Un'ultima considerazione
rispetto alle predette forme logiche, e specialmente rispetto alla sequela
storica delle medesime, è la seguente. Che, cioè, benché la indiana sia
la prima in ordine di tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla, e
trat- tarla in ultimo, perchè essendo essa di un tipo abbastanza
dissimile dalle altre enun- ciate, sarà più agevole di intenderne ed
apprezzarne la natura dopo aver esposte quelle che rappresentano lo
sviluppo maturo e razionale rispetto ad essa. Il terso punto concerne lo
scopo della trattazione delle predette Logiche. Il quale scopo è quello
di determinare quale è la vera natura di ciascuna di esse, consi-
derandole sì dal punto di vista storico, epperò evolutivo, sì dal punto di
vista teoretico. Di tutti questi punti dunque tratterò
separatamente, cominciando dalla Logica aristotelica. Aristotele è
detto il Padre della Logica. Sorge subito la quistione : Ma non_cI è_ un'
altra_ L ogica prima _della sua ? e se ce n'è un'altra, in qual relazione
sono quest'altra e la aristotelica, da una parte, dal punto di vista
della anteriorità e della posteriorità, dall'altra, dal punto di vista
della evoluzione storica dall'una all'altra? La risposta a tal
quistione sarà più opportunamente fatta e compresa dopo la trattazione e
giudicazione di tutte le predette Logiche. E veniamo alla Logica ari-
stotelica. Innanzi tutto è bene di allegare le Fonti della nostra
esposizione e trattazione. Tutti intendono che la prima ed essenzial
Fonte è Aristotele stesso e questa noi avrem sempre presente nel testo
originale. Aggiungiamo solo che, come Aristo- tele, specialmente
attraverso del Medio evo e del Rinascimento, è stato ripensato e riferito
nella famosa traduzione latina " interpretibus variis „, riconosciuta
come giusta interpretatrice del grande filosofo greco, cosi noi ci
serviremo anche di questa, allegandola persino ordinariamente accanto al
testo greco. La edizione de' due testi che noi abbiam presente e seguiamo
è quella della « Academia Regia Borussica, Berolini fatta da Becker e
da Brandis. Altre Fonti importantissime sono le seguenti: Boezio
(l'infelice e insigne filosofo, condannato a morte e fatto uccidere dal
re Teodorico). Egli è uno de' più benemeriti della Logica aristotelica come
tradut- tore e illustratore degli scritti logici di Aristotele: Arist.
Stag., Organimi, Boethio Sever. interp. età, Venetiis, Geschichte der
Logik etc, von Prantl, che è un'opera addirittura mo- numentale nel suo
genere. System der Logik und Geschichte der Logischen Lehren von
Ueberweg, Bonn: opera eccellente anche questa, dovuta al merito e alla
giusta fama di quell'uomo, che ha lasciato durevole traccia di sè anche
nella Storia della Filosofia. Aristotelis Organon etc, edidit Waitz
Philos. Dr. Lipsiae: importantissima e stimatissima opera in due volumi
contenenti il testo greco e il commento di lui al medesimo.
D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen etc, nella quale
(zweiter Theil, zweite Abtheilung) vi è un volume speciale, di quasi un
migliaio di pagine, trattante di Aristotele. Dello stesso
Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der Geschichte der
griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione di Leipzig
elaborata (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing. Trendelenburg,
Elemento logìces Arist., Berolini: notissima e importante
operetta. Barthélemy Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4
voi. Alle Fonti già indicate, che son le più importanti, aggiungerò quella
del nostro Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella degli
Elementi di Filosofia, in cui ha- una lunga trattazione della Logica
pura; l'altra, amplissima, quella delle Lezioni di Logica e metafisica;
e, occasionalmente, forse anche qualche altra Fonte, per esempio quella
di Ruggiero Bonghi. E ora vengo alla indicazione ed esposizione
degli scritti logici aristotelici. Gli scritti logici o V Organo (tò
òqyavov) della filosofia aristotelica. È opportuno riferire una
osservazione che fa iWaitz [Arist. Org.), e che accoglie e riferisce
anche il Zeller (nel suo terzo volume precitato), sulle denominazioni di Logica
ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli espositori greci fino al
sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di queste deno- minazioni
come l'espressione tecnica e generalmente accettata degli scritti logici
di Aristotele : ma che però più tardi questi vengono " già
denominati organici {òqya- « vmd), perchè essi si riferiscono all'
òqyavov (ovvero sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo- aotplag ». Ciò posto, gli
scritti logici costituenti l'Organo sono: Le Categorie
(KaziqyoQiaì); 2° De Interpretatione {LTeoì c EQH7]vslag) ; I
Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa ; 1 Secondi (o
Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa; I Topici (libri): Tomxd;
8U Elenchi Sofistici (De Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì
"EÀsyxot. Le Categorie. Questa prima parte degli scritti logici
aristotelici è importantis- sima, perchè essa costituisce come un anello
di congiunzione tra la Logica e la Metafisica di Aristotele. Il lor significato
e la loro estensione appartengono e si allargano ad entrambe queste parti del pensiero
filosofico aristotelico. Il significato è che essi esprimono i supremi
pensabili, cioè, i supremi concetti sotto cui cadono e si aggruppano nel
nostro pensiere gli ogge tti della universale realtà. Il
numero di tali supremi pensabili, ovvero delle categorie, secondo Arist.,
è, notoriamente, di dieci: infatti, egli dice (Kateg., cap. 4,
all'inizio): zwv xazà firjóe- filav ovfMiÀoxrjv Xeyofièvoìv è'xaozov
tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq zi f} nov ^ note f}
xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina men- tovata
di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione dicuntur,
unumquodque aut substantiam significat aut quantum aut quale aut ad aliquid aut
ubi aut quando aut situm esse aut habere aut agere aut pati. Il predetto numero
e la denominazione delle Categorie son anche riferiti in modo chiaro e
preciso nei Topici (I, 9, al principio) come segue: è'azi óè zavza (scilic.
zà yévrj %&v xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi èazi, noaòv, noiòv,
JiQÓg zi, nov, nozè, xeìo&at, e%eiv, noisìv, nào%siv. Per lo scopo
che io mi propongo non posso entrare in tutte le particolarità, nelle
quali entra la maravigliosa mente analizzatrice di Aristotele. Ma come
riassuntivo dell'essenziale a tal riguardo allegherò il seguente luogo di
Zeller. Fra le singole Categorie, dice questo, la più importante è di gran
lunga la SQstg^za, della quale in seguito dovrà parlarsi più diffusamente.
La Sostanza, in " senso stretto, è sostanza singola. Ciocche si
lascia dividere in parti è un Quanto (ein Quantum) ; se queste parti son
divise (getrennt), il Quantum è discreto, una Moltitudine (Menge); se esse
sono insiem congiunte, il Quantum è una Grandezza; se sono in una
determinata posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi
le parti son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la
Grandezza non e Vedi pei due luoghi greci Zeller, citato; e nel testo
greco stesso, vedi Arist., KaTijy., e Tonino, al luogo indicato. Secondo
il gusto e l'uso de' versi memoriali, queste 10 Categorie furono espresse dal
seguente distico : Àrbor sex servos calore refrigerat ustos
; Cras ruri stabo, sed tunicatus ero. spaziale (ist eine
unràumliche). L'Indiviso (das Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo di cui
vien conosciuta (erkannt) la Grandezza, è la Misura della Grandezza
stessa; ed è questa appunto la nota distintiva della Grandezza, che essa
è misurabile, che ha una Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al
Tutto sostanzialmente divisibile, così la Qualità esprime le distinzioni mediante
le quali vien diviso il Tutto. Giacché per Qualità in senso stretto
Aristotele non intende altro che la nota distintiva, o la determinazione più
vicina, in cui si specifica un dato Generale. E come le due specie
principali delle Qualità egli designa quelle che esprimono una deter-
minazione essenziale, e quelle altre che esprimono un movimento od attività.
In altro luogo egli novera quattro determinazioni qualitative come le
principali; ma - queste però si lasciano sottordinare a quelle due.
Siccome nota propria della Qualità vien considerato il contrapposto di Simile e
Dissimile. Del resto, l'istesso Aristotele è imbarazzato nel conterminare
questa Categoria verso altre. Al Relativo " appartiene tutto ciò, la
cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un determinato comportarsi
verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui corrisnonde la
minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie, le quali però «
si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non rimane eguale a sè stesso ;
ed ancor meno sa evitare più di una miscela (Vermischung) con altre
Categorie, ovvero ottenere una nota sicura di quella costituente il Relativo.
Le altre Categorie furono da Aristotele sì brevemente trattate nello
Scritto delle Categorie, che anche noi " non possiamo trattarne più
diffusamente. E basti di ciocche concerne le Categorie, e passo a dire del
secondo scritto del- l'Orbaco, cioè del IIeqì èqiirivtiac, o De
Interpretatiom. Rispetto al tempo in cui fu composto questo scritto, è
bene di rilevare, che esso fu composto dopo gli Analitici, come lo stesso LIZIO
dice chiaramente ed esplicitamente. L'oggetto di questo saggio dell'
Ermemia è la £rojosizione, e non nel senso di pura e semplice
proposizione grammaticale, ma di proposizione logica od esprimente un
pensiere logico (“Pirots karulise elatically’). Il Lizio, analizzatore per
eccellenza, comincia coll'esaminare e stabilire l’elementi della proposizione
stessa, i quali non sono altro che i nomi delle cose. E comincia a farlo
con una osservazione importantissima intorno al nome, tò ovoma, e al verbo, tò
§fj/ta, la quale è che i nomi (“shaggy”), prima della loro unione, sia tra loro,
sia col verbo, non esprimono nulla di vero e di falso. Ed anzi, secondo
lui, quando si dice nome (dvo/ia) IN SENSO LATO, vi si comprende anche il
verbo (“... is shaggy”). IIzqì yàg, dic'egli nell' Ermeneia, oév&EOiv
k<xì òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò àAy&és NAM IN COMPOSITIONE
ET DIVISIONE EST VERITAS AVT FALSITAS. Quando poi col collegamento e colla
divisione delle parole (“shaggy”), Qffàa d<jLnomi, comincia la verità e la
falsità, allora il nome, come specificamente logico, è propriamente Uyog. Uno
scrittore che ha rilevata bene la differenza di òvofia e di Myog e Biese,
Die Philosophie des LIZIO, Berlin, dicendo che Uyog designa la parola in
quanto è espressiva del pensiere (“Pirots karulise elatically” – “karulatico”. In
altri termini, λόγοϛ [dictive content, what is said] è la parola logica
per eccellenza. Altra cosa notevolissima è che, secondo il LIZIO (IIeqì
'Eq^veiag), ogni discorso, Àóyog, è SIGNIFICATIVO di alcun che
(arjfiavxixóg) – Pirots karulise elatically. Ma non ogni discorso è ENUNCIATIVO,
giudicativo (dnotpavxixóg), sì bene quello che ha che fare {imdq%£i) col
vero e col falso. E soggiunge, ad esempio, che la preghiera, eb%<t\, DEPRECATIO,
è certamente un discorso, ma non è nè vera nè falsa. Son dunque la verità e
la falsità che costituiscono la proposizione logica, o il giudizio, il
quale senza di esse non sorgerebbe nè verrebbe ad esistenza. Che il
giudizio è dal LIZIO così concepito, ha una importanza straordinaria
rispetto alla quistione della logica formale e della logica reale od
ontologica. Comunemente si dice che la logica del LIZIO è formale. Ciò è
vero in certi limiti e non in tutto e per tutto. Infatti, il dire che un
giudizio è tale soltanto rispetto alla verità ed alla falsità, vai tanto
quanto dire che un giudizio è vero o falso secondo che esso è conforme o non
conforme alle coso, ossia alla realtà. Per forma che un giudizio non puo
neppure aver luogo, se, a così dire, non sorgesse ed anzi non fosse
prodotto dalle stesse cose reali. Trendelenburg, autorevolissimo in tal
materia, dice. Senza un tal rapporto alle cose non v'è alcun giudizio. E,
conformemente a ciò, lo stesso Trendelenburg ne' suoi Ehm. logie. Lizio
aggiunge: [LIZIO], qui quidem enunciationis naturam in rerum peritate positam
esse voluit etc. Del resto, già in antico pensa ed espresso lo stesso BOEZIO
(si veda) (nel cit. Arisi. Stag. LIZIO Organum, etc.) dicendo. Sed
denominationes istae (scilic. categoriae) ex rebus pendent etc. Ciò posto,
passiamo a dire del giudizio, o, che vale lo stesso, della
proposizione logica. E per l'esposizione di questo punto, ne' limiti dello
scopo che ci proponiamo, ci varremo degli stessi analitici, i quali furon
composti prima dell'Ermeneia, e nei quali Aristotele ne aveva appunto
trattato. La proposizione (Ilqóxamg). La definizione che ne da il LIZIO è
la seguente: Ilqóxamg [tèv odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj dnocpaxixòg
xivòg xaxd xivog. Cioè, la proposizione è un discorso affermante o negante
alcunché di alcunché. E la famosa traduzione latina ha: Propositio igitur est
oratio affirmans vel negans aliquid de aliquo. Subito appresso,
determinando l'estensione e la specifica natura della proposizione, o del
predetto discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $ èv fiéqei j}
dòióqiaxog. Àéyo) de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì fmaq%£iv, èv
fiéqei de xò xivl % (irj navxì iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò Ò7iàq%eiv |
fifj vnàq%eiv dvev xov xa&óAov, 1} xaxà fiéqog, oìov xò xCùv èvavxiav
slvai xrjv ctvxrjv èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai dyadòv. Cioè,
nella traduzione latina. Hæc (scilic. ORATIO) autem aut est universalis,
aut in parte (particolare), aut indefinita, universale appello omni aut
nullo inesse, in parte vero, alicui aut non alicui aut non omni inesse,
indefinitum autem, inesse aut non inesse absque universali aut particulari
nota, veluti contrariorum eandem t esse scientiam, aut voluptatem non
esse bònum. In Erlauterungen zu den Elementen d. LIZIO Logik, Aufl. Beri. In
Waitz, Aristotelis LIZIO Organon etc, vi è una interessante nota sulla
voce jiQÓiuais e le corrispondenti in CICERONE (si veda), nel PORTICO
ecc. „ T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA ED HEGELIANA, ECC. E qtì ad
ulteriore intelligenza della cosa, debbo ricordare al lettore la
famosa finzione dello quattro forme di posizioni ohe rappresentano una
parte „ levan e nella funzione del Sillogismo, cioè la Svenale
affermativa, la umversaU nevai m la 7er 9 ouóle colle uote iniziali
di a, e, i, o, prendendo « ed i da afnrnro ed e ed o da
"^Urliamo egualmente l'attenzione del lettore su di un'alt» parlar
^ricor- rente poco appresso nel luogo stesso e riattaccante a ciocche e
teste detto che ZTu dire di una cosa ohe è interamente in un'altra vai
tanto quanto due che essa interamente attribuita ad un'altra «-** -W*? «
«• ohe il re che una cesa non è in alcun modo frrt nHj B ™ lta
°' uanto dire che essa non è in alcun modo attribuita all'altra. Tott,
ricenoscerann TelTe due espressioni de. e del «* la
oorrisnondente espressione latina del Didum de amni et de nullo.
Tvendo testò detto che nel trattare della Logica aristotelica m sare,
limitato ai punti fondamentali, Ve *V^SJS!^^^^^1 tale e che
non posso a meno di riferire. Onesto concerne le regole della conversione
t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo secondo; e per migliore intelligenza ed
appre - zam nt'o le allego nella sua integrità. Però nell'allegarie, s>
perche e comunemente neTa la lingua Francese, si per la grande autorità
che ha un traduttore delle opere aristoWi'he, quale è il B~mv ok
S^-H^rna, mi valgo della tradu- ZÌ °" Oomte tonte proposition
(eoa, quest'ultimo) exprime quo la obese est sim- moment ou quelle est
nécessairement, en qu'elle peut étre; et que dans tonte •I pTee
d'attributien, les prepesitions sont afflrmatives ou negative*: comme, de
- plus les prepesitions afflrmativee et négatives sont tant6t nmverselles,
tentot par • Mières tantot indéterminées, il y a necessitò,ue la
proposto simple umver- • et privative pnisse se eonvertir en ses
prepres termes; par exemple, s, neon nWsir Test un bien, il faut
nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit un plaisir. Crepo tion
afiirmative doit anssi se convertir, non pas en umverselle, ma, L narticulière; si, par exemple, tout plaisir
est un bien, il faut anssi quo qnelqne . U sl un piparmi les prepesitions
particella,,'afnrmative se cenver nécessairement en particulière ; car si
quelqne plars.r est un • „ue quelqne bien soit un plaisir. Mais il
n'y a pas de couversion necessaire peur a prTpositien privative: en effet,
si homme n'est pas attrihnable qnelqne animai, . il ne s'ensnit pas qne
animai ne soit pas attribuable à qnelqne homnie. La règie (cosi ibidem, al paragrafo terzo) sera la
meme encore pour les p.o [Notoriamente in queste Ufiene delle Scolo, si
esprime™ ciò, dicendo: A.serit a, no B »t «, veruni universiditer
«mbo: Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo. Il si.eiao.to di „..t. ».'*. et —
« * "»» 6 <* e """" positions nécessaires,
c'est-à-dire que l'universelle privative se convertii en uni- ! vergelle,
et que chacune des deux affirmatives se convertit en parti culière...
Quant ' à la P r oposition particulière privative elle ne peut ici non
plus se convertir, par la mème raison que nous avons dite plus
haut. Pour les propositions contingentes, comme contingent se prend dans
bien des " sens, puisque nous disons que le non-nécessaire et le
possible sont contingente, la conversion de toutes les propositions
affirmatives se fera ici de la mème ma- 8 niòre... La règie change pour la
conversion des négatives; mais elle est encore la * mènie P° ur les
Propositions où les choses sont dites contingentes, soit parce que "
nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas
nécessairement. *! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre
cheval, et que la blancheur [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux
choses lune nécessairement n'est pas, " l'autre n'est pas
nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma- " mete.
En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre homme
peut n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur peut n'ètre à
aucun vètement, ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune blancheur.
Autrement, s'il n'y a nécessité que '• vétemen t soit à quelque
blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque véfcemen t-
C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses que
" l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus habituellement et
naturellement " de telle facon, ce qui est la définition que nous
donnona de contingent, il n'en * sera plus de mème pour les conversions
négatives. Ainsi la proposition unìversèlle " privative ne se
convertit pas, et la proposition particulière se convertit. Ceci de- !
viendra évident quand nous traiterons du contingent. Bornons-nous ici à
constater, " a P rès tout ce <l ui précède, que pouvoir n'ètre à
aucune chose ou pouvoir n'ètre' " pas à quelque chose, ont la force
d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir est place dans la proposition
comme le verbe ètre; et que le verbe ètre, à quelques attributions qu'on
l'ajoute, forme toujours et absolument une affirmation : par exemple, ceci
est non bon, ceci est non blanc; ou, d'une manière toute generale, « ceci
est non cela. Du reste cotte théorie sera reprise et confirmée plus loin.
Mais, quant aux conversions, ces propositions contingentes seront comme
les autres propositions. E ciò
basti per lo scopo propostomi, delle proposizioni, e passo a dire
dell'ele- mento del termine. Il Termine (8qo S ). Questo è
definito da Aristotele (ibidem), così: "Ogov óè xalib rig ov
diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re xaTiryoQoépevov xal %ò xaWoi
xait]yoQel-rcu f] nQoa'uèefiévov % òuuQovftévov %ov elvai mei elvai.
Ossia: Io chiamo termine quello in cui la proposizione si scioglie, cioè
l'attributo, e quello a cui si attribuisce, sia che si aggiunga sia che
si separi Tessere o il non essere (nella traduzione latina: « Terminum
vero appello in quem dissolvitur propositio, ut attributum et id cui
attribuitur, sive adiiciatur sive separetur verbum esse vel non esse „).
L'attributo e quello a cui si attribuisce sono ciocche comunemente
chiamiamo il predicato ed il soggetto. Ciocche è qui allegato
intorno al termine concerne il concetto e la definizione del medesimo. Ma
vi sono altre particolarità essenziali che si riferiscono ad esso. Se non
che, come queste si riferiscono più direttamente al Sillogismo, e si
inten- dono meglio dopo aver detto di questo, così io passo a dir prima
di questo. Il Sillogismo (avUoy^óg). - Prima di venire ad
Aristotele stesso, è bene ricordare un importante luogo di Boezio, il
qual luogo è tanto più importante, m quanto si riferisce alla natura non
solo del Sillogismo, ma anche degli Analitici, che sono la teoria del
Sillogismo stesso. Duo sunt, dice BOEZIO (si veda), in syllogismo, tamquam
in homine corpus et animus. « In corpore est materia et dispositio ac
ordo partium: in animo vis et vita et « actio. In superiorità Analyticis
(Primi Analitici) Aristoteles velut de syllogismi « praecipit corpore,
hoc est, de partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque priora
nominantur. In his autem
posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re- « conditis de anima
ipsa syllogismi, nempe de demonstratione, de vi et efficacia « rationis.
Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur, sed
hi « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo ac
facie, Aristoteli " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla
stupenda definizione che egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà
sempre una delle più belle, più precise e più espressive della vera
natura del medesimo. SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv
tivùv foeqóv fi wv ^ifiévcov ég àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè, il sillogismo
è un discorso nel quale, posto alcun che, segue necessariamente qualcosa
d'altro da quel che e posto, perciò solo che è posto. E la corrispondente
traduzione latina ha: Syllogismus autem est ORATIO, in qua quibusdam positis
aliud quiddam diversum ab us quæ posita sunt, necessario accidit eo quod hæc
sunt. A spiegar meglio il modo e la necessità della consecuzione, Aristotele
(nella predetta traduzione) soggiunge subito in continuazione: '< Dico
autem eo quod haec " sunt, propter haec evenire, ac propter haec
evenire intelligo, nullo esterno termino opus esse ut sit necessaria consecutio
Il caso della consecuzione necessaria senza bisogno di altro termine
esteriore è poi quello che costituisce il Sillogismo perfetto (léAeiog
ovXXoyiafióg), come Aristotele lo appella. Che il Sillogismo
imperfetto (cheftfc) si possa poi ridurre al perfetto coi mezzi da
Aristotele indicati, è cosa a tutti nota, che occorre appena di rilevare.
Invece è bene di rilevare intorno al concetto aristotelico del Sillogismo
alcune cose degnissime di attenzione. La prima è che il rapporto delle
proposizioni o de* -iudizii sillogistici ed il procedimento de' medesimi
son tali che costituiscono una necessaria connessità. Il che importa che
il Sillogismo non è un fatto accidentale, ma è tale che ha una necessaria
ragion di essere. La seconda è che la conclusione non è una ripetizione e
riproduzione delle due premesse, ma esprime altro da quel che è espresso
da esse: insomma, esprime un principio nuovo. Questa seconda cosa è tanto
più importante, in quanto in tempi posteriori ad Aristotele è stata messa [In
Abist. Stag., Organum, già mentovato, pag. Dic'egli subito all'inizio dei Primi
analitici. innanzi la opinione che nella conclusione non si contenga un
novello principio, ma soltanto la ripetizione del contenuto delle
premesse. Una terza cosa è che la parola conclusione è a prendere ed
intendere nel vero" significato di inclusione di uno de' termini
negli altri due : per forma che la conclusione esprime addirittura il
vero chiudersi de' termini l'un nell'altro. E giacche si è
accennato al concetto del Sillogismo, è hene di accennare anche al
concetto del Sofisma, il cui concetto è proprio l'opposto di quello del
Sillogismo. Infatti, il concetto di quest'ultimo, come si è visto, è
costituito da ciò, che le due premesse conducono ad una necessaria
conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó- <piafia), al contrario, è
costituito da ciò, che la conclusione è in contraddizione colle premesse,
che, cioè, queste non concludono rettamente, e però concludono fal-
samente. Ma del Sofisma si dirà più ampiamente in seguito. Ora è opportuno
di ritornare alla esposizione dei Termini, ad integrazione di ciocche di
questi è stato teste detto. I Termini di un Sillogismo son tre, e non
pos- sono essere più di tre (Sqol tQsìc;). I quali tre hanno un contenuto
od estensione diversa; e sono il termine maggiore (fist^ov àxqov), il
minore (è'Àanov) e il medio (%ò \ièaov). Aristotele li designa anche
puramente e semplicemente coi nomi di primo (tò TiQ&'cov), ultimo (tò
ia%a%ov) e medio (tò [aégov). Il numero di soli tre termini non
vien contradetto neppure dal caso del Poli- sillogismo, nel quale vi
possono essere più medii. Perchè i più medii son ciascuno sempre il medio
di un solo Sillogismo nei varii Sillogismi costituenti il Polisillo-
gismo stesso, cominciando dal cosidetto Prosillogismo e terminando
coll'Episillogismo. Indicata la denominazione e l'estensione de'
Termini, la maravigliosa e precisa mente aristotelica passa alla
definizione di essi, che è la seguente: Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò
fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò fièaov òv... KaÀà) óè fièaov fièv o
xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv to-ùto) èativ, 8 xal %f\ &éoei
yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te èv dAÀq> ov xal èv et àXXo èaiiv
(3). Cioè (in italiano): Chiamo (termine) maggiore quello in cui è
(contenuto) il medio; e (termine) minore quello che è accolto nel medio
Chiamo termine medio quello il quale è esso stesso in un altro, e
nel quale è alla sua volta un altro, che divien medio anche per posizione.
Chiamo poi estremi sì quello che è in altro, sì quello in cui è altro. E
la nota traduzione latina ha : " Maius extremum appello, in quo
medium est, minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et
ipsum est " in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit
medium. Estrema autem " appello et id quod est in alio, et id in quo
est aliud. L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa
comprendere come questa espressione aristotelica nella dizione greca è
perfettamente esatta. Infatti, nella prima Figura sillogistica (che è
quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo: B (l'uomo) è A (mortale); C
(Pietro) è B: dunque C è A. Aristotele, invece, nella dizione greca
dice: A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C. Opinione
già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne' tempi moderni.
Amst, Top., 8, 11. Ibid., paragr. 4. Sicch, dna,a, U medio -» nt .a
vera Ma questa popone medtana non e q»> ^come la
conclusione. ; Qfflntfismo Aristotele ne fa cadere Però, ooanto a -amerò *
che ne. Sillogismo non tatto il poso «olle promesse, e penano m p
u» Ae e dimostraai(m e ed ogni vi sono ohe A» proposizioni. E dopo
aver dette ^consta, e ogn Siilogismo di soli tre termini (nella
tradazmne '^^Zm^J^,: 8 iCplan.mestotiams y llo S ismnmoe„stareexdaabas propos
t,on » ^ p preponi ohe 4 »i sono indahhiamen e ^ ^ adsu . mini
sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S »v » 3ec nndnm priama t„r, at
i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^, Lia eipa.es pro^ositiones ^ *
-^J^TlC^ » : ffs :^^r^ti~ - *U-r + — - ? dimidia pars propositionum
„. _ . .,, q:ii ft „i Bm0 la Logica aristo- ::' "re S?- "
— seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole).
Termina esto triple*, medius, maiorque, minorque; Latius hos quam
praemissae concludo non vult; Nequaquam medium capiat concludo
oportet; Jtot semel, mot iterum medi™ generalità esto; Utraque si
praemissa neget, mail inde sequetur; Ambae affirmantes nequeunt generare
negantem; Nil sequitur geminis ex particulanbus unquam; Peiorem
sequitur semper conclusio partem. ki igiene di,neste rogo.e si a^
«ohe ^ le cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema,
V pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai:
perderò Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre
prepo- " an possim, rogas „ ? et lo spiega, nuu taPP
itit:::v:c: o u^^ lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per
le Scuole; e passo a dire delle Figure sillogistiche pur ricorrenti negl’analitici,
e intimamente connesse col sillogismo. Le Figure (%à affiliata)
sillogistiche. Secondo il LIZIO il sillogismo è di tal natura che si
distingue in tre figure sillogistiche, delle quali la prima {o%i\fia
jiqùxov) poggia sul sillogismo perfetto, la seconda e la terza (axVP®
devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul sillogismo imperfetto. E qui è necessario
di rilevare una cosa, che a primo aspetto pare di poco momento, ma che è invece
importantissima. Ed è che il LIZIO nella esposizione e dimostrazione
delle predette tre figure si serve come SIMBOLI delle lettere dell'alfabeto
greco, specialmente delle prime tre del medesimo α, β, γ. Il significato
dell'adoperamento di tali SIMBOLI FORMALI, specialmente per l'applicazione
di queste alle matematiche, sarà detto tra poco. Tornando alle figure,
è bene avvertire che il LIZIO per esse si vale in complesso degli stessi esempi
allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di questi
rappresentare uno de’tre termini sillogistici. Così, per darne una idea, nella
prima figura (ove adopera i SIMBOLI FORMALI alfabetici α, β, γ) si vale
de’termini: piacere, bene, animale; animale, uomo, cavallo; scienza, linea, medicina;
bene, abito, sapienza; bene, abito, ignoranza; bianco, cigno, neve. Nella
seconda figura (ove adopera i TRE SIMBOLI FORMALI alfabetici <5, e, £, ecc.)
si vale di questi esempi: animale, cavallo, uomo; animale, inanimato, uomo;
animale, scienza, animale selvaggio; corvo, neve, bianco. Nella terza
Figura (ove adopera i TRE SIMBOLI FORMALI n, q, o) si vale di bel
nuovo degli stessi esempi, che ricorrono nella prima e nella
seconda. E, per essere quanto è possibile esatti, soggiungo che nelle
stesse due figure seconda e terza, oltre agli indicati SIMBOLI FORMALI alfabetici,
si vale anche dei PRIMI TRE: α, β, γ. La conclusione cui giunge il LIZIO nelle
indicate operazioni è che tutti i sillogismi imperfetti diventan perfetti
mediante la prima figura (nel famoso testo latino: PERPICVVM EST OMNES
IMPERFECTOS SYLLOGISMOS PERFICI PER PRIMAM FIGVRAM. La maravigliosa analisi del
LIZIO intorno al sillogismo non si arresta a ciò, ma si estende alla
considerazione e determinazione di altre forme del medesimo, quali sono
il sillogismo per ANALOGIA (cf. Grice, ESCHATOLOGY), il Sillogismo per riduzione
all'impossibile, quello per Induzione, per ipotesi, per verisimiglianza,
ecc. Ma noi non possiamo entrare anche nella considerazione di queste
forme speciali sillogistiche, e passiamo a considerare la seconda delle tre
predette cose. Questa seconda è quella concernente la diretta relazione
delle scienze matematiche colla prima figura, o, che vale lo stesso, col sillogismo
perfetto: il qual punto è dal LIZIO trattato nell’analitici posteriori. Prima
di riferire da questi ciocche concerne le matematiche, rilevo che il LIZIO
anche per queste, come ha fatto per le altre discipline, si vale di esempi
per chiarire e determinare la cosa. Se non che gl’esempi che egli arreca
per esse sono sopratutto di natura matematica. Infatti allega i
seguenti esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K triangulo,
dic'egli nella famosa traduzione latina, INEST LINEA ET LINEÆ PVNCTVM; ed
anche: Triangulo, qua est triangumm, insunt duo recti, quia per se
triangulum est aequale duobus recti s, etc. Ed è, inoltre, oltremodo
importante per la determinazione della natura delle scienze matematiche,
che per lui le scienze matematiche versano intorno alle FORME LOGICHE,
perchè le cose matematiche non sono in alcun soggetto -- etenim scientiæ
mathematicæ circa FORMAS LOGICAS versantur, quia res mathematicæ non sunt
in nullo subiecto. Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta
relazione delle scienze matematiche col sillogismo e colle figure sillogistiche,
dice: Delle figure la prima è attissima a produrre la scienza; imperocché
le scienze matematiche effettuano le dimostrazioni mediante tal figura
tautologica e analitica a priori, come l’aritmetica, la geometria e l'ottica EX
FIGVRIS AVTEM PRIMA EST AD SCIENTIAM GIGNENDAM APTISSIMA NAM MATHEMATICÆ
SCIENTIÆ PER HANC FIGVRAM DEMONSTRATIONES AFFERVNT VT ARITHMETICA ET GEOMETRIA
ET OPTICE. Passo alla terza ed ultima delle tre cose predette, a quella, cioè,
concernente la formazione della conoscenza. La qual formazione è dal
grande filosofo (nell’Analitici Posteriori) espressa come segue. Dal senso si
genera la memoria. Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta riproduzione
della stessa cosa, si genera l'esperienza; giacche molte memorie
costituiscono una sola esperienza. Se non che, dalla esperienza si genera
il principio dell'arte e della scienza; dell'arte, se spetta alle cose
della generazione; della scienza, se spetta a ciocche «è,; EX SENSV
IGITVR FIT EX MEMORIA VERO SÆPE EIVSDEM REI FACTA FIT EXPERIENTIA MVLTÆ ENIM
MEMORIÆ NVMERO SVNT UNA EXPERIENTIA AT VERO EXPERIENTIA FIT PRINCIPIVM ARTIS ET
SCIENTIÆ, ARTIS SI PERTINEAT AD GENERATIONEM SCIENTIÆ SI PERTINEAT AD ID QUOD
EST. La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda designazione poco
appresso è denominato <5ófa, mentre la considerazione della scienza è
appellata Àoyiafióg. Ed ora è tempo che veniamo a determinare quale
è in Aristotele il significato dell'adoperamento dei SIMBOLI FORMALI alfabetici
α, β, γ, come espressione del sillogismo e delle figure sillogistiche.
Ebbene, tal significato, brevemente indicato nella sua genericità, è
che le proposizioni del sillogismo (LE PREMESSE E L’ILLAZIONE) in tutte le
figure sillogistiche di questo vengono INTESE ED ADOPERATE IN FORMA UNIVERSALE,
ossia in forma estensibile ed applicabile a tutti gl’elementi della realtà. Ora,
questi elementi sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità di
entrambi, ossia il modale (il modo, la misura). Che questo triplice
elemento sia costitutivo [E subbie tto ...vai. qui obbietta, cioè, singola
e determinata, cosa della realtà. La generazione concerne il sorgere e
perirò delle cose. Id quod est, nel corrispondente greco rò.Sv, e ciocche
nell'Hegelianismo, e propriamente nella Logica hegeliana, è stato
designato come das Sein an und fiir sich. Anche questa denominazione di
Àoyurpós è degna della più grande considerazione, perche il LIZIO ha già
con essa additato e determinato l'elemento logico come elemento scientifico
per eccellenza, lasciando all'arte il carattere di elemento soltanto
opinativo della Realtà, emerge indirettamente dalla stessa tavola aristotelica
de'giudizii, cioè de' giudizii quantitativi, qualitativi e modali, come
più chiaramente si sono appellati nelle posteriori Logiche del LIZIO delle
Scuole. Qui basti l'avere accennato di ciò; le importanti applicazioni che
ne derivano rispetto alla scienza matematica e alla voluta corrispondente
LOGICA MATEMATICA le faremo, quando giungeremo alla esposizione e
giudicazione di quest'ultima; e ritorniamo per ora all'argomento delle figure
sillogistiche, per prendere in considerazione, da una parte, i modi,
dall'altra, il numero di esse. Quanto ai modi, è di bel nuovo il caso di
dire che essi sono comunemente allegati e discussi in tutte le logiche del
LIZIO delle Scuole. Fra i tanti uomini autorevoli che potrei citare a tal
riguardo, rimando il lettore alla citata Logica e Storia della dottrina
logica d’Ueberweg, che ne tratta ampiamente. Ma, per un breve ricordo di questo
punto della sillogistica, mi varrò invece del nostro insigne GALLUPPI (si
veda), il quale, nelle Lezioni di Logica e Metafisica, Milano, espone tal
dottrina con la solita sua lucidezza e precisione. Della sua esposizione e
discussione di questa materia, io riferirò brevemente l’essenziale. Il
modo del sillogismom dice egli, consiste nella disposizione delle
tre proposizioni secondo le loro quattro differenze A, E, I, O. Ora,
secondo la dottrina delle combinazioni, quattro termini quali sono A, E, I,
O, venendo presi tre a tre, non possono diversamente disporsi in più di 64
maniere. Ma di queste 64 maniere, *54* sono escluse dalle regole generali
sillogistiche, che sono state innanzi allegate. Restano perciò soli dieci
modi concludenti. Ma ciò non vuol dire che solo dieci sieno le specie de’sillogismi,
perchè un solo di questi modi può formare diverse specie, secondo la varia
disposizione de' tre termini innanzi detta. E qui il nostro GALLUPPI
(si veda) dispone addirittura i tre termini secondo le
possibili combinazioni, e ne risulta una tavola di 64 modi, emergenti
dalle quattro figure sillogistiche, delle quali egli indica anche
brevemente le diverse regole. A questo breve cenno aggiungo però
volentieri due cose: l'una, alcuni versi memoriali dei modi delle quattro
figure: l'altra, un esempio di sillogismi secondo i predetti modi. I
versi memoriali, fra i tanti, li allega Ueberweg, come segue: BARBARA
CELARENT PRIMÆ DARII FERIOQVE CESARE CAMESTRES PESTINO BAROCO SECVNDAE TERTIA
GRANDE SONANS RECITAT DARAPI FELAPTON DISAMIS DATISI BOCARDO FERISON QVARTÆ
SVNT BAMALIP CALERAES DIMATIS FESAPO FRESISON. Dinanzi a queste parole
stranissime e non additanti per se stesse alcun senso, il buon GALLUPPI
(si veda) fa la seguente sensata osservazione. Queste formole, dic'egli, di cui
la prima comincia infelicemente con BARBARA, sembreranno in effetto oggi
molto BARBARE. Esse hanno ricevuto più ingiurie in un secolo, che onore in
mille anni. Esse hanno terminato col cadere in un intiero obblio. Coloro
che oggi le volgono in ridicolo non si hanno sempre dato la pena di
meditarle. Il filosofo che riflette con attenzione sulle regole dell'antica logica
è sorpreso nel vedere sino dove gl’autori avevano portato L’ANALISI DEL
RAGIONAMENTO [cf. Grice on Barbara, ASPECTS OF REASON, BARBARA CELARENT –
Murphy]. Colla più severa imparzialità alcuno non può impedirsi di
convenire che ciascuna di queste regole è di una rigorosa esattezza, e che
il loro insieme è sì completo che una sola delle forme possibili del
ragionamento non è loro sfuggita. Il Lizio, senza dubbio u non ha sovente
il soccorso dell'esperienza. È questa la disgrazia del secolo, nel quale
egli nacque. Ma egli è stato forse il pensatore più profondo, il genio più
eminentemente didattico che si sia mostrato sull'orizzonte della filosofia. Io
dubito che siensi innalzate dopo teoriche sì belle come quelle di cui egli
ci ha lasciato il modello. Quanto alla profondità e genialità del LIZIO, GALLUPPI
(si veda) ha perfettamente ragione, e queste due doti spiccano di tale
luce e verità proprio nella sillogistica del LIZIO e ne’modi della
medesima, che i posteri non hanno avuto ad aggiungervi nulla, o nulla
d'importante. Solo che, contrariamente a GALLUPPI (si veda), che accoglie
il pensi'ere, da non pochi seguito, delle quattro figure, il grande
Stagirita non ne ammette che tre con tre soli corrispondenti modi. Ma del
numero delle figure e de' modi fra poco. Un esempio, intanto, del ragionare
e concludere secondo le quattro figure, è per GALLUPPI (si veda) il
seguente. La tavola aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz, Arisi.
Organon (rilevando le espressioni tecniche di nata navtòg, m óevòg ecc., sia
colle corrispondenti De omm et de nullo ecc., sia colle note quattro
iniziali A, E, I, O), è la seguente: I. a', tò A xatà jiavTÒg tov B,
tò B %mà navTÒg tov P, tò A narà navtòg tov P. IL tì'. TÒ A xatà
fAfi&svòg zov B, tò A xatà navzòg zov P, rò B xazà
fiydevòg zov P. y'. tò A xatà /^ijóevòg zov B, zò A xazà Tivòg
tov P, zò B xatà Tivòg tov P ov. III. tò A xazà navzòg tov
P, tò B xazà navzòg zov V, zò A xazà zivòg zov B,
y' . zò A xazà zivòg zov P, zò B xazà navzòg tov P, zò A xazà
Tivòg zov B. e', zò A xazà zivòg tov P ov, tò B xazà navTÒg
zov P, tò A nata zivòg tov B oli §. tò A nata ^ijóevòg zov B,
tò B xarà navTÒg tov P, tò A xazà /^tjdevòg tov P. /5'.
rò A xazà navzòg tov B, tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov P, tò B naia
fA,t]devòg zov P. 5'. tò A xazà navzòg tov B, zò A xazà zivòg zov P
off, tò B xazà zivòg zov P oi!. zò A xazà [A,t]Sevòg tov P, tò
B xazà navzòg tov P, tò A xarà zivòg tov B ov. ò". tò A nata
navTÒg zov P, zò B xazà zivòg tov P, tò A xazà Tivòg tov
B. zò A xarà fifiòsvòg zov T, tò B xazà zivòg tov P,
tò A xatà tivòg tov B oil. Figura (avente il medio come sogg.
del magg. e predio, del minore). Ogni sostanza pensante è semplice,
L'anima umana è sostanza pensante, L'anima umana è dunque
semplice. II Figura (avente il medio come predicato de’due estremi). Niun
corpo è una sostanza pensante, L'anima umana è una sostanza
pensante, L'anima umana dunque non è corpo. Ili Figura (avente
il medio come soggetto de' due estremi), Ogni sostanza pensante è
semplice, Ogni sostanza pensante è indistruttibile, Dunque qualche
sostanza indistruttibile è semplice. IV FIGURA (avente il medio
come predio, del maggiore e sogg. del minore). QUALCHE ESSERE SEMPLICE È
SOSTANZA PENSANTE; OGNI SOSTANZA PENSANTE È ATTIVA; DUNQUE, ALCUNE SOSTANZE
ATTIVE SONO ESSERE SEMPLICI. Il numero delle figure e de'modi. Il lettore ha
visto a pie' di pagina le tre figure e i tre corrispondenti Modi
aristotelici allegati dal Waitz. Del Waitz riferisco volentieri una
osservazione concernente la seconda e la terza Figura, nelle quali ei dice:
ultimum modum secundae et quintum tertiæ figurae non demonstrari
nisi deductione facta ad absurdum. GALLUPPI (si veda) opina doversi
ammetter come valida anche la QUARTA figura e i corrispondenti modi. Ma,
francamente detto, il sillogismo ch'egli ne arreca ad esempio, da una
parte, cammina stentatamente. DALL’ALTRA, È DI DIFFICILE COMPRENSIONE. In
generale, puo dirsi che la mente umana, nel suo naturale procedimento logico, non
ragiona in quel modo. E un ragionamento logico che contraria la natura nè
può considerarsi come il migliore nè deve ammettersi come buon procedimento
logico. A conferma di tale osservazione rilevo che, in generale, i grandi
filosofi si son tenuti alla del LIZIO triplità di figure e di modi. Notoriamente,
è stato il famoso medico Galeno di Pergamo quello che ha così legato il
suo nome alla dottrina del sillogismo, che apparisce in quasi tutti i
compendii della Logica, anche ne' più triviali. Galeno, cioè, secondo
l'espressione comune, ha accresciuto il numero delle tre figure aristoteliche
del Sillogismo categorico coll'aggiunzione di una quarta, nella quale il
concetto (o termine) medio è predicato della maggiore e soggetto della
minore. Soggiunge che la notizia di tale innovazione non si trova in
tutta la letteratura greco-romana, Zellek, Grundriss d. Gesch. d. Griechischen
Phiìosophie, nell’ediz. del Loktzing. Così Prantl, Gesch. der Logìlc,
età, e che proviene da fonte arabica, e propriamente da Averroe. Il quale
Averroe, per Giunta ne fa menzione proprio nella confutazione che fa
della quarta figura. Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto
ai modi quanto rispetto alle figure sono le seguenti. Quanto ai modi,
il LIZIO, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e corrispondentemente alle
possibili combinazioni delle loro proposizioni secondo le indicate lettere A E
I O, ha trovato che i modi valevoli, perchè non contrarli alle otto regole
sillogistiche, sono 4 per la prima figura, 4 per la seconda e 6 per la
terza, in tutto dunque quattordici. GALLUPPI (si veda), che, con
Galeno, ammette la quarta figura, anch'egli esamina le combinazioni e modi
che son possibili e valevoli in questa; e trova che, accanto ai molti modi
contrarli alle otto regole sillogistiche, ve ne sono però 5 validi. SICCHÉ IL
NOSTRO FILOSOFO NAPOLETANO, INVECE DI 14, AMMETTE 19 MODI VALIDI! Quanto poi
alle figure, va considerato un ultimo punto importante, cioè, quello della
riduzione della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi imperfetti, alla l a
che sola li dà perfetti. Ora, tal riduzione, secondo il LIZIO,
avviene per mezzo di conversione: Azi yaq ytyvstai òià %fjs dvvunqof^g
ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr. Inoltre, la conversione può
avvenire in due modi, cioè, o estensivamente, ovvero per riduzione
all'assurdo òemtix&$ % tov àòvvàiov). E da ultimo, secondo lui, tutti
i sillogismi, quando sono rettamente convertiti, si riducono a sillogismi
universali della prima figura {tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg àva%Sf\aov%ai eig
rovs et %<$ nqcbto? oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg). Di quest'ultimo
punto, a maggior intelligenza e a complemento della cosa, allego la solita
traduzione latina non soltanto de’passi corrispondenti a quelli da me allegati
in greco, ma anche della rimanente parte, che è dimostrativa e illustrativa
dei medesimi La traduzione suona così. Semper enim fit syllogismus per
conversionem, præterea manifestimi est pronuntiatum indefinitum pro
attributivo particulari acceptum efficere eundem syllogismum in omnibus
figurili, item PERSPICVVM est omnes imperfectos syllogismos perfici per
primam figuram aut enim demonstratione aut per impossibile perficiuntur
omnes utroque autem modo fit prima figura, ac demonstratione quidem si
perficiantur, fit prima figura, quia sic omnes perficiebantur per conversionem:
conversio autem efficiebat primam figuram si vero per impossibile
confirmentur, adhoc fit prima figura, quia posito quod falsum est, syllogismus
conficitur in prima figura, ut in postrema figura si tò a ac tò p omni y,
probatur tò a inesse alicui p. nam si tò a insit nulli 0 ac tò § omni y, tò
a inerit nulli y. sed antea positura erat omni inesse, similiter fit etiam
in alns. licet etiam reducere omnes syllogismos ad syllogismos universales
primæ fìguræ. nam qui fiunt in secunda figura, sine dubio per illos
perficiuntur, non tamen omnes eodem modo, sed universales converso
pronuntiato privativo, particularmm autem uterque per deductionem ad
impossibile, particulares autem primæ fìgurae perfìciuntur quidem per se ipsos,
sed licet etiam secunda figura eos confirmare ducendo ad impossibile, ut
si tò a inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a inerit alieni y. nam si
nulli insit, omni autem fi insit, certe nulli y tò § inerit: hoc enim scimus
per « secundam figuram. similiter enim in privativo syllogismo erit
demonstratm. nam si zò a nulli | ac %b 0 alicui y inest, tò a alicui y
non inerit. etenim si omni insit ac nulli § insit, zò § nulli y inerit:
hoc enim erat media figura, itaque cum " omnes sillogismi mediae
figurae reducantur ad syllogismos universales primæ figuræ, particulares autem
primæ ad syllogismos secundæ, PERSPICVVM est etiam syllogismos
particulares primæ figuræ reduci ad syllogismos universales primæ figuræ qui
vero fiunt in tertia figura, terminis quidem universaliter acceptis
statim per eos syllogismos perficiuntur, terminis autem in parte sumptis
perficiuntur per syllogismos particulares primæ figuræ hi vero ad illos
reducti sunt: quapropter ad eosdem reducentur etiam syllogismi
particulares tertiæ figuræ. perspicuum igitur est omnes reduci ad
syllogismos universales primæ figuræ. E ora, ritenendo di aver detto a
sufficienza della sillogistica del LIZIO, passo a dire del saggio
dell'Organo, cioè di quello de' Topici. I Topici {Tonino). Di questo
saggio del grande stagirita BOEZIO (si veda) dà la seguente notevole
informazione e giudicazione. TOPICA HOC EST LOCI VNDE DVCVNTVR ARGVMENTA. OPVS
EST OCTO VOLVMINIBVS DISTINCTVM VARIVM SANE HOC EST MVLTÆ ERVDITIONIS ET
OBSERVATIONIS RERVM DIVERSARVM SED VT ILLA OMNIA PRIMVS IPSE PARIEBAT NON
POTVIT TAM MVLTA SIMVL EDERE SIMVL EXPOLIRE ITAQVE RELIETA EST VELVT INGENS
QVÆDAM MATERIA ET DIVES AD EXTRVENDVM PVLCHERRIMVM ÆDIFICIVM. Questo giudizio
di BOEZIO (si veda), primamente, è vero, come il lettore stesso se
ne convincerà dal cenno che noi faremo de' Topici; secondamente, ha grande
importanza anche per l'influenza da BOEZIO (si veda) esercitata
nell'insegnamento logico delle scuole. Accanto al giudizio di BOEZIO (si veda)
debbo riferirne un altro veramente acuto e profondo di Prantl, Gesch. d. Logik
im Abendlande, Leipzig, sulla grandezza speculativa della mente del Lizio.
Prantl dice che la superiorità (Ueberlegenheit) della mente di lui ècapace
di esaminare secondo il concetto {begrifflich) e di costruire teoricamente
secondo concetti adeguati anche campi (Gebiete) ed aspirazioni che sono al di
sotto della speculazione propriamente detta, come sono il campo e la
materia de'topici. Rispetto a' Topici riferisco volentieri anche una
circostanza rilevata da Zeller, che cioè, un saggio de’topici rimastoci
non provenga dal LIZIO, come dimostra Pplug, de Ar. Topicorum libro. Ma,
ciò nonostante, noi ne accenneremo egualmente. Subito nel primo
paragrafo, il LIZIO indica lo scopo de’topici in genere, il quale scopo è
quello di trovare il metodo di argomentare di ogni problema proposto
dajrobabili je£ èvóófrv, e disputarne in guisa da non dir nulla di
ripugnante. Nella traduzione latina il predetto scopo è indicato così.
PROPOSITVM HVIVS TRACTATIONIS EST INVENIRE METHODVM PER QVAM POSSIMVS
ARGVMENTARI [Tale influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano,
tra gli altri, Ueberweg-Heinze nel Grundriss d. Gesch. d. Philosoph. das
Alterthum, Beri. Nel Grundriss d. Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della
citata ediz. del Loetzino] DE OMNI PROPOSITO PROBLEMATE EX PROBABILIBVS ET IPSI
DISPVTATIONEM SVSTINENTES NIHIL DICAMVS REPVGNANS. E soggiunge doversi innanzi
tutto dire che cosa è il sillogismo estendendosi intorno a questo ed indicarne
le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire del sillogismo, della sua
natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo scopo della trattazione de topici
è quello di trovare il metodo di argomentare, foss'anche da' probabili,
l'argomentare è un sillogizzare, e quindi bisogna conoscere come si sillogizza,
ecc. Ed in generale il lettore vede che in questi topici si tratta di una
grande quantità di cose di cui si è già trattato nelle CATEGORIE, nell'ERMENEIA
e negl’analitici tanto primi quanto secondi. Intanto il LIZIO, sempre
preciso, dice subito ivi stesso che cosa debba intendersi per probabile. E lo
determina dicendo nella traduzione latina. PROBABILE AVTEM SVNT EA QVÆ VIDENTVR
OMNIBVS VEL PLERISQVE VEL SAPIENTIBVS ATQVE HIS VEL OMNIBVS VEL PLERISQVE VEL
MAXIME NOTIS ET CLARIS. Investiga e determina a quante e quali cose sia
ntite questa trattazione de’topici. E statuisce che ella sia utilis ad
tna, ad exercitationem, ad congressi, ad philosophicas scientias. quod igitur
ad exemtationem sit utilis, ex his perspicuum est, quoniam hanc methodum
habentes facile de omni re proposita poterimus argumentari, ad congressi
autem, quia multorum opmiombus enumerata, non ex alienis sed ex propriis
singulorum sententns poterimus cum eis aere refellentes quod non recte
dicere nobis videtur. ad philosophicas autem scientias, quia cum
poterimus in utramque partem dubitare, facile in smgulis perspiciemus veruni et
falsum. Il predetto metodo, soggiunge egli, è perfettamente posseduto, quando
lo si adoprerà nella retorica e nella medicina, come fanno l'oratore e il
medico. Ho rilevata volentieri questa circostanza della retorica e dell
oratore, perche tutti sanno come questa materia trattata ne’topici è
passata realmente, se non m tutto certo in buona parte nella retorica:
Retorica, che specialmente noi gl’italiani studiamo, con qualche profitto sì,
ma anche con non poca pedanteria d'insegnanti e d'insegnamento. Sono stato
piuttosto diffuso nella indicazione di queste generalità di questo saggio
de’Topici per dare una idea della trattazione e del modo di trattazione de'
medesimi. Ma ora procedo più speditamente e più brevemente, fermandomi però
alquanto di più ne' punti di maggiore importanza. Continua ad
occuparsi di sillogismi e di proposizioni, ma con riguardo ai principii
comuni ad entrambi, come sono il genere, il proprio, l'accidente,
Indifferenza, la definizione, ecc.; e nei seguenti determina e illustra
siffatti principii. Pone il quesito: 11 Quot modis idem dicatur; e lo
risolve dicendo: [Quanto alla materia de'problemi proposti, anch'essa,
secondo l'uso delle scuole, è espressa nel seguente verso
memoriale: Quis? quid? ubi? quibus auxilds? cur? quomodo?
quando? Videri autem possit idem, ut typo expìicem, tripertito distributum
esse, aut enim numero aut specie aut genere idem soliti sumus appellare,
etc. Più avanti si propone di definire i generi delle CATEGORIE, e di
indicarne il numero, che è di dieci; e il relativo luogo è stato già
riferito. Nei paragr. susseguenti determina la natura della proposizione
dialettica, del sillogismo dialettico, della tesi (determinata come
sententia alieuius nobihs philosophi, ut dicebat Antisthenes. Si propone
di " esplicare quot sint rationum dialectitram species; e in seguito si
occupa ancora de 3 generi delle proposizioni, per quindi occuparsi della
somiglianza, e propriamente della SIMILITVDO CONSIDERANDA IN IIS QVÆ SVNT IN
DIVERSIS GENERICA. E con ciò si chiude la considerazione del saggio.
Il lettore che consideri bene la trattazione del LIZIO deve convenire
nell'acutezza e giustezza del giudizio di BOEZIO (si veda) intorno ai
Topici. Nel primo paragrafo del saggio, Aristotele torna ad occuparsi de’problemi,
in quanto ALIA [SCILIC. PROBLEMATA] SVNT VNIVERSALIA, ALIA PARTICVLARIA; e
si fa a considerarli ne’diversi rispetti della generalità e della
particolarità [cf. GRICE PARTICULARISED GENERALISED]. Nei paragrafi
immediatamente susseguenti torna a considerare i varii modi secondo cui
alcunché si dice, sia quantitativamente sia qualitativamente. Passa a
considerare un punto importantissimo, e propriamente quello concernente
l’opposizione e il principio di contraddizione: il qual punto è da lui
considerato ne più minuti casi ed aspetti, con relative distinzioni,
suddistinzioni ecc.; e noi ne riferiremo con qualche ampiezza.
Quoniam autem CONTRARIA (dic'egli, nella traduz. latina) sex modis inter
se coniunguntur, contrarietatem autem efficiunt quattuor modis coniuncta,
oportet accipere contraria prout expedit evertenti et adstruenti. sex
igitur modis ea coniungi manifestum est aut enim utrumque utrique
contrariorum iungitur, atque hoc bifariam, ut de amicis bene mereri et de
inimicis male, vel contra de amicis male et de inimicis bene, autem ambo
de uno, et hoc quoque bifariam, ut de amicis bene mereri et de amicis
male, vel de inimicis bene mereri et de inimicis male aut autem de ambobus et
hoc quoque bifariam, ut de amicis bene et de inimicis bene, vel de amicis
male et de inimicis male, primæ igitur duæ coniunctiones quas dixi, non
faciunt contrarietatem: de amicis enim bene mereri et de inimicis male NON
SVNT CONTRARIA, cum ambo sint optabilia et eorundem morum effectus (badi
il lettore alla circostanza e corrispondente espressione del morum effectus,
che nel testo greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov ij9ov S ). neque
item contraria sunt de amicis male et de inimicis bene mereri. nani et
haec sunt ambo fugienda et eorundem morum effectus. E il LIZIO nelle dette
distinzioni e suddistinzioni non si arresta neppur qui, ma procede ad
altre, che noi omettiamo di riferire. N Se non che, continuando a parlare
de’contrari!, passa a considerarli da quel rispetto, che è stato appellato
il principio di contraddizione, sostenendo: fieri nequit ut contraria
simul eidem subiecto insint (cioè, nel corrispondente testo
greco: àòvvaiov yàq tàvavxia djia t$ ai>%$ òndgxeiv). E
trattandosi di un principio tanto importante, che, per giunta ha avuto
posteriormente una rigida e non sempre bene intesa applicazione, voglio
allegarlo anche nella forma più compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3;
cioè: xò yàg afixò djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì
uaì xaxà xò avx ó (nella traduzione latina: IDEM ENIM SIMVL INESSE ET NON
INESSE EIDEM ET SECVNDVM IDEM IMPOSSIBILE EST. E soggiunge poco appresso che
questo è il più certo di tutti i principii: avxr\ ài] naa&v èaxl
^E§aioxdxmj xcov àq%(àv (HOC AVTEM EST OMNIVM PRINCIPIORVM CERTISSIMVM. Noti
però il lettore che, per non fraintendere il principio del LIZIO di
contraddizione, si deve aver presente ciocche il Lizio ha detto teste, che,
cioè gl’OPPOSTI non sono CONTRADDITTORII, epperò non escludentisi (poniamo,
come amici e nemici) quando siffatti opposti sono morum effectus, ossia
effetto della natura di essi. L'uomo, per chiarire ancor meglio
l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere amico ed anche l'essere
nemico, come per sua natura può esser buono e può essere anche cattivo.
Non è l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo. Ma l'uomo è però pur
sempre il medesimo soggetto, che ora è amico ora nemico, ora buono ora cattivo:
ed inoltre, è amico e buono ne’tali e tali uomini, ed è nemico e cattivo ne’tali
e tali altri uomini. E basti di questo importantissimo punto. Ne'
paragrafi immediatamente susseguenti si continua a parlare
dell'opposizione, si accenna anche alle simiglianze, e non ricorre altro
di rilevante. Passo a dire del saggio. Il Lizio apre questo saggio col
quesito di ciocche sia migliore e più desiderabile, e, per giunta, di
esaminare e a tal riguardo sermonem instituere non de iis quae longe inter
se distant et magnam differentiam habent sed de iis quæ vicina sunt. E risolve
la quistione dicendo che quod est diuturnius et constantius, magis est
eligendum quam quod est minus tale. E nella elezione è certo anche di peso quod
eligat vir prudens, aut lex recta aut ii qui in uno quoque genere scientes sunt.
Ne’eguenti paragrafi continua in grosso l'esame e soluzione
dell'istesso quesito, per poi venire a prendere in considerazione i
luoghi utili a conoscere ciocche debba eleggersi e ciocche fuggirsi. E
statuisce. Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est quam maxime
universales sic enim sumpti ad plura problemata utiles erunt. E questa è
la sostanza della ricerca e soluzione del quesito proposto in questo saggio.
Passo al saggio. E qui posso essere ancora più breve di quel che sono
stato nell'antecedente saggio. Giacche in questo si torna a discorrere de iis
quae ad genus et proprium pertinent colla considerazione di differenze,
specie, distinzioni e suddistinzioni di casi, di esempii, di applicazioni
(anche al principio di contraddizione), che servono ad illustrare e
confermare il proposto quesito. E si giunge così al saggio che, come è detto
innanzi, non proverrebbe dal Lizio. Ma in questo stesso saggio non vi sono
altri argomenti veramente nuovi, ma si torna a trattare di quelli
antecedentemente trattati. Infatti questo saggio comincia così. Utrum
autem proprium sit necne id quod est propositum, ex his locis quos
deinceps exponemus considerandum est. E prosegue dicendo: Proponitur autem
proprium vel per se et semper, vel per comparationem cum altero et interdum. E
passa ad investigare e determinare, quando il proprio è per sè, quando per
comparazione, ecc. Continua ancor sempre il discorso intorno al
proprio ne’suoi più diversi aspetti e rapporti: ne’quali aspetti e rapporti non
manca la considerazione de’principii contrarii, e de' principii contrarli
relativamente al proprio, per scorgere an contrarium sit contrarii proprium
etc. In grosso è lo stesso nel paragrafo in cui ex casibus refellitur, si
ille casus non est illius casus proprium etc. Finalmente, refellitur,
si quis potestate proprium tradidit, etiam ad id quod non est rettulit illud
potestate proprium, cum potestas rei quæ non est, inesse nequeat etc. Rispetto
alla predetta opinione di Pflug accennata da Zeller, dico rispetto a tale
opinione, non contro ad essa, mi permetto di fare una personale
osservazione. Ed è che, leggendo e considerando attentamente questo saggio,
la materia, il modo di pensarla, ordinarla, distinguerla e
suddistinguerla ne’suoi varii rispetti e rapporti, si mostra, da una
parte, interamente simile a quella degli antecedenti saggi topici, dall'altra,
interamente conforme alla mente del LIZIO. Ed ora vengo al saggio.
Questo si inizia coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto con
esse; ma queste stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con
riferimento al proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un
argomento che ha della importanza, e che si addentra nella natura delle
definizioni e nelle diverse parti costitutive d’esse, allego un lungo
luogo in cui ciò è effettuato. Della trattazione dunque quæ ad
definitiones pertinet quinque sunt partes vel enim definitio reprehenditur,
quia omnino non vere dicitur, de quo nomen, etiam oratio, quandoquidem
oportet hominis definitionem de omni homine vere dicitur. vel quia cum sit
aliquod genus, non collocavit rem definitam in genere aut non collocavit
in proprio geuere, quoniam debet is qui definit, cum in genere definitum
collocaverit, differentias adiungere, si quidem eorum quae in definitione
" ponuntur, maxime genus videtur rei definitæ essentiam declarare ; vel
quia oratio non est propria (nam oportet definitionem propriam esse,
quemadmodum et supra u fuit); vel quia, cum omnia quae dixi perfecerit,
tamen non definivit, nec dixit " quidditatern rei definitæ reliquum
est præterea definitionis vitium, si definivit quidem, non tamen recte
definivit. an igitur de quo nomen dicitur, non etiam oratio vere dicatur,
ex locis ad accidens pertiuentibus considerandum est. nam ibi quoque omnis
consideratio in eo consistit ut intelligatur utrum sit verum an non verum.
cum enim disserendo ostendimus accidens inesse, dicimus esse verum. cum
" autem ostendimus non inesse, dicimus non esse verum. an autem non in
proprio " genere posuerit, vel non propria sit oratio tradita, ex
dictis locis, qui ad genus " et ad proprium pertinent considerandum
est. reliquum est ut dicamus quomodo disquiri debeat an non sit
definitum, vel an non recte sit definitum, etc. Nel susseguente paragr.vien la
considerazione dell'omonimo, del simmetrico, con le corrispondenti definizioni.
Qui stesso LIZIO si fa a considerar la definizione in rapporto al
sillogismo, e se in tal rapporto essa sia fatta chiaramente od oscuramente
ecc. Continua sempre l'argomento delle definizioni. Si considera la
definizione del corpo, determinandolo (come si è poi sempre ripetuto e si
ripete tuttora, meno il caso presentemente considerato da Zollner ed
altri, della cosi detta 4 a dimensione) siccome ID QVOD HABET TRES DIMENSIONES.
Il LIZIO fissa l'attenzione alle differenze, in quanto in esse
considerandum est an generis differentias dixerit. Se tali differenze non
sono state indicate e precisate, non vi sarebbe stata vera
definizione. Nei susseguenti paragrafi continua sempre lo stesso argomento
delle definizioni, con esemplificazioni intorno all'abito, alla simigliala,
e si termina con la considerazione della composizione delle cose, della
quale, per avere una giusta definizione, bisogna indicare tutti gl’elementi
che la costituiscono. E così si passa all’altro saggio. Gli argomenti di
questo saggio sono anch'essi suppergiù i medesimi di quelli trattati negli
antecedenti saggi con speciale riguardo all'Oratoria, la
quale naturalmente vien congiunta coi modi e forme di sillogizzare,
obbiettare, ecc., col consueto riguardo ai generi, specie, differenze,
opposizioni, casi tali o tali altri. Ecco, infatti, come al principio del saggio
è enunciata la materia da considerare in essa. Utrum autem id de quo
agitur sit idem an diversum, secundum eum modum qui inter modos supra de
eodem expositos est maxime proprius, nunc dicendum est. dicebatur autem
maxime proprie idem esse quod est numero unum, considerare autem oportet
atque argumenta sumere ex casibus et coniugatis et oppositis nam si
iustitia est idem quod fortitudo, etiam IVSTVS est idem quod FORTIS et iuste
idem quod fortiter similis ratio est oppositorum etc. Qui stesso vien la
volta di prendere in considerazione anche il sorgere e perire ortus et
interitus delle cose. Poco appresso ricorre un riferimento anche alle
cose che accadono: nam quæ alteri accidunt, etiam alteri accidere debent. E ciò
vien messo ivi stesso in relazione anche colle CATEGORIE, in quanto videre
oportet an non in uno categoriæ genere ambo sint, sed alterum QVALITATEM alterum
QVANTITATEM vel ad aliquid RELATIONEM declaret. Vien la considerazione
della definizione e del sillogismo, pur con riferimento ai generi, alle
specie, alle differenze, non che ai contrarii, alle differenze contrarie,
ecc. Si ritorna sui luoghi atti a disputa, oratoria, ecc., ma con
riferimento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce Maxime autem locorum
omnium apti sunt ii quos nunc dixi, nec non ex casibus et coniugatis.
Ideoque maxime memoria tenere et in promptu habere oportet hos locos
(utilissimi enim sunt ad plurima problemata, atque etiam ex ceteris eos
qui sunt maxime communes, quoniam inter reliquos sunt efficacissimi. Nell’ultimo
paragrafo ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti a definizione,
sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il saggio. L'argomento
principale di questo saggio de’topici è la disposizione della materia del
discorso, con riguardo speciale ad interrogazioni, risposte, e
ritrovamento (INVENTIO) di quegl’argomenti che spettano ed importano al
dialettico, al filosofo. E quale argomento conduce naturalmente il LIZIO
a connettervi, come d'ordinario, i modi di argomentare, sillogizzare, ecc.
Ma sentiamo il LIZIO stesso. Egli indica nella traduzione latina lo scopo
e la materia della trattazione con queste parole. Post hæc de
dispositene, et quomodo interrogare oportet, dicendum est primum autem
debet is qui INTERROGATVRVS est, locum invenire ex quo argumentetur, deinde
interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo hæc
dicere contra alterum ac loci quidem inventio æque ad philosophum et
ad dialecticum pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt dispositio et
interrogatio dialectici est propria, quoniam hoc totum adversus alterum
est philosopho autem et ei qui ipse secum veritatem inquirit, curæ non
est, si vera sint et nota ea ex quibus efficitur syllogismus, nec tamen
ea ponat is qui respondet, propterea quod propinqua sint quaestioni ab
initio propositæ ac provideat quod eventurum sit quin immo fortasse dat operam
ut axiomata sint maxime nota et problemati propinqua, quandoquidem ex his constant
syllogismi qui scientiam pariunt. Sillogismo senza proposizioni intanto non si
dà. Perciò il LIZIO rivolge la sua attenzione a queste. Di queste ve n'ha
di necessarie ed anche di non necessarie. Necessariae autem dic'egli, dicuntur
eæ ex quibus syllogismus conficitur quæ vero præter has sumuntur quattuor
sunt vel enim sumuntur inductionis causa, ut detur quod est universale,
vel ut amplificete oratio vel ut celetur conclusio vel ut magis perspicua sit
oratio etc. Nell'anzidetto si contiene il pensiere del Lizio di questo saggio,
e s'intende che ciocche segue non può essere che l'ulteriore e più ampia
esplicazione di ciò con applicazione a singoli casi e quesiti ed a singole
corrispondenti soluzioni. A conferma di ciò, si pone che nel dissertare
utendum syllogismo apud dialecticos potius quam apud multos contra inductione
apud multos potius. Si fanno di ciò, ad illustrazione, applicazioni a casi
vari, poniamo al caso della salute, valetudo, della malattia, morbum, ecc.
Quanto alla natura della proposizione dialettica e al corrispondente elemento
dialettico, si dice poco appresso. Propositio enim dialectica est ad quam
respondere licet etiam aut non. Si prendono in considerazione le hypoiheses, le
captiosæ argumentationes con riferimento ai principia ultima, da cui tutte le
dimostrazioni e tutti i principi subordinati traggono origine e ragione
probativa. Nam cetera, scilic. Principia, per hæc probantur, ipsa vero per
alia probari non possunt. Riferendosi all'interrogare e rispondere, dice: De
responsione autem primun determinandum est, quod eius sit officium qui
recte respondet, quemadmodum eius qui recte interrogai est autem interroganti
ita disputationem deducere ut
respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis quae praeter thesim
sunt necessaria; respondentis vero, ne sua culpa videatur evenire quod
absurdum vel præter opinionem est, sed propter thesim. L'istesso argomento
dell'interrogare e rispondere viene svolto nei paragrafiseguenti con ulteriori
considerazioni di altri casi e rispetti. Ma più innanzi nel paragrafo a
proposito della reprehensio argumentationis, ricorre l'accenno ad
argomentazioni false e vere nel senso ed intendimento di ciocche si è
discorso ed esposto negl’analitici; e il corrispondente luogo, relativo a
molti modi d’argomentazione, è degno di essere riferito e suona così. Qui
vero, dice il Lizio, ex falsis verum concludunt, non possunt iure
reprehendi, quoniam falsum quidem semper necesse est ex falsis concludi,
sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere: hoc autera est
perspiciram ex analyticis quando autem argumentatio quæ dieta est, alicuius rei
est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil cum conclusione probanda
commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus sin autem videatur, SOPHISMA
erit, non demonstratio. est autem philosophema syllogismus demonstrativus,
epicheirema vero syllogismus dialecticus, sophisma syllogismus contentiosus,
aporema syllogismus dialecticus contradictionis. Per ragione del tecnicismo di
queste ultime espressioni della logica del Lizio, allego quest'ultima
parte del luogo nel testo greco, il quale suona così. Eati òe
(piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè avlkoyiofiòg
òiaXemmóg, oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe ovZAoyiofiòg
òialemwòg àvwpdoewg. Nel seguente paragrafo si stabilisce come massima che
argumentatio est PERSPICUAuno modo, eoque maxime vulgari, si ita
concludat ut nihil amplius oporteat interrogare. E dopo altre consimili
considerazioni si conclude il saggio con quest'altra massima di carattere
generale: oportet paratas argumentationes habere adversus eiusmodi problemata,
in quibus cum paucae argumentationes suppetant, adversus plurima
problemata utiles erunt. hae vero sunt argumentationes universales, et quas
assumere ex rebus passim obviis difficile est. Dopo siffatte, se non diffuse,
certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo scopo e sul modo di
trattazione de'topici, passo a dire degl’elenchi sofistici. JUeqì
t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. Anche per questa parte, come ho fatto per le
altre, della logica del LIZIO comincio coll'allegare un notevole giudizio di BOEZIO
(si veda), il quale dice. ELENCHVS MVLTA SIGNIFICAI SED HOC LOCO PRO
REDARGVTIONE SVMITVR. LIBRI SVNT DUO AD CAVENDAS SOPHISTICAS CAPTIONES ET NE IN
DISSERENDO FALSA PRO VERIS PER IGNORANTIONEM COLLIGAMVS AVT ADMITTAMVS HUIC
OPERI INITIVM DEDIT ACCADEMIA IN EUTHYDEMO OSTENDVNTVR ILLIC PAVCI QVIDEM DOLI
DISPVTATORIS CAPTIOSI [LIZIO] AVTEM REM OMNEM VT SOLET A PRIMIS INITIIS COMPLEXVS
DIGESSIT IN ORDINEM ET FORMULAS. A questo giudizio di BOEZIO si unisce Prantl
il quale colla sua autorità in tal materia, lo allarga ed integra con
altre importanti osservazioni. La qual cosa egli fa nella sua citata opera
Gesch. d. Logik, età, primamente, osservando come quest’elenchi sofistici
si colleghino intimamente ai libri topici; e secondamente, esponendo in un
breve e succoso cenno la materia e lo scopo de' medesimi. Ma vi è
stato in Italia un uomo, che, riattaccandosi ai due nominati scrittori,
ha fatta una traduzione eccellente de’primi capitoli degl’elenchi, facendovi
precedere un elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di
sommarli ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche
de' rimanenti capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare il tutto con
note amplissime e dottissime, nelle quali è abbracciata tutta la parte
storica dell'argomento, Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è BONGHI
(si veda), il quale non solo mostra vastità di dottrina in questo
speciale argomento della logica dal Lizio, ma allarga ed approfondisce i
suoi studi nella traduzione e illustrazione delle opere dell’ACCADEMIA e
della Metafisica del LIZIO, traducendo ed illustrando quasi tutte le
opere del primo, e i primi saggi della Metafisica del secondo. E, per
giunta, fortifica i suoi studi filosofici, oltre che collo studio della storia
della filosofia fino agl’ultimi tempi inclusivamente, anche colle sue
amplissime conoscenze di storia di tutti i tempi, e con un'ampia
erudizione nelle altre discipline dello scibile. La esposizione che io,
per assolvere il mio scopo e compito, faccio di quest’elenchi, consiste in tre
diversi cenni: il primo, quello di valermi della TRADUZIONE ITALIANA stessa e
delle corrispondenti illustrazioni di BONGHI (si veda); quale migliore e
più sicura guida nell'adempimento del mio scopo? il secondo,
nell'allegamento di un brevissimo luogo di BOEZIO (si veda), riportato in
nota dallo stesso BONGHI (si veda), luogo che serve alla indicazione delle ESPRESSIONE
LATINE DE’SOFISMI TRATTATI DAL LIZIO; il terzo, nell'allegamento di un
luogo importantissimo d’Ueberweg, nel quale, in breve e succoso cenno,
sono distinti e illustrati tutti i sofismi con le relative denominazioni
greche. E vengo alla esposizione. Cominciando da BONGHI (si veda), è bene
ed utile di rilevare alcune importanti affermazioni e considerazioni di lui in
riattaccamento a BOEZIO (si veda), a Prantl, allo stesso sorgere e
costituirsi della sofistica, ed anche a Socrate, l’ACCADEMIA e il LIZIO in
quanto riferentisi alla medesima. Per ciocche concerne il sorgere e
costituirsi della sofìstica, benché egli ricordi cose note, pur voglio
ricordar le parole di lui. Prodico, LEONZIO (si veda) e Protagora, dic'egli
nell’introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, per i primi accettarono
i nomi di sofisti e fondarono la sofistica E, come essa è il principio e
il fondamento dell’eloquenza e il più grande stimolo e sprone di
coltura, essi sono maestri di eloquenza, e diffonditori di cultura in
tutta la Grecia. Senonchè, pur troppo la sofistica degenera in eristica.
Ora, l’ACCADEMIA si oppone a questa perversione di giudizii tanto più che non
si sarebbe potuto mai far intendere il valore di Socrate, fino a che
questa confusione avesse preoccupato le menti. Si aggiunga a ciò, che quando in
Grecia si moltiplica il numero di quei professori o maestri che si
ripromettevano d'insegnare al cittadino la miglior maniera di condursi per
se e per gli altri nello stato nacque una gran contrarietà d'opinioni ne’nuovi
metodi d'insegnamento. E da questa, e dal nome d’uno degl’eristici che vi
discorre trasse origine l’Eutidemo di Platone. Vengo ora alle confutazioni
sofistiche. Nell'avvertenza alle confutazioni sofistiche, come BONGHI (si
veda) traduce il trattato jieqì %ùv oocpMmxcòv èÀéyx<op, egli dice di
essere stato indotto alla traduzione dal pensiero, che avrebbe potuto
riuscire di molto interesse e utilità il vedere come una mente così
sottile, investigatrice, sistematica come quella del LIZIO per la prima volta mette
ordine e luce in una MATERIA PER SÈ COSÌ COMPLICATA E BUIA COM’È QUESTA DEL
RAGIONAMENTO usato a inganno altrui. Nell’Eutidemo l’ACCADEMIA rappresenta l'arte;
nelle Confutazioni Sofistiche il LIZIO, che vi ricorda tante volte l'
Eutidemo e l’ACCADEMIA, ne dette la teorica. Soggiunge, il LIZIO non esser
facile in nessuno suo saggio; e questo è uno di quelli ne 1 quali è più difficile.
Indicando la ragione, i limiti e il modo come ha Vedi Dialoghi dell’ACCADEMIA,
trad. da BONGHI (si veda), Eutidemo; Aristotele,
Delle Confutazioni Sofistiche, ecc. Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto
la propria opera, dice essergli mancato
il tempo di condurre a termine la traduzione; ma che, ciò non ostante, la
trattazione teorica de'sofismi è ne' primi compiuta essendo nei seguenti solo
indicate le vie praticamente utili a cavarsene fuori; e che, per giunta, come
si è detto, anche per questi ultimi ha aggiunto lunghi sommari!; sì che
il lettore finisce per aver conoscenza di tutta la materia del saggio logico
del LIZIO. Ora ecco i punti sostanziali di questo. Il LIZIO nel
Primo Capitolo, paragrafo 1, di questo dice che prende a discorrere delle confutazioni
sofistiche e di quelle che paiono bensì confutazioni, ma SONO PARALOGISMI E NON
CONFUTAZIONI. Nel seguente paragrafo fonda questo suo giudizio con questa
osservazione. Che de’sillogismi alcuni son VERAMENTE TALI; altri paiono e non
sono, è manifesto. chè come questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una
cotal simiglianza, COSÌ ACCADE ANCORA NEI RAGIONAMENTI. E difatti, la
persona che altri hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi paiono
averla. E delle cose inanimate è del pari; chè di queste quale è argento
e oro davvero; quale non lo è, ma pare al senso; per mo' d'esempio,
d'argento quelle di stagno e di piombo; d'oro quelle tinte di giallo. E
allo stesso modo, sillogismi e confutazioni, quali sono, quali non sono,
ma paiono per l'imperizia. Dappoiché, continua egli, indicando la ragione
dottrinale della differenza di SILLOGISMO e confutazione, ossia di
sofismo) il sillogismo si compone di alcune PREMESSE per modo, che di
necessità per via di esse proposizioni dica qualcosa di diverso dalle
proposizioni. Confutazione è sillogismo in cui si contraddice la conclusione. Cominciando
ad enumerare le cause, dice che di queste una fonte è più copiosa e comune
di tutte, quella per VIA DI VOCABOLI (way of words). I vocaboli sono
finiti di numero e i ragionamenti altresì; dove gl’oggetti sono infiniti. Sicché è
necessario che un solo ragionamento e un unico nome significhi più oggetti. Fa
ulteriori esemplificazioni sulla sofistica, che si intendono e spiegano con
ciocche è detto innanzi. Ma passando ad indicare le specie de'
ragionamenti sofistici il LIZIO dice che di quelli che occorrono NEL CONVERSARE
[LOGIC AND CONVERSATION – CONVERSATIONAL IMPLICATURE], v'ha quattro generi:
didascalici, dialettici, pirastici ed eristici. Sono: Didascalico, insegnativo,
quello ragionmento che si sillogizzano da’principi propri di
ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE DI CHI RESPONDE (chè chi impara, deve credere) :
" Dialettico” – “discorsivo” --
quell ragionamento che da proposizioni probabili sillogizzano la
contradittoria: "drastico” – “tentativo” -- quell ragionmento conversazionale che lo fa
da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da chi ha
la scienza (e in che modo si è chiarito altrove): "eristico” –
“contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono
sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando
che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli
Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi
discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso”
-- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele,
proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si
puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione
II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e
questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo) o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna
di queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello
che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo,
di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un
paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare
che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il
fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di
confutare, dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri
fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione
generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione
– aequi-vocal --, II anfibologia, III composizione IV divisione V accento
VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne'
susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della
dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione dei paralogismi
fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente, II dal
dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo o posto
o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente
V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal
fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi il LIZIO fa
illustrazioni ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche il
LIZIO statuisce intorno all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè intorno
a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto a
questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si
dia una unica risposta; benché rispetto a tal caso riconosca che in
alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Il LIZIO pone
l'alternativa che " o s'hanno a distinguere così i sillogismi e
confutazioni apparenti come si è detto e fatto negli antecedenti
paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per
principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son
detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente
soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi
paralogismi allegati. Si continua a prendere in
considerazione altri degli allegati paralogismi, come quelli
dall'equivocazione, dall'anfibolia, dalla composizione e dalla divisione,
dall'accento e dalla figura della dizione, dall'accidente, ecc. si indica il
modo di conoscerli e confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si
generino i sillogismi apparenti, sappiamo altresì per quante si possano
generare i sillogismi e le confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e
confutazione sofistica non solo il sillogismo o la confutazione che appare
e non è, ma anche quello che è bensì, ma proprio della cosa appare
soltanto. E cotesti sono quelli che non confutano secondo la cosa, e non
mostrano che altri l'ignora, che è il caso della pirastica. Ora, la pìrastica è
parte della dialettica. Questa può sillogizzare il falso per ragione dell' igno
ranza di chi rende ragione. Invece, le confutazioni sofistiche, quando anche sillgizzino
la contradizione, non fanno manifesto se altri ignora, poiché anche chi
sa, impacciano con siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo collo
stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per quante vie appare a chi ascolta,
che si siano sillogizzate appunto le proposizioni di cui gli s'era fatta
interrogazione, per altrettante potrebbe altresì parere a chi risponda. Sicché
per queste, o tutte o alcune, verran fuori sillogismi falsi, che quello
che uno non interrogato crede d'aver conceduto, interrogato lo concede.
Eccettochè in alcuni paralogismi succede insieme che si dimandi quello che
manca, e la falsità si chiarisca, come in quelli dalla dizione e dal solecismo.
Si fanno consimili considerazioni intorno ad altri paralogismi, come quelli
risultanti dall'accidente, dal conseguente, ecc. Il LIZIO statuisce
che da quanti luoghi si traggano confutazioni di quelli che son confutati,
non bisogna provarsi a determinarlo senza la cognizione delle cose tutte.
Ora, ciò non è di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse,
sicché è chiaro che anche le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve
n'ha anche di vere; stantechè quante cose v'ha luogo " a dimostrare,
tante v'ha luogo a confutare a chi asserisca il contraddittorio del vero;
p. es., se uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo confuterebbe
col dimostrare eh' è incommensurabile. Sicché bisognerà essere scienti
d'ogni cosa, ecc. Però, anche le confutazioni false sono del pari infinite;
chè v'ha secondo ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo
geometria il geometrico, secondo medicina il medico; e dico secondo
ciascun'arte quello secondo i principi di essa. E ne’seguenti paragrafi, su
questi stessi principi stabiliti, si fanno consimili considerazioni. Aristotele
pone in discussione e srisolve la seguente importante quistione intorno a
ragionamenti relativi al vocabolo e al pensiero: Non v' ha; dic'egli, tra
i ragionamenti la differenza che taluni dicono; alcuni ragionamenti riferirsi
al vocabolo, altri al pensiero ; chè è assurdo il pensare, che altri sono i ragionamenti
che si riferiscono al vocabolo, e altri quelli al pensiero, e non già i
medesimi „. Poiché (paragrafo 2), che è egli mai il non riferirsi al
pensiero se non quando uno non usi del vocabolo nel senso cui
l'interrogato ha consentito, credendo che fosse quello che avesse nella
interrogazione? Ora, questo stesso è riferirsi al vocabolo. E riferirsi al
pensiero è, quando l'altro pensi quello cui egli ha consentito, ecc. E ne'
paragrafi immediatamente seguenti viene confermando ciò con ulteriori non
meno acute illustrazioni ed applicazioni, delle quali voglio rilevare
l'applicazione che ne fa alle Matematiche, che attirano in modo speciale
la nostra attenzione per la trattazione della così detta Logica
matematica. " I ragionamenti nelle matematiche, dice infatti
Aristotele al paragrafo 7, si riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno t
" ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ C0S6 ' 6 non ha che esso sia la figura flì
della quale s'è concluso, che son due retti rnWn, ! tì g ura 0)> " al
pensiero di questo o no? ' '«Wonamento s'è egli diretto =' a ™a
(Paragrafo 2),1 comune a piii cose secondo ciascuna è dialettico- eh
«ut 71 m aPPa T a ' è - D °"
d6 " » ritornare suìl' TZ a h W * ^conducono, so/fe « stessi,
ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S ni nodo, sappiano a tatto „ come appunto
• fauno gli eristici 8 SousUcTche "f T" Ò SOt ' ile, Se,Tat °'
""-*»*' » mesta m at"eria degli Elenchi ci : lc n T' ° ^
*S C, ' eata SÌCC ° m8 "' Ksta ^ r te 8 log I ' ehe alcuno di!
f!l, P m08trare (dic ' e S li . iafatti, al paragrafo 1) cacca
adatta a co ; che quelli che parlano a caso, errano di più ' e parlano a
caso, quando non si siano proposto nulla P P et e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a
"' abbatteraÌ 1 " na Wsita ° a paradosso ' dir r„Zo s are ' er
v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge " mt.rroga.iene,
ma • d'attacco ! ' S °,mParare ; daF P° Ì<!hè ^ acquisizione dà
„,„do di £ r:i n ~:ir che A " istotek abbk •
lnog„ A Lelirr t (COntÌ, n ° a ArÌ8t ° tele Paragraf ° 4 » Cle "no dica
falso, è proprio luogo quello aojsfco,,1 menare a tali cose, che s'abbia
contro osse copia di aL m „ta z,o„, ; e,„esto vi sarà modo di farlo bene
e non bene, seconTs l So ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T **
*" relali ™ alla ' luto f, i " '' lJeVa " lat °
Paradossastico come segue - Il La qual S gu,a, se lo noti i, lettore,
rappresenterebbe qui Trento del vocabolo. LA LOGICA del LIZIO, LA LOGICA
KANTIANA ED HEGELIANA, ECC. 1essere cosa bella secondo legge, ma secondo
natura non bella. Sicché bisogna chi * parla secondo natura,
affrontarlo secondo legge ; e chi secondo legge, menarlo alla a natura;
giacche vi sia luogo a dir paradossi ne' due modi „. In questo capitolo
si tratta di un argomento che par futile, cioè quello del cianciare;
eppur questo dà luogo a una acuta e teorica disamina della sofìstica da
parte del LIZIO. Prima di allegare le parole del grande filosofo, allego
una osservazione interpretativa che fa BONGHI (si veda) in proposito, e che è
questa. Col cianciare, cioè, dice quest'ultimo, si passa al quarto fine
del sofista, che è il FORZARE L’AVVERSARIO a dir più volte la stessa cosa,
che torna al cianciare o infilzar parole senza senso. Il presupposto di
tali sofismi è che il vocabolo è tutt'uno colla sua definizione e quello non
differisce in nulla da questa, sicché si può in una proposizione surrogare
l'uno all'altra. P. es. doppio si definisce doppio di metà. Ora, se la
definizione può essere surrogata al definito, noi possiamo definirlo:
doppio di metà di metà; e da capo doppio di metà di metà e così in
infinito. Ciò posto, ecco ciocche dice il LIZIO intorno al discorrere per
puro cianciare. Tutti i siffatti discorsi vogliono far questo; se non
differisce per nulla il dire il vocabolo o la definizione, doppio e doppio
di metà è tutt'uno; se adunque è doppio di metà, sarà doppio di metà di
metà ; e di novo, se in luogo di doppio, si ponga doppio di metà si sarà
detto tre volte : doppio di metà di metà di metà. Ed evvi egli il
desiderio del piacevole? Ora, questo è appetito del piacevole; dunque,
desiderio è appetito del piacevole del piacevole, ecc. L'argomento del LIZIO è
il solecismo e la sofisticazione in cui può incorrersi con esso. Il Lizio
parla e ragiona in questo modo. Questo, cioè, il solecismo, v'è luogo a
farlo e a parere senza farlo, e a non parere facendolo. Ssiccome dice
Protagora, se ò fiijvig e ò s**Pff sono un mascolino; giacché chi dice
oi)Aofiévt]v solecizza secondo lui, ma agli altri non pare; chi ovÀó/ievov
pare bensì, ma non SOLECIZZA. Si noti che firjvig e JvfjÀrji son
propriamente femminili. Sicché è chiaro che uno puo ad arte far questo;
per il che molti ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo paiono
di sillogizzarlo, siccome nelle confutazioni. I solecismi apparenti hanno
occasione pressoché tutti dal vóde, e QUANDO LA DESINENZA NON MANIFESTA NÉ
MASCHIO NÉ FEMMINA, ma il di mezzo. Difatti ofirog significa MASCHIO ed
a%%r\ femmina. Ma tomo vuole bensì significare il di mezzo, pure spesso
significa anche l'uno o l'altro di quelli: p. es., che è %ov%o ?
Calliope, LEGNO – maschio in italiano, neutro in latino --, Corisco.
D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze de’casi. Qui mi par di
vedere il LIZIO (senza menomare la fina osservazione e interpretazione
del nostro BONGHI (si veda)) riferirsi al famoso dialettico Zenone di
VELIA (si veda), del quale uno degl’argomenti famosi, quello cioè del non
potersi andare da un punto all'altro dello spazio, è pensato e condotto
appunto in tal guisa. Cioè, di non potersi percorrere l'intero spazio senza
giungere alla metà di questo, non potersi giungere a questa metà senza
percorrere la metà di questa metà, e così non potersi giungere a questa
seconda senza percorrere la metà della metà della metà, ecc. in infinito,
il che è impossibile a fare in un tempo finito. differiscono tutte, ma del
genere di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che spesso, essendosi lor
concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse stato detto %ov%ov; e del pari
una desinenza in luogo d'un' altra. E il paralogismo si genera perchè il
tóóe è comune a più desinenze. Giacche tomo significa quando ovzog quando
zovxov. Però deve significare quando l'uno e quando l'altro; con è oixog,
con essere iqviqv, 8 per es., è KoQioxog, essere Koqioxov. E nei vocaboli
femminili del pari; e in quelli, che son bensì d'utensili, ma però hanno
appellazione femminile o maschile. Dappoiché tutti quelli che terminano in o e
in v, hanno soli l'appellazione da utensili, come ^vkov, o%oiviov. Ma
quelli che non così, l'hanno maschile o femminile, di cui applichiamo
alcuni agl’utensili; p. es. daxòg è vocabolo maschile, xÀhrj femminile. Per il
che anche rispetto a questi differirà del pari l'è e l'essere. E in un certo
modo il solecismo è simile alle confutazioni tratte dal PRENDERE PER SIMILI
COSE NON SIMILI. Giacché come a queste accade di solecizzare sulle cose, così a
quello su' vocaboli; chè uomo e bianco sono e cosa e vocabolo. Sicché è
manifesto che da simili desinenze bisogna sforzarsi di sillogizzare il
solecismo. Le specie, dunque, de’discorsi contenziosi e le parti delle
specie e i modi son quelli che si son detti. Con questi capitoli finisce la
parte teorica degl’elenchi sofistici, e che, come si è detto, nei
seguenti capitoli si espone e fa l'applicazione dei primi. Io ometto di
esporre anche questa parte applicativa, ritenendo sufficiente pel mio scopo la
conoscenza della teoria. Passo perciò al secondo punto del triplice cenno
che io voglio fare degl’elenchi predetti, cioè alla indicazione latina
de' paralogismi o sofismi, secondo la indicazione di BOEZIO (si veda).
Questi infatti (vedi BONGHI (si veda), nota alle Confutazioni
Sofistiche) indica le denominazioni sofistiche di Aristotele così: æquivocatio
[cf. Grice, aequi-vocal] amphibolia compositio [synthesis] divisio accentus
[cf. Grice, STRESS] figura dictionis [cf. Grice, figure of spech] propter
accidens propter id quod simpliciter vel non simpliciter propter redargutionis
ignorantiam propter consequens propter id quod est in principio sumere propter
id quod non est causa ut causam ponere, ovvero, propter non causam ut
causam propter phires interrogationes unam facere. In questa stessa
nota Bonghi ha un notevole accenno ad Alberto Magno, che pure scrive degli
Elenchi Sofistici. E altri accenni non meno notevoli ha nella nota 160
per Alfarabi ; nella nota 161 per S. Tommaso ; e nella nota per Duns
Scotus, il cui tractatus logicae è l'ultimo nella Scolastica, e che è
intitolato De sillo- gismo sophistico sive fallaciis. Ed ora pongo
termine alla mia esposizione coll'allegamento dello stupendo e
comprensivo luogo dell'TJEBERWEG (Syst. d. Logik u. Gesch. d. Logischen
Lehren), che suona come segue. Il LIZIO nel scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v
èXèy%(àv si è fatto guidare nelle diverse parti del medesimo dallo
speciale riguardo ai sofismi molto disputati al suo tempo. Egli definisce
(Top.) il oócpiofia come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg, e divide i sofismi in due
classi principali: naqà tìjv As^iv e è'^co vrjg Àé^ecog. Alla prima classe
principale novera (De Soph. Elench.) come appartenenti sei specie:
ófihìvvfila æquivocatio – cf. Grice, aequi-vocal -- àfMpifioXia AMBIGUITAS –
cf. Grice, ‘Avoid ambiguity’, ovv&soig (FALLACIA a sensu diviso ad
sensum compositum, diaigeoig FALLACIA a sensu composito ad sensum divisum jiQoacpòia
accentus – cf. Grice STRESS -- a%f[na vf/g Aé^sojg figura dictionis cf. Grice
figure of speech --: de’quali sofismi però il terzo ed il quarto (la
confusione del senso distributivo e del collettivo, ovvero la confusione
di ciocche vale in modo speciale di tutti i singoli od in ogni singolo
rapporto, e di ciocche vale della generalità come tale), in quanto appartenenti
alle FALLACIIS SECVNDVM DICTIONEM, si lasciano aggruppare (subsumere)
sotto il concetto dell'anfibolia nel senso indicato. Per ayfifiaza zfjg
Aé^scog il LIZIO intende qui le forme grammaticali de’nomi e de’verbi, e,
secondo Poet., in modo speciale le proposizioni grammaticali fondate sui
diversi rapporti di predicato con soggetto – cf. H. P. Grice e P. F. Strawson,
Soggetto e predicato nella logica e nella grammatica -- : proposizioni grammaticali,
alla cui espressione servono in parte i modi verbali, come comando –
Grice: !p], preghiera, minaccia, enunciazione – Grice, .p --, domanda –
Groce ?p -- e risposta – Grice: ?p. Alla seconda classe principale, cioè ai
Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag, il LIZIO novera come appartenenti le seguenti
specie: naqà tò avfi^s^rjìióg FALLACIA RATIONIS EX ACCIDENTE tò ànX&g fj
[lì] àicl&g A DICTO SIMPLICITER AD DICTM SECVNDVM QVID fj tov èXéy%ov
àyvoia IGNORATIO ELENCHI naqà tò èuó/À,evov FALLACIA RATIONIS EX CONSEQUENTE AD
ANTECEDENTEM tò èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai PETITIO PRINCIPII tò /li]
ahiov Ti&épai FALLACIA DE NON CAVSA VT CAVSA tò tó tiàeiù) èqo)%fji4,ma
ev noielv FALLACIA PLVRIVM INTERROGATIONVM. Se non che questi errori sono
in parte errori di dimostrazione (Beweisfehler). Degli errori indicati adduce il
LIZIO stesso esempi nel scritto tieqì %<òv ao<pianxò)v èXéy%(av. Si
può paragonare con esso il dialogo dell’ACCADEMIA (o di un accademico)
Eutidemo. Antiche e moderne esemplificazioni, però in gran parte già
fatte, dà Fries, System der Logik. Una diffusa ed esatta disamina di sofismi
si trova in Mill, Log. tr. Schiel. Rispetto al carattere nebuloso e confuso di
parecchie moderne speculazioni, e rispetto ad innumerevoli sofismi, per mezzo
de’quali, dato l'insolvibile compito di derivare il pieno dal vuoto, si è
creduto di ottenere l'apparenza di una soluzione, ha detto Trendelenbtjrg
(Eri. su den Ehm. der Log. LIZIO) con ragione. È tempo di tradurre
secondo il tempo moderno (iris moderne) il saggio del LIZIO degl’elenchi sofistici.
Questo compito è stato risolto soltanto in modo unilaterale mediante l’Antibarbarus
logicus di Cajus, comunque il suo autore nel campo del pensiero filosofico sa esercitare
con destrezza di polizia certe funzioni polizeiliche di vigilanza. Chiudo
la mia considerazione ed esposizione della logica del LIZIO, e
concludo dicendo che questi punti fondamentali del pensiero logico del
lizeo o LIZIO e la corrispondente legislazione del medesimo sono addirittura
una immortale creazione, che non i soli 24 secoli passati han già
confermata e glorificata, ma che continueranno a confermare e glorificare
anche i secoli venturi. Grice:
“How can people speak of ‘mathematical logic’ when Russell says that
mathematics rests on logic?!” – logica aritmetica, aritmetica logica – His
exposition of ‘logica aristotelica’ is impressive, and overlaps with
Grice/Strawson’s seminars on Categoriae and De Interpretatione. His editorial
work on Ceretti is excellent. He has written on some other Italian
philosophers, too. Pasquale
D’Ercole. Ercole. Keywords: difesa della metafisica, panlogica, esologia, essologia,
sinautologia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Ercole” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice ed Ermino: la ragione conversazionale e il portico romano --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Porch. Contemporary of Plotino. He confined his activities mainly to
teaching and wrote little or nothing.
Luigi
Speranza -- Grice ed Ermodoro: la ragione conversazionale all’isola -- Roma --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A pupil of Plato of whom he wrote a
biography. He also wrote a history of mathematics. According to Suda, he took
Plato’s books and sold them.
Luigi
Speranza -- Grice ed Erode: la ragione conversazionale e la filosofia
degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. One of the richest and best connected people in the Roman empire.
More of a sophist and a friend of philosophers than a philosopher himself. He
condemned the Porch philosophers for their lack of feeling. Erode Attico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eschine: la ragione conversazionale e la setta di Napoli. Roma
– filosofia antica – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Giannantoni, Socratis et Socraticorum Reliquiæ, iv
(Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta da Giannantoni,
Naples). 'L' Alcibiade di E. e la letteratura socratica su Alcibiade'. In
Giannantoni e. Narcy, Lezioni Socratiche (Elenchos. Collana di testi e studi
sul pensiero antico diretta Giannantoni, Naples. E. of Neapolis (Naples) –According to Diogene Laerzio,
E. was a Platonist and favourite pupil of Melantio di Rodi. He seems to have
been the same person as the E. said by Plutarco to have studied under Carneade.
Eschine.
Luigi
Speranza -- Grice ed Esimo: la ragione conversazionale a Roma – filosofia
antica – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An undated inscription found at
Pergamum refers to Claudio Esimo as a philosopher.
Luigi
Speranza -- Grice ed Estieo: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Suda says he was the father of
Archita di Taranto.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice ed Esposito: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- il sistema
dell’in/differenza – scuola di Sorrento – filosofia sorrentina -- filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piano di Sorrento). Filosofo
sorrentino. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Piano di Sorrento. Grice: “I
like Esposito; of course, his ‘origine della filosofia italiana’ owes a bit to
the historians of Roman literature and that infamous embassy of the very best
of Grecianism: Carneade, Critolao, and Diogene!” 599 ab urbe condita!”. Parte dalla
constatazione dell'esaurirsi del tradizionale lessico della politica e dalla
consapevolezza della necessità di una sua diversa formulazione. Su questo
presupposto, si incentra sulla ripresa e sulla rielaborazione di questa
tradizione all'interno di nuove esigenze, a partire da una re-interpretazione
delle categorie classiche della filosofia. A tal fine nelle sue opere lascia
interagire saperi e linguaggi differenti, dalla filosofia alla letteratura,
all'arte, alla poesia, all'antropologia, alla teologia. Dopo i primi studi su Vico e Machiavelli, il
suo lavoro si è concentrato intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico
viene inteso come rovescio impensato dalla politica. Le riflessioni su questo
tema sono confluite in “Categorie dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove
pensieri sulla politica (Bologna, il Mulino), “L'origine della politica” (Roma,
Donzelli). La filosofia della comunità e
biopolitica sono confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino
della comunita” (Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il
concetto di comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati
e presenti, privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da
Heidegger a Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto
legge comune dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che
contiene di irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas:
protezione e negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica
dei conflitti in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo
teorico cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di
questa riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società
rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso
l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita
che rischia sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale.
“Bios: biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di
Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità.
Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne
incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica.
Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione
affermativa di bio-politica. Al concetto
di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e
filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le
cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico
romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se
stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione
tra corpi. e persona. Nel dittico
costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana”
(Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha
ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a
partire da MACHIAVELLI (si veda), BRUNO (si veda), e VICO (si veda), fino a
quella che viene definita Italian Theory. Essi riguardano la connessione tra le
categorie di storia, politica e vita. Altre opere: La politica e la storia.
Machiavelli e Vico (Liguori, Napoli); Termini della politica. Comunità,
immunità, biopolitica (Mimesis, Milano); “Politica e negazione: per una
filosofia affermativa” (Einaudi, Torino); “La filosofia italiana come problema:
da Spaventa all’Italian Theory,
"Giornale Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione
della vita (Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi
ripresi, con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine
pericoloso dell'impersonale, di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello
Stato». Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. The category of
applicational generality relates to Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La
terza persona is not a person like “I” and “thou”. Grice uses ‘person’ generally,
“Someone (i. e. I) is hearing a noise). “Someone” is (Ex) with the addition of
‘person’. A sock is not a someone; a rose bush is not a someone – a dog is not
for Grice a someone. But then ‘someone’ is a solecism. Esposito considers the communication and
community alla Tonnies. Grice knows the connection community and communication,
when he criticizes Stevenson for trying to define the Anglo-Saxon ‘meaning,’
circularly, in terms of ‘communication. – The problem of the third person is
fascinating. Obviously a grammarian’s mistake – a grammarian usually not
knowing anything about philosophy, used philosophical concepts – such as person
– first person for “I” is ok, second person for “Thou” is okay – when it comes
to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La sedia e comoda.) – there is
nothing personal about a chair being personal. It is not true that someone is
comfortable (jemand). – there’s nothing personal about this. Since Homer, πϱόσωπоν,
etymologically “what is opposite the gaze,” has designated the human “face” in
particular, and then, metaphorically, the “façade” of a building, and
synechdochically, the whole “person” bearing the face. Another remarkable
semantic extension is that of the theatrical “mask” (Aristotle, Poetics),
leading in turn to the meaning “character in a drama” (Alexandrian stage
directions for dramatic works regularly included the list of the πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς), and then
to a narrative. Its Latin equivalent, persona, refers in its turn to the mask
that makes the voice resonate (personare), before it designates a character, a
personality, and a grammatical person (VARRONE (si veda)). The meaning of the
compound prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to compose in direct discourse,”
that is, to make the characters speak themselves—clearly shows that the
dramatic meaning of prosôpon had a particularly great influence on the history
of the word. In any event, it seems quite likely that when grammarians adopted
prosôpon to designate the grammatical “person,” they were thinking of the
dialogue situation characteristic of the theatrical text, which makes use of
the alternation “I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is
rooted in the category of the “person” (see SUBJECT, Box).Whereas terms like
“tense”, χϱόνоς, and “case”,
πτῶσις, are
attested before they appear in strictly grammatical texts, this is not the case
for prosôpon used to refer to the “person” as a linguistic category. On the
other hand, in the earliest grammatical texts, and in a way that remains
perfectly stable later on, prosôpon is adopted to describe both the
protagonists of the dialogue and the marks, both pronomial and verbal, of their
inscription in the linguistic material. In fact, the main difficulty
encountered by grammarians regarding the notion of prosôpon seems to have been
how properly to articulate reference to real persons occupying differentiated
positions in linguistic exchange (speaker, addressee, other) with reference to
the person as a grammatical mark. This difficulty occurs notably in a quarrel
about definition. In the Technê attributed to Thrax, Grammatici Græci, Uhlig. Lallot,
the verbal accident of prosôpon is defined as follows. Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν, δεύτεϱоν, τϱίτоν· πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς]. There are three persons: first,
second, third. The first is the one from whom the utterance comes, the second,
the one to whom it is addressed, the third, the one about whom he is speaking.
This minimal definition clearly sets forth the two protagonists of the
dialogue, distinguishing them by their position in the exchange, and introduces
without special precaution a third position, characterized as constituting the
subject matter of the utterance. The parallelism of the three definitions—a
simple pronoun for each “person”—masks the lack of symmetry between the (real)
first and second persons and the third person; the latter, as Benveniste
pointed out (Problèmes de linguistique générale), may very well not be a
“person” in the strictest sense. This definition, which remained canonical for
several centuries, was attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as
follows. I adopt the formulation in Choeroboscos, Grammatici Græcim Uhlig, a
Byzantine witness to the Alexandrian master. πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].) The
first person is the one from whom the utterance comes meaning me, the speaker,
the second, the one who to whom the utterance is addressed meaning the
addressee himself, the third the one about whom the utterance speaks and who is
neither the speaker nor the addressee. Apollonius’s arrangement contributes
useful explanations: each “person,” including the first two, can be the subject
of the utterance; the third is defined negatively as being neither the first
nor the second (which implicitly opens up the possibility that it is a “person”
only in an extended sense, insofar as it does not need to be competent as an
interlocutor); the overlap of enunciation and enunciated is explicit: there is
a first person when the utterance refers to the enunciator-source, a second
person when it refers to the addressee, and a third when it refers to someone
or something else. Despite the incontestable advance represented by
Apollonius’s revision, it nonetheless leaves an ambiguity regarding the
designatum of prosôpon: are we talking about extralinguistic entities,
“persons” engaging in dialogue or not, or are we talking about linguistic
entities, “accidents” of the conjugated verb and the pronomial paradigm
(personal pronouns)? Apparently the former, which is surprising coming from a
grammarian who prides himself on correcting another grammarian. In fact, there
is hardly any doubt that in Apollonius, the ambiguity I mentioned is still
attached to the term prosôpon. Consider the following text, taken from
Apollonius’s Syntax (Grammatici Græci Uhlig]): τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς εἰς πϱόσωπα ἀνεμεϱίσθη, πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ. The
persons who take part in the act of walking are distributed into persons: I
walk, you walk, he/she walks. We can interpret this to mean that in a group of
persons—extralinguistic entities— who are walking, every utterance concerning
the walk will elicit the appearance of verb endings distributing the walkers
among the three grammatical persons: such is the alchemy of Apollonius’s
prosôpon. Jean
Lallot BIBLIOGRAPHY Benveniste, Émile. “Structure des relations de personne
dans le verbe.” in Problèmes de linguistique générale, Paris: Gallimard. Tr. Meek:
Problems in General Linguistics. Coral Gables, FL: University of Miami Press.
Grammatici Græci. Ed. Hilgard, Schneider, Uhlig, and Lentz. Leipzig: Teubner. Reprint,
Hildesheim, Ger.: Olms. Lallot, Jean. La grammaire de Denys le Thrace. Paris: Le Centre National de la
Recherche Scientifique. Liberté,
Égalité, Fraternité motto della Francia Lingua Segui Modifica Ulteriori
informazioni Questa voce o sezione sull'argomento società non cita le fonti
necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Liberté, Égalité, Fraternité
(in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) è un celebre motto risalente al
Settecento e associato in particolare all'epoca della Rivoluzione francese,
divenuto poi il motto nazionaledella Repubblica Francese. Testo
esposto su un cartello che annunciava la vendita dei biens nationaux, ovvero di
quei possedimenti e domini della Chiesa (edifici, oggetti, terreni e foreste)
che furono confiscati dopo la Rivoluzione francese. All'epoca, il motto fu
talvolta mutato in Libertà, Egualità, Fraternità, o Morte: ma quest'ultima
parte fu poi abbandonata perché troppo fortemente associata con il regime del
Terrore Libertà Lo stesso argomento in dettaglio: Libertà. La prima parola del
motto repubblicano francese è "Liberté", che fu all'inizio concepita
secondo l'idea liberale. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino
la definiva così: «La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai
diritti altrui». «Vivere liberi o morire» fu un grande motto repubblicano,
adottato nello stemma originale del Club dei Giacobini. Sotto il governo
giacobino-montagnardodel Comitato di salute pubblica, di cui Maximilien de
Robespierre fu il leader più importante (cosiddetto regime del Terrore),
divenne famoso il motto: «Nessuna libertà per i nemici di essa».
Uguaglianza Lo stesso argomento in dettaglio: Uguaglianza sociale.
Timpano di una chiesa con un'iscrizione risalente all’anno della legge sulla
separazione tra Chiesa e Stato Secondo termine del motto repubblicano, la
parola "Égalité", significa che la legge è uguale per tutti e le
differenze per nascita o condizione sociale vengono abolite (egualitarismo);
ognuno ha il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a
quanto possiede. Il principio teoricamente era già presente nel concetto di
Stato di diritto, ma con la Rivoluzione Francese venne praticamente messo in
atto. FratellanzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Fraternità. Nella Dichiarazione dei diritti e doveri
del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione, la parola "fraternité",
terzo elemento del motto repubblicano, è definita così: "Non fate agli
altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi" (cosiddetta etica della
reciprocità) Origini e uso I primi contenuti riferibili al motto Liberté,
Égalité, Fraternité sono presenti nel saggio pubblicato a Londra da Marat, Work
wherein the clandestine and villainous attempts of princes to ruin liberty are
pointed out ("Opera in cui s'illustrano i sotterranei e scellerati
tentativi dei prìncipi di cancellare la libertà"), che egli pubblicherà
poi in francese col titolo più noto Les chaînes de l'esclavage("Le catene
della schiavitù"), dove si anticipavano i temi dell'azione politica: una
violenta presa di posizione contro il dispotismo a favore della sovranità
popolare e dell'uguaglianza. Successivamente, nel libro La Costituzione, o
Progetto di Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino vengono ripresi
e perfezionati gli ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza che verranno
progressivamente adottati a motto e simbolo. La prima formulazione del motto è
attribuita a Camille Desmoulins (l'inventore anche della coccarda tricolore
francese) per la Festa del 14 luglio 1790, anniversario della presa della
Bastiglia. Sebbene Liberté, Égalité, Fraternité sia un motto nato dalla
Rivoluzione francese e usato nella Prima repubblica, occorre attendere la IIIe
République (Terza Repubblica) perché venga adottato come simbolo ufficiale:
prima di allora il motto subisce una battuta d'arresto, insieme ai principi
fondanti della Repubblica. L'Impero e la Restaurazione trascurarono la
valorizzazione legislativa del motto, che ritorna alla pubblica ribalta solo
grazie alla penna di Leroux, all'epoca rappresentante del popolo in seno alla
Assemblée Nationale (Assemblea Nazionale). Egli partecipa attivamente al
percorso di riconoscimento del motto come principio costituente della Seconda
Repubblica. Nell'ambito di una repubblica a cui sovente si pospone
l'aggettivo "operaia", il motto acquista significati più ampi:
l'adozione del suffragio universale estende a tutti la Liberté di scelta
politica. La Commission du Luxembourg (Commissione del Luxembourg), nel
promuovere le Associazioni Operaie (antenate delle cooperative di produzione),
estende l'Égalité ai domini specifici dell'economia e della società. Infine,
per mezzo di uno Stato che assegna la sovranità al popolo, la Fraternité
esprime il senso della solidarietà e modera i potenziali ardori estremisti
delle altre due sorelle. Mentre in passato si tendeva a privilegiare l'Égalité
o la Liberté, questa fase storica vede la Francia percorrere la strada della
democrazia con un maggiore equilibrio. Tuttavia, ancora una volta, la
Repubblica si divide: la repressione popolare de il ritorno dell'Empire
rimettono in vigore la filosofia e la portata sociale del triplice motto. È
necessario che trascorrano ancora dei decenni per arrivare a vedere la celebre
massima incisa sui frontoni di tutti gli edifici pubblici. Poi, le Costituzioni
riconoscono autorevolmente il valore che il triplice motto ha per la storia del
Paese d'oltralpe. Liberté, Égalité, Fraternité rappresentano un valore
così grande da travalicare i confini della Francia, sono simboli che hanno
portata e rilevanza universali. Questo motto, nato dalla fucina d'idee della
rivoluzione francese, è un caposaldo irrinunciabile della moderna cultura
dell'Occidente. Alcune repubbliche sorelle della Francia rivoluzionaria
come la Repubblica Cisalpina napoleonica e la Repubblica Napoletana adottarono
un motto simile ("Libertà Eguaglianza" e "Libertà e Uguaglianza.
Bosc, «Sur le principe de fraternité. Voci correlateModifica Emblemi della
Francia Motti nazionali liberte, egalite, fraternite, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Liberté, Égalité,
Fraternité, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Il motto
della Repubblica francese - Il sito ufficiale della Francia, Liberté, Égalité,
Fraternité, su Les symboles de la République française, Présidence de la
République - Élysée.fr. URL consultato il 9 giugno 2010 Portale Francia
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Révolution nationale Stemma di Haiti Ricerca Uguaglianza sociale ordinamento
per cui tutte le persone di una società godono degli stessi diritti e doveri
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L'uguaglianza sociale - che si applica ai diritti e ai doveri della persona,
considerati in termini di giustizia- è un ideale che dà ad ognuno,
indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla sua provenienza, la
possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli altri individui in
ogni contesto. Si tratta di un ideale presente, almeno come tale, in tutti i
paesi civilizzati, come rivendicazione di pari dignità individuale e sociale
per tutti. Luigi Taparelli d'Azeglio Mentre il concetto di
giustizia sociale può essere ricondotto alla teologia di sant'Agostino e alla
filosofia di Thomas Paine, il termine "giustizia sociale" iniziò ad
essere esplicitamente utilizzato negli anni '80 del 1700. Al sacerdote gesuita
Luigi Taparelli viene tipicamente riconosciuto l'aver coniato il termine, che
si è poi diffuso durante i moti rivoluzionari attraverso le opere di SERBATI
(si veda). Storia Studi antropologici su siti archeologici indicano l'esistenza
di una sostanziale uguaglianza nelle società di cacciatori-raccoglitori mentre
con l'avvento dell'agricoltura si rilevano gli inizi delle
disuguaglianze. Concetti di base L'uguaglianza sociale è una situazione
per cui tutti gli individui all'interno di società o gruppi specifici isolati
debbano avere lo stesso stato di rispettabilità sociale. Come minimo,
l'uguaglianza sociale comprende la parità di diritti umani e individuali
secondo la legge. Esempi sono la sicurezza, il diritto di voto, la libertà di
parola e di riunione, e dei diritti di proprietà. Tuttavia, essa comprende
anche l'accesso all'istruzione, l'assistenza sanitaria e altri basilari diritti
sociali, ed inoltre pari opportunità e obblighi. Genere sessuale, orientamento
sessuale, età, origine, casta o classe, reddito e proprietà, lingua, religione,
convinzioni, opinioni, salute o disabilità non devono tradursi in una disparità
di trattamento. Un problema aperto è la disuguaglianza orizzontale, la
disuguaglianza di due persone della stessa origine e capacità. Nel mondo
contemporaneo, poi, "i confini dell’uguaglianza sociale si spostano in
avanti: dopo le importanti conquiste dei diritti sociali, legate alle lotte di
emancipazione dei lavoratori e alla costruzione dei moderni welfare state, si
apre oggi un piano di azione per una emancipazione ulteriore, che ha
caratteristiche più sottili e insieme più profonde: quelle della agibilità
effettiva dei diritti sociali formalmente sanciti e del pieno dispiegamento
delle capacità individuali ancora compresse o sotto-utilizzate per una larga
parte della popolazione. In questi termini appare evidente la natura
«universalistica» delle nuove politiche, come politiche per la promozione delle
capacità e l’empowerment di tutti i cittadini. Il principio universalistico
dunque è costitutivo dell’approccio di queste nuove politiche. In
filosofia L'uguaglianza in termini aristotelici è l'analogia delle parti da
attribuire a soggetti uguali rispetto a qualche caratteristica specifica (eguaglianza
proporzionale) o la pura uguaglianza matematica. Ci sono diverse forme di
uguaglianza relative alle persone e alle situazioni sociali. Per esempio, si
può considerare la parità tra i sessi per quanto riguarda l'accesso al lavoro;
le persone interessate sono di sesso opposto, la cui situazione sociale comune
è l'accesso all'occupazione. Allo stesso modo, la parità di opportunità, in
senso generale, implica l'idea che le persone dovrebbero essere nelle stesse
condizioni di partenza nella vita, ovvero che tutti dovrebbero avere pari
opportunità indipendentemente dalla loro nascita e successione. Peraltro,
una perfetta uguaglianza sociale è una situazione ideale che, per vari motivi,
non ha riscontro in alcuna società odierna. Le ragioni di ciò sono ampiamente
dibattute: circostanze concrete, addotte per il perpetrarsi della
disuguaglianza sociale, sono comunemente ritenute l'economia,
l'immigrazione/emigrazione, la politica estera e gli altri vincoli di cui
soffre la politica nazionale. Storia delle idee L'uguaglianza sociale è
un obiettivo politico soprattutto dei partiti di ispirazione socialista in
tutte le sue variegature storiche. Il concetto di uguaglianza anche in
massoneria è estremamente importante, divenendone uno dei cardini unitamente
alla tolleranzaed alla fratellanza. Le battaglie in questa direzione hanno
avuto un apice con l'abolizione dei privilegi della rivoluzione americana. La
prima parla di Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, versione
francese, comincia così: Les hommes naissent et demeurent libres e lala7
en droits (Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti). In
antitesi vi è il concetto di gerarchiameritocratica tipico della destra, mentre
un sincretismo può considerarsi il "comunitarismo". Un controesempio
di uguaglianza sociale è stata ritenuta la disuguaglianza sociale dell'Europa
medievale. MedioevoModifica Il concetto di uguaglianza tra le persone si
riscontra anche in epoca medievale. Si tratta di un concetto ereditato
dall'epoca della cavalleria, dove grande importanza aveva l'ideale secondo cui
la vera nobiltà sgorgava dal cuore delle persone, i quali quindi sarebbero
stati al fondo tutti uguali. «...tu vedrai noi d'una massa di carne tutti
la carne avere, e da uno medesimo Creatore tutte l'anime con iguali forze, con
iguali potenzie, con iguali virtù create. La virtù primieramente noi, che tutti
nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse;» (Boccaccio, Decameron) Tra gli
studiosi dell'epoca medievale c'è chi (si può citare Huizinga) rintraccia in
quei documenti che testimoniano la diffusione di questo principio i presupposti
per poter parlare dell'esistenza di un ideale egualitaristico già in epoca
medievale. Se così fosse, nonostante la grande diffusione nella letteratura di
corte dell'epoca, andrebbe comunque sottolineato come questo primitivo concetto
di uguaglianza si limiti tuttavia a una mera considerazione di natura morale,
senza che sia minimamente avvertita la necessità, da parte di chi abbraccia
tale ideale (nella fattispecie i membri della nobiltà), di attivarsi per
operare attivamente sulla società per ridurre le disuguaglianze esistenti. Ciò
si può anche spiegare in base al fatto che durante il Medioevo dominava nella
cultura popolare e nobiliare una visione della società divisa in classi,
regolate da rapporti gerarchici ben precisi secondo un ordine che non poteva
essere messo in discussione, in quanto emanazione diretta della Divinità.
Rimanendo nell'ambito di questa interpretazione, l'unica nozione diffusa
relativa all'uguaglianza tra le persone, al di fuori dei già nominati ideali
nobiliari, è l'uguaglianza di tutti di fronte alla morte. Nella
Costituzione italianaModifica In Italia il principio è riconosciuto nell'art. 3
della Costituzione il quale afferma che: «Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali» (eguaglianza in senso formale) Quest'articolo
esprime il principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate
discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire
scontato ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non
era assolutamente riconosciuto. Concludendo, poi, che: «È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana» (eguaglianza in senso sostanziale. Paine,
Agrarian Justice, Printed by Folwell, for Bache. Majhanovich, Rust, Education
and Social Justice, Kohler, et al., Greather post-Neolithic wealth disparaties
in Eurasia than in North America and Mesoamerica, Nature, in Volpato, Le radici
psicologiche della disuguaglianza,Introduzione, Laterza, Bari, Paci e Pugliese
(cur.), Welfare e promozione delle capacità, Bologna, Mulino, Montesano,
Vademecum di Loggia, Roma, Edizione Gran Loggia Phoenix. L'autunno del Medioevo.
L'autunno del Medioevo. Tra i contributi alla stesura di questa parte della
norma costituzionale si ricorda quello di Giannini, offerto su richiesta del
costituente Basso. Ritenendosi da parte socialista che fosse “un tradimento
fermarci all'enunciazione dell'uguaglianza formale, ma non essendo “pensabile
una norma di garanzia dell'uguaglianza economica e sociale, che presupponeva un
tipo di Stato allora e anche oggi inesistente”, Giannini propose due soluzioni
alternative: la prima più spinta, che impegnava la Repubblica a offrire a tutti
i cittadini “uguali posizioni economiche e sociali di partenza”; l'altra che
corrispondeva al testo poi accolto. E senza una minima carica retorica noterà
che “non avevamo intenzione di fare del nuovo, ma solo di affermare un
principio di dinamica dell'azione dei pubblici poteri per una società più
giusta” (Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino, in Mondoperaio. Crosato,
L'uguale dignità degli uomini. Per una riconsiderazione del fondamento di una
politica morale, ed. Cittadella, Assisi. Huizinga, L'autunno del Medioevo,
Roma, Newton Compton. Rawls, Una teoria della giustizia, in Maffettone, Universale
economica, traduzione di Santini, Milano, Feltrinelli, Rousseau, Il contratto
sociale, in Universale economica, traduzione di Bertolazzi, introduzione di
Burgio, Milano, Feltrinelli, Burgio, Eguaglianza, interesse, unanimità. La
politica di Rousseau, Napoli, Bibliopolis. Accademia nazionale dei Lincei,
Disuguaglianze e classi sociali: la ricerca in Italia e nelle democrazie
avanzate, in Atti dei convegni lincei, Roma, Bardi, Voci correlate Differenziazione
sociale Disuguaglianza sociale Distribuzione della ricchezza # Disuguaglianza
Egualitarismo Potere Stratificazione sociale Società (sociologia) Pari
opportunità Femminismo Eguaglianza, su Enciclopedia Treccani, Portale
Diritto Portale Politica Portale Sociologia
Egualitarismo dottrina politico-sociale che propone la parità di diritti e
opportunità degli individui Una teoria della giustizia Uguaglianza di
genere in Azerbaigian eguaglianza Condizione per cui ogni individuo o
collettività deve essere considerato alla stregua di tutti gli altri, e cioè
pari, soprattutto nei diritti civili, politici, sociali ed economici.
L'eguaglianza di tutti davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto
fondamentale dell'uomo e una delle regole-base di una convivenza democratica.
In Italia l'eguaglianza è garantita dall'articolo della Costituzione. Le
costituzioni democratiche assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini
attraverso la libera partecipazione alla vita politica e mirano a garantire
pari opportunità nella vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse
possibilità di crescita e di affermazione personale e professionale.
eguaglianza formale e politica Di eguaglianza si parla in molti sensi:
innanzitutto come eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto
che tutti i membri della società sono assolutamente eguali nei diritti e nei
doveri senza distinzione di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni
religiose o politiche, e non devono subire discriminazioni. L'eguaglianza
politica, invece, sta nel fatto che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e
può a sua volta essere eletto. Questi ideali di libertà e di eguaglianza si
sono venuti affermando in Europa e negli Stati Uniti, dopo una lunga lotta
contro i regimi monarchici e assolutistici (e contro la Gran Bretagna per le
colonie americane) che riconoscevano, tra l'altro, privilegi e differenze di
status giuridico alle classi aristocratiche. Gli ideali di eguaglianza hanno
trovato espressione nelle dichiarazioni dei diritti della storia inglese (a
cominciare dalla Magna charta libertatum) e soprattutto nella Dichiarazione
d'indipendenza americana e nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino approvata dall'Assemblea costituente francese, in cui l'enunciazione
di tali principi gettava le basi di un nuovo ordine politico.
APPROFONDIMENTO di Luca Entrata nella cultura occidentale con lo
stoicismo e soprattutto con il cristianesimo (che considera tutti gli uomini
dotati della stessa dignità, in quanto figli di un medesimo Padre), l'idea che
gli uomini siano eguali tra loro ha giocato un ruolo decisivo nelle vicende
sociali e politiche soltanto a partire dal Seicento. I principali pensatori
politici (da Hobbes a Locke, da Rousseau a Kant) partono dall'ipotesi che gli
uomini siano liberi ed eguali e di conseguenza pongono l'origine dello Stato in
un accordo volontario (il patto o contratto) stipulato dagli individui stessi.
Mentre per Platone e Aristotele esisteva una gerarchia 'naturale' (fondata
sull'intelligenza e sul sapere) tra chi è adatto al comando e chi è adatto
all'obbedienza - gerarchia che durante il Medioevo si irrigidì nel criterio
ereditario, fondato sulla nascita - per i moderni pensatori contrattualisti gli
uomini dispongono di eguali diritti e di conseguenza l'ordine sociale e
politico è qualcosa di 'artificiale', che gli individui costruiscono tramite
accordi. Queste idee troveranno spettacolare applicazione nelle due
grandi rivoluzioni moderne, quella americana e quella francese, i cui più
famosi documenti si aprono con un solenne richiamo all'idea di eguaglianza.
All'inizio della Dichiarazione d'indipendenza americana troviamo un elenco di
'verità' autoevidenti, la prima delle quali è "che tutti gli uomini sono
creati uguali"; e nel primo articolo della Dichiarazione dei diritti
dell'uomo e del cittadin troviamo proclamato il principio secondo cui "gli
uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Diverse
interpretazioni di una stessa idea Il principio dell'eguaglianza si
rivelò ben presto suscettibile di varie interpretazioni: esso poteva infatti
essere invocato sul piano civile, come eguaglianza di fronte alla legge e nei
diritti di libertà (garanzie giudiziarie, libertà di coscienza, libertà di
iniziativa economica); oppure sul piano politico, come eguale partecipazione al
potere tramite il diritto di voto; oppure, sul piano sociale, come eguaglianza
nel possesso di risorse economiche. La richiesta dell'eguaglianza civile ha
caratterizzato, i movimenti politici di ispirazione liberale, la cui principale
preoccupazione era la tutela della libertà individuale da ogni forma di potere
collettivo; l'eguaglianza politica - con la connessa richiesta del suffragio
universale - è stata invece, nella seconda metà del 19° sec., la ragion
d'essere dei movimenti democratici, i quali consideravano la partecipazione di
tutti al potere politico (cioè l'autogoverno collettivo) la forma più alta di
libertà; l'eguaglianza sociale, infine, è stata la bandiera dei movimenti
socialisti, che hanno teorizzato la scomparsa della proprietà privata e del
libero mercato, nella convinzione che la vera libertà potesse scaturire
soltanto dall'eguale possesso delle risorse economiche e non dal possesso di
'diritti astratti'. Tra questi diversi tipi di eguaglianza, la differenza
più grande è quella che separa l'eguaglianza formale da quella sostanziale.
L'eguaglianza nei diritti civili e politici è un'eguaglianza formale, perché
riguarda la sfera dei diritti e non quella dei beni; di conseguenza, è
compatibile con un grado più o meno ampio di diseguaglianza sociale. Il fatto
di essere eguali di fronte alla legge e nelle libertà individuali significa che
ogni individuo non subisce discriminazioni e che dispone delle stesse facoltà:
ma quanto ai risultati, sul piano sociale, questi dipenderanno dal suo impegno
e dalla sua abilità. Anche l'eguaglianza politica non incide direttamente sulla
sfera sociale, sebbene la partecipazione di tutti al voto (e quindi,
indirettamente, alle decisioni legislative) possa far prevalere politiche di
ridistribuzione della ricchezza. L'eguaglianza sociale, invece, è
un'eguaglianza di tipo sostanziale, giacché non riguarda i diritti, ma i
bisogni, e si traduce nell'eguale distribuzione dei beni: poiché si tratta di una
forma radicale di eguaglianza, in questo caso si è soliti parlare di
egualitarismo. Diritti sociali e pari opportunità Se per gran parte
del 19° sec. lo scontro è stato soprattutto tra liberali e democratici (divisi
dal tema del suffragio universale), nel secolo successivo lo scontro è stato
tra liberali e democratici da un lato e socialisti e comunisti dall'altro,
divisi dal tema dei diritti civili, dei diritti politici e della libertà
economica: dal punto di vista dei socialisti e dei comunisti, infatti, l'eguaglianza
civile e politica era soltanto una maschera degli interessi economici della
borghesia, i quali determinavano la più reale e oppressiva delle
diseguaglianze. Nel corso del Novecento, tuttavia, sono sorte correnti di
socialismo democratico o riformista, che non rifiutavano i diritti conquistati
da liberali e democratici, ma pensavano piuttosto a integrarli con una serie di
diritti e politiche sociali (diritti sindacali, istruzione, assistenza
sanitaria e pensionistica, assegni di disoccupazione, servizi sociali), il cui
scopo è correggere gli squilibri dell'economia di mercato e ridurre le
diseguaglianze sociali. Per altro verso, anche nel pensiero liberale si è
manifestata una maggiore sensibilità sociale, che si è concretata nel principio
dell'eguaglianza delle opportunità, che mira (attraverso le borse di studio, i
prestiti d'onore e altri strumenti) a dotare tutti gli individui delle stesse
possibilità, cioè ad eguagliare i punti di partenza. A partire dagli anni
Sessanta del Novecento, il tema dell'eguaglianza ha giocato un ruolo decisivo
nella questione femminile, ossia nella lotta per eliminare le discriminazioni e
le diseguaglianze tra uomini e donne sul piano dei rapporti personali e dei
ruoli pubblici. Il tema delle 'pari opportunità', in questo ambito, ha avuto
negli ultimi anni un grande risalto: sono sorte infatti apposite istituzioni il
cui scopo è garantire, per le donne, eguali possibilità di carriera nel settore
pubblico e privato e una maggiore presenza nella vita politica (a livello
locale e nazionale).egualitarismo Concezione politico-sociale tendente a
realizzare, accanto all’uguaglianza di diritto sancita dalle norme
costituzionali o legislative, una uguaglianza di fatto, fondata sull’equa
ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di una società.
L’egualitarismo affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella Rivoluzione
francese e ha ricevuto particolare impulso dai movimenti socialisti.
Egualitarismo salariale Tipo di politica sindacale mirante a ridurre le differenze
retributive tra le diverse qualifiche nell’ambito di una categoria o
nell’insieme dei lavoratori dipendenti. In Italia si è parlato di egualitarismo
salariale per gli aumenti retributivi in cifra fissa previsti dai contratti
collettivi di lavoro e per l’unicità del punto di contingenza, Roberto Esposito. Esposito. Keywords: fascismo, il
Sistema dell’in/differenza, Vico, Spaventa, Machiavelli, Bruno. Tanato-ethics,
tanato-politica, three features of the conversational imperative: generality:
formal generality, applicational generality, conceptual generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Esposito” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eudemo: la ragione conversazionale e il principe filosofo -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The father of Publio Elio
Aristides. A philosopher. Antonino liked him.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eudemo: la ragione conversazionale e il lizio romano –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend
of Galen. Lizio.
Luigi
Speranza -- Grice d Eudico: la ragione conversazionale e la setta di Locri --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A
Pythagorean, according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eudosso: lla ragione conversazionale e la setta di Taranto
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Pupil of
Archita di Taranto.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eulogio: la ragione conversazionale e il principe filosofo
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Little is known about him other that he was a philosopher and that
the emperor Leo I arranged for him to be supported at public expense.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eumenio: la ragione conversazionale e la scuola di Giuliano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma) FIlosofo italiano. He studied philosophy alongside
Pharianus and Giuliano.
Luigi
Speranza --- Grice ed Eufemo: lla ragione conversazionale e a diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eurimedone: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eurifamo: la ragione conversazionale a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According to Giamblico, Eurifamo
was a disciple of Pythagoras. As an indication of how seriously Pythagoreans
took any agreement, Giamblico relates how Eurifamo once asked Lisi of Taranto
to wait for him outside the temple of Era. Lisi agreed. Eurifamo forgot all
about him and returned the next day to find Lisi still waiting there. Some
fragments of a work on life supposedly by him have survived.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eurifemo: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According
to Giamblico, a Pythagorean.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eurito: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. The information concerning Eurito is extremely confused. Giamblico
describes him as a pupil of both Pythagora and Filolao di Crotona. He is
variously described as coming from Taranto, Metaponto, and Crotone. According
to Diogene Laerzio, Plato visits Filolao and Eurito in Italia. The connections
with Pythagoreanism and Italy are constants, but unless Eurito lived an
ionordinately long time, it seems safer to assume either that two people by the
same name have been confused with each other, or that some of the information
is simply wrong. The association with Filolao is widely attested and seems
unlikely to be wholly mistaken. Eurito.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eusebio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Eusebio was the tutor of Sidonio and Probo. He had his own schoot at Arelate
(Arles).
Luigi
Speranza -- Grice ed Eusebio: la ragione conversazionale e il circolo di
Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend
and teacher of Giuliano.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eustatio: la ragione conversazionale e il circolo di
Macrobio -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Appears
in the Saturnalia of Macrobius.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eutino: la ragione conversazionale e la setta di Locri --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Pythagorean
according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eutino: la ragione
conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eutosione: la ragione conversazionale e la setta di Reggio
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Eutropio: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Sidonio. Chastised by
Sidonio for manifesting an indifference to public service that smacked of The
Garden.
Luigi
Speranza -- Grice ed Evagrio: la ragione conversazionale e l’implicatura
degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Evagrio was an aristocratic philosopher based in Rome.
Luigi
Speranza -- Grice ed Evandro: la ragione conversazionale e la setta di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Evandro: la ragione conversazionae e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A
Pythagorean, according to Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Evanore: la ragione conversazionale e la setta di Sibari –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari) – Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico.
Luigi
Speranza -- Grice ed Evareto: la ragione conversazionale e il circolo romano --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. He as a philosopher in Rome, a friend of the lawyer and legal scholar
Publio Salvio Giuliano. Quinto
Elio Egrilio Evareto.
Luigi
Speranza -- Grice ed Evete: la ragione conversazionale e la setta di Locri -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia,
Grice ed Evola: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
della romanità – l’implicatura di Romolo – la scuola di Castropignano -- filosofia
romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Grice: “Evola was a bit of a linguistic philosopher; I enjoyed his
rambling on the proper use of “Latin” versus “Roman;” Evola notes that the
implicatures differ. ‘Roman’ he links with Spartan, and he opposes to the
formation, ‘greco-romano’ o ‘classico’ – “Latin” he applies to “lingua romana,”
as Orazio and Tacitus had done!” – Grice: “If I had to think of the equivalent
linguistic analysis by an English philosopher, I can only think of DeFoe, and
his satire on what constitutes an Englishman! Later parodied by Gilbert and
Sullivan and put to good effect in “Chariots of Fire,” where Abrams is seen
referred to as “HE IS.. an Englishman! For he himself has said it!” -- - Italian
philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone di CASTROPIGNANO.
Studia
a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto in riferimento alla teoria
del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia. Studia FILOSOFIA.
Entra in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa
alla esposizione futurista a Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il
conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo
del suicidio. Aderisce al dadaismo ed
entra in contatto epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo
magico. Si deve superare i limiti dell'umano per andare verso
“l'oltre-uomo”.Studia la teoria e fenomenologia dell'individuo assoluto. Nel “L'uomo come Potenza”
compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del
taoismo. Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da
una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Cerca
infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita
quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. Inizia un'intensa esperienza
giornalistica: partecipa alla redazione di Lo Stato democratico e collabora a
riviste come Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. Frequenta i circoli
esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale. Disumano qual
è, gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato
dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato
chissà quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato,
l'ha commosso, segretamente. Coordina “Ur”, che si occupa di esoterismo.
Conosce Reghini. Pubblica “Paganesimo.” Attacca violentemente Roma ed esorta a
ritrovare la grandezza della civiltà romana. Oserà dunque Italia assumere qui,
qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la
potenza augustea, solare, regale, oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione
mediterrane? Influenzato da Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste a
favore del concetto di “tradizione" e fonda “La Torre” destinata a
difendere principi sovrapolitici, in realtà una tribuna di filosofi che si
battevano per una Italia più radicale e più intrepida. Critiche mosse ad alcuni
personaggi del Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di
Starace che prima diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce
a tutte le tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla
fine, viene sospesa. Viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di
affiliazione all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie
del corpo (come testimoniato da Massimo Scaligero). In Meditazioni delle vette,
intende l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento
dei limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che
divengono due elementi inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente
pubblica due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo.
“La tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico
dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia
che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano
ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta
contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema
ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella
tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della
tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del
Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi
storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani,
tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista
Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti,
riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova
appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la
dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro,
solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella
mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile.
E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi quindicinale
curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una serie di
scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati pubblicati
dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le posizioni assunte
dal filosofo all'interno della suddetta corrente. Sia in fatto o
nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale europeo e
l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia fra corpo ed
anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue ricostruisce le
concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau, Woltmann, de
Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene al corpo e lo
spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando l'Etiopia
conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione degenerescente di un
organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico. Ha una concezione
dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito, dove lo spirito
deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di questa
formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche restando
biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha perso la
propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data razza si
liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni teorizzazione
del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore tradizionale tra
coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con
tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo
obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serieta.
Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre note figure
della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se ne
dissociano. L'impostazione critica data da Felice su questo passaggio del
pensiero di E. è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani. Anche Orano
sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale che rinvia a Il
mito del sangue di E. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro di lui, con
una vena più scadente, comparvero Romanini ed E. C’e tre ordini di razza:
corpo, anima, spirito. Dunque, E. riprende, seppur in maniera meno esplicita,
alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una gerarchia
ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di avere una
"doppia affiliazione" ed essere pure membro della Massoneria. E. non
aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce di arruolarsi come
volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Critica
del germanismo tuttavia l'incompletezza nell'attuazione di questo programma,
non abbastanza radicale e aderente ai principi della "Tradizione".Per
esempio una difesa della razza e improntata giuridicamente e il potere e derivato
dal popolo e non un potere regale di origine divina come nell'ideale società
ario-germanica delle origini. Teorizza dunque il tradizionalismo puro,
ideale e radicale, capace di attuare i propri principi e di far trionfare la
cultura romana pagana delle origini -- un impero europeo e pagano sotto la
guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno nell'Italia liberata solo al
termine della guerra. Essendo rigorosamente contrario all'abrogazione della
Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in una Repubblica, intraprende
tentativi di influenza.Si occupa di studiare e combattere le trame occulte e antitradizionali
della massoneria. Pubblica “Impero”.Scrive E.: “Io potevo aver
difeso e potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina
dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal
caso si dovevano far sedere sullo stesso banco degli accusati: Platone, un
Metternich, un Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo.” Si tenta di
effettuare una "doppia lettura" dei suoi testi: una lettura palese
per il volgo ed una "esoterica" per gli "iniziati". Pubblica
“Gli uomini e le rovine” che esercita grande influenza negli ambienti della
destra italiana nel quale spiega la decadenza del mondo moderno in seguito alla
distruzione del principio di autorità e di ogni possibilità di trascendenza per
l'affermarsi del razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori
della tradizione. In “Metafisica del sesso” tratta la forza magica e
potentissima dell'atto sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a
numerose tradizioni. L'«Operaio» in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto
metafisico ed immanente di tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le
rovine” e “Cavalcare la tigre” sono considerati due testi fondamentali grazie
ai quali c'è una fattiva adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il cammino
del cinabro, la sua autobiografia, e L'arco e la clava. Assiste alla
costituzione dei “dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della cultualità
romana ed italica, di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi scritti
sulla romanità, il paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un
particolare rapporto di intimità con i dioscuri. Solstitivm. Evola è
propugnatore del Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società
caratterizzato in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si
riscontra, da un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana
non si basa su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e
gestita in base a criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e
spirituale. Ogni azione che avviene durante la vita biologica (il
divenire) rispecchia direttamente una medesima azione di carattere metafisico
(l'essere) e dunque imperitura e sovratemporale. Il cammino dell'uomo
avviene attraverso un percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la
si trova, ad esempio, nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento,
del bronzo, degli eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da
Evola si basa dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale
dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la
possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise
strade (il rito e l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e
la contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta,
l'impero). Non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è
un dio mortale. Ogni dio un uomo immortale. La razza e "spirituale". Rifiuta
una visione zoological, in favore di un patrimonio di tendenze e attitudini
che, a seconda delle influenze ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi
compiutamente. L'appartenenza a questa razza spiritual si individuerebbe dunque
sulla base dello spirito, e in seguito del corpo, diventandone col tempo questo
ultime il segno visibile. E un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale
del quale parla E. parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo
zoologico, rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento
sul piano dello spirito – non romano, ma romanita --, ossia sul piano
metafisico. Intendeva potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una
nebulosa filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono
ritrovate sette lettere da E. a Croce (più una indirizzata all'editore Laterza.
Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza per
la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”. La
seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di
apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e
Teoria dell’individuo assoluto. Laterza, nonostante l'appoggio favorevole
di Croce, Laterza scrive una lettera in
cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei
riguardi di autorevoli amici. E. scrive a Croce chiedendo aiuto per “La
tradizione ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, E.
ringrazia Croce per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi
dell'editore barese. E. invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le
marcate divergenze sul piano filosofico E. si discosta dall'attualismo
gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico)
il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del
mondo accademico. Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il
profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente
distanti, ed anche i presupposti dottrinali sono inconciliabili. Il
tentativo di E. di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non
sboccia. E. cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di
riferimento culturale alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro tenta
di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento
extra-filosofico di cui il mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo
pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un
sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della
"magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse
fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve.
Però anche da parte mia vi e un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul
piano pratico, la mia fatica speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di
una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un
significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato
luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di
questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè
l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più
sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da
me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia
riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti
chiede al filosofo della tradizione di curare la voce “atanor” per
l'Enciclopedia Italiana. Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola
una certa stima, in particolare Calogero. Giuli successivamente riporta altre
informazioni, relative al carteggio E.-Gentile, reperite all'interno della
"Fondazione Gentile per gli studi filosofici", occupandosi dei saggi
che Evola invia con dedica a Gentile. Invia sette lettere a Schmitt che mette
in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori
(Jünger, Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la
pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista Cortes.Tale
tentativo non va in porto, così come fallisce anche il secondo progetto di
pubblicare un'antologia schmittiana. Di rilievo, all'interno dello
scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto al ruolo dell'uomo
politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di dittatura
incoronata come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un
livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per
Schmidt, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal
concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura
incoronata significa solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo
espediente pragmatico come una forma di salvezza. E in questo caso così come
già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di
Evola ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile
discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario
assume rilievo in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti
ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si
trova a combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare con
Benn, appartenente alla cosiddetta rivoluzione conservatrice. Il primo incontro
risale durante la tappa berlinese di un viaggio che E. effettua in Germania. Da
quell'incontro scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di Rivolta
contro il mondo moderno che appare in Die Literatur di Stoccarda. Nel
presentare Rivolta contro il mondo moderno, Benn espone le sue teorie
convergendo con la visione del mondo di E. Si ha rintracciato tre lettere da E.
a Benn. Le lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute
dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo
conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel
establishment. Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e realizzare
senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica non
rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno
che non si pensi unicamente a un lavoro elitario. E un tentative di riprendere,
nel dopoguerra, i rapporti con i filosofi conservatori. Invia lettere a Tzara. Si
tratta di una trentina di documenti tra lettere e cartoline. Molte tappe del
cammino artistico del filosofo romano sono già note prima del rinvenimento
della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo stesso E. ne parla nella sua
autobiografia, in parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle
partecipazioni, in qualità di articolista, che ha in alcune riviste d'arte
dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò che invece non è noto
prima del rinvenimento della corrispondenza, sono le modalità dell'avventura
evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si attua, come èvissuta, a che
mira. L'archivio della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio
di colmare il vuoto di un periodo poco conosciuto di E. Questo vuoto si colma
sia attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune
date, partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di
tappe più specificamente psicologiche. In particolare quelle che portano E. ad
annunciare il proprio suicidio e che raccontano d’un uomo colto nel pieno male
di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive,
dove la sofferenza acuta si alterna alla disperazione. Altre opere: “Arte astratta,
posizione teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole obscure du paysage
intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi sull'idealismo magico,
Todi-Roma, Atanòr); L'individuo e il
divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere); “L'uomo come potenza,
Todi, Roma, Atanòr, “Teoria dell'individuo assoluto, Torino, Bocca); “Imperialismo
pagano, Todi, Roma, Atanòr); “Fenomenologia dell'individuo assoluto” (Torino,
Bocca); “La tradizione ermetica, Bari, Laterza); “Maschera e volto dello
spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca); “Rivolta contro il mondo moderno,
Milano, Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma, Mediterranee); “Il mistero
del Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue, Milano, Hoepli); “Indirizzi per
una educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di dottrina” (Milano, Hoepli); La
dottrina del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca);
“Orientamenti, Roma, Imperium”; “Gli uomini e le rovine, Roma, Ascia); “Metafisica
del sesso, Todi, Roma, Atanòr); L'Operaio in Jünger, Roma, Armando); “Cavalcare
la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller; Il cammino del cinabro, Milano, Vanni
Scheiwiller; “Saggio di una analisi
critica” (Roma, Volpe); “L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller; “Raâga
Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller; “Il taoismo, Roma, Mediterranee; Ricognizioni.
Uomini e problemi, Roma, Mediterranee; Lao Tze, Il libro della via e della
virtù, Lanciano, Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli’eroi, Bari,
Laterza, René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, Malinski,
Poncins, La guerra occulta, Milano, Hoepli, Meyrink, Il Domenicano bianco, Milano,
Bocca, Meyrink, La notte di Valpurga, Milano, Bocca; Bachofen, La virilità, Torino,
Bocca; Meyrink, L'Angelo della finestra d'Occidente, Milano, Bocca, Eliade, Lo
sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, Milano, Bocca, Ur, Introduzione alla
magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, Weininger, Sesso e carattere,
Milano, Bocca, Spengler, Il tramonto dell'occidente, Milano, Longanesi, Erkes,
Credenze religiose della Cina antica, Roma, IsMEO, “Pitagora I Versi d'Oro”
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Nietzsche e il senso della vita” (Roma, Volpe); Avalon, Il mondo come potenza,
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Il mistero del fiore d'oro, Roma, Mediterranee, Yû, Lo Yoga del Tao, Roma,
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Spranger, Pestalozzi, Roma, Armando, Hilker, Pedagogia comparata: storia,
teoria e prassi, Roma, Armando, Ulmann, Ginnastica, educazione fisica e sport
dall'antichità ad oggi, Roma, Armando, Dürckheim, Hara: il centro vitale
dell'uomo secondo lo Zen, Roma, Mediterranee, George, L'ondata rossa sulla
Germania dell'Est, Roma, Volpe, Leddihn, L'errore democratico, Roma, Volpe, Reiner,
Etica, teoria e storia, Roma, Leibfried, L'università integrata: l'istruzione
superiore nella Repubblica federale tedesca e negli Usa, Roma, Armando, Cassirer, Saggio sull'uomo:
introduzione ad una filosofia della cultura, Roma, Armando, Wefers, Basi e idee
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Palermo Registro degli atti di nascita
di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo
Registro degli atti di matrimonio di Cinisi, Tribunale di Palermo Registro degli atti di nascita di Roma Archivio
di Stato di Roma Il Barone Immaginario
Il Barone Immaginario, Turris, Ugo Mursia Editore, Milano, Catalogus Baronum, pagina Vanni Scheiwiller,
Nota dell'editore, in E., Il cammino del cinabro, Milano, Scheiwiller; E., Il
cammino del cinabro, Catalogo della mostra con tutte le opere in: Grande Esposizione Futurista, Milano, Le
Presse, Bruni, E. Dada, in Turris, Testimonianze su E., Roma, Mediterranee. E., Il cammino del cinabro. Egli prende la
terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e
si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io. L'estinzione
vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non
pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi
dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.” Lettere a
Tzara, Roma, Edizioni Fondazione E., Carlo Fabrizio Carli, Evola pittore tra
futurismo e dadaismo, su julius evola. Bruni, E. Dada. Per un approfondimento:
Conte, Maschere di E. come percorso controcorrente, Atti del convegno di studi
"E. e la politica", Terlizzi. Maria, Introduzione a: Marinetti,
Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori, Per un approfondimento sulla
produzione pittorica di E. si rimanda a due cataloghi: E. e l'arte delle
avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia, Roma, Fondazione E., e Conte, E.
Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, E., Il cammino
del cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur,
Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca. Per una
trattazione esaustiva dell'argomento si rimanda a Ponte, E. e il magico gruppo
di Ur, Borzano, Sea R, E., Il cammino del cinabro. LAMENDOLA (si veda), Alcuni
aspetti del pensiero filosofico di E.. Fenomenologia dell'Individuo assoluto,
Roma, Mediterranee, Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, Gangi,
Misteri esoterici. La tradizione ermetico-esoterica in occidente, Roma,
Mediterranee, E., Ponte, Meditazioni delle vette, La Spezia, Tridente, Demattè,
E., Meditazioni delle vette, in Secolo d'Italia, Turris, Biografia, in Turris,
Testimonianze su E., E., Fascismo e Terzo Reich, Benoist, E., reazionario
radicale e metafisico impegnato, in E., Turris, Gli uomini e le Rovine e
Orientamenti, Roma, Mediterranee, LA SCUOLA DI MISTICA FASCISTA. Scritti di
mistica, ascesi e libertà, Napoli, Controcorrente, Il fascismo quale volontà di
impero e il cristianesimo, in Critica Fascista, Bertoldi, Salò. Vita e morte
della repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, Vivarelli, Fascismo e
fascismi, in Nuova storia contemporanea, E. stipendiato dal Duce, in Avvenire, Marco
Tarchi, E. e il fascismo: note per un percorso non ordinario, in Cultura e fascismo. Letteratura, arti e
spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, Parlato, Fascismo,
Nazionalsocialismo, Tradizione, in E., Fascismo e Terzo Reich, Roma,
Mediterranee, Renzo De Felice, Storia degl’ebrei sotto il fascismo, Il
Fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista della Destra, Volpe,
Roma, Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella
Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Rauti e Sermonti, Storia del fascismo,
Roma, Centro Editoriale Nazionale, Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo,
Tradizione. Cfr. anche, sulla critica allo stato educatore, E., Fascismo e
Terzo Reich, E., Fascismo e Terzo Reich, Fascismo e Terzo Reich. Gianfranco De Turris, Nota del curatore, in E.,
Fascismo e Terzo Reich, Per un elenco completo delle collaborazioni
giornalistiche: Gianfranco De Turris, Biografia, in Turris, Testimonianze su E.,
E., Il mito del sangue, Milano, Hoepli, E., L'esposizione anti-ebraica di
Monaco, "Il Regime fascista", E.I testi del Corriere Padano, Padova,
AR, Cuomo, I Dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il
manifesto della razza, Milano, Baldini Castoldi Dalai, E., Il mito del sangue.
E., Il mito del sangue. Il cammino del cinabro. E., Il cammino del cinabro, Rosati,
Un pessimismo giustificato? Intervista a E., La Nation Européenne, Felice,
Storia degl’ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Felice, Storia degl’ebrei
sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Turris, Testimonianze su E., Roma, Edizioni
Mediterranee e Vanni Scheiwiller, Note dell'editore in E., Il cammino del
cinabro. Tale è l'opinione di un'importante testata giornalistica italiana del
tempo: Il Giornale d'Italia (l'articolo
è firmato da Adone Nosari). Il rif. si trova in: Renzo De Felice, Storia degli
ebrei italiani sotto il fascismo, opAttilio Milano, Storia degli ebrei in Italia,
Torino, Einaudi, Francesco Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito: E.,
l'antisemitismo e il nazionalsocialismo, Torino, Bollati Boringhieri, ALombardo,
Razza del sangue, razza dello spirito, Centro Studi La Runa. Cassata, A destra
del fascismo: profilo politico di E., Torino, Bollati Boringhieri. Rossi, Il
razzista totalitario. E. e la leggenda dell'antisemitismo spirituale,
Catanzaro, Rubbettino, Jesi, Cultura di destra, Milano, Garzanti, Caldiron, Un
filosofo buono per tutte le destre, in Avvenire, Jesi. Rimbotti, Linea, Massoneria
e fascism: dall'intesa cordiale alla distruzione delle Logge: come nasce una
«guerra di religione», Castelvecchi, E., Per un allineamento politico-culturale
dell'Italia e della Germania, in Lo Stato. Il cammino del cinabro. Fra queste
la Piccola Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Bocca, La
Repubblica di Mussolini, Bari, Laterza, Bruno Zoratto, E. nei documenti segreti
dell'Ahnenerbe, Roma, Fondazione E., Turris, E.. Un Filosofo in Guerra, Milano,
Mursia, Il cammino del cinabro, Fondazione
E., Una biografia di E., su Fondazione E.. Turris, Lettere di E. a Comi,
Roma, Fondazione E., Carnelutti, In difesa di E., in L'Eloquenza, E., Autodifesa, Roma, Edizioni Fondazione E., Rauti,
E.: una guida per domani, in Civiltà, Turris,
Elogio e difesa di E., Roma, Mediterranee, Turris, Elogio e difesa di E., op. E.,
Razzismo e altri orrori (compreso il ghibellinismo), L'Italiano, Turris, Elogio
e difesa di E., Pallavicini, E.,
traditore dello spirito, Corriere della Sera, Turris, Elogio e difesa di E.. Tosca,
Il cammino della tradizione, Rimini, Il Cerchio, La via romana, Centro Studi
sulle Nuove Religioni. E., Statuto della
Fondazione E., Paradisi, Gl’Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio, in
Conti, E. tascabile, Roma, Settimo Sigillo, Baccelli, Ricordo dell'uomo, in
Civiltà, //lastampa// edizioni/ aosta/la-nostra-
fuga- dagli-sul- monte-rosa- per- seppellire- le-ceneri-di-e.- E., Freda Orientamenti undici punti, Padova, Ar, E.,
Rivolta contro il mondo moderno, Collotti, Il fascismo e gl’ebrei, Bari,
Laterza, Barbera, La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali E.-CROCE (si
veda), Laterza, Roma, Fondazione E., Medail, E.: mi manda Don Benedetto, Corriere
della Sera, Cfr. la prefazione del testo
Lettere di E. a CROCE (si veda), pubblicato dalla Fondazione E. Savelli, Cronache di un incontro mancato. Gli
ardui rapporti tra l'attualismo e l'idealismo magico, su italia sociale. Arcella,
Gentile amico e nemico, L'Italia Settimanale, Durst, Il contributo di E. all'enciclopedia
italiana, Veltro, Calogero, Come ci si orienta nel pensiero? Sansoni, Firenze, Giuli,
E.-GENTILE (si veda)-SPIRITO (si veda): tracce di un incontro impossibile,
Annali della Fondazione Spirito. I volumi sono: Saggi sull'idealismo magico,
Teoria dell'individuo assoluto, Imperialismo pagano e Fenomenologia
dell'individuo assoluto. Lombardo, Caro conservatore ti scrivo, su centro studi
la runa, Si tratta del saggio Cortes in gesamteuropäischer Interpretation, poi
pubblicato in Schmitt, Cortés Interpretato in una prospettiva pan-europea,
Milano, Adelphi, E., Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee, Schmitt,
Cortes Interpretato in una prospettiva pan-europea, E., Rivolta contro il mondo
moderno, Damiano, E. e l'utonomia del politico, Atti del convegno di studi
"E. e la politica", Alatri, Terlizzi, Caracciolo, Due atteggiamenti
di fronte alla modernità, in Caracciolo, Lettere di E. a Schmitt, Roma, Fondazione
E.. Essere e divenire, in E., Rivolta contro il mondo moderno. E., infatti,
oltre a Benn, scrive a Guénon, Eliade e Schmitt e Jünger. E., Il cammino del
cinabro, Lettere a Tzara, Roma, Fondazione E., Valent. In italiano Tilgher, E., in ANTOLOGIA DEI
FILOSOFI ITALIANI, Modena, Guanda, Turris, Omaggio a E., Roma, Volpe, Turris,
Testimonianze su E., Roma, Mediterranee, Serra, L'avanguardia distonica d’E.,
in Studi, Aurea, E. e il nichilismo, Palermo, Thule, Vassallo, Modernità e
tradizione nell'opera evoliana, Palermo, Thule, Baillet, E. e l'affermazione
assoluta, Padova, Ar, Veneziani, La ricerca dell'assoluto in E., Palermo,
Thule, Lami, Introduzione a E., Roma, Volpe, Veneziani, E. tra filosofia e tradizione,
Roma, Ciarrapico, Melchionda, Il volto di Dioniso, Roma, Basaia, Ferracuti, Rimini,
Il Cerchio, Jellamo, E. Il filosofo della tradizione, La destra radicale,
Milano, Feltrinelli, Vona, E. e Guénon. Tradizione e Civiltà, Napoli, Società
Napoletana, Yourcenar, Incontri col Tantrismo, in Il tempo grande scultore, Torino,
Einaudi, Malgieri, Modernità e Tradizione, Roma, Settimo Sigillo, Tradizione
e/o Nichilismo, letture e ri-letture di "Cavalcare la tigre", Milano,
Società Barbarossa. Negri, E. e la filosofia, Milano, Spirali, Bianco, E.,
Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Fraquelli, Il filosofo proibito, tradizione e reazione nell'opera di E.,
Milano, Terziaria, Echaurren, E. in Dada, Roma, Settimo Sigillo, Turris,
Morganti;, E., mito, azione, civiltà, Rimini, Cerchio, Valento, Homo Faber, E.
fra arte e alchimia, Roma, Fondazione E., Ponte, E. e il magico gruppo di Ur,
Borzano, SeaR, Consolato, E. e il buddismo, Borzano, SeaR, Delle rovine ed
oltre, saggi su E., Roma, Pellicani. Turris, Elogio e difesa di E., IL BARONE e
i terroristi, Roma, Mediterranee, Romualdi, Su E., Roma, Fondazione E., Damiano,
La filosofia della libertà di E., Padova, Ar, Montonato, Comi-E.. Un rapporto
ai margini del fascismo, Lecce, Congedo, Dario, La via romana al divino: E. e
la religione romana (Padova, Ar); Germinario, Razza del sangue, razza dello
spirito, Torino, Bollati Boringhieri, Stutte, E. Dal dadaismo alla rivoluzione
conservatrice, Roma, Aracne, Cassata, A destra del fascismo. Profilo politico
di E., Torino, Bollati Boringhieri, Damiano, L'ora che viene. Intorno a E. e a
Spengler, Padova, Ar, Sandro Consolato, E., Roma, I libri del Graal, Conte, E..
Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Dana, E. e la
tentazione razzista, Mesagne, Sulla rotta del sole, Lombardo, E., gl’evoliani e
gl’antievoliani, Roma, Nuove Idee, Turris, Esoterismo e fascismo, Roma, Mediterranee,
Hakl, La questione dei rapporti fra E. e Crowley, Arthos, Rossi, Il razzista
totalitario, Catanzaro, Rubbettino, Iacona, Il maestro della tradizione.
Dialoghi su E., Napoli, Controcorrente, Tarquini, Il Gentile dei fascisti,
Bologna, Mulino, Iacona, E. e le vicende processuali legate ai Far, Nuova
Storia Contemporanea, Venzi, E. e la libera muratoria, Roma, Settimo Sigillo, Turris,
E. Un filosofo in guerra, Milano, Mursia, Guenon, Lettere a E., edizioni
Arktos, Heliodromos, Speciale E., Catania. Documentari Dalla Trincea a Dada di Murelli.
DVD dalla Società Barbarossa di Milano,
della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di E. Con musiche
di Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa. Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo
Tradizionalismo, Paganesimo, Via romana al divino, Fondazione E. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani,
Rigenerazion E. Centro Studi La Runa. Vatimmo, “E., un filosofo scomodo per
tutti”; Approfondimenti sul pensiero Rosati, Intervista a E., Monastra, E. tra
la seduzione e l’aristocrazia. Ognissanti, Luci ed ombre su E., salpan. Lombardo,
Da Rivolta contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Polia, Linee per
una critica al concetto di tradizione in E., Accame, E. e la Konservative
Revolution, Rimbotti, E. così com'è, Conte, Maschere di E. come percorso
controcorrente, Dugin, Astrazione e differenziazione in E., Opere dadaiste, futur-ism.
2artericerca. Interviste Intervista a E., su you tube Intervista a Tringali, su
youtube Intervista a Lami, su youtube Quando E. intervistò il conte Kalergi, su
rigenrazione evola. ROMA. E. parie
dall’idealismo: il mondo è per lui a rappresentazione dell’io. Ma poiché
l’io subisce Kfa rappresentazione del mondo come nn limite e wLffrc
in essa la sua passività, s’impone all’io l’obblitpi pratico di sciogliere la
sua passività in atti- vità riducendo il mondo sotto il comando suo,
[a- j rendo di esso l ' atto dell’Io. La tecnica di questo pro-
gresso di risoluzione del mondo nell’Io è data dal- l’Occultismo magico.
Dall’innesto dell’Idealismo classico con la Magia nasce /'Idealismo Magico di E.. irò
I; r„ Opere principali. Saggi sull’Idealismo magia. L’uomo
come potenza. Imperialismo pagano, Todi, Atanor; Teoria dell’individuo assoluto.
Fenomenologia dell’individuo assoluto. Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo, Torino, Bocca; L’indivìduo e il divenire del mondo, Roma,
Scienze e Lettere; La tradizione ermetica Bari, Laterza; Rivolta contro il
mondo moderno Milano, Hoepli. Ha diretto le riviste Ur e
La Torre. Dall'idealismo assoluto all’idealismo magico. La Grande
Solitudine. Una volta che l’io si sia costituito a principio a sè, a
centro distinto di autoriferimento. il fatto stesso che egli possa
comunicare con qualcosa di altro da lui, il fatto stesso che egli
possa in generale conoscere, appare come un singolare mistero. E poiché è
evidente che posto il soggetto da una parte, l’oggetto dall’altra non vi
è più alcun modo di intendere come quella lor congiunzione, in cui
consiste il conoscere, sia possibile; e poiché d’altra parte l’Io
ha preso ormai coscienza di sè e non può più tornare a quello stato di
ingem )4 adesione, di compenetrazione con le cose cli f era appunto
condizionato dal suo non esser.! si ancora posto; resta aperta una sola
via al problema della conoscenza, e cioè: negar,, che l’idea di una
realtà esistente in sè stessa abbia un qualunque senso, affermare che ]
a sostanza delle cose consiste semplicemente nel loro venire
rappresentate o pensate dall’io, intendere dunque che l’intero sistema
mondiale, nella ricchezza sterminata delle sue forme, con i suoi oceani,
i suoi soli e ] t . sue vie lattee, non è che un fenomeno, una
apparizione che è di questo Io e per questo Io, fuori dal quale non gli
si saprebbe coerentemente garentire alcuna consistenza. Lungo una tale
via l’uomo vede dunque venir meno progressivamente tutti quegli appoggi e
tutte quelle naturali evidenze su cui prima riposava — tutto gli si fa
ora dubbioso, problematico, contingente. Tutto ciò che sa, è che egli ora
si trova così e così determinato, che questa è la sua attuale esperienza,
queste le leggi e le categorie secondo cui egli si trova costretto
a pensarla. Ma circa il fondamento di tale determinatezza, di tali leggi
e di tali categorie, egli non sa nulla, e così nulla saprebbe garentirgli
che le cose, se così sono ed anche sono state nei casi osservati,
non possano ad un tratto cambiare, che ogni uni- L rI )iilà cd
ogni costanza non sia astratta e precaria, c h e, fondato su una radicale
contin- g c,lZ za, questo sistema di fenomeni e di cateti» 1
' j e non sia che un episodio fugace, disper- mia incoercibile,
imprevedibile vicenda. in Se, dopo di ciò,
l’individuo cerca ancora „ n punto fermo, egli soltanto nel suo io
può Irovarlo. Il mondo è una rappresenta- r joiie, sta bene: ma si
può forse parlare di Ljpprescnlazione, senza nello stesso punto
resupporre resistenza di un « rappresen tall- ite». di un soggolo cioè
che la rappresenti? [n mondo è un sogno: ma ogni sogno non im-
Iplica forse un sognatore? Si può chiamare f a | S o, illusorio, non
esistente l’insieme dell’esperienza — ma colui che sperimenta e afferma cotesta
falsità, illusione, non esistenza non può essere, lui, falso, illusorio,
non esistente. Di là dall’obliquità e dalla fluttuazione delle cose che sono e
non sono vi è dun- que una sola certezza: 17o. Soltanto qui l’individuo,
con un possesso, ha una realtà assoluta ed in sè stessa evidente. Di tutto il
resto _ dell’oceano sterminato dei nomi, delle forme e degli esseri — non
vi è reale certezza: parvenza, contingenza, violenza di un bruto,
irrazionale esser là, tali ne sono i princi- pi. * lo solo sono — il
resto è mia rappresentazione: in ciò si può dunque intendere la
conclusione del secondo stadio della storia della coscienza. Prima
di passar oltre, occorre rilevare v necessità che questo momento critico
deli storia ideale dell’individuo sia portalo e vk suto sino a
fondo. Non prima che egli abbj a di tutto dubitato e tutto negato, non
prima eh,, egli abbia fatto intorno a sè il deserto, noft prima che
di ogni realtà abbia sofferta I’j N realtà, di ogni evidenza la
precarietà, di ogi, luce l’oscurità: non
prima che egli abbia distrutto ogni appoggio e ogni rifugio ed abbj a
realizzato il punto della grande solitudine — non prima di ciò
l’individuo può chiamarsi veramente tale, non prima di ciò egli è un
essere autonomo ed autocosciente. È quest,, atto negativo, questo
assoluto strapparsi da quanto prima gli dava consistenza — che ora
lo fa essere. Così come secondo l’energico detto di STIRNER. L’io non è tutto,
ma ciò che distrugge tutto. Per questa assoluta negatività albeggia
nell’uomo quel principio tragico che — come è distintamente visto
dal buddhismo — lo fa superiore all’insieme della natura ed
allo stesso regno del divino. Si può precisare il luogo di un tale io come
segue. Ogni esperienza è inseparabilmente accompagnata dalla nota, implicita o
esplicita, di essere una MIA ESPERIENZA. Uauto-riferimento, l’ahamkàra della
metafisica indiana, è la condizione elementare, senza di cui non è
concepibile alcuna realtà, giacché la sola di cui posso concretamente
parlare è iella che, in un modo o nell’altro, si risolve r eal
|:l in ull a MIA ESPERIENZA [cf. H. P. Grice, “Personal
identity” “I” sentences, and deixis – PERRY]. Ora è possibile staccare cpiesto
principio di auto-riferimento dai particolari contenuti delle esperienze
per rilegarlo in un certo modo su sè stesso. Allora s i ha: IO — IO, cioè una
nuda esperienza, un possesso, qualcosa di semplice e d’ineffabile. Questa
nuda esperienza si presuppone,,|i fatto e di diritto, a qualsiasi altra
esperienza si può dire che essa è come la tela sul- i a quale poi tutte
le particolari esperienze si ritagliano: qui si ha quel veggente che
non -, mai veduto, quel conoscente che non è ina i conosciuto, quel
punto di centralità pura di cui parlano l’Upanishad, e rispetto a cui
ogni particolare esperienza, fenomeno o pensiero è un POSTERIVS, qualcosa
che viene dopo e che sta alla periferia. Si badi: qui non si tratta nè di
un io superiore, nè di un io inferiore, nè di un io empirico, nè di
un io trascendentale, — semplici nomi e astrazioni concettuali — bensì del MIO [H.
P. Grice, “I”, “me, etc.] I>>, di quella assoluta presenza che sono
nella profondità del MIO essere individuale. Ora che un tale IO [cf.
H. P. Grice, “I” sentences, and Personal identity] sia qualcosa di
immoltiplicabi- lr, qualcosa che è solo e senza un secondo, è troppo
evidente. Parlare di altri io da questo livello è infatti contradizione in
termini [“Nobody can express what I express when I say, “I intend to go to
London.” If someone says,
“Grice will go to London,” he is expressing HIS intention, not mine!”] Gli altri Io, in quanto sono altri, non sono IO,
bensì dei particolari contenuti p P senti nella MIA esperienza — dunque
degl’oggetti, dei conosciuti, al più il concett di un conoscente e di un
soggetto, non il sogetto [cf. Grice, “OBBLES AND SOBBLES”], non il conoscente
quale è in sè stesso (cioè: come auto-esperienza), che, come t a |^
esso è unico e incomunicabile. Fenomeni pJj tieolari in questo grande
fenomeno, che è il mondo a cui, come individuo, MI sveglio, altri io
– “il plurale di ‘io’, nell’uso filosofico che Flew critica da Jones, e “io” --
ne partecipano la contingenza, sono qualcosa il cui principio MI sfugge, di
cui non ho alcuna reale CERTEZZA [cf. Grice, “Intention and uncertainty”]--
forse che ara che i sogni non MIpresentano la parvenza di altri esseri
simili a ME? E non potrebbe essere la cosidetta esperienza reale un sogno
più po. tenie e costante impresso in ME, come lo suppose la scessi di
CARTESIO, da un qualche spirito? -- che cadono fuori da quel centro che,
solo, può costituirmi una terra ferma nel gran mare dell’essere. È questo un
punto su cui occorre richiamare particolarmente l’attenzione: colui che, o
per preoccupazioni morali e sentimentali — a dir vero riconnettentisi
alla precedente fase dell’evidenza naturale — o per insufficienza di
riflessione critica, non sia giunto ad estendere il dubbio sulla
realtà stessa degli altri soggetti, epperò a concepirli come
null’allro che MIE rappresentazioni, quegli non ha veramente condotto a
fondo quel distacco, di cui poco fa si è parlato, ep .SO però
non ha ancora perfettamente realizzala la pura essenza dell’individuale.
Costui non è ancora maturo per il passaggio alla terza epoca
giacché di nulla può avere assoluta I certezza quei che prima non ha
saputo di tulio dubitare. Passando dunque alla terza fase,
diciamo subito che in essa si ha un superamento del lato negativo
connesso all’adergersi dell’individualità. Come chi una avversa vicenda avesse
gittato sur una isola deserta [ROBINSON CRUSOE – Witters – Friday] incalzato,
di là dal primo sgomento, dalla volontà di vivere, va a cercare ed a
creare mezzi per una nuova esistenza, così l’individuo, che si sente
ormai solo con se stesso nell’intero ambito del mondo, può essere portato
a trarre dal proprio interno un principio che sa fissare una nuova realtà
di là dall’ordine della parvenza e della mera rappresentazione, in
cui ogni cosa ormai è andata sommersa. Questo principio è LA POTENZA DI
DOMINIO. L’IO di ROMOLO, infatti, non è una cosa, un dato, un fatto,
ma, essenzialmente, un centro profondo di volontà e di potenza. Come lo
dice FICHTE, egli non è, che in quanto si pone — e soltanto un puro
porsi è, a dir vero, il suo essere. Come tale si rivela, per un ulteriore
auto-approfondimento, la natura di quel punto fermo, che si è realizzato
nel secondo stadio. Ora questo punto fermo può comunicare la propria
consistenza a quel che non ne ha, e ciò evidentemente quando si vadano a
riprendere secondo il rapporto proprio ad una affermazione incondizionata dell’individuale
i vari ordini di quella realtà, che prima appare irrazionalmente, in
bruta contingenza, senza partecipazione della volontà dell’IO di ROMOLO, quasi
come in un sogno. Resta da procedere ad una determinazione di
questo stadio, tale che si definisca l’oggetto del presente saggio e cioè
il rapporto dell’individuo al divenire del mondo. Nel frattempo si può dire
quale è il criterio di certezza che si impone a questo punto. Esso
è espresso dal principio. Vi è assoluta certezza — ed è postulatile realtà
— soltanto di quelle cose, dell’essere o del non essere, dell’essere cosi
o dell’essere altrimenti delle quali l’IO ha in sé, in funzione di dominio,
il principio o la causa, delle altre, solamente nella misura di ciò
che in esse soddisfa ad un tale criterio. Queste cose dipendendo
infatti interamente dalla potenza dell’IO DI ROMOLO, partecipano
dell’intrinseca evidenza che è inerente al nudo principio di
questo. Volendo dunque sviluppare la posizione assunta dalla
coscienza nel terzo stadio, si ns idererà l’unica vera obbiezione
incontra- W dall 'idealismo assoluto. Nell’idealismo assoluto si ha la
dottrina che cerca di trasfor- I re in qualcosa di positivo quel lavoro
ne- 1,ivo di critica e di scessi che definisce il secondo stadio. E ciò
cessando di intendere I il mondo come un fenomeno, come una sem- jj
cC apparizione (unica legittima conclusio- I „ e dell’indagine critica)
per intenderlo invece [ come qualcosa di posto, di creato dall’IO.
Per- Bianto quando si parla non più di rappresenta- la bensì di
porre e di creare, entra in giuoco il concetto di una libera volontà, ed
allo- I rii sorge questo problema: lo posso ben ri- B durre il
mondo alla MIA ruppi esentazione, nui fino a che punto posso ridurlo
anche alla mia volontà ed alla mia libertà? Qui bisogna porre un
punto fondamentale, e cioè intendere l’essenziale differenza che
in- I lercorre fra spontaneità e volontà. Si ha spontaneità là dove il
possibile essendo identico al reale ossia dove quel che è essendo ciò
che soltanto puo essere, l’atto ha la forma di I una inconvertibile
compulsione, di un bruto accadere e scatenarsi, ed è passivo, impotente
rispetto a sè stesso. Invece nella VOLONTÀ vi f è una eccedenza del
possibile sul reale, non si passa cioè dal possibile al reale o
all’attuale [cf. Grice, “What is actual is possible”] immediatamente, ma un
punto di autarchia, di POTESTAS, domina l’atto come l’estrema, incondizionata
ragione del suo essere o del suo i 1(Jll essere, del suo essere così o
del suo essere altrimenti come alto che è solamente uno c| e j POSSIBILI,
anzi dei COMPOSSIBILI. È importante notare che tanto la spontaneità che
la volontà possono dirsi libere. Però, mentre nella spotaneità si tratta
di una libertà affatto negativa, di una libertà cioè che vuole
semplicenieji. te dire: non essere determinato dall’esterno, nella volontà
si ha una LIBERTÀ POSITIVA, una libertà cioè che significa assoluta assenza di
condizioni, siano esse interne che esterne, e quindi contingenza, o, se si
preferisce, ARBITRARIETÀ dell’atto. Una volta compresa questa
distinzione, che non poggia tanto su concetti e sottigliezze
intellettuali, quanto piuttosto sur un dato immediato di coscienza, sur
una evidenza interna che o si ha o non si ha, quando l’idealista assoluto di
contro al sistema della realtà afferma essere stato l’IO DI ROMOLO a
porlo, è evidente che egli si riferisce non ad una volontà, ma ad
una spontaneità. Egli si riferisce infatti a quell’attività onde le cose
vengono percepite e rese intime al nostro IO DI ROMOLO, a
quell’elementare assenso onde ci si accorge di esse — assenso che se è
condizione necessaria per ogni realtà, in quanto realtà sperimentata dall'IO
DI ROMOLO (e di altra realtà noi non possiamo coerentemente parlare), è
ben lungi dall’essere anche
r ^dizione sufficiente. Infatti nel rappresen- c, il
reale o l’attuale [cf. Grice, “What is atual is possible”] non è dominato dal POSSIBILE,
l’io passivo di ROMOLO rispetto al proprio atto — non tanto Lff ernia le
cose, quanto piuttosto è come se i L » cose si affermassero in lui. Come
la passione e l’emozione, la rappresentazione è sì qual-, sa di MIO, qualcosa
che IO DI ROMOLO traggo dal MIO proprio interno (e fin qui arriva la
legittimità dell’istanza dell’idealismo, del resto soddisfatta sin da Leibniz),
ma non è me, giacché jo non posso darla liberamente a me
stesso, giacché io non sto in rapporto di SIGNORIA alle
determinazioni d’essa, onde mi si dispiega lo spettacolo della realtà che
è questa realtà, |l0) i la realtà che IO DI ROMOLO voglio.
Conseguentemeu- i c; in tanto l'idealista può dire di essere stato
[lo a porre la natura, in quanto egli riduce l’IO DI ROMOLO a natura, cioè in
quanto di quello, che c libertà, non sa nulla, o, per meglio dire,
fa come se non sa nulla, e, con evidente paralogismo, mutua il
concetto dell’IO DI ROMOLO con quello del principio di spontaneità. Posso
dire di essere stato IO DI ROMOLO a porre la natura, ma IO DI ROMOLO in
quanto sono spontaneità, non in quanto sono propriamente un IO DI ROMOLO,
e cioè libertà e DOMINAZIONE. E questo è il primo punto. Il realista o
l’attualista, riferendosi propriamente al punto della reale o attuale
individualità, avanza dunque una istanza che è interamente legittima. Egli
ci pone dinnanzi ad una qualunque contingenza dell’esperienza, per es. dinnanzi
a,| una tempesta, e ci domanda se possiamo ( |j. re di essere stati noi a
porla. Mentre q U j l’idealista risponderebbe con
l’affermativa e ciò perchè per lui porre significa semplicemente
rappresentare C o a libera necessità
— noi invece, riferendoti ad un porre che il principio del dominio
dell’incondizionata libertà comandi, risponderemmo. Ciò, in verità, non è posto
dall’IO DI ROMOLO. Altro non chiede il realista per dire subito. Poiché ciò non
è posto dall’IO DI ROMOLO, vi deve essere un “altro” a porlo— ed
inferisce ad una causa reale o esistente in se stessa delle
rappresentazioni, quale il divino, la materia, il noumeno, ecc. Qui sta
invece l’errore e il punto su cui ci si permette di richiamare
tutta l’attenzione. Dire che IO DI ROMOLO, come lo, cioè come
principio sufficiente e libero, non posso riconoscermi come causa
incondizionata delle rappresentazioni, non vuole affatto dire che queste RAPPRESENTAZIONI
sono CAUSATE da altro e abbiano per substrato delle cose reali o
esistenti in sè stesse, ma vuole semplicemente dire che io di ROMOLO sono
insufficiente ad una parte della MIA attività, la quale è ancora
spontaneità, che una tale par- te non è ancora MORALIZZATA, che l lo come
libertà in essa soffre una PRIVAZIONE. Tutto ciò su cui non posso, tutto
ciò che re- 5 j e a iia mia volontà, non è che una privazione
di questa volontà stessa, qualcosa di ne- (ivo, non un essere, ma un
non-essere. Per- il realista va respinto par ime fin de non
ecevoir: egli nel suo riferirsi ad un altro – il divino, noumeno, sostanza, REMO,
ecc. — fa del non- ^sere un essere, chiama reale ciò che essen- j 0
solamente una privazione della mia potenza, essendo nuH’altro che una negazione
ed ’ vuoto nel corpo immoltiplicabile della MIA attività, si dove invece,
secondo giustizia, dire irreale o inattuale, o impossibile. Così conferma
questa privazione slcssa così
{ugge-, all’atto che, dominandole, possedendole, annulla le cose (1) e
redime la privazione, egli invece sostituisce l’atto che le
riconosce e che dà loro superstiziosamente un essere e una realtà
autonoma. Proprio al primo atto si appunta invece il criterio di CERTEZZA
[cf. Grice, Intention and Uncertainty] della terza delle fasi indicate: esso
chiede cioè che l’Io di ROMOLO libero e nudo dell’individuo puo veracemente
affermare il principio dell’idealismo assoluto, epperò dire. In verità,
io di ROMOLO stesso son la causa ed IL SIGNORE di questo mondo, in cui MI
vivo. Ma quando è possibile affermare ciò? Evidentemente quando l’individuo
abbia redento in un corpo di li- ti) Naturalmente: le annulla in quanto
sono altre, per affermarle invece come gesti di una vulon- U)
potente. berla l’oscura passione del mondo, quando ha fatto passare
la forma secondo cui egli vive l’attività rappresentativa
(quell’attività cioè per cui si forma in lui lo spettacolo dell’universo),
da spontaneità — da coincidenza di possibile e reale o attuale— a nuda,
incondizionata causalità, cioè a: volontà potente. Ora che soltanto
in una tale veduta l’atto dell’individuo abbia un valore cosmico, e
che invece in quella del realismo all’attività venga tolto ogni vero
senso e scopo, può risultare ad ognuno chiaro. Infatti l’attività ha veramente
un senso ed un valore soltanto là dove vi è da far reale qualcosa, che già non
e tale. Questo caso si verifica appunto là dove l’altro — ossia ciò
che rispecchia il limite Come questa trasformazione, che
affermiamo essere non un mito, ma possibilità reale, possa poi praticamente
compiersi, è un problema da noi trattato almeno nei limiti in cui sia possibile
pubblicamente e genericamente trattarlo — altrove, c che qui non trova
posto. Si può dire soltanto che è un compito a cui nè cultura, nè
devozione, nè FILOSOFIA, nè arte, nè morale, nè nient’altro di ciò che
gli uomini chiamano spiritualità, può portare il menomo contributo. Quanto alla
FILOSOFIA, il suo limite è l’idealismo magico, in cui perviene a
riconoscere la propria insufficienza e a postillare la realizzazione della
potenza come ciò in cui i suoi massimi problemi possono trovare l’unica
assoluta loro soluzione. Ella mia,i,)erla — venga inteso non come
"f 1 realtà bensì come una negazione ed un K » 0 - allora il mondo
appare come qualco- ' l \]i incompleto, come qualcosa che chiede E
u a integrazione a quell’atto dell’individuo, ILe 1«necessità si fa
libertà, a quello f ii u pp° deir auto-affermazione onde l’attuale
potente dell’unico si estenda e riaffermi r q U anto ne è la privazione.
Se invece si po- f c i K . 1’ altro in quanto tale — cioè pro- |Ljo
come quel PRINCIPIO CHE LIMITA LA MIA LIBERTÀ — sia non una privazione e un
non-es- bensì una positività e una realtà — alloro tutto è già perfetto,
tutto è già essere, e „on occorre far altro. Ogni scopo ed ogni valore
dell’attività e del divenire, ogni responsabilità vengono meno — giacché i
vuoti del ìmio essere non sono anche vuoti dell’essere in generale:
l’altro, con la realtà attribuitaglili riempie. Invece nell’altro caso tutto
il inondo appare come una oscura, dolorosa richiesta all’Io affinchè
questi si dia a sè me- desimo secondo potenza e, in ciò, lo attui
nell'essere, in ciò lo redima dalla privazione, in ciò lo faccia reale. E
il divenire — CIÒ CHE IO FACCIO — ha allora un valore, un valore
cosmico. Esaminando più da vicino la posizione realistica, si vede
che essa si fonda su questo presupposto: che una attività imperfetta, una
attività limitata da per sè stessa non poJ sa venire concepita, che non
appena sia p r .ì sente una attività limitata si debba snjjju
pensare a qualcosa che sia causa di questa limitazione. Infatti così sta la
quistione nel problema della conoscenza: nelle cose vi è Utl aspetto per
cui esse indiscutibilmente dipendono dall’attività dell’Io di ROMOLO, aspetto
che si rifcrisce al loro venire in generale rappresentale o sperimentate;
ma vi è anche un secondo aspetto, che rappresenta un lato negativo
nell’attività dell’Io di ROMOLO, riferentesi appunto aU’in 1J)(> .
tenza di percepire, non percepire o trasmutare la percezione come si
vuole. Ora su che cosa si basa il realismo? Appunto su ciò, che à sente
il bisogno di dare una spiegazione a questa limitazione, che esso non
vuole ammettere che una attività limitata, cioè una attività incompleta, sia
ciò che sta prima, e quindi sente il bisogno di spiegare la limitazione
con qualcosa di altro. Si riferisce dunque ad una realtà distinta
dall’IO DI ROMOLO come causa delle rappresentazioni. Ma un tale
presupposto ilei realista è ciò che vi può essere di più
contestabile. La concezione a cui si rimette è questa: che ciò che
sta prima debba essere l’assoluto e che tutto ciò che è particolarità e
finitezza non sia concepibile altrimenti che come una negazione
operata da parte di un altro. L Ila pienezza di questo assoluto
preesisten- tratta cioè della posizione platonica e te -noziana,
espressa dal principio: Ciò che ' veramente, è l’universale; il
particolare da 1 ' s è stesso non esiste, cioè: in ciò che esso .
l’universale, e in ciò che è propriamente Articolare non è, è fredda e
piatta negazio- r s Ora ad una tale concezione si può con- Lmporre
l’altra, secondo cui non si va a pre- ' apporre 1’assoluto di BRADLEY al
finito e al Particolare’ f. aim nette invece che ciò che sta prima
sia precisamente il finito e il particolare, intesi \ r ò non come
qualcosa di in sè contraditto- Ijjjo bensì come qualcosa di incompleto,
non conni qualcosa che non esiste da sè stesso, bensì come qualcosa
che già in una certa misura possiede l’essere e rispetto a cui l’assoluto non
ne sarebbe la negazione, ma lo sviluppo- P unto in cui esso va a rentlere Per
' folto il proprio principio secondo un processo continuo dal meno al più,
dalla potenza all’atto, da un grado più povero ad un grado pii,
intenso di attualità e di essere. Ora in una tale concezione — che si
impone dovunque sviluppo, sintesi e divenire non siano un vuoto nome — a
ciò che viene prima, in quanto viene prima, inerisce un certo grado di
privazione, il quale gli è naturale e in nessun modo chiede di venire
spiegato. La sua spiegazione, se mai, non sta indietro — in un assoluto
limitato dalla potenza di un altro — bensì avanti — nel processo
dell’incornpi^ to che si integra, della potenza che arde nel
l’atto, onde non vi è propriamente da spiega re, ma da agire, da
procedere in una più j, tensa affermazione. E’ importante notare la
relatività del conte!, to di privazione. Un dato elemento non è mai p ri
. vazione in sè, ma sempre in relazione al valore del- Pautarchia.
Il passaggio ad un tale valore fa di q ll(,| che era positivo come
spontaneità qualcosa di ne- gativo e di in potenza rispetto al punto
ulteriore. Cosi pure per chi non vuole passare dal punto di vista logico
a quello della volontà il concetto di privazione non è intelligibile, ma
allora l’idealismo astratto resta l’ultima istanza. Quando si crede di
superare la presente dottrina spiegando la privazione con una realtà
distinta, non si fa un passo avanti ma un passo indietro, giacché si [
a uso della categoria logica della causalità, con il chi- questa
stessa realtà diviene condizionata, logicamente posta dall’io. E il cerchio si
richiude e il livello critico resta il limite. Si passa invece oltre per
un assoluto positivismo. Quale è la differenza fra una cosa reale ed
una imaginata? Rappresentate, lo sono tutte e due egualmente; ma di là da
ciò l’attività rappresentativa a cui corrisponde la cosa reale è una
attività rispetto a cui sono impotente. Vi sono elementi su cui non
posso. Questo è tutto. Il problema di interpretare questo non-potcre
non lo risolviamo, perchè non lo poniamo e anzi tacciamo d’intellettualistica,
d’astratta, d’irrile- Si può dunque contestare il presupposto
lei realismo, si può non concedere il concel- |. gpinoziano del finito
come negazione su : peso si basa. Poiché le cose sono, in
quan- cu ^ f anzitutto sono rappresentate, cosi che un ole
rispetto a ciò che davvero importa a questo unto ogni ricerca di tale
genere. Questo è un punto fondamentale. Noi affermiamo che la
spiegazione EL] fatto che si è impotenti in certe situazioni
con ricorso ad un altro — cosa in sè, Dio, storicità dello spirito et
similia — è una psendospie- Laziorie, anzi un circolo vizioso per questo:
che in noi il concetto d’altro trae il suo senso e il suo
fondamento dal concetto di non potere, il quale l ciò che sta prima e di
cui oggettività, cosa in sè, ilio. ccc. non sono che tanti simboli e
traduzioni intellettuali. Le cosidette cose reali sono simboli,1,1 mio
non-potere, della mia privazione. E’ perché sperimento una privazione che
chiamo reale una cosa c non viceversa. La privazione spiega
il concetto di una realtà oggettiva e non la realtà oggettiva il concettò
di privazione. Segue da ciò una dichiarata professione di agnosticismo, un
arreco dinnanzi al nudo fatto del non-potere con rinuncia a spiegarlo come che
sia? Niente affatto. Ciò che neghiamo (non perchè non ne possiamo
dare una, ma perchè tali spiegazioni non ci servono e non ci
bastano) è la pseudo-spiegazione intellettuale, che lascia i fatti come
sono, che non trasforma il rapporto reale della mia potenza con le cose.
Si crede sul serio che la miseria e la contingenza che dannano
l’essere finito sono in qualche cosa rimosse quando le si spieghino con la
materia anzi- grado di attività e però di positività è già implicito;
poiché l’io si può sperimentare immediatamente come una energia, come un principio
di azione, come qualcosa che non chi e . de ad altro il suo essere;
poiché di diritto non esiste un limite inconvertibile per lo sviluppo, del
potere; non vi è alcuna necessità di trascendere, in ordine al problema del
conoscere, il concetto di una attività imperfetta (quale è la spontaneità
rispetto alla volontà) che solo, ci viene imposto da un esame
positivo e spiegare la rappresentazione con il riferimento realistico ad
un altro che la causi e la sottenda. In ciò si avrebbe non tanto
una che con Dio. con l’io trascendentale anziché con la materia, e
cosi via, in simili cattive e a buon mercato astrazioni? La spiegazione che
l’idealismo magico esige è ben altra. È una spiegazione mediante
l’azione, una spiegazione risolutiva. È explicare, ossia attuare, rendere
perfetto: far passare in atto ciò che è in potenza, in perfezione ciò che
è imperfezione, in sufficienza ciò che è insufficienza, secondo un processo
sintetico, originale, creatore. Questa è la sola, vera spiegazione. Il resto è
passatempo. Noi aspramente combattiamo tutta la rettorica
intellettuale e filosofica onde l’uomo si indugia a discorrere intorno
alla sua impotenza (ciò noi intendiamo quando ci si parla di verità,
razionalità, ecc., anziché balzare finalmente in piedi, impugnarsi e,
ardendola, farsi ciò che in sé è: un Dio, un costruttore del mondo. Baione
intellettuale, quanto piuttosto il Rfjsnia infingardo di colui, che,
insufficiente, dall’atto. perciò la concezione che si presenta al
ter- s tadio dello sviluppo dell’individuale è, tj complesso la
seguente: un continuum di Eit’vità che ha per limiti da una parte la
spon- f c ità, dall’altra la volontà libera. La spon- r c jtà è
l’universale, la volontà libera l’individuale. Questi limiti stanno fra loro
come po- I a adatto: tutto ciò che nell’esperienza è Eretti vità,
immediatezza, necessità, è, rispetto al punto dell’individuale, il non-essere
ine- [fcnte a ciò che è in potenza — e qui si com- anderà forse a
che cosa alludessero certi fistici quando parlano dell’oscura passione
del mondo, dell’indicibile sofferenza dell’esistenza in cui il corpo dell’uomo
I celestiale è crocifisso. Di una tale tenebra, di una tale privazione, la
libertà è l’a//o e la Lm ma luminosa; e il mondo diviene, si fa
reale secondo realtà assoluta soltanto in e per questa fiamma, cioè
soltanto nella misura in cui l’individuo, affermandosi nel punto
della potenza e della dominazione, consuma, arde la sua originaria
natura, fatta di spontaneità. Da qui un punto fondamentale. Solamente
nell’individuo assoluto, solamente nell’autarca il mondo diviene reale. La
sufficienza che egli si dà a sè stesso dà alla natura un essere, una
consistenza, una certe?*., e una ragione che essa, prima di lui, non p 0
. siede già, ma chiede. Onde cercare la verità e la certezza nella
natura è un assurdo: <jj ac> che la natura in quanto tale è
privazione axépTjotc e la certezza e la verità non l’ha i n sè, ma
nell’individuo, epperò in tanto Pi la in quanto l’individuo se la dia a sè
stesso. Il mondo è, soltanto se egli è. Ma questo essere egli non potrà
mutuarlo da nulla, chè, avuto la altro, esso non è più essere,
essere essendo soltanto ciò che è da sè stesso < xxil’ aùtó). Se
dunque egli non si fa il salvatore di sè stesso, nulla mai potrà
salvarlo. È così che la spiegazione e la verità non stanno
dietro, ma avanti — e non in un dedurre, ma in un passare all’atto.
Tutta la natura, insieme d’esseri condizionati, insieme d’esseri che si
rimettono ognuno ad altro da sè, gravita sull’individuo: quei che non ha
bisogno di nulla, quei che non si appoggia su nulla — è ciò di cui
tutti gl’esseri hanno bisogno, su cui tutti gl’esseri si appoggiano e con
cui, nella misura in cui essi sono, sono uno. Egli solo, come colui che
ha in sè stesso il proprio principio, come colui che è ente di possesso,
clic è persuaso, sostiene il peso del mondo: a lui, che consiste, il
processo universale si appen- de e in lui trova la sua condizione, ciò
per cui dall’eternità è, ed in cui ha la sua destinazione finale. Perciò
solamente nel punto in cui l’individuo si attua nella
folgorazione jello potenza sorge una finalità, una ragione f ii uno
scopo nella natura: non prima; è lui che gliela dà. Essa la chiede al suo
atto. Epperò un solo imperativo ha ormai l’indivividuo. «SII, fatti DIO, e in
ciò fa essere, SALVA il mondo. Il mondo, atto dell’Io. A lumeggiare
questo punto, connettiamo due ultime considerazioni, riguardanti
l’una il problema dell’essenza e dell’esistenza, l’altra quello dell’uno e
dei molti. Le cose sono essenza ed esistenza. L’idea di cento talleri
e cento talleri reali non sono evidentemente la stessa cosa. Pertanto
nei cento talleri reali, così come lo mostra KANT, non vi è
logicamente compreso nulla più che non sia nell’idea dei cento talleri.
Ne segue che in tanto si fa differenza fra gl’uni e gl’altri, in
quanto ci si riferisce a qualcosa ili irreduttibile all’elemento logico.
Questo qualcosa è 1’esistenza, opposta all’essenza, o, più rigorosamente,
l’ESSE EXISTENTIÆ opposto all’ESSE ESSENTIÆ. Ed ora un secondo punto.
All’essenza, al che cosa è di una determinata realtà
principio esplicativo è il concetto: quando una realtà venga
mediante il concetto geneticamente costruita in tutte le note che la
individuano, l’istanza esplicativa nell’ordine dell essenza è esaurita.
Pertanto ch’un oggetto di cui si sia interamente penetrato ciò che è,
sia, il nudo fatto del suo esser là come oggetto reale, ciò
costituisce un punto che sfugge interamente alla spiegazione razionale, è un
àXcyov — e principio esplicativo ad esso adegualo è non il concetto,
bensì la volontà o, per meglio dire, la potenza. Infatti il puro essere delle
cose costituisce per me un mistero fin quando esso ha carattere di
bruto dato, di qualcosa che è là senza partecipazione del mio volere,
imponendosi anzi secondo violenza a questo. Breve: come una privazione della
mia attività. Mentre l’essenza posso pensarla e quindi costruirla, l’esistenza
semplicemente la patisco — e per questo mi costituisce una oscurità. Si
imagini invece una situazione in cui puo connettere Tesserci delle cose al
loro volerle incondizionatamente, cioè in cui la mia volontà avesse
valore di potenza creatrice. Allora la loro esistenza di fatto di là
dal loro concetto cessa d’essermi un mistero, essa al contrario mi è perfettamente
intelligibile — essa è spiegata. Essenza ed esistenza hanno dunque per
rispettivi principi esplicativi la costruzione ideale opera del pensiero e
la causazione reale l"[ 0 pera della volontà. E questo è il secondo
punto. Il terzo punto è il seguente, che fra costru- F" nza od
esistenza — non vi è differenza di « nnlinnlo /lì errarlo I .MHpa ò fTÌà
1111 ideale e volontà creatrice — quindi fraatura. ma soltanto di grado.
L’idea è già un dell’affermazione reale; e la cosiddeta realtà oggettiva
non è che l’affermazione pii 1 intensa e completa di quella
potenza che forma elementare, determina LA COSA sempliceinente pensata o
RAPPRESENTATA. La realtà non è che l’atto dell’idea, ciò in cui questa
individua ed esprime interamente sè, cosi copidea non è che una realtà in
potenza, os- sia U na realtà semplicemente abbozzata o al- lo stato
nascente. Fra l’una e l’altra non vi è dunque salto, vi è invece
progressività. Il penderò di cento talleri e cento talleri reali non sono
evidentemente la stessa cosa — ma ciò n0 n qualitativamente -- cosi come
potrebbe pensare chi crede che il pensiero, anziché un'impotenza,
sia l’imagine impersonale di una realtà oggettiva -- ma intensivamente,
nel senso che i cento talleri reali sono la più profonda, intensa potenza,
relativa propriamente all’atto magico, dell’affermazione corrispondente ai
cento talleri pensati. Ed ora uniamo questo risultato a ciò che si è detto poco
la. Vi è una esistenza che è morte, privazione, irrealtà — e tale è
quella corrispondente spontaneità rappresentativa, residuo .yl
prima epoca, in cui l’atto è passivo rispep sé stesso, die l’io non domina come
il SUo gnore. Di questa esistenza non vi è certeàjj vera: non dipendendo
da me come la n»« ne o 1 emozione, essendo un puro accade un
principio di radicale contingenza la ripr e i de. Vi è invece una seconda
esistenza, che i quella che una volontà elevatasi a pot eri2 può
incondizionatamente produrre: sola mi! te questa è propriamente
esistenza, realtà ajJ solida, e solamente di essa — ove si trova L
nn giunto soltanto con se stesso in un possesso ed in un dominio —
l’io può avere una reale certezza. Fra l’una e l’altra di tali esistenze
vi è l’attività mentale propriamente detta. In altre parole: di là dal limite
ideale del regno della pura necessità — della natura e della spontaneità —
come di là dalla sua privazione, l’individuo fruisce nell’ordine
razionale o ideale di un primo grado dell’attualità sufficiente e della
libertà. Questo grado procede verso la sua perfezione nello sviluppo secondo
cui la potenza si riafferma in livelli sempre più complessi e profondi
della spontaneità — dell’antica natura o dell’universale — fino a
dominare lo stesso grado intensivo dell’esistenza reale. Allora da oscura
passione e da feroce deserto fatto di pii- Rione, il mondo si fa l'atto
stesso dell’individuo, ed in ciò è redento e persuaso Ji l'individuo assoluto. Si può
raccogliere insieme nel modo sedente quanto si è detto. Il punto di
partenza è l’universale, il qua- L nell’ordine della realtà non
costituisce il grado più ricco — come lo vuole il platonico — ma invece
il grado più povero, non il punto di arrivo, il TERMINVS AD QVEM, ma
il punto di partenza, il TERMINVS A QVO. In esso s j ha infatti il
semplice stato dell’essere che trova sè stesso, che è pura spontaneità,
che nini si possiede ma, semplicemente, è. Stato di pienezza e di
luce per l’io non ancor nato, t presso al punto dell’individuale esso
appare invece come oscurità e morte. Cosi in un primo momento esso si
dissolve nel mondo della parvenza e della mera RAPPRESENTAZIONE. In
Jan secondo momento viene sentito come passuine infinita, come il dolore cupo e
muto della privazione, come l’indicibile crocifissione nel mondo della
necessità. Ma, nata da lui, questa morte l’individuo la assume ora
con gioia. Egli è sufficiente ad essa. Egli sa che soltanto il suo
proprio, sovrannaturale valore l’essere fatto di possesso ne è la
causa; egli la riconosce come la materia, dalla q a . lo soltanto
egli potrà trarre lo splendore <ij una vita e di una realtà assolute.
Ed allora l’oscurità gradatamente si illumina, allora dall’abisso
della necessità sorge il fiore ferribile dell’individuo assoluto. Egli si erge
lentissimamente nel cielo senza stelle, liacndosj dalla vampa di ciò che
egli divora nella sua potenza. Le cose e gli esseri muoiono nell’intensità
vertiginosa di lui che, gradatamente, irresistibilmente, diviene — che,
spaventevoh nella sua purità, è signore del Sì e del K? Dominatore dei
tre mondi. E in lui, ente di possesso, ente che arde e fiammeggi,
il processo dell’universo avrà con il suo allo, la sua consumazione o
perfezione tinaie. Questo è, ad un dipresso, il senso del sistema che io
sostengo; nel quale da una parte ho cercato di fondere il problema
gnoseologico e il problema ontologico con quello etico e della
autorealizzazione o magico; dall’altra, di rivendicare il valore
dell’individuo e di fargli nascere la coscienza del suo compito e della sua
dignità cosmica. E’ ciò che io riconosco come verità, o, per meglio dire,
è ciò che io voglio come verità. L’individuo e il divenire del mondo, Roma,
Libreria di Scienze e Lettere. Race and the Myth of the Origins of Rome In his Life of ROMOLO, PLUTARCO
writes: ROMA would not have risen to such power had it not had, in any way, a
divine origin, such as to offer to the eyes of men something great and
inexplicable. CICERO repeats the same thing (Nat. Deor.) and then goes on to
consider (Har. Resp.) the Roman civilisation as that which surpassed every other
people or nation through sacred knowledge -- omnes gentes nationesque
superavivums. For the ancient Romans, SALLUSTIO has the expression “religiosissimi
mortales”. On the other hand, in our day, all of that is fantasy or
superstition for many serious persons and critical minds. The facts are the
only thing that count for them. The mythical traditions of the ancients have no
value, or they have it only insofar as it is supposed that, here and there,
they are confused reflections of real events, that is to say, tangibly
historical. There is, in that, a fundamental misunderstanding that is denounced
by Vico, then by Schelling, still more recently by Bachofen and, finally, by
the most recent school of the metaphysical interpretation of myth, and by those
little known today (Guenon,Otto, Altheim, Kerenyi, etc.). According to all
these philosophers, a mystical tradition is neither an arbitrary creation more
or less on the poetic and fantastic plane, nor a deformation or transpositions
of a historical element.. Especially in regard to origins, Bachofen points out
that a symbol or a legends, if only in a dramatised form, may represent
actually and truly the history of the beginnings of a nation. Not the history
of events occurring materially on earth, but rather of spiritual processes that
give birth to a people alongside other people although different in culture and
civilization. This is history, so to say, of its prenatal period. Legend and
history are tightly connected. The former proceeds through interiorisation and
is dispersed through images. The latter proceeds through exteriorisation as
facts, an action, or an event. An image is the result of a formative living
force. A fact is organised by human thought. In a legend, one is transported by
a formative force. In history, there is premeditated organisation of facts. But
the legend is a part and the root of history. A legend is not poetry. Rather, a
legend is a reality much vaster than history itself. The threads of the destiny
of a people that unravel in the most various ways in their historical
development go back to an impulse, to the creative sphere, to which the HERO of
its legend is connected. Bachofen thus reveals that, even at the point in which
evidence, by being recognised as a LEGEND, comes to be rejected by profane
history, even when it is a positive witness to the spirit of a people. In that
way, a study of a mystical tradition, using a different criterion, may lead us
to an interesting conclusion from the point of view of a theory of race that is
similarly not defined by the material aspects of the issues, but also addresses
the inner reality of race. We want to illustrate this interpretative method
with the birth of Rome -- applying it
precisely to the exegesis of the legend of our origins. The legend related to
the birth of Rome concentrates such a quantity of sensitive elements based on
general meanings of civilisations and mythologies of the Aryan people, that a full
seminar would be necessary to analyse them and clarify them adequately.
Therefore, I shall point out here only the most notable themes, among which
are: the miraculous birth, the theme of being saved by the waters, the wolf,
the tree, the rival pair of twins. The legend of the union of a god with a
mortal woman, in the present case, of MARTE with the vestal RHEA SILVIA, form
which union ROMOLO and REMO are born, recurs in almost all traditions in regard
to the birth of a divine heroes. GIOVE and LETONE give birth to APOLLO, GIOVE
and Alcmene to ERCOLE -- ERCOLE being the symbolic hero of the Doric-Achaean
Aryan peoples, and Apollo having a connection with the land of the Hyperboreans
and with the primordial Nordic-Aryan races. An analogous origin, in properly
Germanic traditions, is attributed to the heroic peoples of the Volsungs, to
which Siegfried belongs. In the ancient royal Egyptian tradition - whose remove
origin can with good reason also be considered to be Aryan and
Atlantic-Occidental - every sovereign is thought to have been begotten by a god
uniting with the queen. This is a mystical tradition in which the hidden
meaning of the LEGEND comes to the fore, inasmuch as a miraculous birth without
the help of a man, of a human father, is imagined. Since the queen has her
consort, the idea that her son was conceived by a god, being awaken to life by
her husband, could only indicate that he, not in his moral part, but so to say,
in that eternal and divine part, had to be thought of as a type of incarnation
of a decisive supernatural element that came to confer a royal dignity on him.
In the case of ROMA, therefore, MARTE is such an element from above, that is,
the divine representation of the principle of warrior virility. Such a force
stands therefore at the origins of the Eternal City and at the basis of its
secret origin, veiled by the legend: so that in some traditions form the era of
the Roman Republic itself, it will be directly conceived as the son of MARTE.
And this MARTE force is associated with those who may be the guardians of the
sacred flame of life; symbolically, with a vestal (RHEA SILVIA). The twins ROMOLO
and REMO are abandoned to the waters and are saved from the waters. Here again
is a symbolic theme recurring in many traditions. Moses is saved from the
waters, the Indo-Aryan hero Karna is left in a basket in the river and is saved
from the waters, and so on. But the symbol contained in the most ancient Aryan
tradition is especially important, i.e., the Vedic tradition, in which ascetics
are depicted as supreme natures who stand on the waters. Analogous explanations
and, therefore, the hidden meaning of such a symbol, can be clarified as
follows. The waters have traditionally always depicted the current of time,
i.e., the basic element of mortal, unstable, contingent, passionate, fleeting
life. The weak man is taken from the waters and carried from the waters. The
seer or HERO, the ascetic or the prophet is saved from the waters, or is
capable of standing on the waters, or of not sinking in the waters. Hence, in
the legend of the origins of Rome, this symbol must again characterise the
divine element of the founder of Rome, his, so to speak, super-natural dignity.
The twins find refuge near the fig tree – the “ficus Ruminalis” -- and are
suckeld by a wolf. The word “ruminalis” contains the idea of feeding: the
quality of “ruminus”, related to GIOVE, alluded to the quality of nourisher:
the god who gives nourishment in Latin. But this is the most elementary aspect
of the symbol. In general, in the most ancient traditions of the Aryan race,
the tree is the symbol of universal life, it is the tree of the world or the
cosmic tree. If it is in the form of a fig tree as it appears in the legend of
Roman origins, precisely as a “fico indico”, the Banyan tree, the ashwattha
tree - it is depicted as upside-down in the Indo-Aryan tradition to express
that its roots are from above, in the heavens. The idea of a mystical flood
from the tree is an often recurring theme: the myth of GIASONE, ERCOLE, Odin,
Gilgamesh, etc. Naturally, according to the races and their spirit, this then
present diverse variations. We know from the Hebraic myth that to pick and eat
from the tree in order to make oneself like god is considered as the principle
of guilt, abuse of power, and a curse.Things are conceived in a very different
way in the myths of the Aryan race and even in the paleo-Chaldean myth of
Gilgamesh. Also, in the legends of the Ghibelline Middle Ages, the heroic theme
prevails and the tree often appears as that of the universal empire, reaching
it in the symbolic lands of the mysterious Prester John means insuring the same
dignity that the ancient Ario-Iranian rulers associated with the title of king
of kings. Returning to our subject, in the legend of the twins at the origins
of Rome, we therefore have the allusion to a supernatural food from the Tree -
but also the Wolf. The symbol of the wolf, considered in its entirety and in
all the stories that refer to her, has an ambiguous character. LUCIANO and
GIULIANO recall that, in the ancient world, on the basis of the phonetic
resemblance between the two words, the idea of the “lupa” and of “luce” are
often associated – “lykos” – lizio --, which in Greek means wolf, sounds like “lyke,”
light. But there are also figurations of the wolf a sa hellish animal, as a
dark force. The wolf thus appears to us in the double aspect, symbol of a
ferocious and savage nature and also as the symbol of aluminous nature. This
duality is verifiable, not only in Hellenic-Mediterranean prehistory, but also
in the Celtic and Nordic. In fact, on the one hand in the Nordic-Celtic and
Delphic cults the wolf is connected to Apollo, i.e., to the Hyperborean,
Nordic-Aryan god, simultaneously conceived as the solar god of the golden age
and significantly associated by VIRGILIO with ROMAN greatness. “Sons of the
wolf”, on this basis, was a designation for warrior and heroic peoples of
Nordic-Germanic origins, designations that persisted even up to the epoch of
the Goths and Nibelungs. Yet, on the other hand, in the Edda, the age of the wolf
signifies a dark age, marking the epoch of the outbreak of savage and
elementary forces, almost of the power of chaos, against the forces of the
divine heroes, or Aesir. Now we can certainly also relate this quality to the
principle that, according to the legend of origins, fed the twins insofar as we
see it reflected in their very nature, that is, in the antagonistic duality of ROMOLO
e REMO, as related to us in the legend. As others already noticed, so also the
theme of a single principle from which an antithesis is differentiated, whether
depicted by the antagonism of twins or, in general, of a couple, is found again
in many traditions, and not rarely in respect ot particularly significant
moments for the origins of a given civilisation, race, or religion. For
example, we only recall that in the ancient Egyptian tradition Osiris and Set
are two brothers of discord - conceived as twins - and one incarnates the
luminous power of the sun, the other, a dark, “infernal”, principle, whose
generation is called the “sons of the impotent revolt”. Does not something
similar also show through perhaps in the ROMAN legend? ROMOLO is the one who
marks the contour of ROMA as the meaning of a sacred rite and a principle of
limit -- of order, of law - having received the right of putting his name to
the city form the apparition of the solar number, of the XII vultures. REMO is,
instead, the one who violates such a limit and is killed for this reason. One
could say that the primordial force of Roman origins thus are differentiated
and destroys the dark powers that are contained in themselves, affirms in its
luminous aspect of order, Olympian denomination, purified warrior force. There
have been attempts to see in the contrast between ROMOLO and REMO the
reflection of the contrast between opposed Aryan racial forces, or of the Aryan
type, and non-Aryan or pre-Aryan types. Research of this kind is without doubt
interesting. Problematic in its conclusions, if it intends to remain
exclusively on the plane of material facts, or archaeological and
anthropological evidence. It has greater possibilities if it also penetrates
legend in order to extract elements that integrate research in other domains.
Naturally, in order to accomplish that, it also needs to resolve to outline
general frameworks of various aspects of ancient Roman society, considering,
for example, with various philosophers, somewhat probable that the social
system of castes of ancient Rome has a racial substrate. In this totality, it
is interesting to examine the link between the two principles, whose symbolic
figurations could well be ROMOLO and REMO -- with the two hills Palatine and
Aventine. The PALATINO is, as we know, ROMOLO’s hill and the AVENTINO is REMO’s.
Now, according to the ancient Italic tradition, on the PALATINO, ERCOLE met the
good king Evander (who significantly founded a temple of the goddess Victoria
on the same Palatine hill) after having killed CACO, son of the Pelasgian
(pre-Aryan) god of the subterranean fire: and Hercules conquered and killed in
Cacus’ cave, located in the AVENTINO, and erected an altar to the Olympic god,
to whom he was allied according to the Hellenic legend. Researchers like PIGANIOL
are of the opinion that this duel between ERCOLE and CACO - with the
corresponding opposition of the PALATINO and AVENTINO hills - could be a mythic
transcription of the battle waged by peoples of opposing races. The mythic
legend of the origins of Rome is therefore saturated with deep meaning. The
triumph of ROMOLO and the death of REMO is the key to the origin hidden in
Romanity - and the first episode of a dramatic, outer and inner, spiritual,
social and racial battle, in part known, in part still enclosed in symbols or
in an event not yet penetrated with respect to their most essential aspect -
almost, we will say: with respect to the third dimension. Through this secular
battle, Rome rises gradually and asserts itself in the world as a triumphal
manifestation of a principle of light and of order, of an ethic and a vision of
life that, in its original and uncorrupted forms, is witness to the Aryan
spirit. And we know what it is, according to the most widespread tradition, the
conclusion of the legend of origins. It is the apotheosis of ROMOLO, ROMOLO
deified. He returned from the earth to heaven after his mortal part was
destroyed by means of the dazzling fire. So what has been treated is neither
fantasy, nor poetry, nor rhetoric. Analogous explanations recur in the
traditions of all peoples, according to a uniformity that should lead anyone to
reflection. Also in regards to ROMOLO, the legend contains a faith and a
spiritual certainty. It is the meaning of a reality that, freed from the person
and symbol, is not once, but will always be, and will always be present, in its
greatness beyond history, the race that knows how to recall the mystery. E. è stato il più importante teorico della rivoluzione
conservatrice in Italia. Nei suoi saggi filosofici si ritrova l'utilizzazione
consapevole della espressione «rivoluzione conservatrice», la base
teorica e i limiti entro cui ha senso tale definizione. Tuttavia, in E. la
rivoluzione conservatrice si dissocia nettamente dall 'ideologia italiana. La
sua elaborazione del concetto di rivoluzione conservatrice è attinta
direttamente dalla konservative Revolution tedesca, e ad essa si rifà
espressamente, pur con alcune specifiche motivazioni. In secondo luogo, l’idea
di rivoluzione conservatrice in E. si situa in una linea fortemente
critica verso la tradizione teorica e storica italiana. A cominciare
dall’idea stessa di nazione, di cui E. sottolinea l'eredità giacobina,
egli sottopone a una critica serrata tutte le stazioni più importanti
della ideologia italiana: la critica del Risorgimento, che pure è ricorrente in
tutta l’ideologia italiana, è condotta da E. non più nel nome dell’inveramento
del Risorgimento, inteso come radicalizzazione o correzione di rotta,
ma diviene rifiuto e negazione del Risorgimento, visto come la traduzione
nazionale della rivoluzione francese, e rigettato come l'espressione di
un liberalismo anti-tradizionale. Qui E. accoglie l'eredità del pensiero
contro-rivoluzionario e si situa nettamente nel solco della tradizione
reazionaria, pur non condividendo il riferimento cattolico e cristiano
che la sottende. Critiche non meno nette E. rivolge al processo unitario
post-risorgimentale e a tentativi come quello crispino di generare una
sintesi tra nazional-populismo e autoritarismo. Ma la critica di E. non si
arresta nemmeno alle soglie del FASCISMO, a cui pure il suo nome è solitamente
associato. Quasi tutta la critica evoliana verso il fascismo gravita
proprio sul tentativo fascista di costituire una ideologia italiana o di
inserirsi nella tradizione italiana, sia verticalmente, cioè come
recupero della storia italiana, sia orizzontalmente, come tentativo di
integrare le masse e tutte le diversità in una comunità nazionale. Per E.,
il fascismo non avrebbe dovuto abdicare al suo ruolo di MINORANZA attiva,
di aristocrazia, di OTTIMATI, avrebbe anzi dovuto accentuare la sua diversità,
da quel che costituiva la linea italiana risorgimentalista. La
critica di E. all'ideologia italiana, così implacabile, sconsiglierebbe dunque
di ritrovare nella sua filosofia i lineamenti di quella rivoluzione
conservatrice -- il filo rosso della storia italiana. Le sue scelte lo
porterebbero, piuttosto, nella linea di de Maistre e de Bonald o di larga parte
della filosofia mitteleuropea. Ma a questo punto si dispiega uno dei
maggiori paradossi della dottrina politica evoliana: quanto più E. teorizza una
tradizione radicalmente diversa dalla modernità e integralisticamente depurata
da ogni scoria di pseudo-tradizionalismo» nazionalista e risorgimentale,
tanto più E. coniuga l’idea della tradizione con posizioni che appartengono al
mondo della rivoluzione. Rivolta, anomìa, anarchismo di destra,
nichilismo attivo sono ricorrenti espressioni della filosofia evoliana che
segnano un indubbio recupero della dimensione rivoluzionaria. Questo dualismo,
solitamente, è stato attribuito a due tappe differenti e fondamentali della
filosofia evoliana, e identificate l’una ne “Gli uomini e le rovine”, e l'altra
in “Cavalcare la tigre.” Ma, più vastamente, l’intera opera evoliana si
dispiega all’interno di un orizzonte antinomico, tra rivoluzione e tradizione,
se si considera l'esperienza pittorica dadaista, fortemente eversiva, il
periodo filosofico, con sostanziali elementi rivoluzionari e stirneriani,
la valorizzazione del tantrismo nel suo aspetto più distruttivo (la via
della mano sinistra). Elementi che convivono nell’opera evoliana con la
ricerca e l'affermazione della tradizione, il primato dell'essere, il recupero
della dimensione metafisica; o nel mondo politico con il richiamo a una
concezione fondata sull'autorità, l’ordine e la gerarchia. Sul piano della
dottrina politica, l'aporia può forse trovare agevole soluzione
se si tiene presente che, in un mondo sconsacrato e secolarizzato, la
tradizione non può che rivelarsi come una rivoluzione e attraverso la
rivoluzione. Il ritorno alla tradizione, in questo contesto, sarebbe infatti un
evento di rottura, una radicale inversione di rotta rispetto alla realtà
presente. La rivoluzione sarebbe dunque per E. il rigetto del presente
nel nome del passato; rivoluzione-restaurazione, ovvero rivoluzione nel senso
dell'astronomia classica, come già ripete E.. In uno scritto divulgativo,
tra gl’ultimi di E., il pensatore tradizionalista afferma. Se si vuole,
ci si può riferire alla formula, solo in apparenza paradossale, di
una rivoluzione conservatrice. Essa concerne tutte le iniziative che si
impongono per la rimozione di situazioni negative, fattuali, necessarie
per una restaurazione. In linea di massima, si può riconoscere la
coerenza di questa posizione e il rigoroso uso dell'espressione di rivoluzione
conservatrice. Tuttavia, soprattutto se si tiene conto dell'orizzonte di
pensiero in cui E. utilizza questa definizione, i due piani di rivoluzione
e tradizione non sembrano poi così nettamente delineati e divisi. In E. vi
sono interpolazioni e attraversamenti: talvolta la pratica rivoluzionaria
finisce col rivoltarsi contro gli stessi principi tradizionali e finisce
con l'assumere valori autonomi. L’anomìa finisce con l’essere una
pericolosa arma a doppio taglio. E dall’altra parte, soprattutto
nell’ultimo E., il metodo rivoluzionario risulta spesso alterato o addirittura
soppiantato da una scelta pratica di tipo conservatore, fondata sui
parametri del salvare il salvabile, preferire il male minore, allearsi
con i moderati per combattere la sovversione, eccetera. A parte questi
sconfinamenti, peraltro marginali se si considera l’itinerario evoliano nel suo
complesso, E. si pone legittimamente come il teorico principale della
rivoluzione conservatrice vista da destra. Il suo pensiero è alle origini
sia dell’integralismo di destra che del modernismo di destra -- in parte
defluito da destra. Non si potrebbe infatti comprendere il neo-tradizionalismo,
anche quello cattolico, senza transitare per le opere di E. imperniate sui
valori della tradizione. Ma dall'altro verso non si potrebbero
comprendere neanche i fermenti della cosiddetta nuova cultura, della nuova
destra o i tentativi di andare al di là della destra e della sinistra,
senza risalire a quel filo rosso che scorre dall’E. dadaista e
iconoclasta all’E. FILOSOFO, al seguace del tantrismo e soprattutto
all’autore di Cavalcare la tigre. Da entrambe le posizioni, NEO-TRADIZIONALISTE
[cf. H. P. Gric on P. F. Srawson] e moderniste [cf. H. P. Grice on ‘the heirs
of PEANO (si veda) e Principia Mathematica], si sono staccate frange
opposte e simmetriche, che hanno parimenti rifiutato l'eredità evoliana, l'una
nel nome della tradizione cattolica, l'altra nel nome della modernità
assurta a valore. Se il linguaggio non e improprio e desueto, si potrebbe
dire che la sua opera genera una destra e una sinistra evoliana. È
curioso osservare che i modernisti di destra ripercorrono, pur con specifici
tratti, lo stesso cammino già percorso da un certo radicalismo di destra
che trova in Evola elementi per fondare una scelta rivoluzionaria in
senso nazional-popolare. Il cammino dei modernisti di destra si rivela
come la versione debole (e quindi più intellettualistica, più dolce nel metodo
e più esitante) di quello stesso processo di modernizzazione del pensiero
evoliano, la cui versione forte è costituita proprio dal rivoluzionarismo
nazional-popolare. I vari filoni dipartitisi d’E. ritrovano oggi sul loro
cammino gli stessi incroci in cui si dibatte la filosofia evoliana:
trasgressioni e fedeltà, soggettività e tradizione, organicismo senza
statolatria, ricomposizione comunitaria ed élitismo, rigetto
dell’ideologia italiana e insieme esigenza di radicarsi nel tessuto reale
di que sta società, e così via. Le contraddizioni, mutatis mutandis, sono
ancora le stesse. Per ripercorrere queste stazioni cruciali della
filosofia evoliana, e proficuo attraversare le principali interpretazioni
critiche della filosofia d’E. che si possono ricondurre a quattro tesi
fondamentali. In primo luogo, l'interpretazione di E. come maestro eretico
del pensiero negative. In secondo luogo, E. visto come teorico di un neo-paganesimo
anti-cristiano e anti-trascendente. In terzo luogo, E. visto come un gentiliano
minore che tenta invano di superare l'attualismo. Inine, E. visto come
l'ispiratore del neo-nazi-fascismo. L’accostamento tra E. e il pensiero
negativo si può far risalire al tempo della contestazione, quando
qualcuno ravvisò impressionanti simmetrie tra il pensiero evoliano e il
pensiero di MARCUSE. Simmetrie che lo stesso E. non ha mancato di sottolineare,
seppure rimarcando la radicale divergenza di fondo. Di quel parallelo
aveva parlato qualche anno fa GALLI, soffermandosi soprattutto sulle sue
valenze politiche. Da un punto di vista filosofico la collocazione di E.
nell'alveo del pensiero negativo è stata recentemente proposta da MANCINI e CACCIARI.
Entrambi scorgono in NIETZSCHE il crocevia della filosofia negativa. Dopo NIETZSCHE,
si puo quasi parlare di un pensiero negativo di sinistra che coniuga Nietzsche
con MARX, Freud e al limite STIRNER, e che si esprime, soprattutto, ma non
solo, con la triade francofortese Adorno, Horkheimer e Marcuse; e un pensiero
negativo di destra che coniuga Nietzsche con i valori tradizionali e che si
esprimere tra gli altri con E., JUNGER e larga parte del pensiero
rivoluzionario-conservatore. Quale è il filo comune del pensiero negativo? In
primo luogo, la critica radicale della ragione e delle pretese sintetiche
e costruttive della razionalità. In secondo luogo, lo smascheramento
della civiltà moderna e borghese e la rivolta contro la nostra società. In
terzo luogo, lo sfaldamento della fiducia nel progresso ma anche negli
antichi appoggi; la crisi del principio di identità e di non contraddizione;
indi, la concezione conflittuale e catastrofica della storia. E scavando più a
fondo si giunge alla matrice del nichilismo: la morte di Dio, la
perdita del reale, del senso e degli scopi, l'incertezza esistenziale,
l'oscuramento della metafisica. I due versanti del pensiero negativo
sarebbero dunque compresi nell’alveo del nichilismo. Soltanto che il
versante destro del pensiero negativo, a cominciare d’E., per estendersi a buona
parte della rivoluzione conservatrice, tradirebbe Nietzsche, mascherando
il nichilismo nell'irrazionale e nella retorica dei valori. A questo punto
le conclusioni di un MANCINI conducono a una condanna senza appello del
pensiero evoliano, le conclusioni di CACCIARI conducono invece a un
appello senza condanna agli evoliani: liberatevi dal camuffamento
irrazionalistico, liberatevi dalle vostre certezze che reggono solo sulla
retorica, e procedete con occhio sgombro verso un sapere senza fondamenti, verso
un nichilismo consapevolmente vissuto e accettato come destino finale. In
fondo il discorso ruota intorno a un’equazione tutta da dimostrare:
l'equazione, appunto, tra E. e il pensiero negativo. È necessario dunque
affrontare la differenza radicale che allontana E. dal pensiero negativo. Una
differenza di provenienza e di approdi, di metodi e di aperture. È
certamente vero che il pensiero negativo e il pensiero evoliano nascono
entrambi come filosofie della crisi. Ma la crisi del pensiero
negativo è la crisi di una razionalità che ha perduto la ragione, di una
dialettica che ha perso la possibilità della sintesi, di un
materialismo che ha perduto la materia, di un orizzontalismo che ha
perduto orizzonti, di una rivoluzione che ha perduto il progetto. La
crisi da cui nasce il pensiero evoliano è invece la crisi di una trascendenza
che ha perduto Dio, di un verticalismo che ha perduto il suo vertice, di
un eroismo che ha perduto gli eroi, di un Olimpo che ha perduto gli
dei, di una tradizione che ha perduto i suoi templi, i suoi riti e i suoi
uomini. Da una parte è l’orfanità della ragione che incita a ripensare i
miti. Dall'altra parte l’orfanità del mito che spinge a cercare le
ragioni. In entrambe si assisto al disormeggio della storia secondo la
suggestiva espressione di CIORAN. Da una parte in E. la tradizione sembra
smarrire gl’anelli che la congiungono al presente. Dall’altra parte nel
pensiero negativo il progresso si separa dall’ottimismo e dal migliorismo
storico e scivola nella catastrofe, nel vuoto. Ma differente è pure la
reazione alla crisi. Il pensiero negativo diviene pensiero della
liberazione trasgressiva, sollecita a liberarsi dai vincoli della realtà e
della ragione, oppone la ragione distruttiva come risposta alla ragione
decretante. Opposta appare invece la reazione evoliana alla crisi. Alla
liberazione dal destino si oppone qui l'accettazione del destino, la fedeltà ai
valori oscurati, l’azione nonostante i frutti, la risposta eroica al
nichilismo. Entrambe le vie germogliano dunque dalla crisi: ma il
pensiero evoliano induce a vivere come se i valori esistano. Il pensiero
negativo induce a vivere come se non abbia importanza avere valori. E. scommette
sui valori, il pensiero negativo rigetta la scommessa come insignificante,
fuorviante, mistificatrice. Nel pensiero negativo il nichilismo è pensato
e vissuto come esito finale; nel pensiero evoliano il nichilismo è inteso
come prova del fuoco, come deserto da attraversare. L’esperienza del nichilismo
è rivolta in E. a fortificare il bagaglio interiore, a essenzializzare la vita,
a denudare i valori dalle incrostazioni, per ricondurli alla nudità
originaria. Il nichilismo, secondo questa prospettiva che E. coglie da
Nietzsche, dovrebbe rafforzare ciò che non riesce a spezzare. Il pensiero
evoliano ha Nietzsche alle sue spalle, ombra titanica che si allunga sul suo
cammino; il pensiero negativo trova invece Nietzsche davanti a sé,
scoglio insormontabile per la ragione dialettica. Ciò che in E. è punto di
partenza, che pure si allunga su tutto il percorso, nel pensiero negativo
è punto d'arrivo, oltre il quale non si può andare. Non è un caso, poi,
che il pensiero negativo si definisca tale, laddove il pensiero evoliano si
autodefinisce magico: il pensiero magico è per sua stessa vocazione
rivolto a comporre, a ordinare il mondo e non a disfarlo, a rivelare la
sua segreta armonia, a concepire la libertà come attività produttiva e
creativa. Il pensiero magico risale dal caos al cosmos, dal conflitto
all’armonia, ponendosi infine come pensiero costruttivo, pensiero positivo. Il
pensiero negativo al contrario dissolve il cosmos nel caos, nell'armonia scorge
il contrasto, eternizza il conflitto e la catastrofe, definendosi infine come
pensiero distruttivo. Nel crocevia tra magia e trascendenza, il pensiero
evoliano si inviluppa in alcune contraddizioni: le forti aporie tra senso della
trascendenza e immanentismo volontaristico che si esprimono nell'Autarca, le
tentazioni faustiane, il pericoloso velleitarismo di chi vuole traversare
l'abisso, l'etica della disperazione che si risolve talvolta in Evola in uno
spiritualismo nobile ma cieco, che rigetta i frutti e le prospettive. Ma pur
nella contraddittorietà delle posizioni ciò che distingue radicalmente E. dal
pensiero negativo risale a una opzione di fondo: è la opzione della
trascendenza che conduce Evola alla riscoperta del sacro. La trascendenza
resta una dimensione assente nel pensiero negativo in virtù di una
originaria opzione immanentistica mai smentita. La f iducia in una «più
che vita», la scommessa sull’immortalità, la certezza del sacro, il culto
dell'invisibile e de fì'eterno, accend on o in Ev ola un bag lioré metafisico
che non é flato tr ovare, n el pensi ero negativo. Alla luce del sacro, la
stessa concezione eroica esce dal campo del puro arbitrio, della mera
retorica, del volere autarchico, per farsi essa stessa segno di quella certezza
metafisica e metaesistenziale, espressione e testimonianza che pure vacillando
nel vuoto, la strada percorsa è quella che sale. Occupandosi del radicalismo di
destra, Civiltà Cattolica ha individuato in E. il principale ispiratore
di una nuova destra fortemente anticristiana e neo-pagana . Le argomentazioni
condotte a rinforzo di questa tesi erano attinte quasi interamente dalla
lettura di iperialismo pagano. Che in E. vi sia una forte ascendenza di tipo
pagano è certamente fuori discussione: la grande valutazione del mondo greco e ROMANO,
l’esaltazione della spiritualità nordica, il risalto attribuito alla figura di
Federico II, sono solo alcuni tra i segnali di questa ispirazione pagana del
pensiero di E.. Tuttavia l’interpretazione di E. come padre di un
neopaganesimo anticristiano, è semplicistica e a tratti fuorviante. Vi è
in primo luogo una ragione metodologica: non si può valutare il pensiero
evoliano soffermandosi sulla lettura di Imperialismo pagano, un saggio
che E. scrive non ae che in seguito disconobbe. Imperialismo pagano è un
pamphlet fortemente polemico che risente degli umori del tempo e che si
inserisce nel dibattito preconciliare. Imperialismo pagano è un'opera
certamente minore rispetto ad altre opere evoliane di spessore ben più
notevole. Per comprendere E. bisogna transitare almeno da altre cinque, sei
opere ignorate da Civiltà Cattolica. In secondo luogo, il pensiero
evoliano si alimenta di correnti e torrenti che sarebbe improprio
definire di tipo pagano: la tradizione gnostica e orfica, pitagorica, la
metafisica orientale, il buddismo. Se si vuol definire pagano, nel senso
di anti-cristiano, tutto ciò che non è cristiano, si finisce nel più
piatto manicheismo. In terzo luogo, dal complesso dell'opera
evoliana non si può dedurre un orientamento anti-cristiano e ancor
meno un orientamento anti-trascendente. Altrimenti non si comprenderebbe
in E. la lettura dei mistici cristiani, l'influenza di certo gnosticismo
cristiano, l’attenzione positiva verso pensatori come Meister Eckart e SAN
GIOVANNI DELLA CROCE, la grande influenza di MICHELSTAEDTER che rivela
profondissime tracce di cristianesimo. E non si comprenderebbe il
carteggio evoliano con REBORA, il ritiro di E. in un convent, la sua difesa
della Chiesa del Sillabo (se la Chiesa fosse ancora quella del Sillabo —
afferma E.— non ci sarebbero esitazioni a schierarsi dalla sua
parte per affermare i valori della tradizione»), ma anche della fede cristiana
e del suo significato nella nostra epoca sconsacrata. E non si
comprenderebbe infine per quali misteriose ragioni la lettura di E. sia
stata per molti una stazione d i transito ve rso una riconversion e al
cattolicesimo -- una riscoperta del sacro e del trascendente, del rito e
dell aJracE zionèr È un paradosso^lha mòTti dfcoTo- ro che hanno poi
criticato il pensiero evoliano alla luce del cattolicesimo tradizionale,
devono a E. la conoscenza di autori come de Maistre, Donoso Cortes, de Bonald.
È poi significativo che E. condanna le franga moderniste [del
cristianesimo, colo ro che riducono la religione nell’orizzonte immanentistico
de l messaggioso. ciale, la stòricizzazione e l’umanizzazione del divino,
la teologia dellà morte di Dio, la razionalizzazione dei principi e delle
tradizioni, la confusione del crstianesimo conjun moralistico sentimentalism
o borghese. In E. permane, certamente, un senso di estraneità al
cristianesimo, ma non di ostilità; vi è un differente tipo di spiritualità che
trae alimento da differenti tradizioni. Nel cristianesimo E. denuncia la
mancanza di una dottrina esoterica che possa affiancarsi alla
religione fideistica e devozionale. Appare quindi improprio il tentativo
di demonizzare il pensiero evoliano come l'espressione di una rivolta anti-cristiana
con esiti immanentistici. Questa riduttiva interpretazione del pensiero
evoliano rimanda a un'antitesi più vasta e insensata quando pretende di essere
assoluta: l’antitesi tra paganesimo e cristianesimo alla cui radicalità
mostrano di credere da un verso Civiltà Cattolica e dall'altro verso
alcuni esponenti della nouvelle droite, a cominciare da de Benoist.
L'antitesi autentica e radicale della nostra epoca, in realtà, non è tra
paganesimo e cristianesimo ma tra sacro e nichilismo, tra vocazione alla
trascendenza e sfaldamento nell'immanenza. Per un autentico spirito
cristiano la santità è intesa come il culmine del sacro, è il gradino
supremo in cui il sacro si incarna nell'umano e si palesa nel mondo;
per una autentica religiosità di tipo pagano, la santità è una
delle più alte manifestazioni del sacro. Per entrambi resta essenziale
l'antitesi tra sacro e nichilismo. Per una spiritualità di tipo cristiano il
senso elèi sacro può dirsi quasi il rosminiano sentimento fondamentale,
quell'innata vocazione metafisica sulle cui basi si eleva poi la fede
cristiana. Per una spiritualità di tipo pagano, il sacro può intendersi non
come la base ma come il vertice verso cui convergono le religioni, il
principio metafisico di cui le religioni sono bracci, manifestazioni,
assi di una ruota. Nel pensiero contemporaneo, la distinzione di campo più
rigorosa è senza dubbio quella tra pensiero ispirato alla trascendenza e
pensiero esaurito nell’iimmanenza, tra pensiero fondato metafisicamente
(proteso verso l'essere) e pensiero senza fondamenti o comunque fondato
storicisticamente, vitalisticamente e materialisticamente (risolto dentro il divenire).
In questa distinzione di campo, il pensiero di E. ritrova una identità
molto diversa da quella che gli viene attribuita da Civiltà Cattolica e da
taluni esponenti del paganesimo. Vi sono certamente alcune cadute immanentistiche
e superomistiche nel pensiero evoliano che in un pensatore come GUENON, ad
esempio, non sono presenti: ma il pensiero di Evola rischia l’impurità e
talvolta l’incoerenza perché si cimenta con la crisi contemporanea. È una
scommessa più difficile quella di E., un cammino più arduo: attraversare il
nostro tempo. Questa sua scommessa può essere intesa come la sua
peculiarità più feconda e insieme come il suo limite più netto: ma, in
ogni caso, il pensiero di E. si incammina sul l a s trada, del sacro. Un
autorevole filosofo come NEGRI ha individuato in Evola un «gentiliano
minore» che tenta invano di superare l'attualismo. L’interpretazione di NEGRI
ripercorre i sentieri già solcati da SPIRITO, CARLINI, e SCIACCA che
appunto a GENTILE avevano ricondotto il pensiero di E. Che l’ombra
gigantesca di GENTILE (si veda) si allunghi su tutta la filosofia italiana può
essere difficilmente confutabile. Persino lo spiritualismo cattolico o la
filosofia della prassi di GRAMSCI mostrano i segni di quella influenza. Ma
che vi siano specifiche e preponderanti tracce di influenza su E. è largamente
inesatto. Si deve anzi osservare il fenomeno opposto: forse non è
mai accaduto che due pensatori, vissuti nello stesso tempo e nella stessa
nazione, associati seppur genericamente in uno stesso indirizzo filosofico e in
uno stesso ambiente storico-politico, siano stati così lontani come
Gentile ed E. Alle sorgenti della formazione evoliana vi sono correnti e autori
in larga parte estranei a Gentile. Manca a Gentile il riferimento alla
metafisica orientale, al pensiero tradizionale e legittimista, a Stirner, a
Nietzsche, a Bachofen, a Weininger, a MICHELSTÄDTER (si veda) e a tutta
la grande cultura mitteleuropea, a cominciare da Spengler e
Junger. E manca a E. la lettura del pensiero risorgimentale, l’influenza
di SPAVENTA e di MAZZINI, di GIOBERTI e di ROSMINI, il confronto con la
filosofia di Marx e con lo storicismo, che sono invece determinanti nella
formazione di Gentile. I riferimenti comuni si limitano a certi autori
dell'idealismo tedesco. In E. l'idealismo è un episodio, seppure
notevole, inserito in un altro episodio, seppure importante, quale è il suo
periodo filosofico. Se si prescinde dalle coordinate extrafilosofiche, si è già
lontani dalla comprensione del pensiero evoliano. Inoltre, va ricordato,
della filosofia evoliana si occupa CROCE ma non se ne occupa mai Gentile, che
non vi riconobbe mai alcuna parentela. E della filosofia gentiliana, E.
se ne sempre occupa in chiave critica. I suoi rilievi, le sue critiche all’attualismo
sono notevoli, radicali e tutt’altro che superabili. Sul piano storico, E.
condanna del fascismo quel che Gentile approva o addirittura egli
stesso ispira. E le distanze con Gentile non si attenuarono nemmeno
quando il vento del CONCORDATO conduce Gentile ed E. a scontare una
comune emarginazione. Come per Gentile, anche per E. il fASCISMO e inteso
come una rivoluzione conservatrice, anzi una restaurazione. Ma restaurazione
non della tradizione italiana esaltata dal risorgimento e dalla filosofia
nazionale, come vuole Gentile, ma restaurazione di LA TRADIZIONE ROMANA e
ghibellina. Ovvero una restaurazione così radicale che finisce con l'essere una
rivoluzione rispetto al passato più prossimo. Nel momento in cui E. supera
Gentile in radicalismo restauratore, lo supera al contempo in radicalismo
rivoluzionario. Va infine considerata l'evoluzione storico-politica del
pensiero evoliano in senso aristocratico e tradizionalista, che diverge
nettamente dall'evoluzione gentiliana verso l'umanesimo del lavoro. In
definitiva, se è riduttivo chiudere il pensiero evoliano nell alveo
dell'idealismo, è doppiamente riduttivo e fuorviarne considerare la filosofia
di E. alla stregua di un attualismo malriuscito, un tentativo velleitario di
superare Gentile. In E. vi è ben altro. Per un tempo, E. è stato
conosciuto come l'ispiratore dell'attivismo neo-fascista e neo-nazista. Una
definizione canonica che domina nel giornalismo e nella cultura politicante,
che trova la sua giustificazione teorica in filosofi come JESI ma una
definizione che ancora resiste, come dimostrano certi interventi al convegno di
Cuneo sulla cultura di destra o certe pagine di un volume collettaneo
sulla destra radicale. In realtà, se vi è stato un autore di destra che più
ha contribuito à scongelare il neo-fascismo dall’ibernazione nostalgica,
questi è stato proprio E. Da figla prima di ogni altro filosofo, la
destra ha imparato a leggere IL FASCISMO e il nazismo in
chiave critica, anche se la critica di E. ai due fascismi é pur
sempre dal punto di vista della destra, Leggendo il fascismo di E. le sue
note sul terzo reich, la sua critica al nazionalismo e alla statolatria,
al bonapartismo e al populismo fascista, al razzismo biologico e agl’isterismi
del fuhrer, all'idealismo gentiliano e al sentimentalismo cristiano-borghese,
conoscendo le difficoltà che E. dove affrontare durante il regime fascista,
il radicalismo di destra avverte l'esigenza di rivedere il proprio
patrimonio ideale e storico. E leggendo E., quella destra comincia a
conoscere orizzonti più vasti, prospettive storiche e meta-storiche più ampie,
nel tempo e nello spazio. Conosce filosofi e tradizioni che con il fascismo
poco o nulla avevano a che vedere. Si deve principalmente a E.,
alle sue letture e alle sue divulgazioni, alle sue traduzioni e ai suoi
riferimenti, se quella destra conosce ampi filoni della cultura
mitteleuropea, a cominciare dalla konservative Revolution, grandi pilastri
della sapienza orientale, solidi pensatori legittimisti e
tradizionalisti. In secondo luogo, se vi è stato un autore di destra
che ha meno sollecitato l'attivismo, questi è stato proprio E. Se un
limite si deve individuare nella lezione politica di E. esso è piuttosto di
segno contrario: coloro che si sono avvicinati a E. si sono solitamente
allontanati dall’attivismo politico. Ci si avvicina a E. alla ricerca di
fondamenti per la propria scelta politica: ma la radicalizzazione del politico
è coincisa con il rigetto della politica. La lettura del pensiero evoliano
ha infatti un esito generalmente impolitico. Quando E. richiama
tradizioni lontane nello spazio e nel tempo, remote età dell'oro,
inaccessibili vette del grande passato di cui non sopravvivono più
neanche tracce e vestigia, né riti né fiaccole viventi, la tradizione
finisce di essere una radice per diventare un'idea, cessa di essere una
trasmissione di valori per convertirsi in una rappresentazione concettuale, si
estingue come pratica viva e rituale per ridursi a un oggetto del puro
pensare. Tradizione è collegamento e qui diventa isolamento, è
apertura verso il mondo e qui diventa solipsismo, è anello di
congiunzione e qui diventa rottura con il tempo. Quando E. definisce
la tradizione una discesa dell’Individuo assoluto nella concretezza storica, priva
la tradizione del suo significato meta-storico e metafisico, riduce la
tradizione o travestimento dell'io, a una volizione del soggetto. Non vi
è alcuna tradizione che possa ricondursi a una soggettività. Ogni
tradizione si incarna e trascende i membri di una COMUNITÀ. Altrimenti
tradizione non è. Quando E. ripropone la dottrina tradizionale dei cicli
storici, delle quattro età, e ci ricorda che viviamo nell'età oscura, ci
conduce davanti a un paradosso insolubile. Se aderisco fedelmente alla
dottrina, devo convincermi che io non posso modificare il corso metafisico
delle epoche, e quindi inutile è la mia azione politica, il mio impegno nel
mondo. Se viceversa penso che gl’individui possono cambiare radicalmente il
corso dell'epoca, la dottrina perde il suo vigore meta-fisico e la tradizione
si piega ancora una volta al soggettivismo volontaristico. Quando E.
sostiene che il fascismo è stato rovinato dalla natura del popolo italiano, può
avere ragione sul piano della pura teoria, ma esprime un'osservazione
impolitica, riduce il fascismo a una pura categoria dello spirito, astratta
dalle coordinate storiche e temporali. La politica agisce in un dato
tempo, in un dato spazio e in un dato popolo. Se si dice che il tempo, lo
spazio e il popolo sono inadatti per quell'idea si fa dell’idealismo
assoluto, e si è decisamente lontani da ogni considerazione politica. Non
può esistere una politica sradicata dalla storia e dalla natura degli
uomini su cui vuole agire. Quando E. sostiene che la nostra patria
non deve essere quella sancita dalla nostra appartenenza naturale e
territoriale, ma la vera patria è l’idea, riduce la patria, e la stessa
tradizione, a un'essenza disincarnata. Riduce il radicamento, architrave di
ogni tradizionalismo, a puro convincimento intellettualistico. Sulla scia
di queste aporie serpeggia tra molti evoliani una forma di pessimismo
assoluto, una specie di anti-provvidenza che vuole i migliori sempre
perdenti, poiché il successo di un’idea, nel nostro mondo sconsacrato, è il
segno del suo scadimento. Se la verità è ciò che si oppone alla storia, è
fatale che la via della verità divienne la negazione della storia. Si è
così insinuata una cultura della disperazione, il mito dell’eroe
perdente, del profeta inascoltato, del suicida veggente. Senza una adeguata
mediazione, questi orientamenti evoliani conducono fatalmente a un esito
impolitico. E conducono a quei due opposti equivoci che inibiscono oggi il
rapporto tra la cosiddetta destra radicale e la politica: da un verso lo
sradicamento e dall'altro l’ibernazione. Da una parte nasce il
tradizionalismo immobile, che per inseguire il soprastorico scivola
nell'a-storico, il tradizionalismo chiuso a ogni forma di attivo impegno
nel mondo e dunque un tradizionalismo senza tradizione perché senza
continuità effettiva. Ma dall'altra è nato il tentativo di disancorare la
storia dalla tradizione, di liberare l’impegno civile e politico da
ogni punto fermo, di emanciparsi da ogni appartenenza radicata. I due
pericoli sono opposti nello sviluppo ma uniti nella genesi. Entrambi nascono
dalla convinzione che vi sia una frattura insanabile tra il mondo dei
valori e il mondo dei fatti, tra l’ideale e il reale, fra la tradizione e
la storia. Partendo entrambi dalla constatazione di questa frattura,
le strade poi divergono. I primi seguono la via dell’imbalsamazione, del
dogmatismo e fatalmente approdano all'isola immobile dell’impolitico. I secondi
scelgono la via della liquefazione, del relativismo e finiscono poi a
inseguire il successo ad ogni costo, prescindendo dai motivi di fondo per
cui il successo avrebbe un senso. I due comportamenti sono
fondamentalmente contrassegnati dall'individualismo e si rivelano letteralmente
schizofrenici. Nascono infatti da una dissociazione di fondo tra pensiero e
atto, idea e realtà, essere e dover essere. L'esito dei primi è segnato
dall'idealismo, con la tradizione ridotta a pura rappresentazione mentale
e soggettiva, disincarnata dalle sue forme visibili, sensibili e
comunitarie. L'esito dei secondi è il nominalismo, la riduzione dei valori a
strumenti di locomozione, a convenzioni e volizioni del soggetto.
In questo senso va ripensata non solo la frattura posta da E. tra i
valori della tradizione e gli strumenti della modernità. Ma occorre
rimeditare anche lo iato sancito da E. sul piano storico-politico tra
rivoluzione conservatrice e ideologia italiana. Una frattura,
quest'ultima, che ha contribuito non poco a generare a destra quel
rigetto della tradizione nazionale e quella ricerca di autori e modelli
attinti da altre tradizioni e da altri paesi. Nell'opera in cui Evola
teorizza esplicitamente i lineamenti di una rivoluzione conservatrice,
vale a dire Gl’uomini e le rovine, è ribadita con forza la frattura tra ideologia
italiana e rivoluzione conservatrice. Dopo aver spiegato il senso in cui
si può positivamente parlare di rivoluzione conservatrice, E. aggiunge. Pel
vero conservatore rivoluzionario è questione di una fedeltà non a forme e
istituzioni di tempi trascorsi bensì a dei princìpi. Affermazione che già
presenta l’insidia del puro idealismo ovvero il disancoramento della tradizione
dalla storia; ma, al limite, si può ancora condividere soprattutto se si tiene
conto del passaggio da una veduta integralmente tradizionalista, e quindi
fondata sulla continuità, a una veduta rivoluzionaria conservatrice, e quindi
fondata sulla consapevolezza di una frattura verificatasi fra tradizione e
modernità. E ancor più si può comprendere e apprezzare il riferimento
evoliano se si ha presente il contesto a cui E. si rivolge: riferendosi
agli ambienti del neo-fascismo, E. invita a non confondere la difesa di valori
con la nostalgica difesa di regimi e istituzioni che non sono più
presenti. Quello di E. e un passo forse troppo prematuro, per dissociare
il mondo rivoluzionario-conservatore di destra dal puro nostalgismo. Ma E.
si spinge ancora ben oltre. Egli giunge ad affermare che la componente
rivoluzionaria presente appunto nella rivoluzione conservatrice, va
intesa nel senso di fare tabula rasa della storia per lasciare il
posto alle pure idee. Grazie al carattere rivoluzionario le forze attive
«si presenteranno ad uno stato quasi puro, con un minimo di scorie storiche». E
a questo E. aggiunge: «Appunto perché l’appoggio materiale consistente in
un passato tradizionale ancora vivo e concretizzato in forme storiche non del
tutto scadute è da noi inesistente, la rivoluzione restauratrice dovrà
presentarsi in Italia come un fenomeno anzitutto spirituale ed avente come base
la pura idea. Rispetto a quel che E. intende per tradizione, la sua
conclusione è rigorosa quanto ineccepibile. Ma altrettanto evidente è l'esito
impolitico e la separazione dalla storia che essa sancisce.
Il problema che si pone, in fondo, è questo; se si intende scegliere una
strada esistenziale dissociata da ogni impegno politico, il rigetto della
ideologia italiana, e della storia italiana, è in linea di rigorosa coerenza
con le idee affermate da E. e ha una sua legittimità e dignità incontestabili.
Ma se, viceversa, si intende costruire una linea politica, se si intende
davvero adoperarsi per una rivoluzione conservatrice, allora è
impossibile fare il vuoto intorno e dietro a sé, recidendo i ponti con la
storia del proprio paese e con la realtà del proprio popolo. Né si può
disancorare, in questa seconda ipotesi, l'idea di tradizione dalla
rappresentazione storica che ha avuto. Occorre allora rimeditare la storia
italiana, almeno dal Risorgimento in poi, con spirito critico, senza
dubbio, ma senza apocalittici dinieghi. Né va trascurato il fatto
che talvolta, a sostenere cause che meta-storicamente si possono definire
negative, possono trovarsi uomini e ragioni che hanno intrinseci
tratti di giustezza, di nobiltà e di dignità. Uomini giusti per cause
sbagliate. Articolare i giudizi, dunque, pur senza privarli della loro
globalità, e risalire alle intime ragioni di certi accadimenti.
In questo senso la teorizzazione evoliana di una linea
rivoluzionaria conservatrice rivela tratti di insufficienza e di carenza sul
piano storico-politico. Laddove invece, nelle grandi linee metafisiche e
metastoriche, il pensiero evoliano risulta ancora di inesaurita ricchezza
e fecondità. E., Gli uomini e le rovine, Roma, E., Cavalcare la tigre,
Milano E., Essere di destra, in «Roma», poi in Citimi scritti, Napoli cfr., Gli
uomini e le rovine, cit., Galli su E. cfr. La destra in Italia, ciLa tigre di
carta ed il drago scarlatto, Bologna. Mancini, Il pensiero negativo e la nuova
destra, Milano Cacciari, i riferimenti sono a una intervista da lui concessa a
G. De Turris, Z//r- razionale? E chi lo conosce, in «Il Settimanale», e
all'articolo È una figura complessa su E., apparso sempre su «Il Settimanale». E.
ha avuto un ruolo importante per la conoscenza e la diffusione in Italia
della konservative Revolution. Oltre ai suoi contributi, e ai numerosi
riferimenti sparsi nella sua opera, E. ha tradotto in Italia II Tramonto dell’Occidente
di Spengler, ha introdotto Anni decisivi dello stesso autore, h a tradotto/!/
muro del Tempo di Junger (Roma) e ha scritto un’ampia sintesi dell
'Operaio, solo per citare alcuni dei suoi contributi. Cioran, Storia e
utopia, Milano. Il riferimento è a un editoriale anonimo ma attribuito allallora
direttore della rivista, padre Bartolomeo Sorge, apparso nella «Civiltà
Cattolica», Il neo-paganesimo della Nuova Destra. Imperialismo pagano,
Roma Veneziani, E. tra filosofia e tradizione, Roma. A tale proposito si veda
Benoist soprattutto Come si può essere pagani?, Roma. Negri, E. e il
superamento dell'attualismo in appendice a Veneziani, E. tra filosofia e
tradizione. Negri si riferisce a E. anche nel suo Sviluppi e incidenze
dell’attualismo. I riferimenti a Evola di Spirito, Carlini e Sciacca sono stati
raccolti da G. De Turris in “Omaggio a E.,” Roma. Gentile non è il nostro
filosofo, in Tradizione, Il filosofo Gentile, in «Il Conciliatore», (poi in
Ricognizioni, Roma). Si vedano inoltre di E. su Gentile: Saggi
sull’idealismo magico, Roma; Il cammino del cinabro, e gli scritti
Superamento dell’idealismo e L'equivoco dell'immanenza raccolti in
Diorama filosofico, cJesi, Cultura di destra. Il linguaggio delle parole senza
idee, Milano Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta, cit.
Si veda anche La destra radicale, Milano E., Il Fascismo visto dalla
Destra. Con note sul Terzo Reich, E., Il cammino del cinabro, A proposito della
teoria evoliana sulla razza è da riferire quanto emerge dai documenti segreti
del terzo reich pubblicati a Roma a cura di Cospito e Neulen. In uno
scritto, una nota inviata dal dirigente dell’ufficio politico della razza
della NSDAR, Gross, al ministro tedesco per l’istruzione popolare e propaganda,
E. e accusato di elaborare una teoria razziale italiana, e fondamentalmente
antitedesca. Osservando che E. pone il primato dello spirito sul corpo,
l’estensore della nota rileva che E. aderisce all’idea della superiorità
spirituale dei popoli latini e asseconda la favola della barbarie nordica in un
altra forma. Dopo aver accusato E. di teorizzare un razzismo annacquato,
privo di scientificità, antievoluzionistico, il redattore afferma. Dalla
latinità dell’autore scaturiscono concezioni che costituiscono un
atteggiamento totalmente estraneo alle visioni tedesche. Per questa ragione
colpisce in molti punti la sintonia con il cattolicesimo mediterraneo e
prosegue con alcuni esempi (Huttig, Berlino). Su tale idea cfr. Gl’uomini
e le rovine, Orientamenti, Roma. A tale proposito cfr. M. Veneziani,
Prefazione all'ultima edizione di «Orientamenti», Roma, Testimonianze su E.,
Roma; E. e la generazione. E., Gli uomini e le rovine. The Germans do
not have the concept of virility. Evola’s concept of ‘maschio’ is very complex
– vir sums up best. Julius
Evola. “Giulio
Cesare Andrea Evola”. Keywords: romanità, virilità. pitagora, roma, origini di
roma, romolo, romanità, virilità, pitagora canti d’oro, ercole, male bonding,
virilita, vir, Dioscuri, castore e policce, Weininger, Buehler, homoerotic,
intergenerational male bonding, tutor/tutee, hero, Aryan, European – Roma, l’implicatura
di Romolo. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice ed Evola," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Evola.


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