Luigi Seranza -- Grice
e Giacchè: la ragione conversazionale e l’implicataura
conversazionale dell’altra visione dell’altro – Barba, Bene, e Fellini
antropologo – filosofia perugina – la scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Perugia).
Filosofo
perugino. Filosofo umbro. Filosofo Italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I like
Giacché; for one, he philosophises on theatre, which any Sheldonian should
appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a philosophical
anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language: “l’altre vision
dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial nonetheless, or
perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has philosophised on
spectator and participant, which is conversational in tone – there’s no
monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types of
performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche
socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa,
solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere
soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante.
Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Bene. Antropologia
di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione
fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la
sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma. CURRICULUM
di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico
gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale”
presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici,
Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago,
PG) - anni accademici TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere
(indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70 presso
l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode. Abilitazione
all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie inferiori - titolo
conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio quadriennale (dal
1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”, usufruita presso
l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia.
Titolare di contratto quadriennale presso la Facoltà di lettere e filosofia
della stessa università. Addetto alle esercitazioni presso la cattedra di
Etnologia della stessa Facoltà, per gli anni accademici Ricercatore confermato
dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre 2004, presso l’Istituto di Etnologia e
Antropologia culturale dell’Università di Perugia; in tale ruolo ha condotto
seminari, cicli di lezione, moduli didattici e progetti speciali (in prevalenza
sui temi della devianza, della condizione giovanile, della società dei consumi
e dello spettacolo, dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno
acc. 1994-95, in cui è divenuto affidatario di un Corso di Antropologia
teatrale (unico corso attivato in Italia), riconfermato per tutti i successivi
anni accademici. E’ stato altresì docente affidatario del corso di Antropologia
culturale presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di
Perugia, nell’anno accademico 1998-99. Professore associato presso il
Dipartimento Uomo et Territorio – Sezione antropologica ; docente di Fondamenti
di Antropologia e di Antropologia del teatro e dello spettacolo presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia,
Professore a contratto, docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di
Scienze della Formazione della L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori
professionali, sede di Gubbio – anni accademici
Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso
l’Université Libre de Bruxelles - facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e
lettere Visiting Professor presso l’Università di Malta, Facoltà di Scienze
della Formazione. Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”,
presso l’Université Paris VIII – Département d’Etudes théâtrales Professore
invitato dall’Université Paris VIII per un seminario da tenersi presso il
laboratorio di Etnoscenologia della Maison de l’Homme – Paris Nord Membro della
Commissione per la Procedura di valutazione comparativa per il reclutamento di
un ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di
Cagliari, M05X – Discipline demoetnoantropologiche. Docente del Dottorato
Internazionale in Antropologia ed Etnologia (A.E.D.E.) CONSULENZE,
COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI Consulente socio-antropologico
per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale dell’Umbria: “Decentramento e
sviluppo urbanistico”; “Anticamera” (novembre 1980 - aprile 1981); “Aperitivo”
(aprile-luglio 1982). Consulente antropologico del Centro Regionale Umbro per
le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978 (Ricerca sulla “popolazione reale”).
Consulente del Comitato Regionale Umbro Radiotelevisivo e curatore di numerose
indagini sul sistema dell’emitttenza locale e sull’ascolto radiotelevisivo.
Consulente e collaboratore del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di
Santarcangelo di Romagna . Consulente e collaboratore del Teatro Studio 3 di
Perugia, Consulente e collaboratore della 1^ Rassegna Internazionale del Teatro
di Strada (Montecelio di Guidonia). Consulente artistico e scientifico del
festival di teatro, musica e cinema “Segni Barocchi” di Foligno (edizioni).
Consulente del Teatro San Geminiano di Modena, poi centro teatrale “Dramma
Teatri”. Consulente e assistente, in
qualità di antropologo del teatro della rappresentazione teatrale de “La
escuela de la escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura
di Filippi, nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus
relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de
Mexico (Città del Messico). Membro
del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology
diretta da Barba, con sede a Holstebro, Danimarca. Membro del gruppo di lavoro
internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de
Bruxelles, Belgio (fino al suo scioglimento). Membro del gruppo di lavoro della
Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences
humaines” Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca
“Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris
Nord Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di
Psicosomatica Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia Membro del Comité de
Rédaction de “L’Ethnographie. Noveaux objets, nouvelles méthodes. Revue de la Société
d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore
della rivista “Lo straniero. Arte Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi
(dalla sua fondazione); già redattore della rivista “Linea d’ombra e
co-direttore de “La terra vista dalla luna” Collaboratore della rivista “Gli
asini. Educazione e intervento sociale”, diretta da Luigi Monti, dalla sua
fondazione Membro del Comitato scientifico della rivista trimestrale “Catarsi.
Teatri della diversità”, dalla sua fondazione – 1996. Membro del Comité
scientifique de la revue trimestrelle “Théâtre Public” Presidente della
Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene Membro della Commissione Consultiva
per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Membro della
Commission di valutazione dei progetti di cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero
per i Beni e le Attività culturali. Consulente della Regione dell’Umbria –
Assessorato alla Cultura, con l’incarico di ricognizione ed esplorazione del
settore teatro nel territorio regionale Membro della Commissione Consultiva per
il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali Membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal
2012). Membro del Comitato scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale
europea per . CORSI E SEMINARI DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di
docente, ai seguenti corsi o seminari: • Corso biennale per la formazione di
tecnici della ricerca sulle tradizioni popolari nella regione umbra (Perugia corso
regionale di preparazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari
impegnati nell’attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di
tossicodipendenza (Bologna Corso regionale per operatori culturali nel settore
del cinema (Orvieto Corso di riqualificazione professionale per operatori
audiovisivi: il videotape (Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di
formazione professionale per i 28 diplomati di scuola media superiore
(schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico regionale dei beni
bibliografici” (Perugia Corso di formazione professionale per i diplomati di
scuola media superiore (ordinatori di biblioteca) previsti dal progetto
“sistemi bibliotecari comprensoriali” (Perugia Corso Animatori Q/1 - Seminario
sulle comunicazioni di massa (Spoleto Seminario residenziale “L’Atelier: centro
internazionale di ricerche artistiche” (Volterra Soglie: esperienze di confine
tra attore e spettatore”, seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle
scuole medie superiori (Perugia e Todi Corso di Formation Doctorale Esthetique,
Sciences et Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis
(lezioni Corso di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento
di Musica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione “Teatro,
gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne
(Perugia e Città di Castello L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico
sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti La società italiana del dopoguerra”.
Seminario di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e
dall’Istituto Italiano di cultura di Cracovia (Cracovia Corso di aggiornamento
A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni Seminario di Antropologia
del teatro per gli allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi”
(Milano, Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La
cultura del confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione Uomini e
teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla
didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro
(Marcellina, Roma Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie
superiori della regione Lazio (Roma Corso Universitario Multidisciplinare di
Educazione allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione Università
del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro
contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio
Calabria, Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II
anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia
Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi, Corso Uni-Tea Figli della storia e
maestri del teatro” (Parma, Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di
ogni ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato
agli studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei
Marmi, Convegno-seminario “La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli
di relazione / incontro fra teatro e scuola” (Cervia Università del Teatro
Euroasiano, sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata
“Apprendere ad apprendere” (Scilla, Reggio Calabria Corso Uni-Tea 1998, “Oplà
noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” -
seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di
Parma (Parma Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore
teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A
Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari a
Isola Polvese - Perugia e a Parma Corso d’aggiornamento per insegnanti degli
Istituti medi e superiori Gli anni della contestazione” (Parma Sulla
verticalità del verso », seminario di e con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente
Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle Criticando criticando. Laboratorio
d’analisi dello spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione
Nazionale Critici di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi – Bagnacavallo
sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia I mestieri e le lingue
del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori dell’area penale
esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il
patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari Teatro e Carcere:
l’esperienza della Compagnia della Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e
Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I. (Volterra Ciclo di incontri
organizzati dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia
(ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68
e il teatro” (Cagliari La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per
insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di
Modena Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole elementari del
comprensorio Valle Umbria (Foligno Teatro e Carcere: l’esperienza della
Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio cercando i teatri” organizzato
dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle Il verso dannunziano e il concerto d’autore”,
seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo Ciclo
di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza Corso
Uni Tea “Il teatro come disagio antropologico” (Parma Divenire teatro”,
incontri su Antonin Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di
Ferrara. Relatore dell’incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara Politica e
società”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, Relatore dell’incontro:
“Minoranze e movimenti nell’Italia del dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, Incontri
in scena. Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro
Astra, organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la collaborazione
dell’Università di Cà Foscari di Venezia. Relatore dell’incontro: “Antropologia
dell’infanzia” “L’utopia del teatro vivente. Living Theatre” (Siena nel quadro
di incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena attorno ai “Cinque
sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla filosofia del teatro”
(Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per favorire l’inclusione
sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del corso organizzato dal
Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna Teatro (Modena Giornate
di studio per l’inaugurazione della sezione di ricerca “Créations, Pratiques,
Publics”, presso la Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (St. Denis Conferenza
sul Living Theatre, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le
idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro
Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Conferenza su Carmelo Bene o delle
provocazioni del genio, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini
e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal
Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Le risorse della diversità”, seminario
organizzato da Proteo Fare Sapere e dal Movimento Cooperazione Educativa
(Firenze, Educandato SS. Annunziata Corso per attrici “Il corpo del testo”,
organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione; docente di Elementi di
antropologia e cultura del teatro e spettacolo (30 ore di Antropologia del
Teatro Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di Carmelo Bene,
organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e dall’Università
di Lecce (Lecce Dimostrazione-conferenza “L’attore compositore: Mejerchol’d e
la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro Internazionale Studi Biomeccanica
Teatrale (Perugia giornate di lavoro teatrale: incontri, dimostrazioni di
lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di via Manzoni), nel quadro di
“Generazioni Festival organizzazione e cura della Fondazione Pontedera Teatro. • Seminario dell’Ecole des
Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B.
Filippi e G. Careri (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art comunicazione
Le Sud du Sud des Saints, Teatro in forma di libri”, incontri organizzati dal
Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza Arte dello spettatore”.Corso di
formazione per insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione
Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo, Seminario orientativo sul settore
spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia- Romagna Teatro nel quadro
della Laurea specialistica “Progettazione e gestione di attività culturali”
della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Modena (lezione Seminario
di studio nel quadro della Mostra “Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e
visioni dall’archivio”, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune
di Roma (Casa del Teatri-Villino Corsini comunicazione L’ultimo Bene. La
verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave per il
teatro” (Lecce organizzato dai Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia
della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la
voce (Perugia, Palazzo dei Priori, Corso “Salute mentale, Antropologia e
Teatro: confronto su un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di
S. Margherita, Padiglione Neri organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2
di Perugia. • “Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana nel
quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un
testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio Atelier intensif
S.P.O.T. (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master
Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université
Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna
docente di un corso di Antropologia teatrale. 8 • “Teatro come impegno
civile”, seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali
Koreja (Lecce Laboratorio di ricerca
interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50°
Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica
“Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica di
Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli Quadri concettuali per l’analisi
del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario
Del Monte di Modena comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura
(Modena, Teatro delle Passioni L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro
delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di
Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della
cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di
Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena; comunicazione su La domanda di
teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, S.P.O.T. II
(Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La
adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint
en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e
organizzato dalla Universitad de Sevilla; docente di un corso di 8 ore di
Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di
Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of
Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 –
26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore Seminario –
Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e
Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14
novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da
Bene Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala
Miliocchi organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia
di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi
“La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla
L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda
Ducci”, Piazza delle Vaschette Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche
sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo et Territorio –
sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni
Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra nel
quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su:
“Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, Bruciare la
casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG) nel quadro di
“Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di Linea Trasversale.
• Séminaire doctoral
collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : «
Théâtre du genre : production, performance, spectacle » (Parigi, CNRS, 4
dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou
neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe
“- Session Paris (ONDA, Paris Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour
quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai,
se non all’infinito” (Bergamo incontro seminariale nel quadro de “Il teatro
vivo. Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali
organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei
popoli: criteri di autenticità” (Gubbio nel quadro del ciclo di incontri “La
Festa nella Festa dei Ceri”, per la celebrazione dell’anniversario della morte
di S. Ubaldo. • Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare
dell’Istituto Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi
(Perugia Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del
progetto “Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da
ArteStudio per il Festival dei Due Mondi – Spoleto (Spoleto, Palazzo Comunale
Coordinatore del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto
Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi Incontro-conversazione
“Radicalism: Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia”
(Venezia, Padiglione Spagnolo della Biennale Arte nel quadro della performance
THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th
International Art Exibition – Venice Biennale Relatore e conduttore del XIII
Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo
viene prima del mondo dell’anima? (Perugia Dialogo teatrale – incontro tra un
antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze
di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia
Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni La congiura della creatività”,
seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo
Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno Incontro con Marc Augè in dialogo con
Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia,
Sala dei Notari Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo
Teatro Grassi di via Rovello, Milano nel quadro di “Visioni di Bene. Voce,
teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano Memorie del sottosuolo. Il
teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene”
(Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna nel quadro di Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza
Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla
scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro
Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le
arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi Incontro-Lezione – TITOLO - per il
seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di
“Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La
parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della
Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino Incontro
con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio,
intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del
“Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, Conversano,
BA, Auditorium di San Giuseppe Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del
teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di
promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro
Tascabile di Bergamo (Bergamo Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret,
nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli
operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia,
Sala Cutu Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo
Teatro Mauro Bolognini per il seminario residenziale Università Elementare de
Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro
di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia Corso residenziale “Si deve,
si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove
va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme Progetto
Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste
Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al
globale e ritorno Corso di formazione per docenti presso l’Istituto
Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di
due ore sul tema “Giovani Oggi Corso d formazione per docenti “Teatro come
cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano
(PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da
Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo Curatore e ideatore dei seguenti
progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla
cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona,
Castellon e Madrid, Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione
culturale” - tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale
(Perugia Storia et Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque
incontri dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire
l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia La parte dell’altro. Teatro ed
esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario conclusivo con E.
Barba (Perugia Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca
sugli ambiti contigui al teatro (Perugia L’età dell’oro. Per un teatro giovane”
- incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali (Parma Il primo giorno.
Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro
nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro (Parma Coordinatore del
seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta”
(Parma, all’interno del Corso Uni-Tea Coordinatore del seminario laboratorio
“Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale. Un percorso tra luoghi e
non luoghi” (Parma all’interno del Corso Uni-Tea Curatore (assieme a G. Fofi)
del ciclo di incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti”
(Santarcangelo di Romagna nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del
Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per
insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In
Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione
(Modena, Teatro delle Passioni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli
maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo
Comunale e Teatro Subasio organizzato dal Teatro stabile di innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del
Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del
Festival Internazionale ESTERNI (Terni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di
“Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni, Officine Ex-Siri organizzato
dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del
festival Es-Terni Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio
sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), Laboratorio: Mondaino (RN)
organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione dell’Ass.
Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le ferite. La
poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti italiani nel
quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato dall’E.R.T. (Modena,
Biblioteca Delfini Curatore e conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla
condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti
(Modena, Biblioteca “Delfini” Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze
scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla
motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE dell’E.R.T. (Rubiera, Corte
Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini” Curatore e coordinatore dei sei
incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il piccolo spettatore” a
cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia e del
Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica – dell’Università degli
studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht Curatore di “Autocritica”, quattro
incontri fra critici e attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie
Scena Contemporanea Festival (Modena, Biblioteca “Delfini Curatore e
coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”, organizzato dal
Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia nell’occasione delle
repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di promozione dello
spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di Perugia e Teatro
Clitunno di Trevi, Curatore e direttore scientifico de “Il Centro della
Visione. Per un’accademia dello spettatore”, progetto organizzato da Kilowat
Festival a Sansepolcro (AR), Ideatore e curatore del progetto “Verso Capitini,
per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione
presso il Teatro Drama di Modena sessione presso il Teatro Brecht di Perugia
Ideatore e curatore del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia organizzato
dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese.
CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza:
problemi e contributi di ricerca” (Perugia Convegno internazionale su “Droga.
Dalle esperienze ad una proposta concreta. Aspetti terapeutici, sociali e
legislativi” (Firenze Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo”
(Greve in Chianti, Firenze Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International
School of Theatre Anthropology (Volterra Convegno di studi su “Improvvisazione
e spettacolo” (Firenze Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra Convegno
di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza Giornate
della cultura e della partecipazione (Barcellona, Convegno di studi su “Elogio
dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, Mostra-Convegno “Spoleto
come titolo” (Spoleto Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza
sessione dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff Incontri di lavoro con Richard
Schechner” (Pontedera Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare”
(Bellaria-Igea Marina Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione
delle conoscenze” (Massa Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia
del teatro” (Modena, sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro
delle diverse culture” (Hostelbro Convegno Nazionale di Antropologia delle
società complesse (Roma sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e
identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto Convegno su “Teatro e
Emergenza. Quattro incontri” (Bologna Natura e buongoverno del teatro. Convegno
Nazionale per il rinnovamento della scena italiana” (Milano Encuentro de Artes
Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas
para la investigacion y esperimentacion (Mexico D. F. Convegno su “La presenza
misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati Giornate di studio su
“Grotowski, la presenza assente” (Modena Congresso Mondiale di Sociologia del
Teatro (Bevagna Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral
contemporani” (Olot – Catalunya sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro
euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna World
Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di
“Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale”
(Palermo • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei
fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16
novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano
(Padova Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi”
(Torino Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian,
Lisbona Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie,
rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, Seminario-convegno della
Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina Giornate
di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia Congresso Nazionale
“L’antropologia e la società italiana” (RomaConvegno “L’identità collettiva e
la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia Convegno di
studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di
Roma Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione”
(Milano Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare
teatro?” (Terza Università di Roma Convegno internazionale per la fondazione
del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris Convegno su “Pacifismo,
disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di
Capodarco” (Lido di Fermo Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes
Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon Convegno su “Teatro
antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla Convegno su “Tradizione e
modernità al sud Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed
Educazione al Teatro” (Roma. • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e
percezione” (Modena). Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons) Convegno
Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati,
educatori e artisti narratori” (Palermo, Convegno di studio “Creativi si nasce?
Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo
sull’Oglio - BS). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di
ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello -
Università di Salerno, Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione trent’anni
dopo” (Torino). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni
meridionali e mediterranee” (Messina). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e
Gabriele D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, Acting,
Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca
organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal
Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms
(Stoccolma,Convegno Europeo di Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino
di un’utopia concreta” (Milano, tavola rotonda su “Il costringimento e il suo
doppio” (Convegno “Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro
e handicap” (Milano). • Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X
edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità
(Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea). • Convegno di studio per
dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura,
traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, Congresso “Le Corps du Théâtre. À
partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité”
(Bologna organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale
Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. Encontro Internacional de Novo
Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro
cultural de Bélem). • “Per un teatro
popolare di ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera,
Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle diversità e l’integrazione”
organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto –Ps, Convegno Internazionale
“Intrecci tra Educazione Arte Natura nella prospettiva della conversione
ecologica” (Amelia, organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di
studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, organizzato dal Comune di
Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al
limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film
Festival Ho sognato che vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione.
Esperienze di teatro con protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici,
carcerati, portatori di deficit, immigrati) a confronto con studiosi e
amministratori”, (Arena del Sole, Bologna) convegno organizzato dall’Azienda
USL Bologna Nord e dalla Regione Emilia-Romagna Convegno di Studi “Antropologia
e poesia” (Fisciano-Ravello, organizzato dall’Università degli studi di Salerno
e dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un
nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, organizzato dall’Ente
Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri Convegno “Residui
illimitati” (Bergamo, Chiesa di S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il
Teatro Prova nel quadro del festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri
e arti tra diversità e alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e
Carmelo Bene” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea,
organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in Scienze
e Arti di Torino. • Convegno
Internazionale “Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of
Jerzy Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, Non solo
per piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti.
Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area
penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, organizzato dal
Dipartimento Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione
Emilia-Romagna e dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. •
Colloque International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris Convegno
“L’Attore”, organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle
Segreterie di stato per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san
Marino (Sala SUMS, Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea
Generale di IRIS - Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea
(Modena, Palazzo Comunale). Controscuola. Riflessioni ed esperienze
pedagogiche”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di
Roma in Trastevere, symposium on tracing roads across “Living Traces –
Performing as a Shared Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the
Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera –
PI, Convegno “Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en
Etudes Féminines – Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée
d’Art et d’Histoire, Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi
e di cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista
“Lo straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 1° Incontro su
“Travestitismo e identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli,
Galleria Toledo), organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di
Psicologia Cilinica e Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli
Federico II, L’Orientale, Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e
l’alterità di genere. Il caso o l’esempio di Carmelo Bene. Convegno Regionale
A.I.Fi Umbria su “Le alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza
riabilitativa” (Trevi, Hotel della Torre, organizzato con la collaborazione
dell’Università di Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della
tradizione e il corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro
della Compagnia della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra,
Cortile principale del carcere, coordinatore e relatore. • Convegno
internazionale “Il teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno”
(Ulassai e Jerzu, organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra
Teatro, festival dei tacchi Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30
anni dopo” (Milano, Teatro dell’Arte, organizzato dal CRT Centro di Ricerca per
il Teatro di Milano. • Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M.
Martinelli, organizzato dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara
(Scampia-Napoli, Teatro Auditorium, Journée d’étude “Modes et formes
d’émergence dans le théâtre” (Liegi, Belgio, organizzato, nel quadro del
progetto Prospero, dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. •
“Ricordando Lévi-Strauss. Convegno di studi” (Macerata, organizzato dal Centro
Internazionale di Studi sul Mito e dall’Università di Macerata. • Convegno
seminariale “Chi è il prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel
quadro del 40° Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di
Romagna, Supercinema, Futuramente. 1° Convegno intorno alla Creatività per le
future generazioni” (Pontedera, Museo Piaggio, organizzato dall’ass. Libera
Espressione e dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez
pas ça tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la
politique” (Tolosa, Francia, organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In
Extremis Una giornata con il Living Theatre – conversazione pubblica (San Sisto
– Perugia, Teatro Bertolt Brecht, organizzata dall’UILT nel quadro della
Giornata Mandiale del Teatro. Convegno Internazionale “Civiltà, culture,
educazione. Le sfide della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna
della Lumsa, Roma, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della
LUMSA di Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione”, organizzato
dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del Festival Internazionale del Teatro
in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, “Il n’y a pas de révolution
politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro
internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e
mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni,
Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab,). Journée
d’études “Potlach notionnel sur la performance. National potlach on performance”,
organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris Ouest-Nanterre, dal Centre
Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre François Furet, bld. Raspail, Paris
Convegno della Facultatea de Teatru si Televiziune – Universitatea Babes-Boyai
di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator. Performing Arts between
Construction and Destruction / Le mauvais spectateur. Les arts du spectacle
entre construction et destruction”, organizzato dal gruppo di ricerca Istoria
Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a Cluj-Napoca Seminario
“L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia e la rinuncia
all’assenza” (Cenci-Amelia, nel quadro della manifestazione “Sorgenti e
torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e al Teatro delle sorgenti” organizzata dal
Laboratorio di Cenci Convegno “Le théâtre et ses publics: la création partagée”
- 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO (Salle académique
dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre de la Place di
Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées d’étude en l’honneur de
Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de Lille 3, dall’Université
Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università Italo Francese (Lille, 29
novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). • Colloque International
“D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art -
Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique - Cinéma du Panthéon),
organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex Arts-H2H, Université
Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e Territorio
dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres de l’Europe
e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). •
Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio, Biblioteca Sperelliana),
organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club Gubbio Host. “Teatro e nuovo
umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata per Claudio Meldolesi”
(Bologna, Laboratorio delle Arti), organizzata dal Dipartimento delle Arti
visive, performative, mediali dell’Università di Bologna, con il patrocinio
dell’Accademia dei Lincei.Convegno Nazionale di Teatro educativo intitolato
“Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in scena – Esperienze a
confronto” (Avigliano Umbro, TR, Colloque international d’ethnoscénologie,
organizzato da Maison des Cultures du monde, Université Paris 8, Maison des
Sciences de l’Homme Paris Nord) •Incontro sul tema “Ai confini della
democrazia” (Roma, La Pelanda) organizzato dalle Edizioni dell’Asino nel quadro
della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia della felicità”
(Roma). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra passato, presente e
futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio regionale
dell’Umbria). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena, Teatro delle
Passioni), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da Emilia Romagna
Teatro. Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di riflessione e
confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro (Pontedera, PI, Teatro
Era). Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia), organizzato dal Centro
Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. RICERCHE ricerche
teoriche: Il contesto sociale della criminalità e della devianza Le basi
strutturali dei processi di criminalizzazione” La solitudine abitativa come
fenomeno emergente Riferimenti teorici ed esperienze empiriche nella fondazione
di una antropologia del teatro Cultura dell’attore nelle tradizioni teatrali
euroasiatiche L’identità dello
spettatore e i modelli di fruizione del teatro Sociabilità, Relazionalità,
Spettacolarità Tecniche del corpo e azioni performative Studio per la
realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema del cooperativismo Elements
anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel quadro della partecipazione
al Groupe international de recherche interdisciplinaire “Spectacle vivant et
sciences de l’homme” - Maison de l’Homme, Paris Il teatro e la scuola: le
funzioni pedagogiche del teatro e i corsi di formazione degli operatori teatrali
e degli insegnanti - nel quadro dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato
dall’Ente Teatrale Italiano. ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei
confronti della devianza criminale e dell’istituzione carceraria (ricerca
condotta nel quartiere di P.ta Eburnea di Perugia Le opinioni e gli
atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico per Geometri di Perugia nei
confronti della scuola e della condizione umana Indagine su tipologia e
censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il Consiglio
Regionale dell’Umbria, Ricerca sulla definizione e le caratteristiche della
popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S. Indagine sull’ascolto
radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio
Radiotelevisivo, Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso
l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee Indagine sull’esercizio e il mercato
cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento
delle Attività Culturali, Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca
del Centro Documentazione Spettacolo, sAnalisi dei risultati delle elezioni
amministrative nel comune di Perugia
(ricerca del Comune di Perugia, Ricerca sulla memoria e sulla identità dello
spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre
Anthropology). L’informazione televisiva
in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il
Servizio Radiotelevisivo, Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in
Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo,
Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali In
compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel
settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione”
promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna
Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen
Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting
Group Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione
dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare”
organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano
Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di
innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta
Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri
Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con
le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del
“Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi
integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo –
costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia
Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale Sull’opera e il pensiero
degli antropologi Giulio Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione),
“Lo straniero Arte Cultura Società”, Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo
straniero Arte Cultura Scienza Società, Postfazione alla parte quinta
“Dimensioni della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale,
(M. Minelli – C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed., Firenze, La festa, la
protezione magica, il potere, Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero
Arte Cultura Scienza Società, Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo
straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Sulla condizione e la subcultura
giovanile: Dopo Licola, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, Il corpo e il
territorio, “Segno critico, Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e
integrazione, (in coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma,
Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse, Forza ragazzi, “Linea
d’ombra, Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il
diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Lo studente
quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, La Giovane Italia,
“Gli asini. Educazione e intervento sociale, Un saggio Laffi sui giovani e i
vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sulla devianza e la
criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in
coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, La organizzazione del consenso nel regime
fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, (in coll. con
G. Baronti), “Studi e materiali di antropologia culturale”, Perugia, Sulla
cultura meridionale: Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande
(curatori), Nel sud, senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento,
L’ancora del mediterraneo, Napoli, Sulla cultura politica e la politica
culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle
elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro
PSI, Perugia, Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea
d’ombra ed., Milano, La festa dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea
d’ombra, Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea
d’ombra, Ebrei e naziskin. I fatti e le notizie, in: A. Cavaglion (a cura di),
Gli aratori del vulcano. Razzismo e antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano,
Il punto e la linea. Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea
d’ombra, La cultura del maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista
dell’intervento sociale, Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino,
“La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Laici ed eretici,
“La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, A Perugia c’è
cultura da vendere, “L’indice, Sull’industria della coscienza: una questione di
dettaglio, introduzione a: H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia,
politica e industria della coscienza, trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, La
parabola del buon rettore, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, L’età dello
stagno, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Cosa ci tocca vedere, “Lo Straniero.
Arte Cultura Società, Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte Cultura Società,
Qualcosa è accaduto, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il porto
dell’università, fra la nebbia e il miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura
Società, Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, La sera del dì di festa, “Lo straniero. Arte
Cultura Società, Questo Papa e quella guerra, “Lo Straniero. Arte Cultura
Società, La controriforma e il doposcuola, “Lo Straniero. Arte Cultura Società,
Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La
questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il silenzio dei
post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il viaggio di
Francesco Piccolo nei divertimenti di massa (recensione), “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, La mamma ha un cuore verde. Un racconto di Rosa
Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La montagna
elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il male minore, in: M.
Bon Valsassina (curatore), In fondo al male. Contributi e Iconografie sul Male,
Futura ed., Perugia, Universitas docet, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società”, Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, La parte dell’arte, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, G. –
V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia, Necessità e servitù della critica.
Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?, Edizioni dell’Asino, Roma,
Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che
viene, Edizioni dell’Asino, Roma, Lo sciopero e la grève, ovvero dalla Francia
con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il teatro del
prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Teatro e politica
all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione e intervento
sociale”, Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Specchiarsi
nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il maggio è francese, “Lo Straniero.
Arte Cultura Scienza Società, Ci fu una volta la sinistra, ovvero il silenzio
dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, La cultura e la politica, un
atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Indovinala
Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Fazio ovvero l’ultima
volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, L’università
dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero
monografico su Valutazione e meritocrazia nella scuola e nella società Il niente che avanza, “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, I
volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette sulla cultura, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sul pensiero e l’azione di Aldo
Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Opposizione e
liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano (riedizione con
il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella nonviolenza, L’Ancora del
Mediterraneo, Napoli). Al servizio (civile) della coscienza, “La terra vista
dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Capitini e l’obiezione di
coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”,
Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz. e/o,
Roma, L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo Straniero.
Arte Cultura Società, Introduzione e cura del volume: La religione
dell’educazione. Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana,
Molfetta (Bari), Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009,
(www.studiumbri.it) Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli
amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, L’importanza di chiamarsi
prete, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Sulla cultura teatrale e la
società dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De
Matteis), “Quaderni di Teatro, Diario scolastico del sussidiario teatrale,
“Scenascuola”, Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea
d’ombra, Living memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro
Festival, Antropologia culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento
dell’approccio socio- antropologico al teatro, “Teatro e Storia, Una bùsqueda
de “antropologia teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro, Memoire
sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur
“L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, Teatro necesario y teatro
suficiente, “Màscara. Cuadernos
Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno Come lavorare in
discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra, Lo
spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e
ass., Milano, Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni
(a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il
Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, Introduzione all’identità dello
spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue
Internationale de Sociologie du Théâtre, Teatro e antropologia. Note su una
“canoa di carta”, “Linea d’ombra, Una equazione fra antropologia e teatro,
“Teatro e Storia”, L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro,
“Etnoantropologia”, Argo ed. Lecce, Nostalgia del teatro e simulazione della
piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia:
eventi, liturgie, rappresentazioni, Ed. scientifiche italiane, Napoli,
Introduzione e cura, Per Bene (Atti del convegno, Perugia), Linea d’ombra ed.,
Milano, De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de
l’immaginaire, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, Il teatro “privato “del
pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in:
Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia
Romagna Teatro) ed., Modena, Bene. Antropologia di una macchina attoriale,
Bompiani ed., Milano, Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone
Marino). De la consommation
du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi
aller au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale
Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, Giulio
Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società, Teatro antropologico: atto
secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità, Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di
alcuni teatri della diversità, ANC, Consumare teatro, “Teatro e Storia, Shakespeare
e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Au théâtre
comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du
Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de
Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique)), Lansman,
Carnières-Morlanwelz (Belgique), Théâtre éducation”, Spettatori non si nasce,
in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra
espressività e percezione. Atti del convegno (Modena), Centro Stampa Provincia
di Modena, O la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone, Lo Straniero.
Arte Cultura Società, Politica culturale e cultura teatrale, “Primafila.
Mensile di teatro e di spettacolo dal vivo”, Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et
anthropologie, “Diogène, At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology,
“Diogenes, Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia.
Materiali per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo
dell’occupazione degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento
di crescita sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa
Tem, Modena, Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana
ripartoriti dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, Domande sul
presente di Manfredini, “La porta aperta”, Le bugie della scuola e quelle del
teatro, “Art’o”, Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a
“Lo straniero Arte Cultura Società, Il giullare fatto santo. Fo Dario fu
Francesco, “L’indice”, La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio
Morganti (intervista), “La porta aperta”, Tragedie nella terra, verso il mare,
sotto il cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli
(a cura di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed.,
Corazzano (PI), Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La
porta aperta”, La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo
spettatore e le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, Entelechia
del Bene. Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, Il teatro fuori dai
teatri. Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di),
Teatri dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, L’arte
dello spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo –
Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere
(Atti del Convegno nazionale – Palermo Eliocopisteria “Milone”, Palermo, L’identità
dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” L’art du
spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, The Art of
Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, Bene, attore della
cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società Lo spettatore del teatro e il
pubblico del rito, in: Cappelli, Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope.
Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a
partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed.,
Firenze, Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo
Arte, Milano, Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV.,
Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, Un anno senza “stagione”: il
’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, L’avventura finale di
Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società Questa non è una
tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, L’altra visione
dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo,
Napoli, Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”; Lo straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Perdere un amico. Ricordo di Bene) (ripubblicato in:
B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed..
Milano. Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla
madonna. Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, L’identitè du
spectateur. Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création,
Pratiques, Publics Arrevuoto”: il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero.
Arte Cultura Società”, Un Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Dar corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di
Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a cura di), La coscienza altra. Antropologia e
poesia, Marlin ed., Cava de’ Tirreni (SA), Atti del Convegno di Studio
“Antropologia e poesia”, organizzato dall’Università di Salerno,
Salerno-Ravello, Bene. Antropologia di una macchina attoriale – nuova edizione
aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano, Arrevuoto, n’ata vota
(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Arrevuoto”: quando
il teatro sospende la dittatura del mondo, in: Teatro delle Albe, M. Martinelli
– E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta. Ubulibri,
Milano, La verticalità e la sacralità dell’atto, in: A. Attisani – M. Biagini
(curatori), Opere e sentieri. Testimonianze e riflessioni sull’arte come
veicolo, Bulzoni ed., Roma, La dernière Médée. Le mithe dans le théâtre
contemporain: un parcours à l’envers, Réécritures de Mèdée, (sous la direction
de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de genre,
Université Paris 8), “Travaux et Documents”, Saldi di fine stagione, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàTeatro: Romeo
all’Inferno, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un soffio di teatro,
in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed
ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, De la consommation du
théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition),
“Degrés. Revue de synthèse à
orientation sémiologique”,
L’effetLiving. Lavisiond’Artaudparles “Balinais” deNewYork,“Theatre/Public”
(L’avant- garde américaine et l’Europe / II. Impact), Le personnage public et
l’acteur privé (entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre
et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20,
publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny, sous la direction de Dominique
Bax, Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film
Festival, Lo straniero”, Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàLa nostalgia, merce per tutti, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Bene Detto. Dispensa per Oratorio e
Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G.
Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora,
Mondaino, Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler- Palma,
Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag
Lehner, Wien (Austria), Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C.
Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos
Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU
Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre
européen – in European Theatre), Uomini e dei in un film francese (recensione),
“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, L’antropologia del teatro e il
teatro della cultura, in Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo
della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni,
Milano- Udine, Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”,
Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo
spettacolo”, n.20, Annuario (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di
Matteo), La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R.
Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita
attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, Non fare l’amore, in: T. Cots (a
cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, (trad.inglese). Buttare il
bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno
XV, Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori),
Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène
européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe
(n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Liquidité et/ou
verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides –
territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives
théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue
“Alternatives théâtrales”), Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique
et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – Maniutiu – L.
Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur –
Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca,
Romania, Barba e Carmelo Bene. Vite
parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova
serie, Bulzoni ed., (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in:
Les Voyages ou l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et
témoignages réunis par Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales –
Sorbonne Nouvelle-Paris, Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di
Roma”, Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto
Alegre, seer. ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives
théâtrales” (Le mauvais spectateur), Bruxelles, Le “Public” trop émancipé: vers
une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics.
La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen
PROSPERO - Liège, Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, Teatro e
comunità, “Scena”, Sur Sieni, et surtout sur Virgilio. Trois exemples, in Sieni,
Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore,
Firenze, Risposte o riposte. Cinque
lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed.,
Milano,Vers la verticalité du vers, Revue d’Histoire du Théâtre, (D’Après
Carmelo Bene. Actualité), Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato
a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età
repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – Sciolla)”, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing,
Catanzaro, Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a
direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis,
Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la
direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances
et identités (Actes du colloque d’ethnoscénologie, Paris), Presses
Universitaires de Bordeaux. Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra
visione dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian
implicature” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giacomo: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’icona -- sensibile,
imagine, presentazione, rappresentazione, formante e formato, contentente e
contenuto -- l’inspiegabile – filosofia italiana – la scuola d’Avola – filosofia
siracusese -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo avolese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Avola, Siracusa, Sicilia. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e
figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e
Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di
‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine
come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella
interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come
un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica
qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della
rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine
manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si
rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una
immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la
tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a
sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme
una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al
tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la
compongono. Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel
quale la dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente
PRE-sentativa, e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole
supporto materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine
(homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation,
according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e
neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo
imperceptibile, un “simul-acro”. Non a
caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di
immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa. L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’
o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione
di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione
epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di
mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una
concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni
pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può
essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’
(translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è
impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non*
con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa
che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è dicibile né indicibile.
Insomma, il testimone parla (spiega, dispiega) soltanto a partire da
l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga
allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare
l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una
questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna
compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto
col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere
l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e
quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un
orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano
essere abbando il NON-senso. Altre opera: “Dalla logica all'estetica”
(Parma, Pratiche); Icona “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo,
Centro studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra
Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari,
Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano, "Volti
della memoria", Mimesis, Milano, Narrazione e testimonianza. Quattro
scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis, "Malevic. Pittura
e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma, Fuori
dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,
"Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,
"Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano, Nietzsche.
L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano, Media e divulgazione Art and Perspicuous Perception in
Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin
e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è
Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf.
"Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte
contemporanea" “Astrazione e astrazioni”, "La questione dell'aura tra Benjamin e
Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Professore ordinario
di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università
di Roma e professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è
stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e
Storia della filosofia” e Presidente del corso di laurea Magistrale in
“Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio
di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana
Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana
Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato
scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della
Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista
Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di
Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint,
collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte
inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie
(Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis,
Milano). È stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, di numerose Ricerche di
Ateneo dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse
tematiche filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile
di diversi progetti PRIN. Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem-
poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo
Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha
ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di
carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la
musica, le arti figurative, il teatro. Collabora con il Teatro Eliseo all'interno
del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul teatro, la
musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la Fondazione
Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio). Tra le sue
pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein
(Parma); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra presentazione e
rappresentazione (Palermo); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Otto-
cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola a cura di D.
Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia, Servicio de
Publicaciones); Introduzione a Paul Klee (Roma-Bari); Alle origini dell’opera
d’arte contemporanea (Roma-Bari); Beckett ultimo atto (Milano), Ripensare le
immagini (Milano); Astrazione e astrazioni (Milano); L’oggetto nella pratica
artistica, (Paradigmi), Il Museo oggi (Studi di Estetica), Aura (Rivista di
Estetica), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo (Roma),
Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi (Roma-Bari,
2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al margen de los
esquemas. Estética y artes
figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la
Medusa, Madrid), Filosofia e teatro (Paradigmi), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica), Tra arte
e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano), Arte e modernità. Una
guida filosofica (Roma), Una pittura filosofica. Tàpies e l'informale (Milano),
Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano). Partecipa a progetti di ricerca
internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e
di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipando a convegni di
studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor
di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia
accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de
Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de
Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona;
Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic;
Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València;
Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi
post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for
the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic
University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC),
Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico. Nietzsche e l’eterno
ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano,
Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, Una pittura filosofica.
Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal
Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, Méndez, Al margen de los esquemas.
Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La
balsa de la Medusa, Madrid, Malevič. Pittura
e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, Narrazione e
testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano,
Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari (quinta ed.; trad. in
lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de
Va-lencia, Servicio de Publicaciones, Icona e arte astratta. La questione
dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint»,
Palermo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche,
Parma, G., L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear,
«Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica,
architettura, «Rivista di Estetica», G. (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi
fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Giacomo, L. Talarico (a cura di),
Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi, Marchetti (a cura di), Tra il
sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica, Marchetti (a
cura di), Aura, «Rivista di Estetica. G., A. Valentini (a cura di), Il museo
oggi, «Studi di Estetica», Volti della memoria, Mimesis, Milano, G. (a cura
di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli,
Alboversorio, Milano, Marchetti, L'oggetto nella pratica artistica, «Pa-
radigmi», Angeli, Milano, G. Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, G. e Colombo,
Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, G. Zambianchi (a cura di), Alle
origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, Introduzione a
D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a
Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, Il problema della
forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di
cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro
(RC) Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla
follia, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, Studi di
Estetica», Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G.
e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», Dostoevsky, a
writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”, Publishing house of the Russian Christian
Academy for the Humanities, Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans,
Understanding of the image in Plato, PLATO AND ANCIENT SCIENCE, Collection of
materials of CONFERENCE THE UNIVERSE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN
ACADEMY FOR HUMANITIES, Saint Petersburg, Appendice alla rivista di Fascia A
(in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada),
Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova
Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in Matteucci,
Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience /
Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, Quodlibet, Macerata,
Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G., L.
Marchetti, Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di Estetica,
Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel
Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino, I percorsi dell'immaginazione. Studi
in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, Prefazione a A.
Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Foggia, Reflexions
filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, The Myth. Aesthetic surgery clearly
demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror,
in Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. La guerra i
l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Arte e
vita nella Recherche di Marcel Proust, in G., Tra arte e vita. Percorsi fra
testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo,
L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi»,
Lettura del Macbeth, in G., L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto
e Macbeth, «Paradigmi», Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione
filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, Icona
e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni,
L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, El
poder i les seves representacions, in L'estat, Colloquis de Vic., Dalla
modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G., L.
Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica,
Studi di Estetica Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de
la veritat, prefaci a Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula",
Barcelona,Facultat de Filosofia, L’immagine artistica tra realtà e possibilità,
tra “visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S.
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Torino,PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La forma dell’immagine Ente
promotore: MIUR Progetto PRIN Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica
continentale: problemi, prospettive e tradizioni a confronto Ente promotore:
MIUR Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore dell’unità locale
Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica e artistica Ente
promotore: MIUR Coordinatore dei Progetti di Ateneo: Progetto di Ateneo:
Immagine e rappresentazione. Problemi estetici, artistici e storici Ente
promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati
e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore:
Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi
delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università
di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini
nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma
"La Sapienza Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Roma Progetto di
Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica, storica e
artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" Progetto
di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica e artistica - Ente promotore: Roma
Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale.
Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università
di Roma “La Sapienza; - Progetto di Ateneo: Il tema
dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi
di globalizzazione Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e
rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST -
Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Evento e
testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di
Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura
nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La
Sapienza" Coordinatore dei Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - Seminario sul tema Estetica
e storia dell’arte: necessità di un dialogo; Seminario sul tema Fine (della
storia) dell'arte?; - Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual
Studies;Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; Seminario sul
tema Leggere l'opera d'arte; Seminario sul tema Ancora l’aura oggi? Seminario
sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito ufficiale: giuseppe di
giacomo. wikipedia. org/ wiki/
Giuseppe _Di_Giacomo; fr. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe_ Di_Giacomo wikipedia.
org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo //de.
wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo //ca. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo
ROMANTIC PAINTERS and playwrights of the nineteenth century found rich material
in the lives of the old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they
created swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries,
as well as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance
artists. At the Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his
grand entry, a large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his
beloved daughter Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the
painter and playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous
intrigue that supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father
as an artist in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in
which the aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio
Zuccato, a Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow
craftsman). The play circles around the inevitable showdown between the
arrogant count and the sincere artist, which precipitates Marietta’s death at
the hands of the entitled, privileged, and violent Alfredo. Parallel to
this love story, the reader is regaled with the homosocial rivalry between
Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who
mediates a grandiloquent reconciliation scene in which all three masters unite
to defend the honor of the Venetian state. The narrative unfolds against
Tintoretto’s commission for the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria dell’Orto.
Marta’s artist was thus, in no uncertain terms, a struggling genius waiting for
recognition from his fellow artists even at the height of his success. Indeed,
the episode concludes with Titian’s transformative endorsement—Ora non siete
più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo Robusti (“now you are no
longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo Robusti”).1
Loosely based on actual historical personages, the tale is almost entirely
fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of great
importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio Vasari’s
sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the seventeenth
century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various writings on the
artist, were the primary sources for many of these tasty morsels, and while
scholars have tried to sift fiction from reality, some myths are just too
delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the unfounded
story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio. It’s not
entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to confirm the
tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed Marietta up as
a boy so that father and daughter could wander the city streets unimpeded by
society’s strict gender expectations). The image of
Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner
of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a
lone wolf fighting against the stultifying rules of the system: Fate has
decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize
itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian
malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them
the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he
destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional
solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied
state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an
absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of
Venice.2 At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best
played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You, in which
a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really
the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto
enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting
“outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”
Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an
extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year
marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has
been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last
autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of
Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”),
as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art,
Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered
“Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library et Museum and
“Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the
Metropolitan Museum of Art. The fete continues at the National Gallery of
Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale
and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third
independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a
once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred
and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists,
painstakingly gathered by art historians Echols and FIlchman (who organized the
show at the Palazzo Ducale),along with curators Marciari (of the Morgan) and
Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general
should take note. IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled
Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to
revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with
the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s
son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who
“displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take
into account a few historical particulars. For instance, the year after Titian
installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei
Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. Two years before
Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem
compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; he was
practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting
acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the
Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice;
Titian died during the plague, and a conflagration devastated the Palazzo
Ducale, destroying many of his paintings there, some of which would be replaced
with works by Tintoretto and his assistants. While there was probably no love
between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream
up, their careers ran parallel to each other rather than in constant
antagonistic competition. Many romantic myths are dispelled in the
scholarship that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the
melodrama of this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of
Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” thereby
underlining both chronological priority as well as influence. The paintings
Tintoretto did afterTitian’s death — large, powerful mythological pictures such
as the Forge of Vulcan and the Origin of the Milky Way — are spectacular, but
why filter these achievements once more through Titian? And why not have,
instead, a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the
Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries
who found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme foreshortening,
airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot worshippers,
elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out straw
chairs? The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also
willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice
and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in
contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance
standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a
questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for
the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s
“working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s essay
“Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies “Tintoretto:
Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize the precise
socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be more
accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born woman.”
The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable enough to
give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to befriend
the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi, including the
notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an early supporter of
Tintoretto). Like his father, Tintoretto married up. His father-in-law,
Episcopi, not only belonged to an influential family of Venetian cittadini, he
was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco, where Tintoretto—two
years before his marriage—painted his finest early work, Miracle of the Slave.
The scene features St. Mark swooping in headfirst from the sky to protect a
slave from being martyred for his faith. Current viewers need not be
intimidated by the religious matter of the vast majority of Tintoretto’s
pictures—they are gripping visual tales of life and death. According to
seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder of
Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the piety
liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax and
feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in
pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience.
Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would
be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle,
with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially
profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled
bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him
as a thunderbolt and the cannons of a ship. Unfortunately, Miracle of the
Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can,
however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame and the always
pleasing Creation of the Animals, which Deleuze describes as an image of God as
a referee at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish
leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their
turn. While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia
for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze
relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one
of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed
next to each other in a darkened room, the similarities and differences were
enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune
of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel
reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro
with a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic,
agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he
painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be
sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add
the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità
that often comes with scale, and the incomparable power of color. WHILE THE
TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to
unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the
reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in
an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The
Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square
footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one
instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic
Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new
picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied,
pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for
the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr
into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops,
especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces,
portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures. The
juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also
underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted
Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus
Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means
they were Renaissance BFFs). Tintoretto is an artist’s artist. His profound
sense of community comes across in a rather touching contract found in the
Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and
Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this
document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees
to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity
admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco
Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo;
and another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends,
and students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well
represented in D.C. Offering important opportunities for artistic
communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In
several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani
Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line,
smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the
visible world around them. The willful way that these graphic studies
dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what
looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is
remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing
rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work
seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,”
but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable
assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that
he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring
the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the
speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he
avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh
frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the
artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most
atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic, vibrating
lines in Seated Man with Raised Right Arm, for instance, exemplify this
stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit
still but seem to be in a constant state of flex and flux. Indeed, Tintoretto’s
figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every
episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries
later.) One of the art-historical myths destroyed—hopefully once
and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not
really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants
surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì
(yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface;
sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop
instructions on designs that had been cleared for production by the master.
Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat were frequently greased and
held up to the light so that forms could be retraced on the verso, offering
compositional options. Many have squaring grids drawn across them. In some
instances, this facilitated the transfer of the design onto a larger surface;
in other cases, it assisted in the correction of foreshortening and the
adjustment of figural proportions. Of the thirty-some drawings by
Tintoretto and his workshop on display at the National Gallery of Art, the
majority are on the blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of
this carta azzurra provided an ideal ground upon which to map out gestural
movements, tonal subtleties, and, above all, the effects of light and shadow.
It might also be compared with the darkened grounds of many Tintoretto
paintings. The canvas support for The Origin of the Milky Way, for example, is
prepared with a brownish layer upon which the artist sketched out his
composition with white lead paint (rather than using black paint on a white
gessoed surface). Once a scene had been plotted out on the canvas, however,
Tintoretto was prone to further editing, altering, and redrawing of figures and
forms in a variety of white, black, and even red paint until the work was
completed. PAINTERS AND people interested in the way things are made will
find much to consider in these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in
medias res through the various X-rays that accompany the didactic material in
the galleries and comes across most clearly in the oil sketch Doge Alvise
Mocenigo Presented to the Redeemer, a work included in the 2016 exhibition
“Unfinished: Thoughts Left Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at
the mannequinlike figures waiting to be dressed with flesh and clothes, one
comes to appreciate the procedural logic that binds these drawings and
paintings together, a topic expertly discussed in Krischel’s essay Tintoretto
at Work in the National Gallery of Art exhibition catalogue. The show reveals
Tintoretto’s exploratory procedure: visceral, intuitive, yet ultimately studied
and thought-through—but never entirely scripted. Tintoretto is all
gestalt. If the Marxist machismo of Sartre’s characterization of the artist as
a rebel “born among the underlings who endured the weight of a superimposed
hierarchy” is misplaced, one must admit that his phenomenological acumen
regarding the works is often startlingly spot on. Sartre writes with great
perspicacity about the narrow, vertical composition of Saint George and the
Dragon: Everything is simultaneous in his canvas, he contains everything
within the unity of a single instant. But to mask the over-harsh rift, he
presents the spectator with the spectre of a succession of events. Not only is
the route traced in advance, but each stage devalues the previous one and shows
it up as an inert memory of things past. The corpse’s immobility is memory: it
is prolonged and repeated from one moment to the next, identical and useless.
The time-trap works, we are caught: a false present welcomes us at every step
and unmasks its predecessor which returns, behind our backs, to its original status
of petrified memory.6 Time and space collapse in on the spectator’s
embodied experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And
indeed, as early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art
described in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the
ceilings and walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if
I am in a drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my
heart. These fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that
my heart jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7
One must be in the presence of the work in order to experience the
psychosomatic force of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room
filled with Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in
person these works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces
that seem capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes
to devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the
thick ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a
canvas, the glazes and scumble that modulate color and reflect light
differently depending on the angle of view, the enormity of compositions that
threaten to engulf the spectator’s body — these elements simply do not
translate in any form of mechanical or digital reproduction. This is true not
only for Tintoretto but for Venetian art in general, with its penchant for
chromatic and luminous variability and richness. In Drawing in
Tintoretto’s Venicethe difference between Veronese’s gorgeous drawings covered
in elegant, spindly figures created in a torrent of quick brown ink strokes and
Bassano’s schematic black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white,
green, pink, and brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of
the master’s sons, produced oil sketches of battle scenes that look comic in
reproduction, but when one stands before the flurry of red, white, and black
patches on dark brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly
into near abstraction. Renaissance drawings are so fragile and sensitive
to light that they can be exhibited only rarely, and many Tintoretto
paintings are so large that they have remained in situ in Venice for most of
their existence. Thus the current triple exhibition is the first substantial
retrospective of the old master’s work in America. It is a fitting tribute on
the occasion of his five hundredth birthday — and a viewing experience not to
be missed. Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e
sua figlia: drama in sei quadri del pittore Marta, Milan, Borroni e Scotti. Sartre quoted in Laura
Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from
the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo. Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna
Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, Deleuze,
Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum. Sartre quoted in
Lepschy, Boschini. Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he
still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later.
This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in
Madrid, which has just opened the second-ever retrospective (the first was in
Venice) of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto,
or “Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto is the most
mercurial of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others
being Bellini, Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado
show, because I have never managed to get a satisfying fix on him. How could
someone so great, able to summon the world with a brushstroke, be so
inconsistent in style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific,
Tintoretto garnished the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the
furniture of Venice, performing commissions for free when that was what it took
to edge out a rival. (He was not popular with his fellow-artists.) He brought
off one of the world’s largest paintings— Paradise, in the Ducal Palace, which,
at seventy-two feet long and twenty-three feet high, is so vast as to be
essentially unseeable—and perhaps history’s most sustained demonstration of
sheer painterly talent, brimming the Scuola Grande di San Rocco, with pictures
whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to
ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest
daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realised, too
late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a
brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his
behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him.
Nothing inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of
Tintorettos in European and American collections with a few loans from Venice,
where hundreds of his paintings—including his greatest works, such as The
Miracle of the Slave reside immovably in churches, palaces, and galleries. The
show more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside
his home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life.
The well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make
plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind
provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action
on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from
somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the
movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms
that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over
dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that
are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that
his favorite colors were black and white, but he could be every bit the
startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With
abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the
Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese. As a
matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless
someone builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,”
Jean-Paul Sartre wrote in an essay, The Venetian Pariah. For Sartre, Tintoretto
is an avatar of existential anguish, who was both behind his time—as the last
native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead of it, as
the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by the pomp
of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of
aristocratic decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s
gifts, scolded him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari
credited him with “the most extraordinary brain that the art of painting has
ever produced,” it wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him
the medium’s worst madcap.) As a boy, Tintoretto is said to have entered
Titian’s workshop as an apprentice but was thrown out after a few days, having
either frightened the master with his aptitude or irked him with his
personality; at any rate, Titian’s attitude toward him was plated with
permafrost. Little is known of Tintoretto’s subsequent training. His earliest
surviving work, from the early fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically
sculptural and draftsmanly, embracing Central Italian influences. Then
something happened which the art historian Nagel compares to the bluesman
Robert Johnson’s “going down to the crossroads and coming back with scary new
powers. The Miracle of the Slave,” made for the Scuola Grande di San Marco,
electrified Venice. Its unprecedented range of spatial, chromatic, and kinetic
effect suggested a synthesis of the disegno of Michelangelo and the coloring of
Titian —a contemporaneous formula, often cited, for ultimate greatness in
painting. He was roundly hailed, though Pietro Aretino, Titian’s literary ally,
added a caveat about his lack of “patience in the making.” Commissions came in
bunches to the new hero, but solid status skittered out of reach. He
compensated by striving to engulf the town. Meanwhile, Titian refused to
slacken his grip on preëminence, let alone die. When he finally expired, at the
age of eighty-eight or so it brought Tintoretto no peace. Though he was now, by
general consent, Italy’s leading painter, he responded with pictures as
flailingly ambitious and various as ever. Three from the late fifteen-seventies
triumph in as many styles. In The Rape of Helen, the hauntingly lovely captive
languishes in the corner of a churning land-sea battle scene, with scores of
figures, ranging in size from huge to tiny, which you can all but hear and
smell. In TARQUINO (si veda) and Lucretia, the naked, lividly fleshy
protagonists struggle at the edge of a bed, toppling a sculpture and breaking a
necklace that rains pearls. The woman’s right hand seems to extend from the
canvas, as if to be grasped by a rescuing viewer. (The Baroque, which took hold
two decades later, with Caravaggio, can seem an edited ratification of
tendencies already developed by Tintoretto. The Martyrdom of St. Lawrence is a
sketchy and fierce nightmare of death by roasting, with an anticipatory whiff
of Goya. Tintoretto strongly influenced El Greco, blazed trails for Rubens, and
fascinated Velázquez, who acquired his paintings for Philip IV. What is a
Tintoretto? the art historian Echols asks in the show’s catalogue. The answer
might be almost anything touched with genius and a strange, thorny, dashing
humor. Tintoretto was reported to be a witty man who never smiled. What is his
Susannah and the Elders if not a grand lark? A luxuriant, glowing nude sits
outdoors, surrounded by a glittering still-life of jewelry and implements of
beauty, and is ogled by dirty old men (one pokes his bald pate, at ground
level, practically out of the canvas) from behind a hedge that forms part of a
corridor-like recession into the far background. There are distant little
ducks, and the rear end of a stag. But the picture’s form is too disorienting
to sustain any particular response, including amusement. The backstage space
outside the hedge ignores the unity of the central perspective, bespeaking a
world that rolls away in all directions, indifferent to pocket realms of mythic
anecdote. The effect is stirring and confusing. Who is Tintoretto’s viewer?
strikes me as the really compelling question. No other great artist before
modern times, in which shifting contingency affects every enterprise, seems
less certain of whom he is addressing, and why. It might as well be you or me
as some cinquecento ingrate, and, if we happen to think of people we know who
may be interested, the artist encourages us to contact them without delay. La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte
problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con
le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella
riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul
problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici.
Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine
può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro;
nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta
un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta.
Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine
in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta –
all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della
statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a
par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni
logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no
della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive
nelle Ricerche filosofiche. E chi dipinge non deve dipingere qualcosa – e chi
dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? Ebbene, qual è l’oggetto
del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine
rappresenta? Tuttavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze. Se
paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener conto se la
paragoniamo con un ritratto, un’esposizione storica, o con un quadro di genere.
E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guardo un quadro di genere, esso mi
dice qualcosa, anche se io non credo (mi figuro) neppure per un momento che gli
uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne
e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi:
Allora, che cosa mi dice? La risposta di Wittgenstein suona. L’immagine mi dice
se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua
propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali
termini tuttavia Wittgenstein non intende affatto contrapporre un’immagine
intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione
dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine
intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la
«sua propria struttura» e le sue forme e colori. Del resto, continua
Wittgenstein nello stesso paragrafo, Che significato avrebbe il dire: Il tema
musicale mi dice se stesso? Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità
dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra
loro connesse, tanto da formare un unico concetto di immagine. Che il problema
vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso
Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione
relativa al comprendere una proposizione. Noi parliamo del comprendere una
proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la
stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra.
(Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro. Nel
primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti
proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste
posizioni, possono esprimere (Comprendere una poesia). E subito dopo aggiunge. Dunque
qui comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire che questi modi
d’uso di comprendere formano il suo significato, il mio concetto del
comprendere. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di
comprensione – quella che potremmo chiamare logica, nel senso che il pensiero
espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo
lo stesso, e quella che potremmo definire estetica, caratterizzata invece dal
fatto che il suo tema non può essere riformulato in altro modo, come
esemplifica il caso del tema musicale o della poesia – sono imprescindibilmente
connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che
Wittgenstein rileva in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare
tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé,
soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può
essere rappresentazione dell’altro, solo in quanto è presentazione di se
stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rappresentato riceve la sua
unicità, la sua specificità, è insomma proprio questo, grazie al fatto che
l’immagine lo rappresenta, lo dice, secondo le sue linee e colori. Così questo
qualcosa d’unico può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da
sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la
prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e
meraviglia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: Non pensare che sia cosa
ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procurano piacere,
tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori dell’ordinario.
Non pensare che sia cosa ovvia – questo vuol dire: Meravigliatene, come fai per
le altre cose che ti procurano turbamento. Già nel Tractatus Wittgenstein aveva
affermato che la tautologia segue da tutte le proposizioni: essa dice nulla,
volendo con ciò sot- tolineare il fatto che ogni proposizione dice, rappresenta
qualcosa solo in quanto in primo luogo è una tautologia, ossia ‘dice nulla’, e
tale tautologicità della proposizione è ciò che la proposizione mostra in ciò
che dice. Secondo Wittgenstein il carattere logico della proposizio- ne in
quanto immagine è dato dal suo essere ‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal
suo rinviare a qualcosa d’altro da sé. In questo con- siste, sempre secondo
Wittgenstein, la fondamentalità della logica, giacché se segno e designato non
fossero identici rispetto al loro pie- no contenuto logico, allora vi dovrebbe
essere qualcosa d’ancora più fondamentale che la logica. E tuttavia
Wittgenstein si rende conto che nella proposizione qualcosa dev’essere identico
al suo significato, ma la proposizione non può essere identica al suo
significato, dunque in essa qualcosa dev’essere non identico al suo significato.
Questo qualcosa di ‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la
proposizione, o l’immagine, e il qualcosa che viene rappresentato o detto, è
ciò che esse mostrano o presentano. Tale presentazione, nel suo costituire la
condizione interna al rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo
carattere di unicità, ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione
logica, vale a dire a ogni identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in
definitiva, del rappresentato qualcosa di non-previsto e di non-saputo,
qualcosa che nell’opera d’arte trova il suo luogo esemplare. E, se la logica «è
prima del come, non del che cosa, allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo
v’è, che v’è ciò che v’è. C’è dunque per Wittgenstein qualcosa di più
fondamentale della logica. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa
che si mostra, che si manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla
visibilità della rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa,
l’immagine manifesta l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che
si rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat-
terizzante l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di
Wittgenstein sull’immagine si riferiscono non all’immagine come copia della
realtà, bensì all’immagine intesa appunto come icona. Non a caso, se per
Wittgenstein il silenzio, sul cui tema si chiude il Tractatus, non può dirsi,
giacché esso mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con
l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre altro rispetto a ogni
determinazione logica e rappresentativa. Ciò che nell’opera d’arte si presenta
sfugge alla nostra conoscenza e alla rappresentazione. Non è stata l’arte
astratta a mettere per prima in opera la ‘presentabilità’ del pittorico di
contro alla sua rappresentabilità, dal momento che il rapporto tra
presentazione e rappresentazione appartiene all’essenza stessa dell’immagine. È
proprio della natura dell’immagine infatti il suo presentarsi sempre chiusa e
insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lontana:
nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa- rio
tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stesse dello
sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta,
e tuttavia tale non-sapere non è una condizione privativa, una mancanza, ma
piuttosto una condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri
suprematisti di Malevicˇ. Si tratta dell’esigenza di qualcosa che costituisce
l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea
platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso.
Così l’iconoclastia del quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine
dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto.
Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche
altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò significa che la
visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e guardare,
tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera
qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro
rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello
stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che
abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere
pensata sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza
di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’
‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in
opera da tanta parte della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non
è discorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre-
scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché
mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta
paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale
non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un
assoluto silenzio. L’icona è la porta regale, come vuole Florenskij, attraverso
la quale si manifesta l’invisibile e si trasfigura il visibile: in essa non c’è
né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro
mondo. Così nell’icona la dimensione epifanica finisce per coincidere con la
sua dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi
posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella
contemporanea problematica dell’astrazione. L’arte astratta fa appello
all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della
tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale
prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già
Kandinskij con la nozio- ne di composizione intende superare sia gli stati d’animo
del soggetto che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pittura
iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o
il silenzio, non significhi la morte dell’arte, ma la radicale presentazione di
quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per
dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo
non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua
non-rappresentatività, è la manifestazione della sua «risonanza interiore»,
ossia della sua spiritua- lità. La concezione dell’arte di Kandinskij è
intessuta della connes- sione di interiorità e astrazione, e una componente
essenziale di tale astrazione è il misticismo. Già la mistica tedesca medievale
afferma, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo
dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non
sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione compie il pittore
astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di
entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Così nel principio di
Kandinskij della necessità interiore si riflette la natura mistica del
procedimento astratto di costruzione di un’opera che viene sottratta alla
dipendenza delle cose esistenti. Questo rimando a un agire interiore dà luogo a
un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un
diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della loro forma reale. L’emancipazione
da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della quale parla Kandinskij, è
la riduzione delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza, la necessità
interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale della sua pittura
astratta, si pone come ‘altro’ rispetto al mondo delle cose, e quest’ultimo
trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto per Kandinskij, come per
Wittgenstein, il misticismo riguarda non come il mondo è, ma che esso è; esso
consiste nel sentire il mondo quale tutto limitato. Ciò significa dunque che la
totalità del visibile ha un limite: lo sguardo delle cose, ossia la loro
spiritualità. Astrazione, d’altro canto, è proprio questo visibile limitato dal
manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen- tire il non-visibile nel
visibile, è cogliere la differenza nell’identità. Nell’astrattismo il segno
mostra se stesso, nel senso che non rimanda all’altro fuori di sé, all’oggetto,
ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia esso stesso segno. Così
l’astrattismo rifiuta il significato del segno e nello stesso tempo ne esalta
il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso. Non c’è dunque alcun
contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma questa è l’espressione
di un contenuto interiore: è questo a rendere il segno ‘astratto’, proprio nel
suo presentarsi come evento. In definitiva, se il cubismo ha in- franto la
totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di Kandinskij mira non a
ricomporre tale totalità, bensì a presentare il senso, facendo risuonare il
contenuto interiore del frammento stesso. Se lo spirituale nell’arte di
Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al problema
dell’icona, altrettanto lo è il mondo senza oggetto del suprematismo di
Malevicˇ. L’opera suprematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime
una perdita, ma una presenza, la presenza dell’altrimenti che essere. Di qui
quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di
Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’iconoclastia –
tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico-discorsiva –
mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è
la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore
suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione. L’essere di Malevicˇ
non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere
come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo apparire
e, in quanto evento, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad alcuna
identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in questo
senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il nulla, ovvero il che, lo spazio
paradossale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero
logico. Questo che è negazione del significato, inteso come signi- ficato
logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e
nello stesso tempo è affermazione del senso, in quanto condizione dei
significati possibili Il che non può essere riconosciuto in relazione ad altro,
ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel
non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il che – è
assolutamente singolare: accade semplicemente, si dà, si mostra, non come un
mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che,
presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro
dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti
questo essere, che è il nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e
delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio
dell’altro. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio-
ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che rivela il
profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. E, se nel suo mondo
senza oggetto il segno non è rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro,
ovvero il nulla – in quanto nulla di rappresentabile e di dicibile – questo
Nulla non è da intendersi come nichilismo: non indica il silenzio, la fine
della pittura, ma esprime la consapevolezza che si deve continuare a dipingere
perché il nulla si riveli. È questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A
differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la
cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà
solo spazialmente. Per questo in Mondrian il segno non nasconde e in esso non
ha luogo alcun ritrarsi; al contrario, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e
non a caso egli definisce l’astrattismo come la sola arte concreta. In
definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta alcun altro, né alcun
contenuto interiore; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro,
ossia in un piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna
finzione di profondità, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che,
tautologicamente, dicono se stesse. Così, se la composizione di Mondrian è
volta a ricostituire la totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo
all’interno della rappresentazione pittorica, rappresentazione assoluta, in
quanto indipendente da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee,
pur interrogandosi su problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione
opposta rispetto a quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire
l’elemento soggettivo – definito tragico – in nome dell’oggettività, Klee
invece indaga proprio la presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di
Mondrian è il rifiuto del mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee,
al con- trario, non cerca una realtà più vera di quella sensibile, non cerca
cioè una realtà fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia.
Ciò a cui tende l’opera di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita
sotterranea, immergendosi nel divenire delle cose stesse, nella genesi dei
mondi possibili. Il compito dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di
ritornare sulla creazione, portando avanti e tentando le vie di realtà
possibili. Klee, in definitiva, non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma
ne ripercorre la genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere della realtà
nella percezione e quindi al costituirsi dell’essere in significato. I
presupposti di tutto ciò vanno rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano
della percezione che il mondo non si configura come l’insieme delle cose già
date, ma come un continuo generarsi. Così l’immagine di Klee richiama alla
memoria possibilità diverse, somiglianze e dissomiglianze, e queste trovano la
loro ragione sul piano dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una
logica pre- fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven-
dosi appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee
sono questa sorta di somiglianze di famiglia – ancora una vol- ta
nell’accezione wittgensteiniana – e, in
quanto tali, escludono la de- finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera
di Klee la genesi dei mondi possibili riguarda l’essenza stessa della pittura:
si tratta di mo- strare l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto,
qualcosa che viene all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto
a tutte quelle altre possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come
possibilità simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte:
quest’ultima non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento
nel qua- le si manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo,
senza che tale possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di
identità e di non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera
costituisce, altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma
poteva essere diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica
che regola ciò che nel mondo è già-dato; si tratta di quel che – che si dia
questo mondo e non un altro – il quale, come afferma Wittgenstein, precede
quella logica che presiede al come del mondo. Si tratta insomma di quel senso
che è la condizione dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione
del darsi di questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come
significato dato, di un senso che si può dunque soltanto sentire, stando al suo
interno e non contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il
suo luogo d’elezione nel cuore stesso della creazione, lì dove hanno origine
tutte le cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella
riflessione filosofica medievale, si veda Maierù, Signum dans la culture
médiévale, Miscellanea Mediaevalia, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts
der Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York, Signum negli
scritti filosofici. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino (ed.
or. Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford. Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus e Quaderni, Einaudi, Torino (ed. or. Tractatus
logico-philosophicus, London). Nel Tractatus infatti i due termini si
equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» Vedi
su questo G., Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein,
Pratiche Editrice, Parma Wittgenstein, Tractatus..., cSi veda in proposito
Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano. L’espressione è
usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Gadamer, Verità e
metodo, Bompiani, Milano (ed. or. Wahr- heit und Methode, Mohr, Siebeck, Tübingen. Giuseppe
Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura;
‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona,
segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto
formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giametta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --
il volo d’Icaro e l’implicatura di Sanctis – filosofia napoletana – la scuola
di Frattamaggiore -- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore).
Filosofo
italiano. Frattamaggiore, Napoli, Campania. Grice: “Giammetta is a good’un, but
you gotta be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to
Clifton, as I did!” -- Grice: Giametta’s
philosophy is full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his
‘Croceian heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to Nisso,
Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!”
Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi di critica "eterodossa" su
Croce. Cura Cesare. È anche romanziere, estraneo a scuole o correnti, con
storie dalla forte valenza filosofica e morale; attitudine stilistica: la prosa di Giametta
pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e filosofia. Nella "Trilogia dell'essenzialismo"
(composta da “Il Bue squartato” -- L'oro
prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede
del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata
esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans”
(cf. Grice, implicans, implicaturus) sia
come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata).
Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive
la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi
eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle
condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono
sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi
(essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si
afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...". Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi
moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule
e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi
interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede.
Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi
nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo”
(Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano);
“Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita”
BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie
crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione
a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La
dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia,
Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli,
Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva,
Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina,
Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo;
Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci
napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), Olio Officina, Milano; “Il colpo
di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola.
Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano. La passione della conoscenza. Pensa
Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte
in lampeggianti parole. Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in
Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Nietzsche Schopenhauer
Colli Mazzino Montinari. SANCTIS nacque a Morra Irpina (oggi Morra De
Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni
prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano
la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal
clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati
alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente D.
trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di
riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e,
insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire
e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del progresso (morale,
culturale, civile). La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di
piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi
medici. Avvocato era il padre di D., Alessandro, che però viveva del reddito
della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon
matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi, poi progressivamente sempre più
dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche
per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del
ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del "galantomismo"
meridionale, don Giuseppe e Pietro Sanctis avevano aderito alla carboneria (in
funzione patriottica e antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari,
vissero in esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma
non il patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli
come titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio
privato). D. è trasferito come ospite ed allievo presso lo zio
Carlo. Dai "ricordi" di D. (La vita) si può ricavare l'elenco
delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la durata
del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica, Poetica,
Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e inoltre
"l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una serie di
notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e innovativo
("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo ficcarsi
in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie di
Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i sabati
si recitavano centinaia di versi latini a memoria"). Poiché i cinque
anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in due
anni di studi "filosofici" è iscritto alla scuola di Fazzini,
matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due
anni, perciò, egli visse immerso nello studio di Locke, Condillac, Tracy,
Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto
molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica
"moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del
maestro (Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a
Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio Voltaire,
Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di
leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa
chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi
giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) D. impara ad
apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica
giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto
d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi
di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a
determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello zio
Carlo, in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle
del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua
numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben
cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui,
con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).
Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima, aveva preparato in D. tale
mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di
lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro",
cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi
della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo.
Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa di D.: la sua
volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso
contro gl'ippocriti), apparsa sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino
Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento
delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo
Belcari. Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di
ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del
suo primo magistero. Certo, la competenza grammaticale e testuale e la
sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui
penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano
allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e
maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga
sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della
metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza
culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e
ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del
sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con
forza nella Vita e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai
suoi ricordi, risulta che D. Legge con profondo coinvolgimento (oltre a tanti
latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di
classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi
Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e
Voltaire, Young e Scott (ma la zona moderna ed europea andava rapidamente
allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava
con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a
Chateaubriand, Lamartine e Hugo. La professione dell'insegnamento diventò
per D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti), più o meno
contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei
sottufficiali; poi, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa
accademia militare borbonica) e in quello privato (con la scuola di Vico Bisi,
che Puoti apre per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi, poi di fatto -
a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza
(di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta
rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai
consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma
sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica
complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo
indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua
frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento
critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e
intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre
andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche,
politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo insegnamento
desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto dettatura del
maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei diversi corsi di
lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri libri di testo
costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta, perciò, di una
testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a stretto contatto
con la cultura del proprio tempo) dal purismo e dall'illuminismo moderato fino
all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il neocattolicesimo, la partecipazione
alla temperie vichiana e a quella dello storicismo romantico. In vista della
loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi secondo le "materie
d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin dall'inizio, altre
introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia nella Vita). La
grammatica è l'insegnamento originario della scuola, ma i quaderni
"grammaticali" più importanti che ci restano appartengono agli ultimi
anni e si configurano perciò come approdo della ricerca desanctisiana in
materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del giobertismo, di
Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono quelli di Lingua e
stile, dove, dopo una serie di precetti di radice puristico-illuministica (con
forte incidenza della grande Enciclopedia e in particolare d’Alembert),
troviamo documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in
particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della
letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa
ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate in D. maggiore (si muove
in ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente
letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore "contemporaneo"
il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista neocattolico, che andrà
attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia è nei quaderni dedicati
alla Lirica, in cui l'approdo è rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul
Genere narrativo hanno le loro fonti in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e
Schlegel. Un salto di qualità notevolissimo si avverte nei corsi d’Estetica e
Estetica applicata, in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi
dell'arte trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre
Hegel fa la sua apparizione nel corso di Storia della critica, che introduce
una più stimolante rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli
presenta ai suoi allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di
Bénard. Alla luce dei nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura
drammatica, soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno
di scuola ci resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che
ha come punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a
chiarire il senso dei "compendi" (autografi) della Storia
d'Inghilterra di Hume e della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone.
Questo blocco di materiali storiografici conferma il livello criticamente e
ideologicamente molto avanzato della ricerca desanctisiana alla fine della
"prima scuola", attestando una visione laica della storia, un
rigoroso rifiuto di ogni astrattismo e una forte rivendicazione della concretezza
in ogni ambito d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo hegeliano in
direzione progressista. Negli entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua
stessa scuola (e delle altre che fiorirono a Napoli, inaugurando il clima
"filosofico" vichiano-hegeliano), D. aveva finito per trovarsi al
centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto
compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti
giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate (dove fu
ucciso quello che era certamente il più colto e il più ideologizzato fra tutti:
Vista) e che dopo quella data D. fu in qualche modo implicato in una setta
segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana, l'Unità italiana, e in un
attentato per il quale, tra gli altri, furono condannati a morte L. Settembrini
e C. Poerio ("Si facevano i più matti deliri: porre una mina sotto Palazzo
Reale pareva un gioco ... Fu la prima volta e sola che fui in convegni
segreti). Espulso, perciò, dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche
privata" (come recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava
ad interessarsi di lui), D. si rifugia in Calabria presso un noto e attivo
"patriota", il barone Guzolini, in casa del quale è arrestato con
l'accusa di essere uno dei principali agenti della setta diretta da Mazzini e
da Ledru-Rollin. Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due
anni e mezzo di "carcere duro", e fu infine giudicato politicamente
molto pericoloso ("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e
imbarcato per gli Stati Uniti. 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare
Meis e Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta,
per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli
illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare:
Spaventa, Bonghi, Mancini, Tommasi, Ayala, Nicotera, Cosenz). Gli scritti
del periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della
"spinta a sinistra" che segna il pensiero desanctisiano. In Calabria sono
elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di Leopardi e Sulle opere
drammatiche di Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso
fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca,
quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova -
dell'Umanità - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente
impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di
prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è
leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con
l'intellettuale perseguitato. D. studia la lingua tedesca e se ne servì sia per
tradurre il Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia
per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie
di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma
il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo è certamente La prigione:
un carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si esclude
qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di
"giacobinismo" realizzato da D., con il rifiuto e la denuncia di ogni
metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni
della prima scuola), e con una proposta politico-ideologica chiaramente
ispirata all'interpretazione di sinistra della filosofia di Hegel. Fortissima è
anche la svolta di atteggiamento nei confronti di Leopardi: all'immagine
sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo
napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di
Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero carme.
costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la libertà,
contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale). A Torino D.
rimase in un vitale rapporto d'amicizia
con Meis e Marvasi e con Spaventa, ma molto isolato rispetto al potere politico
e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora, l'insegnamento dell'italiano
nell'istituto femminile della signora Eliott (dove si verificò un episodio
d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis - che riempirà d'illusioni
e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche alunni privati dal nome
prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria del Viaggio elettorale -,
Ainardo di Cavour, Larissé). L'esperienza centrale del periodo torinese si
realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di "lezioni pubbliche" su
Dante: conferenze organizzate dai suoi amici per soccorrerlo "nella
dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto lo rivelarono alla cultura
italiana. Egli prese a collaborare alle appendici letterarie: sul Cimento
di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali, vero e proprio punto d'arrivo
della sua critica militante. E allo stesso anno risale anche il primo episodio
di giornalismo politico della sua vita: la pubblicazione, sul Diritto di
Torino, di una serie di interventi contro il "murattismo" (cioè
contro l'ipotesi di una sostituzione "diplomatica" della dinastia
borbonica di Napoli con la discendenza di Murat), che rappresenta la prima fase
di avvicinamento di D. alla monarchia sabauda (questa viene proposta come unico
possibile strumento di unificazione della nazione, in un'ottica di
"patriottismo costituzionale" cui, in seguito, egli resterà sempre
sostanzialmente fedele). Sempre per interessamento dei suoi compagni
d'esilio, fu finalmente gratificato di un importante incarico professionale:
l'insegnamento della letteratura italiana presso l'Istituto universitario
politecnico federale di Zurigo. Gli anni di Zurigo sono anni di nostalgia e di
isolamento (anni di réve, com'egli stesso diceva), ma produssero almeno due
conseguenze molto importanti: l'elaborazione di lezioni che sarebbero rimaste
come una pietra miliare della sua ricerca critica (soprattutto su Dante, Petrarca
e la poesia cavalleresca) e il contatto con ambienti culturali e politici di
vera e propria avanguardia in Europa (Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott,
gli Herwegh, Burckhardt, Vischer, ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di
valutare criticamente (per esempio, prendendo le distanze dall'irrazionalismo
di Wagner e di Schopenhauer molto prima che le mode irrazionalistiche
toccassero l'Italia, o cercando di capire i limiti concreti del ribellismo dei
mazziniani quando Mazzini è ancora un mito in Italia. Dei corsi danteschi
di Torino non restano manoscritti, ma ciascuna lezione fu ricostruita su
appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in vista di una non mai realizzata
pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi (undici di argomento teorico,
diciannove dedicate all'Inferno, cinque al Purgatorio) sviluppano presupposti
romantico-hegeliani, con particolare riguardo ai problemi dell'unità e della
forma del poema di Dante. Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno,
emergono le grandi figure alla cui analisi è legata la fama popolare del D.
dantista (Farinata, Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che
sarà proprio dei maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei
corsi, e prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, D. insegna
Dante a Zurigo (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti).
Da tale lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e
sul suo tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le
idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli
anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che
furono poi pubblicati tra i Saggi critici). Il Pier delle Vigne è addirittura
una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la
celebre lettura del canto esalta i grandi caratteri e le grandi passioni dei
personaggi e ne analizza le sfumature, le situazioni, i contrasti; il saggio La
Divina Commedia (versione di Lamennais) dichiara la fine dell'antico metodo
retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese";
quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia individua il centro della
grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si
riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della
ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è
suggerito nel saggio Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una
parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi
hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza,
per D. definitivo). Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o
d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte
raccolti poi nei Saggi), D. esplica, negli anni d'esilio, il suo impegno militante,
ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al
centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi
saggi è L'ebreo di Verona, che consacra, a livello nazionale, la sua fama di
polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita Bresciani,
ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in
funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la
sconfitta, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice.
La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea
(romantico-hegeliana o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie
essa è espressa con molta chiarezza: di fronte al poemetto di Prati la fantasia
rimane inerte: il cuore riman freddo, perché "in questo lavoro non vi è
creazione e quindi non vi è fantasia Prati ha una viva immaginazione, e per
questa facoltà è forse il primo poeta di second'ordine che sia oggi in
Italia"; del resto, i suoi testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti
della "declamazione rettorica". E questa non è un difetto esclusivo
degli scrittori moderati: essa è condannabile anche quando sia posta al
servizio delle più ardite analisi politiche, come nella Cenci di Guerrazzi,
avvolta nel vecchio repertorio delle metafore e dei luoghi comuni. C'è un solo
poeta italiano che abbia attinto i livelli della "grande poesia" nel
mondo moderno, dice in un importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il
saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di Leopardi ed è, probabilmente, lo
scritto leopardiano più importante del D., che, con parametri schilleriani e
byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di poeta laico, interprete
della civiltà contemporanea perché capace di farsi critico e filosofo e di far
scintillare la poesia dalla "meditazione". Ma, a parte l'eccezione
leopardiana, il clima del presente letterario fa temere un ritorno alla
identificazione tra poesia e retorica (Sulla mitologia - Sermone di Monti. A
questa pericolosa tendenza D. oppone la difesa d’Alfieri contro i critici
francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra, Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la
Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la
rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco,
nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa
rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e
Foscolo e Storia di Gervinus, e la polemica colpisce anche un critico come A.
de Lamartine ("Cours familier de littérature par Lamartine). Nello stesso
ambito il modello di Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo
(Triboulet e "Le contemplazioni" di Hugo) ed è possibile perfino il
recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei
grandi personaggi drammatici (La Fedra di Racine). In questo ambito, infine, si
configura una delle prime, ma già precise professioni di realismo di D. critico
(Saint-Marc Girardin).Il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente
... La poesia dee riprodurre la realtà vivente. Il poeta dee rappresentarci un
uomo vivo, perché questo, in quanto tale, è già un perfettissimo personaggio
poetico. La progressiva conquista di un punto di vista
"realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai
ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi
sul Poema epico. Proprio in questa sede D. usa per la prima volta il termine
"realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui
lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come
strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti
d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio
filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale
contatto con le avanguardie europee, fu affidato da D. al dialogo Schopenhauer
e Leopardi. Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata alla
provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo
nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di
Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella
dell'Ottantanove, del Trenta, del Quarantotto) che egli considera
"un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La
filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica
dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli ripropone "lo
Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di
stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in
Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva
riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo. A prima
vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer;
ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto
interno alla fase eroica (progressista e rivoluzionaria) dell'umanità, quanto
ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza non è solo nel
materialismo di Leopardi (opposto allo spiritualismo di Schopenhauer) o nelle
sue scelte di stile inamabile (mentre Schopenhauer si affida al fascino della
retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce
come uomo e poeta veramente grande (egli non crede al progresso, e te lo fa
desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare, è scettico, e ti fa
credente). Dopo le speranze e le delusioni della seconda guerra
d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, D. lascia improvvisamente
Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un ruolo, probabilmente
importante, nella mediazione che portò il partito garibaldino (e lo stesso
Garibaldi) ad accettare il plebiscito piemontese. Per nomina di Garibaldi,
appunto in fase di preparazione del plebiscito annessionistico, è governatore
della provincia di Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso
politico, della guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che è già
esploso violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste).
Subito dopo, è direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni,
tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme liberali degli studi,
impostò una vera e propria rifondazione della scuola napoletana. All'università
chiamò ad insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa
a Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del
liceo gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei
maestri elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco)
deliberò l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della
luogotenenza (non senza ragione, il 1860 resta per sempre nei suoi ricordi come
il periodo eroico della sua vita). Eletto deputato al primo Parlamento
nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con
Ricasoli, continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere
l'exploit, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in
pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una legge di riforma della
scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge
Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come
ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e
vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari (Noi abbiamo decretato la
libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere
una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della
plebe avremo fatto un popolo libero. Provvedere all'istruzione popolare sarà la
mia prima cura). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una
rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti
professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi
scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti
scelte progressiste, come quella che portò il materialista e rivoluzionario Moleschott
ad insegnare fisiologia nell'università di Torino). Dopo questo incarico
ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un
anno), D. rimase estraneo e in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di
potere (le "consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai "retrivi"
e ai "codini"), su una linea mediana di progressismo monarchico e
antirivoluzionario. Su questa linea si pose il giornale L'Italia (che egli
diresse, in appoggio al gruppo emergente della Sinistra costituzionale, che nel
1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo successo elettorale.
L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la firma del manifesto di
opposizione crispina e un importante discorso di denuncia contro il riemergere
del clericalismo (in campo ideologico, politico ed economico) segnarono i punti
più alti della sua partecipazione politica. Sposa, a Napoli, Maria Testa dei
baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato, da cui non nacquero figli, non è
sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in cui tutta la sua vita si
svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo complesso bisogno di réve e di
comunicazione sentimentale. All'interno di una sempre meno inconfessata
delusione politica e personale, egli tornò, quindi, agli studi che gradualmente
ridivennero protagonisti della sua vita: pubblica in volume i Saggi critici
(dove raccolse gli scritti giornalistici dell'esilio), il Saggio critico sul
Petrarca, la Storia dellaletteratura italiana, i Nuovi saggi critici. Il
Saggio critico sul Petrarca ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo,
con pochi mutamenti e con una "introduzione. Esso si articola in dodici
capitoli (tre dedicati alla personalità del poeta e al suo mondo culturale; gli
altri strutturati come lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è
finalizzato a fornire un preciso punto di vista per l'interpretazione del testo
petrarchesco, sulla base della teoria elaborata da D. a partire dalla
"prima scuola" e consolidata appunto negli anni dell'esilio
(tesaurizzazione dell'illuminismo, del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto
del metodo sistematico e dei suoi esiti panlogistici; rivendicazione della
poesia come forma uscita dal più profondo della vita reale e come sostanza
vivente, secondo i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In
quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica
ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo
(cioè dalla sua riduzione a modello rettorico e platonico). La poesia di
Petrarca va, quindi, individuata in particolari "situazioni" liriche
(soprattutto nella malinconia e nei momenti d’abbandono sentimentale), pur tra
gli ostacoli frapposti dall'educazione "rettorica" e da una visione
"spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla
figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la
creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua
"realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si
spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa
"situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia
sublime"). La Storia della letteratura italiana nacque come testo
scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di materiali in gran
parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica (quella appena
illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per un progetto
complessivo di informazione-formazione (il progetto dell'educazione nazionale)
nel quale convergono tutte le attese (ed anche i timori) di D. letterato e
politico. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento
della letteratura italiana secondo il principio direttivo (ufficialmente
dichiarato da D. in uno dei suoi saggi) della "successiva riabilitazione
della materia (d’un graduale avvicinarsi alla natura e al reale, in parallelo
con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica,
della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia
perché l'ipotesi del graduale svolgimento della storia letteraria verso mete
progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di
"ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni
tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte
rivendicazione della forma come valore specifico del testo letterario); sia,
infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per
l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con
rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni.
La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in
un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori,
epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso
all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun
livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del
suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi
capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come scuola poetica feudale e
cortigiana, legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima
che "venisse a maturità", radicandosi nelle "classi
inferiori". Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più
complesso capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura
bolognese (e sulla scienza che si sviluppò in senso antifeudale presso
l'università di Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del mondo lirico
medievale è ALIGHIERI. Il breve capitolo dedicato a La lirica d’ALIGHIERI la
definisce come la voce dell'umanità a quel tempo: ALIGHIERI rappresenta
(vichianamente) l'epoca della fantasia, ed è la prima fantasia del mondo
moderno". Il discorso ritorna alle origini, per esaminare La Prosa e I
Misteri e le Visioni, che esprimono l'idea religiosa penetrata ne' costumi e
nelle istituzioni, ma che restano a livello di fase letteraria preparatoria
dell'aureo Trecento. A questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano
(attento ai Fioretti, a Cavalca e a Passavanti. ai testi di s. Caterina da
Siena e alla "maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però
anch'esso converge, romanticamente, verso la grande figura protagonistica di
Dante. La trecentesca "commedia dell'anima" esprime, infatti,
l'ordito culturale da cui nasce La Commedia, con la sua "base
ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto
ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa
poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di
poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di
passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri, quel
mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi
letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il Canzoniere) è
breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un artista pieno di grazia e di
"malinconia", ma è il rappresentante di una nuova generazione
culturale che, dopo Dante, "volgeva le spalle al Medio Evo e si afferma
popolo romano e latino. In questa scelta, secondo D., c'è una profonda
ambivalenza (da una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita
della coscienza laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione",
imitazione, abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia
della letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone
appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione
laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che,
liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là
del comico, fino alle "alte regioni dello spirito". Il Cinquecento è
il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi
le condizioni storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo"
(ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti
grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano).
Infine il Seicento, simboleggiato da Marino, produce in letteratura idilli ed
elegie, voluttà e musica, mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo
al movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero",
stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano".
Nell'arco, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari
che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi
capitoli: a Sacchetti, a La Maccaronea, ad Aretino. L'opera d’Ariosto
(L'Orlando furioso) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella
serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero
Rinascimento", mentre l'"ironia" e il "riso scettico"
di Ariosto si manifestano espressione di un secolo adulto"(cioè divenuto
capace di critica e ormai maturo per la libertà borghese, pur nell'accettazione
di fatto della realtà cortigiana). Tasso, autore-simbolo dell'ambivalenza
ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto
ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il
poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita" cultura
controriformistica italiana e i suoi valori letterari vanno individuati in
senso opposto rispetto a quello programmatico e ufficiale: non nella
falsa" religiosità, ma nell'idillio, nell'elegia, nella voluttà (Tasso è,
perciò, accostato al Petrarca, nella tradizione di storiografia politica
risalente a Sismondi e Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico c'è
una punta alta, un grande ritratto in positivo: quello di Machiavelli, che
riesce a costruire una valida ipotesi di rinnovamento, sia opponendo alla
teocrazia l'autonomia e l'indipendenza dello stato (un presentimento dei nostri
ordinamenti costituzionali"), sia rinnovando il "metodo" della
conoscenza, col rifiuto della teologia e del principio d’autorità (per lui
"la verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è
l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente dei
fatti"). Evidentemente, il ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le
riserve moralistiche precedentemente espresse su di lui) è un caso-limite
d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è scelto a
simboleggiare la politica e la scienza moderna, è perché il D.-maestro che
scrive la Storia (l'anno della presa di Roma, a cui esplicitamente egli fa
riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso progetto di produzione
letteraria che leghi indissolubilmente letteratura, "scienza" e
politica laica (e che indichi anche lo strumento di una lingua letteraria
"precisa e concisa", antiretorica e antimusicale, che pure a
Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli,
dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte moderna e
propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli,
intitolati La nuova scienza e La nuova letteratura. Il rapporto tra essi è
derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla
scienza, che ha come obiettivo il progresso e il miglioramento dell'uomo, e che
ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò,
"i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di
"lottare, poetare, vivere, morire per la fede nel progresso) sono Bruno,
Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e
Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla
Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la nuova letteratura? Dopo
l'affascinante ma superficiale opera di Metastasio, l'innesto si realizza con
la scelta illuministica di utilizzare cose e non parole. Il primo autore vero
della nuova letteratura è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il
primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col
Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di
stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di
sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il
cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la
direzione da seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo
nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, esplorare il proprio
petto secondo il motto testamentario di Leopardi, questa è la propedeutica alla
letteratura nazionale moderna". Nella seconda edizione dei Saggi
critici e poi nei Nuovi saggi critici D. inserì alcuni saggi (in gran parte
composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della
Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il
più antico è Una Storia della letteratura italiana di Cantù, che, recensendo
l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su pregiudizi e
superficiale dottrina e su valori che nulla hanno a che fare col letterario
(perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto,
Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia
desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il
saggio Settembrini e i suoi critici, in cui D. condanna il grave limite del
contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il
contenutismo cattolico-moderato di Cantù, ed afferma che una vera storia della
letteratura dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di
filosofia, critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana
non è ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di
stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità di D. nei confronti
della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della
"parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica
"positiva" della Storia risultano L'Armando di Prati e L'ultimo dei
puristi. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si
afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto (il
materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e
impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la
stroncatura di un purista attardato (Ranalli) dà luogo a una attenta e
intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu bandiera di
libertà, scienza, progresso, emancipazione, ma che (a parte il valore sempre
vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia
della fase rivoluzionaria (al presente, ogni nostalgia puristica risulta
storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi
(Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in
margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle
riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di monografia che D.,
all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle
"sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica
ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di amore e pietà femminile
(Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di
sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile
lettura testuale (era in questo, appunto, che D. voleva proporsi come modello
di critica attuale, paziente e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei
Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini ripropone
l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del
nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui particulare rifiuta ogni vincolo
religioso, morale, politico (ma la vera funzione del saggio si esplicita
nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: L'uomo
del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni
passo. Venne affidata a D. la cattedra di letteratura comparata
nell'università di Napoli, dove egli tenne quattro corsi (è questa l'esperienza
nota come seconda scuola napoletana, che produce quattro gruppi di lezioni,
rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica,
Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi
saggi critici, Napoli) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli
orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe
continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Realizza un nuovo
momento d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono
l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, appoggia,
con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e
piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una
serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e
subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale. Data il terzo e
ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un
impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione
trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera),
condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Cairoli riaffida a D.
il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880,
riproponendo i problemi della scuola di tutti (la scuola per l'infanzia, la
scuola primaria, la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica,
in un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla
"cultura retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più
qualificanti del suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu
l'inserimento dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio
alla rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Colpito da una grave
malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni
di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando
alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della
riflessione petrarchesca e leopardiana). Muore a Napoli, lasciando incompiuti i
suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino
alla fine. Come tutti i principali episodi dell'insegnamento
desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana"
sono documentate da riassunti (redatti in genere da Torraca), rivisti e
ufficialmente accettati dall'autore. Il corso è dedicato a Manzoni e
rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della
"prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella
ricerca di D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni
le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati rispetto
agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di valore.
La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di "calare
l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee critiche che
hanno importanza universale": la "misura dell'ideale", il
"vero" positivo e storico, la "forma" diretta e
"popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione della
letteratura "moderna" in Italia e le "scuole letterarie"
non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su quello dell'ideologia.
Negli anni successivi. D. analizzò, appunto, lo svolgimento della letteratura
in Italia a partire dal Manzoni, dividendola (secondo una traccia già seguita
da Giudici, da Settembrini e da altri) nei due filoni cattolico e laico,
definiti rispettivamente "scuola liberale" e scuola democratica. Alla
Scuola liberale è dedicato l’anno di lezioni universitarie, con risultati di
giudizio fortemente militanti: l'impegno dei cattolici per l'"educazione
popolare" non offre risultati validi in arte e svolge un ruolo (più o meno
esplicito) d'insegnamento reazionario (nuovi Arcadi sono Grossi, Carcano,
Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono una dimensione metafisica
della storia e della politica; D'Azeglio resta attardato su una vecchia e
superata immagine di letteratura retorica). Un interessante excursus riguarda,
però, la letteratura meridionale dell'Ottocento: poeti poco noti (come Mauro,
Padula, Parzanese, Sole) vengono esaminati con interesse e simpatia. Il corso è
dedicato alla scuola democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è
negativo: Mazzini, Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello
della "nuova letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e
sostanzialmente pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e
l'affermazione del principio del realismo. I saggi più importanti elaborati da
D. nell'ultimo decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo
(alcuni di essi furono raccolti nei Nuovi saggi critici). Dopo la prolusione
universitaria La scienza e la vita, sono da ricordare: Ilprincipio del
realismo, Studio sopra Emilio Zola, Zola e l'Assommoir, Il darwinismo
nell'arte. L'assunto complessivo è che il "realismo" auspicato da D.
non si può confondere né col materialismo, né col positivismo, né col
naturalismo di Zola (il quale, però, è molto valido come scrittore: lo studio a
lui dedicato è particolarmente vasto e attento). La letteratura del
"reale" dev'essere (cfr. Manzoni) "l'ideale calato nel reale",
e cioè una costruzione "eticac forza morale impegnata per rinnovare la
società, contro l'individualismo, la reazione, l'autoritarismo sempre in
agguato. Nell'ultima fase della sua vita D. non si limitò a teorizzare
l'importanza e la "modernità" del realismo in letteratura, né ad
inserirsi con diversi strumenti critici all'interno del problema per farne
emergere i pericoli (o quelli che a lui sembravano tali sul piano morale e
politico), ma volle fornire delle prove concrete di narrativa realistica,
utilizzando un registro di linguaggio "familiare", che già aveva
usato nelle sue lettere alla moglie (con estrema semplificazione sintattica e
con frequenti coloriture dialettali) e che, del resto, non era ignoto ai
momenti più colloquiali della sua critica. L'operetta narrativa che elaborò in
funzione di esempio e modello fu Un viaggio elettorale (1876): una serie di
cronache del tragicomico attraversamento della provincia natia da lui compiuto
a sostegno di una candidatura politica poco chiara e poco fortunata. Nella
cronaca, il bozzettismo locale si alterna col patetico dei ricordi d'infanzia o
delle esortazioni politiche; ma il senso del testo va ricercato più nella sua
funzione che nei suoi esiti, né si può dimenticare che nella storia del
realismo italiano esso si colloca quasi in contemporanea con Nedda, quattro
anni prima di Giacinta, sei anni prima dei Malavoglia. Alla vigilia della
morte (sempre su materiali autobiografici e sempre in ambito di racconto dal
vero in linguaggio familiare), il D. perseguì un progetto molto più ambizioso:
la stesura di un'autobiografia, della quale, però, non riuscì a portare a
termine che la prima parte (egli l'aveva intitolata Memorie; Villari ne
pubblicò il frammento realizzato col titolo La giovinezza). Così come ci resta,
il frammento narra l'esperienza di D. dalla nascita e consta di due nuclei
narrativi essenziali. Il primo è legato ai personaggi bozzettistici della
famiglia paesana e degli ambienti napoletani alti e bassi (preti, professori,
avvocati, ragazze da marito, giovani avventurieri, vecchie serventi) e, al
centro di essi, l'autore pone il personaggio "comico" di se stesso,
pieno di tic, di timidezze, di chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato,
invece, alla formazione culturale e all'esperienza della prima scuola. Qui il
tessuto è molto serio e impegnativo: D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto
vecchi "quaderni di scuola") vuole offrire un importante contributo
alla critica di se stesso, mostrando come siano andate formandosi le linee di
forza del suo metodo. In ciò la vita non è del tutto veritiera (molti sono gli
imprestiti ideologici e teorici che D. fa al se stesso maestro di Vico Bisi),
ma resta, comunque, il fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la
scoperta del romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le
utopie libertarie del primo '800 napoletano. Nell'ultimo anno
d'insegnamento all'università di Napoli, argomento delle lezioni era stato
Leopardi: dagli appunti delle lezioni D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno
Studio su Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita,
dell'opera, del pensiero, secondo lo schema della biografia critica di taglio
positivistico. La biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello
dei "nuovi idilli" (come D. definisce i grandi canti), e proprio in
questo tentativo di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è
stato foriero di gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica
leopardiana, mentre in D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in
quella stessa chiave di realismo che si era rivelata funzionale per il Manzoni
e il suo romanzo. Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure
femminili dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o
quella donna; è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile",
ecc.); ma, a parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del
Leopardi né alla critica di Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era
stato detto nel saggio (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni
della "prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e
antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi
leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima
canzone di Leopardi; Le nuove canzoni; La Nerina). In quest'ultimo, ancora un
esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana:
"La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di
questa concezione. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina
è il riapparire". Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un
vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino
e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito su D. bisogna muovere da un
dato obiettivo di iniziale sfortuna critica: lo scarto fra i tempi della genesi
dei testi maggiori e quelli della loro pubblicazione. A causa di questo scarto,
egli apparve subito come un idealista attardato (e perciò più meritevole di
giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante
in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F.
D'Ovidio era convinto che D. ignorasse la pazienza della ricerca e dello
studio, e Carducci gli attribuiva difetto di cognizione dei fatti e dei
documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente
pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione di D.,
ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione
"realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio
a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin
d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come Gaspary), D. poté
divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il
rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva
riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo. A Croce spetta, certo, il
merito di aver costretto la cultura italiana a riconoscere in D. un
protagonista (la sua appassionata cura di editore e di studioso di D. durò per
oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a
"rielaborare" il pensiero di D., fino a propome la riduzione a teoria
del "puro" gusto estetico (Borgese, che presentò D. come punto di
arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia",
fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza
riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di Gentile per un
"ritorno al De Sanctis di SEGNO FASCISTA. Proprio dall'interno della
scuola crociana dai cosiddetti crociani di sinistra") è prospettata,
tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero
della complessità della figura di D.: mentre Russo rivendicava "il
significato pedagogico ed etico" dell'opera e la sua intelligenza
dell'arte come notalità, Muscetta sottolineava l'importanza della sua poetica
realistica, la sua "serietà" culturale, la sua visione della
letteratura come vita morale. Importanti, in questa fase, furono anche gli
studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la
ricerca desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo e di
Getto sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo
valore e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura.
Infine, presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, Contini
dichiara, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita
dall'"equivoco formalistico" della riduzione crociana di D. e la
necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi
desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta. Ma lo
spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione
dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino) e dalla sua
celebre affermazione che il tipo di critica letteraria proprio della filosofia
della prassi è offerto da Sanctis. Da qui appunto si partì per un'ampia
verifica dell'"impegno" di D., del carattere militante della sua
critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che, secondo
Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto correlata al
bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e contro il
"disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da crociani e non
crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le iniziative
editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere D. su testi di alto
livello scientifico: le due collane avviate da Einaudi e Laterza (e dirette
rispettivamente da Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione delle "opere
complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano fuori d'Italia
(dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti interventi
critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della critica moderna
presenta D. come autore della "più bella storia che sia stata mai scritta
di una letteratura") e quello di Antonetti (che ne pubblicò in Francia una
documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso sono condotte
indagini nuove e approfondite sui legami tra D. e la cultura (Mirri, Landucci,
Oldrini). In un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai
insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato",
si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e
di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati)
la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli
interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei
partecipanti al convegno napoletano su "De Sanctis e il realismo".
Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal centenario
desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di Muscetta, Bari e F.
D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari) si sono mosse su una linea di
attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta ancora
aperta e interessanteproblematica desanctisiana, di tricollocazione storico-culturale
nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si
mosse. Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova
(tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli
(Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad
Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll.
dell'Epistolario. Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz.
Cortese e Barion (sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori
d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino,
Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due
voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La
letteratura italiana, I (A. Manzoni, a cura di Blasucci); (La scuola liberale e
la scuola democratica, cur. Catalano); (Leopardi, a cura di Binni); Storia
della letteratura italiana, a cura di Croce; Memorie, lezioni e scritti
giovanili, I, a cura di F. Brunetti; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E.
Bonora; Saggi critici, cur. Russo; La poesia cavalleresca, a cura di Petrini.
La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume
seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), cur. G. Savarese;
Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e
lezioni), cur. Marinari; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi
saggi critici), a cura di Nicastro e Lanza; Lezioni e saggi su Dante, a cura di
S. Romagnoli, Saggio sul Petrarca, a cura di Sapegno e Gallo; Verso il realismo
(prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di
estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino; Storia della
letteratura italiana, a cura di Sapegno e Gallo; La letteratura italiana,
Manzoni (a cura di C. Muscetta e D. Puccini, La scuola cattolico-liberale e il
romanticismo a Napoli (cur. Muscetta e G. Candeloro, Mazzini e la scuola
democratica (a cura di Muscetta e Candeloro), Leopardi (cur. Muscetta e Perna);
L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a
cura di Lanza; Il Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi politici
a cura di F. Ferri,; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e
discorsi), a cura di N. Cortese; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi
biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di
Cortese; Epistolario (cur. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni); (a cura degli
stessi, (a cura di Talamo, (a cura dello stesso, (a cura di Marinari, Paoloni e
Talamo). Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini
(Torino) e da Sapegno e Gallo (Milano-Napoli). Per la bibl. delle opere e
della critica, cfr. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari
(con integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari ed E.
Pesce, Supplemento alla bibliografia desanctisiana Napoli. Sono da tener
presenti inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi
dell'ultimo venticinquennio, Bari; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte,
in Cultura e scuola; Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo
decennio, nel miscellaneo F. D. Un secolo dopo, a cura di A. Marinari,
Bari. Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi
d'insieme: Cione, F. D., Messina-Milano e Milano Montanari, F. D., Brescia;
Antonetti, F. D. Son évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique,
Aix-en-Provence; E. Croce-A. Croce, D., Torino. Per gli anni della formazione,
sono da tener presenti i seguenti scritti: Croce, Introd. a F. De Sanctis,
Teoria e storia della letteratura, Bari; A. Marinari, Introd. a Purismo
illuminismo storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due
discorsi di scuola del D., in Belfagor, Id., Alcuni problemi di cronologia
desanctisiana, Firenze e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e
critica, Studi in onoredi Sapegno, II, Roma; Savarese, Primo tempo del D. e
altri saggi, Bologna; Luciani, L'estetica applicata di F. D., Firenze Muscetta,
D. e i generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C.
Muscetta, Bari. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono
indispensabili: E. Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli;
Croce, Il soggiorno in Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli ora
in Aneddoti di varia letteratura, Bari); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi,
Torino; Guglielminetti-G. Zaccaria, F. D. e la cultura torinese e R. Martinoni,
Gli anni zurighesi, entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello
stesso Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni
zurighesi di F. D., in L'Almanacco Bellinzona Besomi, D. "in partibus
transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F.
D., Bellinzona. Per gli anni sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario
con le rispettive introduzioni. Lo stesso vale per gli anni successivi. Per il
soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D.
Un secolodopo. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri saggi,
Roma Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale, inF. D.
nella storia della cultura Ciampi, Il governo della scuola nello Stato
postunitario, Milano ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia
formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di
D. ed Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche
nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze
funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli a cura della
Comunità montana Alta Irpinia). Tra gli studi critici di carattere
generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari
(per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D.,
in Rassegna della letteratura italiana, Russo, F. D. e la cultura napoletana,
Venezia(poi Firenze, ora Roma Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I
minori, IV, Milano e in Letteratura
italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari, ibid 19854; Fubini, F. D. e la critica
letteraria, in Romanticismo italiano, Bari Mirri, F. D. politico e storico
della civiltà moderna, Messina-Firenze; Landucci, Cultura e ideologia di F. D.,
Milano (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, e la risposta di S.
Landucci, in Belfagor); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in
Storia d'Italia (Einaudi), Torino e Il diagramma Sanctis e il nostro, in
Letteratura italiana (Einaudi), Torino Utilissime sono anche tutte le
introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da
tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in
Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano e Debenedetti (Commemorazione del
D.), (ora in Saggi critici, Milano),
nonché quelle di Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella
prima critica desanctisiana, ora in Critici e poeti dal Cinquecento al
Novecento, Firenze), G. Contini (Introd. a Sanctis, Scelta di scritti critici,
cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano ad Indicem), C.
Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, ad Indicem)
e Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna. Molto ricche sono le
miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D.
nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari; F. D. tra etica e
cultura ("Riscontri"), a cura di Giordano, Avellino; D. - Un secolo
dopo, a cura di A. Marinari, Bari; Per F. D., Bellinzona; F. D.: recenti
ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989. Per i
rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G.
Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari e gli
interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con
l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini,
D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà moderna, Rossi, Sviluppi dello
hegelismo in Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino; Il primo
hegelismo italiano, a cura di Oldrini, Firenze; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F.
D. nella storia della cultura, Landucci, cit. Tra i tanti altri saggi,
cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna
Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna Moretti, La lingua di F. D., Firenze
Prete, Il realismo di D., Bologna Malcangi, F. D. deputato di Trani, con
Introd. di A. Lapenna e A. Marinari, Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio
elettorale" di F. D. Il dossier Capozzi e altri inediti, Firenze Ghilardi,
Il superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli Guglielmi,
Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna Celli Bellucci-N. Longo,
F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma; M. Dell'Aquila,
Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli
1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua, Napoli. Per i
rapporti con le altre letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e
la critica francese (ora in Saggi, Milano); P. Antonetti, F. D. et la
culturefrançaise, Firenze-Parigi Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. -
Un secolo dopo cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F.
D., in Studi e ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D.,
Bari Westhoff, Schiller e D., Roma Mazzocchi Alemanni, La "fortuna"
di D. in Germania, in F. D. nella storia della cultura; per il mondo
angloamericano, cfr.: A. Lombardo, Shakespeare e la letteratura inglese, in F.
D. - Un secolo dopo cit., Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D.
nella storia della cultura cit., e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. -
Un secolo dopo. Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. Biscardi,
F. D., Palermo Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della
critica, a cura di W. Binni, II, Firenze; Castro, F. D. nella critica italiana
del secondo dopoguerra, in Problemi, Longo, Il "ritorno" di D.
Storia, ideologia, mistificazione, Roma Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di
G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici.
Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce –
eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e
implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il
vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta:
cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giandomenico: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’apertura semantica e
l’implicatura di Galilei – la scuola di Carunchio -- filosofia chietese –
filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Carunchio, Chieti, Abruzzo. Grice: “I like
Giandomenico; he makes excellent commentary on Bernard’s controversial,
deterministic idea of life – from amoeba to man, in Russell’s words --.” Grice:
“Surely this has connections with my method in philosophical psychology, from
the banal to the bizarre, which actually starts with philosophical BIO-logy!”
Grice: “Giandomenico shows that while Bernard never thought he had to provide a
‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does propose this or that criterio: for
one he tries to prove that self-nourishment cannot be the criterion – but I’m
not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna
a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia nei Licei. Studia filosofia della
comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per
la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e
Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della
storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica,
teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria
del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha
trattato il contributo scientifico di Pende. Analizza i fondamenti
dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in
evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed
informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche
nella ricerca umanistica. Le ricerche condotte nell'ambito
dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi
linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del
livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como
‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio
di software dedicati. Il primo progetto ha riguardato l'analisi della
conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di GALILEI. Usando un
software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava
un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico)
galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi
“semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi
spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con
quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.
Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento”
Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “
Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna,
Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: Laterza); “L'uomo e la macchina
trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari,
Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea
umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G.
Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa
Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo);
“La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore);
La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando. Triggiani, Cultura, un fronte
unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del
Mezzogiorno, A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio.
Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in
L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza. Milano, Angeli. L’esperire immediato e
l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che
s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza
diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le
scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento,
diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla
comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo
nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al
mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro
stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge
al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli
scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non
si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un
tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento -
perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e
della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai complesso
e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo proposito, le
procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto si poteva
percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco un
esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi
esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un
astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di
quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la
fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di
complicati apparati mediatori del tipo: un satellite, un sistema di specchi,
una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che
digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e
processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un
apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un
apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un
computer, il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari
colori, il video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia
che la scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le
teorie cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a
controllare la validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il
mondo. L’intero iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una
affermazione netta: rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di
intervenire e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della
rivoluzione scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che
dà campo libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il
calcolo, l’esperimento. La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti
porta a ciascuno di essi un arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile.
Per questo, come aveva insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto
con Galilei il padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione
della natura allo stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante
strumenti. I raggi dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica
contemporanea, non sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata
da strumenti. Di fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue
barocche metafore il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la
coda al leone”. Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è
esterna alla scienza, ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione!
Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale,
ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore. La rivincita della
conoscenza comune In altre parole: la definizione operativa accolta usualmente
dagli scienziati tende sì a ricondurre i concetti ad un contenuto empirico, ma
questo contenuto in realtà è quello filtrato da teorie e strumenti, come
dall’esempio che abbiamo sopra riportato.La tesi di Husserl è, invece, che il
fondamento di tutte le scienze - anche di quelle cosiddette empiriche - possa
venire fornito soltanto dal «fiume eracliteo» delle intuizioni che precedono
qualsiasi tipo di concettualizzazione e che ci coinvolgono nell’immediatezza
della vita, personale e professionale, vissuta, la quale presuppone “il mondo
circostante quotidiano della vita, in cui tutti noi, e anch’io in quanto
filosofo, esistiamo coscienzialmente: non meno le scienze, in quanto fatti
culturali inclusi in questo mondo, e gli scienziati e le loro teorie. Nei
termini del mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli oggetti; siamo qui o
là, nella certezza diretta dell’esperienza, prima di qualsiasi constatazione
scientifica, fisiologica, psicologica, sociologica, ecc. D’altra parte siamo
soggetti per questo mondo, soggetti egologici che lo esperiscono, che lo
considerano, che lo valutano, che vi si riferiscono attraverso un’attività
conforme a scopi, soggetti per i quali il mondo circostante ha il senso
d'essere che gli è stato attribuito dalle nostre esperienze, dai nostri
pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei modi di validità (della
certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza, ecc.) che noi
realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già possediamo da
prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in quanto
validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a
piacimento. Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre
”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella
sua struttura di contenuto. Ora, se consideriamo noi stessi in quanto
scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al
nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro
fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e
del nostro ricavare soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo
dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli
aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già
presente alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente.
Fungono con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità
teoretica, che attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie
all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni critiche
e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo essere per
gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella comunità
dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci
reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del
pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti
obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un
rifiuto critico” (Husserl, La crisi delle scienze europee). Ogni pensiero
scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano
sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già
sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi
tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è
e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo
mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita
prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma,
insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è
imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere
compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben
determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle
verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa
esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di
compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. In
realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale
(o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo
strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la
destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un
precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o
categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di
interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè
dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede
che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di
vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo
il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico
alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto
tra sensibile e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è
collocato nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli
atti logici superiori. La rivincita della conoscenza comune Agrimensura
empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl
analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel
mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle
dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono
particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa
subito che la sua indagine genealogica non mira ad una ricostruzione
“storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente
assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non rigorosa) bensì vuole
rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale.
Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria
raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano
delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un
problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri
che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né
quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro
interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si
è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva
per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è
presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi
presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori.
Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più
antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire
agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi
“originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti.
Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente
nell’ambito delle generalità, ma, come La rivincita della conoscenza comune
risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione
offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti
che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire,
compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La
nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni.
Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla
tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente:
noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è
costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è
spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua
precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E
tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente,
un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile.
(Husserl). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio
specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A
questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe,
di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci
possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non
ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o
scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto
soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare
metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito
allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la
geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da
interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua
Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi
di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa classificazione delle
forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati
congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite
numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente
geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad
un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme
derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura
altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente
conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente un
carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini, non
ci sono documenti che mostrino che le cose siano andate proprio così, e questo
è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni di
Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che
siamo comunque di fronte ad una descrizione storica, ma essa è condotta sul
filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno
leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura
ha forse queste caratteristiche di una connessione genetica non
storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un
certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini.
Scrive Husserl: La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune
e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi
elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo
circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo
regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della
determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice,
nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente
esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi
pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si connettono continuamente le une
con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità
(sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in
questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva
di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque -
per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua
determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è
qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo
momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le
forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono
rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le
loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro grandezze
e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione, mediante la
determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati a luoghi e a
direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre praticamente la
possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che
sono concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili
ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere
scoperti) tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare
intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme - dapprima in
sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi per nuove sfere di forme. Si
capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai desta, di una conoscenza
filosofica, di una conoscenza che determinasse il vero essere, l’essere
obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione empiricamente-
praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione dell’interesse pratico
in un interesse puramente teoretico, potesse venir idealizzata e trapassare
così in un pensiero puramente geometrico. La misurazione prepara così la
geometria universale e il suo mondo di pure forme- limite. (Husserl).
Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la guida di questo
pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere documentato, è
tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state anticipate e
presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i problemi che
sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano la ricerca
sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di riflessione
teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un mezzo della tecnica;
una volta che una scienza come la geometria si è costituita, quando cioè esiste
un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un universo di oggetti
concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua volta sul terreno
dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi progetti. Logica
trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione tra precategoriale e
categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e sociali, ma investono
ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la logica, verso la quale Husserl,
fin dall’inizio della sua attività filosofica, ha sempre mostrato particolare
interesse. Dalle Ricerche logiche a Logica formale e trascendentale a
Esperienza e giudizio, egli traccia la via di una genealogia della logica, in
polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello sviluppo del suo pensiero si
impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che genere di rapporto sussiste
tra la logica antepredicativa e la logica predicativa. La percezione sensibile,
per quanto consista nel tendere da parte dell’io verso l’oggetto intenzionato,
è sempre una conoscenza instabile, insicura, che non consente mai di possedere
l’oggetto conosciuto in maniera definitiva. Questo è possibile soltanto
mediante una conoscenza predicativa, cioè attraverso la logica, la quale ha la
capacità di fissare l’oggetto e di conservarlo anche quando non è presente
nella percezione. La conoscenza antepredicativa e quella predicativa, perciò,
si differenziano nettamente e ciascuna si caratterizza per una propria
specificità. Se però si analizza la genesi della logica, ci si rende conto che
bisogna rifarsi alla percezione sensibile per spiegare la logica predicativa.
Questo significa che la conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è
l’espressione più compiuta, riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista
della sua fondazione, sulla conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in
logica trascendentale. Scrive Husserl: Chiarito il contrasto tra scienza
obiettiva e mondo-della- vita, occorre tuttavia localizzare la loro essenziale
connessione: la teoria obiettiva nel suo senso logico (in termini universali,
la scienza come totalità delle teorie predicative, dei sistemi logici in quanto
sistemi di proposizioni in sé, di verità in sé e, in questo senso, di enunciati
logicamente connessi) è radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue
evidenze originarie. Proprio per questo la scienza obiettiva ha una costante
relazione di senso col mondo in cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo
anche nella nostra qualità di scienziati accomunati a tutti gli altri
scienziati - si tratta cioè di una relazione col comune mondo-della-vita. Ma
così la scienza obiettiva è un’operazione di persone pre-scientifiche, di
persone singole e di persone accomunate nell’attività scientifica, di persone
quindi che appartengono al mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni
logiche, non sono naturalmente cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo
sono i sassi, le cose, gli alberi. Sono totalità logiche e parti logiche
costituite da elementi logici ultimi. Per parlare con Bolzano: sono
rappresentazioni in sé, proposizioni in sé, conclusioni e dimostrazioni in sé,
unità ideali di significato, la cui idealità logica è determinata dal loro
telos “verità in sé”. Ma anche questa idealità, come qualsiasi altra, non muta
nulla al fatto che sono formazioni umane connesse per essenza alle attualità e
alle potenzialità umane, e che quindi rientrano nella concreta unità del
mondo-della-vita, la cui concrezione dunque ha una portata maggiore di quella
delle cose. Ciò vale, correlativamente, anche per le attività scientifiche,
sperimentali, per le attività che in base all’esperienza plasmano le formazioni
logiche, in cui esse compaiono in forma originaria e in modi originari di
evoluzione, nei singoli scienziati e nella comunità degli scienziati: quale
originarietà delle proposizioni, delle dimostrazioni, ecc. che sono state
elaborate in comune (Husserl). Come potete notare, si tratta di un’ampia
riflessione sul come le strutture logiche siano o meno adeguate alla dimensione
della realtà oggettiva. In questo senso la logica trascendentale si presenta
come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che si costituisce la logica
come scienza formale. La logica formale tradizionale, invece, ha ignorato la
propria genesi, presupponendo come ovvia la validità delle proprie leggi. Al
contrario, un giudizio logico deve essere valutato come un atto soggettivo di
conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per questo motivo le leggi
logiche formali, che siano normative del giudizio, ma che non tengono conto del
fatto che sono normative anche del suo contenuto, fanno sorgere interrogativi
sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale e sulla verità ed evidenza
dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista, Husserl sviluppa pienamente
il tema della logica trascendentale in rapporto alle categorie di verità e di
significato. Conseguentemente, la logica si configura qui come teoria delle
teorie: essa non è solo un discorso logico sulla logica, condotto con i mezzi
della logica, ma un metadiscorso sulla logica, che tuttavia non si presenta né
come una sovrastruttura né come una forma speculativa. E’, a tutti gli effetti,
una regressione, un ritorno ai fondamenti che l’hanno costituita nelle sue
operazioni originarie, anche storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le
ricerche fenomenologiche, ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica
pura, trascendentale. Ne rappresentano la sua fondazione intuitiva e
precategoriale: in quanto la logica è da ricercare nelle operazioni
costitutive, diventa logica filosofica, filosofia prima, teoria della teoria.
Ma, badate bene, ciò non è in contraddizione con la fondazione precategoriale:
è solo l’altra faccia della questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita
nella presenza e nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Le
scienze, invece, che non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro
fondamento trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in
pure tecniche di manipolazione di simboli linguistici. Mauro Di Giandomenico. Giandomenico.
Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots
karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica,
Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi,
la filosofia positivistica italiana -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots
karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giani: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura mistica –
l’implicatura di Catone – la scuola di Muggia -- filosofia muggiana – filosofia
triestina – filosofia friulese – filosofia veneta. filosofia italiana – Luigi
Speranza (Muggia). Filosofo muggiano. Filosofo
trestino . Filosofo italiano. Muggia, Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “It’s hard for me to
judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during the
so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to
expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at
Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being
more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of
an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica".
Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Frequentato il Liceo
ginnasio di Trieste. Si trasfere a Milano, dove si iscrive a Milano e quindi ai
Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola
sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della scuola
di mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno
seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione
dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che
coincide anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi
della nuova scuola. Su impulso di G. si comincia inoltre a pubblicare i
Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi
dimise da direttore con una lettera inviata a MUSSOLINI, per contrasti interni
con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al
mancato trasferimento della scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia
chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de
"Il covo" punta ad ottenere il possesso di uno degl’ambienti più
importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi
quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti
sull'ordinamento sociale dello stato" gli fa ottenere la libera docenza e e
quindi la cattedra a Pavia ma parte volontario per la guerra arruolandosi col
grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel Battaglione"Vercelli".
Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della
chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano.
Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di
Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione
della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e
sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista
mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si
dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca
prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore:
Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna
fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al
"biologico" La Cronaca
prealpina dopo la nomina di G. a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.
L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del covo ai
"mistici" della Scuola. Su impulso di G., con una cerimonia
presieduta di Starace, la sede ufficiale della scuola di mistica si sposta nel
medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia,
chiamato il covo. Il covo negli anni e stato trasformato in una galleria. La
palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore svolta da squadristi e combattenti. Per
esplicita decisione di Mussolini, e ufficialmente consegnata ai mistici della
scuola. L'evento e vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti
riuniti intorno a G.. In realtà la consegna e già stata disposta come risulta
da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo e ricevuto
a Roma da MUSSOLINI. Mussolini li aveva spronati continuare nella loro
attività. A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della
scuola, organizza il convegno di mistica che nelle sue intenzioni dove essere
il primo della serie. Obiettivo che sfuma a causa dell'entrata in guerra.
L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ha l'adesione della maggior parte dei
filosofi dell'epoca. Come gran parte dei mistici, partecipa nuovamente come
volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vede il presagio
di una rivoluzione in vista di una nuova era. Inquadrato nel reggimento alpini prende parte alla battaglia
delle Alpi Occidentali contro la Francia venendo decorato con la medaglia
d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito
all'armistizio torna alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra
in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere
soddisfazione. Alla fine ottenne di partire
come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca
prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della regia
aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività
di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune
azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in
Italia dove riassunge la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente
incorporato nel reggimento alpini riparte infine come volontario per la
campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la
conquista della Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa
missione che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco
ebbe inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi
i greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico
L'Illustrazione Italiana scrive, senza riportare dove o come avrebbe potuto
registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte
avrebbe raccontato che nello scontro G. gli si era parato davanti "come un
dio o un demone". Il corpo di G. anda disperso e gl’altri
assaltatori che prendono parte
all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. E
pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che e anche vice-direttore
della scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di
guerra sono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui e caduto.
In quell'occasione, richiesta un'udienza al duce, chiede che puo partire per
l'Albania il cognato Guido G. e il fratello Sampietro. Questi ultimi rinvennero
la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma e
translata nel piccolo cimitero militare di Klisura. MUSSOLINI e preso
come principale punto di riferimento dalla scuola di mistica. Elabora un discorso
programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica
fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare,
interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola
di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori che sono nell'opera del Duce. (G. in La marcia sul mondo). Inizialmente i
principi esposti da G. fanno parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma
in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle
Scienze. L'ampio discorsoe poi pubblicato nella serie dei "Quaderni"
voluti da G. con il titolo "La marcia sul mondo della civiltà". Si
impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi
idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della
Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione
coniugata al recupero di una più integralistica tradizione. Ma più che legati
agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella
esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del
primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo
mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione
permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava
nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare
in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica,
socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo
sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già
visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta
all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il
comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche.
A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come
sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui
conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia
d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al
valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a
diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest
guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario
a due azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa
di due compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal
nemico e avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante
del grave pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante
a ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di
valore. Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia
di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea
disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di
responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente
battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare,
partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando
sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del
pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino
per uniforme ordinaria medaglia d'oro al valor militare. Volontariamente, come
aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita,
alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa.
Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a
mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e
superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si
lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi.
Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo
eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva
mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo
valore e di amor di Patria. Punta NordMali Scindeli (Fronte greco) Saggi: “La
via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti
su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché
siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di
scritti, Il Cinabro, Longo, “I vincitori
della guerra perduta” (sezione su G.),
Settimo sigillo, Roma.Carini, G. e la scuola di mistica fascista, Mursia, Antonellis, Come doveva essere il
perfetto, su storia illustrate, Antonellis, Come dove essere il perfetto, su
storia illustrate, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia,Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia, Carini, G. e la scuola di mistica fascista,
Mursia, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Grandi, Gli eroi, G. e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le
ricerche di Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato.
Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Il
saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale
tenuta da G. per l'inaugurazione del corso per maestri della scuola di mistica.
Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia in Grandi, Gl’eroi di Mussolini,
BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani,
La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, Longo, Gl’eroi della
guerra perduta, Settimo sigillo, Roma,
L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola
di mistica fascista, Grandi, Gl’eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica
fascista, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione
su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Marcello Veneziani, La
rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, G., La marcia sul mondo,
Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini, G. e la Scuola di mistica, prefazione di Veneziani, Mursia,
Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica, BUR
Biblioteca Rizzoli, Raido Speciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M.,
Coscienza e dovere. G. MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti. In breve: Siamo mistici perchè siamo degli
arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini
partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi Del resto nell’impossibile e
nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la
volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più
significati testi di G., tra i massimi esponenti della corrente più radicale,
oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica
Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più
significativi scritti di G. È, a nostro
giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, la sua
filosofia, e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che e
il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la vita
comoda, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio
di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i
propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando
il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di
spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. G.,
nato a Muggia, cadde sul fronte greco nello slancio del combattimento,
trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostra con la vita affermata oltre la
morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra filosofia ed azione, e
della autentica rivoluzione rimane il puro rappresentante del nuovo italiano:
per questo il suo esempio e il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe
con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I
tesserati sono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi,
i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro,
insomma, che considerarono la rivoluzione come atto di ordinaria
amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa
Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra; Rossi: La Mistica
Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e meta-politica la scuola
rivoluzionaria del Fascismo; Mezzasoma: G., discepolo di Arnaldo. Decalogo
dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni
di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver
Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le
due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di
preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione
Valore primordiale del covo I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei
mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio G.:
Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista E questo diritto alla prima linea,
ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani,
sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come,
con vena veramente squadrista, ha detto PALLOTTA (si veda) nella sua relazione
che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente
fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori
e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma
anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra
integrità spirituale (G.) Le conseguenze derivate dalla fine del primo
conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e
dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella
storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un
radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad
allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei
costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera
irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe
più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e
realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi
rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi
in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung. Per Bruck, uno
dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice
tedesca, si tratta di una presa di posizione a carattere diffuso più che
evidente. Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce
contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale,
che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una
rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua
posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un
allontanamento dall’Illuminismo.” Il periodo che immediatamente fece
seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più
attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e
stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di
una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine
tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed
estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano
riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse,
sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal
predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più
perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche. Le conseguenze
della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza
collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate
entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i
rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai
combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo
stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme
di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per
l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi
valori e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture
politiche, sociali e culturali delle società borghesi
liberal-democratiche. Dalle forme statiche si passava alle forme
dinamiche, nel senso jungeriano del termine. Il Fascismo è la matrice
principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni
nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più
affascinanti sintesi nazionali e sociali. Furono infatti i reduci del
fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare
visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi
nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo
poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro
prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a
rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione
politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero
partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura
sociali. La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il
senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una
nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile
sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del
radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica. Gli squadristi
fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di
piazza. Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E
il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro
apoteosi. D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che
l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la
rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il
novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11°
Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la
pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente
mutare. Sugl’italiani bisogna contare. Questa guerra che noi combattiamo e che
con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle
lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è
riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di
sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo
mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci
sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo
non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.” Una lucida e profetica
anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto
questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al
principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico,
all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e
anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e
carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con
il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della
Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico,
soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione
della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie,
e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento
statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione
disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle
oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al
servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche
nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa
tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del
nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una
Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in
Rivoluzione. Proprio nel senso di quell’interpretazione che G. sa dare,
facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e
rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti
mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un
ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il
significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può
essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione.
Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del
passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola
accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo
verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono,
ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e
dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano non può che essere fascista.
Questa nuova visione della politica rappresentata dal Fascismo rappresentò
inequivocabilmente la radicale negazione dei principi emersi dalla rivoluzione
francese, una evidente antitesi storica e culturale di quanto fu incarnato
dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le manifestazioni
materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da quelle
individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite, genericamente
progressiste e marxiste. Il Fascismo, anche nella sua più vasta
comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un
discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società
borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia
rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme
passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il
vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente
dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato
nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle
democrazie liberali. Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva
ad essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione
spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo
creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata
alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e
spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e
popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando all’Assemblea
delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è
politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è
guerriero. Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo, capace di
raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura rivoluzionaria
del Fascismo propone e che non mancava costantemente di ricollegare alla
stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di sacrificio, riconduceva
alla stessa definizione dell’Uomo integrale di mussoliniana memoria, ovvero un
uomo che non esistesse unicamente perché cartesianamente pensante, ma perché
arricchito di tutte quelle virtù “romanamente” intese, eroiche, civiche e
politiche, sia nella ragione come nei sentimenti. Spesso e volentieri
nell’immaginario intellettuale il discorso sull’Uomo Nuovo si andava a
concretizzare poi nell’ideale della gioventù, una gioventù non solamente intesa
in senso spirituale ma anche come dato anagrafico, poiché il concetto di
gioventù rimandava all’ansia del cambiamento e all’impeto rivoluzionario,
racchiudendo in se stessa gli ideali della forza e della bellezza, di una
esuberante virilità aggressiva, l’anelito vitale di un futuro tutto da
conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora proponevano i rappresentanti
delle democrazie borghesi con tutte le loro desuete convenzioni e i loro logori
formalismi, con tutta la loro boriosa rispettabilità e lasciva
ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente giovane e irruento,
meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che
anagraficamente. Il comune denominatore della più intransigente e
autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica
stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un
originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti
radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i
riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica
evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di
trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si
nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in
nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di
quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel
mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia
più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio
rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed
interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta
all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto
come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della
Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si
svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del
governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma,
rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il
Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando
il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della
Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e
anti-modernista – non a caso lo stesso G. volle mettere l’accento sul fatto che
la Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto
in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece
l’ostetrica della nuova storia. E sorta una nuova civiltà capace di risolvere
tutti i problemi della società contemporanea. Per costoro, che in fondo
rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella
intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva
assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che
in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si
adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece
mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere
in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una
rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità
e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente
dell’epopea squadristica della statura di FARINACCI (si veda). Bisogna insomma
che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata
bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai
margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate,
controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di
rifarsi, attraverso il fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto
mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere
integrale. Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si
evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a
Milano, tutti provenienti da quella generazione dei GUF che era cresciuta
respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione
nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del
Duce. Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del
Fascismo rivoluzionario: RICCI (si veda) con il suo universalismo fascista, PAVOLINI
(si veda) e l’esaltazione della primavera squadristica, ROSSONI (si veda) con
tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario. La Scuola di
Mistica Fascista verrà intitolata a Mussolini, il figlio prematuramente
scomparso di Mussolini. G., PALLOTTA (si veda), MEZZASOMA (si veda) e
molti altri entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo
Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla
Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta
a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva
farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna
rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove
generazioni. È G. a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una
mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può
derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il
Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito
nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il
pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco
il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono
nell’opera del Duce. Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello
Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e
della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche
della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione
organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato
all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale
facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il
riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo
aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento
della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada
al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista
elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una
autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica,
sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni
essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in
un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per
schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un
richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della
rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e
propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e
rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria che conduce ad una
riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del
pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni
trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice
nietzschiana e soreliana. Anche i richiami alla Mistica insita nel
Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi
ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle
organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si
manifesta con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico
qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza
istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa
a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese buon senso
pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie
sociali e spirituali del Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza
con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e
coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo
esigeva e che ancor di più il Duce imponeva. Per questi giovani attivisti
non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità,
esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale
del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire
solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo
tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della
guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta
squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di
popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento
sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della nazione. Nel
corso degli anni che trascorsero fino all’entrata in guerra dell’Italia la scuola
di mistica fascista assolse in maniera esemplare ai compiti che si era
prefissata, ovvero l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo
morale, etico e dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le
velleità dei nemici del duce e del fascismo, soprattutto i nemici interni, i
più pericolosi, quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo
alla base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici
della scuola, i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio
di virtù civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della
guida della rivoluzione, il duce, spesso descritto come il genio della stirpe,
l’Eroe che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di
rappresentare pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo,
soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica
e sociale e un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di
appartenere integralmente all’organismo della nazione. Da questa chiave di
lettura emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al
suo popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua
volta veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata
dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della
rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente
della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: Gl’italiani della mistica
si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il
goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno
convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della
sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle
direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla
politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e
di lotta. Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista
chiesero e ottennero che la scuola divenisse la custode del famoso covo
milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie
nere, appunto il covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso
i primi passi e dove il Duce chiama all’adunata.rossi Un luogo simbolico
carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario
collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di
irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione. Il cosiddetto
covo del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo
centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della
fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il
tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’idea, un
riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto
attraverso i miti e i simboli, e la mistica fascista era satura di richiami, di
miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del covo.
Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi,
infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il covo deve e
dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei
momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il
navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad
esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per
meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con
stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile. Il
Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che
aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la
gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata. Se ogni secolo ha
una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fascismo.
Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che
la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha
avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo
l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un
momento nella storia dello spirito umano. Adesso, questa fede, attraverso
i mistici fascisti della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i
suoi più appassionati apostoli. Anche loro si stano preparando al
combattimento – nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di
potere affrontare degnamente il supremo sacrificio per il fascismo e onorare
così la loro scelta di vita versando il proprio sangue per la causa
rivoluzionaria. Morire all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica
dell’azione. Mistica del realismo eroico. Mistica della fede. Fedeltà che era
più forte del fuoco, come narravano antiche saghe. Che l’intensa e
interessante attività svolta dalla Scuola nell’approfondimento e
nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il risultato di un grande
impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà venne comprovato dai
numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo l’apprezzamento e la
manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il riconoscimento più
importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li encomiò pubblicamente,
incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire
nel cammino intrapreso quali custodi della purezza dell’Idea e del mito
rivoluzionario: Io vi ho seguito in tutti questi anni da vicino e con vivissima
simpatia perché considero la mistica in primo piano. Ogni rivoluzione ha
infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica,
si finisce nell’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione
si può dire che è terminata, liquidata. Potrei dimostrarvi che tutte le
rivoluzioni sono passate attraverso questo ciclo: noi che conosciamo la storia
dobbiamo impedire che la politica scivoli nell’amministrazione. Alle origini di
ogni rivoluzione c’è la mistica: se la politica è il contingente, la mistica è l’immanente,
essa rappresenta i valori eterni, essenziali, primordiali. Voi dovete lavorare
per l’avvenire. Per far questo occorre la fede. È facile ad un certo momento
deviare nella politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle
necessità della politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma
tutte erano presenti in voi. Avete tempo di riflettere.” Il secondo
conflitto mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra
l’anno successivo. I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme
conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo
la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore
dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di
cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte,
convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile
accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno
a ruota l’esempio dei loro capi. La loro esemplare condotta evidenzierà
una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte
due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per
chi vuole percorrerla. Sia G., sia un’altra figura di eccezionale valore
come Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e
politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte
greco-albanese dove troverà eroicamente la morte, il secondo, sempre
volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente
nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte a Bir
Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due
tra i suoi migliori campioni. Le vicende belliche decimarono di fatto il
gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I
pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del
Duce aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma
che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della
propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni
della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra
intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie
che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente
di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona
volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a
respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al
servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di
marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i
fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli
invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la
nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di G.. Questo è il suo
insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri caduti, i superstiti della
Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentici italiani. Anche lui
muore poi assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente
incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li lega al
Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il
loro abbraccio mistico con il Fascismo si consuma eroicamente in combattimento
e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni
trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali
affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di
questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il
Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella
Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi
di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del
ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri
possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre
1922, non è ancora terminata. Non ci consta che esistessero specifiche
istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi
provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le
disposizioni a favore dei debitori, le distri buzioni semigratuite o gratuite
dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose
elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che
mi ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause
dell’indigenza o almeno a paralizzarne gli effetti, ben ché nella loro essenza
e origine avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per
cattivarsi il favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse.
Fra le associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo
mutualistico ; e tale è il carattere dei collegia funeraticia, dei collegia
termiorum, delle casse di soccorso istituite da GIULIO (si veda) Cesare fra i
suoi legionari. Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti
privati i quali istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere
pubbliche ohe specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e
acquedotti, palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte,
almeno, durano e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA
CONCEZIONE FASCISTA. LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO
STATO. LA FUNZIONE SOCIALE DELLO
STATO. PRECEDENTI STORICI DELLA
FUNZIONE SOCIALE DELLO STATO NELLA
POLITICA E NELLA LEGISLAZIONE SOCIALE. In Roma sino all’editto di Costantino.
Durante il medioevo.Dopo la riforma protestante. Ordinamento sociale dello
Stato fascista. In Italia. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione
sociale. La legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pubblica e
privata. La legislazione sulla mutualità e sulla previdenza. La legislazione
del lavoro. La legislazione sull’istruzione pubblica. La legislazione
sull’igiene e sulla sanità pubblica. La legislazione sui servizi e sulle opere
pubbliche. GLI ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. I
soggetti. Gli obiettivi . Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere. Gli
obiettivi inerenti alle condizioni generali di vita. Gli obiettivi inerenti in
particolare alla fase di formazione e di preparazione del cittadino, a quella
di produttività e a quella di riposo.
Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti. Gli obiettivi relativi ai
cittadini non risanabili e non
rieducabili. Gli strumenti . Il criterio, profondamente corporativo, adottato
dal legislatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti la politica sociale. La famiglia. L’associazione
professionale. Le istituzioni promananti, singolarmente o pariteticamente,
dalle associazioni professionali. Gli enti locali. Le opere nazionali
parastatali. I limiti. LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO
FASCISTA. Di alcune considerazioni preliminari. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE
ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. La- legislazione inerente alla
sicurezza, all’igiene e alla sanità
pubblica . Per garantire la sicurezza. Per assicurare l’igiene e la sanità. La
legislazione inerente alla previdenza . Per incrementare il risparmio. Per
potenziare la mutualità. Per favorire la cooperazione. Per diffondere le
assicurazioni Ubere. La legislazione inerente alla assistenza di soccorso. Per
l soccorsi in natura e in contanti. Per i soccorsi
medico-sanitario-ospitalieri. La legislazione inerente alla propaganda,
all'integrazione culturale e al perfezionamento scientìfico . Per favorire il
perfezionamento scientifico. Per la propaganda e l’integrazione culturale. La
legislazione inerente all’integrazione della formazione e dell’educazione
fisica e sportiva. La legislazione inerente alla costituzione e all’incremento
del nucleo familiare . Per favorire la costituzione della famiglia. Per
facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . La legislazione inerente
a particolari servizi pubblici.Per garantire il soddisfacimento di bisogni
primari. Per assicurare i rapporti e i contatti economico-sociali. Per
valorizzare il patrimonio nazionale. Ordinamento sociale dello Stato fascista.
La legislazione inerente al controlla, <UVadeguamento e al collegamento
ielle istituzioni dell’ordinamento
sociale e alla selezione dei suoi soggetti. Per assicurare il controllo
e l’adeguamento delle istituzioni sociali. Per ottenere il collegamento
nell'ambito dell’ordinamento sociale. Per assicurare la formazione della classe
dirigente mediante la selezione totalitaria del cittadini. IL PARTITO NAZIONALE
FASCISTA E LE ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI. Origine, natura e funzione sociale del
P. N. F . I Fasci di Combattimento. I
compiti. I soggetti. L’ordinamento. L’Associazione nazionale famiglie Caduti
fascisti e Mutilati e Invalidi per la Causa Nazionale. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia I compiti I soggetti . L’ordinamento. L’Unione
nazionale fascista del senato. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Gruppi
Universitari Fascisti. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Opera Nazionale Dopolavoro. I compiti. I soggetti. L’ordmamento. Le Associazioni fasciste. I
compiti I soggetti L’ordinamento. Il Comitato intersindacale . I compiti. I soggetti. L'ordinamento.
Gl’Uffici di Collocamento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Ente Opere
Assistenziali. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Opera Universitaria. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Il Comitato
olimpionico nazionale italiano. I compiti.
I soggetti. L’ordinamento. Di
alcune considerazioni sul P. N. E. La legislazione richiamata. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. Ordinamento sodale
dello Stato fascista. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE
PROFESSONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. La legislazione inerente al nucleo
familiare per la formazione fisico-militare del cittadino. Per sopperire alla
insufficienza relativa dei mezzi economici della famìglia e sostituirla nella
vacanza di alcune sue funzioni. Per
integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi della famiglia. L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE
DELL’INFANZIA. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. I
compiti. Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta da altri enti o istituti o da privati. Per
la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni di assistenza. Per la propaganda e la
vigilanza suU’applieazione delle leggi e
dei regolamenti riguardanti l'assistenza
materna e infantile. I soggetti.
L’ordinamento . Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 La legislazione
richiamata. La legislazione inerente all’istruzione e alla formazione
professionale del cittadino. Per garantire l’istruzione professionale del
cittadino sino al 14° anno di età. Per favorire e incrementare l’istruzione
professionale La legislazione inerente all’educazione e alla formazione fisica,
premilitare, morale e nazionale del cittadino.
L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DEGL’ITALIANI.
L’origine, la natura e la funzione somale dell’O.N.B. I compiti . I soggetti.
L’ordinamento. Di alcune considerazioni sull’O.N.B. La legislazione richiamata.
DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. LE
ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI
PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’azione sociale
attuata dalle associazioni
professionali . Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente dai sindacati. Per assicurare l’azione
sociale da attuarsi dai sindacati a
mezzo di speciali istituzioni. IL
PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SOCIALE. L'origine, la natura e la funzione
sociale del P.N.A.S. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune
considerazioni sul P.N.A.S. La legislazione richiamata. La legislazione inerente
all’azione sociale attuata dalle corporazioni. Per garantire il produttore
obiettivamente e subiettivamente di fronte alle condizioni del lavoro. Per
tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità di datori di
lavoro e di prestatori d’opera . Per favorire ii perfezionamento e l'elevazione
professionale del produttore. Ordinamento sociale dello Stato fascista. La
legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e della
preparazione fisico-militare del
produttore. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ DEL
CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. La
legislazione inerente all’obbligo delle garanzie previdenziali per la fase di
riposo-vecchiaia. La legislazione inerente a speciali interventi statuali a
favore del vecchio bisognoso. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI
'SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI
RELATIVE AI CITTADINI CHE HANNO BENEMERITATO DALLO STATO. La legislazione
inerente alle benemerenze collettive. La legislazione inerente alle benemerenze
individuali. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI
CITTADINI BENEMERITI. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI. La
legislazione inerente ai minorati assolutamente non produttori. La legislazione inerente ni
minorati relativamente non produttori. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE
ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON INEDUCABILI.LA
POSIZIONE E I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL
CITTADINO NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE. Di alcune considerazioni
preliminari. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NASCITA ALLA MAGGIORE
ETÀ. L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno.
Per la costituzione della famiglia.Per la esistenza e l’incremento della
famiglia. Per li cittadino neonato. Per Viilegittimo e l’esposto. Per l’orfano.
Per iì cittadino infante. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato sino al quinto anno. L’azione previdenziale e
assistenziale dello stato dal sesto al quattordicesimo anno. Per la formazione
e lo sviluppo fisico, militare, morale e nazionale. Per la formazione intellettuale
e professionale. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno. L’azione
previdenziale e assistenziale dello stato dal quindicesimo al ventunesimo anno.
Ordinamento sociale dello stato fascista. Per il cittadino che studia. Per il
cittadino che lavora. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno. DA POLITICA
SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUTTORE. L’anione previdenziale e assistenziale
dello Stato per il cittadino ohe è
produttore. L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato per la famiglia e i suoi membri . LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A RIPOSO
. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEMERITO. LA POLITICA SOCIALE PER IL
CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE. LA POLITICA SOCIALE DELLO
STATO FASCISTA. DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO ATTRAVERSO AI SUOI
ORGANI. Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’estensione della rete
consolare . DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E
MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ..Le
convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e le risoluzioni dell'O.I.L . La legislazione
richiamata. Appartene alla categoria dei
mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello
morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da
Arnaldo im parò che prima di agire e costruire è necessario ele varsi,
purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto
si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo
imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al tri è prima
indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri
difetti, affinare inces santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà
aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo impara che solo il sacrificio può
suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò
che non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof ferenza non
dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le
ricchezze sono effimere e ca duche cose. Quello che importa è quanto è dentro
di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a
strapparci la carne viva di dosso. Es sere se stessi in ogni momento, rimanere
se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un
uomo di fede fu G.. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di
quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono
anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi
motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le
intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che
se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol te vette bisogna scalare e talvolta
anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8
i G. la fede nasceva da un inesausto tormento spi rituale, da
un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il poeta,
«cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda. Egli credeva in Dio, nel Dio di
noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono
misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la
missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più
di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini,
scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa crificio e
nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli
uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di
civiltà italiana, ed europea. Crede in Mussolini perchè lo considera l'uomo
della provvidenza, l'e sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci
viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il
condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima
di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in
cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1 del suo popolo,
la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Crede negl’italiani
nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del
Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene rosi ed
audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna va una classe dirigente che
sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de
gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente
fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric
chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte
le virtù spirituali, intellet tuali e fisiche che sono indispensabili per
poter eser citare con dignità e con efficacia la missione dei co mando.
Concepiva la famiglia nel senso più tradizio nalmente nostro; amava cioè la
sana numerosa fami glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc
ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com battendo-per la Patria e
la donna che nel piccolo gran de regno della casa vive nella serena ed operosa
attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la donna lo piangerà senza
lacrime perchè egli sopravvi va nella fierezza dei figli, I quali
continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Crede nella Patria come
ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria
più della propria anima. Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per
lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e
tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran no; la
storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più
nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di
territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera;
per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e
Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli
intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di
educazione e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la Cronaca
Prealpina, e da quelle della sua rivista DOTTRINA FASCISTA si battè
accanitamente per la creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico,
coraggioso, un giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun zione
costruttiva di divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che
fosse degno di essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma
soprattutto maestro dei giovani egli fu. All'Insegnamento si consacra con il
religioso fervore con il quale sole dedicarsi a tutte le attività rivolte
agl’italiani. All'ateneo di Pavia, al centro di preparazione politica, alla scuola
di MISTICA FASCISTA egli porta il contributo della sua beila cultura fatta di
conoscenza e di azione, illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla
Scuola di Mistica da la parte migliore di se stesso. Tutto quello che di buono
e di meritevole è stato fatto dalla scuola — ha detto Mussolini, nostro
Presidente — proviene unicamente da lui. Bisogna ricordarlo sempre e
presentarlo come un mirabile esempio agl’italiani che in lui potranno vedere
l'espressione più sublime di obbedienza ai comandamenti del Duce. È il
migliore tra noi: il più limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra
mistica fede è l'aifiere più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che
dalia nostra Scuoia uscissero ì missionari, i portatori del no stro credo
politico ed è egli stesso il più tenace e il più convinto assertore dei
principi che sono a fondamento della nostra dottrina. La scuola sorge con lui
per la volontà di un manipoio di credenti che egli chiama i disperati del FASCISMO,
così come gli squadristi un tempo amano chiamarsi FASCISTI arrabbiati. All'inizio
la scuola è un'attività de! Guf milanese. Divenne quindi un'attività di tutti i
gruppi fascisti universitari. Oggi si è imposta al rispetto e ail'attenzione
di tutti i fascisti. La sua opera è rivolta agl’italiani, ma la sua azione è
seguita ed amata anche dai camerati della vecchia guardia che vedono con intima
gioia esaltate e rinnovate ogni giorno, dagl’allievi della scuola, le due più
preziose virtù dello squa drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati
della vecchia guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato
alla riapertura del Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo
d'Italia », prima trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in
gelosa custodia ai giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani
generazioni, accostandosi alle sorgenti genuine delia nostra Ri voluzione,
cogliessero, dall'umile grandezza delle ori gini, la poesia e il fermento
delia vigilia. G. è soprattutto un fedele ed un in transigente. Taluni
potrebbero chiamarlo un fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col
sangue «alla ruota sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a
qualunque forma di com promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat
teggiamenti; il bello, il buono, il vero sono da un lato della barricata;
dall'altra parte c'è il brutto, il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo
ai Convegno di Mistica: eravamo alla vigilia delia nostra guer ra di
liberazione e c'era in tutti noi una febbrile im pazienza di decisione. Il
tema del Convegno era bru ciante: «Perchè siamo dei mistici?». I problemi
dell'inteiligenza e deila cultura furono esaminati al lume della fede; i poveri
dì fede furono sbaragliati e G. dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli
spiriti troppo raziocinanti, agli innamorati della ricerca fredda e del
ragionamento calcolatore. La dottrina che conquista è quella che sorge dalla
fede e non quella che discende dalla indagine arida ed oziosa; la cultura che
costruisce è quella che pene tra e trasforma e non quella che resta gelida ed
inerte. li Convegno si svolse in un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema
che fu oggetto dei nostri appassionati dibattiti fu data dallo stesso G.:
Fascismo uguale a spirito, uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a
vittoria. Perchè credere non si può se non si è mistici, combattere non si può
se non si crede, e vincere non si può se non si combatte. Fu in quel Convegno,
ò giovani camerati della Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del
Littorio affermarono solennemente il loro diritto al combat
timento, Soldato dì Mussolini G. è tra i primi a partire. C'èin lui la
preoccupazione morbosa di stabilire coi fatti una coe renza perfetta tra il
pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo come volontario alla guerra per la
con quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente di partire per la Spagna e
non gli era stato concesso; finalmente sopraggiungeva la nuova prova lungamente
attesa. Chi lo vide tenente degli alpini al fronte occidentale lo ricorda come
un esempio di disciplina e di ardi mento. Ma la parentesi fu troppo breve:
tornò insod disfatto, Andò in Africa settentrionale come corrispon dente di
guerra del popolo d'Italia. Ma quando sa che il suo reggimento è già sul fronte
greco chiede di raggiungerlo. Non puo vivere lontano dai suoi alpini, gli
sembra un tradimento. Parte per non tornare. Tre volte si offre per azioni
rischiose, tre volte è appagato, la terza volta è l'ultima. I suoi uomini lo
adorano. Con lui sarebbero andati dovunque: potenza insuperabile dell'esempio!
Anda con un manipolo d’alpini a raggiungere una vetta lontana per compiere una
ricognizione sulle posizioni del nemico. Assolge il suo compito felicemente e
rapidamente, ma prosegue oltre. Il suo programma è un altro. Incontra poco
prima, lungo il cammino, un camerata di Milano e gli affida l'incarico di
salutare per lui tutti gli amici di mistica e di comunicare loro che egli è
partito per un'impresa della quale si sarebbe dovuto parlare. Mantenne la
promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunge un'altra vetta, sulla quale alta
sfolgora la luce della gloria, e a bombe a mano assalì un presidio greco.
Circondato, lotta eroicamente, fino a quando una pallottola gli recise la
gola, gli spezza la vita, soffoca il suo canto.. Così cadde G. Egli è morto
come è vissuto, non per sè ma per gl’altri. È triste non potergli più vivere
accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito alia polla purissima della
sua fede. Ma egli chiuse la sua vita terrena in modo degno di luì, Arnaldo gli
insegna che il segreto della vita è tutto qui; saper vivere, saper morire, nel
modo più degno. G. vuole insegnare agl’italiani come deve vìvere e come sa
morire un italiano di Mussolini. La nostra scuola, o camerati di mistica, non
lo onora col pianto che egli non approva. Il nostro ciglio è asciutto anche se
il cuore in questo momento acce lera il ritmo dei suoi palpiti. Ma noi
sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre file, li suo spirito
inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad additarci la strada
che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento deve essere anche
il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il suo amore anche il
nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che Arnaldo, il suo ed il
nostro maestro, lo ha accolto nell'altra esistenza, accanto al suo figlio
prediletto e agli altri martiri delia nostra scuola, come il migliore dei suoi
discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di Jehova in ma
repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale ideale? Ce lo
di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Cato rie CATONE nel suo De Agri cultura
laddove scrive che i romani quando lodavano un uomo dabbene, lo chiamavano buon
agricoltore, buon colono. E con ciò si ritene di dare la maggiore lode a colui
che così veniva chiamato. E ciò per chè dalla classe degli agricoltori nascono
gli uomini più forti e i soldati più valorosi e coloro che si dedicano a tale
occupazione non concepiscono cattivi propositi. Queste parole, questo saggio
romano le scrive esattamente, nello stesso periodo in cui Roma combatte
l’ultima e definitiva partita con la semita Cartagine. Ma, a questo proposito,
ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine è delendam, perchè Roma s’è fissata
ili questo mito della distruzione totale della città di Annibaie? La risposta è
una sola. La lotta tra le due rivali infatti non è solo politica ed economica.
È ben di più. È lotta di civiltà, di sistema di vita. Roma rurale, Roma
gerarchica, Roma guerriera ed eroica combatte anche la Cartagine dei mercanti
e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma, anzi, logico, necessario
addirittura, che l’uomo che in senato termina i suoi discorsi col noto ceterum
censeo Carthaginem delendam esse è lo stesso che nel suo De Agri cultura pone
l’ideale romano nella gente nata dai campi, cresciuta in mezzo alle bellezze e
alle forze della terra, temprata nelle lotte aperte e solari della natura. Più
di un secolo dopo, un altro grande romano, che gli ebrei aveva conosciuto
perchè uno di 16 essi, Apollonio Molone, come ci dice il giudeo
Lazare, aveva avuto per maestro: CICERONE, tuo nerà anche lui contro la loro
mentalità. Il tenere testa alla turba giudaica che spesso schiamazza nelle
riunioni popolari e farlo nel l’interesse della Repubblica è prova di saldi
principi, dice infatti CICERONE rivolto a LELIO nella sua orazione Pro
Fiacco. E nel suo De Officiis si legge questo aneddoto che dice anche ai sordi
in quale dispregio avessero i romani i trafficanti di denaro. Ecco infatti
come Cicerone racconta che Catone risponde a chi lo interroga va sul miglior
modo di amministrare i propri beni. Bene pascere. E in quale altro modo? è
richiesto a Catone. Salis bene pascere, è la risposta. E poi? Arare, egli dice
ancora. £ che ne pensi del prestare ad usura?cioè del prestare denaro a
interesse. Risponde Catone. E tu che ne pensi dell’uccidere un uomo? Come,
quindi, i romani, con mentalità siffatta, avrebbero potuto, non dico
apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che con
l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti diplomatici tra
Roma e Gerusalemme, se è vero che seguono altre ambasciate, se è vero che GIULIO
(si veda) Cesare e OTTAVIANO (si veda) li tollerano, è altrettanto vero che gl’ebrei
anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambiario con disordini e con
tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di
tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per chè, come testimoniano
numerosi scrittori latini — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da
Tacito a Giovenale — gli Ebrei conside rano come profano tutto ciò che da noi
è consi derato sacro (cfr. Tacito, Hist.); per chè essi hanno un culto
particolare, leggi par ticolari, disprezzano le leggi romane (cfr. Giovenale,
Im. Lat.). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di
istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito: all’assedio
e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo do, due secoli dopo Cartagine,
anche sull’or goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e viene cosparso
il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo eletto e che per
invidia di capi e per in comprensione ingenerosa di popolo avevano tra dito e
condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del Profeta che smentirono
la profe zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La profezia del Golgota
ebbe in tal modo realizza zione per mano di Tito, di quel Tito, il cui arco,
forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli inconsciamente servì,
s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma, quasi a testimonia re
e ammonire le genti e il mondo intero della giustizia e della verità che
promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e alla Chiesa di
Cristo. Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico, il
mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica
della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina
liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giani: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della radice italica del
melodramma – filosofia torinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo
torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I
love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is
Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful:
if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to
emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the
‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no
‘music’ in Dionysus, only noise! Trust
an Italian to correct Nietzsche on that point!” -- Appartene ad una famiglia dell'alta borghesia
torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo
zio Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente
all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si
dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi fino alla laurea. Si interessa inoltre al
fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di
Così parla Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla
seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro
musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo
difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca,
della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante
gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e
note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani
anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista
che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo
positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di
altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte
aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per
tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la
cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la
naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa
manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito,
che egli da allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito
aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto
vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La
posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i
requisiti che la cerchia di G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa
tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo,
suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di
superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara
una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza
anche negli studi di letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi
il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo
etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana,
pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento
della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche.
Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il
ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini
acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari,
quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella
tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La
nascita della tragedia dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione
di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento
la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un
livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della
musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle
singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la
valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza
trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad
allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito),
si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti,
approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa
spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della
Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in
particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte
totalmente compiute. Un legame creativo e biografico molto più stretto
strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per
Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda
raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo
avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo
testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le
composizioni di Ghedini. G. stesso è librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck,
musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrive Esther per Pannain. Divenne
molto noto in tutta Italia per i suoi saggi di radicale confutazione di Croce.
Non è particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considera la teoria
dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività
anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce viene
sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri
seguaci mal tollerati dal nostro, attacca tale concezione con il bellicoso
pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non
vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che
addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce
al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato
italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto
particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della
“fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi
scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in
particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi
di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente
difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi
musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò,
pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca
continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della
musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila
figuratrice dell'invisibile, cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle
suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in
essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del
"critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosce: un
"critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso
cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei
quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a
lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati
"ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e
proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo
ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome. Altre saggi: “Per
l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista
Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto
di potere -- Il “Nerone” di Arrigo
Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con
lo pseudonimo di Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca,
in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel
Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi
Pagano: La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce),
Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in
morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In
memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale
Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia,
Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del
passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e
la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo
Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”,
Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli
interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di
Casagrande, Baldi, Betta, Cavallo,
Balbo, Fenoglio. GIANI, Romualdo. Nasce a Torino da Francesco e da
Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi. Laureatosi in
giurisprudenza non ancora ventenne, esercita l'avvocatura patrocinando
esclusivamente cause civili nel settore commerciale. Allo stesso tempo si
occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe
profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate
dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. È
tra i fondatori, con l'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana,
alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi
di pseudonimi. Esordì sul primo numero della rivista con la critica
"I Medici". Parole e musica di Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus.
italiana); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per
musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori
sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.
In Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi
sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono Pilo, Garoglio, Foulliée e
altri; G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o
"l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto
dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Pubblica il saggio
critico Il "Nerone"di Boito (Torino; cfr. Riv. mus. ital.), che gli
procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si
dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei Pensieri di
Leopardi (Torino; cfr. Riv. musicale italiana) G. oltre a ricostruire il
pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte
musicale. Per la Biblioteca di scienze moderne del Bocca, è stato
pubblicato Così parlò Zaratustra di Nietzsche, tradotto da Weisel; G.,
ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne appronta una nuova
versione d'accordo con Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca. Con lo pseudonimo
di Anticlo, da alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia
greca (Milano; Riv. musicale italiana). Durante il primo conflitto mondiale usce
L'amore nel Canzoniere di Petrarca (Torino; in appendice Nota sul suono e sul
ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita. G.
inoltre traduce per diletto dal latino, soprattutto TIBULLO (si veda) ed ORAZIO
(si veda), e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti
d'opera: Esther (Riv. musicale italiana), tragedia lirica in tre atti ispirata
dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a Pizzetti, e
L'Intrusa, un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di Maeterlinck,
musicato dapprima da Ghedini (non rappresentato), e poi da G. Pannain, che la
rappresenta a Genova. La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il
Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (Riv. musicale italiana), apparso
sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica
crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. G., con logica
inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo
idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la
originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che G.
ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.)
rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo, in cui Pannain
assume la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain,
furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme
con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata
un'opera mancata. Contemporaneamente G. pubblica il Sillabario di estetica
(Riv. musicale italiana), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota
crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora
altre contraddizioni nella teoria di Croce. La polemica si riaprì con lo scritto La favola dell'aridità con il
quale G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro
un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il
secolo; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece G., che
replica con Il parto settimello. G. scrive inoltre numerose recensioni e
articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui
collabora, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A.
Cannella. G. muore a Torino. Oltre agli saggi citati si ricordano:
Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di
N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana; Note marginali agl’Intermezzi
critici di Pizzetti; Note Leopardiane, in Campo Torino; Estetica nuova; Per una
biografia di Berlioz; Melodramma e dramma musicale, Adler, G., Gli spiriti
della musica nella tragedia greca, Riv. mus. ital., Ronga, In morte di G.,
ibid., Botto Micca, G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo,
Pastore, In memoria di G., Riv. musicale italiana, Vajro, G., Angelis, Diz. dei
musicisti, Roma; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie.
Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giannantoni:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia
perugiana – la scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugiano. Filosofo
umbro. Filosofo italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I love Giannantoni; for one,
he believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic,
Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly
‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the
‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my
philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di
Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto
laica della del divino e della religione (Religiosità, che Socrate, il quale
era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso
da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina
storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica
si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti.Questo
spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua opera
monumentale, Reliche di Socrate” (Socratis et Socraticorum reliquiæ). G. ha
sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un
filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita
longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza
dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione
interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti. Convinto dell'onestà intellettuale come
valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della
filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica
dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un
profilo ideale dello storico autentico della filosofia, che ha il dovere di
farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo
da lui studiato», ben sapendo che ciò non basta ancora se non è accompagnato da
una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme.
Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una
grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico
arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla
volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando
questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi.
Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più
scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di
Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno). Nella
sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica
l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la
conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il
co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: La metafisica
dei lizii (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici
(Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia
italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee,
Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova
Italia); Le forme classiche Torino: Loescher, Volpe Roma: Riuniti, Socrate.
Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari:
Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari:
Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone; Bari:
Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti Bari: Laterza, Profilo di
storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis
et Socraticorum Reliquiæ. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G., Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di
filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni;
Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati
della legislatura. Op.cit. Centrone, ed.
Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Centrone, Bibliopolis, Edizioni di
filosofia, ILIESI CNR La traduzione dei
Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla
sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due
articoli-intervista comparsi sul Corriere della Sera nei quali G., di formazione gramsciana veniva accusato
come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi
perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio
all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero
greco arcaico. Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o
abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia
filosofica, il nome di G. (Perugia – Roma) è legato anche al Centro di Studio
del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su
richiesta, appunto, di G.– in sostituzione del precedente Centro di Studio per
la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico
si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica come
una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la storia
della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della storiografia
filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo
fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la rete
scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il
Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’
Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la
direzione di Gregory. L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu
inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo
fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di
rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della
costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento
che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in
secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire
all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni,
progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne
coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303,
ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”,
stipulata e confermata dal Presidente del CNR. Per il testo della convenzione
si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti
normativi, si veda Liburdi Istituito presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università “La Sapienza” di MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI
Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico
fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di
colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico
profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione
di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre
principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia
della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in
certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e
metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso
scuole filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate
come minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole
ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto
storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico –
cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti,
parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto
a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si
inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia
antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente
innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi
nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche
(delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva
un percorso di studi a cui G. è particolarmente legato e che lo vide impegnato
sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione
di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa
a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi
scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle
iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che
esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo
specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di G., una
approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana
era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui
esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della rivista Elenchos
intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico
(“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero
antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione
critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno
teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di
una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che Gentile
vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero oggettivo,
astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la positività
dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più alti raggiunti
dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano
rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale astratto, con la
sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee trascendenti e la
scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica puramente strumentale
(la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio
individuale, o giudizio storico, nonché la capacità di superare l’astrattezza e
attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i
Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non avrebbero superato
il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a
distinguere etica ed economica, morale e diritto, come categorie dello spirito.
G., n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo qui i riferimenti da Croce. Ciò G.
ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici
che possiamo leggere in Gentile e in Gentile, sia da Gentile. G., rimanda a
Croce; si veda Croce e a Croce, si veda Croce ILIESI digitale Temi e strumenti
copertina di “Elenchos. Per l’altro verso, però, l’idealismo formulò una
critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla filologia classica – cioè
alla filologia classica moderna sviluppata in Germania, distintasi, tra le
altre cose, per una predilezione della cultura greca rispetto alla latina –,
colpevole sostanzialmente di non essere una disciplina veramente storica. La
filologia classica, malgrado i grandi risultati raggiunti nella costituzione dei
testi della letteratura antica, nella revisione della tradizione bizantina e
nelle nuove acquisizioni, si affermò come una procedura tecnica complessa e
molto raffinata ma priva della visione della storicità del documento, del suo
autore, dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo testimone. La
questione, che emerse inizialmente nel campo delle edizioni letterarie,6 non è
meno complessa per quelle filosofiche: i testi della filosofia antica
richiedono anche una comprensione dei contenuti teorici e pretendono di essere
inquadrati in sistemi di pensiero il cui senso trascende il ripristino del
testo, o quanto meno se ne distingue in data misura. Questo fu il nodo che si
dovette sciogliere perché si potesse cominciare a delineare una storia della
filosofia antica che includesse tanto la capacità di fornire edizioni
affidabili sotto il profilo testuale, quanto quella di storicizzare i
documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali
congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque
imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della filosofia antica, come
fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di Mondolfo
sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto umano nell’antichità,7 che
smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile oggettivismo della filosofia
antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito un’importante lezione e soprattutto ha
indicato con chiarezza un ostacolo da superare: 6 In particolare, la critica
crociana a cui Giannantoni fa riferimento
prese le mosse da edizioni di testi poetici e si volse contro la “mera
filologia” e la Kulturgeschichte che, nella pretesa di restituire il senso del
testo letterario, non apportavano comprensione né storica né concettuale. Cfr.
ad esempio la recensione alla monografia di Romagnoli su Aristofane e che si
può leggere in Croce. Dice G. al riguardo: il problema del rapporto tra
filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra filologia e filosofia sta
al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava
anche alle considerazioni gentiliane intorno al filologismo che affligge la
storia e ostacola la costituzione di una storia della filosofia, in Gentile Mondolfo.
Tracciando nel primo dei due volumi in onore di Croce per il suo compleanno,
quello che è tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia
antica nel cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in
considerazione né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti
del pensiero antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre
studi importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della
storia del pensiero) la ragione è da ricercare in una persistente separazione,
non solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso
idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica,
ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica
hanno infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra
quelli che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che
erano considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la
conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo filologici ad alcuni e
ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto
nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la scienza dell’antichità. Quando
G. scrive queste parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e
fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un
pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le
messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante,
quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi
storiografici italiani sulla filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di
delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione che
il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è
quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra
il percorso scientifico individuale di G. e lo spettro di interessi messi in
campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi.
Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni
socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione
dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia
filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di
Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio
deprezzamento delle tradizioni minori. Ed è appena necessario [G. Il riferimento a Calogero è da intendersi a
Calogero. Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di
Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo,
non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia
classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso
come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del
pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le
rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col
considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà
razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ricordare che la
figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito
dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni
ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e
storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni
di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori
dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto
paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo
tramite tradizione indiretta, si manifesta con studi sui Sofisti, su alcuni
discepoli di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene,
sulla tradizione scettica.Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola
Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (G.). In essa si
profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che
concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica:
l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la
possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica
aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu
composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica
classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le
dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come
precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi
determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto
concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che
filosofi sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole
socratiche minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è
molto noto, Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione
teorica diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul
modello del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide
la prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo,
appunto, contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia
della pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che
sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e
di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di
Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del
magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale
critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo
capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto
ciò a rimandare a G. e a Brancacci. Per limitarsi alle opere principali:
Untersteiner, con moltissime riedizioni; Pra; Humbert; Mannebach; Caizzi;
Patzer. Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea,
sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come
Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il
superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei
contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che
dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle
principali tendenze ellenistiche, il Giardino, il Portico, il Lizio post-
aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di
ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di
Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”,
organizzato dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui
direzione era stata affidata allo stesso G.), e i cui atti furono pubblicati
nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al
Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle
filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti
concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età
imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul
tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella
quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma
ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono
messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica; Sillitti; Caizzi; Ioppolo;
Brancacci; Donini; Parente; Repici ILIESI digitale Temi e strumenti
11 copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche,
traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico
peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo
filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da
questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico
che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze
della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di
comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale
non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione
indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di
apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione dell’editore,
ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali sono vissuti
tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione che sia, in
più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti filosofi,
comporta di andare oltre la natura estrinsecadella singola testimonianza (epoca
e ambiente del testimone, distanza cronologica dall’autore, genere letterario
della fonte, parametri stilistici, etc.) e di individuare alcune strutture di
pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza lungo, si facciano riconoscere
per caratteri salienti e durevoli e, al contempo, riflettano le condizioni
storiche che ne determinano la specificità (secondo i dettami dello
storicismo), diventando pagine e capitoli di una lunghissima storia culturale; si
configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è che a proposito di una raccolta
di testi che riguardano uno o più filosofi, emerge molto più nettamente che in
altri casi l’impossibilità di considerare la testimonianza antica come un dato
puramente oggettivo, e quindi la necessità di storicizzarla fino in fondo: in
realtà essa deve essere considerata come un capitolo di una vera e propria
storia della cultura durata all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di
volta in volta al suo tempo e alle tendenze storicamente determinate che la
produssero: parleremmo di un Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di
poter adoperare come ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione
Crisostomo, Luciano e Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole
apocrife che vanno sotto il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo
alla dossografia, è quello che presenta, almeno in apparenza, un maggiore
tecnicismo, perché volto alle problematiche ecdotiche ed interpretative
attinenti allo studio di [Sulla cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa
svolto nelle edizioni filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., a proposito
dell’opera di Vitelli, la cui importanza per la storia della filosofia antica è
legata specialmente alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di
Filopono. G. dottrine riportate da
testimoni spesso assai lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale,
dagli autori di cui si vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la
dossografia si è rivelata un capitolo importantissimo di quella millenaria
storia culturale che costituisce il terreno di indagine della storia della
filosofia antica. Non si potrebbe ancora oggi redigere una storia della
storiografia filosofica dell’antichità senza iniziare non solo dalle grandi raccolte
di testi e frammenti allestite dalla filologia ottocentesca e comparse nei
primi anni del XX secolo (le raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare
degli esempi), ma anche dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei
testimoni, i Doxographi Graeci di Hermann Diels; come è altrettanto vero che
non si può oggi fare a meno dei più recenti e sistematici contributi
all’analisi della dossografia filosofica, cioè gli Aëtiana di Mansfeld e Runia.
I più importanti progetti editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si
sono strettamente legati alla problematica della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei
testimoni, a lato di quelle condotte sui filosofi romani e sulle tradizioni
dottrinali. Allo studio di filosofi di grande notorietà e impatto della
tradizione culturale antica, ai quali si deve gran parte della conoscenza dei
filosofi precedenti -- come CICERONE e Plutarco -- si è venuta affiancando una
sempre maggiore familiarità con testimoni meno noti ma che hanno rivelato
un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico,
Galeno, Stobeo. L’indirizzo dossografico e quindi un segno della tempestività e
della sensibilità di G. nei rispetti di un terreno di ricerca che si venne
imponendo e che di fatto contribuì alla dimensione dello stesso Centro, la cui
attività progettuale e congressuale e in buona misura dedicata alla dossografia
di epoca tardo ellenistica ed IMPERIALE. Si può far rientrare in questo ultimo
indirizzo anche una linea di attività di studi la cui ragione storiografica e oggetto
di un vivacissimo [Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20
Mansfeld-Runia 1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena
necessario ricordare che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono
coniate da Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria
filologico-storiografica, cfr. Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld,
rist. in Mansfeld-Runia – cf. GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” –
Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY: H. P. GRICE” -- dibattito e che è nota come la
questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca,
in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’
“agrapha dogmata” consiste, molto in breve, nella convinzione che Platone
teorizza una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta
traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale
all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine
aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, G. invita Gaiser,
ordinario di filologia a Tübingen e uno
dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la
Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne
pubblicato nel primo numero della rivista Elenchos. Tuttavia, il punto che
merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte
di Platone e, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un pretesto per
riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più
precisamente per le cosiddette filosofie italiche pre-socratiche. Com’è noto,
Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle
precedenti tradizioni della filosofia, certamente il primo testimone che ne
offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle
proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la
visione storiografica. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire
Aristotele un “dossografo”, il ri-esame della sua testimonianza della filosofia
italicca precedente, anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea
d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie
ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro.
A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del
Centro di Studio della Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in
Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante
collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e
scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, e il – Robin,
una unità di ricerca del Gaiser ILIESI
digitale Temi e strumenti Centre de Recherches sur la Philosophie Antique,
Centre de la Recherche Scientifique, ma operante all’interno e sotto
l’egida Francesca Alesse G.
e il Centro di Studio del Pensiero Antico della Sorbonne (perciò
definito anche Unité Mixte de Recherche), in modo non troppo dissimile
dai Centri di Studio del CNR istituiti in regime di convenzione con i
vari atenei italiani. La collaborazione con questo Centro si focalizza
sulle tematiche socratiche e da luogo al ripetuto scambio di filosofi tra le
due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della
filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi pubblicati sotto
il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono G. e Narcy, per
Bibliopolis di Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui
G. guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti
rapporti scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO
PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da, Gigante. I motivi di
tale collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco
per la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e
votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti nel
sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio inestimabile
per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione socratica, del PORTICO. Ma sono
anche ragioni metodologiche a sancire un sodalizio importante, che si
concretizza in varie iniziative e pubblicazioni cui parteciparono
entrambi i Centri: i testi ercolanesi, com’è molto noto, costituiscono un
materiale che permette di arricchire enormemente la conoscenza di molte
importanti tradizioni filosofiche, a condizione di possedere un complesso
di conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono
trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate
contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi
due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro,
di alte competenze filologiche, contribuì in modo significativo a
costituire quella storiografia della filosofia antica che aveva, almeno
per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto
proprio. Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto
o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue
pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia
antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico,
oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite
l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una
descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una
iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un
indirizzo dell’organo direttivo di Elenchos, e dedicata alla problematica
storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista Elenchos è
emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio,
sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si
pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi
esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di
intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare
ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della
filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali
innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle
impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia
della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato
il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle
scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo
stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente
conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia
le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo
di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le
premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla
specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza
perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della
filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la
filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una
rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può
non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella
della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale
isolamento e a promuovere una organizzazione del lavoro diversa e meno
diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso,
la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia
avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma
anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è
o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla
lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo
la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di
operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che
l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e
l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi
come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della
filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La
serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica
sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del
filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica,
linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene
ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui.
Uscire dall’isolamento è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un
progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle
migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano state
date entro un certo arco di tempo. Sia nelle azioni istituzionali, che
investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le
relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca
individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni
ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza
un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con
Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione
di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia) e Ancora alla
filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del
quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi
partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta
collaborazione con il Centro stesso. copertina del volume di La scessi antica,
Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno”
(Pavia) ILIESI digitale Temi e strumenti G. G.-Vegetti
Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci Carattere sistematico ebbe anche la linea
d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il
congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Laerzio (Laerzio storico della
filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico
di ETA IMPERIALE Sesto Empirico (“Sesto
Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi
un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica
è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA
è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la
sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua
testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle
informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così,
mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione
della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico,
restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi
nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a
prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello
delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano
storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro
forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi di Gigante, permise di
allestire negli anni subito successivi un grande congresso sul tema “L’orto romano”
(Napoli-Anacapri, ILIESI digitale Temi e
strumenti 19 Figura copertina di Laerzio storico del pensiero
antico, Atti del congresso, “Elenchos”, Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti
pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos), un evento
di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono
cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed
epigrafisti, storici, e ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di
questo incontro e il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene
alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi
di lavoro anche individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti
tradizioni (le scuole socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e
pirroniana) che impegnano sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro
operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di
direttore del Centro ci e l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle
di GIRGENTI e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento
inedito della sua opera”, Agrigento. Il
primo raccolse un gruppo consistente di esperti della filosofia romana ed e un
raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare
l’area semantica – “linguistic botanising” -- dell’affezione (emozione,
sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della filosofia romana. Il
secondo convegno e un altro esempio del modo in cui G. intende inserire la vita
del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che
accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 G.-Gigante Atti Elenchos”.
Atti “Elenchos”. Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e
romano, Atti del congresso, cur. G. e Gigante, Napoli, Il concetto di
pathos nella cultura antica” (Taormina coperta del Papiro di Strasburgo
contenente una porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione
con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove
essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni
culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore
pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori
le istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli obiettivi di G. e
quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino collettore degli
interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono, di fatto,
collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della didattica e della
formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla realizzazione di
una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche abbia dedicato al
settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema Mediterraneo.
Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo grande
progetto e articolato in cinque linee di indagine, la prima delle
quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a scrivere
il saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e Sicilia,
apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle attività promosse
dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività, cui si è fatto
cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia [never “MAKRA
ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e della Sicilia, linea che
avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le metodologie sperimentate
nella più generale attività del Centro Il Progetto Strategico, svoltosi e
coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato nel 1994 dal Biagini ILIESI
digitale Temi e strumenti 21 Comitato Nazionale di Consulenza del CNR
per la filosofia, allo scopo di convogliare tutte le competenze
rappresentate ed espresse dalla rete scientifica costituita dai Centri di
Studio e dagli Istituti afferenti al Comitato stesso, in una grande area di
interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al fondo della decisione del Comitato e
la convinzione che il Mediterraneo costituisse non un’entità identitaria ma un
complesso sistema di realtà molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da
parte di settori disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità
strategica e di metodo ad una naturale e fisiologica molteplicità di
fenomeni culturali. Origine e incontri di culture nell’antichità”.
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in
questo progetto l’antico interesse di G. per la trasmissione delle
cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle quali per l’appunto
fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il
ruolo svolto in tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e
Aristotele. A questo più antico arco cronologico, si sarebbe poi unito il
costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.
Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro riuscì
a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla posizione
accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica si formò infatti raccogliendo i suoi allievi,
che si unirono ai ricercatori già in forza presso il precedente Centro di
Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale, inoltre,
non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor meno
alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di studio
collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di
rilevanza strategica. I maggiori convegni venneno quindi preceduti
da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di Diogene
Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo autore, anzi, si
svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di ricerca della Sapienza.
Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul
Mediterraneo antico, il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia
borse di studio. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il
Centro riuscì a dar vita. Due furono le iniziative editoriali,
strettamente coerenti con l’idea programmatica che ispirò la costituzione
del Centro: la serie “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia
antica, ed Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica. La scelta
del medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in
riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello
stesso G., che riteneva la discussione, il confronto -- elenchos, appunto
-- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi della cultura
filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito alla formazione
della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e secondo un’angolatura più
tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per
eccellenza dello studio del testo filosofico antico e della dottrina in
esso contenuta, come mostrano i primi autori di una nascente “storia
della filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto,
com’è assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE
– H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei
limiti del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o
promosse dal Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe
affidate alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di
Filosofia, di Franco. La collana e destinata in larga misura, benché
non esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali
dovevano concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti
per la ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a
mettere in primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae,
collegit, disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una
ricerca individuale, preparato da molte precedenti pubblicazioni, questa
edizione delle testimonianze relative a Socrate e alle scuole socratiche,
corredata dell’APPARATO CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione),
rappresenta la più importante espressione degli interessi tematici e dei
principi metodologici che caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti
considerare i volumi usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle
tradizioni socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle
edizioni di testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora poco
studiati, per apprezzare l’impatto delle ricerche di G. su tutto il
gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica. ricerca
del Centro. Naturalmente la collana non e preclusa ad critici
su tematiche di grande rilevanza nell’ambito del platonismo e
dell’aristotelismo e delle filosofie della tarda antichità, promuovendo
in tal modo uno scambio costante con la più ampia comunità
Quanto alla rivista, è forse opportuno rimandare direttamente
alla Presentazione che G. Figura 6: copertina del primo volume di G. G.,
Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa
fa molto ben intendere tanto la relazione essenziale tra il
programma del Centro e il periodico che di quel programma doveva essere
lo strumento di diffusione; quanto l’apertura al dibattito che la rivista
(e quindi il centro stesso) si prefigge; quanto, infine, la tempestività
di un’operazione culturale che il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha
la sagacia di sostenere: ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti
programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale
delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia
antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo
Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno
strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto
di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa
rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi
in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di
questi [ I titoli della collana ELENCO, corredati da schede riassuntive,
sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia
delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento
della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti Questa situazione è rimasta invariata, e cioè
fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa,
e diretta da Cambiano. studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più
ambizioso; se è vero, come è vero, che la storia della FILOSOFIA ROMANA è
un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della
storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che
tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una
fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle
proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il
compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi
diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue
pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono
venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e
delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi
di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si
caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità
dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella
Presentazione della rivista ELENCO e nel protocollo che lo istituiva, il Centro
di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G.
nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale
contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno,
Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi
classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté
disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli Elenchos.
Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del
Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro), Caporali,
Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per un biennio e poi responsabile della linea relativa al
pensiero antico nell’ILIESI, Ferraria, Brancacci (Roma Tor Vergata), Centrone
(Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università
degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo
con il Centro Ioppolo (Roma), Repici (Torino); Santese (Roma); Sillitti (Roma);
Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Roma) ed Aronadio
(Roma Tor Vergata). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro
formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro,
lavorando fattivamente alla redazione di ELENCO o adoperandosi in attività
editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare
Piccione (Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università
di Roma), Fronterotta (Roma), ILIESI digitale Temi e strumenti] consentirono di
diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo
dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi
scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né
dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e
Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia
delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito
volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini
confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero
filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea
greco-latina, ebraica e araba” e successivamente Il pensiero filosofico nel
mondo antico: testi e studi. L’impegno principale della linea fu
rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le
tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del
Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,
connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre
garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana Elenchos e
la rivista Elenchos. Da questa permanenza delle ricerche sul pensiero
antico nella nuova realtà istituzionale si deve ricavare non solo e non
tanto l’attualità di una disciplina (che si è comunque stabilizzata nel
mondo accademico con la benefica diffusione di cattedre e centri di
insegnamento, in Italia e fuori), quanto piuttosto l’attualità di un
metodo di lavoro. Questo metodo di lavoro, che potrebbe descriversi, un
po’ aulicamente, come un nuovo diatribein socratico, cioè come la
capacità di discutere in modo competente con i “morti” prima che con i
vivi, rispecchia abbastanza bene la disposizione intellettuale e
comportamentale di G.i, uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei,
quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.] Gioè, Nucci,
Santoro, Gambetti e Cunsolo (a
quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le
tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia
antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Gambetti). 41 A questa linea,
diretta da Celluprica, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro,
a cui si aggiunge Chiodi, specialista in storia delle religioni del mondo
antico e del Vicino Oriente. Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae,
Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and Metaphysics. Fourth Symposium
Hellenisticum, Napoli, Bibliopolis. Biagini (cur.), Il Sistema Mediterraneo.
Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali, Roma, CNR Edizioni.
Brancacci, Le orazioni diogeniane di Dione Crisostomo, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Brancacci, Il
Socrate di Guido Calogero, “Giornale Critico della Filosofia Italiana”,
Calogero, Gli studi italiani sulla filosofia antica, in Antoni, Mattioli (cur.),
Vita intellettuale italiana. Scritti in onore di Croce per il suo ottantesimo
anniversario, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Cambiano, Il problema
dell'esistenza di una scuola Megarica, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e
filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino Celluprica, L'argomento dominatore di
Diodoro Crono e il concetto di possibile di Crisippo, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino Croce, Logica
come scienza del concetto puro, Bari, Laterza. Croce, Teoria e storia della
storiografia, Bari, Laterza. Croce, Filosofia della pratica: economica ed
etica, Bari, Laterza. Croce, Filosofia della pratica: economica ed etica, a
cura di M. Tarantino. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce,
Napoli, Bibliopolis. Croce, Logica come scienza del concetto puro, a cura di C.
Farnetti. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli,
Bibliopolis. Croce, Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica
italiana, a cura di M. Mancini. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto
Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura
di E. Massimilla, Tagliaferri. Edizione Nazionale delle Opere di Croce, Napoli,
Bibliopolis. Pra, Lo Scetticismo greco, Milano, F.lli Bocca, rist. Laterza
Caizzi, Antisthenis Fragmenta, Milano, Cisalpina. Caizzi, La tradizione
antistenico-cinica in Epitteto, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e
filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Diels, Doxographi Graeci, Berlin,
Reimer. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann. Donini,
Stoici e Megarici nel De fato di Alessandro di Afrodisia, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Gaiser, La
teoria dei principi in Platone, “Elenchos”. Gentile, Sistema di logica come
teoria del conoscere, Pisa, Spoerri. Gentile, La riforma della dialettica
hegeliana, Firenze, Sansoni. ILIESI digitale Temi e strumenti Alesse G. G. e il
Centro di Studio del Pensiero Antico Gentile, Storia della Filosofia (dalle
origini a Platone), in Bellezza (cur.), Gentile. Opere complete, a cura della
Fondazione Gentile per gli studi filosofici, Firenze, Sansoni. G., I CIRENAICI.
Raccolta delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze,
Sansoni. Scuole socratiche MINORI e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino. La
storiografia idealistica, ELENCO. Lo scetticismo antico, Atti del convegno
organizzato dal Centro di Studio del Pensiero Antico del CNR Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Tavola rotonda. La storiografia filosofica sul pensiero antico,
“Elenchos”. In ricordo di Calogero, Elenchos. G. e Gigante, L’ORTO romano, Atti
del Congresso Internazionale tenutosi a Napoli, Elenchos, Napoli, Bibliopolis.
G. e Narcy (cur.), Lezioni socratiche Elenchos Napoli, Bibliopolis. G. e Vegetti,
La scienza ellenistica. Atti del Convegno di studio tenuto a Pavia Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Humbert, Socrate et les petits Socratiques, Paris, PUF. Ioppolo,
Aristone di Chio, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia
ellenistica, Bologna, il Mulino, Parente, La valutazione dell’epistemologia dei
peripatetici, e in particolare di Statone di Lampsaco, nell’ambito della valutazione
della filosofia ellenistica, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia
ellenistica, Bologna, il Mulino, Liburdi, Materiali per una storia dell’ILIESI,
ILIESI. Relazioni Tecniche, ILIESI-CNR. Mannebach, Aristippi et Cyrenaicorum
Fragmenta, Leiden- Köln, Brill. Mansfeld, Doxographical Studies.
Quellenforschung, Tabular Presentation and Other Varieties of Comparativism, in
Burkert, Gemelli Marciano, E. Matelli, Orelli, Fragmentsammlungen
philosophischer Texte der Antike – Le raccolte dei frammenti di filosofi
antichi, Göttingen, Vandenhoeck et Ruprecht, rist. in Mansfeld-Runia,
Mansfeld Mansfeld, Deconstructing
Doxography, Philologus, rist. in Mansfeld-Runia Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual
Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The Sources. Mansfeld, Runia, Aëtiana.
The Method and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The
Compendium. Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual Context of a
Doxographer, Leiden, Brill: Studies in the Doxographical Traditions of Ancient
Philosophy. Manuli, Vegetti (cur.), Le opere psicologiche Socratis et
Socraticorum Reliquiae, collegit, disposuit apparatibus notisque
instruxit G., Elenchos Napoli, Bibliopolis. di Galeno. Colloquio galenico Pavia, Napoli, Bibliopolis. ILIESI
dTemi e strumenti Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico Mondolfo, L’infinito nel pensiero dei Greci, Firenze, Le Monnier.
Mondolfo, La comprensione del soggetto umano nell’antichità classica, Firenze,
La Nuova Italia. Patzer,
Antisthenes der Sokratiker. Das literarische Werk und die Philosophie,
dargestellt am Katalogen der Schriften, PhD dissertation, Heidelberg
University. Repici, Lo sviluppo delle dottrine etiche
nel Peripato, in G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica,
Bologna, il Mulino. Sillitti, Alcune considerazioni sull’aporia del sorite, in
G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino.
Untersteiner, I Sofisti, Torino, Einaudi. Usener, Epicurea, Lipsiae, Teubner.
Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vegetti Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis Vegetti = Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La Repubblica,
traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis,
e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura
di Mario e commento a cura di Mario e commento cur. Vegetti, Napoli,
Bibliopolis. a BS’l RATTO <Ia 1 Bollettino (ti Filologia
Classica II 6xi|iòvtov di Soorate. Como già nei tempi antichi, cosi
anello più tardi il 3 r.|iàviov di Socrate lui sempre suscitato il più
vivo interesso ed è rimasto lino ai giorni nostri oggetto di studio. Ma,
per quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata
ago- volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi
successori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una
spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause
dèlia tragica fine del grande pensatore. Le fonti, alle quali
dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono, come si sa', gli scritti
di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo subito di fronte ad una
questione molto discussa c cioè; quale dei due autori sia rispetto alla
dottrina socratica il più attendibile. Poiché i rapporti di Platono o di
Senofonte si contraddicono riguardo allo manifestazioni del Satpdviov di
Socrato in un modo assai pronunciato, è chiaro che dalla decisione alla
quale arriviamo rispetto a questo divario, deliba infine dipendere la
soluzione del problema. 1 > m,to che nel diciottesimo secolo si fece
strada il parere del leib- niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti
di Senofonte sarebbero per lo studio del socratismo i più veritieri,
parere che ha avuto fino ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in
linea generalo anche Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però,
Schleiermacher ed altri insistettero che por la valutazione della
dottrina socratica do vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone.
Di fronte a queste due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio
possiamo chiamare intermediario. Senza entraro in particolari, si può
dire che, sebbene gli atti attorno a questo divario non siano ancora
chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo
di Platone una comprensione del socratismo non è possibile. Ma con ciò il
nostro quesito non è ancora risolto. Secondo Platone il Sxigóvwv
agisce in modo esclusivamente inibitorio, esso non è mai incitativo.
Secondo Senofonte, però, funziona nei due modi. Si è, è vero, creduto che
la contraddizione tra lo due versioni fosse soltanto apparente, perchè,
se il «aigóviov non inibiva Socrate nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è
detto, ad un'atrcrmaziono nel senso Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp
s. Il Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, Zm.i.ER, Die Philosophie hen li,
1, t* '.al., (4) Cfr. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine
positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità venga con una talo
interpretazione soltanto celata, ma non eliminata, perchè in realtà le
differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè
diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad es. : non andare via ! quosto
equivale praticamente al comando positivo: rosta ! Ma con ciò la cosa non
è fluita. So io non distolgo qualcheduno, che devo guidaro, da una
azione, che egli è in procinto di compiere, do, è vero, con ciò il mio
consentimento al suo proposito, ma la sua azione scaturì da motivi sorti
nella sua coscienza e prosegue secondo leggi psichiche. E so, in un altro
caso, lo freno con un semplice: no! senza però dargli altri ordini
positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con
ciò non gli indico ancora quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo
agiro dipende di nuovo unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi
che sorgono in lui stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo
in senso positivo ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione,
i cui motivi sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo
strumento del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal
lato etico, la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado
in questo caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono
altri esempi: in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a
poco al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini
positivi dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui
deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in
seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sempre la
sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato, per
l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la
differenza non si lascia eliminare. Per quanto si corchi di celarla, essa
riappare sempre. Mi sembra quindi più savio di riconoscerla. Ma ciò
facondo ammettiamo anche che una dello due versioni non può essere esatta
e cho si deve decidere, quale delle due si abbia da riconoscere come
vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, l’Apologia viene
oggi quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo
conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il
Convito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o
specialmente in base agli studi di Schonkl, sono arrivato alla conclusione cho
per il nostro problema soltanto i passi Meni. o Conv. sono con tutta
sicurezza da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da
parte in questa breve nota i passi: Mem. Dalle opero cho vanno sotto
il nome di Platone e che trattano del Saipóviov escludiamo il Teagete,
perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ [lli Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K.
Akad. d. Wiss . i zu Wien] orilo. L’autenticità
dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo accettiamo con
riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane, malgrado lo
obiezioni di Ueborwog. Dogli altri scritti platonici limino per noi
valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza
entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino
cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in cui
fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in- i
rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu- .dcigi c ciò è per noi importante fa salirò l’origine di quest opcra ad
un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del illusolo,
l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta a
Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento appartiene al suo
primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risultato giunse
Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quantunque si debba
riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per quanto sarebbe
arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci costringono nondimeno ragioni
psicologiche di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si
connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià .di Platone si tratti di una
fedele riproduzione di quanto Socrate realmente disse davanti al tribunale di
Atene, o se si tratti soltanto di una riproduzione piu o meno fedele del
contenuto dei suoi discorsi. La prima opinione è quella di
Schleiermacher, della seconda è Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià
un'opera d'arte, in cui lo spirito socratico o quello di Platone si
trovano armonicamente fusi insieme. Ambedue le opinioni hanno avuto i
loro fautori. Considerazioni psicologiche mi hanno condotto nelle duo questioni
accennato a con' inzioni che risultano da quanto seguo. Come si vuol
spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre esercitata sui più grandi
spiriti della razza umana, o come si potrebbo comprendere la elevazione
morale clic ognuno devo provare in sè, quando vi si abbandona senza
pregiudizio, so non si ammette che essa suscita nel lettore la
convinzione di sentire la parola viva di Socrate stesso? Quale valore
potrebbo avere questo scritto, se si volesse considerarlo unicamente come una
creazione d'arto, come una descrizione dell’ideale platonico? In questo
caso dovremmo bensì inchinarci davanti all’autore quale artista, ma in fondo
avremmo cosi un Socrate come Platono avrebbo desiderato che egli fosso,
ma non come real¬ mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità
incorporata davanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli
aveva conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest
uomo un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di
idealizzarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ? P.
Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen, F.
Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons
sàmmtl. Werke, Per quali ragioni poi l
'Apologia non fu scritta in forma di dialogo? Nessuna introduzione,
nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso tra i singoli discorsi,
nessun accenno a circostanze secondarie interrompono l'azione in questo
meraviglioso documento. Non dovremo convenire che soltanto forti motivi
psicologici indussero l’autore ad esporre cosi lo sviluppo del processo?
Non si dimentichi neppure quanto diversamente Socrate parla della morte
ne\\'Apologia e nel Fedone, la qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta
molto più tardi. Nell’yfpo/ofna è in verità Socrate stesso che parla,
mentre nel Fedone è Platone che motto, entro la cornice della realtà
storica, la propria convinzione in bocca al suo amato maestro. Vi
sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone
ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬
tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino che
faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di Sileno
clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo clic
Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come nessun
altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente per la
filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i particolari esteriori
che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza i quali non
possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente il timbro e la
cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo periodare, i suoi movimenti
mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi fattori clic, secondo la
leggo della fusione psichica, cooperano a lar sorgere in noi l’immagine
di una persona a noi nota c che, tutti quanti, esercitano la loro
influenza dormito la riproduzione di un suo discorso. È inoltro
cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce tanto più fedele,
quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬ giore era l’interesse
che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può immaginano
un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente? Figuriamoci
lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle labbra del suo
maestro e che appercepisce attivamente ogni parola da lui pronunciata;
ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano di emozioni che lo
travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la speranza ed il timore, tra
l'ammirazione della grandezza sovrumana che si palesa e lo schianto per
la certezza della perdita irrimediabile, e si dovrà convenire elio
l’organismo umano forse non sopporterebbe tali stati d’animo una seconda
volta. Sappiamo che emozioni come queste non passano facilmente, ma (die
tornano sempre in nuovo ondato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane
senza espres¬ sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si
comportano diver¬ samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni
ed ogni artista le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita.
Ora, anche Platone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile
emo¬ zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro
per eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva
ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò
clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por
dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede
luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che
aveva visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono
ed agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia. Cosi, io penso, nacque
VApologia platonica. Essa non è un rapporto stonogralico, perché è certo
olle anche questa riproduzione doveva su¬ bire quei cambiamenti che,
secondo i risultati della trattazione sperimentale. hanno luogo in tutti i
processi riproduttivi. Perciò non ogni parola ebbe il suo posto
originario, un pensiero avrà avuto un'espres¬ sione un po' più breve, un
altro una l'orma un po' più lunga, eco., ma quanto al resto il documento
è. come per il contenuto, cosi puro pol¬ la forma tanto fedele, quanto,
data la mente Idi un Platone, era umanamente possibile. Con ciò ho esposto II
mio punto di vista rispetto allo due questioni sovracconnatc. No risulta
che dobbiamo fondarci nella nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in
quest'opera intorno al &tipóviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni
contenuti negli altri scritti di Platone non contraddicono in alcun modo
i dati precisi dell’Apologià. Per quanto concerno lo opero di
Senofonte che ci interessano, bisogna ricordare che esse furono scritte
parecchi anni dopo la morte di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai
informati intorno al fenomeno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare
l'innocenza del grande filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c
della condanna, Senofouto metto, convinto, beninteso, di scrivere la
verità, il Saipòvcov di Socrate in relazione colla fedo popolare nello
divinazioni. Ciò non può sorprendere, quando si pensa all'abuso che il popolo
di qucH'epoea, già invaso dallo scetticismo, fece dei divinatori, c
quando si tiene presente elio Souofontc non ora filosofo, ma uomo
politico. Per questa ragione non dove recar meraviglia, se Senofonte non
aveva compreso ciò che era nuovo ed essenziale nella concezione socratica
del fenomeno. In Meni. è detto clic il divino (vi Saipòviov) dava segni
a Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali
messaggi a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò
che dovevano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio
seguivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non
li seguivano, dovevano poi pentirsene. Meni. contiene il noto
colloquio con Aristodemo. Socrate domanda ad Aristodemo, clic cosa gli
dei dovessero l'aro per convincerlo elio si curavano anche di lui. A ciò
Aristodemo, alludendo al S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente,
che dovevano mandargli dei consiglieri per fargli sapere quello elio
doveva faro e non fare, corno Socrate pretendeva che fosse il caso
spo. In Cono. Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o
non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il rimprovero,
come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio. È evidente che, se non
avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il ixigiviov di Socrate sarebbe
rimasto per sompro un fenomeno inesplicabile. D'altra parte però le
comunicazioni di Senofonte sono di grande valore, in (pianto che fanno
vedere il modo in cui in Atene si giudi¬ cava questo fonomono, ivi assai
conosciuto. Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel
suo primo discorso (Apoi.), che egli non si era occupato di altari
politici, perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r.
-/.od Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza (è-/.
r.x'.Sif) vi era stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni
volta che gli sopravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non
l’aveva mai spinto a qualsiasi azione. Nel discorso Socrate
spiega, come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel
passato sovento fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu
érti opi- xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli
era soprav¬ venuto durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo
parlare, mentre durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice
ancoraché la morte non poteva essere un male per lui, perché nel caso
contrario il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente
trattenuto nel parlare. Alla fine di questo discoi-so ripeto che il
morire doveva ora essere per lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno
(vo oij- pstov) l'avrebbe avvertito. Gli altri scritti di, Platone,
dei quali dobbiamo tener conto, non possono naturalmente iù avere il valore
storico, elio abbiamo attribuito all’Apologià, ma siccome i rispettivi
passi, corno fu già detto, non sono menomamente in contraddizione con
quolli dell'Apologia, essi hanno certamente un fondamento storico. In
ogni modo illustrano, come Platone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga
inteso. Nell'Atò/drtde I l’autore si servo del fenomeno per iniziare
il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti
anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura non umana,
ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene aveva
impedito. ììo\ l’Eutifrone questo domanda a Socrate, su che cosa
Meleto abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli
rimprovera di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E
Eutifrono gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla
sempre del suo Sxtpóviov. Noi Teetelo Socrate parla della sua
maieutica e dico che molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non
comprendendo la sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che,
se tali giovinetti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov)
gli impede di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che
questi facevano di nuovo progressi. Nell 'Entidemo, un dialogo, in
cui Platone fa vedere tutto il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica,
Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico
clic il giorno innanzi ora stato seduto noi liceo od in procinto di
andarsene, quando gli ora sopravvenuto il solito sogno demonico (tò
siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}. Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei
duo, cioè Kutidemo e Dionisodoro orano entrati. Noi Fedro Platone ha già
oltrepassato di molto il socialismo puro e semplice, come risulta dalla
spiegazione elio dà dell’anima o dello ideo. Dopo una meravigliosa
descrizione del paesaggio vediamo corno Socrato o Fodro si coricano sulla
sponda dell’Ilisso nell'omhra di un albero. Socrato ticno il discorso sul
bel ragazzo che aveva avuto molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse
su questo tema, ma So¬ crate gli risponde che, in procinto di
attravorsare il fiume, gli era sopravvenuto il solito segno demonico (tò
ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl, gli era parso di sentire una
corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v àzoùoai), elio lo impediva
di andare via prima di essersi purificato da un peccato commesso contro
la divinità. Dice ancora che egli deve essere veramente un divinatore, ma
soltanto per ciò elio riguarda lui stesso, e continuando rileva dm la sua
divinazione rassomiglia all'arte di quelli che leggono c scrivono male,
perché anche questi possono servirsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò
egli passa man mano agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. Platone
si serve in quest'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in
cui so n'è servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il
fenomeno per rendere possibili i discorsi che seguono. Nella
Repubblica – cf. Grice -- Socrate dice elio IL SEGNO DEMONICO (tò
ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o
quasi a nessuno. So analizziamo più da vicino il problema,
vediamo che esso racchiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno
dopo l'altro. S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia
potuto chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si
connette l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente
inteso per questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la
psicologia empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito
e, fino ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia
dei popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia
individuale. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista
della psicologia dei popoli. Il concetto del demone è sorto da primitive vedute
attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto il quale,
sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte
trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,
questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-
talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere impersonale,
mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il panteismo.
Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono
non si perdo dopo la formazione degli dei pagani o elio corto qualità ili
questi ultimi vengono attribuite anche ai demoni. Per ciò accado olio lu
coscienza popolare non distinguo sempre nettamente tra dei e demoni.
Nella Grecia il concetto del demone – cf. Grice e Ackrill --, sotto
l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modificazione,
in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno tra gli
dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione
deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (come pure il primo discorso
di Socrate nell’Apologià platonica. Dal punto di vista della psicologia
dei popoli si può diro elio col «aipóviov di Socrate il concetto del
demono torni nell'anima umana, nella quale, per motivi psicologici e per
processi di oggettivazione, è nato, vi ritorna filosoficamente
trasformato ed eticamente purificato. E caratteristico per tutto questo
sviluppo elio Socrate nel Convito di Senofonte chiama l'anima umana un
santuario dell’Eros. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? Prendo le mosse
da un punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente
dal punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli
nella sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello stato, o
so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto annuisco a quest’ultima
interpretazione, l’accusato corea di far vedere l'assurdità
dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qualche cosa di
demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili demoni. E
quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni sono figli di doi,
la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può eredorè all’esistenza di tigli
dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò anche a quella degli dei
stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano colpevole, erano in
piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate
dice ancora ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità,
abbiamo in mano la chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui
ancora notare che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone,
secondo l'osservaziono di Schlcierinacher, nel senso di un aggettivo.
Dico questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno
speciale spirito custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in
conformità alla fedo popolare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o
uomini e vengono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il
demonico in lui è generato dal divino. Per questo lo chiama anche tó
3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo
qualcosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli
crede puro impostogli dalla divinità (Teeteto). Come a baso di tutte
Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li,
ni; Clemente der VSt/cerpsi/chol.,(21 Op. cd. Cfr. puro B. E.
Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo] lo azioni di Socrate sta il bisogno etico
della cortezza(1), cosi egli è assolutamente certo che in casi, in cui la
propria ragione lo lascia in asso, una volontà divina lo trattiene in
ogni circostanza, piccola o grande, dolla vita, quando è in pericolo di
non agire giustamente, cioè di non compiere la sua missione. In questa
cortezza, che forma una parte della sua fedo religiosa, sta la
giustificazione otica dolla ironia, colla quale egli lancia l'accusa
indietro sull’avversario. Ma oltre ad essere qualche cosa di divino, il
demonico in Socrate è poi anche qualche cosa di umano, perché si produce
nell’anima umana o diventa sua proprietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il
demonico stava veramente, come il demone della mitologia, in mezzo tra il
divino e l'umano. Si aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che
prima di lui questo dono non era stato posseduto da nessun altro mortale.
Ecco ciò che vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione,
di fronte a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone,
questo fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si
esprime sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi.). Tali parole
può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire, ma quando
escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una profonda
convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a tini etici.
Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di scolparsi in quanto
al non credere negli dei dello Stato, ma solo in quanto al sospetto di
avere delle convinzioni ateistiche (Apoi.). Por quanto concorno la
teologia socratica, elio al pari della sua etica doveva rimanere ili
carattere pratico, anziché sistematico, è importante ricordare che
Socrate trovò nella sua naz.iono il politeismo ellenico, corno Cristo trovò
nella sua il monoteismo giudaico. Socrate era, come ogni essere umauo, un
tiglio del suo tempo. Educato in (inolia religione ogli si riteneva, come
Cristo, esteriormente legato allo prescrizioni religioso in vigore. Come
prendeva sul serio la massima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava
l'altra di ubbidire alle leggi. L’ultima parola del filosofo morente era
la raccomandazione di non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio
(Fedone), e poco prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il
calice fatale, se ora permesso di farne una libazione. In questo modo
Socrate non raggiunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad
essa, perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale
sintesi della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve
ubbidire più che non agli uomini (Apoi.) c di cui egli si credeva un
apostolo (Apoi.). Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitudine, ma il
suo Dio è l’intelletto che governa l’universo e per il quale non trova
neppure un nome, un divino onnisciente ed onnipresente, che [LABRIOLA (si
veda) Socrate, cur. CROCE (si veda)] si cura ilei Leno di tutti gli nomini
(Sonof., Meni.). Tutte le sue pratiche religioso sono in fondo rivolto n
quest'unico Dio senza nomo, clic si rivela agli uomini in molti modi. Con
una espressione di ledo in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia
platonica(l). Tenendosi presente questo concetto della divinità, si
comprendo la sua incrollabile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della
medesima. Il l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in
Senofonte accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio
Sorrato accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio
altro forme divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo
simile come, per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il
singolare del divino. Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari.
Ricordo soltanto elio troviamo precedenti in Senofane e che audio
Anassagora aveva già riconosciuto un unico principio immateriale che
tutto ordina secondo lini. Che Socrate conoscr l'opera di
Anassagora, apprendiamo direttamente da Platone (Fedone). Non ho
bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono senz’altro respinte le
opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano Socrate come un ammalato
di mente, come pure il parere di Dii l’rel, che mette il Sxqidvtov di
Socrate in relazione collo proprio teorie mistiche. // 8r.pó/tov di Sacrale dal
punto di vista detta psicologia empirica moderna. So teniamo conto di
tutti i fatti che Platone ci presenta, è evidente che nel «atpivtov di
Socrate si tratti ili un processo che appartiene al campo delle inibizioni
psichiche. Naturalmente non può trattarsi qui di una inibizione nel senso
della dottrina intcllcttuulitstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è
inibitorio, non appartiene all'atto al contenuto oggettivabile della
coscienza umana, ma si trova piuttosto dalla parte puramente soggettiva
di essa, cioè da quella dei sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo
cercare di risolvere il problema. L’inibizione procede da un sentimento
totale, che si forma in base ad un numero più o meno grande di intensivi
sentimenti parziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito
della coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è
inteso, che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo
ripetutamento affermato, di processi allucinatoci. Nel fatto che
l’inibizione parte da un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto
oggettivo, sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione
precisa [Cfr. pure (I. /Cuccanti) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie
ni. 1 C. Du Prel, Ine Mastiti d. alt. (ìrieclien. E caratteristico che Du Prel
l'accia uso ilei Teapele, benché riconosca che questo non sia un'opera di
Platone. Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a
xùxcàsv ày.ofkJx: „ non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con
molta chiarezza anche lo Cuccante. Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di
Socrate avesse tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi
racconti platonici, ciò che non è assolutamente il caso. ] intorno
al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬ mente il
demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla, ad es.,
di una voce, come oggi si usa il termine voce della coscienza. Questo
sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi attivamente
appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di un motivo
imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo costringe ad abbandonare
un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione viene da Socrate creduta
un segno divino, si comprendo elio in lui non possono mai nascere dei
dubbi, come accadrebbe con altro persone. Non vi è mai in un tal caso una
lotta tra motivi in lui, mai alcun conflitto tra doveri. Appena egli
s'accorge dell’inibizione, è assolutamente sicuro di aver avuto trasmesso un
divino No,.. Cosi la riflessione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i principi
fondamentali, che lo guidano nella sua intera attività filosòfica ed
etica. In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico clic si
verifica in ogni coscienza normale più o meno frequentemente, benché
molte persone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di Mill ci
viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto
intensamente. A me molte persone hanno dotto di aver notato in sè tali
inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli aveva
osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciullezza, non è
escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso una certa
disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo si
abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno era
una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli era
corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa
convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo
autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione teologica, si
comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio che governa ogni
vita psichica, cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto esercizio
doveva renderlo capaco di riconoscere l'inibizione di ogni grado appena sorta
e di afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la coscienziosità colla
quale cercò continuamente di compiere la sua missione, e colla quale mirava
sempre ai medesimi lini, doveva renderlo straordinariamente sensibile o
facilitare la formazione di tali sentimenti. Cosi si spiega il frequente
ripetersi del fenomeno in tutto lo sue azioni. Io credo clic, con quanto
fu esposto, siano trovati i punti principali «he debbono guidarci nella
spiegazione psicologica del Sacgóviov di Socrate. Tornerò sull’argomento
in un lavoro più esteso, ed in questo sarà tenuto conto delle opinioni di
altri autori più di quanto mi è stato possibile di fare in questa breve
comunicazione. Zuccante, Kiesow. SOCRATE
ET l’Amour Grec. SOCRATE ET l’amour grec (Socrates
sanctus nai Sepaatrjs) D1SSERTATlON. GESNER. BONNEAU, PARIS, LISEUX, Rue
Bonaparte, jegg^arean Gesner, 1’auteurde JgE cette curieuse dissertation,
est I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie- cle, dont les
travaux ne sont pas tres- connus en France. On lui doit d’excel-
lentes etudes sur les Scriptores rei rusticce, une Chrestomathie de CICERONE,
une Chrestomathie Grecque, des Lexiques, une traduction Latine des ceuvres de
Lucien, des editions de PLINIO (si veda), de Claudien, de Quintilien,
de Rutilius Lupus et autres anciens a rheteurs, toutcs enrichies de
notes savantes et de longs prolegomenes; plus, un nombre formidable de
dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula diversi argumenti
(Breslau), parmi lesquelles son Socrates sanctus pce der asta tire
forcement l’oeil par la bizarrerie de son titre. Cette bizarrerie a
valu au livre sa notoriete, et en meme temps lui a fait grand tort.
Beaucoup de gens, entre autres Voltaire, malheureusement pour
1’erudit Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis ont construit sur
cette minee donnee un ouvrage tout entier de leur fantaisie, a
1’extreme desavantage du pauvre Gesner. D’autres ont cru Voltaire sur
parole et sont arrives au meme resultat. C’est Larcher,
THelleniste, qui le pre- mier chez nous mit en lumiere cet opus-
cule, dans son Supplemenl et THistoire universelle de labbe Bapn,
en le citant parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de Socrate ; il
se contenta d’en faire mention, sans meme traduire ni expliquer le
titre, ne s’imaginant pas qu’on put s’y meprendre, et qu’un homme tel que
Gesner fut suppose capable d’une indecente apologie. Voltaire, dont le vif
et alerte esprit se plaisait a effleurer les surfaces, sans presque
jamais approfondir, ne connaissait sans doute pas Gesner et certainement
n’avait pas lu son Socrates. Le Supplement a l’Histoire universelle
n’etait d 7 ailleurs qu une refutation tres-savante, quoique un peu
lourde, de son Introduction a 1'Essai sur les maeurs, publiee d^abord
a part et sous le pseudonyme de 1’abbe Bazin; quelques critiques
justes qu’on y rencontre le mirent de mauvaise humeur, et, battu
sur divers points d’erudition, il chercha une occasion de dauber
Larcher, a cote du sujet, selon son habitude. Il crut la trouver
dans le livre etrange qu’il supposa, d’aprcs le titre cite qu’il
interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait donner comme faisant autorite
de si mons-trueuses elucubrations (le monstrueux n’etait que dans ce
qu’il imaginait), et tantot sous le pseudonyme d’Orbilius, tantot
sous celui de M Ilc Bazin ( Defense de mon oncle, un de ses pamphlets),
il ne cessa de poursuivre la-dessus de ses bro- cards son
inoflensif adversaire. Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme
reproduit son assertion plus que hasardee dans le plus populaire de ses
ouvrages; on la trouve en note de 1’article Amour socratique, du
Dictionnaire philosophique. Un ecrivain moderne, nomme Larcher,
repetiteur de college, dans un libelle rempli d’erreurs en tout genre et
de la critique la plus grossiere, ose citer je ne sais quel bouquin dans
lequel on appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So- crate saint b !
Il n’a pas ete suivi dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. Larcher avait
trop beau jeu pour ne pas repliquer. II le fit dans sa Reponse . la
Defense de mon oncle, opuscule rare, reimprime a la suite du
Supplement a 1’Histoire universelle. Vous m’attribuez, dit-il a Voltaire,
votre infame et infidele traduction du titre d’une dissertation de feu M.
Gesnera Je n’ai point traduit le titre de cette dissertation; il ne
pouvait se prendre que dans un sens tres-honnete, mais il etait
reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui en donner un infame. Cela ne
vous suffisait-il pas? Fallait-il encore me 1’imputer? Pour qui avait suivi
toutes les phases de la discussion, Larcher et Gesner etaient
innocentes; Voltaire restait convaincu d’avoir note dfinfamie un livre
sans le connaitre. Mais ces temps sont loin; personne aujourd’hui ne lit
Larcher pour son plaisir, et le Dictionnaire philoso- phique est
dans toutes les mains. Voila pourquoi on croit generalement que Gesner a
developpe le plus scabreux des paradoxes et fait une apologie en regie
d’un vice honteux. Nous pourrions citer au moins un de ceux qui, se
fiant a Voltaire, ont propage 1’erreur mise par lui en circulation, et
affirme que cette dissertation n’est qu’un tissu d’invectives ; mais
nous ne voulons faire de la peine a personne. Gesner, ecrivain des
plus doctes et plus estime encore pour son caractere que pour son
savoir, professeur de Belles-Lettres a Goettingue, puis bibliothecaire,
ne pouvait ecrire qu’une defense de Socrate, une refutation des calomnies
dont on a obscurci sa memoire, et que la langue a attachees a son
nora d’une maniere en quelque sorte indelebile par les mots de
socratisme et d 'amour socratique. Inquiet et tourmente, comme il
1’assure, de voir peser sur IL PADRE DELLA FILOSOFIA de si indignes
soup9ons, il a voulu remonter aux sources, compulser tout le
dossier et reviser le proces sur les pieces memes. II l'a fait
d’une facon non moins inge- nieuse que savante dans cette dissertation
lue a 1’Academie de Goettingue, recueillie dans les Memoires de cette
academie, dans les Opuscula diversi argumenti de 1’auteur et tiree
a part (Utrecht). C’est cette
derniere edition que nous avons suivie pour la reimprimer et la traduire,
ce qui n’avait jamais ete fait en Francais, ni probablement dans
aucune autre langue. Gesner a-t-il reussi a disculper entierement
Socrate? Nous l’esperons; mais nous etions de son avis avant d 7 avoir lu
son livre, et, ccmme per- sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez
ceux qui pensent comme lui qu’un auteur, si bon dialecticien qu’il
soit, porte la conviction. Les esprits mal faits qui incli- nent a
1’opinion contraire, et ceux-la seront toujours difficiles a
persuader, persisteront peut-etre a trouver singulier que Platon,
interprete de Socrate, ait si souvent parle de 1’amour; qu’il ait
consacre trois de ses plus beaux dialogues, le Lysis, le Phedre et le
Banquet, a cette brulante passion; qu’il l’ait tant de fois soumise
aux analyses les plus delicates, expliquee par les conceptions les
plus sublimes, les mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un
moment, dans l’admirable episode de Diotime du Banquet, il ne soit
question de la femme. Alcide Bonneau. UTRECHT es hommes illustres,
ceux qui sont regardes comme tels non-seulement par la posterite,
mais par leurs contemporains, ceux surtout dont le plus grand eclat
consiste precisement dans leur vertu, sont souvent accuses, sur les
plus legers indices, de quelques travers, sinon de defauts plus
graves; et c’est la un travers iros illustres, et non a posteris solis
sed coaevis tales habitos, eos maxime quorum praecipua laus
virtutis est, vitii alicujus nedum criminis gravioris suspicari levibus
argumentis, vitium id quidem non leve : reos agere et condemnare crimen
et piaculum; in Christiano homine, in homine, in barbaro. Quanta
istorum ignominia, tanta est gloria piorum virornm qui versantur in
probrosis his l’editeur qui Iui-meme ne manque pas de
gravite. Se faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est une
chose criminelle, un sacrilege, qu’il s’agisse d’un Chretien, ou
seulement d’un homme, meme d’un paien. L’ignominie de ceux-la
rehausse d’autant la gloire des hommes pieux qui s’appli- quent a
repousser ces odieuses attaques. On peut le dire de Gesner, ce savant
illustre, du petit nombre de ceux qui depas- sant par la science tous
leurs contemporains, font encore plus estimer en eux les qualites du
coeur que celles de 1’esprit; c’est un honneur pour lui d’avoir pris
en main la cause de Socrate, et un plus grand peut-etre pour
Socrate d’avoir dte le Client de Gesner. II nous a paru bon de
recueillir dans une edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus
coercendis. Gesnero, illustri nomini, e numero paucorum illorum qui cum
eruditione coaevos possint excellere, animi dotibus quam ingenii
celebrari malunt, incertum an honori sit caussam Socratis egisse, magis
quam Socrati Gesnerum habuisse patronum. Visum fuit, memoriam brevis operae sed auro
contra noti carae nova editione colere. Docuit vir præclarus, scripto quidem, quam inani
co- natu virtus summi hominis sollicitata fuerit ab obscuris
obtrectatoribus, qui non solent deesse virtuti. Docuit autem exemplo,
pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas trop cher paye au
poids de For. Son excellent auteur nous y montre, la plume a la
main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage par ces obscurs
detracteurs qui ne man- quent jamais a lavertu; il nous fait voir
aussi, par son exemple, qu’il appartient a tout honnete homme de defendre
la cause des gens de bien. II nous enseigne surtout avec quel soin
et avec quelle erudition il est besoin d’ecrire dans de telles
matieres, ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un examen
scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail, plus utile qu’il
ne le semblerait au premier abord; et si, par ignorance ou par trop
forte credulite, tu as rejetd loin de toi les ecrits Socratiques,
reprends-les maintenant et garde-les avec amour. Il nous sera per-bonos
omnes bonorum virorum caussam: tum et illud, in primis, ubi ejus modi res
agitur, accu- rate et docte scribendum esse, nec arripi quid piam absque
subtili examine, et benevolo illo, debere. Fruere, Lector, labore
utiliori quam decet: et si imprudentius forte abjeceris Socraticas
chartas nimium credulus, abi continuo et in sinu eas reconde. Integrum
erit culpare qui Socratem citant, tibi convenisset laudari Davidem et
Salomonem: sed patiamur, bonum et pauperem Socratem, placide subridentem,
sereno vultu, xvi l’editeur au lecteur mis a notre tour de
mettre en accusation ceux qui font un crime a Socrate de ce qu'ils
trouveraient admirable s’il s’agissait de David et de Salomon; mais
laissons le bon et pauvre Philosophe s’interposer doucement avec son
placide sourire, son tranquille visage, et s’ecrier: Moi aussi, Vertu, je
t’ai honoree, Deesse! Quant a ceux qui blameront cette apologie, non
comme excessive, grands dieux, car que pourrait-on dire de trop sur
Socrate? mais comme inconvenante et deplacee, qirils prennent garde de tomber
dans Todieux de cette populace Portugaise tou- jours prete, sinon a
lapider ou a bruler, du moins a exorciser a force de signes de
croix traces d’un doigt tremblant, le teme- raire qui oserait croire que
la Bienheu- reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere,
Et ego te, Virtus! colui Deam, Quibus fastidium movent
elogia, justa Di boni! quid enim de Socrate dici nimium potest? sed
quce magis opportune forsatn collocari potuis- sent, videant ne in odium
id evadat, quale est plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut
la- pides, saltim tremente digito averruncas cruces describentis,
si quis auserit credere, B. Virginem Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour
Grec MATTHI. GESNERI V. C. Socrates SANCTUS T/E D
E T{A STA t nihil tam alte vel natura, vel virtus, vel fortuna
constituit, in quo non vel deprehendatur aliquid labis et vitii, vel
vires suas experiatur maledica invidia, cujus vocibus boni etiam viri
abripi se ad suspicandum certe non nunquam patiuntur: ita mirum non
est, neque excelsam Socratis gloriam 1 n’est rien de place si haut par
la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses
inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce d’atteindre, cette
medisante envie dont les clameurs poussent 1’homme de bien lui-meme
a soupconner le mal: c’est pourquoi nous nc devons point
nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de Anyti Melitique
criminibus, quibus oppressus est vir innocens, et, si forte vani- tatis
aut nugarum et cavillationum postulatus, et Scurrae nomine traductus est,
in prcesenti non erimus soliciti. Unum crimen est, quod, varie jactatum,
et plus semel non sine specie in scenam reductum scepe me solicitum
habuit, Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc
enim si verum sit, actum est profecto de virtute viri, indignus est
cujus cum honore nomen usurpetur. Postulatum
esse hujus turpitudinis, negari non potest. Mittimus, quæ de
adolescentia viri ad libidinem proclivi Factum id esse a Zenone Epicureo,
prodidit CICERONE de Nat. Deor., ubi vid. Davis. etonner que lagloire
si haute de Socrate ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-
tefois nous ne voulons ni parier ici des accusations d’Anytus et de
Melitus sous lesquelles succomba son innocence, ni nous inquieter
de savoir si ce grand homine a ete incrimine de vanite, de mensonge
et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une seule accusation m’a
souvent tourmente; c’est celle qui, sans cesse discutee, a toujours
ete remise en avant, non sans apparence de justesse: Socrate etait-il
adonne d l’impur et detestable amour des jeanes gargons? Si cela
est vrai, c’en est fait desormais de la vertu de cet homme ; c’est un
indigne, lui dont on ne prononce le nom qu’avec respect. Qu’il ait
ete accuse de cette turpitude, le fait est certain. Negligeons ce que
Porphyre, d’apres Theodoret [De la Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire
de CICERONE {De Natura Deorum; consuit, la-dessus Davies. Porphyrius
apud Theodoretum [Græcar, affect. cur. ser. 4 pr.) memorat: nam
ibidem additur, illum c-ojo^ xat oioayrj xouxou? a^aviaat xou; xurcous,
impressas veluti notas libidinum studio ac doctrina abolevisse. Neque
valde huc faciunt, quce ex eodem Porphyrio, qui Aristoxeno auctore usus
sit, idem Theodoretus (Serm.) memorat, par- tim quod ad adolescendam
primam viri, de qua nobis sermo non est, pertinent, partim quod Archelaus
Anaxagorae discipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius fuit. Ejusdem
generis est, quod Cyrillus (contra Julia.) ex eodem Porphyrio (in
Historia Philosopha, libro olim deperdito) refert, Socratem -po; xr (
v twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac, aoizov os p.rj
-poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat? •/.oivat; y prjaQat fj-ovat?.
Fuisse ad res venereas aliquantum vehementem, sed injuriam abfuisse,
qui vel uxoribus solis, vel (1) Conf. quae in fra de mali equi
Socratici notis dicentur. § 18. et l’amour grec 7
cure des prejuges des Grecs, Disc. iv), raconte de sa jeunesse,
laquelle aurait ete encline au libertinage ; 1’auteur ajoute, en
effet, au meme endroit qu’il parvint a effacer en lui, par Venergie
de sa volonte \ jusqu’aux traces meme des passions (i). Ne nous
occupons pas non plus de ce que le meme Theodoret (Discours xn)
emprunte encore a Por- phyre, qui lui-meme suivait Aristoxene,
c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la premiere jeunesse de Socrate
(elle n’est pas en cause), et a ce disciple d’Anaxa- goras,
Archelaus, qui aurait ete, en tout bien tout honneur, un ami
fervent (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme cate- gorie
appartient ce que S. Cyrille (Contre Jidien) a extrait de YHistoire
philosophi que de Porphyre, livre aujour- d’hui perdu : a savoir que
Socrate et ait violemment pousse aux choscs de iamour, mais qiiil
s’abstint de faire tort a Voyez ce que l’on dit plus bas des marques
du mauvais cheval Socratique. quam diu caelebs esset communibus uteretur.
Nondum quidquam ex Porphyrio vel Aristoxeno, quem ille auctorem sequitur,
allatum est de horribili scelere, Pcederastia : quod praetermissu-
rus non erat, qui satis hic in Philosophice parentem iniquus est, Cyrillus.
Decla- mat igitur praeter rem Socrates alter (Hist. Eccles.), cum
ita de Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio- xaxoa xoiv
<piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu- psv £v ifi
YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai xoiauxa Tuept auxou
ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi
Swxpaxrjv ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a Porphyrio
Socratem, talia de viro scripta, quae neque accusatores ipsius Anytus
et Melitus dicere in ipsum ausi sint. Accipimus, quod negat objectam in
judicio turpitudinem talem Socrati, quo nempe argumento constet,
famam viri hac tum macula caruisse. Sed nec a Porphyrio plura aut
turpiora his memorata, quae jam vidimus, satis illud argumento est,
quod iniqui Socratis glorice homines, personne, en riusant jamais que de
ses propres femmes ou, durant son celibat, des femmes qui
apparticnnent a tout le monde. Nulle part, soit chez Porphyre, soit
chez Aristoxene que Porphyre co-piait, il n'est rien allegue de cet
horrible crime : Pederastie ! II ne Paurait point passe sous
silence, ce Cyrille si injuste envers lepore de la Philosophie.
IPautre Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, avance donc une insigne
faussete lors-qu’il dit : « Porphyre a compose la vie de Socrate, le
coryphee des philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui; et
il nous a transmis, d Vaide de ces documents, des choses si monstrueuses
que les accusateurs de Socrate, Anytus et Melitus, n’ont pas meme ose'
les lui reprocher. Retenons seulement de ceci Taveu qu’on n’en fit pas un
grief a Socrate, lors du jugement public, ce qui ressort de la
phrase elle-meme, et que cette tache fut alors epargneeT a sa renommee.
Mais Porphyre n’a pas rapporte autre chose ou des choses plus
monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura protulere, quibus
fuerant haud dubie causam suam, si res facultatem
dedisset, ornaturi. Nempe nec Aristophanes, qui corruptce ad
impietatem et calumniandi artem juventutis accusat in Nubibus Socratem. hujus
criminis ullam mentionem facit, non omissurus profecto, si illud
adhaerescere posse putasset. Nec forte quisquam est ex omni antiquitate
remotiore illa, et temporibus Philosophi propinqua, serius et severus accusator
hujus criminis. Lusit inter posteriores, pro petulanti illo ingenio
suo, Lucianus (de CEco, ita enim potius dicendus erat ille libellus
quam de Domo) cum accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas,
virgines, cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent illos de puerorum
amore sermones. Atqui illi sermones, uti mox videbimus. que nous
venons de dire ; nous en trou- vons la preuve en ce que S. Cyrille
et Theodoret, deux detracteurs de Socrate, n’en ont souffle mot, et
qu’ils n’auraient pas manque d’en orner leurs diatribes si la chose
eut ete possible. En second lieu, Aristophane qui, dans ses Nuees,
represente Socrate comme un corrupteur de la jeunesse, comme
faisant de 1’imposture un enseignement, n’a pas davantage mentionne cette
accusation; l’aurait-il omise, si elle eut pu s’appliquer a Thomme qu’il
bafouait? II n’y a enfin personne, si l’on prend des temoins dans
cette antiquite reculee ou dans les temps voisins du Philosophe,
qui se presente comme un accusateur serieux et digne de foi. Plus tard
seulement Lucien, entraine par sa verve moqueuse (dans 1’opuscule que
l’on traduit ordinairement De Domo et qu’il vaudrait mieux traduire De
CEco.), reprocha a Socrate de n’avoir pas rougi d ; invoquer les Muses,
des reprehendant vehementer amorem: respicit enim ad Phædrum Platonis de
quo dedita opera dicendum erit. Qua ? in Amoribus in Socraticum amorem
Platonicum- que vel a Luciano, vel quicunque auctor est, jocose et
per calumniam dicuntur, ea ad ipsum illum locum diluisse me
arbitror. Sed veterum criminationes Maximus Tyrius (Dissertat.) refutavit,
ut non videatur opus esse aliquid addi : cum praesertim tanto magis
et agnoscant innocentiam Socratis, et illud crimen ab illo depel-
lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis homines, quo magis virum ex
aequalium ac paullo juniorum de illo scriptis ut cognoscere
possent, cuique contigit. Quin ne consultum quidem judicarem
veterem litem resuscitare, nisi viderem, nuper vierges, pour leur
faire dcouter ces fa- mcnx discours sur Vamour des jeunes gargons.
Mais ces discours, comme nous allons le voir, blament fortement
cette sorte d’amour; Lucien fait, en effet, allusion au Phedre de
Platon dont nous aurons a nous occuper. Ce que Fon dit
debamourSocratiqueet Platonique dans les Amonrs, que ces dialogues soient
de Lucien ou de tout autre, n’est qu’une plaisanterie ou une
mechancete, comme je\ l’ai demontre en temps et lieu. Maxime de Tyr (
Dissertations) a d’ailleurs refute toutes les ac- cusations portees a ce
sujet par les an- ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter. Le meilleur
argument, c’est que ceux qui ont le mieux reconnu Tinnocence de
Socrate et repousse loin de lui avec le plus de force 1’accusation
infame, sont les hommes de la generation qui a imme- [Dans ses notes
sur Lucien, dont il a fait une edition et une traduction Latine
tres-estimees. fuisse, et esse hodie
homines eruditos, et bonos viros, qui pravam de patre illo
Philosophia? opinionem conceperint, quorum non pono nomina, quia mihi non
cum ullo homine certamen esse volo, sed cum opinione ea, quam
praeterquam quod falsam puto, etiam virtuti noxiam, præter
consilium quidem bonorum virorum, humanitati certe adversam esse,
arbitror. Qui autem fieri potuit, ut homines neque indocti neque
maligni in sinistram falsamque de Socrate opinionem inciderint? ut
apologia vir sanctus opus habeat? Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav
nos- tram, quae imis velut medullis fixa, et superbiæ illius
nostrae nixa radicibus. diatement suivi la sienne. Or, ce sont les
contemporains et leurs successeurs immediats qui peuvent le mieux juger
un homme, en pleine connaissance de tout ce qu’on aecrit sur lui.
Je n’aurais donc pas songe a ressusciter cette vieille querelle si je
n’avais vu naguere, et tout recemment encore, des hommes instruits,
vertueux, concevoir la plus mauvaise opinion de ce pere de la
Philosophie; je ne dirai pas leurs noms, ne voulant me prendre
corps a corps avec personne, mais seulement avec une opinion que je
considere comme sans fondement, nuisible a la vertu, et, contrairemcnt
a 1’avis de ces gens de bien, defavorable a 1’humanite tout
entiere. Comment donc a-t-il pu se faire que des personnages qui ne
p£chent ni par ignorance ni par mechancete, aient concu de Socrate
une opinion si facheuse et si fausse? Pourquoi cet homme veritablement
saint a-t-il besoin d’etre defendu? En dehors de cette maligni te inter
ultima vitia eradicatur, ceterasque ex genere morum rationes,
conveniunt hic alia qucedam, quce facilem errandi occasionem
praebent. Magna pars doctorum etiam hominum legendi laborem fugit,
legendi uno tenore, continuata attentione, totos veterum scriptorum
libros; sed satis habet decerpere qucedam, in quce primum incurrere
oculi, aut, quod deterius frequentius que idem, repetere ab aliis
excerpta, et e media nonnunquam sermonum velut compage evulsa, de
quorum sic sententia non facile sit judicare. Platonis libri, unde
pleraque Socratica peti hodie necesse est, multos arcent ob Atticum
illud sermonis genus, breve et acutum, floridum praeterea,
ac semipoeticum, ipsamque disserendi ratio- nem subtiliorem scepe,
quam ut mediocri attentione, non acutissimi homines illam statim
adsequantur. Nec licet, ut adhuc res est, ad interpretes confugere ;
qui quoties vel nihil dicant, vel alia omnia dicant, vix sine
invidia licet commemo- rare. Et tamen nisi attente legas, et
to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de nos moelles, qui se
fortifie de notre orgueil et qui ne s’arrache qidavec les derniers defauts,
outre encore diverses raisons tirees de nos mceurs, il a fallu pour cela
un concours de circonstances propres a faciliter 1’erreur. La plupart des
gens instruits eux-memes evitent la fa- tigue de lire dans leur entier,
avec une attention soutenue, tous les livres ecrits par les Anciens
; on a plus tot fait de choisir quelques passages, les premiers qui
tombent sous les yeux, ou, ce qui est bien pire, de s'en tenir aux
passages choisis par d’autres, a des fragments detaches de 1’ensemble et
dont il est par consequent difficile d’apprecier le sens veritable.
C’est ce qui arrive des livres de Platon, d’ou il nous faut
aujourd’hui tirer toutc la doctrine Socratique; iis embarrassent bon
nornbre de lecteurs par leur style trop Attique, raffine et
aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique, par ces controverses si
subtiles souvent que, si 1’attention se relache, 1’esprit le tos
legas dialogos, et qua scripti sunt lingua legas, non est ut de
sententia illorum, h. e. quam tribuat Plato sen- tentiam Socrati,
recte judices. Quare mirum non est, si multi refugiant lectionem ita
laboriosam; et illis veluti spinis a familiari tractatione eorum
librorum deterreantur. Denique si quid etiam tribuatur a
Platone Socrati, tamen, si illud Xenophontis narrationi repugnet, non
dubitaverim equidem, fidem potius adhibere Grylli filio, memor illius,
quod narrat Laertius, Socratem, cum Lysin Platonis legisset,
dixisse, to; tzoXKx uoj plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.
Et il serait inutile, dans le cas present, de recourir aux annotateurs ;
ou iis ne disent rien, ou iis disent tout autre chose que ce qu’il
faudrait ; on ne peut s’empecher de leur en faire un re- proche.
Cependant, amoins de lire avec un soin scrupuleux tous les dialogues
de Platon et de les iire dans la langue meme ou iis ont ete ecrits,
il n’est pas possible de juger saineinent de leur doctrine,
c’est-a-dire de la doctrine que Platon attribue a Socrate. Il n’est donc
pas sur- prenant que nombre de gens reculent devant une si
laborieuse lecture et soient rebutes, comme par des epines, du
commerce familier de ces livres. Enfin il faut dire que si Platon
at- tribue a Socrate une maniere de voir contredite par la
narration de Xenophon, il n’y a pas a hesiter: c’est a Xenophon
qu’il faut se fier, si l’on se souvient du mot rapporte par Diogene de
Laerte. Socrate, apres avoir lu le Lysis xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; Quam multa
de me mentitur adolescens! Tanto magis hoc memorabile est, quod
ille Dialogus ita scriptus est, ut non modo tanquam persona colloquens
inducatur Socrates, sed tanquam, qui ipsum illum dialogum
scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc breviter indicamus, amatorium
quidem esse hunc libellum, sed nihil habere pudendum ne Platoni quidem.
Argumen- tum hoc est : Queritur Lysidis amator Hippothales, ab illo
se non amari ; Socrates ostendit, si velit amari, non adu- landum esse
puero, sic enim futurum superbiorem; sed illi potius ostendendum, quibus
rebus indigeat, et quam parum in ipso sit boni. Deinde dela- bitur
in disputationem, Quis proprie amicus sit vocandus? et, In quo
insit natura amicitia’ ? plenam illam quidem cavillationum, sed
praeclararum etiam de amicitia sententiarum. Ceterum tri- Sic nempe
ipse solebat Socrates in potestatem quasi suam redigere adolescentulos,
de quo que- rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie: Comme
ce jenne homme invente souvent ce qu’il me fait dire! » Le mot est
d’autant plus remarquable que, dans ce dialogue, So- crate
estpresente non comme un simple interlocuteur, mais comme s’il
avait ecrit lui-meme tout le morceau. Pendant quenous y sommes, disons
brievement que cetouvrage roule sur 1’amour, mais qu’il n’y a rien dont
put rougir Platon lui-meme. Voici le sujet: Hip- pothales, qui aime
Lysis, se plaint de ne pas en etre aime; Socrate lui demontre que
s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il fiatte ce jeune homme, ce qui le
rendrait plus orgueilleux encore; il vaut mieux qu’il lui
represente tout ce qui lui manque et le peu de bonnes qualites quhl
possede. On discute ensuite ces questions: Qui est digne d’etre appele un
veritable ami? et, Quelle est la nature de Tamitie? Controverse pleine, il
est vrai, C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc
d’assujettir les jeunes gens et son autorite, et nous voyons Alcibiade
s’en plaindre. bui a Platone
colloquentibus, de quibus ipsi non cogitarint, vetus observatio
est, de qua vid. Athenaeus
Deipnos.. Qiio dialogorum more se excusat, etiam VARRONE in ACCADEMI
dedicatione Tullius CICERONE. Neque ausim Platonis ipsius, junioris
praesertim, patrocinium suscipere de mollioribus versiculis, quos Apulejus
servavit (Apol.) et Laertius Diogenes: de quibus modo in neutram partem
disputo, causamque Platonis a Socratis causa hac in re sejungo. Quæcunque
vero cum aliqua specie testimonia Platonis contra Socratem proferuntur,
ea cum ex Phædro, nescio quam bona semper fide, corrupte quidem et
perverse non nunquam, depromi videam, propter ea pretium opera putavi, de
futilites, mais aussi de remarquables definitions dekamitie. C ; est uneobservation qui a ete
faite depuis longtemps, que Platon attribue a ses interlocuteurs
des idees qu’ils n’ont jamais eues: on peut consulter la-dessus Athenee
(Deipnosophistes). CICERONE, qui avait le meme defaut, s’en excuse sur le
genre meme du dialogue, dans son envoi des ACCADEMIA a VARRONE. Je
n’ose pas non plus defendre Platon du reproche d’avoir commis,
surtout dans sa jeunesse, des vers badins tels que ceux que nous
ont conserves Apulee (dans son Apologie) et Diogene de Laerte;
vieux ou jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe completement
sa cause de celle de Socrate. Entre les divers temoignages fournis
par lui, ceux que Ton peut alleguer contre Socrate avec quelque apparence
de justesse sont tires du Phedre; pas toujours bien scrupuleusement et
quelque-fois a 1’aide d’alterations ou de contre-] non semel totum illum
dialogum attento animo perlegere, et uno quidem tenore, et lingua
sua, ne quid eorum me falleret, qua saepe fraudi esse viris doctis,
modo dicebam. Ac spero non ingratum fore aliis, quorum rationes non
ferunt tam longam solicitamque operam, si hic possint brevi studio
cognoscere velut œconomiam illius libri et argumentum, inde- que de toto
consilio vel Platonis vel Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne abuti videamur illa, quam
modo propo- suimus observatione, Socratis hic veram sententiam bona
fide a Platone proponi. Ac primo illud meminerimus, Socratem hic
introduci senem, tantum non decrepitum, quem facile juvenis Phædrus
viribus superet. Jam fingitur Phædrus audisse Lysiam disputantem, magis
obsequendum gratifican- dumque esse non amanti, quam amanti: camque
orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a lire attentivement ce
dialogue, et plutot deux fois qu’une, dans son entier, et dans le
Grec, afin d’echapper a ces chances d’erreur dont j’ai parle plus haut et qui
font trebucher les plus doctes. II sera peut-etre interessant, je
1’espere, pour ceux dont 1’esprit repugnerai-t a une besogne si
longue et si difficile, de connaitre sans grande etude le sujet et pour
ainsi dire 1’economie de ce livre, et de pouvoir apprecier toute la
theorie de Platon ou de Socrate. Nous admettrons, pour ne pas
abuser de la reserve faite par nous plus haut, que la doctrine de Socrate
a ete ici exposee de bonne foi par Platon. Rappelons d’abord que
Socrate y est presente comme un vieillard, non pas tout a fait
tombe en decrepitude, mais qu’un jeune homme, comme Phe- dre, peut
maitriser aisement. Phedre raconte qu’il a entendu Lysias discourir sur
cette question : Un jeune homme doit-il avoir plus de facilite et de com-[Reprehendit
hanc Lysiae orationem, cante quidem et multa cum ironia Socrates, et
meliora se audisse ait, quae dicere illum amabilis- sime cogit
Phcedrus. Incipit hic a Musa- rum invocatione quam calumniatur, ut modo
dicebamus, Lucianus : cum sit nihil in ea oratione non virginum auribus
dignissimum. Orditur a definitione Amoris quem vocat cupiditatem,
quae incitate feratur ad voluptatem
pulchritudinis, et inde, quam mala res, quam noxia sit, ostendit et
claudit hexametro: A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv
1 r’ 1 ! |Sf/aTra’.
Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator. Bene ista, et Musis faventibus.
Sed subito, At Amor tamen Deus est, inquit, et palinodiam parat,
quae incipit (p. 3 43 . plaisance pour celui qui ne 1’aime
pasque pour celui qui Faime ardemment ? II lit ensuite ce discours
a Socrate. Celui-ci, avec beaucoup de finesse et ddronie,
trouve a blamer dans la composition oratoire de Lysias et pretend qu'il a
entendu dire la-dessus autrefois de bien plus belles choses; Phedre le
conjure de les lui rapporter. Socrate debute alors par cette
invocation aux Muses que Lucien a calomniee, comme nous le disions plus
haut, car il n’y a rien dans tout le discours qui ne soit parfaitement
digne des oreilles chastes. II commence par la definition de
1’amour, qu’il appelle un desir violemment entraine vers le plaisir
que promet la beaute; il enumere en- suite les ecarts auxquels il peut
pousser et conclut parcet hexametre: Comme le loup aivic Vagneau,
ainsi Vamoureux [cherit le jeune garcon. Voila qui est bien,
grace aux Muses. Mais aussitot : L’ Amonr est cependant un Dieu,
s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une ab eo, uti dicat, non ideo
amorem damnandum fuisse, quod sit furor ; esse enim furorem etiam
bonum aliquem: ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem esse a
verbo [i-aiveaOai dictam, velut quan- dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis
furoris plura genera enarrat, in his etiam ponit amorem, cumque magnæ felicitatis
causa tum amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur ostendere. Ad
eam demonstrationem sumit primo hanc propositionem. Omnem animam esse
immortalem, quam inde probat (quam bene vel male, nunc non dis- putamus)
quod principium motus sui in se habeat. Deinde similem ait animam
nostram, etiam antequam ea in corpus ve- niat, bigae alatae cum suo
auriga. Alterum hujus
biga 3 equum bonum ponit et tractabilem, malum alterum ac
refractarium. Sic coelestia spatia
ingrediuntur ista cum suo auriga bigce, et palinodic en declarant tout
d’abord que 1’amour n'est pas condamnable en soi, qu’il estun
delire, et que dans tout delire il y a quelque chose de bon; que
fxavnxr], la divination, derive du mot (jiodveaGai, comme qui
dirait [xavtxr), c’est-a-dire folle. II compte diverses especes de
delires parmi lesquelles il place 1’amour, et il s’efforce de montrer que
c’est un present divin fait a bhomme pour le plus grand bonheur de
celu*i qui aime et de celui qui est aime. Sa demonstration s’appuie
sur cette proposition premiere: Tonte dme est immortelle, dont il tire
la preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre affaire) de ce qu’elle a
en soi le principe de son mouvement. Il compare ensuite notre
ame, avant qu’elle ne vienne habiter un corps, a un attelage aile,
compose de deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est
excellent et docile ; 1’autre, d’un mauvais naturel et retif.
L’attelage parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum aliquem
secutce (Socratis anima Jovem) ea spatia permeant. In hoc volatu et
illa equorum dissimilium dissensione, alia; quidem anima; retinent
alas, et ad sublimia feruntur, contemplantur que ea etiam, qua; extra supremum
coeli orbem sunt. Alia;, qua; partim in altum elata; viderunt plura,
partim ab equo illo refractario impe- dita; ac retractae, pauciora;
ruptisque per illam equorum in diversa tendentium luctam pennis
atque amissis, cadunt, et in corpora humana veniunt. Harum, pro
gradu cognitionis illius et inspectionis rerum coelestium diverso,
novem classes constituit. Qua plurimum veritatis et rerum cœlestium vidit
anima, ea inseritur semini, e quo nascatur aliquis sapientias,
pulchri, doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV] son cochcr, et
s’elance a la suite de l’un des douze dieux (1 ’ame de Socrate suivait
Jupiter). Dans cette course a travers les espaces et malgre la lutte des
deux chevaux, si dissemblables, quelques ames parviennent a garder
leurs ailes, voya- gent dans les regions etherees et contemplent meme ce
qui est au dela de la voute du ciel. Les autres, parfois emportees
jusqu'aux plus hautes regions, parfois retenues et embarrassees par
le cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre une partie des mysteres
; dans cette lutte des chevaux qui tirent en sens inverse, elles
brisent et perdent leurs ailes; ces ames tombent alors sur terre et
sont emprisonneesdans les corps des hommes. Suivant le degre de
connaissance qu'elles ont atteint dans la contempla- tion des essences,
Socrate divise en neuf classes ces ames dechues. Celle qui a per9u
le plus de verite et de choses sublimes, vient animer le germe d’ou
naitra un homme tont entier consacre au avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ?
oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi
fastigii anima animabit regem, legibus, bello, imperio, potentem :
tertiae classis anima civitatis familiaeque regendae et rei fa-
ciendae peritum : quartae, laboris amantem eundemque in exercendis sanan-
disve versantem corporibus : quinti ordinis animae vitam habebunt in
vaticinando, aut in castimoniis initiisque mysteriorum occupatam : sexti,
poetas : septimi, geometras aut fabros: octavi sophistas aut cum
factione populares: noni denique animabunt tyrannidis cu- pidos.
Multa hic nec injucunda de hoc ordine, de his vitee generibus,
disputandi occasio: sed maneamus in argumento nostro. Ha’
omnes anima?, cum morte discesserunt a corporibus, in locum vel pce- [culte
de la sagesse, de la beaute, de la Science et de Vamour ; Vdme du
second degre vivra dans le corps d’un roi juste, belliqueux et
capable de commandere celle du troisieme fonnera un homme habile a
administrer sa famille, sa cite ou la chose publique; celle du
quatrieme un athldte laborieux ou un medecin, tous deux occupes
soit d exercer le corps humain, soit d le guerir; les ames de la
cinquibme classe passeront leur vie, soit d predire 1’avenir, soit d
initier aux abstinences et aux mysteres ; celles de la sixieme
former ont des poetes ; celles de la septieme, des laboureurs ou des
ouvriers,- celles de la huitieme, des sophistes ou des chefs de factions
populaires ; celles de la neuvidme, enfin, des tyrans. Ce serait
peut-etre 1 ’occasion de dispu- ter, et non sans agrement, des rangs
assignes a ces ames et de leur genre de vie: mais restons dans notre
sujet. Toutes ces ames,quandle trepas les a separees du corps,
parviennent au sejour narum vel pr cerni orum perveniunt, et mille
exactis annis, accipiunt potestatem eligendi sibi nova corpora, vitas
novas, sive hominum sive bestiarum. Quce anima ter sibi, exactis millenis
illis annis, primam istam sedulo philosophantis, sive pueros cum
philosophia amantis, vitam delegerit tou <ptXocrocprjaavto;
aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO; [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea,
absoluta ista ter mille annorum periodo, pennas denuo accipit,
quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi, contemplari cœlestia, queat:
cum reliquarum octo classium animae, non nisi decies mille annorum
periodo absoluta, in primam illam conditionem restituantur. Hoc ipsum quod
primam et felicissimam classem Pæderastarum philosophantium constituit, quod
tantum prae- mium illis, compendium septies mille annorum, tribuit
Mythi hujus s. Allegoria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Plato ; hoc ipsum
igitur jam satis monere nos poterat, non posse hic sermonem esse de
re ita turpi, quam fuisse illud, cujus des peines et des recompenses, et
au bout de mille annees, recoivent la permission de choisir de
nouveaux corps, soitd’hom- mes soit de betes, et de vivre de nou-
velles vies. L’ame qui, durant trois revo- lutions de mille annees, trois
fois de suite a choisi Texistence d’un homme quicultive sincerement
la philosophie, ou qui aime les jeunes gens d'un amour
philosophique, a 1’expiration de cette triple periode, recouvre les ailes
qidelle possedait autrefois et peut, comme au-paravant, suivre l’un des
dieux et contempler les essences celestes. Les huit autres classes ne
retournent a cette condition premiere qu’apres une revolution de dix
mille annees. Ainsi la premiere classe et la plus heureuse est celle
des philosophes amis des jeunes gens, et l’inventeur de ce mythe ou
allegorie, que ce soit Socrate ou Platon, la favorise d’une
exemption de sept mille annees: cela seul nous avertit assez qu’il ne
peut etre question ici de ce vice infame dont on accuse Socrate et
que d’ailleurs les 3postulatur Socrates, ipsis etiam legibus Atticis,
paullo post ostendemus: sed magis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequuntur,
apud Platonem paullo attentius considerare mecum
voluerit. Intelligentia hominum, ex pluribus rebus sensu perceptis
collecta, nihil est aliud, quam recordatio illorum, quae anima in
illo volatu suo coelesti viderat, quae sola verum illud ens sunt (t 6
ov-co; ov, p. 346, A). Haec intelligentia maxima est in illa prima
philo sophantium pæderastarum classe : haec ipsa est, ob quam alas soli
recipiunt, quibus volatum illum coelestem, deorumque comitatum
tentant: præ qua terrena hæc, et sensus externos ferientia, ita
negligunt, ut male sani aliis et furiosi videantur, icocpa
-/.ivouvts?, quos commotos s. commotce mentis vocat ORAZIO (si
veda) (Serm.), cum re vera divino quodam spiritu agitentur,
svOouaux^oviss, qui illos semper ad coelestem illam pulchritudinem
revocet, quam in priore volatu viderant. lois Athenicnnes
reprimaient, comme je le demontrerai tout a 1’heure; cela deviendra plus
evident encore pour qui voudra bien examiner attentivement avec moi
ce qui suit dans Platon. i3. L’intelligence humaine est
formce de la reunion des idees percues a l’aide des sensations, et
les idees ne sont rien autre chose que les reminiscences de ce que
1’ame a vu anterieurement dans son vol celeste, c’est-a-dire des
essences veritables. Or 1’intelligence la plus complete appartient a la
premiere classe, a celle des philosophes amis zeles des jeunes
gens, et c’est pourquoi seuls iis recouvrent les ailes a 1’aide
desquelles iis pourront essayer de nouveau de par-courir le ciel et
suivre le cortege des dieux. Detaches des soins terrestres et de
tout ce qui frappe les organes, iis pas- sent pour des insenses et des
hommes en delire, -apa/ivoSvis?, de ceux que ORAZIO (si veda)
appelle des fren^tiqucs, des esprits troubles, tandis que vraiment ce sont des
en- [Hæc pulchritudo, qucc inest in sensu, <ppov 7 ]<m, in
mentis qua vult et intelligit prostantia, si ita in oculos, ut alia
quce videri his possunt, incideret, ad mirabiles sui amores exci-
tatura esset. Jam pulchritudo sola corporum, hanc (Aotpav habet, hoc velut
fatum, et conditionem, uti subeat oculos, ut amo- rem moveat. Hinc
ponamus ipsa verba, ut existimare melius ac certius de tota re
possint etiam, quibus ad manus non est Plato ipse, vel magnum volumen de
pluteo promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, Jj
otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat 7ip6; auxo xo xaXXo;,
Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv,
aXX’ 7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct- y stpsT
xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv, ou os'ootxsv ou 8’
ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN. Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib.
r. thousiastes, agites comme d’un transport divin, qui les
attire sans cesse vers cette beaute celeste precedemment entrevue
par eux dans leur vol. [Cette beaute, dont Pessence reside dans un
sens particulier, la sagesse, source de la volonte et de
1’intelligence, s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir, comme
toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a
d’admirables amours. Mais c’est seulement la beaute corporelle,
telle est sa necessite fatale et sa nature, qui frappe les yeux et nous
porte a 1’amour. Ici nous placerons le texte meme afin que ceux qui
n’ont point Platon sous la main ou qui ne se soucient pas de tirer du
rayon un gros volume, puissent se faire une opinion en toute E.
hanc turpitudinem appsvwv np 6? appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to
ITAPA •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato- nem, vel
Socratem adeo, feriunt divina illa fulmina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea,
qua ? in idolatriam vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv
xdxe TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX- Xo; eu
[j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita
verto, Hic ergo, qui non est nuper illis mysteriis coeles- tibus in
illo volatu animarum initiatus, aut, initiatus cum esset, corruptus
est, non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac corporea, non vera,
pulchritudine, illuc fertur ad ipsam veram, coelestem pulchritudinem,
cujus hic videt nomen, umbram, similitudinem : itaque neque inter
adspiciendum eam, divinum quiddam colit: sed libidini se tradens, quadrupedis
ritu inscendere formosum conatur, et genitale semen profundere, et cum
contumelia congressus formoso corpori, non veretur, nec erubescit PRXETER
NATURAM libidinem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa eorum quae
tum videbat, contemplatus est, ubi vultum divino similem conspexit, qui
pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut incorpoream quandam illius
speciem, verbo, certitudc. L’homme qui n’a pas un « souvenir recent
de son initiation aux mysteres, ou qui, recemment initie, s’est
laisse depraver, ne s’eleve pas facilement, comme il faudrait, de
cette beaute corporelle, qui n’est pas la vraie, a cette beaute
celeste, absolue, « dont il ne rencontre ici-bas que le
nom, 1’ombre, la ressemblance; en 1’apercevant il n’y respecte rien de
divin. Entraine par la volupte, il se precipite, comme une brute, sur
1’objet de ses desirs, ne cherche qu’a genitale semen profundere et,
outrageant ce beau corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il ne
rougit pas de poursuivre un plaisir contre nature. Au contraire, l’homme,
encore plein des saints mysteres qu’il a longtemps contemples
autrefois, 11 est remarquable que Platon, meme dans ses Lois,
appelle crime contre nature le commerce honteux marium cum maribus, et
feminarum cum feminis. Les foudres de Saint Paul (Ep . aux Rom.) n’atteignent
donc ni Platon ni Socrate, pas plus que celles qu’il lance contre
1’idolatrie. virtutem speciosam:
Dei instar colit. Deinde enarrat pheenomena quædam hujus
sancti et philosophici amoris, similia, ex parte Venerei, et
quomodo illa alce, quas amiserat anima, hinc de novo crescant, sub
Allegoria perpetua describit, qua nihil aliud tandem indicat, quam
enthusiasmum quendam, et injectam divinitus philosopho cupiditatem
versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel forma potentibus,
adolescentulis: quos nempe captabat Socrates, qui sciret, cum
facilius sit formare ad sapientiam et virtutem hanc aetatem, tum hos
esse, a quibus futura civitatis fortuna pendeat. Hinc est quod se
venari pulchros non dis- simulabat (vid. Protagora > principium,
frustra reprehensum Cyrillo contra Julia), quod Xenophontem baculo etiam
transverso objecto et l’amour grec q'3 en presence d’un visage
presque divin ou d’un corps dont les formes lui rapit pellent 1’essence de
la beaute, c’est-a-dire 1’essence de la vertu, adore comme « en presence
de la divinite. Platon retrace ensuite quelques-uns des phenornenes de ce saint
et phi- losophique amour, parfois peu different de l’autre; il
montre aussi comment re- poussent les ailes autrefois perdues par
rame. C’est une allegorie perpetuelle dont la conclusion est que le
philosophe con^oit, par une sorte de grace divine, le plus fervent
desir de vivre au milicu des beaux adolescents distingues par la
perfection de leurs formes ou par leurs dispositions naturelles. C’est
ceux-la, en effet, que Socrate ambitionnait de gagner, sachant
qu’il est facile, a cet age, de les tourner au bien et a la vertu, et
que c’est d’eux que dependent les futurs destins de la Republique. II
appelait cela prendre les beaux garcons dans ses filets (voyez
la-dcssus le commencement du. velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.
Laert.). Ipsum illud hinc est, quod GINNASIA, conviviaque et
deambulationes, quoscunque denique juvenum coetus, sequebatur, quod ludos
et jocos non refugiebat, quod se plane communem illis faciebat, nec
irrideri aut peti maledictis refugiens. Ipsa
illa ironia perpetua, quod doceri se velle simularet, certe discendi
causa disputare, ut accessum ad Sophistas illi dabat, ita
adolescentulo- rum super bulæ de se opinioni et præcipitantiæ blandiri
videbatur. Sed pergamus Platonis Mython enarrare. FILOSOFI illi amatores
pulchrorum non indiscretim omnes amant, sed (p. Sdy, C) quem quisque in
illo coelesti volatu Deum secutus est, ejus Dei si- milem sibi
quaerit amasium; qui Jovem, ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa),
Martia- lem vero qui Martem, et sic Junonios. ET Protagoras, blame a tort par
Saint Cyrille), et il se fit de la sorte un disciple de Xenophon qu’il
arreta en lui barrant le passage avec son baton. Voila pour- quoi
aussi il frequentait les gymnases, les banquets, les promenades, tous
les lieux de reunion des jeunes gens, ne fuyait ni les jeux ni les
badinages, s’entretenait avec tous et s’inquietait peu de preter a rire
aux medisants. Cette ironie perpetuelle grace a laquelle il
feignait toujours de vouloir apprendre, pour mieux enseigner, lui
donnait acces au-pres des Sophistes et flattait aussi la suffisance et la
presomption de la jeunesse. Mais achevons d’exposer le Mythe de
Platon. Ces FILOSOFI amoureux des beaux garcons ne s’attachent pas
indistinctement a tous; selon le dieu quhls accompagnaient dans les
espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens suivants du
meme dieu celui qu’il doit aimcr. L’ame qui etait, comme celle
de Bacchicos, Apollineos : et talem ubi inventum amare coeperint, faciunt
omnia, uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu- jus jam
similitudinem quandam in ipso deprehenderunt, sibique adeo, reddant
quam similimum. Ita Socrates, Jovis in illo volatu satelles, quaerit Joviales,
amatores natura sapientiae, et natos ad imperandum. Hactenus ergo bene res
habet, sancti tales Paederaslce, J elices qui sic amantur. Sed nec
dissimulanda sunt quae sequuntur apud Platonem. Redit Socrates ad
superiorem illum de Anima Mythum, quam triplicis naturæ ponit scilicet. Sunt
vellit equi duo, est auriga. Equorum alter bonus, sanus,
verecundus, gloria amator, qui sine plagis, sola ratione auriga regitur :
pravus alter, qui multum ac temere una aufera- [Socrate, dans le
cortegc de Jupiter, recherche un suivant de Jupiter, et ainsi des autres
qui avaient choisi Mars, ou Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des
qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de rendre celui qu’ils aiment
semblable a ce dieu dont iis retrouvent en eux-memes le caractere.
Ainsi Socrate, satellite de Jupiter, recherchait pour les cherir
ceux qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a- dire ceux qui, par
nature, etaient portes a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici
tout va bien ; de tels Pederastes sont de vrais saints, et bien heureux
ceux qui sont aimes de la sorte! Mais il ne faut pas dissimuler
ce qui vient apres dans Platon. Socrate re- tourne au precedent
Mythe de hame qu’il a coniparee aux triples forces reu- nies de
deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est bon, sam, plein
de retenue et d’emulation; le cocher le dirige, sans avoir besoin du
fouet et par la seule persuasion: 1’autre est mechant] tur, (impetu
alieno potius feratur, smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,
nigri coloris, glaucis oculis, suffusus sanguine, petulantia contumeliaque gau-
dens, hirsutus circa aures, surdus, flagello ac stimulis vix tandem
concedens. Operet ? pretium videtur mali equi notas etiam Gra } ce
ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, (
3 payuipayrjXo?, aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?,
oepat- [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa Xaaco;,
xwipog, gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.; UTEclXOJV. r<S\ Apposui Graeca, ut facilius judi- cari
possit, probabilisne sit conjectura, in quam incidi, dum in hac equi mali
de- scriptione versor. Nempe, aut vehementer fallor, aut memorat hic
Socrates non tam equi mali proprie dicti signa, quam sui corporis
formam, quatenus vitiosum inde ingenium colligebat physiognomon
ille Zopyrus. Hic enim, ut est
apud CICERONE (DE FATO), Stupidum esse Socratem dixit et bardum,
addidit et s’emporte facilement, sans raison aucune (c 7
est-a-dire qu’il semble dirige plutot par une force exterieure que par
son propre jugement); il a 1’encolure courte et dure, les naseaux
apiatis a la maniere du singe, le poil noir, les yeux glauques le
sang le tourmente et il est toujours en rut et en querelles ; il a, de
plus, les oreilles velues, il est insensible a tout et n 7 obeit
qu’a peine au fouet et a 1’aiguil- lon. Il est necessaire de transcrire,
dans le texte Grec, ces marques particulieres du mauvais
cheval. J’ai cite le texte afin qu’on puisse decider si la
conjecture que me suggere cette description du cheval retif a quel-
que vraisemblance. Ou je me trompe fort, ou Socrate ici retrace moins les
ca- racteres d 7 un cheval defectueux que son propre portrait, dans
lequel le physionomiste Zopyre trouvait les indices d’un naturel vicieux.
Zopyre, au dire de CICERONE (Du Destin) pretendait en effet que
Socrate etait lourd et stuetiam mulierosum. Illud de stupore con- venire
cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa- mox declarabitur: quod
muliero- sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con- gruit : novimus
enim quos uSp-.sxa; tum dixerit Græcia. Porro illud aipio-pd- aw-ov
plane pertinet ad notationem Socra- tis, in quo cum deridetur a
Critobulo, tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo patulisque non
modo deorsum sed in hori- qontem naribus, non minus quam in ocu-
lis ultra frontem eminentibus, et labio- [Unum ponamus exemplum e
libello, quipree manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18
1, E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava- tpspexat £~1
xoj; ovoj;. Physiognomones e similitudine vocis asinina: argumentum ducunt ad
libi- dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 . (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p,
Socrates ad Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w? yap
/a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid istuc? quasi me quoque
pulchrior esses, ita gloriaris. Ad qua: Critobulus, Nrj Ata, rj Ttavxcov
SsiX7jvwv xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te formosior essem, ait,
essem Sileuorum, qui in Satyri- cis fabulis in scenam veniunt,
turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai- sirs
veneriens. Pource qui est dela lour- deur, cela concorde avec 1’encolure
courte et dure ; adonne anx plaisirs ve- neriens, repond a &'6peto;
ItaTpo;. Nous savons, en effet, quels etaient ceux que les Grecs
appelaient uSpiatat'. Quant a la face simiesque, cette designation
s’ap- plique parfaitement au portrait de So- crate ; il y a fait
lui-meme agreablement allusion en repondant aux moqueries de
Critobule. Il avoue que toute sa beaute consiste en un nez epate et
me- nafant le ciel, en des yeux saillants et [Contentons-nous d’un
seul exemple tird du livre que nous avons sous la main, le De
Physiognomia, d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave sont
&6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que la voix £tait bruyante
comme celle de l’ane, les phy- sionomistes conci uaient qu’on devait
avoir le temperament lascif de cet animal. Xenophon (Banquet). Socrate dit
il Critobule, qui vante sa propre beautd: Quoi donc? Tu crois etre
plus beau que moi? Critobule lui repond: Si je n’etais plus beau que
toi,je serais le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre
dans les drames salyriques.] rum tumore molli, pulchritudinem suam
prcedicat (Xenoph. Sympos? c. sicut in Platonis Convivio Sileni s.
Satyri formam Alcibiades illi tribuit : et in Tlieceteti Platonici
principio Theodorus negat pulchrum esse Thecetetum, cum sit Socrati
similis, tQ te cijxo-rjta xat to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et
eminen- tibus oculis, licet minus quam Socrates utraque re sit
notabilis. Nempe hcec si- gna cum haberentur, et naturales quae-
dam notce, hominis libidinosi, iracundi et stupidi, non negabat illud
Socrates, verum eo majoris faciendam esse FILOSOFIA ostendebat, quee
tantum contra vitiosam naturam valeret. Quoniam hic sumus, non
injucun- dum forte fuerit lectoribus nostris in rem quasi
preesentem ire, et ex artis, qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judicium
defendere. Vix autem opus est admoneri lectores, non hoc agi, Num
veri aliquid sit in ea arte? Num ipso des levres gonflees comme un
abces ; de meme dans le Banquet de Platon, Alci- biade compare son
masque a celui de Silene ou d’un satyre, et au commencement du Theatdte,
l’un des interlocuteurs, Theodore, refuse toute grace a Theatete en
disant qu’il ressemble a Socrate, qu’il est camard et que les yeux lui
sortent de la tete; que pour etre chez lui moins apparents que chez le
maitre, ces defauts n’ensontpas moins sensibles. Socrate ne niait
pas d’ailleurs que ces particularites physiques n’indiquassent un
homme lascif, violent et d’un esprit paresseux ; il en concluait
seulement en faveur de la Philosophie qui parvient a dompter un si
vicieux naturel. Pendant que nous y sommes, il ne deplaira peut-etre
pas au lecteur d’aller plus au fond sur ce chapitre et de defendre les
idees de Zopyre, idees basees sur des regles alors acceptees. Il
nes’agit pas de savoir si cette Science est sure; est-ce que 1
’excmplc meme de Socrate etiam Socratis exemplo ea refellatur,
et vanitatis convincatur? sed hoc modo, quod dixi, Utrum Zopyrus ex
arte, et ut oportebat, judicium de illo tulerit? Exstat in operibus
Aristotelis libellus, <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo
superiorum hujus artis consultorum collegisse prae- cepta videtur .
Hinc ea, quee ad formam Socratis, qua ? ad equi hujus mythici naturam
pertinent, huc transferamus. Igitur inter ’Avai- c07j- ou hoc est
stupidi, et sensu communi pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv
a aap'/.oj07) 7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va, Ea
quas adjacent collo carnosa, complexa et colligata, itemque cervix
crassa, XGxytjkoq -ayjj;. Et Oi? Ta "£p\ ta; xXeTBoc;
aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv, avodaQiyroL. Nonne totidem fere
verbis CICERONEZopyrus? Stupidum esse Socratem, et bardum quod
jugula con- cava non haberet, obstructas eas partes et obturatas.
Alia adhuc mala signifeat ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc
xai ne temoigne pas du contraire ? Mais Zopyre en a-t-il tire, en ce
qui concerne notre Philosophe, un pronostic judi- cieux ? II y a
dans les oeuvres d’Aristote un opuscule intitule Physionomiques ou
ce philosophe parait avoir recueilli les regles admises avant lui par les
habiles. Nous transcrirons celles qui se rapportent au portrait de
Socrate et au caractere de son cheval mythique. D ? apres Aristote (chap.
m), les in- dices d’un esprit lourd et presque prive du sens commun
sont le gonflement des chairs qui avoisinent le cou, leur engor-
gement et leur replelion- ce qu’il con- firme en disant au chapitre vi :
« C’cst un signe de betise que d’ avoir 1’cncolure epaisse. Zopyre,
dans CICERONE, n’ex- prime-t-il pas la meme idee? Socrate, dit-il,
etait lourd et stupide, parce quii navait pas le cou bien degage, que
ces parties etaient cheq lui comme engorgees et obstruees. Cette
conformation indi- que cncore bien d’autrcs dcfauts : la TzlioK, 0
o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix iracundos signat, exemplo
taurorum: Ol? 8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus
est, ii sunt homines insidiosi, lu- porum instar. Talem modo
vidimus illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa- yuxpayjiXov. Talem
nisi fallor se indicat Socrates, aut potius talem significat Plato
Socratem, a natura fuisse. Videamus reliqua. Equus malus Socratis
est sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus
circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud Aristotelem o t xpdxoupot
oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta tempora. Deinde oi xa yecXrj
“aysa eyovxe; puopoi avacpdpexai £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa
labia stultitiae characterem faciunt, ob simili- tudinem asinorum.
Quid de se Socrates (Xenoph.) in ludicra cum pulchro Critobulo contentione?
Ata 76 r.ayla. syeiv xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv oou 'iyv.v
xo csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat osculum mollius. Et,
v Eotxa syw xaxa xov nuque epaisse et charnue denote un homme
violent, par similitudo avec le taure au ; ceux qui l’ont trop courte
sont ruses, par similitude avec le loup. Or, cette indication,
1’encolure epaisse et courte, figure parmi les marques du mauvais
cheval. Si je ne me trompe Socrate avoue qu’il etait bati de la
sorte, ou plutot c’est ainsi que le depeint Platon. Voyons le reste.
Le mauvais cheval Socratique a les oreilles velues: Aristote designe comme
libertins ceux qui ont du poil jusques sur les tempes. De plus, les
physionomistes notent les grosses levres comme un indice de betise,
par similitude avec 1’ane. Or que lisonsnons dans la plaisante discussion
(Xenophon) de Socrate avec Critobule? A cause de ses l&vres charnues il
pense que son baiser est plus sensuel, et plus loin: Je te par ais
avoir, 6 Critobule, une bouche plus difforme que celle de Vane,
avec ces bourrelets qui me tienncnt lieu de levres. aov Xoyov x at
Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv, turpius os quam habent asini
illum mollem labiorum tumorem habere tibi, o Critobule,
videor. Simus fuit, ut vidimus, Socrates : at|jio-po'ato7:o; est
malus equus. Quid Phy- siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si fides
Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01 G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor
avacpspezai i~\ tou; iXa^ou;, Simi sunt libidinosi, exemplo
cervorum. Patulas quoque versus nares suas, qu£e possint odores
undecunque oblatos excipere, laudat sipojv Socrates Xenophonteus,
pra ? Critobuli naribus humo obversis. Ot ;xev yao ao\ (xuxT7jpE;
ei; yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte tx; T:av~o0£v
oGua; izpoa ov/yOou. At Physiognomones (I . C.), 0:; o! p.uxT7jp£$
ava"E^"a- pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum
patula? nares, quod in ira diffundi so- lent. Iracundum valde a natura
fuisse Socratem, non soli credamus Cy r rillo, quamvis Porphyrium
auctorem laudat, qui ab Aristoxeno se illud dicat acce - [Socrate,
nous le savons, etait camard; son mauvais cheval a les naseaux ecrases du
singe. Quel indice en tirent les physionomistes et Zopyre ?
Aristote dit. Les camards sont lascifs, par similitude avec le cerf.
Socrate declare quii a les narines lar gement ouvertes, comme pour
subodorer de toutes parts les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,
que d’avoir, comme Critobule, un ne^ penche vers le sol. Mais d’apres les
phy- sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera- ment porte a la colere.
Que Socrate ait etedun naturel violent, nous ne nous en
rapporterons pas la-dessus seulement a Saint Cyrille, quoique son
temoignage soit corrobore de ceux de Porphyre etd’Aristoxene et qu’il
dise en propres termes: Socrate etait devenu si irritable qu’il ne
pouvait moderer ni ses paroles ni ses pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7]
utzo zou TrdOou; toutou [de ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v
aayr][jLO(Hjvr)v ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe -payjj.ato;,
Eo importunitatis progressum, ut nullo neque verbo neque opere abstineret
: sed ipsi de se credamus Socrati, qui tam gravi ac molesto sibi, quam
fuit Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis gymnasio opus fuisse,
fassus sit apud Xenophontem [Sympos.) BouXo'|ievo;, dv0pco7tot; y
prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj- ptat, sii eloco;, oxt, et
lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic
auveaouat, Quam ferre si posset, facilis esset cum aliis omnibus
conversatio. Unum superest : e^^OaXpto; erat Socrates. Itaque ita
jocabundus disputat cum pulchro Critobulo, ut cum primo
convenisset, Pulchras esse res, quatenus respondeant consilio, propter
quod ha- bentur; roget eum, Cujus rei gratia ha- beamus oculos?
eoque, ut necesse erat, respondente, Ad videndum, inferat, Suos
ergo pulchriores esse, qui Sta zo actions ». Croyons-en Socrate
lui-meme; dans le Banquet de Xenophon, il avoue que le caractere
acariatre de Xanthippe fut pour lui la meilleure ecole de pa-
tience et de douceur; que par la suite il lui fut plus facile de
supporter la contradici ion. Il ne reste plus qu’une chose : So-
crate avait les yeux saillants. Il dispute la-dessus agreablement avee le
beau Cri- tobule, et le fait convenir d’abord que toute chose est
belle pourvu qu’elle re- ponde au but en vue duquel elle existe. Il
lui demande alors : Pourquoi faire avons-nous des yeux ? Pour voir,
repond naturellement Critobule. E/i bien alors, dit Socrate, mes yeux
sont les plus beaux de tous, car iis me sortent de la £7it-oXatot
sivat, quod emineant, non ea modo, quas exadversum sint videant,
sed etiam quae a latere. Et cum diceretur, secundum hmc pulcherrime
oculatum (euo^OaXjj-GTa-ov) animal esse cancrum, id ipsum affirmat.
Jam Physiognomon Aristoteles"Oaoi i£6z>- OaXjjiot, inquit,
aS&vepoi, Fatui sunt, quibus oculi eminent : rationem petit ab
judicio quodam decoris et convenientia naturali, et ab similitudine
asinorum. Male de horum gente meritus est Stagirita : quce videtur
ex hoc prcesertim libello contraxisse infamiam illam, qua ab eo
inde tempore, et Platonis quibusdam dictis, onerata est : honestum
superiori cetate animal, cujus majestatem, ut Var- roniano verbo
utamur, (de R. R.) adhuc agnoscebat Homerus. De hac re adjicietur potius
huic disputationi quoddam corollarium, quam ut longius digrediamur
a Socrate. tete, si bien que je puis voir non-seulement devant moi,
mais et droite et d gaiiche. Son interlocuteur lui repond qu’a ce
compte les crabes ont de tres-beaux yeux, et Socrate affirme que c’est
parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote, les yeux saillants sont 1’indice
de la sot- tise; il tire ce pronostic de certains rap- ports
naturels de convenance, de syme- trie, et de la ressemblance que ces
yeux offrent avec ceux des anes. Le philosophe de Stagyre a par la
bien mal merite de cette race inoffensive, et ce doit etre a partir
de ce petit traite qu’il acquit le mauvais renoni confirme depuis
par Platon lui-meme. L’ane, cet honnete animal, etait mieux
apprecie des genera- tions precedentes, et Homere se plaisait,
suivant le mot de Varron, a lui reconnaitre de la majeste. Nous ferons de
cela un corollaire a cette dissertation pour ne pas trop nous
eloigner presentement de Socrate. Gesner a «Jcrit un appendice intitulc
De antiqua Nempe tempus est, ut videamus, quorsum evadat ille de
bono et malo equo Myihus. Ad conspectum pulchri bonus ille quidem
aurigee obsequitur, contineri se patitur, malo alteri, quantum
potest reluctatur. Simile certamen est in pulchro, qui amatur:
repugnat malo isti equo bonus illius jugalis, hic enim est 6
[xo'£u£, et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous xat Xdyou, cum
pudore et recta ratione. Si ergo ita vincant meliora, et ad vitam
ordinatam, quae eadem FILOSOFIA est, ducant illum currum, beatam et
concor- dem hic vitam agunt continentes se, et decus suum tuentes,
syxpatcTs auroiv xat xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo
equo, cui vitiositas animae inerat; in libertatem asserto eo, cui virtus.
Tandem vero alati ac leves denuo facti, sic de tribus illis
certaminibus asinorum honestate, imprime i la suite du Socrates
sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir assez d’interet pour
Ctre traduit. II est temps de voir ou il veut en venir avec son Mythe du
bon et du mauvais cheval. A Taspect de la beaute, ie coursier docile
obeit au cocher et se laisse contenir; il resiste de toutes ses forces
a son mauvais compagnon. L/objet aime est lui-meme en proie
aunesemblablelutte; son bon cheval se defend contre les tentatives de son
mauvais compagnon d’attelage, que de plus le cocher s’efforce de contenir
par la pudeur et la raison. Si les meilleurs instincts remportent la
victoire et conduisent le char dans les chemins de la vie rangee,
cest-d-dire de la FILOSOFIA, les deux amant s vivent dans le bon- heur et
bunion, maitres d’ eux-memes et regles dans leurs mceurs : iis ont
dompte le mauvais cheval, qui repre- sente le vice, et affranchi 1’autre
qui represente la vertu. Recouvrant enfin leurs t ailes et leur legbrete
primitives, iis sor- tent vainqueurs de ces trois luttes vraiment
Olympiques dont nous avons parle plus haut. Socrate peut donc
dire*sans hesitation que ccux qui se prescrvcnt. vere Olympicis,
unum vicerunt. Absque hcesitatione igitur beatissimos esse dicit,
qui se puros et castos ab amore Venereo servaverint. At nunc
sequitur apud Platonem, in quo defendere illum, Platonem, in- quam,
nam Socratis causam hic segre- gandum putamus (vid. 6) paullo
diffi- cilius est; tacuisset enim forte sapientius : sed non
iniquum (i) excusare. Nempe his, quee modo prolata sunt, subjungit,
quee non scripta equidem malim : sed pono, ne quid dissimulasse videar,
ne parum bona fide egisse. Quam vero caute, quam suspensa velut
manu illud ulcus tractet, videre opera? pretium est. Eav’ os
8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO— cptXoTtjxu) 8s
yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat; sitivi a)xA7) dasXsta Tci>
axoXaTCto ajTOtv Gno- JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j;
aovaya- yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-
fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam alicujus Beneventani
Episcopi: aut aliorum, quos vrxterco sciens. purs et chastes, de
1’amour Venerien, jouissent de la plus grande beatitude. Ce qui
suit, chez Platon, est un peu plus difficile a expliquer; chez Platon,
disons-nous, car ici nous croyons devoir separer sa cause de celle de
Socrate; evidemment il aurait mieux fait de se taire, mais il n’cst pas
impossible de l’excuser. A ces choses sublimes que nous venons de
transcrire, il en ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui voir
passer sous silence; je les exposerai cependant, de peur de paraitre rien
dissi- muler et manquer un peu de bonne foi. Il faut ici donner le
texte pour qu’on [Son cas est en effet moins grave que celui de
certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que je ne veux pas
nommer. L’auteur fait ici allusion a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et
a son fameux Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement pas
lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle sens de ce celebre petit
poeme. cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X. Si vero vitam
vivant LICENTIOREM et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean- demque
ambitiosam, forte aliqua in ebrietate aut qua alia negligentia
depre- hensas INCAUTAS animas equi illi uiriusque amatoris
indomiti, eodem con- ducant, et sic illam quce beata vulgo videtur
electionem faciant, et (turpe illud facimts) peragant : eoque peracto per
re- liquum tempus utantur quidem (illa voluptate ) sed raro, quippe
qui non omnino deliberata mente (sed deprehensi velut incauti ) hoc
agant etiam hi præmium non parvum amatorii illius furoris (non
Venerei, de quo modo dic- tum, sed philosophi) auferunt : in tenebras
enim illas et illud sub terram iter non veniunt, etc. voie avec
quelle prudence et sans ap- puyer la main, il decouvre cet ulcere
de la civilisation Grecque. S’ils embr assent, dit-il, nn genre de vie
moins austdre, etrangbre a la Philosophie et livree aux passions
desordonnees, il arrivera quau milieu de Vivresse ou de quelque
autre etourderie les coursiers indomptes sur- prendront leurs ames
et les meneront l’un et l’ autre au meme but,' iis prendront alors
le parti de faire ce en quoi, selon le vul- gaire, consiste le supreme
bonheur et (c’est la le crime infame) satisferont leurs desirs.
Dans la suite, iis renouvelleront leurs jouissances, mais rarement,
parce qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme entiSre et qu’ils
agissent comme par surprise et sans defense. C’est pourquoi ce qu’il y a
encore d’excellent dans leur amour (le pur amour pliilosophique et
non le desir Venerien) recevra plus tard sa recompcnse ; iis niront pas,
aprds leur mort, dans ces tenebres et par ces routcs souterraines, etc.
yo Apertum est his, qui et sermonem Platonis
intelligunt, et non ultro qucerunt crimina, non illum prcemium
constituere pceder astice turpi, non Philosophice genus facere
flagitiosum puerorum amorem : sed summam c.ulpce esse hanc, quod dicat, si
qui coelestis illius pulchritudinis, quam in volatu illo suo viderint,
desiderio icti, etiam pulchros amant, et dum arctius eos complectantur,
liberius cum iis versentur, etiam ad turpe facinus ab ebrietate,
certe ex improviso, incauti, proster deliberatam voluntatem, abri-
piantur, id quod ipsis contingat ob genus vivendi licentius atque a
Philosophia alienum, iis tamen prodesse primum illud7'iobiliusque philosophandi
propositum, ut non cum reliquis ad inferos mittantur, et ad
poenarum locum non cogantur post ternas millenorum anno- rum
periodos, septem alias subire ete sed facilius alas ut recipiant, quibus
evo- lare ad coelestia, deum aliquem sequi du- cem possint.
Hactenus reprehendat Pla- tonem, si quis volet, non ut laudatorem. II est
bien clair, pour qui veut comprendre Platon et ne cherche pas de
griefs de son plein gre, qu J il n’assigne pas cette recompense aux
fauteurs du vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’ignominieux amour
masculin un attribut special des Philosophes. On voit, au con-
traire, combicn il blame ceux qui, les yeux encore eblouis de cette
beaute ce- leste entrevue par eux dans leur vol anterieur, con^oivent des
desirs pour la beaute terrestre, recherchent les jeunes garcons, et
a force de les embrasser etroi- tement, devivre familierement avec
eux, se trouvent entraines a 1 ’improviste, au milieu de livresse,
par surprise et sans que leur volonte y ait part, a conimettre
l’acte immonde; cela leur arrive, parce qu’ils ont adopte un genre de vie
trop libre et qu’ils negligent la Philosophie. Iis tirent cependant
ce profit, de s’etre d’abord propose pour but cette noble Science,
qu’ils ne sont pas relegues aux enfers avec tous les autres hommes ;
apres une revolution de trois mille annees, iis Pcederastice, sed
ut clementem nimis, lentumque adeo castigatorem : qui præsertim in aliis
peccatis severum satis ac durum se praebuerit. Sed, si cequi esse
volumus, si de nostris religionum doctoribus ecquos ex- periri
judices, videamus etiam, quid dici pro ratione illa Platonis possit, quid
pro Socrate, quatenus et ipse non horribili flagello sectari vitia
id genus solebat. Distinguamus legislatoris personam et Philosophi.
Legibus Atheniensium primo antiquissimis illis a Cecrope,
sanctitas Bona pars libri De re publica decimi in eo consumitur, ut
a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?, implacabiles sacrificiis Deos,
ostendant. Vid. pras. extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.
de Legib. j n’ont pas a en su.bir sept mille autres; iis
recouvrent plus vite leurs ailes et peu- vent s’elancer vers les spheres
celestes, a la suite d’un des douze dieux. Que l’on reproche donc a
Platon, si l’on veut, non pas de s’etre fait 1’apologiste de la
Pede- rastie, mais d’avoir ete trop clement, de ne pas chatier
assez ferme, lui surtout qui pour de moindres fautes se montre si
dur et si severe. Mais soyons equitables; prenons d’honnetes gens pour
juges de nos Phi- losophes, voyons ce que l’on peut dire en faveur
de Platon ou de Socrate, et jusqu’a quel point ce dernier a
vraiment neglige de flageller le vice en question. II faut
distinguer le legislateur du Phi- losophe. Les plus anciennes lois
Athe- niennes, celles de Cecrops, proclamaient la saintete du
mariage. La loi de Dracon [II emploie la majeure partie du X® livre de
sa Republique a montrer que les dieux sont insatiables de
sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies sur le Tr ciite des
lois, de Cicerrr.i. matrimoniorum constituta : Draconis lex
capite plectebat adulteros : Solon li- beram faciebat marito potestatem
sta- tuendi in adulterum in facto deprehen- sum, quidquid liberet.
Itaque mirum fuerit si masculam libidinem non punis- sent. Sed
bene habet : supersunt monu- menta Solonis hac etiam de re
legum, diligenter collecta a Sam. Petito
(de Legibus Att. et in Commentario) prcesertim ex vEschinis in Timarchum
(edit. Aurei. Allobr.) et Demosthenis contra Androtionem orationibus
: unde hoc constat, qui vi vel persuasione ingenuum corrupisset,
produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum supplicium corruptoris et
productoris, in- terdum etiam corrupti, poterat progredi) affectum esse. Qui illam patiendi pro
mercede turpitudinem admisisset, si effugisset poenam aliam, illi neque
lice- bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les
adulteres; Solon laissait la faculte au mari, dans le cas de
flagrant delit, de se faire justice comme il 1’entendrait. II serait bien
surprenant que ces deux legislateurs fussent muets a l’egard de
Tamour masculin. Mais nous avons mieux ; il reste des lois portees
par Solon sur la matiere divers fragments precieusement recueillis
par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques et le Commentaire dont il a
accompagne cet ouvrage); ii les a surtout tires du Discours contre
Timarque, d’Eschine, et du Discours contre Androtion, de Demos-
thene. Il y est dit : Quiconque, memesans violence, aura debauche ou
prostitue un homme de condition libre sera passible de la peine la
plus rigoureuse. Le chatiment pouvait etre la mort, dans l’un comme dans
Tautre cas, et pour le liber- tin, comme pour savictime. C elui qui
se sera prostitue pour de l’argent, s’il echappe a toute autre peine, ne
pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari, neque ullum
magistratum vel intra vel extra urbem, neque sortito neque suf-
fragiis, capere, neque pro Praecone s. oratore mitti usquam, neque sententiam dicere
unquam, neque in templa publica intrare, neque in pompa coronata et ipsum
coronari, neque intra sacros fori cancellos (evto; twv t rj; ayopa?
TteptppavTT]- P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im- pudicitiae
quidquam horum fecisset, capital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba
legis ab As schine recitata. Plura huc transferri opus non est, cum rarum
esse Petiti opus desierit. Summa capita habet etiam in Themide Attica
Meursius. Utrum seynpcr valuerint istce leges? annon eas perruperit interdum au
etre l’un des neu f archontes, ni remplir aucune fonction sacerdotale, ni
etre nomme delegue d’une ville; il lui est interdii d’exercer
aucune magistrature, soit en dedans, soit en dehors de la cite,
quii ait et e designe par le sort ou par les suffrages de ses
concitoyens ; d’etre en- voyd nulle part comme Herault, ou comme
orateur; de prononcer aucune sentence ; de penetrer dans les temples publics;
de faire partie des processions et d’y porter une couronne sur la
tetc; de franchir ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque, deja
condamne pour fait de prostitutiori, fera ou acceptera de faire une de
ces choses sera puni de mort. Puni de mort, tel est le texte meme
de la loi lue par Eschine. II est inutile d’en transcrire ici
davantage, car Touvrage de Samuel Petit est loin d’etre rare ; Meursius
en a meme donne, dans sa Themis Attique, les cha- pitres
importants. Ces prescriptions eurent-elles tou- jours force de loi?
Ne purent-elles etre dacia, astus subterfugerit, eluserint rhetores?
annon ipsa poenarum gravitas impunitati occasionem non nunquam de-
derit? an non professce impudicitiae ho- minis utriusque sexus, libidinum
publica- rum victimce, toleratce sint? An denique poetce non multa
saepe impudenter scrip- serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-
nam non avxtxatrjyopia quadam repellere possent veteres Attici
cujuscunque vel sec- tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-
probrare iis velint, quce de Comicorum pe- tulantia sublegerunt illi apud
Athenaeum (i3, 8 p. 601) Deipnosophistce, et quae colligere ex illa
parentum cura apud Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda- gogos
constituentium suis filiis, qui ne quidem colloqui suis cum
amatoribus (turpibus nimirum et flagitiosis) eos patiantur : e. i. g.
a. Ceterum severitate legum eo ma- gis opus erat, quod obtentum
fiagitiis enfreintes par les audacicux, adroitemcnt tournees par les
gens ruses, eludees par les avocats? La rigueur du chatiment ne
favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite? Est-ce qu’on ne tolera pas des
prostitues de profession, victimes de 1’incontinence publique et
remplissant le role de l’un et 1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas
ef- frontement deerit ces turpitudes, ne les ont-ils pas mises en
action sur la scene? Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel que les
Atheniens de nfimporte quelle secte et de quelle epoque ne pussent
re- tourner Taccusation a ceux qui leur re- procheraient trop
vertement ces horreurs etalees par les poetes comiques et recueil-
lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou ce qu’on peut induire de
1’inquietude des peres de famille confiant leurs fils, d’apres
Platon, a des precepteurs severes, pour les empecher de s’entretenir avec
leurs amis, des amis infames et detestables. 3o. Les lois
devaient etre d’autant plus severes, que les coutumes de la Grece] non
nunquam praeberet (ut nempe res sancta? prope omnes, ut ipsce
populorum sceculorumque pene omnium religiones, atque ceremonice)
ille puerorum amor, castus, legitimus, sanctus, quo tanquam
potentissimo virtutis cum bellicce tum civilis incitamento utebantur
qucedam Grcecorum respublicce : quarum legisla- tores, cum
viderent, ignava fere esse virtutis prcecepta, firmis licet nixa
demonstrationibus, nisi ea affectu quodam et tanquam spiritu animentur,
nisi ev0ou- aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti homines et
commoda sua, et jacturas, et salutem, et pericula et tormenta
contem- nerent. Hinc excogitata et in usum civitatis recepta sunt
splendida ista et efficacissima remedia, Religio, Pudor, Amor
patrice, Gloria, res quondam po- tentissimce, quod ex illarum
effectibus judicare pronum est: nunc prceclara quo- rundam, qui
sibi Philosophi videntur, opera fere ad inanium vocabulorum strepitus
relata, et, dum relata sunt, etiam redacta. comme toutes les choses
saintes, comme les cultes et les ceremonies religieuses de presque
tous les peuples et de tous les temps) donnaient plus de facilite a
la depravation. La fervente amitie entre jeunes gens, Tamitie
chaste, legitime, sacree, etait favorisee, dans les republiques de la
Grece, comme le plus energique stimulant du courage militaire et des
vertus civiles. Leurs legislateurs savaient bien que ni la vertu ni le
courage ne s'inculquent a 1’aide de demonstrations, si bonnes qu’elles
soient; que 1’homme est naturellement faible a moins qu’il ne soit
pousse par la passion et par 1’orgueil ou entraine par cette espece
d’enthousiasme qui lui fait mepriser les aises de la vie, la
fortune, la vie elle-meme, et affronter les perils et les supplices.
C’est pourquoi l’on mettait en jeu, dans Torganisme de la cite, ces
heroiques et sublimes mobiles, la Religion, 1’Honneur, 1’Amour de la
patrie, la Gloire, mobiles autrefois bien puis- sants, comme nous
pouvonsen juger par ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis
igitur rei publicce bene gerenda? incitamentis, an instrumentis? erat
Amor ille adolescentulorum tum in- ter se, tum inter ipsos et natu
majores: inde illa sacra Amantium cohors The- bis, et Cretensium.
Quanta illius vis esset, et quam metuendus esset miles amator,
svOouatwv, et ab Amore simul atque a Marte bacchans, occurenti in
prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H. V. ) ut IvOo-jatav et furere
ipse prope videatur. Idem Laconica qucedam circa eam disciplina?
publica? partem instituta commemorat: V. G. ab illis multatum esse
virum alioquin bonum, ea de causa, quod nullum habere juniorem, quem
amando sui similem, et per hunc forte etiam alios, redderet: itemque
peccantis adolescentuli virum amatorem punitum, cui grace a de certains
Philosophes, ou soi-disant tels, ces grandes choses ne sont plus que de
vains mots, creux et vides, dont le sens s’affaiblit a mesure qu’on en
abuse. Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit entre eux-raemes, soit
entre eux et leurs ames, etait favorise partout en Grece, pour le
bien de la chose publique; voila ce qui donna naissance a la cohorte
sacree des Amants, chez les Thebains et chez les Cretois. Quel etait le
courage de ces sortes de soldats, quelle etait la ter- reur qu’ils
inspiraient, lorsqu’ils rencontraient Tennemi, ivres a la fois d’amour et
de sang: c’est ce que Elien nous a fait connaitre, en partageant, pour
nous les mieux depeindre, leur impetuosite et leur fureur. II nous
indique aussi qu’il y avait quelque chose de semblable dans les
institutions de Sparte; un Lacedemonien fut mis a 1’amende, quoique
excellent citoyen, pour avoir neglige d’aimer quelque compagnon plus jeune
que lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius
imputari vitia posse cen serent. Etiam illud Laconicum narrat,
so- litos ibi adolescentulos petere ab ama- toribus, viris nempe
bonis ac fortibus, stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-
tur illud verbum, Laconibus proprium, sElianus per epav, amare : idem
factum ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa similia
ad utrumque Hesychii locum viri docti, post Meursium (Mis- cell.
Lac.) sed nihil, unde ratio ap- pellationis queat intelligi. Nec
satisfacit, quod refert, non probat Eustathius (ad Odyss.)
EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^? ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et
pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se- veritati parum conveniunt, si
fides anti- quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo, de quo agimus,
loco. Srap-ctaTT)? epio;
ataqui eut ete capable, a son tour, de les transmettre a d’autres.
Lorsqu’un jeune homme commettait une faute, les Spar- tiates
punissaientson intime ami, comme responsable des vices qu’il lui
tolerait. Elien rapporte encore cette autre coutume de Sparte, que
les jeunes gens exigeaient de ceux dont iis etaient aimes, toujours
choisis parmi les meilleurs et les plus braves, ut se adflarent. II
explique le verbe ekjttvs Tv (adflare), propre aux Laconiens, par cet
autre : spav (aimer), et Hesychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS et
eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette interpretation, a 1’exemple
de Meursius; mais je n’ai rien compris aux raisons qu’ils en
donnent. Je ne suis pas davan- tage satisfait de Tassertion emise, sans
preuve, par Eustathe, dans son commen- taire des chants IV e et V e de
YOdyssee : a Les inspires (i) sont guides dans leur [On appelait
indifTeremment ItaKVETxat, ii a- 7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants)
ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor turpe nihil
quidquam novit. Sive enim ausus fuerit adolescentulus pati turpia
(upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6 oat) neutri quidem Spartee
manere pro- fuerit : aut enim patria privarentur, aut vita ipsa.
Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv, illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa?
vocat Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in- spirando s.
adspirando divino quodam spiritu, dictos arbitror, unde afflati, ut
7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi- no quodam furore perciti,
ruerent. Hic est ille furor, quem supra) tetigi- mus, et de quo
plura sunt in Platonis Phædro. Nempe spiritum 7iveSp.a quum
dicebant antiqui, non rem illi tantum cogitantem indicabant, sed rem subtilem,
magna ean- dem movendi et agendi vi praeditam, etc. de friires
d’armes, si terribles dans les batailles. 'Etcnvelv (ad/lare) peut se
traduire positivement par meter les souffles ou metaphoriquement
par avoir des aspirations communes.] choix par la beaute et 1’elegance
corporelle. Cela me parait peu convenir a cette severite Laconienne dont
temoignent tous les anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question. On
ignorait a Sparte ce que detait que les impures amours. Si quelque
jeune homme eut ose se prostituer, ou prendre 1’autre role, il lui
eut mal reussi de rester d Sparte; il y allait pour lui de Vexilou de la
mort. C’est ce qui me fait croire que ces inspires, designes aussi sous
les noms de compagnons, freres d’armes, par Eustathe et par Hesychius,
etaient ainsi appeles du souffle ou de Tesprit en quelque sorte
divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient sur l’ennemi comme
transportes d’une fureur plus qu’humaine. Nous avons deja parle de
cette espece de delire, dont il est si souvent question dans le Phedre
de Platon. Il convient en effet de remarquer que les anciens n’entendaient
pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle, mais une
essence subtile, douee d’une grande forcc de mouvement et
d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora- tio. Cum enim fuerit,
quod, adhuc probatum est, in Græcia r.aiozptxizv.a. quaedam honestissima,
et sancta adeo, qua ad virtutem, bellicam praesertim, et quidquid pul-
chrum est, incitari homines crederentur, cum nomina spojvuo?, Ipaaxou,
raioapaaxou, itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur- pitudinem
nondum haberent : cum illud raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut
quem ad modum capital Romae erat servo, si militarat, ita Solonis
lege multaretur quinquaginta plagis publice, qui servus eXsuOspou
7ra'oo; spav, amare liberum puerum, auderet : haec ita se cum haberent
omnia, nemo jam debet mirari, adolescentulorum esse amorem professum Socratem,
fecisse illum, quae ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So- cratis
dicta Platonem, quae ex Phaedro commemoravimus . Quod mitior est
vel Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei tribuat, non satis
ille quidem aequa ratione, quidquid apud Platonem ex ipsius persona
dictum ponitur) in hos etiam quos Cette digression ne nous a pas
eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait en Grece, comme nous venons de
le prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete, sainte, on peut dire,
et reputee propre a pousser les hommes au bien et a la vertu,
surtout a la vertu guerriere; puisque les mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu
et de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux; puisqu’il etait meme si
honorable de se livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de Solon
punissait de cinquante coups de fouet, subis en pleine place
publique, tout esclave qui aurait ose aimer un jeune homme de
condition libre; puisque tout cela est irrefutable, personne ne doit
s’etonner que Socrate ait professe 1’amour des j eunes gens, qu’il ait
lui-meme eprouve cet amour et agi en consequence; que Platon nous
ait transmis, comme l’ex- pression des doctrines de Socrate, ce que
nous avons cite du Phedre. Sans doute Platon ou, si l’on veut, Socrate,
quoiqu’il ne soit pas equitable de lui attribuer tout ce que son
disciple lui fait dire, se montre mala libido ad turpitudinem
transversos abripuit) illud primo hanc rationem, ut innuimus,
habuit, quod nec legislatorem hic, neque publicum accusa- torem
ageret ; sed Philosophum, sed amatorem, amicum certe quidem, qui
non metu pcence deterrere a turpitudine homines, sed virtutis amore
revocare a peccato vellet. Deinde erant forte, quibus parcendum
erat, juvenes a vitiis ejusmodi non plane puri, Alcibiades, Critias,
alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti- /Mxipcc et dcfikoaofM
otattr) yprjaajxsvoi quos abscisse nimis ab omni fructu Philosophice, ab
omni ad virtutem reditu excludere velle, et sic plane a se et a
virtute segregare, non erat consilii. Non instituam hic comparationes,
quce invi- diam habere possunt : sed illud addam unum, si forte
aliquid veri sit ineo, quod de liberiori Socratis adolescentia
dictum est /'§. : si non mendax
historia, e qua refert Origenes contra Celsum, qui superiorem vitee
conditionem primis Christi discipulis objecerat [beaucoup trop clement envers
ceux qu’un infame desir pousse a Tacte honteux. Son excuse, nous
Tavons deja dit, c’est que ce n’est pas ici un accusateur public ou
un legislateur qui parle, c’est un Philosophe, un ami, un amant, et
il essaye non de detourner les hommes du vice en les ef- frayant
par la menaee des chatiments, rnais de les dissuader d’une faute en
leur inculquant Tamour de la vertu. II y avait d’ailleurs peut-etre
autour de lui des jeunes gens qui n’etaient pas irreprochables et envers
lesquels il ne fallait pas se montrertrop dur, un Alcibiade, un Critias,
d’autres encore, pleins de fougue, adonnes a une vielicencieuse et
etrangere a la sagesse; les priver de quelques-uns des benefices de
la philosophie, c’eut ete leur fermer toute voie de retour au bien,
les eloigner de la personne du maitre et par consequent de la vertu. Je
ne cherche pas a faire des comparaisons qui pourraient sembler
malseantes; je veux ce- pendant rapporter un fait, vrai ou faux,
qui a traita la jeunesse un tant soit peu Phcedonem e lupanari traductum
ad Philosophiam a Socrate : quid facere illum oportebat in hac disputatione? Nihil
igitur est in Phædro, quod urgeat Socratem : si quid incautius dic-
tum sit, illa Platonis culpa fuerit: quamquam si universam circumstantiam,
ut a nobis ostensa est, quis consideret, etiam hunc accusare, vel
non excusare, iniquum videtur. De Convivio Platonis jam non opus est
multis disputare. Distin- guat mihi aliquis personas loquentes: ad
universam libelli descriptionem, quam vocamus Œconomian, ad
Allegorian denique ab amore Venereo ductam, ac translatam ad
animos, quorum lenonem se et obstetricem ferebat Socrates: ad hcec,
inquam, mihi attendat aliquis, et et l’amour grec q3
dereglee de Socrate. C'est Origene qui le raconte dans son traite
contre Celse. Celse reprochait aux premiers disciples du Christ
d’avoir ete tires de conditions abjectes; Origene repondit que
Socrate avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu pour le convertir
a la Philosophie. Je vous demande un peu ce que ce Phedon venait
faire dans la discussion. On ne rencontre donc rien dans le Phedre
qui puisse incriminer Socrate; s’il y a ca et la quelques paroles
imprudentes, c’est la faute de Platon. Encore, si l’on examine bien
toutes les circonstances, comme nous 1’avons fait, il serait
injuste, tout en blamant Platon, de ne pas lui trouver d’excuse.
Nous ne nous etendrons pas longuernent sur son Banquet. Que l’on
distingue bien les uns des autres les interlocuteurs, que Fon fasse
attention a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous appelons
1’economie de 1’ouvrage, que Fon analyse enfin cette allegorie
tirce de 1’amour physique, puis appliquee aux mirabor, si quid ibi
sit, unde Jiagitio ipsi praesidium, vel crimini in Socratem jactato
firmamentum peti possit. Sed est in illo libro, quod maxime ad defenden-
dum a Socrate fagitium pertinet, quod ut magis pateat, tota ultimee
partis, et velut actus postremi fabulae illius convivalis, CEconomia
proponenda est, e qua ipsa appareat, velle pro veris haberi Platonem, qua
’ in Alcibiadis personam conjecta de Socrate dicuntur. Ebrius nempe Alcibiades
ad eum finem, ut neque pedes officium faciant, comissator
supervenit potantibus apud Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex
lege compotationis, dextrum sibi accum- bentem Socratem laudare jussus,
obse- quitur cum professione ebrietatis, ut tamen vera se dicturum
confirmet et redargui petat, si quid mentiatur. Ac primo sub imagine quadam lau
[idees, dont Socrate se donnait comme l’entremetteur et Taccoucheur, et
je serai bien surpris si 1’on y decouvre quoi que ce soit en faveur
du vice infame ou a 1’appui de 1’accusation portee contre Socrate. On
pourra y puiser, au contraire, les meilleurs arguments pour l’en
defendre; mais il est necessaire d’exposer ici toute 1’ordonnance de la
derniere partie, ou plutot du dernier acte de ce dialogue, ou il
est clair que Platon veut nous faire tenir comme vrai ce qu’il a place,
touchant Socrate, dans la bouche d’Alcibiade. Alcibiade arrive a la fin du
festin dans un tel etat d’ivresse que ses pieds refusent de le
porter; il veut prendre sa part de plaisir avec Socrate et les
autres, en train de boire chez Agathon. La, par suite d’une
convention adoptee entre les convives, il est force de faire 1’eloge
de Socrate, assis a sa droite, et demande de 1’indulgence, en se fondant
sur ce qu’il est ivre ; il affirme pourtant qu’il ne daturus
Socratem, cum Sileno aliquo (Conf. J nominatim cum Satyro Marsya,
tibicine, illum comparat, cujus figura, ex ligno, edolata ruditer
atque deformi, utebantur artifices pro theca, quce intus haberet
pulcherrimum aliquem Mercuriolum: scilicet in corpore deformi
habitare animam pulcherrimam demonstrat: et esse tibicini Marsyce similem
Socratem, ob illam vim demulcendi animos, cui resisti
non posset. Deinde narrat, cum eundem pulchrorum sectatorem quendam
ct capta- torem videret, se, qui fiduciam fornice haberet,
sperasse, si pellicere virum ad amorem sui (venereum nempe) posset,
eique se prceberet obsequiosum, impetra- turum se ab illo admirabilem illam
artem, et ablaturum, quce Socrates sciret, omnia. Hinc narrat verbis
quidem honestis modestisque, et tamen venia ante dira que la verite et
exige, s’il se trompe, qu’on lui donne un dementi. II com- mence,
pour louer Socrate, par le com- parer a ces grossieres figures de
bois representant Silene ou le satyre Marsyas, le joueur de flute,
sculptees sans travail et sans art, dont les statuaires se
servaient comme de gaines, et qui recelaient a 1’interieur quelque joli petit
Mercure; ainsi, dit-il, dans un corps difforme peut habiter une belle
ame; de plus, Socrate ressemble au joueur de flute Mar- syas en ce qu’il
a, pour charmer, une force a laquelle nui n’est en etat de
resister. II raconte ensuite que le voyant s’attacher a la poursuite
des beaux adolescents et s’efforcer de les prendre dans ses filets, plein
de confiance en sa beaute parfaite, il avait essaye de lui inspirer
de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses
desirs il obtiendrait de lui qu’il lui communiquat son admirable science,
et qu'il gagnerait a cela tous les talents de Socrate.
Alcibiade exorata ebrietati, et pro? Fatus uti servi aliique profani aures
obturent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s) quam varie,
et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis, temperan-
tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adjicit) tentarit. Summam facit hanc, ut
Deos Deasque testes faciat, se cum totam noctem sub eadem veste cum
Socrate jacuisset, non aliter ab illo, quam ut filium a patre, aut a
fratre majori frater deberet, surrexisse. Itaque se frustratum spei esse in homine,
quem hac sola forte parte capi posse putasset. Enumeratis deinde aliis
Socratis virtutibus, bellica prcesertim, qua sibi etiam vitam
servarit, addit, non se tan- tum contumelia tali ab eo affectum,
sed Charmiden etiam, Euthydemum et gg place ici, mais en
termes honnetes et mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son
ivresse et qu'il ait recommande aux esclaves et aux profanes de se boucher
les oreilles, le recit des gradations savantes et de tous les
stratagemes vainement mis en oeuvre par lui pour induire en tenta-
tion la continence, la temperance ou plutot, comme il le dit fort justement,
l’heroique fermete de Socrate. II conclut en disant: Je prends les dieux
et les deesses d temoin quapres avoir repose toute une nuit d cote
de Socrate, et sous le meme m ante au, je me levai d'aupres de lui
tel que je serais sorti du lit de mon pere ou de mon frere aine. Ainsi,
le seul point par lequel il croyait que cet homme fut accessible
avait tout a fait trompe ses esperances. Apres avoir ensuite enumere
les autres vertus de Socrate et appuye sur sa valeur guerriere, a
laquelle il etait lui-meme redevable de la vie, il ajoute qu’il n’est pas
le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris
simulatione deceptos in potestatem suam redegerit, ou? oiito;
s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov autos -/.aOiaTa-ai avi’
epaotou. Nempe adulabantur vulgo amatores, certe qui turpe quid
spectarent, pueris aetatula sua et illa ipsa adulatione superbientibus. Alia
ratio Socratica, quae etiam supra in Lysidis argumento declarata est.
Suavissima sunt reliqua in Symposio Platonis: eo autem referuntur omnia, ut
intelligamus Socratis hanc fuisse consuetudinem, pulchrorum amorem uti prae
se ferret, cum illis suaviter et amice ut versaretur, ut virtutis
illos amore impleret, reliqua omnia non tanti esse ostenderet, in quibus valde
sibi elaborandum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta
Socrates, et foedissimi, si quod usquam est, crimiait fait un tel affront;
que pareille chose est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a bien
d’autres qu’il avait feint d’aimer tendrement, pour mieux les asservir
et les diriger. Les amis vulgaires, ceux surtout qui esperaient de
honteuses complaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons, et
ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait la
methode Socratique, comme nous l’avons montre plus haut en exposant le
sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Banquet de Platon, est charmant; tout
aboutit a nous montrer que telle etait la coutume de Socrate de
rechercher les bonnes graces des jeunes gens que distinguait un exteneur
gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et agreable intimite,
afin de leur faire aimer la vertu; ce point obtenu, il jugeait
facile de leur donner les autres qualites qu’un sage doit s'appliquer a
acquerir. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeunesse qu’un amour chaste; il
etait pur du nis expers: a quo etiam alios avocare studuit, quod
Critice exemplo docet Xenophon, ejus, qui post in triginta tyrannis
fuit, quem Euthydemi pudori insidiari cum sentiret, utxov ti Tiaay
eiv dixit, suillo more prurire, eaque re inimicitias hominis factiosi et
potentis sibi contraxit; quibus carere poterat, nisi potius fuisset
officium. Sed admonet me Xenophon de crimine
alterius illo quidem generis, et multo, ut in malis, tolerabiliore :
quod tamen ipsum etiam in illo adhaerescere, quantum in me est, non
patiar. Accusatur, ut naturalis quidem, sed malce tamen libidinis suasor et
leno quidam, propter ea quce referuntur in Xenophontis Convivio. Sed nec
ibi quidquam est, cujus bonum Socratem, aut illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur
convivis mirabilia, partim vice infame entre tous. Bien mieux, il
s’efiforcad’en detourner lesautres, comme Xenophon nous 1’apprend par
1’exemple de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu par la suite
l'un des Trente tyrans, avait voulu attenter a la pudeur
d’Euthydeme; lorsque son ancien maitre Bapprit: II a le prurit du
porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles qui lui attir£rent 1’animosite d’un
homme puissant et redoutable, ce qu’il lui eut ete facile d’eviter,
s’il n’avait mieux aime faire son devoir. 3g. Mais Xenophon me fait
songer a une autre accusation qui a ete egalement portee contre
Socrate; quoique moins grave, elle n’en est pas moins facheuse, et
je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui reproche, a 1’occasion
d’un incident rapporte par Xenophon, dans son Banquet, d’avoir excite ses
disciples a la debauche, ce qui serait pernicieux encore, [Concupiscit
ad Euthydemum se affricare quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xenophon,
Memorabilia). etiam periculosa, et horrorem quendam spectantibus
moventia, inter districtos gladios corpora saltu jactantium, aut in
figuli rota circumacta scribentium le- gentiumque. Non placent ea Socrati,
qui aptius convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov
T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad
tibiam edi motus et saltationes, eo habitu, quo Gratiae, Horae,
Nymphae a pictoribus exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc
quod Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus- picioni repugnat,
quod dicitur Ariadne illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce
autem profecto apud Grcecos nudce esse bien qu’i.1 s’agisse ici de
plaisirs conformes au vceu de la nature, et de s’etre fait, en quelque
sorte, entremetteur. II n’y a rien, dans ce passage, dont doivent
rougir 1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes viennent d’executer
devant les convives toutes sortes d’exercices extraordinaires,
quelques-uns tres-dangereux et propres a donner le frisson aux
spectateurs; on a vu les uns presenter leurs poitrines, en sautant,
a des pointes d’epees rangees en file; d’autres lire ou ecrire enfermes
dans une roue de potier mise en mouvement. Ces exercices deplaisent
a Socrate ; il pense qu’il serait plus convenable, au milieu d’un
festin, de voir des danseuses executer des poses, au son de la
Jlute, sous le costume que les pcintres pretent d’ ordinaire aux
Graces, aux Heures et aux Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce
qu’on a coutume de representer les Graces toutes nues. Mais ce
soupcon ne repose sur rien, car la danseuse qui parut alors,
habillee en nymphe, representait I Ob non solebant : nymphae in
insectis ab eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gratias decenter
vestitas contemplari licet in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant.
Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6. Movit forte eum, qui primus
crimen hinc excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel- latio, qua? inter
alia ad turpes figuras refertur, quales olim Philcenidis et Elephantidis
commendatas libellis fuisse constat, ut hic ejusmodi impudens
spectaculum suspicaretur . Sed tum interjecta de amore disputatio tum ipsa
perfectio exsecutioque consilii (c. g) suspicionem illam eximunt.
Aguntur Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in scenam nihil
veniat, pra?ter oscula et [De quibus Spanhem. de usu et Praest.
numism. Diss. Hic ay 7 jfi a est omnis gestus saltantium blandus, minax,
derisor. Vid. Lucia. de Saltat. extr. Apertior, simpliciorque, et
incautior adeo Xenophontis de his rebus oratio, quam Platonica : sed
cujus summa eodem pertineat, uti ab impura libidine ad sanctam animorum
conjunc- tionem homines revocentur. Ariadne, et les Grecs ne
permettaient pas le nu dans les roles de femmes mariees.
D’ailleurs, certains insectes imparfaits sont appeles nymphes precisement
parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-
pliquee de Montfaucon, que les Grecs, meme sur leurs monuments,
figuraient les Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance
contre Socrate cette accusation s’est peut-etre effarouche du mot
pose, qui, entre autres, est applique a des images obscenes, du genre de
celles qu’on rencontrait dans les livres de Philænis et d’Elephantis; il
a soupfonne Socrate d’avoir reclame un spectacle lubrique. Or,
ladiscussion surTarnour qui intervient alors, 1’execution et
l’ache- [Spanheim (De prostantia et usu numismatum antiquorum) parle de
tout cela. On appelait poses toute esp6ce de geste lascif, provocant
ou railleur, des mimes. Comparez Lucien, De la Danse Le dialogue de
Xenophon est bien plus franc, bien plus simple et bien moins circonspCct
que celui de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au
meme amplexus, cetera reservantur postsceniis. but, qui est de
detourner les hommes des plaisirs les plus impurs et de les rapprocher
dans une sainte communion des ames. Tales saltationes s.
repraesentationes etiam pars sacrorum erant. Apud Lucia. in
Pseudom. xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat Alexander, xai SaStyta?, xat
tepocpavxta; In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo? yapto; cum
Apolline item riooaXstpiOU xai pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; denique
SsXrJvr^ xai AXs^avBpou spto? Alexander ut Endymion alter xaOsuSwv
exsixo sv xw piato cptXrjtxaxa xs
eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat iqaav at 8a8ss, xay’ av xt
xat xwv utco xoXtcou sjxpaxxsxo. Apposui locum, quia hic etiam
7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum. vernent immediat du
divertissement qu’il avait demande, enlevent toute force a cette
conjecture. Les mimes representent les noces d’Ariadne et de Bacchus:
mais on ne voit rien de plus sur la scene que des baisers et des
etreintes amoureuses; le reste se passe derriere le rideau. Ces sortes de
danses et de reprdsentations faisaient partie des Myst6res. Dans lM
lexander seu Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, introduit comme
nouvel initii, passer par les 6preuves du dadouque et de
l’hi<5rophante. Parmi les scenes religieuses auxquelles cette
initiation donne lieu figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles
de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les amours d’Alexandre et
de la Lune. « Alexandre, comme un autre Endymion, etait couchd au
milieu du theatre; on dchangeait des caresses et des baisers. S’il n’y
avait pas eu D des torches en quantite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6
entrainer a faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. Cest un peu
ldger; cependant il n’y a rien la de bien obscene. Gesner aurait du
citer Lucien plus completement; ce passage du Pseudomantis offre un
tableau de genre exquis: Alexandre, comme un autre Endymion, etait
couche au milieu du thdatre, faisant semblant de dormir. II tombait de la
voute, comme du ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait
le role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant de
1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et Finem et effectum negotii
ita indi- cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci’.oovte;
T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv aTr-.ovTa:, 01
(j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01 oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci
xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj- Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim;
xojxojv xuy otsv. Tandem post blanditias quasdam, verecundas,
maritales, complexi se invicem sponsus et sponsa, i. e. manibus implexis,
vel brachiis mutuo cervici im- positis, vel tergo circumjectis,
velut cubitum discedunt: ab hoc spectaculo incalescentes, et ut
paullo ante dicebat, av£7iTEpo)|jiivoi convivae cælibes dejerant, se
ducturos esse uxores ; mariti autem equis conscensis domos festinant, ut
simili voluptate et ipsi fruantur. Utinam vero e spectaculis et
theatris hodie ita discederetur! utinam Socratis hac parte disciplinam
sequeren- tur publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere
debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,
iis echangeaient des caresses et des baisers. Xenophon indique de la
maniere suivante la fin et les resultats de l’histoire. Apres toutes
sortes de caresses honnetes et maritales, les deux epoux se tenant
embrasses, c’est-a-dire, je pense, les mains entrelacees ou les bras
passes mutuellement soit autour du cou, soit autour de la taille,
s’eloignerent comme pour aller se coucher. Echauffes par ce
spectacle et se sentant de furieuses demangeaisons, comme s’il leur poussait
des ailes, les convives encore celiba- taires /irent le serment de ne pas
tarder a prendre femme ; les maris monthrent a cheval et se
haterent de regagner le logis, pour gouter d leur tour de semblables voluptes.
Plut au ciel qu’aujour-d’hui on quittat les spectacles et les theatres
dans de si bonnes intentions! plut au ciel que cette partie de la
discipline Socratique fut pratiquee par les ediles preposes aux plaisirs
publics! Ce sont de tels divertissements qu’auraient du decreter
les empereurs Romains, soucieux d’exciter toutes les classes au ma principes,
cum de maritandis ordinibus, et sobole Romana augenda soliciti
erant: talia conveniebant nuper Lutetia? et Gallice adeo universae, quum
Ducis Burgtindice natalem nuptiis mille puellarum celebrarent: talia magnam
Britanniam, si quid veri habent quorundam qucerelce, Swiftiance
praesertim, quas eo loco protulit, ubi de abrogando clero disputat: aut
eorum, qui hodie peregrinos invitandos, supplendi populi causa. et
civitate donandos, censent. Nempe incidit aetas Socratis in ea
tempora, ubi civium paucitate laborabat exhausta bellis Persicis et
Peloponnesiacis Attica, cui etiam lege matrimoniali obviam ire, et
afferre remedium, conati esse dicuntur. Debemus notitiam hujus
legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte illius mentio extaret hodie,
nisi de duabus Philosophi uxoribus jam olim disputatum esset. Res cum
queestioni. de qua riage ct d’accroitre la posterite de Remus: iis
auraient convenu naguere a la ville de Paris et a la France entiere
lorsqu’on feta la naissance du duc de Bourgogne en mariant un millier
de jeunes falles; iis auraient bien fait Faffaire de la Grande-Bretagne,
s'il y a quelque chose de vrai dans ces plaintes dont Swift surtout
s’est fait l’e'cho et qui reclamaient 1’abolition du celibat despretres;
iis conviendraient encore a ces pays ou l’on attire les etrangers en
leur conferant les droits civiques pour suppleer au petit nombre
d'habitants. Socrate vivait a une epoque ou 1’Attique, epuisee par
les guerres des Perses et du Peloponese, souffrait de ne plus avoir
qu'une population clair-se-mee; on dit menae que les Atheniens s’efforcerent de
remedier a cet etat de choses par une nouvelle loi touchant lesmariages.
Nousdevons l’unique renseignement que l’on ait sur cette loi a Socrate,
car il n’en subsisterait aujourd’hui aucune agimus conjuncta sit,
illam, quam breviter jieri potest, expediemus. Duas So- crati uxores
vulgo tribui videmus, Xanthippen e qua Lamproclem susceperit, et Myrto,
Sophronisci atque Menexeni matrem. In hoc conveniunt Cyrillus
(contra Julia) et Theodoretus (Grcecar. Affect. curat) ac Diogenes
Laertius. Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por- phyrio,
7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in ipsius amplexus venisse ; quod
plane repugnat Platoni et Xenophonti, qui nullius conjugis prceter
Xanthippen, justam uxorem, mentionem faciunt : tum Theodoreto, qui tamen
ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non tantum pro
TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav Xa6sTv, induxisse priori
uxori, ut pereat illa secreti, et furti amatorii notio : sed etiam
addit, solitas esse eas mulieres inter se depugnare, deinde pace facta
conjunctim impetum facere in Socratem ideo, quod is bella illarum non
dirimeret: hunc vero utrumque genus pugna:
mention sans la controverse autrefois agitee au sujet de ses
deux femmes. Comme cette question tient a notre sujet, nous la discuterons
bridvement. On donne communcment a Socrate deux femmes : Xantippe,
dont il eut un de ses fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de
Sophronisque et de Menexene. S. Cyrille, Theodoret et Diogene de Laerte
sont tous les trois d’accord la-dessus. Mais S. Cyrille, empruntant ce
detail a Porphyre, dit de Xantippe que son mariage avec Socrate fut
clandestin, qu’elle se cachait pour 1’embrasser, ce qui contredit
absolument Xenophon et Platon, puisqu’ils ne parient d’aucune autre
femme que de Xantippe, epouse legitime de Socrate. Theodoret, qui lui
aussi dit tenir de Porphyre ses renseignements, change 7iepi7tXoaEiaav
XaOsTv en npovnXxxsT- aav XafleTv et declare ainsi que Socrate
introduisit Xantippe chez sa premi^re femme, ce qui ruine toute cette
histoire de mariage secret, et de furtifs baisers; bien mieux, il
ajoutc que ces deux mecum risu speci are consuevisse. Utri fi dem habebimus? Sed
nondum est finis discordiarum. Theodoretum si audimus, induxit Xanthippen
suce jam Myrto Socrates: sed Laertius negat convenire inter auctores,
utram prius duxerit. Idem ait, simul ambas habuisse Socratem, a quibusdam
esse traditum. In hac sententia etiam fuit auctor Dialogi Halcyon,
qui inter primos Lucianeos editur, in cujus fine Socrates dicat, se
Halcyonis amorem in maritum suis conjugibus Xanthippee et Myrto prcedicaturum
esse. Antiqua porro esse illa relatio memoratur Callisthenis, Demetri
Phalerei, Satyri Peripatetici, Aristoxeni Musici, geres se battaient
continuellement, puis la paix faite, tombaient a poings fermes sur
le pauvre Philosophe, en lui reprochant de ne les avoir pas separees:
pour lui, il restait simple spectateur du combat et voyait donner ou
recevait lui- meme les coups en souriant. A qui faut-il s’en rapporter,
de S. Cyrille ou de Theodoret? Et nous ne sommes pas au bout
de la querelle. Dapres Theodoret, So- crate epousa Xantippe, dtant deja
marie a Myrto; mais Diogene de Laerte af- firme que les auteurs ne
sont pas d’accord et qu’on ne sait qui des deux il epousa la premiere. Il
dit aussi qu’il les eut toutes les deux ensemble, et sur quelles
autorites repose cette assertion. Elie a ete accueillie par 1’auteur du
dialogue intitule Alcyon, imprime en tete de ceux de Lucien; on y voit
Socrate proposer en exemple a ses deux femmes, Xantippe et Myrto,
1’amour d’Alcyon pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris- i Hieronymi
Rhodii, apud Plutarchum (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi
auctorem fuisse ait Aristotelem in libro de nobilitate, (rapi s-jyevsia;)
qui tamen liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubitat : narrant autem
ita, Aristidis neptim Myrto, vidua cum esset et paupercula, domum
ductam a Socrate, eique cohabi- tasse, licet aliam uxorem
habenti. At non licebat a Cecrope inde Athenis plure s una habere
uxores. Qui sit igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores
objecerint digamian Socrati? Hic nobis narrant Athenaeus et Laertius
legem, latam supplenda 1 multitudinis civium causa. Exstabat Athenceo
prodente ipsum decretum a Rhodio Hie- ronymo conservatum, wax' si-eivat
xai ouo ET L’AMOUR GREC I i q tide) rapporte que cettc opinion
etait ancienne, et qu ; elle fut partagee par Callisthene,
Demetrius de Phalere, Sa- tyrus le peripateticien, Aristoxene le
musicien et Hieronyme de Rhodes; Athenee dit de son cote qu’ils
Tavaient tous puisee dans le Traite de la No- blesse d Aristote,
livre dont cependant Plutarque doute qu’Aristote soit l’auteur. Tous
racontent que Myrto, pe- tite-fille d Aristide, etant veuve et se
trouvant dans une extreme pauvrete, fut recueillie par Socrate dans sa
maison et qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut deja marie. J
Les vieilles lois de Cecrops inter-disaient cependant a Athenes les
doubles unions. Pourquoi donc ni les poetes co- miques, ni les
accusateurs de Socrate ne lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de
bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et Diogene de Laerte nous parient
de cette loi nouvelle, edictee, disent-ils, dans le but d’accroitre
le nombre des citoyens. SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum
haec male accusaretur Socrates, qui et legi paruerit de augenda
sobole Attica, et Aristidis progeniem viduitate et pauper- tate
extrema liberaverit. Verum enim vero totum hoc de duabus Socratis
uxoribus, quin de lege maritali etiam falsum esse, prcesertim ex
dissensu commemorato, itemque ex Platonis et Xenophontis silentio
arguit Bentleius. Et habet, quantum est de monogamia Socratis,
magnum auctorem Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui cum
retulisset eam quce modo proposita est de Myrto narrationem, satis
illam refutatam ait a Panaetio: cujus si opus hodie extaret,
facilior forte hodie esset causa Socratis, quem tamen a turpi pue- [In
Dissertat, de Phalaridis et exteror. Epistolis, ET l’aMOUR GREC Athenee
s’avance jusqida dire qu’il y avait un decret, conserve par
Hieronyme de Rhodes, et ainsi concu: « 11 est permis d’avoir jusqua deux
femmes. Si cela est vrai, on accuserait mal a propos Socrate, qui
n’aurait fait qu’obeir a la loi portee en vue de repeupler
1’Attique, et qui de plus aurait sauve du veuvage et de la
mis&re la petite-fille d’Aristide. Mais vraiment Phistoire des
deux femmes, tout aussi bien que celle de la loi matrimoniale,
paraissent en-tachees de faussete a Bentley; il se fonde surtout sur le
desaccord que nous avons signale et tire une grande preuve du silence
de Platon et de Xenophon. Nous avons, pour ce qui est de la monogamie de
Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont Plutarque fait le plus
bel eloge; apres avoir rapporte ce que nous avons dit de Myrto, il
ajoute que cettefable a ete suffisamment refutee Dissertation sur
les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE rorum amore, et a lenocinio turpi, et
a libidinosa digamia, vel sic satis liberatum esse confido. ET L AMOUR GREC par
Panaetius. Si nous possedions son livre, la cause de Socrate serait
aujourd’hui plus facile a defendre; je pense cependant avoir prouve qu’il
ne fut ni un corrupteur de la jeunesse, ni un provocateur a la
debauche, ni un bigame libertin. Alcibiade; ses avances repouss^es
par Socrate. Ame, comparde par Platon a un attelage ai!6 classification des ames suivant le degrd
de connaissances acquises avant la vie, p. Amour
philosophique, raisons qui dirigent les choix dans cette
sorte d’amour les impuretes ou il peut s’egarer Analyse du Lysis,
dialogue de Platon du Phedre du Banquet Beaute morale et Beaute physique
-- Bigamie; Socrate eut-il deux femmes? la bigamie etait-elle
autorisde en Grece ? Cohorte sacree des amants, a Thebes et
en Crete -- Inspires; couples d’amis Minies; leurs exercices et poses
plastiques -- riaiospaatsta, le mot et la chose pouvaient etre pris
en bonne part, chez les Grecs Peines portees par les Grecs contre
les infames Pronostics tirds par les physionomistes de la voix
forte et grave de lencolure courte des oreilles velues -des grosses
levres -- du nez camard des yeux saillants, Representations mythologiques
et divertissements dans les festius dans les mysteres effets singuliers
produits parfois sur les convives par ces representations, p.
m. Socrate; motifs ordinaires des accusations portees contre lui pourquoi
il recherchait les beaux garcons son portrait physique Socrate
l’ Ecclesiastique; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe Sparte
; coutume rappor- t6e par Elien -- les amours impures y etaient
ignorees Paris. Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele
Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma,
Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giannetti:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del corposcolarismo
– filosofia carrarese – scuola d’Aulla – la scuola d’Albano di Magra -- filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo carrarese. Filosofo toscana. Filosofo
Italiano. Aulla, Massa-Carrara, Toscana. Grice: “I like Giannetti; for one, he
is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at
Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street
(‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered
heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation
of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando
lascio la cattedra, gli successe Grandi.
Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi,
che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa
da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo. N C. Preti, Dizionario Biografico degli
Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica
e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di
filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui
ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a
sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. È e'di Albiano
di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra
sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini,
cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI
e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia
corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li
Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi
sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che
G. è tenuto per uno de'più arditi e co raggiosi sostenitori degl’insegnamenti
novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosi filosofanti, ma in particolar
modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo III de'Medici, fecero
in grave sospetto cadere di errori di religione G. non solo, ma quasi tutta la
Pisana Università. Per tale cagione, sendo state forti let tere scritte e
minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia democratica,
G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le
dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo
la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente
costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te filosofava su i
nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di Galeno,e men tre
con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche spiegavà, senza
punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al trui cabale e
leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva. Moltissimo ancora si
adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Tilli per ogni maniera di
lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambescari di Pontremoli
suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio Pisano e
Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre fece
minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più efficace
di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró Viri Paschasii G.
Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem. Professoris
logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis
temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit Concesserat Aun. S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non
posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli
scritti di questo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente
d'illustrare sua patria, e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata
inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon
coltivatore della poesia. Que stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo
Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre
Malpighi, dove si dottorò verso la fine del si estrarre il sale catartico
a guisa di quel d' In ghilterra, se non venisse incautamente adulterata.
Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli
uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i
vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e
vivendosi fino alla vecchiezza, dopo anni di lettura in quella università, muore
in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella
terra, fugliper Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se
polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove
parla di G.: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae
comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam
a docendo vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in
Lunigiana. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli
medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana
e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente
meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di
G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto
Marchetti, Bellini e Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che
di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, G. attinse da G. Del
Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo
pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con
esigenze di ordine pratico. Laureatosi in filosofia (promotore e il Del
Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica e filosofia naturale.
Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico,
dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò una reazione generale
della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate
arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei
possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme
con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di
non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di
Fabroni, G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto,
in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i
contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di trasferire
G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni
domiciliari di filosofia. Come lettore di questa disciplina medica, il G.
mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno".
Lesse gli Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che
privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel
commentarli continuò a seguire i novatori. In particolare, a quanto
sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in
lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito
la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei
diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle
qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le
quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre
camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che Grandi solea
frequentemente conversare nella casa del G.), ma, a differenza di Grandi, il G.
non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica,
tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto
matematico e punto fisico. G., insieme con Bresciani, G. Averani e altri,
fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere
di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne
fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo
(Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiæ novo-antiquæ r.p.
Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni), che segnò una nuova
occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di
Firenze. Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M.
Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae), del confratello
T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo
sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio
fiorentino. Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso
profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato
dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti, ci informa che
"già da alcuni anni" G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni
pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni di filosofia. Cerati
attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del corpo, ma l'Ortes
attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è
la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze, loggia
che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi. G. muore a
Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi
giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem
conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS). Per
la collaborazione do G. all'edizione fiorentina delle Opere del Galilei vedi le
lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi; sei
lettere del G. a Grandi e alcune note di argomento fisico; Acta graduum
Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di Grandi, Venezia G. Soria,
Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis,
Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano; Carranza, Cerati
provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme, Pisa, Storia
dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di Bonducci, Roma, Livorno,
Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature
corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giannetta -- search – another time?
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giannone:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della terza Roma – e
l’implicatura ligure – scuola d’Ischitella – filosofia foggese – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo foggese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano.
Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta
terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he
meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if
ingenious ones!” “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le
anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse
fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente
da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il
paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben
presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento,
che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu
essenziale per la sua formazione. I suoi interessi non si limitarono
soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici
e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria
civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la
Chiesa per il suo contenuto. Costretto a riparare a Vienna, ottenne
protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire
indisturbato i suoi studi filosofici. Il suo tentativo di rientrare in
patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo
di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a
trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città,
rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso
la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un
altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il
regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione
delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio
della Savoia, ove fu attirato con un tranello. Rimasto nelle prigioni
sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la
libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei
suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della
Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme
fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri
proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a
riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi
riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado
civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante
della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle
nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Nel
Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta
la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno
papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche
a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del
male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso
un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale
raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno
Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante
un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una
forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come
fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti
scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di
Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis. Nella Storia della colonna infame, Manzoni
dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che
anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come
filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle
opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo
e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe
scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia
o sterilità di mente, e certo raro il coraggio. Altre saggi: Autobiografia:
i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici
sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del
pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di
Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier,
G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del
Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli,
Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini,
La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO
(Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana:
autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano,
Ricciardi, Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole
degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati,
La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e
illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/
giannone. htm. De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come
sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare,
sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando
de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù
e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa
amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non
tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS
VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM
DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano
i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed
ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a
sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte
d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose
aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed
insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine
o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E
perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO,
PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri
erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o
sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed
occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle
mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i
liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli
STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI,
i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati
fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i
quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio
console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi
perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini
ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove
dimorano ciascuno nel proprio distretto. E fra le città son da considerarsi alcune
antiche ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO
in XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di
quà del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città
marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a
questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non
lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città
antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la
religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia
de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella
di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni
credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA
ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata
pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del
fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re
di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO
GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona,
Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii.
Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA
DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio
monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano
divide l'Italia per mezzo, avevano i liguri di qua e di là d e l monte medesimo
nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona, Iria, Barderate,
Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri vagienni.
Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto lontana dal
monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’ ROMANI. NON
CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo stesso
ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di principi e
capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò esser
decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella Liguria
tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui città de’ ligur
istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso l'Appennino [H. P. GRICE –
SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu dagl’antichi geografi chiamata
Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii posta nella Gallia Narbonense, e
per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati ivi vestigi di sua memoria e
beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè rapportasi il primo tra questi
essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio, poi innalzato alla
cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due uomini insigni che
la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al
quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte,
da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é
somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo
poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi
De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte
di là del Tanaro,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri
statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non
lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi
duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio
di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi
onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua
cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti
monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua montuosa
Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai
salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza
dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui sestia
de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi
longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti
come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla.
I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione
d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi,
anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e
Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche
Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM
STIRPE, egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi,
sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua
antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di
essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con
altre forestiere nazioni, non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro
de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide
navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della
Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza
di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono
le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano
loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria,
discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii,
avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri
levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER
ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se
dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser
piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di
Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti
anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto
maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si aggiunge
che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO, Torino e
già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi hanno
allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli
coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso
rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri
e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città
de'massiliesi soci de’ romani,e non già i campi di Torino, la qual città perciò
non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli
chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa
è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti
erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle
schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente
dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri
antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per
chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi
popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che
perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia
Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i
liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone,
Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per
distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà
le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per
lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente
dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di
Annibale co’ suoi cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche
Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da
questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia,
gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese,
tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano.
E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando
questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione
all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio
da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo
che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era
stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO
ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE,
STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee
riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE
LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara
anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola
derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA
che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal
tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti
altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato,
l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore
ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI
TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè
questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè
prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I
romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili
in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a
ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio
diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle
isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani.
Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro
i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe
certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci
manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES
TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO
stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è
facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i
liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica
quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO
nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per
insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti
dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo,
sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei
consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino
ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua
dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e
sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di
risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori
consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni
de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo
infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e
dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA MILITVM
AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI NOMINIS
IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO FVGIENTIBVS
PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI LIGVRES FINEM
QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo del suo esercito:
NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE POTVIT NAM SALTVS
VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori sono gli sforzi
ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio che pugna contro
i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve, dice Livio, e
già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se non quella de’
liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni per poter
abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non sotto L.
Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà, con
potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria,
siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto
verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le
genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti
primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli
poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche
della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il
quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro
popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali
si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria,
il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe
pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani
dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato
Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per
discacciarne i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il
capitano supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI
QUESTI INVIARE NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella
Liguria, egli fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI
DELLA LORO LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe potuto unendo l’armi
liguri alle sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio
fino alle mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO
SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani,
die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma
riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese
la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere
state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i
greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro
peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti
mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile
a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano
inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti
che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo
polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco, se non il ligure COLOMBO? Quanto ben
gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à lui
quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile TORQUATO
assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla grandezza
d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento
All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè
l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più
grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila
angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo
centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la
guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente
destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere
a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il
procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia
diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando.
Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici
latini e italiani. Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se
marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori
figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e
Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per
abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il
suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si
trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso
Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela
fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI,
che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi
destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno
austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del
Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile
del Regno di Napoli. Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì
un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando
divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata
contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In
risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G.
pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro
in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno
all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il
Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la
marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per
gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e
vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote
dell'Aulisio, Ferrara, arrestato due
anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come
compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei
quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo
pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo
richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta
fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto
più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli
interessi che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le
opere sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato
nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi
giuridici e storici. Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo
nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per
potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo,
detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Battista e Niccolò
Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre di
più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico
soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G.
fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico
Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché,
nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al
dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di
rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria
civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100
esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale). Scritta con lo
scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA
CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi
documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione,
esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE dell'Impero romano sino al Vice-regno
austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione
direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi, in
particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi),
nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella
Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e
politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il
procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel
capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa,
rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie
l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi
del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello
Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie
necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i
primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine.
Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai
Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G.
accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo
l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei
confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla
dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto
quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno
come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL
MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le
dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che
ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei
barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici
di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia
per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di
restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio
spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso
Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno.
L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel
quale il ceto civile ripone le proprie speranze. L'Istoria e dunque
un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente
sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e
organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e
proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia
meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica
per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e
sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del
Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento
verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende
l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche
l'ostilità di Roma verso G.. Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti
-- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della
città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le
polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha
ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva
chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta
argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a
tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta
atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza
necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del
Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i
provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio.
Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro
G. e la vendita dell'Istoria. La situazione volge al peggio al momento
del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero
napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la
pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la
città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice
della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a
scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto
anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione
dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella
che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA
RITORNO. Raggiunta in incognito
Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una
villa del fratello di Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di s.
Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a Lubiana
e giunge a Vienna. In questa città G. presnde subito contatto con alcuni
esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e il
bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria all'imperatore
Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla
curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile, G.
ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del concubinato de’
Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione alla fede di
Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De' rimedi contro
le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi
in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide
e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire -- che
confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La posizione di G. sembra
migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la scomunica e revocata e G.
ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione
annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli non riuscì, però, a
ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di
tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di fermarsi a Vienna e
si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia appareno diverse
confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia di quanto
l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici
della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Vitagliano
pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti
su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di REGGIO,
in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il criticarlo. G. e allora
costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta.
Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del
Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio si tratta di un
lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un primo tempo decide
di non replicare. Ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf, nei dintorni di
Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera conosce una vasta fortuna,
testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segna la definitiva
rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta di G. fa seguito alla
pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria civile di Napoli (Napoli)
di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente della parte più moderata del
giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione di G.
Fallite le speranze di ottenere un incarico a Vienna, G. riprende l'attività
forense. Oltre a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, scrive
il Ragionamento a Pilati in cui difende i diritti di quest'ultimo alla nomina, poi
non avvenuta, a vescovo di Trento dopo la morte di Gentilotti e il saggio De'
veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano
nel tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale
della Monarchia di Sicilia. Risalgono dopo due saggi: la Breve relazione de’ Consigli
e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Castelli, e le
Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano e sottoposto
al regio exequatur, come tutti gl’altri arcivescovadi del Regno, saggio scritto
su incarico della Città di Napoli. Nel frattempo, continua la fortuna
europea di G. e dell'Istoria. G. comincia a corrispondere regolarmente con
Liebe e i Mencke, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive
la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis
nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni
creduta coniata in Napoli, che, tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum
sui temporis” di Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per
la sua conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella
filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il
principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i
più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste
sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il
progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a
Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il
Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia
la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al
popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun
riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a
ENEA -- e, dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno
celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea
della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari,
mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in
parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i
fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni
mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --,
riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del
Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento
evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE
IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della
superiorità rispetto allo stato mondano, temporale. Nella composizione del Tri-regno concorrevano
diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con
cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana,
per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia
ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre -
l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile -
ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a
Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca
(particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle
Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes
sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo
senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le
Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi
secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea
di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata
criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di
Mosheim). Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria
civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale,
dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico,
affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più
"istoria civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente,
fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana
muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a
entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno. Si impede così la
pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la
diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli
archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano
in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad
Amsterdam. La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone
determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con
ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche
G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere
solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli
rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le
trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale
veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia
con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri.
Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione
dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile
cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In
realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo,
Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare
sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia, Oddi, fa pressioni sul governo della
Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per
screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica
veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi.
La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile.
G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del
Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a
Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche
questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera. Dopo
oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato
sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la
casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su
un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi
fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese,
sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A.
Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento
ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si
reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto
della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran
cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro
di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che
Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani,
offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un
concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro -
aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino
parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano
per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio
sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e
in contatto con l'editore Bousquet, che
annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da
l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a
Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al
calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue
precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese
dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet.
Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore
Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che
G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e
pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in
territorio sabaudo e arrestato. Ormea da disposizioni per l'arresto al
governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del
rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine
esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso
il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui
fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna
la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro
savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In
questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone
Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G.
accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di
Vésenaz. Si trasfere a casa di Gastaldi.
Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e
arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso
Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo
ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da Sedelmayer) andava di paese in paese urlando
di aver catturato "un grand'uomo". Giunto a Chambéry Gastaldi
consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento
nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i
prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il
marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al
quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma,
ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di
Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano
sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto,
perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.
Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da
lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi
sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per
l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello
stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi,
a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del
Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve,
bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio,
e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi.
Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi
errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano. Il testo
dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che -
contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A
convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in
libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite
al conte Magistris, governatore del forte, sono per la migliore sistemazione
possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione detta "la
speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e
chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno, purché
non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte, e puo
leggere e scrivere, purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino.
Nel tempo di prigionia cebana G. termina i Discorsi sopra gli Annali di LIVIO
(si veda) e scrive altre tre saggi: l'Apologia de' teologi scolastici,
l'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda), e L'ape ingegnosa. In esse
riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi
scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e sottoposta a UNA VERA
DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda).
Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, e una vera
e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte dove
essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori libertini, in
particolare di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historia di
Plinio il Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e
complesso zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra le
opere di natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici. Nonostante
la prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono aparsi i
suoi libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques
contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son
établissement jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile, curata da Bochat
e Bentivoglio, pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa indicazione d’Aja.
Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità
ecclesiastiche, a Ceva G. entra in
contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura
di alcune allegazioni forensi. A causa dell'avanzata delle truppe
franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di
successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un primo tempo le
condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più dure: il
governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini particolari
per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile a quello
riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il
Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia al
sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui
lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le condizioni
della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non e passato
inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con personaggi della corte e
della cultura, come i bibliotecari dell'Università Ricolvi e Rivautella, e,
soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi libri della propria
biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale
tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi
scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi. L’interesse destato da G.
suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il nunzio a Torino, Merlini,
protesa presso il sovrano, il quale gli
assicurò che le condizioni del prigioniero sono divenute più severe.
In realtà G. continua a scrivere e a ricevere libri da Villettes e da
Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una lettera ad Ormea che
sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente composta non e esaudito.
Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S.
Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa e distrutta. Altri saggi:
“Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con bibliografia, in cui sono
comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del
Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre opere del carcere e alcune
lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano; Triregno, a cura di
Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di edizione, nuovi
reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del Triregno, cur. Ricuperati, in
L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione. Studi in onore di Diaz, a cura di
Alatri, Roma; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un
testo inedito di G., cur. Denis, Archivio storico italiano, Delle altre opere
del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa,
overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a
cura di Merlotti, Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario, a
cura di Minervino, Fasano; Lettere autografe, cur. di Minervino (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto
affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino,
Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a
cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze
di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato
arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi
austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche
bibliografiche, Bari; Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G.
riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e
documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e
religiosa di G., Milano; G. e il suo
tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, Risorgimento ghibellino: Ferrari
lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del Re. La
lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana; Ricuperati,
G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress on
the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The
Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli"
di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche,
Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel
pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church (you
know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’
by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the
Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone.
Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi –
Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --.
Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Giavelli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- semantica del segnare -- segnante e segnato – filosofia
fortinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana --
Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo torinese. Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an
Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which
I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented
on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro
Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de
immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi
stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII,
esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in
"Angelicum", DBI.Casale Monferrato. Crisostomo Javelli was born
in 1470 c., presumably in Piedmont, joins the Dominicans. On G. see GILSON,
Autour de Pomponazzi: problématique de l'immortalité de l'âme en Italie,
Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age; TAVUZZI, G. OP A
Biobibliographical Essay: Biography,
Angelicum, G. A Biobibliographical Essay: Bibliography », Angelicum. G. is the author of a Compendium Logicæ. The structure
of G.’s work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also NICOLETTI
(si veda)’s Logica Parva (unlike NICOLETTI (si veda), however, G. does not deal
with obligations and insolubles. The Compendium deals with the following
topics: Introductory remarks, which include a short history of
logic; terms (this part corresponds to the doctrine dealt with by
Aristotle in De Interpretatione); propositions; the five
praedicabilia (this section corresponds to Porphyry's Isagoge); the
antepraedicamenta, the doctrine of the categories (praedicamenta), and the
postpraedicamenta (this treatise, as is clear, corresponds to Aristotle's
Categories); syllogism; supposition theory; ampliatio and
appellatio, i.e. changes in the supposition of a term and changes in the
tenses of verbs; theory of consequentiae; de probatione terminorum
(this treatise deals with the ways in which it is possible to show the truth,
or the probability of a proposition); demonstrative syllogism (this part
aims at expounding what Aristotle says in his Posterior Analytics). The
treatise is published in in Venice. The Compendium is rather successful, and goes
through many editions. G. has many teaching positions within the dominican order
and, most probably, he writes his Compendium logicæ for didactic purposes. The
tendency to systematize the new logic of the late medieval authors and to
present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in SAVONAROLA
(si veda)’s Compendium. G. is also influenced by the humanists, inasmuch as his
treatises draw attention to the linguistic, and historical context in which
ancient logic arose. If VALLA (si veda) criticizes NICOLETTI (si veda) for the
latter's unfamiliarity with the Greek language, G. dwells on the etymology of many key terms of
logic, and shows a certain familiarity with both Greek and Latin. In his
historical section, G. maintains that Socrates and Plato are not strong
in answering and solving because they did not have logic, even though
they were strong in asking questions or in raising doubts » (licet potentes
essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen ad respondendum et solvendum
propter logice carentiam). Logic is founded on its proper grounds by Aristotle,
for whom Javelli has words of deep admiration: Hence, the Author of
nature gave us Aristotle, who first discovered true logic with his almost
divine mind and organized and brought it to completion in all its parts, so
that we could discover the true rule of knowing that guides the human mind in
arts and sciences." TAVUZZI, G. OP Logicæ Compendium LIZIO,
ordinatum per G. Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de
Colonia, Olvssipponae henceforth, G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ Ut
igitur vera sciendi regula directiva humani intellectus in artibus et scientiis
inveniretur, datus est nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene
divino ingenio primus logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit
ac perfecit. These words implicitly show the ideological background of the
Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic logic. Javelli was
aware that many topics of his treatise had not been discussed by LIZIO, but he
nevertheless thinks that these doctrines are at least Aristotelian in spirit.
When G. introduces the theory of suppositio, in the seventh treatise of his
textbook, he states that doctrines like the suppositio are consistent
with Aristotelian philosophy, even though Aristotle did not propose them, and
this will be clear to you once you progress in logic, philosophy of nature and
in metaphysics under the guidance of the LIZIO. G.’s attitude in finding an
agreement between the doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of
later thinkers has been already underlined by Tavuzzi, and may be said to be a
trademark of his Compendium. After his sketchy history of logic, G.
defines logic as a rational science® and states that its generic subject is
mental being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the
" ens rationis ratiocinativum, quod est idem quod argumentatio.This
remark echoes BARBÒ (si veda)’s claim that the object of logic is the ens
rationis, but G. seems to harmonize the AQUINO (si veda)’s solution with the
position of Albert the Great, because the ens rationis is qualified as
ratiocinativum and this is said to be identical to argumentatio. According to BARBÒ
(si veda), Albert the Great taught that the object of logic is 'arguments.
BARBÒ notices the similarity with what he took to be Aquinas's position, but
stressed nevertheless the difference between the two medieval Dominicans. G.
implicitly unifies their positions. According to G., logic is a science
and not empirical knowledge, because it has proper subject and proper
principles: the presence of these two elements is enough to hold that it falls
under the rational sciences, and is divided into sub-disciplines according to
the scheme that Aquinas introduces in the Proemium to his -- etsi non
habeantur ab Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi
constabit postquam in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in
physicis atque metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf.
TAVUZZI, Herveus Natalis and the Philosophical Logic of AQUINO (si veda) in the
Renaissance, Doctor Communis, G. Compendium logicae -- llogica est scientia
rationalis discretiva veri a falso ». Javelli adds that logica est ars artium
et scientia scientiarum, qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie
clauduntur; this statement echoes Peter of Spain's claim that dialectica est
ars artium, scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens (Petri
Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione,
apud Sansovinum, Venezia -- subiectum in illa universalissime sumptum est ens
rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse extra
intellectum -- commentary on the Posterior Analytics.8 In his treatise on
terms, G. stresses that terms signify ad placitum, and that verbs are always
tensed. G. has something interesting to say about
propositions. According to him, a proposition 1s omething s (oratto verum
vel falsum signtcans Indicando s) the Clause 'indicando' is meant to
exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set of propositions. G. adds
that only present tensed propositions are propositions in the fullest sense,
because past-tensed and future-tensed utterances do not signify anything that
is the case or that is not the case, and thus cannot be true or false:
The phrases (orationes) in the past and future indicative tenses do not signify
primarily and per se 'true' and 'false', unless they are transformed into a
phrase in the indicative present tense.' This is not sufficient evidence
to suggest that G.'s understanding of propositions is analogous to SAVONAROLA
(si veda)’s and, regrettably, G. does not add many details to his definition.
In the same third treatise, G. deals with modal propositions as well, and in
this case the didactic aim of his exposition could not be more evident. He
deliberately avoids all technicalities and limits himself to stating some basic
principles of modal logic: modal propositions are defined as categorical
propositions to which a modal operator has been attached as a prefix.
There are four modal operators for G.: necessary, contingent, possible, and
impossible." G. maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by
doing so he refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by
Aquinas in his De propositionibus modalibus. G. adds that also 'per se' and
'per accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent'
respectively: Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de
necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non>
sunt formaliter modales."2 Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione. This claim, although consistent with Aristotle's
littera (cf. De Interpretatione), is at odds with Savonarola's exposition. This
suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there were several debated
issues. G. Compendium logicæ Orationes etiam modi indicativi temporis
praeteriti et futuri non significant primo et per se verum et falsum, nisi
reducantur ad unam temporis praesentis indicativi. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it
intelligible. This observation seems to suggest that modal syllogistic is
grounded on Aristotle's theory of predication. G., however, does not expand
this interesting intuition. Furthermore, even though he is aware of the distinction
de sensu composito/de sensu diviso, he does not consider the problems that such
a distinction may create within modal syllogistic.' His exposition of modal
logic is intentionally simplified for didactic reasons; after having expanded
modal conversions, Javelli adds: that would be enough for now, lest you get
confused, young man (hæc pro nunc sufficiant ne tu iuvenis confundaris. The
tendency to simplify the core notions of medieval logic brings sometimes G.
to modify significantly these doctrines, as is the case in his supposition
theory. Medieval authors did not understand the theory of suppositio as a mere
theory of reference, but as a theory of meaning, namely as a theory for
interpreting sentences. G., on the contrary, seems to consistently maintain
that the supposition theory is what we would nowadays call a theory of
reference." According to him, the supposition is said to be
the positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings.
In this sense, we say that in this utterance 'God is good', the It
is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an
increasing consensus among contemporary scholars: cf. Thom, The Logic of
Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer,
Dordrecht The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the History
of Philosophy); MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic, Harvard, Cambridge,
MA The laws of conversions for necessity propositions are valid de sensu
composito; mixed necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the
modal operator is read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's
modal logic is inconsistent. G., however, seems not to be aware of this
philosophical problem. His exposition of the distinction between de sensu
composito and de sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito
modus aut praeponitur aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de
sensu diviso modus nec praeponitur nec postponitur dicto, sed 95
mediat inter partes dicti. G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ According
to NOVAES, suppositio provides mechanic rules, by means of which we can list
all possible interpretations of an ambiguous sentence. The theory of the
suppositio may also serve the purpose of finding the references of the elements
of a sentence in certain context; writing about Ockham, Novaes observes that
supposition theory is better seen as a theory of propositional meaning in the
sense that one of its main purposes is to provide an analytical procedure for
determining what can be asserted by means of a given proposition - a procedure
including, but by no means limited to, the determination of the entities that
the proposition may be about, i.e., its possible supposita, as it would be the
case if it were a theory of reference (An Intensional Interpretation of
Ockham's Theory of Supposition, Journal of the History of Philosophy, Geach
presented supposition theory as a theory of reference in his classical
monograph Reference and Generality. An Examination of Some Medieval and
Modern Theories, Cornell, Ithaca, NY Contemporary Philosophy] term 'God' stands
for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is
good.'8 Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter
of Spain and by MANTOVA (si veda), but in his view the supposition theory is a
theory of reference: A substantive term in or outside a proposition,
taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a
proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes to have a
reference For to signify is to introduce a term or a sound to represent a given
something. As a consequence, it is up to the first authors who give names to
things to make it possible to signify. To have a reference is to take an
already given meaningful term so that it can refer to any of its meanings or
references in a proposition. 10° According to Javelli, 'supponit' may be
translated with 'refers to a suppositum. G. is faced with two alternative
interpretations of the suppositio. But surprisingly, he endorses the one that
is more at odds with his understanding of suppositio as a theory of reference. G.
writes that Thomists are debating among
them as to whether a term can suppose (supponere) only in a proposition or also
in itself. G. maintains that a term supponit only in a proposition - a
conclusion that is certainly more consistent with an understanding of
supposition theory as a theory of meaning, 'G. points out that this debate
originated from the interpretation of AQUINO (si veda), Summa Theologiæ. G. summarises
AQUINO (si veda)’s position as it follows. In his answer to the
third never refers to a person, unless the word is determined by its
corresponding predicate, such as in 'God TAVELLUS. Compendium logicæ,
dicitur suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo SVO
SIGNIFICATO.In quo sensu dicimus quod in hac oratione Deus est bonus, ly Deus
ponitur PRO SUO SIGNFIICATO, ut sit sensus, id quod significatur per 'Deus' est
bonum -- terminus substantivus in propositione et extra propositionem per se
sumptus SIGNIFICAT, sed non supponit nisi in propositione. Pro
cuius notitia adverte quod SIGNIFICARE precedit supponere. Nam SIGNIFICARE est
imponere terminum sive vocem ad aliquid certi REPRESENTANDVM. Unde facere
significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. Supponere
autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in
propositione pro aliquo suo significato vel supposito generates, God is Father,
God is Son. Hence means (significet) a substance
with a quality, a name properly means (significat) a quality, i.e. the form on
the basis of which the name is attributed; however refers to (supponit) a
substance, i.e. to the thing to which such name is attributed. This leads
Capreolus to maintain that this is false: God does not generate God (ista
est falsa Deus non generat Deum). 104 If we were to follow G.’s view, it
is possible, I think, to maintain that a proposition like Deus non generat Deum
may also be TRUE, inasmuch as the term Deus in this context may be taken to
refer not to a person. Consequently, it would be true to say that god, qua trinity,
does not generate god, qua trinity. This example shows that G. has original
ideas, even though he never wants to explicitly detach himself to the core
tenets of that Thomistic school to which he belonged. -- in responsione ad
tertium dicit quod homo per se supponit pro persona, Deus autem per se supponit
pro natura. Plostquam beatus AQUINO (si veda) dixerat quod Deus supponit per se
pro natura, statim declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem,
ut cum dicitur Deus creat. Numquam autem supponit pro persona, nisi
determinetur per predicatum relativum, ut Deus generat, Deus est pater, Deus
est filius, ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro
persona Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis Defensiones Theologiae Divi
AQUINO (si veda), ed. CESLAS PABAN, THOMAS PÈGUES, Cattier, Touronibus -- nomen,
licet significet substantiam cum qualitate, proprie tamen significat
qualitatem, hoc est formam a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia,
hoc est pro re cui imponitur tale nomen According to the Catholic dogma, it is
God the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the
term Deus supponit pro persona independently (and, hence, in every context), it
follows that a proposition like God does not generate God should be FALSE. The sections on syllogistic are the less original
parts of G.’s treatise. Geli — Rossi modum definiendi, dividendo et
demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione tamen distingui
turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur in e,
in quantu utens relpicit alias scientia. Logica docens sufficienter diuiditur
in tres partes. Prima est in qua tradatur de terminis in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de
terminis secundo intentionis, et iste
est liber praedicabilium. In
secunda consideratur de terminis primx intentionis, et iste est liber
praedicamentorum, et post
praedicamentorum. Secunda est in
qua tradatur de terminis
complexis, id est de oratione et
propositione et hic est liber “Peri
Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in
quatuor. In prima agitur de
argumentatione syllogistica absoluta et simplici, idesi noh applicata
alicui materiae et hic est
liber pnorunviln secunda agitur
de syllogismo demonstratiuo, et
hic est liber posteriorum. In tertia agitur de syllogifmo topico, id est
probabili, flthic eft liber topicorum. In quarta agitur de
syllogismo fallaci, quem dicimus sophisticum, co q* per ipsum solum gc iteratur deceptio, et hic est liber
elenchorum. Hoc est summa librorum, quos
tradidit nobis LIZIO inventor logicæ. Reliquos autem minores tradarus quos
appellamus parva logicalia, non habemus formaliter ab LIZIO. Sed posteriores
traxerunt virtualiter ex praedictis libris LIZIO, ita us
tradare de gtib9oronis, deinde de oratide
et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico et
socundo loco tradabimus de syllogismo formali et tertio loco de prædicabilibus, et quarto loco de
praedicamentis. Nam abfqj notitia propositionis et syllogismi, n “Quida homo
non currit.” Praepositiones (“to”) aurem determinant
nomen ad constructionem pro cerro casu,
puta ablativo ucl
accusative. Adverbia
determinant verbum f>ro
determinato Io co, ut
adverbia localia, vel pro determinaro
tempore, ut adverbia temporis, vel pro
determinato modo quantitatis ucl qualitatis tut adverbia
quantitatis et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem determinant
terminos et orationes, secundum,
modum copularivum (‘and’), vel disjuinctivum (‘or’) vel
illatiuum. exeplum primi,
“et”, arcp exemplum secundi, “vel,”
“aut”, exemplu tertii, “ergo,”
igitur, iracp. Inter
syncategorematicos terminos non
comprehenduntur intejectiones (“ouch!”) : quoniam ut
docuimus signficant NATURALITER,
nec pronomina primitiva, quoniam sumuntur loco proprii nominis et certam
significant personam. De derivativis autem videtur quod sic,
quem sunt ut determinationes nominum
substantivum - ut “meus liber”,
“tuus pater”, “nostra patria,” etc. Similirer
participium ji5 eft terminus
syncategorematicus, compleditur
enim nomen substantiuum et verbum
-- ut “legens” loquiTUni» ‘homo qui legit’ loquitur. Ex his omnibus sequitur,
quod cum sine odo partes orationis,
tantum nomen et verbum sumendo cum nomine pronomen primitivum, et cum verbo participium, sunt termini
categorematici, alix autem partes sine termini syncaregorematici
apud logicum, et caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum. Terminorum
categorematicorum quidam eft primat
intentionis, quidam secundae. Prima intentio apud veros peripateticos (LIZIO)
est primus conceptus fundatus immediate in re, quod est ens reale, ut primo
apprathenditur prxhenditur ab
intellectu, -- ut ‘animal rationale’ est prima
intentio quam format intellectus, et immediate fundatur, iit natura hominis. Secunda aurem intentio est secundus conccprus
formamus ab intellectu, fundatus in re non immedia ce sed mediante primo
conceptu, ut esse praedicabile de
pluribus differentibus numero in quid, est secundus conceptus quem format
inrellectus de homine. Nam postquam appraehendit cp ‘homo’ est “animal rationale”, advertit ut
est ‘animal rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est
praedicabilis de quolibet suo
individuo in quid, et tunc format secundum conceptum, dicens quod natura
hominis e eo quod est ‘animal rationale’ est prædicabilis de pluribus
differentibus numero in quid et quod dico de homine incellige de qualibet
natura specifica contenta sub animali. Terminus igitur primis intentionis est
terminus significans primum conceptum,
fundatum immediate in
essentia rei -- ut “homo”, “capra”, “leo”. Terminus autem
secunda intentionis est terminus significans secundu conceptum fundatu
in natura rei
median re pmo conceptu -- ut “genus”,
“species”, “differentia”, “singular”, etc; Et ne confundatur intellectus
novitii hic sisto. In tradaru aute de
universalibus sive praedicabilibus diffusius et altius de terminis pmx, et
feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod
divisio termini in terminos
pmz impositionis, et secundo
positionis apud nos, qui sequimur VIAM REALIUM non differt
a praecedenti. Nam “homo” in mente vel anima excogitatus, et voce probatus, et in scripto politus,
significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz intentionis in mente vel anima, in voce, in
scripto. Et iste terminus species ex
cogitatus in mente vel anima et in voce et in
scripto et secundæ intentionis,
quia significat secundum conceptum modo
quo diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem faftam inter terminos
f>mx, 8( secundae intentionis,
assignare eam quæ dicitur pmz, et secundx imtentionis ut penitus distinctam
aprxcedenti, qux fuit inter m x, et secundx
intentionis. Hoc enim continetur
in illa. Terminorum quidam cfimunis, quidam singularis. Cdmunis est q
de pluribus pradicatur -- ut “homo”, “animal”, “lapis”, et apud grammaticum
dicitur nomen appellativum, quem pluribus convenit. Terminus singularis est
qui de uno
solo prædicatur -- ut piato, et
fortes, et apud grammaticum dicitur
nomen proprium (“Fido”), qmuui foli conuenk, et ad
«erte alternas, ut
qndiuiditeorpus p alata et inaiatu, et aiatu per fenfitiuu St
no (cnfitiuu, fecundo gnis
in spes spalissimas, uc qii
dividitur color per albedinem et nigrcdinem. Et hac divisionem cognosces
in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes fkqncp
modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas individuales, ut qn dividit
ho in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo
qn totu dividitur in partes eflcntia lcs, uc ens naturale compositu dividif in
materia et forma, sicut dividit homo in
animam et corpus, III qn dividitur totu co tinuuin partes suas
intcgralcs, ut domus in
fundametum, tc» dii, et pariete, et corpus animalis in partes, qufe
sunt membra sua, ex qbus integrat corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in
partes fiias, inter quas et fi no fit
continuitas est rame ordo et proportio. Hoc rao dividif EXERCITVS in
mtlitcs, cqtcs peditcs, 8(c.
quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi in partes
fuas poreftatiuas qn
diuiditur anima per
potentias suas et virtutes
suas, ut tibi manifeftabitur i
libro de anima, et ifra
manifestabimus tibi in libro de
syllogismo Topico Divisio uo cis in sua significata sit tribus modis
primo vocis univoce in significata univoce, ut qn dividif ho in fortem et platone etc, secundo vocis aequivoce in
significata aequi-vocata,
-ut qn
diuiditur “cancer” in ftclla fiue signum cæleste, et aquaticum aial, et
morbum, III vocis analogicæ in significata analogata, ut
qti diuiditur “sanu”, iu alal
(anu, urina lana, medicinam
sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et cetera Et hanc divisione cognofccs in trac. de pntis.;
Divisio secudu accidens sic tribus
modis, primo subiecti in accidentia, ut holum alius
parvus, alitis magnus 1 alius
albus, alius niger, alius
medio colore coloratus, (c3o accidentis!in
subiecta, ut accidentifi, quæ sunt m hoie, aliud
in aia, ut seia, aliud
in corpore, ut
agilitas etc. tertio
accidentis in accidentia, ut accidcntiu, quarda dura, quaedam
liquida, qnada lucida, quaedam tenebrosa, et hxc divisio manifestabit tibi in philosophia naturali et
præcipue in libro de generatione. Ifti
igitur sunt iqodi univerfales
famofiores apud Aristotelem, quibus fieri
confutuit divisio. Quantum ad
pmam divifionem, quac est
per affirmatiua et negatiuam aduerre, quod affirmatiua
dupfr definitur, pmo fic, categorica affirmatiua est. ppofirio in qua praedicatum affirmatur
de subiefto: -- ut: Homo est albus. Sed
adverte cj» tuc praedicatu affirmatur
de subiectc quando negatio no
p cedit copula, q?
fi praecedit negatio, negatur
pdicatum de subiecto, et efficitur
negariva – ut hic “Socrates
non est
albus.” Si au tem fiib fequitur
no efficitur negatiua, sed permanet affirmativa,-- ut:
Homo est no albus. Ire adverte «p alio
modo affirma! pdicatum de
fubiecto in affirmatiua
uera et in falsa,
na in vera
affirmatur re et voce
quia sic est in re, sicut dr, ut homo re et uoce est risibilis. In
falsa atite affirmatur voce tm et non
re. Nam licet dicam q» Homo est asinus tarhe non sic est in re, secundo
definitur sic. Affirmatiua est in qua verbum principale affirmatur de subiecto,
ut Homo est animal. Dr in qua nerbum
principale affirmatur ad differentiam verbi secundarii qtiod si negattir vel
affirmatur, propter ipsum non sit propositio affirmativa
nec negativa. Vnde ista non est
negativa. SOCRATE CICERONE CATONE qui
non currit, mouetur, nec ista
eft affirmatiua, Socrates,
qui currit, non movetur. Nam
In prima licet
uerbum secundarium, quod est, currit, negetur, tamen principale quod est
movetur, affirmatur, ideo permanet affirmatiua. In IccQda autem
fit oppofito modo,
ideo permanet negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii
secundarium fe tenet a parte subiecti,
q3 paret refoluedo in
fuu participiu fiuc aftiuum siue pasfiuu, ut hic. SOCRATE CICERONE CATONE qui non currit,
ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, SOCRATE CICERONE CATONE qui currit, id
est Socrates curreni non mouerur:
Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no facit propositionem dic affirmatius ucl
ncgariuam, tcd negatio cadens
fuper uerbum principale fiue immediate, ut quando lubfequitur fubiedum, ut
“homo non est
afinus”, sive mediate, ut Non homo est
animal, dum modo fumatur
negatio negans, et no infinitam
terminum, cui opponitur, nam si infinitarer, non faceret
negativam. Vnde lixc non clt
negative. “Non homo currit”, qm ly non homo clt nomen infinitum, etc.
Vnde non homo curru, xquippollet ifti, afinus qui ft no homo currit. Coftat
aut hanc elfe affirmatiua Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua.
Categorica negatiua dupliciter definitur. Primo sic, categorica negativa est
propositio in qua prædicatum negatur de suo subiecto, auc homo non est lapis.
Secundo sic, est propoaitio in qua verbum principale negatur . Dicitur verbum
principale ad differentiam verbi secundarii, quod ut docuimus sive affirmetur
sive negetur, non facit propositionem
affir. aut nega. Et aduertc, quod propofitio
poreft fieri afflr.
vel nega. dupliciter scilicet
explicite et IMPLICITE. Si explicite, sit per
nomen et verbum indicativi modi,
ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per unicum terminu, ut quando
dicimus, homo est risibilis, et e converso, ly
e converso aequippollet uni
propositioni, qux elf hxc, et
risibile est homo. Item aduerte quod divisio per
afflrmativam et negativam non foium convenit categoricæ sed etiam hyporheticæ
et moduli, quomodo autem fiat hypothetica affirmativa et ne gar. similirer modal s, dicemus agentes de eis. Nunc autem
fuftine, ne confundaris ut nouus AVDITOR (Grice, RECIPIENT). Hxc de prima divisione di&afint Quantum ad
secundam divisionem categorica: fciliccc
per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam affirmatiua quam
negatiua dupliciter definitur. Primo sic, vera est, qua: significat verum
id est significar rem sicut est, si est affirmatiua, vel significat rem sicut
non est, si est negatiua. Sed de hac latis
diximus in ca. præcedenti in
dedaranlo definitionem propositionis secundo autem fir defiintur. Vera est illa, cuius SIGNIFICATVM
PRIMARIVM EST VERVM. SIGNIFICATVM autem PRIMARIVM est illud quod exprimitur p
oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc
bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum
ad differentiam secunda rii. secundarium
autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia
primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem
fcquitur cfte ani
mal, esse animatum, ede corpus
efie subie&am. luxta
igitur SIGNIFICATVM PRIMARIVM et fccundarium indicanda
eft propofirio uera, qm cft ucra primo et per fe ex eo, ex
fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene sequitur qcf “Si fortes est
homo, fortes est animal.” sed non ceonuerfb, ut
declarabimus in trac. dc confequentiis. Similiter falsa dupliciter
definitur. Primo sic, falfi est qux
aliter significat quam fit in re,
ut hxc
cft falsa, Homo est ansinus, quia SIGNIFICAT hominem esse asinum,
et tamen aliter est rn re, quia
in re no
est asinus, sed homo sive rationalis, et de hac
definitione iam diximus
in cap. præcedentiin definitione propositionis. Sccundo sic,
falsa est illa cuius primarum
significatum est falsum. Verbi
gratia hæc est
falsa “Homo est
asinus”, quia holem esse
asinum est falsum, cu sic ronalis,
et asinus irratroalis. Quod si fiereciudicium secundu
SECVNDARIVM SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod est dfe animal, effet vera. Nam
hxc est, vera homo est animal v non
tamen sequitur, ergo est afinns,
ut declarabitur tibi in
trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad
tertiam divisionem scilicet quod aliqua est
alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius quantitatis eft illa, cuius subiectum ftat
pro aliquo ucl pro aliquibus vel pro omnibus vel pro nullo, ut declarabitur in
diuifione sequenti. Nullius quantitatis eft illa cuius subiectum suspenditur a
propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ipIum quails est exclusiva
exceciua reduplicativa, de quaif, p- Satiqne aprietates: ut est RISIBILITAS in
homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et RECTVM in linea, sumum calorem in
igne lite nancg faciunt propositionem in materia naturali. Quid ne. ro sit
fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de prædicabilibus in cap.
de proprio et accidente. Illæ vero fiunt in materia remota, in quibus
prædicatum non potest verificari de subiecto, Imo id
inuicero repugnant. Istæ autem sunt in quibus subiectum et prædicatum
sunt opposita contraria vel contradidoria vel
privative ucl relative opposita. Exempla: Album est nigrum. Homo est non homo. Caecus est videns. Pater est
filius. Et aducrte, q? dicuntur
fieri i|i materia
remota, scilicet repugnanti, qm natur subiedi&i
prædicatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1
omnis affirmatiua in materia remota ferng et de neccsfiUtate est falsa,
negatiua autem femg et immutabiliter
ucra. In materia vero naturali est opposito
modo. Nam affirmariva femg est vera, negatiua fepig falfcM Jn nuter cotingeti? 4 est medio m6, qm tam affirma,
q nega, aliqn e vera aliqn falsa,
nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est vera, negativa falsa, qn
prædicatum removetur, affirmativa est
falsa, negariva est vera. Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad oAauam divisionem, quae fuit haec, Propositionum
categoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici
materia.Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter eas sit
quatruplexoppositio: contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna. Oppositio contraria sit inter
eas quarum una est universalis affirmatiua et altera universalis negatiua, de
eifdcm subietlis et prædicatis univoce et æque ample et aeque strictca cceptis.
Primo df quarum una est universalis et cetera. Nam ut distinguantur a
contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et diverfae qualitatis. Si
eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis, non secundum
quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra ergo primum. Si, DIVERSÆ QVALITATIS, ergo i&fca est
affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis:
uc ois homol albus, nullus homo est albus, et dcfeftu huius iftaeduae non funt
contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn aduerte
quod subiectum et prædicatum pnt esse
idem tripliciter, pmo fm vocem
tm et non fm
SIGNATVM, secundo t m. SIGNATVM
tm et non fm vocem, tertio fm vocem et
SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: Omnis canis latrat: nullus
canis latrat. Omnis homo currit, nullum
ronale currit. Omnis homo est alal
nullus homo est alaU Prima
identitas non sufficit ad
contrarietatem, ideo dicitur
in definitione, acceptis UNIVOCE,
constat aut quod canis est TERMINVS ÆQUIVOCVS; aut sufficit ad contrarietatem
virtuale seu ÆQVIVALENTE sed no
ad formalem; vero sufficit ad
contratietate proprie dicta et formale
[CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM
– why not both, as in J.?], unde licet iftx duæ, “Omnis homo currit, nullu rationale
currit, sint cotrariæ virtualiter eo q
SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem non tamen forma\itct, qm formaliter
non participat E ii utroqj termino secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM.
III dicitur aeque ample &aeque
ftrufie acceptis. Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. Omnis homo est animal, nullus homo est animal,
quoniam in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda
SOLVM PRO MASCVLIS. Tu tn adverte, quod
secundum usum i utracp accipi confucuit pro MASCVLIS ideo
acceptantur: ut ue rz contrariZj Item defedu huius istæ dux non sunt
contrariæ. Omnis homo EST albus, Nullus homo FVIT albus, quia in prima
reftringitur ad præsentes, in secunda
autem ampliatur ad przfentcs vel
præreritos. Sed pronunc fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et
APPELLAZIONI. Tu tn adverte, quod prxdldx non sunt contrariæ non solum ronc di
da, sed quia copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in secunda
est ly FVIT. Unde in definitione
intelligendum est q' contrarix
debent c(Te de
ctfdem subicdis et
prædicatis et copulis. Hoc de
contrariis dida fint. Oppositio contradictoria est inter eas,
quarum una cft viis affirmatiua, altera particularis negativa, ut Omnis homo est animal, Quidam homo non
est animal, uei altera est vfis
negatiua, et altera particularis affirmatiua, ut Nullus homo currit, Quidam
homo currit, dccifdcm subicdis et pdicatis
et copulis, uniuocc et zque ample, et xque ftride acceptis. Omnia debent intclligi sicut
expofitum est de contrariis. Ut
autem habeas maiorem
noticiamdc contradidione adverte ex doctrina
LIZIO, quatuor condidioncs requirit, et defedu cuiullibct carum enitatur
contradictoria oppositio. Prima est quod sit affirmatio eiufdem de eodem et
negatio, dummodo sumatur idem secundum rem et vocem, ut “Socrates currit”,
“Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria
formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE
currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte
significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE, tame distinguuntur voce
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V^lArii* Jj; ii .I' d appdlationibus J
IX de consequentiis. X de
probationibus terminorum. Vndeamus de syllogismo demonstrativo, in quo quo
continetur LIZIO docrina in lib. poster. Qjia E Gmma recenti hac nostra
editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their
subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider G.: the dog barks,
anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums
raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification.
It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If
the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in
pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian
philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards
which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His
comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to
‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog
that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and
rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox
signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From
there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et
authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli.
Javelli. Keywords: implicatura, grammatica razionale, psicologia razionale.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli” – The Swimming-Pool Library.
Giavelli.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Gigli:
il deutero-esperanto – la scuola d Recanati – filosofia marchese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Recanati). Filosofo italiano. Recanati, Macerata,
Marche. Grice: “I like Gigli”. Gigli. Una approfondita trattazione intorno alle
teorie del linguaggio appare quando G. pubblica a Milano “La meta-fisica del
linguaggio,” “Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon senso, nata come
premessa all'elaborazione di una lingua universale. G., professore di geometria,
algebra e scienze naturali presso numerose
università italiane. Così si legge. Mi occupo d'un progetto di lingua universale
pei dotti. Mi avvido però, che la mia teoria si appoggiano a dei principj di lingua
poco o nulla generalmente conosciuti, perché nessuno ha mai la sofferenza di
meditarli. Quindi lasciato il primo, mi occupo di questo secondo lavoro. E così
ha origine la presente ‘meta-fisica’ del linguaggio. “La Metafisica del
Linguaggio. Scienza nuova anche ai dotti e pei soli di buon senso” (Milano,
Fusi). Immaginato come pro-dromo di un saggio sulla lingua universale, G.
discerne e determina tutte le parti del discorso, e ne giustifica la natura in
ottica filosofica. Sul finire di questo primo saggio accenna alla lingua pei dotti
e cosi la definisce. Lingua universale pei dotti chiamo una lingua che può
colla massima facilità essere scritta parlata ed intesa da tutte le persone colte
di qualunque clima e nazione – inclusa l’italiana. Una lingua, si puo dire, che,
come il latino degl’antichi romani, può sola bastare al disimpegno di tutte le relazioni
scientifiche, politiche, commerciali ec. con qualunque civilizata Contrada del globo; la mia lingua e una lingua
infine in cui dove scriversi e tradursi quanto può essenzialmente interessare
l'intera umanità o più popoli almeno. G.
sceglie d’utilizzare per la sua lingua universale i caratteri, la pronunzia, e
le radici delle parole gallo-latine, cioè della lingua più conosciuta tra i
filosofi eruditi dell'epoca, riservandosi comunque la possibilità di
modificarne alcune parti. Nel discorso preliminare al suo saggio, “Lingua
filosofico-universale pei dotti, preceduta dalla analisi del linguaggio” (Milano),
G. precisa che, nel suo pensiero, parole sono quei segni – contra Grice: “Not
all things that may mean are signs. Words are not.” -- che rappresentano le
idee e che le sue riflessioni sono d’applicarsi alle idee e che solo per
comodità e facilità di spiegazione o apprendimento alle volte è stato associato
un ‘carattere’ – nella accezione leibniziana, dal greco --, un SEGNO alle idee
stesse. Sono piuttosto evidenti i
richiami a Beauzée e alla grammatica del Porto Reggio, da cui soprattutto
riprende le riflessioni che sono alla base della sua ideologia. Le Lingue usate
hanno tutte un FONDO comune – ‘the deep berths’ of Grice -- ; vale a dire, hnno
comune ciò che forma l'assoluta essenza di una e ogni lingua o idioma,
considerato come semplice effetto naturale, vale a dire, razionale. Diverse ‘convenzioni’
– o arbietrarieta -- possono sulla superficie del globo esprimere le stesse idee
con suoni diversi e con diverso ordine dispositivo. Ma le mere stesse idee su
qualunque punto del tempo e del globo hanno sempre la stessa naturale
espressione. BICE GARAVELLI MORTARA, “L'analisi del linguaggio di Gigli”, Teoria
e storia degli studi linguistici. Atti del convegno di studi, cur. Vignuzzi,
Ruggiero, Simone, Roma, Bulzoni. Beauzée redatta, assieme a Marais le voci
linguistiche dell'enciclopedia, o dizionario ragionato “des sciences, des arts
et des métiers”, che si configura come tentativo di sintesi tra l'orientamento
logicizzante della classica grammatica generale e quello empirico derivato da
Locke attraverso Condillac [SIMONE]. La grammatica generale e ragionata “contenant
les fondemens de l'art de parler, expliqués d'une manière claire et naturelle”
d’Arnauld e Lancelot, assieme alla logica - opera di approfondimento e supporto
argomentativo - costituisce forse il saggio più importante sulle trattazioni linguistiche
e sul ragionamento filosofico intorno al problema della lingua. Punto cardine
del pensiero del Porto Reggio è l'esistenza di una grammatica generale che
tenta d’identificare i caratteri propri di ogni lingua, trascurando quelli
specifici di ciascuna e che deve essere anche ragionata non solo perché dedotta
razionalmente da taluni principi filosofici fondamentali, ma anche perché
mirante a riconoscere il modo in cui la ragione si riflette nel linguaggio e quelli
per cui, viceversa, il linguaggio se ne
distacca. La lingua universale si configura come una lingua filosofica a cui
viene donata una forma concreta solo per facilitarne l'esposizione e che, a
differenza di altre lingue universali, non accetta le consuete partizioni delle
grammatiche, ma preferisce sostituirvi una terminologia logicizzante che solo
occasionalmente utilizza il protocollo della grammatica empirica. Eccone i
punti fondamentali. Le seguenti informazioni sono tratte da, Lingua
filosofico-universale pei dotti preceduta dall’analisi del linguaggio, Milano,
Società tipografica de’classici italiani -- suoni e la pronuncia I segni vocalici, così come i suoni, si distinguono
in orali e gutturali (a, e, i, o, u). A questi segni gutturali semplici può
essere aggiunto un accento che indica che la voce deve concentrarsi su di quel
suono. Ai quattro segni gutturali -- a, e, o, u -- si possono sovrapporre e
sottoporre un puntino, che equivale al suono i e indica il dittongo. Se il
punto è *sovrapposto*, allora il dittongo è discendente -- ai, ei, oi, ui. Se
il punto è *sottoposto*, il dittongo è ascendente -- ia, ie, io, iu. Il suono
dittongale i si converte nel suono y nel caso in cui ai dittonghi sia preceduto
o successo un altro suono gutturale o trittongo. Il mutamento deve avvenire
esclusivamente nella pronuncia. Per quanto riguarda i suoni vocalici, la lingua
immaginata da G. è perciò composta di XVIII segni, di cui X semplici (V brevi, senza
accento, e V lunghi, con accento) e VIII composti, tutti lunghi. I segni consonantici si dividono in VI istantanei --
b, p, d, t, x, g -- e XI pro-lungabili --
m, n, f, 1, I, s, V, z, j, c, y»); «b, p, d, t» e «m, n, f, 1, I, s, V, z – e si
pronunciano come in gallo-latino, i restanti al modo seguente: «x» [k], «g»
[gl, «j» [3], «с» Л, «y» [i]. I segni consonantici fin qui esposti possono
divenire forzati qualora la loro pronuncia venga *raddoppiata* e il loro segno
duplicato (es. «ll, bb, ri, ri» ecc.). Vi sono poi dei segni composti, ovvero:
lo i i i i 10. è presente anche il
carattere h che però non corrisponde a nessun suono. I suoni consonantici sono
allora XX, di cui XVII semplici e III composti. Per nominarli è sufficiente
aggiungere a ciascuno la vocale (o segno gutturale) [e] di modo da avere «b»
[be], «p» [pe], «d» [de], ecc. I
caratteri sono del tutto simili a quelli del gallo-latino, salvo le
modificazioni sopra riportate. Le lettere maiuscole sono identiche alle
minuscole nella forma, ma maggiori nella dimensione, come in «Loma». Si usano
solo all'inizio di frase o quando si esprimono oggetti determinati, come i nomi
propri, o qualche loro Derivazione (es. Toma - Lomano). Le sillabe e gli
accenti Le sillabe sono tutte aperte,
cioè terminano necessariamente con suoni gutturali (vocali), ad eccezione delle
ultime che possono terminare con suoni consonantici. Le parole sono tronche nel
caso in cui terminino con un suono vocalico lungo, altrimenti sono piane;
quindi non vi può essere accento principale su sillaba che non termini in
vocale. I numeri da 0 a 9 si indicano con ze, na, vu, tre, fe, fi, xe, la, to, e
no. Per numeri superiori al IX è sufficiente giustapporre in modo sequenziale i
singoli numeri. Es. 19 = 1+9 = «na» + «no» = «nano». Per i numeri che come in
italiano richiedono l'uso del 'cento' e 'mille' si usino le parole «navuze»
(lett. 'uno-due-zero' > 1-00 > 100) e «natreze» ('uno-tre-zero' >
1-000 > 1000) unite agli altri numeri
(es. 1234 > «natreze vu navuze trefe»).Il numero Si usano i simboli « Z » - che per comodità
trascriveremo con «I» - per esprimere singole quantità e « U» - qui trascritto
«U» - per esprimere pluralità (es. 'il padre' « et pero», i padri « U pero»).
In questo modo i nomi e i pronomi possono godere della caratteristica
dell'invariabilità, che concorre sicuramente alla semplificazione del
linguaggio. Il simbolo che esprime il numero è da omettere se ciò che si vuole
esprimere è per sua natura singolo o molteplice.Il genere Per gli oggetti neutri non v'è bisogno di
alcun segno e per neutri si intendono tutti quegli oggetti o concetti che
naturalmente mancano del genere. Per i referenti che hanno un genere è
necessario che vengano preceduti dal loro Nome generico, cioè il nome che
qualifica tutti gli appartenenti a una
stessa specie. Negli elementi della
lingua che esprimono sesso maschile è sufficiente indicare il nome generico,
che quindi esprime ugualmente l'Oggetto in genere o l'Oggetto maschile in
particolare («omno» significherà 'uomo' tanto nel genere - essere umano
generale - quanto nel suo essere maschile in particolare).Per esprimere gli
oggetti femminili viene anteposto al nome maschile la vocale «e» con
puntino sovrapposto (es. «pero» 'padre',
«épero» 'madre'). L'opposizione Per esprimere negazione e rapporti di
antinomia si prepone al nome generale la vocale «a» con puntino sovrapposto
(es. «ba» 'sono', «¿ba» 'non sono'). I
pronomi I pronomi personali sono: «ml» 'io'; «tI» 'tu'; - «l»'egli o esso' maschile, «ell» 'ella
o esa' femminile, «oll»' egli o esso' neutro;
«mU» 'noi'; «tU» 'voi'; «IU» 'essi' maschile, «élU»
'esse' femminile, «olU» 'essi' neutro. Il pronome riflessivo è «so» con puntino
sovrapposto, unico, e valido per l'italiano mi, ti, ci,vi, si, me, te, noi, voi, se'. I nomi
Gigli distingue le Parole Radicali (cioè le parole che esprimono
oggetti, qualità o azioni o rapporti) in variabili (che variano nella
desinenza) e stabili (che non ammettono derivazione). Le Parole radicali
stabili (o semplicemente Radici stabili) non sono trattate da Gigli in questa
sede, ma auspica che una società di scienziati si occupi del Dizionario della
sua lingua, e quindi anche di queste parole, che qui tralascia di spiegare o
giustificare. Le Radici variabili sono
attinte dal francese con queste regole: si scrivono come si
pronunciano e si pronunciano come sono scritte; non v è «h» iniziale; non v'è accento separato dalle lettere; «ç, c, t» +
suono «prossimo al s»7 - forse fricative sibilanti e retroflesse - sono
sostituiti da «s» [s]; dittongo oi
(es. fr. roi, it. 're'") deve essere scritto «o» con punto sovrapposto e
il suono deve essere eseguito di conseguenza; nesso oy (es. fr. moyen, it. 'mezzo, medio') si
scrive come in francese ma si pronuncia [oj]; nessi eu, oeu, u sono sostituiti dal segno e suono
«u» (u]. Le radici delle parole indeterminate finiscono con la vocale «o» (es.
«ommo», fr. homme). Se la parola
francese nella pronuncia termina con «Suono Gutturale lungo» - da intendersi
probabilmente come 'vocale nasale' - si pone «o» dopo questo suono (es. fr.
maison, it. 'casa', diviene
«mesoo»). Se la parola francese termina
con lo r, e che si pronunci o meno è indifferente, è da aggiungere una «o» alla
fine della parola (es. fr. cheval, it. 'cavallo', diviene «cevalo») e così vale
anche per tutte le altre consonanti finali che sempre si pronunciano (es. fr.
lac, it. lago', diviene «laxo»). I nomi
propri di paesi, uomini, ecc. non abbisognano della «o» finale, ma si
pronunciano alla francese o con la pronuncia originale dei paesi da cui
provengono (così che l'it. Roma possa essere pronunciato all'italiana o alla
francese) e sono necessariamente scritti con l'iniziale in carattere minuscolo ma di misura più grande. I segni per designare tutte le situazioni
possibili in cui sono coinvolti i nomi determinati - cioè nomi che non hanno
bisogno di indicazioni di numero - sono otto, invariabili, e devono, se
presenti, essere premessi al nome: «de» (es. 'il padre di Paolo' > «I pero
de Pol»), «se» (es. 'chiamo te' > «chiamo se tI», con marcamento sistematico
dell'oggetto diretto), «ye» (es. 'o Paolo' > «ye Pol»), «ce» (es. 'in voi' > «ce tu»), «je»
(es. 'parlano di voi' > «parlano je tu»), «re» (es. 'diedi a lui' > «diedi re II»), «pe» (es. 'mandai a Paolo'
> «mandai pe Pol»), «ge» (es. 'partirono da Roma' > «partitono ge Roma»). Gli aggettivi
Per quanto riguarda gli aggettivi, questi nella lingua di G. devono
necessariamente terminare in «l». Se la parola francese corrispondente termina
con suono vocalico, si aggiunge semplicemente «l» (es. fr. juste, it. 'giusto',
diviene «justel»); se termina per consonante (che sia pronunciata o meno è
indifferente) questa viene mutata in laterale (es. fr. doux, it. 'dolce',
diviene «dul»); se termina in nesso di cons + le, per metatesi si inserisce il
suono vocalico «e» tra i due consonantici (es. fr. noble, it. 'nobile', diviene
«nobel»); se termina in (I)I + vocale si sopprime la vocale (fr. habile >
abil; fr. tranquille > tranxil); se termina già con l non vi sono
variazioni. Da questi assunti consegue
che la classe aggettivale della lingua di G. sia costituita di sole parole
piane, anche laddove il corrispondente francese preveda l'accento sulla sillaba
finale (es. fr. joli [30 ' li] >
jolil ['iolil]). I verbi 308. Voci di Giudizio al Modo Indicativo: mi,
ti, li, èle, ole —mu, te, lu, els, olu (a)
presente -bal io sono, tu sei, egli é noi siamo, voi siete,
ec. presente-relativo - be... io era, tu
eri, ec. passato -be.
.... io fui, ec., o sono-stato, ec.
passato-anteriore — bo.... io era-stato, ec. futuro
- bu.... io sarò, tu sarai, ec.
futuro-anteriore - bur...io saro-stato, ec. 30g. Voci di Giudizio al Modo Condizionato
: mi, te, li, él, ol — mu, tu, lu, élu,
olu presente - bal... io sarei, tu saresti ec. passato
- bil... io sarei-stata, ec. 310.
Voci di Giudizio al Modo Indefinito : xe) mi, i, le els, ole — mu, tu, lu, elu,
olze presente — bar.. che io sia, che tu sii, ec. presente-relativo — ber ... che io fossi, tu
fussi, ec. passato — bur... che io sia-stato, ec. passato-anteriore - bor.. che io fossi-stato,
ec. I modi verbali che presentano delle
differenze tra le persone sono l'Indicativo, il Condizionato (it. condizionale)
e l'Indefinito (it. congiuntivo). Il modo indicativo è composto
dai tempi presente, presente- relativo
(it. imperfetto), passato (it. passato
remoto), passato-anteriore (it.
trapassato prossimo), futuro, futuro-
anteriore; il modo Condizionato dai tempi presente e passato; il
modo Indefinito (it. congiuntivo) da
presente, presente-relativo (it. cong. imperfetto), passato (it. cong. passato),
passato- anteriore (it. cong.
trapassato). Qualora non venga indicato il corrispondente tempo italiano
significa che il nome e la funzione dei tempi pensati da G. sono identici a quelli ITALIANI. L'unico
modo composto di una sola parola - indeclinabile - è il modo generico; tutti
gli altri sono composti da due Voci, una di Giudizio (che indica cioè il tempo
e il modo del verbo) e l'altra di Azione
(che veicola il significato del verbo), secondo la tabella poco sopra.?6 Le diverse persone non sono marcate
morfologicamente sul verbo (es. «mI ba» 'io sono' e «tI ba» 'tu sei'), motivo per cui deve essere sempre
presente il pronome associato (lingua non pro-drop). Le parole esprimenti azioni devono
necessariamente terminare con la vocale «a» e derivano dal participio presente
francese (es. fr. écrivant, it. 'scrivente', diviene «exriva»). Se il francese
manca del participio presente, la radice è attinta dalla sua forma passata
dalla quale vengono eliminate le lettere che seguono la consonante radicale e quelle
che seguono (es. fr. abstrait, it. 'astratto', > «abstra»). I verbi così formati esprimono
sempre l'infinito presente." Vi è
il caso particolare in cui l'«a» sia preceduta da «b» e, per evitare
fraintendimenti - «ba» infatti è la Voce di Giudizio del presente indicativo
dei verbi -, G. sceglie, in questi casi, di sonorizzare la consonante in «p».
Così ad esempio il fr. tombant >
tompa. Per quanto riguarda la diatesi
passiva, è sufficiente sostituire la «a» finale con una «e» alla voce di Azione
(per cui «mi ba ema» 'io amo' > «mi ba eme» 'io sono amato'). Avverbi
Sono indicati dalla lettera «r» finale e sono per la maggior parte
invariabili. Da quel che fin qui si è
trattato si evince che nella lingua di Gigli le parti del discorso si
riconoscono in base alla loro caratteristica o natura, giacché se terminano in
«o» indicano un oggetto, in «l» una qualità, in «a» un'azione, in «r» un
rapporto, e il fatto stesso che contengano queste desinenze li qualifica come
Radicali. G. passa quindi il testimone a un'ipotetica società accademica di 12
scienziati che dovrà, in futuro, scremare il lessico francese di quei termini
che potrebbero donare delle parole troppo complicate e creare il dizionario e
la grammatica della nuova lingua per poi comunicarlo a tutte le nazioni
europee. Si capisce quindi che la lingua è indirizzata solamente al vecchio continente,
o come dice Gigli, l’Europa. Ma la
portata del lavoro di G. supera il mero piano della linguistica, poiché,
ipotizzata la commissione di studiosi, egli ne auspica un'altra, composta dai
membri di tutte le nazioni, che atta
sarebbe a formulare le leggi dei vari paesi in comune accordo. Una lingua per
unificare non solo i parlanti ma anche i regimi, gli stati e i popoli. Il
progetto così concepito è portato avanti dal fratello Luigi G. che presenta
alla camera dei deputati di Torino la lingua universale pensata da G. e il
metodo perché questa fosse insegnata ed appresa, in primis in Italia, da tutte le genti. Si è fin qui dato
non altro che un assaggio della reale grammatica della lingua universale
teorizzata da G., ma il trattato continua per molte altre pagine e scende
quanto più nello specifico. Ella è in sostanza una lingua a posteriori su base
francese, ma con evidente richiamo alle sonorità dell'italiano, con
caratteristiche tipologiche agglutinanti. Ma soprattutto ella rappresenta un
esempio ITALIANO di inter-lingua pervenuto assieme a dei reali esempi pratici. LA
METAFISICA DEL LINGUAGGIO SCIENZA NUOVA ANCHE AI DOTTI
E PEI SOLI DI BUON SENSO OPERA G. CIA PUBLICO PROFESSORE DI
VARIE FACOLTÁ. MILANO FUSI. A PIAZZI, un ALLIEVO di G. САло
СвОСИНЯ Eccovi ultimato il metafisico mio lavoro sulla natura del linguaggio
e sul linguaggio della natura. Esso contiene lo sviluppo di quei principi, dai
quali dovete singolarmente ripetere i rapidi vostri progressi nelle Lingue. Io
quindi ve l'offro in pegno del mio affetto e della mia sodisfazione. Milano. Piazzi
si propone di fare in Milano un publico esperimento di VII lingue – cioè:
italiana, Francese, Spagnuola, Inglese, Tedesca, Latina o Greca. IL
FRONTISPIZIO ED IL COME IL FRONTISPIZIO. I pensiero piè umiliante per una
scritore è quello, che la sua Opera sia nemmeno letta dagli altri Sapendo
che questa è la sorte della massima parte delle Produzioni specialmente
astratte, e volendo pure allontanare da me tale malinconica idea, mi sono
appiglialo all' espediente di stuzzicare l'Amor-proprio dei
Letterati. Quindi intitolai questa mia Metafisica ScIENzA NUOVA
ANCHE AL DOTTI. Eliminata con tale giustificazione una taccia poco
onorevole, mi avvedo che vado procurandomi un titolo anche peggiore. Benchè per
mio conforto l'avrei comune con quasi tutti i miei simili. Sono quindi
costrello dichiarare, che questa Scienza o Produzione può effecsivamente
ritenersi qual' è annunziata dal Frontispizio. lo non ò veramente letto l’opere
di tutti i dotti; ma ò molto meditato sui sagi di quelli che particolarmente si
occuparono di tale materia; come Vaillis, Polio, Durs et omaites, Amile
Lockie in Porto-reale (PORTO REGGIO – PORTO REALE), ed altri. Eppure mi
permetto avranzare, che il mio saggio sulla lingua sarebbe nuovo anche ad
essi. Aggiunsi poi nel Frontispizio PEr soLt DI BUON sENSO - unicamente
per dire ai signori pedanti, che li rispetto, mu non iscrissi per loro. IL
COME. Mi occupavo d' un Progetto di Lingua Universale pei Dotti; e questo
non per elezione o capriccio ma per effetto irresistibile d'una specie di
convulsione alla testa, simile a quelle che un Poeta chiamerebbe —
divini Furori,; però, che le mie teorie si appoggiavano a dei Principj di
Lingua poco o nulla generalmente conosciuti, perche nessuno ebbe mai la
sofferenza di meditarli. Quindi la- I as oi orisine lo preaue Meatice del
inguag Chiunque si darà la pena di leggerla, vedrà facilmente che nello
scriverla io non dimenticai il Progetto di Lingua Universale; e quindi che vi ò
esposto delle cose, le quali altrimenti potevano tralasciarsi.
METAFISICA DEL LINGUAGGIO. IL Linguaggio è il mezo più comune, di cui ei
servono gli Uomini per comunicarsi reciprocamente i bisogni i desideri i
pensieri. — L'uso, inseparabile dalla cono verza sociale, ongaia cinci
Guindi io teorie Il Filosofo però, che deve su tutto portare il suo
ciò che apprese per prattica? E nel secolo dell' analisi dovremo con
indifferenza veder sepolto nelle tenebre d' una rugginosa igno-
distintivo siasitivo per cui l'uomo si pone, primo fia gli Esseri A me
sembra, che troppo debba interessarci il conoscere una cosa, che ci riguarda si
davvicino e clie inseparabile dalla nostra sociale esistenza. Quindi mi
permetto esporre il risultato delle mie meditazioni, considerando separatamente
i materiali del Linguaggio ossia le Voci J. Come Elementi del Discorso -
Il. Come Parti del Discorso. DELLE VOCI ELEMENTI DEL DISCORSO. Le Voci, prese
com' Elementi del Discorso cioè isolatamente, da noi si distinguono in
Radicali, Derivate e Sostituite. da ara voce conosinta ed isata nilla
mdesima Lingua: come Sole, dolce, fuggire ec. 4: Derivate son
quelle, che provengono da voci conosciute ed usate nella medesima Lingua: come
Solare, dolcezza, fuggitivo ec. 5 Sodi e ne il e del me vene
chiacerta ed usate nella medesima Lingua: come mio, pensante, egli ec.
per di me, che pensa ec. DELLE VOCI RADICALI Le voci Radicali furono
fissate dai Primi, che parlarono una data Lingua qualunque; e i Posteri debbono
adattirsi ad apprenderle. se indi è rendi in convenione sociale chi
ruerai suoni radicali meramente per capriccio e per vana poipa di
spirito; ma è ciascuno autorizato a produrre delle voci nuove quando s'abbia ad
esprimere un'idea qualunque in quella Lingua non espressa fin ora.
7 le voci Radicali da noi si distinguono in voci di Cosa, di Giudizio e di
Rapporto. Voci di Cosa Bhi laro pualid; 6 ore guesto ura le mon
ih terrotta di moltiplici varianti Azioni. Le voci destinate ad
esprimere queste Azioni Oggetti e Qualità, son quelle che noi chiamiamo Voci di
Cosa, perchè esprimenti qualche Cosa di assoluto e reale, o che almeno come
tale si concepisce da noi. Oggetti 20% coepiae capace d tare o mietre tur
Acone he 11. La voce esprimente un Oggetto qualunque sarà da noi detta
Nome sostantivo o semplicemente Sostanti-vo; essendo molto facile rilevare
dalla definizione data sere Sostativo osia Suite Darto deve di
necesia Benchè in natura gli
Oggetti sieno tutti determinati perchè individui, pure i Nomi che li esprimono
sono nella massima parte indeterminati. Ed infatti perchè e come assegnare un
nome distinto a ciascuno di quegli Oggetti innumerabili, che presentano in complesso
le atesse particolarità; che per la loro somiglianza sembrano quasi diramazioni
d'un solo; che si mostrano quasi subito scomparire dalla faccia del creato? -
Nel Linguaggio è dunque necessario distinguere i Sostantivi in determinali e indeterminati.
E determinato ogni
Sostantivo, che presenta allo spirito un Oggetto individuo e che non può
assolatamente esser confuso cou alcun altro; come Roma, Dinubio, Europa ec: Ed
è indeterminato ogni Sostantivo, che presenta allo spirito un Oggetto generico
o almeno plicabile praticamente a varj individui della natura;
come Uomo, Piantu, Fiume ec. Qualità Qualità da noi chiamasi -
ciò, che un Oggetto à in se di rimarcabile, e che potrebbe anche non avere
senza però cessare d' esistere La Voce esprimente una Qualità qualunque sarà da noi
detta Nome qualitativo o semplicemente Quali-tativo. Proprietà chiamasi - tutto
ciò, senza cui l'Oggetto non potrebbe esistere —. Quindi le proprietà d'ogni
Oggetto sono tutte comprese nel nome dell'Oggetto medesimo. E. sico po
ciò che inalia costa di Proietà, ipo all sapere in ogni Oggetto ben
distinguere l'una cosa dall' altra. 17. Dopo ciò è facile intendere, che
non può dirsi - fuoco caldo, neve bianca, Sole lucente ec. —; perchò caldo
bianca lucente, in questi Oggetti non sono Qua lità ma Proprietà, e quindi
espresse rispettivamente nei Sostantivi fuoco neve Sole —. ao le
orienti non pue die lo Proprio dali Dege runea neve Sole ec, escludono
rispettivamente le qualità freddo bruna oscuro. Azioni Azione da noi chiamasi -
tutto ciò, che un Oggetto qualunque può fare . È poi facile conoscere, che
delle Azioni alcune niscono in chi: le fa, come dormire correre ec.; ed
altre finiscono in un Oggetto diverso da quello che le ta, come premiare
ferire ec. — Noi chiameremo le prime Azioni determinate, e indeterminate le
seconde. CAPO II Voci di Giudizio 20. L'Uomo nello stato di
natura per poco osservatore che sia, facilmente si avvede, che le Qualità e le
Azioni dipendono assolutamente dagli Oggetti; e che le prime ne sono come
altrettante emanazioni trettante conseguenze. Eli quindi come seco de
siderale è sua prima cura osservare attentamente e quali diflonda o
includa Qualità, e di quali Azioni sia desso capace Conseguenza
naturalissima di tale osservazione sarà il conoscere lo stato e le
particolarità dell'Oggetto; e quindi se ad esso convenga o non convenga tale o
tal altra Azione e Qualità. 22. Se dunque l'uomo abbia a comunicare
la sua sco- tani quello d'una data Azione o Qualità. La prima è da noi
detta Voce di Giudizio affermativo, la seconda Voce di Giudizio negativo.
25. In Italiano essere è l'espressione generica di Giudizio affermativo, non
essere quella di Giudizio negativo. Verbi 24. Dall' esposto
superiormente (20 e seg.) è facile rica erche e che guasti debono a no
avera con alla natura delle cose, ma all' ingegnosa variante
bizzarria degli uomini. Infatti correre, scriver-, premiare cc. in
natura signicano essere corrente, scrivente, premiante ec.; e il solo capriccio
o tutt' al più l'amore di brevità con gravissima lesione della chiarezza e
facilità di Lingua restrinse queste due distintissime Voci in una sola. Richiedendo quindi
l'analisi del Linguaggio che sia il tutto possibilmente riportato ai suoi primi
elementi, si vedrà di leggieri quanto importi l' esercitarsi nella
decomposizione dei Verbi onde averne una giusta analitica idea. Questa
decomposizione è per altro della massima facilità, fissando che da noi con
definizione esattissima chiamasi Verbo - ogni parola composta di due Voci,
l'una di Giudizio l'altra di Azione -. E siccome ogni Azione è di sua natura determinata o
indeterminata (19), così chiameremo rispettivamente determinato o indeterminato
anche il Verbo che la esprime. CAPO III Voci di Rapporto Fissate le Voci di Giudizio
e di Cosa, può l'uomo convenientemente spiegare agli altri la sua situazione, i
suoi bisogni, la sua volontà. Ma le Cose, ossia gli Oggetti le Qualità e le
Azioni (9), ànno o possono avere molti e diversi Rapporti fra loro, come di
tempo d'or- dinque con precise sue per esprio ste ure dele Voci per
ciascuno di tali Rapporti. 28. Cosa nel nostro senso debba intendersi per
Rap-porto, è più facile rilevarlo dal contesto di questo Capitolo che
definirlo. Pure per chi ne bramasse la defini-zione, dico per Rapporto nel
nostro senso intendersi - tutto ciò, che ci offre una Cosa Bon in
ar sesa ia unicanee fispalo ad ace coseata 29. Premesso, che non tutte le
Cose possono o debbono avere gli stessi Rapporti, ch' è quasi impossibile
asco il prino pass et molte facile progredire da se cola sola guida
dell'analogia e del buon senso; mi limiterò fare di tali Rapporti
quell' analitica esposizione che à trovato più conveniente al mio
scopo. Luogo 30. Luogo significa — Punto o Aggregato di Punti;
occupato da un Corpo qualunque nello Spazio ossia nella Natura Fissata
questa definizione, l'idea che da tutti naturalmente si acquista d'un Corpo
cioè - d' un Oggetto fisico materiale fa
chiaram ente conoscere, 1.° che uno stesso Corpo non può trovarsi in due
luoghi diversi al tempo stesso; 2.° che due o più corpi al medesimo tempo non
ponno occupare lo stesso identico luogo. 52. Ora è cosa molt' ovvia, che
l'uomo debba const- dena due mini i ti fidi e teso la che nanza o
lontananza, le parti superiore interna ec. Egli dunque dovrà necessariamente
far uso di espressioni, che facciano conoscere tali Rapporti, e che noi
chiameremo Voci di Luogo; come sopra, saso, fuori, pres- so, lontano
ec. Tempo Dal Moto nasce
naturalmente l'idea del Tempo. Infatti il Moto non è, che — l'efletto del passaggio
d'un Corpo dall'uno ad altro Punto dello Spazio -. aue Poi non tendo al melei
in tan omogaisi il Moto essendo necessariamente diverso da quello in
cui movendosi dello Spazio che percorre. Quindi per fare il suo
passaggio impiegherà tant' Istanti quanti sono i Punti sulla linea percorsa;
vale a dire nel primo Istante si troverà sul primo Punto, nel secondo Istante
sul secondo Punto, e così di seguito finchè nell'ultimo Istante
sarà sull' ultimo Punto del suo cammino — Ma i Punti dello Spazio
percorsi dal Corpo si succedono immediatamente e formano come una
continuata Catena o meglio una Linea conti-puata - Dunque anche gl' Istanti,
nei quali avviene l'occupazione de varj Punti, debbono succedersi
immediatamente e formare una Linea continuata o meglio una continuata
Catena. 35. Dunque in qualsivoglia Moto immaginando con nione a
percorrere i for Punti ello Spazio ha Pa tali Istanti forma ciò, che da
noi chiamasi Tempo impiegato da un Corpo per eseguire il suo
mo-vimento. Dunque dal Moto nasce naturalmente l'idea del Tempo.
36. Dunque, riflettendo che un'Azione specialmente • Aggregato d'Istanti,
in cui à luogo un'Azione qualunque — Tempo Gode o Mout ceamile di
ertite a Natia medesimp d poggino dall'una parte al principio dall'altra
al fine della fisica esistenza. 38. Fissata con chiarezza questa Linea
generica di Te vari di fe Padee d'immaginaziona el stipic assolute
e possibili Azioni. (a) Due lince sono paralel'e, quando su tutti i punti
sieno sempre ugualmente distanti fra loro. Ma di questo
parleremo in seguito (155 e seg.). Quindi mente le Azioni possono avere per
esprimerli — Queste Voci sono oggi, adesso, jeri, un anno fa, da qui a un mese,
subito ec.; che noi perciò chiameremo Voci di Tempo. Tempo 30.
Ponendoci coll' immaginazione in qualunque Punto della generica Linea di Tempo
(57), ci sarà facile ve-dere, che molte Azioni furono già consumate; che molte
debbono ancora effettuarsi; e che molte si eseguiscono al momento in cui
osserviamo. Avremo dunque su questa cine debo era fa veti se decorsi
tante erico indanti sibile che separa sempre queste due Serie. •
Aggegato ant preo sula pra sale, di Leae futuro qualunque Istante o
Aggregato d'Istanti preso nella seconda serie, e di Tempo presente l'Istante
unico indivisibile che separa il Passato dal Futuro. 4r. I Tempi passato
e futuro, essendo formati d' una Tunga se e d'onti pone da nei onidri
dion, o come Passato e Futuro riferibile ad un precisato Punto della
serie - Quindi il Tempo Passato egualmente che ‹il Futuro sarà determinato o
indeterminato. I. E determinato, se esprimiamo l'Istante o Aggregato
d'Istanti in cui avvenne o avverrà l'Azione; cone l'aio tale Il
mese tale ec. Il. È indeterminato, se riporteremo l'Azione al Passato o
Futuro genericamente e senza fissare limite aletino sulla linea del Tempo; cone
viddi, partirò ec. 42. Il Tempo Presente, come formato d' un solo Istante
indivisibile, è sempre determinato di sua natura. Numero Gli Oggetti d'una stessa
specie si presentano all'uomo ora isolati cioè in numero di uno, come albero,
stella ec.; ed ora uniti cioè in numero di più, come alberi, stelle ec. — La
chiarezza del discorso esigge na-turalmente, che si specifichi se uno o più
furono gli Oggetti in una data Azione o Giudizio, ossia che si spe-citichi il
Rapporto di Numero. Le espressioni
destinate a far conoscere tale Rap- Voci di Numero. 45. Il Numero di uno
ossia un Oggetto isolato è, riguardo al numero, sempre determinato di sua
natura. Ma il numero di più può essere determinato, o
indeter-minato. 1. E determinato, se si esprima da quanti uno desso è
formato; come cinque, nove, cento ec. che sono ri- in gekere, cioè senza
fissare da quanti uno o unità sia desso formato; come alcuni, parecchi, molti
ec. Ordine lungo una stessa linea continuata. piamo delle
linee tanto nello Spazio che nel Tempo (35 e 37), così nelle Cose potremo aver
Ordine e di Spazio e di Tempo. 47. Posto dunque che più Cose della
stessa specie sieno schierate lungo una medesima linea, determinare I' Ordine
d'una qualunque di esse significa — fissare il Punto che lazione dee apa
ore leitea fila lo un camente sulla linea medesi- ma -
dovrà essere necessariamente espresso con Voci apposite, che noi
chiameremo Voci d' Ordine; come primo, se- condo, ultimo, in seguito,
dipoi, infine ec. Sesso 49. In quasi tutte le Specie d' Esseri
Organici, ossia ae Maschi codele Promie Le funon ai tal Pears
essendo diverse come diversa n'è la struttura, l'Osserva- da lui
nominato. Noi chiameremo tali espressioni Voci o Segni di Sesso (a); A
mia cognizione la Lingua Inglese è la sola delle Eu-ropee, che abbia benchè non
sempre Santaguete il Seso masclile dal epmine, Le lre pe- gue
usarono invece generalmente una varietà di desinenza. Aumento e
Diminuzione 50. Fissato coll' esperienza il valore e l'idea
assoluta aumentarsi fino ad un massimo, e diminuirsi fino ad un minimo
anzi fino a zero. dete) Sere se be ler ade sapere fra tazione po
sedere e la distinzione tra il Maschio e la Femmina. -- Con tale
osservazione pretendo unicamente giustificarmi, se à sostituita desso alla
parola genere non esatta e di doppio siguificato. Infatti,
data una Linea retta obliqua (138), se si stabilisca il di lei Punto medio come
esprimente lo stato assoluto della Qualità, possiamo agevolmente concepire
questa Qualità capace gradatamente tanto di salire fino interiore di le
etrlinea canto di scendehe in aulla lità aumenti d'intensità e di forza a
misura che sale, e ne diminuisca a misura che scende per questa immagi nata
linea obliqua, sarà facile formarsi un'idea dei vari Aumenti e Diminuzioni che
può dessa successivamente subire. 5r. Dato quindi che una Qualità sia
fuori del sto stato assoluto, se vorremo il punt, de la tea precisare Va,
eon ecione socia pression indicenti Voci dimento a Diminusione; come mala
almi, inniamente, poco, ne generalmente col dare al nome di Qualità la
desiaenza issimo: beliis- sino, dolcissimo ec. Modificazione
52. Come le Qualità sono suscettibili d'Aumento e Diminuzione ( 5o), così le
Azioni sono suscettibili di Modificazione cioè — di prendere un aspetto
differente, ritenendo però il carattere originario — 55. Per ben
intendere nel nostro senso la forza della parola Modificazione conviene
avvertire, che ogni Azione, in natura il suo valore assoluto; che questo valore
assoluto è nelle Azioni invariabile; e che una stessa Azione dev'essere e sarà
sempre eseguita nel modo me-desimo. Quindi una stessa Azione ripetuta anche un
numero infinito di volte presenterà sempre allo spirito la stessa idea, e però
sarà sempre espressa dalla medesima Voce. Ma le stesse Azioni
benche sempre conservino inalterabile il loro assoluto valore, pouno in diverse
circostanze essere accompagnate da qualche inseparabile o di
Eguaglianza e Differenza, come dai due Paragrafi seguenti. 59. Il
Confronto può farsi anche sulle Azioni o Qualità d' un solo Oggetto. In tal
caso però dobbiamo contemplar tale Oggetto in epoche diverse, ossia coll' ajuto
della memoria dobbiamo considerarlo come pluralizato. Quindi potremo
giustamente applicarvi la teoria sovraesposta (57 e seg.) per Oggetti frà loro
diversi. Eguaglianza 60. Due cose sono eguali, quando non è
possibile assegnare frà loro alcuna diversità - Dunque non può darsi
eguaglianza negli Oggetti, perchè tutti presentano delle varietà rimarchevoli.
E però cosa molt' ovvia rinve- nire angue esstendo in natura delle Coe
gorati tra loro di poni per predicare ueta esagio a de Far Voci d'
Eguagliunza; come al pari, egualmente, tanto quanto ec. Differenza
62. Confrontate due Cose della stessa natura e trove-tele non eguali, - la
quantità di cui una supera l'altra - è ciò che propriamente costituisce
la Differenza tra queste due cose 63 I soli Matematici anno un esatta
nozione del va- unicamente frà Cose non della stessa natura; e la
Differenza invece esiste unicamente frà Cose di medesima natura. Quindi si dirà
che — il Bianco è diverso dal Rosso — è - il Bianco-neve à differente dal
Bianco- latte — o di Eguaglianza e Differenza, come dai due
Paragrafi seguenti. 59. Il Confronto può farsi anche sulle Azioni o
Qualità d' un solo Oggetto. In tal caso però dobbiamo contemplar tale Oggetto
in epoche diverse, ossia coll' ajuto della memoria dobbiamo considerarlo come
pluralizato. Quindi potremo giustamente applicarvi la teoria sovraesposta
(57 e seg.) per Oggetti frà loro diversi. Eguaglianza 60. Due cose
sono eguali, quando non è possibile assegnare frà loro alcuna diversità - Dunque
non può darsi eguaglianza negli Oggetti, perchè tutti presentano delle varietà
rimarchevoli. E però cosa molt' ovvia rinve- nire angue esstendo in
natura delle Coe gorati tra loro di poni per predicare ueta esagio a de
Far Voci d' Eguagliunza; come al pari, egualmente, tanto quanto ec.
Differenza 62. Confrontate due Cose della stessa natura e trove-tele non
eguali, - la quantità di cui una supera l'altra - è ciò che propriamente
costituisce la Differenza tra queste due cose 63 I soli Matematici anno
un esatta nozione del va- unicamente frà Cose non della stessa natura; e
la Differenza invece esiste unicamente frà Cose di medesima natura. Quindi si
dirà che — il Bianco è diverso dal Rosso — è - il Bianco-neve à
differente dal Bianco- latte Esistendo in natura delle differenze, l'Uomo
necessariamente si troverà molte volte in situazione d'indi- più, meno,
maggiore ec. Somiglianza 65. Due Cose sono simili, quando anno
eguali Proprietà (16), senza riguardo phie ponto, senza re terenti e
anche diverse (03). 66. Infinite essendo le Cose simili che ci offre la
Na- porta, biana dosiamo biano di indi a tale ape chiameremo Voci
di Somiglianza. In Italiano le Voci di Soniglianza in fondo si riducono
tutte alla parola Simile.
Identid Identico deriva
dalla voce Latina idem, che significa istesso - Non esistendo in natura Oggetti
eguali perfettamente trà loro (60), deriva la necessaria conseguenza che ogni
Oggetto aver deve i distintivi suoi par-ticolari; e questi particolari
Distintivi formano appunto ciò che serve a identificare ogni Oggetto. Quindi per determinare
l'Identità d' un Oggetto bisogna far della sua specie rimane
dopoci, e raiolare unicamente ciù che in csso 69. Trovandoci sovente in
bisogno di esprimere l'Identità negli Oggetti, faremo dunque uso di voci
apposite che chiameremo Voci d'Identità; come stesso, medesimo ec.
Approssimazione cli la Sesa Sualta o Cciore tor E in lutt eguate
pree fettamente; ma si conosce al tempo stesso, che la ditle serse
o de colionto mon cugua asoluta preitone ai assoluta precisione di
calcolo, basterà che l'Uomo indichi la conosciuta approssimativa
eguaglianza. mere i du di ora far di espresioni, he chia. a un
dipresso ec. Connessione 72. Benché in Natura le Cose sieno tutte
isolate, allo spirito dell' osservatore pur si presentano spesso unite fra
Joro. Questo Rapporto d'Unione è troppo frequente ed essersi etere, e nee
aria di Connesione poie insieme, e, anche ec. Esclusione 73. Da una
o più Cose è molte volte necessario allon-tanarne altre, che o vi sono o vi
sogliono o vi possono essere unite. Quindi per indicare quali cose si
allontanano ossia si escludono, dobbiamo far uso di apposite espressioni, che
chiameremo Voci di Esclusione; come senza, nè, neppure, soltanto, unicamente ec.
Alcune di queste voci come soltanto, unicamente ec. lontanamento o
esclusione di tutte le altre, parmi che per maggiore semplicità ner ma
Cinon inazioi di su somprendersiDichiarazione 74. Uno stesso Oggetto può in diverse circostanze
trovarsi in situazioni diverse. L'intelligenza e la chiarezza del discorso
esigge quindi, che in ciascuna circostanza si dichiari qual n' è la vera
situazione. 75. Di questo tratteremo in
seguito (259 e seg.) dif-fusamente. Intanto per ora basta fissare, che
chiamiamo Voci di Dichiarazione quelle voei che stabiliscono e fanno conoscere
nel discorso la vera situazione dell'Og- getto; come di, a, da ec. SULLE VOCI
DI RAPPORTO 76. Oltre i molti analizati finora esistono tra le Cose moltissimi
altri Rapporti, come di Cagione, Mezzo, distintamente - lo però mi
Carne T analit, t perche riecirebbe linga troppe e nojosa; sì perchè come
premisi (29), dopo l'esposto Anora può ciascuno facilmente continuarla da
se. DELLE VOCI RADICALI 77. Le Voci radicali esprimono o Cose o
Giudizj o . Rapporti. • I. Le Cose sono o Oggetti o Azioni o
Qualità. II. I Giudizj sono o affermativi o negaivi; e il Verbo non
è che un composto di due voci, una di Giudizio l'altra di Azione. III. I
Rapporti frà le Cose sono moltissimi; e per averne cognizione completa bisogna
meditarli attentamen-te, facendo la debita analisi su buoni squarci di
Lingua.DELLE VOCI DERIVATE -8. Deriate chiamiamo (4) le voci provenienti
dalle Radicali, e che sono propriamente destinate ad esprimere come una
modalità ossia una diversa forma, un nuovo impasto della voce radicale: Così
celeste, montuoso, virtù, fedelmente, prolungare ec. sono voci derivate dalle
radicali cielo, monte, virtuoso, fedele, lungo ec. 79. Siccome esigge
l'analisi, ehe nelle voci derivate sappiamo scoprire e determinare la Radice
primitiva esistente in una medesima lingua, così è necessario esaminare in
dettaglio le varie generiche Derivazioni che abbiamo dalle diverse generiche
Radici - Quindi anali-zeremo successivamente ciò che deriva in genere dalle
voci radicali di Cosa di Giudizio e di Rapporto, avver: tendo che le Lingue
praticamente sono nelle Derivazioni irregolarissime e capricciose. Prima
d' inoltrarci in quest' analisi trovo però necessario dar ragione di alcune
nuove Parole da me introdotte per semplificazione.
NOMENCLATURA nostro spirito invece ama vedersi richiamate miale ile
col der umero pisibile di segue pli indispensabile, come si rileverà nel
decorso dell' Opera. Quindi potrà essere rigettata da chiunque non amasse
adottarla. Che non è qui necessario fissare il valore delle nuove parole
introdotte, giacchè si andrà fissando nel decorso dell' Opera senza quasi
avvedersene: Quindi per ora basta prenderne una nozione generica; e alla fine
del libro se ne troveranno di seguito le opportune definizioni. Che non o prima parlato di
questa Nomenclatura, perchè finora non s'è data occasione di doverne far uso.
ELEMENTI DELLA NOMENCLATURA Dodici sono, almeno per ora, gli Elementi di
que- sa silabe E gurs empre trata dala paroa le douc sempre tirata
dalla parola che dev'esprimere: Non o però in questo tenuto regola fissa,
avendo specialmente avuto riguardo atia minore asprezza delle
Combinazioni Ecco i dodici Elementi con di fronte il loro
rispettivo valore : ra ge qua SO sta radice oggetto qualità azione sostantivo astratto 1 bui = guaitativo
verbo то modificazione po rapporto ter
determinante se segno COMBINAZIONE DEGLI ELEMENTI Per
esprimere, che una Voce proviene da una Radice o di Oggetto o di Qualita
o di Azione o di Hap- Azione o Rapporto. 83. Siccome da ciascuna o
almeno da alcune di tali Radici può derivare un Sostantivo astratto o un
Qua- iprime i con Medicazione e le con ner zioni superiori l'
elemento o elementi adattati alla circo- stanza: Potremo dunque
avere 84. Sostarage, sostaraqua, sostarazi, sostarapo, cioe
Sostantivo astratto proveniente da rage, raqua ec. (82)= Quirage,
quiraqua, quirazi, quirapo, cioè Qualitativo proveniente da rage da raque ec. Morage, moraqua, morazi,
morapo, cioè 10- dificazione proveniente da rage da raqua ec. Borage, boraqua, borazi,
borapo, cioè Verbo proveniente da rage da raqua ec. Anche dai Nomi Quattativi
di qualunque provenienza deriva quasi sempre un sostantivo astratto una
Modificazione ed un Verbo. Per esprimere tali Derivazioni basterà preporre i
loro Elementi alle Combinazioni sovraespresse (85): Avremo quindi secondo i varj
casi Sostaquirage, moquirage,
boquirage ec. cioè Sostantivo astratto oppure Modificazione ovvero Verbo
proveniente da Nome qualitativo il quale deriva da rage o razi o ec. (82). go.
Fissato negli Elementi (8) che ter esprime de-terminante, terge significherà
determinante-Oggetto o di Oggetto, terzi determinante-Azione o di Azione.
Quindi, se a queste
Combinazioni preporremo T'Ele-mento della parola che fà l' ufficio di
determinante, potremo avere Soterge, quiterge, boterge cioè Sostantivo oppure
Qualitativo ovvero Verbo determinante un Oggetto: 95. Soterzi, boterzi,
quiterzi, cioè sostantivo, o Verbo ec. determinante un' Azione.
AVVERTENZA 94. Le sovraespresse Combinazioni di Nomenclatura non anno
tutte luogo praticamente •nel discorso : Cost per esempio non abbiamo in natura
nè quiraqua nè qui-terzi ec. lo però le indicai unicamente per mostrare la
ciascuno secondo le circostanze for- le opportune e qui non espresse
Combina- zioni. Ritorniamo adesso all'analisi delle
Derivazioni. Derivazioni dalle Radici di Cosa
intendiamo en aven de sated 9l chion bolto e Dudlia, cole l'ordine
e la necessaria chiarezza che n' esaminiamo pai-titamente le varie generiche
Derivazioni. ARTICOLO 1.° Dalle Radici di Oggetto yole de
obiane atrburgh in ge di Qualia cid che fo ta l'esso oil si ta la
proprietà d'ue del Oogetto. qualificante la forma di nome Qualitativo: Così da
mon-se, radice, leone ec. abbiamo montuoso, radicale, leonino ec.
97. Dalle Radici di Oggetto può dunque derivare un Nome qualitativo, che da noi
sarà chiamato Quirage (85) cioè — Qualitativo proveniente da Nome radicale di
Oggetto -. AVVERTENZA re, onare, vesire O, coe Contengone in bode
11 nome dell'Oggetto che si usa nell'Azione, sembra derivino da una
Radice di Oggetto. Si avverta però, che Queste e simili sono Voci non derivate,
ma radicali di Qualitativi radicale, montuoso ec. Dalle
Radici di Qualità 100. Dalle Radici di Qualità abbiamo tre
Derivazioni - una Voce di Modificazione, ti Sostantivo astratto, ed un
Verbo - delle quali tratteremo separatamente. PARAGRAFO 1.°
Modificazione derivata 10r. Per fissare chiaramente un' Azione bisogna
non di rado attribuirle l'essenza di qualche Qualità; ossia col- rio dare
al nome di Qualità l' aspetto di Modificazione (55): Così da onesto facile
veloce ec. abbiamo one-stamenie facilmente velocemente ec. 102. Ogni voce
di Modificazione, derivata così da una Modificazione: Così per esempio
abbiamo radicalmente pal quai rtivo e dicale Delevainhe sasa stesso
dallia roce mate Moquirage (89). 104. Quindi onestamente facilmente
velocemente ec. dalle radiali, cilità veloci di Modificazione derivanti
Qualità veloce facile onesto ec. E radicalmente leoninamente
montuosamente ec. sono Moquirage, cioè - Voci di Modificazione
derivanti dai Quatitativi radicale leonino montuoso ec. già derivati dalle Voci
radicali di Oggetto radice leone monte ec. —Sostantivo astratto derivato
105. Dalle Radici di Qualità deriva un sostantivo astrat-to, come onestà
modestia velocità ec. provenienti dai Qualitativi onesto modesto veloce
ec. natura è unita inseparabilmente a delle altre - La fa-
so le qui facime te trare e siene mediachi, e non Ora dati più Oggetti,
se si astragga da tutti una stessa Qualita, allo spirito del Filosofo questa
Qualità ai resenta comia i getto generia il astrale afica quindi ne
forma così un Ente, il quale propriamente non esiste che nella sua maniera di
concepire. — Sostantivo astratto proveniente da nome radicale di
Qualita 一 108.
Anche dai Quirage (97) derivano dei Sostantivi astratti; come da radicale
montuoso ec. radicalità montuosità ec.
Essendo quindi essenzialissimo nelle Voci der yal distintive
serano la nator della So parie- Eatro, i uale deiva da None radcale dr
oigeg PARAGRAFO 3.° Verbo derivato 109. Spesso gli Uomini si
trovano in situazione di dare ad un Oggetto una Qualità che non
aveva. Tale operazione si esprime dando alla radice di Qualità l'aspetto e la
natura di Verbo; come dolcificare, facilitare, appianare ec. che significa
render dolce, piano, facile ec. Dunque dalle radici di Qualità deriva
ancora un Verbo: 110. Ogni Verbo così derivato esprimente l'Azione di
attribuire ad un Oggetto una Qualità che prima non everso prove la no da
hime ta Bora di (u,, cioè Dalle Radici di Azione 111. Distinte le
Azioni in determinate e indetermina- ciascuna PARAGRAFO 1.°
Voci attive e passive 112. Ogni Giudizio di Azione oltre la Voce
giudicante cioè essere (23) richiede una voce di Azione, ed un Oggetto che
forma come il cardine del giudizio stesso (a); come Pietro e Tizio in - Pietro
è amante, Tizio è amato - Ora quest' Oggetto del giudizio o eseguisce desso
l'Azione su cui cade il Giudizio, o semplicemente la ri-ceve: Se la eseguisce,
è in istato d'attività; come - Pietro è amante -; ed è invece in istato di
passività (b), se la riceve; come - Tizio è amato. Ma il nome dell'Oggetto è
inalterabile, cioe esprimere se net giudizio è desso ativo o passivo - Dun-que,
il Giudizio non essendo formato che da trè cose cioè — Oggetto, Voce giudicante
ed Azione (112) - l'attività o passività dell' Oggetto dovrà essere espressa
dalla voce di Azione. 115. Dunque chiameremo attiva - quella Voce di
Azione la quale indica che l'Oggetto del Gtudizio è attivo —; come amante in
Pietro ama ossia è amante : Lo stesso dicasi dei Giudizi di Qualità: ma qui il
discorso cade soltanto su queili di Azione. Passività nel nostro senso
non significa patimento ma ricevimento; ossia un Oggetto è nel nostro senso
passivo, ogni volta che riceve un' Azione. E chiameremo passiva - quella voce
di Azione, la quale ania iner io anetto del giudizio —; cone 116. E
qui necessario avvertire, che nella Lingua Italiana come in molte altre si
presentano sotto apparenza passiva delle Voci di Azione che assolutamente non
sono decomporre ed analizare simili espressioni; giacchè è di somma
importanza il saper bene e facilmente distinguere le Voci attive dalle passive,
e quelle che sono realmente tali da quelle che ne anno la sola apparenza.
Di Azione Determinata Presa per Radice di Azione l' espressione del
Giudizio generico-determinante al presente ( 147) ossia l' e-pressio, sedere e
dalle Radici verbali di Azione determinata deriva una Voce attiva, un Nome di
Azione ed un Nome di Attore — Si avverta, che non tutte le Radici di Azione
determinata anno praticamente queste tre Derivazioni : Così dormire per esempio
non à nè la Voce attiva, nè il Nome di Attore; e gioire non presenta alcuna
derivazione. YOGE ATTIVA Azione determinata essendo quella che termina in chi
la eseguisce (19), è chiaro che in tali Azioni l'Oggetto del giudizio non può
non essere attivo. Ma lo stato dell'Oggetto è espresso dalla • Voce di Azione (
114). Dunque dalle radici di Azione determinata deve primie-ramente derivare e
deriva una Voce aira, come cor- rente, sedente ec.NOME DI AZIONE
119. Deriva inoltre una Voce, la quale esprime l'Azione in genere come Oggetto;
vale a dire una Voce - esprimente l'Azione qual'Oggetto, e al tempo stesso
esprimente una certa continuazione di durata o di tempo nellazie i
drivazioni saranno da noi rsi, une semi d'Azione. NONE DX ATTORE
120. Molte volte dobbiamo o ci piace esprimere un Oggetto, non qual esiste in
natura ma solo come Agente in ta caso a oni due i assia se plice alla
adice vibale un aspetto di sostantivo; e la voce che ne risulta è da noi
chiamata Nome di Attore; come espositore, coltiva- tore, vincitore
ec. PaRAGrAFo 3.° Di Azione Indeterminata 121. Presa
egualmente (117) per Radice di Azione l'e- Edicio ve vallai del nei deto
minio presa primelle mente una Voce altiva, un Nome di Azione ed un Nome
di Attore, come dalle Radici di Azione determinata (117): Così da esporre
abbiamo esponente, esposizione ed espo-sitore; coltivante, coltivazione ec. da
coltivare ec. - Infatti, applicando pel Nome di Azione e di Attore il già
esposto (119 e 120), il Verbo deve avere una Voce inoltre una Voce
passiva ed un Nome Qualitativo., VOCE PASSIVA 125. Azione
indeterminata, essendo quella che non termina in chi la eseguisce (19), è
chiaro che l'Oggetto. del giudizio sarà molte volte o almeno potrà essere nello
stato di passività (113). Ma lo stato dell' Oggetto nel
giudizio è espresso dalla Voce di Azione (114). Dunque dalle Radici di Azione
indeterminata derivar deve e de- se (116). NOME
QUALITATIVO rogativa di caso per esprimere questa prerogativa
o qualita si fa uso d' una voce derivante dalla radice di CoNonte
Quaitatvo detivante da ratice verale di Azione -; come esponibile,
coltivabile, vincibile ec. 125. Siccome ogni Nome Qualitativo d'
Azione deve riguardarsi come vero Nome di Qualità, cosi dai Qui-razi
avremo le varie Derivazioni assegnate (100) alle Radici di Qualità - Quindi dal
Quirazi amabile p. es. avremo amabilmente, cioè un Maquirazi (89); avremo
amabilità cioè un Sostaquirazi (89); e dovremmo anche avere un Boquirazi (89)
come amabilizare cioè rendere aruad, Voendo quind coprinere di cegute e
varie De- rivazioni da una stessa Radice verbale di Azione indeterminata
p. es. presentare, avremo o almeno dovremmo avere - presentante, presentatore,
presentazione, pre-sentato, presentabile, presentabilmente, presentabilità,
presentabilizare - Si avverta però come già fù detto (117), che
nelle Lingue le radici di Azione indeterminata non anno tutte
praticamente le diverse annunziate Derivazioni : Così amare non à nè amazione
nè amabilizare ec. L' irregolarità nelle Derivazioni gia marcata più
volte, è un difetto notabilissimo in tutte le Lingue, ed è una delle prove più
convincenti che le Lingue furonoa poco a poco e capricciosamente formate dall'
uso, non dal calcolo filosofico nè con regole di sistema — T'ale osservazione
dovrebbe più che ogni altra persuaderne, che i Sistemi i Metodi ed i Libri
impiegati finora per lo studio delle Lingue, sono direttamente opposti alla
natura del prattico Linguaggio, e servono solo ad istupidire lo Spirito ad
inceppar la memoria e ad impedire la cogni- zione di ro dimostare e
pretende intenere a come i Derivazioni dalle Voci di Giudizio 128.
Fissata per Voce radicale di Giudizio affermativo l'espressione generica
essere, vedemmo (23) che pel Giudizio negativo basta unire ad essa la negazione
; ed abbiamo così non essere — Quindi la Voce radicale di Giudizio in fondo si
riduce alla sola essere, e con essa potrebbero facilmente esprimersi tutti i
Giudizj. 120. Infatti ogni Giudizio, oltre la Qualità o Azione il
Tempo a cui questo giudizio si riporta, Ora asodi a cosa dere ci di chi a
chi a che da chi ascolta - Indicando quindi con nome apposito quest
Oggetto, e fissando che il nome di chi parla è io se une proi sece le il rocco
di chi a tolta il lore nome particolare, si vede chiaro che riguardo all'
Oggetto la voce essere può sola bastare ad esprimere qualunque Giudizio.
- Io essere Italiano, Tu essere Studioso, Pietro essere Scrivente, Noi essere
vicini, Voi essere pa-renti, i Soldati essere valorosi ec. - 13r. Il, Il
Giudizio che si proferisce, è riferibile a Tempo o passato o futuro o
presente (40). Quindi, fis- da sola foce asere Coll apate d un ai a
Pratante ancae riguardo al Tempo ad esprimere qualunque giudizio -
Per esserne meglio convinti agli Esempj addotti di sopra - lo essere Italiano
ec. — si uniscano successivamente le varie Voci di Tempo jeri, oggi, domani, un
anno fà ec. (38). 132. Ma gli Uomini per natura amanti di varietà
come molte volte unirono la voce di Giudizio a quella itinel Cln evita
ripe continue e duindi, nojose ogn' istante una stessa
invariata Voce di Giudizio, come sarebbe in Italiano essere, trovarono
nel decorso dei secoli conve niente supplire e a varj Nomi di Oggetto e a molte
Voci di Tre di Gidialcune stabili derivazioni dalla Voce ra- ralicale ai
Cuatio d estre perastremo i quetalarne essere, passeremo a
dettagliarne tutte le moltiplici Derivazioni dopo le seguenti
necessarie Avvertenze. Potendo essere Oggetto del Giudizio o Chi
parla dai primi due; oppure per semplificazione maggiore li chiameremo
rispettivamente Parloge, Scoltoge, Ter- come ale o per, ce o a rive devoi
e siderase chi legge. 134. La desinenza nelle derivazioni tanto
dalla Voce radicale di Giudizio come da qualunque altra Radice ver-bale,
esprime in Italiano la qualità dell' Oggetto, cioè se parlante ascoltante o
terzo; e n' esprime parimenti il Numero genericamente cioè se uno o più sono
gli Og- ti me degli e see parlate e colge, mpreo sempre lo
stesso in ciaseun Numero (130), volendo potremo tralasciarlo ognivolta che non
ne nasca oscurità o confu; sione. Si richiami la definizione
del tempo (36), e la Linea generica indicata (37) per facilitarne l'
intelligenza. Si fissi, che il Tempo
passato e futuro è sempre hea da noi ai deterina cone presne (3), ar 6 in
nostro arbitrio considerar come presente qualunque punto tanto sulla serie
degl'Istanti decorsi come su quella degl' Istanti avvenire. 157. Da varj
Oggetti potendo al tempo stesso farsi varie Azioni, o anche dovendo noi al
tempo stesso considerare varie Azioni fatte in tempi diversi, si fissino
secondo il bisogno due o più linee di Tempo paralel-le (35 V. Nota) frà loro.
La prima esprimerà le Azioni dell' Oggetto parlante; la seconda quelle
dell'Oggetto ascoltante; e la terza, pluralizata ove occorra, quelle dei
terzi Oggetti. 138. Ugni perpendicolare (a) a queste paralelle
tirata su medingo punto peprimera e arigetti diveren te ogni obliqua alle
medesime paralelle esprimerà invece varie Azioni avvenute in diversi istanti,
egualmente per opera di Oggetti diversi (b). 139. Un solo Oggetto può
fare anch' esso varie Azioni sare stessetem tal come biscare e ulare, ore
ore e cam se la natura del discorso esigge che si faccia eguale
attenzione su ciascuna di tali contemporanee azioni; oppure se, considerandone
una come principale, le altre debbano riguardarsi puramente come accessorie:
Giacchè nel primo supposto dobbiamo esprimerle tutte distinta-
mente, come giuoca e ride, scrivono e cantano ec.; e nel secondo supposto, espressa
la principale con distin-zione, si darà alle altre un aspetto di semplice
accesso-rietà, ossia un aspetto modificante, come giuoca ridendo ec.
(150). 140. Ciò premesso, inoltriamoci a fare una dettagliata esposizione
dei vari Modi e Tempi sia assoluti sia relati- gna alla generica ladice
di Giudizio essere. Natura del Giudizio 14t. Secondo la
Giudizi Vecondo eh diver dide e e cra tra soio isotri ti, ora dipendenti, ora
puramente indicativi, ora accompagnati da qualche particolare sentimento
dell'anima, ora generici, ora congiunti a qualche determinazione
particolare, ora ec.; come potrà meglio rilevarsi dai Paragrafi
seguenti. Queste diverse forme, sotto
le quali suole o può presentarsi un Giudizio, saranno da noi chiamate Maniere o
Modi del Giudizio. Questi Modi sono da noi portati al numero di otto, cioè Modo
generico, indica-tivo, condizionato, suppositivo, volitivo, ottativo,
inde-finito, interrogativo; e tratteremo separatamente di cia-scuno. Giudizio
Generico Spesso esprimiamo di
seguito due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo; come — voglio
par-tire, scrive cantando ec.—; uno dei quali cioè voglio, scrive ec. forma
sempre come il cardine del sentimen- Ceso ( 3g), n tal case i facle cnecre, che
aveado espresso con chiarezza e precisione il Giudizio cardinale,
basterà indicare gli accessorj anche genericamente. Ed infai
perchè pect cade aidiri, ecessivi che separabilmente congiunti?, — Ora
questi Giudizj acces-sorj, espressi così genericamente e considerati a motivo
d'a chia spar dimente ai eardicali cidi ili che generico. 144.
Dunque sebbene in un prattico discorso non possa esistere alcun Giudizio
assolutamente generico, giacchè tutto vi dev' essere convenientemente
determinato, pure allo sguardo analitico varj Giudizi separatamente presi si
presenteranno come tali. Dunque è quì necessario ana-lizare le relative
espressioni o derivazioni, distinguendo i Giudiz) generici in determinanti e
modificanti. GENERICO DETERMINANTE ‹45. Chiamiamo determinante ogni
Giudizio generico, il quale serve a determinare ossia stabilire fissare il vero
e preciso valore del Giudizio cardinale ( 143): Così in — voglio partire
- partire è determinante di voglio; giacchè voglio senza partire non
esprimerebbe nel nostro caso concreto un'idea determinata e precisa, come
diremo in seguito più diffusamente ( 25g e seg.) Il Giudizio generico
determinante può essere pre-sente, passato o futuro — Si avverta però, che in
simili Giudizi questi tempi sono tali unicamente riguardo al Giudizio
cardinale; e quindi propriamente sono tempi relativi a guello, in cui à luogo
il Giudizio cardinale. 1. E presente
ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo al tempo stesso del Giudizio
cardinale ; e la voce radicale essere è quella che serve ad espri-merlo. Quindi
abbiamo - debbo; doveva, dovetti. dovrò, dovrei ec. essere 148. Il. E
passato ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo prima del Giudizio
cardinale; e essere stato è la derivazione che serve ad esprimerlo. Quindi
abbiamo — debbo, dovevo, dovetti, dovrò, dovrei cc. essere stato -.
149. IlI. E futuro ogni Giudizio generico determinan-te, che à luogo
dopo il Giudizio cardinale. Dover essere, aver da essere, esser per essere sono
le derivazioni che lo esprimono; tutte però di pochissimo uso in buon gusto
Italiano (243). Quindi abbiamo - credo, credeva, credetti, crederò, crederei
ec. dover essere o aver da essere o esser per essere —. GENERICO
MODIFICANTE 15o. Chiamiamo modificante ogni Giudizio generico s il quale
accompagna il Giudizio cardinale onde presentarlo sotto forma diversa ossia
onde presentarlo con una Modificazione (52): Così in — giuoco cantando - can-.
cando non fa che accennare l'azione, da cui è accompagnata ossia modificata
quella di giuocare. 151. 1 Giudizio generico modificante dovendo agire
e medesimo. Quindi il Giudizio modificante rapporto al cardinale non può
essere che presente — Essendo è lu derivazione per questo giudizio. Avremo
dunque - Essendo cantante ossia cantando giuoco, giuocava, giocai, Bocz,
Ii Talano si grand uso dal epresione essendo tempo passato, e ciò
specialmente per l'analogia coll' espressione del Generico determinante passato
(148). — Si faccia però avvertenza, che essendo stato è un' espressione
sostituita ; e si richiami (‹51), che il Giudizio generico modificate
vene esempele presene, Ciod, dev di PARAGRAGO 2.° Giudizio
Indicativo 153. Indicativo è ogni Giudizio, in cui ad un Oggetto
attribuiamo puramente un'Azione o Qualità, senza che vi sia annessa alcuna
particolare circostanza o emozione dell'animo; come — Pietro è virtuoso, i
Soldati erano prodi ec. -: E lo chiamiamo Indicativo appunto
perchè tale Giudizio non fà che accennare ossia indicare se stesso li.
madrio indicaivo può essere isolato o dipen dente. INDICATIVO
ISOLATO 155. Isolato da noi chiamasi ogni Giudizio indicativo
esprimente un senso completo senza il concorso d' altro Giudizio — L'
Indicativo isolato è sempre riferibile ad uno dei tre Tempi passato, presente o
futuro; giacche in qualche istante di tempo 156. T'EMPo PASSATO - E
passato quel tempo, che si considera esistente sulla linea ( 5g e 40) prima del
punto che fissiamo come presente — Eccone le Derivazioni : io fui
noi fummo tu fosti voi foste egli fù essi furono
157. TEMPO FUTURO - E futuro quel tempo, che sulla linea trovasi dopo quel
punto che fissiamo come presente - Eccone le Derivazioni : io sarò
noi saremo tu sarai voi sarete egli sarà essi
saranno 158. TEMPO PRESENTE - Il tempo presente non occupa sulla linea
che un punto solo, e propriamente quel punto che divide il Futuro dal Passato -
Eccone le Derivazioni : io sono noi siamo -tu sei voi
siete egli è essi sono 159. La Lingua Italiana per il passato
due espres-sioni, ossia considera il passato e come vicino al presente e come
da esso lontano. Quindi per l'Indicativo isolato abbiamo in Italiano due Tempi
passati, cioè passato-vicino e passato-lontano - Le derivazioni sovraespresse
(156) io fui ec. servono al passato-lontano; e pel passato vicino
abbiamo le seguenti: io sono stato noi siamo stati tu sei
stato voi siete stati egli è stato essi sono stati 160.
L'uso di questi due Tempi passati riuscendo a rol passto vicine spase
unicanente per cprnet Giudizi riferibili al giorno in cui si parla
riteribi le una esterorno di ceio della quale rena parte integrante il
giorno in cui si parla; come — que- Il passato-lontano si usa invece per
esprimere qualunque giudizio riferibile per lo meno al giorno precedente
quello, in cui si pronuncia; e però deve sempre far buon senso colla voce di
l'empo jeri. INDICATIVO DIPENDENTE 161. Dipendente chiamiamo ogni
Giudizio indicativo; la cui chiara totale e precisa intelligenza dipende da un
altro Giudizio; ossia è dipendente ogni Giudizio, che senza l'ajuto d'un altro
non ci presenterebbe una completa co- Tinieier la pend del eve a cui si
dice seri unito ad un altro giudizio à espresso o facilmente
sottinteso. Ogni Giudizio indicativo
dipendente è riferibile ad uno dei trè Tempi presente-relativo,
pussato-anteriore, futuro-anteriore. PRESENTE-RETATIVO - Chiamiamo presente-relativo quel
tempo, il quale sebbene di sua natura assolutameute passato, pure è presente
riguardo a quello in cui avvenne una data Azione o. Giudizio. possono e quile
poprendere ehe da due più Omoni al tempo stesso: Così in — lo scriveva,
quando voi mi chiamaste — l'azione di scrivere è avvenuta
contemporaneamente a quella di chiamare - Ora tali Azioni: riguardo al tempo in
cui avvennero confrontate l'una col-T altra, sono ossia furono reciprocamente
presenti trà loro, cioè ebbero luogo in un medesimo istante — Dunque possiamo
giustamente nominarle di presente-relativo. 165. Se dunque corsideriamo
lungo varie linee para-Jelle (137) Azioni diverse già consumate, saranno di
presente-relativo cioè presenti frà loro tutte quelle che trovansi in una
stessa perpendicolare a queste paralel-: le (138). Espressa dunque una di tali
Azioni contern- poranee in modo da far conoscere il tempo asoluto
in cui avvenne, basterà indicare che le altre furono con-. temporance alla
medesima; ed abbiamo voci apposite per questo. — Eccone le Derivazioni :
io era noi eravamo tu eri voi eravate egli era
essi erano 166. PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo passato-anteriore ogni
Tempo passato prima d' un altro, che nel discorso noi consideriamo parimenti
come passato - Ed infatti• quante volte non ci occorre di esprimere due Giudiz)
o Azioni passate, obligati ad indicare nel medesimo tempo che l'una avvenne
prima dell'altra? Così p. es. in - O moTiorpar ong tora dela corerd
ai mio ritorno è avvenuto prima della partenza di Tizio: Quindi l'azione
di tornare, anteriore a quella di contrel sard tante chiamata d leape
pasato concreto sarà anterjore. — Eccone le Derivazioni : io
era stato noi eravamo stati tu eri stato voi eravate
stati egli era stato essi erano stati 167:
FUTURO-ANTERIORE - Molte volte esprimiamo un Giudizio di Tempo
futuro, ma che deve effettuarsi prima He de due dere etituara pel primey
e quele cie noi diciamo di tempo futuro-anieriore. Così, p. es. in
- Quando avrò finito la Lezione, passeggeremo — il passeggio non può aver
luogo che dopo finita la lezione: Quindi l'azione di finire, in se stessa
futura ma che deve aver luogo prima di quella di passeggiare, sarà
nel caso nostro giustamente chiamata di Tempo futuro-anteriore. Eccone le
Derivazioni : io sarò stato noi saremo stati tu sarai
stato voi sarete stati egli sarà stato essi saranno
stati Giudizio Condizionato Condizionato è ogni Giudizio, la cui verificazione
trovasi essenzialmente attaccata all' eseguimento di qualche Condizione
espressa o facilmente sottintesa. Quindi il Giudizio condizionato relativamente alla
che ziand è severi di e satura verre aule a Condi, che quando si verificasse o
si fosse zione, il Giudizio condizionato avrebbe luogo o lo avrebbe avuto
sempre dopo tale verificazione. 170. Il Giudizio Condizionato può essere
praticamente. eseguibile o ineseguibile. CONDIZIONATO
INESEGUIBILE 171. Un Giudizio condizionato è ineseguibile, quando la
condizione non può più aver luogo - Quindi il Condizionato ineseguibile non può
per natura riferirsi a. Tempo futuro: Esso quindi sarà di Tempo o
presente o passato. 172. CONDIZIONATO PRESENTE - È presente, quando posto
il verificamento della condizione, il Giudizio avrebbe luogo al momento in cui
si proferisce: Come — Favori- trovi la sete ha se ate, ce la de di danti
verit candosi la condizione di avere, seguirebbe al momento istesso in
cui si pronuncia il corrispondente giudizio, - Eccone le Derivazioni
: io sarei noi saremmo tu saresti voi sareste
egli sarebbe essi sarebbero 173. CONDIZIONiTO PASSATO - E
passato, quando posto il verificamento della condizione, il Giudizio avrebbe
avuto luogo in un tempo anteriore a quello in cui si pronuncia: Come — Se foste
venuto, ve lo avrei detto - ; dove si vede, che verificatasi la condizione
della venuta, l'azione di dire sarebbesi effettuata in un tempo anteriore a
quello, in cui proferiamo il corrispondente Giudi- zio. — Eccone le
Derivazioni : io sarei stato noi saremmo stati tu saresti
stato voi sareste stati egli sarebbe stato essi sarebbero
stati appare e ole, diposent no seguibili de Cardia, cho qualens
non sespriere quet pici mente areiene; Come - Amerei sapere verta
quindi, che simili Sparereste forse ..? — Siav espressioni difettose in
natura, sono improprie ossia sostituite; ma che furono riconosciute buone
dall'uso, il quale in punto Lingua auto- rizò moltissimi errori.
CONDIZIONATO ESEGUIBILE Condei tre Gia rico a diricato è eseguibile
Condeila nato eseguibile non può per natura essere che di Tempo futuro -
Ma la forza condizionativa è sempre espressa dalla natura del discorso. Dunque
basterà semplicemente indicare, che il Giudizio condizionato è eseguibile,
ossia cli è futuro. Quindi pel Condizionato-futuro faremo uso delle Derivazioni
già stabilite per l'Indicativo-futuro (157): Condizionato eseguibile
benchè sua natura futuro, si oftre sotto aspetto di presente riguardo al
Tempo in cui si verificherà la condi-zione. In tal caso le Derivazioni sono
eguali a quelle gia di Tempo futuro, riguardo al tempo in cui si
pionuncia il giudizio. Ma siccome nel discorso noi consideriamo
questa ione ela va enco all' con di e a so di segui presente, stante la
nostra maniera di considerarla. PARAGRAFO 4.° Giudizio
Suppositivo La natura del discorso
esigge sovente, che in via d' abbondanza d'ipotesi ossia supposizione si
ammetta come avvenuta o avvenibile una cosa, che potrebbe anche non essere, Il
Giudizio che noi esprimiamo in tal caso è in modo di supposizione, e perciò lo
chiamiamo Suppo- sitivo — E siccome la supposizione può cadere su cosa
presente, passata o futura; così il Giudizio suppositivo dovrà riferirsi ad uno
di questi trè Tempi. Si avverta, che
nei Giudizi suppositivi il nome di Oggetto si pone dopo la Voce di Giudizio; e
che trà la Voce di Giudizio e il Nome di Oggetto comunemente suol porsi una
particella, che diciamo di supposizione; come pure, anche ec. SUPPOSITIVO-PRESENTE - E
presente il Suppositi-vo, quando il Giudizio si riporta al momento in cui si
proferisce: Come - Siate pur voi l' offeso: Che bramate di più?.— Eccone le
Derivazioni : sia io siamo noi sii tu sia egli siate
voi siano essi 180. SUPPOSITIVO-PASSATO — Il Giudizio
Suppositivo è riporta ad un tempo anteriore a prello in un se proteree:
come " son pur ogli rato nostro nemico: Noi dobbiamo graziosamente
riceverlo - Eccone le Derivazioni : sia io stato siamo noi
stati sii tu stato siate voi stati sia egli stato siano
essi stati 182. SUPPOSITIVO-PUTURO È futuro il Giudizio sup- poi a
grando di ricrisce a tempo posteriore do mul, cieè sia arrivante ec. — Le
Derivazioni del futuro sono eguali a quelle del Suppositivo prescate ( 179); e
quindi se non in lingua, son difettose in natura — A questo
difettó dobbiamo pertanto supplire col fare attenzione maggiore al
sentimento. Giudizio Volitivo osia ci amiamo solta da i soliti delie
pra ede lontà — Ma un atto di assoluta deliberata volontà non può esternarsi
che o comandando o esortando o pre-gando. Dunque il Giudizio volitivo esprimerà
sempre o Comando o Esortazione o Preghiera. Inoltre un atto di assoluta
volontà non può riferirsi al tempo che più non è — Dunque il Giudizio volitivo
si aggirerà soltanto sul Tempo o presente o futuro. Finalmente l' Oggetto
parlante (150) non à bisogno di esprimere con parole un atto di volontà riguar-
lante, se uno; giacchè essendo più gli Oggetti parlanti, possono benissimo anzi
debbono comunicarsi reciprocamente la lore volontà. 185. VOLITIro PREsENTE
- Un Giudizio volitivo è presente, quando deve eseguirsene la forza al momento
stesso in cui si proferisce: Come - fuggi, tacete, cantiamo ec. — Eccone le
Derivazioni : siamo noi sii tu siate voi sia egli siano
essi 186. VOLITIVO-FUTURO - Un Giudizio volitivo è fusu- 20
un anno " eseginento della sua espresione si riports sarai ti
saremo noi sarete voi sarà egli saranno essi 187. Si
faccia attenzione, che nei Giudizi volitivi il nome di Oggetto si pospone alla
voce di giudizio, anzi generalmente con più eleganza si
tralascia, specialmente nel futuro. ai ne spesisio il toluvo prente htrid
esendo,che invece del futuro in prattica in tal caso espressa dalla
natura del discorso. Giudizio Ottativo 183. Siamo non di rado nella
situazione di desiderare energicamente qualche cosa. In tal caso esprimiamo un
forte sentimento dell'animo con un Giudizio accompagnato da desiderio ossia
ottativo, dalla voce latina optare che significa desiderare. 189. Il
Giudizio Ottativo può come il Condizionato (170) essere eseguibile o
ineseguibile. Si avverta, che ugni Giudizio ottativo suole nel discorso
essere ordinariamente accompagnato da una particella di eder, come it esi
vele, di di questi dimace il nome di Oggetto, il quale può esser anche
taciuto, si pone dopo la voce di giudizio. OTTATIVO INESEGUIBILE
190. Un Giudizio Ottativo è ineseguibile, quando il desiderio che lo accompagna
non può più aver luogo ossia non Poit io inesegui sarai mario prese
e o assai to, escludendo esso il futuro di sua natura perdie altrimenti
cesserebbe d'essere inescguibile appunt in cui si_ proferisce: Come — Oh
foss' io vostro Gene-! rale! - Eccone le Derivazioni: foss'
io! fossimo noi! fossi tu! foste voi! foss' egli!
fossero essi! 192. OrTATIVO-PAssATO — L'Ottativo è di Tempo valore
dei cadia, avre e attraiome e de deria, il mento in cui si proferisce:
Come - Oh foss' io stato più accorto! — Eccone le Derivazioni: foss'io
stato! fossi tu stato! fossimo noi stati! foss' foste
voi stati! egli stato! fossero essi stati! OTTATIVO
ESEGUIBILE 195. Il Giudizio Ottativo è eseguibile, quando il desi-
Quindi Ottativo enguibile nou pan pea eeta essere che di Tempo
futuro: 194. Le Derivazioni per l' Ottativo futuro sono perfettamente
eguali a quelle dell'Ottativo presente (19°); e 3 nerisce il Cudicio
Cuesta Contione e perd della massima facilità. Infatti chi non vede, che
i Giudizj ottativi — Oh mi scrivesse col primo ordinario! Oh arrivassero almeno
domani! ec. — sono Giudizj riferibili a Tempo futuro? Autorizati
dall' uso sostituiamo molte volle al No e Oativo delle espe voi di pare a
col diziona- La natura del discorso però ci farà facilmente conosce-re,
che tali espressioni sono sostituite; e l'analisi vuole, che sappiamo riportarle
all'originaria loro forma e na-tura. verta, che l' uno difatti chiama
necessariamente l' altro, benchè in prattica non sempre sieno espressi
formalmente clianiand Ogi Cidize die accompagnato da una tai
spressione arrivino è indefinita, ossia non presenta che un Giudizio
indefinito; giacchè questo Giudizio non ci dà di se stesso alcuna certezza: -
Mi pare che arrivino, credo che arrivino, si dice che arrivino, voglio che
arrivino ec. - 198. Questa materia s' intenderà meglio dopo avere
attentamente ponderato ciò ch' esporremo in seguito (358) - Quì intanto
fisseremo l'espressioni o Derivazioni per que- stelle derivazioni pri lu
citairi es pisse lnse, heacha in se e propriamente nel discorso abbiano
tutt' altra forza e valore, che tali Derivazioni debbono essere precedute dal
che, il quale però qualche volta si può anche tra-lasciare; finalmente che
questo che è sempre preceduto esso stesso da un altro Giudizio o Verbo, che per
ora chiamiamo precedente. si cred va io siper Tindefroke net sia
che noi siamo che tu sii che voi siate ch'egli sia ch'
essi sieno si credee vario sia sato in one sot si che noi siamo
stati che tu sii stato che voi siate stati ch' egli sia stato
ch' essi siano stati 201. Indefinito-futuro — Un Giudizio di Tempo futuro
è indefinito ossia incerto di sua natura. Quindi in Italiano non à alcuna
particolare espressione, ossia è espresso che un ci drio divederto, la ta
in rea a che sere porta a Tempo futuro. — Eccone le Derivazioni col
che: Si crede — ch'io sarò che noi saremo che tu sarai
che voi sarete ch' egli sarà ch' essi saranno 202.
Derivazioni per l'Indefinito presente-relativo - Si creder lo theredette
ec. che noi fossimo che tu fossi che voi foste cli egli
fosse ch' essi fossero 203. Derivazioni per l' Indefinito
passato-anteriore - Si credeva levo si sietelte ec. che noi
fossimo stati che tu fossi stato chie voi foste stati ch egli
fosse stato ch'essi fossero stati 204. Indefinito Futuro-relativo -
Il futuro-relativo si usa al Modo indefinito per esprimere un Giudizio,
futuro con in se sei idi samente river o preced in te (198) -
L'espressione per questo futuro-relativo si prende dal Giudizio condizionato o
presente o passa- rapporto alla condizione ( 16g). — Eccone le
Derivazioni col che: Si credera o si credette ec. che tu saresti
ch' egli sarebbe che noi saremmo che voi sareste cli essi sarebbero
ovvero Si credeva ec. ch'io sarei stato che tu saresti stato
ch'egli sarebbe stato che noi saremmo stati che voi sareste stati cli
essi sarebbero stati Giudizio Interrogativo I Giudizi sono molte volte
accompagnati da Inter-rogazione; ed allora noi li chiamiamo Giudizi
interrogativi. Nei Giudizj interrogativi
si fà uso delle Derivazioni già esposte per gl' Indicativi, Condizionati ec. -
Si avverta però; che negli Interrogativi il Nome di Oggetto si pospone alla
voce di Giudizio; che molte volte questo Nome si può anche tralasciare; e che
nella scrit; tura i Giudizi interrogativi voglieno essere marcati
col così detto punto interrogativo - Avremo dunque: — Son io? fui io?
sarò io? sarei io? ec. — 207. Il Giudizio interrogativo può essere
semplice o enfatico, damente o die, guano di isma in Comat e
Cle fate? Dove andarono? Quando tornò? ec. -. II. E enfatico,
quando la domanda è accompagnata da un forte sentimento dell' animo p. es. di
sdegno, d'orrore, di dubbio, di timore, d'insulto, di scherno ec. : Come
— Che si pretende da me? Dunque è finita per noi? E vederlo potrei? Voi l'
uccideste 208. Gl' Interrogativi tanto semplici ch' voi? ec. —
enfatici si espri- mono colle stesse Derivazioni, ed in iscritto colla
stessa punteggiatura. Essendo però in natura diversi trà loro, tale diversità
dovrà essere espressa da una diversa infles- pratican se a to dati quante
diversi trà CAPO III Derivazioni dalle Voci di Rapporto 209.
Avendo trovato inopportuno e quasi impossibile il determinare tutti i diversi
Rapporti che le Cose anno tra loro (76): portiamo lo stesso giudizio e con più
forte ragione sulle Derivazioni dalle voci Radicali di questi le
possibili metafisiche teorie — Ritenendo quindi, che dopo l'esposto finora
siasi già acquistato dello Spirito analitico anche relativamente al Linguaggio,
alido l'esame di queste Derivazioni alla perspicacia del meditabondo Lettore.
210. Debbo però avvertire; che non da tutte le Radici di Rapporto
abbiamo Derivazioni; che da alcune alpicazione irainite anche di Sastivi
aai e.; infine che la natura del discorso farà facilmente rilevare le
Radici di tali Derivazioni. Infatti in un prattico discorso chi non vedrà
all'istante, che le voci — infe- tro ec. - ? 211. Riguardo alla
denominazione di tali Derivazioni si richiami quanto fû già stabilito nella
nostra Nomen- rapo (89) ec.. DELLE VOCI SOSTITUITE 212.
Sostituite chiamiamo (5) quelle Voci o Espres-sioni, che per vezzo eleganza
chiarezza o brevità sogliono dall'uso porsi in luogo d'altre voci conosciute e
di altre regolari espressioni ed e stiani salin pratica
molisime: merà non inâtile doversi qualch istante occupare di tale
materia. 214. Avverto poi, che non è possibile scriver bene in una Lingua
non propria, quando non si sappiano fare nella propria Lingua tutte le
possibili sostituzioni; a meno che non s' imparasse la Lingua straniera per
prattica come la propria. DELLE VOCI PARTI DEL
DISCORSO NALIZATE finora le Voci isolatamente prese paile com ar
osia memar del Dicorso, ale a dare dobbiamo considerare l'ufficio la
posizione il valore delle une relativamente alle altre, in quantoche prese
insieme formano un sentimento completo. le varie varie possiber
inuzzioni degli Osteti etemrate le due Sezioni di questa seconda Parte
della nostra Metali- sica di Linguaggio. DETERMINAZIONE DELLE
VOCI 217. Abbiam visto (12 e 19), che le Voci sia d'Oggetto sia d'Azione
possono essere, anzi sono nella massima parte indeterminate. Ora una Voce nel
nostro senso indeterminata, non esprime e non presenta allo spirito che
una natura de acors og acamenke Che sla idata fal idea generica; ma
è pur vero, che le Voci indetermina- per gli Oggetti che per le
Azioni. Determinazione degli Oggetti 218. In Italiano i Nomi
indeterminati, cioè di Oggetto indeterminato, si distinguono dai determinati
col mezzo d'una piccola voce il, lo, la ec. chamata comunemente Articolo.
Quindi ogni Nome cui si prepone e può preporsi l'Articolo, è di sua natura
indeterminato. ai laro natura doteminti, Y tal case pero ai avola,
che frà l'Articolo ed il Nome è sottinteso un Sostantivo Pò, l'astro
chiamato Sole, la parte del globo detta Europa, la parte d'Italia detta
Lombardia ec. - 220. Ogni Oggetto o Nome indeterminato, quando al
discorso non basta la sua generica idea, deve di necessità convenientemente
determinarsi - Ma in natura non Oggetto dipenderà necessariamente da uno
o più di questi trè Capi d' esistenza. Ma i Giudizj in fondo non
sono che Azioni: 1 Rapporti di loro natura determinano nel discorso tutto ciò
che prende determinazione da loro, avendosi per ogni Rapporto voci apposite e
invariabili, quindi sempre di eguale significato e valore. Dunque possiamo
limitarci a parlare delle sole determinazioni dipendenti da Cose, ossia da
Oggetti, Azioni e Qualità (9). Dunque riguardo agli Oggetti o Nomi indeterminati
analizeremo successivamente i Qualitativi, i Sostantivi e i Verbi determinanti
cioè — che fissano l'idea precisa, la quale deve da noi attaccarsi al Nome di
sua natura indeterminato - Del Qualitativo doterminante Oggetto, o
Quiterge 223. Ogni nome Qualitativo è di sua natura determinante Oggetto,
com'esprime la voce stessa qualitativo ossia qualificante. Quindi se un Oggetto
indeterminato debba prendere la necessaria determinazione da una Qualità,
basterà unire semplicemente il nome di Qualità a quello d'Oggetto; come confomo
otto dele Principe da sti chiala Quie alla notra Nomenclatura sarauno
224. Dagli esempi qui addotti ed altri simili, se si • analizino, è
facile comprendere in che consista la deter- da Qualità - L' Uomo p.
es. minie un prove ente, d coprendente 4 gi non ch; e quindi
applicabile a qualunque individuo della specie: Unendo però al Sostantivo
uomo il Qualitativo dotto, 1o ne limito l'idea generica escludendo i moltissimi
non 225. Dunque ogni Qualitativo unito ad un Nome di Oggetto non serve
che a determinare l'idea dell'Oggetto medesimo: E ci convinceremo sempre più di
questa verità osservando, che gli Oggetti di loro natura determinati (15) non
ponno mai essere uniti ad alcun Nome Qualitativo. Del Sostantivo
determinante Oggetlo, o Soterge 225. Il determinare un Oggetto col mezzo
d' un altra Oggetto è cosa comunissima in ogni Lingua - Ma un Oggetto che
in una data circostanza serve a determinarne sia, deve avere il suo
particolar Distintivo. 227. In Italiano il Distintivo del Soterge è la
particella di, la quale trovasi spesso unita all'Articolo in una sola
Pa, la ua ce os allesto di ara da noi chianato Seo terge, cioè —
Segno di sostantivo determinante Oggetto - Nelle espressioni - La Casa di
Pietro, il Calore del Sole ec. — Pietro e Sole sono Soterge, cioè sostantivi
determinanti rispettivamente gli oggetti Casa e Calore; e però sono
preceduti dal Sesoterge di. 228. Si noti, che la particella di per
ditetto di Lin- terge, e non lo è sempre nell'espressione - Stoffe di
Vienna -; giacche secondo la diversa natura del discorso può significare -
Stolle fatte in Vienna, 'Stofle venute da Vienna ec. -. Questa
materia è di somma importanza specialmente per passare dall'Italiana ad altre
Lingne; ma è dificile, e ndo lo spher conosceii de alicadio molto e
posse- Del Verbo determinante Oggetto, o Boterge 229. Spessissimo
per determinare un Oggetto ci serviamo d' un' Azione ossia d'un
Verbo ch'è la voce destinata ad esprimere l'Azione (25) - Ma un Verbo non
sempre si trova nella situazione di determinante Oggetto, ossia non è sempre
Boterge (92). Dunque quando sia tale, Italiano è l'esser desso preceduto
dalla voce quale col-l'Articolo. Noi chiameremo questa voce Seboterge
(81) cioè — Segno di Verbo determinante Oggetto — ; avver-tendo, che
quasi sempre sogliamo sostituirvi la voce 231. Dunque sareino certi che
un Verbo è determinante Oggetto, ognivolta che sia preceduto dal
Seboterge il lo o le cato di pena di 5, c in — l'Uomo, il quale o
che pensa, che parla ec. — sono Boterzi. Determinazione delle
Azioni 252. È indeterminato ogni Verbo esprimente un'Azio-ne, che termina
in un Oggetto diverso da quello che la eseguisce (26); ossia ogni Verbo che
presenta allo spirito un'Azione generica, pratticamente applicabile a più
sovente ne- chở Qu na per sso e determina da Quante pes- sono avere
relazione alcuna colle Azioni — Dunque, xi- chiamae i gi abili ipote in
satura coin punto determinazione possiamo dispensarci dei Rapporti e dei
Giudizi (an oeni Azione indetere minata dovrà determinarsi o con un
Oggetto o con un' altra Azione. 235. Dunque ogni Verbo indeterminato,
quando al discorso non basti l'idea generica espressa dal medesimo, dovrà
essere accompagnato o da un Sostantivo o da un Verbo determinante cioè — che
fissi il vero punto di vista, • sotto cui deve nel discorso esser presa
una data Azione. Del Sastantivo determinante Azione, o Soterzi 236:
È determinante Azione in Soterzi (93) ogni Nome di Oggetto, il nete
attecast a ln die eo indeterminato : Ccol un dato Verbo indeterminato:
Così in — Cesare premiava i Soldati - il Nome Soldati serve "
da in Sostantiro non sempre ne ascorso et detere nante Azione. Dunque
quando lo è, dovrebbe avere il suo particolar Distintivo. 237. In
Italiano il Nome determinante Azione o So-terzi è sempre eguale al Nome
Reggente (260), tranue il Nome singolare degli Oggetti parlante e ascoltante,
qualch altra voce sostituita come lui, lei ec. Si avverta però,
che il Nome reggente corrisponde al così detto Domini è necesario
avvertire, che il Solario è necessario avvertire, che il Soterzi ossia
il Sostantivo determinante Azione in Italiano al singolare è to:
Come - datemi del danaro, della carta ec. —. E però facile vedere, che le voci
del della in simili casi o sono superflue o sono sostituite all'espressione un
poco: Quindi non è possibile ingannarsi a segno da prenderle per
Sesoterge combinati coll'Articolo (227). Parimenti al plurale si usa dei
o delle col Soterzi; e ciò quando si vuol esprimere indefinitamente un
piccolo dei delle propriamente significano alcuni alcune. Del Verbo
determinante Azione, o Boterzi sas idearniare Aird falire che
miami® dare praticamente ad un Verbo indeterminato qualun-que: Così in —
Voglio che partiate, Vedo che arrivano ec. — partiate e arrivano servono,
rispettivamente a determinare le Azioni espresse da voglio e vedo - Ogni Verbo
che serve così a determinare un' Azione, sarà da noi chiamato Boterzi (93); e
chiameremo determinando il Verbo esprimente l'Azione che deve
determinarsi. Ma un Verbo determinante Azione nel discorso non à sempre
quest' ufficio medesimo, cioè non è sempre Bo- ever Dunge e cio abba e
esa ia dire disie quando 240, In Italiano il Distintivo da cui si fa
precedere il Verbo determinante Azione, è la voce che, la quale sarà da noi
chiamata Seboterzi, cioè — Segno di Verbo determinante Azione —. Di questo
Seboterzi o voce che, dobbiamo estesamente parlare dopo la seguente
essenzia- lissima 24r. In Italiano il Boterzi o Verbo
determinante Azio- del chene b jure suo distintiv volet essere
preceduta Modo generico (145); come — Voglio scrivere, pensano arrivare
ec. —. E quindi della massima importanza il conoscere, quando debba esso esser
usato in modo generico e quando col che. Parimenti è molto essenziale co-
bisogna attentamente esaminare e la Natura dell' Oggetto che fà l'Azione determinante,
e le Circostanze dell'Azione medesima. I. NATURA DELL'OGGETTO riguardo al
Modo 242. L'Azione determinante si eseguisce, o dall'Oggetto del
Terlo deteriori dallo a un 08 00, allora il Verbo determinante se di
Tempo presente o passato, si esprime in modo generico - credo essere, pensano
aver vinto ec. —; se di Tempo futuro, per eleganza si fà generalmente precedere
dal che, quantunque possa farsi uso del modo generico coll'espressione di
futuro ( 149) - Credo che partirò, ovvero — credo dover partire, aver da
partire, esser per partire - secondo le varie circo-stanze. 244. II.
Eseguendosi da un Oggetto diverso, allora il Boterzi si fa preceder sempre dal
che, come - .vedo Ge, cie h sone datermtimnte in gi aprso ne ar
scorso, il Boterzi si pone allora al Modo generico; 75. Replogando il qui
espote sula Natura dat Og: getto si vede, che il Boterzi si esprime in
Modo generi-e si quande col te indicato i monazione determinante :
esprime col che, quando o non fû indicato o è ancora necessario indicare chi fà
l'Azione determinante - Ed infatti il Giudizio e Modo generico per natura
esprime TAzione ed il Tempo, ma mon esprime l'Oggetto chi e-
seguisce l'Azione. II. CIRCOSTANZE DELL'AZIONE riguardo al Tempo Il Verbo determinante o
esprime puramente l'4-zione, o esprime anche il Tempo in cui l'Azione si
ese-guisce. I. Esprimendo puramente
l'Azione, il Boterzi si pone sempre al Tempo presente; come — Sento che
cantano, sentii cantare se sentirò che cantino ec. - Ed infatti in questi casi
l'Azione del determinante deve ese- faing e ter permimente aesprime il
terminando. esprime il vero Tempo dell'Azione. Dunque basta
puramente indicare che l'Azione determinante avviene anchi essa al tempo
medesi-mo, ossia ch è presente all'Azione del Determinando. 248. II.
Esprimendo anche il Lempo, in cui l'Azione si eseguisce, il Determinante dovrà
porsi al suo Tempo conveniente, che sarà facile conoscere dalla natura del
prattico discorso: Quindi si avrà - So che partono, ch' erano
Determinando non esprime il Tempo in cui avviene l'Azione determinante,
questo Tempo dovrà essere espresso dal Boterzi medesimo. 249. Si avverta,
che il Boterzi benchè di sua natura futita delle si erie col presente
agrilla che a fu dal significato del Verbo determinando: Come - Spero
arrivare, che arriviate ec. Temo partire, che partano ec. — Ed infatti la
futurità del Boterzi essendo rispettivamente espressa da spero, temo ec., il
Verbo determinante non dev' esprimer Tempo ma puramente Azione; e
però è ad esso applicabile perfettamente il sovraesposto (247).
250. Questa Voce è d'un uso frequentissimo nel di- scorso. Quindi
I. Bisogna saperla ben distinguere dalla voce eguale che sogliamo sostituire
sia al Seboterge quale (250), sia all' interrogativo cosa, sia ad altre voci
non poche: E questo si otterra, facendo la debita attenzione alla natura del
discorso, e per chiares, maggioreortune sostituzioni ove occorran
pre trova i sedio vertir e che di quote due verti due Verbi quindi
molto riflettere su questi due Verbi relativamente al che, ne tratteremo,
separatamente, chiamando l' uno precedente l'altro seguente il che. VERBO
PRECEDENTE IL CHE 25,. Riguardo al Verbo precedente è necessario
osservare in primo luogo, s'è desso affermativo o negativo. 252. Quando
sia affermativo, conviene spingere l'analisi ed osservare, s'è desso assoluio o
inassoluto. ridole e aso dellade che tenendola in e er certezza
dell'azione determinante; come - vedo che dell'Azione determinante;
giacche non possono nou cantare e non fuggire, se io li vedo fuggenti e li
sento cantanti. certera dellarone deteniato e cio avvine in dita
maniere: 0 sua naera l'acche il Vindo pone dente arone de ella-
cate e prece pere, espone dito ce natura, cre l'azione determinante è
relativamente ad esso futura,come — voglio, ordino ec. —; giacchè del futuro
non si può avere assoluta certezza. VERBO SEGUENTE IL CHE 255. Se
il Verbo precedente è negativo (251), il seguente si pone sempre al Modo
indefinito ( 197); come — Non vedo che partano; ignoro ossia non so che
sia giunto ec. — Ed infatti in simili casi il Verbo seguente il che esprime
un'Azione, la cui esistenza è per noi incerta, come ci fü di sua natura
conoscere il Verbo precedente negativo. Dunque dovendo mostrare tale in-
certezza, il Verbo seguente deve esprimersi in Modo in-definito. Il Verbo precedente essendo
affermativó, si osserverà s'è desso assoluto o inassoluto (252). I. Se assoluto, il seguente
và al Modo indicati- zione determinante a noi si presenta nel massimo grado di certezza,
come ne assicura il Verbo precedente (253). Dunque basta unicamente
accennarla; e però la ospri-miamo in Modo indicativo. 258. Il. Se
inassoluto, il seguente và al Modo indefi-nito; come — Mi pare che partano,
voglio che parta: sistenza, come già osservammo (254). Dunque, tale
incertezza dovendo essere esternata nel discorso, esprimeremo il Boterzi in
Modo indefinito. VARIE SITUAZIONI DEGLI OGGETTI 25g. Come fù già
avvertito (74), uno stesso Oggetto può in diversi incontri trovarsi in situazioni
diverse. Esigendo quindi la chiarezza del discorso che si precisi in ogni
circostanza la vera situazione dell' Oggetto, parleremo di queste situazioni
distesamente, fissando per ciu-scuna il suo particolar Distintivo. CAPO
I Sostantivo Reggente reggo ves, da a chia qui do sestanti i Guando
in —io partirò, tu scrivesti, il Sole riscalda, Pietro fü chiamato ec.
- 261. Il Sostantivo reggente può essere attivo, passivo ° 262. P.
È altivo, se agisce, cioè se fa desso l'azione espressa dal Verbo; come -
Io scrivo, iu dormivi, il Sovra passivo, se invece di agire ossia invece di
ess laureato ec..— 264. III. E neutro cioè nè attivo nè passivo
(dal latino neuter significante ne l'uno nè l'alero), quando come — I
frutti sono maturi, l'Inverno fù rigido, Voi siete studiosi 265. Tutti i
Verbi potendosi decomporre in Voci di Giudizio e di Azione (25), il Nome
reggente sarà attivo, quando in tale decomposizione la Voce d'Azione risulti
attiva ( 115); come — io leggo, cioè sono leggente ec. —; e sarà passivo, se
questa voce d'azione risulti passiva (115); come - io sono chiamato, in
latino vOcor - L'Articolo è in Italiano il Distintivo del Nome
Reggente se indeterminato (218); e se determinato, il suo distintivo consiste
nel non averne alcuno. CAPO II Soterge Un Sostantivo è determinante Oggetto, quando s'
introduce nel discorso unicamente onde precisare il punto di vista sotto cui
dobbiamo riguardare un qualche Oggetto indeterminato ( 226 ). Il Distintivo del Soterge o
Sostantivo determinante Oggetto, in Italiano è la particella o Sesoterge di,
che unita molte volte all'Articolo, da le voci composte del della ec. (227).
CAPO III Soterzi 26g. Un Sostantivo è determinante Azione, quando §
introduce nel discorso unicamente per fissare il punto di vista sotto cui deve
riguardarsi 'un' Azione o Verbo dayo. Th Tralano et Soter 2
pre è precisamente eguale al Nome Reggente, e non vi sono che
pochissime eccezioni (257). Quindi il solo sentimento e un'accurata analisi
potrà farci ben distinguere l' una dall'altra situazione nel Sostantivo.
CAPO IV Sostantivo Cominciante re ec. in — Ebbi
lettere da Vienna, Il Castello fu preso dai Soldati, E narrato dalle Storie,
Ciò deriva dall'Amore ec. - 272. Il Distintivo del Nome Cominciante
in Italiano è la voce da, la posi over ta, quie quindi che il Nome
seguente non è sem- pre cominciante. Il buon senso però e l'analisi ne
faranno facilmente conoscere in prattica la diversità. 273. Il Nome Reggente-attivo
(262) è in fondo Cominciante di sua Natura. Ma uno stesso Oggetto nou può al
tempo stesso presentarsi in due diverse situazioni. allo stesso e or
perto come e ti can Si avvertà verso giro alla frase e un
diflerente aspetto all'azione: Così invece di dire - I Soldati desiderano
la guerra - si può dire — La guerra è desiderata dai Soldati - ; la shi iene
due esa e voli non abbiano precisamente Qui cade in acconcio l'osservare,
che in ogni Azione indeterminata dobbiamo considerare come un estensione di
spazio ossia una linea di Moto; e però che avremo in tali Azioni un principio
ed un fine insepari-bili da Dua dinde tensione l'Azione indeterminata può
presentarsi sotto due diretto o inverso. diversi aspetti, cioè con
ordine o 1: Si presenta con ordine diretto, quando la consi- domamo
do se piante leel su oricini, che partie: то ес. - cominciamo a
considerare il ineer da eso pagiand principio: Come
— Una lettera fu scritta da me; che partissero fù ordinato da me ec. -
due cardini dell'Azione debbono essere e sono sempre chiaramente distinti nel
discorso: Rapporto alle Azioni determinate, siccome terminano in ein le
eseguisce, non possiamo in esse considerare altra estensione che quella di
durata; come — à pas seggiato due ore, cioè per due ore ossia duranti due ore
ec. Sostantivo Terminante Quindi Roma, Pietro, Fratello ec. sono
Sostantivi terminanti in — andarono a Roma, dite a Pietro, scrivo al Fratello
ec. -. Il Distintivo del Nome
Terminante in Italiano è la voce a, che unita spesso all'Articolo dà le voci
composte al, alue ce. SUL NOME TERMINANTE Non per l'Italiana ma per
la radicale intelligenza d'altre Lingue è necessario assuefarsi anche in
Italiano a distinguere il Sostantivo terminante in terminante sem- plic - na
oggetto, come deulente quella che fa una data Azione, o n'è lontano : .
I. Se vicino, per ultimare l'Azione non si esigge movimento fra gli Oggetti
agente e terminante; e però chiamiamo quest' ultimo terminante semplice ossia
senza moto: Comé — Dissi all'amico, consegnerò al corriere ee. Il. Se
lontano, l'azione non può essere ultimata senza movimento frà gli Oggetti
agente e terminante; e però chiamiamo quest'ultimo terminante con moto, vale a
dire - Oggetto divenuto termine d'un Azione mediante il moto —: Come — Andai a
Milano, a caccia monti ec.; Spedite questo libro al Fratello, agli Amici
ec. —. 280. Si faccia attenzione, che l'Oggetto terminante diade vi
nion Ou setto agente a loro le che per nel totale degli Oggetti, benchè
qualche loro parte possa in effetto muoversi isolatamente. Quindi dicendo
- Tizio consegnò a Pietro una lettera - Pietro e Tog getto terminante,
perchè in esso è finita l'azione di avrebbe questi potuto consegnargli la
questi due Oggetti nell effettuarsi l'indicata azione non fecero nel totale
alcun movimento fra loro; benche sia chiaro, che dovettero muovere e mani e
braccia ec. par-zialmente. Sostantivo con Preposizione 28r. Ogni
voce che si pone avanti ad un Sostantivo per esprimere qualche particolare
rapporto che possia desso avere con altre Cose, chiamasi Preposizione; come in,
sopra, dentro ec. è fine o mezzo di Moto, oppure se tale Oggetto è
in Quiete - 285. I. S'è fine di Moto, deve di sua natura
considerarsi come Nome terminante con Moto (279), sostituendo al segno a la
conveniente. Preposizione ; come — benche odora i sulla riapra e
sciamente la piantal sulla - 284. Il. S'è mezzo di Moto, deve
precisamente considerarsi come Fine di Moto (285). Infatti ogni Og-
golfo me i di e sano a tra do del quale di deve necessariamente avere
dell'estensione. Avremo dun-que in tale estensione un Moto continuato per
qualche tempo. Ma la massima parte di volte anche tutto, deve consumarsi questa
Moto ed alle ossia deve finire in questa estensione dell'
Oggetto: Come - Andando a Napoli passai per Roma, l'Usignolo e volato
auraverso del bosco ec. — Dunque dobbiamo ritenere come Nomi terminanti con
Moto o fine di Moto anche i Nomi degli Uggetti, che sono puramente Mezzo di
Moto. come Noe comente in sete de consideradi P opportuna Preposizione.
Quindi nelle espressioni - Il Passero stà, mangia, dorme ec. in terra, sul
tetto ec. - i nomi terri, tetto ec., debbono considerarsi come Nomi Comincianti
- Ed infatti, se sottilmente si analizi, è propriamente da questi Oggetti che à
principio l'azione di stare ec: Nelle Azioni determinate bisogna non di
rado esprimere la durata (276): Come — Studierete due ore, ò corso un giorno
intiero, pioverà tutto l'estate ec. - ; ed è troppo facile vedere, che tali
espressioni di durata non fanno che dare una determinazione maggiore all'A-zione,
ossia presentano l'Azione sotto un nuovo aspetto di determinazione - Quindi le
espressioni di durata possono considerarsi come Soterzi (269 )• Potrebbesi in egual maniera
dietro le Teorie esposte finora dar ragione di altre cose molte, che nelle
Grammatiche sono inintelligibili a tutti: Ma non credo dovermi . per ora
diflondere su ciò. ra 8e qua zi SO stch radice
oggetto qualità srione sostantivo astratto
qualitativo verbo modificazione po ter se
rapporto determinante segno Quirage - Nome Qualitativo,
derivante da Radice di MoraqUa evoce di Modificazione, derivante da
Radice di Qualità. Moquirage - Voce di Modificazione, derivante da
Nome Qualitativo, il quale deriva da Radice di Oggetto. Sostaraqua
- Sostantivo Astratto, proveniente da Radice di Qualità.
iSostaquirage - Sostantivo Astratto, proveniente da Nome Qualitativo, il
quale deriva da Radice di Oggetto. Boraqua — Verbo, proveniente da Radice
di Qualità. Quirazi - Nome Qualitativo, derivante da Radice di
Azione. Moquirazi - Voce di Modificazione, proveniente da Nome
Qualitativo, il quale deriva da Radice di Azione. Sostaquirazi -
Sostantivo Astratto, proveniente da Nome Qualitativo, il quale deriva da
Radice di Azione. Boquir quale derito da veniende deone Qualitativo,
il Quirapo - Nome Qualitativo proveniente da Radice di
Rapporto. Sostarapo - Sostantivo Astratto proveniente da Radice di
Rapporto. Moquirapo - Voce di Modificazione, proveniente da Nome Qualitativo,
il quale dexiva da Radice di Rapporto. Parloge - Oggetto
parlante. Scoltoge - Oggetto ascoltante.Terzoge - Oggetto terzo.
Quiterge - Nome Qualitativo, che determina un Oggetto. serere - omno di
antini he deterinante un Osto. Boterge - Verbo, che determina un Oggetto.
Seboterge — Segno di Verbo determinante un Oggetto. Soterzi — Sostantivo,
che determina un' Acione. Boterzi — Verbo, che determina un'
Azione. Seboterzi — Segno di Verbo determinante un' Azione. LINGUA
UNIVERSALE. OSSERVAZIONI sono occupato della Lingua. DURANTE l'Impressione
di queiverSolei mi Dotti; ed il Piano è riuscito mio credere non del
tutto spregevole. Quindi nell'ipotesi che non sarà discara a chi legge, ne dó
qui in succinto un'idea. Lingua Universale pei Dotti chiamo una Lingua,
che può colla massima facilità essere scritta parlata ed intesa da tutte le
Persone Colte di qualunque Clima e Nazione; una Lingua, che puo sola
bastare al disimpegno le Relazioni scientifiche politiche commerciali ec. con
qualunque civilizata Contrada del Globo; una Lingua infine, in cui
dovrebbe meno. Supponiamo, che questa Lingua ad apprenderla,
come già per sistema per bisstudio di altre Lingue straniere. Data dunque
gua; cosa facile assai, specialmente facendo uso di ragionati Dizionarj
Grammatiche e Me- todi, non usati finora. Tutto il difficile
consiste dunque nel dare a questa Lingua la sua Esistenza: Ed io mi sono
occupato precisamente di questo. Inventare nuovi Caratteri e Parole
nuove, è cosa facile troppo; giacché tale Invenzione in fondo si riduce ad una
pura materialita - Ma come determinare gli Studiosi viventi ad apprendere una
congerie enorme di barbare K lore cle produzions ai Spirio la sole
Novità é para e e cremente opposizion alare are dunque, se vi si
unisca una quasi insuperabile difficoltà? Dietro tali riflessi il mio
studio principale fu quello di profittare delle Cognizioni da me di
questo nuovo Mezzo di comunicazione uni- vere la Era indi da giusti e a
siane generalmente conosciuta dalle Persone di Tavolino e di Studio, mi à
servito di base onde prendere dalla lingua Francese i Caratteri, la Pronunzia e
le Radici delle Parole; il tutto però con opportune determinate e possibilmente
filosofiche modificazioni. Dunque per dar Esistenza ad una Lingua
Universale i Dotti, quando vogliano servirsi del mio • Piano, debbono solo far
uso delle Cognizioni che gia posseggono, coll' aggiunta ed applicazione di
alcune Regole o Leggi determinate e sempre costanti; Legai pochissime in numero
e della massima semplicua; Legg', tirate non dalle regole ed usi di altre
Lingue ma dall' intrinseca natura del Linguaggio e delle Cose; Leggi, che
rendono questa Lingua, breve rapporto alla maniera di esprimersi, ricchissima
riguardo alla forza e moltiplicità delle espressioni, e facile relativamente
alla sistematica regolarità di formarle; Leggi, per le quali senza bisogno nè
di Grammatiche nè di Vo- della nuova Lingua ed i Posteri possono
senz'al- chiunque conosca le medesime leggi. Il mio Piano sarà
forse publicato frà non molto — Intanto, considerando questa Lingua e nel Dotti
fondatori e nel Dotti seguaci, mi limito ad asserire : I. Rapporto ai
Fondatori » Che ogni Per- • sona di buon senso, di qualunque Clima
e Nazione, quando conosca
discretamente la Lingua Francese intendere questa Lingua con
quella stessa facilità, con cui suol
intendere parlare e scrivere la
propria Lingua natia. » II. Rapporto ai Seguaci » Che, formati per ogni Nazione i
Dizionarj e l' opportuna Grammatica, per apprendere questa Lingua Universale non occorre
conoscere la Fran- cese, e si
richiede appena la terza parte del Tempo e dell'Applicazione, che digl' Indivi- dui di qualunque Paese
suole comunemente impiegarsi per imparare la
Lingua Francese Tali asserzioni parranno forse troppo guvan-zate. Ma quando ciò
fosse, potrebbero i Dotti non occuparsi della Fondazione d'una Lingua
Universale? Avvertendo per ora semplicemente, che nella nostra Litigua in
fondo mon si usa nè Ortografia né Pronunzia Francese, aggiungo la Fa- il
mio Piano - Dalla sola oculare ispezione di queste poche righe si può
facilmente rile-vare, che molte delle Radici sono Francesi; ma che e Ciascuna
di esse e l'Insieme è combinato in modo, che si perde quasi ogni traccia dell'
originaria Lingua e Radicalità. u tu renar tu renar bi denu atra
par surprenú opt na pulalyer, e bi vi etragla zi ko zu eko e zi puled. apre ‹
sa karnaje lu bi apesá zu lue feme, i na, a ku be fune e arda, be vula devore z
tou; ‹ otre, ? ku be vu e avare, be vula ye garde z kel partie par avenir. ¿
vui be disà: — ei me afu, ‹experimatú be mi radà saje: mi be vayá jur, nu
be i fortunes fesá: nu be truvá 24 na tresor: sa ba fallá ole menajé . - ‹ june
be repoda: mi ba vula majé zi tou, padake mi ba vi etá, e mi rasast par to jur,
kar vi revené otrefa! caso! deme sa bu vi bone fesa . ‹ metre pur vajé ze murú
du le pule, bal nu asomi.- apre ‹ sa koversu; ‹ yelna ba prena zi le part, ‹
june ba majá take l ba krevá, e ba apene puvá allé a muré or le termier. ‹ vl,
et ku ba su kraya boku plu saje, bre modera zu le apelu e vwá ekonomem, ba
deme returna po le prae, e ba asomé gi metre. est ‹ yel aje ba eyá zu ole
defo: u june ba fugu e arasast ou lue plesir; u viu ba akorryi or lue avares. Delle
Voci Elementi del Discorso Delle Voci Radicali Voci di Cosa
Oggotci Qualità Azioni Voci di Giudizio Verbi
Voci di Rapporto Luogo Tempo Tempo Tempo
Numero. Ordine Sesso Aumento e Diminuzione
Modificazione Avvertenza Confronto Eguaglianza
Differenza Somiglianza Identità Approssimazione
Connessione Esclusione. Dichiarazione Avvertenza sulle Voci
di Rapporto Epilogo delle Voci Radicali Delle Voci
Derivate Nomenclatura Elementi della Nomenclatura
Combinazioni degli Elementi Avvertenza Derivazioni dalle Radici di
Cosa Dalle Radici di Oggetto Avvertenza - Dalle Radici di
Qualità Modificazione derivata Sostantivo Astratto derivato
Verbo derivato Dalle Radici di Azione Voci Attive e Passive
Di Azione determinata Di Azione Indeterminata Avvertenza
Derivazioni dalle Voci di Giudizio 11 Natura del Giudizio Giudizio
Generico Generico Determinante Generico Modificante Giudizio
Indicativo Indicativo Isolato Indicativo Dipendente Giudizio
Condizionato Condizionato Ineseguibile Condizionato
Eseguibile Giudizio Suppositivo Giudizio Volitivo- Giudizio
Ottativo Ouativo Ineseguibile Ottativo Eseguibile- Avvertenza
- Giudizio Indefinito Giudizio Interrogativo Derivazioni
dalle Voci di Rapporto Delle Voci Söstituite Delle Voci,
Parti del Discorso Determinazione delle Voci Determinazione degli
Oggetti Del Quiterge Del Soterge - Del Boterge
Determinazione delle Azioni Del Soterzi Del Boterzi •
Avertenza Del Seboterzi Verbo precedente il Che Verbo
seguente il Che Virie situazioni degli Oggetti 63 Sostantivo
Reggente ivi Soterge 64 Soterzi ivi
Sostantivo Cominciante ivi Avvertenza 65 Sostantivo
Terminante 66 Avvertenza sul Nome Terminante ivi Sostantivo
con Preposizione 6 Avvertenza 68 Definizioni delle Voci
Nuove qui usate Osservazioni sulla Lingua Universale. ELEMENTI FILOSOFICI
PER LO STUDIO RAGIONATO della lingua italiana. Le Natura in tutta la sua
estensione non offre che Oggetti. Questi Oggetti non presentano che delle
Qualitá e delle Azioni L'Uomo situato immezzo a tali Oggetti, sensibile alla
loro presenza, alle loro Azioni e Qualità, fissa necessariamente in essi la sua
attenzione; e quindi a norma delle varie circostanze o sensazioni, forma in se
stesso i convenienti Giudizj. La facoltà di giudicare é dunque inerente
all'intrinseca natura dell'Uomo, come lo è quella di sentire; anzi l'una è
assolutamente inseparabile dall'altra - Dunque l'Uomo considerato nell'essenza
sua primitiva, ossia l'Uomo naturale, può giustamente definirsi Essere
sensibile giudicante. 2. Ma l'Uomo praticamente vive in Società, vale a
dire, trovasi in immediato capporto con altri della medesima specie. Egli
dunque abbisogna di un anello ossia d'un mezzo di comunica-sione, onde porsi
moralmente a contatto co' suoisimili; e questo Mezzo è comunemente la Pa-
rola. Dunque la Parola forma il Distintivo essenziale dell'Uomo nello
stato di società. 3. Ma la situazione sociale non può nell'Uomo alterare
la primitiva intrinseca sua natura. Dunque l'Uomo Sociale non è che
l'Uomo naturale parlante. Fissate queste semplicissime nozioni, è facile
precisare in che debba propriamente consistere lo Studio ragionato di Lingua -
Infatti l'Uomo naturale non conoscendo che Sensazioni e Giudi-zj (1), l'Uomo
sociale parlando non può esternare che Giudizj e Sensazioni. Ma sentire e
giudicare. sono facoltà inerenti all'essenza stessa dell'Uomo (1). Dunque date
uguali circostanze, tutti gli Uomini nello stato di natura debbono sentire e
giudicare alla stessa maniera. Unico dunque esser deve il Linguaggio, per ciò che
riguarda l' Uomo naturale. Ma una medesima sensazione, uno stesso Giudizio può
da diversi Uomini esternarsi con parole diverse, non esigendosi per questo che
una diversità di convenzione. Dunque per ciò che ri. guarda l'Uomo Sociale, il
Linguaggio può essere ed è infaiti moltiplice. Esaminare, distinguere, conoscere nel Linguaggio e
l'Uomo naturale e l'Uomo sociale, vale a dire, conoscere primieramente « Cosa
l'Uomo deve esprimere parlando: » in secondo luogo« Come l'Uomo deve esprimersi
parlando» è ciò che forma il vero scopo dello Studio ragionato di Lingua.
7. Dunque lo Studio ragionato di Lingua comprende. FILOSOFIA DI LINGUA. GRAMMATICA
DI LINGUA. Ed ecco ciò che passiamo ad esporre in questi Elementi filosofici
applicati alla Lingua italiana. DOMANDE Quali sono le Facolià
primitive dell' Uomo? (1) - (a) Come si definisce l'Uomo nello stato di
Natura? Che si richiede perchè l'Uomo naturale passi allo stato di
Società ? (2) Qual è il Mezzo di comunicazione più usato ?, Come si
definisce l'Uomo nello stato di Società? (3) Cosa esprime l'Uomo parlando
? (4) Gli Uomini sentono e giudicano tutti allo stesso modo? Gli
Uomini si esprimono tutti alla stessa maniera ? (5) Cosa intendete per Studio
ragionato di Lingua? (6) Lo Studio ragionato di Lingua quante e quali
Parti cose-prende ? (7) (a) Il Numero che trovasi dopo ciascuna Domanda,
richiama il Paragrafo ad essa corrispondente, e che potrà consultarsi quando
abbisogni - La mancanza di questo Numero indica che s' intende 'ripetuto il
Numero ultime precedente.8. CETAMAsI Oggetto = tutto ciò che si con-
sidera capace di far qualche cosa = come Pie- tro, Sorella, libro, monti;
case, io, voi ec. . Dunque la voce che esprime ossia che nomina un
Oggetto, giustamente da noi si chiamerà Nome oggettivo o semplicemente
Oggettivo (a). (a) Colla rapidità de suoi progressi la Chimica nel
tramonto del secolo decimo ottavo à praticamente dimostrato, quanto una scienza
debba aspettarsi dalla sola precisione di Nomenclatura - Questo riflesso parmi
bastante a giustificare le nuove denominazioni che io mi sono qui permesso
in-trodurre., Sventuratamente sembra che possano tornare di moda le
insignificanti questioni di parole; ed io sarei dolentissimo se dovessi dar
motivo a qualcuno di perdere un sol minuto di tempo in simili questioni. Quindi
prego il sensato Lettore a Un Nome oggettivo può essere determinato o
indeterminato - È determinato, quando esprime un Oggetto individuo, ossia
quando appartiene ad un solo e sempre al medesimo Oggetto, precisato colla
massima distinzione e chiarezza, come Lom-bardia, Milano, Olona, Vienna ec.: è
indeter minato, quando esprime un Oggetto generico, praticamente applicabile a
molti Oggetti parziali, come Città, Provincia, Fiume, Stelle, Padre, Libri,
Uomini ec. Un Oggettivo indeterminato
può esprimere un Oggetto solo, o più Oggetti — Se esprime un solo Oggetto, lo
diciamo di Numero unale, come Figlio, Scuola, Prato ec.: e lo diciamo di
Nes-mero plurale, se esprime più Oggetti, come Fi-gli, Scuole, Prati ec. In natura gli Oggetti o
sono maschi, come Padre, Fratello, Servitore ec.; o sono femmine, come Madre,
Sorella, Camerione oc.; o non sono né maschj né femmine, cioé nè I uno nè
l'altro, ossia neutri, come Libro, Strada, Coppello, voler esaminare, son se un
Individuo possa arrogarsi il diritto d' introdurre nuove Denominazioni, giacchè
tal questione sarebbe estranea al progresso della scienza; ma ad esaminare se
le voci Oggettivo, Qualitativo, Sesso, Numero unale ec. esprimono con
precisione l'Idea corrispondente, e se la presenza dell'Idea richiama con
facilità la corrispondente Denominazione. Chiesa ec. - Ora tale diversità
esistente fra gli Oggetti, chiamasi diversità di Sesso. Dunque i
Nomi oggettivi saranno di Sesso o maschile o femminile o neutro, secondo la
natura dell'Oggetto che esprimono. DOMANDE Cosa intendesi per
Oggetto? (8) Che vuol dire Nome oggettivo? Un Nome Oggettivo quando
si dice determinato? quando si dice indeterminato ? Gli Oggettivi quando
appartengono al Numero unale, e quando al plurale ? (10) Rapporto al
Sesso qual distinzione facciamo negli Oggetti ? (11) Un Oggettivo quando
è maschile, femminile o neutro? AVVERTENZE SUGLI ARTICOLI 12. La
Lingua italiana pone avanti gli Oggettivi indeterminati una piccola Voce, detta
comunemente Articolo - Gli Articoli pei Nomi di sesso maschile sono al Numero
unale il ovvero lo, ed al plurale i ovvero gli; come « il Padre, In Straniero,
i Padri, gli Stranieri ec. - Gli Ar-ticnli pei Nomi di sesso femminile sono
all'unale la, al Numero plurale le; come « la Madre, le Madri ec. »
Gli Oggettivi determinati non ricevono alcuna Voce, e rimangono isolati: come
Roma, Pavio ec. 13. Dunque possiamo a ragione conchiudere, che l'Articolo
nel Linguaggio è puramente segno, di Oggettivo indeterminato. Si avverta
che alle volte praticamente s'incontrano coll'Articolo anche degli Oggettivi
determi-nati; come « il Ticino, la Lombardia ec. ». In tal caso però l'Articolo
propriamente appartiene ad un sottinteso Nome indeterminato; cioè « il Fiume
detto Ticino, la parte d'Italia detta Lom - bardia ec. » 14. Gli Articoli
maschili lo e gli si usano rispettivamente avanti le Parole comincianti con s
seguita da altra Consonante (a); come lo Spirito, lo Straniero, gli Spiriti,
gli Stranieri ec. - Questi Articoli lo e gli si usano pure avanti le Parole
comincianti per Vocale. In tal caso peró si av-vertà, che lo cangia sempre la
sua vocale in Apo-strofo; e che gli cangia la sua vocale in Apostrofo sol
quando la Parola seguente comincia per i. Quindi abbiamo — l' Infermo, l'
Esercito ec. - gl' Innocenti, gl' Infermi ec. - gli Eserciti, gli
Ufficiali ec. L'Articolo femminile la avanti Parola cominciante per
vocale prende sempre l'Apostrofo, come l'Aquila, I Inferma ec: e l'Articolo
femminile le. (a) Per non diffondermi in una lunga spiegazione, che
sarebbe fuori di luogo, io qui ritengo le solite denominazioni di consonante e
vocale. Avverto però, che ragionevolmente a vocale deve sostituirsi gutturale,
e a consonante deve sostituirsi orale; come à già esposto nella mia Lingua
Filosofi- co-Universale, pag. 119. prende l'Apostrofo tutt'al più
avanti le Parole comincianti per e; come l' eccelse Donne ec., ed invece le
Aquile, le Inferme, ed anche le eccelse Donne. AVVERTENZA SUL
SESSO ‹5. La Lingua italiana non riconosce nei Nomi oggettivi che i soli
due Sessi maschile e fermi-nile - Quindi gli Oggettivi che in natura sono
neutri, in italiano saranno maschili o femminili; e ciò secondoche anno l'uno o
l'altro degli Articoli sopra (12) fissati per gli Oggettivi femminili o
maschili - Quindi in italiano il fuoco, lo spro-ne, i libri, gli acciari ec.
sono Oggettivi ma-schili; e la porta, l'aurora, le selve, le rupi ec. sono
Oggettivi femminili: benché in natura tali Oggettivi sieno ad evidenza neutri,
cioé esprimenti Oggetti né maschj né femmine. Nel decorso di questo
Libro il Sesso sarà da noi sempre nominato in senso italiano; e perciò il
neutro resta escluso, a norma di quanto prescrive la nostra Lingua.
DOMANDE Nel linguaggio cosa intendiamo per Arsicolo? (12) L'Articolo
come può definirsi? (13) Un Oggettivo determinato trovasi mai preceduto
dall'Articolo ? La Lingua italiana quanti Sessi riconosce nei Nomi
Oggettivi ? (15) Quali sono gli Articoli pel Sesso mdschile? (12)
Quando si usa lo e gli, e quando il ed i? (14) Quali sono gli Articoli pel
Sesso femminile? (12) Gli Articoli in quali circostanze prendono
l'Apostrofo? (14) Gli Oggettivi che in natura sono neutri, in Lingua
italiana a qual Sesso appartengono? (15) DELLE PROPRIETÀ E QUALITA NEGLI
OGGETTI ‹6. Ogni Oggetto à in se naturalmente delle Proprietà e
delle Qualità; giacché le prime ne costituiscono l'essenza, e le seconde sono
semplice natural conseguenza delle prime. Chiamasi Proprietà = tutto ciò
ch' é necessario all'esistenza dell'Oggetto = ossia tutto ciò, senza cui
l'Oggetto cesserebbe di esistere. Cosi nel Fuoco e nel Sole la luce ed il
calorico sono Proprietà; giacchè è impossibile che esista Sole o Fuoco senza
calorico e senza luce. Chiamasi Qualità = tutto ciò che un Oggetto
potrebbe anche non avere senza cessare d' esistere = Cosi nella Carta, nel
Panno, ne' Muriec., il bianco è una Qualità; giacché i Muri, il Panno e la
Carta possono esistere anche non essendo bianchi. 17. Le Proprietà di
ciascun Oggetto s'intendono e sono essenzialmente espresse dal Nome
dell'Oggetto medesimo - Le Qualità invece essendo variabili e accidentali,
debbono nel discorso esprimersi ossia nominarsi separatamente. Quindi
giustamente chiameremo Nome qualitativo, o semplicemente Qualitativo, ogni Voce
che nel discorso esprime una Qualità. Così bianco, rosso, facile, ardito
ec. sono per noi Nomi qualitativi. DOMANDI Cosa v' à di
rimarchevole negli Oggetti? (16) Che vuol dire Proprietà d' un Oggetto
? Che vuol dire Qualità d' un Oggetto? (16) Che significa Nome
qualitativo? (17) DELLE AZIONI. Chiamasi Azione = tutto ciò
che un Oggetto qualunque può fare = La Voce che la esprime; da noi dicesi Nome
o Voce di Azione; comè leggente e scrivente in « Pietro legge e scrive, ossia é
leggente e scrivente »; e come ferito premiato vinto in «Pietro fu ferito, fu
premiato, fu vinto ». Ogni Azione
esige naturalmente l'Oggetto che la eseguisca, ossia l'Oggetto eseguente - Ora
se l'Azione per sua intrinseca natura deve interamente terminare nell'Oggetto
eseguente, noi la diciamo determinata; come « Pietro passeggia, ride, corre ec.
»: e se l'Azione per sua intrinseca natura può terminare in Oggetti diversi
dall' eseguente, noi la diciamo Azione indeterminata; come « Pietro ama e
regala gli Amici ». DOMANDE Che vuol dire Azione? (18) Come chiamasi la
Voce esprimente Azione? (18) Cosa intendiamo per Oggetto eseguente? (19)
Un'Azione quando si dice determinata? .quando si dice indeterminata? 20.
Giudicare significa = asserire che ad un Oggetto conviene o non conviene una
data Azione o Qualità = Cosi « i Soldati furono valorosi; l'Inverno non è
rigido; il Malvagio sarà punito ec. " sono tanti Giudizj.. Se diciamo che l'Azione o
Qualità conviene all'Oggetto, il Giudizio é affermativo; come « Voi siete
studiosi: i Buoni saranno premiati ec.»: e se diciamo che l'Azione o Qualità
non conviene al-l'Oggetto, il Giudizio chiamasi negativo; come « il Cielo non
era sereno: la Scuola non è finita ec. » Essere (a), colle varie sue diramazioni, cioé sono,
fui ec., è in italiano la Voce di Giz-dizio affermativo; non essere è
l'espressione di Giudizio negativo — Quindi la parola non, o qua-Junque suo
equivalente, è Voce di negazione ossia Voce negativa; vale a dire, Voce che,
unita a quella di Giudizio, serve ad esprimere precisa-. mente il
contrario. (a). La Voce di Giudizio in natura non è assolutamente
necessaria; ed infatti al tempo presente molte Lingue la sopprimono. Siccome
però il Linguaggio esprime con essa i varj modi, e qualunque tempo tanto
assoluto che relativa; così questa Voce divenne della massima importanza
in tutte le Lingue da me conosciute. Che significa giudicare? (20)
I Giudizj di quante specie sono ? (2r) Un giudizio quando è affermativo?
quando è negativo?, In italiano la Voce giudicante qual è? (22) Cosa
intendesi per Voce negativa? DEL VERBO 23 Chiamasi Verbo: =
ogni Parola o Espres- sione essenzialmente composta da due altre, cioẻ da
una Voce di giudizio (22) e da una Voce di Izione (18) = come correre,
scrivere, stu diare ec., che propriamente significano « essere corrente,
essere scrivente, essere studiante ec. ». 24. È di molta importanza per
lo studio ragionato di Lingua il saper riportare alle sue Voci originarie
qualunque Espressione verbale, e il far sempre attenzione che in ogni Verbo
entra essenzialmente la Voce giudicante essere. Quindi a principio sarà bene
esercitarsi a decomporre tatte le Espressioni verbali che s'incontrano
leggendo; vale a dire, esercitarsi a sostituire in luogo del Verbo la Voce di
giudizio e la Voce di azione, formanti il Verbo medesimo: Cosi scrivo, scrissi,
à scritto, scriveva, aveva scritto, scriverò, avrò scritto ec. ci daranno
rispettivamente « sono scri-vente, fui scrivente, sono stato scrivente, era
seri-vente, era stato scrivente, sarò seriyente, sarò stato scrivente ec.
». 25. Ogni Verbo è o determinato o indetermi nato, secondo la natura
dell'Azione che esprime. Quindi dormire, piangere, passeggiare ec. sono
Verbi determinati, perché esprimono Azioni de-terminate; e trovare, dire,
conoscere ec. sono Verbi indeterminati, perché esprimono Azioni di loro natura
indeterminate (19). DOMANDE Che significa Verbo ?. (23) Qual
esercizio far dobbiamo sui Verbi?? (24) Un Verbo quando si dice determinaro?
(25) •• guando si dice indeterminato? DEL TEMPO 36. È
primieramente necessario distinguere il Tempo in tocale e parziale - Il Tempo
totale è formato dall'unione di tutti gl' Istanti, ossia dall'unione di tutti i
Minuti, Ore, Giorni, Anni, Secoli ec. che già furono e che d'ora innanzi
sa-ranno. Possiamo quindi fondatamente considerare il Tempo totale come
rappresentato da una Lines retto, la quale comincia col principio de' secoli e
termina col loro fine - Chiamasi poi Tempo parziale quello ch' esprime una
parte qualunque del Tempo totale. 27. La Linea del Tempo totale
esprimendo tutti gl'Istanti, deve di necessità contenere anche l'Istante
presente, ossia l'Istante che attualmente decorre - Fissiamo sulla Linea
tale Istante con un Segno ad arbitrio. La Linea sarà da questo segno
divisa ria-turalmente in due Parti; e di queste due parti, una esprime la Serie
degl' Istanti già scorsi, l'altra esprime la Serie degl' Istanti
avvenire. • Ora ogni azione deve necessariamente avvenire in qualche
istante di Tempo. Dunque un' Azione sarà da noi detta di Tempo passato, se tale
Istante trovasi nella prima serie; di Tempo futz-ro, se tale Istante trovasi
nella seconda serie, e di Tempo presente, se tale Istante coincide con quello
che separa il Passato dal Futuro. Dunque chiameremo Voce di tempo, ogni espressione
che indica una parte o punto qualunque della Linea, ossia della serie totale
degl'Istan- ti; come jeri, udesso, questa mattina, domani, da qui a poco, ui
anno fa, sempre ec. Queste espres sicni poi saranno di Tempo passato, presente,
o futuro, secondo la natura degl'Istanti ai quali si riferiscoro - Stabiliamo
intanto che per noi adesso è la genérica voce di Presente, jeri la ge-merica
voce di Passato, domani la generiva Voce di Futuró. AVVERTENZA SUL TEMPO
PASSATO La Lingua italiana
considera il Tempo pas sato sotto due aspetti, e come congiunto al Pre-sente, e
come da esso disgiunto - Il Passato-congiunto deve sotto qualche rapporto
riguardare il Giorno in cui si parla: il Passato-disgiunto è sempre anteriore
al Giorno in cui si narla.30. Diciamo di Tempopassato-congiunto, 1, Ogni Azione
avrenuta nel Giorno in cui si parla; come questa mattina, un ora ja ec.: 2.°
Ogni Azione avvenuta in una porzione di Tempo che abbraccia ossia comprende
anche il Giorno in cui si parla ; come questo mese, quest'anno ec.: 3.° Ogni
Azione passata, nel precisare il tempo della quale usiamo un' espressione
comprendente anche il Giorno in cui si parla; come « sono tre anni che l'Amico
è partico per Napoli »; dove é chiaro che l'espressione sono tre anni comprende
anche l'anno cor-rente, e perció anche il Giorno in cui parlo: 4.° Finalmente
ogni Azione passata di cui non si precisa il Tempo; il quale, essendo così
preso ge-nericamente, può da noi considerarsi come continuante fino al Giorno
in cui si parla; come i o avuto più volte l'onore di viaggiare in sua
con-pagnia. L'Amico à ricevuto Lettere da Vienna ec. » Leggendo buoni
Libri si avverta di fare. molta attenzione alle espressioni verbali di Tempo
pas-sato-congiunto, onde formarsi una giusta idea del loro valore, e del quando
possono e debbono usarsi. 35. Diciamo di Tempo passato-disgiunto
ogni Azione di cui esplicitamente o implicitamente precisiamo il tempo,
il quale deve sempre essere anteriore al Giorno in cui si parla; come « L'A
mico parti jeri per Roma: Nell'ultima vacanza scrissi più di cento versi ec. »
— Per brevità il Passato-disgiunto sarà da noi detto semplicemente Tempo
passato.L'espressione generica di Tempo passato-con-giunto sarà questa mattina,
ritenendo pel pas-sato-disgiunto la già fissata (28) generica voce jeri.
DOMANDE Cosa intendete per Tempo totale? (26) Come possiamo
rappresentarci il Tempo totale? Cosa intendete per Tempo parziale?
Sapreste indicar sulla Linea i varj tempi parziali? (27) Un Azione quando
si dice di Tempo passato? ...... quando si dice di Tempo futaro? ...... quando
si dice di Tempo presente ? Quali, si chiamono Voci di Tempo? (28)
L'Italiano cosa deve osservare súl Tempo passato P (29) Il Passato quando si
chiama congiunto, e quando disgiunto? Un'Azione quando si considera di
Tempo passato-con- giunto? (30) Un' Azione quando si considera di
Tempo passaco-disgiun со? (3г.) Come denominiamo il Tempo
passato-disgiunto ? Qual è la Voce generica di Tempo presente, passaro a
passato congiunto, e futuro? (28, 31) DI ALCUNE VOCI PIÙ
RIMARGHEYOLI Ogni
Espressione che indica un Lungo qua-lunque, da noi chiamasi Voce di luogo; come
sopra, sotto, fuori, vicino, lontano ec, Ogni Espressione che serve a •far conoscere o con
precisione o in genere, quanti Oggetti anno parte in una data Azione o
Giudizio, chiamasi Voce di numero; come uno, tre, cento, alcu ni, molti, pochi
ec.34. Ogni Espressione indicante il posto preciso Soldati, degli Alberi, dei
Libri ec. allineati, ossia disposti con qualche ordine fra loro. Le Voci
d'ordine nel nostro senso sono primo, decimo, ulti-mo, dipoi, in seguito,
finalmente ec. Ogni
Espressione indicante qualche particolarità immedesimata con una Qualità o
Azione qualunque, chiamasi Voce modificante o di mo-dificazione; come
soavemente, velocemente, bru scamente, amabilmente, con franchezza, con timore
ec. in « L'usignolo canta soavemente; il Cervo corre velocemente; un Uomo
bruscamente benefico; un Capitano amabilmente severo; il Servo rispose con
franchezza, con timore ec. " - Da questi esempi si scorge, che talie
spressioni servono puramente a variare in qualche maniera ossia a modificare
l'Azione o Qualità; ed é perciò. che noi le chiamiamo Voci modificanti. Ogni Espressione indicante
che una Cosa é unita ad un'altra, chiamasi Voce d'unione; come e, anche,
insieme ec. in « Mandatemi carta e calamajo; mandatemi anche due penne;
mandatemi insieme qualche buon libro eu. » Ogni Espressione indicante
che una Cosa é allontanata ossia esclusa da un'altra, chiamasi Voce di
esclusione; come senza, nè, solamente ec. in « O preso un caffè senza zuccaro:
Non voglio nè l'uno nè l'altro: o letto solamente dieci righe ec. »38. Ogni Espressione
indicante la cagione per cui à luogo un' Azione o Giudizio, chiamasi Voce di
causa; come a motivo; a cagione; per, di, ec. in « L'amico fugge a motivo del
vento, a cagione del vento, per timore del vento: Egli pianse di gioia, di
dolore, di sdegno ec. » 3g. Ogni Espressione indicante il mezzo usato o da
usarsi per eseguire qualche Azione, chiamasi Voce di mezzo; come con, per
ec. in « Colla pazienza tutto si vince: L'amico viaggiò per terra e per mare, e
sempre con buoni legni ed ottimi cavalli. » Ogni Espressione indicante
lo scapo finale, per cui à luogo un'Azione o Giudizio qualunque, chiamasi Voce
di fine; come affine di, per, onde ec. in « Vado all' Università affine di
ottenere la Laurea, per ottenere la Laurea, onde 08-tenere la Laurea ec. » Ogni Espressione indicante
il modo con cui si eseguisce qualche Azione, chiamasi Voce di moda; come con,
a, in, così, ec. in « Bisogna studiare colle finestre chiuse: Rifletteteci ad
animo più tranquillo: Egli scrive in maniera poetica : Casi mi piacerebbe ec.
» 42. Ogni Espressione che serve ad aumentare l'idea ossia il valore
d'una Cosa qualunque, chia-masi. Voce d'aumento; come assai, molto ex. in «
Pietro studia assai: Questa cartà è molto bruna ec. " 45. Ogni
Espressione che serve a dirninuire l'idead'una Cosa qualunque, chiamasi Voce di
decre-mento; come pocn, non tanto, così cost ec. in «Questa penna è poco buona;
è buona, má non tanto; è buona cost cost ec. » 44. Il Linguaggio fa uso
di altre molte Espres-sioni, come Voci di affermazione; di dubbio, di
compagnia; di condizione, supposizione, conclu-sione-ec.; le quali potremo
leggendo conoscere colla massima facilità, purché si analizi e si faccia la
debita attenzione al sentimento. AVVERTENZA SUGLI AUMENTI E
DECREMENTI Le Qualità alle volte si
considerano giunte al loro Aumento massimo, cioè giunte ad un grado, oltre il
quale più non esiste Aumento, - In italiano l'Aumentò massimo si esprime cól
dare al Nome qualitativo la desinenza issimo: Cosi da dolce, bello, felice ec.
abbiamo dolcissimo, bel- lissimo, felicissimo ec. Qualche volta nel discorso
consideriamo come aumentati o diminuiti anche gli Oggetti; e la Lingua italiana
moltissime volte esprime tali Aumenti e Decrementi, dando un'apposita desinenza
al Nome oggettivo. Così da libro, stanza, cappello ec. abbiamo gli aumentativi
librone, stanzone, cap-pellone ec.; ed abbiamo i diminutivi libretto,
stanzetia, cappelletto ec. Finalmente vi sono delle Espressioni dette
peg-giorative, perché presentano degradata, deteriorata ossia peggiorato la
Cosa che esprimono; come libraccio, stanzaccia, cappellaccio, cagruzzo,
dolciastro; nerastro ec.; e vi sono delle Espressioni détte vezzeggiative,
perché presentano con grazia ossia con una specie di vezzo, ciò che esprimono;
come cagnolino, graziosetto; bellino ec. - Si arverta che alle
Espressioni vezzeggiative attacchiamo sempre un'idea di diminuzióne. Infatti le
Cose grandi possono essere sublimi, ammirabili ed anche belle; vezzeggiabili
però giammai. Quindi sono vezzeggiabili le sole Cose piccole; e noi nel
vezzeggiare una cosa già piccola di sua natura, col nostro spirito o
immaginazione la diminuiamo, la impiccoliamo ancora di più, onde cosi renderla
vezzeggiabile davantaggio. DOMANDE Quali si dicono Voci di luogo?
(32) Voci di numero? (33) • Voci d'ordine? (34) Voci modificanti? (35) Voci
d'unione? (36) Voci d'esclusione ? (57) Voci di causa? (38) Voci di mezzo? (39)
Voci di fine? (40) Voci di modo? (41) Voci di aumento? (42) Voci di decremento? (43) •
Come si esprime l'Aumento massimo nei Qualitativi? (45) Come si esprimono
gli Aumenti e Decrementi negli Qg- gettivi? (46)Quali Espressioni diconsi
peggiorative? (47) Quali Espressioni diciamo vezzeggiative? DEL
GIUDIZIO Chiamasi Giudizio l'effetto
risultante dal giudicare (20); e propriamente il Giudizio è quell'operazione
mentalè con cui affermiamo o ne-ghiamo, che ad un Oggetto convenga una data
Azione o Qualità - Quindi i nostri Giudizj sono tutti o di Azione o di Qualità;
ed ogni Giudizio - esige essenzialmente tre Cose, cioè Cardine di giu-dizio,
Voce di giudizio, Attributo di giudizio. Chiamiamo Cardine di giudizio o cardinale l'Oggetto
cui si attribuisce o si niega un'Azione • Qualità; come Pietro in « Pietro è
diligente : Pietro non è giunto, cioè non è stato giugnente: Pietro
scrive, ossia è scrivente ec. " Chiamiamo Voce di giudizio
(22) la Parola che esprime il nostro parere tanto affermativo che negativo;
come saranno, non era ec. in « i Soldati saranno vittoriosi; i Nemici saranno
vinti: la Carta non era buona; il Castello non era preso ec. » Chiamiamo Attributo di
giudizio la Voce esprimente l'Azione o Qualità che affermativamente o
negativamente, si attribuisce all'Oggetto cardinale, cioé al Cardine di
giudizio (49). Cost negli esempi suespressi diligente, giugnente, scri-vente,
vittoriosi, vinti, buona, preso sono tutti Attributi di giudizio.52. In
italiano il Nome dell'Oggetto cardinale si può nel discorso tacere, ognivolta
che trovasi abbastanza chiaramente espresso o da una o da ambedue le altre
Parti di giudizio: come sono contento; surete premiati ec. invece di « io sono
contento, voi sarete premiati ec. » Qualche rara volta suol tralasciarsi
anche la Voce di giudizio, ma solo parlando con enfsi, e purché, il tempo cui
si riferisce il Giudizio, sia chiaramente espresso dal contesto del discorso;
come « I codardo? Tu sconoscente? Noi vinti? ec. » L'Attributo di
giudizio non può mai tralasciarsi ossia déve sempre essere espresso; e ciò per
l'in-trinseca sua natura - Si richiami però che nei Giudizj di azione l'
Attributo spessissimo trovasi unito alla Voce di giudizio in una sula
espressio-ne, detta Verbo (23): come «io scrissi, cioè fusi scrivente: Voi
avete giocato, civé siete stati giuocanti ec. » DOMANDE Cosa
intendiamo per Giudizio? (48) Un Giudizio quando dicesi di. Azione?
....... quando dicesi di Qualità" Quante cose abbisognano per
formare un Giudizio? Cosa intendete per Cardine di Giudizio? (49) •
per Voce di giudizio? (50) ........ per Attributo di Giudizio? (5%.)
Queste tre Cose debbono sempre esprimersi nel discorso? (52)53. Un Giudizio é
da noi detto attivo, passivo, o neutro, secundoché in esso è attivo, passivo, o
neutro l'Oggetto cardinale (49). Ora l'Oggetto cardinale è attivo, se agisce,
cioè se fa desso l'Azione espressa nel Giudizio; come « i Giovani scri-vono; il
Popolo correva ec. " - L'Oggetto cardinale è passivo, se non eseguisce ma
riceve desso l'Azione espressa nel Giadizio; come « Pietro fu punito, le Piante
saranno tagliate, il Principe fu coronato ec.'»'- Finalmente l'Oggetto
cardinale, quando non è né attivo né passivo, da noi si chiama neutro cioé nè
l'uno nè l'ultro; e questo propriamente avviene in tutti i giudizj di Quali-là
(48), vale a dire in tutti que' Giudizi, ne' quali si attribuisce all'Oggetto
cardinale una Qualità: Come « Questo Libro è facile; i Frutti sono maturi
ec. » 54 Nei Giudizj attivi l'Attributo di giudizio in italiano o è unito
alla Voce di giudizio in una sola parola, come « Pietro scrive, partirá ec.
»; o è unito all'ausiliario avere in due distinte pa-role, come «Pietro à
detto, arà veduto ec. ». Quindi nei giudizi attivi l'Attributo di
giudizio, essendo assolutamente immedesimato con altra espressione, non ammette
serve ugualmente a tuti gli Osatoi calina, di qualungue Numero e Sesso - Quindi
abbiamo:MASCHILE (io avrei scrillo ‹ tu avresti scrillo (
egli avrebbe scritto FEMMINILE (66) I io avrei scritto tu avresti
scritto ella avrebbe scritto (noi avremmo scritto PLURALE
('voi avreste scritto ( essi avrebbero scritto noi avremmo
scritto voi avreste scritto esse avrebbero scritto 55. Nei
Giudizi passivi e neutri l'Attriburo in italiano è sempre separato dalla Voce
di giudizia, e per legge di Lingua deve sempre seguire il Nu mero ed il Sesso
dell'Oggetto cardinale - Questa Regola vale anche per la Voce di giudizio
stato. Quindi abbiamo : MASCHILE FEMMINIL (io sona
premiaro 1, io sono premiaca UNALI (tu sei premiata I.
tu sei premiara (egli è premiara I ella è premiata. ( noi
siamo premiari. |' noi siamo premiaio PLURALI (voi siete
premiati I voi siete premiare (essi sono premiati l esse sono
premiare so sono stalo contento | io sono stara contenta noi siamo stati
consenti I noi siamo state contere ec. eC. ec.
ес. 56. Nei Giudizj attivi invece dell' ausiliario avere (14) la Lingua
italiana alcune volte usa la voce essere; voce che in tal caso deve
considerarsi puramente come ausiliaria, e non come Vocedi giudizio. Quindi si
faccia praticamente grande at-tenzione, onde non confondere essere voce
giudicante con essere voce ausiliaria, ossia onde non prendere per passivo un
Giudizio di sua natura attivo: Così io sorio chiamato è Giudizio passivo;
ed è Giudizio attivo io sono arrivato, equivalente ad in sono stato
arrivante. Quando nei Giudizj attivi
debba usarsi l'ausiliario essere e quando l'ausiliario avere, non può impararsi
che colla lettura e coll'uso, È quindi necessario leggere colla debita
riflessione: Usandosi l'ausiliario
essere (56), la Voce verbale anche ne' Giudizi attivi deve sempre per legge di
convenzione seguire il Numera ed il Sesso dell'Oggetto cardinale; e
precisamente come ne'Giu-dizj passivi (55) - Quindi abbiamo; MASCHILE (io sono
giunto UNALE (tu sei giunto ( egli è giunto (noi siamo
giunt PLURALI (voi siete giunti ( essi sono giunti
FEMMINILE 1 io sonó giunta tu sei giunta ella è giunta noi
siamo giunte voi siete giunte esse sono giunte DOMANDE
Un Giudizio quando si dice attivo ? (53) quando si dice passivo? quando si dice neutro ? Rapporto all'Attributo cosa
è da osservarsi ne' Giudizj at- tivi?, (54)Rapporto all'Attributo cosa è
da osservarsi de' Giudizi passivi e neutri? (55) L'Ausiliario de Giudizi
attivi è sempre la voce avere? (54, 56) Quando si usa l'Ausiliario essere, e
quando l'avere? (57) Usandosi l'Ausiliario essere, come dobbiamo esprimere
la Voce verbale? (58) DEL FEMMINILE E DEL PLURALE NEI NOMI
5g. Nella propria Lingua coll' uso imparasi naturalmente tutto ciò, che nelle
parole è relativo alle Variazioni finali pel Sesso; pel Numero • per qualunque
altro significato. Pure, siccome i Dizionarj generalmente presentano i Nomi
soltanto al Sesso maschile e al Numero unale, crediamo bene di qui esporre le
regole semplicissime assegnate dalla Lingua italiana per la Formazione del
Femminile nei Nomi qualitativi e di azione, e per la Formazione del Plurale in
qualunque Nome, senza peró occuparci delle poche Eccezioui, che si conosceranno
coll' uso. 60. FORMAZIONE DEL FEMMINILE — I Nomi qualitativi e di Azione
formano il Femminile dalla Voce maschile; ed al maschile tali Nomi terminano
tutti o in e, come felice sensibile ec., oppure in o, come onesto virtioso
ec: 6r. Ora i terminanti in e servono egualmente ad ambedue i Sessi.
Quindi abbiamo « l"Uomo felice, la Donna felice ec. ». Nei terminanti in o
poi formasi il Femminile, cangiando l'o finale in a. Quindi avremo «
l'Uomo virtuoso, la Donna virtuosa ec. " FORMAZIONE DEL PLURALE - Il
Plurale in qualunque Nome formasi dall'Espressione di Numero unale, avvertendo
che nei Nomi qualitativi e di Azione devesi aver riguardo al Sesso, vale a
dire, che il Plurale maschile formasi dall'Unale maschile, ed il femminile
rispettivamente dall' U- nale femminile — I Nomi al Numero unale terminano o in
a, o in e, o in o. I terminanti in
e ed o formano il Plurale, cangiando in i la vocale finale: Quindi « libro
facile, Giovine premiato ec. » al Plurale danno « libri facili, Giovani
premiati ec. » Nei terminanti in a é necessario
osservare, se sono maschili o femminili - Se femminili,. formano il Plurale
cangiando in e la vocale fina-le: Quindi abbiamo «Donne virtuose, Sorelle
premiate ec. » - Se maschili, formano il Plurale: cangiando l' a finale in i -
Quindi abbiamo « Poe--ti, Duchi, Profeti ec. » - Si avverta, che i: Nomi
maschili terminati in a, sono pochissimi e soltanto. Oggettivi: 65. I
Nomi oggettivi alle volte terminano con vocale lungo ossia accentata; ed allora
servono al Numero tanto unale che plurale: Quindi abbiamo caso, come
rilevasi da questi esempi, per conoscere il Numero si osserva l'Articolo: Che
se l'Articolo mancasse, si dovrà fare attenzione o a qualche altra voce, o al
contesto del discorso.I Nomi qualitativi e di Azione qual desinenza anno
al Sesso maschile? (60) In tali Nomi come formasi il Femininile?
(6r) I Nomi in genere qual desinenza ànno al Numero una- le?
(62) Come formasi il Plurale nei terminanti in e o in ó? (65) Come
formasi il Plurale nei terminanti in a? (64) Cosa è da avvertirsi negli
Oggettivi terminanti con ac- cento? (65)- + . DEL CARDINE DI
GIUDIZIO •66. Parlando, noi altro non facciamo she esternare i Giudizj
formati dal nostro Essere sens ziente (4); ed è impossibile, che un discorso
sia sensato, se non esprime un Giudizio ~ Dunque in ogni discorso avremo
necessariamente. I' Oggetto cardine di giudizio (49); giacché ogni Giudizio
esige il suo Oggetto cardinale, o espresso o facili mente sottinteso
(52). Ora è facile comprendere,
che in un qualsiasi • discorso può e deve essere Cardine di giudizio, o Chi
parla, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè un Oggetto diverso da Chi ascolta e
da Chi parla - Dunque dobbiamo in ogni discorso precisare ossia esprimere
chiaramente, qual Oggetto é Cardine di giudizio, cioé se l'Oggetto parlante; o
l'Oggetto ascoltante, oppure un terzo Oggetto. Ma gli Oggetti parlante é
ascoliante sono o almeno si suppongono presenti al discorso - Dunque non
occorre indicarli coi Nomi loro par-ticolari; e basta usare per essi un Nome
generi-co, applicabilé a qualunque Oggetto che praticamente sia ascoltante o
parlante. In italiaro il Nome generico dell'Oggetto par-lante, al Numero
unale è io, al plurale noi: E il Nome generico dell'Oggetto ascoltante,
all'unale è tu, al plurale voi — Si avverta, che questi Nomi generici servono
al Sesso tanto maschile che fem-minile; giacché la presenza degli Oggetti
parlante e ascoltante, ci fa naturalmente conoscere il loro Sesso.
6g. I terzi Oggetti debbono sempre essere indicati coi loro particolari Nomi convenienti,
onde poter in essi distinguere l'uno dall'altro → Se però il Nome d'un terzo
Oggetto fu nel discorso espresso immediatamente prima, allora invece di
ripéterlo, sogliamo richiamara l' Oggetto con una Voce apposita detta Pronome,
cioè Voce usata invece d'un Nome; avvertendo che questo Pronome deve usarsi,
sol quando non può nascere nel discorso alcuna oscurità o confusione.* I
Pronomi che servono a così richiamare i terzi Oggetti, sono al Numero
unale egli o esso pel Sesso maschile, ella o essa pel femminile; ed al plurale
eglino o essi pel maschile, elleno o esse pel femminile.7o. Gli Oggetti,
e quindi i loro Nomi e Pro-nomi, non sempre sono Cardini di Giudizio; giacché
possorio trovarsi in altre molte situazioni, come vedremo (196). Si avverta
quindi, che non essendo Cardine di giudizio, al Numero unale il Nome
dell'Oggetto parlante cangiasi in me, e quello dell'Oggetto ascoltante in te; e
che nei Pronomi, egli cangiasi in lui, ella in lei, ed al plurale eglino ed
elleno si cangiano ambedue in loto. 71. Si avverta inoltre che a
questi generici Nomi e Pronomi tanto cardinali che non cardinali, per eleganza
o maggior forza di espressione sogliamo spesso aggiugnere la Voce stesso o
medesimo, ponendola al conveniente Numero e Sesso del Nome. o Pronome; come «
io medesimo, ella stessa, da lei medesima, voi stessi ec. " — La Voce
stesso o medesimo che comunemente è Voce d'iden tità (79, 80), in questo caso
da noi sarà chiamata Voce di energia. 'AVVERTENZA' SULL' OGGETTO ASCOLTANTE
72. Il Nome generico d'un solo Oggetto ascoltante è tu ovvero te, come abbiamo
sopra fissato (68, 70). L'Educazione italiana però per- mette, che si usi
tal espressione solamente ocon Persona esercente professione molto bassa ed
abbietta, o con Persona di massima confidenza, o parlando enfaticamente. Fuori di questi tre casi il
Nome d'un solo Oggetto ascoltante sarà sempre o voi, oppure ella e lei (70),
secondo la qualità, della Persona a cui si parla — Si usa voi parlando con
Persona o eguale o inferiore; e si usa ella e lei; parlando o con Persona a noi
superiore, o con Persona per cui dobbiamo o vogliamo aver dei riguardi. E poi facile conoscere la
ragione di tali sosti-tuzioni, che sono puramente basate sui principi di
civiltà - Dicendo voi ad una sola Persona, io le dico, che la considero come
Plurale, cioè come più Persone; il che è assai obbligante, e serve ad affezionarci
la Persona colla quale parliamo - Parimenti le voci ella e lei sono dal
Linguaggio esclusivamente consecrate al bel Sesso (69, 7u ). Quindi asando tali
voci con una sola Persona ascoltante, se questa è Femmina, col fatto le
dimostro che so di parlare con una Signora, vale a dire le dimostro, che mi
occupo dei riguardi a lei dovuti; dimostrazione, che deve necessariamente
piacere: •E se la Persona con cui parlo è Uomo, usando tali voci dico ad esso,
che o per lui quella deferenza, quel rispetto e tutti quei possibili ri-guardi,
che avrei per una Signora; esternazione molto sodisfacente e compita, giacché
l' educazione fissa allo scabello del Bel Sesso la somma e l'apice di tutti i
più delicati riguardi sociali.Cosa deve essenzialmente esprimere ogni sensato
discor- so? (66) Quante specie si danno di Oggetti cardinali?
(67) Gli Oggetti cardinali si esprimono sempre col loro Nome particolare?
(68) Qual è il Nome generico dell' Oggetto parlante? Qual è il Nome
generico dell'Oggetto ascoltante? Quali sono i Pronomi pei terzi Oggetti
? (6g) Non essendo Cardini di giudizio, come si esprimono tali Nomi
e Pronomi? (70) Cosa intendiamo per Voce di energia? (71) La buona
Educazione quando usa tu e te ? (73) Con una sola Persona ascoltante quando si
usa voi? (73) quando si usa ella e lei ! Sapreste dar ragione di
tali Sostituzioni ? (74) DELLE COSE DIFFERENTI, DIVERSE; SIMILI,
UGUALI E IDENTICHE Due cose diconsi differenti, quando una ci si
presenta maggiore o minore dell'altra: Cosi cinque e olto, quindici e dieci ec.
sono quantità differenti tra loro. Due Cose diconsi diverse, quando non sono della
stessa natura; vale a dire, quando non anno le stesse Proprietà (‹6): Cosi
acqua e vino, zuc- caro e caffè ec. sono cose diverse tra loro. Due Cose si dicono simili,
quando anno le stesse Proprietà, senza punto calcolarne le Quali-tà: Cost due
Uomini, due Cavalli, due Monete dello stesso conio e valore ec. sono cose
rispettivamente simili tra loro. 78. Due cose diconsi uguali, quando e sono di
medesima natura, e non presentano alcuna differenza trà loro; vale a dire,
quando avendo le stesse Proprietà, anno anche le medesime Qualità; Cosi
cinque è uguale trè più due, uguale quattro più uno ec. Si avverta, che
gli Oggetti simili presentano tutti delle più o meno rimarchevoli differenze; e
pe-ró, che negli Oggetti non esiste per noi uguas glianza perfetta.
L'Identità non può aversi
che negli Ogget-ti; e propriamente consiste « nel ravvisare, che un tale
Oggetto è quell' istesso, il quale giá esisteva in qualche precisata
circostanza » — Li cognizione dell'Identità risulra singolarmente dall'
osservare le marche o contrasegni particolari, per cui ogni Oggetto si
distingue da tutti gli altri suoi simili (78). Le Espressioni che nel
discorso indicano tali Differenze, Diversità ec., saranno da noi dette
rispettivamente Voci di Differenza, Diversità, So-miglianza, Eguaglianza,
Identità. DOMANDE Due cose quando sono differenti? (75) •. quando
sono diverse? (76) :. quando sono simili? (77) quando sono uguali? . (78)
Si dà Eguaglianza negli Oggetti ? In che consiste l'Identità d' un
Oggetto? (79) Come si ravy isa l'Identità d'un Oggetto?81. Confrontare
significa «Porre due o pit Oggetti dirimpetto ossia di fronte fra loro »; e ciò
avviene, ognivolta che vogliamo in più Oggetti considerare o esaminare una
médesima Azione o Qualità. La conseguenza del Confronto esser deve il
conoscere, che tale Azione o Qualità é negli Oggetti confrontati o uguale o
differente. Quindi i Confronti che esprimiamo nel discorso, saranno tutti o d'
Eguaglianza o di Differenza; e le Espres sioni indicanti tale Differenza o
Eguaglianza, saranno da noi dette Voci di confronto: Come al pari di, tanto
quanto, più di, meno di ec. Molte volte, fatto il Confronto, se scopriamo o
crediamo vedere una piccolissima differenza, ci contentiamo nel discorso
d'indicare l'Eguaglianza approssimativa; e le Espressioni che usiamo per ciò,
saranno da noi dette Voci di approssimazio-ne: Come quasi, in circa, a un
dipresso ec.: Il risultato del Confronto
alle volte suol essere un Giudizio d' ignoranza o di dubbio, che sogliamo
esprimere con non so, mi pare, credo, non potrei decidere ec. Ciò propriamente
avviene, quando non si può stabilire né uguaglianza né differenza assoluta nel
Confronto. In ogni Confronto é
necessario distinguere l'Oggetto primo dal secondo, potendo tanto l'uno che
l'altro essere indifferentemente di Numero o unale o plurale - Chiamiamo primo,
quello che é Cardine di giudizio; e chiamiamo l'altro secondo: Cosi in «
Pietro è più giovine di Paolo » Pietra è primo Oggetto, Paolo è secondo Oggetto
di confronto. DEL CONFRONTO SEPARANTE Alle volte consideriamo
tutti gli Oggetti d'una determinata specie sfera o estensione, come possedenti
la medesima Qualità o Azione; ed avviene sovente, che in uno a in alcuni di
questi Oggetti tale Azione o Qualità presentasi in maniera o superiore a
inferiore a tutti gli altri - Ora volendo nel discorso indicare tale
Inferiorità o Supe-riorità, dobbiamo primieramente separare dalla massa totale
l'Oggetto o Oggetti distinti, e poscia dobbiamo presentarli posti a Confronto
con tatti gli Oggetti restanti; come dicendo « Pomponio et il più abile do
Ministri: Quelli erano i meno prodi de suoi soldati eç. » = Questa operazione
può dunque giustamente chiamarsi Confronto se- parante; avvertendo, che gli
Oggetti separati formano sempre il primo Oggetto di Confronto (85), e che tutti
gli altri rimangono a formarne il se-condo. Il Confronto separante può
essere di eccesso o di difetto - E di eccesso, se il primo Oggetto possiede la
confrontata Azione o Qualità in grado superiore al secondo: Come « Cicerone fu
il piieloquente dei Romani: Elena è la più saggia delle Figlie ec. » - È di
difetto, se il primio Oggetto possiede la Qualità o Azione in grado inferiore
al secondo Oggetto di confronto: Come « Giulio é il meno dissipato degli
Scolari: L'Amico fu il meno maltrattato dei Prigionieri ec. » 88. In italiano
le Espressioni il più... di, il meno... di ec. sono particolarmente destinate
ad accennare tali Confronti; e noi perciò le chiameremo Voci di Confronto
separante. DOMANDI Che significa confrontare? (18) Qual è il
risultato del Confronto ? (82) Il Confronto produce sempre un Giudizio
d'Eraglianza o di Differenza? (84), Quali da noi si chiamamo. Voci di
confronto? (82) Quali chiamansi Voci di approssimazione? (83) Nel
Confronto quale Oggetto chiamasi primo, e quale secondo ! (85) Quando
abbiamo Confronto separante ? (86) Il Confronto separante di quante
specie può essere? (87) Quando chiamasi di eccesso, e qúando di
difelio? Quali da noi si dicono Voci di confronto separante? (88)
89. I nostri Giudizj debbono naturalmente essere diversi, come
diverse esser possono le circostanze alle quali si riferiscono. Dunque il
Linguaggio deve esprimerli in diverse Maniere - È dunque necessario esporre
dettagliatamente queste diverse: Maniere ossia i varj Modi, con cui si può nel
discorsa esprimere un Giudizio. Mi sia qui permessa un'osservazione
- La diversità dei Modi nella Voce giudicante e nei Verbi dipende dalla
diversità dei Giudizj che si esprimo-no; vale a dire, dipende dall' intrinseca
natura delle cose. Dunque il numero dei Modi deve necessariamente esser lo
stesso in tutte. le Lingue; e questo deve intendersi anche del numero dei Tempi
in ciascun Modo - Dunque le Grammatiche, quando asseriscono che una Lingua à
più o meno Modi, più o meno Tempi di un'altra, dan chiaramente a
conoscere il poco o nessuno Bron-senso; che presiedeva alla loro formazione.9o.
Qualunque Giudizio deve sempre riportarsi a qualche Istante del Tempo totale; e
nel discorso può inoltre essere confrontato col Tempo di qualche altro Giudizio
- Dunque esamineremo accuratamente tutto ciò che nei Giudizi è riferibile al
Tempo, ossia ai varj Tempi tanto assoluti che relativi. 9i. Chiamiamo
assoluto quel Tempo, che da noi puramente si considera presente, passato o
futuro, come è assolutamente in natura: E chiamiamo relativo quel Tempo, che da
noi si considera presente, passato o faturo soltanto relati-ramente ad altro
Tempo espresso nel discorso. 9a. Ogni Giudizio esige indispensabilmente
un Oggetto, cardinale (46); e questo Oggetto può es sere o il parlante o
l'ascoltante o un terzo Oggetto (67). Inoltre, l'Oggetto cardinale può essere
di Numero e unale e plurale (ro) - Dunque in ciascun tempo di qualunque Modo
faremo particolare attenzione ai tre Oggetti cardinali, e ciò per ambedue i
Numeri unale e plurale; 93. La Lingua italiana generalmente con una sola
Espressione suole indicare Giudizio, Tempo, Modo, e inoltre la Natura
dell'Oggetto cardinale, ed. il suo Numero. Quindi é della massima importanza
l'attaccare a ciascuna di tali tanto significanti Espressioni la giusta Idea, e
colla massima possibile precisione - Noi dunque le esporremo dettagliatamente
di seguito per la Voce di giudizio essere, in ciascun Tempo, in ciascun
Modo, e indicando la Natura ed il Numero degli Oggetti
cardinali coi generici Nomi e Pronomi rispettivamente già fissati per essi (84,
69); vale a dire, io, tu, egli per l'unale, e noi, voi, essi pel Numero
plurale, limitándoci al solo Sesso maschile - Prima però daremo la necessaria
spiegazione de' varj Tempi e assoluti e relativi. Esporre di seguito per
ciasçun Tempo, in ciascuno Modo, e per ogni Oggetto cardinale le varie
Espressioni che la Lingua assegna sia per lo Voce di giudizio, sia per un Verbo
qualunque, é propriamente ciò che chiamasi conjugare. Abbiamo già fissato le
generiche Voci esprimenti i varj Tempi assoluti, cioè adesso, jeri, domani (28)
e questa mattina (31). Queste Voci nella conjugazione di qualunque Modo possono
essere unite alla Voce di giudizio, onde meglio formarsi una giusta idea di
questa Voce medesima. Si arverta però, che praticamente non sempre debbono
esservi unite: Quindi noi nel conjugare le ometteremo, lasciando a ciascuno la
libertà di aggiugnervele a suo piacere. DOMANDE Che' s' intende per
Modi nella Voce di giudizio e nei Verbi? (80) Qual Tempo dicesi
assoluto? (93) Qual Tempo chiamasi relatino ? Cosa intendete per
conjugare? (94)96. Chiamasi assoluto, quel Tempo che nel di- assoluto
sarà o presente o passato) o futuro; giacché in natura gl' Istanti del Tempo
totale debbono trovarsi in una di queste tre situazioni (27). 97. Il
Tempo assoluto dicesi presente, quando coincide coll' Istante in cui parliamo;
dicesi pas-saro, quando è decorso prima dell'Istante in cui parliamo; e si dice
futuro, quando deve decorrere dopo l'Istante in cui parliamo (27) - Si
richia-mi, che il Passato in italiano è di due specie, cioé congiunto e
disgiunto (29). DOMANDE Come denominiamo i varj Tempi assoluti?
(96) Il Tempo assoluto quando si chiama presente? (97) quando si chiama
passato ! quando si chiama futuro? DEI TEMPI RELATIVI 98. Chiamasi
relativo quel Tempo, che si considera presente, passato o futuro, soltanto
relativamente ad un altro Tempo espresso nel discorso (91) - Dunque il Tempo
relativo sarà o identico o anteriore o posteriore all'altro Tempo; giacchè
qualunque Tempo, posto a confronto ossia considerato rispettivamente ad un
altro Tempo, deve di necessità trovarsi in una di queste tre circostanze.
Il Tempo relativo dicesi
identico all'altro Tempo, quando questi due Tempi effettivamente non sono che
un solo. Cosi in « Sento cantate » cantare è un'espressione di Tempo relativo
iden-tico: è di Tempo relativo, perché il Tempo dell'azione cantare si riporta
a quello dell'azione sento; è di Tempo identico, perché in questo caso diciamo,
che l'azione cantare e l'azione senta anno luogo al medesimo istante. Il Tempo relativo dicesi
anteriore, quando effettivamente si considera decorso prima dell'altro Tempo.
Così « L'Amico dice di aver visto molte Lepri » aver visto è un'espressione di
Tempo relativo anteriore: è di tempo relativo, perché si riferisce al tempo
dell'azione dice; ed è di Tenipo anteriore, perché esprimiamo che l'azione aver
visto è avvenuta prima dell'azione dice. Il Tempo relativa dicesi posteriore, quando si
considera decorso dopo l'altro Tempo. Cost in • L'Amico sperava d'essere
premiato.» essere premiato è un' espressione di Tempo relativo poste-riore: è
di Tempo relativo, perchè si riferisce al Tempo dell'Azione o Giudizio sperava,
ed è di tempo posteriore, perché diciamo che l' Azione essere premiato deve
ossia doveva avvenire dopo dell'azione sperava., DOMANDE Come denominiamo
i varj Tempi relativi? (98) Il Tempo relativo quando si dice identico?
(99) • • quando si dice anteriore? (100) quando si dice
posteriore? (101) È facile
comprendere, che ogni Azione o Giudizio di Tempo relativo; in natura deve
appartenere a qualche Tempo assoluto; giacché le Azioni avvengono tutte in
qualche Istante del Tempo totale (96), è la natura delle cose non può essere
alterata dalla nostra maniera di considerar-le: Cosi per esempio dicendo «
Quando voi sor-siste, l'Amico dormiva » chiaro si scorge, che la qui espressa
azione di dormire é di Tempo asso-lutamente-passato e relativamente-identico a
quello dell'Azione sortiste - Dunque nei Giudizj di Tempo relativo possiamo e
dobbiamo considerare e il Tempo assoluto e il Tempo relativo del Giu-dizio;
ossia con parola composta possiamo e dobbiamo considerare, i varj Tempi
assoluto-relativi. Moltiplicando i
tre Tempi assoluti, pre-sente, passato e futuro (96) per i tre Tempi re-lativi,
identico, anteriore: e posteriore (98), avremo tutti i varj Tempi
assoluto-relativi: Avremo cioe presente-identico,
passato-identico, futuro-identico presente-anteriore, passaso
anteriore, fuluro-anteriore presente-posteriore, passato posteriore,
futuro-posteriore Si avverta, che delle due Parole con cui esprimiamo
ciascuno di questi Tempi assoluto-relativi, la primo indica sempre il Tempa
assoluto del Giudizio o Azione, e la seconda ne indica sempre il Tempo
relativo. TEMPO PRESENTE-IDENTICO. Chiamiamo presente-identico quel Tempo,
che di sua natura esiendo presente, nel discorso da noi si considera soltanto
come identico ad un altro Tempo, il quale è considerato ed è assolutamente
presente : Così in « Sento cantare » cantare è un'espressione di Tempo
presente-identico; perché l'Azione di cantare avviene al tempo stesso di quella
espressa da sento, la quale di sua natura é di Tempo presente: TEMPO PASSATO-IDENTICO -
Chiamiamo passato-identico quel Tempo, che di sua natura essendo passato, nel
discorso da noi si considera. soltanto come identico al Tempo d'un altro
Giu-dizio, il quale é assolutamente passato: Cosi in « Quando voi sortiste l'
Amico dormiva » dormiva è un'espressione di Tempo passato-identico; perché
l'azione espressa da dormiva, la quale é assolutamente passata, si considera
soltanto come contemporanea a quella espressa da sortiste, azione assolutamente
passata ancor essa - Lo stesso dicasi di canture in « Sentii, et sentito
cantare ec. » TEMPO FUTURO-IDENTICO -
Chiamiamo futuro-identico quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, da
noi si considera sol-. tanto come identico ad altro Tempo assolutamente futuro:
Cosi in « Quando li vedrà sortire ec. »• sortire è un'espressione di Tempo
futuro-identico; •perché l'azione qui espressa da sortire é assolutamente
futura, ma da noi si considera solamente come contenporaneo a quella
espressa da vedrò, la quale è pure assolutamente futura. 107. TEMPO
PRESENTE-INTERIORE — Chiamiamo presente-anteriore quel Tempo, che di sua natura
essendo presente, deve essere soltanto considerato come anteriore ad un altro
Tempo. Ora egli é chiaro, che il Tempo presente non può essere anteriore che al
solo Tempo futuro. Dunque il Tempo presente-anteriore é un Tempo relativo, che
deve di necessità riportarsi ad altro Tempo assolutamente futuro. Ma il
Tempo presente non può sotto alcun rapporto dipendere dal Tempo futuro, ossia
riferirsi al Tempo futuro; giacché quando calcoliamo l' Istante presente, tutto
il Tempo futuro può considerarsi ed è per noi effettivamente come zero. Dunque
il Tempo presente-anteriore è nel nostro senso (103) un Tempo praticamente
impossibile, un Tempo che include contradizione; ossia è un Tempo re-lativo,
che per l'intrinseca natura delle cose si risolve necessariamente in un Tempo
assoluta, cioè nel Tempo assolutamente presente. Ed infatti ogni Tempo
assolutamente presente, di sua natura ¿ anteriore a tutto il Tempo
futuro. Dunque considerato come Tempo relativo (98), il Tempo
presente-anteriore non esiste. 108. TEMPO PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo
passato-anteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo passato, da noi
solamente si considera come anteriore ad un altro Tempo che è passato
ancor esso necessariamente — Il Tempo passato-anteriore può essere congiunto, o
disgiunto. I.° Chiamasi congiunto, quando si considera de corso
immediatamente prima dell'altro Tempo pas-sato; ossia, quando si calcola come
unito in serie al Tempo, che consideriamo passato per secondo: Così in «
Appena ebbero visto il lupo, i cani fuggirono » ebbero visto è un'espressione
di Tempo passato-anteriore-congiunto; giacché indica un'Azione assolutamente
passata, la indica come anteriore all'azione fuggirono, ma la indica come
avrenuta solo un istante prima, ossia come avvenuta immediatamente prima
dell'azione fuggirono. II.® Chiamasi disgiunto, quando non si considera
decorso immediatamente prima dell'altro Témpo, che riteniamo passato per secondo:
Cosi in « L'Amico xenne, perché era stato avvertito da me » era stato avvertito
è un'espressione di Tempo passato ante-riore-disgiunto; giacchè indica
un'Azione assolutamente passato, la indica come anteriore all'Azione venne, ma
non la indica come avvenuta immedia-camente prima dell'azione venne - Per
brevità il passato anteriore-disgiunto sarà da noi denominato semplicemente
passato-anteriore. 109. TEMPO FUTURO-ANTERIORE - Chiamiamo
futuro-anteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo futuro, da noi si
considera soltanto come anteriore ad un altro dato Tempo fu-turo: Cosi in «
Quando avremo finito la Scuola, passeggeremo o avremo finito è un'espressione
di Tempo futuro anteriore; perché esprime un'Azione assolutamente futura,
la quale peró è da noi calcolata soltanto come anteriore all'altra futura
Azione espressa da passeggeremo. 110. TEMPO PRESENTE-POSTERIORE -
Chianiamo presente-posteriore quel Tempo, il quale di sua natura essendo
presente, è da noi considerato soltanto come posteriore ad un altro Tempo che
necessariamente deve essere passato: Cust in « L'Amico mi scrisse, che sareste
arrivato precisamente a quest' ora » sareste arrivato è un'espressione di Tempo
presente-posteriore; giacchè esprime un'azione assolutamente presente, cioè
un'azione che avviene al momento in cui parlo; ma nel discorso tale azione è
assolutamente calcolata come posteriore all'altra espressa da scrisse.
III. TEMFO PASSATO-POSTBAIORE - Chiamiamo passato-posteriore quel Tempo il
quale di sua natura essendo passato, da noi si considera soltanto come
posteriore ad un altro Tempo che di necessità deve anch'esso essere passato:
Cosi in « L'Amico disse, che sarebbe arrivato prima di notte; e mantenne là sua
parola » sarebbe arrivato è un'espressione di Tempo passato-posteriore; giacché
esprime un'azione assolutamente passato, che praticamente da noi si considera
soltanto come posteriore all'azione espressa da disse. 1I2. TEMPO
FUTURO-POSTERIORE - Chiamiamo futuro-posterioré quel Tempo, il quale di sua
natura essendo futuro, dá noi si considera solamente come posteriore ad
altro Tempo: Cusi in « L'Amico mi scrisse, che sarebbe arrivato prima di sera;
e adesso appena sono le tre pomeridiane » sarebbe arrivato é un'espressione di
Tempo futuro-posteriore; giacché esprime un'Azione assolutamente futura, ma nel
discorso calcolata soltanto come posteriore all'Azione espressa da
scrisse. 113. I Tempi assoluto relativi sono dunque otto; cioè sono i da
noi già fissati (103), provenienti dalla moltiplica dei tre Tempi assoluti pei
tre re-lativi; restando di sua natura escluso il Tempo presente-anteriore, come
abbiamo già dimostrato (107). Si avverta di formarsi una giusta e chiara
idea di ciascuno degli otto analizati Tempi assoluto-relativi, onde afferrar
bene il preciso valore delle voci destinate ad esprimerli - Si richiami, che
delle due Parole da noi usate per indicarli, la prima esprime sempre il Tempo
assoluto, e l'at-tra il Tempo relativo (103) - Si fissi finalmente, che il
Linguaggio praticamente considera questi Tempi soltanto come relativi; ma che é
anche necessario cortoscerne la forza assoluta, onde poterli analiticamente e
ragionatamente distinguere fra loro. DOMANDE Cosa intendiamo per
Tempi assoluto-relativi? (102) • Quanti e quali sono i Tempi assoluto-relativi?
(103, 113) In queste Voci composte cosa indica la prima, e cosa la
seconda Parolae® (105) Qual tempo chiamasi presente identico? (104)
.. passato identico? (105) • futuro identico? (106) Cosa dobbiamo
osservare sul Tempo presente-anteriore? (107) Qual Tempo chiamasi
passato-anteriore? (108) Il Passato-anteriore quando si dice congiunio?
(I) ... quando si dice disgiunto? (II) Qual Tempo chiamasi
futuro-anteriore? (109) presente-posteriore? (110)
passato-posteriore? (111) • futuro-posteriore? (112) Il Linguaggio
precisamente come considera i Tempi asso- luto-relativi P (113) DEL
MODO CERTO 114. Diciamo espresso in Modo Certo, ogni Giudizio il quale
esclude qualunque ombra d'in-certezza; ossia ogni Giudizio, in cui l'Oggetto
parlante esprime con assoluto certezza e persia-sione ciò che dice: Come « Voi
siete studiosi : L'Amico scrisse due lettere: Quando io giunsi, i soldati
partivano ec. " Ogni Giudizio di Modo Certo è praticamente o isolato
o dipendente o condizionato. MODO CERTO-ISOLATO Chiamiamo isolato ogni
Giudizio di Modo Certo, il quale esprime da se solo un senso perfettamente
completo; ossia ogni Giudizio, il quale espresso con parole, lascia nulla a
desiderare peressere inteso perfettamente; come « Quei Giovani sono Italiani:
Pietro fu premiato: Voi sarete felici ec. » Ogni Giudizio di Modo
Certo-isolato appartiene sempre ad uno dei tre Tempi assoluti, presente,
passato, futuro; richiamando, che in italiano il Tempo passato si distingue in
passato-congiunto, e passato-disgiunto o semplicemente passato (52). Si avverta che, tanto in
questo come in altri Modi molti, alle Espressioni di futuro sogliamo sostituire
quelle di Tempo presente, ogni volta che la futurità trovasi naturalmente
espressa o dal contesto del discorso o dalla natura stessa dell'A-zione: Come «
Parto domani, invece di partirò; Andate questa sera al Teatro? invece di
andrete ec. » Le Espressioni
di 'Modo Certo-isolato sono alla TAVOLA 1.° Nella Voce giudicante il'
Linguaggio per esprimere semplicemente il Tempo assoluto del Giudizio, non à
altre Espressioni che quelle as-segnaté pel Modo 'erto-isolato. Ed infatti
ana-lizando le Espressioni che successivamente fisse, remo pei Tempi assoluti
di tutti gli altri Modi, si troverà che desse nell'intrinseca loro natura
contengono sempre o Dipendenza, o Condizione, Volizione, Desiderio,
Supposizione ec. - Dunque ogni Giudizio, che stante la natura del. di- scorso,
deve puramente indicare il suo Tempo as-soluto, si esprimerà colle Voci di Modo
certo-isolato. Questa osservazione é della massima importanza; giacché
spessissimo s'incontrano delle Espressioni di Modo certo-isolato, le quali nel
discorso praticamente non possono rimanere isolate; come « Finché sono contenti
ec.: Quando fui premiato ec. : Se voi sarete accorti ec. » — In questi e simili
casi é quindi necessario avvertire che le. Voci sono, fui, sarete ec. esprimono
soltanto il Giudizio ed il suo Tempo assoluto; e che la praticamente
indispensabile concatenazione di tali Giudizj con al-tri, si deve unicamente
ripetere dal valore delle altre Voci finchè, quando, se ec. — Lo stesso dicasi
dei Verbi. MODO CERTO-DIPENDENTE 128. Chiamiamo dipendente ogni Giudizio di
Modo Certo, il quale da se solo non ci presenta una cognizione completa del Tempo
cui si riferisce; ossia ogni Giudizio, il quale per la perfetta intelligenza e
spiegazione del Tempo dipende da un altro Giudizio; come « Io era contento; l'
Amico era stato avvertito; quando avrete finito la traduzione ec.»: Dove è
chiaro, che senza il concorso di altro Giudizio non possiamo intendere a qual
preciso Tempo si riferiscano tali Giudizj ; presentandoci tutt' al più, i primi
due un'idea generica di passato, ed il terzo una generica idea di Tempo
futuro. 122. Ogni Giudizio di Modo Certo-dipendente appartiene ad
uno dei tre Tempi assoluto-relativi, passato-identico (105), passato-anteriore
(108), e futuro-anteriore (10g); richiamando, che il Pas-sato-anteriore
distinguesi in congiunto e disgiunto. 123. Le Espressioni di Modo Certo-dipendente
sono alla TAvOLA II.'- Si faccia peró attenzione, ché il buon gusto italiano
nella Voce giudicante essere alle Espressioni di Passato-anteriore-con-giunio,
cioè fui stato, fosti stato ec., sostituisce generalmente le Espressioni
passate di Modo Certo- isolato, cioè fui, fosti ec. (119). MODO.
CERTO-CONDIZIONATO 124. Diciamo condizionato ogni Giudizio di Modo
Certo, la cui verificazione è inseparabile dall' ese-guimento di qualche
condizione; come « Se avessi un libro, leggerei: Se aveste studiato, sapreste
ineglio la lezione ec. » • 125. Ogni Giudizio di Modo Certo-condizionato
appartiene sempre ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato o
futuro. 126. E necessario fissare, che ogni Giudizio condizionato deve di
sua natura avvenire dopo l'ese-guimento della condizione. Da ciò risulta, che
un Giudizio condizionato di Tempo passato o pre-sente, in pratica è sempre
ineseguibile; giacché in questi due casi non può assolutamente più verificarsi
la richiesta condizione, e però nemmeno il Giudizio che da essa
dipende:127. Le Espressioni di Modo certo-condizionato sono alla TAvoLA
IIl"; avvertendo, che la natura del discorso farà praticamente distinguere
quelle di futuro da quelle di Tempo presente. DUMANDE Un Giudizio
quando si dice espresso in Modo certo? (1 14) Un Giudizio di Modo certo
di quante specie può essere? (115) Quando si chiama isolato ? (116)
Un Giudizio di Modo certo-isolato a quali Tempi appar-tiene? (117) Un
Giudizio di Tempo futuro quando si può esprimere colle Voci di presente?
(118) In Modo certo-isolato come si conjuga la Voce di giu-dizio?
(119) Sulle Voci di Modo certo-isolato cosa dobbiamo specialmente
avvertire? (120) Un Giudizio di Modo certo quando chiamasi
dipenden- te? (131) Un Giudizio di Modo certo-dipendente a quali
Tempi ap-partiene? (122) In Modo certo-dipendente come si conjuga la Voce
di giudizio? (123) Un Giudizio di Modo certo quando chiamasi condizio•
nalo ? (124) Un Giudizio di Modo certo-condizionato a quali Tempi
appartiene? (125) In Modo certo-condizionato come si conjuga la Voce di
giudizio ? (117) DEL MODO DESIDERATIVO. 128. Diciamo espresso in
Modo desiderativo ogni Giudizio, col quale si desidera energicamente
qualche cosa: come « Oh foste voi più diligenti! Oh foss' egli stato
vincitore! ec. » Ogni Giudizio
di Modo desiderativo appartiene ad uno dei tre Tempi assoluti, presente,
passato o fituro — Si faccia perô attenzione, che ogni Giudizio desiderativo di
Tempo presente o passato è ineseguibile di sua natura; giacchè il Desiderio che
lo accompagna, in questi due Tempi praticamente non può verificarsi più. Le Espressioni di Modo
desiderativo sono alla TAvOLA IV.' - Si arverta, che nel Modo desiderativo
quelle di futuro sono eguali alle Espres sioni di Tempo presente, e che il
pratico discorso ci fa sempre chiaramente distinguere l'un Tempo dall'altro -
Si avverta inoltre, che le Espressioni desiderative sono quasi sempre
accompagnate de Voce indicante desiderio, come oh ec.; e che in iscritto tali
Espressioni sono sempre seguite dal cos detto Punto ammirativo. DOMANDE Un
Giudizio quando si dice espresso in Modo desidera-tivo! (128) Uu Giudizio
di Modo desiderativo a quali Tempi appar- tiene? (129) Un Giudizio
di Modo desiderativo è sempre eseguibile ?. La Voce di giudizio come si
conjuga in Modo desidera. tivo? (130)13x. Diciamo espresso in Modo
volitivo, ogni Giudizio, nel quale l'Oggetto parlante fa conoscere
energicamente un atto di sua volontà; come « Parta egli subito: Andiamo a casa:
Fatemi questo piacere ec. ». ' *32. È chiaro di sua natura, che l'Oggetto
parlante di Numero unale non à bisogno di esprimere con parole un atto
di-Volontà, riguardante unicamente lui stesso - Quindi il Modo volitivo deve
necessariamente mancare di espressione per l'Oggetto parlante al Numero unale.
133. Chi vuole qualche cosa, per natura non può volere che un Bene. Ora se
questo Bene dipende da Chi parla, l'Oggetto parlante esternando la sua volontà,
comanda; e se questo Bene non dipende da Chi parla, l'Oggetto parlante
esternando la sua volontà, non può che o esortare o pregare - Dunque ogni
Giudizio di Modo volitivo esprime o Comando o Esortazione o Preghiera. -
134. Ma le Preghiere, le Esortazioni, i Comandi per intrinseca loro natura non
possono risguardare il Tempo passato — Dunque ogni Giudizio di Modo volitivo
deve necessariamente appartenere ad uno dei due Tempi assoluti, presente o
futuro. Si richiami (118), che in pratica usiamo spessissimo le
Espressioni di presente in luogo di quelle di futuro; giacché la futurità del
Giudizio trovasi molte volte espressa naturalmente dal discorso.135. Le
Espressioni di Modo volitivo sono alla TAVOLA V. DOMANDE Un
Giudizio quando si dice di Modo volitivo? (132) Un Giudizio di Modo
volitivo cosa deve esprimere? (133) Perchè deve esprimere o Comando o
Esortazione o Pre-ghiera? Un Giudizio di Modo volitivo a quali Tempi
appartie-ne? (13+) Perchè non può appartenere al Témpo passato ? In
Modo volitivo come si conjuga la Voce di giudizio? (135) Al Numero unale
perchè manca l'Espressione per l'Oggetto parlante? (132) DEL MUDO
SUPPOSITIVO *36. Diciamo espresso in Modo suppositivo, ogni
Giudizio il quale si fonda sopra un'ipotesi o supposizione qualunque; ossia
ogni Giudizio, il quale contiene in se stesso una supposizione; come « Siamo
pur noi dimenticati: sia pur egli stato vincitore : partano pur essi
domani ec. " Ogni Giudizio
di Modo suppositivo appartiene ad uno dei tre Tempi assoluti, presente, passato
o futuro; e nel discorso tali Giudizj sono quasi sempre accompagnati da qualche
Voce di suppo-sizione, come pure, anche ec. Le Espressioni di Modo
suppositivo sono alla TAvoLA IV."; ove si avverta, che per convenzione
quelle di futuro sono uguali a quelle di Tempo presente; ma in pratica non è
possibile confondere col presente il Suppositivo futuro. Un Giudizio quando si
dice di Modo suppositivo? (136) - Un Giudizio di Modo suppositivo a quali
Tempi appartiene ? (137) In Modo suppositivo come si conjuga la Voce
giudican-te? (138) DEL MODO CONDIZIONANTE Diciamo espresso in Modo
condizionante, ogni Giudizio esprimente la condizione, alla quale si appoggia
un Giudizio condizionato qualunque (124); come «Se fossirobusto, vorrei
divertirmi alla caccia ». - Fissiamo quindi, che. un Giudizo condizionante richiama
sempre un Giudizio condizionato, e viceversa; giacché in un sensato discorso
l'uno non può stare senza l'al-tro, e ciò per l'intrinseca loro essenza e
natura. Ogni Giudizio di Modo
condizionante appartiene ad uno de' tre Tempi assoluti, presente, passato o
fisturo; ed è quasi sempre accompagnato da una Voce di condizione o
condizionativa; come se, qualora ec. Le Espressioni di Modo condizionante sono alla
TAvOLA VIL'; ove si arverta, che quelle di futuro sono uguali a quelle di
presente; e pero che per distinguerle bisogna praticamente far attenzione al
sentimento del discorso. Le Espressioni di Modo condizionante contengono
sempre nell' intrinseca loro natura un principio o di dubbio o di
desiderio o di supposizione ec. Quindi per esprimere un Giudizio condizionante
libero da qualunque principio di sup-posizione, di desiderio, di dubbio ec.,
ossia un Giudizio che indichi puramente la condizione, si fa uso delle
Espressioni assegnate alla Voce di giudizio nel Modo certo-isolato; giacché in
tal caso espressa la condizione con apposita Voce condizio-nativa (140), la
Voce giudicante deve semplicemente indicare Giudizio e Tempo (120) - Questa
osservazione. è della massima importanza, onde darsi ragione di molte
espressioni condizionanti; come « Se l'Amico arriva ec. Se avete scritto ec.
» DOMANDE Un Giudizio quando si dice di Modo condizionante!
(13) Un Giudizio condizionanté può stare nel discorso da solo? Un
Giudizio condizionante a quali tempi appartiene? (440) Come si conjuga la
Voce di giudizio in Modo condizio- • nante? (141) Sulle espressioni
condizionanti cosa dobbiamo specialmente avyertire? (142) DEL MODO
INCERTO 143. Diciamo espresso in Modo incerto, ogni Giudizio accompagnato
da incertezza riguardo all' esistenza di ciò che esprime il Giudizio medesi-mo;
come sia, sia stato ec. in « Mi pare, che Pietro sia diligente: Si dice, che
Píetro sia stato diligente éc. » Ogni Giudizio di Modo
incerto deve essere preceduto dalla voce che, e da un'altro Giudizio il quale
per ora sarà da noi chiamato Giudizio precedente; come sarebbe negli esempi
suespres- si (143) mi pare che - si dice che - I Giudizj di Modo incerto
sono o isolati o dipendenti o condizionati, come quelli di Modo certo e nelle
medesime circostanze, avuto però riguardo all'esposto superiormente (144).
Quindi appartengono anche ai Tempi medesimi, tanta assoluti che relativi - Si
avverta però che il Tempo passato-anteriore-congiunto è proprio del solo Modo
certo-dipendente; e quindi che questa Tempo manca necessariamente al Modo
incerto. Al Modo incerto-isolato e
solamente in esso abbiamo i già analizati Tempi assoluto-relativi,
presente-posteriore (110), passato-posteriore (r11) e futuro-posteriore (112).
Il Linguaggio però considerando questi Tempi soltanto come relativi (113) ossia
puramente come posteriori, li esprime tutti tre colle Voci medesime, rimettendo
all' analisi del sentimento la cognizione del loro Tempo as-spluto. Noi quindi
per amore di brevitá chiameremo di Tempo assoluto-posteriore le Espressioni
assegnate dal Linguaggio per indicare qualunque di questi tre Tempi
assoluto-relativi. Si avverta per-tanto, che in Tempo assoluto-posteriore la
Voce assoluto sta in luogo di qualunque delle tre voci presente, passato;
futuro, le quali nei diversi incontri potranno anche sostituirsi volendo Le, Espressioni, della Voce
giudicante pel nostro Tempo assoluto-posteriore, in italiano sono eguali a
quelle di Tempo passato del Moda condizionato (127). Si avverta però bene di
non confondere i Giudizj incerti di Tempo assoluto-poste-riore con i Giudizj
condizionati; giacché sono essenzialmente diversi. Le Espressioni di Modo
incerto-isolato sono alla TAVoLA VIII' Quelle di Modo incerto-dipen-dente sono
alla TAvOLA IX." E quelle di Modo incerto-condizionato sono alla TAvOLA
X.* DOMANDE Un Giudizio quando si dice di Modo incerto? (‹43) Da che dev'essere
preceduto ogni Giudizio di Modo incerto ? (144) I Giudizi di Modo incerto
di quante specie sono? (‹45) Cosa intendiamo per Tempo assoluto-posteriore?
(‹46) Come si conjuga la Voce di Giudizio in Modo incerto-isolato !
(148) La Voce di Giudizio come si conjuga in, Modo incerto-
dipendente ? La Voce di Giudizio come si conjuga in Modo incerto-
condizionato ? DEL MODO INTERROGATIVO ‹49. Diciamo espresso in Modo
interrogalivo, ogni Giudizio accompagnato da intérrogazione ossia domanda; come
« Che bramate? Dove andarono?' ec. 150: Un Giudizio interrogativo
può essere sem-plice, enfatico, o dubitativo. - È semplice, quando semplicemente
chiediamo cio ch'è espresso dal Giudizio; come « Che faté? Siate bene?
ec." - È enfatico, quando la domanda è accompagnata da enfasi, cioè da un
vivo sentimento dell'animo; come « L'indegno dov'è? E vederlo non pos-so? ec. »
- Finalmente è dubitativo, quando l'in-terrogazione è accompagnata da un
sentimento di agitazione o di dubbio; come « Sarei felice a tal segno?, Sarebbe
egli stato ferito? er. »' 15r. I Giudizj interrogativi sono tutti incerti
di loro natura, come indica chiaramente l'atto di domandare. Siccome però
l'incertezza del Giudizio é abbastanza espressa della Interrogazione, cosi tali
Giudizj vengono giustamenté indicati colle Espressioni di Modo certo;
come si vede alla TAVOLA XI' pel Modo interrogativo-isolato, alla TAVOLA XII.ª
pel Modo interrogativo-dipendente; alla TAvoLA XIII." pel Modo
interrogativo-condi-zionato e alla TAvoLA XIV." pel Modo
interro-gativo-dubitativo; avvertendo che il pratico discorsa fa sempre
distingiere il futuro dal presente. 152' Si avverta, che gl'Interrogativi
semplici ed enfatici si esternano con eguali Espressioni; e per- ciò, che
bisogna distinguerli, in iscritto pel sen-timento, e parlando pel tuono di voce
—, Si avverta inoltre, che la Lingua italiana ne' Giudizj interrogativi o
sopprime il Nome dell'Oggetto car-dinale, o lo pospone alla Voce di
giudizio: » Un Giudizio quando si dice di Modo interrogativo? (149)
Un Giudizio interrogativo di quante specie può essere? (150) Quando è semplicé,
quando enfatico, e quando dubitativo? La Voce di giudizio come, si
conjuga in Modo interroga-tivo-isolato? (151) La Voce di giudizio come si
conjuga in Modo interroga- tivo-dipendente? • : La Voce di giudizio
come si conjuga in Modo interroga- tivo-condizionato ?. La Vore di
giudizio come si conjuga in Modo interroga- tivo-dubitativo ? Gl'
Interrogativi semplici ed enfatici come si distinguono tra loro ? (152)
DEL MODO GENERÍCO 153. Diciamo espresso in Modo generico, ogni Giudizio,
il quale è in genere applicabile a qualunque Oggetto cardinale, e puo in genere
appartenere a qualunque Tempo assoluto; come « leg-gere, leggendo ec. »;
espressioni, che praticamente possono combinare. con io, il, egli, noi, voi,
essi, come pure colle voci di Tempo jeri, oggi, domoni ec. Quindi tali
Espressioni giustamente sono da noi chiamate generiche, ossia di Modo generico.
x54. Un, Giudizo di Modo generico, stante l'in-trinseca sua natura (‹53), nel
pratico discorso non pud trovarsi isolato: Quindi sarà sempre unito ad un altro
Giudizio, che gli serva come di base, e che noi perciò chiameremo Giudizio
principale ;come periso, volevano ec. in «Penso partire: Volevano leggere ec.
». #55. Ogni Giudizio di Modo generico deve essere o determinante o
sostituito o accompagnante. DOMANDE Un Giudizio quando si dice
espresso in Modo generico? (153). Un Giudizio di Modo generico può stare
nel discorso da solo? (154) Cosa intendiamo per Giudizio
principale?. Un Giudizio generico dí quante specie può essere?
(155) MODO GENERICO-DETERMINANTE ‹56. Un Giudizio di Modo generico
dicesi de-terminante, quando effettivamente nel discorso non serve che a
deterininare l'Azione espressa dal Giudizio principale (*54): cosi in « Bramo
partire » partire è un'espressióne di Modo genérico-deter-minante; giacché
determina l'azione di sua natura indeterminata (*9), espressa dal
Giudizio principale bramo: 257. Ogni Giudizio di Modo
generico-determi-nante appartiene ad uno dei tre Tempi relativi (98), identico,
anteriore, o posteriore; avvertendo che questi Tempi propriamente si
riferiscono all'Azione espressa dal Giudizio principalé., 'I58. Le Espressioni
di Modo genorico-determi-nante sono alla TAvOLA XIV. - Si fáccia però
attenzione, che quelle di Tempo posteriore, cioe esser per essere ec., sono di
quasi nessun uso inbuon gusto italiano; e che quasi sempre si sostituisce loro,
un' Espressione futura, precêduta dal che: cosi invece di «Credo esser per
essere felice » diciamo « Credo, che sarò felice ec. » DOMANDE Un
Giudizio generico quando si dice determinante? (156) Un Giudizio
generico-determinante a quali Tempi appartiene ? (157) Al Modo
generico-determinante come si conjuga la Voce di giudizio? (158) 'MODO
GENERICO-SOSTITUITO 15g. Chiamiamo sostituite quelle Espressioni, che per
eleganza e brevità il Linguaggio usa in luogo di altre - Quindi un Giudizio di
Modo generiço si dirà sostituito, ognivolta che regolarmente e direttamente
potrebbe essere esternato con altre espressioni; come amando, scrivendo ec. in
« Amando lo studia, diverrete stimabili; cioè se amerete lo studio: Scrivendo
all'Amico, gli feci menzione di voi; cioè quando scrissi all'Amico ec. »
Al Modo generico la Lingua italiana abbonda di tali Espressioni sostituite.
Quindi molto importa il conoscerle analiticamente. 160. Le Espressioni di
Modo generico-sostituito possóno nel discorso presentarsi sotto tre aspetti
diversi, che saranno da noi chiamati sosticuito-primo, sostituito-secondo,
sostituito-terzo - Tale. diversità poi dipende unicamente dall' Oggettocardine
del Giudizio sostituito, come passiamo ad esporre. ‹6i. Un Giudizio di
Modo generico-sostituito e da noi detto sostituito-primo, quando il Giudizio
principale (154) ed il Giudizio sostituito anno il medesimo Oggetto cardinale;
come « Continuando voi a studiare, diverrete sapienti „: ove é chiaro, che il
Giudizio sostituito continuando ed il Giudizio principale diverrete, anno ló
stesso Oggetto cardinale voi. Un Giudizio di Modo
generico-sostituito si chiama sostituito-secondo, quando il suo Oggetto
cardinale è diverso da quello del Giudizio princi-pale, ma sotto qualche altra
situazione trovasi richiamato nell'insieme del Giudizio principale medesimo;
come « Perorando Cicerone, tutti lo ammiravano »: ove è chiaro, che Cicerone
Oggetto cardinale di perorando, è necessariamente richiamato nell'insieme del
Giudizio principale colla voce lo, ossia lui, vale a dire. Cicerone. Un Giudizio di Modo
generico-sostituito si chiama sostituito-terzo, quando il suo. Oggetto
cardinale, ed é diverso da quello del 'Giudizio principale, e non trovasi
richiamato nell'insieme del Giudizio principale medesimo; come « Amando voi lo
studio, giubilano i Genitori e la Patria »: ove è chiaro, che voi Oggetto
cardinale di aman-do, è diverso da quello del Giudizio principale giubilano, e
non é punto richiamato nell'insieme dello stesso Giudizio principale. •164.
Ogni Giudizio di Modo generico-sostituito appartiene ad uno dei, tre Tempi
relativi, identi-co, anteriore, o posteriore; e ció secondo la natura
dell'azione espressa dal Giudizio principale. 165. Le Espressioni per
ciascuno dei tre sostituiti sono alle TayoLs Onde abilitarsi a distinguere
facilmente l'un Sostituito dall'altro, è necessario esercitarsi molto nel fare
le debite sostituzioni per tutti i Tempi, Numeri ed Oggetti cardinali, come qui
vedesi indi; cato pel Tempo identico del sostituito-primo : Essendo giovine,
studio - cioè - Studio, perché son giovine - Essendo giovine, io studiava
- cioé -- Quando era giovine, io studiava - Essendo giovine, studiero -
cioè — Quando sarò giovine, studieró - Essendo giovine, studierei - cioé
Se fossi giovine, studierei - ec. ec.. ec. ес.
ec, DOMANDE Cosa intendiamo: per Espressioni sostituite?
(159) Un Giudizio di Modo generico quando si dice sostituito? Un
Giudizio di Modo generiea-sostituito sotto quanti aspetti può presentarsi nel discorso?
(160) Quando lo chiamiamo Sostituito-primo ? (161) Quando lo
diciamo Sostituito secondo? (162) Quando Sostituito-terzo? (163) Un
Giudizio di Modo generico-sostituito @ quali Tempi appartiene ? (164)Al Modo
generico-sostituito come si conjuga la Voce di giudizio ? MODO GENERICO-ACCOMPAGNANTE
Un Giudizio di Modo
generico dicesi ac-compagnante, quando non fa che puramente accompagnare l'
Azione espressa dal Giudizio prin-cipale; come ridendo e cantando in « Pietro
parlò ridendo, e l'Amico gli rispose cantando»: ove è chiaro, che l'azione di
ridere è soltanto espressa come accompagnante quella di parlare, e l'azione di
cantare soltanto come accompagnante quella di rispondere. Ogni Giudizio di Modo
generico-accompa-gnante deve per l'intrinseca sua natura aver luogo al tempo stesso
dell'Azione espressa dal Giudizio principale. Quindi un Giudizio
generico-accompa-gnahte non può appartenere, che al solo Tempo relativo da noi
chiamato identico (98). I Gindizj di
Qualità (48), i Giudizi passivi (53), e molti Giudizj attivi non possono per
intrinseca loto natura essere Giudizj accompa-gnanti. Quindi in questo Modo
moltissimi Verbi debbono necessariamente mancare di Espressione, come
praticamente ne manca la Voce di Giudizio. s0g. Si fissi intanto per norma
generale, che le Voci di Modo generico-accompagnante in italiano anno sempre la
desinenza o in ando o in endo, come sospirando, ridendo ec.: E siccome anche i
Giudizi di Modo generico-sostitaito anho queste medesime desinenze (x65); cosi
avvertasi bene di sempre analizare l'intrinseco nataral valore dell'espressione
e del sentimento, onde non confondere un Giudizio generico-sostituito con un
Giudizio generico-accompagnante. DOMANDE Un Giudizio di Modo
generico quando chiamasi accom- pagnarte? (166) Un Giudizio'
generice-accompagnante a quali Tempi ap-partiene? (167) Quali giudizi
possono essere accompagnanti ? (168). Le Espressioni di Modo
generico-accompagnante qual desinenza anno in italiano ? DEI MODI 170. Da
quanto abbiamo finora esposto in questa seconda Parte risulta, che i nostri
Giudizi e quindi le Voci giudicanti e verbali possono nel' discorso presentarsi
in otto diversi Modi; cioé in Modo certo, desiderativo, volitivo, suppositivo,
condi- zionante, incerto, interrogativo e generico.. 17s. I Modi
certo, incerto ed interrogativo possono essere isolati, dipendenti e
condizionati; e l'Interrogativa può essere anche dubitativo. 172. Il Modo
generico può essere determinante, sostituito o accompagnante; e il.
Generico-sosti-quito può essere di primo, di secondo e di terzo ordine, ossia
sostituito-primo, sostituito-secondo e sostituito-terzo.In quanti diversi
Modi può presentarsi un Giudizio? (170) •I Modi certo, incerto ed
interrogativo cos' anno di par- ticolare?(175) Che r'ha di
particolare nel Modo generico? (172) AVVERTENZA SULLE TAVOLE 173.
Le nostre Tavole contengono soltanto Giu-dizj affermativi; ed è necessario
esercitarsi anche nel ben fissare l'idea precisa dei Giudizj negativi.
Tal esercizio é peró facilissimo, bastando agli espressi Giudizi affermativi
aggiugnere debitamente la Voce negativa non, la quale in italiano sempre deve
precedere la Voce giudicante o verbale. Nel fare la Conjugazione
negativa si faccia attenzione al Tempo presente del Modo volitivo; giacché in
ésso la Voce di giudizio per l'Oggetto ascoltante di Numero unale, in italiano
deve esprimersi col così detto infinito presente, vale a dire. coll'
Espressione dal Linguaggio assegnata pel Tempo identico di Modo
generico-determinante; come « Anzi-co, non uvilirti; non piangere; non essere
cost mesta ec. » Le nostre Tavole contengono
Oggetti cardinali soltanto maschili. Si avverta pertanto di sostituirvi anche
Oggetti cardinali femminili; richiamando che io, tu, noi, voi servono ád
ambedue i Sessi; che ella ed esse sono i Pronomi pei terzi Oggetti femminili; e
che. la Voce giudicante stato, e le Voci verbali ne' Giudizj passivisieguono
sempre il Numero ed il •Sesso, dell'Oggetto cardinale (55). Si avverta che il
terzo Oggetto nelle Tavole richiamato dal pronome unale egli, s'intende esser
sempre diverso dall'Oggetto Amico, che spesso trovasi nel medesimo sentimento o
periodo. 176. Il fissare con precisione la forza e l'idea corrispondente
a ciascuna Espressione tanto giudicante che verbale, è della massima importanza
per lo studio ragionato di Lingua. Quindi si raccomanda un particolare
esercizio, primieramente sulle Tavole presentate, e in seguito soprà
altri Verbi molti, tenendo le Tavole medesime per modello relativamente
ai Modi, Tempi ec. Nel conjugare un Verbo qualunque si avverta poi di
esprimer sempre un sentimerito completo; essendo altrimenti impossibile
afferrare l'idea conveniente a ciascuna Espressione verbale, e questo
specialmente ne' Tenipi relativi - Quindi anche nelle Tavole presentate si
avverta di ripetere in ciascun Numero e per ogni Oggetto cardinale quella parte
di sentimento, che in molti tempi trovasi o sopra • sotto, indicata una
volta sola per amore di bre-vità; come « Quando et Amico parti ec.» TAVOLA II.'
DOMANDE La Voce di Giudizio come si conjuga negativamente? (123)
Conjugando negativamente, cosa avviene al Modo volitis на? (174)
Come si conjuga coll' Oggetto cardinale femminile ? (175) Nel conjugare i
Verbi cosa dobbiamo specialmente avver-tiré? (176)177: ABBrAMo giá fissato (9,
19), che esistono delle Azioni e degli Oggetti indeterminasi, ossia non
determinati; e quindi che sono egualmente indeterminate le Voci, che servono ad
'esprimere tali Oggetti ed Azioni. Ora una Voce indeterminata non esprime e non
presenta allo spirito, che un'idea puramente generica; come piante, scrive,
direte e. in « Le Piante sono verdi: Pietro scrive: Voi direte ec.
» 178. È vero che alle volte stante la natura del discorso, dobbiamo,
semplicemente esprimere l'idea generica dell'Oggetto o Azione indeterminata,
come uomo e studiare in « L'uomo deve amare l'occupazione: gli scolari debbono
studiare »; ma più spesso ci è necessario specificare limitare ossia
determinare questa Idea generica, espressa dalle .Voci
indeterminate. Analiziamo dunque ciò che riguarda tale deter-minazione,
prima per gli Oggetti, e poscia per le Azioni; avvertendo
che chiamiamo determinandi gli Oggettivi ed i Verbi esprimenti Azioni ed
Oggetti che nel discorso debbono praticamente deter-minarsi. È qui bene
avvertire che gli Oggettivi indeter-minati, quando non sono praticamente
determi-nandi, in italiano lasciano, mólte volte l'Articolo.
DOMANDE Cosa esprime una Voce determinata, qualunque ? (177) "
Questa Idea generica basta ella sempre 'all' intelligenza e precisione del
discorso? (198) Cosa intendiamo per Oggettivi e Verbi determinandi
? Un Oggettivo indeterminato quandò può lasciare l'Articolo?
DETERMINAZIONE DEGLI OGGETTI Un Oggetto di sua natura indeterminato, può nel
discorso determinarsi col mezzo o d' un altro Oggetto, o d'una Qualità, o d'un
Giudizio, Nel discorso avremo dunque e degli Oggettivi e dei Qualitativi e dei
Giudizj determinanti-ogget io (a), ognivolta che tali Oggettivi, Qualitativi e
Giudizi non servono ad altro che a determinare convenientemente l'idea generica
d'un Oggetto indeterminato qualunque. Un Nome oggettivo det-oggetto in italiano (a)
Fissiamo, che d'ora innanzi det premesso ad una pas rola qualunque, significa
sempre determinante o determi- nati; come del-oggetio, des-azione ec.è
sempre preceduto dalla, voce di. Questa Voce si unisce spesso all'Articolo
(r2); ed allora abbiamo del, dello, della, dei, degli, delle, equivalenti
rispettivamente a di lo, di la, di li, di le - Quindi soldati, amico,
chiesa, studi, stelle, Pietro ec. sono Oggettivi det-oggetto in « Il valore dei
soldati; il libro dell'Amico; la Porta della Chiesa; il corso degli studj; la
distanza delle stel-le; il cavallo di Pietro ec. » 181. Un Nome
qualitativo det-oggetto nel discorso è sempre immediatamente unito all'Ogget-tivo
determinando, di cui siegue pur sempre e Numéro e Sesso - Quindi saggio,
afflitto, stu-diosi, nuove ec. sono Qualitativi :det-oggetto in «L'nomo saggio;
la Madre afflitta; i, Giovani studiosi; le nuove Fabbriche ec. », 182. Un
Giudizio det-oggetto in italiano è sempre preceduto dalla voce quale
coll'Articolo, cioe da il quale, la quale ec. Quindi quale coll' arci colo non
è che puro segno di Giudizio det-og-getto, ossia segno det-oggetto; avvertendo
che alla Vóce quale praticamente sogliamo molte volte so: stituire che, cui ec.
- Quindi fugge, arrivarono, studierà, parlale; sarticimo ec. sono Giudizi ossia
Verbi det-oggetto in « Il cane, il quale o che fug-ge; i soldati, i quali o che
arrivaronó; il giovine che studierà; il libro, del quale o di cui parlate; la
stanza, dalla quale sortiamo eci » 183. Si ayverta che il quale, la quale
ec. ossia il Segno di Giudizio det-oggetto siegue sempre ilNumero ed il Sesso
dell'Oggetto determinando; e che inoltre deve essèr posto nella sua
conve- niénte. Sicuazione (196). DOMANDE L'idea génerica d'un
Oggetto da quante cose può essere dèterminata? (179) Qual è in italiano
il Segno d'un Oggettivo det-oggetto? (180), Qual è il Distintivo d' un
Qualitativo det-oggetto? (181) Cosa dobbiamo osservare sul Qualitativo
det-oggetto ? Qual è il Segno d' un Giudizio o Verbo del-oggetto?
(182) Cos' è propriamente la Voce quale coll' articolo'? Cosa
dobbiamo osservare sul Segno di Giudizio det-og-getto? SUGLI OGGETTIVI INDETERMINATI
I Nomi oggettivi
indeterminati, come uà mo, stelle; fiore ec sono in natura applicabili a
moltissimi Oggetti particolari, cioè a ciascun Uo-mo, a ciascuna Stella, a
ciascun Fiore ec. ; ed ogni Oggettivo indeterminato, preso isolatamente;
s'intende esprimere tutti gli Oggetti particolari ai quali è applicabile. Cost
dire « Il cane è fedele; l'Uomo è ragionevole ec. » é lo stesso che dire «
Tutti i cani sono fedeli; tutti gli Uomini sono ragionevoli ec. » Ora alle volte accade, che
nel discorso dobbiamo indicare o un solo o soltanto una porziona degli Oggetti
espressi dal Nome oggettivo; essendo però obbligati per tale indicazione a far
uso del medesimo Oggettivo indeterminato, In tal caso per indicare, che non
intendiamo esprimere l'Oggetto in genere ossia tutti gli Oggetti parziali, al
Nome oggettivo, togliamo l'Articolo cioè il Segno di Nomo indeterminato (13); e
per indicare la quantità.de-gli Oggetti speciali che esprimiamo, all'Articolo
sostituiamo una Voce di numero, cioé uno, qual che, alcuni, molti ec. secondo
le circostanze; come « è incontrato alcuni Giovani: un Soldato bat- teva
un cane ec. » Dopo ciò è
facile intendere qual differenza passi tra l'Uomo, gli Uomini ec. ed ur Uomo,
qualche Uomo, alcuni Uomini ec. - Le espressioni coll'Articolo, cioè l'Uomo gli
Uomini ec. presentano allo spirito tutci gli Uomini; e le espressioni senza
Articolo, cioè un omo alcuni Ua-mini ec. presentano soltanto una porzione degli
Oggetti contenuti nel Nome generico Uomo. DETERMINAZIONI DELLB AZIONI Un'Azione indeterminata può
determinarsi col mezzo, o d'un Oggetto o d'un Giudizio. Quindi nel discorso
avremo e degli Oggettivi e dei Giudizi determinanti-azione, ognivolta che tali
Oggettivi e Giudizj non servono ad altro che a limitare ossia a determinare convenientemente
l'Idea generica d'un' Azione indeterminata qualunque. L'Oggettivo det-azione in
italiano si esprime perfettamente come il Nome Oggettivo cardinale (197); vale
a dire, se indeterminato, é preceduto dall'Articolo; e se determinato, non
epreceduto da alcun segno: Così soldati, libro, fiori, Pietro ec. sono Oggettivi
det-azione in « Il Capitano ammoni i soldati; datemi il libro; ho ricevuto i
fiori; mandate Pietro alla caccia ec. »; e sono Oggettivi cardinali in « I
soldati combattono; il. libro non si trovò; i fiori appassiranno; Pietro é già
partito ec. ». Quindi per conoscere se l'Ogget-tivo praticamente è det-azione
oppure cardinale, bisogna far attenzione al sentimento. ¡Si avverta che le
poche voci me, te, se, lui, lei, loro sono esclusivamente det-azione, e
sas: possono mai essere Cardini di giudizio. 18g. In italiano
generalmente l'Oggettivo cardinale precede il Verbo, e l'Oggettivo det-azione
lo siegue; come può vedersi negli esempj surrife-riti (188) - L'Oggettivo det-azione
però molte volte si esprime con un Pronome, e ciò propriamente quando
l'Oggettivo fu espresso immediatamente prima; e molte volte si esprime con un
Nome generico sostituito, come mi, ti, vi ec., e ció propriamente negli Oggetti
parlante ed ascoltante. Ora in questi due casi onde collocare
convenientemente il Nome generico o il: Pronome, bisogna fare attenzione al
Verbo da essi determinato. • 1.° Se il; Verbo è di Modo generico (153)
oppure di Modo volicivo (131) ma non al terzo Og-getto, il Nome generico o
Pronome si pospone. al Verbo medesimo, formandone una sula Parola, comé «
vedermi, chiamarla, speditela ec. » IL Se il Verbo non e né di Modo
generico nédi Modo volitivo come sopra (I), allora il Nome generico o Pronome
si antepone al Verbo mede-simo; e la Voce verbale quando sia accompagnata
dall'ausiliario avere, siegue sempre il Numero ed il Sesso del Nome generico o
Pronome det-azione; come « Egli mi vidde; il Padre lo chiamerà; li avrò
incontrati; le avrò incontrate ec. » . 1go. Un Giudizio det-azione o é
espresso in Modo generico-determinante (156), o è preceduto dalla Voce che;
Voce la quale perciò da noi giustamente sarà chiamata Segno di Giudizio
det-azio-ne, o più brevemente Segno det-azione. Quindi partire, arrivano,
scriviate ec, suno Giudizi ossia Verbi det-azione in « Voglio partire; vedo che
arrivano; bramano che scriviate ec. » Siccome è di multa importanza il
conoscere, quando un Giudizio o Verbo det-azione debbasi esprimere al Modo
generico, e quando debba farsi precedere dal Segno che; come pure essendo
preceduto dal che, quando si debba esprimere in Modo certo, e quando in Modo
incerto, cosi passiamo a parlarne separatamente. 191. Si avverta, che il
Giudizio det azione fulura può indicarsi con espressione di Tempo presente,
ognivolta che la sua futurità è bastantemente espressa o dal Verbo determinando
o dalla natura stessa dell'Azione determinante; come « Spero che ar-rivino,
cioè che arriveranno: Temo di partire fra poco, cioè temo di dover partire,
ossia che partirò fra poco eç. »L'Idea generica d'un'Azione da quante cose può
venire determinata? (187) Qual è il distintivo dell'Oggettivo det-azione?
(188) L'Oggettivo det-azione come si distingue dall' Oggettivo cardinale?
(18g) L'Oggettivo det-azione in quali easi può precedere il Verbo?
Cosa dobbiamo avvertire rapporto alla Voce verbale ? Qual è il distintivo
d'un Giudizio detrazione? (190) Come denominiamo la Voce che ? Un
Giudizio det-azione futuro quando può esprimersi col presente? (191)
GIUDIZIO DET-AZIONE AL MODO GENERICO. 190. Le espressioni di Modo
generico (153) non si riferiscono ad alcun Oggetto cardinale in ispe-cie, óssia
per loro intrinseca natura sono applicabili a qualunque Oggetto cardinale -
Dunque un, Giudizio der-azione si esprimerà in Modo ge-nerico, ognivolta che
senza alterare o rendere oscuro il sentimento può non essere accompagnato dal
suo Oggetto cardinale; il che à luogo nei tre casi seguenti. L.°
Quando il Giudizio det-azione accenna l'Ae zione in generale, senza punto
occuparsi dell'Oggetto che la eseguisce; come cantare, piangere éc: in « Sento
cantare; sentii piangere ec: » II.° Quando l'Oggetto cardinale del
Giudizio det-azione è quello stesso del Verdo determinando; come in « Voglio
partire; voi credete essere dili-genti; essi pensavano tornare ec. »
III. Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio det-azione fu prima
espresso chiaramente, e in modo che nel discorso non può nascere alcuna
oscurità o confusione; comé «Vi o veduto giuo-care; li sento ridere ec. »
DOMANDI Un Giudizio det-azione quando si esprime in Modo gene-rico?
(192) Un Giudizio det-azione in quali casi può starsene senza il suo
Oggetto cardinale? GIUDIZIO DET-AZIONE PRECEDUTO DAL CHE Un Giudizio det-azione deve
essere preceduto dal che, ognivolta che non può essere espresso in modo
generico; vale- a dire, ognivolta che non trovasi in alcuno dei tre casi
sovraesposti (192) — Quindi avremo « Sento, che i Soldati cantano ; credo, che
l'Amico sia felice; viddi, che scrivevate ec. » Si richiami (‹58), che il
buon gusto italiano al Modo generico non usa quasi mai le espressioni del Tempo
relativo, da noi chiamato posteriore; e quindi che in tal caso il Giudizio
det-azione deve esprimersi col che; come « Credo che partirò; dicono che
torneranno ec. » invece • di Credo di essere per partire; dicono di essere per
tornare ec. »Un Giudizio det-azione quando deve essere preceduto dal che?
(*93) Un Giudizio di Modo generico quando può esprimersi. col che ?
(194) GIUDIZIO DET-AZIONE AL MODO O CERTO O INCERTO 195. Il
Giudizio det-azione prèceduto dal che, sempre deve esprimersi in Modo o certo o
in certo - Per conoscere poi quando esprimersi debba in Modo certo e quando in
Modo incerto, bisogna osservare l'intrinseca natura del Verbo determinando
(178). I.° Il Giudizio det-azione preceduta dal che, si esprime in Modo
certo (ix4), quando il Verba determinando contiene in se la certezza di ciò che
esprime il Giudizio det-azione medesimo; come « Vidi, che i Giovani fuggivano;
so, che siete diligenti; son certo, che avete studiato ec. » II.° Il
Giudizio det-azione preceduto dal che si esprime in Modo incerto (143), quando
il Verbo determinando contiene in se l'incertezza di cia che esprime il
medèsimo Giudizio det-azione ; come « Mi pare, che fuggano; teme, che arrivino
ec. n Si avverta, che tale incertezza esiste, naturalmente r. ognivolta
che il Verbo determinando è negativo; come. « Non vidi, che scrivessero;ignoro
ossia non so, che siete diligenti ec.» a.° ogni-volta che il Giudizio
det-azione esprime una cosa futura riguardo all'espressione del Verbo
deter-minando; come « Voglio, che scriviate; il Prim-cipe ordinò, che
partissero ec. » DOMANDE Un Giudizio det-azione preceduto dal che,
in qual Modo si esprime? (195) Quando si esprime in Modo certo?
Quando si esprime in Modo incerto?196. Uso stesso. Oggetto può in diversi
incontri presentarsi in Situazioni diverse, ossia sotto diversi aspetti
rapporto alla nostra maniera di considerarlo. Dunque indicando nel
discorso un Oggetto, dobbiamo precisarne sempre la vera Situazione. È dunque
necessario conoscere le varie Situazioni, nelle quali può trovarsi un Oggetto;
come pure è necessario conoscere il Segno caratteristico, che la Lingua
italiana à fissato per ciascuna di esse — Passiamo dunque a farne dettagliata
esposizione; e fissiamo al tempo stesso una Voce, che unita alla parola
Oggettivo, esprima possibilmente la Situazione medesima. OGGETTIVO
CARDINALE 197. Chiamiamo cardinale, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto
cardine di Giudizio (9); come io, voi, Pietro, Scuola ec. in i Io partiró; voi
non avete scritto; Pietro dorme; la scuola è l nita ec. » Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo cardinale consiste, pei Nomi indeterminati nell'Articolo (12), e
pei Nomi determinati nel non avere alcun segno. OGGETTIVO NOMINANTE Chiamiamo nominante, ogni
Oggettivo esprimente un Oggetto che nel discorso deve puramente essere
nominato; come Pietro, danaro, città ec. in « Tizio è più saggio di Pietro;
senza danaro non potrai far nulla; i soldati passarono per la citta ec. » L'Oggettivo nominante à
generalmente il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale (198). OGGETTIVO
CHIAMANTE Diciamo chiamante, ogni
Oggettivo esprimente un Oggetto, il quale è da noi effettivamente chiamato
perché ci presti attenzione; come Pic-tro, Amico, Signore ec. in «Pierro,
datemi quel libro: Amico, dove; andate ? Signore, assistele mi! ес. »
202. Il Segno caratteristico dell' Oggettivo chiamante é il non averne alcuno;
benché comunemente si creda essere la voce o. Questa Voce a mio credere si potrebbe
usare tutto al più col nome generico dell'Oggetto ascoltante, cioè o tu, o voi
- Si avverta però di non confondere la voce, o con oh particella enfatica, la
quale suole spesso accompagnare ossia precedere gli Oggettivi chiaman- Un Oggeito che viene da
noi, chiamata, deve di sua natura essere Oggetto ascoltante - Si fissi quindi,
che non può chiamarsi né l'Oggetto parlante, nè un terzo Oggetto qualunque.
OGGETTIVO DET-AZIONE Chiamiamo
det-azione ossia determinante-azione, ogni Oggettivo esprimente un
"Oggetto il quale serve a determinare un' Azione (187) ; come Soldato,
Amici, montagne ec. in « Vidi' un Soldato; salutate gli Amici; osserviamo prima
le montagne ec. » L'Oggettivo det azione à
sempte il Segno caratteristico dell'Oggettivo cardinale (198) - Quin-di,
richiamando che gli Oggettivi nominante e chiamante sono anch'essi molte volte
uguali al-l'Oggettivo cardinale, si vedrà quanto sia pieces-sario allo studio
ragionato di Lingua, far sempre grande attenzione al sentimento ed all'
intrinseca matura del pratico discorso. DOMANDE Cosa intendete per Situaziöne
d' un Oggetto? Un Nome oggettivo quando chiamasi cardinale?. Qual è
il Segno dell'Oggettivo cardinale? (198) Un Nome oggettivo quando si dice
nominante? (199) Qual è il Segno dell'Oggettivo nominante? (200) Un Nome
oggettivo quando si dice chiamante? (201) Qual è il Segno dell' Oggettivo
chiamante? (202) Quali Oggetti possono chiamarsi? (303) Un Nome
oggettivo quando si dice del-azione ? Qual è il Segno dell'Oggettivo det-azione?
206. Chiamiamo cominciante, ogni Oggettivo esprimente un Oggetto nel quale
comincia an'A-zione o un Moto qualunque; come Roma, sto rie, campagna ec. in «
Mi allontanai da Roma ; è narrato dalle storie; tornarono dalla campagna ec.
» 207. Il Segno caratteristico dell'Oggettivo cominciante è la Voce da -
Questa Voce trovandosi avanti l'Articolo, si unisce ad esso in una sola parola;
ed allora abbiamo le voci composte dal dallo dalla, dai dagli dalle,
equivalepti rispettivamente a do lo, do la, da li, da le. OGGETTIVO
TERMINANTE • 208. Chiamiamo terminante, ogni Oggettivo esprimente un
Oggetto nel quale va a terminare un Moto o un'Azione qualunque col mezzo di
moto; come Campagna, Amico, Casa ec. in « Andiamo alla Campagna; mandate questo
libro all'Amico; verrò a Casa vostra ec. " / 209. Il Segno
caratteristico dell'Oggettivo ter-minante, è la Voce a - Questa Voce trovandosi
avanti l'Articolo, si unisue ad esso; ed allora abbiamo le Voci composte al
allo alla, ai agli alle, equivalenti rispettivamente ad a lo, a la, ali, a
le. Se la parola seguente il Segno a, comincia per vocale e non debba
essere preceduta dall'Articolo, / in luogo di a usiamo ad; come «
Scrissi ad An-tonio; ad entrambi ec. »Si avverta, che l'Oggettivo ferminante
suol es sere anche preceduto da altre Voci, come in, da eç., le quali però
debbono considerarsi come sostiluito al Segno caratteristico a. Cosi invece di
« Andiamo alla Campagna; verrò a Casa vostra ec. » sogliamo dire « Andiamo in
campagna; verró da voi ec. » = Quindi bisogna far bene attenzione alla natura
del discorso. OGGETTIVO RICEVENTE aro. Chiamiamo ricevente, ogni
Oggettiro espri mente un Oggetto il quale o effettivamente ricere, o per lo
meno da roi si considera puramente nella situazione di ricevere qualche cosa;
come Corrie-re, Amico, Figli ec. in « Consegnerete queste lettere al corriere;
ha dato il vostro libro all'Ami-co; il Padre disse ai Figli ec. » L'Oggettivo ricevente à
sempre il Segno che abbiamo fissato per l'Oggettivo terminante (209), cioè la Voce
a - Quindi si avverta di non con-fondere, stante l' uguaglianza di Segno,
l'Oggettivo ricevente col terminante; e perciò praticamente si ponderi sempre
bene la natura dell'Azione e l'in- trinseco valore del sentimento. OGGETTIVO
CONTENENTE Chiamiamo contenente, ogni
Oggettivo espri mente un Oggetto che nel discorso si consideracontenente in
effetto o per lo meno capace di contenere qualche cosa; come Roma, Principe,
libro ec. in « Pietro è in Roma; sperate, ossia ponete la vostra fiducia nel
Principe; trovai nel vostro libro una frase ec, » 253. Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo contenente è la Voce in - Questa Voce trovandosi avanti
l'Articolo, si unisce ad essa; ed allora abbiamo le Voci composte nel nello
nella, nei negli nello, equivalenti ad in lo, in la, in li, in le. Si
avverta, che in luogo del segno in alle volte sostituiamo la voce a; come «
l'Amico trovasi alla campagna, a Milano ec. » Quindi bisogna fare la debita
attenzione al pratico discorso. DOMANDE Un nome oggettivo quando chiamasi
cominciante? (206) Qual è il Segno dell' Oggettivo cominciante? (207) Un
Nome oggettivo quando si dice terminante? (208) Qual è il Segno dell'Oggettivo
terminante? (209) Un Nome oggettivo quando si dice ricevente? (210) Qual
è il Segrio dell' Oggettivo ricevente? (211) Un Nome oggettivo quando chiamasi
contenente? (212) Qual è il Segno dell'Oggettivo contenente? (213)
OGGETTITO CONTENUTO 214. Chiamiamo contenuto, ogni Oggettivo esprimente
un Oggetto il quale realmente si considera contenuto ossia esistente in un
altro Oggetto qua-lunque; come ingegno, ricchezze, onori, liquore ec. in «
l'Amico è dotato d' ingegno; il Principecolma di ricchezze e di onori; questa
bottiglia è piena del liquore mandatomi ec. " Il Segno caratteristico
dell'Oggettivo contenuto è la Voce di - Questa Voce trovandosi avanti
l'Articolo, si unisce ad esso; ed abbiamo le Voci composte del dello della, dei
degli delle, equivalenti a di lo, di la, di li, di le. OGGETTIVO DET-OGGETTO Chiamiamo det-oggetto ossia
determinante-oggetto; ogni Oggettivo esprimente un Oggetto che serve a
determinarne un altro (‹79); come Pietro, piante, Sempione ec. in « Il cavallo
di Pietro; l'ordine delle piante; la strada del Sempione ec. » 317. Il. Segno
caratteristico dell'Oggettivó de-oggetto è la Voce di, come per l'Oggettivo
contenuto (215). OGGETTIVO RELATIVATO 228. Chiamiamo relativato, ogni
Oggettivo esprimente un Oggetto relativamente a cui, ossia riguardo a cui si
pronuncia un dato Giudizio; come Pietro, noi, negligenza, me, guerra, metodo
ec. in « Che si dice di Pietro? Che sarà di noi! Vi accusano di negligenza:
disponete di me: parlano di guerra: discorriamo del metodo ec. » erg. Il
Segno caratteristico dell'Oggettivo rela- tivato è la Voce di, come per
l'Oggettivo conten Diciamo indefinita, ogni Oggettivo il qua-le, se di
Numero unate esprime una parte inde finita dell'Oggetto, e se di Numero plurale
esprime un numero indefinito degli Oggetti che rappre-senta; comé carta, pane,
randini, canárini ec. in « Datemi della Carta e del Pane; ho visto delle
Rondini e de' Canarini ec. » Il Segno caratteristico dell'Oggettivo indefinito é
la Voce di, come per l'Oggettivo contenuto (215). Quindi la Voce di servendo
praticamente ad esprimére quattro diverse Situazioni (215, 17, 19, 31), si
faccia sempre moltissima attenzione al sentimento del discorso; e si sappia in
ogni circostanza ben distinguere fra loro gli Oggettivi contenuto, det-
oggetto, relativaio, e indefinito. DOMANDE Un Nome oggettivo quando
chiamasi contenuto? (214) Qual è il Segno dell'Oggettivo contenuto? (215)
Un Nome oggettivo quando si dice dei-oggero? (216) Qual è il Segno
dell'Oggettivo det-oggetto ! (217) Un Nome oggettivo quando chiamasi
relativato? (218) Qual è il Segno dell'Oggettivo relativato? (219)
Un nome oggettivo quando si chiama indefinito? (220) Qual è il Segno
dell'Oggettivo indefinito? (221) 222. Abbiamo più volte rimarcato, che
uno stesso Segno serve praticamente ad accennare più Situa-zioni. Quindi
si fissi, che in Lingua italiana la Situazione precisa dell'Oggetto non sempre
può rilevarsi dal Segno, e che bisogna perció ricorrere all analisi del
sentimento. Il sapere bene e con facilità rilevare la vera Situazione
degli Oggetti che ci si offrono nel discor-so, è cosa della massima importanza,
specialmente per passare dalla propria allo studio di altre Lin-gue. Quindi se
ne inculca il conveniente esercizio. Nel fissare le varie Situazioni
degli Oggetti abbiamo sempre supposto, che i Giudizj fossero praticamente
affermativi. Si avverta però, che relativamente al discorso la Situazione
dell'Oggetto non cangia, quand' anche il Giudizio fosse negativo; giacché la
forza negativa del Giudizio non pus punto influire, nè sulla natura
dell'Oggetto, né sulla nostra maniera di considerarlo. Quindi aven-dosi
affermativamente « l'Amico è dotato d'Inge-gno; vado a Roma; tornarono da
Vienna; è in Casa ec. » gli Oggetti Ingegno, Roma, Vienna, Casa ec. conservano
la medesima Situazione anche nei Giudizi negativi « l'Amico non é dotato,
oppure l'Amico é mancante d' Ingegno; non vado a Roma; non tornarono da Vienna;
non è in Casa ec. — Lo stesso dicasi rispettivamente di tutte le altre
Situazioni. 228. ABBIAMo gia detto (69), che Pronome significa Voce usata
invece di un Nore; ed abbiamo pure fissato i Pronomi di terzo Oggetto, tanto
cardinale che posto in altre Situazioni (68, 69, 70). Passiamo ora ad
esporre ciò che riguarda altri Pronomi molto essenziali e frequenti nel
discorso. PRONOMI DET-OGGETTO 224. Chiamiamo det-oggetto cioè
determinanti-oggetto quei Pronomi, che usiamo in luogo d'un Oggettivo
det-oggetto (216). 225. I Pronomi det-oggetto sono qui esposti di seguito
per ciascun Numero e Sesso, e cón in fine il loro preciso valore.
UNALE PLURALE MASCHILE FEMMINILE MASCHILE
FEMMINILE Y ALORE mio. mia miei . . mie di
mie tuo tui . tuoi tue di te SUO •
sua di lui suoi sue di lei nostro • nostra' vostro
vostra nostri nostre vostri vostre = di
noi di voi loro • loro di essi loro:
lora ー di esse 226. In questi Pronomi dobbiamo
sempre distinguere l'Oggetto ch' essi richiamano, e l'Oggetto che
determinano. I.° Rapporto all'Oggetto richiamato, ciascuno dei primi tre
Pronomi ne richiama sempre un solo, e ciascuno dei tré ultimi richiama sempre
più Oggetti. . Si avverta, che suo e loro anno doppio signi-ficato,
e che praticamente il vero significato, di questi due Pronomi è sempre
stabilito dal Sesso dell'Oggetto richiamato. •T° Rapporto all' Oggetto
che determinano, questi Pronomi debbono sempre seguirlo e nel Numero e nel
Sesso. Quindi avremo « il mio li-bro; la vostra casa; i miei libri; le vostre
case ec. » DOMANDE Che vuol dire Prononte ? (225) Quali si
chiamano Pronomi del-oggetto? (224) Sapreste indicarli per ogni Numero e
Sesso?Qual è il preciso valore di ciascuno di essi ? Cosa dobbiamo in
essi avvertire, riguardo all'Oggetto che richiamano? (I.°) Cosa, riguardo
all'Oggetto che determinano?; (II.°) PRONOMI IND-OGGETTO Chiamiamo indicanti oggetto
o più brevemente ind-oggetto, quei Pronomi che usiamo puramente per indicare un
Oggetto complessivo; vale a dire, un Oggetto che altrimenti converrebbe
esprimere, con più parole. Ecco di seguito i Pronomi ind-oggetto per ciascun
Numero e Sesso. UNALE PLURALE 220. Questo indica Oggetto vicino a chi
parla : Codesto indica Oggetto vicino a chi ascolta: Quello indica
Oggetto, che si considera lontano e da chi ascolta e da chi parla - Questi tre
Pronomi sie-guono sempre il Numero ed il Sesso dell'Oggetto da essi
indicato. Ciò serve ad ambedue i Numeri e Sessi, e indica un Oggetto
complessivo qualunque in ge-nere: come « Cio va bene; Ciò che viddi ec.Da ciò
comprendete ec. » — Invece del Pronome ciò molte volte per altro usiamo questo
o quello : come « Questo va bene; Quel che viddi ec. Da questo comprendete ec.
» 230. Si avverta che invece di quest' Uomo, codest Tomo; e quell omo,
quando tali espressioni sono Oggettivi cardinali (197), là Lingua italiana usa
rispettivamente questi, codesti, e quegli: come « Questi è mio Fratello; Quegli
é un gran Filosofo ec. » 23r. Si avverta inoltre che, sebbene di
pochis-simo uso, abbiamo anche le espressioni ossia i Pronomi ind-oggetto
costui, codestui, colui - costei, codesta, colei - costoro, codestoro, coloro;
e che ciascuna di tali espressioni equivale ad uno dei primi tre da noi già
fissati Pronomi (228), rispettivamente congiunti con una delle seguenti Voci
Uomo, Donna, Uomini, Donne - Quindi, Costui vuol dire quest' Uomo; Colei vuol
dire quella Donno ec. DOMANDE Che significa la Parola composta
ind-oggello? Quali diconsi Pronomi ind-oggetto? Cosa intendete per
Oggetto complessivo? Esponete i varj Pronomi ind-oggetto per ciascun
Numero e Sesso. (228) Qual differenza passa tra questi vari
Pronomi? (229) Al Numero unale quando si usa questi, codesti, e quegli?
(230) Non vi sono altri Pronomi ind-oggetto? (23г)232. Chiamiario
penericicardinali quei Pronoti, i quali si usano soltanto come Cardini di
giudizio, ed esprimono in genere un terz Oggetto che precisamente non sappiamo
e non possiamo nominare. In italiano questi Pronomi sono due, egli e si; e
per intrinseca loro natura sono sempre di Numero unale. Il primo, cioè egli,
esprime che il Cardine di giudizio è un terzo Oggetto da noi non cono-sciuto;
come « egli piove; egli tuonava; egli balend ec. ». Questo Pronome in italiano
non si usa, ossia è sempre sottinteso; giacché diciamo semplicemente « piove,
tuonata, balend ec. " Si avverta di non confondere egli Pronome ge
nerico-cardinale con egli Pronome maschile di terzo Oggetto (69); giacché sono
essenzialmente diversi 235. Il secondo, civè si, esprime un Numero
indefinito di terzi Oggetti animati ed attivi; come « si crede, si pretendeva,
si vorrebbe ec. » cioe " taluno crede, pretendeva, vorrebbe » oppure
« alcuni credono; pretendevano, vorrebbero ec. SUL SI SEGNO-PASSIVO 236.
La Lingua italiana molte volte esprime i Giudizj passivi di terzo Oggetto
colle voci destinate pei Giudizj attivi, unendo semplicemente allaVoce di
Giudizio o al Verbo la particella si; come « I soldati si vedono in distanza;
si ode il fragore delle armi; si desiderano le ricchezze; si ama l'ozio ec. » —
Dunque la voce o particella si in questo caso giustamente sarà da noi chiamata
segno-passivo, vale a dire segno di Giudizio passivo (53)., Fissiamo dunque,
che la Lingua italiana per rendere passivo un Giudizio attivo di terzo
0g-getto; molte volte gli aggiunge semplicemente la Voce o segno si, Voce
affatto diversa da si Pronome generico cardinale (235). DOMANDE
Quali diciamo Pronomi generici-cardinali? (237) In italiano quali sono i
Pronomi generici cardinali? (235) Qual è il valore del Pronome generico
cardinale egli? (23.4) Qual è il valore del Pronome generico-cardihale si?
(235) La voce si è sempre Pronome ! (256) Questa voce quando è
puramente Segno-passivo? PRONOMI GENERICI-NON-CARDINALI Chiamiamo
generici-non-cardinali quei Pro-nomi, che mai sono Cardini di giudizio, e che
servono in genere a richiamare qualunque Oggetto, il quale si trovi in una data
Situazione. In italiano questi Pronomi
sono due, ne, e vi oppure ci; e servono a qualunque Numero e Sesso. Il primo, cioè ne, richiama
sempre o un Oggettivo relativato (218) o un Oggettivo cominciante (206) -
Richiama un Oggettivo relativatoin « Vedeste l'Amico? Che ne dite? Parlatene
bene ec. » cioè « Che dite' di lui? Parlate bené di lui ec. " - Richiamá
un Oggettivo cominciante in « l'Amico va al fiume, ed io ne vengo' vale a dire
« ed io vengo da esso ec. » 240. Il secondo, cioè vi oppure ci, richiama sempre
o un Oggettivo terminante (208) 0 un 0g-gettivo contenente (212) - Richiama un
Oggettivo terminante in « Andate in campagna? Forse vi andrò ec., cioè andrò
ad. essa »- Richiama un Oggettivo contenente in « é in casa l'Amico? Non ci
deve essere; non vi sarà certamente ec. » vale a dire « non deve essere in
essa; non sarà in essa certamente ec. »' DOMANDE Quali diciamo
Pronomi generici-non-cardinali? (237) In italiano quali sono i Pronomi
generici-non-cardinali? (258) Qual è il valore del Pronome ne?.
(23g) Qual è il valore del Pronome generico-non cardinale vi o ci?
(240) PRONOME RIFLESSO 241. In un medesimo sentimento ossia in un
Periodo di significante discorso, l'Oggetto che é Cardine di giudizio, alle
volte può e suole presentarsi in qualche altra Situazione. In tal caso esprimendosi
il Nome dell'Oggetto come Cardine di giudizio, la Lingua per indicare qualunque
altra di lui Situazione invece di ripetere il Nome oggettivo usa una piccola
Voce, porendola nellaSituazione conveniente. Ora questa Voce é ciò, che noi
chiamiamo Pronome rilesso; giacché dessa riflette ossia rimanda la nostra
attenzione verso l'Oggetto, che in quel Periodo é Cardine di giu-dizio.
242. I Pronomi riflessi in italiano sono mo, te, se, noi, voi, oppure le voci
loro sostituite mi, ti, si, ci, vi; come si vede negli esempj seguenti:
io parlo di me tu parli di te egli parla di se ella parla di
se noi parliamo di noi • voi parlate di voi essi parlano di se esse
parlano di se io comincio da me tu cominci da te egli comincia da
se ella comincia da se noi cominciamo da noi voi cominciate da voi essi
cominciano da se esse cominciano da se 343. Si fissi dunque, che il
Pronome riflesso, s.° per tutti i terzi Oggetti di qualunque Numero e
Sesso è sempre la voce se; 2.° per l'Oggetto parlante sono le voci me all'unale,
noi al plurale;3. per l'Oggetto ascoltante sono le voci te al- l'unale,
ed al plurale voi. Per energia di espressione sogliamo spesso ai
Pronomi riflessi aggiugnere la voce stesso o medesimo (7), ponendola al
conveniente Numero e Sesso; come i lo incolpo me stesso; ella incolpava se
stessa; incolpate voi stessi ec. » • 244. Le voci me, te, noi, voi, o le
sostituite loro equivalenti mi, ti, ci, vi, sono anche Nomi generici degli
Oggetti parlante e ascoltante (68, 70). Inoltre le voci vi e ci sono
anche Pronomi gene-rici-non-cardinali (238) - Parimenti la voce si, sostituita
al Pronome riflesso se, è alle volte Pronome generico-cardinale (233), ed alle
volte segno passivo (236). In diverse circostanze una stessa Voce
potendo esprimere Idee affatto diverse, è dunque della massima entità l'
esercitarsi a leggere analiticamente; vale a dire, l'esaminare in ogni incontro
il valore e la natura d' una data Voce qualunque. DOMANDE Cosa
intendete per Pronome riflesso? (241) Qual è il Pronome riflesso per
l'Oggetto parlante? (243) Quale per l'Oggetto ascoltante? Quale per
un terza Oggetto qualunque? Conjugate. qualche Verbo col Pronome
riflesso. SUI PRONOMI 245. Oltre gli analizati finora esistono nel
Linguaggio altri Pronomi, come ognuno, caluno,ciascuno, chiunque ec., che
giustamente potrebbero chiamarsi Pronomi generici - Tralascio però di qui
esporli; giacché é troppo facile conoscerli col semplice esercizio di
riflessiva analitica Lettura. SULLE VOCI SOSTITUITE 246. Le Voci ed
Espressioni sostituite, cioè poste in luogo di altre, nel discorso sono
moltissime, ed è necessario saperle riportare alla primitiva loro indole è
natura. Ciò è per altro assai facile, quando si faccia la debita attenzione al
sentimento Quindi per amore di brevità credo potermi dispensare dal qui
farne qualunque enumerazione. 247. Le Cose da noi esposte
finora riguardano singolarmente la Parte filosofica del Linguaggio.
Quindi sono applicabili a tutte le Lingue, come-da noi furono applicate alla
Lingua italiana - Conoscendo la propria Lingua filosoficamente, in fondo
possiamo dunque dire di conoscere tutte le altre Lingue esistenti e possibili;
e non dobbiamo per ciò che applicarci allo studio della Gramma-cica di
ciascuna. Importa dunque molto il sapere, in che deve consistere tale
Grammatica. 248. Lo scopo della Grammatica e d'insegnare, come in un dato
Linguaggio dubbiamo esprimerci scrivendo o parlando (6, 7). Ora per parlare o
scrivere convenientemente una data Lingua qua-lunque, bisogna conoscere i suoni
e segni dalla convenzione attaccati a ciascuna Idea, e inoltre l'ordine con cui
debbono presentarsi ossia succedersi le idee e quindi i segni e suoni ad
essecorrispondenti. Ma tali cose 'dipendono esclusivamente dall'Abitudine, e
per esse non può as segnarsi Regola alcuna. Infatti gli uomini abbisognano
forse di Regole per ben apprendere la propria Lingua nazionale? Ma le scritte
Regole grammaticali non son esse posteriori all' esistenza delle Lingue? -
Dunque la vera Grammatica d'una Lingua qualunque propriamente non è altro che
l'Uso, ossia l'Esercizio nella Lingua me-desima. Vi sono però in ogni Lingua
alcune par-ticolarità, che ridotte a Regole generali sono uti-lissime, e
servono mirabilmente a facilitare l'intelligenza perfetta della Lingua che si
studia. La Grammatico seritta di qualunque Lingua non deve dunque contenere che
queste Regole gene-Tali. Esse sono essenzialmente pochissime, perché debbono
essere le sule utili essenzialmente; e si faccia bene attenzione, che tali
Regole non debbono studiarsi, se non quando gia s'intende la Lingua medesima
per cui sono scritte. Io mi era
proposto di stendere col mio Pia-no, ad uso degl' Italiani, le Regole per le
Lingue italiaria; latina, francese, inglese e tedesca. 'Alcune spiacevoli
combinazioni però me lo anno impedito, almeno per ora. Quindi mi limito a qui
brevemente indicare, cosa secondo il mio sistema dovrebbe essenzialmente
contenere una Grammatica scritta qualunque.I.° Fissare, quanti Sessi la Lingua
N. considera, nei Nomi oggettivi. II.® Esporre, ciò che in ambedue i
Numeri serve a distinguere i varj Sessi fra lora III.® Esporre le varie
Desinenze, che un Nome può avere al Numero tanto unale che plurale: IV.®
Stabilire, se nel discorso possa praticamente tacersi qualcuna delle tre Parti
di giudizio. V.° Esporre le Voci di Numero e d'Ordine, come pure le Voci
multiple, aliquote. ec. VI.° Stabilire, qual desinenza prenda l'Attributo
ne' Giudizj neutri e passivi. VII. Stabilire, qual desinenza prenda la
Voce verbale ne' Giudizj attivi. VIII.® Fissare, come si formi l'
Espressione femminile nei Nomi qualitativi e di Azione. IX.° Fissare,
come si formi l'Espressione plurale in qualunque Nome. X.° Stabilire il
Nome generico degli Oggetti parlante e ascoltante, tanto quando sono Cardini di
giudizio, come se trovansi in altre Situazioni. XI.° Stabilire il Pronome
generico pei terzi Og-getti, tanto cardinali come posti in altre
Situazioni. XII.® Esporre la legge di convenienza rapporto al Nome d' un
solo Oggetto ascoltante. •XIII.® Esporre il modo di esprimere il
massimo Aumento nelle cose. XIV.® Esporre il Modo di esprimere
qualunque Confronto.XV.° Esporre per ciascun Tempo di ciascun Modo
la Conjugazione della Voce giudicante, dei Verbi ausiliarj, e dei Verbi
considerati Modelli di Conjugazione. XVI.® Fissare, come debba esprimersi
un Og gettivo, un Qualitativo ed un Giudizio che sia det-oggetto. XVII®
Fissare, come debba esprimersi un Og gettivo ed un Giudizio che sia
det-azione. XVIII.® Esporre, come nei Nomi Oggettivi debba esprimersi
ciascuna delle varie Situazioni. XIX.® Fissare i Pronomi
det-oggetto. XX.° Fissare i Pronomi ind-oggetto. XXI.° Fissare i
Pronomi generici-cardinali. XXII.® Fissare i Pronomi generici-non
cardinali. XXIII® Fissare i Pronomi riflessi, e la Voce d' energia.
XXIV. Con degli esempj esporre le più frequenti Voci sostituite, riguardanti
singolarmente i Pronomi e qualche altra essenziale Parte di
di-scorso.TEMPo TEMPO TENPO TEMPO PR io sono
felice este felice noi siamo felici voi siete felici
essi sono felici PASSATO-CONGIUNTO io sono stato felice tu sei
stato lelice egli è stato felice noi siamo stati felici voi siete stail
felici essi sono stuti felici PASSATONTO Quando l'a, io era
infermo su eri infermo egli era inferme noi eravamo inf voi eravate
infe essi erano infern FITURO-ANTERIORE L'A mico partira,
quando io sarò stato promosso tu sarai stato promosso egli sarà stato promosso
noi saremo stati promossi voi sarete stati promossi essi saranno stati promossi
FUTURO Se l'Amico io sarei felice lu saresti felice arei
felice l'Amico giugnesse, egli sarebbe felicarerei be felice voi
sareste felici saremmo felici essi sarebbero sarebbero
felici FUTURo oh fossi io piu 8 io pronosso domani! oh fosse e pis
cu promosso domani! egli promosso domani! oh fosi noi pi mo noi
promossi domani ! voi promossi domani! oh fossero essi Piro essi
promossi domani![EMPO PRESENTE io sono felice tu sei
felice egli è felice noi siamo felici voi siete felici
essi sono felici TEMPO" PASSATO-IDENTICO Quando l'Amico
parti io era infermo tu eri infermo egli era infermo
noi eravamo infermi voi eravate infermi essi erano infermi
Quando l'Amico parti io era stato ferito parti, appena 10 Jai
stato ferito L'A mico partira. quando io sarò stato promosso tu eri
stato ferito egli era stato ferito tu fosti stato ferito egli
fu stato ferito tu sarai stato promosso egli sarà stato promosso
noi eravamo stati feriti voi eravate stati feriti essi erano stati
feriti noi fummo stati feriti voi foste stati feriti essi
furono stati feriti noi saremo stati promossi voi sarete stati promossi
essi saranno stati promossi TEMPO PRESENTE Se l'Amico fosse
giunto, io sarei felice tu saresti felice egli sarebbe felice
noi saremmo felici voi sareste felici essi sarebbero felici
PRESENTE oh fossimo noi più giovani! oh foste voi più
giovani! oh fossero essi più giovani! MODO CERTO ISOLATO
PASSATO io fui felice tu fosti felice egli fu felice
noi fummo felici voi foste felici essi furono felici
FUTURO io sarò felice tu sarai felice egli sarà felice
noi saremo felici voi sarete felici essi saranno felici MODO
CERTO-DIPENDENTE PASSATO-ANTERIORE NTERIORE CONGIUNTO MODO
CERTO-CONDIZIONATO PASSATO Se l'Amico fosse gianto, io sarei stato
felice tu saresti stato felice egli sarebbe stato felice noi saremmo stati
felici voi sareste stati felici essi sarebbero stati felici MODO
DESIDERATIVO PASSATO fossi io stato pit attento! foss' egli
stato più attento! 1 fossimo noi stati Josti von si st pi pit
attenti! fossero essi stati più attenti! PASSATO-CONGIUNTO io sono
stato felice tu sei stato felice egli è stato felice noi siamo stati
felici voi siete stari felici essi sono stati felici
FUTURO-ANTERIORE FUTURO Se l'Amico giugnesse, io sarei
felice tu saresti felice egli sarebbe felice noi saremmo
felici voi sareste felici essi sarebbero felici FUTURO
fossi io promosso domani! fossi tu promosso domani! foss' egli
promosso domani ! fossimo noi promossi domani! foste voi promossi
domani! fossero essi promossi domani TEMPO
PRESENTE sii tu il primo sia egli il primo siam voi i prin sieno
essi i primi MODO VOLITIVO FUTURO sarai tu il primo sarà egli
il primo saremo noi i primi sarete voi i primi saranno essi i primi TEMPO
PRESENTE sia pur io il più giovine : sii pur tu il si pur
esil p, giovince: siamo pur nor piu giovani: siate pur voi i più
giovani: sien e esigue giovani: MODO SUPPOSITIVO
PASSATO sia pur io stato l'ultimo: su pur tu stato l'ultimo:
sia pur egli stato l'ultimo : siamo pur noi stati gli ultimi: siate
pur voi stati gli ultimi: sieno pur essi stati gli ultimi : Che s'
inferisce da ciò? L'ebro PRESENTE se io fossi felice, se tu
fossi felice, se egli fosse felice, se noi fossimo felici, se voi foste felici
se essi fossero felici, L'Ámico gioirebbe. MODO CONDIZIONANTE
PASSATO se io fossi stato felice, se tu fossi stato felice, se egli fosse
stato felice, se noi fossimo stati felici, se voi foste stati felici se essi fossero
stati felici, L'Amico gioirebbe. FUTURO sia pur io promosso
tra poco: sii pur tu promosso tra poco: sia pur egli promosso tra
poco: siamo pur noi promossi tra poco: siete pir esi promossi tra
poco : Qual utile per l'Amico? FUTURO se io fossi promosso
domani, se tu fossi promosso domani se egli fosse promosso domani, se noi
fossimo promossi domani, se voi foste promossi domani, se essi fossero promossi
domani, L'Amico gioirebbe.TEMPO PRESENTE Si crede, che io sia
felice che tu sii felice ch'egli sia felice che noi siamo felici che voi siate
felici che essi sieno felici TEMPO PASSATO-IDENTICO io fossi
infermo tu fossi infermo egli fosse infermo . noi fossimo
infermi voi foste infermi essi fossero infermi TENPO
PRESENTE che, se lÁmico fosse giunto, io sarei felice . tu
saresti felice egli sarebbe felice . noi saremmo felici voi
sareste felici essi sarebbero felici MODO INCERTO ISOLATO
PASSATO Si crede, che io sia stato felice che tu sii stato felice ch' egli
sia stato felice che noi siamo stati felici che voi siate stati felici che essi
sieno stati felici FUTURO Si crede, che io sarò felice che tu sarai
felice ch' egli sarà felice che noi saremo felici che voi sarete felici che
essi saranno felici MODO INCERTO-DIPENDENTE PASSATO-ANTERIORE
chei quee si grede i emico, io fossi stato ferito tu fossi stato
ferito egli fosse stato ferito noi fossimo stati feriti voi
foste stati feriti essi fossero stati feriti MODO
INCERTO-CONDIZIONATO PASSATO Si crede, che, se l'Amico fosse
giunto, io sarei stato felice tu saresti stato felice egli sarebbe
stato felice noi saremmo stati felici voi sareste stati
felici essi sarebbero stati felici ASSCLUTO-POSTERIORE Si
credeva, si credette ec. che io sarei stato felice che tu saresti stato felice
ch'egli sarebbe stato felice che noi saremmo stati felici che voi sareste stati
felici che essi sarebbero stati felici FUTURO-ANTERIORE Si crede,
che, quando giugnerà l'Amico, io sarò stato promosso tu sarai stato
promosso egli sarà stato promosso noi saremo stati promossi voi sarete stati
promossi essi saranno stati promossi (TAVOLA X.") FUTURO
chs, stel Amico giugnesse, io sarei felice tu saresti felice
egli sarebbe felice noi saremmo felici voi sareste felici
essi sarebbero feliciTEMPO PRESENTE son io felice? sei tu
felice? è egli felice? siamo noi felici? siete voi
felici? sono essi felici ? LEMPO PASSATO-IDENTICO
Quando parti l'Amico, era io infermo : eri tu infermo? era
egli infermo ? eravamo noi infermi? eravate voi infermi ?
erano essi infermi? TENPO PRESENTE Se l'Amico fosse
giunto, sarei io felice? saresti tu felice ? sarebbe egli
felice? saremmo noi felici? sareste voi felici? sarebbero
essi felici? TEMPO PRESENTE sarei sconoscente a tal
segno? saresti sconoscente a tal segno? sarebbe sconoscente a tal
segno? saremmo sconoscenti a tal segno ? sareste sconoscenti a tal
segno? sarebbero sconoscenti a tal segno? MODO
INTERROGATIVO-ISOLATO PASSATO fui io felice? fosti tu
felice? fu egli felice? fummo noi felici? foste voi
felici? furono essi felici? FUTURO sarò io felice?
sarai tu felice ? sarà egli felice? saremo noi felici ?
sarete voi felici ? saranno essi felici? PASSATO-CONGIUNTO
son io stato felice ? sei tu stato felice ? è egli stato felice?
siamo noi stati felici? siete voi stati felici ? sono essi stati
felici? MODO INTERROGATIVO-DIPENDENTE PASSATO-ANTERIORE
Quando l'Amico parti, era io stato promosso? eri tu stato promosso
? era egli stato promosso? eravamo noi stati promossi ?
cravate voi stati promossi? erano essi stati promossi ?
FUTURO-ANTERIORE san ando pamico partira, sarai tu stato
promosso? sarà egli stato promosso? saremo noi stati
promossi? sarete voi stati promossi? saranno essi stati
promossi? MODO INTERROGATIVO-CONDIZIONATO PASSATO Se l'Amico
fosse giunto, sarei io stato felice ? saresti tu stato
felice? sarebbe egli stato felice? saremmo noi stati felici?
sareste voi stati felici? sarebbero essi stati felici? FUTURO Se
l'Amico giugnesse, sarei io felice? saresti tu felice? sarebbe
egli felice? saremmo noi felici? sareste voi felici? sarebbero
essi felici? MODO INTERROGATIVO-DUBITATIVO PASSATO sarei
stato sconoscente a tal segno ? saresti stato sconoscente a tal
segno? sarebbe stato sconoscente a tal segno ? saremmo stati
sconoscenti a tal segno? sareste stati sconoscenti a tal segno?
sarebbero stati sconoscenti a tal segno? FUTURO sarei sconoscente a
tal segno? saresti sconoscente a tal segno? sarebbe sconoscente a
tal segno ? saremmo sconoscenti a tal segno? sareste sconoscenti a
tal segno? sarebbero sconoscenti a tal segno?MODO
GENERICO-DETERMINANTE TENPO IDENTICO ANTERIORE io
credo, credetti, crederò ec. tu credi, credesti, crederai ee.
essere felice egli crede, credette, credera ec. noi crediamo,
credemmo, crederemo ec. voi credete, credeste, crederete ee. essere
felici essi credono, credettero, crederanno ee essere stato
felice essere stati felici POSTERIORE esser per essere
felice dover essere felice poter essere felice esser per essere felici
dover essere felici poter essere felici MODO GENERICO
SOSTITUITO SOSTITUITO PRIMO TEMPO IDENTICO
ANTERIONE POSTERIORE essendo giovine essendo stato
promosso.... essendo giovani essendo stati promossi ) ... dovendo
essere promos dovendo essere promosso - io studio, studiai,
studierò ec. tu stud), studiasti, studierai ec. egli studia,
studio, studiera ec. noi studiamo, studiammo, studieremo cc. voi
studiate, studiaste, studierete ec. essi studiano, studiarono,
studieranno ec. SOSTITUITO SECONDO TEMPO IDENTICO
essendo io debole, essendo tu debole, essendo egli debole, essendo noi
deboli, essendo voi deboli essendo essi deboli
ANTERIORE essendo io stato infermo, essendo tu stato infermo, essendo
egli stato infermo, essendo noi stati infermi, essendo voi stati infermi
essendo essi stati infermi, POSTERIORE dovendo tu essere
promosso dovendo noi essere promossi, l'Amico ci accompagna, accompagnò,
accompagnerà ec. dovendo voi essere promossi, 'Amico vi accompagna,
accompagnò, accompagnerà ec. dovendo essi essere promossi./ l'Amico li
accompagna, accompagnò, accompagnerà ec. SOSTITUITO TERZO
TEMPO IDENTICO essendo io giudice, essendo noi giudici,
. essendo voi giudici, essendo essi giudici, • ANTERIORE
essendo io stato giudice, essendo tu stato giudice, essendo egli stato giudice,
essendo noi stati giudici essendo voi stati giudici essendo essi stati
giudici, POSTERIORE dovendo io esser giudice, dovendo tu esser
giudice, l'Amico spera, sperò, spererà co dovendo egli esser
giudice, lovendo voi esser giudici, :: Amico spera, sperò, spererà
eco dovendo voi esser giudici dovendo essi esser giudici, LINGUA
FILOSOFICO-UNIVERSALE. LINGUA
FILOSOFICO-UNIVERSALE PEI DOTTI. PRECEDUTA DALL’ANALISI DEL LINGUAGGIO. Già pubblico professore
di varie facoltà. MILANO Società Tipografica de' CLAsSICI ITALIaNI Contrada del Cappuccio. PAsTA alla Repabica
Letteraria un Piano Filo. sofico di Lingua Universale facilissimo ad eseguirsi,
è il primario Scopo di quest' Opera - Immezzo alla tranquillità di cui gode
attualmente l'Europa, pei PADRI de' Popoli, per le Nazioni, pei Filosofi qual
occupazione migliore e più vantaggiosa di questa ? II. Coerentemente all'indicato primario Scopo
dell'Opera pareva, che dovessi scriverla non pei soli Italiani; quindi in una
Lingua più generalmente conosciuta; quindi in Lingua Francese. Me ne astenni
però; giacchè in un Italiano che scrive nel seno dell'Italia, poteva ciò
sembrare un affettazione. III.
L'Esecuzione del Piano abbisogna del valido sostegno d'un GRAN-MECENATE: lo
però non ne implorai alla mia Opera alcuno. E qual accoglienza potea nell'
oscurità d' un Manoscritto sperare una progettata metafisica Novità, ed un
complesso di forse non sempre facilmente intelligibili Raziocinj? IV. Onde garantirmi dai rimbrotti e dalla
critica di ehi o è incapace o abborre di oltrepassare i limiti della
superficialità, prevengo; che per intendere la Materia qui trattata, non basta
• leggere; come per possederla non basta averla intesa, Quindi questo Libro
deve considerarsi precisamente come un libro di Matematica; il cui contenuto
non può intendersi senza matu-ramente, dettagliatamente e ordinatamente
meditarlo; nè può a fondo possedersi senza molto esercizio, accurati transunti,
e frequenti ripetizioni. V. Mi sarebbe
stato facile mostrare l'applicazione di ciascuna Teoria col prattico dettagliato sviluppo di
analogli Esempi: Ma non sempre l'o
fatto, perchè gli Esempj in iscritto o aumentano la difficoltà, o quando pure
la diminuiscano, snervano la Materia cul prolungarla soverchiamente - Altronde
Teorie ragionate e metafisiche non sono dirette che a Pochi; e questi Pochi trovano in loro stessi come supplire
alla Concisione del-l'Autore. VI.
Rapporto alla Lingua Universale si avverta, che quando ai avesse apposita
Grammatica e Dizionario, per apprenderla non è necessario conoscere le
metafisiche Teorie del Linguag gio; ma basta sapere le Regole particolari di
questa Lingua, facendone il debito confronto colla propria Lingua natia. VII. La difficoltà di ben comprendere quanto
premisi al Piano di Lingue Universale,
potrebbe in taluno produrre una grantaggiosa prevenzione per la lingua
medesima. Quindi mi trovo obbligato a dichiarare che « Quando sia
convenientemente spiegata, è più facile arrivare a conoscere perfettamente
questa Lingua Universale, che non il solo primo Libro della Geometria di
Euclide » - Le Teorie premesse poi servono specialmente a dar ragione del Piano
che presento; mostrando esse ad evidenza, che la base dí questo Piano non è
arbitra-ria, ma fondata sull' intrinseca natura del Linguaggio e delle Cose.
VIII. Il mio Piano di Lingua Universale fû concepito e steso, senza che
avessi mai nè sentito nè letto cosa alcuna in proposito. Tale stato d'ignoranza
mi fû certamente vantaggioso; giacchè la smania di profittare dei lumi altrui
avrebbe forse inceppato maggiormente il mio spirito - Terminato il mio
Travaglio, à poi cercato istruirmi; ed ô letto l'Enciclopedia all'articolo
Langue nouelle, la Pasigrafia di J.... de M....., lá Lingua Universale del P.
Magnan, ed un Estratto di quella di M. Kalmar nel Nuovo Giornale dei Letterati
d' Italia ‹ Tomo V. Settembre e Ottobre
i773). In queste letture però rinvenni sufficiente motivo, e di ammirare il
Genio più o meno felice che aveva presieduto a tali Opere, e di non essere
malcontento di me stesso. IX. Nello
scrivere io mi supposi anteriore all'esistenza di qualunque formale Grammatica;
e non consultai che la Natu-ra, il Raziocinio e le poche mic cognizioni —
f'accia lo stesso, Chi legge.Preso nel
suo vero senso primitivo, il Linguaggio è un necessario semplicissimo Effetto
di Natura; e precisamente come lo è nell'Ago Ma-gretico la Tendenza al Polo;
come in un Pomo dall'alto abbandonato a se stesso, lo è il Cadere; come lo è
nei Liquidi il Porsi a Livello coll' Ori zonte; come il Sollevarsi lo è nei.
Vapori; in somma come in un Corpo qualunque è mero effetto di Natura il Peso,
la Pressione, la 'Resistenza ec. Infatti
il Linguaggio non serve che ad esprimere la situazione dell'Uomo. Ora l' Uomo
in determinate circostanze trovasi in una piuttosto che in altra situazione,
unicamente in forza della sua essenza, delle sue facoltà, delle sue relazioni;
vale a dire perchè è un Essere formante parte di Nasura. In lui tutto dunque è
soggetto alle generiche Leggi dell' Esistenza. Dunque esprimendo la propria
situazione, egli non può sortire dai limiti di queste Leggi.Ora tutto è fisso
immutabilmente in Natura; e la diversità di Luogo e di Tempo non impedirà mai,
che uguali Cause producano Effetti eguali.
Dunque una stessa Azione si effettua sempre e da-pertutto alla maniera
medesima; uno stesso Oggetto sempre e dapertutto produce la medesima
impres-sione; una stessa Qualità opera sempre e dapertutto la sensazione
medesima. Dunque gli uomini di qualunque Clima, Secolo e Nazione, in eguali
circostanze debbono tutti esprimersi alla maniera istessa; perchè in eguali
circostanze il loro spirito si trova in eguale situazione. Ed infatti analizando le Lingue usate
vediamo, che anno tutte un fondo comune; vale a dire anno comune, ciò che forma
l'assoluta essenza del Lin-guaggio, considerato come semplice effetto naturale
-— Diverse Convenzioni possono sulla superficie del Globo esprimere le stesse
Idee con suoni diversi e con diverso ordine dispositivo; perchè l'ordine ed i
suoni in ciò sono relativi all'Abitudine ed al Clima: Ma le medesime Idee su
qualunque punto del Tempo e del Globo avranno sempre la stessa naturale
espressione; perchè la Natura è una sola, e dapertutto e sempre la stessa. Debba un Uomo narrare, che nella
foresta. fû egli assalito da un feroce
Animale. Che il no-str' Uomo sia europeo asiatico affricano o di Ame-rica, che
il successo abbia avuto luogo in uno piuttosto che in altro secolo; sono cose
del tutto indifferenti all' intrinseca natura del fatto, che sinarra.
L'avvenimento è un solo: Dunque unico necessariamente esser deve in Natura il
modo di esprimerlo. Quindi in ogni
Lingua prattica bisogna distinguere il Fondo di Natura dalle Proprietà di
Con-venzione, ossia i Principj naturali dai Principi convenzionali. I Primi
sono basati sull' essenza stessa delle cose; quindi necessariamente unici ed
immutabili. I secondi non riconoscono altra base, che il Bisogno e Capriccio
sociale; quindi necessariamente sono varj, come sulla Terra sono diverse le
umane Società. Questi, altesa la bizzarra loro origine ed irregolarità, possono
impararsi soltanto coll' uso: Quelli non possono conoscersi, che coll' attività
di Raziocinio e di Meditazione — Quindi lo studio radicale di Lingua è filosofico,
più che non fù creduto finora.
Sventuratamente per l'Umanità in ogni secolo i Maestri anche più
rispettabili di Lingua, si limitarono a ridurre possibilmente a sistema le in
ciascuna Lingua irregolarissime Proprietà di Conven-zione. La comparsa delle
Grammatiche fe nel Linguaggio dimenticar la Natura. Si credette, che la Scienza
di Lingua fosse esclusivamente riposta in quei sudati Volumi. La difficoltà
anzi impossibilità di ritenere l' immenso numero di Regole e il numero anche
maggiore d' Irregolarità raccolte nelle Grammatiche, fe' riguardare lo studio
sistematico di Lingua come indispensabile alle Scienze ed ai progressi dello
Spirito umano. Quindi la Gramma-tica presso tutti i Pappli divenne come il
primo Nume dei pensanti Esseri sociali: Nume; cui si eressero Templi, quante le
scuole di Lingua; cui si destinarono Sacerdoti, quanti i Maestri di Lin-gua;
cui furono sacrificate Vittime, quanti i Discepoli di Lingua - Povera Infanzia!
Una mano di ferro ti spinge, ti preme, ti schiaccia appiè dell'Ara di questa
inconcepibile Divinità! Ma non è egli
vero, che molti senza neppur conoscere il Frontispizio di alcuna Grammatica
imparano perfettamente la propria Lingua? Non è egli vero, che lo studio delle
Grammutiche ci presenta una farragine di Vocaboli inintelligibili e eroti
affatto di senso? Un Indice grammaticale non forma desso la più convincente la
più palpabile prova dell' ignoranza, in cui siamo rapporto allo spirito all'
essenza alla metafisica del Linguaggio ? :
O Voi, che forse già mi onoraste del titolo di Novatore; Voi, cui veggo
addensato sul ciglio il Dispetto la Disapprovazione lo Sdegno, ditemi : Potreste voi darmi una ragionevole, da Voi
intesa è per me intelligibile Definizione del Genitivo per esempio, dell'
Infinito, del Congiuntivo, del Geron-dio, del Supino, e di tant' altri Termini
grazana-sicali? E quando vi troviate insufficienti anche solo a ragionevolmente
definire tali usitatissime Denomi-nazioni, perchè assoggettarci ad apprenderle?
Dove la Necessità? Dove l'Utile? Dove l'uso di quel celeste Raggio sublime, che
infuse in noi l'onnipa-tente Soffio creatore? Rinunzieremo noi alla parte
migliore della nostra Esistenza?Delle Produzioni umane sono perfette, delle
umane Occupazioni sono essenzialmente vantaggiose, solo quelle che si basano
sull' intrinseca natura delle Cose. Dunque lo studio ragionato di Lingua si
fondi anch' esso sulla Natura. Si analizi : Si rimonti al-l'origine: Si provi
col fatto, che siamo Esseri pensanti. Pel decoro della nostra specie, per
l'utile della società, pel ben-essere di noi stessi dissipiamo nel Linguaggio
quella Nube, che vi aggruppò dinanzi una troppo lungamente venerata Autorità
- Ragione! Uno slancio; ed il Bujo non
più. Distinti i Principi di Lingua in
naturali e convenzionali, si averta; che quest' Opera si occupa dei secondi,
soltanto nell' ultima Parte intitolata Lingua Universale; e che in tutto il
rimanente cioè in tutte le generiche Teorie di Lingua essa non riguarda che i
Primi. Quindi benchè sembri occuparsi delle Parole, pure dessa non risguarda
assolutamente che le Idee rappresentate dalle Pa-role. Io o singolarmente
cercato di farmi intelligi-bile, ulmeno quanto mi era permesso: E siccome la
Materia trattata è astratta moltissimo di sua na-tura, fù mio primo studio
presentarla sotto un aspetto meno difficile e non troppo metafisico. Chi brama
però conoscerla in tutta l' estensione asso-luta, deve meditarla nel suo vero
senso; vale e dire deve sempre considerare non le Parole in loro stesse, ma le
Idee rappresentate dalle Parole. Così per esempio dicendo che te Voci si
distinguono in Radicali Derivate e Sostituite, il Lettore filosofodeve
intendere che sono radicali derivate o sostituite le nostre Idee, cioè quelle
Idee che nel dis- • corso si esprimono
colle Voci rispettivamente loro convenienti. In egual maniera dicendo che da
Monte deriva montuoso, da onesto deriva Onestà ec., devesi intendere, non che
le Parole montuoso ed Onestà derivino dalle Parole Monte ed onesto, ma che le
Idee rappresentate da montuoso ed Onestà derivano dalle Idee rappresentate da
Monte, onesto ec. Questa Osservazione è
di somma importanza, e deve applicarsi a tutta l' Opera. Quindi si fissi ; che
le Parole sono puri Segni rappresentanti le Idee; che le qui esposte filosofiche
Teorie di Lingua risguardano soltanto le Idee; e che solo per facilitarne
l'intelligenza molte volle à attribuito ò applicato ai Segni, ciò che devesi
assolutamente ed esclusivamente intendere delle Idee da essi rappre- sentate. •
Le Teorie generiche di Lingua non risguar.. dando che i Principi
naturali, sono applicabili a tutte le Lingue: perchè tutte riducibili ad una
sola, come unico è il Linguaggio della. Natura. Quindi queste Teorie non
dovrebbero ragionevolmente applicarsi ad alcuna Lingua in particolare. È però
troppo difficile tener dietro ad una lunga serie di Ragionamenti, che si
presentano nel massimo grado di astrazione. Quindi per eliminare possibilmente
tale difficoltà ò applicato le Teorie generali alla patria mia Lingua Italiana,
in cui scrivo. Quindi chi legge, deve col suo spirito meditabonilo e ana-litico
riportare tutti i Raziocinj al semplice loro stato primitivo, facendo
astrazione anche dalla Lingua Italiana in cui sono scritti, e cui per chiarezza
maggiore sono sempre applicati. È questo forse ur esigger troppo dalla penetrazione
e sofferenza di molti; ma debbo farmi lecito asserire, che non è altrimenti
possibile penetrare nello spirito fondamentale dell'Opera, ANALISI DEL
LINGUAGGIO. Il lingaggio è il mezzo più comune impiegato dagl’uomini per
comunicarsi reciprocamente i bisogni, i desiderj, ed i pensieri. L'uso
inseparabile dalla convivenza sociale insegna a ciascuno quanto è necessario
per esprimersi convenientemente. Quindi le teorie di lingua sono inutili per la
massima parte degl’uomini, come sono pregiudicievoli alle scienze, alla ragione,
ed a tutti, le affastellate inconcepibili regole – cf. Grice on O. P. Wood, The
rules of language – J. L. Austin, ‘rule’? -- grammaticali. Il filosofo peró che
deve su tutto portare il suo ragionante spirito analitico, in punto Linguaggio
potrebbe anch'egli esser pago di ciò che apprese per pratica? E nel secolo
dell'Analisi dovremo con indifferenza veder sepolto nelle tenebre d'una
rugginosa ignoranza il solo Linguaggio, l'interprete fedele de nostri pensieri,
lo specchio dello spirito umano, il carattere distintivo per cui l'uomo si pone
prino fra'gli esseri sensibili?A me sembra, che troppo debba interessarci il
conoscere una cosa che ci riguarda si davvicino, e ch'è inseparabile dalla
nostra sociale esistenza — Quindi mi permetto esporre il risultato delle mie
meditazioni in proposito, considerando separatamente i Materiali del Linguaggio
ossia le Voci I. Come Elementi del
Discorso : II. Come Parti del
Discorso. Analizeremo nella Prima Parte
ciù, che riguarda le Voci radicali e le moltiplici generiche Joro Derivazioni:
Esporermo nella Seconda quanto richiedesi, onde nel discorso determinare con
precisione e il Valore di ciascuna parola e le varie Situazioni in cui
praticamente può presentarsi un Oggetto.
DELLE VOCI ELEMENTI DEL DISCORSO LLa Voci prese come
Elementi del discorso cioè isolatamente (ossia per quello che ciascuna
significa assolutamente in se stessa, senza riguardo ad altre voci che possono
accompagnarla) da noi si distinguono in Radicali, Derivate, e Sostituite. Radicali o Primitive son
quelle, ch' esprimono Cose effettivamente esistenti o in Natura o in
Immaginazione (a) ; come Sole, dolce, fuggire, Marte, Lete, ec. Derivate son quelle, che
provengono da Voci conosciute ed usate nella medesima Lingua (b); Le Idee non derivate da
altre, ossia le Idee Primitive sono tutte o naturali o immaginarie; e sì le une
che le altre anno nel nostro spirito una reale esistenza. La diversità che
trovasi frà loro, si è; che le naturali ànno il loro Tipo fuori del nostro spirito,
e le immaginarie nò. Le Idee
Derivate sono come diramazioni delle Idee Primitive; ossia anno la loro base
sulle Primitive tanto naturali che immaginarie - Ogni Idea Derivata è
propriamente un Idea puramente intuitiva; vale a dire è un Idea, che ci
formiamo col dare a qualche Idea primitiva un nuovo aspetto o carattere
puramente intellettuale.come solare, dolcezza, fuggitivo, marziale, le ceo ec.
5. Sostituite son quelle, che per maggiore energia chiarezza o brevità
si pongono in luogo d'altre Voci conosciute ed usate nella medesima Lingua; come mio - pensante - laterra è
fecondato dal Sole ec. per di me -che pensa - Il Sole feconda la Terra ec. La Prima Parte è quindi naturalmente divisa
in trè Sezioni; come gli Elemenci del Discorso lo sono in Voci radicali,
dentare, e sostituite. SEZIONE
PRIMA VOCI RADICALI • •= Le Voci Radicali furono
fissate dai Primi che parlarono una data Lingua qualunque, e i Posteri debbono
adattarsi ad apprenderle - Quindi è reo di lesa Convenzione sociale, chiunque
vo lesse in una Lingua introdurre de' nuovi suoni radicali meramente per capriccio
o per vana pompa di spirito; ma e ciascuno autorizato a produrre delle Voci
nuove, quando s'abbia ad esprimere qualche Idea, in un dato Linguaggio o
non-espressas o mal-espressa finora. Le Voci Radicali da noi si distinguono in Voci di
Cosa, di Giudizio e di Rapporto; giacché le Cose, i Giudizj ed i Rapporti
comprendono l'intiera Esistenza.Voci di
Cosa L'Uomo presentasi appena sul teatro della natura,
che trovasi circondato dall'Esistenza e dal Moto: Gli schiera quella dinanzi
gli Oggetti suvi moltiformi, e le sensibili loro Qualità; gli offre questo una
serie non interrotta di moltiplici varianti Azioni. Le Voci destinate ad esprimere questi Ogget ti,
Azioni e Qualità, son quelle che noi chiamiamo Voci di Cosa. PARAGRATO 1.°
Oggetti Chiamiamo Oggetto «Tutto
cio, cui si attribuisce o può attribuirsi una qualunque Azione • Qualità
». La Voce esprimente un
Oggetto qualunque, è detta Nome sostantivo o semplicemente Sostan-tivo; essendo
molto facile rilevare dalla sola definizione (10), che nella nostra mente ogni
Oggetto deve di necessità essere sostantivo, vale a dire che ogni Oggetto è da
noi concepito come sussistente. Gli Oggetti di cui si occupa il nostro Spi-rito,
sono ora individui (a) ed ora generici: Quindi (a) Si avverta di non confondere
individuo con indivisibile - Un Oggetto è indivisibile, quando non è formato
dall' unionetali saranno anche i loro Nomi. Quindi nel Linguaggio è necessario
distinguere i Sostantivi determinati dagl' indeterminati. 13. È determinato ogni Sostantivo, che
presenta allo Spirito un Oggetto unico e assolutamente in- dividuo; come Roma, Danubio, Europa ec. È
indeterminato ogni Sostantivo, che presenta allo Spirito un Oggetto generico,
applicabile praticamente a varj Individui della natura; come Uomo, Pian la,
Fiume, ec. applicabili ad un numero
maggiore o minore d'In-dividui; e propriamente secondoché sono applicabili ad
Individui, i quali possono più o meno suddividersi in altri Generi e quindi in
altri Nomi generici: Cosi il Nome Sostanza è più generico di Animale; e questo
è più generico di Uomo, che pure è Nome generico di sua natura. PARAGRATO 2°
Qualità ‹5. Chiamasi Qualità «
Ciá che un Oggetto à in se di rimarcabile, e che potrebbe anche non avere senza
cessare d'esistere »; o più semplice- di
varie parti; ed è individuo, quando lo consideriamo come solo, vale a dire come
segregato e distinto da tutti gli altri Oggetti — Omero è Oggetto individuo: Il
Punto Matematico ¿ •Oggetto
indivisibile:mente, chiamasi Qualità « Ciò che in un Oggetto trovasi non
assolutamente necessario alla di lui
esistenza ». • • x6. La Voce esprimente una. Qualità qualunque
sarà da noi detta Nome qualitutivo, o semplicemente Qualitativo. 17. Fissato cosa deve intendersi per Qualità,
determiniamo il valore di Proprietà d'un Oggetto — Proprietà chiamasi « Tutto
ciò, senza cui l'Oggetto non potrebb'esistere ». Quindi le Proprietà d' ogni
oggetto sono tutte comprese nel Nome dell'Oggetto medesimo. E siccome ciò che
in un Oggetto è Proprietà, in un altro esser potrebbe Qua-lità; cosi è di somma
importanza il sapere in ogni Oggetto ben distinguere l'una cosa dall'altra: Il
calore per esempio è Proprietà nel Sole, nel Fio-oo ec., ed è Qualità nel
Ferro, nel Marmo ec. È facile ora
intendere perché non può dirsi Fuoco
caldo, Neve bianca, Sole lucente ec.: cal-, do, bianco, lucente in tali Oggetti
non sono Qualità ma Proprietà; e quindi espresse rispettivamente dai Sostantivi
Fioco, Neve, Sole - Parimenti non può dirsi Fuoco freddo, Neve bruna, Sole
oscu-ro; perche le Proprietà degli Oggetti Fuoco, Neve, Sole escludono
rispettivamente le Qualità freddo, bruna, oscuro. PARAGRADO 3.°
Azioni 88. Chiamasi Azione « Tutto
cio, che.o si fa.o.può farsi o si suppone potersi fare da un Oggetto qualunque,
e in qualsivoglia istante di Tempo ».
1g. Ogni Azione esigge dunque un Oggetto, che Ja eseguisca — Ora alcune Azioni si
riferiscono esclusivamente all'Oggetto eseguente, anno in esso il perfetto loro
compimento, né possono per natura riguardare altr' Oggetto, né abbisognano del
soccorso di aliri Oggerti per essere espresse colla massima precisione; come
dormire, correre, passeggiare ec.: E queste da noi con ragione si chiamano
Azioni deberminate; giacché nella nuda loro espressione contengono quanto è
necessario alla in tutta l'estensione perfetta loro intelligenza - Altre Azioni
pui per natura sono riferibili a molti Og-getti, i quali possono essere diversi
e dall'eseguente e trà loro; come premiare, esporte, ferire ec.: E queste da
noi con eguale ragione si chiamano Azioni indeterminate; giacché colla semplice
loro espressione ci presentano soltanto un Idea generica di loro stesse, Idea
in un pratico discorso quasi sempre insignificante, Idea la cai estensione limi
tazione o determinazione dipende dall'Oggerto in cui finiscono tali Azioni 50. Dunque le Azioni possono turte
filosoficamente distinguersi in steterminase e indetermai nate - È determinata
ogni Azione, la quale proce in tutta la sua estensione possibile non può per
natura riguardare Oggetti diversi dall'Oggetto che la eseguisce ossia
eseguente: È indeterminata ogni 'Azione,
la quale può per intrinseca natura riguardare anche Oggetti diversi dall'
Oggetto eseguente l' Azione
medesima.Voci di Giudizio 21. L'Uomo
nello stato di natura per poca 0s-servatore ohe sia, facilmente si avvedo, che
lo Qualità e le Azioni dipendono assolutamente dagli Oggetti (a); e che le
prime ne sono come tante emanazioni, e le seconde come tante conseguenze. Egli quindi comincia a considerare gli
Oggetti come cause primarie delle sue sensazioni; e ad essi riporta e Azioni e
Qualica. Quindi appressandosi ad un
Oggetto qualun-que, è sua prima cura l'osservare altentamente e quali ditionda
o includa Qualità, e di quali Azioni sia desso capaco. Conseguenza
naturalissima di tale osservazione sarà il conoscere la stato e la partico
larità dell'Oggetto; e quindi se ad esso convenga . o non convenga tale o tal
altra Azione e Qualità. Se dunque
l'Uomo abbia a comunicare la sua Scoperta ad altrui, deve nocessariamente
fissare una Voce che affermi ed una che neghi; assia una Voce che congiunga al
Nome di Oggetto quello d' una daia Azione o Qualità, ed una Voce che dal Nome
di Oggatia allamani il Nome d'una ← (a)
Noi supponiamo l'Uomo nei filosofici primordi della Creazione e della sua
mentale Esistenza; quindi non avvezzo alla contemplazione d'Everi astratti,
d'Esseri intellettuali epirituali e morali; quindi escluiramante oceupato degli
Oggetti Asici:, che lo circondano.data
Azione o Qualità - La prima chiamasi Voce di Giudizio affermativo, la seconda
Vuce di Giu dizio nogativo. 34. In Italiano essere è l'espressione
generica di Giudizio affermativo, non-essere quella di Giudizio negativo. VERBI
a5. Dall'esposto superiormente (21, e seg) è facile rilevare, che il
Linguaggio in origine non aveva i cosi detti Verbi; e che questi debbono la
loro esistenza non alla natura delle Cose, ma al-l'ingegnosa variante bizzarria
degli Uomini. Infatti correre, scrivere, premiare ec. in natura significano
essere corrente, scrivente, premiante ec; e il solo capriccio, o tutt' al più
l'amore di brevità. con gravissima lesione della chiarezza e facilità di
Lingua, riuni queste due distintissime Voci: in una sola. 26. Richiedendo quindi l'Analisi del
Linguaggio che sia il tutto possibilmente riportato ai suoi primi elementi, si
vedrà di leggieri quanto importi l'e-sercitarsi nella decomposizione de' Verbi,
onde acquistarne una giusta analitica idea. Questa decomposizione è per altro
della massima facilità, fissando con definizione esattissima, che Verbo
significa « Parola formata da due Voci, una di Giu dizio l' altra di Azione
». • 27. E siccome ogni Azione è di sua
natura determinata o indeterminata (20), cosi chiameremo rispettivamente
determinato o indeterminato anche il Verbo che la esprime.Voci di Rapporto • 28. Fissate le Voci di Giudizio e di Cosa,
può l'Uomo convenientemente spiegare agli altri la sua situazione, i suoi
bisogni, la sua volontà. Ma le Cose, ossia gli Oggetti le Qualità e le Azioni
(9), anno o almeno possono avere molti e diversi Rapporti frà loro; come di
Tempo, di Numero, d'Au-mento, di Luogo ec. Dunque per esprimersi con precisione
è necessario nel Linguaggio stabilire delle.
Voci per ciascuno di tali Rapporti.
Cosa nel nostro senso debba
intendersi per Rapporto, è più facile rilevarlo dal contesto di questo
Capitolo, che definirlo. Pure per chi ne bramasse la definizione, dico per
Rapporto nel nostro senso intendersi « Tutto ciò che ci offre una Cosa
qualunque, considerata non in se stessa ma relativamente ad altre Cose ». Premesso, che stante
l'intrinseca loro natura non tutte le Cose possono o debbono avere gli stessi
Rapporti, ch'è quasi impossibile assegnarli tutti sistematicamente, e che in
tale materia fatto il primo passo è molto facile progredire da se colla sola
guida dell'Analogia e del Buon-senso; mi limito a far dei Rapporti la seguente
analitica Espo-sizione. PARAGRAFO 1.° Luogo - 31. Luogo significa « Punto o
Aggregato di Puntioccupato da un Corpo qualunque nello spazio; cioe nella Natura ». Fissata questa definizione, l'idea che naturalmente
si acquista d'un Corpo, cioè d'un Oggetto fisico-materiale, fa chiaramente
conoscere, che uno stesso Corpo non può al tempo stesso trovarsi in due o più
Luoghi diversi; e che due o più Corpi non possono al medesimo tempo occupare lo
stesso identico Luogo. Essendo cosa
molt'orvia, che l'Uomo debba considerare due o più Oggetti fisici al tempo
steseo e che debba determinarne i Rapporti di Luogo, —cioé la Vicinanza o
Lontananza; le Parti supe riore, interna ec. — egli dovrà necessariamente far
aso di apposite Espressioni, che noi chiamerema
Voci di Luogo; come sopra, solo, fuori, avar ti, presso ec. Тетро 34. Dal Moto nasco naturalmente l'idea
del Тетро. Infatti il Moto non e che e L'effetto del pae
saggio d' un Corpo dall'uno ad altro punto dello spazio ». Ora un Corpo non
potendo al medesimo istante trovarsi in due Punti diversi (32), e il Punto in
cui comincia il Moto essendo necessariamente diverso da quello in cui possiamo
supporlo termi-nare, siegue che questo Corpo movendosi si tro-rerà
successivamente in ciascun Punto dello Spa-zio che percorre. Quindi per fare il
suo passaggio impiegherà tant' Istanti, quanti sono i Punti sulla linea
percorsa; vale a dire nel primo Istante si tro-terà sul primo Punto, nel
secondo Istante sul se condo Punto, e cosi di seguito; finché nell'ultimo
Istante sarà sull'ultimo Punto del suo cammino.
Ma i punti dello Spazio percorsi dal Corpo si succedono immediatamente,
e formano una Linea continuata. Dunque anche gl'Istanti ne' quali avviene
l'occupazione de varj Punti, debbono succedersi immediatamente e formare una
Serie continuata — Dunque in qualsivoglia Moto immaginando con molta facilità
espressi da una Linea i Punti dello Spazio che il Corpo successivamente
percorre, sarà pur facile da un altra Linea sempre paralella (a) a quella del
Moto, immaginar espressi gl' Istanti successivi impiegati dal Corpo a
percorrere i varj Punti dello Spazio. Ma
l'unione di tali Istanti forma ció che chia-masi, Tempo impiegato da un Corpo
per eseguire il suo movimento - Dunque dal Moco nasce naturalmente l'idea del
Tempo. 35. Dunque, riflettendo che un
Azione in ispecie mentale può aver luogo anche in un Istante solo, il Tempo
sarà esattamente definito « Istante •
Aggregato d'Istanti, in cui à luogo un Azione qualunque ». (a) Due Linee sono paralelle, quando sa totti
i Panti cico. sempre ugualmente distanti
fià loro,Tempo Il Moto cominciò ad
esistere colla Natura; né può finire, se non cessando di esistere la Natura
medesima. Ma il Tempo è inseparabile dal Moto (34). Dunque ci formeremo un idea
generica del Tempo totale, immaginando una Linea retta, le cui estremità poggino
da una parte al princi-pio, dall'altra al fine della fisica Esistenza. Fissata con chiarezza
questa Linea generica di Tempo, e ponendoci coll' immaginazione su d'essa, è
dai varj di lei punti che dubbiamo os servare le moltiplici assolute e
possibili Azioni. Ma: di questo parleremo in seguito (97, e seg). Quindi ci
limitiamo per ora a stabilire, che le Cose e propriamente le Azioni possono
avere dei Rapporti di Tempo; e che l'Uomo fù quindi obbligato a fissare delle
Voci per esprimerli - Queste Voci sono oggi, adesso, jeri, subito, un anno jà,
da qui a un mese ec.; che noi perciò chiameremo Voci di Tempo. Tempo
38. Ponendoci coll'immaginazione su qualunque punto della generica Linea
di Tempo (36), ci sarà facile vedere; che molte Azioni furono già consu-mate;
che molte debbono ancora effettuarsi; e che molte si eseguiscono al momento in
cui 0s-serviamo. Avremo dunque su questa Linea una Serie d'Istanti già decorsi,
una Serie d' Istanti svenire, ed un Istante unico indivisibile che separa
sempre queste due Serie. 3y. Diremo
quindi; di Tempo passato qualunque Istante o Aggregato d'Istanti, preso sulla
prima Serie; di Tempo futuro qualunque Istante o Aggregato d'Istanti, preso
sulla seconda Serie; e di Tempo presente l'Istante unico indivisibile, che
separa il Passato dal Futuro. Il Tempo presente come
formato da un Istante solo, é sempre determinato di sua natura: Ma i Tempi
passato e futuro come formati da lunga Serie d'Istanti, possono da noi
considerarsi o come Passato e Futuro in genere cioè senz' alcuna limi-tazione,
o come Passato e Futuro riferibile a qualche precisato Punto della Serie. Quindi il Tempo passato
egualmente che il futuro sarà determinato o indeterminato - È de-cerminato, se
esprimiamo l' Istante o Aggregato parziale d'Istanti, in cui avvenne o avverrà
l'A-zione; come l'anno tale, il mese cale, a due ore ec: E indeterminato, se
riportiamo l'Azione al Passato o Futuro genericamente, e senza fissare limite
alcuno sulla Linea del Tempo; come viddi, partirò ec. Numero 4a, Gli Oggetti si
presentano all'Uomo ora iso-lati cioé in numero di uno, ed ora uniti cioé in
numero di più; e la chiarezza del Discorso esigge naturalmente che si
specifichi, se uno o più sona gli Oggetti in una data Azione o Giudizio, vale a
dire che si specifichi il Rapporto di Numero - Le Voci destinate a far
conoscere tale Rapporto sono. uno, trò, cento, alcuni, molti ec. ; le quali
perciò saranno da noi chiamate Voci di Numero.
Il Numero di uno ossia un
Oggetto isolato, rispetto al Numero è sempre determinato di sua natura. Ma il
Numero di più può essere determinato o indeterminato - E determinato, se
esprimiamo da quanti uno desso è formato; come cin que, nove, cento ec. che
sono rispettivamente formati da cinque, nove, o cento Unità: E indeterminato,
se esprimiamo un Numero di più in genere, cioe senza fissare da quanti uno sia
desso formato; come alcuni, molti, pochi ec. Ordine Più Cose diconsi ordinato,
quando si presentano lungo una stessa Linea continuata: E siccome noi
concepiamo delle Linee tanto nello Spazio che nel Tempo (34), cosi nelle Cose
potremo avere Ordine e di Spazio e di Tempo. Posto quindi che più Cose
sieno schierate lungo una stessa Linea, determinare l' Ordine d'una qualunque
di esse significa « Fissare il punto, che tal Cosa occupa sulla Linea; e
fissarlo unica-mente in relazione al punto occupato dalle altre Cose, esistenti
sulla Linea medesima ». Dunque essendo molto facile
che si presentino all'Uomo delle Cose schierate in Linea o di Spazio o di
Tempo, e ch'egli debba indicarvi il posto di qualcuna o di più, tale Rapporto
dovrà essere necessariamente espresso con Voci apposite, che noi chiameremo
Voci d'Ordine; come primo, secondo, ultimo, dipoi, infine ec. PARAGRATO 7°
Sesso In quasi tutte le Specie
d'Esseri organici ossia aventi la proprietà di propagarsi, la Natura ei
presenta dei Maschj e delle Femmine. Le funzioni di tali esseri essendo diverse
come diversa n'è la struttura, l' Osservatore se voglia con una sola Parola esprimere
tutti gl'Individui d' una stessa Specie, dovrà fissare una Voce o Segno per
indicare quand' oocorra, se maschio o femmina sia l'Oggetto da lui nominato -
Quindi il Linguaggio aver deve le Voci o Segni di Sesso. Gredo superfluo
l'avvertire, che moltissimi Oggetti sono mancanti di Sesso; e che negli Oggetti
aventi Sesso, pratticamente non é sempre necessario indicarlo, come cosa
indifferente al dis- corso: Cosi dicendo per esempio — che viddi un Ca-vallo,
un Aquila, un Fiore ec. - moltissime volte è inutile ed anche impossibile
precisare il Sesso di tali Oggetti; né ció altera punto l'intelligenza
ochiarezza del sentimento, perché la cognizione del Sesso è allora del tutto
estranea alla natura del pratico discorsa. Modificazione 49. Le Azioni e Qualità sono suscettibili di
Ma dificazione, cioè « di prendere un aspetto diverso, ritenendo peró il loro
carattere originario». Ciò propriamente succede, quando l'Azione o Qualità è
unita a qualche Particolarità caratteristica; ma unita in modo, che tale Particolarità
penetra in tutta l'estensione il valore radicale della Qualità • Azione accompagnata, immedesimandosi con
es-so; come cantare dolcemente - amorosamente fedele ec. 50. L'effetto che in una Bottiglia piena
d'Acqua producono poche stille di ben colorato Liquore, puù somministrare un
Idea di ciò che intendiamo per Qualità o Azione modificata. Il Colore investe
l'Acqua in tutta l'estensione; ma l'Acqua conserva la sua natura, e subisce
soltanto una Modificazione - Diremo quindi essere modificata *Ogni Azione o Qualità, il cui assoluto
valore ci si presenta come compenetrato da alcune accompagnanti Particolarità,
e immedesimato con esse». Le Voci
destinate ad esprimere tali caratteristiche Particolarità, sono da noi chiamate
Voci di Modificazione ; come chiaramente, con viva- cità, confusamente ec.Variazione 5s. Fissato coll'esperienza il valore
assoluto di. ciascuna Qualità, l'Uomo o
trova in natura o facilmente concepisce, che le Qualità possono gradatamente e
aumentarsi fino ad un massimo e diminuirsi fino ad un minimo. Infatti data una Linea retta obliqua (99), se
stabiliamo il di lei punto medio com' esprimente lo stato assoluto della
Qualità, possiano agevolmente concepire questa Qualità capace gradatamente
tanto di salire fino alla sommità della Linea;
quanto di scendere fino alla inferiore di lei estre-mità. Ritenendo
quindi che la Qualità aumenti.
d'intensità e di forza a misura che sale, e ne diminuisca a misura che
scende per questa immaginata Linea obliqua, sarà facile formarsi un Idea delle
Variazioni che può dessa successivamente.
subire. Dato quindi che una Qualità
sia fuori del suo stato assoluto, se vorremo precisarne la vera situazione,
ossia il Punto in cui si trova sulla nostra Linea, converrà far uso di
Espressioni indicanti tale Rapporto, e che noi chiameremo Voci di Variazione;
come assai, poco ec. Aumento e Decremento Tutte le Cose, cioè gli
Oggetti le Azioni e le Qualità, quando non vi si opponga l'intrinseca loro
natura, possono subire degli Aumenti e De-crementi; e ciò specialmente nella
nostra maniera di concepirle (V. Lingua Fil-Univ. n.° 145). Tali Aumenti e Decrementi
sono sempre relativi all'Idea assoluta, ossia alla prima Idea che di ciascuna
cosa ci siamo preventivamente formati.
Propriamente si à Aumento, quando la prattica circostanza esigge che
l'Idea assoluta d'una cosa qualunque nel nostro spirito divenga maggiore; • quando si la dessa minore, abbiamo
Decremento. 54. Siccome sarebbe
impossibile calcolare e ridurre a sistema tutti i varj gradi di Aumento e
Decremento nelle Cose, il Linguaggio si limita ad esprimere un Aumento e
Decremento generico-in definito: Così da sala, stanza, Libro abbiamo in genere
gli Aumenti indefiniti Salone, Stanzone, Librone, e gl'indefiniti Decrementi
Saletta, Stan- zetta, Libretto. Dunque il Linguaggio avrà per tali Rapporti
delle apposite Espressioni, che chiameremo rispettivamente Voci o Segni di
Aumento e Decrei mento. Confronto 55.
Oggetti diversi ci offrono non di rado eguali
Azioni e Qualità; e questa è verità conosciuta praticamente da ognuno: «
Corre il Cavallo ed il Cane; è dolce il Pomo ed il Mele ec. » - Se quindi la
circostanza richieda che in due o piùoggetti si consideri la stessa Azione o
Qualità, converrà avvicinare tali Oggetti frà loro, ossia porli l'uno all'altro
dirimpetto o di fronte; il che chiamasi confrontare. Effetto di tale avvicinamento o Confronto sarà quasi
sempre il conoscere, che l'Azione o Qualità d' un Oggetto eguaglia
perfettamente quella dell'altro, o ne differisce - All' osservatore son dunque
necessarie delle Espressioni per indicare l' Eguaglianza o Differenza scoperta;
e son quelle che noi chiamiamo Voci di Confronto, oppure di Eguaglianza e
Differenza, come dai due Paragrafi seguenti. Il Confronto può farsi
anche sulle Azioni • Qualità d'un solo Oggetto. In tal caso peró dobbiamo
contemplar tale Oggetto in epoche di-
verse, ossia col soccorso della Memoria dobbiamo considerarlo come
pluralizato. Quindi potremo giu-
stanrente applicarvi la Teoria sovresposta per O'g- getti frà loro diversi. Eguaglianza 58. Due Cose sono eguali, quando non è
possibile assegnare frà loro alcuna nè Differenza né Diversità (6o). Dunque non
può darsi Eguaglianza negli Oggetti, perché tutti presentano delle Varietà più
o meno rimarchevoli. È però cosa molt' ovvia rinvenire uguali due Azioni, due
Qualità, due Rapporti.Dunque esistendo
in natura delle cose uguali trà loro, l'Uomo per indicare tal Eguaglianza dovrà
far uso di apposite Espressioni, che noi chiameremo Voci d' Uguaglianza; come
ugualmente, canto quanto, al pari di ec.
PARAGRARO 13.° Differenza 5g. Confrontate due Cose di medesima Natura e
trovatele non eguali, la quantità di cui una su pera l'altra, è ciò che
propriamente costituisce la Dijferenza tra queste due Cose. Esistendo in natura moltissime Differenze,
l'Uomo si troverà bene spesso nella situazione di dover indicare tale Rapporto:
Quindi farà uso di apposite Espressioni, che noi chiameremo Voci di Differenza;
come più, ineno, maggiore ec. 6o. I
Matematici son forse i soli che abbiano un esatta nozione del valore della
parola Diffe-renza, che nelle Lingue suole ordinariamente confondersi con
Diversità -E dunque di molta importanza stabilire, che la Diversità esiste
unicamente frà cose che non sono di medesima natura; e la Difjerenza invece
esiste unicamente frà cose di medesima natura. Quindi si dirà, che « il Bianco
è diverso dal Rosso; e il Bianco-neve è differente dal Bianco-latte
»Somiglianza 6r. Due cose sono Simili,
quando anno eguali Proprietà (17); senza
riguardo alcuno alle loro Qualità, che
possono pur essere differenti ed anche diverse.
Infinite essendo le cose simili che ci offre la Natura, abbiamo
spessissimo bisogno d'indicare tale Rapporto: Quindi usar dobbiamo Voci
appo-site, che chiameremo Voci di Somiglianza; come simile, similmente ec. Identità
Identico deriva dalla voce
latina idem, che significa istesso -Non esistendo in natura Oggetti eguali
perfettamente trà loro (58), siegue che ogni Oggetto aver deve i Distintivi
suoi partico-lari; e questi particolari Distintivi formano appunto la base dell'
Identità, ossia formano ciò che serve. a riconoscere a identificare ogni
Oggetto. Quindi per determinare
l'Identità d' un Og-getto, bisogna fare astrazione da qualunque e Proprietà e
Qualità, ch' essergli potesse comune cogli altri Oggetti della sua specie;
calcolando unica-mente, ciò che in esso rimane dopo tale astrazione. In ogni Giudizio d'Identità
si richiede necessariamente un Confronto; dobbiamo cioè confrontare l'Oggetto
presente, coll'Idea che di essoabbiamo già nello spirito. Dunque sarebbe un
assurdo il determinare l'Identità d' un Oggetto che fusse nuovo per noi, vale a
dire che agisse per la prima volta sui nostri organi sulle nostre facoltà.
Trovandoci alle volte in bisogno di esprimere l'Identità negli Oggetti, faremo
dunque uso di Voci apposite, che chiameremo Voci d' Identità; come stesso,
medesimo ec. Approssimazione 65. Nel confrantare più Cose non di rado si
scopre, che la stessa Qualità o Azione non è in tutte uguale perfettamente; ma
si conosce al tempo stesso, che la Differenza n'è piccolissima. Se quindi la
natura del Discorso o del Confronto non esigga assoluta precisione di calcolo,
basterà che ne indichiamo la conosciuta approssimativa Eguaglianza. Per tale Rapporto si dovrà dunque far uso di
Espressioni, che chiameremo Voci di Apprassi mazione; come quasi, incirca, a un
dipresso ee. Dichiarazione 66. Uno stesso Oggetto può in diverse
circostanze trovarsi in situazioni diverse; e la chiarezza del Discorso esigge,
che in ogni circostanza si dickia-ri, qual n'è la situazione precisa. Di questo tratteremo in seguito (184)
detta-gliatamente. Quindi basta per ora fissare che chiamiamo Voci di
Dichiarazione o dichiaranti quelle Voci, le quali stabiliscono e fanno
conoscere nel Discorso la vera Situazione dell'Oggetto; come di, a, da ec. Connessione
Benché in natura le Cose
sieno tutte isolate, allo spirito dell'Osservatore spesso pur si presentano
unite frà loro. Questo Rapporto d' Unione è troppo frequente ed essenziale,
perchè sia necessario indicarlo con Espressioni apposite, che chiameremo Voci
di Connessione; come insieme, e, anche ec. Esclusione Da una o più Cose è molte
volte necessario allontanarne altre, che o vi sono o vi sogliono o vi possono
essere unite. Quindi per tadicare quali Cose si allontanano ossia si escludono,
dobbiamo far uso di Espressioni apposite, che chiameremo Voci di Esclusione;
come senza, nè, neppure. solcanto, unicamente ec. .Alcune di queste Voci, come
soltanto, unzi, camente ec. potrebbero forse con più precisione chiamarsi Voci
d'Isolamento. L'Isolamento d'una Cosa
però includendo l'allontanamento o Esclusione di tutte le altre, parmai abe
possa desso cose-prendersi sotto la denominazione generica di Esclu-sione; e
questo soltanto per semplificazione mag-giore.
Sulle Voci di Rapporto 6g. Oltre
i molti analizati finora esistono trà le Cose moltissimi altri Rapporti, come
di Cagione, Mezzo, Fine, Quantità, Replica, Condizione, Dubbio, Opposizione,
Incertezza, Transizione, Restrizione, Conclusione ec.; ed esistono pure nel
Linguaggio Voci apposite per esprimerli tutti distintamente -Mi credo però
autorizato a tralasciarne l' Analisi; si perché riescirebbe lunga troppo e
nojosa; si perché dopo l'esposto finora può ciascuno continuarla da se,
consultando all' uopo qualche Grammatica, per esempio Restaut, specialmente
all'Articolo Congiunzioni.VOCI DERIVATE
70. Chiamiamo derivate (4) le Voci provenienti dalle Radicali, e che
sono propriamente destinate ad esprimere come una modalità, ossia una diversa
forma un nuovo impasto della Voce radicale da. cui provengono: Così celeste,
montuoso, virtù, jodelmente, prolungare ec. sono: Voci derivatedalle Radicali
Cielo, Monte, Virtuoso, Fedele, Lungo
ec. 71. Siccome esigge l'Analisi, che
nelle Voci derivate sappiamo scoprire e determinare la Radice primitiva
esistente in una medesima Lingua; cost è necessario esaminare in dettaglio le
varie generiche Derivazioni, che abbiamo dalle diverse generiche Radici. Quindi analizeremo successivamente, ciò che
deriva in genere dalle Voci radicali di Cosa, di Giudizio e di Rapporto;
avvertendo, che le Lingue praticamente sono nelle Derivazioni irregolarissime e
capricciose. Derivazioni dalle Radici di
Cosa Avendo fissato (9), che
sotto il nome di Cosa intendiamo gli Oggetti le Azioni e le Qua-lità, vuole
l'ordine e la necessaria chiarezza, che n'esaminiamo partitamente le varie
generiche De-rivazioni. PARAGRATO I.° Dalle Radici di Oggetto Per ben caratterizare un
Oggetto avviene molte volte, che dobbiamo attribuirgli in via di Qualità, ciò
che forma l'essenza il distintivo la proprierà d'un altro Oggetto-In tal caso
per avere l'espressione conveniente non si fà che dare al Nome dell'Oggetto
qualificante la forma diNome qualitativo: Così da Monte, Radice, Leone ec.
abbiamo i qualitativi montuoso, radicale, leonino ec. Dalle Radici di Oggetto può dunque
derivare una Voce di Qualità. Molti Verbi, come navigare caralcate ve stire
sospirare suonare ec. siccome in fondo con-
¿engono il Nome dell'Oggetto che si usa nell'a-zione, sembra derivino da
una Radice di Oggerio, cioé da Nave Cavallo Veste Sospiro Suono ec. — Si
avverta però, che questi e simili Verbi sono Vori di Azione non derivate ma
radicali. 75. Anche molti Sostantivi
specialmente astratti come radicalità montuosità ec., sembra derivino dai Nomi
primitivi di Oggetto Radice Monte ec. Si
faccia quindi attenzione, che tali Sostantivi derivano invece dai Qualitativi
radicale montuoso oc. Serva quest'
Arvertenza a porre in guardia Chi legge,
onde non si lasci trasportare ed illa-dere da una speciosa imponente Apparenza;
cosa niente difficile in tale Materia.
Dalle Radici di Qualità 76. Dalle
Radici di Qualità abbiamo tré Deri-vazioni, cioè una Voce di Modificazione,
an Sostantivo-Astraito, ed un Verbo.VOCE
DI MODIFICAZIONE Per fissare chiaramente
e con precisione una Qualità o un
Azione, bisogna non di rado attribuirle l'essenza di qualche Qualità, ossia
col-l'ajuto d'una Qualità bisogna spiegare il modo l'aspetto, sotto cui devesi
riguardare una data Azione o un altra
data Qualità - In tal caso basta dare l'aspetto di Modificazione (49) al Nome
di Qualità precisante: Così da onesto facile veloce ec. abbiamo le Voci di
Modificazione onestamente facilmente velocemente ec. Dalle Radici di Qualità deriva
dunque una Voce di Modificazione. SOSTANTIVO-ASTRATTO DI QUALITA' Astrarre viene dal latino abstrahere, che significa
trar-fuori o separare; e propriamente si astrae, «Quando si considera come
isolata, una Cosa che di sua natura é inseparabilmente unita a delle altre »—
La facoltà di facilmente astrarre si rinviene in pochi, e non si acquista che
con solitarie prolungate meditazioni. Ora dati più Oggetti, se astraggasi da tutti una
stessa Qualità, allo spirito del Filosofo questa: Qualità si presenta come un
Oggetto generico, il quale agisce su tutti i parziali Oggetti da cui desso fu
astratto. Egli quindi ne forma cosi un Ente, il quale propriamente non esiste
che nella sua maniera di mentalmente concepire; Ente, al quale attribuisce poi
come la virtù ed il potere d'infun-dere negli Oggetti parziali quella s'essa
Qualità, da cui esso deriva - Quest' Oggetto generico, quest' Essere puramente
intellettuale, è da noi chiamato Sostantivo-Astratto proveniente da Radice di
Qualità: Così da facile; modesto, veloce ec.
abbiamo Facilità, Modestia, Velocità ec.
Dalle Radici di Qualità deriva dunque un
Sostantivo-astratto (a). VERBO
DERIVATO So. Gli Uomini si trovano
spesso nella situazione di attribuire d' infondere di comunicare ad un Oggetto una Qualità, che desso prima non
aveva -In tal caso per esprimere questa operazione basta dare l'aspetto e la
natura di Verbo alla Voce radicale della Qualità da comunicarsi: Cost da dolce,
piano, facile ec. abbiamo dolcificare, appianare, facilitare ec.; che
propriamente significano rendere dolce, piano, facile ec. un Og- (a) È di molta importanza il sapere ben
distinguere le Idee d'Immaginazione da quelle di Astrazione. Le prime benchè
manchino di Tipo fuori del nostro spirito (Vedi. pag. 17 Nota (a)), pure ànno tutte una reale
primitiva Esi-stenza: Le seconde per loro natura non possono essere che
derivate (Vedi pag. 17 Nota (b) ).
Inoltre le prime sono figlie di Calore e d' Irritabilità: Le seconde
procedono da Freddezza e da Meditazione. Quindi l' immaginoso Genio poetico
domina sulle Regioni del Mez-zodì, come sulle Nordiche regna quello
dell'intellettuale Pro. fondità. Quindi il Linguaggio Russo per esempio à
l'impronta. dell' Astrazione, come quella dell'Immaginazione è visibile nel Greco.getto qualunque, secondo la natura del
prattico Discorso. Verbo.
Dalle Radici di Qualità deriva dunque un
Dalle Radici di Azione 8r.
Distinte le Azioni in determinate e indeterminate (20), parleremo separatamente
delle Derivazioni che si anno da ciascuna di queste due specie di Azioni,
premettendo cosa nei Verbi deve intendersi per Voce attiva e passiva. VOCI ATTIVE et PASSIVE Ogni Giudizio di sua natura, come può rilevarsi dal
già esposto (21 e seg.), esigge trè Cose; un Oggetto cardine di Giudizio; una
Voce di Giu dizio; ed una Voce di Azione o Qualità - Dunque in ogni Giudizio di
Azione avremo; 1.° 0g-getto Cardinale; 2.° Voce di Giudizio; 3.° Voce di
Azione. Ora l'Oggetto cardinale o
eseguisce desso come Pietro ama ossia è amante; ed è invece in istato di
passività (a) se la riceve, come Tizio è
(a) Passivita nel nostro Senso non significa altro che rice-pimento;
ossia un Oggetto è nel nostro Senso passivo, quando è scopo diretto d'un Azione
qualunque.amato — Ma il ricevere un Azione non è lo stesso ch' eseguirla.
Dunque in ogni Giudizio di Azione è necessario esprimere, se l'Oggetto
cardinale é attivo o passivo - Ma il Giudizio di Azione é formato da sole tré
Cose; cioé « Oggetto cardina-le, Voce di Azione e Voce di Giudizio » (83). Dunque da una di queste trè Cose sarà
espressa l'attività o passività dell'Oggetto - Ma il nome dell'Oggetto è
inalterabile, cioè sempre Pietro sempre Tizio; la Voce di Giudizio per natura
non può esprimere che affermazione o negazione (23). Dunque l'actività o
passività dell'Oggetto cardinale sarà necessariamente espressa dalla Voce di Azione. 84. Dunque chiameremo attiva ogni Voce di
Azione, la quale indica che l'Oggetto cardinale é attivo; come amante, in
Pietro ama, cioè è aman-te: E chiameremo passiva ogni Voce di Azione, la quale
indica che l'Oggetto cardinale è passivo;
come amato, in Tizio è amato. È
qui necessario avvertire, che nella Lingua
paliana ed in a dele lei di presenta che aso lã tamente non sono passive; come dormito,
corso, fuggito ec. - Cosi amato per esempio è passivo in Eu sei amato; e non lo
è in tu ài amato, che può ridursi a tu amasti, ossia il fosti amante. Quindi è indispensabile un conveniente
esercizio nel decomporre ed analizare simili espressio-ni; giacché é di somma
importanza il sapere bene e facilmente distinguere le Voci attive dalle
passi-ve; e quelle che sono tali realmente, da quelle che ne ànno soltanto l'
apparenza. Dalle Radici di Azione DETERMINATA
85. Dalle Radici di Azione determinato deriva una Voce-attiva, un
Sostantivo astratto, ed un Nome di
Attore. VOCE-ATTIVA Azione determinata
essendo quella che risguarda esclusivamente l'Oggetto che la eseguisce (20), è
chiaro che nelle Azioni determinate l'Oggetto cardinale non può non essere
Attivo - Ma l'attività dell'Oggetto è espressa dalla Voce di Azione (83).
Dunque dalle Radici di Azione determinata deve derivare e deriva una
Voce-at-siva: Così da correre, sedere ec. abbiamo corren- te, sedente ec. SOSTANTIVO-ASTRATTO DI AZIONE 87. La natura del discorso ci porta non di
rado ed esprimere il fine la conseguenza il risultato d'un Azione, senza peró
dipartirci dall'Azione medesima e senza precisamente considerarla come Azione —
La Voce che usiamo in tal caso, é ciò che da noi chiamasi Sostantivo-astratto
di Azio-ne: Cosi da correre, sedere ec. abbiamo Corsa, Seduta ec, cioé una
Corsa, una Seduta ec.NOME DI ATTORB 88.
Molte volte dobbiamo o ci piace esprimere un Oggetto non qual esiste in natura,
ma solo come agente in una data Azione, vale a dire semplicemente come Attore -
In tal caso non facciamo che dare alla Radice di Azione aspetto e valore di
Sostantivo; e la Voce che ne risulta, é da noi detta Nome di Attore o
Oggetto-attore : Cosi da passeggiare,
trionfare ec. abbiamo Passeg giatore, Trionfatore ec. Dalle Radici di Azione INDETERMINATA 8g. Dalle Radici di Azione indeterminata
deriva primieramente una Voce-attiva, un Sostantivo-as-tratto, ed un Nome di
Attore, come da quelle di Azione determinata (85). Infatti rapporto alla Voce-attiva si
rifletta, che nelle Azioni indeterminate (49 e 20) 1'0g-getto cardinale del
Giudizio può essere attivo, benché nel discorso non sempre praticamente. lo
sia; e riguardo al Sostantivo-astratto e al Nome di Attore si richiami il
sovresposto (87 e 88). Quindi da vincere
coltivare scoprire ec. avremo « vincente, coltivante, scoprente — Vincita,
Colti-vazione, Scoperta - Vincitore, Coltivatore, Sca- pritore ».
90. Dalle Radici di Azione indeterminata abbiamo inoltre una
Voce-passiva, ed un Nome qualitati:o.VOCE-PASSIVA 9í. Azione indeterminata essendo quella, che
nel suo scopo può riguardare un Oggetto diverso da quello che la eseguisce
(29), è chiaro che l'Oggerto cardine del Giudizio può molte volte essere
praticamente nello stato di passività; e ciò propriamente ogni volta che
l'Oggetto cardinale non è l'eseguente l'Azione espressa dal Giudizio; come
Pietro, Voi, Essi, ed. in «Pietro fü vin-
10 - ['oi sarete premiati - Essi furono assolti ec. » Ma la passività dell'Oggetto Cardinale è
nel Giudizio espressa dalla Voce di
Azione (83). Dunque dalle Radici di Azione indeterminata deve derivare e deriva
una Voce-passiva: Cosi da es-porre, vincere, leggere ec. abbiamo esposto,
vin-to, letto; che sono Voci passive in «Egli fù es-posto, vinto, letto e
simili » richiamando la già premessa osservazione (84). NOME QUALITATIVO 92. Bisogna non di rado indicare, che ad un
Oggetto è applicabile in via di Qualità l'essenza d' un Azione; o meglio
bisogna indicare, che un Oggetto à la prerogativa di poter essere passivo
riguardo ad una data Azione, vale a dire ch'é capace di ricevere questa data
Azione - In tal caso per esprimere tale prerogativa si dà alla Radice di Azione
l'aspetto ed il valore di Nome Qualitativo, che noi chiamiamo «Qualitativo
proveniente da Radice di Azione»: Così da esporre,vincere, coltivare ec.
abbiamo esponibile, vinci-bile, coltivabile; vale a dire che può essere o che à
la prerogativa di poter essere esposto, vir-
80, collivato ec. Sulle Derivazioni dalle Radici di Cosa 93. Non tutte le Parole radicali anno
prattica-mente le diverse finora enanciate Derivazioni; alcune perché
ripugnanti all'intrinseca natura delle Cose, altre perché nelle Lingue
prattiche non adottate dall'Uso.
L'arbitraria Irregolarità nelle Derivazioni et un difetto più o meno
notabile in tutte le Lingue, ed è una delle prove più convincenti che le Lingue
furono a poco a poco e capricciosamente formate dalla consuetudine, non dal
Calcolo filoso fico né con regole di sistema — Tale osservazione dovrebbe più
che ogni altra persuaderne, che i Sistemi i Metodi ed i Libri impiegati finora
per lo Studio delle Lingue sono direttamente opposti alla natura del pratico
Linguaggio; e servono solo ad inceppar la Meoria, a istupidire lo Spirito, e
precisamente ad impedire la cognizione di ciò che si pretende insegnare. Ed
infatti a che serve una can-gerie enorme di Regole, quando son queste sag-gette
ad una congerie ancora maggiore d' Irrego larità? A che servono i Metodi anche
più famosi, se posti in pratica incontrano ad ogni passo Eccezioni infinite? I
Latini per esempio per appren-dere la propria Lingua non impiegavano certamente
tempo e studio maggiore di quello che s'impieghi da noi per ben imparare la
nostra Lingua natia. Ora come giugniamo noi a conosceren la propria Lingua? Non
è egli vero, che l'Uso e la Lettura furono in ciò i soli nostri Precetto-ri? E
perché abbandoneremo queste sperimentate
Guide benefiche, quando trattasi di Lingue stranie-re? - Ragioniamo; e
vedremo svanirci dinanzi ogai difficoltà.
CAPO II Derivazioni dalla Voce
Radicale di Giudizio 94. Fissata per
Voce radicale di Giudizio affermativo l'espressione essere, abbiam visto (34)
che pel Giudizio negativo basta unire ad essa la Ne-. gasione; ed abbiamo così
non-essere. Quindi la, Voce radicale di
Giudizio in fondo si riduce alla sola essere; e con essa, accompagnata dalle op
portune Voci di Tempo (37), potrebbero facilmente esprimerei tutti i
Giudizj. Ma gli Uomini per loro natura
amanti di va-rietà, come unirono molte rolte la Voce di Giudizio a quella di
Azione (25), cost invece di ripetere quasi ad ogn' istante una stessa
invariata Voce di Giudizio, nel decorso
dei Secoli trovarono conveniente stabilire alcune Derivazioni dalla Voce
radicale di Giudizio; Derivazioni esprimenti con una sola parola Giudizio,
Tempo e Modo. Nel Linguaggio tali
Derivazioni sono della massima importanze: Quindi passeremo ad
esporledettagliatamente dopo le seguenti essenziali Avver- tenze.
Sul Cardine di Giudizio 95.
Cardine di Giudizio ossia Oggetto cardinai le (82) può essere praticamente o
Chi giudica, o Chi ascolta, o una Cosa terza cioè diversa e da chi ascolta e da
chi giudica - Quindi noi chiameremo Oggetto giudicante chi giudica, Oggetto
ascoltante chi ascolta, e Oggetto terzo qualunque altr' Oggetto diverso dai
primi due — E facile comprendere, che deve considerarsi Oggetto giudicante chi
scrive, e Oggetto ascoltante chi legge.
• 96. In Italiano il Nome dell'Oggetto giudicante è io se uno, noi se
più; il Nome dell'Oggetto ascoltante è tu se uno, voi se più; i Terzi Oggetti
poi inno tutti il loro Nome particolare. Questi terzi Oggetti però multe volte
s'indicano con dei Pronomi, che sono egli o esso, eglino o essi pel Sesso maschile ed anche neutro; ed ella o
essa; elleno o esse pel Sesso femminile ed anche neutro (a). Intendo per neutro
il Nome d' ogni Og getto privo naturalmente di Sesso. (a) Il buon Gusto italiano vuole, che i
Pronomi egli eglino ella elleno si usino soltanto per indicare Oggetti o della
Specie umana o più nobili di questi; e che tutti gli altri terzi Oggetti sieno
indicati coi restanti Pronomi esso essi, essa esso:dettagliatamente dopo le
seguenti essenziali Avver-tenze. Sul
Cardine di Giudizio 95. Cardine di Giudizio
ossia Oggetto cardinale può essere pratticamente o Chi giudica, o Chi ascolta,
o una Cosa terza cioè diversa e dai chi ascolta e da chi giudica - Quindi noi
chiameremo Oggetto giudicante chi giudica, Oggetto ascoltante chi ascolta, e
Oggetto terzo qualunque altr' Oggetto diverso dai primi due - È facile
comprendere, che deve considerarsi Oggetto giudicante chi scrive, e Oggetto
ascoltante chi legge. •96. In Italiano
il Nome dell' Oggetto giudicante ¿ io se
uno, noi se più; il Nome dell'Oggetto ascoltante è tu se uno, voi se più; i
Terzi Oggetti poi inno tutti il loro Nome particolare. Questi terzi Oggetti
però multe volte s'indicano con dei Pronomi, che sono egli o esso, eglino o
essi pel Sesso maschile ed anche neutro;
ed ella o essa; elleno o esse pel Sesso femminile ed anche neutro (a). Intendo
per neutro il Nome d' ogni Og getto privo naturalmente di Sesso. (a) Il buon Gusto italiano vuole, che i
Pronomi egli eglino ella elleno si usino soltanto per indicare Oggetti o della
Specie umana o più nobili di questi; e che tutti gli altri terzi Oggetti sieno
indicati coi restanti Pronomi esso essi, essa essei97. Si richiami la
definizione del Tempo (35), e la Linea generica indicata (39) per facilitarne
l'in-telligenza. Si fissi inoltre, che
il Tempo passato e fi-tuTo (39) e sempre tale in relazione a qualche punto che
sulla Linea da noi si determina come presente; e ch'è in nostro arbitrio
considerare come presente qualunque punto, tanto sulla Serie de gl' Istanti
decorsi, come su quella degl' Istanti ar-venire. Da varj Oggetti potendo al
tempo stesso farsi varie Azioni, e dovendo noi molte volte simultaneamente
considerare varie Azioni fatte in cempi diversi, si fissino coll'immaginazione
secondo il bisogno due o più Linee di Tempo paralel-le (34, Noça) frà loro.
Considereremo sulla prima Linea le Azioni dell'Oggetto Giudicante, sulla
seconda quelle dell'Oggetto Ascoltante, e sulla terza, pluralizata quand'
occorra, quelle dei Terzi Oggetti
(95). : 99. Ogni Perpendicolare (a) a
queste Paralelle tirata su qualunque punto, esprimerá o indicherà (a) Una Linea, è perpendicolare ad un altra o
ad un Piano, quando non è inclinata più dall' una che dall'altra parte ; ed è obliqua, quando è inclinata più da una
parte che dal-l'altra.:le varie Azioni avvenute al medesimo Istante per opera
di Oggetti diversi; ed ogni Obliqua alle medesime Paralelle esprimerà invece
varie Azioni, at-venute in diversi Istanti egualmente per opera di Oggetti diversi (a). 100. Un solo Oggetto può fare anch'esso varie 'Azioni allo stesso tempo; come giocare e
ridere, scrivere contando ec. — Quando si debbano considerare più Azioni fatte
contemporaneamente dallo siesso Oggetto, bisogna accuratamente osservare; se.
la natura del Discorso esigge, che si porti eguale attenzione su ciascuna di
tali contemporanee Azio-ni; oppure se considerandone una come principa le, le
altre debbano riguardarsi puramente come accessorie. Nel primo caso è necessario esprimerte tutte
distintamente; come pensa, giuoca e ride - scrivono e cantano ec. Nel secondo
caso espressa con distinzione l'Azione principale, basta dare alle altre un
aspetto di semplice Accessorietà ossia un 45-petto di Azione accompagnante
(106); giacthè servono realmente ad accompagnare l'Azione prin-cipale; come
giuoca ridendo, sospirando partì ec. Cio
premesso, veniamo alla dettagliata Esposizione de'varj Modi e Tempi tanto
assoluti che relativi, nei quali e coi quali può farsi un Giu- (a) Sarebbe forse impossibile combinare un
Machinismo, che mostrasse ai Principianti con semplicità e quasi material mente
la tessitura d' ogni isolato Sentimento o Discorso?dizio; fissando per ciascun
Tempo e Modo le varie Derivazioni dalla Voce radicale essere. Naturo del
Giudizio 10s. Secondo la diversità delle
circostanze i nostri Giudizi rigúardo al Modo di esprimerli, vestono anch'essi
diversa natura: Ora sono isolati, ora dipendenti, ora definiti, ora incerti,
ora accompagnati da qualche particolare e marcato sentimento dell'animo, ora
generici, ora congiunti a qualche condizione particolare, ora ec.; come potrà
meglia rilevarsi dall'Analisi, che ne facciamo negli Articoli seguenti. Le diverse forme sotto le quali suole o può
presentarsi un Giudizio, saranno da noi chiamate Maniere o Modi del Giudizio.
Questi Modi sono, da noi portati al numero di otto, cioè Generico, Dofinito,
Suppositivo, Volitivo, Ottacivo, Condi-zionante, Indefinito, Interrogativo; e
tratter remo separatamente di ciascuno
negli Otto Articoli seguenti, distinguendo il Modo Definito in Indicativo e Condizionato. Giudizio Generico 102. Spesso esprimiamo di seguito due o più
Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo, come voglio pertire, scrive ridendo
80; uno dei qualicioé voglio, scrive, forma sempre come la base primaria del
sentimento, e gli altri cioè partire, ridendo sono come secondarj o accessorj -
Ora è facile comprendere, che in simili casi avendo espresso con chiarezza e
precisione il Giudizio pri-mario, basta indicare i secondarj anche
generica- mente Ero in i perche pecifina
per Seriodari: essi vanno
inseparabilmente congiunti? Questi
Giudizi secondarj espressi cosi genericamente e considerati a motivo d'analisi
separatamente dai primari, son quelli che noi chiamiamo Giudizj generici,
ovvero Giudizj di Modo generico. Dunque sebbene in un
prattico Discorso non possa esistere alcun Giudizio assolutamente generico,
perché tutto vi dev'essere convenientemente determinato; pure allo sguardo
analitico varj Giudizj isolatamente presi si presenteranno come tali — Dunque è
necessario analizarne le relative espressioni o Derivazioni, distinguendo i
Giudizi generici in determinanti e accompagnanti. GENERICO DETERMINANTE Chiamiamo Determinante ogni
Giudizio Generico, il quale serve a determinare ossia -a stabilire a fissare il
vero e preciso valore del Giudizio primario o principale (102): Cosi in «
voglio partire» partire é determinante di voglio ; giacché voglio senza partire
non esprimerebbe nel caso nostro concreto un idea determinata e precisa.
Infatti dicendo semplicemente ed isolatamente voglio, es- primo è vero un atto
di volontà, ma di volontà indeterminata ossia non determinata; e quindi
inintelligibile a chi ascolta. 105. Il
Giudizio generico-determinante può es sere o presente, o passato, o futuro: Si
avverta pe-nò, che in simili Giudizj questi Tempi sono tali unicamente in
relazione al Giudizio principale ; e quindi propriamente sono tempi relativi a
quel-to, in cui à luogo il Giudizio principale mede-simo. I.° È presente ogni Giudizio
generico-determi-nante, che à luogo al tempo stesso del Giudizio principale; e
la Voce radicale essere serve ad es primerlo - Quindi abbiamo « debbo, doveva,
do-vetti, dovrò, dovrei ec. essere » : Il.° È passato ogni Giudizio
generico-determi-nante, che à luogo prima del Giudizio principale, ossia che si
riferisce a Tempo anteriore a quello is cui avviene il Giudizio principale; e
essere-stato e la Derivazione, che serve ad esprimerlo - Quindi abbiamo «debbo,
doveva, dovetti, dovrò ec. es-
sere-stato ». III.° E futuro ogni
Giudizio generico-determi-nante, che à luogo dopo il Giudizio principale. • Dover-essere, aver-da-essere,
esser-per-essere e poter-essere sono le varie Derivazioni che lo es-primono;
tutte peró di pochissimo uso in buon Gusto italiano (177) - Quindi abbiamo «
credo, credeva, credetti, crederò, crederei ec. dover-esse- Te, aver-da-essere, esser-per-essere ec.
».GENERICO ACCOMPAGNANTE x06. Chiamasi
accompagnante ogni Giudizio ge-nerico, il quale accompagna il Giudizio
principa-. le: Cosi in « giuoca ridendo»
ridendo non la che accennare l'Azione, da cui è accompagnata quella di
giuocare. 107. Il Giudizio generico
accompagnante do vendo per natura agire unitamente al Giadizio principale, deve
di necessità aver luogo al tempo stesso del Giudizio principale medesimo; ossia
l'Azione espressa dal Giudizio accompagnante deve di necessità avvenire
contemporaneamente all'Azione espressa dal Giadizio principale - Quindi il Giudizio
accompagnante non può per intrinseca natura essere che presento, vale a dire
contenpora neo al Giudizio
principale. Essendo è la Derivazione per
questo Giudi-zio: Quindi avremo « cantando ossia essendo can cante scrive,
scriveva, scrisse, scriverà ec. ». 108.
In Italiano come in altre Lingue facciamo. grand'uso dell'espressione
essendo-stato, o sue equi-valenti; come « avendo scritto, detto, chiamaro ec.
cioè essendo-staco scrivente, dicente, chiamante ec. » Tal espressione a prima vista serabra quasi .
enunciare un Giudizio generico accompagnante di Tempo passato; e ciò
specialmente per l'analo-gia coll'espressione del Generico-determinante
pas-sato, cioè essere-stato (105, II°) - Si avverta quindi, che essendo-stato è
un espressione impropria ossia sostituita; e richiamando il sovrespo-sto (107)
si fissi, che il Giudizio generico-accom-pagnante, stante la sua intrinseca
natura valore ed essenza, non può essere che presente, cioè deve di necessità
aver luogo contemporaneamente al Giudizio principale: Quindi questo Giudizio
non può avere che una sola espressione, cioè essendo (107). ARTICOLO 2.°
Giudizio Definito 10g. È definito
ogni Giudizio, il quale esclude ogni ombra d'incertezza - Si avverta però che
l'incertezza esclusa dal Giudizio definito, e solo tanto relativa alla
persuasione in cui trovasi l'Oggetto giudicante (95), riguardo a ciò che
pronun-cia; senza che questa persuasione punto influisca sull'esistenza o
sussistenza di ciò ch' esprime il Giu-dizio.
Quindi il Giudizio definito ci presenta la massima certezza, non di ciò
ch'esso esprime, perché potrebbe anche non sussistere; ma della persuasione in
cui è l'Oggetto giudicante relativamente all'esistenza di quel che dice nel suo
Giudizio - Dicendo per esempio « Pietro è virtuoso» il mio Giudizio è definito,
perché di sua natura esclude qualunque incertezza. L'incertezza esclusa però è
solo riferibile alla mia persuasione; perché, mentre io credo Pietro virtuoso,
egli in realtà potrebbe non esser tale - Parimenti dicendo • Pietro sarebbe amabile,
se studiasse» Pietro sarebbe amabile è Giudizio definito. Esso infatti la
chiaramente co-noscere la persuasione in cui sono, che l' amabilità in Pietro
dipende dallo studiare; benché forse anche studiando, potrebb' egli in realtà
continuare ad essere inamabile. Il Giudizio Definito può
essere Indicatiso o Condizionato. DEFINITO INDICATIVO E indicativo ogni Giudizio
definito, in cui si attribuisce ad un Oggetto una Qualità o un Azione colla
massima possibile semplicità; e in modo che basta soltanto accennarlo o
indicarlo, perché sia inteso perfettamente - V' è però qualche piccola eccezione
riguardo al Tempo, cui si ri-ferisce. Quindi il Giudizio indicativo deve
distinguersi in isolato e dipendente. INDICATIVO ISOLATO ' Isolato da noi chiamasi
ogni Giudizio in- dicativo, esprimente in se stesso un senso completo anche
riguardo al Tempo: Come « Noi siamo italiani - Egli fü promosso -Voi sarete
felici ec. ». L'Indicativo isolato è
sempre naturalmente riferibile ad uno dei trè Tempi passato, presente o futuro;
giacchè in qualche istante di Tempo deve avvenire ciò ch'è espresso dal
Giudizio. • I.° INDICATITO PASSATO-Un Giudizio indicativo è di Tempo passato, quando
si riporta ad un Punto della Linea generica 97) di Tempo anteriore al punto che
fissiamo come presente - Eccone le Derivazioni pel Numero e unale e
plu-rale.URALE PLURALE io fui
noi fummo tu fosti voi foste
egli fù essi furono II.° INDICATITO FUTURo — Un Giudizio
indicativo è di Tempo futuro, quando sulla Linea generica riportasi ad un Punto
posteriore a quello che fissiamo come presente — Eccone le Deriva-zioni: io sarò
I noi saremo tu sarai voi. sarete
egli sarà essi saranno • II.° INDICATITO PRESENTE — Un Giudizio
indicativo è di Tempo presente, quando sulla Linea si riferisce al Punto che
separa il Futuro dal Pas-sato; ed è in nostro arbitrio secondo le circostanze
fissare come presente un Punto qualunque della
Linea totale - Eccone le Derivazioni :
io sono I noi siamo tu sei
voi siete egli è essi sono
: 114. La Lingua Italiana, come altre molte, à per l'Indicativo passato
due Espressioni, ossia consis dera il Tempo passato e come congiunto al
presente e come da esso disgiunto. Quindi per l'Indi-cativo isolato abbiamo due
Tempi passati, cioé passato-congiunto e passato-disgiunto - Chiamiamo
passato-congiunto quel Passato che nella suaestensione abbraccia quasi anche il
Presente: E chiamiamo passato-disgiunto quel Passato, che si ritiene terminar
sulla Linea in qualche distanza dal Tempo presente. Le Derivazioni sovrespresse io fui ec.
servono al passato-disgiunto; e pel passato congiunto abbiamo le seguenti: io sono-stato
| noi siamo-stati tu
sei-stato voi siete-stati egli è-stato
essi sono-stati L'uso italiano di
questi due Tempi passati riuscendo a molti non facile, mi permetto di
brevemente qui esporlo. Il
passato-congiunto si usa unicamente per esprimere i Giudizj riferibili al
Giorno in cui si par-la, o per lo meno riferibili ad una determinata estensione
di Tempo, della quale forma parte integrante il Giorno in cui si parla; come
quest' an-no, questo mese ec. Quindi l'espressione di Tempo passato-congiunto
deve sempre far buon senso colla voce di
Tempo oggi. Il passato-disgiunto si usa
invece per esprimere qualunque Giudizio riferibile per lo meno al Giorno che
precede quello in cui si pronuncia; e però le sue espressioni debbono sempre
far buon senso colla voce di Tempo jeri.
・ Dunque dicendo « Ho ricevuto una Lettera »
s'intende, che l'o ricevuta nel Giorno in cui par-lo: E dicendo « Ricevetti una
Lettera » s'intende averla io ricevuta prima del Giorno in cui parlo.INDICATIVO
DIPENDENTE 1‹5. Chiamasi da noi
dipendente ogni Giudizio indicatiro, la cui totale intelligenza rapporto
al Tempo dipende da un altro Giudizio;
ossia è dipendente ogni Giudizio indicativo, il quale senza il concorso d'un
altro Giudizio non ci presenterebbe una completa idea del Tempo, cui si
riferi-sce; come « Io era — Tu sarai stato - Voi eravate stati ec. » — Quindi
l'Indicativo dipendente deve sempre essere unito ad un altro Giudizio o
espresso o richiamato o facilmente sottintesó.
116. Ogni Giudizio Indicativo dipendente è sempre riferibile ad uno dei
tré Tempi presente-rela-civo, passato-anteriore, futuro-anteriore; come passiamo
ad esporre. INDICATIVO PRESENTE-RELATIVO - Chiamiamo presente-relativo quel
Tempo, il quale sebbene di sua natura assolutamente passato, pure è presente
riguardo a quello in cui arvenne una data Azione o Giudizio. E facile comprendere, che da due o più Og
getti possono e quindi poterono anche farsi due o più Azioni al tempo stesso:
Cosi in « lo scriveva, quando voi mi chiamaste» l'azione di scrivere è avvenuta
contemporaneamente a quella di chiamare — Ora tali Azioni relativamente al
Tempo in cui avvennero, confrontate l'una coll'altra, sono ossia furono
reciprocamente presenti trà loro, cioè ebbero luogo in un medesimo istante -
Dunque possiamo giustamente chiamarle Azioni di
Tempo presente-relativo.Se dunque consideriamo lungo varie Linee
paralelle (98) Azioni diverse già consumate, saranno di presente-relativo cioé
presenti frà loro, tutte quelle che trovansi in una stessa Linea perpendicolare
(99) a queste paralelle - Espressa dunque una di tali Azioni in modo da far
conoscere il Tempo in cui avvenne, basterà per le alire indicare che furon esse
contemporanee alla medesi-ma; ed abbiamo Voci apposite per questo - Eccone le
Derivazioni : io era I noi eravamo
tu eri voi eravate egli era
essi erano II.' INDICATIPO
PASSATO-ANTERIORE - Chiamiamo passato-anteriore ogni Tempo, decorso prima d'un
altro che nel discorso consideriamo parimenti come. passato - Ed infatti quante
volte non ci occorre di esprimere due Giudizj o Azioni passate, obligati ad
indicare nel medesimo tem-po, che l'una avvenne prima dell'altra? Cosi in
«Quando Tizio parti, io era già tornato dall'Accademia », il mio ritorno è
avvenuto prima della partenza di Tizio: Quindi l'azione di tor-nore, anteriore
a quella di partire ch' è già passata di sua natura, nel caso nostro concreto
sarà giustamente chiamata di Tempo passato-anterio- re - Eccone le Derivazioni : io era-stato
. tu eri-stato egli era-stato I noi eravamo-stati voi eravate-stati essi erano-statiIII°. INDICATITO
FUTURO-ANTERIONE - Molte volte esprimiamo un Giudizio di Tempo futuro, che deve
effettuarsi primo d'un altro Giudizio parimenti futuro - In tal caso quello dei
due Giu-dizj che deve effettuarsi prima dell' altro, é da noi detto Giudizio di
Tempo futuro-anteriore. Cosi in «Quando avrò finito la Lezione, passeggeremo »
il Passeggio non può aver luogo che dopo finita la Lezione: Quindi l'azione di
finire, in se stessa futura ma che deve aver luogo prima di quella di
passeggiare, sarà nel caso nostro giustamente chiamata di Tempo
futuro-anteriore - Eccone le Derivazioni
: io sard-stato tu sarai-stato egli sarà-stato noi saremo-stati voi sarete-stati essi saranno-stati DEFINITO CONDIZIONATO ricari e cosi osero mi i cong la cui rea seguimento di qualche Condizione espressa o
fa-• cilmente sottintesa - Quindi il Giudizio condizio-nato, relativamente alla
Condizione è sempre di sua natura futuro; vale a dire che quando si verificasse
o si fosse verificata la Condizione, il Giudizio condizionato avrebbe luogo o
lo avrebbe avuto sempre dopo tale verificazione. 118. Il Giudizio Condizionato può essere praticamente
eseguibile o ineseguibile.CONDIZIONATO INESEGUIBILE 119. Un Giudizio condizionato è inesegribile,
quando la Condizione non può più effettuarsi - Quindi il Condizionato
ineseguibile non puó per intrinseca natura riferirsi a Tempo futuro: Esso
quindi sarà di Tempo o presente o passato.
I.° CONDIZIONATO PRESNETE — Il Condizionato ineseguibile è di Tempo
presente, quando posto il verificamento della Condizione, avrebbe luogo al
momento stesso in cui si proferisce. Cosi in
* Favoritemi la scattola: se l'avessi, ve la darei vo-lontieri »
l'azione di dare, verificandosi la Condizione di avere, seguirebbe al momento
stesso in cui si pronuncia il corrispondente Giudizio - Ee- cone le. Derivazioni : io sarei
noi saremmo tu saresti voi sareste
egli sarebbe / essi
sarebbero II.° CONDIZIONATO PASSATO - Il
Condizionato ineseguibile è di Tempo passato, quando posto il verificamento
della Condizione, il Giudizio avrebbe avuto luogo anteriormente al Tempo in cui
si pro-nuncia. Cosi in « Se foste venuto, ve lo avrei detto » si vede
chiaramente, che verificatasi la condizione della venuta, l'azione di dire
sarebbesi effettuata in un tempo anteriore a quello, nel quale proferiamo il
corrispondente Giudizio - Eccone le Deri-vazioni:io sarei-stato noi saremmo-stati tu saresti-stato voi sareste-stati egli sarebbe-stato essi sarebbero-stati 120. Alle volte in Lingua prattica si
presentano sotto apparenza di Condizionati ineseguibili, de' Giu-dizj che
realmente non sono tali; questo specialmente avviene, quando si vuol esprimere
un desiderio un timore e simili; come « Amerei sapere — Bramereste forse? - Ne
vorrebbero un poco ec. » — Si avverta
quindi, che tali e simili espressioni difettose in natura, sono improprie ossia
sostituite ; ma che al pari di tante altre furono riconosciute buone dall' Uso,
il quale in punto Lingua auto- rizo
moltissimi errori. CONDIZIONATO
ESEGUIBILB Un Giudizio Condizionato e
eseguibile, quando la Condizione può ancora verificarsi: Quindi è eseguibile,
quando l'espressione del Giudizio si riporta ad un Tempo posteriore a quello in
cui si proferisce - Quindi il Condizionato eseguibile per natura non può essere
che di Tempo fisturo. CONDIZIONATO
FUTURO - La forza condizionale sempre viene espressa dalla natura del discorso.
Dunque basterà semplicemente indicare, che il Giudizio condizionato è
eseguibile - Ma per dire ch' è eseguibile, basta accennare ch'è di tempo futuro
(121). Dunque pel Condizionato eseguibile ragionevolmente faremo uso delle
Derivazioni già stabilite pel futuro dell'Indicativo (113, II.°): Come «se lo
incontro, gli parlerò per voi» —Eccone quindi le Derivazioni, precedute dalla Voce
condizionale e da un Verbo esprimente una Condizione generica di desiderio
: Se bramasi, io sirò ... noi saremo ... tu sarai
... voi sarete ... egli sarà ... essi saranno Giudizio Suppositivo 123. La natura del Discorso esigge sovente,
che in via d'abbondanza o d'ipotesi si ammetta come arvenuta o avvenibile una
Cosa, che potrebbe anche non essere : E siccome il Giudizio che si esprime in
tal caso, deve far conoscere, che l'Anima si: fonda sopra un mero Supposto; noi
con ragione Io chiamiamo Giudizio
suppositivo. Si avverta, che nei Giudizi
suppositivi il Nome dell'Oggetto cardinale (82) si pone dopo la Voce di
Giudizio, e che la supposizione ordinariamente suole anche esprimersi con
japposita voce o parti- cella; come
pure, anche, quand-anche ec. Le supposizioni potendo cadere su Cosa presente
passata o futura, ogni Giudizio supposi-tivo dovrà riferirsi ad uno di questi
trè Tempi. I.° SUPPOSITITO PRESENTE - Il
Giudizio suppo-sitivo è di Tempo presente, quando intieramenté riportasi al
momento in cui si proferisce: Come « siate pur Voi l'offeso: Che si brama di
più? » - • Eccone le Derivazioni,
accompagnate dalla particella suppositiva pure :sia pur io I siamo pur noi sii pur tu
siate pur voi sia pur egli sieno pur essi II.° SUPPOSITITO PASSATO -Il Giudizio
suppo-sitivo è di Tempo passato, quando riportasi ad un l'empo anteriore a
quello in eui si proferisce: Come «Sia
pur egli stato nostro Nemico: Egli è Uomo: Dobbiamo quindi soccorrerlo » Eccone
le Derivazioni: sia pur io stato I siamo pur noi stati sii pur tu stato I siate pur voi stati sia pur egli stato / sieno pur essi
stati III.° SUPPOSITITO FUTURO -Il
Giudizio sup-positivo è di tempo futuro, quando si riferisce a Tempo posteriore
a quello in cui si pronuncia: Come u
Arrivi pur egli domani, cioè sia pure ar-rivante: Che perciò ? ». 125. Le Derivazioni pel suppositivo futuro
sono eguali a quelle del suppositivo présente, cioè sia pur in ec. (124,
1."). Infatti la futurità di
supposizione necessariamente si conosce dalla natura del Discorso. Dunque
sarebbe inutile esprimerla colla Voce di Giu-dizio. Dunque, quando la
supposizione è di Tempo futuro, la Voce di Giudizio deve solo far cono-scere,
che il Giudizio è in Modo suppositivo - Ma pel Modo suppositivo abbiamo
soltanto due Espressioni, una di
presente, l'altra di Tempo passato (124, 1° Il°). Dunque, rigettando quella.di
Tempo passato perché diametralmente opposta al futuro, il Giudizio suppositivo
futuro sarà es presso regolarmente colle Derivazioni del supposi- tivo presente. 126. Si avverta però, che in tal caso
l'Espressione del futuro materialmente è uguale a quella del Tempo presente, ma
in realtà non à lo stesso significato e valore - Quindi l'Espressione o
Derivazione del Tempo presente deve considerarsi sotto un doppio aspetto; e in
genere come Espressione di Modo, ed in ispecie come Espressione del solo Tempo
presente. Questa Osservazione 'ci sarà
utile anche per altre consimili Dimostrazioni.
Giudizio Volitivo 187. Chiamiamo
Volitiva ogni Giudizio, nel quale l'Oggetto giudicante (95) esprime
energicamente ciò oh' ei vorrebbe; ossia ogni Giudizio nel quale l'Oggetto
giudicante fa conoscere con intensità di spirito un atto di sua Valontà. 128 Ora Chi volo qualche cosa, per natura non
può volere che un Bero; o questo Bene dere necessariamento dipendere a dalla
esclusiva persuasione di Chi vuole, a dalla persuasione di altri Oggetti - Se
il Bene dipende dalla persuasione di Chi vuolo, l'Oggetto giudicante esternando
la sua Volontà, comando, Se il Bene dipende dalla persuasione di altri Oggetti,
l'Oggetto giudicanteesternando la sua Volontà, o esorta o prega: Prega, se il Bene sotto qualche rapporto
riguarda anche lui stesso; e se il Bene non lo riguarda, si limita ad esortare. Dunque il Giudizio Volitivo deve sempre
esprimere o Comando o Esortazione o Preghiera.
L'Oggetto giudicante non à
bisogno di esprimere con parole un atto di Volontà riguardante lui stesso; come
ognuno facilmente comprende - Danque le Derivazioni di Giudizio Volitivo
mancheranno ragionevolmente di Espressione per l'Oggetto giudicante, se uno ;
giacché essendo più gli Oggetti giudicanti, possono anzi debbono comunicarsi
reciprocamente la loro Volontà. Finalmente un atto qualunque di Volontà non può
riferirsi al Tempo, che più non é; nulla potendo variare il Passato - Dunque il
Giudizio Volitivo sarà necessariamente di Tempo o presenta o futuro. Si faccia
attenzione, che nei Giudizj Volitivi il Nome dell'Oggetto cardinale (82) si
pospone alla Voce di Giudizio, anzi praticamente con più eleganza si tralascia,
specialmente nel futuro. I.° VOLITIrO
PRESENTE- Un Giudizio Volitivo dicesi di Tempo presente, quando deve ese-guirsi
o al momento in cui si pronuncia, o nell'istante immediatamente successivo;
giacché se l' eseguimento di ciò ch' esprime il Giudizio, non dipende
dall'Oggetto giudicante, é impossibile che sia effettuato nell'istante medesimo
in cui si proferisce — Eccone le Derivazioni :....: siamo noi
sii tu siate voi sia egli
siano essi II.° VOLITITO FUTURO —
Un Giudizio volitivo è di Tempo futuro, quando si riporta ad un Tempo
posteriore a quello in cui si proferisce; ritenendo però la Definizione sopra
fissata pel Volitivo presente - Eccone le Derivazioni senza Nome di Oggetto
cardinale: ....• saremo
sarai sarete sara saranno *31. Si avverta, che in prattica invece del
Futuro usiamo spessissimo il Volitivo presente, la futurità essendo in tal caso
espressa dalla natura del discorso (126).
Giudizio Ottativo 132. Siamo non
di rado nella situazione di de siderare energicamente qualche cosa - In tal
caso esprimiamo un vivo sentimento dell'animo con un Giudizio accompagnato da
desiderio ossia con un Giudizio ottativo, dalla voce latina optare che
significa desiderare. Si avverta, che il
Giudizio ottativo suole nel discorso essere accompagnato da qualche
particel-la, come oh e simili; e che dev'essere in iscrittomarcato col cost
detto Punto ammirativo, che in questo caso sarebbe meglio chiamato segno di
de-siderio. Si avverta inoltre, che nei
Giudizj ottativi il Nome dell'Oggetto cardinale (il quale può esser anche
taciuto) si pone dopo la Voce di Giudizio.
Il Giudizio Ottativo può
come il Condizio nato (118) essere eseguibile o ineseguibile. OTTATIVO
INESEGUIBILB Un Giudizio ottatiro è
ineseguibile, quando il Desiderio che lo accompagna, praticamente non può
ellettuarsi più. Quindi l' Ottativo ineseguibile esclude di sua natura il Tempo
futuro, appunto perché altrimenti cesserebbe d' essere ine-seguibile. Quindi
ogni Giudizio ottativo ineseguibile sarà di tempo o passato o presente. I.°
OTTATITO PRESENTE —Il Giudizio Ottativo è di Tempo presente, quando posta l'
effettuazione. del Desiderio, ciò ch' esprime il Giudizio avrebbe luogo anche
al momento in cui si proferisce: Come «
Oh foss' io vostro Generale! »-Eccone le
Derivazioni : Oh foss' io ! | Oh fossimo noi! fossi tu !
... foste voi! foss' egli ! fossero essi!
II.° OTTATITO PASSATO —Il Giudizio Ottativo e di Tempo passato, quando
posta l' effettuazione del Desiderio, ciò ch' esprime il Giudizio avrebbe avuto
luogo prima del momento in cui si proferi-sce: Come « Oh foss' io stato più
forte! » - Ec-. cone le
Derivazioni: Oh foss' io stato! I Oh fossimo noi stati! fossi tu staro! ! ... foste voi stati! foss'egli stato! | ... fossero essi stati
! OTTATIVO ESBGUIBILE 135. Un Giudizio ottativo é eseguibile,
quando il desiderio che lo accompagna, può ancora effettuarsi - Quindi
l'Ottativo eseguibile non può per intrinseca natura essere che di Tempo futuro. • 136 OITATIVO FUTURO — Le Derivazioni per
quest' Ottativo futuro sono eguali perfettamente a quelle dell'Ottativo
presente « foss'io! er. (134, I°): e ciò per la ragione che abbiamo addotto
(126) relativamente al Giudizio suppositivo; vale a dire che l'Espressione di
presente deve considerarsi in genere come Espressione di Modo, ed in ispecie
come Espressione del solo Tempo presente. Quindi il sentimento può solo farci
conoscere il vero Tem-po, cui si riferisce il Giudizio Ottativo - Questa
cognizione però è della massima facilità Infatti chi non vede, che i Giudizj
Oitativi « Oh mi scrivesse col primo Ordinario! Oh giugnessero almeno domani!
ec.» sono Giudizj unicamente riferibili a
Tempo faturo? AVVERTENZA 137. Autorizati dall'uso molte volte al Modo
ottativo sostituiamo delle. Espressioni di apparenzacondizionale: Come « Vorrei
essere! Vorrei essere stato! ec.» invece di « Oh fossi! Oh fossi sta-to! ec. »—
La natura del discorso però ci farà ca-noscere facilmente, che tali e simili
Espressioni sono sostituite; e l'Analisi vuole, che sappiamo riportarle alla
originaria loro forma e natura. ARTICOLO
6.° Giudizio Condizionante ‹38. Chiamiamo condizionante ogni Giudizio
esprimente la Condizione, sulla cui verificazione si appoggia un Giudizio
Condizionato qualunque («17) - Il Giudizio condizionante può riferirsi a Tempo
presente, passata, o futuro; e il suo Distintivo consiste nell' essere
accompagnato dalla particella se (francese si) o sua equivalente —La Voce se à
anche molti altri significati. Quindi si
fissi, che non sempre nel discorso è particella condizionante, e che il solo
sentimento puo farci praticamente conoscere il suo vero valore. I.° CONDIZIONANTE PASSENTE - Il Giudizio
condizionante è di Tempo presante, quando cio ch'esso esprime si riporta
all'istante in cui si pro-nuncia: Come « Se ne avessi, ve ne darei » - Eccone le Derivazioni: Se io fossi ... tu fossi d. egli fosse
‹ Se noi fossimo ... voi foste
... essi fosseroII.' CONDIZIONANTE PASSATO-Il Giudizio condizionante è
di Tempo passato, quando ció che avuto,
ve ne avrei dato certamente » - Eccone le
Derivazioni : Se io fossi
stato |• Se noi fossimo stati ... tu fossi stato | ... voi foste stati egli fosse stato ...
essi fossero stati III.° CONDZIONANTE
FUTURO - Il Giudizio condizionante è di Tempo futuro, quando ció ch'esso
esprime, si riporta ad un Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia. Come «
Se lo incontrerò oppure se lo incontro, gli parlerò»; dove è evidente, che
l'Incontro deve ancora seguire. Le
Espressioni del Condizionante futuro si prendono dal futuro Indicativo (173,
II.°) - Infatti la forza Condizionante essendo espressa dalla Voce se o sua
equivalente, la Voce di Giudizio non deve indicare che il Tempo. Quindi
giustamente facciamo uso del Futuro Indicativo - Eccone dunque le
Derivazioni: Se io sarò I Se noi saremo tu sarai voi sarete egli sarà
essi saranno Siccome poi quando la
futurità è espressa dal-l'intrinseca natura del Giudizio, basta che indichiamo
il Modo del Giudizio medesimo, e siccome l'espressione generica di Modo è
riposta nelleDerivazioni del Tempo presente (285 e seg.); cosi nel discorso
praticamente quasi sempre esprimiamo il Condizionante futuro col presente
Indi- cativo; cioè Se io sono ... tu sei ... egli é
| Se noi siamo ... voi siete ...
essi sono ARTICOLO 7.° Giudizio Indefinito 139. Indefinito cioè non definito chiamiamo
ogni Giudizio accompagnato da qualche incertezza relativamente all'esistenza di
ciò ch' esprime il Giudizio medesimo. Cosi negli esempj seguenti l'espressione
arrivino è indehnita, ossia non presenta che un Giudizio indefinito; giacché
questo Giudizio non ci dà di se stesso
alcuna certezza : • « Mi pare, che
arrivino - Credo che arrivino - Si dice, che arrivino = Voglio, che arrivino
ec. » Tale Materia s'intenderà meglio
dopo avere attentamente ponderato ciò ch'esporremo in seguito (181 e seg.) -
Qui intanto fisseremo le espressioni o Derivazioni pel Giudizio Indefinito,
avvertendo, 1.° che son esse uguali a delle Derivazioni per altri Modi espresse
finora; 2.° che tali Derivazioni in Italiano debbono essere precedute dal che,
il quale però qualche volta si può anche tralasciare; 3.° finalmente che questo
che è preceduto sempre esso stesso da un Giudizio o Verbo determinando (471),
il quale per ora sarà da noi chiamato Verbo o Giudizio precedente.840. Il
Giudizio Indefinito può riferirsi a qualunque Tempo tanto assoluto che
relativo; giacché dapertutto può al nostro spirito presentarsi
del-l'incertezza. I.° INDBFINITO
PRESENTE-ASSOLUTO - Un Giudizio indefinito è di Tempo presente-assoluto, quando
ciò ch'esso esprime, si riporta al momento in cui si proferisce: Come «Mi pare,
che sia giorno » - Eccone le Derivazioni :
Si crede, ch'io sia 1 .. che noi
siamo .. che tu sii / .. che voi siate .. ch'egli sia / .. ch' essi sieno II.' INDEFINITO PRESENTE-ABLATITO - Un
Giudizio indefinito è di Tempo presente-relativo, quando é contemporaneo al
Giudizio espresso dal Verbo precedente (139), il quale di sua natura Si credeva, si credette ec. ch'io fossi
| che noi fossimo che tu
fossi I che voi foste ch'egli fosse
I ch'essi fossero III.°
INDEFINITO PASSATO - Un Giudizio indef-nito è di Tempo passato, quando si
riferisce ad epoca anteriore al momento in cui si pronuncia: Come « Credo, che sieno stati vincitori.» -
Eocone le Derivazioni :Si crede, ch'io sia
state che tu sii stato ch'egli sia
stato ‹ che noi siamo stati | che voi
siate stati I ch' essi sieno stati IV.
INDEFINITO FUTURO-ASSOLUTO - Un Giudizio indefinito è di Tempo juturo-assoluto,
quando si riferisce a Tempo posteriore a quello in cui si pronuncia: Come «
Credo, che sarete lodati ». Ogni
Giudizio riguardante l' Avvenire è indefinito ossia incerto di sua natura;
giacché delle Cose future non può mai aversi certezza assoluta — Quindi l'
Indefinito futuro sarà giustamente espresso dalle Derivazioni del futuro
Indicativo. Ed infatti per dare a
conoscere che un Giudizio è indefinito, basta indicare che si riporta a Tempo
futuro. La diversità poi esistente trà il Futuro de-Enito e indefinito, è
marcata dalla voce che, la quale deve sempre precedere il Giudizio indefini-to;
o meglio è marcata da ciò, che il Futuro indefinito deve inseparabilmente esser
congiunto ad un Giudizio precedente (139), e il definito nó - Ecco pertanto le
Derivazioni dell' Indefinito futuro assoluto:
• Si crede, ch'io sarò 1 .. che
noi saremo .. che tu sarai | .. che voi
sarete .. ch'egli sarà | .. ch' essi saranno
V. INDEFINITO FUTURO-RELATIVO
Chiamiamo di Tempo futuro-relativo ogni Giudizio inde- . finito ch'è
futuro non in se stesso, ma relativanenteal Tempo in cui avviene il Giudizio
espresso dal Verbo precedente, il quale
di sua natura der'es-sere passato: Come « Io riteneva, che gli Amici
arriverebbero oppure sarebbero arrivati a mezzo-giorno: E già notte; é ancora
non si vedono » - Eccone le Derivazioni, le quali si prendono dal Condizionato
presente o passato (119), come più piace:
Si credevo, si credette ec. ch'io
sarei che tu saresti ch'egli sarebbe I che noi saremmo che voi sareste ch'essi
sarebbero ovvero ch'io sarei stato I che noi saremmo stati che tu saresti stato che voi sareste stati
ch'egli sarebbe stato i ch'essi sarebbero stati
Si avverta, che molte volte per esprimere questo Futuro-relativo facciam
uso d'un qualche Verbo ausiliario; come potere, dovere, ivolere ec. Cost invece
di dire «Pensai che partirebbero, o che sarebbero partiti» comunemente diciamo
« Pen-sai, che volessero partire, oppure che potessero partire, oppure che
dovessero partire, oppure che fossero per partire» secondo la diversa natura
del discorso e delle circostanze. INDEFINITO PASSATO-ANTERIORE - Un Giudizio
indefinito è di Tempo passato-anteriore, quando si riporta ad un Epoca
anteriore a quella • del Giudizio
precedente, la quale deve pur essere passata: Come «Quando giunsi, molti
per-savano che fossi stato ferito »- Eccone le Derivazioni : Si credeva, si credette ec.' ch'io fossi stato che noi fossimo stati che tu fossi stato che voi fuste stati ch'egli fosse stato ch'essi fossero stati VII. INDEFINITO FUTURO-ANTERIORE - Un
Giudizio indefinito è di Tempo futuro-anteriore, quando si riporta ad un Epoca
futura in se stessa, ed anteriore ad un altra Epoca la quale dev'essere
parimenti futura. Quindi l' anteriorità dell' Indefinito futuro-anteriore non à
alcuna relazione col Giudizio precedente, il quale può essere indifferentemente
di Tempo presente o futuro secondo le cir-costanze: Come « lo tornerò alle due
pomeridiane; e spero, che queste Lettere al mio ritorno saranno state spedite
». Per la ragione addotta superiormente (IV.®) le Derivazioni dell' Indefinito
futuro-anteriore sono eguali a quelle del Futuro-anteriore indicativo. Eccole
: Si crede ec. che ..... io sarò stato | che... noi saremo
stati tu sarai stato | voi sarete stati 0apa egli sarà stato | essi saranno stati AVVERTENZA
Sui Giudizj Condizionati 34s. I
Giudizj Condizionati (117) possono essereIndefiniti ancor essi; e questo
propriamente sua cede, quando anche dato il verificamento della Condizione,
siamo tuttavia incerti se il Giudizio condizionato avverrebbe o sarebbe
avvenuto: Come «Ritengo che i nostri soldati sarebbero vittoriosi, se avessero
attaccato subito il Nemico - Ritengo che i nostri soldati sarebbero stati
vittoriosi, se aressero attaccato subito il Nemico -Ritengo che i nostri
soldati saranno vittoriosi, se attaccheranno
subito il Nemico ». Per ciò che
riguarda i Tempi e le Derivazio-ni, i Giudizj Condizionati Indefiniti sieguono
precisamente le Teorie già esposte pei Condizionati Definiti (119 e seg.). Giudizio Interrogativo 1/2. I Giudizj sono molte volte accompagnati
da Interrogazione; ed allora noi li chiamiamo in-terrogativi. La Domanda indica naturalmente l'Incertezza
d' esistenza di ciò ch' esprime il Giudizio: Quindi i Giudizj Interrogativi
sono di loro natura Indefiniti. Siccome
però l'Incertezza dell'Espressione del Giudizio è bastantemente indicata
dall'Interrogazio-ne; cosi ne'Giudizj Interrogativi si la uso delle Derivazioni
già fissate pei varj Tempi del Modo Definito tanto Indicativo che Condizionato
(113 e seg.) — Si avverta però, che negli Interrogativi il Nome di Oggetto
cardinale (che molte voltepuò tralasciarsi) si pospone alla Voce di Giudi-zio;
e che in iscritto i Giudizj Interrogativi deb-bon essere marcati con un segno
particolare, detto segno interrogativo - Quindi avtemo : Son io? Sei ti? Era io? Eravate voi? Saremo
noi? Saresti tu? ec. 143: Il Giudizio
Interrogativo può essere semplice o enfatico - È semplice, quando unicamente e
nudamente chiediamo ciò ch' è espresso dal Giu-dizio: Come « Che fate? Dote andarono?
Quando tornò? ec. » E enfatico, quando la domanda e accompagnata da un forte
sentimento dell'animo; per esémpio da un sentimento di sdegno, d'orrore, di
dubbio, di timore, d' insulto, di scherno ec.:
Come « Che si pretende da me? Dunque è finita per noi? E vederla potrei?
Voi l' uccideste, voi? ec.». Gl'
Interrogativi tanto semplici ch' enfatici si esprimono colle stesse
Derivazioni, ed in iscritto colla stessa punteggiatura. Esséndo però in natura
diversi trà loro, tale diversità dovrà parlando es ser espressa da una diversa
inflessione di voce _ È molto difficile pronunziar berie le Interrogazioni
enfatiche, come pure ogni altra enfatica espressione qualunque; né può
assegnarsi regola per questo. Si fissi però, che per ben proferirle è necessario
vivamente sentirle nel fondo dell'anima; e che la loro pronunzia deve
praticamente essere tanto varia, quanto son diversi trà loro l'Odio,
l'Irisulto, la Disapprovazione, l'Orrore ec.Sulla Voce di Giudizio 144. Nel fissare le varie Derivazioni dalla
italiana generica Voce di Giudizio essere, per i Tempi formati da due Parole o
introdotto un tratto d'unione, che la Lingua italiana non usa. Con questo segno
o inteso unicamente avvertire ; che le due Parole sarò-stato, era-slalo ec.
formano una sola semplicissima idea, com'era in latino fuero, fueram cc.; che
desse né possono né debbono considerarsi separatamente; e che la prima di
queste due Parole non è che un puro segno, nè à più quel valore che sogliamo
attribuirle, quando agisce da sola.
Questa Osservazione conduce naturalmente ad un altra, cioé che in ogni
Lingua una stessa Parola può avere varj significati; e ch'é impossibile
conoscere a fondo una Lingua, finché non sappiamo in ogni prattica circostanza
attaccare a ciascuna Parola l'esclusivo suo valore - Essere per esempio in
tutte le varie Lingue da me conosciu-te, ora e Voce di Giudizio, ed ora
significa stare: Cosi werden in Lingua
Tedesca ora significa di-ventare, ora è puro segno di Tempo, ed ora è Voce di Giudizio - Se i Signori Grammatici
avessero analizato quanto conveniva e com'era loro dovere, noi non avremmo
dalla Lingua Tedesca le barbare Traduzioni grammaticali « io divento amare
invere di anierò» tu diventi amato invece di sei amato «egli diventerebbe amato
avere invece di avrebbe amato » e simili.Povero Buon-Senso! Egli é sepolto
sotto un ammasso enorme di ciecamente venerate Assurdi-tà; essendo vero pur
troppo, che «En général l'Homme tient à ses Habitudes, comme il tient d son
Culte, à ses Institutions. La Paresse qui lui est
naturelle, et l' Ignorance qui en est la suite, sont de nouvelles raisons, qui
lui font préfères le chemin battu à la peine d' en frayer un nou-veau - Il aime
mieux croire sur parole, que de prendre la Raison pour guide (Maudru). CAPO III
Derivazioni dalle Radici di Rapporto
145. Le Voci di Rapporto generalmente sono stubili, vale a dire non
danno alcuna Derivazione — Abbiamo peró tré Rapporti, cioè di Numero di Tempo e
di Tungo, che debbon essere particolarmente analizati; e perché molte delle
loro Radici che chiameremo variabili,
danno Deriva-zioni; e perché sono per natura d' un uso frequentissimo nel
Discorso. ‹46. Relativamente alle Voci
di qualunque altro Rapporto si fissi poi
per Regola generale, ch' esse o non danno alcuna Derivazione, o danno una
Derivazione di Nome qualitativo come le Radici di Luogo, di cui il
seguente:Dalle Radici di Luogo Dalle Radici variabili di
Luogo deriva un Nome qualitativo come da quelle di Oggetto (73); e questa
Derivazione si usa, quando con una sola parola e in via di Qualità vogliamo
esprimere il Luogo dell'Oggetto: Cosi da « sopra, sotto, avanti, dentro ec.» abbiamo
i Qualitativi « superiore, interiore, anteriore, interna ec. Dalle Radici di
Tempo Dalle Radici variabili di
Tempo abbiamo una Derivazione di Qualità, come da quelle di Luogo (147): Cosi da
oggi, jeri, demani ec. abbiamo odierno, di-jeri, di-domani ec. (in latino
hesternus, crastinus ec.) ‹49. Trà le Derivazioni dalle Radici di Tempo
esiggono particolare attenzione alcune, che chiameremo Espressioni estese di
Tempo. Queste sere vono ad esprimere una Estensione di Tempo; esten-sione, la
quale comincia dall' Istante o Aggregato d'Istanti considerato come presente, e
la quale si prolunga fin dove richiede il Discorso. Tali Espressioni poi si riferiscono a Tempo o
passato o futuro: Quelle di Tempo passato sono « un ora fa —trè anni fa -cinque
secoli fà, e simili »: Quelle di Tempo futuro sono « da qui ad un ora — da qui
a trè mesi - da qui a dieci anni, e simili ».Dalle Radici di Numero 150. Le Radici di Numero sono uno, due, trè
ec.; e da esse abbiamo in genere cinque Deri-vazioni, che sono: 1.° Un
Sostantivo-astratto; come « Unità, Ambo, Terno, Decina ec. »: 2.° Un Nome
qualitativo ossia ordinale; come « primo, secondo, terzo, decimo ec.»: 3.° Una
T'oce mul-tipla; come « doppio, triplo, decuplo ec. "»: 4.° Una Voce aliquota; come « sudduplo,
sut-triplo, suddecuplo ec »: 5.° Un Espressione di ripetizione costante; come «
a uno a uno, a due a due, a sei a sei, a dieci a dieci ec. »: Sulle Derivazioni
in genere 85r. Da quasi tutte le Voci
Derivate, tranne quelle della Voce di Giudizio, si ànno o almeno si possono
avere delle nuove Derivazioni. Quindi le Voci Derivate debbono distinguersi in
Voci di primo e di seconda Derivazione - Sono di prima quelle, che direttamente
e immediatamente procedono da Voce radicale; e quelle che procedono da Voce
derivata, sono da noi dette di seconda De-rivazione. Dunque dalle Voci derivate potendosi avere
altre Derivazioni, è necessario fissare, che ogni Voce Derivata deve considerarsi
come Radicale; e quindi, che le teorie finora esposte per le Voci ra-dicali,
sono interamente applicabili alle Voci De-rivate, quando però non ripugnino
all'intrinseca loro natura. Si avverta fnalmente, che non tutte le Voci,
sia radicali sia derivate, presentano pratticamente tutte le finora enumerate
Derivazioni. VOCI SOSTITUITE 152.
Sostituite chiamiamo (5) quelle Voci ed Es pressioni, che per vezzo eleganza
chiarezza o brevità sogliono dall'Uso porsi in luogo d'altre Voci conosciute o
di altre regolari Espressioni. Le
Sostituzioni sono in ogni Lingua moltissi-me; ed e facile ravvisarle analizando
praticamente un Discorso qualunque. Tralascio pertanto di qui farne anche la
più semplice Esposizione, rimet- tendo questa Materia interamente al Criterio
analitico di chi stimerà non inutile occuparsene qualche istante. Avverto poi, che non è possibile scriver bene
in una Lingua straniera, quando non si sappiano conoscere e fare nella propria
Lingua tutte le possibili sostituzioni; a meno che non s'imparasse la Lingua
straniera unicamente per prattica, come da molti suol farsi della propria
Lingua natia. DELLE VOCI PARTI DEL DISCORSO
153. ANALIzaTE finora le Voci isolatamente prese, ossia come Elementi
del Discorso, dobbiam ora considerarle come Parti del Discorso; vale a dire
dobbiamo considerare l'Ufficio la Posizione il Valore delle une relativamente
alle altre, in quanto ché prese insieme formano un sentimento completo. La Determinazione delle Voci indeterminate e
le varie possibili Situazioni degli Oggetti formeranno le due Sezioni di questa
Seconda Parte della nostra Analisi di Linguaggio. DETERMINAZIONE DELLE
VOCI 154. Abbiam visto che le Voci tanto
di Oggetto (12) che di Azione (80) possono essere e sono nella massima parte
indeterminate. Ora una Voce indeterminata non esprime e non presenta allo
Spirito che una generica Idea. È vero, che qualche volta la natura del Discorso
esigge unicamenteche sia indicata questa Idea generica; ma é pur vero, che le
Voci indeterminate, onde avere idee chiare giuste e precise delle Cose, debbono
spes sissirho determinarsi
parlando. È quindi necessario esporre
dettagliatamente tali Determinazioni, tanto per gli Oggelli che per le Azioni. CAPO I.
Determinazione degli Oggetti 155.
I Sostantivi indeterminati cioé esprimenti un Oggetto indeterminato (42), in
Italiano come in altre Lingue molte si distinguono dai determinati col mezzo
d'una piccola Voce il lo la ec. chiamata comunemente Articolo - Quindi l'
Articola non è che « Segno di Oggetto indeterminato ». Quindi ogni Sostantivo
cui si antepone o può anteporsi l'Articolo, é indeterminato di sua natura. S'incontrano molte volte coll'Articolo dei
Sostantivi di loro natura determinati. In tal caso però si avverta, che frà
l'Articolo ed il Nome è sempre sottinteso un Sostantivo indeterminato di facile
so-stituzione; e quindi che l'Articolo appartiene propriamente a questo
sottinteso Sostantivo: Cosi « il Pò, il Sole, l'Europa, la Lombardia ec. »
significano « il fime detto Pò -l'Astro chiamato Sole —la Parte del Globo detta
Europa - la Parte d' Italia detta
Lombardia ec. ». .. 156. Ogai Oggetto o
Sostantivo indeterminato,quando al discorso non basta la sua generica
idea; deve di necessità convenientemente
determinarsi - Ma in Natura non esistono che Cose, Giudizj e Rapporti (7). Dunque la Determinazione d'un
Oggetto dipenderà necessariamente da uno o più di questi generali trè Capi
d'Esistenza. 15. Ma i Giudizj non sono
che Azioni men-tali: I Rapporti sono sempre determinanti di loro natura, anzi
nel discorso precisamente non fanno altro che determinare; e però basta
semplicemente accennarli - Dunque limitarci possiamo a parlare delle sole
Determinazioni dipendenti da Cose, ossia (9) da Oggetti Azioni e Qualità, tanto
radicali che derivate. Dunque riguardo agli
Oggetti o loro Nomi indeterminati analizeremo successivamente i Qualitativi i
Sostantivi ed i Verbi determinanti-og getto, cioè che ficano l'Idea precisa, la
quale in ogni prattico Discorso deve da poi attaccarsi a qualunque Sostantivo
che di sua natura sia indeter-minato. PARAGRAFO 1.° Qualitativo
determinante-oggetto Ogni Nome
qualitativo è di sua natura determinante aggetto, com'esprime la voce stessa
qualitativo cioè qualificante - Quindi se un Oggetto indeterminato debba
prendere la necessaria determinazione da una Qualità, basterà unire
semplicemente il nome di Qualità a quello di Ogget-to: E il Distintivo del
Qualitativo determinan-te-oggetto, consiste appunto in tale unione; come
«l'Uomo dotto, il Principe giusto ec.». ‹6o. Analizando gli Esempi qui addotti
ed altri simili, è facile comprendere in che precisamente consista la
Determinazione di Oggetto, la quale proviene da Qualità - L'Uomo per es.
esprime un Idea generica, comprendente tutti gli Uomini, e quindi applicabile a
qualunque Individuo della specie. Unendo però al sostantivo Uomo il qualitativo
dotto, io ne limito l'Idea generica, escludendo i moltissimi non dotti; ossia
colla voce qualitativa dotto determino l'Idea precisa, che nel prattico
discorso devesi attaccare alla parola Uomo.
Dunque ogni Qualitativo
unito ad un Nome di Oggetto, non serve che a determinare l'Idea dell'Oggetto
medesimo; e ci convinceremo sempre più di questa verità, osservando che gli
Oggetti di loro natura determinati non possono mai essere uniti a Nome qualitativo.
Sostantivo determinante-oggetto Il determinare un Oggetto col mezzo d'un altro
Oggetto è cosa comunissima in ogni Lingua, • e serve mirabilmente a diminuire
il numero delle Parole — Ma un Oggetto che in una data circostanza ne determina
un altro, non è sempre ed in ogni discorso egualmente determinante - Dunque
ogni Sostantivo, quando sia determinante-og-
getto, avrà il Distintivo suo particolare. In italiano tal distintivo
consiste nella particella “di”, la quale trovasi spesso unita all'articolo,
avendosi allora: “del,” “della,” ec. equivalenti a “di lo”, “di la,” ec. Nelle
Espressioni “la casa di Pietro,” “il calore del Sole ec. – cf. Grice on Hardie:
“What do you mean by ‘of’?” -- Pietro e Sole sono Sostantivi rispettivamente
determinanti gli Oggetti Casa e Calore; e però sono preceduti dalla particella
di. Credo superfluo far osservare in che
precisamente consista la Determinazione, che un Oggetto prende da un altro -
Dicendo per es. la lasa, esprimo un Idea generica applicabile a qualunque Casa. Ma se per la natura del Discorso mi é
necessario precisare la Casa di cui parlo, e se questa Casa è del comune Amico
Pietro; basta, che al Nome indeterminato Casa unisca quello di Pietro col mezzo
della particella di, caratteristico Distintivo dell'Ufficio che fà in questo
Discorso il sostantivo Pietro. Si noti,
che la particella di per difetto di Lingua in Italiano à varj significati; e
quindi che il Sostantivo seguente tale particella, non é sempre
determinante-oggetto - Questa Materia, come altre consimili, è di somma
importanza specialmente per passare dalla propria alla fondata cos gnizione di
altre Lingue; ma è difficile, e non può ben conoscersi che col molto analizare
e possedendo lo spirito metafisico del Linguaggio,Verbo
determinante-oggetto Spessissimo per determinare
un Oggetto ci serviamo d'un Azione, ossia d'un Verbo ch' è la Voce destinata ad
esprimere l'Azione — Ma un Verbo non sempre si trova nella situazione di
de-terminante-oggetto. Quando sia tale, avrà dunque nella Lingua il suo particolar
Distincivo. Il Distintivo del Verbo
determinante-og-getto in Italiano consiste nell' esser esso preceduto dalla
Voce quale coll' Articolo; avvertendo, che alla voce quale sogliamo guasi
sempre sostituire la voce che - Dunque
la Voce quale unita al- l'Articolo, non
è che « Segno di Verbo determi-nante-oggetto ». Dunque saremo certi, che un
Verbo è determinante-oggetto ognivolta che sia preceduto da il quale, la quale
ec. - Quindi pensa parla fugge ec. in «l'Uomo, il quale oppure che pensa che
parla che fugge ec. » sono Azioni ossia Verbi praticamente determinanti
l'Oggetto Uomo; e però sono preceduti da il quale o dalla equivalente
sostituzione che. CAPO II
Determinazione delle Azioni ‹66.
Dato un Verbo indeterminato cioè
espri- mente un Azione indeterminata
(20), è sovente necessario determinare l'Azione espressa dal medesimo — Ma un
Azione non può essere determi-nata da Qualità; perché le Qualità per loro
natura (‹5) non anno né possono avere relazione alcuna colle Azioni. Dunque,
richiamando il già stabilito per i generali trè Capi d'Esistenza (156) e per i
Rapporti (157), possiamo limitarci a par-
Care de eDe mia Giuderio e eatche le Azioni e da Azione ossia espresse verbalmente (26) si riducono tutte a
Giu- dizj (a). xti. Dunque ogni Verbo indeterminato, quando
al Discorso non basti l'Idea generica espressa dal medesimo, dovrà sempre essere
accompagnato o da un Sostantivo o da un Giudizio determinante-azio. ne, cioè
che fissi il vero punto di vista, sotto cui deve nel discorso riguardarsi una
di sua natura indeterminata Azione qualunque.
PARAGRAFO I.° Sostantivo
determinante-azione . 168. E determinante-azione ogni Nome di
Og-getto, il quale precisa l'Idea che deve prattica- (a) In Natura ogni Giudizio è Azione; ma non
ogni Azione è Giudizio - Essendo però
impossibile in un prattico sensato discorso esprimere un Azione senza contemporaneamente
giudicare, ne siegne che le Azioni espresse verbalmente possono con ragione
considerarsi come Giudizj. Se la Voce di
Giudizio è nelle Lingue unita quasi sempre a quella di Azione in una sola
Parola, devesi ripetere singolarmente dalla impossibilità di esprimere
sensatamente un Azione senza proferire
al tempo stesso analogo Giudizio.mente attaccarsi ad un Verbo indeterminato:
Cosi in « Cesare premiava i Soldati » il Nome Soldati serve a determinare
l'azione di premiare - Ma un Sostantivo non sempre nel discorso é
determi-nante-azione. Dunque quando lo sia, aver deve il suo particolar
Distintivo. s6g. In Italiano, ad
eccezione del Nome singa lare degli Oggetti Giudicante e Ascoltante cioè me e
te, e di qualche terzo Pronome come lui lei loro ec., il Sostantivo
determinante-azione è sempre uguale perfettamente al Sostantivo cardinale
(185). Si avverta però che il Nome cardinale corrisponde al così detto
Norninativo, e il Nome determinante-azione corrisponde al cosi detto.
Ac-cusativo. 870. Un Sostantivo
indeterminato alle volte deve accennare al singolare una Parte indefinita
del-l'Oggetto, ed al plurale un Numero indefinito degli Oggetti, ch' esprime il
Nome. Tale indefinita Situazione del
Sostantivo dev'essere indicata parti-colarmente; ed in Italiano la esprimiamo
al singolare con del o della, ed al plurale con dei o delle. Ora i Sostantivi in tal modo indefiniti,
possono anch'essi determinare le Azioni: Come « Datemi del Danaro, della Carta
ec.; o visto dei Soldati, delle Schiere er. ». Quindi in Italiano il Sostantivo
determinante-azione sarà alle volte preceduto da una di quelle Voci, che
sogliono comunemente essere segni del Sostantivo determinan-te-oggetto (163),
cioé del dello dei delle — Si fac-cia pertanto la debita attenzione, onde
stante la difettosa eguaglianza di segno, non abbia a prendersi per
determinante-oggetto un Sostantivo de-terminante-azione; vale a dire in termini
gram-maticali, onde non abbia a prendersi per Genitivo un vero Accusativo. PARAGRATO 2°
Giudizio determinante-azione È determinante-azione ogni
Verbo o Giu-dizio, che serve a fissare precisamente l'Idea ed il valore che
dobbiamo dare praticamente ad un Azione indeterminata qualunque: Cosi in «
Sento cantare — Voglio che partiate - Vedo che arrivano ec." cantare, partiate,
arrivano servono rispettivamente a determinare le Azioni o Giudizj espressi da
sento voglio vedo, che chiameremo Verbi o Giudizj determinandi — Ora un
Giudizio determinante-azione nel Discorso non à sempre quest' Ufficio medesimo.
Dunque quando è tale, esigge la necessaria chiarezza, che abbia il suo
particolar Distintivo. In Italiano il
Distintivo del Giudizio deter-minante-azione consiste o nell'esser espresso in
Modo Generico determinante (104 e seg.), o nell'essere preceduto dalla Voce
che; di cui dobbiamo estesamente parlare dopo la seguente essen- zialissimaSui
Giudizj determinanti-azione 173. Abbiamo
detto (173), che i Giudizj deter-ininanti-azione o si esprimono in Modo
generico, o si fanno precedere dal che. È quindi della massima importanza
conoscere, quando debbano usarsi col che e quando in Modo generico - Parimenti
è molto essenziale sapere con qual Tempo in ciascun incontro debba esprimersi
un Giudizio deter-minante-azione. Ora
per giugnere a tali cognizioni bisogna attentamente esaminare, e la Natura
dell'Oggetto Cardine del Giudizio determinante, e le Circostanze del Giudizio
medesimo; come passiamo partica-mente ad esporre nei due Articoli
seguenti. ARTICOLO 1.° Modo pei Giudizj determinanti-azione Ogni Voce di Modo Generico determinante (104 e seg.)
esprime per natura e Giudizio, e Tempo in cui questo si eseguisce; ma non
indica l'Oggetto Cardine di Giudizio (82) - Dunque i Giudizj
determinanti-azione saranno espressi in Modo Generico, ognivolta che non sia
necessario nominare il loro Oggetto cardinale; e quando l'Oggetto cardinale
deve nominarsi, saranno espressi col che. Ora l'Oggetto cardinale non
deve esprimer-si, e quando fù preventivamente nominato, equando si accenna un
Azione genericamente - Dunque : I.° Il
Giudizio determinante-azione si esprime al
Modo generico: 1.° Quando il Giudizio determinante accenna un Azione in
genere, senza riguardo alcuno all'Oggetto che la eseguisce; come «Sento
cantare, Sentii piangere ec.»: 2.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio
determinante è quello stesso del Verbo determinando; come » Voglio par-tire,
Voi credete essere, Pensavano tornare ec. »:
3.° Quando l'Oggetto cardinale del Giudizio determinante fü già
chiaramente espresso, e in modo che non può nascere alcuna oscurità o
confusione; come «Li vedo arrivare, Vi sentiva ridere ec. ». II® Il Giudizio determinante-azione si la
precedere dal che, ognivolta che il suo Oggetto cardinale è diverso da quello
del Verbo determinani-do; avuto però il debito riguardo al primo e terzo Caso, espressi superiormente (L.°): Quindi
avremo « Vedo che arrivano, Voglio che parta, Sentii che cantavate ec. ». Si avverta, che in Italiano il Giudizio
deter-minante-azione quando sia futuro, si fa precedere quasi sempre dal che,
sebbene il suo Oggetto cardinale sia lo stesso che quello del Verbo
deter-minando: Cosi invece di « Credo dover partire - Dicono essere per tornare
ec. » diciamo «Credo, ehe partirò - Dicono, che torneranno oc. ».Tempo nei
Giudizj determinanti-azione 376. Il
Giudizio determinante-azione o è con temporaneo a quello del Verbo determinando,
o deve aver luogo in Tempo diverso. I.°
Quando sia contemporaneo, si pone sempre al Tempo presente: Come « Sento, che
cantano - Sentii cantare, - Se sentirò, che cantino ec.». Infatti il Giudizio determinante eseguendosi
contemporaneamente al determinando, basta che uno di questi due Giudizj esprima
il vero Tempo del- l'Azione. Dunque
questo Tempo essendo necessariamente espresso dal Verbo determinando, pel Giudizio determinante dovremo indicare
soltanto il Modo; il che si la coll'espressione di Tempo presente (126) -
Dunque il Giudizio determinan-te-azione quando sia contemporaneo a quello del
Verbo determinando, con ragione si esprime al
Tempo presente. Il. Quando non sia
contemporaneo a quello del Verbo determinando, il Giudizio determinante deve
indicare il suo vero Tempo da se. Dovremo quindi esprimerlo col Tempo
conveniente, che sarà facile conoscere dalla natura del discorso. Quindi avremo «So, che partono, che
partirono, che partiranno ec. Seppi, che partivano, ch' erano partiti, che
partirebbero ec. ». 177. Si avverta, che
il Giudizio determinante-a-zione benché di sua natura futuro, si esprime o
almeno pud esprimersi al Tempo presente, ogni-volta che la sua futurità è
naturalmente e chiaramente indicata dal Verbo determinando: Come «Spero
arrivare, che arrivino ec. Temo partire,
che derrano ene essendo peturie del predia . da spero, temo ec., il
Giudizio determinante non deve esprimere
che Modo; e il Modo s'indica colle
Espressioni di Tempo presente (126).
• PARAGRAFO 3.° Della Voce CHE 178. Noi qui consideriamo la Voce che
puramente come distintivo del Giudizio determinan-te-azione, quando non è
espresso in Modo Generico (172); facendo avvertire, che tal Voce per intrinseca
natura sempre trovasi fra due Giudiz), e che di questi due Giudizj uno è
determinando, l'altro determinante; come abbiamo già ripetuto più volte -
Dovendo quindi molto riflettere su questi due Giudizi relativamente al che, ne
tratteremo separatamente; chiamando il primo Prece- dente, l'altro Seguente il Che. Si avverta, che in Italiano la Voce che à
varj Significati; e ch' è molto
essenziale saperli prat-ticamente distinguere, facendo le debite Sostitu-zioni,
quand' occorra per chiarezza maggiore.
GIUDIZIO PRECEDENTE IL CHE 179.
Riguardo al Giudizio precedente il Che é necessario osservare primieramente,
s'& desso affermativo o negativo (24).180. Quando sia Affermativo conviene
spinger oltre l'analisi ed osservare, s'è desso assoluto o inassoluto
I.° Chiamiamo assoluto il Giudizio precedente, quando contenendola in se
per l'indole e natura dell'Azione che indica, esprime la Certezza del Giudizio seguente il Che: Cosi in « Vedo che
fug- •gono, sento che cantano ec.» vedo
e sento sono due Giudizi assoluti, contenendo un assoluta Certezza dell'Azione
o Giudizio seguente; giacché riguardo alla mia persuasione non possono non
cantare e non fuggire, se io li vedo fuggenti e li sento cantanti. II.° Chiamiamo inassoluto il Giudizio
prece-dente, quando non esprime la Certezza del Giudizio seguente il Che; e
questo può avvenire in due maniere: O perché il Giudizio precedente contiene
nell' intrinseca sua forza e natura l'incertezza l' indecisione del Giudizio
seguente; come « mi pare, temo, dubito, volete forse che ec. » giacchè ciò che
mi pare o che temo o che dubito o su cui interrogo, potrebbe anche non essere:
O perché il Giudizio precedente esprime di sua natura, che il Giudizio seguente
relativamente ad esso è futuro; come «Spero, Voglio, Ordino ec. che par-tano»;
giacché del Futuro non si può mai avere
assoluta certezza. GIUDIZIO
SEGUENTE IL CHE 18r. Se il Giudizio
precedente è negativo, il seguente si esprime sempre in Modo indefinito(139. e
seg.); come «Ion vedo che partano, gnoro ossia non so che siano partiti ec. ».
Infatti in simili casi il Giudizio seguente il Che esprime una Cosa, la cui
esistenza è per noi incerta; come ci fa di sua natura conoscere il Giudizio
precedente negativo. Dunque dovendo mostrare tale in- certezza, il Giudizio seguente deve
esprimersi in Modo Indefinito. 182. Il Giudizio precedente essendo
afferma-tivo, si osserverà s'è desso assoluto o inassolu to (180).
I.° Se il Precedente ¿ assoluto, il Giudizio seguente si esprime in Modo
Definito (109 e seg.) ; come « Vedo che
partono - So che partirono ec ». Infatti
in simili casi, come ne assicura il Giudizio precedente vedo, so ec., il
Giudizio seguente il Che ci é presentato col massimo grado di Certezza. Dunque dev'essere espresso in Modo
Definito. II.® Se il Precedente è
inassoluto, il Giudizio seguente si esprime in Modo Indefinito; come «Mi pare
che partano - Voglio che partano, - Temo che partano ec. ». Infatti in simili
casi, come annuncia il Giudizio precedente mi pare, voglio, temo ec. (180), il
Giudizio seguente il Che contiene l'Incertezza della sua esistenza. Dunque dobbiamo
esprimerlo in Modo Indefinito.
AVVERTENZA 183. Abbiamo
superiormente fissato che, il Giudizio precedente il Che essendo negativo o
interro-, gativo (180 e sego), il Giudizio Seguente deve es-primersi in Modo
Indefinito -Se però il Giudizio precedente sarà e negativo e interrogativo al
tempo stesso, il seguente devesi esprimere in Modo De-finito; perché in tal
caso l'Incertezza effetto d'In-terrogazione, distrugge l'Incertezza effetto di
Ne-gazione. Ed infarti un Incertezza che si presenta in Modo incerto, non
esclude necessariamente ogni ombra d'Incertezza? — I Matematici, già persuasi
della Verità « Che due Quantità negative danno un Prodotto positivo»,
m'intenderanno più facilmente degli altri.
Quindi avremo «Non vedete voi, che fuggo-no? Non sento io, che ridono?
ec. »— Ed infatti chi può non vedere, che in questi e simili Esempi il Giudizio
precedente contiene l'assoluta Certezza del Giudizio seguente il Che? - Dicendo
affermativamente « Non sento, che ridano», la Negazione del Giudizio precedente
dà al Seguente la necessaria impronta d'Incertezza (181); giacché questo
ridere, non sentendolo io, è incerto almeno per me: Quindi relativamente a tale
Azione pronuncio un Giudizio analogo alla situazione del mio Spirito.
Aggiugnendo però al Giudizio precedente la forza interrogativa « Non sento
io?», questa rende l' Espressione del Giudizio seguente certa di ne-cessità;
giacché annulla l'effetto della Negazione.
Difatti col dire « Non sento io, che ridono? » io non domando se abbia
luogo l'Azione di ridere ; ma domando, se credasi che questo ridere non sia da
me sentito, cioè non sia a mia cognizione. Dun-- que la mia Domanda non solo non pone in
dub-bio l'esistenza dell'Azione, ma la afferma; giacche. l'Interrogazione non
potrebbe aver luogo, se l'Azione di ridere non esistesse almeno nella mia
persuasione. Dunque ogni Giudizio precedente il Che, quando sia
negativo-interrogativo, diviene affermativo-assoluco (180, 1.°). Io intendo ciò che dico; ma non so farmi più intelligibile di cosi. SEZIONE SECONDA SITUAZIONI DEGLI OGGETTI 184. Uno stesso Oggetto, come fù già indica-.
to (65), può in diversi incontri presentarsi in Situazioni diverse. Esigendo
quindi la chiarezza del discorso che in ogni circostanza si precisi la vera
Situazione dell'Oggetto, parleremo di tali Sitia-210n, almeno delle primarie
distesamente; fissando per ciascuna il suo particolar Distintivo in Lingua
Italiano. - OGGETTO CARDINALE 185. Cardinale chiamiamo un Oggetto, quando è
Cardine di Giudizio (82); come io, i, il Sole, . Pietro ec. in « Io partirò - Tu scrivesti -
Il Sole : è coperto -Pietro fù chiamato ec.».
186. L'Oggetto Cardinale può nel discorso pre-. sentarsi come attivo,
passiva, o neutro cioé néittivo né passivo, dal Latino neuter significante nè l'uno nè l'altro. I.° È attivo, se agisce, cioè se la desso
l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu scrivi - Egli corre - Voi
leggete ec. ». II.° E passivo, se riceve
desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu sarai promosso —
Egli fù punito - Noi fummo chiamati ec. ».
IlI.® E neutro, quando né riceve né eseguisce Azione; e questo propriamente e solamente
suc-cede, quando l'Oggetto è Cardine d'un Giudizio di Qualità, cioé d' un
Giudizio in cui all'Oggerto cardinale si attribuisce qualche Qualità; come «Voi siete virtuosi —I Frutti erano
maturi- l' Inverno fù rigido ec. ». L' Articolo (155) è il Distintivo dell'Og getto
Cardinale, se indeterminato; e se determi-nato, il suo Distintivo consiste, nel
non averne alcuno. OGGETTO NOMINATO Chiamiamo nominato un Oggetto, quando nel discorso
non à altro Ufficio che quello di puramente accennare ossia nominare se stesso;
come Pietro, Danaro, Città in « Egli è virtuoso quanto Pietro - Tutto si fa col
Danaro - Passarono per la Città ». L'Oggetto Nominato può in fondo considerarsi come
Oggetto Cardinale: Quindi à lo stesso Distintivo (187).ittivo né passivo, dal
Latino neuter significante nè l'uno nè
l'altro. I.° È attivo, se agisce, cioè
se la desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu scrivi - Egli
corre - Voi leggete ec. ». II.° E
passivo, se riceve desso l'Azione espressa dalla Voce verbale (83); come « Tu
sarai promosso — Egli fù punito - Noi fummo chiamati ec. ». IlI.® E neutro, quando né riceve né
eseguisce Azione; e questo propriamente
e solamente suc-cede, quando l'Oggetto è Cardine d'un Giudizio di Qualità, cioé
d' un Giudizio in cui all'Oggerto cardinale si attribuisce qualche Qualità;
come «Voi siete virtuosi —I Frutti erano
maturi- l' Inverno fù rigido ec. ». L' Articolo (155) è il Distintivo dell'Og getto
Cardinale, se indeterminato; e se determi-nato, il suo Distintivo consiste, nel
non averne alcuno. OGGETTO NOMINATO Chiamiamo nominato un Oggetto, quando nel discorso
non à altro Ufficio che quello di puramente accennare ossia nominare se stesso;
come Pietro, Danaro, Città in « Egli è virtuoso quanto Pietro - Tutto si fa col
Danaro - Passarono per la Città ». L'Oggetto Nominato può in fondo considerarsi come
Oggetto Cardinale: Quindi à lo stesso Distintivo (187).quando lo esprimiamo nel
discorso unicamente perché egli presti a noi attenzione, ossia quando viene da
noi effettivamente chiamato ; come « Ami-co, dove andate? - Pietro, prendi quel
Libro - Gran Dio, mi assisti ec.». Si
avverta, che possono chiamarsi i soli Oggetti aventi la facoltà di udire, o
almeno creduti tali in forza d'Immagi-nazione.
195. Il Distintivo
dell'Oggetto Chiamato suol essere o, che per lo più si tralascia. OGGETTO
INDEFINITO 196. Chiamiamo indefinito
un Oggetto, quando nel discorso ne esprimiamo una indefinita quan-tità, se
l'Oggetto è di Numero unale; oppure ne esprimiamo un Numero indefinito, se
l'Oggetto è di Numero plurale (170); come Cercano del Pane - Vedrete dei Soldati
ec.». Il Distintivo dell'Oggetto
Indefinito consiste nell'essere preceduto al Numero unale da del o della, e al
plurale da dei o delle; come già fü detto (170). OGGETTO CONTENENTE Chiamiamo contenente un
Oggetto, quando esprimendolo consideriamo in esso come deposta o deponibile
qualche cosa, ossia quando lo consideriamo come capace di contener qualche
cosa: Cosi Roma, Principe, Libri sono Oggetti contenenti in «Pietro è in Roma, —
Confidate, cioe ponete . la vostra confidenza nel Principe — Non sempre la vera
scienza è riposta nei Libri ».199. Il Distintivo dell'Oggetto Contenente
consiste nella Voce in, che unita spesso all'Articolo dà nel nella nei ec. OGGETTO RELATIVATO (a) • 200. Chiamo relativato un Oggetto,
relativamente a cui si proferisce un dato Giudizio, oppure cui si riferisce
esclusivamente un dato Giu-dizio: Cosi Pietro, Indolenza, te, lui, Guerra ec.
sono Oggetti relativati negli Esempj seguenti; col-l'attenta analisi dei quali
sarà facile formarsi una precisa Idea di questa speciale situazione degli
Oggetti: « Che si dice di Pietro, cioé relativamente a Pietro? - Mi accusano d'
Indolenza, cioè reluci-vamente a colpa d' Indolenza - Che fia di te, cioe
relativamente a te? - Disponete di Lui, cioè re-tativamente alla Persona di Lui
- Si parlava di Guerra, cioè relativamente alla Guerra ec. ». 201. Il Distintivo dell'Oggetto relativato
consiste generalmente nella particella di. Siccome però questa Voce suole avere
altri Significati (191), cosi in ogni circostanza importa molto il ben
anali- zare il sentimento del prattico
Discorso. (a) Questa Parola è troppo
barbara, e fors' anche non esprime la situazione dell' Oggetto chiaramente
quanto dovrebbe — Non m'è però stato possibile sostituirne altra
mi-gliore.OGGETTO RICEVENTE Chiamiamo ricevente un
Oggetto, quando trovasi nella situazione di ricevere effettivamente qualche
Cosa; come Soldati, Amico, Corriere ec. in « Diedero ai Soldati - Dissi all'
Amico - Consegnate al Corriere ec.». Il Discintivo dell'Oggetto ricevente è la Voce o, la
quale unita all'Articolo forma spesso le Voci composte al alla agli ec. .
OGGETTO TERMINANTE Chiamiamo
terminante un Oggetto, nel quale và a terminare un Moto, o un Azione col mezzo
di Moto; come Campagno, Amico, Voiec. in « Andiamo in Campagna — Scrivo all'
Amico — Quest' oggi verrò da Voi ec. ». Il Distintivo dell'Oggetto terminante è co munemente
la Voce a, come per l'Oggetto Ricevente (203). Quindi per distinguere in un
Oggetto l'una dall'altra situazione, bisogna ponderare e la qualità dell'Azione
e la forza del sentimento - Inoltre l'Oggetto terminante molte volte trovasi
preceduto da in, da ec.; e però convien fare moltissima attenzione alla natura
del Discorso. OGGETTO COMINCIANTE Diciamo cominciante ogni Oggetto, dal quale à
principio un Azione od un Moto; come Vienna, Storie, Soldati, Campagna ec. in «
Ebbi Lettere da Vienna - È narrato dalle Storie - Il Castello fü preso dai Soldati - Tornerà
dalla Campagna domani ec. ». 207. Il Distintivo dell'Oggetto cominciante é
la Voce da, che unita spesso all'Articolo forma le Voci composte dal dalla dagli ec. Si avverta, che la Voce da à varj
Significati, e quindi che non precede sempre un Oggetto co-minciante. Il
Buon-senso però e l'Analisi ne fa-renno facilmente conoscere il vero valore in
ogni prattico Discorso. 208. L'Oggetto
Cardinale attivo (186, 1.°) è in fondo cominciante di sua natura. Uno
stesso Oggetto però non può
contemporaneamente presentarsi in due diverse Situazioni. Dunque un Oggetto
considerato come Cardine di Giudizio, non può allo stesso tempo esser preso
come Comin-ciante. Si avverta peró che
ogni Oggetto Cardinale attivo, quando regga una Voce verbale indetermi-nata,
può colla massima facilità farsi passare ad Oggetto Cominciante col dare un
diverso giro alla frase e un differente aspetto all'azione: Cosi invece di dire
«I Soldati desiderano la Guerra » si può dire cLa Guerra è desiderata dai
Soldati»; benché tali Espressioni non abbiano precisamente la stessa identica
forza e valore. AYYEBTEN2A. Sull'Ordine diretto e inverso nelle Azioni 209. Qui cade in acconcio l'osservare, che
in ogni Azione indeterminata
dobbiamo considerare come un Estensione di spazio, ossia come una linea di
Moro. Quindi in tali Azioni avremo sempre un principio ed un fine, inseparabili
da qualunque Estensione. 210. Da ciò derisa, che l'Azione
indeterminata può presentarsi sotto due aspetti diversi, cioè com ordine diretto o inverso. I.° Si presenta con ordine direito, quando la
consideriamo come passante dal suo principio al suo fine; come « lo scrissi una
lettera - Egli or-dino, che partissero »
Il.° Si presenta con ordine inverso, quando nell'Azione cominciamo a
considerare il fine, e da esso passiamo al principio; come • Una lettera fù
scritta da me - Che partissero, fu ordinato da lui » — Tali Espressioni però
debbono considerarsi, e sono effettivamente Sostituite (5). In ogni Azione indeterminata, sotto qualunque
aspetto si presenti dessa praticamente, avremo dunque sempre e principio e
fine; e questi due Cardini dell'Azione
debbono essere e sono sempre chiaramente espressi nel Discorso. 211. Rapporto alle Azioni determinate,
siccome queste risguardano soltanto l'Oggetto Cardinale, non possiamo in esse
considerare altra Estensione che quella di durata; come « Ho passeggiato due
ore — Dormirà tutta notte ec. ».212. Ben inteso quanto fü analizato finora,
colla guida dell' Analogia del Buon-senso e della Riflessione si può in
qualunque Lingua essere in caso di darsi ragione di tutto - E quale
sodisfa-zione per un Anima colta rinvenire ad ogn'istante motivo di ragionare,
dove si riteneva assolutamente precluso l'adito al Raziocinio ? Io non pretendo di aver completamente
esaurito la Materia trattata; giacché ciò che nasce, non puó al tempo stesso
giugnere alla sua perfezione. Parmi
peró, che l'esposto sia sufficiente per cominciare a formarsi un Idea
filosofica del Lin-guaggio. Le
inveterate Abitudini predominanti, la spesso trionfante Ignoranza, la
difficoltà di tanti indispensabili Raziocinj, l' Insufficienza la sfavorevole
Prevenzione e il Contro-genio quasi universale per Teorie astratte e
metafisiche, sono a questa Nuova Scienza ostacoli quasi insormontabili - Ma per
ciò che riguarda il creduto Bene dei Simili, il Filantropo spera anche immezzo
alla Dispera-zione. Quindi, a gloria della pensante Umanità dei Spiriti
illuminati e della sana Filosofia, mai cesseró di credere, che La vera Scienza
del Linguaggio abbia a vedersi un giorno assisa in seggio lumi-noso, al pari di
tant' altre più o meno utili Scienze.LINGUA
FILOSOFIÇO-UNIVERSALE INTRODUZIONE 1. Ocri Nazione ebbe ed à il suo proprio
Lin-guaggia parsisolare. Le Persone colte però sogliono in ogni civilisata
Nazione occuparsi dello studio di qualche Lingua straniera, Se dunque i
Letterati si applicassero tutti allo studio d'una medesima Lingua, potrebbe
questa molto facilmente rendersi
Universale. 2. Ma il Linguaggio
di tutti i Popoli fü a poco a poco e capricciosamente stabilito dal bisogno e
dall'uso; vale a dire, che il Beto più ignarante della facietà fù sempre il
primario fondatore di tutte le Lingue. Dunque le Lingue che anno p ebbero
pratticamente asistenza, debbono di ses cessità essere complicate difficili
irregolari = Dunque nessuna delle Lingue esistite o esistenti, esser potrebbe
ragionevolmente la Lingua Universale pei
Dotli. 3. La Lingua Universale
pei Dotti dev'essere Lingua Dotta; vale
a dire, Lingua basata sullanatura delle Cose, e ridotta a sistema dal razio
cinio dalla meditazione dal calcolo dalla Filosofia - Dunque per formare un
Piano di Lingua Universale è necessario, prima analizare le Basi fondamentali
del Linguaggio in genere, indi esa- •
minare qual sistema Filosofico di Lingua sorger
potrebbe dai conosciuti Principi generali. 4. Quindi il nostro Lavoro sarà diviso in
trè Parti ; civé • I. LInGuA GanerIca II. LINGUA FILOSOFICA III. LINGUA
UNIVERSALE Vedremo nella prima, quali
sono e debbono essere le Teorie e le Regole generali di Lingua, calcolate sulla
natura stessa delle Cose: Formeremo nella seconda il Piano per una Lingua
possibilmente Filosufica: Fisseremo nella terza, quanto a nostro credere è in
genere necessario per una ragionata Lingua Universale. Si avverta, che per l'intelligenza completa
dei qui sviluppati principi di Lingua è duopo conoscere almeno in gran parte,
ciò che si espose nella premessa ANALISI DEL LINGUAGGIO; e che le Teorie qui
esposte servono di schiarimento all'ANALISI medesima.LINGUA GENERICA 5. Sorro al nome di Pensiero comprendendo
tutto ciò che occupa lo Spirito e quando agisce e quando sente, lo scopo del
Linguaggio é la Co municazione reciproca dei Pensieri; e tale Comunicazione
esigge un Mezzo di convenzione trà gli Uomini — Dunque nell'Analisi della
Lingua in genere dobbiamo esaminare e il Mezzo di Comu-nicazione, e quanto può
essere Soggetto di occupazione allo Spirito.
Dunque in sette separate Sezioni analizeremo succesivamente : Le Parole I Giudizj I Fonti Primitivi dei Giudizj I loro Fonti Secondarj Le Voci Indeterminate Le Voci Sostituite Alcune Cose di speciale Osservazione Chiamasi Parola « Ogni
vocale Suono o Aggregato di Suoni, emessi senza interruzione » (a). Le Parole possono essere
significanti o insignificanti - È significante ogni Parola, cui la Convenzione
sociale attacá un Idea o setiplice o composta; come tömô, Batticuore ec. : E
inst gnificante ogni Parola, cui dalla
Convenzione nori si attacca alcuha Idea; come sarebbe in Italianó Liudi,
Priroda ec. - Nessuña Lingua puó avere
ma. Le Parole Significanti sono o fuggevoli ô
pér-manenti. CAPO I Delle Parole Fuggevolt Chiamiamo fuggevoli «Quelle Parole, delle quali si
perde ogni traccia, appena proferite ». Le Parole essendo formate da suoni Voca-
321121003080.6070 (a) Suono Vocale vuol
dire « Qualunque Suono formato colla
Voce 9. l (6), et necessario considerare
partitamente totti ! Suoni che serveno
alla loro Formazione - Questi Suoni da noi si distinguono in gusturali ed
orali. PARAORATO S°• DE Storl Gutturali 31, Dal latino guitur chiamiamo griturali
«Quei Suoni, che senza il menomo sforzo e tenendo la Bocea più o merto aperta,
si formano interamente nell'iriterto della Gola ossia nella Loringe "-In
Italiano, come quasi in tutte le Lingue, i Suoni gutturali sono a, o, d, i, 0,
0, u (a). GỪTTURALI SBMPLICI E
COMPOSTI 12. I Suoni Gatturali si distinguono
in semplici e composti —Sono semplici, quando sonservano inalterabile la
primitiva loro natuta; come a, e, ¡ ec.:
Sono composti, quando il Suono comincia cón un Gutturale e fnisce con un altro;
come in Italiano ai, ei, voi ee. Si avverta, che due o più Gutturali
formano Suono composto, sol quando nel
proferirli tutti s'impiega il tempo, che sogliamo implegure per emetterne un
solo. Quindi nelle Parole reica, pie: coso ec. perché ei ed ie formino Suono
composto, (a) e ed o armo duo Suoni
differenti, uno doperto o l'altre strello; o l'aerento da mo usato serve
untedmento ad tadiente il secondo, cisa il Duoro stretto conde in tado, dato
00. ¿ necestario proferirli con quel
tempo, col quale si pronunzierebbe un i od e semplice, ma lungo, come diremo
(15). GUTTURALI BREVI et LUNGHI 13. Il Meccanismo della Voce e degli Organi
vocali esigge indispensabilmente, che in ogni Parola prolunghiamo qualcuno o
alcuni dei Suoni gutturali: E da ciò viene, che in varie Lingue alcune Voci
mancanti di Suono lungo ossia pro-lungato, debbono pronunciandole unirsi ad
altre Parole. 84. I Gutturali composti (‹2), come formati
da Suoni diversi, sono tutti lunghi di loro natura; essendo fisicamente
impossibile, che una stessa Voce proferisca più Suoni nel medesimo istante
indivisibile. • 85. I Gutturali Semplici
debbono distinguersi in brevi e lunghi, cioé si proferiscono ora lunghi ed. ora brevi - E breve un Suono gutturale
sempli-ce, quando si emette colla massima possibile bre-vità; come i ed e in
ordine cardine ec.: È lungo un Suono gutturale semplice, quando la Voce si
poggia ossia si ferma un poco sopra esso; come a in Canto l'armi (a). (a) Se dovessi determinare il rapporto di
durata trà un Suono lungo ed un breve,
appoggiato ai lumi che somministra la Poesia specialmente latina greca e
tedesca, direi « Che il breve è la metà del Suono lungo »; vale a dire, che
nella Quando in ciascuna Lingua i
Gutturali semplici debbano pronunciarsi brevi e quando lun-ghi, può apprendersi
unicamente dall'uso. PARAGRAFO 2.° De Suoni Orali
Dal latino os oris
significante Bocca, chiamiamo orali «Quei Suoni vocali, che propriamente si
formano nella Bocca o in qualche di lei parte »- Questi Suoni son quelli, che
comu-. nemente sogliono chiamarsi Consonanti. I Suoni Orali si
distinguono in prolungabili ed istantanei, come sono realmente in natura -
Chiamiamo prolungabili quelli, che volendo possono effettivamente prolungarsi;
come f, r, m, 1o, 2, ec.; avvertendo che m ed n sono prolungabili soltanto
prima della completa loro formazio-ne. Chiamiamo istantanei quelli, che non
potendo essere prolungati, si emettono in un solo istante indivisibile; come 6,
d, p, t, ec. pronuncia di due Suoni brevi dobbiamo impiegare tempo eguale a
quello, che s' impiega nella pronuncia d' un Suono lungo : Quindi la Voce non deve mai poggiare sopra un
Suono, che • di natura sia breve. Per
chi ama la Poesia e brama penetrare fin entro l' armonico di lei Santuario, questa
Osservazione può essere fe conda di utili riflessi. 21. Non sarebbe difficile almeno per un
determinato Linguaggio spiegaré meccanicamente, come debba prontinciarsi
ciáscal Subito vocalé. Omettiamo pero questa meccanica splégazione, e perché in
gran parte ittitile, e perché di sua hatará nojosa, e perché dalla voce d'an
Conoscitore cóls Fesercizio di pochi
minuti può apprendersi conve-fientemente lá Pronuncia di qualunque Suono
to-cale. PARAGALtO 3.° Delle Parti o Sillabe nelle Parole 29. Nelle Patole i Suoni Orali praticamente
si uniscono sempre a qualche Gutturalé; e proptia-mente tion servono che a
modificare ossia presen= tare sötto difletenti aspetti il Suono Guttatale cul
vanno uniti: Quindi non fortato da se té Parola né Parte di Parola össia
Sillaba. Il rumero delle Parti o Sillabe nelle Parole è quindi determinato dai
Suoni gutturall; e propriamtehte in diastina
Parola son tánte le Sillabe, quatti i Suoni Gut: turali o semplict o
composti (12). 23. Quindi in ogni
Sillaba dobblato distinguere il Suono bäse e i Suoni accessotj: Lä Base et formata
da un Suono Gutturale o semplice o cơm-posto; e gli Aecessorj sono gli Orali
che trovansi uniti alla Base - Diffatti, che il Suonó Gútturale sia la Basé
fondamentale d' ogni Sillaba e che gli Örali sieno puramente accessöri, é
provato da cio; che non possiamo aver
Sillaba senza Suono Gut-turale; ed invece possiamo benissimo averla senza Suoni Orali.
24. Inoltre la Voce non può troncarsi arrestarsi ossia finire con un
Suono Orale; giacché l'inter- rompimento
di qualunque Orale anche prolungabile (47) produce necessariamente un piccolo e
appena sensibile Suono gutturale, com'è facile conoscere colla propria
esperienza - Dunque ogni Sillaba deve
terminare con Suono gutturale. Dunque i Suoni Orali possono in ciascuna Sillaba
pre-, cedere la Base, ma non possono seguirla giammai (36). Dunque le tante Regole del sillabare si
riducono ad una sola e della massima semplicità; cioé « In ciascuna Parola ogni
suono Gutturale é fine di sillaba»— Ecco in qual modo al lume dell'Analisi del
Raziocinio e della Filosofia svaniscono tormentose inutili difficoltà, cagione
alla povera Fanciullezza di tante lagrime e di tanti eloquentissimi sospiri. 25. Ben fissato quanto si espose finora, se
volessi pronunciando separare le Parti costituenti le Parole « intanto, ardire,
correndo, batteva, coraggio ec. » dovrò dire «i-nia-nio, a-rdi-re, co-rre-ndo,
ba-ite-va, co-ra-ggio ec." - Questa maniera di decomporre le Parole
facendo terminare ogni sillaba con Suono gutturale, a primo aspetto parrà
strana a chiunque: Essa veramente si oppone all'Abitudine ed alle Regole
stabilite e seguite per tanti secoli da tutte le Scuole; ma non cessa per
questo d' essere ragionevole e ragionata.
Infatti decomponendo una Parola in sillabe, dobbiamo farlo in modo, che
riuniti i suoni di tutte le Parti, ne risulti poi l'Espressione dell'intera
Parola. Ora questo non può ottenersi, se non facendo terminare ogni sillaba con
suono Guttu-rale; come colla propria esperienza può convin-cersene ognuno da
se. Dunque la Decomposizione delle Parole non può, ne deve larsi altrimenti. Onde ancor meglio persuadersi di questa
ve-rità, lasciata per in momento da parte ogni contraria prevenzione, si
pronunzino le varie sillabe delle suespresse Parole col Metodo che ci fü
insegnato e che s'insegna nelle Scuole. Avremo «in-can-to, ar-di-re, cor-ren-do
ec. "—Si confronti ora l'insieme di questi suoni parziali coll'
espressione totale di ciascuna Parola; e questo confronto si faccia, non come
sragionando sogliamo per abitudine (dicendo per esempio nella sillaba in « i ed
enne fa in»), ma si faccia come avviene realmente in natura. Non è egli vero,
che debitamente riunendo i suoni parziali, risulterebbe inetaneto, are-dire,
corerenedo ec. (a); vale a dire risulterebbero Parole diverse da quelle, che
intendiamo pronunciare? - Io scrivo unicamente per Chi, o ragiona o conserva
almeno la capacità di ragionare. Si dirà
forse: Come insegnare ai Fanciulli a (a)
Li e che si trovano in queste Parole espressi in ca-fattere piccolo, debbono
considerarsi come aventi un suono, che in duraia è metà d'un e breve (15), proferire i difficili suoni nto, mha, uma,
nce ec.? Primieramente il saper
decomporre le Parole con tutta precisione non è di assoluta necessità, che per
la sola Paesia; e chi impara a leggere una Lingua, è ben lontano
dall'analizarne i Prodotti poetici. Inoltre la Cosa e facile assai, quando
abbandonati i soliti sistemi, si volesse ascoltare e seguire ciò cha a tal
proposito suggeriscono il Buon-senso e la Matura. Si cominci dal far proferire un breye fucile
e ben inteso Sentimento: Dal Sentimento si passi a eiascuna Parole: Dalla
Parola si passi alle Sille-be: E da eiascuna Sillaba si discenda alle Lette re—
In somma per ben fare si faccia l'opposto di quel che sempre si fase. Della
Posa nelle Parole 26. È fisicamente
impossibile proferire di seguito senz' alsuna interruzione le varie Parti d'
una Pa: rola, facendo in essa brevi tutti i suoni Gutturali. Quindi in tutte le Linguei suoni gutturali di
cia-ecuna Parola che può pronunciarei isolatamente, sono o tutti lunghi, o
alcuni lunghi ed altri bre-wi — Ma nei suoni lunghi la Voce si ferma si posa
più che nei brevi, anzi per un Tempo precisamente doppio (‹5). Dunque in
clascuna Parola pronunciabile disgiuntamente dalle alire, avremo la Posa sopra
ciascun suono gutturale, che per genio o legge di Lingua sia lungo. Un assoluta precisione di Pronunzia in punto Buoni
lunghi e brevi, non si richiede che nella Poesia; giacché in essa un suone
breve prolungato o un suono lungo abbreviato è bastante ad alterare il Metro,
cioè quella Misura quella determinata Estensione di suoni, cui la Poesia dey'
es-sare costantemente soggetta - La Prose gode maggiore libertà; giacché esente
da Metro costante, non è sempre ugualmente scrupolosa rapporto alla durata de'
Suoni. CAPO II Delle Parole Permanenti Chismiamo permanenti « le Parole espresse in modo
che si conservano, e che cal mezzo della Vista ei richiamano e il giusto loxo
suono vocale, e l'Idea ch' esprimono ». 2g. Rendere permanenti le Parole e
proprio della Scritura, uno de più belli e piu utili ritrovati dell'umana
Capacità - Gli elementi della Scrit tura sono Segni; e questi debbono essere
varj e distinti, come i suoni Vocali che accennano. 30. Non sarà qui fuor di proposito avvertire,
che la Scrittura è naturalmente posteriore al Lin- biamo pronunciar le Parole come sono scritte,
giacché cio supporrebbe la Scriptura e anteriore alla Pronuncia e capace di
esprimere esattamente i Suoni vocali; ma dobbiamo pronunciarle secondo l'uso
migliore e più ricanoscinia d'ogni Nazione.
Quindi le Parole scritte non debbono in punto Pronuncia che richiamare i
Suoni precisi, coi quali dev'essere proferita qualunque Parola. Si fissi dunque, che la Scrittura serve a
richiamare esattamente e colla massima precisione tanto le Idee che i giusti
Suoni vocali; ma si fissi ancora, che questi Suoni vocali sono dalla Scrittura
rappresentati quasi sempre imperfettamente.
Quindi la Scrittura può esattamente definirsi «Se- rie di segni non gia rappresentanti ma solo
richiamanti a norma di Convenzione una serie d'Idee ed una serie di Suoni
vocali »— Con questa semplice Definizione si comprenderà facilmente come si può
benissimo pervenire ad intendere sui Libri ed anche a scrivere una Lingua
qualunque, senza saperne ben proferire una sillaba sola; come so vente uno
stesso Segno in diverse Parole à suono diverso; e perchè l'esatta Pronunzia
d'una prat-tica Lingua qualunque non può apprendersi che a forza di Esercizio e
di Conversazione. Segni de' Suoni
Gutturali 31. I Suoni Gutturali semplici
in Italiano sono . sette (11); ma si esprimono coi soli cinque segni a, o, i,
0, 4— E quindi necessario far attenzione, che ciascuno dei segni e ed o serve
ad indicare due differenti suoni Gutturali, cioé uno più chiuso dell'altro. Il
solo Uso può far conoscere, quando questi Segni abbiano l'una e quando l'altra
Pro-nuncia. 32. I suoni Gutturali
composti si esprimeno coi soprafissati segni dei semplici, unendone secondo il
bisogno due o tré in una sillaba sola; come mio, suoi ec. È qui opportuno avvertire, che in Italiano il
segno i preceduto da c da g e da gl, moltissime volte non esprime suono
gutturale; ma indica semplicemente, che il c il et ed il gl debbono avere quel
suono stesso che dar loro sogliamo avanti al Gutturale i:: Come in caccia,
giusto, abbaglio ec. GUTTURALI BREVI E LUNGHI • 33. I cinque segni sopra fissati (31)
servono egualmente ad indicare i suoni Gutturali tanto brevi che lunghi. Quindi
il solo Esercizio può farci praticamente distinguere gli uni dagli altri. In Italiano se la -Parola termina con suono
gutturale lungo, si sovrappone al segno un ac-cento; come andò, verrà, perché
ec. PARAGRAFO 2° Segni de Suoni Orali • 34. I suoni Orali prolungabili (17)
sogliono ac-cennarsi coi segni m, r, s, n, ec.: I suoni Orali iscontanei
sogliono indicarsi coi segni b, d,p, t, ec.; e tanto gli uni che gli altri ánno
un determinato valore a norma della Convenzione di eiascun Popolo e Linguaggio
in particolare. ORALI ORDINARJ et FORZATI 35. I segni de suoni Orali (3) servono di
loro natura ad esprimere in iscritto gli Orali ordinarj. Per indicare gli Orali forzali ci serviamo
dei st-gni medesimi duplicandoli, cioè scrivendo mm; it, ss ec. — Quindi il
segno Orale doppio ossia la Consonante duppia, non esprime due suoni; ma indica
soltanto, che il suono dev'essere forzato (^9), cio quasi doppio non in durata
ma in intensità. ORALI FINALI 36. Abbiam detto (34), che ogni sillaba
termina con suono Gutturale: Quindi, siccome in Iscritto molte parole finiscono
con segno Orale, e qui necessario aggiugnere qualche cosa riguardo ai Segni
orali finali, cioè che formano l'ultima lettera di varie Parole. Le Parole non sempre debbono pronunciarsi
come sono scritte; giacché la scritturá propriamente non rappresenta i suoni
Vocali, ma soltanto li richiama (30). Se dunque molte Parole finiscono con
segno Orale, non siegue che anche la loro Pronunzia abbia a terminare
precisamente col suono Orale marcato nella scrittura. 37. Le Parole, la cui ultima lettera è un
segno Orale, o si trovano immezzo o si
trovano alla fino del Sentimento - Chiamiamo fine del sentimento ogni Luogo
(endroit), in cui la Voce pronunciando deve o almeno può arrestarsi più o
meno: E chiamiamo Luogo immezzo al
sentimento, ogni Luogo in cui la Voce non può arrestarsi; perché altrimenti
lederebbe il Sentimento - Ora: L° Se le
Parole terminanti con segno Orale, sono immezzo al sentimento, il suono Orale
finale si unisce sempre alla Parola seguente: Cosi dicendo con tutti, l'n
finale deve nella Pronuncia unirsi al t seguente iniziale; e precisamente come
se fosse scritto in una sola parola contutti, ossia co-ntutti. Quindi in questo
caso le Parole o sillabe finali debbono considerarsi come effettivamente
terminanti con suono Gutturale. II.° Se
le Parole terminanti con segno Orale sono alla fine del sentimento, si richiami
(24) essere impossibile che la Voce si
arresti assolutamente in un suono Orale; giacché stante il Meccanismo degli
Organi vocali, la Cessazione d'un suono Orale qualunque deve necessariamente
produrre un appena sensibile suono Gutturale, che noi chiameremo Suono-cessante
- Dunque il segno Orale terminante una Parola che trovasi alla fine del
sentimento, esprime un suono Orale che poggia e che si unisce al
Suono-cessante. Ma il Suono-cessante è
di natura tale, che non può essere udito da chi ascolia. Esso dunque non può
far sillaba nella Parola. Dunque ogni Orale che sia seguito dal Suono-cessante,
siccome non può essere considerato isolatamente (22), potrà per convenzione
ritenersi formante sillaba col Gutturale precedente - Quindi tenor furor ardir,
quando siano alla fine del sentimento, saranno
considerate come Parole di due sillabe sole: Esse • però in natura sono di due sillabe e più;
più, formato dall'Orale finale unito al Suono-cessante ; più, che praticamente
non si calcola, perché non può essere udito da chi ascolta. Stà dunque il Principio, che ogni sillaba
termina con suono Gutturale. 38. La
Lingua Russa è in questo, come in altri Punti molti, più ragionata di tante
altre, che pure comunemente si credono Lingue più colte. Essa infatti à un segno
apposito, esclusivamente destinato ad accennare in iscritto quell' appena
sensibile suono finale, da noi chiamato Suo-
no-cessante. Quindi in Lingua Russa le Parole scritte, terminano tutte o
con segno Gutturale o col segno di Suono-cessante. La Lingua Italiana, tranne qualche
poetica Licenza, non à Parole che in un
prattico discorso possano finire col Sunno-cessante; ed è questa la primaria
cagione della vocale dolcezza pienezza e rotondità, esclusivamente propria alla
nostra Lingua. Dall'esposto in questa prima Sezione si può
rilevare, quanto si opponga alla natura delle cose il Metodo comunemente usato
per istruire i Fanciulli nel Leggere; e si potrebbe dimostrare molto
facilmente, che siffatto Metodo colla nozione delle Lettere delle Sillabe del
Compitare, insomma cogli usati principi di Lettura infonde nel loro
spirito insensibilmente i semi funesti
d' un perfettissimo sragionare. Oh
quanti traviamenti di Ragione deve l'Umanità ripetere dall'Istruzione
Elementare! Se co minciasi a ragionar nell'Infanzia, la Vita dell'Uomo sarà un
immanchevole Tessuto di esatti
Ragionamenti; quindi d'Onestà, di Morale, di Virtù, di Scienza, di
Felicità. Ma se l' Infanzia sragiona.... Oh quanto pochi, negli anni più maturi,
si diriggono al Tempio della Verità!
SEZIONE SECONDA DEI GIUDIZI Il Giudizio è « un Operazione mentale, con cui
affermiamo o neghiamo, che ad un Oggetto convengo una data Azione o. Qualità »
- Quindi tutti i Giudizj saranno o di Qualitá o di Azione. I Giudizi possono secondo
le circostanze formarsi e quindi esprimersi in varj Modi o manie-re; e possono
riferirsi ad un Istante qualunque di Tempo. Dunque in questa Seconda Sezione
dopo alcune preliminari Avvertenze in quattro separati Capitoli tratteremo ° Degli Oggetti, Gardine di Giudizio ° De varj Tempi ai quali
possono riferirsi i Giudizj 3.° De varj
Modi, ne'quali si formano i Giudizj 4.° Delle Voci indicanti Giudizio Tempo
e Modo. Sulle PARTI costituenti un
Giudizio. • 42. Ogni Giudizio deve
contenere e contiene essenzialmente trè Parti; cioè Cardine di Giudi- zio, Voce di Giudizio, Attributo di
Giudizio. 43. Chiamiamo Cardine di
Giudizio « Ogni Og-getto, cui si attribuisce o si niega un Azione o Qualità (40) ». Chiamiamo Voce di Giudizio « La Parola esprimente il
nostro sentimento o parere, tanto affermativo che negativo ». Chiamiamo Attributo di
Giudizio « La Voce esprimente l'Azione o Qualità, che si attribuisce
all'Oggetto Cardine di Giudizio ». Sull' esprimere l' opposto nelle Cose 46. È molte volte necessario indicare
precisamente l' Opposto di ciò, che una Voce esprime a norma di Convenzione.
Questo accade specialmente nelle Voci di Giudizio (44); giacché ogni Giudizio
negativo è assolutamente l'Opposto dello stesso Giudizio, quando fosse
affermativo - Dunque la Lingua aver deve un segno per indicare l'Opposto d'una
Cosa qualunque; e questo segno in Italiano comunemente suol essere la Yoce
not. Sul Segno di NUMERO GENERico negli
Oggetti La semplicità e facilità di
Linguaggio vuo-le, che il Nome degli Oggetti sia inalterabile, cioè sempre lo
stesso. Ed infatti le Lingue più difficili son quelle, che più variaro la
desinenza nei Nomi, come in altre Parole - Ora è facile inten-dere, che tanto
uno come più Oggetti possono formare il Cardine di Giudizio - Dunque la Lingua
avrà un Segno per indicare genericamente il Numero o unale o plurale degli
Oggetti. Ma gli Oggetti che alle
volte sono Cardine i Siurio dirono il divere circostang ure ari remo il Segno generico di Numero unale o
plura-le, non solo quando gli Oggetti sono Cardine di Giudizio, ma ognivolta
che sia necessario determinare il loro Numero in genere. Sul sesso degli
Oggetti 49. Gli Oggetti organici, aventi
cioé la facolià di propagarsi, possono essere di Sesso maschile o femminile:
Gl' inorganici sono mancanti di Sesso; quindi nè Maschj nè Femmine; quindi
Neutri — La Lingua avrà dunque dei Segni per l'opportuna distinzione del Sesso
nelle Voci di Oggetto; distinzione che nel discorso praticamente non sein-pre è
necessaria, giacché molte volte esprimiamo gli Oggetti senza riguardo alcuno al
loro Sésso. in ale moteta, che ella mini
Eliti n comi, non anno il loro
particolar Distintivo: Quindi in forza di convenzione e di uso vengon essi
marcati col Segno di Sesso ora maschile ed ora femminile - Parimenti si
avverta, che in molte Lingue Oggetti maschili anno alle volte il Segno
femmi-nile, e Oggetti femminili il Segno maschile. Quindi in ogni Lingua prattica per conoscere
il Sesso bisogna far attenzione alla natura dell'Oggetto espresso dal Nome, o
richiamato dal Pronome. CAPO I
Degli Oggetti, Cardine di Giudizio
5r. Cardine di Giudizio può essere o l'Oggetto che giudica; o l'Oggetto
che ascolta, cioè l'Oggetto cui è partecipato il Giudizio; o un Terzo Oggetto,
cioè un Oggetto diverso e da chi giudica e da chi ascolta. Dell' Oggetto Giudicante 52. L'Oggetto giudicante quando sia Cardine
di Giudizio, non à bisogno di farsi conoscere col proprio Nome, cioè col Nome
che gli compete come Individuo nella serie degli Esseri; ma deve solo ac-cennare,
che desso è il Cardine di Giudizio - Quindi è, che tutte le Lingue fissarono
una Voce generica applicabile a qualunque Oggetto, il quale trovandosi nella situazione di Giudicante, e
anche Cardine di Giudizio. Questa Voce in Italiano è io pel Numero
una- le, e noi pel plurale. PARAGRATO 2.°
Dell' Oggetto Ascoltante 53. Nemmeno l'Oggetto ascoltante quando
sia Cardine di Giudizio, à bisogno
d'essere espresso col proprio Nome, cioé col Nome che gli compete come
Individuo; bastando unicamente accen-nare, ch'è desso il Cardine di Giudizio -
Quindi abbiamo in tutte le Lingue una Voce generica applicabile a qualunque
Oggetto, il quale essendo •Ascoltante è
al tempo stesso Cardine di Giudizio.
Questa Voce in Italiano pel Numero unale é ous, pel plurale voi. Gli oggetti giudicante e ascoltante possono
essere di Sesso tanto maschile che femminile. Siccome peró nel discorso è
indispensabile il loro in-tervento, o per lo meno la preventiva indicazione
loro personale; cosi ne conosceremo il Sesso na-turalmente, senza bisogno di
parzialmente indicarlo -Quindi le Vori io e noi, tu e voi servono ad ambedue i
Sessi egualmente. Si faccia attenzione che
l'Oggetto giudicante dev'essere necessariamente dotato della facoltà di
giudicare, e di comunicare il suo Giudizio; e l'Og-getto ascoltante dev'essere
dotato della facoltà di udire e d'intendere. Quindi, se Oggetti in natura mancanti
di tali facoltà, alle volte figurano nel discorso come giudicanti o ascoltanti;
é solo, perché in forza d'immaginazione si attribuiscono loro tali necessarie
Facoltà. Del Terzo Oggetto 56. Qualunque Oggetto possibile è in grado di
entrare nel discorso in qualità di Terzo Oggelto, Quindi i Terzi Oggetti non
possono esprimersi con delle Voci generiche; ma bisogna accennarli col Nome
loro particolare, indicandone al medesimo tempo e Sesso e Numero-generico; Se però il Terzo Oggetto sia già stato
nominalmente espresso, allora nel continuare il discorso possiamo anzi dobbiamo
indicarlo con una Voce generica, applicabile a tutti i Terzi Oggetti che sono
Cardine di Giudizio dopo essere stati preventivamente nominati: Ed infatti
relativamente all'Oggetto l' essenziale d' ogni Giudizio espresso in parole,
consiste nel far conoscere l'Oggetto Cardine di Giudizio. Dunque se quest'
Oggetto fù già individualmente indicato, è inutile nominarlo di nuovo; e basta
solo con una Voce generica ac-cennare, ch' è Cardine di Giudizio il Terzo
Oggetto precedentemente nominato — Questo raziocinio si applica anche ai Terzi
Oggetti, che prat-ticamente non sono Cardine di Giudizio.58. Qualunque Voce
generica indicante cosi un Terzo Oggetto
è detta Pronome di Terzo Ogget-to; cioè« Voce generica, posta in luogo del Nome
d'un Terzo Oggetto già espresso»; o più esattamente « Voce generica,
richiamante un Terzo Oggetto già espresso ».
Ecco le Voci, che usa la Lingua Italiana per questi Pronomi : .NUMERO
UNALE PLURALE maschile .... egli o esso eglino o essi femminile. . . . ella o essa elleno o
esse 5g. Nel far uso dei Pronomi di
Terzo Oggetto si richiede grande attenzione, onde non abbia a sorgere nel
Discorso confusione ed oscurità - Si fissi quindi come Regola generale, che trà
il Pronome ed il Nome cui quello si riferisce, non deve trovarsi alcun altro
Terzo Oggetto, almeno dello stesso Numero e Sesso. Del Pronome Riflesso 6o. Nei Giudizj di Azione gli Oggetti Cardine
di Giudizio sogliono molte volte offrirsi allo Spirito in un secondo aspetto in
una seconda situa-zione, come lo sono effettivamente in natura; e questo o per
determinare l'Azione medesima, o perché l'Azione presenti tutta l' estenzione
ad essa necessaria in un dato Giudizio: Come « io credo me — tu biasimi te —
egli o ella punisce se - noilodiamo noi— voi tormentate voi — essi o esse
allontanano se»; che propriamente debbono per gusto di Lingua esprimersi «io mi
credo tu ti biasimi — egli o ella si punisce — noi ci lodiamo — voi vi
tormentate —essi o esse si allontanano».
6r: Dunque la Lingua aver deve una Voce esprimente qualunque Oggetto, il
quale essendo già Cardine di Giudizio si
trova nella suespressa circo-stanza; vale a dire ci si presenta nello stesso
Giudizio in una seconda ossia diversa situazione - Questa Voce generica, inserviente ad
accennare nello stesso Giudizio una seconda Situazione di qualunque Oggetto
Cardinale, è da noi detta Pronome riflesso; cioé « Voce o Segno riflettente
ossia rimandante la nostra attenzione all'Oggetto Cardinale » — Quindi il
Pronome riflesso è dalla sua stessa natura impossibilitato ad essere Cardine di
Giudizio. In Italiano se (francese soi)
é il Pronome riflesso per tutti i Terzi Oggetti: Gli Oggetti giudicante e
ascoltante però anno un Pronome riflesso particolare e per ciascun Numero; come
può rilevarsi dagli Esempj superiormente citati (6o) - La Lingua Russa à un sol
Pronome riflesso. Sugli Oggetti, Cardine di Giudizio 62. Gli Oggetti Giudicante e Ascultante, e
i Terzi Oggetti non sempre sono Cardini
di Giudi-zio; giacché nel discorso possono presentarcisi invarie Situazioni,
come vedremo (184). Avendo però fissato rispettivamente il Nome (52, 53) e Pronome generico (58) per essi, quando sono
Cardini di Giudizio; anche quando non lo sono, potremo esprimerli
rispettivamente collo stesso Nome o Pronome, accompagnato unicamente da un
Segno per indicarne in ogni circostanza la Situazione precisa. In Italiano questi Nomi e Pronomi quando non
sono Cardinali, non conservano la soprafissata loro espressione; eccettuandone
i soli noi, voi, esso, essa, essi, esse.
CAPO II De varj Tempi, ai quali
possono riferirsi i Giudizj Il Tempo si definisce esattamente
« Istante o Aggregato d'Istanti, in cui à luogo una qualunque Azione o somma di
Azioni ». Il Tempo deve distinguersi
in totale e parziale — Il Totale comprendé l'intera serie degl'I-stanti, che
possiamo concepire trà il principio ed il fine dell' Esistenza: Il Parziale
comprende soltanto una parte o porzione della serie totale. I nostri Giudizj
potendosi riferire a qualunque Epoca di Tempo, è qui necessario esporre le
generiche Teorie del Tempo Parziale, cioè considerato nelle varie sue Parti tanto
assolute che re-lative.Tempo Passato, Futuro, e Presente Colla forza d'Immaginazione considerando il Tempo
totale come rappresentato da una Linea retta, tirata dal principio al fine
dell' Esistenza, non possiamo non vedere; che molti Istanti già furono; che
molti debbono ancora decorrere; e che un Istante indivisibile separa sempre la
serie degl'Istanti decorsi dalla serie di quelli che deb bono ancora venire —
Dunque dobbiamo dividere il Tempo totale in tré Tempi parziali, cioè passato
futuro e presente. Il Passato
comprende tutti gl' Istanti de- corsi: Il Fucuro comprende tutti gl'Istanti
avve- nire: Il Presente occupa l'Istante unico indivisi-bile, che separa il
passato dal Tempo futuro. Tempo Determinato e Indeterminato Il Tempo presente come
formato da un solo Istante, è sempre determinato di sua natuta: Ma il Tempo
passato e futuro come formato da una Junga serie d'Istanti, può nel Discorso
essere determinato o indeterminato. Il Tempo è determinato, se chiaramente s' indica
l'Istante o Aggregato d'Istanti, in cui aivenne o avverrà ciò ch'esprime il
Giudizio: É indeterminato, se la Cosa espressa dal Giudizio si riferisce al
Passato o Futuro in genere, vale a dire senza precisare limite alcuno.6g. Nel
Tempo Presente è necessario distinguere il Presente-assoluto ed il
Presente-relativo — È assoluto quello, che realmente decorre nel momento in cui
esprimiamo il Giudizio: È relativa quello, che sebbene di sua natura già
passato, pure da noi si considera sotto aspetto di Presente riguardo ad un
altra o più Cose avvenute nel Tempo medesimo; come l'Azione di entrare in « Io
entrava,: quando voi sortiste ». (V. Analisi п.° 116, 1.°). 70. Bisogna inoltre distinguere il
Presente-asso-lato in naturale e ideale - Assoluto naturale é ogn' Istante, che
separa effettivamente tutto il Passato dall'intero Avvenire: Assoluto ideale é
un Istante qualunque, preso nella serie del Tempo passato o futuro, e coll'
Immaginazione da noi considerato come
Presente. Il Presente Ideale, ossia ciò
che da noi ideal- mell'eni considera
canei di eso luri richiede Per esso
dimenticando la naturale assoluta nostra situazione, voliamo col pensiero dove
la circostanza ne chiama. In quei momenti di Entusiasmo il Presente. naturale
più non esiste per noi: Il Passato ed il Futuro prendono sembianze diverse ; e
l'Ordine reale delle Cose interamente svanisce.Tempo Passato e Futuro 71. I Tempi passato e futuro essendo formati
da lunga serie d'Istanti, noi possiamo in ciascuna di tali serie considerare
due Azioni eseguite o da eseguirsi in momenti diversi - In tal caso chiaro si
scorge, che una delle due Azioni espresse dai corrispondenti Giudizj, avvenne o
avverrà prima dell'altra - Dunque se consideriamo rispettivamente come passato
o futuro ciò ch' esprime il secondo Giudizio, anche, ciò ch'è espresso dal
primo sarà passato o futuro ma colla prerogativa di An teriorità. Dunque il Primo dei due Giudizj ossia il Tempo in cui esso à luogo, con ragione sarà
da noi rispettivamente chiamato passato-anteriore o futuro-anteriore; com'è
difatti in Natura. (V. Analisi n° 116,
IL° IlI.°). De varj Modi, ne' quali
possono formarsi i Giudizj 72. I Giudizj
si formano e però anche si esprimono in varj Modi, secondo la diversità delle
cir-costanze. Distinguendo il Modo Definito in Indicativo e Condizionato, noi
riduciamo questi Modi al numero di nove: Almeno ci sembra, che nei Giudizj nove
diversi Modi meritino una particolare attenzione; e però passiamo a dare una
succinta nozione di ciascuno — Chi ne bramasse Det-taglio maggiore, consulti l'
Analisi premessa (ros e seg.). Modo
Generico Formiamo spesso di seguito
due o più Giudizi riferibili ad un Oggetto medesimo, e inseparabilmente
concatenati frà loro - In tal caso, espresso con chiarezza e precisione il
Giudizio principale cioè il Giudizio base del discorso, consideriamo l'altro o
altri come accessorj: Quindi li esprimiamo in genere ossia in Modo Generico;
nulla più richiedendosi per la completa loro in-telligenza. Il Giudizio di Modo
Generico può essere determinante o accompagnante - È determinante, quando serve
a determinare cioè a stabilire il vero e preciso valore del Giudizio
principale: È accompagnante quando unicamente accompagna il Giudizio
principale; cioe quando ciò ch' esprime, avviene contemporaneamente all' espressione
del Giudizio principale. Avvertasi, che
i Giudizj Generici di Qualità per loro natura non possono essere
accompagnanti. Infatti il Giudizio in se
stesso non esprime che Affermazione o
Negazione (40). Quindi nei Giu-dizj da noi detti accompagnanti, devesi
intendere ch'è accompagnante non propriamente il Giudizio, ma la Cosa su cui
cade il Giudizio, ossia l'Attri-buto di Giudizio (45). Ora una Qualità non à
per natura relazione alcuna col Tempo. Dunquenon può aversi Qualità
contemporanea al Giudizio principale. Dunque i Giudizj Generici di Qualità non
pussono essere accompagnanti. Dunque sono accompagnanti i soli Giudizj di
Azione. Modo Indicativo Un Giudizio si dice espresso in Modo In-dicativo,
quando per intenderlo completamente basta semplicemente indicarlo: Ciò avviene,
quando ad un Oggetto si attribuisce un Azione o Qualità colla massima possibile
semplicità e certezza; vale a dire, senza che vi sia annessa alcuna particolare
circostanza o emozione dell'animo. Il Giudizio Indicativo può essere isolato o
dipendente - É isolato, quando esprime un senso in tutte le sue parti
perfettamente completo senza il concorso d'altro Giudizio: É dipendente cioẻ
dipende da altro Giudizio, quando senza il concorso d' un secondo Giudizio
presenterebbe un sentimento cone sospeso, e non perfettamente compiuto riguardo
al Tempo cui si riferisce. I Giudizj di Modo Indicativo isolato appartengono
tutti al Tempo o passato o presente o futuro (06): Quelli di Modo Indicativo
dipendente appartengono invece al Tempo o presente-relati-vo ((19) o
passato-anteriore o futuro-anteriore (71); come infatti richiede la già
analizata intrinseca natura di questi tré Tempi.Modo Condizionato 78. E in Modo
condizionato ogni Giudizio, la cui
Verificazione • trovasi essenzialmente attaccata all' eseguimento di qualche
Condizione - Quindi il Giudizio condizionato, relativamente alla Condizione è
sempre di sua natura futuro. 79. Un
Giudizio Condizionato può essere pratti-
quando la condizio inese abior e estabile, ineseguibile, quando non può aver più luogo
la Condizione. 8o. Quindi il Condizionato Eseguibile non può
riferirsi che a Tempo futuro; e l' Ineseguibile deve necessariamente riportarsi
a Tempo o passato o presente. Sui Modi Indicativo e Condizionato 8r. I Giudizj di Modo Indicativo e
Condizionato sono tutti definiti di loro natura. Chiamasi definito ogni
Giudizio, il quale esclude ogni ombra d'incertezza relativamente alla
persuasione in cui tro-vasi chi lo proferisce; ossia è definito ogni Giudizio
il quale fa conoscere, che chi lo forma e pronuncia, è persuaso di ciò ch'
esprime il Giudizio medesimo.Modo Suppositivo
8a. È in 'Modo Suppositivo o di supposizione ogni Giudizio, in cui
ammettiamo come avvenuta o avvenibile una Cosa che potrebbe anche non essere. 83. Essendo in nostra facoltà portare su
qua- Junque Istante le nostre
supposizioni, un Giudizio suppositivo può riferirsi a Tempo o passato o
presente o futuro. Modo Volitivo 84. È in Modo volitivo ogni Giudizio, nel
quale l'Oggetto giudicante fa energicamente conoscere un atto di sua Volontà -
Ma un atto d'intensa Volontà non può
esternarsi che o comandando o esurtando o pregando. Dunque il Giudizio Volitivo
esprime sempre o Comando o Esortazione o
Preghiera. 85. Inoltre un atto di
Volontà non può avere alcuna influenza sul Tempo passato - Dunque il Giudizio
Volitivo sarà di Tempo o presente o fu
биго. 86. Finalmente l'Oggetto
giudicante essendo un solo, non à bisogno di esprimere con parole un atto di
Volontà riguardante lui stesso — Dunque nei Giudizj di Modo Volitivo la Lingua
mancherà di espressione per l'Oggetto giudicante, se uno.Modo Ottativo E in Modo Ottativo ogni Giudizio, in cui desideriamo
energicamente che avvenga o sia ar-venuto, ciò ch' esprime il Giudizio
medesimo. Il Giudizio Ottativo può
essere eseguibile o ineseguibile - È Eseguibile, quando il Desiderio che lo
accompagna, può ancora sodisfarsi : È Ineseguibile, quando il Desiderio che lo
accom-pagna, non può più essere praticamente sodisfatto. Quindi l'Ottativo
eseguibile si riferisce unicamente a Tempo futuro; e l'ineseguibile si
riferisce a Tempo o presente o passato Modo Condizionante É in Modo Condizionante
ogni Giudizio esprimente la Condizione, al cui verificamento si appoggia un
Giudizio Condizionale qualunque (78). 9r. Il Giudizio condizionante è di Tempo
o passato o presente o futuro, secondo l'Istante cui si riferisce ciò
ch'esprime il Giudizio medesimo. Modo
Indefinito 92. É in Modo Indefinito
ossia incerto ogni Giudizio, accompagnato da una specie d'incertezza rapporto
all'esistenza di ciò ch' esprime il Giudizo medesimo: I Giudizi Indefiniti possono riferirsi a qua lunque
Tempo tanto assoluto che relativo; giacché un Azione in qualunque circostanza
può presentarsi al nostro spirito coll'impronta dell'Incertezza. Modo
Interrogativo É in Modo Interrogativo
ogni Giudizio accompagnato da Domanda ossia Interrogazione. Quindi i Giudizi
Interrogativi sono per loro natura Inde-finiti, rapporto a ciò ch'esprimono. Si
avverta però, che la loro Incertezza è abbastanza chiaramente espressa dall'
Interrogazione; e quindi che tali Giudizj si esternano colle Voci di Modo
Definito (81). Il Giudizio Interrogativo
può essere semplice o enfatico - È semplice, quando si chiede unicamente e
nudamente ciò ch'è espresso dal Giudizio medesimo: É enfatico, quando la
Domanda è accompagnata da Enfasi ossia dá un forte sentimento dell' Animo. 98.
Un Giudizio Interrogativo può riferirsi a qualunque Tempo tanto assolulo che
relativo; essendo chiaro che le Domande possono estendersi su tutti gl' Istanti
possibili. Delle Voci indicanti Giudizio
Tempo e Modo 97. Benché il Giudizio, il
Tempo cui si riferi-sce, ed il Modo nel quale si forma ed enuncia, sieno tré
Cose assolutamente diverse, pure le Lingue sogliono praticamente esprimerle con
una sola Parola; il che produce un utilissima Brevità - É vero, che molte
Lingue alle volte usano per ciò più parole distinte frà loro; come in Italiano
era-stato, sard-stato ec. Ma se ben si ana-lizi, si troverà che tali distinte
Parole essenzialmente ne costituiscono una sola; com'era in Latino fueram,
fuero ec. É dunque di somma importanza
il ben conoscere nel Linguaggio le Voci, ch' esprimono al tempo stesso Giudizio
Tempo e Modo - Per amore di brevità tralascio di qui esporre quelle che à
stabilito la Lingua Italiana, e che formano la cosi detta Conjugazione della
Voce di Giudizio essere. 98. Intanto si
fissi, che sebbene nei Giudizj i Modi già analizati sieno nove (72), pure le
Voci esprimenti Giudizio Tempo e Modo ossia le Voci di Giudizio, in Italiano
come in altre Lingue molte non sono trà loro diverse, che pei soli quattro Modi Generico Indicativo Condizionato e
Indefi-nito. Per gli altri Modi poi le Voci si prendono. da qualcuno di questi
tré ultimi, colle opportune avvertenze sull'Inflessione vocale, sulla
Disposizione delle parole ec. analogamente alla natura di ciascun Modo in particolare. Quindi una
stessa Voce di Giudizio può praticamente
avere diversi Valori (30). SEZIONE TERZA
DEI FONTI PRIMITIVI DE GIUDIZI
99. Nel giudicare altro noi non facciamo, che attribuire ad un Oggetto o
un Azione o una Qualità (40) - Dunque i Fonti Primitivi dei Giudizi sono trè,
vale a dire gli Oggetti le Azioni e le Qualità di primitiva Esistenza, cioè
ch'esi-stono o che per lo meno s' immaginano effettivamente esistenti in
Natura. In Natura, almeno secondo la
nostra maniera di concepire, esistono ancora dei Rapporti: Essi però nei
Giudizj si presentano sempre sotto aspetto o di Oggetti o di Qualità, vale a
dire mancanti dell'assoluta primaria loro natura, e però non più
primitivi. CAPO I Degli Oggetti
100. Chiamiamo Oggetto «Qualunque Cosa, cui può attribuirsi una qualche
Azione o Qualità ». Negli Oggetti oltre
il Numero generico ed il Sesso di cui
già si parlò (47, 49), bisogna ossero vare altre Cose, come passiamo ad
esporre. Denominazione degli
Oggetti 101. Esistono in Natura
moltissimi Oggetti aventi le stesse Proprietà (122); e sarebbe impossibile
assegnare un Nome particolare a ciascuno di essi. Quindi tutte le Lingue fissarono dei Nomi
gene-rali, cioè dei Nomi esprimenti tutti gli Oggetti individui che anno le
stesse Proprietà. - Ma esistono ancora degli Oggetti unici; vale a dire
0g-getti, ai quali non é possibile trovarne un secondo avente uguali Proprietà:
E questi debbono avere ed anno anch'essi nel Linguaggio il Nome loro
par-ticolare. 102. Dunque dobbiamo
dividere i Nomi degli Oggetti ossia i
Sostantivi in generici ed individui - É generico ogni Sostantivo il quale
esprime un Oggetto comprendente molti Esseri della Natura; come Libro, Pianta
ec. É individuo ogni Sostantivo esprimente un Oggetto unico, ossia ogni Sa
stantivo applicabile ad un solo Oggetto e sempre allo stesso; come Vienna, Roma
ec. :
I Nomi Individui sono di
loro natura tutti determinati; e sono pure di loro natura indeterminati tutti i
Nomi Generici, presi isolatamente. Nel prattico discorso però bisogna distinguere i
Sostantivi Generici in assoluti, limitati, e determinati - É generico-assoluto
ogni Sa-stantivo, che nel contesto del discorso ci presenta un idea
assolutamente generica, ossia in tutta la sua possibile estensione; come Mare
in « Il Mareè incostante »-E generico-limitato ogni Sostan-tivo, che nel
contesto del discorso ci presenta uni Idea come ristretta ossia limitata ad un
numero speciale d'Individui; come Mare in « Il Mare tranquillo è piacevole » -
È generico-determinato ogni Sostantivo, che non in se stesso ma nel contesto
del discorso ci presenta un Oggetto assolutamente unico ossia Individuo; come
Mare in « Il Mare di Toscana».
Situazione degli Oggetti 105. Per
Situazione noi qui intendiamo l'aspetto il modo, con cui in un Giudizio o
discorso ci si presentano praticamente gli Oggetti - Noi ve-diamo, che in
Natura uno stesso Oggetto in diverse Epoche o Circostanze é suscettibile di
Situazioni diverse. Dunque ognivolta che nominiamo un Oggetto, dobbiamo
precisarne la vera Situa-zione; vale a dire, dobbiamo chiaramente indicare
sotto qual aspetto o punto di vista noi lo consideriamo - Dunque il Linguaggio
aver deve i suoi Segni per dare a
conoscere le varie Situazioni degli Oggetti.
Credo necessario di qui esporre dettagliatamente queste varie
Situazioni, fissando per ciascuna un Nome che unito alla parola Sostantivo; ci
faccia subito conoscere la vera Situazione dell'Oggetto espresso dal Sostantivo
medesimo.SOSTANTIVO CARDINALE x06.
Chiamiamo cardinale ogni Sostantivo espri-mente un Oggerto, ch'é Cardine di
Giudizio (43): Cosi Pietro é Nome cardinale
in « Pietro é vir- tuoso ». SOSTANTIVO NOMINANTE Chiamiamo nominante ogni
Sostantivo espri-mente un Oggetto, che deve meramente essere nominato: Cosi
Pietro é Sostantivo nominante in «Tizio
é dotto quanto Pietro». Il Sostantivo nominante puo
in fondo cop-siderarsi come Sostantivo cardinale (106); e nel Linguaggio infatti
anno ambedue la medesima espressione — Si avverta peró, che sono
essenzial-mente distinti frà loro; giacché il Nome Cardi-nale é sempre
acompagnato dalla Voce di Giu-dizio, e il Nominante mai. SOSTANTIVO
DETERMINANTE-OGGETTO Chiamiamo
determinante-oggetto ogni So-stantivo esprimente un Oggetto, che serve a
deter-minarne un altro (103, 104): Cosi Pietro é Nome determinante-oggetto in
«Il Cavallo di Pietro - La Casa di Pietro ec. ». SOSTANTIVO DETERMINANTE-AZIONE 110. Chiariamo determinante-azione ogni
So- stantivo esprimente un Oggetto,
il quale serve a determinare un'Azione (201): Così Pietro è Nome
determinante-azione in « I soldati ferirono Pietro - Mandate Pietro al
Passeggio ec.». SOSTANTIVO
CHIAMANTE 111. Diciamo chiamante ogni
Sostantivo esprimente un Oggetto, che viene effettivamente chia mato: Così
Pietro è Nome chiamante in « Pietro, scrivete — Pietro, chi è venuto?
ec.». SOSTANTIVO INDEFINITO 122. Chiamiamo indefinito ogni Sostantivo,
che essendo di numero unale non definisce ossia non precisa la Quantità
dell'Oggetto, ed essendo plurale non precisa il Numero degli Oggetti ch'
e- sprime: Cosi Inchiostro, Carto, -
Bombe, Cannoni sono Sostantivi indefiniti in et Vorrei dell'In-chiostro, e
della Carta - O'visto delle Bombe, e dei Cannoni ». I Sostantivi indefiniti non possono
esprimere, che Oggetti di loro natura indeterminati; giacché soltanto in questi
possiamo concepire e Numero indefinito e indefinita Quantità! SOSTANTIVO CONTENENTE 113. Chiamiamo contenente ogni Sostantivo
esprimente un Oggetto, il quale si considera prattica-mente come capace di
contenere una Cosa qualunque espressa nel Discorso: Cosi Parigi, Casa, Libri
sono Sostantivi contenenti in « Vi tratterretelungamente a Parigi? — Pietro non
é in Casa - Cercate l'Istruzione nei
buoni Libri ». SOSTANTIVO RELATIVATO
Chiamiamo relativato ogni Sostantivo esprimente un Oggetto, relativanzente a
cui pronun- Pace — Lo accusano di
Tradimento — Che si dice di Pietro? ».
SOSTANTIVO RICEVENTE Chiamiamo ricevente ogni
Sostantivo esprimente un Oggetto, il quale effettivamente riceve qualche Cosa:
Cosi Pietro è Nome ricevente in « Consegnate questo Libro a Pietro - Dite a
Pietro ec. ». SOSTANTIVO TERMINANTE Chiamiamo terminante ogni Sostantivo esprimente un
Oggetto, ch' è termine o di Moto o d' un Azione col mezzo di Moto: Così Pietro
é Nome terminante in « Portate questa Lettera a Pietro - O'scritto a Pietro -
Andate da Pietro, e ditegli ec.». SOSTANTIVO COMINCIANTE Chiamiamo cominciante ogni
Sostantivo esprimente un Oggetto, nel quale comincia un Azione od un Molo: Così
Pietro è Nome cominciante in « Mi fù scritto da Pietro - Ciò dipende da Pietro
- Allontanatevi da Pietro ec. ». Speciali Espressioni di NuMEro per gli
Oggetti 118. Nunero significa « Voce o
Segno esprimen- nella medesima
circostanza e situazione. 11g. Ogni
Sostantivo indeterminato deve avere il distintivo di Numero generico, cioè un
Segno indicante se l'Oggetto espresso dal Sostantivo è al Numero unale o
plurale; come abbiamo già veduto (47). Questo Segno generico però non sempre
basta ad esprimere negli Oggetti la numerica
Idea conveniente. 120. Quindi il
Linguaggio oltre il Segno generico deve anche avere delle Speciali Voci di Nu
mero, le quali saranno determinate o indeterminate - Una Voce di Numero è
determinata, se esprime quanti uno la formano; come trè, dieci ec.: Una Voce di Numero é indeterminata, quando
non esprime quanti uno la formano; come pochi, alcuni, molti ec.. PARAGRAFO 4.°
Espressioni di suoco per gli Oggetti .
121. Luogo vuol dire «Punto o Aggregato di Punti, occupato nella Natura
da un Corpo qualunque »— Gli Oggetti di reale esistenza, almeno quelli di cui
parliamo più spesso, essendo nella massima parte corporei, ci troviamo
spessissimo,nella circostanza di dover indicare un qualche Rapporto di Luogo. Dunque il Linguaggio aver deve delle Voci
apposite per esprimere negli Oggetti i varj Rapporti locali. CAPO
II Delle Qualità 122. Per ben intendere il valore della Voce
Qualità, bisogna fissare quello di Proprietà d'un Oggetto qualunque - In ogni Oggetto dicesi
Proprietà «Tutto ciò, senza cui l' Oggetto cesserebbe d'esistere ».
123. Qualità poi chiamasi in ogni Oggetto « Tutto ciò, che in esso non è
Proprietà»; ossia « Tutto pit che anche
no avere se di rimarca ile e ele
PARAGRAFO 1.° Massimo Aumento
nelle Qualità É facile comprendere, che
le Qualità possono aumentare di forza ossia d'Intensità nella loro intrinseca
essenza e natura. Quindi alle volte possiamo ancora e dobbiamo considerarle
giunte allo stato di Aumento Massimo; vale a dire ad uno stato, oltre il quale
più non esiste Aumento. Questo Massimo
Aumento poi può essere assoluto o relativo - E assoluto, quando consideriamo la
Qualità giunta al suo Massimo senz'al-cuna restrizione; come « Cicerone fù
eloquentis simo, cioè eloquente nel
maggior grado possibile » : É relativo,
quando nell'Oggetto consideriamo la Qualità giunta al suo Massimo, sultanto
relativamente ad una determinata sfera d'altri Oggetti; come « Cicerone fù il
più eloquente dei Romani, cioè superò in Eluquenza tutti i Romani ». 126. Dunque il Linguaggio deve avere dei
Segni per esprimere nelle Qualità il Massimo Au
mento tanto assoluto che relativo. PARAGRATO 2° Massimo Decremento
nelle Qualita Le Qualità sono suscettibili di decrescere ossia
diminuire, come lo sono di aumentare. Quindi potremo e dovremo alle volte
considerarle giunte allo stato di Mussimo Decremento; cioé ad uno stato, oltre
il quale non esiste altro che zero. Il Massimo Decremento può essere anch'esso assoluto
o relativo, e precisamente nelle stesse circostanze del Massimo Aumento (‹25);
giacché il Decremento Massimo non è che il preciso Opposto del Massimo Aumento.
Avremo quindi « Tizio è ineloquentissimo - Sempronio è il più ine- loquente
degli Avvocati ». Dunque il Linguaggio aver
deve dei Segni per esprimere nelle Qualità il Massimo Decremento e assoluto e
relativo.Deterioramento nelle Qualità 130. Avviene sovente, che le Proprietà
degli Oggetti subiscono dell' Alterazione negli Elementi loro costitutivi. Ora
le qualirà negli Oggetti non sono, che il risultato delle loro Proprietà e
delle varie combinazioni degli Elementi che ne costituiscono l'Essenza. Dunque
alterate in un Oggetto le Proprietà, anche le Qualità debbono alterarsi
necessariamente. Se quindi l'alterazione
delle Proprietà ossia degli Elementi loro costitutivi, succeda gradata-mente;
le Qualità nel principio di tale Alterazione si troveranno non del tutto
svanite, ma soltanto peggiorate ossia in uno stato di Deterio-ramento: Così un
Pomo che oltrepassa lo stato di maturanza, non cessa d'esser dolce all'istante
; ma và gradatamente deteriorando, cioè passa dallo stato di dolce a quello di
dolciastro ec. ‹31. Dunque il Linguaggio
aver deve un Segno per esprimere il Deterioramento nelle Qualità. PARAGRAFO 4.°
Variazione nelle Qualità 132.
Ognuno coll' esperienza determina in se stesso l'idea assoluta ossia il valore
generico di ciascuna Qualità. Una stessa Qualità però pratti-camente non sempre
rimane nel grado medesimo di forza, ossia non sempre corrisponde perfetta- is mente all'Idea generica e assoluta che ci
siamo formati di ciascuna. Infatti, le Qualità potendo giugnere ad un Massimo e
Aumento e Decremento (124, e seg.), è chiaro che sortendo dal loro stato
ordinario, debbono o almeno possono passare per Gradi direi quasi infiniti. —
Ora ogni Qualità che trovasi fuori del suo stato e Valore assoluto, ossia che
non corrisponde esattamente all'Idea generica che noi già ci formammo di essa,
è da noi detta Qualità variata. Dunque il Linguaggio aver
deve Regole e Voci opportune per esprimere le Variazioni, che possono subire le
Qualità; come molto, poco, discretamente ec. CAPO III Delle Azioni Chiamiamo Azione «Tutto
ciò, che un Oggetto può fare in qualunque Istante di Tempo». PARAGRAFO 1.°
Verbi 135. La Voce di Azione
praticamente suol es sere unita alla Voce di Giudizio in una sola. Pa-rola;
come amure, scrivere ec. invece di essere amante, scrivente ec. Questa Parola è
ciò che chiamasi Verbo — Quindi il Verbo può definirsi «Parola composta da due Voci, una di Giudizio
l'altra di Azione n. 136. L'Unione di
queste due Voci in una sola *Parola
abbrevia é vero, ma rende la Lingua generalmente complicata e difficile -
Dunque il Linguaggio aver dovrebbe la Voce di Azione unita ; a quella di
Giudizio, solo quando tale unione produce Brevità senz' alcuna difficoltà o
complica-zione; e questo analogamente al nostro scopo può soltanto avvenire,
quando l'Azione è espressa in Modo Generico (102 e seg.). Difatti basta per ciò
stabilire, che la Radice di Azione aumentata d'un segno convenuto, esprime al
Modo Generica e l'Azione e la Voce di Giudizio.
137. Dunque il Linguaggio deve decomporre i Verbi in Voci di Giudizio e di Azione;
lasciando queste due Voci unite in una stessa Parola al •solo Modo Generico. 138. Ma il Modo Generico ora è determinante e
con trè Tempi diversi (104 e seg.), ed ora è accompagnante (106 e seg.) -
Dunque il Linguaggio fisserà dei Segni per le necessarie distin-zioni. PARAGRATO 21°
Azioni Determinate e Indeterininate
• 139. Chiamiamo determinata «Ogni Azione, che risguarda esclusivamente
l'Oggetto Cardine di Giu-dizio»; come dormire, correre ec. Chiamiamo in
determinata «Ogni Azione, che può risguardare
Oggetti diversi dal Cardine di Giudizio»; come scrivere, chiamare
ec. 140. Le Azioni Indeterminate, onde
formarne l'idea conveniente, nel
discorso debbono quasi sempre determinarsi - Quindi il Linguaggio avra le sue
Leggi per tale Determinazione (201 e seg.). Determinazione del Tempo nelle Azioni
o Giudizj • 141. É molre volte
necessario indicare l'Istante o Aggregato d'Istanti, in cui arvenne o avverrà
un Azione o Giudizio; vale a dire, che molte volte bisogna determinare il Tempo
(68) d'una data Azione, non sempre potendosi riferire al Passato o Futuro
indeterminatamente. 142. Dunque il
Linguaggio aver deve apposite
Espressioni per la Determinazione del Tempo. 143. Trà le Espressioni di Tempo maritano
particolare avvertenza quelle, che servono a indicare un Epoca qualunque sia
passata sia futura; Epoca la quale si fissa, partendo dal presente e scorrendo
col pensiero fin dove la natura del discorso comanda di arrestarsi - Tali
Espressioni da noi si chiamano estese Espressioni di Tempo; e si formano sempre
col mezzo d' un sostantivo di Tempo, come ora, giorno, minuto, mese ec.: Quindi
abbiamo pel passato « Un ora fa - Due giorni fa - Trè mesi fa — Sei anni là
ec.»; e pel fisturo «Da qui a un ora — Da qui a trè giorni - Da qui a due
secoli ec.». Da queste Espressioni è facile ri-levare, che in esse partiamo
sempre da un Epoca la quale si considera come presente. 144. Dunque il Linguaggio avrà un Segno
particolare per queste Espressioni estese di Tempo. САРО
Iv 1 Cose comini agli Oggetti, Azioni, e
Qualità 145. Gli Oggetti indeterminati,
le Azioni e le Qualità sono egualmente suscettibili d' un generico. Aumento e Decremento; come passiamo ad
esporre nel seguente PARAGRAFO
UNICO Generico Aumento e Decremento
nelle Cose 146. Un Sostantivo Generico
(102) comprende moltissimi Individui. Dunque è impossibile formarsi un Idea
assolutamente generica, ossia un Idea che perfettamente corrisponda al valore
d'un Sostantivo Generico. L'Idea che noi attacchiamo ad un Sostantivo Generico
qualunque, non è propriamente che l'Idea d' uno degli Oggetti compresi sotto al
Nome Generico medesimo. Quindi possiamo, dir con ragione, che nello spirito
dell'Uomo ad ogni Sostantivo generico corrisponde l'Idea nou d'un Oggetto
generico, ma d' un Oggetto individuo.
Ora non tutti gli Oggetti Individui che ánno, eguali Proprietà, cioé che
sono compresi sotto lo stesso Nome. Generico, anno pure uguale perfe zione.
Fissata dunque l'Idea propriamente Indivi-
duta corrin sedente pl senti Sisalto spie del Oggetti individui, aventi Qualità superiori
o inferiori all'Idea medesima che noi consideriamo come Generica. In tal caso
fatto il confronto dell'Idea considerata generica coll'Idea dell'Oggetto
individuo, l'Uomo in forza d'abitudine ritenendo invariabile la prima, vede
necessariamente un Aumento o Decremento nella seconda, e quindi nell'
Oggetto ad essa corrispondente. Dunque i
Sostantivi Generici applicati a qualche Oggetto particolare, sono suscettibili
d'Aumento e Decremento, almeno secondo la nostra maniera di vedere. 147. Questo Raziocinio è pienamente
applicabile anche alle Azioni e Qualità - Infatti noi col-l' esperienza
fissiamo l'Idea assoluta e generica d'ogni Qualità ed Azione. Ora ognuno
conosce, che le Qualità ed Azioni d'una stessa specie prattica-mente non sempre
si presentano colla medesima intensità. Dunque confrontando un Azione o Qualità
particolare coll' Idea corrispondente da noi considerata Generica, spesso
troveremo che la prima è inferiore o superiore alla seconda. Dunque i Nomi Generici di Qualità e di Azione applicati a qualche Azione 6 Qualità
par-ricolare, al pari degli Oggetti o Sostantivi generici sono suscettibili
d'Aumento e Decremento. 148. Dunque,
siccome non sempre è necessario precisare la Quantita dell'Aumento o
Decremento, il Linguaggio dovrà avere del Segni per esprimere il generico
Aumento e Decremento negli Ogget-ti, Azioni e Qualità; Aumento e
Decremento, unicamente relativo all'Idea
generica che ci siamo preventivamente formati di ciascun Oggetto Azione e
Qualità in genere. 149. Sia per
l'Abitudine che abbiamo di espri-merli, sia per la maggiore facilità di
concepirli, é facile comprendere ciò che intendiamo per Aumento e Decremento
generico negli Oggetti ; ma non a tutti sarà egualmente facile il formarsi una
giusta Idea degli Aumenti e Decrementi generici nelle Qualità e specialmente
nelle Azioni. Questa difficoltà nasce da mancanza di uso, e singolarmente da
mancanza di apposite Espressioni - Un
quella facilità stessa, con cui un Italiano intende I Aumentativo
Librone e il diminutivo Libretto : E
anche in ciò la Lingua Russa e superiore a tutte le altre da me
conosciute. Per agevolare quindi al
nostro Spirito il necessario concepimento di tali Aumenti e Decre menti,
supponiamo che l'Aumento si esprima con oltre, e il Decremento con retro.
Fissando che nelle Azioni e Qualità deve sempre esistere trá l'Idea radicale e
il suo Aumento o Decremento, quello stesso mentale Rapporto che passa trà
Li-bro, Librone e Libretio, chi può non concepire l'assoluto valore delle
seguenti espressioni? LUMENTO DEOREMENTO
Libro .. oltre-Libro
retro-Libro Casa oltre Casa
• retro-Casa bello .... oltre-bello .... retro-bello dolce
oltre-dolce retro-dolce parlare
oltre-parlare retro-parlare punire
oltre-punire retro-punire intendere .
oltre-intendere retro-intendere
ec. Concludiamo dunque, che quando si
sapesse esprimerle, non é poi difficile afferrare simili Idee di Aumento e
Decremento generico in tutte le Cose.
CAPO V Cose comuni alle Azioni e
Qualità 150. Le Qualità egualmente che
le Azioni sono suscettibili di Modificazione e di Confronto; del che passiamo a
trattare separatamente. Modificazione
nelle Azioni è Qualità • 15r. Le Qualità
e le Azioni sono spesso accompagnate e come compenetrate da qualche
caratteristica Particolarità: Cost. in « Un essere orrendamente deforme »
esprimiamo l'orrore immedesimato colla deformità»; e in « Correre velocemente »
esprimiamo la velocità immedesimata coll'Azione di correre. In simili casi
l'Azione o Qualità e l'ac- compagnante
Particolarità non ci presentano che una sola Cosa, a Idea propriamente
composta; ossia ci presentano, ciò che noi chiamiamo Azione • o Qualità modificato. Quindi è Qualità o Azione modificata « Ogni
Azione o Qualità, il cui assoluto valor naturale da noi si percepisce come
immedesimato col va-Jore di qualche caratteristica accompagnante Particolarità
». $52. Il Linguaggio dunque aver deve
le sue Leggi per esprimere convenientemente qualunque Modificazione nelle
Azioni e Qualità. Confronto nelle Azioni e Qualità 153. Confrontare significa « Porre due o più
Cose dirimpetto o di fronte trà loro »— Il Confronto succede ogni volta che
bramiamo conoscere, se due o più Oggetti posseggono una medesima Azione o
Qualità in grado eguale o differente. Quindi i
Confronti sono frequentissimi nel discorso. In ogni Confronto è necessario distinguere
l'Oggetto primo dal secondo. Chiamiamo primo, quella ch'è cardine di Giudizio;
e l'altro secondo: Così in « Pietro è più giovine di Paolo » Pietro é
primo Oggetto, Panlo é secondo Oggetto
di Confronto. • 154. L'effetto di
qualunque Confronto é necessariamente un Giudizio esprimente la scoperta
Egra-glianza o Differenza - La Differenza poi può essere in più o in meno;
secondoché l'Oggetto cardine di
Giudizio supera o è superato dall'altro nella confrontata Azione o Qualità. Se fatto il Confronto, l'Anima non iscorge
colla necessaria chiarezza né Eguaglianza né Diffe-renza, si astiene
naturalmente dal giudicare; ossia pronuncia un Giudizio d'Ignoranza o di
Dubbio. $55. Dunque il Linguaggio aver
deve dei Segni per esprimere a norma delle varie circostanze il Giudizio, che
deriva dall' eseguito Confronto. DEI
FONTI SECONDARJ DE GIUDIZI $56.
Chiamiamo Fonti secondarj de Giudizj «
Tutto ciò che derivo genericamente dai Fonti pri-mitivi, vale a dire dagli
Oggeiti Azioni Qualità e Rapporti (99)
di primitiva Esistenza ». Le Derivazioni generiche
dai Fonti Primitivi sono quattro; cioè Oggetti, Qualità, Azioni e
Modificazioni. Le Definizioni già date per
le Qualità (123) Azioni (134) ed Oggetti (100) primitivi, sono applicabili
anche alle Azioni Qualità ed Oggetti de-rivati: Harvi però frà loro questa
differenza; che i Primitivi esistono realmente o in natura o in immaginazione,
e i Derivati basano la loro esi. stenza
sui Primitivi. Dunque nel Linguaggio
le Cose Derivate debbono esser espresse diversamente dalle Primitive, ossia in
modo che si conosca la Derivazione. 159.
Rapporto alle Modificazioni, esse non esistono né in natura né in
immaginazione; e perd sono soltanto derivate - Infatti una Qualità o Azione
allora è modificata, quando si concepisce da noi come compenetrata nella sua
essenza da qualche caratteristica particolarità (151). Dunque le Modificazioni
non esistono, che nella nostra maniera di concepire.. Dunque non esistono
realmente né in natura né in immaginazione (158). Dunque sono puramente derivate. Passiamo ora ad analizare le varie Cose Derivate,
distinguendole in Cose di prima e di se- : conda Derivazione; e avvertendo, che
le Teorie di qualunque specie esposte nella precedente Sezione per le Cose
Primitive, sono in tutta la loro estensione applicabili anche alle Cose
Derivate. CAPO I Delle Cose di Prima Derivazione Chiamiamo Cose di Prima
Derivazione «Tutto ciò, che deriva direttamente e immediatamente dai Funti
Primitivi Derivazioni dalle Radici di Oggetto
162. Dalle Radici di Oggetto deriva una Qualis tà, che serve ad attribuire a un altr'
Oggetto in via di Qualità, ciò che forma il distintivo e l' essenza del primo,
cioé dell'Oggetto radicale: Cosi diciamo
« Paese montuoso - Luoghi paludosi ec. » dagli Oggetti Monte Palude ec. Dunque il Linguaggio aver deve un Segno indicante
ogni Nome Qualitativo, che deriva da Radice di Oggetto. PARAGRAFO 2.°
Derivazioni dalle Radici di Qualità Dalle Radici di Qualità deriva un Ogget-to-astratto,
un Verbo, ed una Modificazione. Chiamiamo Oggetto-astratto di Qualità *Ogni Oggetto
puramente intellettuale, che for-masi colla forza di Astrazione»; ed a cui si
attribuisce come la virtù di agire su tutti gli Og-getti, ne' quali trovasi
quella data Qualità: Cost Dolcezza, Orgoglio, Deformità, Virtù ec. sono
Oggetti-astratti, provenienti dalle Radici di Qualità dolce, orgoglioso,
deforme, virtuoso ec. Chiamiamo Verbo derivato da
Radice di Qualità « Ogni Verbo esprimente l'Azione di comunicare a qualche
Oggetto •una Qualità che prima non aveva »; come dolcificare, facilitare,
indebolire ec., cioé rendere dulce, facile, debole ec. La Modificazione
proveniente da Qualita, non è che la Qualità stessa, configurata e da noi
concepita come capace d' investire in tutta la sua essenza un Azione o qualche
altra Qualità (15g) . Dunque il
Linguaggio avrà dei Segni per indicare e gli Oggetti-astratti e i Verbi ossia
Azioni e le Modificuzioni, provenienti da Radice di Qua-sità. PARAGRAFO 3.°
Derivazioni dalle Radici di Azione Dalle Radici di Azione indeterminata (13g) abbiamo
cinque diverse Derivazioni ; cioè Vo-ce-attiva, Oggetto-attore,
Oggetto-astratto, Vo ce-passiva, e Qualità - Dalle Radici di Azione determinata
poi si anno le sole prime tré Deriva-zioni; cioè Voce-attiva, Oggetto-astratto
e Og getto-attore. 170. Chiamiamo attiva
ogni voce di Azione in- dicante, che
l'Oggetto Cardine di Giudizio è at-tivo; vale a dire indicante, ch'eseguisce desso
ciò ch' esprime la Voce medesima di Azione: Come «Pietro è corrente, giuocante,
parlante ec. cioé corre. aca, ma passiva ogni Voce di Azione indicante, che
l'Oggetto Cardine di Giudizio é passivo; vale a dire indicante, che desso
riceve l'Azione espressa dalla Voce medesima: Come «Pietro é chiamato, lodato,
deriso ec."-Si avverta che in Italiano come in altre varie Lingue, alle
volte si presentano sotto apparenza passiva delle Voci, che realmente non sono
tali ; come amato in « Essi anno amato», che si risolve in « Essi amarono, cioé furono amanti». 172. Chiamiamo Oggetto-attore ogni
Oggetto che si considera nel discorso,
non qual esiste ef fettivamente in natura, ma unicamente qual At tore in una
data Azione: Come Scrittore, Vir citore, Cantore ec. 173. Chiamiamo Ogoetto-astratto di Azione
ogni 'Azione da noi considerata come
Oggetro, ma sul-tanto dopo il suo eseguimento; vale a dire ogni Azione che noi
consideriamo come Oggetto, non prima che si eseguisca o mentre si eseguisce, ma
propriamente nel fine nella conseguenza nell'effetto risultante dall'Azione
medesima: Cosi Vin cita, Passeggiata, Coltivazione ec. sono Ogget-ti-astratti
di Azione; perché sono propriamente l'effetto la conseguenza il risultato del
vincere, passeggiare, coltivare ec. 174.
Troviamo spesso in natura, che un Oggette à la prerogativa ossia l'attitudine
la capacità di poter ricevere una data Azione. In tal caso esprimiamo
quest'attitudine o capacità dell'Oggetto, attribuendogli l'essenza dell'
Azione. in via di Qua lità: Come « Terreno colcivabile - Sentiero prat-sicabile
ec.», vale a dire «che può essere coltiva-.to, praticato ec."— Le Azioni
veramente per loro natura non possono convertirsi in Qualità. Si avverta
quindi, che le Derivazioni colcivabile prut-ticabile ec. benché si presentino
sotto aspetto di Qualità, conservano sempre il fondo di Azione ossia non sono
che concise Espressioni d'un Giudizio e d'un Azione; come può meglio vedersi
sostituendo loro la vera Espressione per esteso, cioè « che può essere
coltivato, pratticato ec.». Dunque il Linguaggio aver
deve dei Segni onde marcare le cinque diverse Derivazioni, che si ànno dalle
Radici di Azione. PARAGRAFO 4.° Derivazioni dalle Radici di Numero Dalle Voci radicali di
Numero di Luogo e di altri Rapporti che non occorre analizare in dettaglio, si
a in genere una Derivazione di Qua-lità; e precisamente come dalle Radici di
Oggetto (162). Dalle Voci di Numero però
abbiamo anche altre Derivazioni; cioé un Oggetto-astratto, come Unità, Terno,
Decina ec.; e le Quantità multiple, aliquote, e di costante ripetizione. - 878.
Ogni Quantità che ne contiene un altra un dato numero di volte esattamente, é
detta inultipla di questa; e diciamo aliquota ogni Quan-tità, ch'é contenuta in
un altra un dato numero di volte esattamente. Quindi le Parti aliquote sono
precisamente l'Opposto dei Multipli - In Italiano i Multipli si esprimono con
doppio, triplo, decuplo ec.; e le Parti aliquote con sudduplo, sutriplo,
suddecuplo oppure la metà, la terza parte ec. :
179. Negli Oggetti molte volte sogliamo considerare il Numero, ma
unicamente sotto l'aspetto di « Numero ripetuto senz' alterazione e continuante
sempre coll'ordine medesimo ». Le Voci che si usano per esprimere questo
Numero, sono da noi dette Voci numeriche di Ripetizione costan- te — Tali Voci in Italiano sono «a uno a uno,
a due a due, a dieci a dieci ec.r. 180.
Ora è facile comprendere, che le Voci per esprimere e le Quantiti multiple e le
Parti aliquote e i liumeri di Ripelizione costante possono e debbono derivare
dalle Voci radicali di Numero. Dunque il
Linguaggio avrà dei Segni per indicare e queste tre speciali Numeriche
Derivazio-ni, e le due Derivazioni generiche di Qualità (176) e di Oggetto-astratto Delle Cose di Seconda
Derivazione ‹81. Chiamiamo Cose di
seconda Derivazione • Tutto ciò, che
deriva da altre Derivazioni; os sia le Derivazioni provenienti da Cose e Voci
derivate ». Derivazioni dai DERITATI
Nomi d' Oggetto 182. Dagli Oggetti
Primitivi abbiamo la sola Derivazione di
Qualità (162). Dunque dagli Oggetti derivati avremo o una Derivazione di
Qua-lità, o nessuna Derivazione : Altrimenti gli Oggetti Derivati sarebbero più
fecondi dei Primitivi ; cioé una Cosa che in se realmente non esiste, sarebbe
più feconda che una di reale assoluta esi-
stenza. • Richiamando che gli
Oggetti Derivati provengono o da Radice di Qualità (164) o da Radice di Azione (109) o da Radice di Numero (177),
passiamo ad esaminare da quali Oggetti Derivati possiamo avere la Derivazione
di Quulità. Questa Derivazione non si
può avere dagli Oggetti che derivano da Radice di Qualità - Infatti la Qualità
derivante dagli Oggetti Primitivi (162) serve per attribuire a qualch' altro
Oggetto ciò che forma il Distintivo degli Oggetti primitivi medesimi. Dunque se
dagli Oggetti Derivati provenisse una Derivazione di Qualità, dovrebbe questa
usarsi egualmente per attribuire a qualche Oggetto il Distintivo dei medesimi
Oggetti Derivati - Ma il Distintivo essenziale e caratteristico d'ogui Oggetto
Derivato da Qualità, è espresso dalla Voce radicale da cui l'Oggetto deriva:
Cosi il fondo essenziale di Dolcezza è dol-ce, quello di Bonta è buono ec. -
Dunque dagli Oggetti derivati da Radici Qualitative non devesi avere
Derivazione di Qualità; giacché la Voce radicale esprime per natura, ciò che
dovrebbe esprimere tale Derivazione. Gli Oggetti-astratti di Azione non sono (173) che
Azioni consumate, le quali mentalmente si considerano come Oggetti. Se dunque
da tali Og-getti-astratti derivasse una Qualità, questa propriamente altro
essere non potrebbe che un Azione da noi concepita come Qualità, ossia un
Azione trasformata in Qualità. Ma Qualità ed Azione sono Cose di natura
intrinsecamente eterogenea; comeallo stato assoluto di Qualità (174) - Dunque
nemmeno dagli Oggetti-astratti di Azione possiamo avere Derivazione di Qualità;
giacché (tale Derivazione si oppone direttamente all' intrinseca loro natura. Chiamiamo Oggetti-attori
(172) quegli Og-geiti, che da noi si considerano esclusivamente come eseguenti
una data Azione. Questa partica lar maniera di considerarli non può loro
togliere la primitiva loro essenza. Essi dunque anche considerati come Attori,
sono e rimangono sempre veri Oggetti - Dunque dagli Oggetti-attori avremo
quella Derivazione di Qualità, che abbiamo da tutti gli Oggetti: Cost da
Proditore, Creatore ec. abbiamo proditorio, creatorio ec. Finalmente nulla ostando,
che ad un 0g-getto abbia qualche volta ad attribuirsi in via di Qualità, ciò
che forma l'essenza d'un Oggero Derivato da Radice Numerica, tali Oggetti
avranno la loro Derivazione di Qualità, e precisamente come gli Oggetti
Primitivi (162): Cosl da « Ambo, Terno, Cinquina, Decina ec.» abbiamo le
Derivazioni qualitative «binario, ternario, quinario, denario ec. n. 187. Dunque degli Oggetti Derivati i Numerici
e gli Oggetti-attori anno Derivazione di Qualità; e dagli altri, cioè dagli
Oggetti astratti tanto di Qualità che di Azione, non abbiamo alcuna Derivazione
(182).Derivazioni dalle Voci di Modificazione
188. Dalle Voci di Modificazione, che necesi sariamente sono tutte
derivate (15g), non abbiamo alcuna Derivazione - Infatti una Voce di
Modificazione non é, che una Voce di Qualità posta in grado di modificare ossia
di penetrare in tutta l'essenza qualche Qualità o Azione, immedesimandosi con
esse (151). Dunque la Voce di Modificazione è inseparabile dall'Azione o
Qualità che modifica. Dunque isolatamente presa non à in se stessa alcun
significato o valore, almeno come Modificazione; ossia isolatamente presa non
può avere altro valore, che quello della Qualità da cui deriva Ma ciò che in se
nulla significa, non può dare una significante esistenza ad altre cose. Dunque dalle Voci di Modificazione non si può
avere alcuna Derivazione. Derivazioni dalle DEAIrATE Voci di Qualità 189. Da ogni Voce Qualitativa, di qualunque
provenienza ella sia, deriva sempre un Oggetto-a-stratto, una Modificazione ed
un Verbo come dalle primitive Radici di Qualità (164): Così da paterno,
amabile, interiore ec. abbiamo o almeno dovremmo avere «Paternità, Amabilità,
Interio rità — paternamente, amabilmente, interiormente —paternizare,
amabilizare, interiorizare, cioè rendere paterno, amabile, interivre ec.». 1go. Dunque il Linguaggio avrà dei Segni per
marcare le Derivazioni provenienti dalle derivato Voci di Qualità. PARAGRAFO 4.°
Derivazioni dai DEAIYATI Nomi di Azione
191. Dalle Voci di Azione, di qualunque pro venienza esse sieno, deriva
sempre una V'oce-at liva, un Oggetto-astraito, un Oggetto-attore, una
Voce-passiva ed un Nome qualitutivo, come dalle Radici di Azione (16g) - Quindi
da paternizare, dolcificure, amabilizare ec. abbiamo o almeno dovremmo avere «
paternizante, dolcificante, ama-bilizante - Paternizazione, Dolcificazione,
Amabi- lizazione - Paternizatore,
Dolcificatore, Amabili-zatore - paternizato, dolcificata, amabilizato - paternizabile, dolcificabile, amabilizabile
». 193. Dunque il Linguaggio avrà dei
Segni, onde chiaramente marcare le Derivazioni provenienti dai Derivati Nomi di Azione. Sui Qualitativi
Verbali di Seconda Derivazione 93.
Secondo il principio già stabilito (189) anche dai Qualitativi Verbali di
Seconda Derivazione (171) come paternizabile, dolcificabile, ama-bilizabile ec.
si dovrebbero avere le tré Derivazionidi Oggetto-astratto, di Modificazione e
di Verbo. Le prime due Derivazioni si
anno difatti, cioe « Paternizabilità,
Dolcificabilità, Amabiliza bilità — paternizabilmente, dolcificabilmente,
amabilizabil- mente » Rapporto alla terra cioé alla Derivazione di
Verbo, questa non si può avere, perché ripugna all'intrinseca natura delle
Cose. Infatti ogni Qualitativo Verbale di seconda Derivazione, come
paternizabile amabilizabile ec., include essenzialmente in se stesso un Azione
che deve ancora . eseguirsi: Così Uomo amabilizabile per esempio vuol dire « Uomo,
che può esser fatto capace di essere amato ». Se dunque da amabilizabile si
avesse una Derivazione di Verbo, questa dovrebbe propriamente significare (166)
rendere-amabilizabile Cioe « Comunicare
la Qualità di poter esser fatto capace di essere amato». Ora è impossibile
formarsi un Idea di questa Espressione; e ciò perché è assurda in se stessa.
Infatti si può benissimo dire «abilitare, preparare, disporre un Oggetto ad
essere amabilizato»: Ma i Comunicare ad un Oggetto la Qualità di essere
amabilizato» include assoluta contradizione — Dunque rendere-amabili. sabile è
un Espressione che nulla significa, anzi
è un Assurdo. Dunque, applicando
questo Raziocinio a tutti i simili casi, dai Qualitativi Verbali di seconda
Derivazione (181) non si può avere Derivazione di Verbo. 194. Le molte barbare Parole usate finora,
naturalmente debbono aver un poco indisposto l'A-nimo di chi legge. Quindi lo
si prega a riflettere, che andiamo qui preparando il, Piano per la Lingua Universale,
e che in essa tali Parole sono della massima dolcezza e brevità: Per esempio «
amare, amabile, amabilizare, amabilizabile, ama-bilizabilità, amabilizabilmente
» nella nostra Lingua Universale si esprimono con « ema, emt, emiba, embì, embis, emibio». DELLE VOCI INDETERMINATE In Natura tutto è
determinato; vale a dire, che ogni Cosa in Natura ci presenta di se l'Idea
chiara individua e distinta. Tutto danque dev'essere convenientemente
determinato anche nel Linguaggio — Ma nel Linguaggio esistono
indispensabilmente delle Voci generiche (ior, 13g). Dunque il Linguaggio deve
con Leggi facili e costanti supplire al difettoso bisogno d'introdurre Voci
generiche; vale a dire, che il Linguaggio deve stabilire Regole fisse e
invariabili per determinare convenientemente secondo le circostanze tutte
le Voci di loro natura
indeterminate. Le Voci Indeterminate di
Oggetto e di Azione con quelle, che abbisognano di Leggi speciali per la loro
Determinazione; e però passiamo a tras-
tarne separatamente.Voci Indeterminate di Oggetto • 196. É indeterminato ogni Sostantivo, il
quale indeterminati alle volte secondo
la natura del Discorso si usano genericamente, ma più spesso debbono
determinarsi. . 197. La Determinazione
dei Sostantivi indater-minati dipende da qualche a Qualità o Oggetto o Azione -Dunque per determinare secondo il
bisogno l'Idea d'una Voce indeterminata di Ogger-to, il Linguaggio dovrà far
uso o d'una Qualità o d'un Oggetto o d'un Azione determinante. 198. Ma i Nomi di Qualità, Oggetto e Azione
non sempre nel discorso servono a determinare gli Oggetti o Sostantivi
indeterminati - Dunque quando sieno determinanti-oggetio, avranno il Distintivo loro particolare. 199. In Italiano questo Distintivo consiste
pel Nomo di Oggetto nell'essere
preceduto dalla particella di (‹og), come «Il Principe di Napoli » ; pel Nome di Qualica nell'essere unito al Nome
dell'Oggetto determinando, come « Il Principe giu •sto»; pel Nome o Giudizio di Azione nell'
essere preceduto dalla Voce quale coll'Articolo, come «Il Principe, il quale ama i Popoli ».Voci
indeterminate di Azione E indeterminata ogni
Azione, che può risguardare Oggetti, diversi da quello che la ese-guisce, ossia
diversi dal Cardine di Giudizio (139). La Determinazione delle Azioni indeterminate dipende
da qualche o Oggetto o Giudizio ; giacché le Qualità possono modificare le
Azioni (151), ma per loro natura non possono avere altra nala one e ese uce in
eremiata dei Azione, il Linguaggio dovrà
far uso d' un Oggetto o d'un Giudizio determinante. Ma gli Oggetti ed i Giudizj non sempre nel discorso
servono a determinare le Azioni - Dunque quando sieno determinanti-azione,
avranno il loro particolar Distintivo. In Italiano questo Distintivo consiste pel Nome di
Oggetto nell'essere uguale al cosi detto
Nominativo (110), come « Voi amate lo studio»; e per la Voce di Giudizio
o nell'esser espressa in Modo Generico determinante (74) o nell'essere
preceduta dalla voce che; come « Voglio partire - Vedo, che partono»: CAPO III
Modo nei Giudizj determinanti-azione
204. I Giudizi determinanti-azione si esprimono in Modo ora generico,
ora indicativo, ed ora indefinito. Necessita quindi stabilire, quando si debba
usare l'uno piuttosto che l'altro di questi tré Modi nell'esprimere un Giudizio
o Verbo determinan-te-azione. Giudizj Determinanti al Modo Generico 205. I Giudizi e quindi i Verbi
determinanti-a-zione si esprimono in Modo Generico (73) ogni- volta, che non occorre indicarne l'Oggetto
Cardine di Giudizio; e ciò, perché tale Oggetto fü già espresso
precedentemente. Diciamo quindi « Vorrei scrivere — Pensano tornare — Li vedo
corre- те ес. ». Giudizj determinanti al
Modo Indicativo o Indefinito Nei Giudizj determinanti-azione quando sia
necessario esprimere l'Oggetto Cardinale, ogni Giudizio si esterna in Modo o
Indicativo (75) ó Indefinito (92); facendolo precedere dal Segno di
Determinazione, come sarebbe in Italiano che (203). I Giudizi
determinanti-azione si esternano in Modo Indicativo, ognivolta che
relativamente all'Oggetto Cardinale presentano un assoluta Certezza di ciò
ch'esprimono; come « Trovo, che manco — Viddi, che partivano - Sento; che
contate ». I Giudizj
determinanti-azione si esternano in Modo Indefinito, ogniyolta che presentano
del-l'Incertezza riguardo a ciò ch'esprimono; come «mi pare, che partano -
Dubitai, che partissero -Bramo, che vincano ec.». Tempo nei Giudizj
determinanti-azione 20g. Per fissare il
Tempo nel quale debbono esprimersi i Giudizj determinanti-azione, bisogna
osservare, se il Giudizio determinante deve o no indicare il Tempo in cui desso
viene eseguito. 210. Il Giudizio
Determinante non deve indicare il Tempo in cui viene eseguito, ognivolta che
questo Tempo sia espresso dall'Azione determi-nanda; vale a dire, ognivolta che
il Giudizio Determinante è naturalmente contemporaneo al Giudizio o Azione
Determinanda — In tal caso il Giudizio determinante si esprime sempre al Tempo
presente; giacché si deve solo accennare, che tale Giudizio è presente ossia
contemporaneo all'Azione determinanda: Come «sento cantare, o che si canta-
Quando sentirò battore, o che si bal- са
ес. ». 211. Il Giudizio determinante
deve da se indis care il Tempo in cui viene eseguito, ognivolta che questo
Tempo è diverso da quello dell' Azione determinanda - In tal caso esprimiamo il
Giudizio determinante, a quel Tempo ch'esigge la na- titi ec. ».212. Il Giudizio determinante è
molte volte futuro relativamente al Determinando. Se peró questa futurità
trovasi naturalmente espressa dall'in-trinseca natura dell' Azione
Determinanda, il Giudizio determinante non deve esprimere che il Modo. Quindi in tal caso lo porremo al Tempo
presente; perché l' espressione di Presente indica in ispecie il Tempo, ed in
genere il Modo (V. Anal, 126). Quindi
avremo « Spero, che arrivino - Comanda-te, che partano ec. » DELLE VOCI SOSTITUITE 218. Chiamiamo Sostituite «Le Voci, che si
usano in luogo di altre». Le Voci sostituite servono moltissimo ad abbreviare
ed a rendere elegante e sonoro il Linguaggio.
In ogni Linguaggio le Sostituzioni prattica-mente sono molte; ed il
fissarle dipende unicamente dalla Convenzione sociale - Noi però ci. limitiamo
a qui parlare di alcune più generali, che chiameremo Pronomi, cioé « Voci poste
in luogo di Nomi Sostantivi, o almeno tali considerati da noi»; avvertendo, che
omettiamo di qui parlare di quei Pronomi, de'quali già si trai tò (57,61).Pronomi Determinanti-oggetto 214. Un Oggetto Generico è sovente
determinato da un altro Oggetto (197). Al Nome dell'Oggetto. determinante però
giova molte volte sostituire un Pronome; e ciò propriamente, quando
l'Oggetto Determinante é o Chi giudica,
o Chi ascolta, ! Terzo Oggetto già
indicato nel discorso - É dunque necessario conoscere questi Pronomi, il chi main ufo e i ereminare en O into, 8 gio deve chiaramente e particolarmente fissarli. 215. Tali Pronomi in Italiano sono « mio,
tuo, suo, nostro, vostro, loro» significanti« di me, di te, di lui o di lei ec.
». Nei Pronomi determinanti-oggetto
bisogna poi distinguere l'Oggetto ch' essi richiamano, dall' Oggetto che
determinano - Riguardo all'Oggetto che richiamano; alcuni, cioè mio tuo suo,
esprimono un sol Oggetto; ed altri, cioè nostro vostro loro, esprimono più
Oggetti. Rapporto all'Oggetto che determinano, in Italiano questi Pronomi nell'indicazione di Numero je di
Sesso sieguono sempre l'Oggetto determinato medesimo. CAPO II
Pronomi Indicanti-oggetto 216.
Nel discorso oltre gli Oggetti primitivi e derivati, molte volte da noi si
considera comeOggetto un Giudizio, un intero sentimento, ed anche un complesso
di Sentimenti e Giudizj - Tali Oggetti
per distinguerli dai Primitivi e Deri-vati, possono con ragione chiamarsi Oggetti
com-plessivi, cioè formati dal Complesso o unione di varie parti. Ora accade sovente, che nel discorso deb- basi o
nominare o richiamare un Oggetto com-plessivo. In tal caso invece di
richiamarlo o nominarlo con lunga serie e ripetizione di parole, possiamo e
sogliamo far uso di Voci apposite per semplicemente indicarlo; e queste Voci
son quel-le, che da noi si chiamano Pronomi indicanti .Oggetto - Dunque il
Linguaggio deve avere i suoi Pronomi per indicare gli Oggetti nel caso
suespresso, cioé gli Oggetti complessivi. Tali Pronomi in Italiano
sono « questo, codesto, quello, e ciò »—Si avverta, che questo e quello servono
spessissimo ad indicare un Oggetto qualunque in genere: Se poi questi Pronomi
si riferiscono a qualche Oggetio particolare, allora questo indica Oggetto
vicino a Chi giudica; codesto indica Oggetto vicino a Chi ascolta; quello
indica Oggetto che si considera lontano e da chi giudica e da chi ascolta.
Finalinente ciò si usa invece di qualunque dei trè precedenti Pronomi, quando
però non sieno congiunti a Nome sostan-tivo; e si usa specialmente invece di
questo e quello, quando servono a richiamare genericamente un Oggetto qualunque.
Si avverta inoltre, che questo e quello annopraticamente anche altri usi, i
quali però in fondo corrispondono alle Definizioni già date - Così dopo aver
espresso due o più Cose di seguito, volendo indicare l'ultima si dirà questa, e
per indicare l'altra o altre precedenti si dirà quella o quella secondo la
circostanza. CAPO III Pronomi Generici
Cardinali Le Lingue, specialmente
quelle i cui Verbi debbono essere accompagnati dal Cardine di Giu-dizio,
sogliono far uso di due Pronomi generici ; i quali si usano soltanto come
Cardini di Giudi-zio, e che noi perciò chiamiamo Pronomi gene rici cardinali. Uno di questi Pronomi si
riferisce unicamente ad Esseri, che noi consíderiamo come animati e ragionanti.
Esso serve ad esprimere in maniera generica un Numero indeterminato di tali
Esseri, considerati come formanti Cardine di Giu-dizio. Quindi questo Pronome
non puù mai rife rirsi agli Oggetti giudicante e ascoltante; perché per loro
natura tali Oggetti nel discorso non pos sono mai essere né indeterminati, né
espressi ge-nericamente. In Italiano questo primo Generico Pronome cardinale si
esprime colla voce si (francese on);
come « si dice, si credeva, si pretese ec. ". 221. Per formarsi una giusta Idea dell'altro
Generico Pronome cardinale, bisogna riflettere; chein Natura si anno delle
Azioni determinate, le quali non possono eseguirsi che da un Terzo Og-getto;
Oggetto peró che non sappiamo nominare, perché realmente da noi non si conosce.
Ora per indicare in qualche maniera questo incognito Og-getto, le Lingue
sogliono unire al Giudizio di Azione una Voce o Pronome generico cardinale
- Quindi questo secondo Generico Pronome
cardinale può esattamente definirsi « Segno esprimente, che il Cardine di
Giudizio è un Terzo Oggetto che non sappiamo nominare, perché da noi non conosciuto ».
Questo Pronome in Italiano è egli (francese il); ma non si usa, perché
l'indole della Lingua Italiana non esigge, che i Verbi sieno sempre
accompagnati da Nome o Pronome Cardinale: Quando però si usasse come in altre
Lingue molte, do vrebbe unirsi ai Verbi detti comunemente imper-sonali; come
"piove, lampeggia, tuona ec. ». Dunque il Linguaggio deve
fissare i suai due Pronomi Generici Cardinali. CAPO IV Pronomi Generici non
Cardinali . Alcune Lingue usano, mai
peróscome Cardini di Giudizio, due Pronomi Generici; i quali perciò da noi si
chiamano Pronomi generici non cardinali - Questi Pronomi anno generalmente
doppio significato: Quindi sono difettosi. Se peró si assegnasse una doppia Voce
per ciascuno, ogni difetto è svanito.22% Uno di tali Pronomi richiama sempre o
un Oggetto relativato (114) o un Oggeito cominciante (117) - Esso in Italiano
si esprime col ne (francese en); come « Che ne dite? - Parlatene bene — Egli và
in Campagna, ed io ne vengo ec. ». L'altro Pronome richiama sempre o un Og
getto terminante (116) 0 un Oggetto contenente (113) - Esso in Italiano si
esprime col vi o ci (francese y) ¿ come « Andate al Teatro? Forse vi andrò —É in Casa l'Amico? Non ci
dev' essere ec. ». 225. Dunque il Linguaggio
avrà i suoi Pronomi Generici non Cordinali.
É impossibile ridurre a semplice e ben ordinato sistema tutte le
Particolarità, le quali entrano nella composizione d'un prattico Linguaggio. Quindi crediamo cosa migliore l'aspettarsi
dall'Uso e dall'Analisi la cognizione di tali Partico-larità. Esistono pero delle Cose, che meritano
attenzione speciale; e di alcune di queste parleremo nella presente Sezione,
richiamando ch'é nostro primo scopo tracciare il Piano per la Lingua
Uni-versale.Verbi di Moto Nelle Espressioni di Moto
dobbiamo generalmente fare attenzione e al Luogo fine di Moro, e all'Azione
motivo di Moto. Il Luogo si considera come Oggetto terminante (116); e l'Azione
à una particolar maniera di esprimersi, che bisogna fissare per ogni determinato
Linguaggio. II. OssERvAzIonE Voci di più Significati In ogni Lingua esistono
delle Voci aventi più Significati; come in Italiano «essere, avere, fure,
ancora, per ec.». Potendo facilmente derivarne Equivoco e Confusione, deve ciò
ritenersi •difetto notabile di Lingua - Quindi il Linguaggio deve a ciascuna
Voce assegnare un solo Valore, o per lo meno precisare in quali circostanze una
Voce à uno piuttosto che un altro Valore. III.* OssevazIonE Espressioni
Sentimentali 229. L'Uomo vivamente
penetrato e soprafatto quasi da qualche
forte Sensazione Passione o Sentimento qualunque, è molte volte obbligato ad
esternare la Situazione dell'animo suo. Tal Esternazione generalmente succede
col mezzo di Suoni Gutturali prolungati, e aventi l'impronta di ciò che l'Anima sente: E questi Suoni son quelli,
che formano le da noi chiamate Espressioni Sentimen-cali -Quindi il Linguaggio
avrà dei Segni per indicare in iscritto tali Espressioni. IV. * OsSERvAzIONg Ortografia
230. Ortografia significa « conveniente Indicazione delle Parole in
iscritto » - Fissato un Segno per ciascun Suono vocale, le Parole debbono
scri-versi precisamente come si pronunciano, e a ciascun Segno deve
corrispondere un solo e sempre il medesimo Suono invariato; cosa, che nelle
Lingue praticamente non esiste. Inoltre
una delle Cose più rimarchevoli nel Discorso si è la Distinzione de' varj
Giudizj e Sentimenti frà loro. Parlando, noi marchiamo tale necessaria
Distinzione con delle Pause e variate
Inflessioni di Voce: Quindi scrivendo è necessario marcarla con dei
Segni di convenzione, corrispondenti alle Pause ed Inflessioni Vocali. V. OssErvazIone Sintassi
271. Sintassi vuol dire « giusta Disposizione delle Parole»- Ogni Lingua à la sua Sintassi
partico-lare, stabilita dal tempo e dall'uso. La Sintassi naturale però è una
sula: Dessa consiste nel seguire esattamente l'ordine naturale delle Ideequando
l'uomo é in istato di Tranquillità; e quando trovasi in istato di Passione,
consiste nel premettere le Idee che più lo colpiscono, appunto perché tali Idee
stante la sua situazione, gli si affacciano all'anima per le prime. Seguir sempre scrupulosamente la Sintassi Naturale
sarebbe un assoggettarsi ad una Specie di nojosa servilità. Quindi parmi, che
debbasi preferire una Sintassi ragionata; vale a dire « una Sintassi dipendente
e dalla natura delle Cose che si esprimono, e dai Suggerimenti dell' Orecchio
che cerca possibilmente evitare ogn'incommodo Aggregato di Suoni». Tale
Sintassi avrà il doppio van-taggio, di eliminare ogni urtante asprezza vocale,
e di produrre facilità d'intelligenza in chi ascolta. La Sintassi Ragionata può
considerarsi libera di sua natura. Quindi le Regole di questa Sintassi possono
ridursi ad una sola; cioè « Che ad ogni Voce deve sempre esser unito, ciò che
serve a far conoscere in tutta la sua estensione la vera forza l'esatto valore
l'Idea precisa della Voce medesima ». Dunque nella Sintassi ragionata le Parole saranno
sempre ben collocate, purchè s'intenda con facilità ciò ch'esse esprimono ed in
complesso e parzialmente. Dovendo quindi esprimere «Scrissi una Lettera a
Pietro», potremo liberamente combinare queste Parole in uno qualunque dei varj
Modi seguenti; giacchè trovasi in tutti la necessaria facilità d'intelligenza
:• Scrissi una Lettera a Pietro « Scrissi a Pietro una Lettera « Una Lettera Scrissi a Pietro « Una Lettera a Pietro scrissi « A Pietro Scrissi una Lettera « A Pietro una Lettera scrissi. Ma se dicessi «Scrissi a Pietro una Lettera,
da cui rileverà ec.», allora da cui rileverà ec. deve inseparabilmente restar
unito ad una Lettera, qualunque sia il posto assegnato a quest'ultima espressio
ne: Altrimenti il Senso sarebbe alterato; e però oscuro, confuso ed anche
inintelligibile. Parimenti se dicessi
«Scrissi una Lettera a Pietro, che ura
trovasi in Campagna», che ora cro-vasi in Campagno deve immediatamente unirsi
a Pietro. É facile moltiplicare simili Esempi, onde
perfettamente conoscere in che deve consistere l' essenza. della nostra
Sintassi Ragionata. LINGUA FILOSOFICA FIssATo ciò che forma l'essenza del
Linguaggio in genere ossia della Lingua Generica, supponiamo di dover ora dar
esistenza ad una Lingua colla guida della Ragione e con tutta la possibile
precisione del Calcolo. Questa Lingua potrebbe giustamente chiamarsi
filosofica, e la di lei Formazione è semplicissima; come passiamo ad analizare,
richiamando succintamente e quanto lo esigge il nostro scopo, ciò che fù
esposto in ciascuna Sezione. Le Parole sono formate da Suoni Vocali. I Suoni Vocali sono Orali o
Gutturali. I Gutturali sono Semplici o composti; e i Semplici possono essere lunghi o brevi (15) -,Gli
Orali sono prolungabili o istantanei; o si gli uni che gli altri esser ponno
ordinarj o forzati (18). « Durqus fisseremo dei Segni per rappresen-«
tare i varj Suoni Vocali; ed a ciascun Segno
« applicheremo un Suono invariato e costante ». 237. Le Parole sono divisibili in Parti o
Sillabe (22); e la Voce deve in ogni Parola aver la sua Posa (26). « DuNQue fisseremo la Teoria per le
Sillabe « e Posa nelle Parole ». GIUDIZJ
Gli Oggetti possono essere di Sessa
maschi-le, femminile o neutro (49); e di Numero unale o plurale (47). « DUnQuE fisseremo dei Segni per esprimere «
negli Oggetti il Sesso, ed il Numero generico ». 239. Nelle Cose molte volte dobbiamo
esprimere precisamente il loro Opposto
(46). « DunquE fisseremo il Segno
indicante l'asso- « luto Opposto d'una
Cosa qualunque ». 240. Gli Oggetti
giudicante e ascoltante debbono esser espressi da apposita Voce generica (52,
53); I Terzi Oggetti debbono molte volte
esser espressi con dei Pronomi (57).DunQue fisseremo per tali Oggetti le
appo- « site Voci e Pronomi ». 241. Il Linguaggio aver deve un Pronome
ri- Nesso; vale a dire una Voce
esprimente qualunque Oggetto, che essendo Cardine di Giudizio, ci si presenta
nel Giudizio stesso in una Seconda situazione (6s). " DuNque fisseremo questo Pronome
ri-«flesso». 242. I Giudizj possono
riferirsi a varj Tempi (63 e seg.), e formarsi in varj Modi (72 e seg.) - Dunque bisognerebbe stabilire dei Segni per
ciascun Tempo e Modo. Ma le Lingue
sugliono comunemente con una sola Voce esprimere Giudizio, Modo e Tempo
(97). Dunque profittando dell'Uso già
felicemente in-trodotto, noi pure esprimeremo Giudizio Tempo e Modo con una
Voce sola; e questa Vore sarà della massima Brevità, perché frequentissima
nel Discorso. « DuNQuE fisseremo le Voci esprimenti al « tempo stesso Giudizio, Tempo e Modo». FONTI
PRIMITIVI DEI GIUDIZI 243. I Fonti
Primitivi dei Giudizj sono gli Og- •
getti, le Azioni e le Qualità di primitiva esistenza; vale a dire che esistono realmente o in
Natura o in Immaginazione: Inolire in Natura abbiamo ancora dei Rapporti
(99). « DunQue fisseremo per la nostra
Lingua le « Voci Radicali; e fisseremo
pure un Segno « caratteristico indicante e la Natura della Cosa « (cioè se
Oggetto, Azione, Qualità, o Rapporto)! «
e la sua primitiva Esistenza. Secondo la diversità delle circostanze gli Oggetti nel discorso possono presentarsi in
Situazioni diverse (105 e seg.). «
DuNQuE fisseremo dei Segni esprimenti la
« Situazione precisa di ciascun Oggetto». 245. Oltre il Segno Numerico in genere (47)
il Linguaggio deve avere delle Speciali Voci di
Numero (120). « DunquE fisseremo
le Voci Numeriche Spe- « ciali ». 246. Il Linguaggio aver deve delle Voci
apposite per esprimere negli Oggetti il Luogo ossia un Rapporto qualunque locale (131).Dunque
fisseremo le occorrenti Voci di
"Luogo ». QUALITA' 147. Il Linguaggio aver deve dei Segni per
esprimere nelle Qualità e l'Aumento Massimo (126) e il Massimo Decremento
(129), tanto assoluti che relativi; come pure per esprimerne il Deterioramento
(131): « DunQus fisseremo i Segni
opportuni per « tali Aumenti, Decrementi e Deterioramenti ». 848. Il Linguaggio aver deve Regole e Voci opportune
per esprimere le Variazioni nelle Qualità (133). « Dunque fisseremo la Teoria per tali
Varia- « zioni ». AZIONI
149. Il Linguaggio aver deve dei Segni per distinguere nei Verbi al Modo
Generico il Modo accompagnante dal determinante, ed in questo i varj suoi Tempi
DunQus fisseremo dei Segni per tale Distin-
« zione Il Linguaggio esigge Voci apposite per la Determinazione del
Tempo nei Giudizi (142)., e anche un Segno particolare per le da noi dette
estese Espressioni di Tempo (144). «
DuNQue fisseremo pel Tempo e il Segno spe-« ciale e le opportune determinanti
Espressioni».OGGETTI AZIONI E QUALITA Il Linguaggio deve negli Oggetti Azioni
e Qualità saper esprimere un Aumento e
Decremento generico (148). « DuNQuE
fisseremo dei Segni per questo ge-« nerico Aumento e Decremento in tutte le
Cose ». AZIONI B QUALITA' 252. Il Linguaggio aver deve le sue Leggi per
esprimere convenientemente qualunque Modificazione nelle Azioni e Qualità
(152). « Dunque fisseremo la Teoria per
esprimere « le Azioni e Qualità
modificate ». 253. il Linguaggio aver
deve dei Segni appositi ond' esternare il risultato dei Confronti fatti sulle
Azioni e Qualità; cioè dei Segni per esprimere la scoperta Eguaglianza o
Differenza, e questa tanto in più che in meno Dunque fisseremo gli opportuni
Segni di « Confronto». SEZIONE QUARTA FONTI SECONDARI DEGIUDIZI I Fonti Secondarj de' nostri Giudizj sono le
Cose Derivate, che si riducono a quattro, cioé Oggetti Qualità Azioni e
Modificazioni (157) ; ele Cose Derivate debbono nel discorso distinguersi dalle
Cose Primitive DuNQuE fisseremo dei Segni caratteristici per « ciascuna delle
quattro generiche Derivazioni ». 255. Le
Cose derivate possono essere di prima e di seconda Derivazione (160). « Dungus fisseremo l'opportuna Teoria per «
distinguere le une dalle altre Derivazioni ».
256. Dalle Voci di Azione possiamo avere cinque diverse Derivazioni
(«6)); tré delle quali, cioé Voce-attiva Voce-passiva e Oggetto-attore esiggono
de Segni speciali. « DuNQuE fisseremo i
Segni occorrenti per « queste trè
speciali Derivazioni ». 257. I Verbi si
esprimono in una sola Parola soltanto al Modo Generico; e negli altri Modi si
decompongono in Voci di Giudizio e di Azione DunQuE fisseremo la Teoria per
esprimere « ¡ Verbi in qualunque Modo
». 258. Il Linguaggio deve avere dei
Segni appositi per alcune speciali Derivazioni dalle Radici di Numero; cioè per
indicare le Quantità mulciple, le Parti aliquote e i Numeri di costante
ripetizione (180). i DuNQue fisseremo i
Segni convenienti per « queste trè
numeriche Derivazioni speciali ».VOCI INDETERMINATE 259. Le Voci di Qualità, Oggetto e Azione non
sempre ma spesso nel Discorso servono a determinare degli Oggetti o Sostantivi
indeterminati (197, 1у8). DuNQuE fisseremo il necessario Distintivo per le Qualità, Oggetti e
Azioni, che sono de-« terminanti-oggelto ». 26o. Gli Oggetti ed i Giudizj
servono molte volte a determinare le Azioni, che abbisognano di Determinazione
(201, 202). • DuNQue fisseremo il Distintivo
per gli Og- " getti e Giudizj, che
sono determinanti-azione ». SEZIONE
SESTA VOCI SOSTITUITE 26r. Al Sostantivo determinante-oggetto si
sostituisce spessissimo un Pronome DunQuE fisseremo i Pronomi determinan- « ti-oggecto ». 262. Il Linguaggio aver deve i suoi Pronomi
per indicare o richiamare gli Oggetti, specialmente complessivi (217).« Dunque
fisseremo i Pronomi indicanti-og «gelto
». 263. Il Linguaggio abbisogna di
alcuni Pronomi generici speciali; cioé due Cardinali (222) ed altri non Cardinuli (225). « DuNqus fisseremo le Voci per questi
gene- « rici speciali Pronomi É
necessario stabilire la maniera di esprimere un Azione, per metterci in istato
di eseguir la quale facciamo un Moto qualunque, ossia un Azione ch'è motivo di
Moto (227). « DuNQuE fisseremo l' opportuna Teoria ». Il Linguaggio deve a
ciascuna Voce assegnare possibilmente un solo Valore (228). « DunQue fisseremo
la Teoria per le Voci di « più Significati ».
266. Il Linguaggio aver deve dei Segni per in- . dicare in iscritto le
Espressioni sentimentali (299). « Dureus fisseremo i Segni necessarj per
tali « Espressioni ». 267. Il Linguaggio aver deve la sua Ortogra-
fia (230) e Sintassi (231). «
DunquE fisseremo le opportune Regole di
« Sintassi e di Delle Conseguenze
stabilite per la LINGUA FILOSOFICA
268. Richiamando sotto un sol punto di vista le varie Conseguenze di
questa PARTE SECUNDA, chiaro si scorge, quanto semplice e facile sia la
Formazione d' una Lingua Filosofica; giacchè per essa bisogna soltanto: I. FIssARE dei Segni, per Convenzione
corrispondenti ai varj Suoni Vocali (236).
II. FISSARe la Teoria per le Sillabe e Posa nelle Parole (237). III. FIssARE dei Segni per esprimere
negli Oggetti il Sesso, ed il Numero
gent- rico (238). IV. FissARE un Segno per esprimere l'Opposto
nelle Cose (23y). V. FIssaRE le Voci per
gli Oggetti Giudicante e Ascoltante, ed i Pronomi per i Terzi Oggetti
(340). VI. FIsSARE il Pronome riflesso
(241). VII. FIssARE le Voci esprimenti
al Tempo stesso Giudizio Tempo e Modo (242).
VIII. FIssARE per la nostra Lingua le Voci Radicali (243). IX. FIssARE il Segno caratteristico per
le Parole Radicali (243).X. FIssARE dei
Segni per esprimere la Situazione precisa di ciascun Oggetto (244). XI. FIssARs le Voci Numeriche speciali (2
(5). XII. FIssARE. le Voci di Luogo
(246). XIII. FIssARE i Segni per
indicare Aumento Decremento e
Deterioramento nelle Qualità (247). XIV. FIssARE la Teoria per le Variazioni nelle Qualità (248). XV. FIssaRE i Segni per distinguere le varie
Voci Verbali del Modo Generico (249).
XVI. FIssaRE le Determinanti Voci di Tempo, ed un Segno per le sue
Estese Es pressioni (250). XVII. FIssARE i Segni pel generico
Aumento e Decremento in tutte le Cose
(251). XVIII. FIssARE la Teoria per le
Azioni e Qualità modificate (252). XIX.
FIssARE gli opportuni Segni di Con-
fronto FIssARE i Segni caratteristici per ciascun Genere di Cose Derivate (254). XXI. FIssARE la Teoria per distinguere le
Prime Derivazioni dalle Seconde (255).
XXII. FIssARE i Segni per le tré speciali Derivazioni dalle Voci di
Azione (256). XXIII. FIssARe la Teoria
generale per esprimere i Verbi (257).XXIV. FIssARE i Segni per le tré
Numeriche Derivazioni speciali FIssARg
il Distintivo per le Cose De-
terminanti-oggetto (259). XXVI.
FIsSARE il Distintivo per le Cose De-
terminanti-azione (260). XXVII.
FIssARs i Pronomi Determinanti-ogget- to
(261). XXVIII. FIssARE i Pronomi
Indicanti-oggetto FIssARg i Pronomi Generici speciali (263).FIssARE la Teoria
per le Azioni, Ma- tivo di Moto
(264). XXXI. FIssARE la Teoria per le
Voci di più Significati (265). XXXII. FIssARE i Segni per le Espressioni
sen- timentali (266). XXXIII. FISsARE le Regole di Sintassi, e
d'Or- ingrafia (267). 269 Ecco i semplicissimi trentatrè Punti di
Co-struzione, ai quali si riduce l' Essenza della Formazione d'una Lingua
ragionato - Quindi per dar Esistenza ad una Lingua Filosofica altro non si
richiede, che la prattica Esecuzione di quanto qui abbiamo sommariamente
accennato.LINGUA UNIVERSALE 270. NeLLi PARTE SeCONDA abbiamo
succintamente analizato cosa far si dovrebbe per formare una Lingua Filosofica;
e si è potuto facilmente la -Ora la
Lingua Universale non dev'essere, che la Lingua Filosofica praticamente
eseguita. Dunque la Lingua Universale
dovrebbe sistemarsi da una Società di Uomini dotti e di Nazione possibilmente
diversa; e tale Sistemazione dovrebbe essere preceduta da molte mature e
ragionate Discussioni accademiche. Da tali Premesse ognuno facilmente
compren-de, che se produco il mio Piano di Lingua Uni-versale, non è per alcuna
speranza di vederlo adottato; ma solo per somministrare qualche lume in una
Materia, che può essere tanto vantaggiosa alla Republica delle Lettere ed alla
Società. Onde progredire col miglior
ordine possibile, in questa TeRzA PArTE non farò che richiamare successivamente
i trentatrè Punti di Costruzionegià stabiliti (a6g); assegnando le Regole e la
prat- tica Esecuzione per ciascuno. PUNTO I.°
Fissare i Segni pei Suoni Vocali I Suoni Vocali si
distinguono in Gutturali ed Orali (10). Distingueremo dunque in orali e
gutturali anche i Segni loro corrispondenti. SEGNI GUTTURALI, E LORO PRONUNZIA Nella nostra Lingua
Universale i Segni Gutturali sono cinque «a, e, 1, o, u» e si pronunciano come
siegue (a); avvertendo che il nostro i non à il puntino sopra. a ed e si pronunciano al solito, cioé come in
italie, admirable : e ed o si
pronunciano, sempre larghi, cioè come in serrait, rólait : e si pronuncia sempre largo, ossia
toscano; cioè come ou francese in doux,
tour ec. 273. I fissati cinque Segni «a,
e, 8, 0, u» servono ad esprimere i suoni Gutturali semplici e brevi (12, 15).
Sovrapponendo a questi Segni un (a) Nel
giustificato Supposto che la Lingua Francese sia la più generalmente conosciuta
dai Dotti, io da essa prendo e Caralteri e Radici di Parole per la mia Lingua
Universa-le. Quindi à anche stimato più conveniente indicare la Pro-nuncic dei
Segni Vocali col mezzo della Lingua Francese
• medesima.Accento, avremo l'espressione dei cinque Suoni Gutturali
semplici e lunghi (15); cioé «à, è, i, ò, ù »— Quindi l'Accento indica
solamente, che la Voce deve poggiarsi sul suono corrispondente al Segno
accentato; e deve poggiarsi precisamente come nell' ultima Sillaba delle Parole
francesi «dira, érait, brebis, marteau,
beaucoup ». 274. Dai quattro Segni
Gutturali semplici «a, e, o, u» formiamo otto Gutturali composti (12),
sovrapponendo e sottoponendo loro 'un puntino.
Questo Puntino equivale al suono &, e indica Dic-tongo cioè Suono
doppio, ossia Suono composto da due Gutturali.
2q5. Il Puntino sovrapposto equivale ad un seguente: Quindi «à, è, o, i»
si pronunciano «az, es, or, u». Il Puntino sottoposto equivale ad un a
precedente: Quindi «a, e, o, u» si pronunciano «io, re, 10, 1u» —In tutti
questi Dittonghi la Voce deve sempre poggiare sul Suono principale, cioè sulla
Base del Dittongo; e mai sul Valore del Puntino ossia sull'e, che deve
considerarsi come Suono Dittongale accessorio.
276. Praticamente qualcuno dei Dittonghi «&, é, ò, i» potrebb'essere
immediatamente seguito da Suono Gutturale; e qualcuno degli altri «a, ?, !, !»
potrebb'esserne preceduto immediatamente — In tal caso onde raddolcire la
Pronuncia si fissi per Regola generale; che il Suono ditton-gale a si converte
nel Suono Orale y, di cui parleremo in seguito (279); e che tal variazione di
Suono deve farsi nella Pronuncia soltanto, e mai in Iscritto. Nella nostra Lingua Universale i Suoni Gutturali son
dunque dicinito, dieci semplici e otto composti —Del Semplici cinque sono
brevi, cioé aa, e, s, o, u» e cinque lunghi, cioè «à, è, i, ò, ù». I Composti
sono tutti lunghi (14) di loro natura; e si formano con un Suono Gutturale
semplice, unito al Suono ‹ posposto o anteposto —Si pospone il Suono ‹ in «à,
è, o, i» e si antepone in « a, e, p, 4». SEGNI ORALI, E LORO PRONUNZIA I Segni pei Suoni Orali
istantanei (17) nella nostra Lingua sono sei; cioè «b, p, d, t, x, g»: E i
Segni per gli Orali prolungabili (17) sono undici; cioè «m, n, j, l, r; 5, 2,
1,1, с,у ». 279. I primi quattro Orali
istantanei, cioé «b, p, d, t, » e i primi otto prolungabili, cioé «m, n, f, 1,
r, s, 0, 2» si pronunciano al solito; vale a dire, come sogliono pronunziarsi
nella Lingua Francese — Gli altri cinque, cioé «x, 8,1, c, y » si pronunciano
come siegue : x si pronuncia sempre come
il k latino, ossia come suole pronunciarsi il e quando trovasi avanti a, o ed
zs. g avanti qualunque suono gutturale
si pronuncia sempre, come suol pronunciarsi in Francese quando trovasi avanti
«a, o, u" - gazon, gosier, goût
: y si pronuncia come il j francese in
je, ja- mais; avvertendo che il nostro
non à sopra il solito puntino. c si
pronuncia sempre come il ch francese in
cher, chambre ec. y si pronuncia come la
seconda parte dell'y nella parola francese moyer; avvertendo che chiamo seconda
Parte dell'y, ciò che di questo Segno rimane a pronunziarsi dopo aver proferito
la prima sillaba noi — Per gl' Italiani é più semplice dire, che il y si
pronuncia precisamente come il j italiano nella parola jeri. 280. I diciassette Segni Orali suespressi
indicano i Suoni Orali ordinarj (‹9): Gli Orali forzati (^9) poi s' indicano in
iscritto, duplicando il Segno ordinario; come già si costuma presso tutte le
Lingue - Quindi Il, bb, it, rr ec. accennano, non due Suoni Ordinarj, ma il
Suono Forzato di 1, в, t, r ес. 281. La nostra Lingua à inoltre 'dei Suoni e
quindi de' Segni Orali composti, cioè formato ciascuno da due diversi Segni
Ordinari, combinati in un Segno solo - Questi Segni Orali composti sono trè,
cioè so,, l; che si pronunciano come siegue :
os si pronuncia al solito come ks, ossia come ct in action : y si pronuncia, come pronunciasi gn in
crai- •gnant: ly si pronuncia, come pronunciasi il
doppio I in abeille. 282. Oltre i Segni fissati facciam uso anche
del- I'/, il quale però non à pratticamente
alcun Suono; e il cui valore sarà in seguito determinato (392). 283. Dunque nella nostra Lingua i Suoni Orali
sono venti; diciasette Semplici, cioé «b, p,d,
1, к, д-т, н, f, 2, т, 5, а, а, у, с, у,»; e trè composti, cioè « s, y, y». 284. Per dare a questi Segui un Nome, basta
aggiugnere a ciascuno il Suono gutturale e: Avremo quindi « be, pe, de, te, se,
ge- me, ne, fe, le, re, se, ve, ze, se, ce, ye — de, ye, ye ». Si avverta, che questi Monosillabi esprimono
non il Suono del Segno, ma il Nome particolare di ciascuno onde poterli
indicare come Oggetti; come quando diciamo « un be, un de ec.» oppure « il xe,
il ge ec.». AVVERTENZA Le Cifre o Caratteri tanto manoscritti che di
Stampo, per la nostra Lingua si prendono dal Carattere Francese corsivo, colle
Variazioni Aggiunte e Modificazioni sopra accennate pei Segni tanto Gutturali
che Orali. Le Lettere majuscole della
nostra Lingua debbono di Figura essere uguali alle minuscole, ma più grandi in
Dimensione. I Segni majuscoli si usano
soltanto al principio di ciascun sentimento come al solito, ed al principio di
ciascuna Parola esprimente un 0g-getto determinato (103) o qualche sua
Deriva-zione; come « Roma, Vienna, Russia ec. - Ra- mano, Viennese, Russo ec. »
- Nei Nomi di Oggetto determinato e quindi nelle loro Derivazioni è poi
necessario questo Segno iniziale majuscolo,perché tali Nomi sortono dalla
Regola generale che in seguito (315) fisseremo pei Nomi di tutti gli Oggetti
indeterminati. PUNTO II.° Fissare la
Teoria per le Sillabe e Posa nelle
Parole 288. Le Parole nella nostra
Lingua anno tante Sillabe, quanti
contengono Suoni o Segni Guttu-rali, tanto semplici che composti (273). Le
Sillabe poi terminano sempre con Suono Gutturale, ad eccezione delle ultime che
possono finire in Suono Orale; avuto
però riguardo a quanto precedentemente si espose (36). 289. La Posa delle Parole è sempre o
nell'ultima Sillaba o nella penultima — E nell'ultima, quando in essa trovasi
un Segno o Suono Guttu- Si avverta, che
il Suono Gutturale lungo si usa solamente in poche circostanze, le quali
saranno in seguito determinate (364, 370).Fissare dei Segni per esprimere negli
Oggetti il NUMIRO GENERICO ed il sIsso
NUMERO GENBRICO 290. Il Segno di
Numero unale e i; « quello di Numero plurale -Questi Segni si antepongono ai
Nomi o Pronomi che ne abbisognano, ma senza unirli ad essi in una sola parola.
Quindi Padre dicendosi pero, scriveremo et il Padre - 1 pero; i Padri « pero». Fissati cosi i due Segni di Numero gene-rico, i Nomi
e Pronomi diventano invariabili di loro natura; cioè servono egualmente ad
ambedue i Numeri unale e plurale.. Il Segno di Numero si omette ognivolta, che
riescirebbe inutile nel discorso; vale a dire, ognivolta che il Nome o Pronome
da se ci esprime naturalmente, se unale o plurale. SESSO • 295. La natura dell'Oggetto che si esprime,
fa da se necessariamente conoscere se l'Oggetto à Sesso; oppure se n'è mancante - Quindi è
inutile fissare un Segno per gli Oggetti neuiri, ossia mancanti di Sesso. Rapporto agli Oggetti
aventi Sesso, questi debbono primieramente avere il loro Nome gene-rico, cio il
Nome che serve ad esprimere tutti gli Esseri d'una stessa Specie: Cosi in
Italiano ilNome generico Uomo esprime tutti gl' Individui della Specie umana;
il Nome generico Cavallo esprime tutti gl' Individui della Specie equina,
ec. Questo Nome Generico dev'essere
particolarmente fissato per ciascuna Specie di Oggetti (315). Giò posto, nell' esprimere tali Oggetti o
devesi per la natura del discorso far attenzione anche al Sesso, o no: Senò, li
esprimiamo col loro Nome Generico: Se devesi far attenzione anche al Sesso,
allora distingueremo l'Oggetto femminile dal maschile nel modo seguente. Per esprimere l'Oggetto maschile facciamo uso del
Nome Generico, come già si costuma in tutte le Lingue - Quindi negli Oggetti
aventi Sesso il Nome Generico esprime o l'Oggetto in genere, o l'Oggetto
maschile in ispecie. Nè in ciò può nascere alcuna difficoltà; giacché il
contesto e la natura del discorso troppo facilmente ne fa in ogni prattica
circostanza conoscere il vero significato di tali Sostantivi - Dunque ommo,
frero, eglo ec. significherà o «Uomo, Fratello, Aquila ec. » in genere; o «
Uomo, Fratello, Aquila ec. » maschile in ispecie. Per esprimere qualunque
Oggetto femminile fissiamo la Regola generalissima che «Si prepone al Nome
maschile il Gutturale composto e, formandone una parola sola». Quindi « Madre,
Donna, Sorella, Aquila-femmina ec." si dirà « épero, commo, efrero, ¿eglo
ec.».Fissare il Segno per esprimere nelle Cose l'opposto 297. Per esprimere in una Voce qualunque
il composto d, formandone una sola
Parola - Quindi «ba, be, bi, bo, bue» (308) significando «sono, ero, fui, ero-stato,
sarò » per esprimere « non sono, non ero, non fui, non ero-stato, non sarò »
diremo a cibo, abe, abi, cibo, abuen.
PUNTO V.° Fissare le Voci per gli
Oggetti Giudicante e Ascoltante, ed i Pronomi per i Terzi Oggetti OGGETTI GIUDICANTE et ASCOLTANTE 298. La Voce per l'Oggetto Giudicante al
Numero unale è ma, significante io; al plurale è mu, significante noi. La Voce per l'Oggetto Ascoltante al Numero
unale è te, significante tu; al plurale è tu, signi- fcante voi.
299. Queste Voci servono per gli Oggetti Giudicante e Ascoltante di
qualunque Sesso; giacché il Sesso di tali Oggetti si conosce necessariamente
dalla natura del Discorso (54). Si
faccia attenzione che in queste Voci come in quelle che saranno fissate in
seguito (301, 332),il Numero plurale si distingue dal Numero unale, mediante il
Segno generico di Numero già stabilito (290).
Per l'Oggetto Ascoltante la
nostra Lingua esclude qualunque sostituzione di Complimento - Quindi il Nome
per gli Oggetti Ascoltanti, qualunque esser possa il loro Grado Carattere
Dignità ec., è sempre al Numero unale ti, ed al plurale ti; precisamente come
usavano i Latini tu e vos. TERZI OGGETTI Ecco i Pronomi di Terzo Oggetto per ciascun Numero e
Sesso; avvertendo, che il Pronome maschile serve negli Oggetti aventi Sesso a
richia-mare, e l'Oggetto in genere, e l'Oggetto maschile in ispecie; come già
fù detto pei Nomi (295). Numero unale plurale
maschile - l. eglio esso | lu...
eglino o essi femminile el.. ella o essa
| elz.. elleno o esse neutro - oli. egli o esso | olu.. eglino o essi
PUNTO VI.° Fissare il Pronome Rifesso 302. Qualunque sia l'Oggetto Cardine di
Giu-dizio; cioé Giudicante o Ascoltante o Terzo, di qualunque Sesso e Numero
esso sia; la nostra Lingua usa i un sol
Pronome riflesso — Questo Pronome si esprime colla Voce, so
corrispondenteespresse dettagliatamente (60).
PUNTO VII.® Fissare le Voci
esprimenti Giudizio Tempo e Modo 303. Si fissi, che le Voci di Giudizio nella
nostra Lingua debbono senipre essere accompagnate da Nome o Pronome Cardinale;
richiamando, che il Cardine di Giudizio per le Voci al Modo Generico trovasi
espresso dal Nome o Pronome Cardinale del
Verbo determinando (205, e AnaLisi 175) - Dunque le Voci di Giudizio non
debbono esprimere né il Numero Generico, cioè se uno o più, né la Natura
dell'Oggetto Cardinale, cioe se Giudicante Ascoltante o Terzo; giacché
questi Numero e Natura sono chiaramente espressi dal Nome o Pronome
dell'Oggetto Cardinale medesimo - Dunque le Voci di Giudizio esprimeranno
soltanto Giudizio, Tempo e Modo - Dunque basta in ciascun Modo fissare una sola
Voce di Giudizio per ogni Tempo.- 304. I
Modi, Generico Indicativo Condizionato e Indefinito, sono i soli che abbiano le
Voci di Giudizio trà loro diverse (98). Dunque fisseremo le Voci di Giudizio
per questi soli Modi; e queste si applicheranno a tutti gli altri Modi,
precisamente come in Italiano (V. Anal. 101. e seg.).305. Voci di Giudizio al
Modo Generico de-terminante. presente -
bra. ... essere passato -bre.. .
essere-stato futuro - bre . . . . esser-per-essere Un Giudizio di
Qualità non può mai per intrinseca natura accompagnare (74) un Azione o
Giudizio. Gli accompagnanti Giudizj di Azione non abbisognano della Voce di
Giudizio; giacché l'Azione e il Giudizio accompagnante, si esprimono in una
sola Parola. Dunque nella nostra Lingua non occorrono Voci di Giudizio al
Modo Generico accompagnante. •• •
Profittando di tale mancanza, in luogo del Modo Generico accompagnante noi poniamo trà
le Voci di Giudizio due Voci sostituibili, una di tempo presente, l'altra di
tempo passato. Queste Voci corrispondono perfettamente alle Italiane essendo ed
essendo-stato; e serviranno ad abbreviare di molto la nostra Lingua. Eccole
: 307. Voci di Giudizio
sostituibili: presente - bro .... essendo passato
— bru . . . . essendo-stato308. Voci di Giudizio al Modo
Indicativo: me, 4, 44, èli, ole -mu, iu,
lus, èlu, olu (a) presente presente-relativo - be... io era, tu eri, ec. passato
— be .... io fui, ec., o sono-stato, ec
passato-anteriore — bo.... io era-stato, ec. futuro
- bu... io sarò, tu sarai, ec.
futuro-anteriore - bur...io sarò-stato, ec. 30g. Voci di Giudizio al Modo Condizionato: mi, 66, la, éle, ole — mu, tu, lu, êls,
olus presente - bal... io sarei, tu saresti ec. passato
- bil ... io sarei-stato, ec.
310. Voci di Giudizio al Modo Indefinito: хе)
mi, t6, le eli, ole — mou, ilo, lu, elle, olu presente
- bar... che io sia, che tu sii, ec.
presente-relativo — ber... che io fossi, tu fossi, ec. passato
- bir... che io sia-stato, ec. passato-anteriore
- bor.. che io fossi-stato, ec. PUNTO
VIII.® Fissare le Voci Radicali per la
nostra Lingua 311. Nella nostra Lingua
le Parole Radicali si distinguono in variabili e stabili — Chiamiamo (a) Il valore di queste Voci fú già fissato
al 298 e 301.variabili quelle, dalle, quali variandone la Desi-nenza, derivano
altre Parole. Chiamiamo stabili quelle, che non danno alcuna Derivazione. RADICI VARIABILI • 312. Ad eccezione di alcune poche le quali
vengono particolarmente fissate, le Radici variabili per la nostra Lingua si
prendono (a) dalla Lingua Francese, come Lingua più generalmente conosciuta dai
Dotti; e si prendono colle seguenti Regole costanti. I.° Si scrivono possibilmente come si
pronunciano in Francese, e da noi si pronunciano poi precisamente come sono
scritte; vale a dire, che avendole scritte, dobbiamo poi pronunciarle con
(a) Sarebbe molto facile inventare nuovi Caralteri e Parole Radicali
affatto nuove; giacchè tale Invenzione in fondo si riduce ad una pura
materialità - Ma chi potrebbe determinarsi ad apprendere una Congerie enorme di
Voci barbare e cappricciose? Nelle Produzioni di Spirito la sola Novità basta
generalmente ad allarmare i Partiti la Critica e l' Oppo- sizione. Che fia dunque, se vi si uniscano
difficoltà quasi in-superabili?.
Altronde le Parole non sono che Segni destinati a richiamar delle Idee;
e queste Idee vengono attaccate alle Parole dalla sola Convenzione sociale -
Dunque la qualità del Segno e del Suono nelle Parole, è cosa affatto
indifferente per l' essenza del Linguaggio. Dunque possiamo anzi dobbiamo in
ciò profittare delle già acquistate cognizioni; prendendo le Voci Radicali da
una Lingua, che a di nostri sia la più generalmente conosciuta.tutto il rigore
delle Regole già stabilite per la nostra Lingua (272 e seg.). II.° Si sopprime l/ iniziale di qualunque
spe-cie; e si sopprime pure qualunque Acuento o altro Segno distaccato dalle
Lettere. Ill° Al § ed ai e e t aventi un
Suono prossimo al s, si sostituisce sempre s.
IV. Al Dittongo oi si sostituisce costantemente il Gutturale composto ó;
e questo sempre devesi pronunciare come abbiamo già detto (275). V.° Quando nella Parola Francese trovinsi di
seguito i due Segni of come in mogen, questi Segni nella nostra Lingua si
scrivono come in Francese; ma l'o prende il Suono di Gutturale semplice, e l'y
prende il Suono del nostro Segno Orale y
(279). VI.° Ai Suoni e Segni eu, oeu ed
u francese si sostituisce costantemente il nostro segno e suono 2 (272), che
sempre deve pronunciarsi largo ossia toscano.
RADICI STABILI 313. Le Radici
Stabili sono poche e d'un uso frequentissimo nel discorso. Quindi, benche si
pos. sano anch'esse prendere dalla Lingua Francese colle Regole sopra stabilite
per le Variabili (312), pure sarebbe meglio fissarle in particolare e
possibilmente monosillabe; come abbiamo già fatto per le Voci di Giudizio,
Pronomi ec., e come faremo per altre Voci formanti Parte essenziale di Grammatica.Questo Travaglio però è riservato
alla Formazione del Dizionaria; e quindi ad una scienziato Società (396, I.° e seg.). PUNTO IX.°
Fissare il Segno caratteristico per le Parole Radicali
314. Le Parole Radicali esprimono o Oggetti o Qualità o Azioni o Rapporti (243). Quindi
fisseremo separatamente il Segno caratteristico per ciascuna di tali Specie di
Radici. OGGETTI 315. Le Radici degli Oggetti indeterminati
debbono tutte finire col Gutturale semplice o; ed e questo il Segno loro
caratteristico - Quindi : I.° Se la
Parola Francese termina in e breve, si cangia quest'e finale in o: Cosi da
«Pere, Chambre, Homme ec. » avremo «pero, cambro, отто ес. ».
II.° Se la Parola Francese nella Pronuncia termina con un qualunque
Suono Gutturale lun-go, dopo questo Suono lungo si pone o; richiamando che le
Parole radicali si scrivono possibilmente come si pronunciano in Francese (312,
I.°): Cosi da «Argent, Bassin, Brebis,
Maison, Palais, Clou ec. » avremo «arjao, basseo, brebo, mesoo, pales, xluo ec. ». III.° Se la Parola Francese termina in 20r,
quand'anche queste lettere non si pronunciassero,all'r o l fiale azziugnesi o:
Cosi da « Cheral, Eerger, Or, ed o
arremo a cereo, bejeto, oto, ec. s. IV.
Finalmenie se la Parola Francese termina con qualanque Suono Orale che in
francese suole pronunciarsi, a quest' Orale si aggiugne l'o carai-teristico:
Quindi da •Lac, Canif ec o avremo •laro,
xanifo ec o 316 Le Radici degli Oggetti
diserminati, cioè i Nomi propri degli Tomini, Paesi, Fiumi ec., non prendono la
caratteristica o; ana si pronunciano o come in Francese, o come suole
pronunciarli la Nazione, presso cui si trovano o trovarono gli Oggetti
determinati che nominiamo. Quindi rolendo esprimere • Roma, Vienna, Londra, Pa
rigi, ec.= diremo o «Rome, Venne, Lordre, Pari, ec. • prendendo la Parola dal
Francese; op pure diremo «Roma, l'i, Loron, Pari ec» prendendo la Parula dall'
Espressione nazionale - Nel Dizionario i Nomi degli Oggetti determinati
dovrebbero stabilmente fissarsi. Da
qualunque Lingua poi si prendano le nostre Radici, si richiami che desse si
scrivono sempre possibilmente come si pronunciano (312, L.°). 317. I Nomi degli Oggetti determinati e le
loro Derivazioni, non avendo il Segno
caratteristico finale fissato pei Nomi indeterminati (315), in iscritto avranno
sempre la Lettera iniziale maju-scola (297); e sarà questo, almeno per la
Scrittu-ra, il Distintivo loro particolare.318. Le Radici delle Qualità debbono
tutte f-nire in l; ed è questo il Segno loro caratteristico — Quindi : I.° Se la Parola Francese termina in
Guttu-rale, le si aggiugne l: Cosi da «juste, rapide, joli ec. » avremo «justel,
rapidel, jole ec. ». II,° Se la Parola
Francese termina con Segni Orali, sia
che questi si pronuncino o no, gli Orali finali si cangiano in l: Cosi da «
eloquent, dous, amer, ec. » avremo «eloxal, dul, amel, ec.», III.° La Parola Francese terminando in le
breve, se questo le è preceduto da Orale, l'e breve finale si antepone al segno
l; così da «capable, noble, allable ec. » avremo «xapabel, nobel, af- fabel, ec.»: Se questo le è preceduto da
Guttu-rale, si sopprime l'e finale; cosi da « habile, facile ec. » avremo
«abil, fasil, ec."— Si avverta, che le s'intende preceduto da Gutturale,
anche quando la Parola francese terminasse in lle; giacché lle non è altro che
le col suono forzato nel-l'Orale (‹9): Quindi tranquille ci darà tranxil, ec. IV.° Se la Parola Francese finisce in l, non
le si fà né Aggiunta né Variazione: Quindi • ci- vil, fatal ec. » danno «sivil, fatal,
ec."; richiamando che nella nostra Lingua le parole mancanti di accento
sull'ultima Sillaba, anno sempre la Posa sulla penultima (289).519. Abbiamo già
detto (289), che nella nostra Lingua le Parole anno la Posa sull'ultima
Sillaba, solamente quando questa Sillaba contiene un Gutturale lungo, cioé «à,
è, 1, o, i»— Fissiamo adesso, che le Parole Radicali non debbono mai avere l'ultima
sillaba lunga. Quindi le nostre Radici anno sempre la Posa nella penultima
sillaba (289). Quindi le nostre Radici non contengono mai Segno Gutturale lungo
- Quindi in molte Parole l'ultima Sillaba, che nella Pronuncia Francese è
lunga, diviene breve per noi: Cosi per esempio è breve l'ultima sillaba nelle
Radici «Jolil, eloxal, amel, ec.»; benché provengano da « joli, eloquent, amer
ec.», che in Francese ànno 1' ultima
lunga. 320. Questa Regola è
generalissima; e non se n'eccettua che qualche Nome proprio, come « Pa-ris,
Bourdeaux, Rochefort, Perou ec.», i quali
propri dipende dal non esser essi suggetti al Segno caratteristico; come
abbiamo già premes- . AZIONI Le Radici verbali di Azione debbono tutte terminare
col Gutturale semplice a; ed è questo il Segno loro caratteristico. Le Radici Verbali per la
nostra Lingua siprendono dal Participio presente Francese, cangiando l'ant
finale in a caratteristico. Quindi da « voulant, aimant, écrivant ec. » avremo
« vula, ета, exriva, ес. ». Quando in
Francese manchi il Participio pre-sente, la Radice verbale si prende dal
Participio passato, cangiando in a caratteristico il Gutturale finale colle
altre lettere seguenti: Cosi da abstrai-Te, extraire ec. ossia dal loro
Participio passato « abstrait, extrait, ec. » avremo « abstres, extra, ec.». 323. Le Radici verbali di Azione, prese
colla Regola qui stabilita e aumentate
dell'a caratteri-stico, esprimono sempre il presente del Modo Generico
determinante (353) : Quindi « vula, ema, exriva, abstra, extra, ec.»
significano «vo- lere, amare, scrivere,
astrarre, estrarre ec. ». Nel fissare le Radici di Azione si avverta, che l'a
caratteristico non può mai essere immediatamente preceduto dall' Orale b; e ciò
per un motivo, che addurremo in seguito (364). Quindi se la Radice di Azione
(382) avrà il b finale, questo deve sempre cangiarsi in p: Cosi da « tom-bant,
succombant ec. » avremo « tompo, sux-
хотра ес..RAPPORTI, 325. Il Segno caratteristico per le Voci di Rapporto
sia r finale; eccettuando quelle Voci, che vengono particolarmente fissate senza
tale Carat-teristica. Le Voci di
Rapporto nella massima partesono stabili. Quindi limitandoci a stabilire in
seguito le Voci radicali di Numero ed alcune di Tempo e di Luogo, per
l'Espressione delle altre ci riportiamo a quanto superiormente fü detto
(313). AVVBATENZA Sul Segno caratteristico delle Voci
Radicali 326. Richiamando il qui esposto
relativamente alle Voci Radicali, si può cominciare a formarsi un Idea della
semplicirà e facilità di questa Lingua Universale - Le Parole della nostra
Lingua sono tutte ridotte a quattro Classi primitive; e ciascuna Classe à il
suo particolar Distintivo, cioe no,L, a, ro fnale. Questi Segni, quando sieno
ultima lettera delle Parole, anno costantemente sempre lo stesso valore: cioè
indicano sempre, 1.° che la Parola è
Radicale; 2° che la Parola esprime o un Oggetto o una Qualità o un Azione o un
Rapporto, secondoché la Lettera finale é
о, 1, а, г. E vero che i Nomi
propri (316) non prendono la Caratteristica o, e che alcune Voci Grammaticali
anno per finale qualcuna di queste quattio
Lettere; ma nel Discorso è assai facile conoscere dal sentimento i Nomi
Propri, ed in Iscritto essi anno il Segno iniziale majuscolo (317). Riguardo
poi alle Voci Grammaticali che terminano con qualcuno dei fissati quattro Segni
caratteristici o, 1, a, r, si avverta; che queste Voci anno tutte un
significato particolare; e che sono pochissime, d'un uso frequentissimo, e per
lo più monosillabe: Quindi non possono produrre né confusione né difficoltà -
Infatti in un prattico Discorso qual
Italiano potrebbe non distinguer subito il Pronome se da se Voce condizionante,
gli Articoli la gli lo dai Pronomi lo gli la, il Verbo porto dal Sostantivo
Parto, ec.? Eppure qui si tratta di Parole uguali perfettamente in Suono ed ‹in
Figura; laddore nella nostra Lingua si tratta soltanto dell' eguaglianza di
Lettera finale. AvVERTENZA Sul prendere le Voci Radicali 327. E facile prevedere che prendendo
dalla Lingua Francese le Voci radicali
colle Regole finora fissate, si avranno alle volte uguali delle Parole che
dovrebbero essere diverse, stante la diversità del loro significato. Il rimedio
a tale Inconveniente è peró della massima semplicità. Se un giorno qualche Società Accademica (
396, Prog.) si determinasse a compilare il Dizionario di Lingua Universale,
spetterà ad essa fissare una Legge per eliminare le Voci di più Si-gnificati,
come pure per variare alcune Radici ch'esser possono aspre lunghe e complicate
di troppo.Fissare i Segni per esprimere le varie Situazioni degli Oggetti Onde fissare i Segni per le varie Situazioni nelle
quali possono presentarsi gli Oggetti, è necessario distinguere i Sostantivi
che li espri-mono, in determinati e indeterminati — Chiamiamo Sostantivi
determinati tutte le Voci di Oggetro, che di loro natura fan conoscere il
Numero unale o plurale; come «Pietro, Rodano, Londra, io, voi, egli, esse ec.
». Chiamiamo Sostantivi indeterminati tutte le Voci di Oggetto, che debbono
essere necessariamente accompagnate dal Segno di Numero generico (2go); giacché
di loro natura queste Voci servono egualmente al Numero e unale e plurale.
SOSTANTIVI DETERMINATI Nei Nomi degli
Oggetti Determinali meritano particolare attenzione dieci Situazioni di- verse.
Queste Situazioni furono già analizate (105); e qui non dobbiamo che fissare il
Distintivo per ciascuna. Il Distintivo del Nome tanto cardinale (106) che nominante (107) consiste nel non averne
al-cuno: Quindi « Paolo, Parigi, tu, noi ec.» si dirà Pol, Рагі, й, ти, ес.». Il Distintivo del Nome determinante-ogget-to
(109) é la Voce de: Quindi « il Padre di Paolo » si dirà «« pero de Pol».Il Distintivo del
Nome determinante-azio-ne (110) é la Voce se: Quindi « chiamo te, voi, Paolo
ec. » si dirà « chiamo seti, se tu, se Pol, ec.». Il Distintivo del Nome chiamante (111) é la
Voce ye: Quindi «o Paolo, o Roma, o tu ec.» si dirà «ye Pol, ge Roma, ye ti,
ec.». •Il Distintivo del Nome contenente
(113) è la Voce ce: Quindi « in voi, in Parigi, in lei ec.» si dirà «ce tu, ce Part, ce elz, ec.». Il Distintivo del Nome relativato 114 è
la Voce je: Quindi «parlano di voi, di
Roma, di me ec.» si dirà «parlano je tu, je Roma, ja ты, ес. ».
Il Distintivo del Nome ricevente (115) é la Voce re: Quindi «diedi a
Lui, a Paolo, a voi ec. » si dirà «diedi re le, re Pol, re tu, ec.». Il Distintivo del Nome terminante (116) é la
Voce pe: Quindi «mandai a Paolo, a te, a lei ec. » si dirà « mandai pe Pol, pe
ti, pe él, ec.». Il Distintivo del Nome
cominciante (117) é la Voce ge: Quindi « partirono da Roma, da me, da Parigi
ec.» si dirà «partirono ge Roma, ge 33o.
I Segni per le varie Situazioni dei Nomi determinati sono dunque oito, cioè de
se ye ce je re pe ge; giacché il nome Cardinale e Nominante non à alcun Segno -
É poi superfluo avver-tire, che questi Segni formano parola da loro, e che
sempre debbono premettersi al Nome. Ecco
espresse di seguito le varie Situazioni dei Nomi « Pol, Roma, i1, Eu»; e
questa. Ope- razione de noi si chiama
Situare, cioè e porte ua Nome in tutte
le sue diverse Situazioni ». Si avverta
che det-oggetto e det-azione sono
Abbreviazioni di determinante-oggetto e determi-nante-azione. SITUAZIONI DEI NOMI DETERMINATI NoME
cardinale Pol Roma nominante
Pol Roma tu
det-oggetto de Pol de Roma
de te de tu det-azione se Pol se Roma se ti se lu chiamante
ye Pol ge Roma yoth ye tes
contenente ce Pol ce Roma ce h. ce lu relativato je Pol jo Roma
je ll je te ricevente re Pol re Roma ro tl te tr
terminante pe Pol po Roma po ti pe tu cominciante ge Pol go Roma ge il ge lis SOSTANTITI
INDETERMINATI 33r. I Nomi degli
Oggetti indeterminati possono Nome
indefinito (112). 332. I Nomi
Indeterminati abbisognano del Segno di Numero Generico (328). Quindi fissando
che il Distintivo in genere pel Nome indefinita è il Segno e unito al segno di
Numero, e richiamando che ‹ è il segno di Numero unale,quello di plurale (290),
i Segni distintivi per le varie Situazioni dei Nomi indeterminati saranno «s,
de, se, go, ca, je, ro, po, ga, se» pel Numero unale; e pel Numero plurale «z,
du, su, дь, си, за, ти, ри, ди, очь ».
Quindi i Segni per le varie Situazioni
dei Nomi indeterminati di Oggetto si formano in generale dai Segni dei Nomi Determinati (330), cangiandone in Segno di
Numero l'e finale, e ponendo il Segno di Numero dove per i Determinati non avvi
alcun Segno. Ecco espresse di seguito al
Numero unale e plurale tutte le varie Situazioni di suxro e ommo ; arvertendo,
che ommo al Plurale è espresso da O., e
che all'Unale non avrà la situazione di Nome indefinito, perchè ripugnante
all'intrin-seca natura dell'Oggetto; osservazione da applicarsi a tutti i casi
consimili. SITUAZIONI DEI NOMI
INDETERMINATI NoMB unale
plurale cardinale i suxro, ¿ ommo
| usUaro, " O. nominante ¿ SUXTO, I
ommo | « SUXTO, « O. det.oggetto de suxro, de ommo| du suxro, du O. det.azione Se SUxTO;se ommo| su SUXTO, su O. chiamante yesuxro, y ommo | Jusuxro, yu
O. contenente cI SUxrO:, cE Omm |
CUSUXTO, Cu O. relativato JeSUXrO, jo ommo | jUsSUXTO, ju O. ricevente Te
SUXTO, rI smmo | Me SUXTO, TU O.
terminante pisuxro, pe ommo| pusuxro, pu O. cominciante gi suxro, grommo
| gu suoro, gu 0. indefinito NESUXTO
20 "| uu uu suscro, uu 0.Fissare le Voci Nuneriche
speciali Le Voci indeterminate di
Numero sono poche e stabili. Quindi dovranno particolarmente fissarsi come le
altre stabili Radici Dunque noi qui esporremo soltanto le Radici e la Teoria
pei Numeri determinati I Numeri da noi si scrivono
colle dieci oolite Cifre arabiche «0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9»: E come con
queste dieci sole Cifre possiamo scrivere qualunque numerica Quantità, cosi in
Voce esprimeremo qualunque Numero colle seguenti dieci Monosillabe,
corrispondenti alle Cifre Arabiche sottoposte :
г, по, ог, te, j, f, же, ls, го, по
0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,8,9 335.
Per esprimere con queste dieci Monosillabe un Numero qualunque, alle Cifre
arabiche formanti un dato Numero basta sostituire i Mano-sillabi
corrispondenti, seguendo l' ordine stesso delle Cifre Quindi avremo: o ze |10 naze |20 vuze | 30
treze | 40 feze. I no |11 nana | 21 vuna | 31 trena | 50 fize 2 vu |12 navu |
22 vuvr |32 trevu |60 oseze. 3 tre. |13 natre | 23 vutre | 33 tretre | 70 laze
4 fe 114 nafe. |24 vufe | 34 trefe | 80 toze 5 fi |15 nafi |25 vuft. | 35 trefi
|go noze 6 же |16 nase | 26 vuse | 36 trese | 9r nona. 7 la 117 nala | 27 vula
|37 trela 195 nofi 8 to | 18 nato | 28
vuto 138 treto 198 noto 9 no |19
nano |29 vuno |3y treno | 99 nono Si avverta, che ze unito ad altra numerica
Parola non vuol dire zero (nulla), ma significa ripetuto dieci volte; cio
indica, che il valore espresso dal Monosillabo precedente s'intende ripetuto
dieci volte: E tale è precisamente il valore della Cifra o, posta dopo altra
Cifra arabica qua-lunque. Si potrebbe in egual maniera continuare ad esprimere
verbalmente qualunque data Congerie numerica, sostituendo cioè alle Cifre
arabiche i corrispondenti nostri Monosillabi: Ma ciò riesci-rebbe incommodo
alla Pronunzia ed all'Orecchio. Quindi fissiamo, che le centinajo, migliaja ec.
debbono pronunziarsi con Parole separate, e precisamente come in Italiano:
Infatti leggendo per esempio il Numero 2300, noi diciamo « due-milas tré-cento
ec. » - Dunque facendo uso delle 99 espressioni soprafissate (336), per
esprimere in Voce qualunque Numero hno al Millione non si richiedono che altre
due sole Espressioni, equivalenti alle italiane cento e mille. 338. Ora in Arabico cento si scrive 100,
mille si scrive 1000. Dunque per la Regola stabilita (335) cento equivale a
nazeze, mille equivale a nazezeze. Tali
Espressioni però anno un suono troppo in-commodo. Quindi per evitarlo
premettiamo al ze finale il Monosillabo indicante il numero dei 20 — Quindi
100 si dirà novuzo, cioè 1 seguito do a ze 1000 si dirà natreze, cioè s seguito da 3
ze 339. Le due Espressioni navuze e
naireze unite convenientemente e come in Italiano alle 99 sopra fissate (335)
ci abilitano ad esprimere in Voce colla massima facilità qualunque Numero fino
a 9.99999 - Onde continuare oltre 999999
le verbali Espressioni numeriche, fissiamo che nelle Parole millione billione
trillione ec. la forza ed il valore della parte lione si esprime colla
Monosillaba go. Per esprimere millione
billione trillione ec. ossia Illione, allione, 3ollione ec. diremo dunque «
nago, vujo, creyo, ec. continuando fin dove il bisogno lo esigge.
340. Onde porre in prattica l'esposta numerica Teoria vocale, supponiamo di dover leggere le
seguenti numeriche Quantità :128 — navuze vuto
506 — tre navuze se 2634 — vu
natreze, se navuze trefe 4057 — fe
natreze, file 65231 — ssefi natreze, vu
navuze trena 20613 — vuze natreze, se
navuze natre. 462389 — fe navuze sevu
natreze, tre navuze tono 805704 — to
navuze fi natreze, la navuze fe Si noti;
che le vocali numeriche Espressioni della nostra Lingua sono molto più brevi
che in qualunque altro Linguaggio; che praticamente è raro assai il dover
pronunciare un Numero d' una qualche lunghezza; e che, lo scopo primario della
Lingua Universale essendo lo scrivere in modo intelligibile a qualunque Nazione
e i Numeri nella nostra Lingua scrivendosi colle Cifre arabiche (334), potrà
ognuno leggerli anche coll' Espressione nazionale. PUNTO XII.°
Fissare le Voci esprimenti Luogo
34x. Parmi, che le poche seguenti sieno le Voci variabili più essenziali
per esprimere i Rapporti di Luogo. Quindi ne fisso per la nostra Lingua la
corrispondente Espressione radicale.
sopra sur | dentro dar | dirimpetto sotto sor | fuori dor | dinanzi (coram) avanti var | a destra tar | vicino dietro vor
| a sinistra tor | lontano vun fur
for342. Queste Voci nel discorso possono essere isolate o congiunte - Le
chiamiamo isolate, quando esprimono in genere un dato Rapporto di Luogo; come
avanti, lontano, a sinistra ec. in •egli
andò avanti, stà lontano, volterà a sinistra ec.». Le diciamo congiunte, quando
esprimono un dato Rapporto di Luogo in particolare, cioè quando si specifica
l'Oggetto riguardante quel dato Rapporto; e le chiamiamo congiunte appunto
perché vanno unite al Nome di Oggetto: Cosi avanti, lontano, a sinistra ec.
sono Voci congiunte in «Egli abita avanti al Teatro, lontano dal Teatro, a
sinistra del Teatro ec. ». Onde intendere
perfettamente il valore e la forza del Discorso, il Nome di Oggetto che và
unito alla Voce di Luogo, basta che sia puramente nominato. Esso dunque sarà
sempre nella Situazione di nominante, e ne avrà quindi il Distintivo (330,
332). Quindi « sopra la tavola, a destra di Paolo, dirimpetto a voi, lontano da
me ec. » si tradurranno «sur et tablo, lar Pol, wir tu, for mu ec: » Abbiamo due altri Rapporti
o Voci di Luogo d'un uso assai frequente nel discorso. In Italiano l'uno si
esprime con su, e indica in al to; l'altro si esprime con giù, e indica abbasso
- Ecco le loro Espressioni per la nostra Lingua: nir su (in alto) / nor giù
(abbasso) Dobbiamo non di rado
indicare genericamente il Luogo ove si trova, o l'Oggetto giudi-cante, o
l'Oggetto ascoltante, o un terzo Og-getto. Quindi è necessario fissare trè
apposite Es-pressioni, che saranno — sa qui o quà - sa costi o costà — za li
(ivi) o là. 346. Quando occorra esprimere dei Rapporti di Luogo composti, cioè
un Rapporto locale in genere ed un Rapporto in ispecie relativo all'Oggetto
giudicante ascoltante o terzo (345), uniremo le Voci parziali di tali Rapporti
in una sola Parola. Quindi «qui sopra,
lá dentro, quà giù o quaggiù ec. » si tradurranno «sasur, zadar, sanor,
ec.». Tali unioni sono piuttosto
frequenti nel discorso; ed abbiamo terminato sa sa za in Gutturale,
singolarmente per rendere dolci tali Parole com-poste. PUNTO XIII.®
Fissare i Segni per indicare Aumento Decremento e Deterioramento nelle
Qualità 347. Esprimiamo nelle Qualità
l'Aumento massimo (125) assoluto aggiugnendo alla Radice g ; e l'Aumento
massimo relativo aggiugnendo alla Radice n - Quindi « eloquente,
eloquentissimo, il più eloquente » si tradurranno «eluxal, eloxalg, eloxalr».
348. Il Massimo Decremento (128) è precisamente l'Opposto dell'Aumento
massimo: Quindi lo esprimiamo, preponendo alla Voce di massimo Aumento tanto assoluto che relativo il segno
diOpposto (297) - Quindi « ineloquente, ineloquen-tissimo, il più ineloquente »
si tradurranno « delo-deloxulg, deloxaln »; richiamando (2,6) che in questo caso il valore dittongale del
puntino nella Pronuncia si cangia nel nostro Orale y. 349. Quando si à Aumento o Decremento Massimo
relativo, l'Oggetto che circoscrive che limita il Massimo Aumento o Decremento,
deve soltanto essere indicato: Quindi avrà sempre la Situazione e il Distintivo
di nominante (330, 332) - Quindi «il più virtuoso de' Filosofi, il più saggio
de' Prin- cipi, il più incostante degli
Uomini ec.» si tradurranno « vertuuln u filosofo — 1 sajeln u pren- so -1 cixonstal e ommo ec.». 350. Si esprime nelle Qualità il Deterioramen
to (130), aggiugnendo alla Radice *: Quindi da «dul, amel ec. » avremo «dulo,
amelo ec.» cioè dolciastro, amarastro ec.
35r. Ecco di seguito le Espresioni di Aumento massimo, massimo
Decremento, e Deterioramento per le Qualità «prudal, dul, amel» cioè «
pru-dente, dolce, amaro "—Si avverta, che il mas simo Decremento d'una
Qualità non dev'essere e non è infatti, che l'Aumento massimo della stessa Qualità presa in senso opposto. prudente ec.
prudentissimo ec. prudalg il più
prudente ec. prudentastro ec. prudal
dul amel dulg
amelg prudaln duln
ameln prudalos dul 3s amelss
imprudente ec. aprudal imprudentissimo ec. aprudalg
il più imprudente ec. aprudaln
imprudentastro. ec.
aprudalas adul adulg
aduln adul 3s camel
aumelg cameln camelss
Fissare la Teoria per le Variazioni nelle Qualità 352. Le Qualità sono suscettibili di
moltissime Variazioni (132) Quindi è
impossibile stabilire per tali Variazioni dei Segni generali, dovendo ciascuna
essere in ogn'incontro espressa dalla sua Voce particolare - Quindi per le
Variazioni fissiamo questa semplicissima Regola generale, cioẻ che « Le Voci
esprimenti Variazione debbono sempre immediatamente precedere la Voce della
Qualità variato ». Fissare i Segni per
le varie Voci verbali del Modo Generico La Radice verbale aumentata dell'a
caratteristico esprime al Modo Generico determinante il Tempo presente:
Cangiando l'a caratteristico in e, avremo il passato Determinante; cangiandolo
in z, avremo il Determinante futuro; e cangiandolo in e avremo l'espressione
pel Modo Generico accompagnante.Quindi
«ema, exriva, abstra, parla, vula» significando «amare, scrivere, astrarre,
parlare, volere », si avrà : amare ec. ema, extiva, abstra, parla,
vula aver-amato ec. eme, exrive, abstre, parle, vle esser-per-amare ec, emi, exrevi, abstri,
parte, vule amando ec. emu, exrevi, abstru, parles, viale Fissare le determinanti Voci di Tempo, e un
Segno per le sue ESTESE Espressioni 354.
Richiamando il già premesso; mi li- mito
a fissare le seguenti Espressioni, come piu essenziali per il Tempo; benché non
tutte gli appartengano direttamente ed esclusivamente: oggi
jeri Da queste si formano secondo il bisogno altre molte Espressioni
composte, che per altro sarà bene scrivere separatamente: Come prima d'oggi va jur | poco prima fu va prima di jeri
va jer | molto prima fi va prima
di domani va jor | appena prima do vàdopo d'oggi vi jur l poco dopo fu Ur
dopo di jeri uv jer molto
dopo fo vi. dopo di domani U jar
| appena dopo do vi mezz'
oggi та зит mezzo jeri
ma jer mezzo domani ma jar ес.
ес. ес. Se le Espressioni va e vi sono accompagnate
da Nome di Oggetto, come « prima di Gior-no, dopo la Scuola ec.», questo Nome è
sempre nella Situazione di semplice nominante:
Quindi si tradurrà «va a juro, vi 1 exolo ec. ». L'espressione ma (mezzo) si usa non solo pel Tempo,
ma ognivolta che si esprime la metà d'una Cosa qualunque; avertendo, che il
Nome di Oggetto è puramente nominante, e che non deve avere Segno di Numero
generico, perché inteso di sua natura: Quindi « mezza Casa, mezzo giardino, ec.
» si dirà «ma mesoo, ma jardeo, ec. ». Il Segno per le estese Espressioni di Tempo passato
sarà l'Orale y aggiunto al Nome di Oggetto esprimente Tempo: Quindi « un ora
fà, due giorni Pa, tré settimane la, ec. » si tradurranno «na uroy, vu juroy,
tre semenoy, ec.». Le estese
Espressioni di Tempo futuro essendo il preciso Opposto di quelle di Tempo
pas-sato, si formeranno con quelle di Tempo passato (358) preponendo alla Voce
di Oggetto il segno di Opposto. Quindi « da qui ad un ora, da qui a due giorni, da qui a trè
settimane, ec. » si tradurranno «no duroy, uu ájuray, tre âse menoy, ес. Fissare i Segni pel generico
Aumento e Decremento in tutte le Cose Per esprimere in un Oggetto Qualità
o 'Azione qualunque (‹48) il generico
Aumento, aggiugniamo alla Parola l'Orale d; e per esprimerne il generico
Decremento, aggiugniamo p: Quindi
abbiamo Aumento Decremento Casa, ec. Libro, ec.
Cavallo, ec. mesoo livro
cevalo mesood livrod
cevalod mesoop livrop
cevalop dolce, ec. amaro,
ec. virtuoso, ec. vertuul dul
amel duld ameld
vertuuld dulp amelp
vertuulp fuggire, ec. fuya
dormire, ec. dorma parlare, ec. parla furad
dormad parlad fugap
dormap parlap Fissare la Teoria per le Azioni e
Qualità modificate Le Modificazioni che possono subire le Azioni
e le Qualità, sono pressoché infinite, e tutte radicalmente diverse trà loro.
Quindi tutte debbono essere in ogni circostanza espresse dalla Voce loro
particolare. Quindi non possiamo per esse fissare altra Legge, che quella già
stabilita per le Voci di Variazione (352); cioé che « Le Voci esprimenti
Modificazione debbono sempre immediatamente precedere la Voce di Azione o Qualità modificata ». Fissare i Segni di
Confronto 36z. Nella nostra Lingua to,
216, 20 significano to tanto zu più vo meno -
Ciò posto, per esprimere l' Eguaglianza o Differenza risulrante da qualunque Confronto,
alla Voce di Confronto cioè alla Voce esprimente l'Azione o Qualità per cui si
fa il Confronto, aggiugniamo la lettera iniziale d'una delle tré fissate
monosillabe to, zu, vo, secondo la natura e diversità del Confronto
medesimo. Queste Lettere iniziali
aggiunte a qualunque Voce di Confronto significano precisamente - E al pari di - z più di - a meno di -Quindi
il Nome dell'Oggetto seguente ciot. del secondo Oggetto confrontato, dovrà
semplicemente essere nella situazione di nominante (330, 832). Fissando che
correva nella nostra Lingua si dice be xurrà, e che saggio si dice sajel,
avremo dunque: Egli è saggio al pari di
loro (essi) Egli e saggio più di
loro Egli è saggio meno di loro Le ba sajelt lus La ba sajelz les Le ba sajelo lu Paolo correva al pari di me Paolo correva più di me Paolo correva meno di me Pol be xurrèt mi Pol be xurraz mi Pol be xurràs m Fissare i Segni caratteristici per ciascun
Genere di Cose Derivate Verbi. Queste
Derivazioni si anno, tanto dalle Voci radicali come dalle Parole già derivate;
ed ecco il modo di esprimerle, qualunque ne sia la provenienza. Alla Voce, sia radicale sia derivata, da cui
abbiamo Derivazione I.° Per esprimere
Oggetto-astratio derivato, si aggiugne l'Orale s: Il.° Per esprimere Qualità derivata, si
ag-giugne il Guttarale lungo Per esprimere Modificazione, si aggiu- gne l'Orale m: IV.° Per esprimere Verbo derivato, si
aggiu-gne l'Orale b, aumentandolo dell'a caratteristico onde formare il
presente del Modo Ge-merico determinante
Quindi il b nell' ultima sillaba d' una
Voce qualunque di Azione indica
costantemente, che la Voce è derivata. Ecco perché nelle Radici di Azione
abbiamo soppresso il b finale Avremo dunque Sulle Voci di Modificazione, e
sugli Orali finali Da ogni Voce di Qualità sia radicale sia derivata, possiamo
avere una Voce di Modificazione (164, 188); e le Modificazioni si esprimono
sempre coll'aggiugnere alla Voce un m (364).Ora le Qualità possono subire un
Massimo Aumento o Decremento assoluto,
per esprimere il quale aggiugniamo alla Voce,quali-tativa un g; ed é facile
intendere, che le Qualità anche giunte al lora Aumento o Decremento Massimo assoluto, pussono essere
modificanti - Dunque.per esprimere la Modificazione proveniente da Voce
Qualitativa aumentata o diminuita al suo Massimo assoluto, non dovremo che
aggiugnere il generico Segno m alla Voce
Qualitativa di Massimo assoluto Aumento o Decremento - Quindi avremo : dolcissimo
dulg amabilissimo emig amarissimo
amelg paternissimo perotg doleissimamente dulgm
amabilissimamente emigm
amarissimamente amelgm paternissimamente peroigm Nelle nostre Parole Derivate di qualunque
specie, si trovano spesso varj suoni Orali insieme uniti alla fine della Parola.
Io veramente et pro-curato, che le combinazioni generiche di questi Suoni Orali
finali riescissero facili a pronunziarsi.
Siccome peró la Pronuncia di questi accumulati Suoni finali potrebbe a qualcuno riuscire men
fa-cile, stabiliamo che «Nella Pronunzia quando si voglia, è permesso
introdurre frà l' ultimo e penultimo Suono Orale un piccolissimo Suono
Gut-turale, simile al Suono da noi chiamato cessante (37, IL.°).•Per le
Derivazioni da Radice di Oggetto
Determinato Dalle Radici di Oggetto deriva
generalmente una Voce di Qualità, che si esprime coll'aggiugnere alla Voce
radicale il Gutturale lungo i. Questa Derivazione qualitativa esigge una
particolare avvertenza per le Radici di 0g-getto Determinato, stanteché desse
non prendono l' o finale caratteristico Abbiamo già fissato, che le Derivazioni
da Radice di Oggetto Determinato, in iscritto debbono avere la lettera iniziale
majusco-la - Inoltre, se la Radice di Oggetto Determinato finisce in Gutturale
lungo o in Orale, per la Derivazione di Qualità le aggiugniamo l'i, secondo la
Regola generale. Ma se la Radice di Oggetto Determinato finisce con Gutturale
breve, allora per la Derivazione di Qualità questo Suono breve finale si cangia
in i caratteristico di Qualità Derivata. Quindi da Part Parigi avremo Pari
parigino da Vin Vienna avremo Vint viennese da Rome o Roma, avremo
Romt romano da Itale o
Italia avremo Itali italiano. Fissare la
Teoria per distinguere le Prime
Derivazioni dalle Seconde 36g.
Nella nostra Lingua le ultime lettere delle Parole anno sempre il loro
significato o valore particolare (386); ad eccezione delle poche Voci che
formano come la Base grammaticale e che si apprendono molto facilmente coll'
uso - Quindi, conoscendo il limite finale di ciascuna Radice, per vedere se la
Voce derivata é di prima o se- gnersi
alla Radice. Se la Radice trovasi aumentata d'una Lettera sola, la Voce é di
prima Deriva-zione; e se trovasi aumentata di più Lettere, la Voce è di secondo
Derivazione. Si richiami che diciamo di Seconda Derivazione, tutte le Voci
derivanti da Voce già derivata; sia questa di prima o seconda Derivazione essa
stessa. Si avverta, che le prime
Derivazioni da Radice Verbale, ad eccezione dell' Oggetto-astratto, non
prendono Aumento ma cambiamento finale; come abbiamo già veduto, e come
vedremo nel seguenteFissare i Segni per
le trè speciali Derivazioni dalle Voci
di Azione Dalle Voci di Azione oltre una Qualità ed un Oggetto-astratto
possiamo avere tré speciali Derivazioni,
cioé Voce-attiva, Voce-passiva, e comprensione
(te Quene ieri ni spec, si marcano nella
nostra Lingua, cangiando l'a caratteristico della Voce Verbale per la
Voce-attiva, nel Gutturale lungo à per la Voce-passiva, nel Gutturale lungo è
per la Quulità, nel Gutturale lungo i per l'Oggetto-attore, nel Gutturale lungo
o Rapporto all'Oggetto-astratto, per la
Regola generale già stabilita (364) si aggiugne l'Orale s alla Voce Verbale -
Quindi « xultiva, ema, bles-sa, dulba» significando «coltivare, amare,
ferire, dolcificare», avremo coltivare ec.
xultiva ema blessa dulba coltivante ec.
xultivà emà blessd dulbà
coltivato ec. xultivè emè blesse
dulbè coltivabile ec. xultiv emi
blessi dulbi coltivatore ec. xultivó emò blessò dulbò
coltivazione ec.xultivas emas blessas dulbas. Fissare la Teoria per esprimere i Verbi I Verbi da noi si esprimono in una sola
Parola soltanto al Modo Generico (‹36). Negli altri Modi li esprimiamo sempre
con due Voci, una di Giudizio l'altra di Azione. La Voce di Azione poi sarà
attiva o passiva (370), secondoché è attivo o passivo l'Oggerto Cardinale; avvertendo che nella nostra Lingua
l'Oggetto Cardinale deve sempre accompagnare la Voce di Giudizio - Quindi
avremo : io amo ma ba emà | sono amato mi ba emè tu ami
la ba emà | sei amato tz ba emè egli ama
le ba emà | è amato la ba emè noi
amiamo mu ba emà | siamo amati mu ba emè
voi amate tu ba emà | siete amati
tu bo emè essi amano. Lu ba emà | sono
amati lu ba emè Lo stesso dicasi di
tutti gli altri Modi e Tem-pi, pei quali furono già fissate le occorrenti Voci
di Giudizio (304 e seg.); facendo solo attenzione, che «amo, amava, amai ec.»
equivale a « sono amante, era amante, fui amante, ec. Abbiam detto, che
l'Oggetto Cardinale deve sempre accompagnare la Voce di Giu-dizio. Questo però
non toglie, che possano darsi di seguito più Giudizj con un sol Oggetto
Cardi-nale, espresso una volta sola: Come «Voi legge- • te, leggeste, e leggerete »; oppure « Voi
amate lo studio, abborrite l'ozio, seguite la virtù, ec.». Ciò premesso, l'indole e l'intrinseca natura
della nostra Lingua ci guida naturalmente alle due seguenti Osservazioni. I.° Quando si abbiano di seguito più Giudizj
di Azioni trà loro diverse espressi allo stesso Modo e al Tempo medesimo, se si
riferiscono ad un solo Oggetto Cardinale, basta esprimere la Voce di Giudizio e quindi anche l'Oggetto
Cardinale una volta sola: Cosi «io scrivo, leggo, chiamo, voglio ec.» si
tradurranno «mi ba exri- và, lisà,
appellà, vulà, ec. ». Il.° Avendosi di
seguito più Giudizj della stessa Azione espressi allo stesso Modo ma in Tempi
diversi, quando si riferiscano ad un solo Oggetto Cardinale, basta esprimere la
Voce di Azione una volta sola, facendola precedere da tutte le occorrenti Voci
di Giudizio: Quindi « tu ami, amavi, amasti, avevi-amato, amerai ec. » si
tradurranno «t ba, be, bi, bo, bu emà, ec.».
Potrebbero farsi molte consimili Osservazionianche relativamente ad
altre Parti Grammaticali; ma la prattica Circostanza, il Buon-senso e l'A- nalogia sapranno suggerirle ad ognuno. Fissare
i Segni per le trè Numeriche Derivazioni
speciali Dalle Radici Numeriche
abbiamo Derivazioni di Oggetto-astratto, come « unità, ambo, terno, decina ec.
» e Derivazioni di Qua lita, come « primo, secondo, decimo ec.formanti i così
detti Numeri ordinali. Queste due generiche Derivazioni da noi si esprimono
colla Regola generale già stabilita (364); avvertendo, che ultimo non potendo
derivare da Voce nume-rica, sarà da noi espresso con derni dal francese
dernier. Inoltre dalle Radici di
Numero abbiamo tré Derivazioni speciali, cioè Quantità mul-tiple, Parti
aliquote, e Numeri di costante ripe-cizione; e per esse fissiamo il Segno
caratteristico, come siegue : I.° Per esprimere le Quantità multiple
aggiu-gniamo alle Radici di Numero (334) l' Orale x - Quindi «doppio, triplo,
decuplo ec. » si dirà «zux, втех, пачех,
ес. ». Il.° Le Parti aliquote sono il
preciso Opposto dei Multipli: Quindi le esprimeremo colle Voci dei Multipli,
preponendo loro il Segnodi Opposto. Quindi « sudduplo; suttriplo; suddecuplo ec.» si dirà «avux, atrex',
anazex, ec. Pei Numeri di costante ripetizione ag-giugniamo alle Radici
numeriche un f: Quindi «a uno a uno, a due a due, a dieci a dieci ec. » si dirà «naf, vuf, nazef, ec. ». Richiamando le Voci radicali numeriche già
fissate, ecco il Quadro comprendente ogni Specie di Numeriche prime
Derivazioni. Questo Quadro può, come tanti altri, essere proseguito a
piacimento; e colla massima facilità può ciascuno utilmente continuarlo da se. Radici
Unità primo doppio sudduplo a uno a uno
ec. ес. ec. ec. ес. nas u u V US vut avux vuto nat naf tre tres
tret trex ätrex tref fe fes fer
fex afex fef fis fit fix afix fif 2 es
os et Вех axex
sef Ice. las
lai lax alax
laf tos toi t OX atox tof nos not ПОХ
anox nof Sul distinguere le Voci
Radicali dalle Derivate Le Radici per la
nostra Lingua prendendosi dalla Lingua Francese, é di molta importanzail sapere
ben distinguere nella Lingua Francese medesima le Voci radicali da quelle che
sono derivate; e su ciò non di rado sorgeranno pratti-camente dei dubbj e delle
difficoltà. Il fissare tutte le Voci che debbono considerarsi Radicali, spetta
ad un Accademia che si occupasse della Formazione del Dizionario; steso il
quale, ogni diff- coltà è svanita. Intanto per facilitare questa necessaria
Distinzione richiamero, che le Voci Radicali debbono esprimere Cose esistenti
sia in Natura sia in Immaginazione; laddove le Voci derivate esprimono Cose,
che anno la loro base su qualche Idea radicale - Quindi «Virtù, Bellezza,
Deformità ec.» non sono Voci radicali, perché tali Oggetti non esistono né in Natura né in
Immagi-nazione; ossia sono Voci Derivate, perché la loro espressione si londa
sulle Idee Radicali «virtuoso, bello, deforme ec.», esistendo in Natura degli
Esseri belli, virtuosi, deformi. Parimenti sono Voci radicali « Marte, Venere,
Apollo, Fenice, Elicona ec. »; perché esprimono Oggetti, i quali anno reale
esistenza nella nostra Immaginazione.
Nella nostra Lingua poi le Voci Radicali si distinguono dalle Derivate
pei Segni caratteristici, che abbiamo finora fissato per ciascun Genere di Cose
tanto derivate che radicali.377. La Teoria delle Derivazioni e la semplice
maniera di esprimerle, formano la Parte più bella più facile più feconda e più
matematica della nostra Lingua. Infatti data una Voce Radicale, possiamo
secondo il bisogno formarne all'istante moltissime brevi Parole, tutte diverse
e distinte frà loro; Parole, a ciascuna delle quali è attaccata la sua
distintissima Idea conveniente; Idee e Parole, la massima parte delle quali
nelle Lingue usate non esiste. Parimenti data una Voce derivata qualunque,
analizando noi possiamo con eguale facilità riportarla alla sua Radice o Voce
primitiva. Stante la regolarità e
costanza delle Leggi finora fissate per le varie Derivazioni, il Dizionario
della Lingua Universale non dovrebbe contenere, che le poche Voci Stabili (313)
e le semplici Radici Variabili. Quindi questo Dizionario si ridurrebbe ad un
piccolissimo Volume. Siccome dalle Voci
Variabili si à generalmente una Derivazione di Qualità, e dalle Voci di Qualità
si può generalmente avere una Derivazione verbale; possiamo dire, che da
ciascuna Voce variabile può aversi qualche Voce verbale. Quindi molto interessa conoscer bene tutte le
De-rivazioni, che si possono avere dalle Voci verbali in genere - Eccone il
Quadro; avvertendo, che le qui usate barbare Voci italiane si pongono soltanto
per richiamare possibilmente la forza ed il valore di ciascuna
Derivazione.emibi abbiamo • amabilizabilmente emibim amabilizabilità emilis. - La
penultima Sillaba diventa breve necessariamente, ognivolta che sia lunga
l'ul-tima: Vi et peró lasciato so-
- pra l'Accento, onde rilevarne
più facilmente la Derivazione.
amatorio emot amatoriamente emöim |Fissare il Distintivo
per le Cose determinanti-oggetto 378.
Ogni Sostantivo determinante-oggetto deve essere preceduto dal Segno fissato
per questa Si-tuazione, vale a dire dalla Voce de, oppure de o di secondo i
varj casi già analizati (330, 330).
Quindi «Il Principe di Napoli» si
tradurrà « z prenso de Naple»: « La Virtù del Principe e dei Soldati ec.» si tradurrà «a vertuuls di
prenso e du soldao ec. ». Ogni Qualitativo
determinante oggetto deve sempre immediatamente precedere il Nome dell'Oggetto
medesimo. Quindi « Il Principe virtuoso e giusto " si tradurrà «z vertuul
e justel prenso ». Ogni Voce ossia
Giudizio di Azione de-terminante-oggetto dev'essere preceduto dalla Voce xe,
corrispondente alle italiane quale e quali — Quindi «Il Principe, il quale ama
i Popoli » si tradurrà «‹ prenso, xe ba emà su puplo": E «I Principi, i
quali amano il Popolo» si tradurrà «« prenso, xe ba emà se puplo. Fissare il
Distincivo per le Cose determinanti-azione. Il nome sostantivo
determinante-azione dev’essere preceduto dal segno fissato per tale situazione,
vale a dire dalla voce se oppure si o su secondo la varietà delle circostanze.
Quindi. Tu ami la virtù. Essi cercavano me. Voi troverete i libri. Si
tradurranno. Te ba emà se vertuuls. Lu be cerià se me. Iu bu truvà su lero. Il distintivo
del giudizio determinante-azinne consiste, o nell'essere questo giudizio
espresso al modo Generico determinante, o nell'essere preceduto dalla Voce, “xe,”
corrispondente all'italiana “che.” (Austin: the ‘that’-clause). Quando il
Giudizio determinante-azione debba esprimersi in Modo Generico, e quando debba
essere preceduto da “xe” (o “che”); essendo preceduto da “xe” o “che”, quando
porsi debba in Modo Indicativo, e quando in Modo Indefinito; finalmente in qual
Tempo debba essere espresso a norma delle varie circostanze, fù già
dettagliatamente analizato ed esposto. Fissare i Pronomi Determinanti oggetto.
I Pronomi determinanti-oggetto, re-Jativamente all'Oggetto che determinano,
nella nostra lingua sono invariabili, cioè servono egualmente a tutti i numeri
e sessi; e relativamente all'oggetto che richiamano, quelli di Oggetto per ciascun Sesso. Quando l'Oggetto
determinante sia quello stesso ch'è già Cardine di Giudizio, non dovremo che
indicare questa particolar circostanza; e ciò col mezzo del segno generico só,
già fissato pel Pronome rifesso. Ecco
per la nostra Lingua l'Espressione di ciascun Pronome determinante-oggetto;
Espressioni provenienti dalle Voci già fissate:
mio, mia, miei, mie me nostro, nostra ec. mue tuo ec.
te I vostro ec. tue
suo ec. (maschile) le loro ec. (maschile) lue suo ec. (femminile) éle
loro ec. (femminile) elue suo ec. (neutro) ole loro ec. (neutro) olue Pronome riflesso ... riflesso Fissare i Pronomi
Indicanti-oggetto. Stante l' analogia di Espressione, noi prendiamo questi
Pronomi dalle Voci radicali sa, sa, 20, aggiugnendo loro r. Quindi avremo per
tutti i numeri e sessi questo, questa
es. sar codesto ec. sar quello ec. zar
ciò si traduce sempre sar ciò che si traduce
sxe, cioé sar xe. Quindi si dirà. Questo giardino et sar jardeo
questi giardini u sar jardeo codesto Popolo 1 2 ar puplo
codesti Popoli «s os ar
puplo quella Città ‹ zar vilo
quelle Città u zar milo ciò fù detto
sar bi disé da ciò vedete ge sar iu ba vogà ciò che dite
sxe tri ba disc ciò che
farai sxe to bu fesa medita ció che leggi — bar ti medità se sxo
il ес. ес. ес. ba hisa, ec.
PUNTO XXIX.® Fissare i Pronomi
Generici speciali 387. Dei due Pronomi
generici cardinali (219 e seg.) l'uno cioè il si italiano (francese on) si
traduce ome; l'altro cioè egli (francese il) si traduce sar, significante ciò -
Quindi avremo: Dei due Pronomi generici non cardina-li (223 e seg.) l' uno cioè
ne italiano (francese en) si traduce be, se richiama un Oggetto relati-vato; e
se richiama un Oggetto cominciante, si traduce ye: L'altro cioè il vi o ci
italiano (fran-cese y) si traduce le, se richiama Oggetto termi-nante; e se
richiama Oggetto contenente, si traduce r. Quindi avremo quattro Pronomi
generici non cardinali, come dagli esempi seguenti: Essi ne vollero le be ye vulà
Prendetene bar tu ye prend Tu ne troverai tz bus le truvà Vi andrò
ma bu be allà Vi erano entrati lu
bo yu antrà Egli non v'è le aba y età.
Tu vai a Roma, ed io ne vengo - te ba allà pe Roma, e mi ba y e venà. Fissare la Teoria per le Azioni, MOTITO di
Moto. Quando non si esprime il Lungo termine di Moto, l'Azione motivo di Moto
si pone al Modo Generico determinante (353) senza farla precedere da alcuna
Voce o Segno particolare; e precisamente come in Francese - Quindi avremo: Andarono a scrivere Ella verrà a trovarvi. Vado a chiamare ec. lu bi allà exriva èl bi venà se tu truva mi ba allà appella
ec.390. Esprimendosi il Luogo termine di Moto, l'Azione motivo di Moto si porrà
egualmente al Modo Generico determinante; ma si farà precedere dalla Voce pur,
che nella nostra Lingua significa motivo, cagione ec., ciot significa per,
onde, affine di, ec. — Quindi avremo :
Vado in Città a prendere ec, ma bos alla pr vilo pur prena ec.
Venite in Italia a vedere ec. bar tu venà pe Itale pur voya ec. Andremo al Teatro a sentire ec. mu bu allà
pi teatro pur exula ec.. PUNTO XXXI.®
Fissare la Teoria per le Voci di più Significati 39r. Nella Lingua Francese come in ogni altra
vi sono delle Parole, che anno più Significati.
Quindi nel fissare le Radici per la nostra Lingua è necessario far
attenzione, che ogni Parola abbia un solo Valore; o almeno é necessario
precisare i varj Valori d'una stessa Parola, assegnando la prattica circostanza
in cui debba usarsi ciascuno - Questa Materia però è riservata all'Accademia,
che si occupasse della Formazione del Dizionario. Io quindi mi limito ad avvertire, che avendo
noi fissato le occorrenti Voci di Giudizio (304 e seg.), eta dal francese étant
significherà unicamente ed esclusivamente stare (latino munere);significato,
che la usata Voce di Giudizio suol già avere presso tutte le Lingue - Quindi si
dirà: Egli è in Roma Essi erano in Città Tu fosti vicino a lui Sarò in Teatro l ba età ce Rome lus be età ci vilo ti bi età
fur li mi bi età ci teatro. Fissare i Segni per le Espressioni Sentimentali
• 392. E impossibile indicare
convenientemente in iscritto le improvise irresistibili Espressioni del Sentimento. Pure, perchè la nostra Lingua non
sia del tutto mancante di tali Espressioni, noi fissiamo per esse i cinque
Segni seguenti ah, eh, ih, oh, uh. Il
Segno h non à alcun suono, e serve solo ad accennare un sentimentale
prolungamento di suono gutturale. Ecco
il Significato dei cinque Segni fissati, i quali debbono sempre essere seguiti
dal cosi detto. Punto ammirativo -
Siccome a ciascun Segno corrisponde più d'un valore, sarà bene avvertire che il
Senso ne farà praticamente conoscere, quale dobbiamo applicarvi in ogni
particolar circostanza. ah! eh!
ih! oh! uh!
dolore | stupore I gioja | desiderio | sdegno sorpresa | ammirazione | piacere | augurio / disprezzo
terrore | disapprovazione I orroreFissare le Regole di Sintassi e di
Ortografia La Sintassi della nostra
Lingua é la Sintassi ragionata (232); avvertendo solo, che dove si arresta la
Voce, abbiasi possibilmente Parola con Suono Gutturale finale. Rapporto all'Ortografia per
ciò che non fü da noi particolarmente fissato, seguiremo l'Orto-grafia
Francese; coll' avvertenza, che la nostra Lingua esclude assolutamente l'
Apostrofe. AVVERTENZA Sui Segni Finali
3g5. Nel percorrere la prima volta le Teorie qui fissate per la nostra
Lingua Universale, può sembrare che i Segni Finali destinati alla Distinzione
delle Cose, sieno pel loro numero imbarazzanti di troppo. Ed infatti le
moltiplici Derivazioni e Trasformazioni da noi esposte regolarmente e per
esteso, producono in Chi legge un sentimento poco vantaggioso - Quindi per
togliere quella contraria prevenzione che può aver prodotto una specie
d'illusoria apparenza, richiamo qui di seguito tutti i Segni Finali;
avvertendo, che si riducono a soli ventiquattro, e che ciascuno di essi à un
solo valore e sempre lo stesso.Segni Finali
Significazione Radice di Oggetto Radice di Qualità Radice di Rapporto presente )
e passato ) Modo Generico
Deter- futuro ) minante Modo Generico Accompagnante à
Voce-attiva Voce-passiva
Oggetto-attore Derivazione Qualitativa
Modificazione
Oggetto-astratto Verbo
derivato Massimo Aumento assoluto Massimo Aumento relativo Deterioramento d
Aumento generico Decremento
generico Confronto di Eguaglianza Confronto in più Confronto in meno x .
Quantità Multiple Numeri di costante Ripetizione Si dirà forse, che questi Segni riescono imba
razzanti e diffcili, quando trovansi uniti
sui alla fine di in anso Prodnsi uni di se ta, che il loro valore è costante: Quindi la
stessa unione di Segni Finali presenta sempre la medesima espressione: Quindi
tali Unioni essendo limitatissime in numero, possono specialmente e
dettagliatamente fissarsi. Cosi per esempio, stabilito una volta che gm
corrisponde all' issimamente degli Italiani, e sapendo che «dul, emì, peroi»
significano « dolce, amabile, paterno», qual Italiano non intenderà subito la
furza delle Espressioni dulgm, emigm, peroigm, e di tutte le altre possibili
che terminassero in gm? - Questa osservazione si applichi a qualunque altra
Unione di Segni Finali. Altronde è rarissimo il caso, che abbiansi
praticamente delle Parole con più di trè Segni Finali; e le Derivazioni verbali
da noi esposte (377), sono più di lusso metodico che di uso reale; ad eccezione delle eccezione delle prime undici, le quali per
altro sono della massima semplicità.3g6: Sarebbe molto facile assegnare la sua
Espressione vocale a ciascuna delle cosi dette Congiunzioni Preposizioni
Avverbj ec., insomma alle Voci Stabili che s'incontrano più frequentemente nel
Discorso: Ma tale Operazione è riservata ad un Accademica Società - Mi sarebbe
parimenti stato assai facile scrivere o tradurre qualche Squarcio nella mia
Lingua Universale, applicandovi le Regole più essenziali esposte finora. Ma
ogni Lingua dev'essere scritta e specialmente stampata coi suoi Caratteri
particolari; e questi Caratteri ancora non si anno pel nuovo Linguaggio -
Quindi conchiuderò questo mio Travaglio, indicando quanto facilmente potrebbe
in Europa eseguirsi il presentato Piano di Lingua Filosofico-Universale PROGETTO
DI ESECUZIONE • • 1. CoL Favore d'un MecENATE filosofo generoso
e potente dovrebbe in qualche distinta Città d' Europa formarsi una Società di
circa dodici Scien- ziati. II. Questa Società dovrebbe occuparsi della
Formazione del Dizionario e Grammatica; e dovrebbe anche produrre un piccolo
Volume scritto nel nuovo Linguaggio.
III. Questi Dizionario Grammatica e Volumetto in Lingua Nuova dovrebbero
comunicarsi alle varie Nazioni Europee; perchè ciascuna col mezzo delle sue giù
esistenti scieritifiche Accademie potesse farvi le sue ragionate
Osservazioni. IV. In seguito dovrebbe
radunarsi un Accademia Generale,
composta di circa quaranta scienziati In-
dividui, scelti dalle diverse Nazioni Europee in ragione di uno per ogni
quattro Millioni circa di
Popolazione. V. Nell' Accademia
Generale dovrebbero nuovamente ponderarsi le Produzioni della prima Società
(II); e gli Accademici presenterebbero le Osservazioni della propria Nazione
(III). VI. Col Voto dell' Accademia
Generale stabilito quindi e prodotto il Dizionario la Grammatica e qualche
Volume in Lingua Universale, queste Opereformerebbero il Codice e il Testo
permanente della Nuova Lingua. VII. Durante l' Accademia Generale, gli
Accademici di ciascuna Nazione seguendo la Serie delle Decisioni Generali,
potrebbero formare e Grammatica e Dizionario per la propria Nazione. VIII. Il Mezzo di Comunicazione per l'
Accademia Generale sarebbe la Lingua Francese. Quindi anche la prima Società
(I) dovrebbe scriver tutto in Francese.
IX. Le Spese occorrenti ripartirsi dovrebbero sui varj Governi Europei
in ragion di Popolazione — Ogni Governo poi potrebbe facilmente indenizarsi del
sostenuto Dispendio, facendosi per qualche tempo privativa la Stampa delle
Opere in Lingua Uni-versale. X. In meno
di quattro o cinque Anni (a) sarebbe così regolarmente sistemata in Europa una Lingua
Filosofico-Universale; e ognuno comprende con quanta facilità questa Lingua
sarebbe poscia adottata dalle Persone Colte di tutti gli altri civilizati Paesi
del Globo. Mi riservo a far conoscere in
seguito il Modo, con cui debbono studiarsi le Lingue; ed intanto asserisco che
avendosi Grammatica e Dizionario per questa Lingua Universale, quando la si
studiasse col nuovo mio Metodo, può chiunque in trè Mesi abilitarsi anche a
scriverla perfettamente; benchè non abbia alcuna cognizione di Lingua Francese.
DICHIARAZIONE DELL'AUTORE DISCORSO
PaRLIMINARE ANALISI DEL LINGUAGGIO DELLE VOCI, ELEMENTI DEL DISCORSO Voci
Radicali Voci di Cosa Oggetti Qualità Azioni Voci di Giudizio Verbi Voci di
Rapporto Luogo Tempo Tempo Tempo Numero Ordine
Sesso Modificazione Variazione Aumento e Decremento Confronto
Eguaglianza Differenza Somiglianza Identità Approssimazione Dichiurazione
Connessione Esclusione Sulle Voci di Rapporto Voci Derivate Derivazioni dalle
Radici di Cosa Dalle Radici di Oggetto Dalle Radici di Qualità Voce di
Modificazione Sostantivo-astraito di Qualità Verbo derivato Dalle Radici di
Azione Voci Attive e Passive Dalle Radici di Azione Determinato Voce Attiva
Sostantivo-astratto di Azione Nome di Attore (LOVER – PARIDE AMA ELENA -- Dalle
Radici di Azione Indeterminata Voce Passsiva (ELENA E AMATA DA PARIDE) Nome
Qualitativo Derivazioni dulla Voce Radicale di Giudizio Dell'ordine di Giudizio
Del Tempo Natura del Giudizio Giudizio Generico Generico Determinante Generico
Accompagnante Giudizio Definito Definito Indicativo Indicativo Isolato
Indicativo Dipendente (IPPOTATTICO) Definito Condizionato Condizionato
Ineseguibile Condizionato Eseguibile Giudizio Suppositivo Giudizio Volitivo
Giudizio Ottativo Ottativo Ineseguibile Ottativo Eseguibile Giudizio
Condizionante Giudizio Indefinito (Grice: (Ex), “some, at least one”) Dei
Giudizj Condizionati Giudizio Interrogativo Sulla Voce di Giudizio Derivazioni
dalle Radici di Rapporto Dalle Radici di Luogo Dalle Radici di Tempo Dalle
Radici di Numero Sulle Derivazioni in genere Voci Sostituite DELLE VOCI, PARTI
DEL DISCORSO Determinazione delle Voci Determinazione degl’oggetti Qualitativo
determinante-oggetto nome sostantivo determinante-oggettoVerbo determinanto
oggetto Determinazione dell’azioni nome sostantivo determinante-azione Giudizio
determinante-azione Sui Giudizj determinanti-azione Modo pei Giudizj
determinansi-azione Tempo nei Giudizj determinanti-azione Della Voce Che
Giudizin precedente il Che Giudizio seguente il Che Situazione degli Oggetti
Oggetto Cardinale Oggetto Nominato
Oggetto Determinante-oggetto Oggetto Determinante-azione Oggetto
Chiamato Oggetto Indefinito Oggetto Contenente Oggetto Relativato Oggetto
Ricevente Oggetto Terminante Oggetto Cominciante Sull Ordine diretto e inverso
nelle Azioni LINGUA FILOSOFICO-UNIVERSALE LINGUA GENeRICA Delle Parole (Cf. Grice, utterer’s meaning,
sentence-meaning, word-meaning) Delle Parole Fuggevoli (epea pteroenta) De
Suoni Gutturali Gutturali Semplici e Composti Gutturali Brevi e Lunghi De'
Suoni Orali Orali Ordinarj e Forzati Delle Sillabe nelle Parole Della Posa
nelle Parole Delle Parole Permanenti (Grice, ‘timeless meaning’) Segni de'
Suoni Gutturali Gutturali Brevi e Lunghi Segni de' Suoni Orali Orali Ordinarj e
Forzati Orali Finali Dei Giudizj Delle Parti costituenti un Giudizio Dell'
Esprimere l' Opposto nelle Cose (Grice: “He’s a fine friend” => He’s a
scoundrel, You’re the cream in my coffee: You are my bane» Del Segno di Numero
Generico negl’oggetti Del Sesso negl’oggetti Degli Oggetti, Cardine di Giudizio
Dell'Uggetto Giudicante Dell'Oggetto Ascoltanto Del Terzo Oggetto Del Pronome
Riflesso Sugli Oggetti, Cardine di Giudizio De varj Tempi, ai quali possono
riferirsi i Giudizj Tempo Passato, Futuro e Presente Tempo Determinato e
Indeterminato Tempo Presente Tempo Passato e Futuro De varj Modi, ne' quali
possono formarsi i Giudizj Modo Generico (Grice: ‘I restrict the asterisk * to
stand for any of the two modes: the aletic and the buletic’) Modo Indicativo
Modo Con-dizionato Modo Suppositivo Modo Volitivo Modo Ottativo Modo
Condizionante Modo Indefinito Modo Interrogativo Delle Voci indicanti Giudizio
Tempo e Modo Dei Fonti Primitivi de'
Giudizj Degl’oggetti Denominazione degl’oggetti (‘pirot,’ ‘karulise,’ ‘elatic’
– ‘shaggy’ – the meaning of ‘elatic’ – word-meaning) Situazione degl’oggetti nome ostantivo Cardinale nome sostantivo
Nominante nome Sostantivo Determinante-oggetto nome sostantivo
Determinante-azione nome sostantivo Chiamante some sostantivo Indefinito nome sostantivo
Contenente nome sostantivo Relativato nome sostantivo Ricevente nome sostantivo
Terminante nome sostantivo Cominciante Speciali Espressioni di Numero per gl’oggetti
Espressioni di Luogo per gl’oggetti Delle Qualità Massimo Aumento nelle Qualità
Massimo Decremento nelle Qualità Deterioramento nelle Qualità Variazione nelle
Qualità Delle Azioni Verbi Azioni Determinate e Indeterminate Determinazione
del Azioni Tempo nelle Cose comuni agli
Oggetti Azioni e Qualità Generico Aumento e Decremento nelle Cose Cose
comuni alle Azioni Confronto nelle Azionie Qualità Dei Fonti Secondarj de’Giudizj
Delle Cose di Prima Derivazione (‘pirot,’ ‘elatic,’ ‘karulisation’ Derivazioni
dalle Radici d’oggetto Derivazioni dalle Radici di Qualità Derivazioni dalle
Radici d’azione Derivazioni dalle Radici di Numero Delle cose di Seconda
Derivazione Derivazioni dai derivati Nomi d’oggetto (object-language) Derivazioni
dalle Voci di Modificazione Derivazioni dalle derivate Voci di Qualità Derivazioni dai derivati Nomi di Azione Sui
Qualitativi Verbali di seconda derivazione Delle Voci Indeterminate Voci
Indeterminate d’oggetto Voci Indeterminate d’azione Modo nei Giudizj
determinanti-azione Giudizj determinanti al Modo Generico Giudizj determinanti
al Modo Indicativo o Indefinito Tempo nei Giudizj determinanti-azione Delle
Voci Sostituite (pro-nome, pro-verbo) Pro-nomi Determinanti-oggetto Pro-nomi
Indicarti-oggetto Pro-nomi Generici Cardinali Pro-nomi Generici non Cardinali
Verbi di Moto Voci di più Significati – cf. Grice, SENSA NON SIGNIFICATA NON
SUNT MULTIPLICANDA PRAETER NECESSITATEM Espressioni Sentimentali Ortopoeia Ortografia
morfologia forma morfo-sintassi Sintassi LINGUA FILOSOFICA Parole Giudizj Fonti
Primitivi de Giudizj Oggetti Qualità Azioni Oggetti Azioni e Qualità Azioni e
Qualità Fonti Secondarj de Giudizj Voci Indeterminate Voci Sostituite Conseguenze per la Lingua Filosofica LINGUA
UNITESALe Fissaro i Segni pei Sunni
Vocali Segni Gutlurali e lom Pronunzia
Segni Orali e loro Pronunzia Fissare la Teoria per le Sillabe e Posa nelle Parole
Fissare de Segni pel Numero Generico,
e pel Sesso Nunero Generico Sesso Fissare il Segno per esprimere nelle
Cose Opposto Fissare le Voci per gl’oggetti Giudicante
Ascoltante e Terzi Oggetti Giudicante e Ascoltante Terzi Oggetti Fissare il Pro-nome
Riflesso Fissare le Voci esprimenti Giudizio Tempo e Modo Fissare le Voci
Radicali Radici Variabili Radici Stabili Fissare il Segno caratteristico per le
Parole Radicali Oggetti Qualita Azioni Rapporti [grado el predicato: PARIDE AMA
ELENA] Sul Segno caratteristico nelle Voci Radicali Sul prendere le Voci
Radicali Fissare i Segni per le varie Situazioni degli Oggetti nomi Sostuntivi Determinati
Situazioni dei Nomi Determinati nomi Sostantivi Inditerminati Situazioni dei
Nomi Indeterminati Fissare le Voci Numeriche speciali Fissare le Voci
esprimenti Luogo – prossimo, medio, distante, this that and yonder – Trudgill,
Dialects of England -- Fissare i Segni per l'Aunento Decremento e
Deterioramento nelle Qualità Fissare la Teoria per le Variazioni nelle Qualità
Fissare i Segni per le Voci Verbali al
Modo Generico Fissare le Voci di Tempo, e un Segno per le sue estese Espressioni Fissare i Segni
pel Generico Aumento e Decremento nelle Cose Fissare la Teoria per le Azioni e
Qualità modificate Fissare i Segni di Confronto Fissare i Segni caratteristici
per le Voci Derivate Sulle Voci di
Modificazione, e sugli Orali finali
Sulle Derivazioni da Radice di Oggetto
Determinato Fissare la Teoria per distinguere le prime Derivazioni dalle
Seconde Fissare i Segni per le speciali Derivazioni dalle Voci di Azione
Fissare la Teoria per esprimere i Verbi Sulle Voci di Giudizio Fissare i Segni
per le Numeriche Sul distinguere le Voci Radicali dalle Derivate Delle
Derivazioni specialmente Verbali Fissare il Distintivo per le Cose
determinanti-oggetto Fissare il Distintivo per le Cose determinanli-azione Fissare
i Pronomi determinanti-oggetto Fissare i Pronomi Indicanti-oggetto Fissare i
Pronomi Generici Speciali Fissare la Teoria per le Azioni, motivo di Moto
Fissare la Teoria per le Voci di più Significati Fissare i Segni per le Espressioni
Sentimentali Fissare le Regole di Sintassi e di Ortografia Sui Segni Finali
nelle Parole Progetto di Esecuzione. Omettendone alcuni di minore entità,
notiamo i soli seguenti ERRORI
CORREZIONI qualche qualunque Oggello Oggetto Quantità Quantità. ze, se, ce
ze, je, ce ultima Voce, so Voce so, exriva
exria livro, livrod, livrop Urro, lurod, Unge exri-
exri- Alla pagina 26g trà i Segni
Finali deve porsi anche g, segno caratteristico delle estese Espressioni di
Tempo. L'origine dell’idioma [idio-, idio-letto, one utterer] si dee
riportare alla prima istituzione della società. Poichè avendo l'uomo nelle
sue facoltà quella d'istituire un idioma atto ad esprimer le cose, come lo
prova-a. molti illustri metafisici, i primi uominii – Grice, the myth of the
contract -- formarono un idioma, se la società non sorge senza questo. Ora
e molto ovvio il neire che un Idioma è assolatamente: necessario alla società.
Poichè quei che convivono insieme per poter provvedere e alla propria e alla
comune felicità debbono manitestarsi scambievolmente le idee, le cognizioni, gl'
incommodi, i bisogni ec. Ma questa comunicazione non può ortenersi che coll’idioma.
Dunque i primi uomini dotati della facoltà di formarlo, spinti dal bisogno,
ammaestrati dalle lunghe osservazioni, imitando specialmente i clamori
naturali, istituirono un idioma imperfetto ma sufficiente a conservare e
fomentare la società -- idioma, che ha poi dai secoli successivi la sua
bellezza e la sua perfezione.. 1C, Balinoci ap 5, Lie 1) de : 9 Anii
a Elus sensusque homines hac facile possunt ARTIFICIALIA
reddere. Si nempe observent affectus quos INDICANT, nec: ea tantum. edant
"impellente NATURA, ser consulto, ut que experiuntur cateris manifastent. Que SIGNA
clamoribus non articulatis, habisu vultus et GESTIBVS continentur;
atque acsionis quam vocant linguam conteiunt. Usu autem constat facilem
expeditam secretam idearum
COMMUNICATIONE hac lingua non obtineri, distantia et interpesito corpore impediri. Sensim igitur ab ea
recedere coguntur homines, ad eamque ferantur, que vo- = cis distinctionibus
nititur.. " Hanc ut instituant, clamores naturales in primis protrahunt. et simul
jungunt, rerum etam exterharum sonos referunt et imitantur; unde voces oriuntur,
qua elevatione: et depressione
multum distantes aliquo: modo, gestuum et clamorum vim exprimant.. Atque
ita portm distinion, comulmam, quantum pattur rocis et si auditus organum rude:
adhud et inexercitatum. 99127. L’ “idioma” è di due specie: d'azione – Grice: ‘utter’ used
generically -- e di voce. L’IDIOMA d’AZIONE (‘utter’ used generically) primo è
figlio di Natura, il secondo di con-venzione. E dalla sola con-venzione si dee
ripetere tanta varietà di lingue, causa di notabili incommodi alla società al commercio
– PAX ROMANA --, e sopratutto al progresso delle scienze e dell'arti – MAGISTER
ARTIVM OXONIENSIS BOVS VADUM 128. Che se alcun mi chiedesse, come la lingua
originaria essendo stata una sola à potuto tanto moltiplicarsi la varietà delle
lingue, risponderei: Che moltiplicandosi gl’uomini, la prima società per
procurarsi la sussistenza dove necessariamente separarsi in più rami. Queste
nuove supponibile ch'abian ureso sentieri di ri, ed a molto probabile, che non
tutti gl’individui di ciascuna famiglia possedessero perfettamente il
primo idioma. Inoltre avendo ogni regione clima, cultura, prodotti
particolari, ogni famiglia istituisce delle espressioni ignote a tutte le famiglie
lontane: Onde calcolato il tutto, e avendo anche riguardo al vario inventore
bizarro ingegno degl’uomini, si può dire, che se partirono dal punto d'origine
quattro famiglie, dopo non molto l'idioma primitivo si sarà diramato in quattro
idiomi appena più intelligibili fra loro. Applicando la stessa analisi alle
secondarie di-ramazioni e suddi-ramazioni di ciascuna famiglia, riflettendo che
individui d’idioma affatto diverso avran por dovuto convivere insieme per le
varianti circostanze e vicende de tempi, come il dimostrano chiaramente le
lingue ch' ora diconsi morte, qual por- si posa va ina, ala padigid un
coso di Lingue I20. L'idioma di voce è il più grande ri-trovato, l'opra
più bella dell'ingegno umano. Parlando della memoria vedremo il mirabile
influsso che hanno le parole sulle idee. Osserviamo intanto, che l'idioma di
voce si distingue in fuggevole e permanente. L’idioma di voce fuggevole s’eseguisce
colla sola pronunzia, il secondo collo scritto: Col primo si comunicano le loro
cognizioni quei che convivono insieme. Col secondo sappiamo le cose avve nute
ne’secoli passati: O col Primo finalmente o chi Secondo 00 can datti due
insieme sappiamo quel САРО II. Del Discorso e dell'
Aigumentazione, I30. Si acerescono le cognizioni coversando cogl’altri
e comunicandosi scambievolmente le idee. Questa reciproca comunicazione d’idee
si deve fare con discorsi accademici, ma chiari ordinati concisi; giacchè lo
stile asiatico non è la stile della scienza. È dunque necessario posseder bene
la lingua che si usa in questi discorsi accademici. Siccome però lo studio
della lingua [Per acquistar cog izion: è necessario possedere a
fonde da liesta la orbarie del siniena de isat e Scienze la lingua latina? Io
non intendo oppormi allo studia di questa lingua, giacchè è troppo utile alla republica
lo spiegars in lingua bolgi elementi delle scienze debba Quante volte
succede, che uomini anche di rarita- Loti Fece non prese ando staid dele
sina asin? rà, che e loro colpa se non san questa lingua. Ma non e meglio
adattarsi ai bisogni altrui con vantaggio della7:35
•books.googleusercontent.com uomo impara a sufficien- za la sua
lingua volgare; non mi arresterò punto intorno al Discorso Naturale, e invece
passerò a dir qualche cosa dell' Argomentazione. 131. L'Argomentazione è
un Discorso Arti-ficiale, di cui si è fatto finora tant'uso e tanta pompa ne’circoli
e nelle scuole – come Oxford, bovis vadum. Son varie le specie dell’argomentazione;
ma la principale è il Sillogismo, che si può definire = conciso raziocinio
espresso colle parole =. 132. Il "illogismo è formato da tre
Proposizioni Maggiore, Minore, e Conseguenza, artificiosamente legate fra loro.
Eccone un esempio. (Minoiore) = Quel pense spituale = (Minore)
(Conseg.) = Dunque l'anima è spirituale = 133. Loke del Sillogismo così
scrive. lo nego, che il Sillogismo ajuti nè punto nè poco a trovar nuove
prove o a far nuove scoperte,
che è la funzione dell'animo più penosa insieme e più utile, e forse la sua più alta perfezione. Tutta
l'arte del sillogismo consiste nel
disporre le prove, che già si san- Umanita della Socierà dello Spirito umano,
che sostenere un uso inveteraro non lodevole? Italiani, è omai tempo di
scuotere il giogo del Pecantismo. Italiani, uno sguardo alle estere illuminate nazioni,
ed arrossiamo della nostra condotta della nostra cecita nel seguire troppo
scrupolosamente lei traccie segnateci dai predecessori. Rispettiamone il
merito; ma siamo atsaccati meno alle loro massime alle loro opinioni. Insomo ma
la regola delle nostre azioni non sia la sola antichità, ma la ragione. Ogni giudizio
espresso in parole dicesi proposizione.no. Prima si conosce una verità, poi si
prova sillogisticamente. Il sillogismo vien sempre dapo la cognizione. Dunque
esso è d'un uso as dee però trascurarsi del tutto; giacchè serve a dimostrare
la verità con evidenza, ed a convincerne alate e la finfano e ci sigi i
son ussa che un tazioni, che no in pao i Sil buon ragionatore è sempre
naturalmente un bravo sillogistico; e poi volendo anche apprendere la
formazione materiale e scolastica del sillogismo e di quilunque altra specie di
argomentazione, per-suadiamoci, che si fà più con un ora d’esercizio che con
dieci volumi di regole. Vi sono molte altre specie d’argomentazione,
derivanti in fondo dal sillogismo, come entimema, epicherema, dilemma, sorite
ec. Mi astengo però dal farne parola nella persuasione, che 1 miel lettori
avran già studiato I Uma-nità. Non mi resta pertanto a parlare che
dell'induzione e dell’analogia considerate non come specie di argomentazione,
ma come mezzi ottimi per iscoprir la verità e per accrescer le
cognizioni. L'induzione è fondata sulla perfetta somiglianza delle cose,
per cui passiamo a stabilire come regola o legge universale quello che abbiamo
solamente osservato in molte cose particolari. Per duzi que quardo sia
giuta, pesario sia. necessario assicurarsi bene se le somiglianze sono
reali ovvero apparenti; e questo si ottenne coll’istituire molte osservazioni. È
necessario inoltre esaminare attentamente se queste osservazioni ed esperienze
sono in opposizione fra loro: Poichè quand’anche UNA SOLA – ‘the
counter-example, alleged!’ – Grice) si opponga ad un numero anche infinito, l'induzione
è nulla (epagoge/diagoge – eirenic effect. Quindi perchè un fisico infere
per induzione, che tutti i corpi son gravi, molti debbono esser quelli ne’quali
osserva la gravità; e non deve averne incontrato alcuno che ne sia privo
(Peano, clausula esclusione – Grice, anti-sneak). L'uso dell’induzione è
molto pericoloso, ma è frequente assai specialmente nella fisica. Poichè, date
le stesse circostanze, una medesima causa dee sempre produrre gli stessi
effetti, come effetti simili ed eguali denno sempre provenire dalla medesima
causa; once possiam conchiudere essere universale quel che osserviamo in molte
cose, e in tutte lo stesso. essenda Al dazione sata si iperienza
ogia Osservazione. Nell' Analogia però la somiglianza cose mediche (‘those
spots didn’t mean anything to me, but to the doctor they meant that Fred had
the measles’ – Grice) militari e politiche – la repubblica di Platone e
l’escatologia, Grice, giustizia -- è più frequente l'uso dell’analogia che dell’induzione.
D’analogia fanno uso anche i filosofi, e per essa inferiscono che le Bestie
pensano, che le stelle hanno il loro sistema planetario come il sole, che
i pianeti sono abitati = ecc. Mariano Gigli. Gigli. Keyword: il sistema G-hp.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gigli”. Gigli.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Gioberti:
la ragione conversazoinale e l’implicatura conversazionale del bello – filosofia
torinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torino). Filosofo
torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I like Gioberti; he
published ‘Del bene, del bello,’ suggesting they are etymologically connected,
and they are: BONUS alternates with BENE in Roman, and the dimintuvie,
BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the Roman implicature is that the ‘bello’ is a
‘little’ ‘bene’ – or gracious, comfortable, and proportionate, rather than
having to do with ‘bene’ itself. – “like bene” – and affectionate diminutive,
one hopes!” – Laureato, e parzialmente influenzato da MAZZINI, lo scopo
principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico
regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da
concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile
degl’italiani. Questo primato era associato alla supremazia del Papa, anche se
inteso in un modo più letterario che politico. Carlo Alberto di SAVOIA lo
nomina suo cappellano. La sua popolarità e l'influenza in campo privato,
tuttavia, sono ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo
all'esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si
ritirò dal suo incarico ma fu arrestato con l'accusa di complotto e bandito dal
Regno sabaudo senza processo. Anda a Parigi e Bruxelles per insegnare FILOSOFIA.
Nonostante ciò, trovò il tempo per filosofare con particolare riferimento al
suo paese e alla sua posizione. Essendo stata dichiarata un'amnistia da
Carlo Alberto, divenne libero di tornare
in patria. Al suo ritorno a Torino, e ricevuto con il più grande entusiasmo.
Rifiuta la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo
rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu
presto eletto presidente. Cadde il governo. Il re nominò G. nuovo
presidente del Consiglio. Il suo governo termina. Con la salita al trono di
Vittorio Emanuele II la sua vita politica giunse alla fine. Ha un posto nel
consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio
irriconciliabile non tardò a maturare. E allontanato da Torino con
l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fa più ritorno.
Rifiuta la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica,
vive in povertà e passa il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi
agli studi filosofici. I primi due licei istituiti a Torino celebrarono uno
l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero,
anche politico, di G. (il Liceo classico G.). I saggi sono più importanti
della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-SERBATI, contro
cui scrive, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale. Anche
il sistema di G., conosciuto come “ontologismo” non è connesso con le moderne
scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che spinge Cousin a sostenere
che la filosofia italiana e ancora fra i lacci della teologia e che G. non e un
filosofo. Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e
psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia con la formula
ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico ente Ens. Tutto
il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la conoscenza umana (le
idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita
direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere, e questo
avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell'ente e delle
esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono
necessarie per l'inizio della filosofia. G. è, da un certo punto di
vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato
Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la
chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo
afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione
del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione
pubblica. Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In Rinnovamento e
Protologia si dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli
eventi. La sua prima opera aveva una ragione personale per la sua
esistenza. Un amico, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della
rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de “La teorica del
sovrannaturale”. Dopo questa, sono
passati in rapida successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita
dalla “Filosofia”, dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una
nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta
espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella
storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla
quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine
del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli
esistenti. I saggi Del bello e Del buono hanno seguito l'introduzione.
Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve
trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente
a Losanna da Bonamici, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo
dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere
semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo
Rinnovamento civile d'Italia, che lo ha portato ad essere acclamato con
entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutti questi saggi sono stati perfettamente
ortodossi e hanno contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel
movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I
Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo
ritorno a Roma e alla fine i saggi di G.i sono messi all'indice. I resti dei suoi
saggi, specialmente “La filosofia della rivelazione” e la Protologia espongono
i suoi punti di vista in molte parti. Tutti i saggi giobertiani, tra cui quelli
lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Massari (Torino). Il
Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale
all'Istituto di Studi Filosofici Castelli, presso l'Università La Sapienza di
Roma. Altre saggi: Prolegomeni del Primato morale e civile degl’italiani,
Enrico Castelli; Primato morale e civile degli italiani, Redanò; Introduzione
allo studio della filosofia; Cortese; Teorica del sovrannaturale; Cortese; Del
rinnovamento civile d'Italia; G., Del rinnovamento civile d'Italia, Del
rinnovamento civile d'Italia, Filosofi d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di G.
a Leopardi in Scritti vari inediti di Leopardi
i dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. G. vive in Rue des marais S.
Germain, hotel du Pont des Arts n° 3. In lingua latina: "dal nulla", vedi anche
la locuzione Ex nihilo nihil fit di LUCREZIO. Antonio, su Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma in. Anteprima disponibile su Anteprima della II edizione disponibile su
books.google. Massari, Vita di G., Firenze, Serbati, G. e il panteismo, Milano,
Spaventa, La Filosofia di G., Napoli, Mauri, Della vita e delle opere di G.,
Genova, Prisco, G. e l'ontologismo, Napoli, Pietro Luciani, G. e la filosofia
nuova italiana, Napoli, Berti, Di G.,
Firenze, Rumi, G., Bologna, Il mulino, Sancipriano, G.: progetti etico-politici nel Risorgimento,
Roma, Studium, Traniello, Da G. a Moro: percorsi di una cultura politica,
Milano, Angeli, Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G.,
Milano, Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in G., Soveria
Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Leggiero, G.
Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne, Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. attuale – Il Popolo d’Italia -- Non
bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al FASCISMO
– o al GRICEANISMO --, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il FASCISMO
– e il GRICEANISMO -- ha molti
precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola “precursore”
si dà un significato strettissimo o letterale. Ha molti se la stessa parola
viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser
posto G., especialmente dopo la posta all’indice dei suoi saggi.. Ecco un filosofo,
come Grice, che appare oggi attuale più di quanto non e ante, o anche
semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni,
istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal
FASCISMO, una vita studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or
ecco come G., a proposito della necessità della GINNASIA, si esprimeva nel suo
Primato. Gl’ITALIANO indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla
corsa e ai GINNICI esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili
fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e
assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i
sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e
magnifici pensieri. Il FASCISMO ha battuto sempre in breccia certi persistenti
snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi.
Vedete come G. flagella gl’esotismi del tempo che fanno preferire le lingua
tedesca o la francese all'italiana, l'abietto forestierume, come, con parola di
scherno supremo, dice G. Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di
forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste
concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma
del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è LA LINGUA
NAZIONALE così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci,
onde gl’uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che
le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché ESSENDO LA FAVELLA
ITALIANA LO SPECCHIO PIU COMPIUTO E PIU VIVO DELLA SPECIALITA MORALI E
INTELLETTIVE DEL POPOLO ITALIANO, chi la trascura e disprezza non può essere
veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò
indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco
amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di
parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume
è altresì basso e vile! Pochi filosofi hanno, più del grande pensatore
torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua italiaa nella vita
del popolo italiano e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla.
L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di
creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta
giustificazione in questo superbo brano di prosa giobertiana. E da ricordare
che G. definisce la italiana come la più bella delle lingue vive. Lo stile,
dice Buffon, è l'uomo. Lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. LA
LINGUA E LA NAZIONALITA PROCEDENO DI PARI PASSO, perché quella è uno dei
principi fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e
fondamentale di tutti, come il più spirituale, quando la consanguineità e la
coabitanza poco servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza IL
VINCOLO MORALE DELLA COMUNE FAVELLA. E però Giordani insegna che la vita
interiore e la pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua, la quale è l'effige
vera e viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e
indubitata storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo
specchio in cui mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di
ciascuno. E Leopardi non dubitò di
affermare che la lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa.
Parole queste che non sono mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di
Roma nella storia italiana e in quella europea e universale, ecco alcune
citazioni di G. che hanno un sapore attualissimo. Il genio orientale affine a
quello dell'Italia, se non altro perché ROMA e una volta e sarà forse di nuovo
un giorno, se posso così esprimermi, l'oriente dell'Oriente. ROMA in effetto,
nel bene come nel male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e
norma delle genti italiche. La figura di G., quale filosofo e patriota, ci è
giunta un poco deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di
cui sopra per far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano,
non è diminuita con le vicende del tempo. G. è attuale, anche e soprattutto
oggi, nell’ITALIA DEL LITTORIO. The next day in “Il Popolo d’Italia” by
Scrittore Fascista. Ancora G. (Pubblicato in « Il Popolo d'Italia » di
Scrittore fascista La prosa giobectiana
è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi indovinati. Si incontrano
parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio, forestierume, perennare,
sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare, mollizie, delicature, uomini
faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più importanti sono sempre i
pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni egli ha un punto di
vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale, oggi, come sempre..
Ecco con quali termini G. stabilisce i compiti e i doveri di un'aristocrazia
degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire ai figli degli
aristocratici. Imprimano in essi la semplicità dei modi, la grandezza
dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la fermezza
nelle risoluzioni, l’'intrepidità nei pericoli, la generosità nei travagli; li
assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le pompe, a tenersi
per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come di un tesoro da
dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità pubblica. In G. si
trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di ripristino archeologico,
alle quali IL REGIME FASCISTA si è particolarmente consacrato, non soltanto a ROMA,
ma in ogni parte d'Italia. Se G. potesse vedere lo spettacolo meraviglioso
della ROMA di oggi, dovrebbe fare constatazioni diverse da quelle del suo
tempo. Gli scavi, la esumazione e la restaurazione degl’antichi monumenti
pagani (‘non cattolici’!), non giovano soltanto a documentare al mondo la
nostra gloriosa storia tri-millenaria, ma sono anche fonti di ricchezza, per il
richiamo che essi esercitano su tutte le ·genti del mondo civile. Le poche
decine di milioni spese per creare quei capolavori che sono la via dell'Impero
ROMANO, la via dei Trionfi, la via del Mare, sono già stati recuperati almeno
cento volte, attraverso l'affluire ìncessante degli stranieri. Ma G. insiste sul
lato morale delle ricerche archeologiche così esprimendosi. Egli è doloroso a
pensare che così pochi siano al dl d'oggi gl’italiani solleciti di conoscere e
studiare le patrie rovine e che tale inchiesta si abbandoni, come inutile,
all'ozio erudito di qualche antiquario. L'archeologia non meno della filologia,
ben !ungi dall'essere una scienza sterile e morta, è viva e fecondissima,
perché oltre a rinnovare il passato, giova a preparare l'avvenire delle
nazioni. Imperocché la risurrezione erudita dei monumenti nazionali porta seco
il ristauro delle idee patrie, congiunge le età trascorse colle future, serve
di tessera esterna e di taglia ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone
ed alimentandone le speranze colla voglia e con l'esca delle memorie. Tutta la
storia d'Italia passa in rapide sintesi potenti nelle meditazioni di G. I periodi di grandezza e di miseria, gl’alti e
bassi del nostro popolo, trovano in G. un indagatore e un illustratore vigoroso
e penetrante. Egli sente la storia e come s'inorgoglisce parlando dei periodi
di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di
decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra
storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono
secoli di divisione e di servitù. Le ultime faville di virtù e di carità patria
perirono in Italia colla repubblica di FIRENZE; spenta la quale dalla truce e
schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar
vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello
degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il TASSO, il GALILEI, il
VICO, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono
innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile
di BRUNO, di CAMPANELLA e di SARPI. Ma il rinnovamento del ceto civile nella
penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a ALFIERI che, nuovo ALIGHIERI,
e il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli
spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi
frutti, Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da ALFIERI da
i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che
scatenò il maggio radioso e la marcia. È l'impulso che fece vincere la guerra e
trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e già queste parole
del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle generazioni littorie. «
Italiani - dice G. - qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete
nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo! G. nasce a Torino. Un dissesto finanziario del
padre, morto prematuramente, rese molto precarie le condizioni economiche della
famiglia. Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivela precoci interessi
per gli studi filosofici, e annoverò tra i suoi maestri e guide spirituali
Sineo, poi ricordato come il solo prete che avesse incontrato. Tuttavia G. è
essenzialmente un autodidatta, che, nonostante la malferma salute, si dedica
con inaudita intensità alle più disparate letture, toccando anche il settore
linguistico, storico, naturalistico, geografico, politico (con una precoce
passione per MACHIAVELLIi), e lasciandone traccia in una congerie sterminata di
appunti e di pensieri: in uno dei quali rivelava di essere stato "reso
anti-monarchico dalla lettura d’ALFIERI, irreligioso, ma per poco, da Rousseau,
pirronista dagl’altri filosofi (Meditazioni filosofiche inedite). Tali
frammenti provano come G. accumulasse una rilevante cultura filosofica, in
parte di tipo manualistico, ma in parte notevole ricavata da letture di prima
mano (sebbene non sempre nella lingua originale) concernenti in special modo le
opere di Platone, Agostino, Bacon, Bossuet, VICO, Leibniz, Malebranche, Gerdil,
Rousseau e Kant. Quest'ultimo, unitamente alla scuola scozzese di Reid, apparie
a G. il filosofo che aveva riportato "nel campo dell'osservazione quel
principio pensante, che molti aveano a tal segno obliato da confonderlo coi
sensi e colla materia. Alla linea di pensiero che iG. definiva allora
idealistica si affianca il confronto ravvicinato, ma costellato di dissensi,
con il tradizionalismo cattolico di
Maistre, Bonald,Chateaubriand, Ballanche e Mennais. È da osservare che
G. conosce bene il francesen e, ovviamente, il latino, mentre inizia studio del
tedesco. In linea generale, prevalse in G. un orientamento eclettico,
considerato peculiare e apertamente professato in opposizione allo spirito
esclusivo dei sistemi, pur in un quadro teorico segnato dalla polemica anti-sensistica
e dalla ricerca, non priva di momenti laceranti, di un punto di equilibrio tra
una persistente venatura scettica e l'ancoraggio, punteggiato peraltro da
corrosivi spunti anticlericali, alla religione, assunta come deposito di verità
oggettive, attingibili per via razionale solo in maniera parziale e
frammentaria. Oltre che sul piano teoretico, la necessità della rivelazione
cristiana s'imponeva per G. sul piano pratico e politico, essendo una religione
rivelata e positiva l'organo indispensabile della morale nella società",
ovvero anche "un'obbligazione sociale, chiamata a integrare il
mantenimento e l'accrescimento dei diritti, indicati come fine della politica.
La ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica,
tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di
transeunte, sostituiva, in G., l'idea di religione naturale d'impronta
deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione
soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di
un suo progressivo dispiegamento nella storia umana. Membro
dell'accademia ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate Solaro,
G. risentì dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente
giurisdizionalista in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese,
da cui trasse alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia, è
aggregato alla facoltà teologica, con la discussione di tre tesi: De Deo et
naturali religione, notevole per la padronanza della relativa letteratura, De
antiquo foedere, De christiana religione et theologicis virtutibus, la cui
edizione accademica restò per quattordici anni l'unica opera di G. data alle
stampe. Poco prima, èordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e forse lo
stesso arcivescovo Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua ritrosia
all'ordinazione. È nominato cappellano di corte con uno stipendio annuo di 480
lire. Notevoli zone d'ombra caratterizzano la fase successiva della sua
biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in pubblicazioni l'immenso
materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita negli ambienti colti e
l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e letterari, appare indicativa
sia di una persistente fluidità del suo pensiero, sia della percezione di un
sempre più chiuso clima intellettuale e politico, che G. tende ad attribuire,
sul fronte ecclesiastico, alle mene dei gesuiti e della "frateria" -
da lui personalmente contrastati in occasione della vicenda che aveva coinvolto Dettori, allontanato dalla cattedra
universitaria con l'accusa di giansenismo - e, sul versante politico,
all'involuzione autoritaria del governo sabaudo. La riflessione di G. sui
rapporti tra religione e filosofia e tra religione e vita sociale seguì un percorso
non lineare. Ne sono documento eloquente le lettere indirizzate a Leopardi
(personalmente conosciuto a Firenze, durante un viaggio per l'Italia in cui G. ha
modo di incontrare anche A. Manzoni), le lettere al giovane amico e discepolo
Verga e una lettura accademica sull'accordo della religione cattolica coi
progressi della società civile (Ricordi biografici e carteggio, a cura di
Massari). Scrivendo a Leopardi da Torino G. confessa di aver professato
nel passato un puro teismo, e di aver mutato idea in seguito a nuove indagini
sulla "verità del Cristianesimo (e quindi del Cattolicismo che è la sola
forma invariabile di quello) come sistema dottrinale e come fatto
storico", e di essere approdato a una "adesione intima, schietta,
profonda alla religione cattolica", che gli aveva consentito di vincere i
fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia che fin allora lo avevano
tormentato (Epistolario). Due anni dopo, reduce dall'aver "letto a
furia" Le mie prigioni di S. Pellico, scriveva al Verga una lettera in
cui, opposto il cristianesimo di Silvio a quello dei gesuiti, dei "nemici
della filosofia e della civiltà", rivelava di essere divenuto assertore di
una religione filosofica: cioè di una religione "immedesimata" e non
solo conciliata con la filosofia, fondamento di una morale austera,
"ispiratrice di azioni grandi e generose, e dell'oblio di se medesimo per
intendere unicamente al bene della patria. Nei primi anni Trenta, anche in
seguito alla lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini
Serbati, il G. enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una
diretta connessione tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale,
appellandosi a una tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente
da Pitagora al Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina,
l'umanesimo e VICO (lettera a Verga). Dichiarandosi continuatore di questa
linea ideale, G. manifestò una speciale consonanza con il pensiero di Giordano
Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con l'evoluzione delle proprie idee
politiche, professione di panteismo. Tale collegamento è attestato da una
lunga lettera ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata sotto lo
pseudonimo di Demofilo. G. vi esaltava il panteismo come la sola filosofia
"destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei buoni ingegni",
affermando di avvertire nelle dottrine politiche professate dai mazziniani
"un'applicazione di questi dettati" (cfr. anche lettera al Verga). La
lettera, ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da Mazzini, come
a lungo si credette, ma probabilmente da CATTANEO, col titolo Della repubblica
e del cristianesimo, era rivelatrice di una radicalizzazione delle convinzioni
del G., coinvolto in una serie di vicende destinate a mutare il corso della sua
esistenza: vi si proclamava la necessità di una religione civile finalizzata
alla liberazione dei popoli, ma, contemporaneamente, l'impossibilità di dar
vita a "una religione veramente nuova […], tanto che i filosofi, e gli
uomini universalmente cominciano a persuadersi, che fuori del Cristianesimo non
v'ha religione"; e vi si accennava a una lettura escatologica, ma non solo
ultraterrena, dell'idea cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una
sua dilatazione dalla sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella
promessa di un regno "da aspettarsi eziandio in questo mondo".
Nell'accezione giobertiana, ispirata ora a un messianismo politico-sociale in
vesti cristiane cui non erano estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il
motto mazziniano Dio e il popolo"diventa così il presupposto di una
cristianità novella, l'annunzio di un'epoca imminente in cui "Iddio sarà
umanato non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e destinato non alla
croce, ma a un regno stabile, a una pace perpetua, all'immortalità e alla
gloria. L'abito di prudenza e di riservatezza adottato da G. non impedì che le
sue idee destassero diffusi sospetti di ateismo anche presso i suoi superiori.
Ciò lo induce a lasciare la carica di cappellano e a rinunciare al relativo
stipendio. Nel frattempo si era affiliato a una società segreta, detta dei
Circoli, e poi ad altra associazione patriottica di dubbia identificazione,
forse i Veri Italiani; non sembra che mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene
coltivasse intimi rapporti con alcuni suoi affiliati, come l'abate Pallia. In
seguito a delazione, fu quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte
dalla scoperta della congiura mazziniana, arrestato con pesantissime accuse e
tenuto in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo raggiunse un
provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza permettergli di
incontrare alcuno dei suoi amici. Per poco più di un anno, G. visse a
Parigi in una situazione assai precaria, che lo induce ad autorappresentarsi
nei panni di uno "sdottorato" e uno "spretato" (era privo
di celebret per la messa), di uno che aveva "perduto tutto".
Nonostante le relazioni intrecciate con i molti italiani insediati stabilmente
o temporaneamente nella capitale francese, come il matematico G. Libri, Peyron,
Mamiani, Botta, e con esponenti di primo piano del mondo accademico francese,
come Cousin e Champollion, visse in relativo isolamento, in una città che
considerava il "microcosmo d'Europa" ma non amava, ascoltando le
lezioni accademiche di Fauriel e Jouffroy, impartendo per vivere lezioni
private d'italiano e progettando, senza realizzarli, lavori di argomento
filosofico o di polemica politica sulla sanguinosa repressione seguita alla
congiura e al tentativo mazziniano. Nella febbrile atmosfera intellettuale
della monarchia di luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma
senza condividerne appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale
espressi dalla tarda scuola sansimoniana, da Buchez, dalle Paroles d'un croyant
di F.-R. de Mennais. Lo scenario parigino, che gli appariva connotato dalla
totale estinzione del culto e della pratica cattolica, fornì nuovo alimento
alla venatura apocalittica del suo pensiero, che gli faceva presagire come
prossima la "fine del mondo; ma del mondo antico, donde sorgerà il
nuovo", nel quale gl’ordini morali di Cristo sarebbero diventati "gli
ordini civili delle nazioni", compenetrando lo Stato sino a produrre
"una società di uomini, retta da sé medesima, sotto la legge universale,
una, libera, fiorente, morigerata, santa, ed esprimente la concordia del cielo
colla terra" (lettera ad Unia). Per altro verso, si approfondiva sino a
divenire inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana
e verso i movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver
"impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti
or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi
numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga
lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle
idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio
parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione
raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso
e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e
l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, G. inquadra ora
la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del ciclo
rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra europea,
condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e della
cacciata definitiva dei "nostri tiranni". Accetta, anche per
ragioni economiche, l'offerta di assumere l'insegnamento di storia e filosofia
nel collegio fondato a Bruxelles daGaggia (un ex sacerdote italiano
convertitosi al protestantesimo), che ospitava un centinaio di cattolici ed
evangelici. Forse anche in relazione alla più pacata atmosfera politica del
Belgio, dove i cattolici erano parte attiva del sistema costituzionale sortito
dalla rivoluzione, G. proseguì nella
revisione ideologica già profilatasi nel periodo parigino, prospettando più
lucidamente che nel passato un'esigenza di conciliazione, che non implicasse
identificazione, tra dogmatica religiosa e idee filosofiche e tra ordine
soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in proposito che, mentre in precedenza
aveva immedesimato i dogmi cristiani colle idee, ora li disgiungeva, evitando
di ridurre il cristianesimo a una simbolica filosofia, ma considerandolo invece
il compimento della filosofia medesima"(a Pinelli). Ne conseguì la
decisione di produrre finalmente delle opere a stampa. Vide infatti la luce a
Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica del
soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata colla
mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di un
mese e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in rapida successione,
l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles), che ebbe una
circolazione superiore a quella, inizialmente limitatissima, della Teorica,
sebbene di entrambe le opere venisse interdetta l'introduzione nel Regno sardo;
la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques de m. de Lamennais
(dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France, poi con firma e con
titolo leggermente mutato a Parigi-Lovanio); il saggio Del bello, composto come
voce dell'Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione (Venezia)
diretta da Falconetti, e pubblicato anche come volume a sé nell'autunno del
1841, prima opera di G. edita in Italia, che doveva essere seguita da un altro
testo destinato alla stessa sede, Del buono, uscito invece in forma autonoma a
Bruxelles; e le dieci lettere Degli errori filosofici di Antonio Rosmini
(Bruxelles; la seconda edizione porta a 12 il numero delle lettere e
comprendeva altri scritti giobertiani). Nella Teorica G. fa i conti con
il proprio antecedente itinerario intellettuale e con le tendenze filosofiche del
suo tempo. L'opera, imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine
religioso e ordine civile osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e
storica, aveva come principale obiettivo polemico la riduzione monistica della
sfera religiosa a quella civile o viceversa, operata, secondo G., dalle teorie
razionalistiche e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei
sansimoniani alla Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e
del primo La Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, G. prendeva,
rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire
sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della
facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia
l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come
misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine
religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di
distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa,
anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella
rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa
cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per G. contrassegnato dal
progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e
stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici
al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro
nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini
ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di
una rilettura della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla tesi
delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della religione
sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella confutazione
dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali implicassero
una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si trattava, in
definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che nello scorcio
conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale. Tale impronta
era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della filosofia. L'opera era
infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia, dopo un lungo periodo di
oscuramento della sua tradizione filosofica determinato dalla perdita
dell'"indipendenza civile", promuovere la restaurazione della
"vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte europeo in seguito
all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile umano", e porre
rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano politico dalla diffusione di
falsi principî filosofici, generatori delle due contrapposte tirannidi
prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e quella del popoli,
dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il
predominio della forza sul diritto". L'Introduzione intendeva porre le
basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso molto estensivo), in
grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche, soggettivistiche o
panteistiche della filosofia moderna generate principalmente, sul piano
speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di Cartesio e, su quello
religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato sull'Idea, intesa, a suo dire,
in un'accezione totalmente diversa da quella utilizzata dai sensisti, dagli
idéologues e dai panteisti moderni (tra cui HEGEL), e analoga invece a quella
platonica e malebranchiana. Il riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana
come oggetto reale e in atto che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè
come Ente o principio ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel
giudizio sintetico a priori o formula ideale "l'Ente crea
l'esistente", che pone nell'atto creativo l'origine del mondo, e da cui
scaturisce, in ragione dell'identica matrice della realtà generata e del
pensiero, l'intera enciclopedia filosofica sul piano speculativo. Il principio
contenuto nella formula ideale si esplica infatti in un secondo ciclo creativo
che procede, a differenza del primo, dall'esistente all'Ente, e del quale è
partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo in quanto dotato di intelligenza
e di libero arbitrio, che lo rende "in un certo modo creatore" e
simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale oggetto dell'ontologia,
scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si esplica la "vita
attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei fini. Tra le molteplici
applicazioni della formula ideale abbozzate nell'Introduzione assumevano un
rilievo particolare quella concernente il rapporto tra religione e civiltà
secondo lo schema relazionale già profilato nella Teorica, e quella riguardante
la sfera della sovranità. In argomento G., ponendo nell'Idea l'origine della
sovranità, ne confutava sia il fondamento contrattualistico (visto come
prodotto delle deviazioni soggettivistiche e sensistiche della filosofia
moderna), sia l'identificazione con il potere assoluto di un principe.
Definendo la sovranità come un processo discendente dall'Idea, ma nello stesso
tempo partecipativo, G. pervenne alla enunciazione di una formula politica
(modellata sulla formula ideale), per la quale "il sovrano fa il
popolo" ma "il popolo diventa sovrano", mediante "la
trasformazione lenta, graduata e sicura del Demo in patriziato. Ciò si
traduceva in un'apologia della monarchia civile o rappresentativa generata dal
cristianesimo e già prefigurata negli ordinamenti medievali, vista come sintesi
tra un potere tradizionale e un'"aristocrazia elettiva" chiamata a
estendersi col progredire dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto
sovrano dal diritto del principe, il G. finiva per recuperare come "unico
giure assoluto, essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale,
trasferendo alla nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere
di primazia che i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a proclamare
non solo il diritto di resistenza nei confronti del principe assoluto, ma
financo, in casi estremi, la legittimità della rivoluzione. Il
progetto di cui la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima cornice
speculativa era sintetizzato in una lettera a ROVERE (si veda) (Epistolario), dove G. esprime la convinzione
che il solo modo di giovare all'Italia fosse quello di "creare una scuola
di libertà temperata, morale, religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto
aliena dal sentire dei demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava
l'obiettivo di far della religione "una insegna nazionale"
immedesimandola "col genio dell'Italia, come nazione", facendone
"una di quelle idee madri che seggono in cima al pensiero degli uomini e
signoreggiano ogni parte del vivere civile". Con l'aggiunta che,
distinguendo "nella religione cattolica la credenza dall'istituzione"
e insistendo sulla seconda, non sarebbe stato difficile convincere gli
increduli che "il cattolicesimo, anche umanamente considerato, sia il
migliore degli istituti religiosi possibili. Un programma di così
ambiziosa portata prefigurava un disegno in qualche misura egemonico sul piano
culturale e induceva G. non solo a entrare in diretta polemica con le opere di
autorevoli esponenti del coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto
concepito come appendice dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte,
a Bruxelles, le Considerazioni sopra le dottrine religiose di Cousin), e come
Lamennais (in un opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere filosofiche
e politiche), ma soprattutto a competere con l'altro pensatore italiano,
Rosmini, che aveva intrapreso a propria volta, con intenti non meno ambiziosi,
un programma di edificazione di una filosofia cristiana capace di misurarsi con
il pensiero moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già manifestato
nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale era mossa
la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di soggettivismo
e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si tradusse in acre e
prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi interventi dei
seguaci del Rosmini, come Tarditi, Gastaldi, arcivescovo di Torino, G. di CAVOUR
(si veda), secondo i quali le tesi giobertiane menavano dritto al panteismo. G.
ribatté colpo su colpo, incominciando dalla già citata alluvionale opera Degli
errori filosofici di SERBATI (si veda), importante soprattutto per il fatto che
l'autore vi tracciava il processo teorico attraverso cui era pervenuto alla
formula ideale. Nella polemica G. è affiancato e sostenuto dai suoi amici e
seguaci, come Rossi di Santarosa, mentre risultò vano l'intervento pacificatore
di N. Tommaseo. Sempre a Bruxelles,
G. diede alle stampe l'opera che doveva dargli la celebrità, Del primato
morale e civile degli Italiani, tirato nella prima edizione in 1500 esemplari.
Concepito inizialmente come "un'operetta di non molte pagine",
"un discorsetto non solo sul Papa ma sull'Italia", il Primato divenne
strada facendo un ponderoso lavoro in due grossi volumi, la cui scrittura
procedette in parallelo con la stampa fino al maggio dell'anno
successivo. L'opera, dalla struttura sovrabbondante e magmatica, colma di
formule apodittiche e di scarti lessicali, aveva tuttavia un suo asse portante
nel tentativo di definire i caratteri originali e permanenti della nazionalità
italiana sintetizzati in quello che G. chiamava genio nazionale. Plasmato da
fattori naturali, come il sito geografico e la feconda mescolanza di stirpi
pelasgiche ed etrusche, connotato dalla preminenza di elementi sacerdotali e
aristocratici, dotato di un suo particolare "genio federativo"
espresso dalla "società di popoli" realizzata dalla repubblica romana
(poi tralignata in signoria imperiale), riflesso culturalmente da
un'ininterrotta tradizione filosofica autoctona, il genio italico aveva
trovato, secondo il G., una sua configurazione effettivamente nazionale per
opera del Papato, che lungo il Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando
la traduzione in "ordini civili" dei dettati religiosi e morali del
cristianesimo. Il tratto costitutivo della nazione italiana veniva così
reperito in un principio ideale, convalidato tuttavia da fattori naturali di
tipo etnico e confermato dalla storia: nell'essere l'Italia nazione religiosa
per eccellenza, dotata di un primato religioso determinato dal trapianto in
Roma dell'Evangelo e dall'elezione provvidenziale della sede romana a sede
apostolica, che si riverberava in un primato dell'Italia nell'ordine morale e
civile, da cui traeva il carattere di creatrice, conservatrice e redentrice
della civiltà europea. Il ruolo o la missione religioso-civile, che faceva
degli Italiani il nuovo Israele e dell'Italia una nazione sacerdotale, veniva
perciò raffigurato dal G. come indivisibile da quello del Papato: il quale,
mediante l'esercizio della potestà civile connaturata alla sua primazia
religiosa, non solo aveva costituito la nazionalità italiana, ma le aveva
altresì impresso i tratti suoi propri di nazione guelfa. Per converso, il declino
della potestà civile dei pontefici, iniziato nel tardo Medioevo e culminato
nell'Età moderna, si era tradotto nella decadenza, nell'asservimento politico,
nella subordinazione culturale dell'Italia e nella frammentazione
politico-religiosa dell'Europa. Il risorgimento italiano, concepito da G. sullo
sfondo di una riunificazione religiosa europea, veniva dunque a raccordarsi
strettamente con la restaurazione della "scaduta potestà civile del Papa
in modo conforme e proporzionato all'indole e ai bisogni del secolo". Tale
formula conteneva il nocciolo della tesi centrale del Primato: posto che,
secondo G., l'esercizio della potestà civile pontificia, perno della più ampia
potestà civile della Chiesa, era per sua natura suscettibile di assumere
modalità variabili in relazione al cammino della civiltà in senso secolare,
essa era chiamata a evolversi in maniera vieppiù adeguata alla propria
originaria legittimazione religiosa e alla progressiva acquisizione di
"indipendenza civile" e di capacità nazionale da parte dei popoli,
assumendo le forme preminenti della forza morale, della persuasione,
dell'influenza pacifica e pacificatrice. L'itinerario della potestà civile
pontificia tracciato da G. procedeva dunque dalla "dittatura",
consona alle età barbariche, verso un "potere arbitrale", delimitato
dal fatto di non "avere alcun effetto civile che non sia consentito alla
libera [cioè liberamente] dalle parti gareggianti e deliberanti". Si
realizzava così la saldatura tra la restaurazione-riforma del potere civile del
Papato e il Risorgimento italiano: nel senso che la ridefinizione del primo
avrebbe reso possibile l'esercizio effettivo da parte del pontefice del ruolo,
mai assunto nel passato, di capo civile della nazione sotto forma presidenziale
(o dogale) - un ruolo, dunque, istituzionale, analogo ma più forte di quello
arbitrale -, e la contemporanea trasformazione in unità "nazionale e
politica" della preesistente, ma virtuale, unità italiana senza che ne
venissero toccati i legittimi poteri dei sovrani. Quest'ultimo aspetto
costituiva un altro snodo del Primato, che consentiva a G. di tracciare una via
consensuale, pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie per la costruzione
dello Stato nazionale. Scartate come estranee alla natura e alla storia del
genio italico le forme del dispotismo e della democrazia "demagogica"
fondata sull'idea della sovranità popolare, e assumendo come punto di
riferimento il riformismo settecentesco, in specie di Leopoldo e di Benedetto
XIV, G. raffigura l'erigenda entità politica nazionale come una confederazione
dei maggiori Stati italiani, retti a monarchia "consultiva" sotto la
presidenza moderatrice del pontefice elettivo. La formula della monarchia
consultativa veniva preferita a quella della monarchia rappresentativa per il
fatto di non frammentare la sovranità, e di permettere ugualmente ai sovrani di
governare secondo il voto della nazione, raccolto e filtrato da un corpo
vitalizio di "veri ottimati" tratto da un'aristocrazia selezionata
dal merito e dall'ingegno più che dal sangue nobiliare, agente come canale di
collegamento con l'opinione pubblica. Un'attenzione particolare era dedicata
dal Primato al potere dell'opinione negli Stati moderni, alle condizioni
necessarie del suo sviluppo, al ruolo che il clero era chiamato a esercitarvi
nel rispetto del "principio sacrosanto della libertà delle
coscienze", alla funzione modernizzatrice delle élitesintellettuali.
L'utopia della confederazione italiana (tale la definiva lo stesso G.) si
traduceva in una forma politica composita, che richiamava in certa misura
l'ordinamento ecclesiastico, caratterizzata dalla presidenza conciliatrice del
pontefice, da un insieme di "aristocrazie civili e consultative, ciascuna
sotto un capo ereditario investito del supremo comando", e finalizzata
all'unione, all'indipendenza e alla realizzazione della libertà civile, tenuta
distinta da quella politica, cioè costituzionale. Scritto come libro
moderatissimo per non irritare gl’animi e consentirgli di circolare per tutta
la penisola (il che accadde, nonostante gli interdetti dell'Austria e il
divieto di smercio nello Stato pontificio), con l'esplicita intenzione di
raccogliere i più ampi consensi, il Primato lasciava deliberatamente da parte
argomenti di più immediata rilevanza politica, che pure G. affermava di aver
originariamente previsto, quali il predominio dell'Austria o la laicizzazione
del governo dello Stato pontificio. Il Primatosegnava inoltre un ripiegamento
rispetto ad alcune delle tesi sviluppate nell'Introduzioneallo studio della
filosofia e conteneva positivi apprezzamenti nei riguardi della Compagnia di
Gesù. Accolto con favore in ambienti laici ed ecclesiastici, compresi quelli
gesuitici, ma stroncato da Ferrari nel quadro della polemica antigiobertiana
che percorreva il suo saggio La philosophie catholique en Italie (uscito in due
puntate sulla Revue des deux mondes, cui G. rispose con una lettera pubblicata
in appendice alla seconda edizione di Degli errori filosofici di SERBATI), il
libro contribuì in modo rilevante alla formazione dell'opinione nazionale, pur
a prezzo o forse in ragione delle sue reticenze e dissimulazioni, trovando una
naturale collocazione nel contesto del riformismo moderato degli anni Quaranta,
specialmente in Piemonte, grazie anche all'apologia, presente in certe sue
pagine, della missione nazionale riservata allo Stato sabaudo sotto il profilo
militare, e all'esaltazione del riformismo carloalbertino: temi subito ripresi
e sviluppati, in senso più marcatamente sabaudista ma anche meno proclive
all'idea del primato italiano, nelle SPERANZA DEGL’ITALIANI di BALBO (che sul
finire ha parte principale nella nomina di G. a socio nazionale non residente
dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno opposto furono le accoglienze
riservate al Primato da Mazzini e dai neoghibellini. La prima edizione del
Primato - la cui lettura era resa ancora più ardua dalla mancanza di un indice
analitico - andò rapidamente esaurita, e G. provvide ad allestirne una seconda
corretta, stampata dallo stesso tipografo belga, e comprendente un lungo testo
introduttivo, che venne tirato a parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni
del Primato. Qui G. abbandonava alcune delle originarie cautele, con un
pronunciamento a favore della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia
degli orientamenti settari attivi nella Chiesa e identificati in particolare
nell'Ordine gesuitico o, per meglio dire, nel "gesuitismo" inteso
come categoria morale contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile
con la civiltà moderna e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra
controversia, destinata ad aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti
scrittori della Compagnia, segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e
Curci, non senza il sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J. Roothaan.
I Prolegomeni segnavano una prima sterzata rispetto alle tonalità ecumeniche
del Primato, e il riaffiorare nel G. di una virulenta vena polemica che trovò
un successivo sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna.
Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio di G. da Bruxelles a
Parigi, reso possibile dall'autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona
riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da Pinelli per una nuova
edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove rinsaldò l'amicizia con G.
Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e ammiratore), G. si trovò nel
pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle
controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de
France da Quinet e da Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco nell'animo di
G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti antigesuitici, il
coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi della
Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund. Impostato come una
replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si
trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l'ultimo
dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di
inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di
spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti.
L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e
collegati dall'idea dominante già abbozzata nei Prolegomeni: la radicale e
irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da
misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile,
ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il
principale e più subdolo nemico del Risorgimento, G. prendeva anche in
considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi enunciate d’Azeglio
nel saggio Della nazionalità, dove si affermava non essere l'indipendenza
politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito
inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i
diritti dei sovrani. G. vi contrappone un'idea di nazionalità come
"creatrice di diritti", fattore sostanziale e incoercibile di
identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l'incomponibile
divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo
congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato. Gli eccessi polemici
del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato,
gli valsero un'accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche
da parte di cattolici liberali come Balbo, SERBATI e Tommaseo; ma assicurarono
ulteriore udienza e popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a
quella del Primato, all'opera, che non era stata interdetta dalla censura
ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico
spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione fu tirata in 12.000
copie). I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione italiana
con l'elezione di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore, gli
atteggiamenti assai cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore del
Primato, nei confronti di G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle critiche al
Gesuita modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per mano
dell'archeologo Ch. Lenormant, indussero G., a porre mano a un nuovo lavoro,
l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita moderno", con alcune
considerazioni intorno al Risorgimento italiano (Bruxelles e Livorno). Qui la
rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa ora al partito francese dei
"laici ipercattolici" capeggiato da Montalembert, veniva a
connettersi più direttamente con i progressi compiuti nel frattempo dal
movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale convalida delle
proprie tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della stampa, progredita
assai lentamente, e la conclusione del lavoro erano intervenuti il
sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione parigina del
febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la concessione
degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la rivoluzione di Vienna
e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione milanese, l'avvio della guerra
in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era stata espulsa da molti Stati, tra
cui quello sabaudo, tanto da far pensare al G. che i gesuiti, dei quali aveva
auspicato in lettere private l'espulsione, fossero "morti
politicamente", pur continuando a sopravvivere "i loro spiriti".
Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale dell'opera, più legato
all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato Parigi, in cui i fatti
italiani, a partire dalla rivoluzione siciliana del gennaio, entravano prepotentemente
nella sua analisi, rendendo il libro ancor più eterogeneo nei suoi contenuti e
il suo titolo ancor più inadeguato, ma accrescendone pure di molto l'interesse.
L'opera vide finalmente la luce, in quattro edizioni quasi contemporanee,
quando il G. era ormai ritornato a Torino. Molteplici elementi imprimevano
all'Apologiail tono di un manifesto programmatico, in linea con i numerosi
interventi avviati da G. su alcuni giornali liberali come la Patria di Firenze,
l'Italia di Pisa, il Risorgimento e soprattutto la Concordia di Torino, diretta
da L. Valerio: in primo luogo, l'esaltazione, condotta con toni volutamente
forzati, dell'azione riformatrice di Pio IX, nel quale G. indica l'incarnazione
provvidenziale del pontefice da lui stesso preconizzato, guida del Risorgimento
nazionale interpretato come "un evento religioso, europeo,
universale", promotore di "una rivoluzione fondamentale negli ordini
umani del cattolicesimo" e di una metamorfosi del Papato da
"aristocratico e monarcale" a "popolano e democratico come nelle
sue origini"; in secondo luogo, la perorazione per la sollecita creazione
di un regno costituzionale dell'Alta Italia sotto la dinastia dei Savoia,
accompagnata dalla confutazione dei programmi municipalisti e repubblicani. Per
altro verso, l'Apologia portò allo scoperto, sotto la sollecitazione degli
eventi, venature del pensiero giobertiano in precedenza tenute in ombra,
riflettendone gli approdi più recenti. Il libro era tutto attraversato dal tema
della democrazia, non tanto intesa come ordinamento politico, ma quale
prorompente e benefica "rivoluzione, che per la mole, l'estensione, la
natura, l'importanza, la durata, non si può comparare a niuna di quelle che la
precedettero, la quale avrà per ultimo esito di conferire al popolo la piena
signoria delle cose umane"; rivalutava, rifacendosi alle opere di
Lamartine e Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione francese;
assegnava a meta conclusiva del movimento nazionale, dopo la necessaria fase
federativa, la costituzione di uno Stato unitario, accennando a una sua futura
trasformazione in senso repubblicano; individuava il solo modo di perpetuare la
monarchia pontificia in una riforma costituzionale dello Stato della Chiesa,
che consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare senza
governare e di realizzare la "separazione assoluta del governo spirituale
dal temporale". Quando rientrò a Torino, dopo oltre quattordici anni
di esilio e accolto da entusiastiche manifestazioni, G. era reduce da una prima
cocente delusione politica, determinata dall'annuncio confidenziale,
pervenutogli a Parigi e seguito da immediata smentita, della sua nomina a
ministro dell'Istruzione nel gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di Carlo
Alberto, che gli era e gli restò ostilissimo. In compenso, in un collegio
torinese e in uno genovese era appena stato eletto a sua insaputa alla Camera
subalpina, che alla metà di maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla
fine di luglio, tuttavia, G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi di
maggio, accompagnato da don G. Baracco, già era partito per una lunga
peregrinazione politica, che lo avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro
col Mazzini), al quartier generale piemontese di Sommacampagna (dove fu
ricevuto da Carlo Alberto), poi, attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova,
a Livorno, a Roma (dove soggiornò due settimane e fu ricevuto in tre diverse
udienze da Pio IX), e infine, per l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze,
donde rientrò, via Genova, nella capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia,
avvenuto in una fase in cui la guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto
un colpo letale dall'allocuzione di Pio IX
- il cui significato il G. tentò invano di minimizzare - e dalla reazione
borbonica di maggio, fu tanto indicativo dei vertici raggiunti dalla popolarità
del G., ovunque fatto oggetto di accoglienze trionfali e talora deliranti, e
tanto ricco d'incontri con i più vari circoli politici, quanto povero di
durevoli risultati. Nel corso di tale viaggio, affrontato con lena missionaria,
il G. propagandò fervidamente alcune idee-guida: in nome della concordia
nazionale combatté a spada tratta le ipotesi repubblicane di ogni genere, i
movimenti da lui tacciati di municipalismo, i progetti per un'assemblea
costituente, che finì tuttavia per ritenere inevitabile e non pericolosa a
certe condizioni; invocò il pronto accoglimento dei voti di unione al Regno
sabaudo del Lombardo-Veneto e la proclamazione di un forte regno dell'Italia
settentrionale; tentò con la medesima energia di rilanciare la soluzione
federale, contro i riaffioranti particolarismi statali e dinastici, non esclusi
quelli del Piemonte; si adoperò per un consolidamento del sistema
costituzionale a Roma, utilizzando anche i propri rapporti di amicizia con il
ministro T. Mamiani. Analoghi programmi il G. sostenne durante la breve
vita del gabinetto Casati, al quale fu aggregato dal 29 luglio, giusto
all'indomani del disastro di Custoza, in qualità di ministro senza portafoglio
e poi dell'Istruzione, facendosi personalmente promotore della missione del
Rosmini presso Pio IX, finalizzata alla stipulazione di un trattato confederale
e di un nuovo concordato. Ma la firma dell'armistizio Salasco e l'interruzione
della guerra con l'Austria lo colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che
portò alle dimissioni del governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai
impopolari presso i moderati, dapprima avversando e poi perorando una richiesta
di aiuto militare alla Repubblica francese, combattendo a spada tratta la
richiesta di una mediazione diplomatica franco-inglese, schierandosi per una
ripresa della guerra in una cornice federativa quanto mai inattuale. Le
ombrosità e le ambizioni del G., che aspirava alla presidenza del Consiglio,
ebbero modo di tradursi in aperto dissenso politico in occasione della
formazione del governo presieduto da C. Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone
di San Martino), che pure includeva tre amici del G. come il Pinelli, in
posizione preminente, Merlo e Santarosa. Al nuovo ministero G. dichiarò guerra
aperta con un opuscolo dai toni aggressivi, I due programmi del ministero
Sostegno (Torino). Accusato il nuovo governo di spirito municipalista, cioè di
disinteresse per le sorti degli altri Stati italiani, G., che aveva lasciato il
seggio parlamentare in occasione della sua nomina ministeriale, tentò, facendo
appello all'opinione pubblica nazionale, di promuovere una politica alternativa
basata sull'idea di una Costituente federativa con mandato limitato, da
contrapporre sia all'inerzia del governo piemontese in carica, sia ai programmi
di Costituente agitati dai gruppi democratici radicali. Fu quindi coinvolto
nella fondazione della Società nazionale per la confederazione italiana, che
tenne in ottobre a Torino il suo primo e unico congresso. Preceduto da un suo
infiammato indirizzo "ai popoli italici" (dov'erano tra l'altro
adombrati gli irreparabili guasti religiosi di un eventuale "funesto
scisma d'Italia e di Roma") e aperto da un discorso introduttivo in cui G.
denuncia le colpe dei repubblicani pratici e le "disorbitanze dei
democratici schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la
faticosa elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la
proclamazione del carattere irrevocabile della fusione delle regioni settentrionali
nel Regno dell'Alta Italia. Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva
e nuovamente asceso alla presidenza dell'Assemblea, dopo le dimissioni del
governo da lui accanitamente avversato il G. ebbe a metà dicembre l'incarico di
presiedere il nuovo ministero, in cui assunse anche il dicastero degli Esteri.
Salito alla presidenza del Consiglio non più come simbolo di unità e di
concordia ma come esponente di maggior spicco dell'opposizione, nel discorso
programmatico definì il proprio ministero con l'appellativo di democratico,
cioè, come disse, volto a innalzare la plebe "a dignità di popolo", a
serbare rigidamente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge comune, a
provvedere agli interessi delle province, con implicito riferimento alla
difficile situazione genovese, a "corredare il principato d'istituzioni
popolane, accordando con gli spiriti di queste i civili provvedimenti";
manifestò inoltre l'intenzione di riprendere la guerra interrotta, di
promuovere una Costituente federativa italiana, e proclamò il diritto degli
Stati italiani - di fatto, il diritto dello Stato sabaudo, cui attribuiva
apertamente una funzione egemonica - di intervenire negli altri Stati della
penisola per evitare sommovimenti rivoluzionari o interventi militari
stranieri. G. s'inoltrò pertanto in una politica nazionale alquanto
avventurosa, seppur coerente con il principio, carico di valore ideale ma
povero di forza normativa e da lui ribadito in documenti ufficiali, per il
quale egli affermava la sussistenza di un diritto della nazionalità, preminente
sulle vigenti istituzioni politiche e imperativo nelle relazioni tra gli Stati
italiani. Venne così progettando invii di truppe sarde nei punti critici della
penisola e si propose come indesiderato mediatore tra i sovrani italiani e i
loro popoli. Del tutto vani si rivelarono i suoi insistiti tentativi di
intermediazione tra Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la commissione provvisoria
di governo di Roma, intesi a ricondurre il pontefice nel suo Stato con
l'appoggio di truppe piemontesi subordinato al mantenimento degli ordini
costituzionali; e volti nel contempo a impedire l'ingresso di Mazzini in Roma e
la convocazione della Costituente italiana. Sul finire dell'anno G. chiede
e ottenne dal sovrano lo scioglimento della camera e l'indizione di nuove
elezioni, che videro il suo personale successo in dieci collegi del Regno, ma
produssero un'Assemblea decisamente sbilanciata sulla Sinistra democratica.
Poco attento agli equilibri parlamentari, che considerava con un certo
disdegno, abbandonate le velleità di convincere Ferdinando di Borbone e gli
indipendentisti siciliani ad affidare alla Costituente federativa la
composizione del loro prolungato conflitto, s'addentrò in un'avventura militare
che doveva riuscirgli fatale. Dopo aver lungamente tentato, grazie anche ai
suoi buoni rapporti con Montanelli, di indurre il governo democratico toscano a
più moderati consigli circa i ventilati progetti di Assemblea costituente,
posto di fronte alla traduzione di tali progetti in legge operativa e alla
successiva fuga di Leopoldo II, G. predispose in gran segretezza un intervento
armato piemontese in Toscana, per riportare il granduca sul trono preservando
il sistema costituzionale. La conoscenza del disegno, rivolto contro un governo
di orientamento marcatamente democratico, e degli atti compiuti per
realizzarlo, provocò la sollevazione del Parlamento sardo, una frattura
profonda nella compagine ministeriale e le dimissioni del presidente del
Consiglio, accolte di buon grado dal sovrano, pronto a sostituirlo con il
generale A. Chiodo. Per sostenere le ragioni della propria politica, invisa
ormai alla maggioranza dei gruppi parlamentari di ogni orientamento, G. da vita
a un giornale politico, il Saggiatore, sul quale intervenne per invocare
l'unità degli spiriti in occasione della ripresa della guerra con l'Austria, da
lui perorata ma ora altamente disapprovata per i modi in cui era avvenuta. Dopo
Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele
II, G., su invito di Pinelli, accetta di entrare come ministro senza
portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da Launay, nonostante il solco
profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi orientamenti
conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo
a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti poco amichevoli
compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non appena giunto a
destinazione, indicavano che il vero significato della missione era quello di
togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le trattative di
pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni con vari
personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui Tocqueville, reagì
con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno sardo
dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario, manifestò a
chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana, espresse il suo
distacco dal Piemonte anche con la decisione di restituire le somme
pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in un secondo,
volontario esilio. Si aprì per G. un altro periodo operosissimo sul piano
intellettuale e di riflessione, non certo distaccata, sugli eventi di cui era
stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta intessuta di
riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe modo di
reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata dalla
congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando pubblicamente la
linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul piano politico
espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane, colorate di
socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in una letteram
di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso "perché ordina tutto al
trionfo vicino o lontano di questo colore". Si dichiarava altresì fautore
di un ordinamento scolastico saldamente nelle mani dello Stato, in quanto
promotore e responsabile dell'"educazione nazionale", della gratuità
dell'istruzione primaria, dell'assistenza pubblica ai vecchi, agli ammalati e
alla povertà che non trova da lavorare. Mentre usciva a Capolago, per
iniziativa e con un'introduzione del Massari, una raccolta di lettere,
interventi e discorsi con il titolo di Operette politiche, G. riprese in mano i
propri lavori di argomento filosofico e religioso, editi e inediti, ma
soprattutto si dedicò alacremente alla stesura di una nuova opera di ampio
respiro che volle si stampasse a Parigi sotto la sua sorveglianza, pur
affidandone la pubblicazione all'editore torinese Bocca: era Del rinnovamento
civile d'Italia, che vide la luce in due volumi, il secondo dei quali
contenente anche una nutrita parte documentaria. Il Rinnovamento si
presenta come una riflessione politica che, prendendo spunto dalla
ricostruzione critica e storica degli eventi, affronta il tema generale delle
mutate condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione nazionale
avrebbe ripreso il suo cammino. Il saggio proclama la fine della fase del
Risorgimento e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte
integrante "di un moto comune a quasi tutta l'Europa: il primo si era
mosso nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo avrebbe
assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era stato
movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo sarebbe
dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva dovuto
limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era altro
possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e benefica,
accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa falsariga G.
affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo giudizio
erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di argomenti di
grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi, la maggiore
anticaglia superstite dell'età nostra, dannoso all'Italia, all'Europa e
soprattutto al cattolicesimo come causa di subordinazione del Papato alle forze
della reazione interne ed esterne; il posto e la natura del partito
conservatore e del partito democratico nella politica nazionale; le condizioni
alle quali il Piemonte, il paese più scarso di spiriti italici, dominato da una
classe politica di patrizi e di avvocati inclinati al municipalismo, guidato da
una dinastia stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e municipale, e
nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti costituzionali, poteva
svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che solo avrebbe salvato la
monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento che l'autore adduceva a
convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal Primato, implicava
l'attribuzione al REGNO SARDO di un ruolo anche morale (pur rimanendo una
futura "Roma laicale e civile il principio ideale della risurrezione
italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle leggi Siccardi:
un passo verso la "separazione assoluta tra le due giurisdizioni", la
temporale e la spirituale, costituente "la prima base della libertà
religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice necessaria alla
formazione di un clero "liberale e sapiente", capace di purgare la
religione "dagli errori e dagli abusi che la guastano". Ma il
Rinnovamento era pure un discorso di scienza civile, secondo la definizione
giobertiana, intessuto di riferimenti a MACHIAVELLI, ma condotto sulla base dei
"bisogni principali dell'età nostra, il predominio della filosofia,
l'autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe": a soddisfare i quali
G. pone come condizioni l'esistenza di governi liberi, la costituzione di Stati
a misura nazionale, il funzionamento di ordini civili atti a promuovere
l'innalzamento della plebe a popolo. Per tale aspetto una funzione determinante
veniva attribuita, da un lato, all'"ingegno", cioè alle élites
intellettuali, chiamate a imprimere unità e coesione alla "sciolta
moltitudine", e a impedire che sotto il simulacro della democrazia
trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle masse; dall'altro lato, alle
riforme economiche, "unico riparo al comunismo politico", se volte a
ripartire e a regolare le ricchezze (anche con l'imposta progressiva) e non a
inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento, percorso tra l'altro da fremiti antiborghesi,
rifletteva una visione del movimento nazionale quale luogo d'incontro e
d'interazione tra le "aristocrazie dell'ingegno", tratte dal popolo e
da questo riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto sociale,
garantite da una monarchia non solo costituzionale, ma anche schiettamente
popolare. Nel pubblicare il Rinnovamento iG. era convinto che l'opera
sarebbe incorsa nell'interdetto della Chiesa. Quando apprese che il S. Uffizio,
con decreto condanna tutte le sue opere, in qualunque lingua pubblicate, si
consola col rilevare che, involgendo nella proscrizione anche quegli saggi che sono
conosciuti da tutti per irreprensibili, si erano meglio manifestati il
puntiglio di Pio IX e la vendetta dei gesuiti. I pesanti giudizi su
figure eminenti della classe politica subalpina di cui il Rinnovamento è
cosparso, provocarono una tempesta di polemiche, cui G. risponde con due
opuscoli, il primo dei quali contene una risposta (che non cambia, ma semmai
aggrava la sostanza di quei giudizi) alle risentite reazioni di Rattazzi, di Gualterio
e del generale Dabormida. Il secondo intitolato Ultima replica ai municipali, ha
soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni, schieratosi a difesa del
vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi bersagli preferiti, il quale
si è ammalato gravemente nel bel mezzo della diatriba. La morte di Pinelli,
sopravvenuta quando già l'opuscolo è stampato, crea grande imbarazzo a G., che
stese a tamburo battente un Preambolo in cui rende giustizia sul piano personale
alla figura del defunto, decidendo in seguito, dopo vari tentennamenti, di far
distruggere le oltre 1200 copie già stampate dell'ultima replica - di cui resta
un solo esemplare - e di mettere in circolazione esclusivamente il Preambolo
(Parigi e Torino). È l'ultimo saggio edito lui vivente. In assoluta
solitudine G. muore infatti improvvisamente, nel suo modesto appartamento di
Parigi. Tra le sue carte rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e
di opere incompiute e inedite, costituenti nel loro insieme una specie di
continente sommerso, non meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero,
degli scritti da lui dati alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte
pubblicato postumo, con scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione
delle opere inedite giobertiane, di cui uscirono a Torino volumi, da alle
stampe i frammenti Della riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia della
Rivelazione, seguiti dalla Protologia, forse la maggior opera filosofica di G.,
che ne aveva incominciato la stesura negli anni Quaranta. A cura di Solmi,
furono editi, con criteri non meno discutibili, i frammenti della Libertà
cattolica e della Teorica della mente umana, insieme con il dialogo Rosmini e i
rosminiani. In seguito La riforma cattolica e La libertà cattolica furono
ripubblicate, in modo più corretto, da G. Balsamo Crivelli e da Bonafede,
insieme con la Filosofia della Rivelazione, e nell'edizione nazionale delle
opere, da Vasale. Appartenenti per la maggior parte alla produzione che G. aveva
definito acroamatica, le opere postume, pur nel loro stato di incompiutezza,
rivelano un G. che si confrontava in maniera più diretta con la critica della
religione sviluppata dalla cultura primo-ottocentesca, anche nelle sue
espressioni radicali. L'obiettivo di questi lavori era la dimostrazione
dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle sue deformazioni
temporalistiche, autoritarie e iper-mistiche, nel rispondere ai bisogni
intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine G. assumeva come
fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico la nozione cattolica
di tradizione, facendone il criterio ermeneutico dell'evoluzione storica delle
forme religiose e dello sviluppo del cristianesimo in senso secolare. Ne
derivava un'interpretazione molto audace per la sua epoca del rapporto tra
libertà e autorità in materia religiosa e, in generale, della dogmatica
cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero giobertiano in materia
religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della riforma ecclesiastica o
politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega anche la riscoperta du G.
in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che una parte molto
consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è misurata con
l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente
meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal
popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana. Fonti e
Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo
varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva
rilegati in maniera alquanto arbitraria e classificati in un indice sommario:
si tratta di carte che G. aveva con sé al momento della morte, riguardanti i
frammenti miscellanei, appunti ed estratti di lavoro, e gli autografi delle
opere più tardive, pubblicate postume. Alla stessa biblioteca sono anche
pervenute una parte della biblioteca personale di G. (il cui principale nucleo
fu peraltro venduto all'incanto dopo la sua morte), poche decine di sue lettere
autografe e circa 2500 lettere di corrispondenti, il cui indice è stato
pubblicato col titolo Le carte giobertiane della Bibl. civica di Torino da G.
Balsamo Crivelli, al quale risale anche La fortuna postuma delle carte e dei
manoscritti di V. G. ora depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il
Risorgimento italiano; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui
manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino,
Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono conservati nella Bibl.
nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia del Risorgimento italiano
di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di Quattrocchi nel volume
Inediti del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma . L'Epistolario, a cura di
Gentile - Balsamo Crivelli, Firenze, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere
sono riprese, salvo rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. G.,
Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, Torino Il Piemonte. Lettere
di V. Gioberti e Pallavicino, a cura di B.E. Maineri, Milano ; D. Berti, Di V.
G. riformatore politico e ministro con sue lettere inedite a P. Riberi e G.
Baracco, Firenze; Lettere inedite di V. G. e saggio di una bibliografia
dell'epistolario, a cura di G. Gentile, Palermo ; Lettere di V. G. a Pinelli, a
cura di V. Cian, Torino; G. - Massari. Carteggio a cura di G. Balsamo Crivelli,
Torino; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A. Gambaro, in Levana. Un
numero cospicuo di lettere a G. è pubblicato col titolo di Carteggio di V. G., Roma
in un'edizione che comprende lettere di P.D. Pinelli (a cura di Cian), di I.
Petitti di Roreto (a cura di Colombo), di Baracco (a cura di Madaro), di
Bertinatti (a cura di Colombo), di "illustri italiani" e di
"illustri stranieri", a cura di L. Madaro. L'Edizione nazionale delle
opere edite e inedite, avviata con la riedizione dei Prolegomeni del Primato, a
cura di E. Castelli e affidata nel tempo a tre editori diversi, è giunta, con
il secondo tomo dei Pensieri numerati, a cura di G. Bonafede, Padova: comprende
ormai tutte le principali opere del G., pubblicate con criteri non omogenei.
Materiale giobertiano continua peraltro a venire alla luce: per es., Appunti
inediti di V. G. su Cartesio. La storia della filosofia, a cura di E. Bocca -
G. Tognon, Firenze. Le principali bibliografie giobertiane sono quelle di BRUERS
(si veda), G., Roma che comprende circa 1400 titoli, e di Talamo, in
Bibliografia dell'età del Risorgimentoin onore di Ghisalberti, I, Roma Tra le
voci enciclopediche: G., V., di G. Saitta, in Enc. Italiana; di L. Stefanini,
in Enc. Cattolica, VI; di Mazzantini, in Enc. Filosofica; di Traniello, in
Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, Per una sintesi delle
interpretazioni: Bonafede, G. e la critica, Palermo. Tra le opere più recenti:
Passerin d'Entrèves, Ideologie del Risorgimento, in Storia della letteratura
italiana (Garzanti), L'Ottocento, Milano Noce, Gentile e la poligonia giobertiana,
in Giornale critico della filosofia italiana, Derossi, La teorica giobertiana
del linguaggio come dono divino e il suo significato storico e speculativo,
Milano Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella
tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano Pignoloni, G. e
il pensiero moderno, in Rivista rosminiana, Le postume giobertiane nel giudizio
della critica, Martina, Pio Roma Vasale, L'ultimo G. fra politica e filosofia.
Appunti sulle origini ottocentesche dell'ideologia in Italia, in Storia e
politica Romeo, Cavour e il suo tempo, II, Roma-Bari Galimberti, G., Gentile,
Rosmini, in Giornale critico della filosofia italiana,Vasale, Riforma e
rivoluzione nel G. postumo, in Storia e politica, Rigobello, V. G., in
Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, a
cura di E. Coreth, I, Graz-Wien-Köln Salvia, Il moderatismo in Italia, in
Istituzioni e ideologie in Italia e in Germania tra le rivoluzioni, a cura di
U. Corsini - R. Lill, Bologna Traniello, La polemica G. - Taparelli sull'idea
di nazione e sul rapporto tra religione e nazionalità, in Id., Da G. a Moro.
Percorsi di una cultura politica, Milano Il cattolicesimo riformato di V. G.,
in Storia illustrata di Torino, a cura di V. Castronovo, Milano Romagnani, V.
G., Chiodo, Launay, Azeglio, Roma Vasale, Il significato del federalismo
giobertiano nella storia d'Italia, in Stato unitario e federalismo nel pensiero
cattolico del Risorgimento, a cura di G. Pellegrino, Stresa-Milazzo Pesce,
Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, TrevisoG. Rumi, G.,
Bologna Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G. Milano. La
sovrintelligenza. Concetto, METODO E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA. Dommatismo. COSTRUZIONE
DEL PRIMO TERMINE DELLA FORMOLA. L'Ente. Definizione del Primo. Distinzione del
Primo psicologico e del Primo ontologico. Il Primo filosofico. Caratteristica
del Primo filosofico giobertiano. Polemica contro SERBATI. Il Primo è l'Ente reale.
Cosa sia la realtà. G. non arriva a dirlo chiaramente. Difetto e pregio del suo
concetto della reallà. Del concreto: unità del positivo e del negativo. Deduzione
della realtà dell'Ente dal CONCETTO dell'Ente. Dal giudizio, “L’Ente è” non si
deduce la realtà del. L'intuito. O ľEnte Si contradice all'ontologismo. LA
CONOSCENZA La riflessione psicologica. La riflessione ontologica. LA PAROLA.
COSTRUZIONE DELLA FORMOLA IDEALE. Si confonde la realtà col puro essere Personificazione dell'Ente. Abbozzo della vera
via di dedurre la realtà dell'Ente. Realtà o SUSSISTENZA = intelligibilità o idealità.
G, non adempie questa esigenza. Relazione tra Ente ed Esistente. Processo a priori
e a posteriori. Causa ed Effetto. Prova dell'intuito. Identità dei due ordini, ontologico
e psicologico. Verità dell'atto creativo. L'intuito come prova dell'atto
creativo. Dommatismo. G., Platone, Schelling ed Hegel. Prove indirette
dell'intuito. Lo spirito è produzione di sè stesso. Intuito dell'intuito. Falso
concetto della libertà e necessitàd el pen.Conseguenze della dottrina
dell'intuito. Ontologismo e Psicologismo. Mancanza didialettica. L'intuito come
conoscenza dell'atto creativo. L'intuito immediato è la conoscenza empirica. Confusione
del primo pensabile edel primo conoscibile. Falso concetto del pensiero speculativo.
Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. COSTRUZIONE DEL SECONDO E
TERMINE DELLA FORMOLA. G. e Rosmini. Insussistenza delle ragioni recate da G.
per difendere il primo ordine come condizione del secondo. Il concetto
dell'infinito condizione del concelto del finito. Concetto dell'Ente condizione
del concetto dell'esistente. La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo
come cognizione non è che la scienza. Instanza di G.: concetto del Necessario e
del contingente. L'intuito dell'atto creativo è lo stesso processo a posteriori.
Il Noo. L'INTUITO SPECULATIVO O IL PENSIERO PURO. Prima prova dello Spinozismo giobertiano.
Identità e differenza tra Spinoza e G.. L'INTELLIGIBILITA'. Identità di creazione
e illustrazione. La vera imma. LA FORMOLA. Seconda prova. L’intuito. Contenuto dell'atto
creativo. Dio-Quantità. Caratteri dello Spinozismo: loro contradizione. Concetto
generale della differenza tra Spinoza e Gioberti. Anticipazione del concetto di
Dio come relazione assoluta. Confradizione. Doppio concetto dell'esistente e di
Dio. Dio Quantità. Lo spirito: contradizione. La vera dificoltà. Soluzione: Dio come SVILUPPO.
Prima di Kant e dopo Kant. nenza. Difetto dello Spinozismo. Doppia
intelligibilità delle cose. Difficoltà contro la immanenza nel sensibile. Paragone
della cognizione colla visione. Meccanismo nello spirito. Concetto dello
spirito del conoscere. Kant; l'empirismo. prova. siero. Confusione dell'lilea. Falso
Spinozismo. Dio semplice sostanza, non causa. Vero Spinozismo. Dio sostanza
causa e della rappresentazione. Relazione del pensiero puro coll'esperienza. Il
Noo passivo è il senso. L'Innatismo. IDELAE. SPINOZISMO. Forma dell'atto creativo:
meccanismo. DIFFERENZA TRA G. E SPINOZA. Intelligibile assoluto. Intelligibile
relativo. Fondamento della soluzione del problema G. riunisce i due difetti. Risposta
alla difficoltà precedente, e vero concetto dell'intelligibile relativo. COGNIZIONE
DELLA REALTÀ DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA
FORMOLA. PASSAGGIO AL MISTICISMO. COGNIZIONE DELLA REALTA' DE' CORPI.Gioberti
non ammette la prova, ma l'inluito della realtà dei corpi. Ragioni del realismo.
Necessità di un principio superiore: cos'è. Galluppi: criticato da G. Certezza
e verità. Fede e Scienza. Certezza e vedenza metafisica, efisica. Critica.
Origine delle idee. precedenti, especialmente di Rosmini. La generazio La
dipendenza logica. Distinzione del Sovrintelligibile e dell'Intelligibile. Significato
e conseguenza di questa distinzione. Ragionee So Idealismo e Realismo
(imperfetti): idealismo assoluto; certezza ed evidenza. Ragioni dell'idealismo;
e suo difetto. SERBATI. Significato generale della questione. Critica de’ filosofi.
Distinzione de’ concetti in assoluti e relativi. Rità del mondo. Dottrina
propria di G. sulla cognizione de'corpi; e certezza ed evidenza di questa
cognizione. Significato e difficoltà del problema. Soluzione: l'Individuazione (creazione:
creare è individuare). G. pone bene il problema, ma non lo risolve. Anzi fa impossibile
ogni soluzione. Inconoscibilità dell'atto creativo nella sua essenza. Perplessità
di G. Critica. Certezza della cognizione de’ corpi. Distinzione della certezza
in fisica e metafisica. L'EVIDENZA come fondamento della CERTEZZA in generale. Evi
ne ideale. Analisi e sintesi. La produzione ideale giobertiana: attività
sintetica originaria. Critica di questa dottrina vra ragione. Ente ed
Essenza. Dipendenza logica e generazione. Contradizioni. Doppio
sovrintelligibile: Unità delle determinazioni razionali, e Trinità divina. L'ldea
come pura ragione o unità delle determinazioni razionali. Moltiplicilà astratta
e unità astratta. Pura sintesi o dipendenza logica, e pura analisi. Vera unità:
unità della sintesi e dell'analisi; la moltiplicità come momento
dell'unità;unità- processo assoluto. La relazione del concetto relativo
coll'Ente. Creazione. Due ipotesi: generazione, e creazione. Risultato. Assurdità
dell'atto creativo come punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente. La
creazione è l'autogenesi dello spirito. La creazione è in sè generazione.
Conseguenze di questa dottrina. Risultato generale deila dottrina di G. sulla
produzione ideale. Passaggio al Misticismo. ELENCO di saggi di G. possedute
dalla Biblioteca di Torino. De Deo et naturali religione, de antiquo foedere,
etc. Taurini, Bianco. Teorica del sovrannaturale. Torino, Ferrerò e Franco. Accresciuta
d’un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico.
Capolago, Elvetica. Degl’errori filosofici di SERBATI. Capolago, Elvetica. Del primato morale e civile degl’Italiani.
Brusselle, Meline. Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal
Prefetto della Biblioteca. Carta. Capolago, Elvetica, Prolegomeni del
primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline; Introduzione allo studio
della filosofia. Brusselle, Hayez. Considerazioni sopra le dottrine religiose
di Cousin. Brusselle, Meline. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, Torino,
Fontana, Capolago, Elvetica, Apologia del saggio intitolato « Il Gesuita
moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento italiano, Paris, Renouard.
Del Buono, Capolago, Elvetica. Del Bello. Firenze, Bucci; Allocuzione di un
filosofo a Pio IX. Torino; Discorso pronunziato nell’adunanza generale per
l’apertura del Congresso nazionale federativo nel Teatro Nazionale. Torino, G. Pombae;
I due programmi del Ministero Sostegno. Torino, Fontana; Anti-Primato papale e
l’automatismo romano distrutto dal Vangeloe dai Santi Padri, Torino. Lettre sur les doctrines
philosophiques et Politiques de Lamennais. Capolago, Elvetica. Del rinnovamento civile d’Italia, Paris, Crapelet; Operette
politiche, Documenti della guerra santa d’Italia, Capolago, Elvetica; Preambolo
dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Martinet; Risposta a Rattazzi. Sopra
alcune avvertenze di Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco;
Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di Massari. Torino, Botta;
Pensieri e giudizi sulla filosofia italiana, raccolti ed ordinati da Ugolini.
Firenze, Barbèra; Della protologia, Massari. Torino, Botta; Profezie politiche
intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino; Pensieri, Miscellanee.
Torino, Botta; Ricordi biografici e carteggio, raccolti per cura di Massari.
Torino, Botta; Studi filologici desunti da manoscritti di lui autografi ed
mediti fatti di pubblica ragione per cura di Fissore, Torino,Tip. Torinese; Una
lettera a ROVERE, pubblicata da Giovanni, Roma, Tip.delle Terme, di a. Balbi; Lettera
sugli errori politico-religiosi di Lamennais. G e Bruno. Due lettere inedite,
pubblicate da Molineri.Torino, L.Kourt; G.e Pallavicino. Lettere per cura di
Maineri, Piemonte, Milano, Rechiedei; METAFISICA ONTOLOGIA Dell'Ente come
concreto e reale. Dell'Ente, come astratto ed ideale, Dell'atto creativo. TEOLOGIA RAZIONALE
velazione e della Civiltà colla Reli . Primo Storico Del tempo e dello spazio.
Delle convenienze della ragione colla R i COSMOLOGIA LOGICA fato, della fortuna
e del destino, dell'accidente e della necessità. Della sovrintelligenza e del
desiderio Della definizione e della
divisione. Del metodo. gressisti. Della volontà umana. Delle facoltà dello spirito
umano. Del raziocinio e delle sue forme esteriori. Dell'arte critica. Ciclo
generativo e Cosmogonico Della forza cosmica.. DELLA PROPRIETA DELLE PAROLE. Delle
proprietà dell'uomo . Dei giudiziie delle proposizioni. Prima di esporre la filosofia acroamatica si
compie il ritratto della vita dell'autore. G. si ritira nella vitaprivata- come
ei parla disè stesso cerca di rompere ogni legame non pure col Governo, ma cogl
iuomini come sostiene la vita – la povertà di lui dà occasione ad un atto generoso
di SERBATI — per tenersi pronto a stampare alcuna opera utile all'Italia non
vuole dettare un Discorso su ALFIERI quali
erano i casi improvisi che poteano indurlo a stampare perchè opina più probabile che la repubblica
francese non cadesse concetto che egli ha
di Luigi Napoleone -- in che fu fal laceilsuo giudizio sulla Francia— nella metà
del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento di questo saggio : sua convenienza
e differenza col Primato– censura tutti e tutto coll'intendimento che fa e cia
pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi municipali - pole micaconesi—
morte del Pinelli—si bruciano le copie del'opuscolo Ultima replica ai municipali—
l'autore lascia la politica e ri volge il suo animo tutto al le opere nuove da
pubblicare — forse la troppatensione di mente gli nocque- morte improvisa e dolore
universale— quanto danno fu alla scienza e alla religione– vocazione di Gioberti
no nmancata per la morte intempestiva— le opere postume– quando furono scritte prima
o dopo il 48?- il concetto e il titolo
di esse furon suggerito dalle circostanze o ne sono indipendenti? Tutto ciò che
ora è stampato appartenev a ad esse secondo l'intendimento dell'autore? -quale
fu quest intendimento? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio e
imateriali delle opere che voleva dare ala luce- il disegno però v'apparisce: qual
'è desso?- ragioni che rendono difficile a cogliere la connessione e la
verita della dottrina contenuta nei detti scritti apparente antinomia di cssa
dottrina -come ho proceduto io per afferrarne l'unità e la germana intenzione in
qual formamison risoluto di esporla- fu bene che il Massari curasse la pubblicazione
di essiscritti– potevano però esser emeglio ordinati da riuscire piùi ntelligibili–LA
DOTTRINA DI G. E PIU DIFFICILE DI QUELLA DI HEGEL. La filosofia ACROAMATICA non
è contraddittoria all'essoterica, ma solo tanto diversa - nesso tra l'una e
l'altra — differenze della cognizione diretta o spontanea di SERBATI e COUSIN dal
pensiero immanente di G. Doppio stato del pensiero umano caratteri dello stato riflessivo
e dello stato immanente– l'intuito dell'ente differisce da quello
dell'esistente in che consiste la
strellezza speciale dell'ente intelligibile col pensiero immanente -come l'attività
dello spirito coesiste coll'Ente senza che questo sia subbiettivato condizioni
proprie dello stato immanente - si rimuove una obbiezione dell'attività umana
suo doppio stato e differenze dell'uno stato dal l'altro- - della
personalità la penetrazione del pensiero
nello stato immanente è diversa dalla compenetrazione dello stato successivo
triplice proprietà del pensiero immanente analoga a tre momenti dell'ente- lo spirito
sebbene una persona nel pensiero immanente non subbicttivizza la cognizione -
l'ordine psicologico è proprio della riflessione: suo fondamento ontologico–
anche proprio della riflessione è l'ordine cronologico - che fa il tempo --
onde nasce il ripiegamento della intuizione sovra se stessa— falso modo
d'intendere la visione ideale che è la vita anteriore descritta da Platone nel Fe
d r o - difficoltà di cogliere il pensiero immanente -la distinzione ben nella della
intuizione dalla riflessione corregge la dottrina platonica - obiezione di
Grote - come vi si risponde - - dei giudizii – doppio giudizio obiettivo- lo spirito
esce dallo stato immanente coll'affermare egli l'Ente- come si afferra il pensicro
immanente- del modo come possediamo le idee - le quali nascono per via di disgregazione,
non di generazione— dei giudizii analitici e sintetici- si chiarisce un dubbio-del
raziocinio della filosofia: sua definizione—FILOSOFIA PRIMA -- Qual'è – cf. H.
P. GRICE, “FIRST PHILOSOPHY” -- ;sua distinzione dall'ontologia -obiezione
contro la Protologia: risposta -della circuminsessione dei veri: sua radice
-criterio del vero - onde nasce l'evidenza e la certezza scientifica che è un siste m a scientifico - in che senso
i principii dipendono e sono illustrati dalle conseguenze — le une non sono
affatto eguali in valore agli altri-- dell'ipotesi, de i postulati, ed egli assiomi-
se i principii sono astratti, onde si trae la concretezza, senza di che la
scienza non avrebbe valore?- Il Primo della scienza è la Formola ideale -- come
si prova che è il Primo - mutua collegazione e dipendenza delle verità
secondarie e primato relativo della formola -- l'unità scientifica deve salire
e fondamentarsi nell'unità ideale trasparente all'intuito - il processo non fa
la scienza perfetta - questa risulta dalla intima unione della cognizione riflessiva
colla intuitiva -- dell'Ultimo della scienza – LA PAROLA è IL PASSAGIO DAL
PENSIERO IMMANENTE AL SUCCESSIVO -- onde si cava LA NECESSITA DELLA PAROLA PER
L’USO DEL PENSIERO RIFLESSO – ORIGINE DEL LINGUAGGIO. Tre opinioni sentenza dell'aulo
re- come può dirsi che il segno del *linguaggio* è unito al'Idea unità della
dottrina di G. su questa materia . DOTTRINA DELL'ENTE Come l'unità e semplicità
di Dio si accorda colla moltiplicità degl’attributi - dell'unione dei
contraddittorii in Dio - - trasformazione dialettica dei divini attributi—
Hegel contuttii panteisti confonde il processo psicologico col'ontologico-l'antropomorfismo
é opera del l'imaginazionenon della ragione della futurizione divina -Iddio è
insieme sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come conosciamo l'Assoluto?
Dio è personale: obiezioni, risposte— Dio produttività infinita-la potenzialità
e l'attualità sono diverse in Dio e nelle creature- Dio è libero e necessario-
è buono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel pensiero immanente,
dimostrativa pel DOTTRINA DELLA CREAZIONE L'idea di creazione porta seco per
due rispetti l'idea di nulla—delcan successivo- la prova dimostrativa migliore traggesi
dalla nozione dell'infinito- processo protologico ed esplicativo delle attribuzioni
dell'Ente - attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'infinito; onden'abbiamo
l'idea- è determinato; ma s'intendenon si comprende della presunzione divina
dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie rislessive: i panteisti
frantendono l'idea dell'infinito - assurdità dell'infinito nunerico -
distinzione dell'infinito possibile o potenziale dall'attuale - due infiniti:
il relativo e l'assoluto dell'infinito aritmetico monadico. giamento l'atlo creativo
è uno in sè anche nell'estrinseco é perfetto- puossi considerare per tre rispetti
come infinito– l'infinità potenziale del finito suppone il possesso attuale, benchè
finito, del l'infinità attuale- in che consiste siffatto possesso— l'atto creativo
interviene in tutto — è causa che l'unità dell'Idea si sparpaglia in molte idee
i generi sono vari- la varietà specifica
delle cose deriva dalla maggiore o minore intensità dell'atto creativo zione è divisione e moltiplicazione- rispetto
all'esistente l'attocreativo è sintetico e analitico - differenza della
causalità finita dall'in finita- che è IL CRONOTOPO – (STRAWSON, INDIVIDUALS,
chrono-topoical continunity -- sua unità- come dall'unità dell'istante e del punto
si biforca il tempo e lo spazio— l'intervallo è uno- genesi del cronotopo –
doppio valore delpunto e dell'istante- dell'in ternità e dell'esternità-
l'unità del continuo si rappresenta in ordine lo spazio e il tempo hanno un centro
al discreto sotto tre aspetti del passato, sintesi del continuo e del discreto
nei modi del tempo -- del presente e del futuro- l'eternità non cresce doppio continuo, attuale e potenziale
-infinitazione del cronotopo- in che senso il mondo è eterno - ogni epoca e
stato mondiale è una palingenesi a verso il passato, e una creazione verso l’avvenire
- il cronotopo e l'universo infiniti sono reali come intelligibili– l'indivisibilità del cronotopo dal pensiero
colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea
DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbon si dire sull'esistente- questo somiglia all'ente
pereffetto della creazione- in che consiste l'impronta dell'ente che porta in sè
l'esistente diverso senso dato dall'autore alle voci METESSI (PARTICIPAZIONE) e
mimesi quale è il senso che in quest'opera si dà alla prima -- distinzione
della potenzae dell'atto- metessi O PARTICIPAZIONE potenziale,intermedia,eattuale
l a mimesi - essenziale alle forze create è il concreare e il generare: prove-
carattere del primo momento dello sviluppo dinamico – due Difficoltà di esporre la materia- nesso delle
cose dette con quelle che ritàe esteriorità del pensiero umano irrazionalità del
vero nella sua concretezza come il
pensiero umano conosce il continuo - l'immanenza dell'eterno dato ci dal pensiero—
l'estensione e la DURATA esprimono i limiti dell'esistente Dialettica; il diverso, la dualità, la moltiplicità
appartengono all'essenza della creazione in che versa la dialettica e onde trae
il nome due dialettiche: reale e ideale che forma il moto o vita dialettica- la
dialettica consta di due momenti, sebbene sembra che consti di tre- gli eterogenei,
cioè i diversi ed opposti,non sono contraddittorii--- differenza della
eterogeneità dalla contraddizione secondo un certo rispetto l'eterogeneità è in
Dio- l'opposizione riguarda il negativo delle cose- il contrapposto è diverso dall'opposizione-
gli eterogenei importano gli omogenei e viceversa- che è il terzo armonico o dialettico
come mai il conflitto dialettico pruduce l'armonia — nell'unione dell'omogeneo
ed eterogeneo quale prevale ciò che è l'opposto in natura è l'antinomia nella scienza–
della antinomia reale e dell'apparente– della guerra- la polemica è la guerra nell'ordine
delpensiero- dello scetticismo - lo scetticismo obbiettivo non è sofistico -che
sono l'errore e la colpa - due periodi distinti della storia della filosofia -
- -divisione e riunione è ilprocesso universale e dialettico- diversità di processo
della dialettica dell'Ente e di quella dell'esistente della SCHEMATOLOGIA -- della
sofistica - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia
mediante la mediazione dell'infinito. cicli della virtù concreativa delle
esistenze realtà d'una intelligibilità relativa- il sensibile è la fuga dell'intelligibile
relativo da sèstesso, la sua moltiplicazione, diversificazione e rottura- prove
causa per cuil'intelligibile creato si manifesta come solo sensibile negli ordini
del tempo differenza della nostra dottrina da quella dei sensisti nozioni che racchiude l'idea del sensibile-
la successiva distruzione e rinnovazione delle forme sensibili è il nisus di esso
a diventare intelligibili- il sensibile consiste essenzialmente nella relazione
tra l'uomo intelligente e la natura intelligibile - del sensibile interno ed
esterno - se il sensibile può o no conoscersi- si chiarisce il significato della
parola “sensibile” -- il sensibile schietto
non si può pensare- prova che la sensazione non è la cognizione- qual'è l'oggetto
della cognizione del sensibile - come si risolve l’antinomia apparente di trovare
inescogitabile il sensibile e pure poterlo pensare la dottrina nostra è la
sintesi delle diverse dottrine precedenti Galluppi, Rosmini, Platone- nella dottrina
di G. non bisogna confondere l'intelligibile assoluto, l'intelligibile relativo
e il sensibile- la teorica dell'intelligibile relativo non annienta il sovrintelligibile
— si vien divisando più particolarmente la mimesi—mimesi prevalente-esteriorità,
apparenza, fenomeno, conflitto, passaggio, metamorfosi -la gerarchia mimetica degli
enti consiste nella varietà dei gradi conativi-si notano i principali
dellaluce- la maggiore intelligibilità nella natura corporea si manifesta
mediante la finalità, dell'uomo; il corpo, chi lo forma —del sonno e dei sogni—l'istinto
l'anima e il corpo in parte diversi, in parte uni - doppio stato della vita; latente
e manifesta— due vite dell'uomo- delle passioni: la gloria, la malinconia, LA
NOIA – facoltà dell'animo: il senso, l'imaginazione, la memoria, la ragione— le scoperte e i trovati appartengono allo
sviluppo metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo spirito creato è
l'anima del mondo, lo spirito umano è l'anima della lerra- gl'intelligibili intelligenti
relativi non sono già dello steso genere due specie di mentalità -che è il pensiero-
in che si fonda l'identità del mondo- metessi prevalente: sua definizione- doppia
unità, la divina dell'atto creativo, e l'unità metessica e concreativa della relazione;
essa sovrasta a i termini che la costituiscono - due relazioni--natura speciale
della relazione che corre tra l'Ente e l'esi Del progresso: che n'è il
tipo e il principio – il progresso considerato stente— l'azione finita è
reciproca, quindi inseparabile dalla passione: l'unità loro è la relazione, la relazione
infinita è una m la relazione è il verace assoluto che rappresenta la relazione
essa è l'appicco del finito coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le
relazioni sono nelle cose, e non solo nello spirito nostro, e nella mente
divina -- falsità della dottrina di Hegel che pone l'assoluto e il concreto
nelle sole relazioni - la specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea
specifica- metessicamente non si distingue il tutto dalle parti- come
raffigurarci la concretezza della potenza – delle contagioni morali e materiali-
l'armonia della mimesi erumpe sempre e risiede sostanzialmente nella metessi iniziale
diversità della metessi mimetica dalla finale -dell'implicazione e
dell'internità delle cose- qual'è il progress ometessico- v'è una permanenza
metessica di ciò che passa mimeticamente- Idea, metessie mimesi – il passaggio della
mimesi è creazione e annientamente- accordo di due opinioni opposte- tre condizioni
mondiali vanità delle cose umane in quanto passano e si annullano- della dottrina
di Protagora- scienza mimetica e metessica Come mai il reale può rassomigliarsi
all'ideale? Come mai il finito, il relativo e contingente può rassomigliare il necessario,
l'assoluto l'infinito? Come mai le cose materiali possono rassomigliare il
pensiero? in riguardo alla metessi iniziale, alla mimesi, e alla metessi linale
la mimesi è progressiva nei particolari, solo regressiva nel generale- il regresso
è legge del progresso– l'andamento cosmico si alterna di progressi e di
regressi— la vita è la sintesi e il dialettismo del progresso e del regresso ma
conferma di ciò si trova nell'esame dell'uomo, della religione, dell'arte e della
scienza il progresso quando è passato
diventa regresso - accordo dei progressisti e dei regressisti- della periodicità–
è circolare e regressiva di sua natura ha luogo nelle parti dell'universo, non nel
tutto - la forza rallentatrice necessaria alla società come alla natura se il progresso
sia reale o apparente --- la periodicità perfetta è sola apparente - corso
migliorativo di tutto l'universo- il progresso nasce dall'intreccio del tempo collo
spazio- Individuo (cf. P. F. STRAAWSON, INDIVIDUAL) e genere—processo estrinseco
dell'atto creativo l'evoluzione è nelle idee, nella metessi, non già nell'Idea—
che cosa è la generazione- essenziale alla
generazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto- la
generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle cose, e appartiene
alla mimesi – della SESSUALITA—dov'è il principio generativo se nello SPERMA o
nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità riscontrata colla dialettica
della femminilità e della VIRILITA –del conjugio — dell'individuo compiuto e in
che consiste la sua essenza e valore -- l'individuo e l'Idea sono nell'ordine
attuale i due estremi della realtà— influenza del pensiero negli effetti della generazione
la generazione e la nutrizione sono le principali azioni tanto del corpo quanto
dello spirito— altre consonanze tra il corpo e l'anima - del psicologismo e
dell'ontologismo - come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del
genere coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito
dinanzi alle masse - che cosa è la plebe- relazione dell'ingegno colla moltitudine
-come può affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amore,
dov'è il suo tipo, e quale n'èl'essenza - l'a more assoluto e infinito è
l'identità --ch'è l'amore rispetto all'esistente nello stato mimetico
dell'amore attivoe del passivo- del puro e corrollo cagione dello scisma tra
l'amor del cuore e quello dei sensi che
è l'ideale dell'amore – del maritaggio- del divorzio– l'amore corro tra i dissimili
armonici- universalità dell'amore—parentela dell'amore col Bello e col Buono del
Belo—origine del male- due morale, particolare e universale – ottimismo
relativo non assoluto - il mal morale è impossibile nell'etica divina e
universale l'antinomia apparente della
natura seco stessa si risolve mediante la necessità de gli ordini
--contraddizione della natura nello stato presente --dell'infelicità umana scopo
della vita terrestre-- della virtùe della libertà umana— l'uomo è potenzialmente
onni specie, può salire escendere nella gerarchia cosmica - la giustizia
cosmica procede per ragione geometrica - dell'abito- è verso l'anima ciò che
l'accrescimento e la nutrizione
verso il corpo la virtù è sforzo, è la
trasformazione della mimesi inmetessi -ed il sagrifizio dell'individuo alla specie-
La Società ha un fondamento metessico e
ideale e logico- la polizia è una metessi iniziale - la polizia dell'uomo
comincia coi primi principii della sua vita— individualità e polizia
principiano e crescono di conserva—unità dinamiche della nostra specie–
divisione del genere umano in generiche e specifiche – della nazionalità naturale
e artificiale- la misura dell'ampliazione dell'unità è il termometro della
civiltà- doppia unificazione dei popoli --autorità morale— il potere sovrano è fontalmente l'Idea—
formazione primordiale della società- unità progressiva dei vari ceti dellas ocietà—
della plebe e del l'ingegno - intento della riforma politica moderna - nel
mondo tutto è ordinato allo svolgimento del pensiero— ciò che accade ora in Europa
è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in Grecia della demagogia: dominio
della Russia unità sovrannazionale-
unità intermedia tra la sovrannazionale e la nazionale l'egemonia moderna dove risiede
-del Primato, assoluto e relativo- alcuni titoli del primato italiano il Cielo
che rappresenta alla mente umana - della causa e dell'effetto negli ordini
finiti- attinenza della terra col cielo - i vari mondi fanno un solo universo -
il mondo non è solo un aggregato, ma un aggregante - da che è prodotto
l'individualità nei corpi- gerarchia degli esseri della NUIDITA -il principio e
il fine si somigliano e differiscono - della materia in astratto e in concreto –
la potenza generativa essenziale a ogni forza creata- della preesistenza dei germi
della legge centripeta inorganogenia- il centrfugismo non è la stessa cosa
dell'ipotesi della preesistenza dei germi la forza primitiva quando erumpe nell'atto
comincia colla dualità o colla moltiplicità?- gradi della forza creata universalmente-
dei cinque gran regni della natura della mutazione delle specie- sunto della dottrina
dell'autore- due leggi dell'esistente: legge di eterogeneità, e legge di omogeneità
della polarità infinito numerico solo possibile nello stato di metessi - due
soluzioni di esso - infinito aritmetico monadico - l'infinito è il sovrannaturale-
due errori sul mondo dell'ottimismo infinità potenziale della creatura -delf u
infinito e del sarà infinito. CICLO CREATIVO Palingenesia Del secondo
ciclo creativo; ritorno del'esistente al l'ente – è solo per approssimazione --
la creazione non ebbe prima, perchè fu un Pri il secondo ciclo creativo è umano
e divino- come il principio e il fine sono finiti e infiniti -che cosa è
specificatamente la palingenesia come siam certi che esiste– la palingenesia èo
bietiva e subiettiva, cosmica e individuale del progresso relativo e del
progresso assoluto delle cose come si dee intendere che lo stato palingenesiaco
sia mentalità pura della morte– dell'immortalità
l'esistenza e inamissibile- la morteè un
salto e grado secondo che si guarda il discreto o il continuo futurità particolare del l'anima la
palingenesia consiste nell'acquistare la coscienza che non si ha- è il colmo della
coscienza due presunzioni dell’infinito potenziale– del libero arbitrio- il processo
palingenesiaco è un processo generativo- due metamorfosi: mondane e oltramondane–
obiezione contro la realtà della palingenesia: risposta– ignoriamo l'avvenire–
ha anche una base nell'esperienza nella palingenesia l'internità sarà esternata-
di varioe rassomiglianza tra la cosmogonia e la palingenesia- in che senso la negazione
dell'immortalità umana è vera - unità dello stato palingenesiaco –
comunicazione dell'intelligenza e dell'amore coll'infinito della felicità e
beatitudine assoluta- l'uomo nella palingenesia opera- idea del progresso palingenesiaco–
lar ivelazione palingenesiaca non escluderà ogni elemento misterioso. RELAZIONE
DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE. G. prima cerca verificare psicologicamente
l'idea di mistero poi si propose dimostrarla ontologicamente infine porgerne una
prova universalee protologica- la metessi è il sovrannaturale- unione
dialettica del naturale e sovrannaturale nell'atto creatico il sovrannaturale è universale; è nel principio
nel mezzo e nel fiue la natura senza la sovrannatura è in contraddizione seco
stessa- la dottrina del nostro autore toglie l'opposizione tra il naturalismo e
il sovrannaturalismo esagerati il sovrannaturale dell'ordine attuale è la
metessi anticipata nel seno della mimesi -nel sovrannaturale e nel sovrintelligibile
v'ha un elemento naturale e intelligibile due specie di sovrannaturale
differenza tra ilsovrannaturale e l'oltrenaturale –idea della religione- religione
perfetta è la rivelata la rivelazione è l'apice della cognizione- necessaria ad
accordare la riflessione coll'intuito due rivelazioni- la rivelazione immanente
è virtuale la potenza primitiva delle due rivelazioni è l'intuito- la
rivelazione sovrannaturale spiega le potenze dell'intuito rimase infeconde per manco
di parola acconcia- la rivelazione esteriore diviene interiore- tre conseguenze
importanti- intento di G. nel suo sistema la ragione e la fede entrano l'una
nell'altra l'idea del l'infinito è il vincolo
tra il sovrintelligibile e l'intelligibile- essenza del mistero: misteri teologici,
antropologici, e teoantropologici- i misteri rivelati non sono effetto, ma
principio di ragione- esempi della fecondità razionale dei misteri rivelati- il mistero pertiene alla ragione e la supera
ad un tempo tre membri della formola,
tre essenze, tre misteri- vera dottrina di G.- nella vita terrena il
sovrintelligibile non diventa mai intelligibile- il vero sovrintelligibile non iscema-
del miracolo: se si pensa, è possibile- che cosa è il miracolo- ogni prodigio importa
un fatto obbiettivo e un fatto subbiettivo—il miracolo e la disposizione e attitudine
a crederlo si corrispondono nell'unità metessica- il fatto miracoloso non è nel
cosmo, ma nella palingenesia- i miracoli decrescono la natura (mimesi) e mito e
simbolo del sovrannaturale (metessi, palingenesia) il cristianesimo importa un
nuovo atto creativo, ciò come avviene? - perchè si tralasciano di esporre partitamente
i dogmi religiosi attinenze della rivelazione colla scienza, e della religione
colla filosofia Perchè mi son risoluto a
tessere questa conclusione il lettore non ricordando più le cose lette negli
altri volumi non avrebbe potuto giudicare quest'ultimo - m'è piaciuto altresi di
dare uno sguardo su tutto ciò da me pensato e scritto— occasione dell'opera-
carattere de la maggior parte degli’ Hegeliani—come è deltato il saggio di
SPAVENTAsulla filosofia di G.- le mie Considerazioni— sui aspramente ripreso-
soliloquio- nei primi volumi mostra iun po’ di risentimento - l'esposizione
della seconda parte si fa con modi dicevoli alla scienza- che cosa mi ha fatto perseverare
lungamente in questa opera, perchè l'idea di essa non si era prima incarnata
l'Italia alla stregua della filosofia dominante oltre alpi perchè era noma la
terra dei morti lotta interiore della filosofia di G. ragione del suo tardi
stampare la lotta cessa: creazione d'una dottrina la cui pellegrinità sta nel nesso
della religione collafilosofia -per anni secostesso esamina la bontà e v rità
del sistema tre stadi del suo processo intellettuale le nazioni coesistono insieme
csigiovano scambievolmente la nuova vita d'Italia necessaria al progresso umano-
ciò che hanno compiuto nel mondo i francesi e i tedeschi difetto della civiltà
da essi prodotta scopo della rinascenza italicacarattere della vitai taliana d’ALFIERI
a G. nel quale ciòche era virtuale e astratto diviene concreto e effettivo chiude une poca e necomincia un'al tra -
medesimezza dell'idea individuale che costituisce l'eccellenza di G. coll'idea
sostanziale che costituisce il genio nuovo nazionale - rifà in sè tutto il
processo anteriore dello spirito umano quando acquistò il suo spirito intera
coscienza di se medesimo stima che i concetti nati gli in mente erano stati
indirizzali ad un alto line dalla Provvidenza si apparecchia ad eseguire il disegno divino-
moto dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divulgare la sua
dottrina e farla fruttare si mostrasse tradizionale e novatore ad un tempo
procedette per l'antagonismo degli estremi permeglio far spiccare l'armonia del
mezzo dissimula una parte del suo pensiero -- la filosofia la religione e la
nazionalità italica sono unite e connesse subbiettivamente e
obbiettivamente mosse dal l'idea al fatto, dai principi al metodo di
esposizione -carattere delle opere essoteriche e delle acroamatiche- G. possede
una dottrina ben divisata e armonica, di cui avea piena consapevolezza ciò sine
gada i critici- si discute la loro sentenza -si giunge ad una conclusione lutta
opposto alla loro con solo l'esame dei fatti -- si cerca allrcsi la dottrina
intrinsecamente e logicamente e si ha lo stesso risultamento, perché quasi tutti
i critici han franteso trina di G.- il medesimo ladot è accaduto a Spaventa qua
l'è il concetto nuovo ch'ioneporgo esso è stato ignoto fin'ora; nelle scuole
d'Italia s'è insegnato solo la parte essoterica di questa è contrapposto l'Hegelianismo
venuto il tempo che si studia e colliva la parte acroamatica che contenendo la
sintesi ed armonia di questo e di quella, del presente e del passato apre la
via alla speculazione avvenire nella controversia intorno a G. bisogna separare
la tesi storica dalla filosofica caratteri che distinguono, la dottrina di G.
da quella di Hegel, e il moto civile d'Italia da quello di Germania solo l'Italia
ha oggi una vera missione storica, il cuide lineamento trovasi degli scritti del
torinese riscontri tra le parti in cui fu divisa la dottrina c i vari periodi
del rinnova - mentonazionale– come l'egemonia piemontese ha prodotto i suoi
frutti, così li produrrà il primato il primato è tutt'uno colla rinovazione del
pensiero italiano- ogni nazione ha da natura un sito intellettivo che dee
cavare dal suo l'Italia oggetto della scienza sulura l'idealità infinita– riforma religiosa c nuovavita del cattolicismo
- senza una filosofia e teologia infinitesimale ogni ristorazione religiosa è indarno-
prova il recente moto di Germania Döllinger
non ha ragione di biasimare gli italiani- i vecchi cattolici sono
oppostosofistico dei Gesuiti quindi continuano la sofisticare li giosa che
travaglia la nostra età- diseltano d'una teologia veramente nuova e
proporzionata al bisogno- mentre coi loro ciechi colpi con tro il papismo
gesuitico ne han mostrato più che mai la necessità senza di quella non si può
distinguere l'essenziale dall'accessorio nella religione, nè accordare il divino
coll'umano-carattere della nuova teologia- modo come dee procedere la riforma cattolica-
l'entratura di essa appartiene al laicato, e in ispezieltà all'italiano così la
gerarchia non sarà annientata, nè scossa, ma condotta a riformarsi da sè— il molo
italico ristabilirà perfezionata l'unità morale e civile d'Europa esso perciò è
indirizzato ad una meta più alta di quella a cui è giunta la Germania i forestieri malintendonoe mal giudicano
l'Italia. In parte ne han colpa i fautori della coltura tedesca -ragione dell'imitazione
tedesca tra noi deve cessare e dar luogo alla produzione paesana nell'ordine
dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni. La teorica della conoscenza nel G.
Esposizione e critica. In uno degli ultimi scritti, certo l’ultimo saggio filosofico, pubblicato
pochi mesi prima di chiudere la sua lunga e intensa operosità, SERBATI,
discorrendo della necessità speculativa di tener distinta nell' essere la
forma ideale dalla reale, usce in queste solenni parole. L'esperienza tuttavia e la storia della
filosofìa dimostrano, che e' è una somma diffcoltà a distinguere e
mantenere costantenftnte distinta nella mente la forma ideale ed
obbiettiva dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò non ha
guati la prova quel facondo e immaginoso scrittore che diede a me biasimo
e mala voce d'aver proposta e stabilita una tale distinzione, dettando
tre volumi col titolo de' miei errori. Laonde con tutto lo zelo e la
fidanza egli si pose di contro a me, quasi abbarrandomi il passo, e si
dichiarò perfetto realista: incolpando gli stessi scolastici realisti, di
non essere stati tali abbastanza, ec- cetto alcuni pochi. Ma pace a
quell'anima ardente: e torniamo alla storia *),. Si sa che gli
avvenimenti politici del quarant' otto avevano rav- vicinato i due grandi
avversar], smorzato perfin le ire implacate e sospettose del torinese,
che faceva pubblica ammenda della vivacità frequente delle sue polemiche,
dichiarando che, appena conosciuto di persona Rosmini, aveva cominciato
anche lui " a venerare) RoiKiNi, Ariat. esposto ed esaminato, Torino, pre&z. La prefazione di quest'opera
postuma era Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao nella Riviìta
contemporanea di Torino, au, ir, egenoaio;
riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo, Rosmini e CHoberH con tutta
Italia tanta sapienza e tanta virtù, ^). — Quanto a Rosmini, benché l' animo
suo non si fosse mai inasprito, i fatti lo conciliarono di più con G., e non è
questo il luogo dì ricordare le belle prove da lui date de' suoi
sentimenti verso il filosofo esule per la seconda volta '), e poi quando
fa morto, e quando prima ha a Gaeta a difenderne calorosamente la
fama a l' ing^no contro le insinuazioni e le malignazioni d' un gran
gesuita ^). Ebbene, tutto ciò e il tempo corso in mezzo e il cammino
in- tanto fatto nella scienza, non lo rimossero fino al termine,
come s' è visto dall' ultimo suo scritto dianzi citato, dalla posizione
già tenuta di contro alG.. E questi, dal canto suo, ìn quel di-
scorso che premise alla seconda edizione della sua Teorica del
sovrannaturale, e che si può considerare come Y ultima sua scrit- tura di
genere puramente filosofico, rimaneva anche lui al suo posto, nonostante
l' om^gio quivi reso alle virtù e alla sapienza dell' avversarlo; poiché
scrìveva: *U SERBATI ed io siamo d'accordo nel recare alla riflessione la
possibilità dell'errore, e il suo rimedio all'intuito che la precede. Ma
dissentiamo intorno al contenuto di tale intuito ; il quale al parere
dell' illustre Roveretano, non ci poi^e che un ente astratto, iniziale,
destituito di sussistenza ; laddove, al Discorso preliminare tìiU 2'
Bàìz.ifiìla Teorica del sovran7iaturide I, ^ n. Vedi pure ciò ohe, quasi
nel tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel Rinnovamento àvUs, ediz.
Napoli, Morano !) Vedi quel che HCTisae Q. Uassuii, nella bua
Bitiista pdiHca nel Cimento di Torino
commemoiando SERBATI. Sono due pagine dimenticate, e che hanno tuttavia molta
importansa per le opinioni politiche e per la biografia del Rosmini; T.
pure Tommaseo, A. Rosmini, (in Rimala Contemporanea Liberatore. — Chi fu
presente al colloquio e ne scriveva poi a Baff. De Ceaare. attesta che le
parole eloquenti dette dal Bosmini in quella occasione lìaHciiono il più
autorevole e più meraviglioso elogio di G. >. Tedi Db CssAaB, Dopo la
wndanna del S. Uffi,ziOt in N. Antologìa, G. Gentile mio, ci dà un
concreto effettivo, che nel primo de' suoi termini è assoluto e
apodittico. Or qual'è il miglior fondamento del vero? l'astratto o il concreto? T insusaistente o
il reale? l'incoato o l'as- l soluto?, '). I due
filosofi, adunque, compiono la loro carriera filosofica con opposta
sentenza intomo al principio della loro dottrina, nonostante la polemica
vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in propo- sito dibattuta;
talché si direbbe che essa non abbia avuta nessuna efficacia sulle
dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto quello che ci rimane
ancor da vedere. f~^ Come Rosmini abbia introdotto V. G. nel campo
della ' moderna filosofia, cioè della filosofia kantiana, l'abhiam
veduto e dimostrato nel terzo capitolo della prima parte del presente
studio; coachiudendo, che già nella Teorica del sovrannaturale egli ci
apparisce sì un rosminiano, ma un rosminiano il quale vuole andare avanti
a Rosmini. Neil' opera che seguì immediatamente dopo, V Introduzione aUo
studio della Filosofia, si delinea ben nettamente la nuova posizione
speculativa di G.; e si vede quali essenziali modificazioni, secondo lui,
debbono subire le dottrine del filo- sofo roveretano. Ma prima di
studiare cotali modificazioni, vediamo come si muove in questa nuova
opera il pensiero dell'autore. La concezione della storia filosofica qui è
l'es^erazloae di quella donde sì rifa nel Nuovo Saggio Rosmini; ma
certamente è mo- dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato,
v'ha sistemi che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di
apriori nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi
idea- Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di Rosmini, L'ultima parola
venunente à nel Rmnovat>ieato civile, dove è detto ancora uoa volta « Cosi,
per cagion d'esempio, il divorzio introdotto da un chiaro nostro
psicologo tra il reale e l'ideale, non si puA comporre stando nei termini
della psicologia sola; e se si muove da questo dato pei salir più alto,
si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e de' suoi seguaci
Jtosmitii e G. iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma nell'idealismo,
oltre l'errore di ammettere più elementi a priori che non ne siano
richiesti a quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz) può esservi
un più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene in Kant,
Va priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol essere
vera e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì sistemi
sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo sog-
gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il pla-
tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova grazia
appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e il
soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo
soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa- coltà
soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo ei si
proponeva di scendere in campo col Numo Saggio. Contro questo
soggettivismo insorge parimenti la filoso&a di G.; il quale
raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche riconosciute pure in
fondo al contenuto filosofico delle dottrine cristiane, tutti gli opposti
sistemi involge in una comune condanna con quel sensismo, che ormai,
quando usciva il suo libro, era già morto e sepolto cosi IN ITALIA come
in Francia; talché dimostrare sensistica una teorica, era lo stesso che
averla giudicata senza appello. E sensistica, a parere di G., è
tutta la filosofia moderna in Europa; a cominciare da Cartesio; il quale,
del resto, non fece se non applicare alla filosofia il metodo che aveva
già fatto ben trista prova con Lutero, nella Protesta, proclamando la
j intimità autonoma della fede religiosa. . -J Cartesio
sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a dire che il sensismo
sia conforme ai principii cartesiani, e che Locke, Condillac, e Diderot,
con tutta la loro numerosa ed infelice progenie, siano figliuoli legittimi del
Descartes; quando questi pretese nlle sue dottrine un teismo purissimo al
sembiante, e volle stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli
animi umani. Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il
suo dubbio Q. OmHk
metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso intimo
la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla negazione di
ogni realtà materiale e sensibile, ). E che altro è il sensismo?
Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani, e ridotto al suo vero
essere dalla logica severa di Hume, riuscendo a un giuoco aubbiettivo
dello spirito, che, rimossa ogni realtà, è costretto s trastullarsi colle
apparenze, è propriamente scettico e si manifesta come l' ultimo esito di
ogni dottrina, che, metta nel sentimeuto dell'animo proprio i princlpii del
sapere . ). Cartesio, adunque, è uu sensista, e a lui si deve tutta
la serie di errori di cui è iutessuta la storia della filosofia
moderna ; egli è l'iniziatore, purtroppo, fortunato del moderno sensismo
psicologico, poiché pone come principio della filosofia un fatto, che
come tale non può essere se non un sensibile ^). Insomma Locke e Condillac
sono cartesiani. Né rileva che i successori di Locke facciano caso della
sensazione sola, e non del sentimento interiore, imperocché questo e
quello convengono nell'essere forme sensitive, destituite di obbiettività
assoluta, ). G., insomma, intendeva parlare di soggettivismo, e di-
COTa sensismo, che è pure una direzione speculativa molto diversa. La colpa
bensì non è propriamente sua, perchè risale a Galluppi; il quale nella
sua teoria della sensazione (che qui G. ripete) aveva con essa confusa la
percezione o rappresentazione e la coscienza, introducendo nel seno
stesso di quella le distinzioni che sorgono Introdwi., lìb. 1, c&p.
l" (ediE. di Firenze, Poligrafia italiana) I, m.
») Ibid., p. m-12. 3) «... E certameiite la seoteiiEa ; io
penso, dunqm sono, equivale a questa: io sento di oaeere pensante ... e
più concisamente : io sento, dunque sono . . . n pensiero conosciuto per
via della liflesaione, ò un meco fatto della coscienia, cbe appartiene al
senso interiore; onde il Cartesianismo che muove da quella, colloca in un
fenomeno della facoltà sensitiva la base della scienza >. Tntrod.,
lib. I, oap. 3". ) Op. àt., invece per cotesti fatti ulteriori
della psiche '). Del resto, G. risente presto l' iDcooTeuiente che deriva dal
fare un sensista delio stesso Cartesio, pel quale il fatto della
coscienza, invece che un sensibile (donde, secondo G., stesso non può
derivarsi mai l'essere) era una cosa stessa con l'essere, e quindi noD
un semplice principio psicologico '), ma una inscindibile unità del
principio psicologico e dell' ontol<^Ìco, che se fosse stata
fecondata, avrebbe già fatto procedere di molto la filosofia moderna.
Infatti, quando ai accinge a classificare tutte le scuole filosofiche
figliate dal sensismo cartesiano, comprendendo nella seconda categoria i
se- guaci del lochiamo, egli è costretto a porre &a i caratteri di
questo il ripudio della ontologia cartesiana, come ripugnante ai
principii e al metodo del Descartes, e troppo simile all'antica,
dichiarata dal francese filosofo insuMciente e buttata fra le ciarpe ; e
l'ommissione e lo sfratto implicito e tacito di ogni ontologia). E già da
questa medesima classificazione de' sistemi resulta cbiaro che il nemico
preso di mira è precisamente quello stesso di SERBATI: cioè il
soggettivismo, il falso so^ettìvismo, che ripete le sue origini da Cartesio,
anzi {ed ecco l'intreccio significan- tissimo della filosofia eterodossa
con la falsa filosofia!) da Lutero. Nelle cinque categorie, in cui
dovrebbesi, secondo G., partire tutta la storia della filosofia moderna, così
vengono distribuiti i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la sua
scuola: nella 2' Locke; nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in parte
Berkeley^; ') Eppure G. stesao aveva combattuta questa
teorica galluppiaaa, nella n. 3* della Teorica (II, 319 e segg.)
imputando al filosofo di Tropea < di Bveie considerato come semplice e
indivisibile ciù che è ancora composto, Bocomunando per tal modo elsmenti
svariatisaimi con una sola voce >. Il psicologiamo ed il BcnHÌaino sono
identici : l' uno è il Henstsma ap- plicato al metodo, l'altro è il
psicologismo adattato ai principii »- — Introd., - Gtt- Ha < Cartesio è sensista nei principii e
nel metodo voi. Sf a. Gentile nella i Kant e i
sensisti francesi dal Condillac in poi *) ; ' infine nell'ultima classe
si debbono collocare gli scettici assoluti, che giunsero al dubbio
universale, mediante i principii del sensismo, aiutati da una logica
s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe è Hume,
CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti d' uno; e come va che G.
confonde il fenomenismo di Berkeley con l'idealismo assoluto di Fichte, di
Schelling e di Hegel, e l'idealismo trascendentale di Kant col sensismo di
Condillac PEcco: secondo lui, l'assoluto dei filosofi tedeschi non è l'idea
schietta, ma bensì l'idea mista di elementi sensitivi, e per dir meglio un
concetto, un astratto, un fantasma, frammescolato di elementi ideali;
insomma è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il Kant
converrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà del senso,
facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando il vero, come
relativo. È chiaro che la causa della con- fosione nel primo e nel
secondo caso è la medesima; per G., r a priori di Kant e de' suoi
successori è falso perchè contraddit- torio: è posto come a priori,
perchè necessario ed universale; e intanto lo si fa subbiettivo, e quindi
particolare all'individuo che conosce, e come esso contingente.
Questa falsa maniera d' intendere il nuovo soggettivismo, che
cominciava con la teoria della sintesi a priori dal negare definiti-
vamente quello scetticismo, cui fin allora il so^ettivismo era sempre
stato come equivalente, è un'eredità che G. raccoglie da SERBATI, e
rivolge subito, come or ora vedremo, contro di lui. E già si può dire, che
l'avesse raccolta nella Teorica del so- vrannaturale, quando, a proposito
dell'eclettismo francese, aveva ') E petcbè esclndecne ì materìaliati, le
cui open, come ricorda opportunamente il Imnge, precedettero i libri e le
dottrine di Condillac? ') parlato dì un razionalismo imperfetto, che
consente col sensismo ' nel so^ettivare interamente e parzialmente la
conoscenza „ ^), e meglio altrove, discorrendo dell' egoismo psicologicor
cui avreb- bero appartenuto Cartesio, Reid e Kant, e del quale *
l'egoismo ontologico metafisico di un celebre filosofo tedesco, che
im sima r ente stesso coll'esistenza individuale, sarebbe la nect
conseguenza,). G., invero, come SERBATI, non conosce altn
gettìvismo che il falso antropometrismo individualistico goreo, il
soggettivismo, che il Rosmini combatteva in Em. Pel soggettivismo, a
parer di G., tot capita, tot senti donde, secondo il principio di Lutero,
tanti cristianesimi cristàani, e ' tante filosofìe quanti sono i
filosofanti, se et Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva,
immaginata di già e da Protagora, Di guisa che è un errore, dice Ìl
I^ paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ; avendo 8
presentito la teorica delle idee assolute, che venne poscia es] da
Platone, e dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i • quasi — contempla e
studia te stesso nella idea divina. In breve: la salvezza della
scienza è nel platonismo, nella razione dell'idea dal soggetto, nella
oggettività della conos E si deve anche far forza alla storia e in
Socrate trovare PI se in Socrate si vuol trovare un principio di sana
filosofia, menti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione
d tagora, come sono Cartesio e Kant, il famoso " sofista i
nisberga, ! Questa falsa interpetrazione della storia, in gran parte
fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, G. bene egli sei creda,
fuori del criticismo kantiano, come non ne escluso SERBATI. Ed è davvero
curioso a vedere il gran ') Nota Nota Introd., I, 3»; H, Q.
Gentik glìere invano che tutti i filosofi italiani della prima metà
del secolo fanno tra loro, accusandosi Ticende Tolmente di kantismo e
di so^ettivismo, intanto che ognun d'essi, senza accoi^erseae, vi
rimane impigliato. GALLUPPI (si veda) accusa SERBATI; Testa, Galluppi e
Rosmini; GRAZIA (si veda) Galluppi e Rosmini egualmente; G. e ROVERE (si
veda), Rosmini; e questi, G.. Così, SERBATI è persuaso che tutta la sua
attività filosofica fosse una guerra con- tinua contro il sensismo e il
soggettivismo. Ebbene, vien fuori Ìl Gioberti a proclamare che ancora il
sensismo è la dottrina filo- sofica predominante in Europa; dacché non
tutti i razionalisti si potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a
distinguere uu razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl
secondo de' quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza
dal senso, ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo
stesso fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire alla
cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo psicologico
o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e Stewart, va, secondo
G., annoverato anche SERBATI, non correndo alcun mezzo possibile Ira Io
psicologismo e l'ontologi- smo, che anche lui, il roveretano, rifiuta;
sebbene né il filosofo italiano né i due Scozzesi possano propriamente
rientrare nel quadro della quÌntnplÌG« classificazione del sensismo
cartesiano, ossia della moderna filosofia. ~ Oi certo il falso
criterio onde il Rosmini aveva delineato una storia della filosofia,
passato a G., era agevole rivolgerlo contro lo stesso Rosmini. Sennonché,
quel che importa rilevare è l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano,
ribellandosi a quel cotale soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo
oggettivismo. SERBATI vuole introdurre nella cognizione un elemento
necessario ed universale, che sia veramente tale, e dì cui ammette un
intuito costitutivo dell'intelletto, un intuito che, secondo una critica
n^ionevole, devesì interpetrare come una sem- plice aflfermazìone della
universalità e necessità (trascendenza, e quindi pare opposizione
all'individuo contingente) AeWa^Hori della cognìzioDe. E G. prende la
stessa posizione di contro all'empirismo, pur senza ripetere una critica
che era stata fatta, ma accettandone benal il resultato. Oggi si
tiene per certo, egli scrive nell' Introduzione, che Toler derivare con Locke i
concetti razionali dalla sensazione e dalla riflessione, ovvero con Condillac
e co' suoi seguaci, dalla sen- sazione sola, è un assunto d'impossibile
riuscimento; e che, sì come il necessario non può nascere dal
contingente, né l' oggetto' dal soggetto (ecco l'unica concezione
rosminiana d'oc/petto e soggetto: oggetto = necessario: soggetto =
contìngente), così i sensibili od esteriori non possono partorire
l'intelligibile, Per G. la questione stessa dell'origine
dell'intelligibile, di cotesta idea, involge una repugnanza; giacché, essendo
essa oggetto immediato ed eterno, come necessario ed universale della
cognizione, non ha nn principio né una genesi. Potevasi senza dubbio
osservare all' autore, che appunto la definizione stessa che egli dà della
idea, inchìnde il teorema, che gli avversarj volevan
dimostrato. Comunque ciò sìa, egli ammette bensì un' altra questione,
che è la vera questione della ideologia rosminiana; la quale è volta
a indiare se derivando la cognizione dell'Idea da una facoltà spe-
ciale, che dicesi mente o intelletto o ragione, ella è acquisita od in-
genita; cioè, se l'uomo può su^atere, eziandio pure un piccolissimo
spazio di tempo, come spirito pensante, ed esercitare la facoltà cogi-
tativa, senz'avere l'Idea presente; e quindi ne va in cerca e se la
procaccia; ovvero, se ella gli apparisce simultaneamente col primo
esercizio della mente, tantoché il menomo atto pensatìvo e l'Idea siano
inseparabili, . E tal quistione, che brevemente si può espri- mere, se
l'Idea sia o no innata (nel senso kantiano di forma si- multanea alla
esperienza) ei la risolve affermativamente, come il Rosmini, dichiarando
che a suo avviso (per rispetto nostro) non si può assegnare altra origine
all'Idea, che l'origine medesima dell' esercizio
intellettivo. «)Iiib. I, oap. 3»j n, 6. *) le O. Gentile Questa
apparizione dell'Idea simultanea al primo esercizio della mente corrisponde
per l'appunto a quello che SERBATI avrebbe detto propriamente nozione)
dell'idea dell'essere. Anche per G. cotesta nozione è la stessa
intelligibilità, la evidenza stessa; anche per lui non arguisce nulla di
subbiettivo, oè risulta dalla struttura dello spirito umano, secondo i
canoni della filosofia critica, ) ; anche per lui è " l' ometto della
cognizione razionale in se stesso, aggiuntovi però una relazione al
nostro conoscimento). L'intuito di cotesta idea è dal Gioberti stabilito
con breve disamina del procedimento del conoscere, e benché egli non se
ne rimetta al Rosmini, è chiaro che psicologicamente la lacuna, che
egli stesso poi riconobbe in questa parte della sua teorica, devesi alla
grande efficacia esercitata sulla sua mente dallo studio di SERBATI ; talché, scrivendo
quasi di getto, come fece, l' Introduzione, non avrà pensato che ci
volesse molta discussione a solidare già muorevasi la
mente iegazione del conoscere. nella esposizione, del
Ione fece il Massari nel un'ipotesi, la quale, per l' indirizzo per
cui sua, era assolutamente necessaria alla spie Si accorse di poi del
mancamento ; e lo v resto tanto piaciutali, che AeW
Introdtizio Progresso di I^apoli, quando già l' intrapresa polemica con
SERBATI cominciava a fargli guardare più attentamente ogni parte
della costruzione filosofica, cui aveva posto mano. B aMassari, scriveva:
Ho riletto quel poco che ho detto del- l'intuito iLviW Introduzione e
l'ho trovato ancor più scarso che non credevo; tanto che la critica che
vi ho fatta di non esservi steso davvantaggio e con nu^giore precisione
su questo punto manca affatto di fondamento) ; e a' 20 lugho tornava a
scrivergli : Non ') < Nozione io chiamo un'idea considerata sotto
questa relazione, in quanto doè ella mi serve, a rendermi note le cose
>; Bosuini, Prindpj di acietua morale, in Optre, ed. Bstelli, TX, 2 n.
») Inirod. Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto una analisi dell'
Introduzione ( la 1* ohe ne faue fatta in Italia) in tie puntate del
Frogreeso] è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente dal mio testo
del- l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una facoltà
mi- steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove no la
cognizioae umana e ordinaria, spogliata però del repli riflessivo. L'ho
definito, credo, nel libro degli i/rrori, '). - questa definizione
dell'intuito corrisponde evidentemente i trina già esposta di SERBATI,
che l'intuito dell'idea si rit un lavorio riflessivo sulla cognizione
ordinaria, mediante cesso d' astrazione. In G. non s' incontra una
teoria compiuta del f noscitivo, come si trova in SERBATI. Ma qualche
accennc qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore sia de
che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb fondamento né
propedeutica alla ontologìa, della quale egli trattare specialmente,
tuttavia l' ideologia rosminiana giace alla sua dottrina. Egli ammette
un' ' attività intima e s< sima, che rampolla dall'unità sostanziale dell’animo,
e con primo raggia intorno a sé le molteplici potenze, donde na
varie modificazioni di esso animo, *); ripetizione, anzi de d'un punto
del rosminianismo, da noi già messo in rilii L'intelletto, la facoltà
dell'intuito secondo SERBATI, presso G. una energia contemplativa che
venir meno, ossia non può cessar d' intuire il suo termine, se durre,in
grazia di quell'unità sostanziale dello spirito, la ce simultanea
dell'esercizio deliamente^); come in SERBATI •) Cart, n, 381 e
aegg. ^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il Gioberti; per
castigatezz tuna di lingua, lovece di anima, spirito. ') <
Tutte le potenze dell' aaimo amano esseDdo collegate inBieme dosi a vicenda,
è inverosimile il aupporre che l'energia contemplat eoir meno, «enza che
le altre facoltà a proporzione se ne riaentan . Altrove dice che t l'intelletto
è ti mezzo, con cui I prende la manifestazione naturale del verbo ; Ma
egli no a questo propoailo, una terminologia costante.
Gentile dell'intelletto vedemmo esser necessario non solo alla
costituzione dell'intelletto, ma anche, per l'unità del soggetto, a tutta
la fun- zione del conoscere. Né per G. l'intuito ha un valore
diverso da quello indi- cato nella teoria del filosofo roveretano; come
sarà agevole accor-gersene esaminando con la brevità necessaria la teoria
giobertìana della riflessione. L'iatuito rosminiano vedemmo essere
non vera e propria cognirjone, ma condizione di ogni conoscenza, e però un vero
a priori kantiano, una pura forma dell' intelletto, che come tale
distruggeva l'antica concezione di oggetto opposto e separato dal
soggetto, avendo dimostrato che il nuovo oggetto non esisteva per sé,
fuor della sintesi, essenzialmente soggettiva, co' dati offerti dal senso
ed elaborati nel soggetto. E G. scrive: Egli è vero che l'in- tuito
diretto della mente non basta a fare la scienza, ma ci vuol di pili
quella ridessione che ho denominata ontologica dall'obbietto in cui ella
si adopera. La quale arreca nel suo oggetto quella di- stinzione,
chiarezza e delineazione mentale, che senza alterarne r intima natura, lo
fanno scendere, per così dire, dalla sua altezza inaccessibile, e
accomodarsi all'umana apprensiva. Se l'intuito fosse solo, l'uomo
assorbito dall'idea non potrebbe conoscerla, perchè ogni conoscenza
importa la compenetrazione del proprio intuito, e la coscienza di noi
medesimi, ; vale a dire la coscienza dell'intuito e la coscienza del
soggetto, che in fondo sono una medesima coscienza; dacché, anche per G.,
l'intuito è costitutivo del soggetto, e non v'ha soggetto senza
l'intuizione immanente dell'Idea. Sicché l' intuito giobertiano
neanch'esso fornisce una effettiva conoscenza, ne è bensì anch'esso la pura
condizione, la pura forma a priori, la quale ha bisogno, come qui dice l'
autore, della riflessione. Orbene, che è questa riflessione, e
qual'è l'ufficio suo? Essa [La riflesBione pertanto dee accompagnue
l'intuito primitivo; è come un intuito secondario, cioè un replicamento
cosciente del- l'atto coatemplativo della Idea; ma, appuoto perchè
cosciente, non è più puro intuito, non è più condizione, ma atto di
coscienza: essa è già coscienza. La riflessione importa quindi una determinazione
soggettiva e però una modificazione pur soggettiva; poiché l'intuito è
vago e indeterminato, mentre ogni atto di conoscenza è essenzialmente
determinazione ed unità; elementi che all'intuito non possono essere
aggiunti dall'oggetto suo, che non ha in sé né determinazione, . né principio
veruno di determinazione. Nel primo intuito la cognizione è vaga,
indeterminata, confusa, si disperge, si sparpaglia in varie parti, senza
che lo spirito possa fermarla, appropriarsela veramente, e averne
distinta coscienza. L'intuito secondario, cioè la rimessione, chiarifica
l'Idea, determinandola; e la determina, unificandola, cioè comunicandole
quella unità finita, che è propria, non già di essa Idea, ma dello
spirito creato, La riflessione, adunque, si deve considerare come una
funzione determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire dell'» priori;
funzione fondata sull' unità del soggetto, di quell'attività intima e
semplicissima, che dianzi rilevammo. Ma in che modo avviene la de-
terminazione? Ciò succede, mediante l'uniOne mirabile dell'Idea colla
parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea, ^); unione mirabile e
'misteriosa, donde s'inizia la conoscenza, come lo era quella percezione
intellettiva, per la quale Rosmini faceva sviluppare l'atto del
conoscere; ma unione necessaria, unione, come s'è visto, senza la quale
non v'ha umana conoscenza). E alla percezione intellettiva l'atto
prodotto per la riflessione si riconnette anche per la natura della
parola, che si sostituisce in esso alla sensazione rosminiana. G. infatti,
definendo la ») Introd. La parola, easendo il priocipio determinativo
dell'Idea à altreai una condizione neoeBjacia della esistenza e della
certezza rlfleasiva» 0. Gentile PAROLA,
come OGNI SEGNO, per un sensibile, osserva: Se adunque ella BÌ richiede
per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è necessario per poter
riflettere e conoscere distintamente l'intelligibile). II cbe consuona
con la doppia natura dell'uomo composto di corpo e d'animo, e annulla
quel falso spiritualismo, che vorrebbe considerar gli organi e i sensi, come un
accessorio e un accidente della nostra natura. Sulle quali parole è bene
cbe meditino quanti sono che l'intuito giobertiano sogliono appaiare con
quello del Malebranche. Anche G., come SERBATI fa ricorso al sensibile e
Io ritiene necessario alla formazione dell'Idea; e il senso anche lui fa
costitutivo dell' oi^anismo unico dello spirito. Sennonché, sulla
natura di questo nuovo sensibile proposto da G. solvono varie difficoltà, sulle
quali non è pcasibile sorvolare, volendo fornire una idea non troppo manchevole
della sua teorica della cognizione. Vedemmo altrove (part. I, cap.
3") come già fin nelle Miscellanee, che sono sì prezioso documento della
formazione della mente del Gioberti, si accettasse e si lodasse la teoria
bonaldiana del lin- ' S^^SS^°- 1"' nsll^ Introduzione è detto:
Parecchi scrittori moderni assai noti, fra' quali il Bonald merita un luogo
particolare, hanno avvertita la necessità del linguaggio per l'esercizio
del pensiero, *}. Ed è senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la sua
dottrina, che ha, pel modo come sorse, una grave ragione storica. È
noto che l' empirismo inglese e il sensismo francese sì proponevano di spiegare
il linguaggio umano, come una invenzione dell'uomo, Reid per primo,
(poiché le profonde intuizioni del Vico passarono inosservate), nelle sue
Ricerche stdl' intendimento, dimostrò che il linguaggio nel suo più ampio [Cfr.
Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di qualche aenaibile, le idee
non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*. Teoria che bÌ conferma e ai
de- fiaiace meglio nella Protoloffia, per la qaale cfr. i Inoghi dUti
dallo Spàtbhti., nella FUoa. di Giob.,j Introd.] SIGNIFICATO È NATURALE
PRIMA CHE ARTIFICIALE. – cf. Grice. Definiva egli Il linguaggio, efinizione, ai
badi, espressamente citata e accolta dal nostro G., ') tutti i SEGNI onde
gli uomini fanno uso per comunicarsi reciprocamente i loro pensieri, le
loro conoscenze, le loro intenzioni, i loro disegni e i loro desiderj,
*}. Per Reid v' ba DUE SPECIE DI LINGUAGGIO: UN LINGUAGGIO NATURALE, formato
da quei vocaboli, che NON HANNO UN SIGNIFICATO CONVENZIONALE, ma ne
hanno uno che tutti intendono naturalmente e per istinto; e UN LINGUAGGIO
ARTIFICIALE, costituito dei vocaboli non aventi altra significazione se
non quella attribuita loro convenzionalmente dagli uomini. Che vi sia un
lii^uaggio naturale è innegabile: e l'attestala sopravvivenza stessa di esso al
linguaggio artificiale: le modulazioni della voce, ì gesti, i tratti del
viso o la fisonomia, mezzi tutti onde l'uomo esprime naturalmente i
pensieri, — sono per l'appunto le tre classi alle quali riduce Reid tutti
gli elementi di cotesto linguaggio. Ora è ovvio dedurre, siccome fa
appunto il filosofo scozzese, che IL LINGUAGGIO ARTIFICIALE PRESUPPONE IL
LINGUAGGIO NATURALE, senza di cui gl’uomini non avrebbero potuto
intendersi per convenire nei significati di quei vocaboli onde resulta Il loro LINGUAGGIO
ARTIFICIALE. Di modo che se, come vuole l'empirismo, il linguaggio fosse
dovuto solver per un'invenzione umana, come la scrittura o la
stampa, tutte le nazioni, dice Reid,
sarebbero ancora mute, come i bruti. Né meno stringente è la critica da
Bonald opposta alla teorica del Condillac ) nelle sue Ricerche filosofiche.
Secondo Bonald il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima
conoscenza; a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua
espras- [Le parole sono I SEGNI principkli, ma non i soli Bagni, come sa
oiaaouuo; tntti i sentimeati sodo veri SEGNI deUe cose, secondo la bella
e profonda dottrina di Tommaso Eeid >; Introd. Rech. sur V entendemenf humain,
trad. Jouffro;, oliap. IV, sect. 2
in OtMvres (Paris Combatte la teoria com'era stata formulata da)
CoDdiUac; ma tiene por conto delld OBservazioni di Hobbes di Locke e di
tutti i sensisti.] aione (espressione, si noti, anche semplicemente * mentale «
) S contro i sostenitori dell'opposta sentenza, osserva che essi
comin- ciano dal supporre, contro ogni autorità ed ogni ragione,
l'uomo in uno stato primitivo bruto e insociale, e a tal grado di
barbarie, da essere perfino privato della facoltà di conoscere e
comunicare i proprj pensieri, per attribuirgli nello stesso stato i
pensieri, i sen- timenti, le affezioni, le intenzioni, i bisogni, Io
spirito d' invenzione e d'industria dell'uomo sociale e civilizzato,
'). Lo critica di Bonald è in fondo identica a quella del Reid. Si
presuppone nell'uomo sfornito tuttavia del linguaggio, cbe gli tocca
inventare, qualità o attitudini necessarie all'invenzione; le quali non
possono non equivalere al possesso del linguaggio che vien negato,
comecché in una forma primordiale e naturalmente rozza. E questa ingenua
teoria del vecchio empirismo che fon- dava la società io un contratto, la
religione su un arbitrio dì legislatori, e Ìl linguaggio in una INVENZIONE
CONVENZIONALE, è stata anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla
moderna scienza della linguistica comparata; la quale se tra MuUer e
Witney discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono
fra il pensiero e LA PAROLA, ha però definitivamente e
concordemente stabilito che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo
e naturale dell'uomo, non essendovi alcuna società, per quanto barbara
e selvaggia, che non ne sia fornita; del pari che la sociologia e la
scienza delle religioni comparate hanno provato l' originarietà, cioè
l'apriorismo, del fatto sociale e del religioso. Ed è appunto
merito della scuola teologica francese, come osserva giustamente Janet),
di aver dimostrato contro i filosofi francesi la vanità delle teorie intorno
all'origine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti
dell'uomo sociale. A Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel
che è del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione,
giacché [lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres Paris La
ph&os. de LamtnnaU.] egli connette questa teorìa con quella della
rivelazione neceasaria per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi G.. Bonald,
con l' Histoire comparée di Degerando alla mano, rileva che la filosofia
non è riuscita peranco a fissare un punto fermo, un criterio sicuro di
certezza e di verità, anzi per tutti i sistemi è finita nello scetticismo
e nel soggettivismo; e si chiede quindi se non fosse possibile "
trovare nei fatti sociali un fonda- mento alle dottrine filosofiche piìl
solido di quello che s' è cercato fin qui nelle opinioni personali, ') ;
e questo fondamento gli pare appunto di trovarlo nel linguaggio, che,
dimostrato non potersi inventare dagl’uomini, deve (non essendovi, secondo lui,
altra via) essere stato comunicato da Dio alla società umana, e in
questa appresa via via dagli individui. Si direbbe che il criterio di
Bonald riesce sottosopra a quello altrove rilevato da Lamennais; che
questa PAROLA, che possiamo accettare come saldo fondamento di certezza,
data da Dio all'umano consorzio, è precisamente la rivelazione. Ma quel
che v'ha di originale in Bonald, e prova che G. ne dipende io modo speciale, è
la teoria della PAROLA coma atto o strumento necessario del pensiero;
vale a dire che, dato che LINGUAGGIO, tutto il linguaggio aia rivelazione
divina, il pensiero dì cui il Bonald dice che la parola è il corpo, è
esso stesso tutto una rivelazione, cioè ha tutto per se stesso un
fondamento di certezza obbiettiva o sovrumana, nel senso di universale.
La quale è appunto la teoria di G., che ammette bensì una conservazione,
ma anche una alterazione della forraola ( = contenuto della rivelazione,
coni' è contenuto dell' intuito) ; e fa che il pensiero che rimane, anche
al- teratasi la rivelazione, possa tuttavia cogliere il vero. Di
guisa che la rivelazione (l'elemento sensibile della conoscenza) non è
accidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e quindi costitutivo di
esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto, cotesto elemento sen-
sibile, ne dipende e gli è strettamente connesso. BecA. O. Gentile
Questa rivelazione, adunque, ha ud valore tutto speciale, in quanto
è qualcosa d' intrìnseco al pensiero stesso, tale perciò che il
ricorrervi non sia per quello un esautorarsi o uà apprendere dal di
fuori, ma bensì uno sviluppare se stesso; laddove, presso il Ijameanais
del Saggio sull’Indifferenza, il pensiero infermo per se medesimo e
incapace d' attingere il vero, si dee abbandonare, quasi per chiederle
conforto, alla rivelazione esteriore. Per G. la rivelazione va cercata
nella vita stessa del pensiero, equivalendo alla parola, che è tale a sua
volta, che senza di essa, come osserva Bonald, il pensiero non esisterebbe. Chi
rigetta la rivelazione, viene a rigettare secondo G., LA PAROLA, ossia
lo strumento necessario alla cognizione riflessiva dell'idea; epperò non
può attinger questa, senza la quale lo vedemmo già eoi SERBATI il
pensiero cessa di essere '). La necessità dì questo è pertanto la stessa
necessità della rivelazione, considerata unicamente per rispetto a quell'
ufììcio che dee compiere nel fatto della conoscenza. Sennonché, cosi
considerata, a che si riduce la rivelazione? Essa ci deve offrire LA
PAROLA, ossia I SEGNI delle cose, Il dato sensibile che circoscrive
l'idea dell'essere e le dà attuale esistenza di conoscere; e, come dice
l'autore, una successione di sensibili, per cui essa Idea rivela se
medesima all' intuito riflessivo dello spirito umano, e compie l'intuito
diretto, che li porge da sé. Non è del nostro tema trattare
ampiamente di questo punto della filosofia di G., che richiederebbe una
troppo lunga di- samina. E bisognerebbe sovrattutto discuterla, come in
parte ha fatto, da quel gran maestro che era, SPAVENTA (si veda) nelle
opere postume, una delle quali è appunto dedicata alla filosofia
della [ ') B il QiOBBBTi dice: Il ripudio assoluto della tradizione
religiosa e Bcientifica si trae dietro neceasariacoente quello della
parola. Ora, siccome l'aiuto della parola è neceaaarìo per conoscere
riflessivamente l'Idea, chi lo rifiuta dee eziandio dismetteie e gittar
da sé ogni cognizione ideale. Ha tolta l' Idea, che rimane? Nulla ».--
/«(roA, I. 3»; ») Op.] rivelazione.
Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col Elo- amÌDÌ, e sarebbe
perciò inopportuno il prenderle come un punto di partenza, volendo
discorrer di quella. Gì basta notare, che nella stessa Introduzione la
teoria della parola va messa in relazione con le dottrine di Reid e di
Bonald, dalle quali deriva, e co' principj rosminiani già adottati nella
Teo- rica del soEiannaturale; che deve intendersi {secondo la
distinzione di PAROLA NATURALE E PAROLA ARTIFICIALE, ripetuta dallo
stesso G.) '), come parola naturale, cioè come SEGNO della cosa, o sua
rappresenlanions, il che corrisponde appuntino alla teoria rosminiana
della sensazione, per la quale si determina e circoscrive l'ente
indeterminato. Infatti, secondo G., LA PAROLA ARTIFICIALE non può
esprimere se non le idee già espresse, e presuppone quindi LA PAROLA NATURALE, LA
RAPPRESENTAZIONE. Ora, se anche per G. ogni concetto si forma per una
determinazione che si fa per LA PAROLA dell' essere indeterminato dell'intuito,
ciò avviene, come s'è visto, per opera della riflessione; la quale
richiamerebbe perciò, secondo s'è pur notato, la percezione intellettiva
di SERBATI. Ma G., come ha mutato LA PAROLA, ha mutato anche, o crede
d'aver mutato, il concetto. Alla sua fìlo- [La potenza dell'intuito per
attuarsi ha d'uopo della PAROLA, cioè del sensibile! LA PAROLA È DI DUE
SPECIE: NATURALE ED ARTIFICIALE. Questo è IL LINGUAGGIO elle non può eaprimere
che le idee già espresse. IL LINGUAGGIO DELL’ARTE è sempre una traduzione del LINGUAGGIO
DELLA NATURA; è verso di esso db che la scrittura verso In PAROLA
ARTIFICIALE. Kioi d. Rivela):., Toriao, Botta. Meglio potremmo solidare questa
interpetrazione discutendo le difficoltà che fa insorgere la teoria della
PAROLA cori com' è esposta uell' Introduzùtne, o prima facie par che
quivi debba intendersi, esaminando la critica fattane dal Tbsta nelle sue
Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st. ddla JHo*. di V. Q.,
Piacenza, Del Majno. Ma non ist htc locus. Con la critica del Testa
consuona in alcuni punti quella di V. Db Gbaziì, ne' suoi Discorsi au la
logica di Hegel e su la Filos. speculativa { Napoli, Gemelli) 2' rass.; e
mutuata dal Testa pare l'obbiezione che il critico calabrese muove
all'ipotesi dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel Gioberti aee O. Gentile
sofìa, che per la spi^azìone della conosceoza ha bisogno del fatto
della rivelaz ione egli coutrappone la filosofla eterodossa, la quale,
rifìutaodo lo strumento della rivelazione, non può ammettere una
riflessione che rifaccia l’intuito e conduca perciò al possesso del-
l'Idea; e deve quindi rinunciare alla Idea, appigliandosi alla percezione del
sensibile, il quale può essere l'oggetto del senso esterno, come
dell'interno, ossìa materiale ed estrinseco, o spirituale ed intrinsepo.
Donde, doppia eterodossia, sensismo da una parte e psicologismo dall'altra; e
in ambo i casi ' la sostituzione del sensi- bile all'intelligibile, come
principio, onde muove la filosofia, '); ossia un metodo il quale, come
vedemmo, conduce direttamente al soggettivismo, allo scetticismo, al
nullismo, dacché è vano lo sforzo dei sensisti e de' psicologisti, di
trarre dal sensibile l'in- telligibile. La filosolia eterodossa,
dunque, ammette bensì anch' essa la riflessione; ma la sua rifiessione si
differenzia essenzialmente dalla riflessione della filosofìa ortodossa,
in quanto, non servendosi di quel mezzo che solo mette in grado di
tornare, dopo il primo intuito, fìno al termine di questo, si deve
necessariamente fermare al fatto della mente (per parlare dello
psicologismo che c'interessa) e rimaner quindi semplice riflessione
psicologica, in luogo di pervenire all'Ente intuito immediatamente e
farsi, come dovrebbe, ontologica. ' Lo strumento, onde lo
spirito umano si vale in psicologia, è la riflessione psicologica, per
cui il pensiero si ripiega sovra se stessO; e afferma, non già la propria
sostanza, ma le proprie ope- razioni solamente. All'incontro
nell'ontologia lo strumento è la contemplazione, la quale si divide in
due parti, cioè in uu intuito primitivo, diretto, immediato, e in un
intuito riflesso, che chiamar si può riflessione contemplativa e
ontologica, >). Cosicché la ri- flessione psicologica è una operazione
semplice ; l' ontologica una [Introd.) Introd.] operaziooe duplice;
quella si esercita sopra il prodotto soggettivo di una precedente
operazione (l'intuito)-; questa sopra l'oggetto stesso della operazione
precedente, che rifa maturandola. Si potrebbe dire perciò, che la
riflessione ontologica sia la stessa riflessione psicologica aggiuntavi
la ripetizione dell'intuito. Infatti nell'ontologia lo spirito, ripensando, si
rifa sull'oggetto immediato dell'intuito stesso. Ma, egli è vero che nella
riflessione contemplativa, la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si
ripiega pure di necessità sull' intuito proprio, che lo apprende
direttamente ; onde il tenor psicologico del rìpensare accompagna sempre
l'altro modo di riflettere; tuttavia queste due operazioni, benché
simultanee, sono distinte, perchè hanno il loro termine in uu oggetto diverso,
). Una critica non molto difficile qui può sorgere conti'o questa
dottrina della riflessione ontologica. Se l'intuito lascia uno stato
speciale nella mente, un fatto, tal che sia possibile coglierlo con la
riflessione psicologica, due casi si posson dare: o in esso v'ha uno
specchio fedele dell'oggetto proprio dell'intuito, e allora la
riflessione psicologica è fondamento di una conoscenza oggettiva per
eccellenza, e non soggettiva, come pretende G.; o non si riflette affatto
(ovvero, che è lo stesso, non si riflette fedelmente) il termine dell'
intuito, e in tal caso questo primo intuito è per- fettamente
inutile. Il dilemma ci pare senza uscita. La riflessione ontologica
di G. sarebbe davvero un secondo intuito, se potesse traspor- tare
la determinazione sopravvenuta con la parola (dato sensìbile)
dall'interno del soggetto, dove interviene, nello stesso oggetto; il che
è impossibile, perchè secondo la sua teoria la parola è un sensibile.
E perchè dovrebbe potervela trasportare, cotesta determina- [Cobi è
par detta dal Oìobei-ti la riflesBione ontologica; mentre la psicologica è pur
detta osservaHva. «) latroduz.. l, 3", II, 104. G. Qmiile
zionep Perchè, avvenendo la determinazione nella riflessione, es-
sendo questa ontologica, il sensibile, principio della determinazione,
dovrebbe ripensarsi coli' intelligibile, e come questo (poiché si tratta
di un secondo intuito), fuori del soggetto; il che, ripetiamo, è
impossibile. Di certo la riflessione ontologica è l' espressione, benché
non esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come or ora
vedremo; ma contrapposta, com'è da G., a una riflessione
psicologica, fallisce al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze
dello accennato dilemma. Sennonché, G. ci dice: ' La rifles- sione
psicologica non ha per termine diretto il pensiero, come pen- siero, ma
il pensiero come sensibile intemo, cioè come atto dello spirito, e quindi
non riguarda direttamente l'Intelligibile, che si congiunge col pensiero
e lo illustra. Egli è vero che la riflessione del psicologo si connette
per indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6 non prova nulla in favore dei
psicologisti; imperocché non ne partecipa, se non mediante quell'intuito
mentale, che, al parer mio, è il vero e necessario strumento dell'
ontologo, L'equivoco qui è evidente: la riflessione psicologica non
coglie il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce l'Idea^,
ma lo coglie, secondo G., come un sensibile intemo ; dunque la
riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero come
pensiero. Ora, se la riflessione psicologica presuppone anch'essa un
intuito, e (poiché, parlando contro il psicologismo, G. si
riferisce specialmente a SERBATI) un intuito, che, come vedemmo
nella esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del pensiero,
é Introi., Nella FUoB. iella Uivdaz., G. scrive : Una meate aeiiEa
idee, e in igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La
facoltà con cui la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae
imuaQente, virtuale, che diventerà attuala pei opera della riflessione]
che fa, la sua assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6 che
dell'intuito aveva detto SERBATI. la sua propria essenza, come può fare a
ritornare sovra un pensiero ehe non siasi già appropriato
l'Intelligibile, e Io abbia ancora fiiori di sé, e sia ancora in atto
d'intuirlo? Insomma sì può concepire un intuito immediato
dell'Intelligibile come essenza del pensiero, che pur lasci il pensiero
sempre al puro stato di tcAida rasa, sempre in atto di guardare
l'Intelligibile, senza mai vederìo? Il pensiero per SERBATI intanto è
pensiero, in quanto ha un intelletto costituito dall'intuito
dell'intelligibile; non può quindi riflettersi su se stesso, senza
trovare in sé non già Ìl semplice atto astratto dell'intuito, ma sì
l'atto concreto, ossia l'atto terminante nell'Intelligibile: la forma, in
una parola, dell'intelletto. E l'equivoco propriamente consiste in ciò : nel
concepire l' intuito immediato come una pura dualità; dove, al pari della
visione corporea, da cui immaginosamente è desunta, non può essere se non
un'unità sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond' è fornito l'
intelletto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto, come nel prodotto
della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la nozione è qualcosa
di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo spirito non può non
coglierne il contenuto, che è per l'appunto l'Intel- ligibile. SI'
equivoco si fa manifesto quando l' autore soggiunge che questo
scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico) gli ' riesce un
trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse le dita e le
orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori in essa racchiusi
Qui sì immaginano la luce e ì colori come oggetti o segni esterni e
indipendenti dell'organismo sensitivo, in che si rappresentano; per modo che a
noi, sapendoli lì ad aspettare di esser da noi sentiti, sia dato
scegliere lo strumento più acconcio alla bisogna. Laddove fìa da quando è
pubblicato il celebre Manuale di fisiologia di Mailer, si sa da tutti che
non v'ha nulla di più falso. Quello che not sentiamo e diciamo luce e
colori, non è se non per la nostra sensazione e nella nostra sensazione.
Ma G. ignora questo concetto della soggettività della sensazione, comecché
avesse già appreso dagli scozzesi quella teoria della percezione
esteriore, per la quale venivano per sempre seppellite le vecchie idee
imniagiiii, che solo la leggerezza filosofica di Ippolito Taine doveva
più tardi esumare nella sua haldanzosa quanto vana guerriglia contro la
filosofia classica francese in genere, e per questo punto contro
Royer-Collard >). Or, come è uno shaglio credere che il colore
che diciamo di vedere con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché se si
avesse modo di riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul semplice
atto del vederlo, ma non propriamente sul colore; così soltanto un
equivoco può far pensare che nella nozione rosminiana fornita dall'
intuito dell'Intelligibile, non siavi altroché l'atto dell'intuire; di
guisa che la riflessione sovra di essa pervenga soltanto
indirettamente all'oggetto, sul quale cotesto atto si esercita. L'oggetto
qui è una cosa stessa con l' atto, siccome vedemmo altrove
discorrendo dell'intuito; oggetto ed atto sono una cosa sola nell'intuito
intellettivo, che è atto insieme e forma dì esso, secondo la teoria di
SERBATI. E questa è la vera ragione che Tarditi avrebbe dovuto opporre a G.,
per dimostrargli infondata, come tentò di fare nella prima e nella
seconda delle sue famose lettere, la distinzione fra le due riflessioni
psicologica ed ontologica). Le quali si po- [Convengo pienamente nella
controcritica oppostagli dal Janet nel primo de' suoi scrìtti en La crke
phUoaopMques, Paris. Li teoria scczzcBe toRlienda l'inutile intermediario
dell'immagine tra l'oggetto sensibile e il soggetto sensitivo, fece di
certo un primo passo verso quell'unità del tatto della sensazione, che
non poteva d'altronde concepirai senza i nuovi principj del kantismo, di cui
giustamente la psicologia genetica tedesca si con- sidera come un fedele
compimento. Vedi in proposito gli scritti del TabÌktino in Giom Napdet.
di FUob. e Lett. e 81 e del Cm*p-
PELLi, ivi. QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi fUoeofici,
Napoli, Morano, Dopo la pubblicazione di quwto votame il Chiappelli
tornò sull'argomento nella Filosofiti delle Scude Italiane, in un art. sulle
Attinenze fra il criticiamo kantiano e la pri- coloffia inglese e
tedesca. Siccome, osserva Tarditi, noi non possiamo riflettere su
ne»aa trebberò ira loro distinguere solamente pel dÌTerso oggetto (e
a questo soltanto s'è appellato come a ragion distintiva in un
passo dell’Introduzione già citato G.); talché se l'una noa ha, né
può avere un oggetto diverao dall' altra, è chiaro che la distin- zione
non possa più farsi. n G., veramente, negava più tardi che la
distinzione si desuma soltanto dall' oggetto; e voleva che si fondi anche
sul metodo {Errori); e dava sulla voce a Tarditi, che ciò non aveva
saputo vedere •). Ma come sosteneva la sua sentenza ? La diversità dei
metodi in ogni ordine di ricerche consiste in quella del veicolo, che si dee
scegliere per conseguire l'oggetto ricercato; e la natura del veicolo è
determinata da quella dell'og- getto medesimo, considerata non in sé
semplicemente, ma nelle sue attinenze con le facoltà e le condizioni del
cercatore, . E più in là: ' Il punto, a cui si vuol giungere, determina
l'indirizzo che si dee tenere; l'intervallo che s'ha da correre, insegna
le operazioni da farsi, per superare gli ostacoli e toccare la mèta,
'). Ora^ senza dire dei caratteri differenziali che G. poi indica
nei due processi che vuol distinti, basta notare che la sua deduzione
avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei avesse dimo- strato essere
realmente distinti i due pretesi oggetti di riflessione, poiché, a
confessione dello stesso G., la natura del metodo oggetto se Doa quanto da
noi o intuito se ideale, o percepito se reftle; pad la riflesBÌoDe
passare egualmente dall' oggetto atl' intuito, e dn questo a quello; anzi
ta rìfleasioue sull'intuito non puA essero completa, imparziale, quale s'addice
al filosofa, se non coasidera l'intuito, e nel soggetto di cui è atto, e nell’oggetto
in cui termina, e dal quale Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano, Z\ ; e si riferisce alla teorìa della rytesiione
filosofica del Rosmini ; cfr. p. S e segg. Or se si distìngue e separa,
come fa il Tarditi, atta da oggetto, G. ha cagione. H vero è ohe essi non
sono afiatto distinti. ') Leti, eit, Errori. G. Omtile è
determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che ammetteva
un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto intuito, egli aveva
ragione; perchè se vi sono due termini di diversa natura, noi non possiamo
giungere a ciascuno di essi con un medesimo processo. Ma conviene prima
provare quella distinzione di atto e di oggetto nell'intuito; la quale è, pift
che altro, presupposta dal nostro autore. E peccando il suo
ragionamento di una siffatta petizion di principio, né potendosi
altrimenti che per astrazione distinguere r atto dall' oggetto, G. non
può dire nemmeno che la replicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si
differenzi! per l'oggetto e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser
diverso solo allof che fosse differente l'ometto. E se il metodo trae i
suoi caratteri specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e
inscindibile, come si può distinguere una riflessione psicologica e una
riflessione ontologica? Il pensiero non si può riflettere se non sopra di
sé, come pensiero; e siccome è costituito tale dall'intuito dell'essere,
che gli dà l'idea dì questo, la riflessione non può non comprendere
direttamente questa idea dell' essere, che è oggetto dell'
intuito. Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo
significato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto esprime
l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la im-
maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato l'intuito), e però
la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si abbia di volere una
riflessione che, a differenza della riflessione sull’intuito, faccia
riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito. E a questo punto
noi volevamo arrivare. Perchè G. distingue una riflessione ontologica
dalla riflessione dei psicologisti ? Qnesta, egli dice, si ferma a un fatto
dello spirito ; quella ci conduce fino allo stesso oggetto ; e quella è
però da preferirsi, se si vuole evitare il soggettivismo. Or si veda che
fedele rosminiano è fin nell'affermazione di questa esigenza G. ! La critica
sbagliata Fatta da SERBATI delle forme kantiane, ecco che egli la rivolge una
seconda SERBATI 6 QwberH 27 Tolta contro SERBATI medesimo. G.,
infatti, si accorge (l'intuito rosminiano è una pura e semplice forma
dell'intellet ne più né meno delle forme di Kant; se ne accorge e gli
pare, dìei l'insegnamento del Itosmini, di vedersi risorgere innanzi il
fosco fs tasma del soggettivismo. Quindi non gli basta un intuito,
coi bastava al Iio3mÌDÌ, onde salvare l'oggettività,
cioèl'universal e la necessità della scienza, e gliene vogliono due, un
doppio ìntu intuito riflesso o secondario, o veramente una riflessione
oni logica. Bisogna davvero che questa Idea stia fuori del soggel
umano, stia da sé, e bisogna cbe si vada sempre fino a lei, ti per un
semplice intuito (potenza o virtualità di conoscere), vi per un intuito
riflesso, reale ed effettivo conoscere. Ma il guajo è che se l'intuito,
l'intuito scempio, sul quale esercita la " riflessione eunuca, ^)
del Rosmini, è un semplice s< sibilo interno, o meglio, un semplice
dato soggettivo (che pel G: berti quel termine ha questo significato) opperò
individuali contingente, — non c'è modo di provare che non sia un
sempl dato soggettivo anche lo stesso intuito doppio, che gli si vuol
( stituire. À rigor di logica, infatti, la critica stessa che il
Qiobe muove a SERBATI, si può muovere a lui, e si può continuare
l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè l'universalitì
necessità delle forme di cognizione, come opposizione al sogge
conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed i plica
sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto, che si eserciti una
sola volta, sia che si eserciti due volte, riflessione ontologica rifa
l'intuito circoscrìvendone l'oggetto dato sensibile, offerto dalla parola.
Ora, se il prìmo^intuito i era bastato a cogliere l'intelligibile, perchè
e come deve potè cogliere il secondo ? L'aveva evolto, dirà G.; ma
appui perciò bisogna ripeterlo, quando si vuol predicare del dato
sensil quella intelligibilità, e formare il concetto. Ma anche a v'
ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è visto un precedei Errori,
I, Gentile cronologico della percezione intellettiva, dell'atto
(che G. dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del differenziamento
della primitiva identità. E se non precede cronologicamente, come non
deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza la differenza, né l'universale
fuori del particolare, né l'uno fuori del vario, é falso i! concetto d'un
replìcamento dell'intuito nella percezione intellettiva o nella
riflessione; perchè il replicaraento presupporrebbe l'intuito come un
precedente anche cronologico, oltre che logico ; con che si tornerebbe al
vecchio concetto dell'a priori. La riflessione ontologica, adunque, non
può intendersi come in- tuito riflesso, cioè come doppio intuito,
nonostante l' esigenza che r Intelligibile aia intuito nell' occasione
stessa della percezione sensitiva, oltre che solo; per la semplice ragione che
da solo non è mai intuito, se non come presupposto logico, come un quid
trascendente il fatto della conoscenza. D'altronde, il secondo intuito
che si comprende in cotesta riflessione ontologica, non è né più né meno
che una ripetizione del primo ; talché, insufficiente il primo, non
pub non essere, e G. non dice perchè né come non debba essere
insufficiente il secondo, E perciò, rifiutato il primo, egli non aveva
nessuna ragione di tenersi contento al secondo, come aveva avuto torto, a
fil di logica, SERBATI, rifiutando le forme kan- tiane, a contentarsi di
quel suo primo intuito. Ma come l'errore di SERBATI risguardava la sua
interpetrazione di Kant, ma non, ci pare, la sua teorica, ed anzi era
prova, come s' è più volte notato, delia buona esigenza da lui avvertita
di una perfetta universalità e necessità nel conoscere; così, con la sua
teoria della riflessione ontologica, G., se crede a torto di correggere SERBATI
e con esso anche il Kant, dimostra anche lui di avere avuto il giusto
concetto dei bisogni essenziali della scienza. E v' ha di più nel G..
Questi sente più forte una esigenza, che non si può dire sia stata
trascurata dal Rosmini, comecché in lui non sembrasse pienamente
soddisfatta; vale a dire l' esigenza dell' unità non pure come compimento
della dualità della sintesi, ma altresì come sua base, fondamento ed
inìzio. SERBATI (si veda) e G.
Infatti, con la riflessione ontologica 8Ì ritrae la differenza nel seno
stesso delU identità; perchè LA PAROLA, principio determinativo, aiceome è una
rivelazione dell'idea, così è strumento di quella riflessione, che risale
fino all'idea stessa, a guisa d'un quadro, in cui s' incornicia la vaga
Idea sconfinata, tanto per lasciarsi vedere dal finito spìrito umano. Ma
quadro e Idea sono una medesima cosa; tanto che la parola è detta
rivelazione dell'Idea, ed è propriamente PAROLA dell' Idea medesima. Sicché la
differenza qui scaturisce dal fondo stesso dell'identità, dall'Idea; e la
funzione dello spirito, per cui si apprende insieme l'identico e il
diverso, è precisamente la riflessione ontologica, che si rifa dal centro stesso
dell'identico; laddove, secondo G., la riflessione psicologica non si
rifaceva se non dall' atto stesso dell'intuito di cotesto identico, cioè da un
fatto sensibile, epperò da un diverso; il quale, d'al- tronde, se pure
era un identico relativamente all' ordine dei cono- scibili, non
conteneva però in sé il principio della differenza. G., adunque, senza
riuscire a dimostrare l' insufficienza della riflessione rosminiana, con
la critica di questa e col volervi sostituire una riflessione più
compiuta, mirava a porre su più solido fondamento la oggettività del
conoscere, e a giustificare più sicu- ramente quella vera sintesi a
priori che per questa via accettava, attraverso SERBATI, da Em. Kant;
fondandola su quell'unità indis- solubile di identico e di diverso, di
uno e di moltepUce, di uni- versale e di particolare, di necessario e di
contingente, nella quale è la vita e la spiegazione del pensiero e del
mondo ; unità, del resto, di cui sentì pure il bisogno SERBATI, come in
parte s'è visto e meglio si vedrà nel capitolo ohe s^ue. E
per conchiudere intanto su questo punto, diremo che la riflessione ontologica
non è una operazione differente dalla riflessione psicologica, che G.
attribuisce a SERBATI; non potendone differire pel metodo, poiché non ne
differisce per l'oggetto, e non potendo per questo differirne, poiché non
esiste quella duplicità di c^getto, che è presupposta da G., e che ne
sarebbe condizione necessaria e sufficiente. L'immediatezza dell'intuito,
come 0. OmHle forma del conosoere, esclude essa appunto ogni
distinzione tra atto d'intuire e oggetto intuito, siccome distrugge
l'opposizione, che pur presuppone col suo letterale significato, fra
soggetto ed oggetto. Della proprietà delle parole. LA PAROLA, prima che
fosse scrtta, è PARLATA: LA PAROLA PARLATA è inventata da Dio, e la scrittura è
un trovato dell'uomo, e in specie del sacerdozio, secondo l'opinione di G., LA
PAROLA ARTIFICIALE, come espressione dell'idea, non è già il verbo creatore, ma
l'immagine del verbo, cioè il vero verbo della mente umana ;e quindi il vero medialoreidealetra
lo spirito e l'Idea. Se adunque lo spirito contempla l'idea a traverso della
parola, egli è chiaro, che LA PAROLA dee yelare appena e non coprire l'Idea, come
terso cristallo corpi sottostanti; quindi ella dee essere trasparente, e in ciò
consiste la sua semplicità e perfezione, Dalla semplicità della parola nasce la
proprietà delle voci, la purità e l'eleganza dei vocaboli; le quali doli della
parola si tra yasano nelle frasi, che esprimono l'unione armonica delle voci
mediante i concetti; e per via delle frasi riverberano quindi nello stile, e
generano la bellezza del discorso. Imperocchè il discorso è bello allora quando
le voci, le frasi, e quindi lo stile che ne deriva, sono semplici, proprie,
pure ed eleganti. Infatti la parola è semplice, quando vela appena il concetto,
e non lo copre dinanzi all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per
l'opposto materialé, e oscura. La parola è propria, se è un RITRATTO FEDELE del
concetto che esprime; ed è sempre tale, ogni qualvolta LINGUAGGIO; della
precisione dei concetti mediante le diffinizioni, e della loro partizione
mediante le divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii; delle
pruove delle verità seconde mediante i raziocinii; e in fine del processo della
mente secondo il lenore obbieltivo dell’idee mediante ilmetodo. Ma poichè in
tutte queste operazioni della mente si può cadere in errore, ogni qual volta
non si fa buon uso dei canoni logici e della loro applicazione, quindi entra
innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali,
mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes.
seleggi. Diche noi dividiamo tutta la materia di questo capitolo in tanti
distinti articoli. conserva la sua semplicità. QUANDO LA PAROLA È PROPRIA
MANTIENE A CAPELLO LA CORRISPONDENZA PERFETTA TRA L’IDEA E IL SUO SEGNO
SENSIBILE, se ella SIGNIFICA l'idea increata, cioè l'ente; e se ella esprime
l'idea creata, cioè l'esistente è anche propria, ogni qual volta conserva la
corrispondenza tra la mimesi e la metessi. Quindi è, che LA LINGUA primitiva,
la quale ha due parti, l'una divina, e l'altra umana, e eminentemente propria;
imperocchè la parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei
verbi originali manteóne, perchè divina, la corrispondenza tra l'idea e IL
SEGNO, e la parte umana, consistente nel l'INVENZIONE DEI NOMI primitivi, mantenne
ancora la corrispondenza tra la mimesi e la metessi, perchè Adamo per nominare
i sensibili coi loro proprii nomi, li dedusse dagl'intelligibili, cioè dalla
loro radice melessica. Quindi è, ancora, che nella divisione delle lingue
avvenuta pel fatto di Babele non re, che non abbia più o meno perdule e guaste
molte primitive sue forme; che non costi di nomi e verbi anomali, eteroclili,
difettivi, e di molte altre irregolarità di linguaggio, sicchè ogni lingua
compare una rovina del primitivo idioma. Quindi è finalmente, che gli scrittori
autichi per che sono studiosissimi della proprietà delle voci e dello stile
(onde le loro distinzioni dei varii generi di stile, tenue, mezzano, sublime)
perciò sono appellati classici, e sono i soli che abbiano buona scuola, cioè
ispirano e producono altri scrittori grandi. Abbiamo detto che dalla proprietà
nasce la purità l'eleganza e la bellezza della lingua e dello stile; e quindi
del DISCORSO. E infatti la voce proprio nella LINGUA ITALIANA importa il concetto
d’identità, cioè della medesimezza di una cosa con seco stessa. Importa pure il
possesso che una cosa ha di sè medesima, perchè la cosa posseduta è quasi parte
è in certo modo faltura eziandio del possidente. Quindi il vocabolo proprietà è
spesso sinonimo di medesimezia. Così l' amor proprio è l'amor di sè; è desso
ancora sinonimo di possessione. Così gl’attributi specifici di una cosa, i quali
ne sono le proprietà, sono la cosa stessa, perchè le qualià e i modi degl’esseri
sono la sostanza modificata, valquanto dire la mimesi della metessi. Adunque LA
PROPRIETÀ DEL PARLARE altro non è che LA CORRISPONDENZA DELLA MIMESI CLLA
METESSI DEL DISCORSO; la quale corrispoc [Ma se LA PROPRIETÀ DEL
LINGUAGGIO è la fonte di tutti i pregi del PARLARE e dello scrivere, LA
IMPROPRIETÀ DEL PARLARE POI E UNA DELLA CAUSE PRINCIPALI DEGL’ERRORI ONTOLOGICI
E LOGICI, che producono la declinazione della filosofia, como avvertimino nella
prima parte di questo corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento
dell'intelletto nella cognizione della verità; e come tale si distingue
dall'ignoranza, la quale non importa la cognizione alterata del vero, ma bensì la
privazione assoluta della cognizione. E poichè al vero si oppone il falso;
perciò siccome il vero significa, in quanto è desso l'essere, così il falso non
significa, secondo la bella espressione di TASSO (si veda), perchè e desso il non
essere denza costituisce LA DIALETTICA DEL LINGUAGGIO, e quindi la improprietà
ne è la sofistica. Ora la purità del PARLARE importa la sua pulitezza, la quale
è una specie di proprietà; imperocchè la pulitezza, mostrando la cosa nella sua
forma nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, val quanto dire che
l'apparenza risponda alla sostanza; il che importa in altri termini che la cosa
ha possesso di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta di ciò che
costiluisce l'ornamento degl’oggetti materiali, cosi nella lingua l'eleganza è
inseparabile dalla purità delle voci. E siccome alla pulitezza si oppone
l'immondezza, che illai disce e deforma gl’oggetti, così all'eleganza si oppone
la vanità che li altera e deforma come se fosse unamaschera straniera. Altrettanto
succede nella lingua e nello stile. Dalla stessa fonte della proprietà e
semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del discorso. Imperocchè
QUANDO IL LINGUAGGIO VELA appena e non appanna l'idea o il concetto, se ne
rende allora il ritratto fedele, nel quale caso l'idea increata o creata
manifesta naturalmente e senza ostacolo la sua luce diretta o riflessa nella PAROLA.
Ora il bello essendo lo splendore dell'intelligibile, sia assoluto, sia
relativo, che si rivela a traverso il sensibile, cosi quando LA PAROLA è
semplice e PROPRIA, è ancora bella necessariamente; e quindi la bellezza del
DISCORSO in sè raccoglie tutte le qualilà della PAROLA e dello stile, cioè la
semplicila e la proprieta, la purità e l'eleganza. cio è il nulla che non ha,
nè può avere virtù di significare. Ora le cause degl’errori si rieducono a due
principali, onde le altre derivano, cioè ally limitazione dell'uomo, e
quindi delle sue facoltà, e all'alterazione della parola, come espressione
dell'idea; ben'in leso però, che anche questa seconda dipende dalla prima. Dalla
limitazione dell'uomo e delle sue facoltà nacque lo sviamento del libero
arbitrio in ordine alla legge, e quindi l'esistenza del male morale; il quale è
cagione del male intelletsuale, inquanto è cagione del predominio del sensibile
suil'intelligibilee dellepassioni sulla ragione, onde deriva l'alterazione
dell'idea, e quindi l'esistenza del'l errore. Ma qualunquesia, dice G., la causa
della corruzione egli è indubitalo, che in origine l'alterarsi dell'idea è
congiunto equasi coetaneo a quello della PAROLA; laddove in appresso, e nel commercio
tradizionale, IL DISORDINE TRAPASSA NEI PENSIERI DAI SEGNI; sicchè
l'improprietà della PAROLA è la causa, e l'errore è l'effetto. Imperocchè, QUANDO
LA PAROLA È IMPROPRIA, siccome ella non mantiene più la perfetta CORRISPONDENZA
– e ripprasantanza -- tra l'idea e IL
SEGNO che la ESPRIME, cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti
sensibili inchiusi nella PAROLA, e l'idea viene adulterala dalla METAFORA o
dalla etimologia. Nel quale caso i concetti ideali si corrompono
proporzionatamente, se giả una nuova rivelazione, o un magisterio esteriore,
organato dall'idea istessa, nón impedisce tali corruzioni della PAROLA,
serbando incorrolta quella genuina e originale CORRISPONDENZA FRAL’IDEA E IL
SUO SEGNO ESTERIORE. Idea gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. La
tloria delle religioni appartiene a snella della Blotofia. Si ritolrono alcune
obbieiioni in contrario. Perpetuità della Blotofia. Del metodo critico aegailo
dall’ autore nelle rirerebe aloriebe. Si liepolide ai nemici delle
eonpilatìoni. Del metodo dottrinale, oaaerralo dall' autore; perebd egli
anteponga la. linloti all’ analisi. Cenni sopra nn’ opera precedente. Prorotsione
cattolica dell’ autore. RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo ratlolico. La
moderazione' nelle dottrine non è oggi di moda. Via {utile e compendiosa, per
giungere alla gloria. In che senso l’ antere sìa sago del progresso. Sua
protrata, intorno alle persone generalmente; agli scritlori risi ed ai morti, in
itpeeio. Di Byron. Dei sentimenti, che mosiero l' auloro a scrirere. Contro la
sella degP Italogalli. Funesti influssi della Francia. Della eterodosna moderna
in generale, e della filosofia germanica in particolare. Gl’Italiani debbono
filosofare da sé. Dello stile filosofico. Importanza della lingua in ordine
alle cose.{.odi ifi An- tonio Cesari. Contro i cattisi amatori d’idee. Dei
parolai. Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. Della
cbiaretxa, bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. Esempi
italiani di elocuzione filosofica perfette. Del modo, con cui si può inoorar
nella lingua. Scusa dell' autore, intorno alla lingua e allo alile da lui
adoperato. Eaorlazioue ai giorani italiani. L’Iililà della sera filosofia. Elsa
non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. Sua opportunità,
r lG-2 per ristorare la religione. La Gloa^fia dee cucre collìfaU
specialmente dai cbicrici. Lodi del chiericato italiano. Del sacerdoiio frnncese
; sua antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. Del modo, eoo <ui li
coltivano le lettere da oleum chierìci franoesi. Della parlecipasìonc dei
chierici olla vita sociulo» Della liberti cattolica nel culto delle dottrine. »
Che il clero catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’,
per sortire picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. Di certe sette politi*
che, che nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la
Francia: loro tracotanza. Al'eanza della filosofia colla religione. La dottrina
cattolica é la sola dottrina religiosa, che abbia un valore acientifico. Come
la novità si accordi coli*antichità nello cose filosoticlic. Si concbiude,
esortando gl* lioliaui a I. barare le sc cuse ipecuialve dai nuovi barbari.
DELLE DOTTBLNE Della dcelinaztone delle scienze spcculalive in generale.
Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche e fi*ichr, e lo
s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni gencr-chc.
Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia nelle varie
parli d'Europa. D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o U’de.-che, nato
dalle loro diverse attinenze colla religione. Di Descartes. 1 semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai
piu legiilmi del Malebranche, e di altri antichi cartisiani. Dd panteismo
germanico; temperalo dalle tr iduioni religiosa: l’idea «i è oscurata, non
eslin a del tutto. Di Kant. Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io
filosofia più a ioni dall' eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita
d«‘ir ingegno spcculat vo, presso i Francesi e i tedeschi. Se ne cerca la causa
nella storia, e nelle origÌr>i di queste due nazirni. Delia filosofia
inglese: sue difie* n’nte dalla francese, e dalli germanica. Dei fìloSvfi
ftaìiaiii del secolo quiiidcciao, c del seguente. — DiVico : sue lodi. Epiio{:o
d.-I quadro. Della dedinazione degli eludi specidatici, in ordine al soggetto.
lufeiiurilà speculaliia e rnoralo dei popoli modcToi, verso gli antichi. La
no-a speciale dciruoQio moJeroo è Ir frivoUzza. La cagione di questo vizio è la
debolezza della faiol.à volihva. Inlluruza dtl voli re nella cogoiziouv, e oelf
ingegno dell’uomo. La modioiriià letteraria dui moderni nasce dalle hggcrizza
dei loto animi. Esempi S 2»S * es»e bi chiude il capitolo. . - Note.
Aula prima. Siti diltflanti tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1
ptincipii dal Ufi Clw il inftoilo
El<w>fict> »i J>e di durre dai principi!, e non I metodo. Il ig.
Coiaio «.elude la «tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del cullo
reciproco de’ moderni Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia. Sopr. OD*
«poitigi. recefllo diDjroa. l'i. 1
lit ii, i6. IM ii, Ai nemici delle
wItiglieMf. Sullo lingua e luU' eluguenia francese. Sul primato della Fraocia.
L'.terodomia modarna non i fono ancora al «uo fine. Della periiia di Paolo
Luigi Cuarier nella lingua a negli icrillori italiani, Paw dal Letiinj; mila
lobrielA « ammauralega degli antichi tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni giiirnali
«ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla libertà cattolica dcKii «eritteri, Querela
di Cousin eoutro il clero ffauceee. P«Mu del Leibnii contro i dùaipatori delle
antiche dotUine. Sull' apoilaiia lU alconi prelati ruwù Delle cagioni della
H>rorma. Che la tinceritA di Denartei nel proretiani cattolico è per lo meno
dubbia. Il Malebranche non è earleeiano intorno al primo principio dellalua
filoaoCa. Clia il «ig. Coutin ha ao concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio.
Pawo del Courier tuH'iitiulo aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5, rcceoli e
ìuliani di una Tolontà forte: Napoleooet e Alfieri. Lodi deli’ Al> fieli. La
fursa della volontà dipende in gran parte dall* educasioae. Cbe co a sia r
educatione. Saa oeceuilA. Delle varie forme, che prese 1’ educazione, tecoodo
il ccM’to dei tempi e la varieii di'! popoli. Po pubblica presso gli antichi ;
qoasi pub- bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici nell' iostitusione
dei giovani. L’educazione diveone pnvate, piesso i moderni.Cagioni di ciò:
false teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e francesi. Di G angiacomo
Rousseau. Errori del suo Emito. Delle doUrìne poi tieba snlla liberti dell'
ednratione. Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca quasi alTatto nello stato
presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti dell* insegnare.
L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e dipendente dal* lo stalo.
Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale si usa oggidì nei paesi più
civili. » Dei giornali. Diretti, e danni dei giornali, come per lo piò si
scrìvono in Francia. Nuocono al'e lettere e al e sciente dalia parte di chi
scrive, e di chi legge. Necessità dell’ iniìtiiuzione pubblica, e di un supremo
poto<e educativo. Quella non lìpugna ai costumi, oè questa alla libertà
politica dei moderni. Che M»sa sia r iagfgiiu spccuUtivu. D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì
artefici di parole. ^ Quàlìià loto. Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti
diU’ ingegno sfeeulativo, e con Pano d«l
Leibnii tull’abbierion» morale JcrU onioi moderni. Sulla patria di Napoleone.
Pano dfl tig. Cuusin mila balta«lia di Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt.
Villeoiain ha recato mll' AlCeii. Sugli errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di
tre clasii di gioroali. Soll’aliBio Jei generali. Lodi di alcuni illmiri
eruditi fraaceii. Pano del Malebraoche augi’ iugegni friToli. In che modo il
genio naiionale poeta imprimere la ma forma nelle icieate «peculatiee. Sull'
indola morale, e lugli ulUnii UUmli del Goèlhc. Diuu. Pag- SCDU
bill' iCTOKI. Le lodi d'ililia nim sana oggi pericolose per la sua
modcslio. Sano opportune, e perchè. Scopo del preienle dilcorsa. L'aifluiui di
CMO non t per ilcaa Ter» iiigiiiriUD agli tlnnieri. L* doUriiu del
primalo itili IBO è necetMtfai per rÙHltun- ziuie delle sci une
flloMBclie neita pcniioli. PASTE nanu. Dell' Hlonooiia uwlnUi e
rdtlin In genere. Di qidia cbe con. peti (He uDoni in paiticoUrc Lt
isdice dell' tiatononùi è neDi virtù creatrice, L'Italia è anlmMina
peraccdiema; rau- lonomia i la boM della mi* nMggionma. DeOnitionE del
primato italiano in noiTerale, La petùxria per It ina poitora è il centro
monte del nondo civile. Convenienu geogniGehe dell' lUUa coir India e
colla HeMpoUmia. La religione b flprtndpal S)ndimeiito del primato
italiano. II principio calttdieo è Ime- panbile dal genio narionile
d'Italia. Opinione dei ghibellini e del flloioll nominali a questo
propoaiUi, e aun falsiln. Del Hachiavelli, del Sarpi e <li Amalitii ih
ìlmcm. Ln xt» iIiiL- Irina
naiionnle d'Italia i quella dei rufIIì e dei realisti. ì!,s\iii-
cattolicismo e dall' Italia. L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo ing^DO
inventivo, c sul) liuiilà delle sue opere. Essa c pure la naiione
redentrice degli altri popoli, e non puA essere redenta per
open loro. I papi non (nrono ! caoM della divisione iT ita- lia, and lì
mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU iu- liana ed enropea.
ObUeiionl e liipoile. Dei don nemici perpetui dellt penisela. Fati
perpelui e glorie di Roma in ósni tempo. L'Italia non dee invidiare alle
altre Milani la grandena e la potenia disgiunte dalla gìnitliia. Vino a qual
segno i coiHiuisU e II dominio temporale dell' antieo imperio romano
' sinno stati legitUini. Gmdeiie supcnliti della modema BÓma. Della
PMpapnda c ddle mitiioni. Puagone del SiTerlo e dd Boonaparte. L^Iialia/itaempTB
la più co9inopoK(Ìca delle nanoni. li auo principato si Tonda Mrratlutto
nella religione, j la quale di sua natura suvrasla a ogui cosa umnoa. L'
Italia tal ' in si lultc le cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai
limale c politica risorgimento, \ sema ricorrere «Ilo somniossc
iiilcsthie, alle imitaiioai e inva- j sioni Farcsilere. Dell' umane
ÌUliaoa. Essa non può uUenersi colio rivoluiioiii, [l principio dcU'
unità il.iliani è il Pajia; il quale jiiiii unilìenrc h penisola,
mediante una confeclemiinne ilc'suui principi, Vanlnggi di una lega
ilaliana. Il governo folemlivo è connalurale all' llalia, e il pili
imturale ili lutti i goterni. Danni della centralità cccessita. La
sicoreiia e la prosperità d'iLalia non sì possono conseguire altrimenti
che con un' alleaniB italica. 1 lUrcslieri non possono impedire i]uett'
alleanza, e non che opporvisì, debbono deiideratlo. Semi dell'autore se entra a
iliscorrcrc ili caie dì stato. L'opinione nasce Ida pìccoli principii, ma
dee essere edncato dai senno della ni- liane,Dna province (oprattutlo
debbom cooperare a ^TOfjr l'opim'aue Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti
Piwnnnl>. ^Bìj^^ )jj \f Itoma
pei popoli, e sua imparzialità fra i pedali ed i prindpi. I L'onilA italica
sareblie di grande utilità iWti religione cattolica, . loro'genio.
Deli.i (]d.s;i ili S^ii.iia e luili.
.l[lincnzc c cor- risponderne delle famiglie regnatrid tugl'
incrementi civili dei popoli.
itrfi^ nnn^^ ^pip rtr il PIEMONTE, n delle sorti c he le
Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. Delta concordia fra T'popoli 0 i principi
italiani. D difetto di osa ta la cauta principale del c)iM:atlinicnla d'
Italia. Errore ili chi .illribuÌKe tal decadi nHMi lo nib qualità della
stirpe o alla religione. ti'in- forlunia ilcgl' llaliaiii aiiehe pur
quvsta parte iiarque dai forestieri. Principii di risurgiiiienlo nel secalo
passala, e rili^nu cìtIIì (alte dai ptiaeipi ooslrali. Inlerratte dgfla
rivolaiioiKi rranceM, ora è il tempo opporUum di ripigiUrte. Necessitai
di ordinare la pubblici opìaione. Dne modi con cni quesla ai ap-
I>alc9a ; lit parola dei tmi e la alampa. Della monarehia conullatiia, e del
Consiglio civile. La Btarapa non dee essere MTva, iiv liceniiusa. La sala
via per evitare amenduc gli ccccs^, ilà neir affidarne l'iodlriuo a un
caniiglio censorio. nella iniportwii* della iiuapa per la civUU. UtlliU
della signoria indivlH p« riRmnata gli siali. Si esortai» I
prineipi ilaliani a toDdare l'amona d' Italia. Del dirello delle
rìibnne nriii lane a leniate in Italia, dorante il secolo scorso.
Decli- ii.ii e siitcessiva del genio iiaiiunale della penisola.
Iliscre- iiiiiiii: 111 uiieslo genio da quello dei Francesi. Critica
del gallicanìsmo. Di Benigna Bassuel : censura riverente dell' ing^u e
itelle opere di qncslo gran teologo. II sacardoiia primflivo eUw dna
poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. formola sociale : La («roonui* erta MÌl
gli ordini civili, U ncerdoiio è il Primo politico. Ciisto rinnovA a
compimenlo il sacerdoiio primigenio. — Necessità del potere civile nel
sacerdoiio cria- liiino. Lode dei Gesuiti del Paiaguai. Il polerc civile
della Chiesa non toglie la dislùuione, che corre rra lo «lato civile e
il lacerdoiio. Dea toma, par mi pam il poleniàTile dal Mce^ doxio,
cioè la dillaliaa e failiitralo, canispondenli ai due cfcU civili delle
nazioni. Legittimiti della dittatura ejerdiala dai Poniclici del medio
evo. Il ciclo dittatorio Gniscc quando c |jerioilo della dtilti'i
lefulare il'lulia < crKiirops, Dell'arbì- tr.ilo, iraliiiso ilal
sacerdoitn. Il l'.ipa c l'unico [iiiocip io dell' guerra. La
dittatura pontiScale non lurna inulìle in alcun Icinpo ; MU applicaiiane
presenle e foUin. 11 I^pa è U principio dell' anioDe d' lUlia. Il polcn civile
del Mnrdouo non è contrario ali* ipirìlualiU e HnUU dclb rai indole e del
suo nìtuslerìD. -I Del (HtiiHiiùnm. Crilict de'snoi prÌDcipii in-
tono tU* cotUluiiom della Cb'ma e al dogma caUolico. Dei doveri delle
varie ciani dei dUadini, in ordine all'aoioDe d'IU' lia, -/Danni cbe
nascono dalle dottrine esagerate di libertii. Esortaiioneagli esuli ilalìaiii.
Del dcbilo che linririu gl'llnliani gli adalatoridei pririi'ipi.
l>i^i wihili, -M ji.il ri/Min i' i!i[licil- menle srilabilc nelle
soeiclà civili. Due specie iJi palriilalo; fendala t civile. U primo è
im^nevole, Oioesto e vituperalo. 0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando
venga accompagnalo da eerte condiuoni. I cattivi nobili tono la rovina
delle nontrcbie. Dei chierici secolari. In che modo essi pouano
partecipare alle cose politiche. I^i del chicrieala Italiano. Perch6 l'
episcopato dì alcune province cattoliche sia stalo Ulvolla per l'addielro
men ragguardevole degli altri ordini derieali. Del frati. Apologia del
m(MMchÌ«no. Suoi benefiri rÌq)«llo alla drilU etirqiei. Quando traligna
ai miri rìfonnare, non abolire. Dd moMchlinwwientalee delPocci-
dcntale. Como ijueila si poiH rendere fmtluoio al nodro inri-
vilimento. Danni che nascono dai
diìoiirì degeneri. In cbs modo irrati possano influire salutarmeate nella
politica ecotqM rare ai progresai civili. Essi debbono mettere ndl'
opinione il precipuo fondamento della loro vHa. D colto ddle iciauie
e dèlie lettere in generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia politica
e dell'istoria si addice al loro minislerìo. La scienia ideale i
inoiiaslìca [ter ecccllcnia. Esurlaiionc ai venerandi alunni dei chiu;lru
ilaliaiio. Della digniu'i clericale. Gli ec- ctcsiaslici debbunu
guardarsi cautamenle dall' impicciolire o avvilire le co» della rclìgiuiic. Si
uLbiclla che Ì popoli moderni sono men grandi degli antichi. Risposta.
Ddla lollerann cristiana. Perche nei tempi addietro violala In alcuni
paeii- Tali viotaiioDÌ non si possono imputare alla Cbieta cattolica.
Delk àoleeiia, |)ru(1enia e risi:rva clericali: nel dtspularr a nei
conversare. Si rancluitc moslrando che il risorgimento d'ilalia I non pai
iver luogo, sa non ri rimetlono in onora gl'ingegni privileglati, e non «i
soUrae rindiiiuo delle cose ri TOlgo degli j nomini oiediocrì. La
riflessione ontologica ferma, circoscrive, determina, chiarifica l’Idea, cioè
Dio: ma nella PAROLA si rannicchia, s'incarna, si compie l’ Idea: LA PAROLA
(PARA-BOLA) porge l’idea cosi
rannicchiata ed incorniciata ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui
covano, pare, molte contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma
l'idea; qual bisogno ch’essa idea si rannicchi c si restringa nella PAROLA?
qual bisogno che LA PAROLA compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione,
chiarezza, delineazione nella medesima? Se QUEL CHE FA LA PAROLA, fa la
riflessione altresì, una delle due è superflua: ammetter l’una c l'altra, è
metter l’una in contraddizione dell’altra: supporre cioè che l’una non basti,
senza l'altra, a ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra per
delerminalrici dell'Idea, cioè di Dio. G. dice che nell'intuito l’uomo è
assorbito dall’idea, non la conosce neppure. Siccome dall'altra parte diceva
eziandio, che lo spirito trova se stesso in Dio e il mondo in se medesimo; ne
viene che anche la riflessione è in Dio assorbita collo spirito: che il mondo
lo è pure: e col mondo LA PAROLA, parte di esso. In cotale assorbimento
dell'uomo, della riflessione, della PAROLA; assorbimento che toglie ogni
cognizione, non è assurdo c contraddittorio il dire che la riflessione e LA
PAROLA, o tutte due insieme, servano a svegliare lo spirito assopito, esse
assopite; servano a chiarire e determinare, esse confuse e indeter- minate
nella universale confusione ed indeterminazione del cielo e della terra, del
Creatore c delle creature ? Inlrod. b)
lìti pillilo rhe li'ga. Errori Cosa sarebbe l'intuito giobertiano ? la visione
-di I)io crean- te; cioè della natura divina, dell’atto creativo, de’ termini
di code- sto atto. Cos'è la parola? un segno creato b). L’intuito dunque do-
vrebbe pure vedere la parola: la parola sarebbe parte della formula, intuita
per natura da tutti gli uomini; chi* l'Ente creante non può essere veduto senza
gli effetti del suo operare. Ma se nell’og- getto dell’intuito è LA PAROLA, è
la riflessione altresì, come cosa creata anch’essa; se l’Idea col creare
illustra, e quindi determina; illustra LA PAROLA altresì e la riflessione. Ecco
nuova contraddizione e circolo nel dire che la riflessione e LA PAROLA servono
a delincare all’intuito ciò ch’egli ha ad oggetto delincalo dalla natura:
illustrare ciò onde vengono esse illustrate. La quale contraddizione o circolo
risulta da molte altre sentenze di G. applicabili al proposito presente.
Sentenza sua è. di frequente, che i sensibili sono per sè inconoscibili; e solo
per l’intelligibile, cioè per l’Idea, siano conosciuti. L’apprensione
sensisitiva non è un elemento intellettivo. Il sensibile non può essere pensalo
altrimenti, che nell’intelligibile. L’intelligibile rischiara appunto i
sensibili, perché li produce, come l’ente e i sensibili sono illustrali dall'
Intelligibile, perché ne derivano, come esistenze. Dice: l’Eute è altresì «
l’Intelligibile, c le esistenze sono i sensibili. Le creature sono per sè
inintelligibili, nè s’intendono che in virtù dcU’intcl- g Errori Errori lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45.
un vero sensibile >. Errori. Il sensibile è subbiedivo è inconoscigibililà
assoluta n bile di sua natura » A): « è
per se stesso inconoscibile e sub- ii bieltivo, non intellettuale, nè
obbiettivo,. è rispetto alla nostra cognizione un pretto nulla. L'intelligibile
(l’Idea, l’Ente) ii inonda lo spirito di un continuo chiarore, e gli rende
conosci- li bili tutte le cose » Ora LA PAROLA come ogni SEGNO, è un, <i
sensibile » Dunque per sé inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea,
l’Intelligibile la rischiara, la illustra, la Ja intelligibile all’uomo. «
Tanto è lungi, che LA PAROLA provi l'Idea razionale, che anzi que- ll sta
dimostra l'autorità di quella. LA PAROLA e la a) Dico sarebbe, perché G. stesso
Io distrugge in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle. t)
Siccome it sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste pro-
cedono dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c
reazione. L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, Errori lntrod. Qui de» esserci corso errore di
stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o nella
punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come esistenza.
Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap- « punto i
sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. » « riflessione
stessa ripugnano, se non sono antivenute o guidate da « un lume intellettivo, da
cui, (e non dalla parola che per se stcs- « sa 6 un mero sensibile) l’evidenza
e la certezza provengono » a). Come pertanto può dirsi che la parola « si
richiede per ripensare « l’Idea; che il sensibile è necessario per poter
riflettere, e conoscere distintamente l'intelligibile ? b). Una cosa inconosci-
bile per sé, non conoscibile che per l’Idea; come potrà servire ad illustrare,
a chinrirc l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che possiede? L'idea
illumina la parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha circolo qui c
contraddizione? Che se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il modo non manca. G.
scrive talora, che l’idea, incarnandosi in una forma sensata, scade sempre
dalla propria altezza. L’idea dunque, se s'incarnasse nella parola, veramente
scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua perfezione. Come può stare
pertanto che la parola, determini, illustri l'idea, la compia, cioè la
perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c perfezionarsi s'incarni
in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ? LA PAROLA ch’è detta in
un luogo da G. un sensibile in cui s'incarna l’intelligihile; diventa in un
altro una copia mondiale, contingente e linita del modello divino, necessario e
infi- « nilo, c un individuamenlo dell’idea eterna Siccome questo modello c
idea eterna è l'Intelligibile stesso, Dio; quindi la parola è una copia, un
individuamenlo di Dio nel quale s’incarna Dio. E notate, che « tante sorti di
parole create si trovano, quante sono le specie della esistenza; una PAROLA
matematica meccanica ed idraulica, che sono i numeri, le figure, i movimenti; UNA
PAROLA FISICA, cioè I FENOMENI DI NATURA; una PAROLA estetica c sono i tipi
fantastici; una PAROLA storica, c sono i fatti transitori o permanenti degl’uomini,
gl’eventi ed i monumenti; una PAROLA sovrannaturale, e sono gli avvenimenti
ffrodigiosi e sensibili; una PAROLA liturgica ordita di emblemi e simboli; c
infine una PAROLA grammalicale, parlata c scritta, ma per se stessa ARBITRARIA,
c però diversa dalle specie anteriori, che sono tutte naturali la (piale serve ad esprimere i concetti dell’animo e
quindi a tradurre ogni altro genere di FAVELLA. Di tutte pertanto le cose
create dee dirsi ciò che della PAROLA grammaticale: sono sensibili in cui
s'incarna Iddio; sono altrettanti individuamenti di lui; che lo compiono, lo
determinano, lo fermano, lo circoscrivono, lo illustrano: quantunque siffatta
incarnazione lo umilii veramente, sconci. Errori Inlvofl. u. ii. li. Ges. Moti,
tv: p. li. Prima!-» li. Anche la PAROLA sovrtwnnfurtile ? fi Ivi. lo abbassi,
lo r Nasce però curiosità di sapere, perchè mai nella parola s’in» carni
l'Intelligibile; ina nou « in quanto rispleude aU’intuilo: ib- bene in quanto
riverbera (cioè ridette) sulla riflessione » in quel punto famoso di contatto
che lega Dio coll’uomo? La riflessione, si è detto, che mediante la parola
circoscriveva, compiva l’idea ; quindi la parola preceder dovrebbe la
riflessione. Ma se la parola contiene l’Idea in quanto riflette mila
riflessione dell'uomo; la riflessione è preceduta alla PAROLA (PARA-BOLA): così
la riflessione va innanzi alla PAROLA (PARA-BOLA); e LA PAROLA (PARA-BOLA) va
innauzi alla riflessione nella stesso tempo. Eccoci di nuovo ucU’uno via uno.
Se la dottrina della riflessione determinatrice e illustratrice deU'iuluito
fosse vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida per mano l'intuito, lo
signoreggia. Or bene di ciò fa le risa G. contro i psicologisti: lo aveva credulo finora che la cecità sia la
causa principale per cui non si scorgouo gli oggetti: ora siccome l'intuito, non che esser cieco, è la
fonte della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto partecipa
alla luce intui- tira, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca
al « cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sarebbe già
degno di considerazione), ma chi 6 veggente in mo- ie do perfetto; cosa per
vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li l’Ontologo, che pone per una
parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e immagina dall’altra una
riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie a determinare, fermare,
ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed illustrate; quegli è che
s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle da’ ciechi; che si
pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre della mezzanotte. G.
consuona a SERBATI (si veda) nel riconoscere la necessità della PAROLA
(PARA-BOLA) per la riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne
la ragione : per dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di
spiegar altrimenti la formazione delle idee astrai- le: G. non ne porge
nessuna, Imperocché non sembra- mi prova quel dire che il punto indivisibile,
di cui abbiamo discorso di sopra, (il
punto che lega Dio e l’uomo combaciantisi), « non può esser termine del
ripiegamento riflessivo, se non VESTENDO una forma sensibile – GRICE: Language,
The Dress of Thought. E siccome non è sensibile per se stes- ti so, siccome
versa in una mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo, con cui possa
rendersi sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un segno, cioè
della parola Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un semplice insinimentn
necessario per mettere la riflessione in commercio colf intuito; Errori
Strumento riflessilo Semplice segno
insidine male stimolo per mi rumineia «I
al- « luorsi (l'iiniiiio umano), e il polline ette lo feconda »; Primato, « occs- • sione, cagione, inslrnnirntale del
lero. Necessità della PAROLA (PARA-BOLA). Bello Introd. il. p. 134. SERBATI (si
veda), S. Saggio. e. 4. a. I. Filo». Polii. Voi. Incorporazione spirituale.
Errori punto, rhY' puro relaziono intelligibile, ohe anzi è la cagnizinne,
rollio vedemmo, perché « non può esser termine del ripiegamento riflessivo, se
non vestendo una forma sensibile, se non rendenti dosi sensato, se non
incorporandosi in un SEGNO »? G. noi dice. Altri osserverà nondimeno che non
solo noi dice ma nemmeno può dirlo nel suo sistema: che perciò é impossibile a
G. di provare la necessità della PAROLA (PARA-BOLA). Egli afferma, che l’uo- «
ino nou può meglio nel suo stalo attuale riflettere senza PAROLA (PARA-BOLA),
che FAVELLARE senza LINGUA, vedere senz’occhi, c pensare senza corvello. Senza IL
LINGUAGGIO l'uomo ha ragione; ma non uso di ragione, ha la riflessione in
potenza, non in atto. Il che dice essere applicazione speciale ili una legge
generale dello spirito. La qual legge si è, che la riflessione universalmente
non si può csercitare, se non mediante il concorso del sensibile coll’intelligibile.
Ora di quale delle due riflessioni, già distinte da lui, parla il nostro
autore? Dell’ontologica: perchè dell’altra confessa che il sensibile è
l’oggetto medesimo dell'alto riflesso, onde LA PAROLA (PARA-BOLA) non en- ti
Ira necessariamente nel suo esercizio, se non in quanto tal riflessione si
connette colla riflessione ontologica; imperocché il sensibile per essere
pensato non ha d’uopo di un altro sensibile, che « lo vesta e lo RAPPRESENTI.
lo nè ammetto nè ripudio tale ragione: ma l'ammette G. certamente. Dunque a
sola la riflessione ontologica è La PAROLA (PARA-BOLA) necessaria. Perché?
perchè in os- ti sa il sensibile non è somministrato dall’oggetto
dell’operazione « il quale è il stdo intelligibile i Sla codesto e falso: è
falso che oggetto dell’ ontologica riflessione sia il solo intelligibile,
secondo G.. Non ci ha egli appreso che « la riflessione ontologica, tramezzando
fra le due altre operazioni (intuito e ridessione psicologica), abbraccia
congiuntamente il soggetto e l 'oggetto c li contempla con un allo unico?; che
nella riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel
punto indivisibile, in cui il soggetto tocca l’oggetto, c abbraccia quindi
l’oggetto medesimo, come intuito dal soggetto? Dunque non è l'intelligibile
solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto eziandio, cioè
il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili bisogno di
sensibile, di PAROLA (PARA-BOLA), per essere ripensalo; se non n'ha bisogno l’
intelligibile, Dio, intelligibile per se stesso: come n'ha bisogno il punto in
che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione di
due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione
di' è relazione intelligibile, perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad esser
oggetto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p. ini. di
Iti. e Krrori) Iti Che se « prima di credere alla parola, bisogna intenderla »
a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in quel punto, unione,
unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione dovrà esser vestila
della parola, per diventar riflessione ; la veste dovrà insieme essere il
vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione vera, come la chiama G..
Questa è una di quelle « soluzioni ed avvertenze di cui non v’ ha il menomo
vesti- li gio in altri sistemi prima del Giobertiano li). Il che niuno vorrà
negare Della unicertalilà scientifica della farmolu ideale. Aimcoio punto.
Prtamiolo. L* formolo roiionale dee contenere l’organismo degli eie- menti
ideali. Per conoscere questa organizzazione, bisogna riscontrare essa forinola
1 coll albero enciclopedico.^-L’enciclopedia si compone di tre parti,
filosofia, fisica e matematica, cko corrispondono alle tre membra della
iormola. Della filosofia in ispe- cicr si stende per tutta la formolo. Dell’ontologia,
psicologia, logica, etica e matematica ; come si connettano coi rari termini di
quella. Tavola rappresentativa deiralbero enciclopedico, conforme alC organismo
ideale. Spiegazione generica del- la tavola. Dello scienza ideale. Della
teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza
della seconda sulle altre scienze. Primato dell'ontologia fra le varie
discipline filosofiche ; necessario, acciò queste siano in fiore. Della
teologia universale. Delia matematica. La matematica tiene un lnogo mezzano tra
la filosofìa e |a fìsica Insufficienza della filosofia moderna, per dare una
teorica soddi- sfacente del tempo c dello spazio. Dichiarazione di queste due
idee, c dell’oggetto loro, mediante la forinola ideale. Della logica e della
morale. Queste due scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al termine
medio della formolo. Della logica in particolare, c delle varie sue parti Dell’etica
in ispccicr. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. Convenienze, che
corrono fra loro. Della legge morale. Dell’imperativo. Del dovere, e del
diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal fisico,
che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro
della formolo. Dei duo cicli generativi. Varie sintesi, di Cui si compongono.
Dell' ordine dell’universo. Del concetto teleologico. L’idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. Dell’estetica. Del sublime e del bello,
t-Delle varie loro specie, e del modo in cui si connettono colla formolo. Del maraviglioso.
Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi
i suoi tizi. Gli stateti odierni, non hanno veri principii, perché mancano
della cognizione ideale. 1 difetti della teorica hanno luogo del pari nella
pratica. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei bassi tempi. Dell’apoftegma
del MACHIAVELLI (si veda), che le instituzioni si debbono filirare veto i loro
principii. In che senso sia vero. Benefici influssi del Papato nella civiltà
delle nazioni. Di GIULIO (si veda) Cesare, institufore della tirannide
imperiale. Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del Descartes.
Della idealità delle nazioni. L’Idea é fonte del diritto. Attinenze del dovere
col diritto, c delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta
è 1’Idea. Della sovranità relativa c ministeriale. Non si trova in separato nel
governo o nel popolo. La società non è d’ instituzione umana, ma divina. Cosi
anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo,
con cui si tramanda e perpetua di generazione in generazione. Forinola della
politica. Assurdità del suffragio universale. La capacità dee,accompa- gnare il
potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indi- pendente
dai sudditi. La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del potere
tradizionale colla sufficienza elettiva. Il sovrano non può mai farsi da sé in
nessun caso. Ogni potere sovrano è divino. Inviolabilità del potere sovrano.
Delle rivoluzioni, e delle contrarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto
questi nomi. La verà rivoluzione, essendo 1’attentato contro una sovranità
legittima, è sempre, illecita. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere
a’ suoi ordini primitivi c anticati. La monarchia é necessaria al di d’oggi
alla libortà europea. L'investitura della sovranità in una famiglia é
inviolabile, corno il dominio privato. Il potere ereditario, c la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Conformità della nostra
sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del potere
sovrano. 1 fautori della licenza invertono la formula politica. L’idea divina ó
la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo
non é un metodo ipotetico, corno quello dei psicologisti. Iddio è 1’Intelligibile:
é 1’alfa e 1’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea
divina nelle varie parti della filosofìa. Si
Dtll'a conservazione dellaforinola ideale. La conservazione della
forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi
periodi. La confusione della filosofia colla religione nocquc in ogni tempo ab-
la scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi Del
razionali- amo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due parti. Suoi
fondatori. La critica storica dei ra/ionalisti pecca per difetto di canonica.
Il razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e di veri. Sua
vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un vero naturalismo Del
sovrannaturale: sua definizione. Necessità di esso, per l’ integrità dell’
Idea. Possibilità e convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordino
sovrannaturale. L’Idea cristiana è universale, come l'Idea della ragione.
Nullità sintetica o filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo é la
religione universale. Non si può mettere in ischicra cogli altri culti. Sua
singolarità. Le false religioni non distruggono l’ universalità del
Cristianesimo. Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si
confuta una sentenza dello Strausse. Le false religioni sono lo sole, che
debbano temere dei progressi civili. Il Cristianesimo sovrasta, e non Sottostà
alla coltura più squisita. La civiltà moder- na, che lo combatte, è una
barbarie attillata Delle prove interne della .rivelazione. Sua medesimezza
coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. La divinità
della Bibbia risulta dalla perfezione dell' Idea, chfe vi è rappresentata.
Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua mirabile semplicità, e sua
differenza dai lavori sincrctici dell' ingegno umano. Concorso c predominio delle
prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. Della
inspirazione dei libri sacri. Sua definizione, natura, estensione. Si risolvono
alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica di questi si fonda in un
falso metodo. Etnografia della rivelazione. Della predestinazione degl’
individuile dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei
popoli giapctici: loro divario dai Semiti. Delle nazioni madri. Degl’Israeliti;
conservatori dell’Idea perfetta, prima di Cristo. Dei fati del popolo ebreo.
Della scienza acroamatica ed essoterica. Fondamento naturale, o universalità di
questa distinzione. Della ordinazione civile e religiosa degl' Israeliti. Oltre
la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica c tra-
dizionale. Ragioni, in cui si fondava questa 'distinzione presso il popolo
eletto. Il Cristianesimo rese essoterica la scienza acroamatica degl'
Israeliti. L’alternativa dcl- racroaraatismo c dclf essoterismo èia sola
variazione, che si trovi nella storia dell' Idea rivelata. Perchè Mosé non
abbia insegnata espressamente i’ immortalità degli animi umani. Gl’Ebrei non
tolsero dagli stranieri la loro angelologia e il dogma della risurrezione. Del
sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del loro metodo nel cercare
1’origine delle idee e delle credenze. Attinenze reciproche della dottrina
esso- terica. Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti
c i Gentili. Del fìguralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti
ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle iustituzioni mosaichc.
La furinola ideale e il telegramma, sono il nesso della scienza acroamatica ed
essoterica presso gl’Israeliti. Dell'alterazione dellaformolo ideale. La
barbarie non fu lo stato primitivo dogli uomini. La storia delle religioni tion
comincia dal sensismo, Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso
molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle nazioni. Del
patriarcato. Dello stato castale : sua origine. Del predominio dei sacerdoti: sua
legittimità. Genio religioso delle società costituite sotto 1’imperio ieratico.
I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della
loro influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le
reliquie dell’antica dottrina acroamatica ; fondò 1’essoterica. In che modo la MITOLOGIA
é LA SIMBOLICA potessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica
dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della fi- losofìa
gentilesca. Riscontri. dell’antico c del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui
passò l'alterazione della forinola ideale', oscurità, confusione, dimezzamento
e disorganazione. Cagioni dell’alteramente : predominio del senso e della
fantasia; INFLUENZA DEL LINGUAGGIO SULL’IDEA, e dell’ essoterismo sull’
acroamatismo; dispersione dei popoli, perdita dell’unità universale. Del culto
dei fetissi. Di un doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle
instituzioni religiose. Esempi. Epoche della cognizione ideale: intuitiva,
immaginativa, sensitiva e oslrattiva. Se nel vario e succes- sivo alterarsi
della forinola, si mantengano i suoi tre membri, e come? Tavola delle
trasformazioni ontologiche della fòrmola ideale, corrispondentiaivaristati psicologici
dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell’ epoca intuitiva; corno
1' uomo ne sia scaduto. Il mal morale consisto nella negazione del secondo
ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare lo stato intuitivo.
L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita di esso. Dell’ epoca immaginativa.
Del naturalismo fanta- stico c dell’ cinanatismo propri di questa epoca. Indole
poco scientifica dell’ emanatismo. Sua forinola. Due sorti d’ emanatismo :
psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli cmanatisti. Della loro
dualità primordiale, e delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ emanati- smo. I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. Del Kincrctisino emanatistico. Dei due
cicli di tal dottrina: 1’ emanazione. Del ciclo remanativo: sua natura.
—Corrompe la morale, c introduce il pessimismo. Delle varie età cosmiche,
secondo i miti di molti popoli Gentili. come 1’ottimismo c il pessimismo si
accozzino insieme nel sistema degli em&ftatisti. Degli aratori, della
teofanie o logofanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il
sovrintelli- gibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato
dall’ emanatismo. Sua indole, e sue varie forine. Tutti i popoli politeisti
conservano una reminiscenza della unità ideale. Dell’idolatria: sua natura. Del
panteismo: ò una riforma ieratica dell’ emanatismo. Il panteismo scientifico
non potè essere il primo sistema nella via dell’ errore. 1’emanatismo e il
panteismo sono sostanzialmente una mede- sima dottrina, l’uno sotto una forma
fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali
del panteismo. Universalità del panteismo nel regnu dell’ errore. Tutti i falsi
sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avero Terrore. Varie
forme del panteismo Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato
castale. Dei Misteri, da cui uscì la filosofia laicale. Dell’ateismo. Questo
sistema non potò essere anteriore al secondo periodo della fi- losofia secolaresca.
Si rigetta l! opinione di un ateismo indico antichissimo Del sovrintelligibile.
Serbato in parte dai sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti,
salvoclié dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’Italia e della Grecia. Dei
tentati- vi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile.
Si conchiude, accomando brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota
prima. Sulle denominazioni moderne dell’Io E DEL ME [CF. GRICE, “PERSONAL IDENTITY” –
“I fell down the stairs,” “My brain aches – my head was hit by a cricket ball”].
Di alcune dottrine erronee sulla bontà e
pravità degli atti umani. 166 Errori di un giornalista francese sull’ amor di
Dio. Del tempo e dello spazio, secondo il processo ontologico. Passi del
Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la
religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente
considerati. L Influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e
dell'aziono umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’infinità
del mondo. Sugli assiomi di finalità o di causalità. Se l'abolizione della
schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’origine
della sovranità in alcuni casi particolari. Dell'orgoglio civile. Sui diversi
modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L'idea di Dio non è
solamente negativa. bit. Sulla voce rivelazione. Di varie spezie del
razionalismo teologico. Dei miracoli posteriori allo stabilimento del
Cristianesimo. Passo del Malebranche sull’idealità del Cristianesimo. Passo del
Leibniz sulla rivelazione. . Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella
risurrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher
c dello Strausse sull’ esi- stenza degli angeli. I razionalisti confondono la
dottrina acroamatica colla essoterica. Sul fatto di Babele. Del sincretismo dei
falsi culli, doma, mito e simbolo zendico, ISci culti barbari l’Idea è esclusa
dalla religione, c non dalla scienza umana. 1/antropomorfismo e il psicologismo
essoterico. Del panteismo di Ulrico Zuinglio. Passi dello Spinoza conformi alle
dottrine del razionalismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Ib.
Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col
fatalismo.DELLA DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I* OHUISE ALL' UGGETTO.
Della Idea. È primitiva, indimostrabile, evidente, e certa per sé stessa.
Necessità della parola per determinare c ripensare l'Idea. 1 progressi della
cognizione ideale rispondono alla perfezione dello strumento, con cui si
lavora, cioè della PAROLA (PARABOLA). IL LINGUAGGIO È INVENTATO DALL’IDEA, clic
parlò sè stessa. L’evidenza e la certezza riflessiva abbisognano della PAROLA
(PARABOLA). Il sensibile è necessario per poter ripensare l’intelligibile.
L'Idea è l’unità organica, la forza motrice, e la legge governatriec del genere
umano. L'Idea è l’anima delle anime, l'anima della società universale. Ella può
oscurarsi, ma non ispegnersi affatto. Del suo primo oscuramento, e degli effetti,
clic ne seguirono. Perdita dell’ unità ideale, c morte morale del genere umano.
Diversità delle stirpi. Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità
primitiva. Del genere umano secondo l'elezione, sostituito al genere umano,
secondo la natura. La Chiesa è la riordinazionc elettiva c successiva del
genere umano. Vicende storiche della Chiesa. Colla perdita dell’ unità ideale
venne meno al genere umano la sua infallibilità,chepassò nella Chiesa. Quandoil
genereumano riacquisterà questo privilegio. Chi è fuori della Chiesa, è fuori
del genere umano. Composizione organica della Chiesa. Chiesa c conservatrice e
propagalrice dell’ Idea : unisce il prin- cipio della quiete a quello del molo.
Delle forinole definitive della Chiesa. Della scienza ideale, razionale e
rivelata. Attinenze reciproche di queste due parti. La scienza razio- nale, o
sia la filosofia, si distingue in due grandi epoche, ciascuna delle quali
corrisponde a una rivelazione. Il nesso fra la rivelazione e la filosofia è la
tradizione. I.’ alteramente della tradizione, e quindi della verità, fu nella
sua origine una confusione delle lingue. L’effetto di questa confusione è il
gentilesimo. L’organizzazione ecclesiastica è la sola via, con cui si possa
conservare intatta la tradizione. Della Chiesa giudaica, c della sua diversità
dalla cristiana. La filosofia gentilesca avea colla rivelazione primitiva una
relazione diversa da quella, che corre tra la filosofia cristiana c la
rivelazione evan- gelica. Due tradizioni, religiosa c scientifica. Due classi
di sistemi filosofici; gli uni tradizionali e ortodossi; gli altri anli-
tradizionali ed eterodossi. I primi suddividonsi in progressivi,
cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi distinguono dagli
ortodossi. La filosofia ortodossa è perpetua. Vari modi, con cui i sistemi
eterodossi possono rompere il filo della tradizione. Tre età della filosofia
cristiana. Dell’età moderna. Del psicologismo: definizione di esso, e dell'ontologismo,
che gli è contrario. Il psicologismo è l'eterodos- sia moderna delle scienze
filosofiche. Descartes è il suo fondatore ; gran matematico, meschinissimo
filosofo. Paralogismi puerili del suo metodo. Presunzione intollerabile del suo
assunto e delle sue promesse. Cagioni, per cui il Car- tesianismo invalse, ed
ebbe una certa voga. Due dottrine c due letterature in cospetto P una
dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il sedicesimo. Abusi e disordini, che
allora regnavano. Necessità di una riforma’ cattolica. Tre riforme eterodosse ;
due religiose, la terza filosofica. Il tedesco Lutero, e l'italiano SOCINO (si
veda), autori delle due prime; il francese Descartes, della terza. Vizi della
Scolastica, che prepararono gli errori più moderni. Analogia del metodo
protestante col metodo cartesiano. Descartes non liberò la filosofìa, come oggi
si crede, ma la ridusse WS in scrvilu.
Contraddizioni ridicole della sua dottrina. Descartes non somiglia a Socrate
pel metodo, ne a Platone per la teorica delle idee innate. Vizi del pronunziato
cartesiano: io penso; dunque, sono. [GRICE SU “DUNQUE” – IMPLICATURA
CONVENZIONALE, NON CONVERSAZIONALE] Il sensismo nc è la conseguenza. Assurdità
del sensismo. Il predominio del sensismo ha impicciolita la filosofia moderna.
Danni recati da esso agli studi storici. La religione è la chiave della storia.
La filosofia nata dal ('.ar- tesianismo si divide in cinque scuole. Del
razionalismo psicologico diverso dall’ ontologico. Due classi di filosofi
francesi. Di alcuni eclettici francesi in particolare. Si annoverano i diversi
vizi e inconvenienti dell' eclettismo, e quelli del psicolo- gismo. Obbiezioni
dei psicologisti : risposta. Del senso ontologico. L'ontologismo è conforme
all’ indole e al processo del Cristianesimo. llicpilogazioue delle cose dette
in questo capitolo. DELLA FOIJIOLA IDEALI. Che cosa s’intende per forinola
ideale. Metodo, che l’autore si propone di tenere in questa ricerca. Del Primo
psicologico ontologico c filosofico. Il Primo filosofico abbraccia i due altri.
Varie dottrine sul Primo psicologico e ontologico. Teorica di Antonio Rosmini
intorno al concetto dell’ente consideralo, come Primo psicologico: si riduce a
quattro capi. Critica del sistema rosminiano : il Primo filosofico è l’Ente
reale. L'Ente reale è astratto e concreto, generale e particolare, individuale
e universale nello stesso tempo. La filosofia moderna erra spesso, mutando il
concreto in astratto. Vari generi di astrazione c di composizione. Il Primo
filosofico contiene un giudizio. Doti speciali di questo giudizio: consta di un
solo concetto, che si replica su se stesso ;
è obbiettivo, autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è
identico al giudicalo. Il giudizio divino essendo il primo anello della
filosofia, questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. Il
giudizio divino, con- tenuto nel Primo filosofico, non basta a costituire la
forinola ideale. Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. Della
nozione di esistenza : analisi del concetto e della parola. Egli è impossibile
il salire logicamente dal concetto dell’ esistenza a quello dell' Ente. Bisogna
adunque discendere dal concetto dell' Ente a quello di esistenza. Necessità di
un concetto intermedio per effettuar questo transito nel processo discensivo.
L’idea di creazione è il legame tra le due altre. Obbiezioni controdiessa:
risposta. II processo psicologico corrisponde all’ontologico. Lo spirito umano
è spettatore continuo, diretto e immediato della creazione. L'idea di creazione
contiene un fatto primitivo c divino, che è il primo anello delle scienze
fisiche e psicologiche; quindi tutta l’ umana enciclopedia è divina nel suo
principio. Compimento della formola ideale. Altro giudizio contenuto in essa
formola. Distinzione c inseparabilità psicologica dell’Ente e dell’esistente. Del
vero ideale e del fatto ideale. Obbiezione contro il nostro processo ideale: risposta.
Dell’ organismo ideale. Problemi metafisici, che non si possono risolvere, se
non colla nostra formola, e ne confermano la verità. Del necessario c del
contingente. Dell’ intelligibile. Dell’ esistenza dei corpi. Cattivo metodo di
molti filosofi nel combattere l’idealismo. Dell’ individuazione. Dell’ evidenza
c della certezza. Possibilità del miracolo provata a priori. Nuove obbiezioni
contro la formula ideale: risposta. Dell’ origine delle idee. Vari sistemi dei
filosofi su questo punto. Critica della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee
nascano da quella dell’Ente, per via di generazione. Esposizione sommaria della
nostra dottrina sull’origine delle idee : si riduce a tre capi. Convenienza
della nostra dottrina con un pronunzialo di VICO (si veda). Dei giudizi
analitici [cf. GRICE, IN DIFESA DI UN DOMMA] c sintetici. Esposizione della
nostra dottrina sulle varie classi di giu- dizi sintetici. Della natura del
raziocinio. Cenni su altre quislioni, che si attengono alla nostra formola.
L’aver dismessa o trascurata l’idea di creazione è la causa principale degli
orrori filosofici. Vane promesse ilei moderni eclettici, c flebolezza della
filosofia presente. Per ristorarla, bisogna abolire il psicologismo. Il
Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. Ili santo Agostino : sue lodi : fondò
la scienza ideale. Della scienza ideale cattolica : sue prerogative. Degli
Scolastici : loro difetti. Del nominalismo e sua influenza sinistra nel rea- lismo.
In che consista il perfetto realismo. Si critica il principio fondamentale di
Cartesio colla scorta della formola ideale. Di Spinoza. Tre epoche della
filosofia te- desca. L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente.
Critica del loro sistema. Vizi del panteismo in generale. Convenienze del
panteismo coll' eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei
protestanti, c con quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro
culto. Le sensazioni sono segni delle
cose. Passo del Leibniz sul nesso del pensiero colla parola. Sulla base
ontologica della veracità. Indivisibilità morale ilei Papa c della Chiesa.
Sulla mutabilità del vero, secondo i panteisti. Sulla universalità logica
dell’errore. Passo dello Spinoza sull’ ontologismo. Passo di Cousin sul
psicologismo del Descartes. Giudizio del Leibniz su Cartesio c sulla sua
dottrina. Del valore del Descartes nelle scienze fisiche. Parere di Cartesio
sulla speculativa dei matematici. Passo del Mcujot su Cartesio. Ih. Dei furti
letterari del Descartes. Esame dello scetticismo cartesiano. Passo dell'
Aucillon sullo stile del Descartes. 29!) Della presunzione e dell’ arroganza
del Descartes. Sopra una sentenza di VICO (si veda). A che e (Trito i capi
della Riforma scemassero il sovrintelligibile rivelalo. Che gl’italiani hanno
l’ingegno scultorio. Divario tra i Sociniani e i moderni razionalisti. Esame dell’opinionedi
Cartesio intorno al suo rogito. Sul IVo di Lutero. Sul circolo vizioso del
Descartes. Esame dell’opinione cartesiana, che Iddio possa mu- tare le essenze
delle cose. Vera idea della filosofia socratica c platonica. Sulle idee innate
del Descartes. Sopra una sentenza del Thomas. Passo del Leibniz sul Cogito di
Cartesio. Il secolo attuale continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart
sulle sciocchezze dei filosofi. Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib.
Sulla religione di Napoleone. Critica di due opinioni del sig. Jouffroy. Cousin
non conosce il sistema del Malebranche. Quando nacque la filosofia moderna,
secondo Cousin. Dell’ ontologismo cristiano. Vari passi del Malebranche sulla
visione ideale. Si esamina la dottrina del Rosmini sulla visione ideale. L’ente
ideale di SERBATI (si veda) è insussis- tente, benché non sia subbiellivo.
L’ente ideale di SERBATI (si veda) è obbiet- tivo c assoluto, benché si
distingua da Dio. Tassi di FIDANZA (si veda) c di Gersonc sulla visione ideale.
Medesimezza del concreto c dell’astratto, dell'indivi- dualeedel generalenell’ordine
dellecose assolute. Passi del Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale. Sulla
confusione dell’ essere coll’ esistere. l’asso di VICO (si veda) sul divario,
che corre fra le voci essere ed
esistere, e sull’USO [DISIMPLICATURA, NON SENSO] IMPROPRIO, che ne fa il
Descartes. tb. Passi del Descartes, in cui questo filosofo sinonimo l ’ essere
coll’ esistere. Sulla voce esistenze adoperata nella formula. Sulle nozioni del
necessario, del possibile, del con- tingente, e sui principii, che ne derivano.
Ib. Della dualità ideale. Passo del Malebranche sulla impossibilità di di-
mostrare l’esistenza dei corpi. Sulle convenienze del sistema cartesiano collo
Spi- nozisrno. Passo del Leibniz sullo stesso proposito. Sopra due obbiezioni
del Paulus contro il sistema dello Spinoza. Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche
dei Rabbini. Di una opinione dell' Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA
SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere
l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione,
bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. L'enciclopedia
si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle
tre membra della forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la
forinola. Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si
connettano coi vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero
enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. Spiegazione generica della
tavola. Della scienza ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato
universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Primato
dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste
siano in fiore. Della teologia universale. Della malemalica. La inatcmalica
tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica. Insufficienza della
filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio.
Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola
ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze hannociòdicomune, che appartengono
al termine medio della forinola. Della logica in particolare, e delle varie sue
parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri.
Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’ imperativo. Del
dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del
mal lisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro
della forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si compongono.
Dell’ordine dell’ universo Del concetto teleologico. L’ idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. Del sublime e del bello.
Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. Del
maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo
cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno veri principii,
perchè mancano della cogni- zione ideale. I difetti della teorica hanno luogo
del pari nella pratica. Del governo rappresentativo. Originato dal Cristia-
nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due sistemi
dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso. Suc- cessione storica del
sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine
recenti c sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. La
civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’ apoftegma di
MACHIAVELLI (si veda), che le «istituzionisi debbonoritirare versoi loroprin-
cipii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella civiltà delle
nazioni. Danni fatti alla medesima dall’Imperio. Di GIULIO (si veda) Cesare,
institutore della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del
dispotismo colle dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle
nazioni. L’ Idea è fonte del di- ritto. Attinenze del dovere col diritto, e
delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della
sovranità relativa e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel
popolo. La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. liosì anche il
potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui
si tramanda c perpetua di generazione in
generazione. Forinola della poli- tica. l.a Immissione della sovranità dee
essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. Se tutti i
cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio
universale. l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a
costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. l.a
perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla
sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della politica. 11 sovrano non
può inai farsi da se in nessun caso. Della distribuzione della sovranità fra i
cittadini. Ogni potere sovrano è divino. Nello stato primitivo delle nazioni la
sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nè pareggia lafratullii
cittadini. n- violabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con-
trarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questinomi. La vera
rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre
illecita. La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria.
Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e
anticali. La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea.
L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute
pubblica. È inviolabile, come il dominio privato. Il potere ereditario, e la
capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. Delle corti.
Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’
inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori della licenza c del dispotismo
invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. L’idea
divina è la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’ idea divina.
L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è
l'Intelligibile: è l’alfa e l’omega della scienza. Si termina, riandando il
primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale.
La conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di
questa. Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione
nocque in ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi. Del razionalismo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in
due parti. Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di-
fetto di canonica. Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e
di veri. Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un veronaturalismo. Delsovrannaturale:
sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Possibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione
universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità.
Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita.
La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove
interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la
parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
deli’ Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ ingegno umano.
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. Della inspi- razione dei libri sacri. Sua definizione,
natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica
di questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivela- zione. Della
predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle
lingue semitiche. Dei popoli giapetici: loro divario dai Semiti. Delle nazioni
madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. Dei
fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento
naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e
religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una
scienza secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa
distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese esso- terica la
scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell'
essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli
animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il
dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del
loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze
reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo
rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un
trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig.
Salvador delle institu- zioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma,
erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti.DELL’ALTERAZIONE
(IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La
storia delle religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse,
o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle
nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie
storiche nell’ effetluazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale :
sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso
delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori
principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza
nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica
dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la
simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’
acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa
gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui
passò l’alterazione della formola ideale: oscurità, confusione, dimezzamento e
disorganazione. Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della
fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull'
acroamatismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del
culto dei felissi. Di un doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle
instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche della cognizione ideale:
intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo
alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle
trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati
psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca
intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. Il mal morale consiste nella negazione
del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato
in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca
immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa
epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’
emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti.
Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo,
e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanatismo. I fautori di questo
sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico.
Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione. Delcicloremanativo: sua natura.
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche,
secondo i inili di molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si
accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o
logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin -
telligibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato
dall'emanatismo. Sua indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano
una reminiscenza della unità ideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel
panteismo: è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico
non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il
panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma
fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali
del panteismo. Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi
sistemi vi si riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore, Varie
forme del panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato
castale. Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo
sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia
secolaresca. Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel so-
vrintelligibile. Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici
filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della
Grecia. Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il
sovrintelligibile. Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo
libro. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. Del tempo c dello
spazio, secondo il processo ontolo- gico. Tassi del Leibniz e del Malebranche
sul tempo e sullo spazio Della importanza, che la religione dà alla vita
temporale. .Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune
dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. Errori di un
giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in
tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura
delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di
causalilà. Del traffico degli schiavi
negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba
attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi
particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può
dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Sulla
voce ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli
posteriori Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc
sull'idealità del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla
credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. Si esamina
la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza
degli angeli. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla
essoterica. Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma,
mito e simbolo zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e
non L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. Del panteismo ili Ulrico
Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del razionalismo
teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana
col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA
DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli
clementi ideali. l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare
essa forinola coll'albero enciclopedico. L'enciclopedia si compone di tre
parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della
forinola. Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’
ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi
vari termini di quella. Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico,
confórme all’organismo ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza
ideale. Della teologia rivelata e della filosofia. Principato universale della
prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. Primato dell’ontologia
fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore.
Della teologia universale. Della
malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.
Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del
tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro,
mediante la furinola ideale. Della logica c della morale. Queste due scienze
hannociòdi comune, che appartengonoal terminemediodella forinola. Della logica in particolare, e
delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei
loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’ imperativo. Del dovere, e del diritto.
Dei tre mo- menti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal lisico, che ne
conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro della
forinola. Dei due cicli generativi. Varie sintesi, di cui si compongono.
Dell’ordine dell’ universo Del concetto teleologico. L’ idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. Del sublime e del bello.
Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. Del
maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo
cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli statisti odierni non hanno veri principii,
perchè mancano della cognizione ideale. I difetti della teorica hanno luogo del
pari nella pratica. Del governo rappresentativo. Originato dal Cristianesimo;
vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. Due sistemi dilibertàpolitica:
l’unoeterodosso, c l’altro ortodosso. Suc- cessione storica del sistema
ortodosso. La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c
sorelle. Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. La civiltà
moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. Dell’ apoftegma di MACHIAVELLI
(si veda), che le«istituzionisi debbono ritirare verso i loro principii. In che
senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. Danni
fatti alla medesima dall’Imperio. Di GIULIO (si veda) CESARE, institutore della
tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine
di Lutero e del Des- cartes. Della idealità delle nazioni. L’ Idea è fonte del
diritto. Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. Della sovranità.
La sovranità assoluta è l’Idea. Della sovranità relativa e ministeriale. Non si
trova in separato nel governo o nel popolo. La società non è d’istituzione
umana, ma divina. liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo
potere, intorno al modo, con cui si tramanda
c perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica. l.a
Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della
scienza ideale. Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici?
Assurdità del suffragio uni- versale. l.a capacità dee accompagnare il potere
sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere indipen-
dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del
potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli generativi della
politica. 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. Della
distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è divino.
Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno
opochissimiindividui, nèpareggialafratullii cittadini. Inviolabilità del potere
sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni:
checosasidebbaintenderesottoquestinomi. La vera rivoluzione, essendo
l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera
contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico
di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La monarchia
è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. L'inves- titura della sovranità
in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile, come il
dominio privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del
pari alla civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza
colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1
fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche
corrispondenti ai due cicli ideali. L’idea divina è la suprema forinola
enciclopedica. Universalità dell’ idea divina. L’ontologismo non è un metodo
ipotetico, come quello dei psicologisti. Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e
l’omega della scienza. Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle
varie parti della filosofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa.
Suoi diversi periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in
ogni tempo alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli
antichi. Del razionalismo teologico fiorente al di d’oggi. Si divide in due
parti. Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto
di canonica. Il razionalismo confonde insieme i vari ordini di fatti e di veri.
Sua vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismoèunvero naturalismo. Delsovrannaturale:
sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Pos- sibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione
universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità.
Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. Accordo
di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita.
La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove
interne della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la
parola esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
deli’ Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno
umano. Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione,
secondo le varie ragioni. Della inspi- razione dei libri sacri. Sua
definizione, natura, estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei
razionalisti. L’ ermeneutica di questi
si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivela- zione. Della
predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle
lingue semitiche. Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. Delle nazioni
madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. Dei
fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. Fondamento
naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e
religiosa degl’ Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza
secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa
distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese esso- terica la
scienza acroamatica degl’ Israeliti. L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell'
essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli
animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il
dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del
loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze
reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo
rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un
trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig.
Salvador delle instituzioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma,
erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti.
OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo
degli uomini. La storia delle religioni non comincia dal sensismo. Per quali
cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva.
Vicende civili delle nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento
politico. Anomalie storiche nell’ effetluazione di esse. Del patriarcato. Dello
stato castale : sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità.
Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti
autori principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro
influenza nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie
dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e
la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica
dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa
gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui
passò l’alterazione della formola ideale: oscurità, confusione, dimezzamento e
disorganazione. Cagioni dell' alteramente : predominio del senso e della
fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa-
matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto
dei felissi. Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle
instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche della cognizione ideale:
intuitiva, immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo
alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle
trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati
psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca
intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. Il mal morale consiste nella negazione
del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato
in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca
immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa
epoca. Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’
emanatismo : psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti.
Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo,
e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. I fautori di questo
sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico.
Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione. Delcicloremanativo: sua natura.
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche,
secondo i inili di molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si
accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o
logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin -
telligibile si trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato
dall'emanatismo. Sua indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano
una reminiscenza della unitàideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo
: è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli-
essere il primo sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo
sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo.
Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si
riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore, Varie forme del
panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale.
Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema
non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si
rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel so- vrintelligibile.
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. Pei
tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile.
Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. Sulle
denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. Del tempo c dello spazio, secondo il
processo ontolo- gico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo
spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli
attributi divini ontologicamente considerati. Di alcune dottrine erronee sulla
bontà e pravità degli atti umani. Errori di un giornalista francese sull’ amor
di Dio. influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’
azione umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. Sull’ infinità del
mondo. Sugli assiomi di finalità e di causalilà. Del traffico degli schiavi
negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba
attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine della sovranità in alcuni casi
particolari. Dell’ orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare
l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce
ritelazionc. Di varie spezie del razionalismo teologico. miracoli posteriori
Dei allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità
del Cristianesimo. l’asso del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza
antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. Si esamina la
dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli
angeli. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul
fatto di Babele. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico.
Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non L’antropomorfismo è il psicologismo
essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi
alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici.
Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col
fatalismo. AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola
razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. l’er conoscere
questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero
enciclopedico. L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e
matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. Della filosofia
in ispecie : si stende per tutta la forinola. Dell’ ontologia, psicologia,
logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella.
Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo
ideale. Spiegazione generica della tavola. Della scienza ideale. Della teologia
rivelata e della filosofia. Principato universale della prima. Maggioranza
della seconda sulle altre scienze. Pri- mato dell’ontologia fra le varie
discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia
universale. Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la
filosofia c la fisica. Insufficienza della filosofia moderna, per dare una
teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. Dichiarazione di queste due
idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. Della logica c della
morale. Queste due scienze hannociòdicomune, che appartengono al termine medio della forinola. Della logica in particolare, e
delle varie sue parti. Dell’ etica in ispccie. Dei due cicli creativi, e dei
loro riscontri. Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. Dell’
imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del
mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della
cosmologia. Versa nel terzo membro della forinola. Dei due cicli generativi.
Varie sintesi, di cui si compongono. Dell’ordine dell’ universo Del concetto
te- leologico. L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Articolo
qlirto. Dell' estetica. Del sublime e del bello. Delle varie loro specie, c del
modo, in cui si connettono colla for- inola.Del maraviglioso. Della politica.
La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi vizi. Gli
statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione
ideale. I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. Del governo
rappresentativo. Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai
cattivi filosofi. Due sistemi di libertà politica: l’uno eterodosso, c l’altro ortodosso.
Suc-cessione storica del sistema ortodosso. La libertà licenziosa e il
dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. Gloriose me- morie della
seconda epoca del medio evo. La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei
liassi tempi. Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli, che le istituzioni si debbonoritirare
versoi loro principii. In che senso sia vero, Rendici influssi del Papato nella
civiltà delle nazioni. Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. Di Cesare,
institutore della tirannide imperiale. Conuessità della licenza c del
dispotismo colle dottrine di Lutero e del Descartes. Della idealità delle
nazioni. L’ Idea è fonte del di- ritto. Attinenze del dovere col diritto, e
delle varie specie loro. Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. Della
sovranità relativa e ministeriale. Non si trova in separato nel governo o nel
popolo. La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. liosì anche il
potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui
si tramanda 461 c perpetua di generazione in generazione. Forinola della politica.
l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione
della scienza ideale. Se tutti i cittadini possano partecipare ai diritti
politici? Assurdità del suffragio uni- versale. l.a capacità dee accompagnare
il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. Il potere sovrano dee essere
indipen- dente dai sudditi. l.a perfezione della sovranità consiste nell'
unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. Dei due cicli
generativi della politica. Il sovrano non può inai farsi da se in nessun caso.
Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. Ogni potere sovrano è
divino. Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da
uno o pochissimi individui, nè pareggia la fratullii cittadini. Inviolabilità
del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: che cosa si
debba intendere sotto questi nomi. La vera rivoluzione, essendo l’attentato
contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. La vera contrarivoluzione
c onesta, se non è violenta c tumultuaria. Lo stato politico di un popolo dee
corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. La mo-narchia è necessaria
al dì d'oggi alla libertà europea. L'investitura della sovranità in una
famiglia è subordinata alla salute pubblica. È inviolabile, come il dominio
privato. Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla
civiltà dei popoli. Delle corti. Conformità della nostra sentenza colla
dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. 1 fautori
della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche
corrispondenti ai due cicli ideali.
L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. Universalità dell’
idea divina. L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei
psicologisti. Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. Si
termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della
filosofia. . de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione
della forinola è opera della rivelazione. Definizione di questa. Suoi diversi
periodi. La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo
alla scienza ideale. Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. Del
razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi.Si divide in due parti. Suoi
fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica.
Il razionalismo confonde insieme i vari ordini di fatti e di veri. Sua
vecchiezza. Dei Doceti. Il razionalismo è un vero naturalismo. Del sovrannaturale:
sua definizione. Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. Possibilità e
convenienza morale del miracolo. Universalità dell’ ordine sovrannaturale.
L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. Nullità sintetica c
filosofica dei moderni razionalisti. Il Cristianesimo è la religione
universale. Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. Sua singolarità.
Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. Si confuta una sentenza dello
Strausse. Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. Il Cristianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. La
civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. Delle prove interne
della rivelazione. Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. La Chiesa è la parola
esterna dell’ Idea. La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione
deli’Idea, che vi è rappresentata. Oscurità della Bibbia in alcune parti. Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ingegno umano.
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. Della inspirazione dei libri sacri. Sua definizione, natura,
estensione. Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. L’ ermeneutica di
questi si fonda in un falso metodo. Etnografia della rivelazione. Della
predestinazione degl’ individui c dei popoli. Eccellenza delle nazioni e delle
lingue semitiche. Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. Delle nazioni
madri. Degl’ Israeliti ; conservatori dell'Idea perfetta, prima di Cristo. Dei
fati del popolo ebreo. Della scienza acroamatica ed esso- terica. Fondamento
naturale, e universalità di questa distinzione. Della ordinazione civile e
religiosa degl’ Israeliti. Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza
secreta, acroamatica e tradizionale. Ragioni, in cui si fondava questa
distinzione presso il popolo eletto. Il Cristianesimo rese essoterica la scienza
acroamatica degl’ Israeliti. L’alternativa dell’ acroamatismo e dell'
essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli
animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il
dogma della ri- surrezione. Del sensismo proprio dei razionalisti. Falsità del
loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. Attinenze
reciproche della dottrina essoterica. Differenze, che correvano, per questo
rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. Del figuralismo ebraico. Non è un
trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig.
Salvador delle institu- zioni mosaiche. I,a formola ideale e il letragramma,
erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti.
1ì>5 lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. La storia delle
religioni non comincia dal sensismo. Per quali cagioni diminuisse, o si
spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. Vicende civili delle
nazioni. Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. Anomalie
storiche nell’ effet- luazione di esse. Del patriarcato. Dello stato castale:
sua origine. Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. Genio religioso
delle società costituite sotto l'imperio ieratico. I sacerdoti autori
principali della civiltà risorgente. Effetti salutari della loro influenza
nelle colonie antiche e moderne. Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica
dottrina acroamatica fondò l’essoterica. In che modo la mitologia e la
simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. La riforma ieratica dell’
acroamatismo produsse la filosofìa. Vari indirizzi della filoso- fìa
gentilesca. Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. Vari gradi, per cui
passò l’alterazione della formola ideale : oscurità, confusione, dimezzamento e
disorganazione. Cagioni dell' alteramente : predominio del senso e della
fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull'
acroamatismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. Del culto
dei felissi. Di un doppio moto contrario, regressivo e progressivo, delle
instituzioni religiose. Esempi. Quattro epoche dellacognizioneideale:
intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. Se nel vario e successivo
alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come? Tavola delle
trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati
psicologici dello spirito umano. Dichiarazione della tavola. Dell'epoca
intuitiva; come l’uomo ne sia sca-duto. Il mal morale consiste nella negazione
del secondo ciclo creativo. Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato
in- tuitivo. L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. Dell’ epoca
immaginativa. Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca.
Indole poco scientifica dell’ emanatismo. Sua formola. Due sorti d’ emanatismo
: psicologico e cosmologico. Dottrina dinamica degli emanatisti. Della loro
dualità primordiale, c delle dualità successive. Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ emanatismo. I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. Del sincretismo emanatistico. Dei due
cicliditaldottrina: l’emanazione. Del ciclo remanativo: sua natura. Corrompe la
morale, e introduce il pessimismo. Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di
molti popoli Gentili. Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme
nel sistema degli emanalisti. Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie
permanenti e successive, e delle apoteosi. Come il sovrin - telligibile si
trovi alterato fra queste favole. Del politeismo; nato dall'emanatismo. Sua
indole, e sue varie forme. Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza
della unitàideale. Dell' idolatria : sua natura. Pel panteismo : è una riforma
ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo
sistema nella via dell’ errore. L’emanatismo e il panteismo sono
sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. Proprietà speciali del panteismo.
Universalità del panteismo nel regno dell’errore. Tutti i falsi sistemi vi si
riferiscono. Qual sorta di progresso possa avere Terrore Varie forme del
panteismo. Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale.
Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. Dell’ ateismo. Questo sistema
non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. Si
rigetta l’opinione di un ateismo indico antichissimo. Pel sovrintelligibile.
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’Italia c della Grecia. Pei
tentativi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile.
Si conchiude, accennando brevemente il tema. Sulle denominazioni moderne dell’
lo c del Ile. 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo
ontologico. Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla
vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di
alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. Errori di un
giornalista francese sull’ amor di Dio. influenza della colpa primitiva in
tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. Dei vari sistemi sulla natura
delle esistenze. Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di
causalilà. Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. Se l’ abolizione della
schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? Sull’ origine
della sovranità in alcuni casi particolari. Dell’ orgoglio civile. Sui diversi
modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L’idea di Dio non è
solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. Di varie spezie del
razionalismo teologico. miracoli posteriori Dei allo stabilimento del
Cristianesimo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. l’asso
del Leibniz sulla rivelazione. Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella
ri- surrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher
c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la
dottrina acroamaliea colla essoterica. Sul fatto di Babele. Del sincretismo dei
falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. Nei culli barbari l’Idea è esclusa
dalla religione, e non L’antropomorfismo
è il psicologismo essoterico. Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi
dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul
psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo,
col psicologismo e col fatalismo. DELLE CONVENIENZE DELLA FORIOLA IDEALE COLLA
RELIGIONE RIVELATA. Scusa dell’ autore. Il sovrintelligibile e il
sovrannaturale sono i due perni della religione. Analisi del primo. Si
escludono le false origini, che si possono assegnare al concetto, che Io rap-
presenta. Della sovrintelligenza. In che consista la natura speciale di questa
facolti. Sua analogia coll’istinto. Del sentimento, che l’uomo ha delle sue
potenze non esplicate. Definizione delia sovrintelligenza. Come il concetto
negativo del sovrintelligibile nasca da questa facoltà. Obbiettività del so-
vrintelligibile ; adombrata dalla filosofia orientale. Analogia del
sovrintelligibile col numeno di Emanuele Kant: sbaglio del criticismo. Dei
sovrintelligibili naturali. Attinenze del so- vrintelligibile cogl’
intelligibili. Come il sovrintelligibile debba essere riconosciuto e rispettato
dalla filosofia. Dei sovrintelligibili rivelati. Loro importanza, e armonia coi
dogmi razionali. I sovrintelligibili della rivelazione hanno un margine
indeterminato. Del sovrannaturale. In che consista, e sue attinenze colla
formula. Connessione del suo concetto colla magia dei popoli pagani. Varie
spezie di sovrannaturale. Necessità dell’ idea di sovrannaturale per la
filosofia della storia : sua importanza per la filosofia in genere. Il
sovrannaturale appartiene al secondo ciclo creativo : sue relazioni con esso.
Dimostrazione a priori della realtà dell' ordine sovrannaturale. L’ alterazione
di quest' ordine costituisce il regresso. Della forinola
sovrannaturale : sua corrispondenza colla razionale. Del ciclo cristiano : sua
risoluzione. Della Chiesa; com' ella sia il perno dell’ incivilimento. Del
sincretismo delle sette cristiane eterodosse, e della idolatria rinnovala per opera
loro. Confutazione di un passo del sig. Guizot sull’ unità religiosa. Della
superstizione : in che consista. Del processo a priori della fede cattolica. Due
cicli rivelativi corrispondenti ai due cicli creativi. Necessità della fede per
ben filosofare. La fede sola colloca l’uomo nel suo stato naturale.
Ragionevolezza della disciplina cattolica. L’ educazione ideale è impossibile
fuori di essa. Lo scetticismo esclude la vera grandezza, anche umana, dell’
ingegno. La fede è libera, e in ciò consiste il suo merito. Tre doti della fede
cattolica, utilissime all'uomo e al filosofo. Efficacia di questa virtù, per
avvalorare l' ingegno ontologico. Quanto all’ abito ontologico conferisca la
credenza del sovrannaturale. Tutte le virtù teologali influiscono
profittevolmente nell’uomo pensante e operatore. Della vera misticità, e sue
differenze dalla falsa. Empietà dell’ autonomia razionale. Necessità della fede
per la conservazione dei principii ideali. L’incredulità moderna è la cagione
precipua della debolezza degli animi c degl’ingegni. Utilità dei misteri in
genere per l’abito filosofico. Si considerano, per questo rispetto, alcuni
misteri in particolare. Della predestinazione, e della eternità delle pene.
Della inviolabilità scientifica della teologia. Di certi novellini teologi, e
della temerità loro. L’invenzione nelle cose ideali è impossibile. Della
giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. Di una certa classe di
gementi, che credono morta o moriente la religione: si combat- tono i loro timori.
Della larghezza dell’ Idea cattolica: sua utilità per le scienze in generale. Necessità
della filosofia per far fiorire la teologia, come scienza. La teologia e la
filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. Delle cagioni, per cui la teologia
cattolica c scaduta dal suo antico splendore. Il clero cattolico dee essere un
concilio di sapienti. Dee coltivare specialmente le scienze filosofiche.
Dell’acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre. I laici che coltivano la
filosofia, debbono incominciare una nuova era razionale, sotto la sovranità
intellettiva della Chiesa. La filosofia eterodossa, che regnò finora, è morta
per sempre. Si concbiude esortando gl' Italiani a intraprendere l’
instaurazione delle scienze speculative. Sulla voce essenza. Del
sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi. Attinenze del sovrannaturale
col sovrintelligibile. Del sovrannaturale iniziale c finale del Cristianesimo.
Del sovrannaturale transitorio o continuo. Su alcuni passi di Guizot. Sopra un
cenno teologico del sig. Nisard. Sul fatto morale della giustificazione. Sulle
varie epoche filosofiche della storia. Delle idee pure.Sul valore teologico dei
razionalisti tedeschi. Il decadimento della filosofia prova la verità del cat-
tolicismo.Grice: “Italians find it harder than the Germans to conceal their
nationalism. Hegel is studied
everywhere, but Gioberti is felt to be TOO Italian, and he is. There are not
two sentences in Gioberti that do not mention Italy! Hegel could philosophise
on being (the absolute being is the King of Prussia) – but philosophers
elsewhere took his remarks in a generalized way, not a German way. Unlike with
Gioberti, who cannot hide his ‘italianita’. The fact that Mussolini wrote on
him did not help. And that, along with Gentile, and the Italian mainstream
intelligentsia, the Italian risorgimento is only a stone’s throw away from
Fascism!” Grice: “Lorenzo Giusso, whom I like, wrote a bio of Gioberti which I
thought the best, it’s in Vita e Pensiero, and in the series, “UOMINI DEL
RISORGIMENTO” Gives him sense!” -- Vincenzo Gioberti. Gioberti. Keywords: del bello, estetico, il bello,
metessi, implicatura metessica – mimesi – Plato on mimesis and metexis,
protologia, ontologismo, statua all’aperto, Milano – nella serie uomini del
risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Gioia: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia ad uso de’
giovanetti – filosofia piacentina – la scuola di Piacenza -- filosofia emiliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza). Filosofo piacentino. Filosofo italiano. Piacenza,
Emilia-Romagna. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s
difficult to make that universalisable into the conversational categoric
imperative (‘be helpful conversationally) – but apparently Italians are less
Kantian than I thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist
when it comes to pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I
studied thoroughly his fascinating account about the origin of language, before
I ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito
talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che
ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di JBentham,
dell'empirismo di Locke e del sensismo
di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di
Giansenio. Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni
politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di
Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità
d'ITALIA", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in
cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni
democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e
culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità
italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo
occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in
carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo
di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee
politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie,
forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di
Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in
cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però
ben presto a diventare oppositore della Francia. Dopo aver rinunciato al
sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale
filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le
posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle
colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta
al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere.
Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi
Ligure e G. viene ARRESTATO NUOVAMENTE dagl’austriaci, per essere scarcerato in
seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo della
Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de'
commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro
del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le
polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato
"Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera
d'organizzarla" L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi
di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo
interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla direzione del
nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività
fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici,
causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale
attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica
alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e
così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora
concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del
moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona
con una concezione che supera la questione patrimoniale. Notissima in
medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di
riduzione della capacità lavorativa specifica: un calzolaio, per esempio,
eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano
che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una
fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli
restano di vita, meno i giorni festivi. E ancora, seppur meno noti, concetti
come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri,
considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito
o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo
molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata
come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo di
difesa Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo
paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico
il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il
mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo
con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si
schernisce da mali eventuali difendendosi". Si tratta di principi
rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che
deriva dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni
rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una
sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso
il lavoro realizza la propria personalità. In Italia oltre un secolo e
mezzo dopo, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del
risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti
relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico.
Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione
scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e
assicuratori. Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella
storia dei Galatei, il Nuovo Galateo di G. fu scritto per contribuire alla
civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre
edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di
"pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa come ramo della
civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i
discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È
divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza
dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo".
Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza"
come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in
modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è
sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza
Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella terza edizione
risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto
di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del
galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere.
Fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia,
che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran
Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è intestata la loggia di Piacenza
all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Crollato il dominio napoleonica,
Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze
economiche”; il trattato "Del Merito e delle Ricompense"; "Sulle
manifatture nazionali"; "L'ideologia". Gli ultimi tre libri
vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo
arresto per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara
dei "Federati". Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i
sospetti da parte del governo austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche
anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della
statistica.” Nel cimitero della Mojazza fra tante ossa ignorate dormono senza
fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia. Prende il suo nome il Liceo
Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario in politica come in
religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice morale, fondato su
principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi
e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle
proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente un
"ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle ricompense,
Filadelfia, s.n., Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo
Galateo, Il Nuovo prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle
ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, G., Produzione delle
ricchezze, Milano, presso Pirotta in
santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa
Radegonda, G., Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo
delle ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture
nazionali, Dell'ingiuria, dei danni, del
soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili.
L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario
Biografico degli Italiani. Ettore Rota
nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di
Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia,
Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana,
riferimenti in Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo,
Milano-Roma, Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno:
Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, Saltini, Salomoni, Stefano Rossi,
Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il
Sole, Barucci, Il pensiero economico di G., Milano, Giuffre, Paganella, Alle
origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di G., Milano,
Ares, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Pionetti, Melchiorre G.: il progetto politico per un'Italia unita e
repubblicana, Piacenza, Edizioni Lir, Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura
borghese nell'Italia, Firenze, Le Lettere, G. (metropolitana di Milano). Treccani
Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, G., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. fare alcun cangiamento senza
indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni idea di riforma, e
svolge nel loro avimo un timor macchinale contro ogni innovazione delle leggi.
In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali analogie,le somiglianze
superficiali non possono far breccia che nell'animo del volgo. Agl’occhi del
filosofo i paragoni non sono ragioni. Essi possono schiarire una proposizione,
provarla mai. Parlare. Abbiamo veduto che le macchine sono utili e necessarie
al chimico, i telescopi all'astronomo, i disegni al meccanico, le figure al
geometra. Le parole sono forse egualmente utili, egualmente necessarie
all'esercizio del pensiero. Tre oggetti simili mi si presentano facilmente allo
spirito, dice Condillac. Se passo al quarto, sono obbligato, per maggior
facilità, d'immaginare due oggetti da una parte, due dall'altra. Se voglio
fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a due, o tre a tre; crescendo
questi oggetti, la mia vista si confonde, io non posso più numerarli. Al
contrario, se dopo d'averne considerato uno gl’unisco un altro, e a questa
unione appongo il nome “due.” Se a questi aggiungo un terzo, ed allanuova
unione appongo il nome “tre,” e cosi di seguito, caratterizzando con parole
distinte ogni aumento progressivo d'unità, arrivo ad annoverare moltissimi
oggetti facilmente. Alla stessa maniera, se ogoi volta che voglio pensare ad
una persona, sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue qualità,
onde non confonderla con un'altra. Le note tracciate sulle carte di musica
rappresentano i suoni che si eseguiscono dagl’istrumenti. Le parole pronunciate
o scritte rappresentano le idee che si piagono nel l'animo. 1 mi
troverò nel massimo imbarazzo. Siano,a cagione d'esem pio, come segue, le qualità
d'una persona: Fisiche: Sesso maschile, anni: 20, capelli biondi, fronte alta,
cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto prominente, marca
nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia, piede destro zoppo, linguaggio
balbettante, accento francese. Morali = Melanconia, dissolutezza, mancanza alle
promesse, viltà, abitudine alla menzogoa, jocostanza. Civili = Patria, Rodez in
Francia, condizione, awmo gliato, professione, possidente. Se la mia attenzione
deve afferrare tutte queste idee alla volta, si troverà insufficiente al
bisogno; molto maggiore si farà la difficoltà, se per pensare nel tempo stesso
ad altra persona, sono costretto a schierarmi avanti alla mente con egual
melodo tutte le qualità che la caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima “Pietro”,
la seconda “Paolo”, potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle
tra di loro, paragonar!e insieme. Queste parole sono poi ancora più necessarie,
allorchè si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagione
d'esempio, le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod in tutti gli animali,
il che costituisce le idee astratte, come si disse di sopra, ovvero allorchè si
vogliono esprimere gli oggetti creati dalla nostra mente, come le idee di
gloria, d'infamia, di virtù, di vizio. Sebbene quando pronuncio le parole “uomo”,
animale. non mi si schiarino alla mente tutte le idee elementari che bo unito a
queste parole, cionnonostante ne veggo il porto, ne seolo le differenze,
ne scorgo le somiglianze, alla stessa maniera che sebbene pronunciando i numeri
100,000 e 10,000 non vegga le unità che li compongono, so però che l'uoo sta
all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1, e conoscendo la maniera con cui
questi dumeri sono stati formali, posso, ogni volta che voglio, separarne le maggiori
masse, scendere alle minori, per arrivare alle minime e fipalmente agli
elementi. Supponete che per isbaglio qualcuno invece di dire che 1000 è decuplo
di100, dica che 100 ė decuplo di 1000. Ben tosto l'abitudine chenoi abbiamo
acquistata d'attribuire a queste parole certe relazioni tra di esse, agisce
sulloro suono, e cifa scorgere all'istante l'as surdità dell'accennata
proposizione. Il linguaggio si è per rap 141 noi come quelle traccie che
il piede del viaggiatore imprime sull'arena di un vasto deserto, le quali lo
guidano, quand'egli voglia,al punto doode parti. Una parola che nella sua
origine e un nome proprio, divenne insensibimente un nome appellativo. Può in
conse guenza accadere in forza delle associazioni ideali e sentimen tali che uo
nome generaleri chiami uno degli individui ai quali s'applica. Ma lungi che ciò
sia necessario alla forza del raziocinio, è sempre una circostanza che tende ad
illuderci.Si può paragonare uno spirito che ragiona ad un giudice che deve
decidere tra contendenti. Se il giudice non conosce se non le loro relazioni al
processo, s' egli ignora i loro pomi, s'egli li designa per lettere
dell'alfabeto o pe’nomi fittizi di Tizio, Cajo, Sempronio, egli è quasi necessaria
mente imparziale. Cosi in una serie di ragionanenti noi corriamo medo rischio
diviolare le regole della logica, allorchè la nostra attenzione si fissa sui
semplici segni,e quando l'immaginazione, presentandoci oggetti individuali, non
esercita sulnostro giudizio la sua influenza e non viene a sedurci con
accidentali associazioni. Le parole facilitano vie maggiormente l'esercizio del
pen iero quando il loro suono imita il suono della cosa espressa, come sono le
parole belato, cigolio, scricchiolare. Anche le parole tracotante, orgoglioso,
baldanzoso. Colle vocali piese rinfiancate dalle acconce consonanti, e colla
moltiplicità delle sillabe spirano una cerla audacia di suono analoga
all'indole dell'oggelto che esprimono. Anche quando accennano l'uso o la
proprietà della cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza della febbre nel
linguaggio tedesco, che accenna l'uso e laproprielà di questo vegetabile, é
preferibile alla parola Quinquina. Per la stessa ragione le parole cui il nuovo
stile indica i mesi nell’anno, hanno più pregi che quelle dell'antico: fiorile
ossia il mese de ' fiori, vendemmi atoreossia il mese della vendemmia, sono nomi
ben più espressivi che maggio e ottobre. Al contrario, allorchè si dà il nome
di Pino del Nord al'albero prezioso che tutte le nazioni maritti meriguardano
come migliore per le alberature, si fa supporre che questi bei pininon possono
crescere s e donne'climi glaciali, mentre trovansi nella Lituania, in altre
provincie più meridionali, in quelle stesse i cui fiumi corrono verso il Mar
Nero. La parola Gallo d'India rammentando che questo ani male è natio
d'America, e ignoto ai Romani, venne uel l'Europa del 16.° secolo, è per più
titoli preferibile all'insignificante parola “pollo”. Coquetterie in francese (civetteria)
rappresenta al vivo il carattere d'una donna galante, che tiene a bada mille
amanti, a guisa d’no gallo che vezzeggia cento galline ad un tempo. Al
contrario allorchè gl’antichi chimici ci parlavano del fegalo di zolfo, del
butirro d’antimonio dei fiori di zinco. Spingevano il pensiero sopra immagini
non applicabili agli oggetti che volevano iudicare. Anche quando le parole
serbano tra di esse un cerlo rapporto costante, come leparole quaranta, cinquanta,
sessan ta, sellanta, Ollanta, novanta, ciascuna delle quali avendo la stessa
desinenza, è formata dalla moltiplicazione del fat. comune dieci, ne'numeri
naturali quattro, cinque, sei. Dello stesso ordine progressivo de numeri
nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro uoilà di Kilometro unità
di Ectometro unità di L'influenza del linguaggio sulle operazioni del pensiero
si scorge sulla nazione Chinese. La quale, a fronte delle altre
incivilite, 0.01 di metro
Centimetro unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura
v'è una progressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che essendo
data una di esse, si possoo ritrovare le prece deotie lesus seguenti. Al contrario
leantichemisuredipo sla, lega, lesa, pertica, passo geometrico, passo
ordinario, braccio, auna, piede, pollice, linea, punto....non es sendo crescenti
o decrescenti nella stessa proporzione, D00 aveodo tra di esse rapportocomune,
confondono la memoria, e colla notizia d'una di esse non si può giungere alla
cognizione d'alcun'altra. Dicasi lo stesso delle altre misure e de'pesi puovi
ed antichi, calcolati I primi in ragione decupla e costante, i secondi senza
nessuna ra gione graduata e regolare. Cesarolti. tore Decimetro unità di 0.1 di
metro Metro upità di 10 metri 10,000 metri 1,000 metri Decametro 100 metri
unità di diritla,ne avrò ildoppio in questa. Dimando qual è il u nunero
de'gettoni che avevo da principio in ciascuoa 6 mano? Qui si banno due
condizioni note, o, per parlare « come i malematici, due dati; l'uno, che se fo
passare 6 un gellone dalla diritta alla sinistra, ne avrò egual o u u mero in
ambe le mani; l'altro che se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne
avrò il doppio in questa. Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero
ch'iovi u dimando, ciò non può farsi, se non osservando le relazioni che haono
i dati fra loro; e comprendete che tali « relazioni saranno più o meno
sensibili, secondo che i dali « saranno espressi in un modo più o meno
semplice. quan u do le si toglie un gellone, è eguale a quello che avete u
nella sinistra, quando a lei se ne aggiunge uno, esprime « reste il primo dato
con molte parole. Dite dunque più ubrevemente:ilnumero dellavostra destra, scemalod'una
unità, è uguale a quello della sinistra più un'unilà; ov « vero:ilnumero della
destra meno un'unità è uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai
pregiudizi più assurdi, sta zionaria da più secoli, altesa l'imperfezione della
sua lingua. Mentre le nostre liogue d'occidente e le più belle d'oriente
riproducono lulle leparole con un solo numero di lettere diversamente combinate,
nella lingua chinese, quasi ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo
studio della scrittura esige quindi un tempo infinito. L'incertezza e
l'indeterminazione del senso delle parole passando a vi cenda dal linguaggio
orale alla scrittura,dalla scrittura al linguaggio orale, producono una
confusione da cui i più dotii possono appena schermirsi colla più grande
fatica. Egli è evidente che siffattalingua non è buona che a perpetuare
l'infanzia d'un popolo, desaligando seoza 'frutto le forze degli spiriti più
distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini Jampi della ragione. Gioja.
Elein, di filosofia. Se voi diceste : il numero che avete nella destra 4.
Acciò il discorso faciliti l'esempio del pensiero,è necessario che sia minimo
il numero delle parole,invariabile l'oggetto indicato,precisata, ovunque è
possibile, la quantità · trarrò l'esempio da Condillac: is Avendo de' gelloni nelle
mie mani, se nefo passar uno dalla mano dirilla alla sinistra, ne avrò tanti
nell'una quanti nell'altra; e se nefo passar uno dalla sinistra alla « Non si
tratta d’indovinare codesto qumero, facendo « delle supposizioni ; bisogna
trovarlo ragionando e passando « dal cognito all'incognito per uoa serie di
giudizi. 11 quello della sinistra più un'unità ; o infine ancor più
bre «vemevle:ladestraweno unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il
numero della mia sinistra sce malo d'una unità è la metà di quello della destra
accre « sciuto d'una unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato
dicendo : il numero della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è
uguale a due volte quello della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. «
Tradurrete questa espressione in un'altra più sem “ plice, se direte : la
destra accresciuta d'un'unità è uguale a due sinistre scemate ciascuna
d'uu’unità ; e giungerele “ a questa espressione la più semplice di tutte : la
dirilla « più uno uguale a due sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni,
alle quali abbiamo ridotti i dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi
equazioni in m a «tematica.Sono compostediduemembriuguali.Ladirilla u meno uno
è il primo membro della prima equazione. La sinistra più uno, il secondo. « Le
quantità incognite sono inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi membri.
Le cogoite sono meno uno più uno, meno due : le incognite sono la diritla e la
sini “ sira, coo cui espriaiete idue numeri che andate cercando. « Finchè le
cognite e le incognite sono cosi mescolate w in ogni membro delle equazioni,non
è possibile risolvere u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande sforzo du «
riflessione per osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare lequantità
d'un membro all'altro, senza alterare l'eguaglianza che passa tra loro,
possiano, bon lasciando in un membro che una sola delle due incogaite; sepa “
l'arla dalle cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula da sè
stesso; perchè se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno,
duoque Per tal guisa di traduzione in traduzione arriviamo alla più
semplice espressione del primo dato. Ora quanto « più abbreviarete il vostro
discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e quanto più saraono vicine,
più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro relazioni. Ci resla a traltare
il secondo dato come il primo, e bisogna tradurlo u nella più semplice
espressione. Per la seconda condizione del problema, s’io fo pas “ sare un
geltone dalla sioistra alla diritta, ne avrò il dop « La diritta meno uno
uguale alla sinistra più uno. « La dirilta più uno uguale a due sioislre meno
due. ATTENZIONE E RAZIOCINIO. La
diritta uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno
tre. « li primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta;
e vedete che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del
secondo membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è
uguale al secondo della seconda, poiché « sono uguali l'uno é o altro alla
stessa quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza
equa u ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più
tre uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una
sinistra. “ Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete
scoperto che il numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa
u zioni, la diritta uguale alla sinistra più due, la diritla uguale a due
sinistre meno tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta.
Ora questi due numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del
problema. quando un problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa
ne abbisogna maggiormeote, quando iproblemi 66 65 56 dell'una « la
diritla jolera sarà uguale alla sinistra più due: e se la
“dirittapiùunoèugualea due sinistremeno due,dun « que la diritta sola sarà
uguale a due sinistre meno tre: « Sostituirete dunque alle due prime le due
seguenti equa zioni. 6.Allora non vi resta che una incognita, la sinistra, e a
ne conoscerele il valore, quando l'avrete separata, vale a » dire,falte passare
tutte lecogoite dalla stessa parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente
in queslo esempio come la asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom
ú prevdele che se l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così
il vantaggio dell'analisi nelle male 6 mati che nasce unicamente dal parlare s
s e il linguaggio più semplice. Una leggiera idea dell'algebra basterà per
farlo 6 ipleadere. In questa lingua non si ha bisogno di parole. Il più si
sprime col seguoto, il meno cou--; iuguaglianza con « siindicaou le quantitá
con lellere o citre:Ý, per es., sarà ilnu 6 mero de'geltoni che ho nella
destra, e Y quello della sinistra. e Non sarà fuoridi proposito
l'osservare che non alla sola semplicità del linguaggio, come pretende Condillac,
sono debitrici dellaloro perfezione l ematematiche, ma anche 1.o alla prudenza
de'loro seguaci, la quale consiste nel ritenersi nei limiti delle sensazioni e
loro rapporti; 2. all'inva riabilità de’rapporti tra gli oggetti da essi chiamati
ad esa m e ; 3.o alla possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle
verificazioni de'sepsi e degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli
oggetti estesi; ecco la sensazione: gli oggetti estesi possono misurarsi gli
uni per gli altri; ecco l'osservazione che produce la geometria. L'es.senza
dell'estensione, gli elementi che la compongono, sono indagini che i matematici
abbandonano agli oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori.
Dite lo stesso delle altre quantità esaminate dai matematici. a Cosi X – 1 = Y
to 1, significa che il numero de'gettoni che ho nella destra, scemato
d'un'unità è uguale a quelloche ho nella asinistra, accresciuto d'un'unità,e
X41 =2Y -2, significa che il numero della mia destra accresciuto d'un'unità è
uguale due volte a quello della mia sinistra diminuito di due vuità. Ï due dati
del nostro problema sono dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y. Finalmente da
X = Y+ 2, caviamoX = 5 to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10 2. « X fo 1 = 2 Y - 2 che diventano,
separando l'incogoita del primo membro “Y +2= 2Y - 3 a che diventano
successivamente 9 6X uX 2.Y -3. De'due ultimi menibri di queste equazioni
facciamo 2Y "2*3=2Y-Y “2of3= Y la matematica non visono circoli più o meno
ro tondi, linee più o meno perpendicolari, superficie più o meno quadrate, la
misura di tutti i triangoli è uguale alla base moltiplicata per la metà
dell'altezza. E quando un rapporto come quello del diametro alla circonferenza,
cagion d'esempio, non può essere espresso con esattezza i matematici continuano
ad essere esatii, additando la quantità relativa all'uso che se ne debbe fare,
e che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7; cda 3 . fini non potrebbero
additare con precisione maggiore.I m a tematici non dicono,ilcircolo
sirassomiglia al triangolo come un oratore dirà, l'uomo si rassomiglia al
lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione per fissare la specie di ras somiglianza
ch'egli annunzia, Alla sorpresa deve succedere in ciascuno la persuasione
divedere un essere interamente simile a lui, essendo simili le forme e i moti
esteriori. Infatti meolre it selvaggio A, a cagione d'esempio, stacca un fratto
dal vicino albero, il selvaggio B, che si ricorda d'avere fatto più vollelo stesso,
spinto dalla fame, conchiude che A èmosso (1) I tre antecedenti riflessi
dimostrano falsa l'asserzione di Condillac, cioè che le matematiche non bando
sulle altre scienze altro vantaggio che di possedere una migliore lingua, e che
si procure rebbe a queste uguale simplicità e certezza, se si sapesse dar loro
de’ segni simili». Languedu Calcul, Anche, le idee matematiche possono essere
rese esteriori, cioè visibili, palpabili, misurabili, in una parola sono
susceltibili d'essere giudicate dai sensie dagl’istrumenti. Coll'ajuto delle
cifre e delle figure tracciale sulla tavolta,o rappresentate da corpi solidi, I
concetti matematici compariscono rivestiti di forme visibili per chi ha gli
occhi, tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti di quantità è
sol tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata; nissuno ha
finora osat o r i gettare il giudizio d'una bilancia, o sospettare
l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro. Colla scorta
de'principii esposti nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire
i filosofi nelle congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si
suppongano due selvaggi A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo
sentimento che si svolgerà oel loro animo, sarà lasorpresa sempre figlia della
novilà. Queste conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni
che ciascuno eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti
uguali. B intende dunque le azioni di A, leggeodo nel proprio animo e
consultando la propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi;
si può dire che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le
azioni di A, conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di
A,vedeodogli eseguire certe azioni; egli cercherà di far comprendere isuoi, ripetendo
le azionistesse: ecco il linguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o
riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni
sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di
esso, il dito che lo accenna, la bacchetta che lo locca, il corpo che si
slancia verso di esso o se ne allontana, formano tutto il dizionario della
lingua. Questi segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta
d'oggetti lontani, per esempio, d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un
altro da cui si fu morsi, il selvaggio ne ripete l'accento, l'urlo, il grido, e
ne esprime cogli atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme
più rimar che voli. Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto
da un torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che
fischia, TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca
il frutto e lo mastica; B rammentando il piacere che provò mangiandolo, con
chiude che A lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione
del mangiare, alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il
romore ed in attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagl’atti
di A, sente sorpresa e timore, e conchiude che A è sorpreso e intimorito. Cessato
il rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare. La calma che
succede nell'animo di B gli dice che A si è calmato. Dopo questa scoperta, il
bisogno reciproco di comunicarsi a vicenda i propri sentimenti sembra naturale,
perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due selvaggi
intendendosi reciprocamente, possono sperare un ajuto ne'loro bisogni, un
sollievo de loro dolori, una difesa contro gl’assalti delle beslie feroci. I
segni indicatori, imitatori, figurati, divengono triplice canale di comunicazione
pe'sentimenti e leidee in forza delle leggi d'associazione. Classificando gli
elementi di questo linguaggio secondo la natura de materiali che servono a
formarlo, se ne distingueranno tre specie, i gesti, le parole, la scrittura
simbolica.La storia antica ricorda spesso l'uso de' simboli anche presso
nazioni già uscite dalla barbarie e sopratutto pressole nazioni orientali.
Dario essendosi inoltrato nel territorio della Scizia colla sua armata, ricevette
dal re degliSciti un messo che, senza parlare, gli dal tuono che scoppia.
Il canto degli uccelli, gli accenti delle passioni sono altretanti suoni che il
selvaggio ripete per farne iolendere l'oggetto ad ogni momento di bisogno, accompagnandoli
per lopiù coi gesti. Se1 Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i
propri timori, in somma le affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio
ripete dapprima quelle attitudini del corpo che le accompagnano. Per esempio, B
vede o d o il luogo ove rimase spaventato, ripeterà i gridi e i moti dello
spavento, accid A non siespoogaaldaono cui fu esposto egli stesso. Un sordo e
muto volendo indicarci, che fu calpestato da un cavallo, esprime dapprima con
ambe le mani,il moto preci pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna
ilproprio corpo che cade sul suolo; posc i a ripete il moto del cavallo,
escorre colle mani le varie parti del corpo nelle quali fu calpestato. Dopo i
segni esterni che accompaguano gli affetti, il selvaggio, aguisade'sordie muti,
cogliela somiglianzache scorge tra i sentimeoti dell'animo e le qualità
de'corpi esterni, e si serve di queste per indicare quelli; per es., le
passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro contrasto allatempesta,la loro
calma a cielo sereno, l'animo dubbioso a due mani che pesano due corpi. Ecco i
gesti simbolici e figurati. La prima specie comprende le azioni e le attitudini
del corpo impiegate per imitare le forme e i moti degli oggetti esteriori. La
seconda, gli accenti della voce con cui si ripe tono i gridi degli animali, e i
suoni che accompagnano il moto degli esseri inanimate. La terza, la pittura che
si farà soventi sulla sabbia, sulla corteccia degli alberi, od altro, sia degli
oggetti che si vuole indicare, sia delle azioni che vi si riferiscono. I suoni
della voce altrondee le articolazioni che gli accompagnano, possono, sia per sè
stessi, sia per la loro combinazione, presentare colleidee molteanalogie che
non col piscono a prima vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente
accolte dalle società che si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e
colla minima fatica possi bile. Il linguaggio articolato dovette dunque
arricchirsi di giorno in giorno. L'invenzione delle parole indicatrici de
generi e delle specie,impossibile aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra
facilissima, giacchè se un albero particolare A in dato luogoe tempo fu
iodicato colla parola albero, è cosa natu. rale che la stessa parola venisse
applicata ad un albero sia mile, quindi ad un terzo, ad un quarto. Cosicch è si
per mancanza d'altra parola che io forza della legge d'aoa. logia il nome
proprio dovette divenire no me appellativo. Si giunse finalmente a far uso di
segoi affatto arbitrari e vi si giunse in due maniere; dapprima per la degenera
zione successiva del linguaggio primitivo e imitatore, poscia per convenzioni
espresse. dodicipezziilcadavere,e glispedi alle dodici tribù di Israele,
intendendo cosi di rendere comune ad esse il suo dolore, e chiamarle alla
vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il suo desiderio soddisfatto:la tribù
di Beniamino fu sterminata. De'gesti non si può fare grande uso nelle
tenebre de con persone alquanto distavti;la scritlura simbolica,benchè più
perfetta de'gesti e permanente, soggiace agli stessi in convenienti, oltre di
essere più difficile: al contrario gli accenti della voce, pronti, facili, variabili
in tutte le maniere, pon tolgono dall'occupazione chi ne fa uso, e lasciano il
potere di parlare e diagire. Queste ragioni fanno prevalere i suoni articolati.
De dotti laboriosi hanno spiegato come la lingua primitiva alterata dal tempo,
dalla mischianza del popolo e da diverse altre cause si trasforma nella nostra
lingua italiana moderna ; presenta un uccello, un sorcio, una rana e cinque
freccie; col quale simbolo il re voleva dire che se i Persiani non fuggivano
come gli uccelli, non si nascondevano in terra come i sorci, non si sommergevano
nell'acqua come le rane, cadrebbero vittime delle freccie degli Scili Il Levila
d'Efraim volendo vendicare la morte della sua sposa, ne fa 151 e come
questa alterazione seguendo un corso differente nei differenti paesi, rese le
lingue sì dissimili tra di loro. Quanto alle convenzioni che furono fatte, non
è necessario molto schiarimento. Si osserva che le parole non erano segni
d'idee e di sentimenti, se non perchè gl;uomini ac consentivano a prestar loro
lo stesso senso. Allorchè dunque conveone esprimere delle idee nuove, nulla si
trova di più semplice che d'intendersi per scerre loro una parola. Questa
convenzione, formata dapprima tra di quelli che avevano più pressante bisogno
di designare questa idea, divenne in seguito comune agl’altri. Ciascuna arte,
ciascuna scienza presenta le sue parole alla società, e lingue particolari. I
segni arbitrari dovettero la loro forza solamente alla doppia abitudine di
quelli che gl’impiegano e di quelli a cui si dirigono. Queste azioni, questi
segni esteriori, che il ragazzo imita, sono uniti nella mente di quelli che gli
servono di modello a dei sentimenti. Questi sentimenti lo sono ad alcune idee.
I sentimenti e le idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i
movimenti, ripete poscia i suoni articolati o le parole, a cagione d'esempio, “padre”,
“madre”, “vizio”, “virtù”, “religione”, “demonio”. Il ragazzo non ha bisogno
d'inventare i segni artificiali delle idee. Egli gli impara soltanto. Ciò che
per gl’antichi e un lungo sforzo di genio, non è per lui che un esercizio
meccanico della memoria. Bentosto il ragazzo deve provare un principio di sentimento,
ridendo all'altrui riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo all'altrui
fremilo benchè ne ignori la causa. Ma l'idea, s'ella esiste, essendo sempre la più
difficile, la più lontana, la meno interessante a conoscersi, il ragazzo è imitatore
come la scimia. Gli altrui moti, i gesti, l'accento, l’aria, il tono, tutti gl’attesteriori
lo colpiscono nei primi anni della sua vita e d occupano la sua attenzione. Egli
è spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò che vede, ed i suoi organi mobili
cootraggono l'abitudine di molte azioni, priache il pensiero sia capace di
penetrarne lo scopo e d'osservarne il motivo: insginocchiarsi, fare il segno della
croce, piegare la fronte, giungere le mani, levarsi il cappello, fuggire nelle
tenebre, baciar l'altrui mano, fare inchini. La ripetizione frequente di questi
suoni, gesti, sentimenti gli unisce con stretti nodi e tali che quando i suoni
vengono a colpire l'orecchio o si presentano alla memoria, spingono gl’organi
motori ai gesti relativi, e il sistema sensibile agl’associati sentimenti. Questa
è la cagione per cui esempi ripetuti, antiche abitudini forzano la maggior
parte degl’uomini ad ammirare, fremere, tremare, sdegnarsi, passionarsi in
tutti imodi al suono delle parole le più insignificanti, le più vaghe, le più
vuote d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si
sottraggono alla analisi. Conviene anche osservare che più le parole sono
confuse ed oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti. Queste
ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse,
secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osserva, dice
Rayoal, che i giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco
d'ingannare i tribunali di giustizia. Un magstrato sospetta che tale disordine
potesse provenire da ciò che il suo Testamento, su'di cuido vevano giurare,era tradotta
in idioma inglese. E quindi decretato che per l'avenire I Giudei giurer ebbero
sul testo ebraico. Dopo questa precauzione gli spergiuri divendero
infinitamente più rari. Per simile motivo Augusto lascia sussislere eadem magistratuum
vocabula, acciò il popolo romano conchiudesse che sussisteva ancora la repubblica,
sussistendo i nomi delle sue magistrature, e il rispetto ma c chioale eccitato
negl’animi popolari dalle parole si, fissasse sulle nuove cariche che
ritenevano le antiche denominazioni. Trovandosi Leibnizio a Nuremberg seppe che
riera in quella città una compagnia di chimici, che col più profondo segreto
travagliavano alla ricerca della pietra filosofica. Il desiderio d'entrarvi,
gli suggerio l’idea che produce l'effetto bramato. Egli estragge dagli antichi
alchimisti una serie di frasi oscure, la cui unione forma una lettera più
oscura ancora e non intesada lui stesso. Questa lettera divenne un titolo
peressere accolto. Leibnizio, tanto più ammirato quanto meno inteso, fu
riconosciuto addetto e segretario della società. Bailly, Éloge de Leibnitz. Il
ragazzo o non la verifica che tardi, come l'idea di “padre”, o non la verifica
che in parte, come quella di “vizio”, o, non la verifica mai nè può
verificarla, come l'idea di “demonio”, “magia”, “angelo”, “fortuna” e simili. Per
eguale ragione, allorchè le idee più belle e più sublimi vengono tradotte in
lingua usuale, bassa, plebea, per dono parte di quel pregio che conservano in
una lingua antica o straniera. Quella specie di spregio che si attacca agl’usi
volgari e quella specie di rispetto che va unito alle lingue morte od estere,
sembra comunicarsi all'idea e degra darla a'nostri occhi o sublimarla.
L'indeterminazione del linguaggio più in morale e legi slazione ha luogo, cbe
nelle arti e nella storia naturale: gli oggetti di queste sono verificabili e
misurabili coi sepsie cogli strumenti, quindi le stesse parole risvegliano in
tutti presso a poco lestesse idee:al contrario gli oggetti morali non essendo
verificabili con eguale precisione, restano nella nebbia della fantasia; le
parole, da cui vengono indicati, partecipano della loro oscurità ed incostanza,
e per lopiù risvegliano idee diverse nelle diverse teste in ragione delle
circostanze in cui furono apprese. Pretendere che le stesse parole
(principalmente se trattasi di cose morali) risveglino in tuttele stesseidee, egli
è pretendere che quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo giorno dappertutto.
Nei giardini d'Epicuro la parola “virtù” risvegliava idee ridenti e piacevoli.
Sotto i portici di Zenone, idee fosche e melanconiche. “Legge” significa la
volontà di tutti per un greco, la volontà d'un solo per un persiano. le
indicava per l'addietro un despota sciolto da ogni legge, attualmente
quest'idea è più limitata, ed ha diversi significati a Londra, Amsterdam,
Copenhague. “Libertà” nella mente del filosofo indica la somma delle azioni non
vincolate dalla legge. Nella mente del volgo, la facoltà d'invadere i beni
de'ricchi e di far nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole
si fa sentire ne'trattati tra, le nazioni, in cui la loro ambiguità
diviene,causa o pretesto di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità
d'una frase estende l’arbitrio del giudice a danno dell'innocente ne’ contratti,
nei codici civili, nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'espressiooe
è fonte di mille liti tra i cittadini, e vessazioni a. Havvi alla China una
legge che condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto al sovrano.
Comparve un giorno nella gazzetta della corte un aneddoto non raccontato con
perfetta esaltezza. Il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero che
mentire nelle gazzette della corte e non mostrare sufficiente rispetto al
sovrano. Quindi il redattore fu messo a morte. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.“
commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti, cantoni,
comuni, l'uniformità de' pesi, in isure, monete, gli stessi libri nelle
università, la stessa educazione ne’ licei lendono a dare alle parole la stessa
significazione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de. finibile di
coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio proveniente dal
modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggetto che esprime, bisogna dire
che in ogni lingua non v'ba quasi una parola che rappresenti sola una idea
chiaro-distinta da se stessa. Tutte prendono sensidiversi dal posto che
occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono, dall'accento,
dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola unita ad alcune
ti mostra un dato espelto d'idee,uo altro, se si college con altre. Più avanti,
più indietro le ne farà vedere dei diversi. Detta con un tuono asseverante, ha
un senso. Con un tuono di meraviglia, un altro. Con irrisione, un terzo. Con interrogazione,
un quarto. Cosicchè si potrebbe assomigliare le parole ai colori delle peone
d'un colombo, che variano secondo il moto del sole, del colombo, dell'osservatore.
Sono quindi quovi, fonti d'errori i diversi sensi che le stesse parole esprimono
passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo avere esaltato i
nomi di molti personaggi illustri dell’antichità, si dirige così a'suoi uditori:
ingrati che noi siamo! noi cilngniamo della brevita della vita, mentrei è
innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che questa
argomentazione confonde due maniere di vivere che sono distiolissime e diverse.
Lo stesso difetto si fa vedere nella seguente massima di Rousseau. Se la natura
ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è un'animale depravato.
Perchè questa sentenza fosse vera, converrebbe provare che il primo ed unico
destino dell'uomo è di essere sano; che la virtù consiste nella sanità, e che
la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora un dollo sarà un
essere depravato come il soldato che espone la sua sanità e la sua vita in
difesa della patria. Si potrà dire che ogni ammalato è uno scellerato, un
mostro; che un monco è un Sano è qui'addiettivo del corpo, e significa uno
stato fisico; depravalo è addiettivo dell'auimo, e significa uno stato
morale. animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani
come ci ha destinati ad avere due braccia. Aliro esempio. Bernardin de Saint
Pierre vuole che assolutamente si bandisca l'emulazione dalle scuole pubbliche;
e per provare ch'ella è inutile, argomenta così. Analizziamo questo argomento.
L’emulazione per imparare la lezione, per fare dei temi, per studiare le
scienze è inutile ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'emulazione è
dunque da una parte e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per
conseguenza si devono ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di
questa doppia inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente
naturali, egualmente aggradevoli che quelle del corpo? Egualmente naturali? lo
rispondo di no, se per naturali inten desi necessarie ed imperiose. Egualmente
aggradevoli? Questo è possibile, ma la causa si rifonde nel piacere d'essere applaudito, ammirato,
ricompensato. Quindi l'autore non s'accorge che coi buoni effetti
dell'emulazione lepla di provarne l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala
fede, le passioni lulle abusano delle parole, perciò, al dire di Parini, il
mercante è pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri nomi
6' A merci che non mnaivarcaro imonti. уоро campagna, come sono
necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolo popolazione ha forse
immaginato delle astuzie, e inventati degl’artifizi per allungare gli studi, e
per ottenere un tema più difficile? Ho io avuto bisogno nell'infanzia di
sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi
piacere? E perchè è egli slato necessario che imparassi asor passarli ne’miei studi,
per trovarci dilello? Non ho iopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza
emulazioni? Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egual
mente aggradevoli che quelle nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e
nel mangiare, per che queste operazioni sono comandate dal più pressante, dal
più imperioso de’ bisogoi, l'amore della vita; ma quantivi e conciliano la
santità e la grassezza coll'inerzia e l'ignoranza? Gli scolari temono forse
tanto le ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le
minacce ed i castighi per condurli al refettorio o farli partire per
la Cromwel, per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione,
aveva dato alla maggior parte de'suoi reggimenti i nomi dei santi del Testamento
Vecchio. Cromwel, dice uno scrittore anonimo di quel tempo, ha ballulo illam
buro in tutto il Vecchio Testamento. Si può imparare la genealogia del nostro
Salvatore dai nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra
lista che il primo ca pitolo di S. Matteo. In tutti i tempi, in tutte le
religioni, in tutti i partili, il fanatismo, il quale non sipiccò mai di equità,
diede a quelli che voleva perdere, non i nowi che merita vano, ma inoai che
potevano loro nuocere. Socrate, che depurando le idee superstiziose, le
conduceva all'unità di Dio, riceve il titolo d' aleo dai sacerdoti di Cerere:
empio chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un gatto, un bue o un coccodrillo.
Si da dai Cartaginesi lo stesso titolo a chi abborriva il sacrifizio delle umane
vittime. I romani danno a tutti i cristiani il nome di galilei o giudei,
sforzandosi dire uderli odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla
China i nostri missionari che diffondeodo la religione dei galilei diminuiscono
il concorso ai tempii de' falsi idoli, e quindi i proventi de' sacerdoti,
vengono da questi dipinti come ribelli ed accusati di congiura coutro lo Stato.
Le espressioni odiose sono uo'arma troppo favorevole alla calunnia perchè ella
non s'affretti a farne uso. Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una
parola di sprezzo per caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri
avversari. Con una di queste parole si prova tutto, si risponde a tutto, si
difende la propria opinione, si distrugge l'altrui. A Pascal, che con tanta sagacità
svela nelle sue lettere provinciali la corruzione della morale, e risposto
ch'egli era quattordici volte eretico. Gl’uomini saggi si guarderaono sempre
dalle espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie
infinitamente variabili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione
d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico, e lo prov r'anno
svolgendo la somma de’ beni di cui è seconda, ma non diranno, per es., questa
legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi
sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee
d'approvazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto. Quindi se
i due partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza
de’ combattenti, e per cominciare TEORIA DELLA SENSAZIONE Combinare od
inventare. La ninfa della tignuola d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice
Darwin, e la quale s’involge in cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s
a ben far si che questa sua abi lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e
perciò quando èsoverchiamente pesante, viaggiunge un bocconcello dipa 'gliao dil
egno, equando troppoleggiere, un pezzellodi grossa rena. il vero esame,
converrà rinunciare a queste parole appassionate ed esclusive, per calcolare
gli effetti della legge in bene e in male. Osservano gli storici che nel corso
della guerra del Peloponneso successe taletrambusto nelle idee e ne' principii,
che le parole più usuali cambiarono di senso. Si da il nome di dabbenaggine alla
buonafede, di destrezza alla duplicità, di debolezza alla prudenza, di
pusillanimità alla moderazione, mentre i tratti d'audacia e di violenza
passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente per la causa pubblica. Una
tale confusione del linguaggio è forse uno de’ sintomi più caratteristici della
depravazione d'un popolo. In altri tempi si può offendere la virtù. Ciò non
ostante se ne riconosce ancora la sua autorità, quando le si assegnano de’ limiti.
Ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome, ella perde i suoi diritti
al trono, e il vizio se ne impadronisce e vi si asside tranquillamente. Per
capire ciò che succede allora in una nazione, basta osservare ciò che succede
nelle società de’ viziosi e scellerati. I ladri, gl’aggressori, i monetari
falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo gergo tutto proprio che
confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da sentimenti uniformi,
volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge da sè, si
compiacciono ad affrontarla. Quindi nel loro dizionario sono escluse tutte le
impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e dell'ingiusto,
associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa, continua lo
stesso scrittore, ha colla una mosca grossa quasi com'era ella medesima. Posi
le ginocchia a terraper meglio osservare, evidiche ellase paròla coda e la
tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse le ale. Prese ella
quindinelle zampe questa porzione di mosca, e s'alza con essa dal terreno circa
due piedi, ma un venticello leggiere scuotendo le ale della mosca, fa
capovolgere l'animale nell'aria, ed egli scese ancora colla sua preda a terra.
Osservai allora distintamenle che colla bocca le taglia primieramente un'ala, e
poi l'altra, e quindi fuggi via non più molestata dal vento. Questi due animale
lti,che sanno disporre le cose in modo, ossia ritrovare mezzi tali da oltenere
il fine bramalo, ci danno le prime idee dell'arte di combinare o invenlare.
Duhamel osserva che il felore delle sale degli spedali cresceva, avvicinandosi
al soffitto. Egli immaginò quindi uo ventilatore che facendo comunicare questa
parte delle sale con l'aria esteriore, caccia laria guasta. La combinazione di
Dubamel oon suppone nella disposizione dei mezzi più cognizioni di quelle della
tigauola e della vespa. Ma il fine ottenuto essendo molto vantaggioso
all'umanità, la combinazione è più pregevole. Il pregio di questa combinazione
cresce, se si riflette ch'ella è applicabile ad altri oggetti, a cagione
d'esempio, ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle combinazioni saggissime
profondissime, e che suppongono infinita destrezza nell'esecuzione. Ma siccome
non arrecano alcun vantaggio, non hanno alcun pregio agl’occhi del saggio.
Boverick, meccanico d'uva de, strezza e d’upa perseveranza prodigiosa, fabbrica
una catena di duecento anelli che col suo catenaccio e la sua chiave pesava
circa un terzo di grano. Questa catena e destinata ad iocatenare una pulce. Egli
fa una carrozza che s'apriva e si chiudeva a inolla, era tratta da sei cavalli,
porta quattro persone e due lacchè, e condolia da un cocchiere, ai piedi del
quale sta assiso un cane, e il lutto venne strascioato da una pulce esercitata
a questo travaglio. L'invenzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fa
desiderare che Boverick impiega meglio i suoi talenti. Grice: “”Si suppongano due
selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An
engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that
like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre
Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia.
Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo, pulitezza, Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giorello:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del libertino – filosofia
milanese – la scuola di Milano – filosofia lombarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo
lombardo. Filosofo italiano. Milano,
Lombardia. Grice: “I like Giorello: he philosophises on evil and good – the
devil wrestles with the angel – but also on Mickey Mouse that he calls
‘topolino’ – “la filosofia del topolino” – and perhaps ore exotically for us
Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’ a ‘fiumetto’ of 1948!” –Si laurea a Milano
sotto Geymonat). Insegna a Milano. Membro de la Società Italiana di Logica” e
de la Societa Italiana di Filosofia della Scienza. Giorello divise i suoi
interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza con particolare
riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei vari modelli di
convivenza politica. Dalle sue prime ricerche in filosofia e storia della
matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le tematiche del
cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e politica. La sua
visione politica e di stampo liberal democratico e si ispira, tra gli altri, a Mill.
Si occupa anche di storia della scienza in particolare le dispute novecentesche
sul "metodo"e di storia delle matematiche (“Lo spettro e il libertino”).
Cura “Sulla libertà” di Mill. Ateo, filosofa in “Senza Dio. Del buon uso
dell'ateismo.” Altre opere: Opere Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito,
Milano, UNICOPLI, Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero
pensiero, Milano, A. Mondadori, Le ragioni
della scienza, Roma, Laterza,Filosofia della scienza, Milano, Jaca Book, Le
stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa universitas. sull'impresa
scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia della scienza, Milano,
R.C.S. libri et grandi opere, Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e
violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della scienza, Roma Laterza, “Lo
specchio del reame: riflessioni sulla comunicazione: Longo, Epistemologia
applicata. Percorsi filosofici, e Milano, CUEM, I volti del tempo, e Milano, Bompiani, Prometeo,
Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina, Di nessuna chiesa. La libertà del laico,
Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Forte, Balsamo, San
Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina, Il decalogo. I dieci comandamenti commentati
dai filosofi,, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio
Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace",
Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano,
Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane, 4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice
San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,
Il peso politico della Chiesa, Cinisello
Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni
et Lab, Harsanyi visto da G., Milano, Luiss University press, Lo scimmione
intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e carità. Due
voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San Raffaele, Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos
H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda, Lussuria. La passione della conoscenza,
Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,.
Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio
Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,. Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto
incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. CULTURA
Addio a G., filosofo della scienza e difensore della libertà By Vincenzo
VillarosaPosted on È morto il filosofo G., per le conseguenze dell’influenza da
COVID-19, dopo aver trascorso due mesi di degenza in ospedale ed essere stato
dimesso alla metà di maggio. Successore di Geymonat alla cattedra di Milano, il
filosofo aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Conte lo ha
ricordato, in un messaggio sui social, come un filosofo che ha saputo
riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione. Nato a Milano G.
si laurea in Filosofia seguendo la tradizione antifascista e marxista del
maestro GEYMONAT (si veda) e il difficile tentativo di contrastare le divisioni
tra pensiero scientifico e umanistico. In seguito, e docente di Meccanica
razionale a Pavia e poi a Catania, a quella di Scienze naturali all’Università
dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano. Presidente della Società
Italiana di Logica e Filosofia della scienza. I suoi studi spaziavano dalla
mitologia all’antropologia e alla psicologia evolutiva fino alla bioetica e
alle neuroscienze. Uno tra i più bravi epistemologi italiani, insomma, capace
di unire il rigore per gli studi sul metodo della scienza alle riflessioni
sull’ambiente sociale e politico nel quale si muove la ricerca
scientifica. Accanto all’attenzione per le discipline fisico-matematiche
e all’accrescimento della conoscenza scientifica, G. analizza le modalità
complesse e contraddittorie della convivenza sociale e politica. Sulla scia del
pensiero di Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla
libertà, scrive, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la
possibile difesa della libertà umana. La sua instancabile attività di
saggista e basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e
del dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza
di questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione
editoriale della collana Scienza e idee per Cortina e nella capacità di
divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali
del giornale Corriere della Sera. Tra le opere di saggistica, ricordiamo
Filosofia della scienza (Jaca Book) e due contributi di divulgazione
scientifica come La filosofia della scienza con Gillies, Laterza, e La
matematica della natura con Barone, Mulino. Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del
laico (Cortina) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi), G. parla
del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa della visione
del mondo dei credenti. La curiosità intellettuale e la personalità
liberale del filosofo milanese si espresse anche nell’interesse sul rapporto
tra la cultura definita alta e quella popolare presente, ad esempio, nel mondo
dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia di Topolino con Cozzaglio, Guanda, ne è una divertente ma non banale
rappresentazione. La perdita di G. toglie alla scena italiana uno dei più
attenti conoscitori dell’articolato cammino della filosofia e del sapere
scientifico e, allo stesso tempo, un difensore delle libertà individuali e
collettive, senza le quali non è possibile alcun accrescimento e consolidamento
del patrimonio culturale dell’umanità. RELATED TOPICS: FILOSOFIA,
LETTERATURA, PRIMA-PAGINA, SOCIETÀ Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo. Il settenario. Il vizio della lussuria. Origine e delineazione del
vizio nel Medioevo. Vizio del corpo. Vizio dell anima. I coniugati e la
lussuria. Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere
(Cor.). La lussuria come potenza nell Inferno. La lussuria come potere nel Inferno.
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell Inferno. La lussuria come
filosofia nel Canto V dell Inferno. La lussuria come inganno e come sovversione
nel Canto V dell Inferno. La lussuria nel Canto V dell Inferno. Non v è dubbio
che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo
millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di
tutta un esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di
rinnovare la vita di una persona, di orientarla al meglio. Come afferma Emilio
Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia,
la lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo
millennio. Ovviamente, un opera di qualche secolo fa rischia di non essere più
adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche
differenti per quanto riguarda la Commedia, ogni generazione legge il suo Dante
2, e quindi, come lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro tempo [Pasquini
segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e
Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4. L amore-passione
che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle
idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce
legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre feconda ricchezza
di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando si trattava della fede,
della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra
coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell
opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la
persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto
decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo. Oggi, asserisce Pasquini, una
simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente
terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un esistenza, le svolte
cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile
direzione, decidendo del suo destino in terra [Pasquini, Dante e le figure del
vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori; Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio
di Francesca nella Commedia di Dante, cit., Pasquini, Dante e le figure del
vero. La fabbrica della Commedia. Si può aggiungere che, in generale, la
ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s inserisce perfettamente
nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente fissata sull
acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale completo.
Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l avvertimento di Dante
adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non
alla magnanimità ma alla folia. D’altronde, Inglese segnala che il carattere
realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene illustra che Dante
utilizza il mondo terreno come una metafora dell oltremondo, l altro mondo è
reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo 8. Anche questo
aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire abbastanza
facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del mondo,
inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del filosofo
G., la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con la visione cristiana
del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta che la
lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno
disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana da combattere e da
eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista molto differente nella
sua recente monografia Lussuria. La passione della conoscenza 9. Propone un
analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo,
una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d ispirazione
cristiana sul soggetto. G. considera la lussuria non solo come un peccato, ma
anche, e in primo luogo, come una libertà: E per ciò [la lussuria] può
costituire il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di
qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10. Anche se il concetto centrale
della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico, non
viene trascurato il significato cristiano del termine. L autore approfondisce
il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso può
manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia,
come inganno Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle
relazioni significative tra vari testi, autori e concetti. Inglese, premessa,
in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci; G., Lussuria. La
passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, risvolto della sopraccoperta.
Introduzione A mio giudizio la lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell
ottica proposta da Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del
capolavoro d’Alighieri, una lettura fresca e interessante di questi versi già
ampiamente commentati. Vorrei dimostrare che le sue idee nuove permettono di
attualizzare questa parte del testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di
agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra).
Tutte le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno
applicate al Canto V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova
luce sul testo dantesco e di presentarlo a una società diventata quasi
completamente laica, nella quale la religione cristiana è diventata un vago
ricordo di altri tempi, un fenomeno soltanto latente (cf. supra). Anche nel
libro di G. L’aspetto religioso della lussuria non è quello più importante, ma
è sempre presente in modo velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata
dalle varie manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della
visione cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo
vizio. Tutto ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in
combinazione con commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore
per redigere la presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e
complementi interessanti. Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova
analisi della lussuria nel celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi
contemporanei, l aggiunta di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro
Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di
Renzi arricchirà ancora l esposizione, tra l altro la parte nella quale si
tratta della colpevolezza o dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo
libro, vuole reagire sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all
interesse privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca [L
autore specifica che l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia
della Commedia, cioè la parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in
exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del
mondo dell amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l
ascensione. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio
di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare
il suo contrario, una palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un
bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, Introduzione palinodia: una nuova esaltazione
dell amore terreno 12. Accanto al riferimento a Valesi il testo di Renzi offre
ancora molte informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori.
Inglese, poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento
all Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella
Commedia, una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza,
nel Canto V, di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una
dantistica del terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei
studi] è ormai misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però
stagnazione, e lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la
vitalità del genere commento [In ogni capitolo della presente tesi, una nozione
filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base
delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano
varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri
commentatori. Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Il
paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo
presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della
lussuria. Baserò questa visione d insieme sul volume I sette vizi capitali:
storia dei peccati nel Medioevo di Casagrande e Vecchio, Einaudi. Il settenario
Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un
invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si
è sviluppata attraverso secoli, continenti e persone diversi; di un enorme
enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio
per parlare del mondo [Un topos, per così dire. Una volta che il paradigma
aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha avuto un successo
immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici. Si potrebbe dire che,
per quanto riguarda l Occidente, la storia medievale di questi sette vizi
inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Pontico, Cassiano e Gregorio.
Cassiano, avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo
maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più
significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Il
settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico attraverso gli scritti
del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha
vissuto in un epoca che accordava molto importanza all idea dei sette vizi
capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano distinguono
otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia, tristezza,
ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall opera di Casagrande e
Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job, ne distingue sette; non
menziona più l invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job costituisce un
opera di notevole importanza per la cultura medievale: è molto più di un [Casagrande,
S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino,
Einaudi, Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo commento: esegesi,
teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo respiro [Il
paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l impronta dell ambito nel
quale è stato lavorato, cioè l impronta della società monastica non solo quella
occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all Occidente conoscenze
orientali egiziane, siriane-, adottate dalla cultura monastica orientale,
raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva imparato molto sui
vizi capitali in quel crogiolo culturale che fu Alessandria d Egitto alla fine
del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale si
sono confuse con questa sapienza proveniente dall Oriente. Di più, le idee
rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà
proprie alla vita nel monastero: Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli
da superare lungo il cammino di perfezione al quale si sono votati, in una
continua battaglia contro se stessi e contro quel mondo che si sono lasciati
alle spalle 17. Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del
settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello che segue
tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi capitali, cioè di
quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la lussuria. Il vizio
della lussuria Origine e delineazione del vizio nel Medioevo Non solo il
cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già nella
cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano
apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto
abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato
lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea
ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si
riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo.
Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione
di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. Il
paradigma dei VII vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria,
situandola nell ambito della natura propria agli uomini, come un vizio
intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno monaco e papa-,
anzi, pone che essa sarebbe un attività tutto naturale del corpo, che, per di
più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di
ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna
della sessualità umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando
una tale visione, crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se
forma un desiderio proprio all uomo tanto naturale quanto il bisogno di
mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l alt. Ma, a
dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i
secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui, l elemento chiave
che trasforma la sessualità dell uomo in un attività peccaminosa, sarebbe stato
il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due
primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali,
presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come
punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro
corpi diventano insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono
quegli organi del corpo a poter dominare l anima dell essere umano. Lì si
ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è
rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto che si sta parlando
dell attività responsabile per la generazione: l uomo trasmette quel peccato di
padre in figlio, per l eternità. Per forza, i figli nascono peccatori. Nonostante
il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il
Medioevo, si comincia già a rivederla piu tardi. Si osserva infatti un processo
di desessualizzazione del peccato originale 18. Implica l accettazione della
concupiscenza come una delle conseguenze del peccato originale, non come l
effetto principale di questo. Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall
ambito peccaminoso nel quale era stata introdotta: La natura era ormai
inevitabilmente corrotta [ Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria
(denominata, in un primo momento, la fornicazione), tutto come alla gola, lo
statuto di vizio carnale, un vizio cioè che implica [Il paradigma dei sette
vizi capitali nel Medioevo] necessariamente la partecipazione del corpo. Rivendica
non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di tutti gli
organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso, la
bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio capitale
che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione tanto
versatile del corpo umano alla fornicazione approda all idea che questo corpo
non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le
conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di conseguenze di atti peccatori-,
non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non
sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l
immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma
lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra [Per di più, il debole corpo
umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza la
presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la
sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un
peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a
qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto
della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un
peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri
abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre i padri fondatori del
settenario dei vizi: Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano
nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi
maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici
per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più
debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori
esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di gioielli,
profumi, tenute ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette
l accento sull eleganza femminile si considerava un tutto che serviva
essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di
conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi.
Peraldo descrive le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare tramite
una metafora memorabile: [sono [Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare
battaglia per strappare a Dio l anima degli uomini 23. Quindi, nonostante il
fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della
lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro fisici sui loro
complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente,
incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. Vizio
dell anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente
corporale. A dire il vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova
nell interiorità più profonda dell anima umana. Proprio i monaci abitanti dell
ambito nel quale è cresciuta l idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l
altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura
spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia
adito ad alcun dubbio: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già
commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt.). Ma questa idea non implica che
il corpo non potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia
nell insieme di fasi propri all azione peccaminosa. In primo luogo nascono le
idee lussuriose nell anima dell uomo; in seguito si osserva che, da questi
pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce quindi la
tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l atto adultero
si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A proposito
della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al
peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l anima cessa di
pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una parola servire
il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio
eccessivo e disordinato che ha colpito l uomo dopo il peccato originale, per
tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce la vita
dell individuo [Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di
Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, Casagrande, S. Vecchio, I
sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Il paradigma dei sette
vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla
fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e proprio, ma un suo equivalente
virtuale, come l hanno formulato Casagrande e Vecchio. In effetti, già nell
ottica agostiniana della lussuria è inclusa l idea che gli impulsi
concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È
precisamente la condiscendenza dell anima alle pulsioni carnali che trasforma
queste ultime in impulsi peccatori. In seguito, si deve segnalare, in questo
capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di Pietro Abelardo (XII
secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per quanto riguarda la
relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza
quanto l atto sessuale e i compiacimenti che lo accompagnano avevano fatto
parte della natura dell uomo a partire dal peccato originale. Affermava che l
elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell anima umana al corpo
(carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a dire
il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le
sue asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca. La notevole
importanza dell anima in quest ambito viene confermata dalle conseguenze che ha
il vizio della lussuria non solo per il fisico dell uomo ma anche, e
specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo
umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all anima:
una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell essere umano,
debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina. Si tratta di un
vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello
spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell
anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell
indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito
umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la potenza
di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla
ragione. In effetti, non solo la chiesa si preoccupava dalla decadenza della
ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione
cristiana, un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a
simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima
in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza
concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo
nella 16 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di
controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi
avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte,
e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava
grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in
contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua
importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la
funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio
nella vita di ciascun individuo. Trasposto in ambito letterario, il dualismo
fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella
quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s
impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il
culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie
misure dalla lussuria. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in
continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (Cor.) Tra tutte le
persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati
formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria,
ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli
coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari
per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo
modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce
28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della
lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che
la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per
il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la
lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva
anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il
matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge
che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della
castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli. Il
nuovo testamento, Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei
peccati nel Medioevo. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma
anche per la società naturale che l unione tra i due sessi comporta. Di più,
pone che Dio avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro
complementi femminili prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi
erano già dotati di organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che
Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma
nell uso che gli uomini ne fanno. Queste idee agostiniane sono state molto
diffuse durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il
legame stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il
peccato si estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può
corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e
all anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie
umana. Da questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare,
anzi unica nel settenario dei vizi capitali. La lussuria come potenza nel Canto
V dell Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza)
Giorello asserisce che la lussuria è mescolanza di tutte le cose del mondo,
rotture d ordine, spezzatura. Nel caso di Paolo e Francesca, di certo, la
lussuria è stata responsabile di una rottura dell ordine quotidiano, anzi, dell
ordine del mondo come i due innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro
realtà viene causata direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso
filosofico della parola: potenza come volontà) che costituisce una parte
essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono
alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito,
pone fine al suo matrimonio. Caìn attende chi a vita ci spense; il nome di
Gianciotto è taciuto per disprezzo, non certo per femminile riserbo Neanche
Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è
irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio
chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione,
è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è
familiare, e di perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia
la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e
di rovina è illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte: la prima e l
ultima parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una
MORte. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga
tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che
tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone. Per di più, la parola morte,
nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui
soggetto è Amore. In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza
di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà
nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che,
contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un
dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni G. Lussuria.
La passione della conoscenza, Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo
e commento di Inglese, Roma, Carocci Inglese, commento al testo in Commedia.
Inferno di Alighieri, Roma, Carocci, Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese,
commento al testo in Commedia. Inferno di Alighieri, La lussuria come potenza
nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per
la felicità (lussuriosa) ma anche per l aspetto penoso che essa implica. Da
quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata
come la volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca
una forte volontà, non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà
umana che procede il desiderio di qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il
desiderio an sich deve, infatti, considerarsi come essenzialmente lussurioso.
Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio dell altro. Dante presta
molta attenzione all espressione di tale potenza. È probabilmente una delle più
belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse
la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può
realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre
caratteristiche come, in questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato
lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione
presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè
all inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla,
infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni
peccatore potrebbe desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte
desiderio. Si trova sulla via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via.
Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita.
Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di
Francesca domina su Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la
laicizzazione è la lussuria dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o
alla divinità emancipazione che costituisce la premessa di una società politica
matura. Secondo me, l autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia
un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della
lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra
le varie forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto
di un azione peccaminosa. L idea principale che vuol esprimere il filosofo in
questa frase, però, è che il desiderio umano di venir liberati dall
assoggettamento a un potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di
un desiderio. Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito
completamente dalla luce divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte
per tutti i suoi contemporanei. L opposizione G., Lussuria. La passione della
conoscenza. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno tra la volontà
evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista
del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia
lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti
essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che
la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la lussuria
istituisce il nesso tra conoscenza e oblio. L aspetto della lussuria che è
analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza
che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie
domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che lega l ignoranza e la
conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera
sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà,
sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare
la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la
conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l oblio di altri fatti
conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è illustrato dall epopea
mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V,
tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è
dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di
raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: E
quella a me: Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella
miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano
benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di
conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in
cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza dell altro. Anzi, in questo
passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: Ma, s a conoscer
la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che
piange e dice. Ciò illustra l importanza ardente del significato del termine.
Per di più, Giorello pone che la potenza della dea [Venere] è quotidiana, non
solo eccezionale. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica della
lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si
manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza
sempre presente nell essere Alighieri, Commedia. Inferno. G. Lussuria. La
passione della conoscenza. La lussuria come potenza nell’Inferno umano, gli
appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo,
però, gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo
essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un
impulso troppo gradevole. All uomo piace infinitamente provare una tale energia
dentro di se. Gli dà l idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che
ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il
coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per
arrischiarsi in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È
questo il momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando,
diventa eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di
Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva
quel punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi
nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento
riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona
anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi maestra di inganno
40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca
tradisce suo marito, Paolo suo fratello. All aspetto ingannevole della
lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che
colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della
conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un idea
che deduce da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo G. si può capire da
quest opera che, secondo Agostino, la fiacchezza della nostra volontà
(contrapposta alla forza di quella divina) sia ben peggio di qualsiasi fisica
impotentia coeundi 41 perché nell ordine naturale l anima è anteposta al corpo.
Agostino descrive la lotta della passione il corpo e della volontà l’anima
parlando della lussuria, affermando che esiste almeno l imperfezione della
passione nei confronti della pienezza della volontà. Ciò pone l accento sul
valore più grande della forza mentale che è la volontà dell uomo a paragone del
suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale
è valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe
sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza,
unificatore. L unione d idee Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione,
note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, La lussuria come potenza nel
Canto V dell Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli
antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa
fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in
modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V
proviene, tra l altro, dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra,
Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica
menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne
antiche e cavalieri: insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso, che
aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta et
Arturi regis ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2) La loro apparizione conferisce un atmosfera
unica all Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie antiche di alcune
coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto come la
sua fede. Il ricordo della disperazione, dell amore e della perdizione
caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai sentimenti simili
di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella relazione emotiva
triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare che la sua forza
emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la visita del
pellegrino forma un opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei
colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua
tragica storia d amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf.
infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i
dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello svolgersi (che
non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi: per un motivo
superiore ossia, per l edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il
resoconto del viaggio la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto
di personalità [ vegnon per l aere, dal voler portate 44 ]. Sul piano poetico,
ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca, per
esempio, non avrà mai un altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale
al proprio tormento. Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno d’Alighieri,
Alighieri, Commedia. Inferno. Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno d’Alighieri,
La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che precede,
risulta che un estremo atto di personalità implica una volontà potente, dato
che la volontà costituisce una parte essenziale dell essere umano. Si potrebbe
dire che, con l ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché
dare forma verbale al proprio tormento può significare dare forma verbale al
suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura.
La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere
interpretata come dare forma verbale al modo in cui entrambi il ricordo del tempo
d i dolci sospiri 46 e quello della fine tragica della sua storia d amore la
tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe non
solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando alle
donne antiche e cavalieri, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora una
critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno noterà,
per esempio, che la pietà di Dante per Francesca, primo segno della sua
partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento,
era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne antiche e cavalieri,
dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti peccator
carnali. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47 Mentre Virgilio
annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la
compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e
silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso
la persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il dramma cruento dei
due giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore di Dante che si
sente personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo dramma interiore
che sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola si spiega,
secondo Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio. Qualcosa di
Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto la spinta del
rigoroso atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega con chiarezza,
quasi completandolo, il suo turbamento che non è solo pietà di fronte alla
tragedia romagnola. Alighieri, Commedia. Inferno. Renzi, Le conseguenze di un
bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante. Pasquini, Dante e le
figure del vero. La fabbrica della Commedia, cIbidem. La lussuria come potenza
nel Canto V dell Inferno Secondo Ginguené, autore di Histoire littéraire d
Italie, non è stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi
della Commedia che ha scritto l episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante
innamorato di Beatrice. In questo senso, il Canto V parla da ENEA – VIRGILIO
(si veda) e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e pure d’ALIGHIERI
(si veda) stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il
passaggio di Dante personaggio attraverso l inferno, il purgatorio e il
paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico di ogni peccatore che
desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà
di Dante, ma nota che la pena in fondo, se non è mite, è la più piccola fra
tutte quelle previste dal poeta 51. Renzi spiega come questo non sembra una
grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza conoscersi l uno con
l altro, molti critici, da FOSCOLO (si veda) [Discorso sul testo della
Commedia] a Barolini [Dante and CAVALCANTI (si veda) (On Making Distinctions in
Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context. E ci aggiunge: Nardi
[Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri 54 ], che
era l unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha notato che, tra i
peccatori nella carne, ALIGHIERI ha punito i golosi più gravemente dei
lussuriosi, invertendo l ordine d’AQUINO (si veda) Forma un argomento che
sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero autore dell episodio
di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e certamente non il
Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca da Rimini) e per
Croce (La poesia d’ALIGHIERI), segnala Renzi, Dante, come teologo e come
cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi. Inglese definisce la pietà di
Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50 Ginguené, Histoire littéraire d Italie,
citato da Lorenzo Renzi in Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca
nella Commedia di Dante, Ibidem, Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in
Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le Monnier,Barolini,
Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in
Its Lyric Context, in Dante studies. Nardi, Filosofia dell amore nei rimatori
italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura medievale, Bari,
Laterza, il passo che interessa con i riferimenti ad AQUINO (si veda). Renzi,
Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante,
cit., Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su ALIGHIERI (si
veda), a cura di Romagnoli, Torino, Einaudi, Croce, La poesia di Dante, Bari,
Laterza. La lussuria come potenza nell’Inferno smarrito 58 ) un profondo
turbamento in cui sono fusi l orrore per il peccato e il dolore per l umanità
peccatrice giustamente punita. Per Sanctis e per Croce, da un punto di vista
emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il
potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e
Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri
poeti, riesce a rompere e a superare l incantesimo dolce dell amore. Così,
afferma Renzi, il critico italiano è riuscito a ottenere un momento di sovrano
equilibrio nella storia della critica della Commedia, e in particolare dello
scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice
integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si
fanno paladino della donna D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l
innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che Amor, ch
al cor gentil ratto s apprende, da un punto di vista psicologico si rivela
sincera, ma che, nella prospettiva etica del poema, è]obiettivamente falsa
poiché Amore è sempre soggetto delle azioni determinanti [ prese costui della
bella persona/che mi fu tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo amato
amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m
abandona./amor condusse noi ad una morte. Da quest’angolatura, infatti, tutte
le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello dell innocenza di
Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero
colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si
rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo leggieri che
si trova nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe parte di un
idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al
lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo formerebbe un
suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive come anima
tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata per
adulterio incestuoso. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a
Dante teologo e Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Inglese, commento al testo
in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Renzi, Le conseguenze di un bacio. L
episodio di Francesca nella Commedia di ALIGHIERI, Alighieri, Commedia.
Inferno, Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno diAlighieri,
Alighieri, Commedia. Inferno, Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia.
Inferno di Dante Alighieri. La storia di G. In Articoli di Ciardi Dopo la
scomparsa di G., ho letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è
senz’altro quello di Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero
di Query . Ringrazio sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo.
image Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e
amico) sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un
ottimo storico della scienza e delle idee. Tale merito gli è stato
riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi
Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato
il primo numero di “Parastoria”, su Query. Recensendo uno dei tanti bellissimi saggi
di G., Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito Rossi scrive. G. è allievo
di Geymonat. Insegna e si è prevalentemente occupato di filosofia della
scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e
filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una
grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e
minutamente la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda.
Giorello è del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di
labirinto. Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce
a volte trascina il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni
insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto
lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel
mondo, di trasformarlo (come diceva il mio maestro BANFI (si veda)) in una
linda casetta. Una parte consistente della filosofia italiana sembra impegnata
a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei rispettabili
filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i risultati del
confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel più dei casi,
arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi pare lecito
dubitare: G. non fa parte della vasta, soporifera e innocua schiera degli
oscuri e instancabili “roditori accademici. L’espressione “roditori
accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K. Feyerabend, un
pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale nutriva profonda
stima. E che anche G., non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua
la prefazione all’edizione italiana di Against method. Outline of an
anarchistic theory of knowledge, pubblicato da Feltrinelli. Rossi citava
spesso, con orgoglio, che il suo libro che compendiava decenni di ricerche sui
rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità,
fosse uscito nella collana “Scienza e idee” diretta da G, per Cortina. Perché
sapeva quanto G. avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza,
come ricorda nell’analisi del saggio di Bellone, Molte nature. Saggio
sull’evoluzione culturale. La parola chiave del processo storico – come nota G.
nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è imprevedibilità.
Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel passato) che gli
scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da quelle che
avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze personali. Come
ci ha ricordato Barone, G. si laurea sia in filosofia che in matematica. Per
questo motivo, come aveva presente Rossi, G, non ha mai pensato che il semplice
fatto di essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione,
ad una autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere
posizioni su questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che
non hanno mai avvicinato. Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul
Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina
specifica, afferma che «per essere un buono storico non basta essere
scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il
gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente
differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di
conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono
invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso
della scienza. Anche per questo, G. era un fautore delle collaborazioni. Come
quella tra le innumervoli con Sindoni, che ha portato alla realizzazione
dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente
nell’Universo, dove G., nella parte storica di sua competenza, mostra (anche in
questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli argomenti trattati.
Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità” alla quale si
accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità
dei mondi, idee molto più chiare e precise dello scienziato Flammarion. Del
rapporto tra le due culture G. ha sempre preso il meglio (non dimentichiamo che
il celebre testo di Snow sull’argomento fu introdotto in Italia dalla
prefazione di Geymonat). Ed era consapevole del ruolo decisivo della scuola
nello sviluppare un processo di apprendimento diverso rispetto a quello
tradizionale. C’è soprattutto da vincere la scommessa circa “l’avvenire delle
nostre scuole”, come direbbe Nietzsche. Chi guarda attentamente alle grandi
svolte del pensiero scientifico e alla stessa innovazione tecnologica non può
non constatare come gli aspetti più creativi abbiano travolto qualsiasi
steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine di Copernico o per quelle di
Darwin, vale oggi per le frontiere della cosmologia o per quelle della
biologia, per non dire dell’informatica e dell’alta tecnologia. Potremmo
dilungarci su non pochi esempi di virtuose contaminazioni nelle scienze come
nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare che la separazione delle culture
è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni
dell’avventura umana come entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.
Perciò G. (sempre utilizzando le parole di Rossi) provava «una invincibile
ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le
sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi. Ancora G. Cosa
c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire
utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello
scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica
o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero”
(ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è miglior
rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto. Grazie di
tutto, Rossi. A mio non modesto parere. Le recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura
di Bondì e Monti. Bologna: Mulino, Feyerabend, La scienza in una società
libera. Feltrinelli: Milano, Rossi. Feyerabend: un ricordo e una riflessione,
in Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia.Bologna: Mulino,
Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza;
Prefazione di G., Milano: Feltrinelli; Cfr. ad esempio, Rossi; A mio non
modesto parere, Rossi; Ci sono molti Galilei?in Un altro presente; Tannery. De l'histoire générale des
sciences, in “Revue de Synthèse”) G. Flammarion, lo “scienziato”, sconfitto da Verne, il
romanziere, in Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente
nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina, G. Per una Repubblica delle Scienze e delle
Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, Rossi.
Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di
storia della scienza. Firenze: Barbera. G. Per una Repubblica delle Scienze e
delle Lettere. Grice: “The
etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated,
being of a low class condition, would be criticized for his excesses of
freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il
libertino, implicatura speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il
fantasma e il desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” –
“il libertino” “lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno,
Leopardi-- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giorgi:
la ragione conversazionale al limite -- l’implicatura conversazionale di Bacco
– filosofia cavallinese – la scuola di Cavallino -- filosofia leccese – filosofia
pugliese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Cavallino). Filosofo cavallinese. Filosofo leccese.
Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Cavallino, Lecce, Puglia. Si laurea a
Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli e Arcangeli Studia
etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i brani in
"grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del
Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le
strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo
e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della
tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio
musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica,
la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione:
struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia);
“L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina);
“Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica
musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De
Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito
del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina,
Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il
vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica,
Galatina, Congedo); Husserl e la Krisis,
3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e
storicità, in “Segni e comprensione”,
Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il canto popolare salentino, in Convegno Di
Studi Demologici Salentini, Copertino. F. Noviello e D. Severino, Capone,
Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove
prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti
del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia
ed estetica musicale, in, Mito e tarantismo Pellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce,
La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in, Terra salentina: i
Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano, La Stamperia, Leverano,
Pierpaolo De Giorgi, “Il ritorno di Dioniso” a proposito di un libro
diPellegrino, in “Segni e comprensione”, Fra aborigeni e tarantismo, in,
Settimana di promozione culturale pugliese C. Minichiello, Pensa MultiMedia,
Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di Severino, greco, Copertino, Diario
di bordo, in, La czarda e il vento: antologia di autori salentini, Conte,
Congedo G.i, Poesia sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e
fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di
G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi,
I fogli, in “L'Immaginazione”; Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte
dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In
marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf,
Galatina, Fantastica pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia
con musica e danza, Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera,
in, Salentopoesia, festival nazionale di
poesia con musica e danza, Lecce, Conte, Lecce, Isola nel Trasimeno, in, Salentopoesia, festival
nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, Conte, Lecce, G. S'è
cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura,
Spello, catalogo, Spello, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di
Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, Tipografia
Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album Fantastica Pizzica (MC Discoexpress)
Pizzica e Trance (MC Discoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo
della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet
Music Studio) Pizzica e RinascitaRistampa (CD C&M) Taranta Taranta (CDIrma
records). La pizzica la taranta e il vino. Il pensiero armonico – G. G.B.
Il libro è stato pubblicato la prima volta
e dopo anni riteniamo
particolarmente ricordarlo per la sua attualità culturale. G., peraltro, è
socio della nostra ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra
rivista. La ricerca innovativa e serrata compiuta da G., in tanti anni di
impegno nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda
finalmente al porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il
pensiero armonico. Accade allora che scoperte e sorprese, esposte
con cura e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza
soluzione di continuità, offrendo una concezione finalmente reale del
tarantismo e della sua musica terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del
decisivo ruolo simbolico e religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono
esperienze direttamente connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il
nume più significativo della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati,
archetipo dell’adesione entusiastica alla vita, della reciprocità e del
dialogo. Tramite Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel
vino e nell’ebbrezza, l’uomo recupera il contatto con le radici più profonde dell’essere,
che si manifestano armoniche, duali e complementari. Per questo i simboli della
taranta, della pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici che
restituiscono l’armonia perduta e che si pongono come un’efficace risorsa anche
oggi, per costruire un nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che collaborano
con quelli della festa e del rito, e vengono prodotti da un soggetto
collettivo. Devono essere considerati come arte tradizionale, alla stessa
stregua dell’arte individuale. Nel delineare i confini di queste concezioni, G.
rimedita il brillante ma non del tutto sufficiente “pensiero meridiano” di
Nietzsche, di Camus e di Cassano. In Puglia, come in gran parte del
mediterraneo, “il pensiero armonico” è il pensiero della rinascita e della
misura, valori indispensabili anche oggi per un corretto cammino della
coscienza verso la comprensione di se stessa e dell’uomo verso la propria
natura divina.” IL PENSIERO ARMONICO E LA RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il
pensiero armonico Il mare, l’armonia degli opposti e la luce mediterranea Il
pensiero armonico come incontro di mythos e di logos Le radici elleniche della
tradizione pugliese Archeologia e storia. Etnomusicologia ed estetica della
tarantella La ricerca comparativa sui brindisi e le analogie con la pizzica
pizzica Il mito e il pensiero armonico del Mediterraneo nella contemporaneità
L’ambivalenza del mito e la misura armonica La misura armonica e il
cristianesimo Monoteismo e panteismo Noi e i miti del tarantismo e del
labirinto. Verso un nuovo umanesimo I BRINDISI E LA PIZZICA PIZZICA COME
SIMBOLI DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica come simboli di rinascita
in Puglia La festa e il pensiero mitico della rinascita La forza estetica di
un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica Pizzica pizzica, tarantella e
bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza mitica della pizzica pizzica e
della tarantella Le civiltà del vino e l’ambiente poetico tradizionale della
Puglia I brindisi, la tradizione popolare e il soggetto collettivo La ricerca
etnomusicologica ed estetica e i brindisi tradizionali Il ritmo armonico della
pizzica pizzica e la gestione delle contraddizioni La cumbersazione e i
brindisi IL TEMPO CICLICO, LA RIVOLTA COLLETTIVA E IL PENSIERO ARMONICO
TRA ARTE E MITO Il tarantismo come rito di rinascita e il tempo ciclico come
attività psichica collettiva di rivolta Nietzsche, l’eterno ritorno e il
recupero del pensiero arcaico del Mediterraneo. Le analogie dello Zarathustra
con il tarantismo La vita come conoscenza: grandezza e miseria di Nietzsche.
L’eterno ritorno dell’identico e l’eterno ritorno dell’analogo Gli errori di MARTINO
(si veda) e le intuizioni di Camus. La rivolta come lotta contro il negativo e
come affermazione dell’essere e della vita I brindisi, la pizzica pizzica e il
rito del tarantismo come affermazioni della vita. La ierogamia e la rinascita I
simboli della rivolta e dell’inversione terapeutica Il ruolo di inversione
della pizzica tarantata: mito, ritmo e analogia La pizzica scherma di
Torrepaduli e la rivolta mitica I risultati dell’analisi etnomusicologica: la
biritmìa simbolica. La pizzica pizzica come analogon della dynamis armonica
universale PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il ritorno al cielo
del Sud e i fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il pensiero armonico
L’aióresis dionisiaca e la Processione dei Misteri di Taranto. Il mare
come simbolo armonico e come terapia L’intenzionalità collettiva: il teatro
tragico del tarantismo e la tragedia greca Il tempo ciclico e la Magna Mater:
l’evoluzione della coscienza La Grecia e il governo rituale degli archetipi.
Pizzica pizzica e labirinto I brindisi tradizionali e la pizzica pizzica come
arte tradizionale collettiva L’arte collettiva tradizionale come arte del mito.
L’umanesimo della misura IL
SIMPOSIO, I BRINDISI E L’UMANESIMO DELLA MISURA La tradizione pugliese e il
simposio greco e magnogreco Il brindisi e il simposio L’ethos del vino come
armonia degli opposti La sperimentazione del divino e l’etica della misura Il
pensiero armonico, l’agape e il rischio della dismisura La sublimazione del
simposio La dismisura e la degenerazione del simposio L’EMERSIONE DEL PENSIERO ARMONICO DALLA
RICERCA E DALLA COMPARAZIONE La danza, le uova e le corna come simboli
simposiali di rinascita. Il gesto dionisiaco delle corna nelle musiche e nelle
danze della rinascita I saperi tradizionali dell’equilibrio mensurale del
pensiero armonico: il ritmo e la benedizione La città di Brindisi, l’origine
del nome brindisi e il Bacco in Toscana La cena della spillazione Il porto di
Brindisi e le corna rituali come simbolo di rinascita. Il brindisi di Dioniso e
di Semole come benedizione Indice dei nomi Iconografìa
comparativa Lecce Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione
dalla Tradizione alla Contemporaneità Incontri culturali INCONTRI CULTURALI
Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla
Contemporaneità Da Ernesto De Martino ad oggi la Pizzica Salentina, la Taranta
e tutto quel mondo che attorno ad essa ruota in maniera spettacolare e
folklorico, in realtà nasconde studi e tradizioni che affondano le loro radici
in un passato lontano. In una prospettiva più ampia si può dire che in Europa
c'è un luogo che da qualche tempo a questa parte ha espresso una incredibile
sequenza di suoni, stili, artisti, esperimenti e contaminazioni culturali.
Questo luogo è il Salento. La Terra del Rimorso - come la definì MARTINO (si
veda) - si è trasformata nella Terra dello spettacolo delle tradizioni.
Riportando con forza la cultura popolare, l'attenzione per le radici, al centro
dell'immaginario giovanile e del consumo pop, il Salento si è rivelata una meta
a cui non si può rinunciare. A cinquanta anni dal viaggio della troupe di
Ernesto de Martino nel Salento, quei luoghi si sono trasformati in altro,
dimenticando l’Oltre. Negli ultimi vent'anni il Salento è stato spettatore
della nascita delle dance hall del Sud Sound System, e dell'irruzione sulla
scena della pizzica, sottratta da un lato al folklore, dall'altro all'accademia
sino poi al più grande world music festival del mondo, la Notte della Taranta.
Degli aspetti antropologici dell’argomento e di quelli iniziatici, simbolici ed
esoterici se ne occuperanno Maurizio Nocera e Pierpaolo De Giorgi in un
incontro dibattito senza precedenti Mail Presidente Ass. Thorah – piscopo.
grazia @libero.it Biografie relatori G., laureato in
Filosofia, è etnomusicologo, filosofo, musicista e poeta. Ha fondato e guida “I
Tamburellisti di Torrepaduli”, con i quali ha suonato in Italia e in tutto il
mondo, provocando la nascita-rinascita del genere musicale pizzica. Ha inciso
sette dischi, che hanno venduto più di centomila copie, scrivendone i testi
poetici e le musiche. Sue liriche sono state tradotte in greco e in ungherese.
Assieme al pittore Luigi Marzo, ha pubblicato il noto volume Le strade che
portano al Subasio passando dal Salento (Del Grifo). Ha tradotto in italiano La
danza delle spade e la tarantella di Marius Schneider (Argo, 1999) e ha
pubblicato numerosi volumi di ricerca, tra i quali Tarantismo e rinascita
(Argo, 1999), L’estetica della tarantella (Congedo 2004), Pizzica e tarantismo
(Edit Santoro, 2005), I poeti del vino (Congedo 2007), Il mito del tarantismo
(Congedo, 2008), La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico
(Congedo), La rinascita della pizzica: testi, poesia e storia dei Tamburellisti
di Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo 2012) che riformulano
radicalmente le indagini sul tarantismo e sulla tarantella iatromusicale.
Maurizio Nocera - “Maurizio Nocera (classe 1947) … è un eccellente rappresentante
di quella genia … di intellettuali militanti, che sono sempre di meno, oggi, in
giro. “Impegnato” dalla punta delle (consumate) scarpe fino alla radice dei
(pochi) capelli, infaticabile viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi
diversi, inguaribile sognatore, gran parlatore, insegnante, politologo,
promoter culturale, contastorie, indefesso ricercatore e divulgatore di patrie
memorie, bibliofilo, collezionista, scrittore, salentino al cento per cento
eppure cittadino del mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico
letterario, editore. Vincenti, Io e Maurizio Nocera, in spigolaturesalentine.
wordpress. co /spigolautori maurizio-nocer
a/). Maurizio Nocera è segretario provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi
is not an Italian philosopher; he is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be
a Leccese philosopher, and only a Leccese philosopher will NOT appropriate
TARANTA – as Martino did – misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco
is all very well, but Giorgi notes that you have to have the Leccese experience
to understand all this”. Pierpaolo
De Giorgi. Giorgi. Keywords: l’implicatura di Bacco, il ritorno di Dioniso;
mito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giorgi:
la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della fiducia nella fiducia – filosofia vernolese – la scuola
di Vernole -- filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Vernole). Filosofo
vermolese. Filosofo luccese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Vermole,
Lecce, Puglia Grice: “Giorgi discovered a phenomenon I often overlooked:
meta-trust: ‘la fiducia nella fiducia e, alla Parsons, la fiducia di ego con
alter, e alter con ego. Grice: “I love
Giorgi, for various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our
Kantian-type morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction
between trust and ‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!”
Insegna a Salento. Si laurea a Roma con
“il giuridico e il deontico” – Fonda il Centro Studi sul Rischio a Lecce. Studia
i sistemi sociali. Altre opera: “Sociologia del diritto” Manuale di diritto del
lavoro e legislazione sociale” “Azione e imputazione” “La società”; “Diritto e
legittimazione” “Mondi della società” o, con Stefano Magnolo” “Filosofia del
diritto” “Futuri passati” Fiducia è un meccanismo, un dispositivo di
riduzione della complessità. Fiducia non è un valore positivo dell'agire o
dell'esperienza; non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha
valore morale di preferibilità. Fiducia e sfiducia sono grandezze non
convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare fiducia in altri non sono
qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o migliori in assoluto. Il
riscontro della loro preferibilità è la situazione, la conferma della validità
dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo nella dimensione
temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato solo dal futuro. La
funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione fra presente e
futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma dell'incertezza e
il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il rischio e rende
inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo, al sistema
personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento
dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema, allora, è il
tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione temporale della
cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè quando è già
diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in questo spazio
si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare, mettere alla
prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle aspettative
dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che orienta l'agire e
l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il futuro nella
rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo delle risorse di
una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su una propria
rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza, renderebbe
inutile dare fiducia. La fiducia costituisce una mediazione tra la complessità
del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione drammatica, rischiosa,
che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le risorse che
investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e all'altro
rappresentandosi le sue aspettative. Fiducia non è affidamento all'altro.
Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non ci sarebbe
neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a che fare
immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria
rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative
dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo
c'è il rischio, il dramma, la tensione. G., Presentazione dell'edizione
italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, Riferimenti
Bibliografici, Berger, Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna,
Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, Schütz, La fenomenologia del mondo
sociale, Bologna, La semantica del rischio Decisione razionale e azione
sociale G., Filosofia, Lecce, Centro Culturale. Sulla situazione delle
scienze sociali Se si osserva il panorama delle scienze sociali oggi, si
può affermare che esse sono alla ricerca di temi attuali riferiti alla società,
ma che per questo non dispongono ancora di una struttura teorica adeguata, in
particolare non sono pervenute ancora a una adeguata descrizione della società
moderna. Le discussioni teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in
particolare in relazione a classici. Questo comporta, nel modo di porre i
problemi, la presenza di un sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito
orientamento ad una società che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva
raggiunto i suoi limiti, ma poteva tener presente solo in misura limitata le
conseguenze della società moderna e le poteva trattare solo come problemi della
distribuzione del benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono
date da un atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità
(Weber) o da una critica della struttura di classe della società moderna. Di
queste acquisizioni vive ancora oggi la discussione teorica. La società
moderna ha reso urgenti problemi completamente diversi: il problema
dell’ecologia, il problema delle conseguenze che derivano dalle nuove
tecnologie, dalla ricerca biologica e genetica: ma anche il problema delle
conseguenze legate a determinate politiche di investimento o quello relativo al
rapporto tra uso del denaro per fini speculativi o per fini produttivi. Si
tratta solo di alcuni indici degli ambiti problematici con i quali
continuamente si confronta la società contemporanea e rispetto ai quali la
soglia di attenzione, e quindi di preoccupazione, sembra essere più alta.
Negli anni più recenti è sembrato che la scienza sociale riuscisse ad andare
oltre la discussione sui classici: si è elaborato così un orientamento
problematico che può essere descritto mediante concetti quali complessità,
problemi del controllo e guida, possibilità dell’azione ed altri ancora. Così la
società viene descritta dalla prospettiva dell’agire politico e quindi dalla
prospettiva della pianificazione, la quale ha davanti a sé campi di realtà
altamente complessi, in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze perverse” e
producono problemi che danno motivo a nuove forme dell’agire. Tuttavia anche
questa discussione ha raggiunto in modo incontestabile i suoi limiti, non
dispone di potenziale esplicativo dell’agire reale e ripropone ormai solo
l’originaria formulazione dei problemi. All’ottimismo del progresso si è
sostituita la paura del futuro, all’ansia della pianificazione e del controllo,
la rassegnazione verso le conseguenze perverse dell’agire che, non potendo
essere previste, vengono rese oggetto di analisi empirica: un motivo ulteriore
per considerare il presente con disappunto e per tentare di risolvere mediante
il ricorso alla morale ciò che sembrava impossibile risolvere mediante la
razionalità. Non si può affatto prevedere che nel prossimo futuro
la scienza sociale riuscirà a colmare il deficit teorico che la caratterizza e
a pervenire ad una convincente descrizione della società moderna. E’ possibile
però isolare temi speciali, che in questa direzione sono fruttuosi e possono
essere utilizzati perché le ricerche si concentrino su di essi. Il tema rischio
può costituire un tema cosiffatto. Esso è un tema nuovo rispetto alla
discussione sui classici e mantiene considerevole distanza rispetto alle teorie
sulla decisione razionale o sulla pianificazione razionale. Esso attualizza la
dimensione del tempo, una dimensione centrale per la società moderna da tutte
le prospettive. Esso altresì ha particolare riferimento rispetto ai temi che
nell’opinione pubblica hanno acquistato un significato considerevole e che,
gradualmente, diventano dominanti. Esso ha quindi tutte le chances di fornire
un contributo rilevante alla comprensione delle condizioni sociali nelle quali
oggi inevitabilmente viviamo e delle quali in un qualunque modo dobbiamo tener
conto. Stato della ricerca. Il tema rischio ha stimolato una mole
immensa di ricerche ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più
possibile controllare. Nella letteratura meno recente il tema si è sviluppato
prevalentemente sotto la voce: insicurezza. La ricerca però si è concentrata su
alcuni punti cruciali e non è pervenuta all’elaborazione di una chiara
concettualità teoretica. Da una parte è dato di trovare ricerche
sulla valutazione delle conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste
ricerche presentano ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione
degli effetti cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la
valutazione delle possibilità che si verifichino eventi particolarmente
improbabili ed insieme altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata
nel senso delle teorie della casualità o nel senso della statistica: essa ha
prodotto a sua volta altra letteratura che si occupa della posizione e del
ruolo degli esperti rispetto alla politica e che di conseguenza individua una
perdita di prestigio e di credibilità della scienza e degli esperti nelle
diverse tecnologie, qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle
decisioni siano costretti a rendere manifeste le loro insicurezze o le
controversie interne alla scienza stessa. Si tratta di una letteratura
e di un insieme di ricerche che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto
a situazioni di pericolo oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di
chi, nell’agire concreto, deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali
costi. Accanto a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono
orientate in misura crescente in senso psicologico e che indagano i modi in cui
i singoli si comportano in situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche
è una distinzione di variabili che influenzano il comportamento, come ad
esempio l’influsso della fiducia di sé o del controllo di sé sulla
disponibilità di colui che agisce verso il rischio. Un altro
orientamento di ricerca si occupa dei deficit di razionalità e degli “errori”
statistici che è possibile individuare nel comportamento decisionale
quotidiano. La disponibilità al rischio dipende, secondo queste ricerche, non
da ultimo dal modo in cui colui che decide pone il problema col quale deve
misurarsi. Questi orientamenti ai quali si sostiene la ricerca sul
rischio permettono di comprendere perché gli esperti che si occupano della
percezione e valutazione del rischio e delle strategie del suo trattamento,
siano essenzialmente studiosi di scienze naturali, di statistica, di economia
(in particolare per i settori relativi alle teorie della scelta razionale, del
calcolo dell’utilità, ecc.) o di psicologia. Persino il tema comunicazione sul
rischio viene trattato da specialisti che hanno questa formazione. La
sociologia si è occupata fino ad ora prevalentemente degli aspetti limitati dei
nuovi movimenti che si formano nella società a seguito della accresciuta
percezione del rischio. La scienza politica ha manifestato scarsa attenzione
per i problemi che derivano dal fatto che le questioni legate al rischio
sovraccaricano gli interessi politici. Accanto alla medicina si è stabilizzata
un’etica che si occupa dei modi in cui la morale dovrebbe affrontare questioni
che sembrano sottrarsi al calcolo razionale. Nonostante la sua ampiezza,
l’attuale ricerca sul rischio non riesce a pervenire a risultati utili sia alla
descrizione dell’agire decisionale che alla determinazione di possibilità
ulteriori degli stessi ambiti decisionali, perché è legata da vincoli che
derivano dal modo stesso in cui il problema del rischio viene tematizzato.
Questi vincoli sono definiti dai modelli derivati dalle teorie della decisione
razionale e dalle teorie psicologico-individualistiche. Integrazione
teorica. Tanto dal panorama delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi
approcci scaturisce un considerevole bisogno di integrazione teorica. Le
prestazioni innovative che è possibile effettuare in rapporto allo stato
attuale della ricerca dipendono dal fatto che si riesca ad elaborare e a
rendere disponibile una concettualità teorica capace di rendere possibili
questi riferimenti. Il concetto di rischio è stato definito
essenzialmente in relazione agli ambiti della relazione razionale, per così
dire, come concetto per la elaborazione dei problemi del calcolo razionale. Da qui
derivano considerevoli difficoltà di delimitarne significato e contenuto. Nella
letteratura si scambiano e si utilizzano come equivalenti e fungibili con il
concetto di rischio formulazioni quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e
simili. Proprio per questo, sul piano metodologico è necessario mettere in
chiaro nel contesto di quali distinzioni il rischio acquista il suo contenuto e
significato proprio. La distinzione tra rischio e sicurezza sembra
inutilizzabile. Sicurezza in quanto opposta a rischio, indica solo un posto
vuoto che non può certo essere riempito empiricamente. Sicurezza, nello schema
rischio-sicurezza, indica solo un concetto riflessivo: esso esibisce solo la
posizione dalla quale tutte le decisioni possono essere analizzate dal punto di
vista del loro rischio. Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la
coscienza del rischio; d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII
secolo, tematiche della sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano
insieme. Per questo sarebbe necessario provare se sia possibile
intendere il concetto di rischio utilizzando le prospettive fornite dalla
teoria attributiva. Nel generale contesto di una insicurezza rispetto al futuro
e di un danno possibile, si potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno
venga imputato ad una decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato
come conseguenza di una decisione (o da colui che decide o da altri). Il
concetto opposto sarebbe allora il concetto di pericolo, che è applicabile
quando danni possibili vengano imputati all’esterno. Una tale
concettualizzazione permetterebbe di utilizzare la problematica
dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e saldamente sperimentata. La
concettualizzazione proposta dà insieme plausibilità al fatto che nella società
moderna la maggiore coscienza del rischio sia correlata all’accrescimento delle
possibilità di decisione. Beck,
Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., Beck, Politik
in der Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M.,Covello, J.
Mumpower, Environmental Impact Assessment, Technology Assessment, and Risk
Analysis, NATO ASI Series, Berlin-Heidelberg, Douglas, Come percepiamo il
pericolo. Antropologia del rischio, Milano, Douglas, Wildavsky, Risk and
Culture. An Essay on the Selection of Technological and Environmental Dangers,
California, Evers, Helga Nowotny, Über den Umgang mit Unsicherheit. Die
Entdeckung der Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., Giddens, The
Consequences of Modernity, Stanford, Hahn, Willy H. Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le
Sida: savoir ordinaire et insécurité, «Actes de la recherche en sciences
sociales, Hijikata, Armin Nassehi, Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie
des Risikos, Opladen, Johnson, Covello, The Social and Cultural Construction of
Risk, Dordrecht, Kaufmann, Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches
Problem. Eine Untersuchung zu einer Wertidee hochdifferenzierter
Gesellschaften, Stuttgart, Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz
Jarmai, Risiko-Dialog, Köln, Krücken, Risikotransformation. Die politische
Regulierung technisch-ökologischer Gefahren in der Risikogesellschaft, Opladen,
Luhmann, Sociologia del rischio, Milano, Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies, New York,
Wildavsky, Searching for Safety, New Brunswick-London, I titoli contrassegnati con l'asterisco sono
disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito
presso la Biblioteca del Collegio San Carlo. Presso la sede della Biblioteca,
dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la
registrazione. Grice: “Giorgi
understands trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to
provide a moral background for it, which is okay with me, since being
trustworthy and expecting others to be trustworthy is what an honest chap does!
It’s different with PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of
legitimacy – an oath of trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral.
It is however better to consider the moral trustworthiness as PRIOR
conceptually to the legal trustworthiness – even if conceptual priority can go
both ways. EPISTEMICALLY, to have a law that condemns perjury may be the best
way NOT to have faith in faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the
other has a moral-legal bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law
has to be considered historically, since if there was something the Italians
are good at is Roman law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il
giuridico, il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giovanni:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della civetta di
Minerva – filosofia napoletana – la scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo
napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “The Italians love
‘divenire’ as in ‘being and becoming’ – but if I say Mary is becoming a
princess, ain’t Mary being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy, you write
an essay on Marx on cooperation and on Kelsen; and then of course an Italian
philosopher HAS to philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’ Giovanni
calls what I would call a critique of conversational reason!” Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno. Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno
1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di
via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste
parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché credevo all'unita dello
Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si laurea a Napoli con la
tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari.
Direttore di “Il Centauro. Rivista di filosofia". Altre saggi: “L'esperienza
come oggettivazione: alle origini della scienza”; “Il concetto di classe
sociale in Cicerone”; “La borghesia italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx
dopo Marx” (cf. Luigi Speranza, “Grice
dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo
di Minerva – la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua
potenza dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” –
istituzione istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito
democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni
a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della
sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli -- Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia.
Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis, La parabola di Giovanni. Il dibattito
Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte
le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà
tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire
è eterna di SEVERINO Gentile e assassinato perché e la voce più autorevole e
convincente del fascismo. Eppure la sua filosofia è la negazione più radicale
di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più potenti
— non è esagerato dire la più potente — della filosofia del nostro tempo. Di
tale potenza lo stesso Lenin si e accorto — forse gli assassini di Gentile non
lo sanno neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica dominante, che mai
riconoscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo. Contrariamente
agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della scienza, l’attualismo
gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della tecnica: rende possibile
il dominio planetario della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della
tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di queste affermazioni. Il saggio
di G. Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Scientifica) è un grande e
suggestivo contributo al loro approfondimento — come d’altronde c’e da
attendersi dalla statura culturale e sociale dell’autore. Va facendosi largo
nel mondo la convinzione che l’uomo non possa mai raggiungere una verità
assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità siffatta resti travolta
da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: divenga.
Travolta, anche la certezza che esistano le cose che ci stanno attorno; essa è
innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabile solo
provvisoriamente. Esser convinti dell’inesistenza di ogni verità assoluta è
quindi, insieme, esser convinti dell’inesistenza di ogni Essere immutabile ed
eterno. Dio è morto, si dice. La negazione di ogni verità assoluta e innegabile
non investe dunque l’esistenza del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si
fa largo la convinzione che il divenire di ogni cosa e di ogni stato sia
assolutamente innegabile (ed eterno), proprio per questo è inevitabile che ci
si convinca dell’impossibilità di ogni altro innegabile e di ogni altro eterno.
Gentile lo mostra nel modo più rigoroso (mentre il fascismo, come ogni
assoluti- smo politico, intendeva essere la configurazione inamovibile dello stato.
Ma è appunto per quell’estremo rigore che G. rileva, a ragione, l’incolmabile
contrasto tra la filosofia di Gentile e il tema centrale dei miei scritti,
l’affermazione cioè che la verità assolutamente innegabile esiste e che tutto
ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è eterno, ossia non
esiste alcunché che esca dal proprio esser stato nulla e che sia travolto nel
nulla. Certo, la più sconcertante delle affermazio- ni. Che però G. considera
fondata con altrettanto rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al
contrasto Gentile-Severino perché vede in ogni forma di contrasto una conferma
della propria prospettiva di fondo, per la quale l’esistenza umana è, da
ultimo, un contrasto insana- bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser
sal- vato dall’Infinito e la problematicità del rapporto finito-Infinito.
Quindi, a suo avviso, per quanto rigorose possano essere la posizione
filosofica di Gentile e la mia, ci dev’essere in entrambe un vizio o più vizi
di fondo che non possono venir estirpati. Attraverso una finissima procedura
in- terpretativa de G. lo fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma
di domande. So- prattutto a me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo
adeguato risponderò in altra sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a G..
La sua prospettiva — qui sopra richiamata in modo molto sommario — intende
essere una verità assolutamente innegabile o una proposta dove non si esclude
che la verità innegabile esista da qualche parte? Propendo per la prima
alternativa. Mi sembra infatti che anche per G. l’unica verità indiscutibile sia la storicità del
reale, cioè il divenire che travolge ogni altra presunta verità. La sua
distanza da Gentile tende così a vanificarsi nonostante le obiezioni, che a
questo punto hanno un carattere subordi- nato. E infatti G. mi chiede se non ci
sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione mortale dell’uomo», se la
morte non sia la prova inconfutabile, l’irrefutabile cogenza che l’ente uomo
nasce dal nulla e va nel nulla — e anzi, lasciando da parte il domandare,
afferma che il mio discorso «si scontra con il fatto che l’uomo muore. Il contesto in cui G. avanza queste
domande-affermazioni è incommensurabilmente lontano dall’ingenuità con cui a
volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa sede può essere opportuno
richiamare — ancora una volta — che i miei scritti, ovviamente, non hanno mai
negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo ca- davere, ma hanno sempre
negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un venire dal nulla e che la
morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché mostrano che questo
andirivieni non è un fatto. Provo a chiarire. Che il dolore, l’agonia, la morte
dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un fatto significa che se
ne fa esperienza. Certo. Si fa esperienza dell’orrore della morte, che è sempre
la morte altrui. Ma chi crede che la morte sia un andare nel nulla non crede (è
impossibile che creda) che l’uomo vada nel nulla ma, insieme, continui ad
essere un fatto che appartiene al contenuto dell’esperienza: gli appartenga
nello stesso modo in cui gli apparteneva prima di annientarsi. Nell’esperienza
rimane il ricordo di coloro che sono andati nel nulla, e il ricordo è un fatto;
ma non rimane il fatto in cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più
esperienza del loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an
nientamento crede che — pur avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del
cadavere — ciò che è di- ventato niente sia diventato anche qualcosa che non
appartiene più all’esperienza, che non è un fatto. Ma allora è impossibile che
l’esperienza mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e
quindi mostri che esso è diventato niente. Di questa sorte l’esperienza non può
che tacere. Cioè l’annientamento non può essere un fatto. E se il cadavere
viene bruciato e, come si dice, diventa cenere; allora anch’esso, come tutta la
vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane il
ricordo. Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non può
essere l’esperienza ad attestarlo. Ci si convince dunque che la morte è
annienta- mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o
meno consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle
configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano colpiti dalla loro
assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a risplendere
al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles- sione
filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato niente e
si crede di sperimentarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di tale fede
e, con la propria teoria generale dello spirito, dimostra nel modo più radicale
l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire
dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta di
una dimostrazione, di una teoria, non della constatazione di un fatto. Dunque,
la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto ciò che
esiste è eter- no, non è un paradosso che si scontra con l’esperienza, cioè con
il fatto che l’uomo muore. All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono
coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare l’annientamento degli
uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci.
Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando qualcuno ebbe a mostrare
che è la Terra a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo
negavano, sconcertati. A questo punto G. deve mostrare per- ché (una volta escluso lo
«scontro con il fatto») non accetta la fondazione che di quella sconcer- tante
affermazione ho indicato nei miei scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre
sue domande attendono la mia risposta.Il tramonto del principe: "Fin
dall'inizio della sua attività G. ha accompagnato al suo discorso teorico e
politico una notevole attività di carattere storico-filosofico. Si può dire,
anzi, che per certi versi questi sono tre aspetti di una medesima ricerca che,
secondo una tipica 'tradizione' italiana, ha intrecciato, in modo consapevole,
filosofia, storiografia e politica. Ma questa è una considerazione preliminare,
di carattere generale. Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo
con cui ha istituito questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati
che è riuscito a conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con
una postfazione sulla storia de "Il centauro" di Dario Gentili Biagio
di Giovanni. Giovanni. Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire
della ragione conversazionale: Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia
– stato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione
conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza --
Grice e Giovenale: la ragione conversazionale e la satira del filosofo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Renowned for his satires in
which it is possible to identify a variety of philosophical interests, if not
influences. Decimo Giunio Giovenale. Giovenale.
Luigi Speranza --
Grice e Giovio: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia
nolese – filosofia napoleta --- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Nola).
Filosofo nolese. Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola,
Napoli, Campania. The son of
Paulino di Nola. From a letter written to him by his father, it appears that he
was a keen student of philosophy. Giovio.
Luigi Speranzaa – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giraldi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia
ventimigliana – la scuola di Ventimiglia -- filosofia ligure – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Ventimiglia).
Filosofo
ventimigliano. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Ventimiglia, Liguria. Grice:
“Only a Ligurian philosopher would philosophise on Hegel’s real logic and
lobsters!” -- Grice: Grice: “One good thing about Giraldi is that he is from
Ventimiglia and moved to Noli – the most charming corners of Italy!” – Grice:
“Giraldi calls his position ‘romatnic essentialism;’ having born in Ventmiglia
he would, wouldn’t he?”“I like Giraldi; nobody in England would dare write “The
son of Peter Pan,” but Giraldi, otherwise known as the author of
‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio di Pinocchio’”! Il padre, originario di Dolceacqua e di estrazione
contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò
di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità.
La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove G. stesso nacque e
trascorse la sua infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva
per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella
maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre
non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Racconta che in questo
periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa.
Con una bugia astuta riuscì a scappare di casa, entrando in un collegio,
dunque l'anno successivo si trasferì in un altro collegio di Roma, ove tuttavia
non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Riuscì a compiere studi classici
a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Non frequenta le lezioni delle materie
filosofiche curricolari, ma studia per conto proprio. Tuttavia sigue abbastanza
regolarmente le lezioni di PONZO, anche se non e materia d'esame. Si laurea e
presta servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Si laurea in
filosofia discutendo molto animatamente la tesi con Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese
di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo dalla
teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di CONSENTINO,
che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche
l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna
mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto
prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi
hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo
antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di
mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza
di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla.
Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di
sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi. In “Etica del sentimento”, ancorando il
principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento
di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del
sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In “Gnoseologia del
Sentimento”, parte proprio dalla posizione del CONSENTINO per ripercorrere gli
itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli
aspetti dinamici e volontaristici dell'Io. In “Filosofia giuridica” espone la
concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico,
condizione trascendentale di ogni diritto positive. Pertanto il diritto
naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la
precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti
religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche della
riflessione su temi politici.“Storiografia come rettorica” tende ad inquadrare
l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente
con la tesi di CICERONE della “historia opus oratorum maxime” e con quella
aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si
differenzia da quello della necessità. In “Epistemologia” invoca una
demitizzazione anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate
(l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché tenderebbero
pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli
apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di alcuni notevoli
scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il
concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una
sottintesa sostanza soggiacente. In numerosi saggi dedicati alla religione,
analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il
proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di
una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della
morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che
viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza. L'analisi della religiosità tenta perciò di
emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato
assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia
Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in “Immortalità
dell'anima” mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del
Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il “Dizionario d’estetica
e linguistica generale”, con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune
successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per
l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi "di
ieri e di oggi". La proposta
avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione
sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le
distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di
aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo
porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto
la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita ultraterrena
o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non esistenza. Tra le
numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di
scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità
circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche
nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in
intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che
esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di
una scienza oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che,
mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa,
particolarmente nella negazione. Non
potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare
la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per
l'esperienza e il pensiero. Si considera pertanto idealista, nel senso che non
esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza
“ideante” (significans). Tuttavia, differentemente dalle posizioni di Gentili,
non crede che affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché
l'idea diventa comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una
verità fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge
così una debita attenzione per la scelta e la decisione. Distinguendo le scelte apparenti, che sono
totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera
con un atto di buona volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad
un bivio metafisico: impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati
reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la
decisione autentica, cui si arriva solamente secondo una corretta formulazione
di intenti e seguendo una fine immanente ad ogni forma di scelta.
Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale riveste una primaria
importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata
teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne
derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a partire da una
decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o quella del
pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò
permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una
rivitalizzazione delle esperienze antiche.
La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria,
di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui
considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare
ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a
chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso
un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e
Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe
rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe
connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la
scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle
dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente
umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non
dimostrazione della sua esistenza. Chi
ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale
affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo
etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per
sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà,
definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere
generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo
dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di
pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti
attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto
solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli
umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di
una autocoscienza morale. Bàrel Dal
punto di vista poetico, l'opera principale di G. è il “Bàrel”, sorto
dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo
finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura
di Lord of the World di Benson e dell'Apocalisse. Il Bàrel, presentato a Giovannetti de Il
Giornale d'Italia, che propose come titolo “Il Dio Eroico”. Gli anni seguenti,
segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in
prosa. Questa versione, appena terminata la guerra, e proposta a vari editori
ma che per una serie di sfortunate coincidenze Mondadori non dispone della
carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla
pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallì l'idea
di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi
sono pubblicati frammentariamente. Ri-ordina le due versioni in una unica opera
che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo
sperimentale. La pubblicazione avverrà sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in
raccolte unitarie successive. Il tema è
insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo,
non è di semplice accessibilità. Se può essere collocato in un momento
simbolico dell'arte, è anche classico e romantico, nei canoni dell'estetica
hegeliana. Nel Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni
alle idee. In La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e in La morte
degli dèi, scende negli abissi vertiginosi della filosofia, che la poesia tenta
di inseguire.Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia, morale, educazione,
Gheroni, Torino, “Etica del sentimento” Filosofia
dell'Unicità; “Gnoseologia del sentimento” (Pergamena); La filosofia giuridica,
Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia della religione”. Filosofia
dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana (Pergamena)
La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera
sistematica (Pergamena) Dizionario di Estetica (Pergamena); Studi nel periodico
Sistematica. Res Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria dell'Ineguaglianza
(Pergamena); Nel Pleròma. Da Dio alla Materia (Pergamena); Storiografia come
rettorica; “Autobiografia come filosofia” (Pergamena); Memoriale Ambrosiano; “Memoriale
Italico” (Pergamena); Dio, Pergamena Estetica
della Musica, Pergamena scon Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane,
Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena Capitoli sulla Scienza Moderna,
Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche filosofiche La filosofia
del sentimento di Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais e l'educazione del
principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico bergamasco: Sisto
Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino, L'educazione dei ciechi,
Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx, Pergamena); “L’ESTETICA
ITALIANA: figure e problemi” (Nistri-Lischi, Pisa); Storia della pedagogia,
Armando Roma "le edizioni
successive sono state scempiate da interventi dell'Editore riporta G. in
Sistematica); “La filosofia politica” (Pergamena); Adolfo Ferrière. Psicologia,
attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e
pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore politico Riformatore
della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando Roma, Tissi filosofo
dell'ironia, Pergamena Moralistica francese, Pergamena Saggi su Sales, il
Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali, Pergamena saggi
su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli,
Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena; Storia della filosofia, Trevisini
Milano; L'Italia nella dittatura e nella non democrazia, Pergamena Paideia Grande,
Pergamena Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile; “STORIA DEL LIBERALISMO” Pergamena.
Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia, filologia e critica
sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da G. stesso: L'Idea Liberale, Sistematica, attiva sino al.
Filologia; Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A.
Ronda, Milano, Studi sul Rinascimento, Pergamena Saggi su: Seneca e la
filologia; PETRARCA viaggiatore; VINCI filosofo; Le fonti del Pontano lirico;
Gli errori di ALIGHIERI in un poema umanistico inedito; Il RINALDO di Tasso; Il
T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli; Carrara, Pergamena, Carrara, Armiranda. Inedito
umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino; Carrara, III, De choreis Musarum, Pergamena Testo
latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. Carrara, Sermones
objurgatorii, Pergamena Sui tragici; Da mio diario filologico, Pergamena Filologia.
Teoria e saggi, Pergamena Su ALIGHIERI con verità, Pergamena MANZONI, in
Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia e prosa d'arte Collana dei
"Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio, Torino Bàrel. I.
Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena Hendecasyllabi
aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena; Il figlio di
Pinocchio, Pergamena; Fratelli Frilli, Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri
Intemelii, Pergamena; Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus,
Pergamena; Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in
Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è
a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli
scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene MVSA
LATINA, Pergamen; IL RAMO D’ORO, Pergamena Scritti in Italiano, Latino,
Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena
Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus,
Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono
i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamen; TEVERE AMICO,
Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano
di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, “Faust mediterraneo”, Pergamena, Atlantidos
persis, Pergamena, Villon, Il Testamento, saggio critico G., Pergamena, Amitiés
françaises, Pergamena, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente, Pergamena Letture
belle, Pergamena; Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La
Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di Storia generale
della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per
il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di
estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle. Vive a
Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr Zygulski, Filosofo liberale, in
Termometro Politico; G. Pierre-Philippe Druet, Tissi, filosofo dell'ironia,
Revue Philosophique de Louvain, Dudley,
Sui tragici. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da
"Autobiografia come filosofia" (Milano) e pagine integrative in
Sistematica, Milano, Pergamena, Grimaldi, Illuministi inglesi, in Disegno
storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Ottaviani, La scuola del
Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, Semerano, La favola dell'indo-europeo,
Milano, Paravia; Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero
– essentia, meaning essentially nothing!” Grice: “Giraldi, who defended Gentile,
rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his
essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing
the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers
to Croce, Gentile, and the roots of
idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni Giraldi. Giraldi.
Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia della filosofia
romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio ponente, filosofia
ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente, nel pleroma: da
dio alla materia, gentile, filosofo
politico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Girgenti:
la ragione conversazionale a limite – l’implicatura conversazionale della
metrica del filosofo – la scuola di Girgenti – filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Girgenti).
Filosofo
girgentino. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Girgenti, Sicilia. Grice:
Ritter thinks Girgenti is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so
it’s amazing that Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy
seeing that most pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is,
Italy! Some must have remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti;
obviously Mussolini didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in
verse, not prosa – rhyme being unexistant, it was all about the metre – he
talks of ‘amicizia,’ which is none other than Love that unites all things! And
then he fell in the Etna!” “Mussolini thought it was rude of the Girgentians to
call their land ‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’:
“From now on, Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your
decree is self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” --
filosofo italiano. Siceliota. Nacque
da una famiglia antica, nobile e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che
ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli
partecipò alla vita politica della città, schierandosi dalla parte dei
democratici e contribuendo al rovesciamento dell'oligarchia formatasi
all'indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei
"Mille". La tradizione gli
attribuisce uno spirito severo verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi
esiliato nel Peloponneso. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia. Successivamente
Empedocle abolì anche l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre
anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano
sentimenti democratici. Anche Timeo
nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui -
dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento
politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti:
'Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo
in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che
di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di
Empedocle. In un tempo posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese
civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si
rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone,
divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e
rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica
alla corsa dei carri, per attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva
sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo
distribuì secondo la tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di
Brontino e di Epicarpo. La sua oratoria brillante, la sua conoscenza
approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra
cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno
prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome. coppiata una
pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino
fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, pensò
allora di portare in quel luogo a proprie spese le acque di altri due fiumi di
quelli vicini. Con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessa la
pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve
Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle
poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse
un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa
poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri,
compresa la distruzione del male, e il controllo di vento e pioggia. I
sicelioti lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli.
Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto
discordanti e non consentono di attribuire un'identità precisa alla sua figura.
A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e
discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu
assunto in cielo. Mentre Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e Diogene
Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi nel cratere dell'Etna. Il vulcano
avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo.In
realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o forse nel Peloponneso. Si
afferma che visse fino all'età di 109. Una biografia di Empedocle scritta da
Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A Empedocle la tradizione
attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina,
sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono giunti però
solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”. Di “Sulla
natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa 400 frammenti.
Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di
un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe di “Sulla
natura”. “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti, e da
sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o
vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri
ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto.
Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un
discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera
alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un
tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche,
pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda,
mutevole, dagli Quattro elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama
tali elementi "radici", non nate ed eternamente uguali e afferma che sono in tutto solo quattro,
associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni
orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la
Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:
fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione
delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa.
Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che
l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è
nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.” In questo modo, i primi principi si empiono
così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore
(Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e
il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina,
raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto
alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose
della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia,
Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere",
"avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di
"separare", "dividere" mediante la
"contesa". Così Amore
nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e
infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue
"membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo
l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente
alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto
e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate
e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in
maschi e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla
fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate,
nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati
che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello
Sfero. Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di
una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una
serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da
un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti
costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo. “È
vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da
vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un
delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento,
i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila
stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura
mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto
dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre,
la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici
dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io
sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente
Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto?
Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento.
L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se
andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno
allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a
errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la
Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono
nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si
trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici,
poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo
ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata
secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal
che, come Pitagora, anche a G. ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione
carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo
ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro
esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che
commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo
sangue dei beati», ed G. dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione
che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità
della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo
immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano
l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara
l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il
padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro
carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è
stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione
naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della
reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta
mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali
incongruenze con la versatilità di G., scienziato e profeta al tempo stesso,
medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle
due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano,
identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo
stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. DICANTVR EI QVOS PHYSIKOUS GRÆCI
NOMINANT EIDEM POETÆ QVONIAM EMPEDOCLE G. PHYSICVS EGREGIVM POEMA FECERIT. Siano
pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il
fisico G. scrive un poema egregio (CICERONE, De Oratore) padre della
retorica (Aristotele) LUCREZIO (De rerum natura) lo prende addirittura
come modello. Renan lo definisce uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton
e mezzo Cagliostro. Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti,
dove studiarono, fra gli altri, PIRANDELLO (si veda) e Camilleri. Secondo
le discordanti fonti sulla vita di G. la cronologia andrebbe fissata. Cfr. GIANNANTONI
(si veda), “I pre-socratici” (Roma); Bignone (“Empedocle”, Torino); Robin; Schiefsky;
Platone, Parmenide, Diogene Laerzio; Timeo, ap. Diogene Laerzio; Aristotele ap.
Diogene Laerzio; Mannucci, “La cena di Pitagora” (Carocci); Satiro, ap. Diogene
Laerzio; Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN, e altri. Così nella letteratura antica, come riferisce
Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo. Grande
G. che, l'anima ardente, salta in Etna, ed è stato arrostito intero; Orazio, ad
Pison., ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e,
giunto ai crateri di fuoco, vi si lancia e scomparve, volendo confermare la
fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente e
riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari e rilanciato in alto. Infatti,
egli e solito usare calzari di bronzo (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi). Cfr.
anche Eraclide Pontico, fWehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? -
Empedocle. Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un
eccesso di malinconia. No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere
un dio. Ma il fuoco rigetta una scarpa e il trucco e scoperto (Luciano di
Samosata, I dialoghi). Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale.
Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi
caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare
naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé. Scinà, Memorie sulla vita e
filosofia d'Empedocle gergentino, GERGENTI – non GIRGENTI -- ed. Bianco,
Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap. Diogene Laerzio; Haase,
Principat; Philosophie, Wissenschaften, Technik; Philosophie (Doxographica, Forts.;
ed. Gruyter; Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori. Jori, G. in
Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti
Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione
della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori
troppo sicuri di sé. Cardin, G., in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani, Reale,
Storia della filosofia romana. D-K. Kingsley, Misteri e magia nella filosofia antica.
G. e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, In corrispondenza con le quattro
primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del freddo (aria), dell'asciutto (terra),
e dell'umido (acqua). Le IV radici di G. risultano essere poi i IV elementi di
Aristotele e Tolomeo. Edoneo è un appellativo proprio del dio degli inferi
Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia; o anche inno omerico A Demetra. Forse
si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente
un teonimo poco conosciuto, si rimanda a Gallavotti in G., Poema fisico e
lustrale, Milano, Mondadori; Valla. Secondo G., i due sessi (maschi,
non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature di natura integra,
che si sono a loro volta evolute da forma di vita più primitive. Un papiro contenente
aforismi di G., consente tuttavia di integrare le due versioni, portando a
ritenerle complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno
stesso saggio filosofico. E stata anche avanzata l'ipotesi che si tratti di
Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene
Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica
collocazione del bronzo all'interno della villa dove fa pendant con il bronzo
raffigurante Pitagora che e suo maestro (Museo archeologico Nazionale di
Napoli. “Sulle origini”. Ne conservavamo
CCCL versi.”Martin ha consegnato complessivi LXXIV esametri dei quali XXV coincidono
con quelli già posseduti. Ma da ogni
parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che
gioisce di avvolgente solitudine. (G., D-K); Poema fisico e Lustrale,
Milano, Mondadori; Tonelli, G., Frammenti
e testimonianze; Origini; Purificazioni, con i frammenti del papiro di
Strasburgo (Milano: Bompiani). Bignone, G.. Studio critico, commento delle
Testimonianze e dei Frammenti, rRoma, L'Erma, Bretschneider, Torino: Bocca. COLLI
(si veda), G., Pisa, La Goliardica, Traglia, Studi sulla lingua di G.”, Bari,
Adriatica, Bodrero, “Il principio dell’amore nella filosofia di G.” Roma; Bretschneider,
La lingua di G., Bari, Levante, Volpi, G.: i suoi misteri rivelati in una
biblioteca; G., Milano,1. Filosofi: G.,
scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è l'unica testimonianza diretta,
Strasburgo, Adnkronos, Pigliando il nostro G. a trattar le cose naturali,
cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe egli a sdegno di seguir setta e maestro.
E come egli era franco di animo, e grande d'ingegno; così immagi nò giusta la
moda de' tempi, e l' usanza de' filosofi un sistema novello. Questo divulgato
gli acquista tal fama, ch'emulo ei divenne per gloria e per sapere de' fisici
più famosi di sua età Democrito e Anassagora. I greci di fatto accolsero con
ammirazione i suoi belli poemi; e chi vennero poi ricordarono con onore G. e la
FILOSOFIA i lui. Incerta fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina
sino a noi. Mancate per l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino
(GERGENTI, non GIRGENTI), chi ha voluto conoscer ne lo spirito, è stato
costretto di rintracciarlo presso gli storici dell'antica filosofia. I quali
non hanno affatto cura di notare il vincolo, con cui destramente iva quegli
legando la sua filosofia. Anzi costoro così disparati li rapportano che si
possan tenere non altrimenti che rottami, da' quali non si puo il disegno
ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però eglino non che han male e
tortamente fatto conoscere la fisica di G.; ma nè pur bene e dirittamente
apprezzare la forza e la virtu della sua mente. Giacchè l'eccellenza de'
sistemi è riposta nell' union delle parti, che si rispondon tra loro; e da
questo legame si misura l'ingegno di chi l'hanno inventato. G. inoltre scrive
in versi, e ‘abbellì le sue idee, come fanno i poeti. Per lo che pigliando
alcuni letteralmente le finzioni della sua fantasia gli apposero opinioni
assurde e grossolane. Illusi altri dall’immagini poetiche, che per lo più sono
equivoche, travidero; e più presto ci tra mandarono le loro illusioni, che i
pensamenti del nostro filosofo. Varie di fatto sono le forme, sotto cui ci
presentano G. i scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora
platonizza, e or favoleggia: e non ha gnari e, non so come, anche gridato qual
precursore di Newton. Sicchè G., tra biasimato, lodato, e sfigurato, è stato
sempre mal conosciuto, e SEMPRE CALUNNIATO. Volendo adunque richiamare in luce
la filosofia di lui, cerco e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che per
avventura ci restano, e sparsi qua e là si leggono presso diversi filosofi.
Coll ' ajuto di questi, che sono gl’onorati avanzi della sua vera fisica, son
ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Perchè tra le
opinioni, che gli storici appongono a G., ho quelle scelto, che ben s'adattano,
e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da? frammenti di lui,
e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono contrarie. Ho fatto
in somma ciò, che suol praticara ma si da chi 'voglioso di restaurare un'antica
statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,, che tra loro s'
incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà diritto chiunque non
è privo di senno, deve specialmente poter convenire a G.. Poichè Aristotele ci
attesta: colui più che altro fisico della sua età, aver detto delle cose, ch'
eran tra loro ben legate e concordi. Ho quin di fatto ogni sforzo per
richiamare alla sua purezza e integrità la dottrina del nostro filosofo quando
da lui stesso, quando dall' autorità degli antichi filosofi, sempre mettendo in
accordo le idee, che si traggono da questi e da quello. Però non è da
maravigliare, se con sì fatto accorgimento,
libera il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto fatto
d'abbozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi elementi
delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro intelletto, perchè
oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i greci, cominciando da
Talete, s' occuparon tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si smarrirono.
Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco formaron le
cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a PARMENIDE DI VELIA,
e a LA SETTA DI CROTONE. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno
delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed
intellettuale. PARMENIDE spiritualizza l'unico elemento degli Jonici; e pone
unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dice PARMENIDE, e tutto è uno;
sicchè le mutazioni della materia non altro sno per lui', che modi e semplici
apparenze. LA SETTA DI CROTONE dal mondo materiale rifuggi alla Geometria. E se
bene questa scienza non fos che un parto della nostra mente; púre l’ehbe quegli,
non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella geometria
legge i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le cose, che sono materiali;
e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon gli se ingegni presi
da prima di maraviglia così pel filosofo di VELIA, come per quello di CROTONE;
e corsero tutti a loro insegnamenti. Ma stanchi di poi di contemplare un mondo
o metafisico, o geometrico, ritornarono naturalmente alla materia; e nasce la
filosofia corpuscolare. I primi a far questo ritorno sono G.; Anassagora;
Leucippo e Democrito. Costoro calando dal mondo della SETTA DI CROTONE alla
materia materializzarono le unità di costui. Atomi chiamarono Leucippo e
Democrito i principj delle cose; particelle simili Anassagora; e G. col nome li
distinse di elementi degl’elementi. Ma in verità i loro principi altro non sono,
che le unità della SETTA DI CROTONE fatte materiali, espresse e indicate con
vocaboli diversi. Democrito lascia a suoi atomi l'indivisibilità, di cui le
unità della SETTA DI CROTONE sono fornite nello stato suo intellettuale. Questa
stessa indivisibilità secondo alcuni, nega ale parti simili Anassagora.
Differente dall'uno e dall'altro e per Aristotile l'opinione di G. Costui cerca
nella materia le sue unità, e dividendo e suddividendo i corpi giunge a quelle
molecole, che più non si possono dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli
colla ragione, e proseguendo la divisione delle molecole col suo pensiero,
s'accorse potersi queste sempre piu di nuovo dividere. Venne però affermando
che i suoi elementi degl’elementi eran divisibili, ma solo colla mente, non gia
col fatto. Distingue, così dicendo, le unità della setta di CROTONE dalle sue,
che sono materiali; e provvida in bel mo doalla durata della natura. Perchè
essendo i principi delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione,
quelle debbono sempre durare come al presente sono. Tennero tutti tre que fisici
non che per cosa assurda, ma impossibile, la creazione dal nulla. Ne venne loro
in mente, come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni
qualità. Chiamano essi la materia senza forma, e senza qualità ciò che non è. Ciò
ch'è, dice G., è impossibile venire da quello, che non è. Ma diverse sono le
qualità ch’attribuiron costoro alle loro unità secondo che diversamente riguarda
ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le sue particelle non
altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta a corpi, ch'eran
destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le lor propietà;
così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle sue particelle.
Per lo che trasporta egli le qualità delle masse a' frammenti di esse, e,e
ristandosi alle apparenze ricava, come suol dirsi, da grande in piccolo. Gl’atomi
per Democrito sono al contrario tutti della stessa natura; e solo differiyan
tra loro per sito, ordine, e figura. Idea, che ben si conviene alla semplicità
della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre fenomeni, che sono
pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor moltitudine. G., ciò non o
stante, rigettò il pensier di Democrito; e volendo spiegare la varietà
materiale, de’ corpi, piglio, com’egli dovea, e genno consiglio
dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua, or l'aria, or
l'aria insieme e'l fuoco, diedero forma e qualità a ' corpi dell'universo. Da
questi e dal loro metodo si dilungo il nostro fisico. Studia egli i corpi, e
separandone le particelle cerca prima, e raccoglieva poi i loro componenti.
Però in luogo di fingere, ritrova ne' corpi i loro elementi; nè i corpi a
capriccio componea alla maniera degli Jonici, na li analizza come fanno i
chiniici. Le sue esperienze, sono egli è vero, incerte e imperfette, come si
leggono ne' versi di lui. Perchè dirizzandosi per una via non ancora usata
nelle fisiche ricerche, mancava d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica
era allora metafisica e bambina. Ma ciò non pertanto que' primi e rozzi saggi
del nostro G. sono da stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era
tutto pratico e sperimentale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze
agginnse, a giudizio d' Aristotile, la terra all' aria, all' acqua, al fuoco,
e'l primo stabilì la dottrina de’ IV elementi. IV, dice egli, son le radici di
ogni cosa – I GIOVE (fuoco) II GIUNONE (terra) III PLUTONE (aria) IV NESTI
(acqua)-- figurando, sotto questi simboli il fuoco, la terra, l'aria, e l'acqua.
Per lo che nella sua fisica le unità materiali sono le parti, che diconsi
integranti de IV elementi; e questi le costituenti di tutti i corpi, che si
trovano in natura, Sebbene il fisico di Gergenti (non Girgenti – c’e un
Girgenti in RIETI) avesse distinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse
lor qualità. Pure in riguardo al fuoco l'ha e' tutte tre, come se state fossero
d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono,
secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario crede G. essere
propietà del fuoco d'assottigliare, separare, e levare ogni solidezza alle
particelle dell' aria e dell' acqua. Di fatto e sua opinione che LA LUNA si
condensa a cagione del fuoco, che da essa si parte, non altrimenti che avviene
nell'acqua, quando si riduce in gelo. E se il fuoco indura i corpi umidi, e
vetrifica talvolta i solidi, ciò accade per G., perchè scioglie e separa l'aria
e l' acqua in quel li dimoranti. Gli elementi dunque aria e acqua sono stati
solidi, se la forza dissolvente del calore portato non l'ha alla liquidità, che
lor si conviene Non conosce, egli è vero, così pensando, qualunque corpo per
via del fuoco poter pigliare, passare, ritornare allo stato solido, o liquido,
o aerifornie; ma giunse a comprendere l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro
fluidità. Questa verità, che in tempi più felici avrebbe potuto generarne tant'
altre, e allor qual baleno in notte huja, che illumina in un attimo, poi l'
oscurità lascia più grande. Tal verita o affatto non e avvertita, o punto non e
ben compresa da’ filosofi d'allora. Aristotile si lagna di G., come di chi e ha
usato de IV elementi, non al trimenti che fossero stati II; contando quegli per
uno i tre, che questi avea realmente diviso aria, terra, e acqua. Anzi chi
furon dopo (quasi G. non già quattro, nia un solo elemento ha stabilito nella
sua filosofia) si diedero falsamente a credere il fuoco essere stato tenuto dal
nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa venne, e in cui ogni cosa
doveasi risolvere. Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che G. manifesta IV
poter essere gl’elementi delle cose, tutti abbracciarono la sua opinione. Di
leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua, la terra il fuoco aver gran parte
nella composizione de’ corpi, e ne' cangiamenti più notabali, che avvengono nel
nostro globo e nel la nostra atmosfera. Di fatto non più a capriccio come prima
si solea, s'accrebbe o diminui il numero degl’elementi, e tolta ogn'instabilità
tra le scuole, comune e, e ferma rimase la sentenza de' IV ele Conta area la
dem fial menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo
a posare lfisica. Questa G. ricono scere deve', e lui onorare qual suo capo e
fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro vicende,
che si distinguono da' metodi, dalle opinioni, dalle verità, ed eziandio dagl’errori
che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra gl’elementi l' aria,
l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha gia scomposto la chimica.
Altri ne sostituiranno i nostri posteri ch' al presente non si conoscon da noi.
Ma niuno negherà la debita lode al nostro filosofo che fondo il primo periodo
della fisica colla dottrina de’ IV elementi, e regola i primi debolissimi passi
dello spirito umano nello studio non che vasto ma difficile delle cose naturali.
Più alto senno, e più forza d'ingegno mostra G quando si mise a cercar le forze
che mettono in movimento la materia e gl’elementi. Si fatta 2, Dileta plaža
matukio ered ܐܐ
F Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era stata sin allora
impresa d'alcuno. Anassagora, attese le sue particelle prive di moto e di vita,
non sapendo altro che specolare, ricorre al DIVINO; e colla forza onnipoten te
di lui agita e sospinse le sue parti simili, o loro impresse quel moto, che
queste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in
luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotele contro
lui si sdegna, e giustamente il rampogna. Basta a Democrito di fornire il moto a' suoi
atomi, nè cura di saper come e d'onde quello venne. Al più facilitò il
movimento immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse potuto agevolmente
dimenarsi; e particolarmente attribuendo agl’atomi del fuoco la figura sferica,
come quella, che avesse questi potuto render atti a scorrere e sdrucciolare. Ma
G. e il primo al dir d'Aristotele, che con molto senno in natura conosce due
come cagioni del moto degli elementi St et © S forze C 19 menti . Una di quelle
chiama AMORE, amicizia, concordia, o l'altra come contraria o lio, inimicizia,
lite. L'amore di G. non è quel del la favola, di Parmenide di VELIA, d' Esiodo,
o d'altri fabbri di cosmogonia. E forse per costoro un principio attivo che
vivifica l’universo. Ma questa e un'idea, vaga, generale, e NULLA UTILE ALLA
FISICA. NON E COSI L’AMICIZIA DI G. La quale è una forza, fornita di
particolari propietà, e tanto intriseca alla materia, quanto si stima da noi la
sua gravità. In virtù di sì fatto amore le particelle simili tendono a unirsi
tra loro, e congiungendosi formano a mano a mano le masse. Masse che vie più
van sempre crescendo; perchè la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una
all'altra infallibilmente s' unisce. Aria, dice G., si aggiunge ud aria, etere
a etere, fuoco a fuoco in modo che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte
del pari dall’amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra loro,
e compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la
materia si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza
diverrebbe l' universo unica męssa, unica sfera. Perchè è propietà peculiare
dell’amicizia di ridurre le cose che son più a una sola. La forza quindi per G.
simboleggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella stessa che
oggi da’ chimici si chiama AFFINITA. L'odio, non altrimenti che l'amore, è
parimente intriseco agl’elementi de' corpi, ma le qualità d'uno son del tutto
opposte a quelle dell'altro. Tende l'inimiscizia a disunir le particelle
congiunte; sciogliendo le masse, e scomponendo gl’aggregati. E' singolar
propietà di quella ridurre l'uno in più: tal che se l'universo fosse una sola
massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe tutto quanto
sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia, lite per G. son
e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva. Di fatto chiama egli
anche il FUOCO inimicizia; perchè questa come quello distrugge e separa ogni
cosa. Dą ambidue queste forze tra loro opposte, d'ailinità una, e dissolvente
l' altra, significate dall' amore e dall'odio, il nostro G. ne rica il moto ne'
corpi. L'amicizia sollecita gli elementi all'unione tra lor l'avvicina, e nell'
avvicinarli tra loro parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le
molecole unite, so spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le
muove. Forze adunque sono l'amore, e l'odio del nostro fisico; come quelle che
avvicinando o respingendo gl’elementi cagionano lor movimento. Fors ze
ch'egualmente son chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono
e scompongono i corpi in natura. Ma come sono esse adombrate sotto le forme
morali d'amore e odio, di lite e concoradia; sono state mal comprese e
capricciosamente interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze IL DIVINO
(“GOD IS LOVE”) e la materia; altri: l'ordine e'l disordine; il bene e' l male.
Chi la luce e le tenebre; chi l'Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose
simili. Tanto egli è vero che il suo linguaggio, come poetico, ha recato
ingiuria alla sua filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il nostro fisico,
han que signorie; ma alternanti e separate tra loro. Comincia l'impero
dell'odio, quando finisce quiel dell'amore, e declinando la signoria
dell'inimicizia, l' amicizia ritorna a' suoi primieri onori. E come una sifatta
vicenda non ha mai fine; così costante si mantiene il movimento in natura, e gl’elementi
in eterno s'uniscono e separano. Esprime egli tal con tin: io e scambievole
impero dell'odio e dell' amore coll'immagine, e somiglianza d'un cerchio, che
si revolve. Perché il cerchio la periodi finiti, che all'infinito si posso no
rinovare. Ma tolte le voci d'impero e signoria, che son propie della poetica,
si potrebbe la filosofia di G. raſfigurare nella vicenda delle forze, mercè la
qua. 23 bene i ebre; chi ni, oabe ero, chei ell'aur Onn '. le i pianeti
si'movono. In questi or preva le la forza centripeta e viene a farsi maggior la
centrifuga; or prevale la centrifuga, e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè
alternativamente prevalendo le due forze centrali, i pianeti s' accostano e
discostano dal sole, e costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche.
Tale dell’amicizia, e inimicizia di G.. Come gl’elementi s' uniscono; comincia
a preva ler l' inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gl’elementi
dividonsi; principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo
che ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gl’estremi dell'odio
occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge G. fa
e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o il füto, o la
necessità, o l'antico giuramento degli dei. Ma il fato del nostro filosofo non
è quello de. gli Stoici, o dei VELINI DI VELIA. Egli null’altro indica colla
parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care PA umpert 2.
la que 24 tima natura di quelle due forze. Siccome eterna ei reputala
materia, ed eterne le forze, da cui essa era animata; così l ' amore e l'odio
volea dover sempre e necessariamente operare. Gl’elementi secondo lui o son
separati, e ſrettolosa corre l’amicizia a unirli; o sono uniti, e impaziente va
l'inimicizia a separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l’'altra di congiun
gere le cose separate, o segregar le congiunte, l'amore e l'odio, mutata natura,
non sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così
necessaria l'eterna vicenda delle due forze, come invincibile si stima il
decreto del fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionario del nostro
filosofo altro non significa che l' intima indole, e l'immutabile natura delle
due forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse
introdotto nela la fisica il fato é la necessità. Posti questi principj va G.
squadernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un eminenza, di
la conta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agl’uomini le sublimi
lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda nell'universo;
perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto nasce, tutto muore,
tutto in altra forma trasformato risorge, L'accozzamento di parti, che son
disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che sono accozzate, n'è
la morte, La natura quindi null’altro è, che ” se parazione e miscuglio. Essa è
eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge e compone. Mancherà
il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo distrutto, di nuovo,
e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz'alcuna fer posa uno in un
altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè per que: sti
continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione, o simmetria.
La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata sempre qual
sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi. Cosi parla G.
nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla natura, o per dir meglio
cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean supporre aver lui voluto il
caos immaginato sol da' poeti. Lo stato di confusione e di caos pel nostro
fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre egli è stato e sarà. La natura
quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà: miscuglio e separazione: amicizia e
inimicizia: nascita e morte. Passando G. d'una in un ' al tra idea strettamente
lega i suoi pensie ri. Siccome la materia è tutta divisa ne’ IV elementi; così
i corpi per lui eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla
ostante quelli tra lor son tutti diversi; quindi anda ricercando in che, e.come
si differisser tra loro. Tal diffrenza ei rinvenne con gran perspicacia nella maniera
diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè
la terra, nè’l fuoco che distingue le cose; ma la misurata lor mescolanza; in
breve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti.
Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c de poeta le sue idee ch'eran fisiche,
dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van
figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi dei. Non
altrimenti fa la natura. Ha ella, come IV colori, che sono i IV elementi, e va
coll ' accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro forman do uomini,
piante, animali, donne leggiadre, e chiarissimi dei. Tutto lo studio di G. e
quel di scomporre i corpi, e scomponendoli cerca la ragione, in cui stavan tra
loro le parti componenti. Per chè e persuaso, che la loro varietà venne, ed era
tutta riposta nella varia proporzion degl’elementi. Aristotele che ammira un sì
bel pensamento da a G. il vanto d'aver lui il primo conosciuto una tal verità. Non
si può quindi negare il metodo di G., come quel lo, che volea l'analisi de'
corpi, esser chimico; chimiche esser le forze amore e odio, che inprimean moto
alla materia; e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز
کی P.; Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla
proporzion delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura.
Può ora essere a chiunque manifesto G. il primo aver delineato il sistema
dinamico, che oggidi leva tanto rumore in Alemagna. Pone questo sistema alcune
sostanze semplici e primitive, che colle loro diverse combinazioni producono la
varietà de'corpi. Questo stesso fece G. ammettendo i primi elementi, e
combinandoli in varia e differente lor proporzione, Forze attrattive e
repulsive vogliono i Dinamici; e G. immagina affini tà e forza dissolvente, o
sia odio e amore. Che se quegli a spiegare gli stati e i volumi de' corpi si
fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza attrattiva colla
repulsiva; anche G. dice che l'inimicizia sta appiattata nelle parti de' corpi
pronta a vincer l'amicizia nel tempo opportuno. Ma io non mi maraviglio punto
di tal corrispondenza tra Dinamici e il nostro fisico. Gl’uomini gireranno sem
at c ) in D gi ti 29 pre nella stessa orbita, e torneranno sempre a riunirsi
nelle medesime ipotesi ogni qual volta, che si aggireranno sì oggetti, che
illustrar non si possono con osservazioni e co’ fatti. Perchè limitate essendo
le forze del nostro spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue
combinazioni. ' I metafisici di fatto sogliono ricondurre sempre in iscena più
o meno vaghe, più o meno adornate le opinioni medesime. Gl’antichi vollero
rappresentar l'essenza de' corpi. Però Democrito immagina il sistema atomistico;
G. il dinamico. Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è
risalito in alto il sistema di Democrito, e quel di G. in Alemagna. Dobbiamo
persuaderci una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre
opinioni, che sono semplici fantasmi della nostra mente, ma coll'esservare ed
espri mere co' nostri pensieri i fatti e le consuetudini della natura. Questo
metodo per avventura non e ignoto in quella stagione in Gergenti. [NON
GIRGENTI, come oggi] Anacrone l'amico di G., poste giù le ipotesi, fonda la
medicina sull'esperienza, ed e capo della setta empirica. Il nostro fisico
cerca e stabiliva la varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de'
lor componenti. Ma i tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor
carattere, le loro opinioni; operando su noi non altrimenti dell'aria la qual
si respira. Non è quindi da maravigliare se G. s'occupò, come allor si fa, su i
principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della
nascita del mondo e in que' tempi un'introduzione, che si stima necessaria alla
fisica. Niuno affatto potea meritare il titolo di sapiente, se non prima avesse
ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor poemi
dalla creazione del mondo. Molto più, che a ciò fare non dovean perdere gran
tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie sono un lavoro più di fantasia
che di ragione. Si fatti lavori meglio che cosmogonie potevan chiamarsi romanzi,
in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è lo stesso che
dimostrare; e le capricciose finzioni si scambiano come opere della natura. G.
dunque al par degl’altri intese alla formazion dell'universo; svolgendo e
dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Da prima nascita all'etere,
indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse l'acqua, l'aria, l'atmosfera;
indi le piante, gl’uomini, e gli animali. Pose più diligenza e più tempo a
formar dalla terra; ma per opera dell'amore il genere umano. Rimescolando gl’uomini
colle piante, e co gli animali, tenne costoro come unica materia, in cui tutti
si fossero contenuti qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser
presentato la irma, leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a poco
a poco idea egli essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini,
prive di moto e di vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza
generazione di poi furon distinti i maschi dalle femmine. Nella quarta s'
ebbero degl’uomini, che nascono gli uni dagl’altri; perché, distinto il sesso,
si mosse il carnale appetito. Le piante secondo lui fitte restarono in terra
per trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un
abituro conveniente alla loro natura. Queste cose sconce, incredibili, e
simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sotto silenzio, se
non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito umano. Il
quale ardito, com’egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi non
che della religione, ma della moderna deparata filosofia, a dì nostri va sempre
fisicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adotta gl’errori del nostro
Empedocle, e certamente da lui ha a trarre l'idea della successiva perfezione,
e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fa nascere i vegetabili
prima degl’animali nel tempo e nello stato, che le cose sono imperfette.
Entrambi del pari segnarono gl’animali essersi a poco a poco svieluppati, e
aver tratto tratto acquistato quella perfezione, di cui oggidi son forniti.
Vogliono tutti due, che dal principio i sessi fossero stati confusi si negl’animali
che negl’uomini. Ambidue affermano che l’universo giunse al grado di sua
perfezione, allorchè separati i sessi nacquero gl’animali gl’uni dagl’altri.
Darwin in somma dice unica essere stata la specie dei filamenti, che da origine
a tutti i corpi, che sono organizzati. E parimente e opinione di G., che unica e
la pasta da cui vennero vegetabili, animali, uomini, e Dei. Tanto egli è vero,
che i nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s'arrogano le
speculazioni degl’antichi. Nella cosmogonia di G. siccome a chiunque è
maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa il divino. Ma così pensando,
intendea egli di recarle onore più presto che ingiuria. Avendo egli la materia,
come allor si pensa, per cosa vilissima, teme che la sapienza si fosse bruttata,
se avessé preso a ordinare cose, che son del tutto materiali. Per lo che a
intendere la formazione dell'universo, lasciata la mente divina, invoca il caso,
e commise gli elementi in poter della fortuna. In sì fatti grossolani
sciocchissimi errori s' imbatte chi stoltamente, e senza una precedente saggia
e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo artefice dal la fabbrica del
mondo. Il caso, fantasticano essi, siccome racchiude in se tutte le
combinazioni possibili ad avvenire. Così tra le molte, e assai e infinite, che
son mostruose, quelle poche ancora contiene, che son regolari. Infinite, dice
G., sono state le forme, che ha preso teria, e senza numero le combinazioni
degl’elementi. Ma queste si son succedute senz'alcuna posa sin dall'eternità, e
forse non han potuto durare perchè prive sono state di regola e simmetria. Dopo
tante é tante strane vicende, gl’elementi in fine, conchiude egli, essersi
disposti in la ma quell'ordine, che il
mondo ritiene, e da tutti con ragione, s’ammira. Dal caso a dunque G. forma
l'universo. Al caso attribui egli quel che privativamente è sol propio della
sapienza e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un accidente sogna egli
essersi condotto il presente ordine, ma dopo lungo, vario, e successivo
disordine. Queste idee và G. adornandh colla sua fantasia vivace, e poetica.
Figirra egli mani, piedi, gambe, busti, occhi, braccia, spalle, teste di
animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si portan qua e là únendosi-
senza regola, e senza misura. Ora egli vede petti senza spalıe; teste senza
cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva piedi congiunti a colli,
occhi a spalle, teste å gambe, dita a fronti, e altre irregolari unioni. Quando
immagina egli de' tori in volto u e uomini colla testa di bue; e quando nota
nell'uomo l'impronta della pecora, e in questa quella dell'uomo. Em mano e 2 36
1 1 a i G. in somma finge, trasfornia, è com pone mille e mille specie di
mostri, che per lui una volta furono, e di quando in quando appariscono. Ma
dopo forme si sconce é fuor di natura dispone egli ca guialmente quelle membra
nelle proporzioni, e misure che al presente veggiamo. Che maraviglia è dunque,
ei conchiude, che dopo tanta varietà di mostri sieno a sorte venute le belle e
ben disposte macchine degli uomini e degli animali? In tal modo si sforza il
nostro fisico di render credibile ciò ch'è falsissimo. Facendo come chi gli
occhi s'acceca per meglio e più chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti
quanti gli tornarono vani. Non cape ne capirà in intelletto umano, che il mondo
il quale spira ordine, sapienza, e nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto
accidente. Ciascuna parte d'un essere forma un sistema; un sistema formano
tutte le sue parti; un sistema tutti gl’esseri, che tra loro legati
corrispondono tutti al gran di fi armo 37 c scuna, segno dell'universo. I moti
varj e multiplici de corpi celesti son regolati da poche e semplicissime leggi;
le quali nascono e derivano da unica propietà della materia. Se dunque ogni
sistema indica combinazione, e questa suppone DISEGNO – H. P. GRICE, GENITOR,
ENGINEER -- e architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch'è un
grande e maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non
ammirar la mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così
perfetto, qual dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se
l'universo non mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o
piccolo o lontano di casualità; chi senza empietà o stoltezza, potrà
riconoscerlo per opera del caso e non della mente d'un Dio? Ma senza più
travagliarci a dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un sommo fattore,
oltre all'essere scritta nell' animo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per
viene da ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente
divina con singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver ordinato la
materia, niu. no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alza allora un
tempio a Dio, qual supremo fabbro degli esseri, e onora quel filosofo del
soprannome di mente. Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà
sempre i lunghi ragionamen ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta
con orrore le cavillazioni degl’atei, che tentano invano negar l'esistenza d'un
eterno fattore, ma poco o nulla cura altresì le speculazioni di que' sapienti,
che vogliono dimostrarla. E in vero tal verità alla classe appartiene, attesa
la somma evidenza, di quelle che sdegnan le pruove, e che si possono guastar
più tosto che ras sodare co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia
illuminata. G. e Democrito sebbene fossero stati superati d’Anassagora, perchè
non già una mente divina, ma il caso avesser posto, come autor dell'universo;
pure son degnissimi d'onore per i loro metodi, o bel 39 osta k.. ** dias li
pensamenti nelle fisiche discipline. Poté Democrito per sua particolar virtù
concepi re egli il primo un sistema meccanico del mondo, fondato sulle propietà
de' corpi, o sulle leggi del niovimento. Valse G. per forza di sua mente a
immaginare anch'egli il primo un sistema chimico dell' universo, che posando su
i quattro elemen ti, è regolato da forze, e sottoposto alle leg. gi
dell'affinità. Ambidue tennero in onor l'esperienza, che certo e naturalmente
con duce alla scoperta della verità. Se chi do po lor filosofarono, fossero
stati poco più sensati; avrebber dovuto mettersi dietro la loro scorta, e
collegare insienre i modi chi mici di G. e i meccanici di Democrito. Si sarebbe
allora abbreviato il corso degli errori, e anticipato il principio di quella
filosofia naturale, che fa tant' onore a ' nioderni. Ma le sette smarrirono i
filoso fanti d' allora, e costrinser costoro tanto più a errare, quanto più
essi s' attennero alla metafisica, e si scostarono dall'esperi. mentare e
asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17 bile su 40 secoli, perchè venisse in
grande stato lo studio della natura. S'apparteneva veramen te a'nostri tempi,
che congiunte chimica e meccanica avesser portato la fisica a quel grado
d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è sempre da confessarsi G. e De. mocrito
aver gettato i primi semi di que' vantaggi, che cal favore del tenipe la fi.
sica ha oggi ottenuto. Le opinioni di G. sų gli ele menti, e sull'origine delle
cose, se non son vere, almeno non sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla
sua filosofia. Splen dono tra gli abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un
metodo sopra ogn' altro riluce, che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli
errori de' tempi non gliel' avessero contrastato. Ma non è così, quando il
nostro filosofo alle cose si rivol ge, che trattan d'Astronomia. I suoi sen
timenti su gli astri sono altrettanti assurdi. G. il fisico pare altr' uomo, e
tut. to diverso da G. astronomo. Tal differenza, che veramente è notabile, se 1
le scoperte, 41 non m'inganno, nasce da ciò, che la sua fisica si trae in gran
parte da' frammenti de' poemi di lui; là dove le sue opinioni astronomiche ci
vengon quasi tutte dagli Storici degli antichi filosofi. ' Non senza ra gione
quindi si può sospettare, che i suoi pensieri non sono strani e deformi, quan
do egli stesso l'annunzia; e al contrario pajono sconci ee mostruosi, allorchè
altri parlano in vece di lui. E maggiore tal congettura, qualor si considera
que compilatori essere stati grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro
affastellano in confuse opinioni de’ filosofi, e o abbreviando le mozzano, o
interpolando le allungano, o pure in qualunque altra manieria, senz’alcuno
intendimento, ogni cosa deformando's le alterano. Non è quindi duro a com
prendersi, gli storici del nostro filosofo, tra per l'imperizia delle cose del
cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran tutte fi gurate e poetiche, averne
contraffatto la sua astronomia. Non si negan con ciò gli errori, in cui egli
per avventura avesse potuto cadere. So benissimo l' astronomia dei Greci,
sfornita.com'era in que' tempi d ' osservazioni, ridursi, tolto il nascere o
trae montar d' alcune stelle, a una raccolta d' antiche tradizioni, o di
opinioni bizzarre. Si conviene pure Empedocle aver potuto di: re il movimento
del Sole essere stato da prima più lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si
concede altresi aver lui potuto opi nare l'asse della terra aver pigliato una
po sizione all' Eclittica inclinata, che prima non avea: (usanza de' cosmogoni
acconciare a lor talento le parti dell'universo, e condur le allo stato, in cui
ne' suoi tempi si trora no ). Ma non si può affatto credere, Empe docle aver
tenuto i tropici quasi due mura glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto
a torcere il suo cammino; e aver segnato și fatti circoli non altrimenti che
due confi. ni, che impediscono il Sole camminando verso i poli d'oltrepassare
il suo termine. Chiamò egli que circoli con linguaggio fi. gurato i confini del
Sole; perchè a quel li il Sole giungendo par che il suo cammino rivolga. In
breve intese egli indica re l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio in
cui il Sole fornisce l'anquo ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com putava
allora da’ solstizj, i quali dall'om bre osservar comodamente si possono coll?
ajuto dell'ago. Con tali e simili sconcezze si è guastata l ' astronomia di G.;
Però se tra per difetto di memorie di lui, e per ignoranza degli storici, ė,
ben diff cile d' indagar ciò che G. penso sul. le cose del cielo; è assai più
difficile sa per, ciò ch'egli non disse, e a torto a lui appongon gli storici,
Temendo gli Ateniesi, che la terra fosse stata un'abitazione mal soda, furon
solleciti della sua stabilità. Provvidero e glino alla propią sicurezza, e a
quella del genere umano: ma colla sola fantasia a modo del volgo.
S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte, le cui barbe vanno a profondare
e perdersi negli ultimi lontani confini dello spazio. Assegnarono ina sieme
alla terra già divenuta nionte il suo vertice di forma rotonda; e quivi
loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A mente dunque di quel popolo
il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra, che nol poteano; ma
spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel verti. ce. Questa
opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea contra star da
filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno di chi osava sen
tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro chi avesse tentato
di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere umano. I filosofi d'allora
tra per che adularan la plebe, come chi più che gli altri soglion fuggire i
pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo crede van lo stesso; non
mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte, le radici, il vertice, e
la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro filosofo, che molto perito
nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid contro sì fatta sentenza. Ri
dea egli del monte, delle radici, del ver 45 tice.e aspramente ripiglio,
Xenofane, che avea per immensa la profondità della ter ra. Chi, dice G., tali
co se divulgano, o poco veggono, o nulla san. no dell'universo.; Altri e
lontani da quelli del volgo fu. rono i sentimenti d' Empedocle intorno al la
terra. Fu opinione di lui, che fuoco bruciasse nel centro di questa. I sassi i
dirupi, gli scogli, ei riguardò come sco rie, che la virtù di quel fuoco avea
in alto levato. L'acque, che sorgon terma li, quelle sono, a suo credere, che
sotter ra scorrendo piglian calore dal quel mede simo fuoco. G. in somma im
maginò sin d'allora l'ipotesi del fuoco cen. brale, che Buffon, non è guari,
più bel la e vistosa ha richiamato alla luce. Pensavano gli Jonici, che la
terra sospinta dal vortice che occupava tutta la sfera, era stata condotta nel
centro di ques sta. Ma non sapeano essi comprendere, come quella, sfornita d'
appoggio, ben li brata si stesse nel punto di mezzo. Timidi quindi i filosofi
al par del volgo, ne dilatavan la base, e tormentando i loro ingegni si
sforzavan di sostenerla colle ipo: tesi. Talete avvisò la terra restar sospesa
nell'aria, non altrimenti che un galleggian te sull'acqua, Democrito e
Anassagora ne fecero la base non che larga, ma conca va; aifinchè l' aria quivi
sotto racchiusa la potesse sostentar con sodezza. Parmenide di VELIA credette
sostenerla col principio della ra gion sufficiente. La terra a suo pensare
stava nel centro, perchè non avea ragio ne, che la portasse per questo più
tosto, che per quel verso, Ma il nostro fisico si dilung) da co storo, e con
altri principj prese a spiegar sie la stabilita. L'acqua nella cosmogonia di
lui s' era separata dalla terra per l'im peto del giro, che questa facea. Pe.
rò la terra nel suo sistema rotaya. Rota va del pari secondo lui il cielo; è
altra differenza non pose nella rotazion dell' una e dell' altro, che nella
velocità, Minore la yolea nella terra, che stava nel centro; 47 1 rola, ando il
cla colo come star galo raal Po maggiore nel cielo, che in giri smisurati si
volgea. Da cid appunto egli ne trasse e perchè quella stesse in aria sen za
cadere. Se girate, egli dicea, con pre stezza una secchia; l'acqua non cadrà,
ancorchè nel girarsi si tenga capovolta. Tal è nella sfera i La conversion
celerissi ma del cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al moto dunque del
cielo egli in catenava la posizion della terra nel cen. tro, il suo rotare, e
lo starne, Si sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par degli altri;
perchè allor s'ignorava la gravità della terra esser diretta al suo cen. tro.
Ma il suo metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare ne' fatti la
ragione di quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della secchia, che
pre stamente si volge, han preso argomento chi son portati per l'antichità,
aver co nosciuto il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a pensar giusto,
ignorandosi allos ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver potea l'idea vera
e matematica di quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48 d he Te la forza.
Egli è vero essersi saputo in que' tempi, e da G. essersi ben dimo strato la
velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era fatto, non
forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani G. e gli antichi di cono
scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante opinione, i corpi a
cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi, fuggir dal centro se
leggieri. Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion della forza centrifuga,
gli si deve certamente quella concedere della rotazion della terra. Opinione
era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in ve rità della nostra
Sicilia Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa; ma sin da tempi
antichissimi G. l'insegno nella nostra Gergenti – e NON GIRGENTI. Avea il
nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della stessa natura.
Opina egli quello e queste esser di fuoco. Ma non perciò è da credere, ch ' ei
tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1 fuoco terrestré. Non
sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per altro è ignota anche a
noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava nella sua sfera le
sottili sue particelle. Queste ei credea, che dal Sole si moveano, e pro gressivamente
propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea, va prima nel mez zo, e poi
perviene sino a noi. An ticipava così la scoperta bellissima della pro
pagazione della luce, che i Satelliti di Giove doveano in tempi avvenire
rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e senza ridurla a
fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo de' sogni e
dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che coll' andar de'
tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità. L'emission della
luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne G., e cui oggi s' acco stano chi non
vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri d ' alcu ni è
rigettata, e in que' tempi era ancor contrastata. L'ipotesi che il Sole quanti
raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e ha fatto oggi credere a
parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do sì gradatamente
impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino a spe. gnersi.
Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la perdita della luce
solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi sforzandosi
d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la massa solare
con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel suo giro sono
vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire la
perdita diurna delle particel. le solari. Ma G. in un modo, che se non sarà
forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið provedero
alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi riflessi
dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion concentrandosi,
ritornano al Sole. Però questi per riflessione acquista quel, che per enuission
perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo splendore del Sole. G. quindi
potė ben dire la luce essere al presente una riflessione di quella che fu una
volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori dell'antica filosofia non capirono i
sensi del nostro filosofo. Credette ro essi due essere i Soli di G., uno
invisibile, visibile l' altro, che collocati in due opposti emisferi si
guardavan tra lo ro. La terra, eglino dissero, riflette al se condo i raggi
invisibili lanciati dal primo; e quello poi in forma di luce li rimanda alla
terra. Ecco con quali sconcez ze quegli storici guastarono i divisamenti del
nostro filosofo sull' emission della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà,
che s'oppose a G. ne' suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce.
Siccome nel tempo che la luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio
astretto a seguire la direzion della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu,
e poi non g è più. Empedocle a
rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce, o in qualche
sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il Sole, ei di
cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque nel rotare
s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il Sole nel
punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in miglior forma
rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e successiva
propagazion della luce. G. ha la Luna
come opaca, perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse.
Plutarco a lui solo, mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver
divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli
raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma
insieme straniera. Una lu ce straniera, dice G. qual poeta, circola intorno
alla 'terra. Ma G. ebbe la disgrazia d' aver avuto guastato ogni suo sentimento.
Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla luce lunare da G., ricavo,
non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna qual pezzo svelto dal Sole. Ma
buon per noi che ci sia re stato il verso di G., che smentisca
l'interpetrazione di Tazio: Anassagora per dare una misura del So le riferì la
grandezza di quest' astro al solo Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo,
cui venne in pensiero di comparar Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole
fosse stato più della Luna distante dalla terra so pra due volte. Ciò non
ostante affermo quello essere stato assai più grande di que sta; sebbene
ambidue fossero appariti dello stesso diametro. In somma l'ineguale distanza fu
per lui certo argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò
essere stata cosa di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che
allora fece la scienza del cielo. Giacchè niun altro prima di G., ed egli fu e
il solo e il primo, che insegnò gli astri lontani doverci comparire piccoli più
de' vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non
solo, ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri
apparenti della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i
periodi lunisolari, da cui nacque, e s’avanzò l'astronomia de' medesimi. Si
potrebbe quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi
losofo, aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si
mova circa la terra. Ma punto non conviene dar a G. una gloria o dubbia o
sospetta. Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui
li bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual
autore d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il
nascere e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello
come opera d'ignoto autore e non di lui. Io non discordo da loro; anzi confesso
non essere stato G. intento a osservare, 1 1 come si conviene nell' astronomia.
In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non si osservava. Era quella
la stagione della fan tasia, delle opinioni, e dell'ipotesi, che suol sempre
precedere l' altra, che porta seco il raziocinio, l'osservazione, la veri tà.
Però non è poca la gloria di G. nell' aver conosciuto la ' successiva pro
pagazion della luce, la rotazion della ter ra, l'opacità della Luna, è
scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa rato il primo le masse
tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi emulare Timocari e
Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu ron chiarissimi;
pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo assai più che la sua
età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi assai più illu minati
e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di quello migliori. Una
fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l ' aria, in cui brucia.
Dal cielo tornando alla terra non più 56 et troviamo il nostro filosofo, che
immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra con senno la natura.
La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma coll'esperienza, è il
peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in difetto di macchine e di
strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri come orolo gio a misurare
il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base forata a guisa di
minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre più andava a fi
nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col collo all'ingiù; e
l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava le ore. Questa
appunto fu la macchina di G., che nelle sue ma ini diventò indice e misura di
fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che trastullando colla
clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio col le dita, e
postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un fonte. Entra allora
l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C quanto la donzella prema, e travagli, la
clessidra non si può mai empiere tutta. Stanca finalmente la verginella, alza
le di ta, con cui chiudea quell'orifizio; ed ecco l'acqua che sale, e giunge
alla cima. Proposta l' esperienza, G. ne' suoi versi ne soggiunge lo
spiegamento. L' aria, dice egli, che sta racchiusa nella cavità della clessidra,
colla sua molla, resiste all' acqua, e la ripara di venire all'in su. Ma appena
la donzella alza, le dita, l'aria e sce, e però l'acqua non più impedita dall'
aria sale, e tutta empie la clessidra. In altro modo ci presenta ei la don
zella. Finge egli che questa volti la cles sidra; e allora un altra prova egli
ci reca del peso e della molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin
della clessidra, questa piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè
l'acqua tutta fuori si ver si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua,
lungi di cadere da ’ forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano
con fretta; ed ecco l'acqua goccio h re
il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi. Dichiarato il primo,
ſu agevole a G. spiegare il secondo esperimento. L' acqua, dicea egli, si
sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria sottoposta si resiste colla
sua molla, che venga a vince peso dell' acqua. Subito che la don zella alza la
mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta; e questa, ajutata dall' aria
soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori. Con tali esperienze, delle
propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la molla. Ciò nulla ostante
furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente in obblio. Se noti
fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti di G., non si sareb be
certo levato tanto grido per l'invenzion del barometro. Ivi il mercurio sta
sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta so spesa entro la clessidra
dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte esperienze, che oggi son volgari,
allora erano rade e uti € 59 lissime alla fisica. Smarriti i Greci in que?
tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me tafisica, non pigliavan cura nè d '
esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di fatti, co storo eran pur privi di
scienza · Ne' versi di G. quindi il principio si trova, e la nascita dirò così
della fisica; perchè ivi si trovano i primi esperimenti. Democrito al par di G.
piglia va anch'egli allora la via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati
presto raggiunti dal divino Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini
cercarono allor di fondare un epoca novella nella Greca filosofia, sfor zandosi
di condurre gl'ingegni a studiar la natura coll' esperienza, e colla osservazio
ne. Ma tal metodo, ch'è lento, ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che
impazienti erano e caldi; e però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene G.
avesse posto ogni studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza
stromenti, nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippocrate
avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de
tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I
medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che
giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli
spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai
sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che
fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa
abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi
ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio
del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando
pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento
i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le
verita, che son degne non che di ricordanza, ma di stupore. Il seme, il sesso,
la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili fu. rono i varii
sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente. Da prima avverte. G.
comune essere il fine assegnato dalla natura 'e agli animali e a ' vegetabili.
Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion produrre animali, o piante simili
a se. Questo fu messo da lui come base delle sue illazioni, e co nie fermo
segnale d'un punto, da cui egli partendosi non s' avesse potuto mica smarri re
nel proceder più oltre nelle sue nuove scoperte. Soggiunge egli appresso: come
l' animale viene dall'uovo, così la pianta dal seme. Attesi questi fatti
comincia o ' specolando a filosofarvi, e da quelli guidato va con franchezza
formando le sue conget ture. Se l'uovo e il seme, egli prosegue, comune hanno
il fine, ch' è la produzio ne; debbono l'uno e l'altro colla stessa attitudine,
e col medesimo impeto tendere al medesimo fine. Da sì fatto fine ad ambi comune
egli argomenta, come da un indice, comune dover essere la natura del seme e
dell' uovo. Ma G. forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo
a fatti, mette in opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la
natura dell' uno e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia,
trova e distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il
germe nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non
abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le
foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all'
embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due
esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i
cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel
seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali
da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col
soprannome d ' ovipare. Ecco avere G. svelato agli uomini assai prima d’Ar véo
tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che dall'uovo. Teofrasto infatti,
e Aristotile a G. solo attribuiscon la gloria della scoperta di tal verità, e
gliela dan come propria. La fatica d’Arvéo, fu egli è vero, utilissima
all'avanzamento del le scienze, e degna di tutta la lode. Ma egli pubblicando
di nuovo lo stesso ritrova mento di G., null' altro fece che as sodar vie più
colle prove ogni cosa nascer dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior
l'eccellenza dell'ingegno di chi colla mente va congetturando ciò, che del
tutto s’ è ignorato in preterito, e prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro?
Il nostro fisico, guidato com' egli era dall' induzione, spinse più oltre i
suoi ra gionamenti'. Affermd le piante al par de gli animali dover essere tutte
fornite di ses so. Conosciutosi da lui il seme null' altro esser che uovo, come
l'uovo si feconda per l' union del maschio colla femina; così argomentò egli
del pari il seme per la mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco '
quindi e sagace stabili egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma
schile e feminile in ogni vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi
conosciuti ma schi e femine tra ' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a
palme, fichi, canape, pi stacchi. Però dal nostro fisico prende ori gine il
sistema, su cui oggi posa tutta la Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne
cercato, nè mostrato gli organi genita li nelle piante, come poi han fatto con
grande studio i moderni; ma ciò facea e gli sempre col ragionare, e quelli
vedea dirò così, coll' intelletto. Nella testa de' grand' uomini, come dotati
d'una specie di tatto pella verità, la forza delle con getture si sostituisce
talvolta all' evidenza de ' fatti. Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore,
che solo abbozza il quadro con poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli
altri la cura di compirne il disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo definì
tutto nascer dall'uovo: Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e
poi Linnéo mostrarono il sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron
la dottri na, e compiron l'idea tracciata dal nostro Gergentino. GERGENTI non
GIRGENTI. In verità non è poca la glo ria che a costui torna nell' aver lui il
pri mo schizzato degli originali, che di mano in mano col favore del tempo si
van tro vando in natura. Contemplare Empedocle, che conget tura è uno
spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto dall'analogia supera tutti i
suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va diritto a trovare altre belle
ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi. gor di sua mente, tentoni
cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli il sesso sol nelle piante.
Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche anzi le rade verità
solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante altre verita gli
mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli organi genitali
delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea il polline
portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in questo si stà.
Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l Tulipano, che
come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che loro fecondi?
Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante acquatiche sul
punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier cupide, e
aperte la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia, se
nell'ignoranza di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian. te,
che fitte stan sulla terra, si potesser congiungere per far la lor generazione
a guisa degli animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia, ma
certissima, e l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per l'unione
si feconda della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna pianta,
come sullo stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian. te dover
essere ermafrodite. Fil questo, egli è vero, un errore; perchè in al cune
piante i due sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma altresì, egli è vero,
la più parte delle piante alla classe ap partenersi dell'ermafrodite; oltr'a
quelle, che sono androgine, e poligame. G. appresso, il mistero passo a
indagare della generazion de’ vegetabili, con quella confrontandola degli
animali. Gran cose in prima osò egli dire sul la generazione animalesca. '
Immaginò egli starsi divise ne' liquor seminali de’due ses si particelle
analoghe al corpo d'ogni ani male. S'ideò egli queste nella unirsi, e l'embrion
formare del corpo or ganizzato. Il carnale appetito egli ri pose in quelle
particelle, che, separato trovandosi nel maschio e nella femina, ten. dono
naturalmente a unirsi. Ad abbondan za de' due semi la cagione ei riferisce del
parto o doppio, o triplo; e a scarsezza o disordine degli stessi la nascita
d'ogni sor ta di mostri. La prole secondo lui al pa dre o alla madre somiglia
in proporzione generazione i 2. del più o men prevalere del liquor semi nale
quando della femina, quando del ma schio. La ragione inoltre crede lui dare
della sterilità delle mule, che all' angustia attribuisce e obbliquita de
canali della loro figura. Varie spiegazioni va in com ma egli fantasticando,
che io piglierei ros sore di chiamar sogni, se chi han tratta to della
generazione, non avessero sinora sognato al pari di lui. Le molecole orga niche
di Buffon, i vermi spermatici di Le wenoek, l'uova di Bonnet e,di Haller, il
filamento nervoso di Darwin, non sono clie ipotesi più o meno, false o tutte
immagi narie. La fantasia inoltre, che tutte domi le umane, s' avvide G., poter
avere anch'essa una parte nella ge nerazione. Ricordava ei delle donne, che
aveaito dato in luce bainbini simili a sta. tue o pitture, cui quelle, essendo
gravi. de, aveano a caso fisamente guardato. Opinò egli quindi la fantasia
della femin na, non altrimenti del tornitore sul legro, na cose 2oho da ede lidt? po 12.06 maa Potere dar
forma, e simiglianza al feto. Non inancan.oggi, chi credono poter più operare
l' immaginazione del padre che alle quella della madre. Ma niun disconviene,
ato quasi secondo il linguaggio di G., che la fantasia o della femmina o del maschio,
giunge talvolta a tratteggiar, dirò cosi, le membra, e la fisonomia della prole
nel ventre della madre. Da si fatte cose, stabilitasi. anzi tem po da G. la
famosa analogia tra' vegetabili, e animali, trasse egli, e cona chiuse del
tutto eguale a questi duver es sere la generaztone di quelli. Ne men
dissimigliante tra loro, dice G., dover essere la nutrizione de gli uni e degli
altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il nostro filosofo, gli alimenti
scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è conveniente e accomodato alla loro
na turá. Ciò egli credea farsi in ambi due per via dell'affinità insieme e de'
pori. Dell'affinità cosi egli parlava. Siccome le cose amare all'amare si
uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on sullink ei de 1 dis Tec cer ci alle
dolci; ogni sinile in somma al suo simile: cosi gli esseri organizzati quel
pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e può nutrire ciascuna delle propie
parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de' po ri. La nutrizione, egli è certo,
separarsi e dividersi negli animali, e ne' vegetabili per mezzo de' pori, che
son differenti in dia metro. Le particelle, dette nutribi li, è certo altresì
non potere indistinta mente entrare per qualunque di quelli: ma ciascuna
insinuarsi nell' orifizio di que' bucolini, ch'è analogo alla propia gran dezza.
Un vino, egli dice, è diverso da un altro, attesa la differenza non che del
terreno ma della stirpe. Ecco come par, che il nostro filosofo avesse voluto
vie più assodar la sua opinione della forza dell' affinità, e de' pori, massime
su i vegeta bili (ch'è poi propietà d'ogni corpo orga nizzato) i quali giusta
la propia organiz zazione han da quelli preparato gli ali menti, e si rendon
capaci di saporé diverso. A senno dunque d'Empedocle la nu se su red nog Ila ti
co re со ali 71 Fari trizione si opera tra per l'affinità, e la ti que varia
ampiezza de ' pori per canali diversi, ce e va svariatamente, ma sempre in pari
re preciproco modo, vigore é aumento porgendo agli organi diversi sien de'
vegetabili, sien degli animali Empedocle frattanto, il modo volendo indicare,
con cui la nutrizione si sparge e dividesi fra gli organi diversi, abbiam noi
veduto essersi rifuggito all' affinità, ch'è certamene un'ipotesi. Ma che
maraviglia; se dopo la serie di tanti secoli da questo suo pensare non sono
mica iti lontani pa recchi pur tra’ moderni? Grande in verità e diligentissima
è stata oggidì la fatica de nostri fisiologi nell'indagare i fenomeni del la
nutrizione, Gli hanno essi ridotto a ' fat, ti, o a leggi generali, che son
propie e comuni a tutti i corpi organizzati. Nè pu re eglino han trascurato di
trovare nella contrattilità organica la forza, con cui gli alimenti son
trasportati in canali opportuni non sol negli animali, ma eziandio ne've
getabili sino all'alto delle propie foglie. Ma TX, ام د ገን
muito con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati nell'additar la
maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi. Non si nega oggi
darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè quel suc chino, e
tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal fatto pensa mento
mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle? E' troppo vero,
cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra speculazione e
fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole congetture, ed ipotesi,
Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli animali co' vegetabili nel
se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re. stava altro a lui che
applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi. Conobbe egli, che gli uni e
gli altri per via de' pori similmente traspirano, e quella parte degli alimenti
tramandano che loro è su perflua. Alla traspirazione di fatto attribuì costui o
il perdersi dagli alberi nella fred da stagione, o il serbarsi quelle foglie,
che dalla natura, non a caso, ma particolar mente sono ordinate al traspirare e
al nu trir delle piante. I primi, ei disse, tra spiran molto in estate, e
spossati levan le foglie in autunno. I secondi traspiran po co in estate, e
robusti ritengon le foglie in inverno. Fonda egli la copia o scarsez za del lor
traspirare sull' ineguale diame tro, e contraria posizion de' lor pori.
Gli uni a suo giudizio hanno larghi i pori del le radici, angústi quelli de'
rami. Gli al tri all'opposto angusti i pori delle radici, larghi quelli de'
rami. Però i primi più, succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I
secondi men succhiando e più traspirando perdon le foglie. Se una si fatta
posizione di pori, che immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle
osservazioni, avrebbe sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco
fastidio grandissimo stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell'
età organizzare ad arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto
dichiarare i fenomeni. Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi
abbian conosciuto e distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori.
Ma chi ha potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o
larghi o stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur
tuttavia a G. in parte siam noi debitori della ragione, che mostra il come
dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui
allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza
nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto,
quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli
più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno
rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le
foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che
l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son
giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle
lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove. Da ciò
essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo spuntar
del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che all'incontro
quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle gemme, debbon
vedersi nudi nella stege sa stagione. Che perciò? i nostri fisiologi forse san.
no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più di quel, che ne seppe
al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia convenuto oggi i moderni
le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di pori. Abbiano quanto si
voglia pure costoro af fermata la copia o della traspirazione o de' succhi si
travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che finiscan di vegetare, muoja no,
e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito tutti gli alberi dovere perder le
fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera. Ma k 2 26 de 60 fu NI tal
differenza non è se non perchè le fo glie di quelli più, e le foglie di questi
meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno alla nutrizion delle piante?
E non è questa la grande scoperta appunto d' Empedocle, e che forma uno de'
suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e gli animali au mento dal calore,
il goder di gioventù, il cadere in malattia, il giungere alla vecchiez za, sono
altresì que' tratti di simiglianza perfetta, che il nostro fisico andava a
quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che i vegetabili al par degli
animali si muv vano, resistano, si raddrizzino. Gran de com' egli era di mente,
e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’ ingegna va di legare il primo
con poche o comu ni leggi i due regni, che paion tanto di stanti e discordi tra
loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi presero maraviglia di questo
specolazioni di lui, e si ne restaron convinti, che si sforzarono aggiungervi
qual che cosa del loro, G. aveva già 0 PE C te 77 detto, che il seme senza più
è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero ed egli no procedendo più oltre' non
ebbero a schi fo affermare la pianta essere un animale fitto in terra per le
radici, e l'animale una pianta, che cammina. I moderni poi non han tralasciato
punto di assai profittar de pensamenti di G., cui mercè tira ta avanti la
traccia e allungati, diciam.co sì, i suoi stessi passi, sono iti scoprendo
nuovi rapporti, che agli attimali legan le piante. Le piante dormire come gli
anima li; respirare coni'essi; avere i lor muli; pro. pagarsi i polpi al par
delle piante; esservi animali (che son quei, che vivono attacca ti alle pietre
) che cercano la luce e vergo essa rivolgonsi, come appunto fanno le pian
te: questi e simiglianti sono i grandi ogo getti, su cui i moderni profittando
di G. si sono fissati. Ciò non ostante no tante, e di tal momento le
differen ze, che separano gli animali da' vegetabili, che non è stato
possibile di ridurli in tut. to giusta la pretesa di G. alle medesime leggi.
Pare soltanto che nel presen te stato delle nostre cognizioni tutto con corra a
dimostrare aver la natura espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore
mola il gran fenomeno della nuova produzione de' corpi organizzati. Questa
appun to cercò, e questa rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso
nelle piante, e conobbe il seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente
le piante, come gli animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle
su gli esseri organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a
indicare la forza, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la
mancanza de' fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras.
sodare i suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che
vo gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell'
umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare,
scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda alcuno, ch ' ei qual
poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili e gli
animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco pre;
finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi lega
mi sono immaginari e non reali. Molti sono i cosmogoni tra gli antichi, Ma G. solamente
s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la generazio ne negli
animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare questi a quegli esse
ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova più le somiglianze
delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo, con cui il nostro
Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI -- aju tava la sua mente, ch' altro non era,
nè esser poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa
suole, argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder
somiglianze. Se dunque G. e col favor dell' analogia pro pose congetture, che
poi si son trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dirsi ch' egli fu
nobile di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose
naturali., Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove
specolazioni, G., posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli
esseri organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a
considerar l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa
recchie fisiche scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo,
cui i corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. G., Anagsagora,
De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e
tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si
regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra
ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino
allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o
politico. Ma ' le fisiche ricerche di G. sull’ Uomo trapassarono di gran lunga
quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era, si mise in
investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti furono i punti
di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al trettante può
dirsi essere state le scienze, cui diede principio il vigor di sua mente. Egli
il primo applicò la chimica, e sie a nalisi al corpo umano; segnd le prime li
nee d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre almen generosi a
gettare i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema di G. sulla
natura fu chimico; così chimiche del pari furono le sue prime ricerche
sull'uomo. Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto più allor
si potèa, ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma posta di
parti eguali di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di fuoco e di
terra sono formati i nervi, e le unghie son similmente nervi raffreddati
dall'aria. VIII furon le parti, ch'ei distinse nelle cosa: due di terra,
altrettante di acqua, e quattro di fuoco. Se non si corresse un qualche
pericolo di travedere, chi non direbbe aver lui trovato l'ossa abbondare di
fuoco, perchè abbondan di fosforo? Ma che che ne sia, non v'ha dubbio, aver lui
dato principio con sì fatte analisi a un novello rano di chimica Ramo, che dopo
G. fu del tutto posto in non cale: ma che oggi, attesa la sua grand' utiltà con
ardor si coltiva, e che va sempre più smisuratamente crescendo sotto il nome di
chimica de corpi organizzati: Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra '
Greci, che s ' applicarono con som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co
storo, vinti gli errori della religione e de' tempi, aveano cominciato a
coltivarla De mocrito in Abdera, e G. e in Gergenti, NON GIRGENTI. Descrive
quest'ultimo la spina del dorso, e tienla, come di fatto è, non ' altri menti
che la carena del corpo umano. Distingue egli di più inspirazione da espi
razione mostra i canali per cui si respira dalle narici. Ricerca egli inti ne
l'organo del sentire, e trapassando il neato uditorio, discopre quella parte
dell' udito, che attesa la sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e
chiamasi anco ra la chiocciola. Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni
anatomiche, che per sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco
mostra il suo gran sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse',
il rottape d ' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la
magnificenza di un edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta
della chiocciola dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi
scrittori', essersi il nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che.
Questa situata in luogo riposto dell' udito non si potea discoprir certamente
se non da chi fosse stato molto prima versa - to e perito nelle materie
anatomiche. Meno scarse son le notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi
dell’ Uomo: e che per fortuna ci restano della fisiologia di G. Il sangue umano,
come ciascun sa, sempre alto, e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il
calore. Ippocrate pien di maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e
divina. G. all'opposto eb be il calore, come cosa ingenita e conna turale al
sangue medesimo. In cid a lui s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristotile,
Galeno, e tanti altri, Ma egli fu il primo, che a formare un sistema, trasse
dal calore del sangue, come da prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma
certo artificiosa, delle funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle
arterie a véano gia indicato al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma
igno ta era a lui ', come ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue.
Però in ve ce di questa suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione.
Il sangue, ei dicea, occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in
queste va quello giul $ u continuatamente oscillando. La for: che lo stesso
agita, era secondo lui il sangue si za calore:. e questo essendo ingenito al
san. gue costante ne mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal movimento legò
il nostro filoso fo la respirazione, altra operazion della vi ta. Quando il
sangue, ei dicea, va giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s ' insi nua ne'
sottili prominenti meati delle vene, ed entrando occupa quel vano, che nell'
andare si lascia in queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l' aria quivị
restarsi: perchè il sangue, secondo G., spin to dal calore, e su tornando,
preme dolce mente quella, e fuori la caccia col suo ri tornare. Accade, seguiva
egli a dire, ciò che nella clessidra si osserva. Ivi l' aria respinge l'acqua,
o da questa quella è re spinta. Non altrimenti nella respirazione l' aria esce
o entra secondo che il sangue si porta o giù o su nelle vene. Però all'an dare
o venire del sangue risponde alter nando il venire o andare dell'aria. Ques sta
forma, entrando, l ' inspirazione; ilscendo 'l' espirazione e nell’unal e nell'
altra è riposto giusta il suo sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella
respirazione esce ed entra nelle vene toglie al sangue a giu dizio di G. una porzion di calore. Ciò indusse gli antichi
medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar coll'aria fresca e
matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque cagionava secondo il
nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli iuferiva la necessità,
che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti egli diceva; null'
altro essere, che dimi nuzion di calore. In quella parte quindi di fisiologia di
G. che riguarda le funzioni vitali, il sonno vien dal respirare, e questo dall'
oscillazione del sangue. Sicchè sonno, spirazion, movimento di sangue tra lor
son connessi, e tutti quanti a un tempo dal calore provengono. Nel calore in somma
e' pose la cagione di vita e di moto. La morte, egli dicea, è privazion di
calore però riguardava sonno come.egli il principio di morte. Giacchè questa, a
suo credere, è privazione, e quello diminu zion di calore. Tali principj di
medicina, ch'eran teorici, guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel
piccol' calore., da noi già osservato, che ritenea la donna Gergentina –
GERGENTI, NON GIRGENTI -- caduta in asfissia conosce G., ch'ella era ancor
capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è vero, che la sua pratica era
alla sua teorica con corde, e questa per l'andamento naturale del suo spirito
era legata tutta e formava un sistema. Ecco in qual povero stato erano allo ra
l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in breve del corpo umano. Nuda era
questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi. Ma tale è la condizione delle
fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a stento s'accresco no, e vanno non
di rado alla verità per la via degli errori. A chi allor poteva vee nire in mente,
che l'aria nel respirare' in luogo di toglier calore, ñe porga al sanana? gue e
ne porga gran copia? Come potea G. anticipar specolando in que di tante yerità,
che suppongono la cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di fatti, che
allora ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po che e
imperfette linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma tali
schizzi, avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli degnissimi
di sua gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia delle
scienze. Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di
mostrare almen da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi,
e che del tutto s'igno rano. G. fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del
corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo
la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le
principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe
certamente lasciato ad altri la gloria d' accrescere queste utili scienze. Ma
nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo
opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni,
che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la
fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e
get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i
sensi dell' uomo, Andano i corpuscolisti indagando pra d'ogn'altro nella lor
fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che, son
fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in
alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran
queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri
organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse
spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che
impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli
oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. G. intanto non dissenti
mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non se ne
mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a uno a
uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione. Fece
egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al lora non
s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non es ser
lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e dominan
ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona i
corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo
argomento. Trattando G. dell' odorato, e del gusto non altro mette in opera,
ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s '
acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei
soggiunge, cosi e non altrimenti indagan futando l'orme della fiera, Che se il
catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo tosto
s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente. Tratta egli appresso
dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana tomia il suo
nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell' aria nel la
parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro, stando
essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era allor
grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe G. un
de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di quelle, che
coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia era egli
dubbio e incerto. G. nondimeno giunse a comprendere dover la luce avere gran
parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto si fosse ei
travagliato, nol potè af fatto conoscere. Suppone il nostro filosofo entro
dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco nativo. L'una, e
l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo più sono ineguali.
Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli af ferma abbondar
di fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser poveri di fuoco s
ricchissimi d’aequa. Però ei soggiunge gli uni mal veggon di notte per difetto
di acqua; e gli altri veggon male di giorno per iscarsezza di fuoco. Ma sía o
poca, ó molta la luce che stanzia nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro
una lanterna. Lo splendore del lume, ei dice., fuori della lanterna si span de,
e nella notte ci guida. Così i raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e
ci di mostran gli oggetti. G. talora aga giunge a raggi della luce i
corpuscoli. I raggi secondo lui, che dall'occhio si lancia no, prima s'
imbattono nelle particelle, che si spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si
congiungono giusta il medesimo: e insiene congiunti si portano all'occhio, e
muovono il senso visivo. Aristotile disapprova tali pensamenti di G. La visione degli ocohi, egli dice, è da
riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco. Nella storia dello spirito
umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e ' l falso al
falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera il nostro
filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere ora i
raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli. Ma in ciò sem bra
Aristotile a torto riprendere G. . Non sapea persuadersi il nostro Gergenttino
– GERGENTI, non GIRGENTI --, che totalmente passiva fosse la se de del senso
visivo. Non potea egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel
gran magistero del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e
delle spiegazioni volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca !
Dubitar del le opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil
passo, che si può fare verso del vero. La fisiologia, che va a di nostri spa
ziando per tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla
morale. Quest' unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze,
fu dirò così presen tita dal nostro Gergentino – GERGENTI, NON GIRGENTI. E di
fatto sul la sodissima base della fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che
l' altra. Da che Pittagora, e Parmenide di VELIA ab bandonarono i priini la
testimonianza de' sensi, come ingannevole, i Greci tenzona chi contro la
ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella vennero quindi in discredito: 6
sorsero intanto i sofisti, e gli scettici. Socrate, Ippocrate', e altri di si
mil sorte tentaron conciliar la ragione co ' sensi. Ma vani furono i loro
sforzi. Duro la gran lite durante la Greca filosofia. La stessa rinacque al
rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si pugnò allor quando contro i sensi,
quando contro la ragione; e di nuovo si giunse allo scetticismo. Ma nggi simili
dispute sono già state bandite da noi; e si terran lontane, finchè lo studio
rono, 95 delle fisiche, e delle Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne'
tempi di G. la scuola di VELIA orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i
sensi, e a inalzar la ragione. Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no,
immutabile. E come i sensi ci mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile;
co sì essi c' ingannano. Però conchiudean co storo la ragione poter sola
conoscere cid, che è, ed essa solamente decidere della realtà delle cose.
Contro i medesimi entrarono in lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo
sotti. gliezze di quella scuola, fisici com'erano, difesero i sensi, senza
annullar la ragione. Anagsagora con sottile avvedimento distinse le particelle
simili da ' loro composti; Democrito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia
pedocle gli elementi dalle lor combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi,
dicean costoro, sono eterni, immutabili. Non son tali le combinazioni, gli
aggregati, i com posti, che mancano, e cangiano. Questi si conoscon da’sēnsi,
quelli dalla ragione. Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e
ragione: assegnando a questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e
distinte. I corpi, come composti, operano a senno di G., e di Democrito su i
nostri organi, che sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni;
ma queste a parer d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia
avea tal mente confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con
quelle, e tenea le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli
altri. Non così pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le
sensazioni dagli oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come
soli, e semplici modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il
ne ro, il caldo o il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne'
nostri organi, nelle nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro
quindi solean chiamare co 1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione,
e non gia di verità, e di realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non
perciò crede G., co me alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere
immaginarie. Cangiano queste, vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo
stato de' corpi, o come s’ înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e
reale è altresì il sentimento, che si desta da' cor pi. Tal' è della sua
dottrina, al pari di quella di Newton intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o
rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce, che percuoton l'occhio, sono o rossi o
gialli; ne' rossi ne' gialli so no i corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò
il giallo è in somma nell'occhio, e nell'impressione, che in esso fanno i rag
gi di luce: Così a creder di G. le sensazioni sono reali. Ma le medesime non
rappresentan mai le qualità, che ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che
altret tanti modi del nostro sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO,
n 98. E 1. i corpuscolisti, esser la via, con cui s'ac quista da noi la
conoscenza degli elemen ti, o degli atomi. Questi non si poteano secondo loro,
come semplici, conoscer da' sensi, che sono composti. Ogni simile, era antico
assioma, non si può conoscere, non col suo simile. Però Democrito e G., tolta
a' sensi la cognizione de' sempliei, la riservarono all'anima. Per questo
l'anima, giusta Democrito, era for mata d'atomi; e secondo G. degli elementi, ma uniti alle due forze di
amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r
acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e
l'amore altresì l' odio, e l'amore. G. portava, dove potea, l'oc chio alla
fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta
anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di
siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come G. in tutto, e sempre e
concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue, che asperger
e bagna il cuore dell' uomo. Perchè ripostosi da lui il principio e di moto, e
di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea ripor l’anima; Era questa
dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de' sensi. Ma ambidue ricevevano
le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen si dalle combinazioni. L' una
acquistava la cognizione delle cose eterne, e immutabili, e gli altri la
notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni in somma oporavan sulla
macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi sull'anima, come com
binazioni su i sensi: e quella et questi e ran passivi. Nacque da ciò, che
Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione: l'intel letto altro non
esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare ogni cogni zione, e
scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro filosofo, affermo,
pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100 anima stanziarsi
nel sangue. Ma G. non si fermè quì al par di costoro: passò molto innanzi. A
parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne sup pose egli entro
noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle cose intellet. tuali
e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a guisa de corpi; ne un
unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice, non ha forma nè membra
umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le mani. Iddio è santa
mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni verso co' suoi
veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua vita è il pensare.
Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di Domocrito, e le cose
materiali: per tornare alla SETTA DI CROTONE, e alle cose, intellettuali. ins.
L'anima dunque, destinata da G. a conoscer cose spirituali, e divine, dovea
essere, e fu per lui altresì senza dubbio spirituale, e divina. Questa procede,
secondo che dicevano Empedocle, e i Pittagorici, da Dio, ed era particella del
la sostanza divina. Se ne appresentavano essi la ġenerazione sotto varie
immagini: or di fiaccola, che tante altre ne accende; or d'idea che tante altre
no genera; or di parola, che trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o
di cose simili, che sarebbe lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse
agevolmente popolarono il mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran
partecipi della natura divina. Di questa classe prese dirò così il nos,. stro
filosofo le anime spirituali. Le due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo
dell' uomo forman la primaria base di sua me tafisica dottriną. Una egli
sostenne essero immateriale, materiale l' altra, ' quella ese sere immortale ed
eterna, e questa mori re insieme col corpo: la primą versarsi in contemplazion
di cose intellettuali, e astrat te; e la seconda in cognizione di elemen ti, e
di due forze odio, e amore.. Ma non mancherà çerto, cui si fatta opinion di
dire anime in ciascun corpo di o gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna
della gravità d'un filosofo: Ma chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi
fin' og. gi ci ha detto cose più vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima
col corpo, e sul reciproco loro influsso, e commercio? Chi presi di boria,
annullato lo spirito, tutto riducono a macchina. Protagora volea, che
giudicare, e ragionare fosse la stessa facol. tà del sentire. Ma questa è
un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano l' unità del pensiero, e l'attività
del ragionare dell' uomo. Taglián costoro, come suol dirsi, non isciolgono il
nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato dirò così il sistema organi co, tutto
l' uomo riducono a spirito. Stahl volea, che l'anima sola operava tutte quan te
le funzioni del corpo. Ma questa è u• na falsità, e una follia. Talla dimostra:
no i movimenti involontarj, e organici. Voglion costoro, como suol dirsi,
occultare il sol colla rete. Chi poco più 'ragionevoli, pigliata una via di
mozzo, vollero.combinare ambidue le forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz
volea un'armonia prestabi lita, cui mercè lo spirito segua ne' pensie ri,
voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto: Ma questa è una ciancia, è una
fola più complicata della cosa stessa, che si vuole spiegare.. Lo spirito umano
in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò, tanto più, o meno bizzarre, quanto
più o meno son le. teste scaldate di tutti filosofi. Nè vi è inoltre mai stata
ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e non ab hia avuto assai partigiani:
tanto vale quel la specie di prestigio, che la novità ope ra sull’intendimento
dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’ Empedocle abbia sup posto in ogni
corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto delirante, quanto Protagora, tutto
macchina; nè tanto immaginario quanto Stahl, tutto spirito; nè cost fantastico
qual Leibnitz tutto armonia pri initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa
dottrina di Protagora, che le idee spirituali non procedono dal sentire. Svi
104 luppò anzi tempo contro Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della
vita con fisiologiche ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne G.
alla fine l' erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni
esser capaci di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e
poscia., atteso il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è
quindi G. colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di
tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema
intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe
di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono
recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il
tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a
mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo
presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno dana,
prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e
l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono
essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o,
diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. G. di fatto secon do la
testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola
ragione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome di
retta ragione. Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può sola discer
nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime di G., non rape
presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà intellettuale, e ambidue
faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare G. cole locato tra la classe de'
filosofi scettici. Egli non mai affermd essere inutile, o va« na la
testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli disse, mostrarci i rapporti, che
han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo d'ognuno. I sensi, egli disse
del pari, sve. gliare nelle intellettuali facoltà le idee spi rituali, e,
astratte. Al più al più diffida va Empedocle de' giudizi de' sensi, che so
vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però egli volle, che i medesimi
fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta ragione. Questa potea solo a
sentimento di lui discer nére il falso dal vero. Forse, dicea ai suoi tempi
Cicerone parlando di G., costui ci acceca, e ci priva de' sensi; allor quan do
egli crede, che non fosse in essi gran forza per giudicar di cose, che sieno
sot toposte agli stessi? Par, egli è vero, Empedocle degli e lementi trattando,
quali esseri semplici, ga gliardamente scatenarsi contro de'sensi. Par lui
scatenarsi altresi contro gli stessi, allor ehé, dirizzandosi al suo amico
Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell' odio, ambidue forze immutabili,
gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a guardar le cose non già cogli occhi
del corpo, ma con que' della mente. Pare eziandio finalmente, giue sta cid,
che., CICERONE ine dice, lui andare in furia, contro i medesimi gridando: niuna
cosa poter noi nè veder, nè sentir, ne.co noscere: Ma altri, che questi
'argomenti ci vo gliono a definire come scettico il nostro fi losofo. Chi è
intento a esperienze e ad a nalisi; chi cerca con somina cura de' fat ti; chi
da questi tenta d'investigare l'ope razioni della natura sotto la guida dell' a
nalogia: certamente non sa, nè può esse re scettico. I fisici potranno non
prender cura di cose spirituali, e astratte; ma non mai l'esistenza negar di
que' corpi, le cui propietà con ardore cercano, e la cui in dole con diligenza
studiano. L' espres sioni quindi di quelle parole, non v'è dubbio ' dover
valutarsi secondo e il pen sare, e il parlare di quella stagione. Si chiamava
allora pero, e ciò che è; quel ch' è eterno, e immutabile, o sia quello, che
sotto i sensi non cade: Però Empedo cle a ragione parlando di elementi, e di
farze, come quelli, che sono eterni e immutabili, rigettd affatto i sensi: @
niuna cosa noi, disse, mercè loro potere o ve dere, o sentire, o conoscere. Fra
tanto, chi il crederebbe? che nel volersi definire il carattere, o la dottrina
d'uno stesso soggetto, si passi anche da' gran filosofi da uno all' altro
estremo del tutto contrario. Anche i grandi uomini tal. volta precipitano i
loro giudizi, e nel pre: cipitarli ·traveggono. E' cosa da farci stor: dire il
sapere, che la dove alcuni filosofi dichiaravano scettico G.; altri all!
opposto avessero lui materialista definito, Aristotile, e altri con lui tacciano
di materialismo il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI. Nel siste ma di
G. il pensare, dico Aristotile, lo stesso val che il sentire; ogni nostra
cogaizione viene dalle sensazioni: e con que: ste quella s' accresce. Ma questo
stesso è altresì una calunnia. Passivi sono, 4. senno di G., i nostri sepsi;
pas siva è parimenté una di quelle due ani me, ch'egli suppone materiale entro
noi. Pero la nostra scienza, disse egli, accrescersi colle nostre sensazioni.
Ma dall' una anima e dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e
intellettuale, si forma, come a lui piacque, quella ragiono, che noi già
abbiamo osservato. Questa, secondo 'lui, pesa, compara, giudica: in breve
ragiona. Due sono i principj, giusta gli avanzi di sua filosofia, cui mercè la
ragione rettifica i giudizi de' sensi. Primo: il nulla viene unicamente dal
nulla. Secondo: il simile si può solamente conoscer col simile. La ragione
quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni a tali, e ad altri principj (se
pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll' ajuto di questi quella ci mostra
il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal essere lui, qual co lo dipinge
Aristotile, un materia. lista? Chi ammette principi di conoscere; di giudicare,
assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni, immutabili non può affatto cre dere,
che il pensare lo stesso sia che il sentire, nè punto può essere imputato co
stui di materialismo. Non v'è uomo, quanto si voglia grana. de, che non abbia i
suoi nei; e anche i gran genj sono soggetti sovente a censure. Si dice di G. in
metafisica non essere stato lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce?
Nulla meno. Si bisogna esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì
impaniarci, che ci debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure G.,
al par de' corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. G.
qnal allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le
idee da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli
ritenne, che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da'
medesimi (e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui
rigettato del tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di
sedare colla sua nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi
contro del, la ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente
congiunse i sensi cola la ragione, a questa, e a quelli assegno uffizj, e diritti separati e distinti: e sen
za nulla scemare dalla realtà di nostre sen sazioni, gran forza, e autorità
diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti i corpusco listi furono in
quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi al nostro filosofo; e
tutti egualmente in metafica tennero le parti di conciliatori tra i due partiti
allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u mano. Fatica egli senza
stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è sospin to dall'ardor del
partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei di meditare, o pugnare,
cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le opinioni contrarie si
lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in somma ciò, che la storia
filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto. di due opposti sistemi
n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto. Anzi quando molti in
contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon gli ecclettici, che
scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro, tutti con accozzano i
partiti tra loro, e li riducono et uno. Sarebbe tempo ora mai di volgerci dalla
metafisica alla morale di G.. Ma portatesi assai più avanti da lui le sue
ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi pure per ora d'imprender
tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la dottrina di G.), essere
stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro si distinse, e cui mercè alto
ha so nato, e sonerà eternamente il nome di lui. Mà nello studio della
natura quello, che più l'allettava, e cui principalmente egli intendeva, era la
contemplazione de' corpi organizzati. Riferi egli da prima (sic. come abbiam
noi pure os servato ), gli a. nimali a ' vegetabili, e da questi portando
le sue specolazioni sull' uomo giunse sino alla metafisica. Dall' uomo poi
tornò G. ad ambidue quegli oggetti quasi al le sue considerazioni primjere,e
domesti che · Ando egli indagando, se i vegetabili fossero stati provveduti di
gentimento, e se gli animali e vegetabili fossero stati tutti due al par
dell'uomo forniti di anima. Si fatta investigazione non fu punto difficile al
nostro filosofo, come chi piglia va l'analogia per sua guida. I corpi non
organizzati, egli dicea, nulla hañ di comu ne co' vegetabili; perd se quelli
son privi di senso, questi all'incontro nę debbono esser partecipi. I
vegetabili all'opposto, ei sogglungea, molto aver di comune cogli a nimali. Ambidue
han tra loro comu. ni le primarie funzioni vitali: son dotati di sesso, si
nutriscono, crescono, traspira ban gioventù, han yeochiezza, han no
indozzamenti, malattie, sanità, nasco no, muojono. Però se gli animali son for
niti di sentimento, anche i vegetabili in ciò debbono essere a quelli compagni.
Fu quindi sua opinione essere gli alberi, 6 le piante capaci di tristezza, di
gaudio, di voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno; e di ogn'altro
animalesco appetito. Anzi spingendo egli più oltre la forza di sua analogia,
posti eguali i fisici rapporti tra l'uomo, e gli animali, e tra questi e i
vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima materiale non fosse un
privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne eziandio a tutti quanti
i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli die de, non che agli
animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a ogni sorte d'erbe, e
di piante. ANIMA e sentimento da G. a’ vegetabili ! fiori che si rattristano;
erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o piangono ! Quanti, non
che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma ne rideranno ancora al
sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più istrutti, non ignorano
punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni abbracciaron si fatta
sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono re, perchè, abbia in
cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò sarebbe un argomento
d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro: perchè filosofi '
ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani, e massicci. E' che la
co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista apparisce. L'anima
materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li ammesza, in
sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni. Questa vole van
costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si trova: In virtù
di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli animali ésser
capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe docle in breve,
e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come do tati di
senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso potrà dirittaa
mente riprendere G.? Di poi non vi sono a di nostri de ' fi siologisti famosi,
che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di caldo, di fred do, di
luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o aprono i loro pe tali
atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune o lo scuro? Non vi
soa no del pari quelli, che veggon nelle
pian. te, chi il senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore,
come nella valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice,
cui mercè questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a
ciascuna? Non son finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é
credono d'aver già trovato ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo
egli è dunque, se G., che ne' suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia
u. nito insieme tutti i corpi organizzati per via della fisica sensibilità, che
credea essere a quelli comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e
separato il vegetabile dall' anirnale con differenze, e caratteri ben
contrassegnati, e rivissimi. Ma l' estendere la sensibilità dagli animali sino
alle piante è una idea grande, bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è,
chi a prima vi sta non ne debba restar preso, e non bra mi trovar vera quella,
che vera sin ora non è. Ma comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, G.
aver riguardato i corpi organici in un aspetto diverso di quel, che fece
Pittagora, o i filosofi prima di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero
di considerar le piante, di bruti, come dotati di sentimento, e di anima, G. fu
il primo, almen tra pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu, cho ebbe e
uomini, e bruti, e piante, quali esseri congiunti tra loro dalla sensibilità,
come quasi comune strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un' anima
materiala egualmente. Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo colle
piante, o co ' brus ti ad alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella
ideata parentela, con cui e gli legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si
vede su qual base vada a poggiar la morale di G.. Sulla fisica fondo ei la sua,
metafisia ca, e su quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra scienza.
Con si fatte vedute costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura il primo,
e gulle purgazioni il secondo. In questo G. stabilì la sua etiça; in quello la fisica: ma
fece precede re il primo al secondo, come argomento pri mario della sua
raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in verità nel suo fondo la stessa di
Pittagora. Pu re lni citano gli antichi scrittori, come chi. avesse alterato la
prima antica dottrina di quel sommo filosofo, e i tempi di lui ad ditano come
la seconda epoca del pittago ricisino. Ma ciò avvenne, perchè G., aggiustata la
morale di Pittagora a suo modo, e conforme al suo fisico pensa rė gi scostò al
quanto dagl' insegnamenti di lui. La colpa degli spiriti; una diversa maniera di
metémpsicosi: l'astinenza di qualche sorta di cibo, furono in tutto le gran
novità, ch'egli introdusse nel corpo della morale di quello. Tra queste come
principale, e primaria è da reputarsi l'o pinion della colpa degli spiriti. Non
d ' al tra fonte, che da questa, qual prima ca. il.119 gione, il nostro
filosofo fece dipendere la metempsicosi e le purificazioni, che sono i due
çardini della morale pittagorica. Fu opinione di G., che varj spiriti, mentre
menavano yita beata, avesser pec: cato. Però a cagion di delitto, si credet te
da lui, quelli, scacciati dal cielo, e pri vi degli onori divini, essere stati
così astret ti ad espiare i lor falli. Esuli, erranti, ra minghi, egli diceva,
vanno lungi dal cie lo per trenta mila anni, e pagan vagando il fio meritato
del propio loro delitto. L' etere quindi, e' soggiungea, precipita gli spiriti
nel mare, il mare sulla terra gli sbalza, la terra gli sospinge nell'aria, l '
aria sino all' etere gl' inalza. A quelli sų giù sospinti perciò, e quà e la
circolando risospinti, oyunque era d'uopo in mare, in aria, in terra vivere in
miseria e in lutto. Tali spiriti, secondo che piacque a costui, andavan
successivamente informan do varj corpi, e questi appunto erano le infelici
anime degli uomini. Queste quindi stavano in pena delle lor colpe racchius e
ne' corpi; i corpi eran le prigioni delle ani me, e la matempsicosi, di cui
Empedocle formo il primo cardine di sua morale, giu ata il parer del medesimo,
era una pena delle stesse, ch'aveano prima fallato. Di si fatta reità delle
anime che ragion fa della metempsicosi, non si trova vestigio alcuno presso
que' filosofi, che furono in nanti di G.. Questa per la prima volta si legge
ne' versi di lui. Ai suoi tem pi fu, che la medesima divenne comune, o volgare:
e Platono dopo fu quello, che l' abbelli sopra ogn' altro. Pero da G. comincia
una nuova età del pittago ricismo; perchè da lui comincia l'opinione della
fallenza delle anime, qual base e ra gione della trasmigrazion delle stesse.
Egli è vero, la metempsicosi, comu ne a pittagorici, essere stata antichissima
presso gli Egizi. Non si dubita ne anche aver costoro diviso in più periodi il
tempo della trasmigrazion dalle anime, assegnato a ciascuno la durata di tre
mila 121 anni. In ogni periodo, credeano i medesi mi ogni anima, informato
prima solamen te il corpo di un uomo, andar poi tratto tratto passando non più
ne' corpi d' altri uomini, ma di qualunque animale,. che abita o l' aria, o il
mare, o la terra. E' vero altresì tal dottrina essere stata dall' Egitto
portata da Pittagora presso de' Gre ci. Non si dubita nè pure i Greci filosofi
coll' andar del tempo averla molto alterata. Altri restrinsero la metempsicosi
ai soli corpi umani, altri pari agli Egizj ľ1°. estesero dagli uomini ai bruti.
Vi fu pa. rimente, chi disse que periodi esseri tre, chi dieci, chi nove. Nè
mancavan di quei, che ridussėro la durata d'ogni periodo da tre mila a soli
mille anni. G. fra tanto afferind il nume ro di que' periodi esser dieci, e la
durata di ciascuno di tre mila anni. Ma l ' anime secondo lui migravano in
ognuno di que' periodi in ogni sola volta nel corpo d'un uomo, e in tutto il
resto a ' finire il cir colo di ciascun degli stessi, andavano mion che ne'
bruti, ma eziandio nelle piante. Sono fanciullo, dice G., sono donzella,
augello, albero, pesce. Chi è or, che non vegga esser questa un altra delle
alterazioni recate da costui alla metempsi cosi di Pittagora, e degli Egiziani?
Questi la voleano solamente negli uomini, o ne' bruti. Empedocle agli uomini, e
a ' bruti aggiunse la trasmigrazione ancor nelle pian te. Ma non si creda mica,
che tale ag giunta d'Empedocle alla dottrina della me tempsicosi di Pittagora,
e degli Egiziani, fosse stata in lui l'opera del capriccio, o del caso. Sarebbe
cid indegno di un nuovo, e original filosofo. Chi si risovviene del fisico
sistema del primo, conosce che si dovea far certamente quest' alterazione
notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa aver avuto G. le piante, al
par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima materiale. Ma non così
aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero quegli fece passar le anime
e dagli uomini, e da bruti alle piante, e questi cre dean, che le anime
migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti. Le a mirne in somma in
forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare informando tutti que' corpi,
che in qualunque maniera fos. sero stati organizzati. Ecco le due novità recate
dal nostro filosofo alla morale di Pittagora, ma novi tà ben legate tra loro
qual cagione ad ef fetto. Alla colpa delle anime aggiunse G. la metempsicosi,
come al delitto va compagna la pena. Ma quel ch'è più, a questa e a quella
unite insieme andò egli pure legando la demonologia: articolo fon damentale
della teologia de' pagani. i Vedea egli quasi ingeniti all' uomo i semi si
della virtù, che del vizio. Allor si pensava lo spirito ' tendere naturalmente
à cose spirituali ed eterne, e la materia al le materiali e caduche. Credette
ei quin di i semi della virtù nascer nell' uomo dall' anima, e gli altri del
vizio nascere in lui della materia. Ma l'anima, a suo predere, chiusa nel corpo,
restava contamina. ta dalla materia, e. però era sospinta assai più verso il
male, che il bene. Oimè, di cea egli, come è misero, come. è infelice il genere
umano. A quali guai, a qua li pianti non è ei sottoposto Queste due tendenze
dell'uonio al be: ne, e, al mal fare raffigurò G., giu. sta il costume di
quell'età, sotto le imma gini di due opposti genj. Due, egli disse, sono i
genj, che quali direttori delle azio ni degli uomini, accompagnano ciascun uo «
mo in tutto il corso della vita d ' ognuno di loro. Buono è l'uno, l'altro è
malva gio. Il primo guida, o conforta lui alla virtù; il secondo spinge e
conduce il me desimo al vizio (94). Ma ambidue questi genj non indicavano, che
questa stessa dop pia tendenza. Pure tutto il volgo allora venne nel credere,
che ciascun uomo dal nascere al morire fosse' stato realmente as. sistito da un
genio buono, e da un altro malvagio. Tanto egli è vero, che le im magini, sotto
cui adombravano gli antichi filosofi le loro specolazioni, fossero state ca
gioni di superstizione, e di errori. L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al
male, ma è capace altresì d' ope. rar l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti
vizi di fatto ei mette in pratica ! Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc
cle di designare sotto la figura di genj. Singolari, non cho speciosi furono i
nomi, con cui egli distinse i demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le
sfrenate passioni degli uomini, De nomi di Chtonia, d' He liope, d'Asafia, di
Nemerte, o di parec shi altri ne sjamo debitori a Plutarco. Singolari eziandio,
non che speciosi, esser dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta
classe di genj, che rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli
uomini, Mą il tempo, che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a
noi. Pure è sfuggita da sifatta ingiuria la nominazione, con cui G. appelle
virtù, felice prodotto, delle regolate passioni. I pittagorici furono usi
chiamare il mondo spelonca, e G., qual pittagorico, chiamò le virtù, e passioni
virtuose ' potestà conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo, come in un
an tro. Il popolo, che in ogni cosa vede portenti, e finge de' genj, accolse
quasi revelazione venuta dal cielo, la de monologia del nostro filosofo. Gli
antichi scrittori, pari al volgo, non compresero nè pure il vero intentimento
di lui. Que sti però dipinsero G., come chi avesse popilato l'intero universo
di demo nj, e attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di natura. Ma questa
stessa dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e teurgia fa mosa di G..
Questa, in que' tempi cra un metodo di purificar le anime col favore degli Dei
benefici, che dovean con dir quelle all'unione con Dio. Gli Dei bendici non
eran che virtù astratte deifi. cate da lui: è nella pratica delle sante o pere
era riposto tutto il culto di quelli. Credea egli, non poter le anime ritornare
agli onori divini, da cui erat cadute, che coll' ajuto di quegli Dei, perchè
credeva altreşi non potersi quelle inalzare a Dio, che coll' esercizio delle
sante virtù. La teurgia in somma di G. e un retto, e diritto nietodo di
purificar le anime colle opere buone. Sembra cosa veramente incredibile che
uomini abbandonati al debile filo della pro pia imbecille ragione, e privi di
qualunque superior lume di rivelazione divina, avessero potuto architettare un
piano di quasi per fetta morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta
i pittagorici avesse po tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e
virtù, ma pena dovuta al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè
menomisssima parte, o abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no,
essere un santo giuramento si spaccia va a tutti da G.. Ciascun anima
avvegnachè virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a
Dio, se non compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. Le purificazioni
altro cardine della morale di G. eran propiamente, secon do tutti i
Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in
quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime
potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i
periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar
si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri
riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di
purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista
o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli
augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da
Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli
uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù?
L'110 - mo materiale si solleva dal
mondo materia le merce cose eziandio materiali. Le cerimonie, ei riti sono i
soli, che colle san. te immagini níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose
impure alle pure gli inalza no. I riti sono il verace linguaggio de sen si, che
efficacemente parlando destano la fantasia. A questa è sol conceduto ' creare
tra il mondo materiale l'altro spirituale: Disadatto pure si crederà forse
essere stato lo studio delle scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo,
che aliena lo spirito: dai vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e
che sveglia in lui le idee immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì
l'anima, esercitata nelle cose dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del
corpo, e. dalle false opinioni del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno
quello de pittago rici, che collo studio delle severe discipli ne fosse tornata
alle nostr' anime la mé. moria delle cose divine. Ma certamente all' opposto è
un dogma incontrastabile,. che tanto più la nostra mente si allontana dalla
materia e dagli appetiti carnali, quan to più la medesima s' aggira sulla
contem. plazione o de' principj delle cose, o delle matematiche, o elogn'altra
scienza. Ma in verità e uso di riti, e studio di scienze, e ogni qualunque
altra cosa, che avessero potuto specolare gli antichi, sa rebbe lor tornata
inutile, ne sarebbe mai giunta a purificar nè meno da lungi le a nime, se a
tutto ciò non avessero costoro accoppiato del pari la pratica della virtù.
Questo in fine dovea essere il bersaglio, cui dovean dirizzarsi que' grandi
filosofi: o questo l'ultimo e principal metodo di pu rificazione. Non si può
infatti ne pure ideare quanto studio avessero posto costoro ad astenersi da
ogni ancorchè minimo fal lo. Tutti quanti (tranne il loro raffinato orgoglio, e
la loro squisita 'boria e super bia ) furono del tutto.virtuosi. Di e nota te
si recavan essi sopra se stessi, scrupo losamente ogni lor fatto esaminando, e
c gni movimento del propio loro cuore. In estimabile era la diligenza, ch' essi
adoperzano a nettar d'ogni ruggine l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta
la vita į medesimi spendevano in contemplare oggetti spirituali, e. in praticar
virtù, e que pre cetti, che si leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe
quì finito il lavoro della loro morale, Pure come eglino avevano que sta diviso
in due parti, così alla purifica zione aggiunsero altresì la perfezione. Non
basta a Pittagora l' essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e
mondata da vizi, e separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la
ren deva prigione. Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già
prima purificata, si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti,
e forma, si fos se confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che
secondo Pittagora e G., erano di loro natura divi ne, ma contaminate dalla
colpa e mate ria ', dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi, che
fossero state degne di tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l'
immacolato, e innocente viver di G. obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e a
promettere ai puri, e perfetti il divino come premio. Sin quì G., e Pittagora
furon d'accordo, e quegli fece uno con questo. L' essere stata comune l '
opinione tra loro nel principio, da cui la purificazione, e perfezione avesse
avuto sua origine, non fece punto discrepar l'uno dall'altro, Cre deano ambidue
le anime tutte degli uomi ni, e tutti gli spiriti altresì formare uni ca, e
sola famiglia con Dio. Là poi, ove i sistemi loro non furon punto d'accordo si
fatti filosofi furon del tutto discordi.G., altrimenti che Pittagora, riguardo
uomini, bruti, piante come unica famiglia. Non è più quindi da far sorpresa, se
si ve de ora entrare in iscena una terza novità di G., come riforma alla moral
di Pittagora. Se si vuol prestar fede ad Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto,
Pittagora e i Pittagorici della prima età uccidevano, eccettine i bovi
destinati ai lavori, ogni sor ta d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne
mangiavan le carni: s ' astenevan solamente da' pesci. G. all'incontro fu il
primo che proibì affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere
quale che si fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali
debbano serbarsi in vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la
legge per tutti, é questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti
gli esseri organiz zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola
farniglia, Perd non sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e
bruti. Smanioso egli quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que'
tempi vit. time agli Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più
esser uomini sottom bra di bruti. Cessate, gridava G., o crudeli, di fare
strage, e lordarvi di san gue: Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza
scanna il propio figliuolo, e vane preghiere disperge all'aria e al vento.
Stolti non veggono, che divorando le fumanti sanguinose carni di animali le
menbra pa. rimente divorano de' lor padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe
oggi la presente età del: la severità di G., e si reputerà cer tamente
stravagante la sua pietà verso i bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan
le idee del nostro filosofo. L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il
principale anello, che dee le garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il
principale dovere di un uomo di società: e la pieta n'è la base. Ma questa non
si potrà avere giammai, se non campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti,
che circon dano lui. Se l'uomo deve avere pietà ver gli uomini, uop' è non che
estenderla, mia cominciarla da' bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia
contro i medesimi, agevol mente il reo costume l'andrebbe portando ancor contro
gli uomini. Anche tra noi, se non può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne
di scannar gli animali, sempre egli vero, che debbasi tener come parte di e
ducazione gentile, quella d'insinuare ne gli animi ancor teneri de' giovani la
pietà verso i bruti. Non son dunque da ripren, dersi, così tentoni, gli antichi
filosofi per quegli insegnamenti, che oggi, mutate le usa nze, ci sembrano
stolti. La proibizio. ne che G. diede a' suoi scolari d ' uccidere gli animali,
e cibarsene, ebbe in mira non sol di non essere crudeli, e feroci cogli altri;
ma di dispor loro ad amarsi l ' un l'altro a vicenda, e nelle disgrazie scam.
bievolmente aiutarsi. Egli non senza sotti le avvedimento si sforzò così in
persona de? suoi compatriotti svegliare allora in tutta la generazione degli
uomini quell'attitudine, che porta loro a prender parte nell' altrui traversie:
attitudine, che di sua natura è debole, languida, spesso sopita, e quasi sempre
soffogata, ed estinta. Però G. a ingentilir gli animi umani, e rasla dolcire i
costumi degli uomini, volle che questi non si avessero bruttato le mani del
sangue, né avessero mangiato le carni de’ bruti. Chi è beniguo co ' bruti non
può certo negare agli uoinini amore, pietà, cor tesia, frattellanza. Pittagora
nulla conse guente a' suoi stabiliti principj della metem psicosi, trascurando
quasi tutti gli anima li, ſecesi soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse
recata alcuna ingiuria alle piante, che non fossero state nocevoli. Ma G. fa
molto più, e' meglio assai di Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen
timento, proibi poi che si fosse fatto loro del male: ailinchè non si fossero
avvezza ti gli uomini ad offendere esseri forniti di sensi e di organi. Fu in
somma intendi mento di lui in tutte le maniere, quasi tirando tutte le linee a
un centro, stabili re tra gli uomini fratellanza e amicizia Però fu, sollecito
ei d ' ordinare, che oltre agli animali, si avesse avuto compassione sin anche
alle stesse piante.. Sarebbe stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la
morale di G., s' egli non avesse presentato o un premio, una pena agli
osservanti, o violatori de' ciò, precetti da lui stabiliti. La speranza del
premio, e il timor della pena, interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano,
inco raggiano i buoni a operar la. virtù, spa ventano i mali a praticare il
vizio. E' ben ragionevole quindi, che G. avesse pigliato una via come stabili
re e premio', e pena, sì alla virtù, che al vizio: e il fece appunto combinando
al par de pittagorici, colla dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila
anni di ciascuno de' dieci periodi di essa non era destinato da Empedocle a far
cir colare sempre le anime da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di
tre mila anni informavano secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano
esse in ultimo E luogo ad avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto,
passavan quelle ad abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le
medesime avessero o bene, o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè
finito avessero il primo periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna.
STo appresso a cominciare il secondo di al tri tre mila anni, passando tratto
tratto ne corpi: d' altri bruti, di altre piante, o finalmente di altri uomini.
Così successiva mente doveano esse fare in tutto il corso degli interi dieci
periodi: e cosi le medesi mo doveano essere o premiato, o punite in ciascuno di
essi. Ma al finire di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran tenaci ne'
vizi, giusta G., bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo alle tenebre, e in
un continuo lutto, o un eterno suppli zio. Le altre poi, che virtuose al compir
di quo' circoli si fossero trovate belle e det. te secondo lui, si portavano
all'etere puro, e collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi a mensa coi forti
Danai, in eterno go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò si raccoglie da '
versi di G.. Così pur si pensava da' pittagorici di Sicilia; nè al trimenti si
canto da Pindaro nelle sue odi dirette a Gerone, e Terone. Ecco tutto, il
quadro compito della intera mora le di G. Egli è senz' alcun dubbio, essere
stata questa assai raffinata, e, molto diversa da quella del volgo. E ' cosa da
recar mara. viglia l'osservare, com ' essa in tempi assai caliginosi, fosse
stata tanto bene architetta ta, cosi brillante, e del tutto diretta a ri.
pulire il costume, a liberar l'uonio, quan to più s' avesse potuto dai vizi, e
a nobi litar l'anima e la mente di lui. Cid nulla ostante ella ha eziandio i
suoi gran difetti. L'essere stata la stessa riservata ai soli sapienti, e ai
soli iniziati ne fu il principale. Quel sistema d'Etica, che non è fatto per
tutti gli uomini, non può esser giusto, santo, verace. Tutti quan. ti gli
uomini sono astretti agli stessi doveri, e a una sola virtù, Si può considerare,
et gli è certo, la scuola pittagorica, qual.ce nobio, é i pittagorici quali
religiosi dell' antica Grecia. Ma l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea
yane le loro fatiche, avvelenava ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi
degno di lode il nostro filosofo, che osservantissimo de' precetti pittagorici
non ebbe difficoltà di manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica
zioni per solo e semplice amore di onestà, e di virtù, G., tranne la super bia,
radice infetta dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come
quel lo, che ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse
aspirato sempre a perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a'
tra passati; le lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè
recar loro diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è
privo di senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la
vanità de' viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli
omaggi, che si tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare
la stessa gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire.
Del nome di G. fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La
filosofia di lui fu tenuta assai in pregio presso tutta l'antichità tra Greci e
Latini. Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia delle scienze, che
G. si può dir, che appartenga a tutte le più colte nazioni. La Sicilia fra
tanto è la sola che a giusta ragione lui vanta: qual suo. Felice quel suolo,
beato quel clima, cho dà il natale a' grandi uomini ! La memoria e la fama loro
è un fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l' emulazione, e ne riproduce
il sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome di G., caro alla yirtù, caro
alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica de cor pi organizzati possono lui
chiamare padre inventore. L' essersi ridotta la materia a quattro elementi; l'
essersi trovate due for ze in natura di repulsione, di affinità; 1"
essersi intrapreso il metodo di fisiche espe. rienze, la terra n'è a lui
debitrice. La scoperta della chiocciola; della successiva propagazion della
luce; del peso e della molla dell' aria; del nutrirsi, del traspira e
dell'essere ovipare le pianto al par de gli animali son cose tutte propie di
lui. Divolgati appena sì fatti suoi ritrovamenti, tosto si rese celebre il suo
nome in tutta la Grecia, ed egli uno de' concorrenti di venne tra Anassagora e
Democrito, La gloria di G., che in gran parte è ancor nostra, ci dee infiammare
a battere lo stesso sentiero. La Sicilia è la stessa oggi, ch'era allora ai
tempi di G.. Ella in ogn'angolo, e in tutta quanta la sua superficie presenta
a' nostri occhi oggetti sempre degni di nostre filoso fiche ricerche. Piante
d'ogni sorte, acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e i più distinti
volcani esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chimico, il Botanico lo
storico naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame. E ' no
stra somma vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a
insegnare a noi le cose nostre. Si saran forse cambiati il cielo, il clima, la
terra, che un di furono ne' tempi de' nostri antichi filosofi? O pur saran
venuti meno gli ingegni tra noi? Non sono eglino I SICILIANI dotati ancora o d’acume
nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di prestezza nell' eseguire,
che loro hanno in o gni tempo distinto? LA SICILIA una volta emula della Grecia
in ogni genere di colo tura non potrà anche a di nostri concorrere e gareggiar
nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio dell'
aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci sarà
di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via, che
conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti quindi in
ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la
grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni
nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni
d'ammi razione noi ricordiamo G. G. non che e eccellente filosofo: ma e del
pari profondo politico. SICILIANI, non andate quà là ad apprender ta pini da
questo e da quello ordini civili, e fogge di governo. Guardate i maestosi
avanzi delle nostre antiche città; specchia. tevi su li nostri passati famosi
legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi, non che della nostra
Greca SICILIA, ma del la vita di G.. Così tratto tratto di verrete atti a
maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra voi politica non cabala,
libertà non licenza. G., convinti un dì i nobili di Gergenti GERGENTI – non
GIRGENTI -- di peculato, atterrò ivi la lor signoria: Non è disdicevole quindi
l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda di
nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de'
pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di
ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie
più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion
delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con peso sulle città
immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare
schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il
tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate,
minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il
popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. Gia la voce
del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa
insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico
impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire
de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà
or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri
nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to,
che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi
fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si
possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra,
unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace
qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato
agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi
nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a
voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica
feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza,
Ma G. dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi presi del
fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe. Quante altre
cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli poten do in
Gergenti GERGENTI non GIRGENTI stabilire un governo collo cato tutto nella
potestà del popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in
quella città; e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con
cui s'amministrano le cose pubbliche, è la ma solida base, su cui dee riposare,
volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non
altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il
popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere
costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a
soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza,
di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario,
esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi,
e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto
corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in
Sicilia un sl fatto equilibrio! Appe na vi basterebbe un G.. Egli ad assodar
vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria, ebbe in
fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub blico
civile costume. Qual sublime lezio to, t 2
è un sogno, zione ella è questa da adottarsi da' nostri legislatori
d'oggidi, se vogliono eternare, più che si può, il presente governo stabi lito
di fresco. Un impero assoluto si può fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien
prosperando in mezzo a gente corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un
governo costituzionale senza nè col tura nè costume per base. Nello stato, in
cui è il nostro suolo, non potrà certamente portare la novella libera
costituzione senza che fosse prima quello preparato e divelto. Voglia Iddio che
i nostri, posti giù l'e goismo, le false massime, gl ' impeti, glodj
imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri antichi felicissimi tempi. Ma se I
SICILIANI tutti debbon trarre qualche utile insegnamento dal nostro fil sofo; i
Gergentini – GERGENTI, non GIRGENTI -- massime ne dovrebbero emular la virtù.
La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui sfolgora, riflette e va a
concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero ricordare i Gergentini –
GERGENTI non GIRGENT, ch ' essi principalmente a G. son debitori d'esa ser
tanto chiari, e così famosi nella nostra sicola storia. Si dovrebbero eglino
pur ri cordare, che vicino a que' tempi, che vis sita oggi lo straniero, e
sopra lo stesso suo. lo, che calcano i Gergentini -- GERGENTI, non GIRGENTI medesimi, dettò
allora G. a LEONZIO (si veda) l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica.
Gli stessi quindi a ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero
richiamare tra loro e le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra
amena e polita lettera tura. Allor si potranno i Gergentini – GERGENTI non
GIRGENTI -- gloriare a ragione d' aver prodotto, e dato la culla a G.. Così eglino
saran vera mente degni concittadini di lui. Ne altri menti si potranno
lusingare gli stessi di far risorger tra loro il verace spirito d' Empe docle,
e di poter quivi dire allo straniero. Dell' eccelsa sua mente i sacri versi
Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte invenzioni, e si preclare Che
credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse. Il n'est pas ) Freret
raffigura l'attrazione e re pulsione di Newton nell'amore e odio di G.. E però dice besoin d'un long
discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien, dé pouillé de
l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d ' Empedocle, Hi
stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres, Memoires -- Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω. Εμπεδοκλης και
TYTO TAUTO TETOVIE – G., di cui alcuno potrebbe portare opinione aver, detto
sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi; egli cadde nel
medesimo inconveniente (Arist. Metaph.) πος και 8το! O (Arist. de Coelo) -- Λευκίπι
και Δημοκρίτος Αβδερίτης φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα
δε αδιαιρετα τροπον γαρ τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων
και γαρ ει μη σαφως δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν 00 Leucippo e Democrito
dicono le prime grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in
certo modo fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano
chiu ro; pure questo vogliono dire. Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των
τεσσαρων στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη
και – G. prima de’ IV elementi suppone de minimi bricioli, che sono non
altrimen ti che gl’elementi degl’elementi, e parti simili Stob. Εcl. Phys. Ε
più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των στοιχείων »και
elementi degl’elementi. Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι ατος μον εσται το σωμα
εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι μεν του διαι εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν
Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. Se lo scioglinzento delle parti si fermerà in qual
che luogo, domando: o il corpo in củi ri starà è indivisibile, o è divisibile;
ma in alcun tempo mai non si potrà dividere, co me pare che C. abbia voluto
dire, Arist. de Coelo. Sicchè G. ammettea la divisibilità col pensiero non già
col fatto. È un assioma presso gli antichi εκ τε μη οντος μηδεν γινεσθαι nulla
farse da ciò che non è, Presso i Greci dev significava ciò ch ' esiste e il
under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia il des per corpo e il under per
yoto. Ma diverso era il significato dell' del ov. G. ed Anassago ra chiamavano
Oy la materia dotata di qualità sensibili. E Democrito ed Epicuro la materia
fornita di figura. Al contrario i primi due indicavano col un oy la mate ria priva
di qualità, e i secondi la mates. ria senza figura. Di fatto Aristotile de GV e
156 gener. et corrupt. dice εστι γη το ον, το δε μη ον υλη της γης και πυρος
ωσαύτως. L Latini tradussero il δεν per res o corpus il jend Ev per nihil o
vacuum. E come non aveano parole corrisponden ti all' oy e' un or; cosi
l'indicarono colle stesse parole res et nihil. E ' nato da ciò un equivoco
nell' intendere i Greci. Questi non solo dissero nulla farsi da nulla; ia tal
volta alcuni di loro pensarono niuna cosa, che ha qualità, poter venire dalla
materia priva di qualità. (8) Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής ) ταυτα
ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα • γον εστι γενεσθαι και Concedendo
Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia impossi bile venire un essere fornito
di qualità de ciò, che ne è privo je Arist. de Xenophane VELIA (si veda) et LEONZIO
(si veda). Εμπεδοκλης δε τα τετταρα προς
τους ειρημενοις γην προσθας τεταρτον και Empedoclc disse esser quattro gli
elementi, aggiungen do la terra per quarto a’tre già detti Aristot. Metaph.
Σεληνην δε φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος υπο τα πυρος •
τατον γαρ παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle, essersi
condensata da se a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco; perciocchè
questa 'si con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang. Lo stesso dice
Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. I
sassi e gli scogli sulla terra so no stati giusta Empedocle formati dalla forza
del fuoco. Plut. de primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro
filosofo, chę i cieli siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione
del fuoco. Plut. de Plac. Philos. Ως εν
υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα πρωτος (Εμπεδοκλης ), απεν. και μεν χρηται γε
τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο τοις δε αντικειμένοις ως
Em. μια φυσα γη τε και αερι και υδατι, pedocle fu il prinio che affermò quattro
ese ser gli elementi nella materia. Nondime no di questi non fu egli uso come
se fos } νω sero ' quattro, ma due soli. Mette il fuoco per se ', e' come al
fuoco opposte l'acqua, ' la terra, l'aria, quasi avessero. queste uni ca natura.,,
Aristot. Metaph. Origen. Phylosoph. Clem. Alex. Strom. Αναξαγορας μηχανη χρηται
τω προς την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente nella sua cosmogonia non
altrimen ti che d'una macchina Arist. Metaph. Πολλαχου γουν αυτω (Εκπεδοκλα ) η
μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα • μεν γαρ ε ! ς τα στοιχεία διαστήται
το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς συγκρίνεται και των αλλων στοιχων εκαστον,
οταν δε παντα υπο της φιλιας συνιωσιν ας το εν αναγκαίον εξ εκαστε τα μορια
διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης μεν 89 παρα τ8ς προτερον πρωτος ταυτην την ατίας
διελων εισενεγκεν ου μιαν ποιήσας την της κινη σεως αρχη, αλλ' έτερας τε και
εναντιας. Non di rado presso d'Empedocle l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia
unisce. Imperocchè quan. do per l'inimicizia l'universo si scioglie ne • OTULY
gli elementi; allora il fuoco si unisce, e al par del fuoco, ciascuno degli
altri elemen ii. Quando poi per via dell ' amicizia tutti gli elementi si
uniscono; allora è di ne cessità che le parti di ciascun elemento si separino.
Però Empedocle fu il primo, che superiore agli altri più antichi di lui, divi
dendo questa causa, intro lusse non un solo, ma piii e contrarj principj di
movimento: l'anticizia cioè e l' inimicizia Arist. Me taph, L ' vero che qui
Aristo tile cerca di cogliere in assurdo il nostro Empedocle"; perchè
cerca di mostrare che l' amicizia talvolta separa, e l'inimicizia ta lora
unisce. Ma ciò non di meno confes sa che giusta Empedocle l'amicizia e l'ini.
micizia eran due principj di moto. E in ciò loda il n'ostro filosofo, e l '
inalza so pra tutti que' ch'erano stati prima di lui. Molti sono i versi di G.
che lo pruovano, che noi rapporteremo ne' fram menti di lui. Ma Aristotile lo
dice chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols peyuceo σιν, εν αν ην απαντα ως
φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l ' inimicizia inerente alle cose, tutte
queste non farebbero che uno come dice lo stesso Empedocle,, Aristot. Metaph. Simplicio
inoltre de Coelo Com. rapporta che giusta G. è propietà dell'amicizia ridurre
tutto in una sfera lovely o zipov Εμπεδοκλης το μεν πυρ κκκος καιλο. μενον προσαγορευων και
Empedocle chiamo il fuoco lité perniciosa Plut. de primo frigido. E lo stesso
Plutarco ne soggiunge la ragione. Giacchè il fuoco ha la facoltà di dividere e
separare. Clem. Alexand. ad
gentes Aristot. Metaphys. Plut. de Isid. et Osirid. Wolf. de Manich. ante Man.
S. Bayle Dict. Art. Xenoph.
Aristotile" riferendo l. 3 taph. l'opinione d'Empedocle sul circolo pe
renne delle cose in virtù delle due forze amicizia e inimicizia si lagna del
nostro filosofo, che introduce la necessità senza recare alcima cagione della
necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161 αγκαιον μεν ον μεταβαλλεινκαι αιτίαν δ ' εξ
ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. Brukero de discipulis Pythagorae. Moshem. nelle note a
Cudwort. Αρχη η φυσις μαλλον της υλης. εγί άχου δηπου αυτη και Εμπεδοκλης
περίπιπτα αγομενος υπ' αυτης της αληθεας, και την εσι. αν, και την φυσιν
αναγκαζεται φαναι τον λογον ειναι: οιον οστουν αποδιδους τι εστιν. ετε γάρ εν
τι των στοιχεων λεγει αυτο ατε δυο ή τρια ατε παντα αλλα λογος της μιξεως αυτων
etc. Il principio delle cose è più presto la nä tura che la materia delle
cose.. Empedocle tirato dalla forza stessa della verità spesso è costretto di
confessare che la sostanza e la natura altro non sia che la ragione o
proporzione: ' come fa allorchè ei dice coså šia.l osso. Poichè dice che l'osso
non cen ga da questo o du quel elemento', nè da due elementi, nè da tre, nè da
tutti, ma dalla ragione in cui questi nell' osso si stan. no ec. is Arist. de
par. Animae l. 1. cap. E poi lo stesso Aristotile soggiunge che i filosofi
prima di G. non fecerd lo stesso perchè non soleano definire ciò che fosse la
cosa astion de to. pen en San τ8ς προγενέστερες επί τον τροπον τέτον, το τι ην
αναι, και το ορισασθαι την ασιαν εκ OTI My •:- Plut. de Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. Plut. de Plac. Ph.
Gal. ibid. Plut. de Plac. Ph. Arist.
de Resp. Crede G. che gl’animali, subito che nacque ro dalla terra, si divisero
e portarono in luoghi convenienti al loro temperamento. Que' che abbondavan di
fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli altri ch'erano più gravi, abitarono la
terra ec. Darwin Zoonomia. Milano, La massa tutta del seme, che noz mostrava
alcuna forma, o figura chiama va Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re
tutta la natura organica secondo Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. Aldo:
Aristotile l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell opinione di Xenofane che credea
la terra infinita estendere sino alſ infinito le sue radici, soggiunge do
xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche co si lo sferzò, e
soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne' frammenti di lui. Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και
πετρας και Εμπεδοκλης μεν υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και
ανε χεσθαι. Empedocle è d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi
dirupi, che sono agli occhi di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta
nelle profondità dela la terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae
caleant", quae dam etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui
nisi aut in aperto evanuere, aut mixtura frigidae intepuere, plures causae
redduntur. Empedocles existimat ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit,
aquam calescere, si subjecti sunt solo per quod aquis transcursus est. Facere
solemus dracones et miliaria, et complures formas, in quibus gere tenui
fistulas struimus per declive cir. cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua
per tantum fluat spatii quantum ef. ficiendo calori sat est. Frigida itaque in
trat, effluit calida. Idem sub terra Em. pedocles existimat fieri. Seneca
Quest. Nat. Την γην εξ ης αγαν περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς αναβλυσαι
το υδωρ la terra, da cui, come fu condensata, per l'impeto della girazione
spicciò l' ac qμα 15 Ρlut. de ΡΙ. Ρh. Οτι δε μενα γη ζητεσι την αιτίαν και λέγεσιν οι μεν τυτον
τον τρόπον, οτι το πλα τος και το μεγεθος αυτης αιτιον, οι δε ωσ: περ
Εμπεδοκλης την τε κραγε φοραν κυκλω περιθεασαν και θαττον φερομενην την της γης
φοραν κωλυειν καθαπερ το εν τοις κυαθοις υ δωρ και και γαρ τατο κυκλω το κυαθε
φερομείς πολλάκις κατω τα χαλκά γινομενον ομως ου φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι
δια την αυτην 165 Citidy, Alcuni cercano il perchè la terra stia ferma nel
mezzo, e dicono esserne cagione la sua grandezza e larghezza, Al tri poi,
siccome Empedocle, son di pare re, che il cielo girando più velocemente del. la
terra sia la cagione, per cui la terra non cada nello stesso modo, che avviene
allac qua nel calice. Poichè seben questo si giri e stia col fondo su, e il
labro all' in giù; pure l' acqua, che di sua natura tende al basso, non cache
per la ragione medesima della girazione,, Arist. de Coelo Plut. de fac. in orbe
Lunae, Plut. de Pl. Ph. Laert. in Emp. Arist. de anima. Καθαπερ Εμπεδοκλής
φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο τα ηλιο φως ας το μετα ξυ πριν προς την
οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως συμβαινειν Empedocle dice che la luce, la
quale viene dal Sole prinra giunge nel mezzo, e poi all'occhio ed aļla terra.
Il che pare che accada con buona ragio ne » s. Arist. de sensų et sensili tor. G. in prima ha il Sole per una gran massa
ignita' non già per una rijlessione di un altro sole šíecome attesta Laerz, in
Emp. Era in secondo opinione di Empedocle che il simile si va sempre ad u nire
al suo simile. Però venne a lui naturale il dire che la luce lanciata dal So.
le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra, nasse di nuovo ad unirsi al Sole, e
poi di nuovo movendosi da quest' astro, tornasse a risplendere. Per altro
Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth. orac.. che la luce del Sole secondo
Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν. Plut. de Pl. Ph. Gal. Hist. Ph.
Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri, appongono ad Empedocle l' opinione di due Soli,
che si riguardavano, de quali l'uno mandava rag gi invisibili e l'altra
visibili ec. G., sans recourir á
l’instanatneité de cette émission ou á sa prodigieuse velocité disoit que cette
objection se roit vraie, si le soleil lui même étoit en mouvement; mais que la
terre tournant au tour de son axe, venoit au devant, du ra yon, et voyoit
l'astre dans sa prolonga tion. On ne répondroit pas mieux aujourd hui a cette
objection, si quelqu'un la pro posoit contre la propagation successive de la
lumière et son emission. Montucla. Hist. des Mathematiques Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος ανακλάσει τιγί τα ηλια προς την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ' αυτης οθεν 80's. Jequor
de deep porn Resta dunque co me vera la sentenza d'Empedocle. Però la luce
lunare non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in orb. Lunae. Est - il rien de plus juste
que ce vers, dont voici la traduction litterale de Greg en latin circulare
circa terram yolvitur a lienum lumen dit- il en parlant de lo lu ne? Achille
Tatius en tire une preuve qu' Empedocle a regardé cette planéte comme un
morceau détaché du soleil. Il n'a pas conçu que cet alienum lumen vouloit dire
lumière empruntée, ce qui est très-confor me a la verité. Montucla Hist. des
Math. dida, Isag. in Arat. Empedocles plus duplo lunam dia stare censet a terra
quam a sole. Galen. Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. Και τον μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il Sole
essere una gran massa di fuoco più grande della Luna Laert. in Emp. Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma che la Luna
al dir d'Empedocle giraya a simiglianza d'una ruota: Ora in que' tempi si
esprimea la rùvoluzione d'un corpo intorno al propio asse sotto la figura ra
d'una rủota, Cosi di fatto indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di Ponto,
Eco fanto di Siracusa, il movimento della tere ra intorno al propio asse. Per
altro i Pit tagorici sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi
presenta sempre lo stes so emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo,
se la Luna girando intor no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché
è da credersi cl’Empedocle non ou esse ignorato questo movimento della Lu na.
Ma come Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi io
non ho creduto di doverlo affermare come sicura opinione di G.. Fabricio Bibl.
Graeca Arist. de plant. Arist. nel med. luogo. Arist. nel med, luogo. Τα δε
σπερματα παντων εχ τινα τροφην εν αυτός και συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν
τοις ωοίς. η και κακως Εμπεδοκλης αρήκε φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè
contiene in sè qualche cosa d' alimen to uñitaniente al principio che genera,
sic come è nell' uovo. Per lo che Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi
sono ovipa ri Theofrasto 1. i cap. ' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει
Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ ' ωοτοκεί μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ
ωον κυημα εστι, και εκ τινος αυτα γίγνεται το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ
ματος, και εκ μερες γιγνεται το φύομενον, το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω
και τη y 170 pión en xpern » Questo ben disse Emperor cle affermando, che i
piccoli alberi ezian dio sono ovipari. Poichè da una parte dell' uovo nasce
l'animale, e dal resto si fa la nutrizione di questo. Nello stesso modo ac cade
nel seme. Da una parte si formá la pianticella, ed il resto serve per nutrirla
Arist. de Gen. anim. Arist, de Gen. anim. Theofrasto 1. i cap. z de Caus.
Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova esse semina vetus
est Empedoclis dogma. Anat. Plant. In questi ultimi tempi Young è stato il
primo a dire che le piante ven gono, dal seme. Rozier journ. de Phys. Auril. e
Bonnet Deur. ha dimostrato l'analogia del seme coll' uovo. ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη = τητεoν εν
ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α ευρίσκεται εν τοις
φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος κεκραμενον εκ τετων των
δυο γενών και Cio che in questa scienza sia sopra d'ogn' al tro, e propiamente
da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle piante si ritrovi il sesso
maschile e feminile, e se questi due sessi sien in quelle mischiati ed uniti,,
Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu. ţarsi particolar opinione
d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che queste fos sero state
ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. Haaly 005 - λομεν ζητειν
πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή κεκραμενα εν τοις φυτοις ως απεν Εμπε
doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe ses si nelle piante sien mischiati,
come vuole G.. Empedocles quidem divulsa
esse so bolis membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris semine
continerentur, atquo inde oriri animalibus venerei complexus ap.. petentiam,
dum partes illae inter se di stractae conjungi atque uniri concupiscunt. Galen.
de semine. Si legga parimente Aristot. de Gener, ànim. Plutarco de plac. Ph.
Arist. de Gener. anim. Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια της γυναικος
μορφουσθαι τα βρεφη και πολ: λακις γαρ εικονων και αδριαντων ηρασθησαν γυναίκες
και ομοία τετοις απετέκον. » Empe docle dice che dalla fantasia della donna
piglia forma îl feto. Poichè spesso le don ne hanno la lor prole partorito
simile a statue o. a immagini, che hanno amato Plut. de Pl. Ph. Plut. de Pl.
Ph. Tutta la dottrina di G., siccome in appresso diremo, era fondata su i pori,
e sugli effluvj, che si spiccano secondo lui da' corpi, o per quelli s'intro
ducono, Plut. de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes amittere quibus aestatis
ca. lor humorem ahsumpserit; semper fronde re quae majorem succi copiain habent,
ut laurum, oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph.
lPlutarco Symp. Si propone la questione, perchè l' ellera conserva le fo glie,
e gli altri alberi le perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la disposizione
de’ pori. Perche τοις δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω και στενότητα
των κάτω πι:,, ρων, οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν, αλλ' ολίγον
αθρουν λαβόντες εκχέωσιν ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις A quel le piante,
le cui foglie cadono į alimen to on basta a cagion della rarità de? pori
superiori, e della strettezza degl inferiori. Poichè per questi pori s’
introduce poco ali mento, e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che quel
poco che hanno ritratto tosto lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere negli
attignitoi, che sono inegual mente forați. Flore française troisieme edition
par MM. de La Marck et Decandolle T. Floré française Flore francaise Plut. de
Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Galeno Hist. Ph.
Plut. de Pl. Ph. Ρlut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. Plut. '
nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. Plat. de Pl. Ph. Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. Arist. de Respirat. Arist.
'de Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist, de, Resp. Plut. de PI. Ph.
Pluit. de ΡΙ. Ρh. Plut. nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. Si vegga la
niemoria seconda sulla Vita di G. Ρlut. de Pl. Ph. Τα μεν γλαυκα πυρωδη καθαπερ
Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che gli occhi
az zurri, come dice Empedocle, abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano più d '
acqua che 175 di fuoco, Arist. de gener. An Τα μεν ημερας εκ οξυ βλεπεις τα
γλαυκα. δι ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν πυρός και che gli occhi
azzurri non veggano bene di giorno per difetto d' ac qua, ed i neri di notte
per difetto di fuo: εο, Arist. de Gen. an. Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. Ειπερ
μη πυρος την οψιν θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la visione non e d '
attribuirsi al fuoco, ma tutta all'acqua » Arist. de Gen. anim. Arist. de sensu et sénsili l. Empedocles
animum esse censet cor di suffusum sanguinem.
CICERONE (si veda) Tusc. quaest. e Ρlut.
de ΡΙ. Ρh. Εν τη τα αιματος συστασε. Αλλοι δε ήσαν οι λεγοντες κατα Εμ "
πεδοκλεα πριτηριον αγαι της αληθεας και τας αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και
τα δε ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν
θαον ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti
alcuni, che han dettò con G. esé sere il criterio della verità non già i sensi,
ma la retta ragione. Questa poi essere in parte umana e in parte divina: la
prima potersi da noi manifestare, e l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. Hụezio
Debolezza dello spiritous mano. Furere tibi Empedocles videtur: at mihi
dignissimum rebus iis ', de quibus lo quitur sonum fundere. Num. ergo is ex.
caecat nos, aut orbat sensibus, si parum magnam vim censet in iis esse ad ea,
quae sub eos subjecta sunt, judicanda? CICERONE (si veda) Lucullus Empedocles
quidem, ut interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia, ni hil nos
sentire, nihil cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. CICERONE (si
veda) Lucullus Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν ωσπερ και
Εμπεδοκλης (δη 01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che sia lo
stesso sentire, che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, Arist. de Plant. Αναξαγορας
μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια ταυτα κινεισθαι λεγουσιν αισθανεσθαι τε και
λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo cle dicono che le piante sien mosse da de.
siderio, da tristezza, e da voluttà, Arist, de P1.Αναξαγοράς δε και ο
Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής και νουν και γνωσιν εχεις απον τα φυτα Anässagora,
Democrito, ed Em pedocle dissero le piante esser fornite di men te e di
cognizione », Arist. de Pl. l. 1 cap. 1. Ρlut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 26. (90)
Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de P. Ph. Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές, ως ανθρωπα ψυχη αθα γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια γενομενον εσδυεται. επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα πτηνα, αυτις ες ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή γίνεσθαι εν τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i
pri Z 178 ηι. mi che dicono l'anima essere immortale; ma che 'morto il corpo va
questa sempre informando un altro animale; dimodochè dopo d' esser passata per
tutti gli animali o terrestri, o marini, o aerei torna di nuo ro ad informare
il corpo d'un uomo. Que sto giro compie l anima in tre mila an Herod. Euterp.
Τατω λογω ασι οι Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω
εωυτων εοντι. των εγω αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni
dopo han divulgato' la metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di
quelli non vo. glio scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. Sext. Emp.
adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι δαιμων ανδρι
συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα μαλλον ως
Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και καταρχoνται
μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a ciascun di
noi, come ea gniti, gli nasce, assista un genio buono condut tor di tutta la
vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale di che
ciascuno di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj e da due.
fati Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che co' nomi de
gen; si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. Plut. de animi
tranq. (96) Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα τατος Πλατων
αντρον και στην λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα αι
ψυχοπομποι δυναμας λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste cose,
siccome io stino i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero occasione di
chiamar questo mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le potestà
conducitrici delle anime dicono: che siano finalmente giunte sotto quest' aniro
coperto; Porph. de Ant. Nymph. ed. Van -
Goens. Clem, Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. Jambl. Portrep.
cap. g Hierocl. in Com. Scheffer de Secta Italica. Pindaro nella prima ode
olimpica dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo,
che chiama atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente
laboriosa » 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne
sofferto altri tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a
prima vista, come questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è
intera mente dichiarato nella seconda ode. olim pica diretta a Terone Gergentino.
Quivi e gli dice: que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella terra e
nell'inferno ocou do ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero contener
ľanimo loro nella pratica della virtil, arriveranno per la via di Giove al la
regia di Saturno, dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente attorno le isole
fortunate, e splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto di queste due o.
di, che la metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in tre articoli: iº
che l'anima del lo stesso uomo informava tre volte corpi u mani, che ' v'era un
intervallo tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti go deano di felicità,
e i malvagi eran puni ti, 3º che le anime perseveranti nella giu stizia per
tutto il corso delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli eroi nell'impero di
Saturno; e quelle, che s' erano mac chiate di colpe in quello stesso tempo, an
davano in fine a soffrire un supplizio eter πο: απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli
sco liasti stessi di Pindaro, non altriinenti che noi abbiamo fatto ', lo
dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015
Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla terza metempsicosi nell' uno e
nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e nell' inferno. Ora trina di Pindaro
pare che allora fosse sta ta conosciuta da' soli sapienti. Poichè dopo che il
poeir avea esposta la triplice trasmi grazione soggiunge lo tengo sotto il mio
gomito e dentro la faretra delle sette vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio
si sente dal solo sa piente. Ma la moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε
το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è colui che conosce la natura, gli altri, che
įmparano da lui, sono loquaci nxo Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente
gracchiano. Per lo che pare, che Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per
non ri velare al volgo il dogma pittagorico della metempsicosi, ed opponea la
furgawcola o loquacità del profano al silenzio del pittagorico. Tutti gli
antichi fanno onorata men zione della filosofia di G.. Lascian do stare
Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co
l'epicureo la espose in 24 libri moto - λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Latini poi aparte di LUCREZIO (si veda) e di CICERONE
(si veda), che ne fan sommi elogi, siano avvertiti da CICERONE (si veda) me.
desinio che si era stato un SALLUSTIO (si veda), il quale area trattato la
filosofia di G. nel la stessa guisa, che avea fatto LUCREZIO (si veda) per
quella del GIARDINO ROMANO. Tria per quanto si raccoglie dalle parole di CICERONE
(si veda) quell' auto re non era riuscito cosi bene, come LUCREZIO (si veda). Lucretii
poemata, ut scribis, ita sunt multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis.
Sed cum veneris, virum te putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non
putabo, cioè a dire se potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e
paziente. ma privo di senso. CICERONE (si veda) Ep. ad Q. Non che Plutarco ne'
tempi d'appres. 80, ma tutti gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode
Empedocle ed i suoi pensu. menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12
all' Imperator Gioviano, in cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da
esso lui stabilita circa la libertà del la religione. In questo luogo ei dice
agar σθαι μεν εν και τις αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και
μαλιστα δε οίς ουκ εφιασι μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται
και φαυλοτερον Εμπεδοκλεας και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l'
interpetrazione di piu autori intorno a que ste parole, e principalmente per
l'Empe 184 parere che docle, di cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato
un altro G. di verso e posteriore al nostro. Petavio, non si sa come, crede,
che sotto il nome di G. abbia quegli voluto significare G. Petit è di per G.
s'inten la un cinico chiamato Peregrino. Nè marican di quei, che credono essere
stato rcfurrito in quel luogo S. Policarpo martire. Iru biti gl'inteipetri
Casaubono in not. ad M. Anton, pas 87 è stato a giudizio di Fabricio Bibl.
Graec., corui che meglio l'hi interpetrato. AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita
malo quam tos are 285, quod tamen ferri potest, nec' senten tiae, quam volumus,
repugnat ), 78 roles.po: σηκ ή τον θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest
τετων vel εκεινων οις ) εκ εφιησι porgy etc., Degnissimo è l ' imperadore di
ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella legge si
contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e perchè
spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non minore
di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si vede,
ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo, che ad
esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare.
Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474
loda G.e, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini.
Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna.
no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede chiarissimo
quanto male ORAZIO (si veda) conoscea il nostro filosofo; allorchè disse. Ep.
12 !. 1 v. 20. G.; an Stertinii deliret acumen. a a Su i Franmenti delle
opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto di questa ultima mes moria:
presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati gli avanzi delle opere d'Empe.
docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte, com'era usanza in que' di, le scrisse
in versi.. Pure niun poema di lui è venuto sino à noi, e pochi sono i frammenti,
che di questi ci restano L'inno ad Apollo, e 'l poema de' Persiani, furono, lui
morto, bruciati. Il poema sulla sfera si reputa oggi opera d'incerto autore,
Del suo discorso sulla medicina non ce n ' è restato nè anche vestigio: anzi
ignorasi, se questo fosse stato scritto in versi secon do Laerzio, o pure in
prosa secondo Sui da. I frammenti in somma delle opere di G., che da noi si
conoscono, ri guardano e fan parte di due famosi poe e non sia. a, a 2 188 ni:
l' uno sulle purgazioni, l'altro sulla natura. Il primo fu intitolato a Gergen
tini; il secondo a Pausania il medico el amico di lui. La raccolta quindi de'
fram menti de' versi d' Empedocle, di cui qui si parla, appartiene soltanto a
questi due gran poemi. Piü Eruditi, e tuti di gran nome assai prima, e in varj
tempi praticaron lo stesso. Stefano no pubblica il primo non pochi nel suo Ibro
della poesia fi. losofica. Fabricio prese appresso il pensiero d'ampliar la
raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio quegli mol to l'accrebbe. Ma ogni
fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò vana; perchè morto Fabricio si
perderono i suoi origina li,, e il pubblico non potè coglierne il frut. to. Van
- Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del libro della Groita delle Ninfe
di Porfirio, manifestò aver già raunato più di trecento versi di G., e promiso
al più presto di recarli in luce. Avea, se condo ch' attesta egli stesso,
tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si conservano nella libre ria di
Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in si fatio travaglio. Ma punto
non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la raccolta de' versi del nostro
filosofo, giusta la promessa di lui sotto titolo di raccolta Empedoclea. E'
sempre una singolar disgrazia il non potere profittar delle fatiche degli
uomini grandi. Le nostre librerie een prive non che di manoscritti, ma
scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto fatto di ritroe' vare in esse nè
pure lo stesso Stefano della poesia filosofica. Però, mancan. ti gli aiuti, si
è ito sù giù rifrustando an tichi scrittori per cogliere or uno or due e di
rado o sei, o dieci' o più versi di Emperlocle, che sparsi si leggono in que
sto, e in quell'altro. Fatica assai penosa, e ' tanto più dura, quanto ha
obbligato a durar quello stento, che farebbe chi il pri mo si mettesse ad
imprenderla, senza la spe. ranza di poter acquistare la gloria debita a chi il
primo l'avesse intrapreso. Unico conforto ne fu un Simplicio dell'edizione
d'Aldo, trovato nella libreria de' PP. Tea tini di Palermo (giacchè questi ne'
suoi co. mentari d ' Aristotile rapporta molti versi d ' Empedocle ). Da questo
libro furon tratti non pochi de' versi d ' Empedocle, che si tro van messi
insieme. in quest'ultima parte. Ma il medesimo disgraziatamente fu ruba. to in
quella libreria. Però non fu conco duto di potersi più riscontrare i versi rac
colti col testo; e si è dovuto, congetturan, do quasi tentoni, quando supplir
qualche parola a caso tralasciata, quando correg gere alcuni versi, che per la
prima volta erano stati o male lètti, o falsamente scrit ti. Si è detto tutto
ciò non perchè s' am. bisca lode di questa qualunque siesi fati ca; ma perchè
se ne abbia anticipato come patimento. In altri paesi d'Europa la race colta
de' versi d' Empedocle o gia è stata egregiamente recata in pubblico; o se non
è stata ancor fatta, si potrà certamente fare e più abbondante, e più corretta,
e più dotta, che non è questa. Non è quin 191 di la stessa da considerarsi come
un ope. ra perfetta, o degna degli sguardi de' Dot ti. Si desidera soltanto,
che si tenga la medesima, come un annotazione, con cui si provano i pensamenti
d' Empedocle espo sti nella terza Memoria. Ma comunque ciò sia egli è certo,
che i versi d'Empedocle smentiscono coloro, che portano opinione lui essere
stato o di niú no o di poco valore in poetica. Si fondan costoro sopra Plutarco
(1 ), il quale dice Empedocle avere ornato col metro i suoi discorsi per
evitare l'umiltà della prosa. Ma non si accorgono aver loro o mal inte so o
sinistramente interpetrato Plutarco, il quale pretese sol definire, che sia
stata di dascalica la maniera poetica del nostro filosofo. Questa, come quella,
ehe tratta e di filosofia, e di precetti sdegna le finzio. ni e l'invenzione,
in cui il pregio, il bel lo, e la natura consiste d'ogni poesia. Per rò quegli
disse, ch'Empedocle avea preso De Aud. Poet. 192 dalla poesia, senza più, e la
pompa, e il meiro. Questo stesso avea già gran tempo prima annunziato
Aristotilo, che fu non che savio ma di gran sentimento nelle co se poetiche.
Egli, a distinguer la poesia d' Omero da quella d'Empedocle, affermò i uno e
l'altro, tranne il metro, nulla tra loro aver di comune. Perché Omero era un
Poeta, com’ei diee, ed Empedocle un fisiologo (1 ). Ma se Empedocle, qual
didascalico, non merita é nome e lode, che si convie ne a poeta, non si pao
negare aver lui necupato in que' dì il primo luogo tra di dascalici, Aristotile
di fatto non seppe in miglior modo contrassegnare la differenza tra la vera
poesia e la didascalica, che comparando tra loro il più gran poeta e il più
eccellente didascalico; Omero ed Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne ' tempi
d' appresso. Cicerone chiama egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma
d'Empedocle sulla natura. Anzi mettendo egli a confronto i versi di Par menide,
di Xenofane, e d' Empedocle, che furon tutti tre poeti didascalici, dice aper
tamente, che più belli ed eleganti erano i versi del nostro filosofo. Che se
poi mancasse ogn'altro argomento ad apprez zare il merito di lui, sarebbe
certamente bastevole il sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne'
pubblici giuochi di Grecia. Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e
severa nel gindicare, non concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel
resto ciascuno su cið, o del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da
ise giu dicare. Il solo leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far
che chiunque ne resti persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de'
Pittagorici era comune; e questo appunto era il Dori co. Pure G. avvegnache
fosse stato Lib. 1 de Orat. (Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o SICILIANO e
Pittagorico, non mise in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era
tra Greci poeti il più polito e gentile. Fu inoltre la musa di G. dolcissima.
E. gli ne' suoi versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel farli scelse le
parole più dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito, d'Empedocle, dice
che le muse di quello eran più dure, e le altre di questo più molli (1 )
ancorchè l' uno e l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli Jonj
Plutarco stesso poi non lascia di notare, che gli epiteti apposti da Empedocle
non erano, come per lo più esser ' sogliono ne' poeti, di puro ornamento, ma
esprimeano la natura delle cose. Ne cita egli di fatto l'aggiunto dato da
Empedocle a Ve. nere qual datrice di vita; il sempre verdeg: giante dato
all'alloro; l'abbondante di san gue adattato al fegato: e altri simiglianti.
Anzi il medesimo Plutarco da a G. Plut. in Sophista. Plut. Sympos. l. 6
Erotic. il vanto d' aver meglio e più:
destramento usato d'aleuni epiteti d'Omero: Ne reca ' egli in pruova l'aggiunto
d'agglome rator di nubi, che questi attribuisce a Gio ve, e quegli all' aria, e
l'altro di difena SOF del corpo, che Omero dà allo seudo, ed Empedocle
all'anima. Ma perchè più dilungarci in rapporta: re antichi testimonj su cið? I
franımenti stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc cellenza della sua
poesia. Basta dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle sue o pere
poetiche. Le voci, le frasi, le me taforé, la giacitura delle parole, le desi
nenze de' versi son le medesime in quello, che in questo. Si può quindi dir con
ra gione l'apparenza de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi essere
stata tutta di Omero. Oltre che riluce in lui una viva cità nelle immagini, e
una novità sin" nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti ed
espressivi e leggiadri non si trovano in al Plut. Symp. cun altro poeta: 1.
pesci, per tacer d i tant altri, " sono chiamati da lui quando
nutriti, quando abitatori dell'acqua; gli uccelli cimbe volanti; gli Dei ' di
lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile nella sua poeti ca indica come una
metafora assai bella, e allora nuova, quella con cui Empedocle esprime la
vecchiaja; chiamandola l'occa. so della vita. Chiunque poi legge nelle sue
opere la descrizione della natura; " che qual pittore con quattro colori,
fa tutte le co se con quattro elementi; o l' altra della visione, che comparata
a una lucerna, fa le sue funzioni; o quella della clessidra, o cose simiglianti
', non gli potrà certo ne gare il pregio, che si conviene a vaga e bella
fantasia. Per lo che da' framinenti di G. si prende quel diletto, che pigliar
si suole guardando i rottami d'una qualche nostra Greca Sicola anticaglia. Nel
mettersi insieme si fatti frammen, ti si sono in prima distinti i versi, che
appartengono al poema della natura, da. quelli, che fan parte dell'altro sulle
pur 197 1 lande prezi Foce cck que nal elle gazioni. Ciò non è riuscito punto
difficile, Perchè il primo tratta di cose fisiche, e 'l secondo di cose morali.
In quello d'ordi nario, perchè diretto al colo Pausania i verbi si trovano in
singolare. In questo all'oppesto perchè indirizzato a Gergentini, i verbi si
leggono in plurale. Perd e dalla sintassi e dalla materia è stato age vole il
se parare i frammenti d'un poema da quelli dell'altro. Si sa oltr'a ciò il
poema di G. sulla natura esser. diviso in tre libri. Molti stenti ha costato il
congetturare qua li sieno stati trà versi, che ci restano, quel li che
appartengono o al primo, o al se condo, o al terzo, In çiò fare è stato di
mestieri ricercare se per avventura gli scrit tori, che ne riferiscono i
frammenti, aba biano citato il libro. Talora d' alcuni ver si, che certamente
si sa dalla testimonian za degli scrittori doversi collocare in uno de' tre
libri, si è rilevata la materia, che in ciascuno di essi trattavasi dal no stro
Gergentino, Stabilita poi la materia la ni che ung en. he da ur. 198 stato ben
facile il riferire allo stesso li bro tutti que' frammenti, che si versano
sullo stesso soggetto. Ma non di rado con frontando i frammenti tra loro si è
trova to, che alcuni finiscono con versi, che son principio di altri. Con tale
studio quindi e simigliante artifizio si è cercato di collo care o prima, o
dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso libro. Nel resto sarà meglio il
tutto giustificato nelle note, e l' ordine con cui sono rapportati i frammen ti,
e l'autore, da cui sono stati ricavati e l'intelligenza, con cui sono stati
interpe trati '. Fra tanto se questo qualunque siesi lavoro non sarà stimato
degno di lode, po trà almeno, meritare, nell' emenda de dete ti il perdono del
pubblico. RACCOLTA DE FRAMMENTI. ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε κλυθι
δαίφρονος Αγχίτου υιε. Εστί αναγκης χρημα θεων σφραγισμα παλαιον Αϊδιον
πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακους Ζευς
αργής, ηρητε φερεσβιος η αίσθωγευς Νηστις θ' ' δακρυοις τεγγα κρενωμα βρoταον
Των δε συνερχομενων εξ εσχατων ιστατο νακος Διπλ' ερεω: τοτε γαρ εν αυξηθη
μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον εξ ενος ειναι Δοιη δε θνητων
γενεσις δοιη και απολαψις Την μεν γαρ παντων συνοδος τικτατ’ ολεκτιτε Ηδε παλιν
διαφυαμενών θρυφθασα γε δρυπτα Και ταυτ αλλασσοντα διαμπερες εποτε λήγα DELLA
NATURA Pausania figliuol del saggio Anchito tu ciò, ch’io dico, attentamente
ascolta E' volere del fato, è degli dei decreto antico, che ab eterno fue segnato
con solenni giuramenti. Il bianco Giove, la vital Giunone, E Pluto, e Nesti,
che piangendo irriga I canali dell'uom, son d'ogni cosa, Odimi in prima, le
quattro radici. Ma come quelli tra di lor s'accozzano Dall' ultimo confin sorge
la lite. Dųe son le cose, ch' a narrarti io prendo: Ora l'uno dal più risulta,
ed ora Nasce dall' uno il più: cosa mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha
morte. Genera, e strugge l ' union del tutto; E questa sciolta, torna pur di
nuovo CC 20 2 Αλλοτε μεν φιλοτητί συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα
παντα φορεμενα νακεος εχθα Εισοκες αν συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η
μεν εν εκ πλεογων μεμαθηκε φυέσθαι Η δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ:
Τη μεν γίγνονται τε και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες
αποτε ληγει Ταυτη α εν εασσιν ακινητα κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη
γαρ τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και πριν ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε
μεν γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι
Πυρ και υδωρ και γαια και κερος απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των
αταλαντον εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε
μη δ ' ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε
φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ "
αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε
λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ'
αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο.
Και προς τους ατ' αρ' επιγιγεται δ ' απολήγα Ogni cosa, ch' è nata, a separarsi.
Tutto alterna cosť, e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza Per la
virtù dell' amicizia, ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi in
aria, finchè non si unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un
già nato il più rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil.
Perchè l' uno e l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un
cerchio eternamente gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso
sentire, e risentire La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma
del discorso Due son le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si
forma, ed ora Nasce dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria
d'un'immensa altezza, Oltre di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa,
ed amicizia, Ch'ha per lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la
contempla. Invano Ed acqua, CC Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν καισαν.
Τατο δ ' επαυξησε το παν τι κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο επει των δ
' δεν ερημον; Αλλ ' αυτ ’ εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται αλλοτε αλλα
διηνεκες αιεν ομοια. Stupidi gli occhi sopra dessa fisi. Questa d'ogni mortal
nelle giunture Si vuole innata, e chi n'han senso in mente Fanno, comº essa fa,
opre leggiadre. Di Venere col nome o d'allegrezza La chiamano, sebben finor
niuno Seppe indicare dentro a quali cose Si aggirasse involuta. O tu niortale,
Ascolta i detti, che non son fallaci: L'amicizia, e la lite sono eguali, Hanno
la stessa età, l' origin stessa Sol con diverso onor l ' una sull'altra Impera,
e piglia, com'è lor costume, Il comando a vicenda al fin del tempo, Scritto a
ciascuna dal voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò, ch' ancor non è Nulla di
quel, che è, desser finisce; Se pur finisse., riaver non mai Potrebbe in alcun
tempo l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non v'ha luogo Di ciò solingo,
ch'al presente esiste? E se quel', che non è, ora venisse D ' onde verrebbe? e
che? come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli è tutto?? Επι νεικος μεν
ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη δη
ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν αλλοθεν
αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε
κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν
εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’
εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης
αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα
δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία
θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι Sempre dunque le cose son le
stesse, Si mischian, si separano, a vicenda Movendosi tra lor, e nascon sempre
Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la lite già toccato il fine Ultimo del
girar, quando amicizia Del cerchio, in cui si volge, al centro arriva. Tutte le
cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un; ma a poco a poco il fanno, Base a
base di quà di là giungendo. Dagli elementi, che tra lor si mischiano Razza
infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que', che s'accozzar, vi furo Altri,
che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron puri; perchè lite ancora In alto
li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il tutto scisso Sull' estremo confin
del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni fuor spuntaro, Ed altri nò. Ma
quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto sempre è pronta L ' amicizia a venir
saggia, divina, Nuda di colpe, d' immortale forza Σ Η δε χθων τατοισιν ιση
συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ ' ομβρωτε και αθερι παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα
τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ ' ολίγον μειζων ειτα πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’
εγένοντο και αλλης ειδεα σαρκος. Η δε χθων επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα
δυο των οκτω μερεων λαχε νηστιδος αιγλης Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα
λευκα γένοντο Αρμογιης κολλησιν αρηροτα θεσπεσιηθεν E nascer ecco, e divenir
nascendo Della morte alla falee sottoposti Que', che prima sapean esserne
immuni, E mutando sentier trovarsi misti Que', che puri eran pria senza
miscuglio. Formasi in somma dalle cose miste Un numero infinito di mortali, Che
d'ogni specie son, d'ogni figura, Si, ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti
estremi della bella Dea Giunse la Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo,
ed or mancando Il più meno si fa, e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual
s'avvenne All' aria trasparente, al fuoco, all'acqua, E da tale union indi
formossi Qualunque specie di carne, e di sangue. Quando la terra era d'amor
sospinta In pevere ben salde a sorte trasse Dell'otto parti, d' acqua chiara
due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col glutin d'armonia tutte s'uniro:
dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και
αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης
προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω διαμορφα και αν διχα παντα
πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται. Εκ τετων γαρ παντ' ην
οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε γυναικες Θηρεστ’
οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες τιμησι Φεριστοι και
Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα E l'ossa bianche furon
tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che desta Calore, e lancia della luce
i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono, Quasi da fame o pur da sete
spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi ovunque veder l'acqua; che in
neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la terra, da cui vengon fuori Le
salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme, ed ogni cosa è scissa, Ma
regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e l'una all' altra cosa Per
interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da quelli, e per l'amore, Ciò,
che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi alberi, e piante Nacquero
maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor, che son d'acqua nutriti; O
pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl' inni, e per gli onor prestanti.
Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre tra loro han moto, e cangian
forma. d d 2 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα ποικιλλωσιν Ανερεσ αμφί τεχνης υπο
μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι πολυχροα φαρμακα χερσι Αρμονια
μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα πασ' εναλίγκιά πορσυνέσι
Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’ οιωνες τε και υδατο
θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες Ουτω μη σ ' απατα φρενα
ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν εσπετα πηγήν. ταυτ ' ισθί
θεα παρα μυθον ακουσας Αλλα τορώς Εν δε μερα κρατεεσι περίπλομενοίο κυκλοίο Χα,
φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης Αυτα γαρ εστι ταυτα οι αλληλων δε
θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα θνητων: Αλλοτε μεν φιλοτητα
συνερχομεν ασ ενα κοσμου Qual dipintor nell'arte sua perito Sa' i quadri variar,
che la pietate Del tempio alle colonne, appende in dono A santi numi. Egli con
man piglian do Ora più, ora men di questo, è quello Colore, insiem con '
armonia li vmischia, E poi con essi va pingendo immagini Che son del tutto
simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere, uccelli, e piante;. Ed i pesci, che
son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi Chiari per glinni, e per gli onor
prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna Dº ogni nato mortal qualora dice
Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che ho detto, tieni pur per fermo.
Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul quale il mio parlar non è diretto.
acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite impera Del cerchio intorno
rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il fatoo Manca a vicenda, ed a
vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando Αλλοτε δ ' αυ διχ'
εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν υπεγερθα γενηται. Ουτως
η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι.
Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα
λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα
πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην
οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε
Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα
Si muovono. Deil' uom la razza nasce, Tant' altre razze di mortali han vita.
Talor per amicizia in ordin bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di lite
il tutto si separa, è stassi Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi l'uno
dal più nascer costuma. Così dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han
vita, ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna, e
l'alternar non ha mai fine Sopra d'un cerchio eternamente gira. Quattro,
figliuol d'Anchito, in prima ascolta Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua,
La terra, e l ' aer d'un immensa altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva
Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò, che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa
Era stata ne' membri, il tempo scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero
Alternar si dovea, com'era scritto Con solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια
μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα
Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον
εασσιν Αλληλοις εστερνται ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων
διεχεσι μαλιστα Γεννητε κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα
και μαλα λυγρα Νακεσ γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα,. Αλλο δε τοι ερεω •
φυσις αδενος εστιν απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον
μιξις τε διαλλαξις τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι Οι
δ ' οτε δε κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και
κατα θαμνων Ηε κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι Tutto è perfetto,
perchè tutto ha pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la terra, il sole,
il cielo, il mare e tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti
giusta sua natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce
al suo simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le
divide L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la
tempra, E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce
allora Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io
prendo: Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol
miscuglio, E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini
chiamaro. Quando a caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la
razza, O quella degli uccelli, o delle piante, Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ
δυσδαιμονα ποτμαν Ειναι καλεσιν Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε πολυκλαυτωντε
γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8 γαρ μυθος
αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον Αμφοτερων
υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον ευεσθα Ουτε
τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον ανδρασι,
ηουν Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη ανδροπρωρα τα
δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ ανδρων Τη
γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις O de' bruti selvaggi, allor si dice Che
nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch' han trista morte. Come
nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i germi oscuri, e delle donne, Che
piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è, nè fuor sen va del segno.
Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti. Ma siccome il fuoco Su
n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol umide forme, e l'immago per
lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri ancora Non mostravan ľamabili
fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè la natia degli uomini favella.
L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o petti.. Bovi son questi con umano
volto, Comini quelli con bovina testa, D'opachi membri son forniti, e tutti e e
2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες εβλαστησαν Οφθαλμοι δε επλασθησαν γαρ
πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς μορφονται γε. ωμων. Τατον μεν βρoτεων
μελεων αριδαιαστον ογκον Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν' ας εν απαντα Για το
σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν ακμή. Αλλοτε δ ' αυτε κακησι διατμηθοντ ’
εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι ρηγμινι βιοιο. Ως αυτως θαμνοισι και
ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’ οραμελεεσσιν ιδε πτεροβασμισι κυμβας Σδε δ αναπνα παντα και εκπγ: πασι λιφαιμο !
Σαρμων συριγγες πυματον κατα σωμα τετανται Και σφιν επιστομίοις πυκνοις
τετρηντα αλοξι Ριγων εσχατα τερθρα διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221 L'han di
maschio, e di donna insiem confusi Sorsero teste senz' aver cervici. Privi di
fronte furon fatti gli occhi. Nude le braccia senza spalle fatte, I membri
umani giaccion tutti in massa Bella, e vistosa. Per anior talvolta S' uniscono
tra loro, e corpo a caso Nel fior si forma della verde etate. All'opposto talor
spiccansi i membri Per trista lite, e quà e là d' intorno Alla spiaggia di vita
erran divisi. Apvien ciò pure agli alberi, alle fiere Che montanine son, a
pesci ancora Abitator dell acqua, ed agli uccelli Che solcan l ' aria coll '
alate cimbe Ecco nel respirar come da tutti L' aer dentro si tira, é fuor si
manda, Delle vene i canali si propagano Agli estremi del corpo, e metton capo
Delle nari ne' solchi, in cui le punte Σ
Kευθαν αιθερι δ ευπορίαν διο οισι τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν
αμα Αιθαρ παφλαζων καταϊσσεται οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1.
ωσπερ οταν πας Κλεψυδρας παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ'
ευκαδα χερι θισα Εις υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’
ομβρος εσέρχεται αλλα μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ
α τ οστεγασι πυκνον ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων
υδωρ. Ως γ' αυτως οθ' υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί »
χροι ηδε πορο! ο Αιθήρ δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο
δυσηχεος ακρα κρατύνων Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν
Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα
κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα
κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ' αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα Hanno
sturate, Ma di sangue in parte Sono que tubi, e non del tutto pienii. Però
calando giù s'occulta il sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit
Dell'entrata lu vir per le bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle
In gil si lancii nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle
Entra con furia. E quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo
Uscendo l'aria. Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di
facil bronzo, ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura
Colla sua bella man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di
spessi forellin tutta bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa
intanto dentro non penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando
a' forami con la molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena
riapre la donzella Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον
νοεων ωπλίσσάτο λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο L'aria sen
fugge; e come questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar
pria non potea, entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In
altra guisa guarda là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base
forata vuol che cada L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d '
entrar laer di fuori Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini
gorgogliante. Se quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di
sopra Cadendo all ' acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base
gronda. Tal è del sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira
Affollandosi in dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi
quel ratto s' avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come
d'inwerno per l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara Αγας παντοίων
ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων Φως δ ' εξω
διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι ακτινεσσιν. Ως δε
τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν εχευατο κακλοπα κερης
Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ ' εξω διαθρωσκον οσον
τανάωτερον Μεν U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και τοτε και τοδε Ουκ έστιν
πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν υπερτε μέγιστη Πειθες
ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη κεφαλη κατα γυια κεκασθα
Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν Lampade,.e lume di un ardente fiamma, E
poi li mette dentro una lanterna, Che da venti difenda la fiammella; Perchè di
questi come van spirando Disperge il soffio. Ma di fuor si lancia La luce,
intanto, e quanto più si estende, Tanto illumina più presso la struda Corai di
notte vincitor non vinti; Cosi il naturale antico fuoco, Che la pupilla
circolure irradia, Stassi dell' occhio in le membrane chiuso Sottili al par di
vel, che dall ' umore, Il quale in copia dall' intorno scorre Tutto il difendon.
Ma di là movendo Quanto più lungi puà fuori sį spande. Nè questo, o quello, nè
quell' altro è Dio, A noi cogli occhi non è mai concesso Di poterlo veder, nè
colle mani Di poterlo trattar: che della mente Esser suole la via grande, e
comune, Per cui persuasion entra nell' uomo. Οι ποσες και θοα γουνα παι μηδεα
λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη και αθεσφατος επλετο μενον, Φροντισι κοσμον άπαντα
καταϊσσεσα θοησιν ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη
εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα παντα Ταράτε και ποντος πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν
η δ αθηρ σφιγγων περί κυκλoν απαντα Iddio non è di mortal capo ornato, Che su
membri s'estolle. A lui sul dorso Non spiegansi i due rami. Egli non have
Ginocchia, che al cammin ci fan veloci. Egli piedi non ha, nè quelle parti Che
vergogna, e lanugine ricopre. E mente sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non
si può da nostra lingua: In un istante tutta la natura Col veloce pensier
ricerca, e scorre. DELLA NATURA. V B R SI Che non si sa a quale de tre Libri
appartengono. Dirotti in prima co' mięi versi d' onde Ebbe origine il Sole, e
d'onde ogn'altro Che noi veggiam; l ' ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo
sen chiude, e raccoglie Ogni umido vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e
tutto intorno avvolge. 23ο Πως και δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες Ειπερ,
απαρονα γης τε βαθη και δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα ματαιως
Εκκέχυται στοματων ολιγον τε παντος ιδόντων Ουδε τι τα παντος κεγεον πελα ουδε
περισσον Ως γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον Ορέσες οξυ ο επ ' οξυ
εβη θερμον δ εποχευετο θερμος Γνους οτι παντων « σιν απορροια οσσ ' εγένοντο
Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε πολλακι δ '
αλλος In qual maniera furon pria formati E gli arbor alti, ed į marini pesci.
Per la lingua di molti invan discorre La terra, e l ' Eter non dver con fine
Quella nelle radici e questo in alto. Ciò la bocca di color si sparge per Che
nulla, o poco sanno, e guardan lungi Colla veduta corta d'una spanna » Vacuo
non c'è, e nulla pur ridonda; U Dolce a dolce s' unisce, ed all' amaro Corre
l'amaro, e l'aspro all aspro vanne, E verso il caldo si conduce il caldo. Ogni
corpo, ch ' esiste, il dei sapere, Vibra lungi da se parti vaganti, Fiutando
indaga le ferine tane, Tale in quel punto s’intoppò correndo Ma in altra guisa
per lo più s' avviene οπη συγεκυρσεν απαντα Η δ ' αυ φλοξ ιλααρα μινυνθαδικαις
τυχε γαιης Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε τυχοντα Τη δε μεν ιοτητι τυχης
πεφρονήκεν απαντα Και καθ' οσον μεν αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα Αλλα οπως αν τυχη
ΓIαντα γαρ εξακης πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη καλαν έστιν
ακουσαι Ενθ' ουτ' ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια Αρμογιης πυκίγως κρυφα εστηρικτα
Σφαιρος κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma lunare
s' incont Insiem con Terra, che Nelle man di Ciprigna cost Col parer di fortuna
al tutto intese In quanto a caso s'accordar tra loro Nell'incontrarsi Ma come
sorte volle Tutte di mano in man le membra scosse Furon del Dio Ciò, che è
bello convien, che si ripeta Le pronte membra non vedeano il Sole Salde in
occulto d' armonia fur fatte In tonda sfera stretto quasi il tuttó Αυξα δε χθων
μεν σφετέρος γενος αθερα δ ', αι: θηρ Κατα το μαζων εμιγνυτο δαιμονι δαμων Αιθηρ
μακρησι κατα χθονα δυετο ριζας Οινος απο φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω υδωρ (46)
Αλλα διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν ανδρος Η γ ' εν γυναικος Μηνος εν ογδοατα
δεκάτη που επλετο λευκον Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και εδησεν. Ουτω
δε ωοτοκει μικρα δενδρα πρωτον ελαιας Νυκτα δε γαια τιθησιν υφισταμενη φαεισσι
Lieto dell'unità solingo gode: Aria ad aria s ' aggiunge, e terra a terra; Il
minore al maggior spirto s' unisce: Della terra le barbe aer penetra; L'acqua
scomposta sotto la corteccia Vino diventa, Della prole le membra stan dis ise
Parte nel maschio, e parte nella femina, Al giorno dieci dell' ottaro mese
Nelle poppe si forma il bianco latte. Come gaglio rappiglia il bianco latte,
Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli arbor non alti della verde uliva Luce
impedendo fa la terra notte Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη απέσκεδασε.αυγας
Ες γαμαν καθυπερθεν απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’ ευρος γλαυκωσιδος επλετο
μηνης Гщи ру тар уцау апожариву детi Uдор Ηερι δε ηερα διον ατάρ πυρι πυρ
αιδηλον Στοργην δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω Παντα γαρ ισθι φρονησιν εχαν
και σωματος αισαν Λιματος εν πελαγεσι τετραμμενα αντιθρωντος Τη τε νοημα
μαλιστα κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ ανθρωπους περι καρδιον εστι νοημα Προς παρεον γαρ μητες αεξεται ανθρωποισι οθεν
σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια παριστατα Dolce è la Luna, e durdeggiante il
Sole. Disperge i raggi sulla Terra, e sopra Tant è la luce, che le fura, quanto
Il disco è largo della glauca Luna. Terra veggiam con terra, acqua con acqua,
Aer divin con aere, e lucente Fuoco con fuoco, e con amore ' amore, E veggian
lite con dannosa lite. Uomini, bruti e piante ben lo sai Han tutii mente, e
parte di ragione, Stassi la mente dove più ridonda II sangue, che su giù sempre
si muove, Perchè dal sangue, che circonda il core Il pensiero nell' uom sua
forza prende; Il pensare dell' uom cresce e al presente Però il pensare sempre
a lui diverse Mostra le cose. 238 Ενδ ' εχυθη καθαροισι τα δε τελετουσι
γυναικες Ψυχεος αντιασαντα Νηπιοι και γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι μεριμνα Οι δε
γενεσθαι παρος εκ εον ελπιζασιν Ητοι καταθνησκαν τε και εξολλυσθαι απαντη Αλλα
κακοίς μεν καρτα πελ4 κρατ€8 σιν απιστών, Ως δε παρ' η ιετερης κελεται
πιστωματα μεσης Γναθη διατμεζεντα ενι σπλαγχνοισι λογοιο Ταυτα τριχες και φυλλα
και οιωνων πτερα πυκνα Και λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι μελεσσιν αυταρ
ελικος οξυβελας νωτοισι δ ' ακανθι επιπεφρικασι Της δαφνης των φυλλων απο
παμπαν εχεσθαι Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero poi
s'affredda a caso La famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo
Prendon lusinga di poter esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste
Potersi in tutto struggere, e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla
forza del ver, trionfo meni, Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra
musa. Tu dentro l'interno I detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa
natura sono i peli, Degli arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o pur
le squame sparse De' pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a cui
le spine Acute gli si arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man
ritieni Τετο μεν εν κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε
λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν Βυσσω δε γλαυκης
κροκο καταμισγεται Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων κορυφας ετεράς
ετεραισι προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν Νυκτος ερκμαιης αλαωπιδος
Αλφιτον υδατι κολλησας θαλλαν Καρπων αφθονιισι κατ ηερα παντ εγιαυτον. Ουδε τις
ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε Κρονος, ουδε
Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. Del mar le conche di pesante dorso, il murice
riguarda, e le testuggini che son coperte di petrose scaglie. Bene in questi
aninai veder tu puoi come del corpo sta la terrợ in cima. Si mischia al bisso
il fior del croco azzurro. La goffa turba de' fecondi pesci Guidando Somma a
sonima giungendo del discorso Per diversi sentier prender cammino Della solinga
tenebrosa notte Coll acqua unendo la farina d'orzo. Germoglian ricchi di lor
frutta in tutte Le stagioni dell'anno in mezzo all' aria. Marte non han qual
Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero eccitatrice: A Nettuno, a Saturno, Giove
il rege hh Την οιν' ευσεβεεσσιν αγαλμασιν ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι,
μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ' ακρητου θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων
τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για
κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’ αμβλυνεσι μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος
αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην αρθεντες απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω
προσεκυρσεν εκαστος Παντος ελαυνομενοι και το δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’
επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ ' επακιστα Ουτε νοω περιληπτα ή και συ 80 επα ωο
" ελιασθης Πευσεαι.ε πλεον γε βροτάη μητις ορωρε Negano omaggio; e prestan
solo il culto A Venere Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti
Animali, e con mille odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di
pura mirra, e d'incenso spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra
il biondo miel spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra
mente. Abbonda pur la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la
porzioni di vital forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei
fura. E quindi ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s'
avvien, resta sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che
non puossi ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom.
Giacchè vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo
hh 2 Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων, καθαρην
οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων θεμις
εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ
ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον
Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον
εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ
τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε
γορα θ ' η δηλον εκαστον Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla lor lingua,
santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima vena in lor
sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian disiosi amanti,
Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir, che lice all '
uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor presso i mortali,
Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier docili al freno Porta
da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai ratta a sedere Di sapienza
allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il tutto, e vedi Ciascuna cosa
chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la fede Presta al senso di
vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i suoni Credi più della
lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch' all'altra Credi di quelle vie,
per cui ci viene Πεση Φαρμακα και οσσα γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω
σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ ' ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν
Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα
πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε
εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ
αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi
in somma poni giù la fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa
chiaramente il vero. Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si
conforti, udrai. Che tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili
frenare L'ira saprai; che con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i
campi Guastano tutti; o pur se n'hai piacere Concitar li potrai, se son
tranquilli. Saprai d'inverno tra procelle scure Produr di state il lucido
sereno, O pur nel fitto della secca state Produr le piogge, che nutriscon gli
alberi, E del caldo l'ardor tempran movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin
dall'inferno a richiamar gli estinti ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα
ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ
υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε
Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα
τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες
σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων
επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση
σών Ει θνητων περιειμι πολυφθορεων ανθρωπων DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei
diletti, abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo
Acragante bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori
Dio, nè qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti.
Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè
sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e
mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali
s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi
a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di
guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè
d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor
m’inalzo? Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις αμπλακιησι φονω
φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις μιν μυριας ωρας
απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και αλήτις Νακεί
μαινομεγω πισυνoς Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε διωκεα Ποντος δ ' ες
χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ ' αιθερος εμβαλε δινας
Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα λοιμωγατε και σκοτος
ηλεσκέσις be E ' volere del fato, è degli Dei Decreto antico, che s'alcun
peccando Di quegli spirti, che sortiron vita Lunghissima, lordò le proprie mini
Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi dall' alte sedi, in cui beata Vivon,
vita gli Dei, e vada errante In репа del fallir tapino in terra, Finché ritorni
primavera ai campi Tre volte dieci mila; ed un di questi Io son, ch' ora dal
Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul ramigo, Solo in poter di furibonda
lite. } L'aria gli spirti, che falliro, caccia In mar con forza, il mar li
getta in terra, La terra li rigetta su lanciando Del sole infaticabile ne'
raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli scaglia. L'un dopo l'altro van cosi
girando, E tutti traggan pien di duolo i giorni. Van per gli prati, e per lo
scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε και αλλων εθνεα κηρων Κλαυσα τε και
κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον Ω πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ
εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε. Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα Εκ μεν γαρ
ζωων ετιθεα νεκρα «δε' αμκβων Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και
μεταμπεχασα τας ψυχας Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον Ηδη γαρ ποτ' εγω
γενομενην κεροστε κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς. Εν θηρσι
δε λεοντες οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν. Ivi
la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito abitar vedendo
piansi. Ah! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice ! Quali
affanni, e liti Siete nati a soffrir! Da quale onor son misero caduto, Da qual
grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme involgendo,
e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn quest'antro coperto
al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella, uccello, Albero, e senza
voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il Leone Giacente in terra,
abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη ταναίτις Δηρίς θ '
αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε Δαναητε Νημερτης
τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος απαροι φιλοι οιδα
μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ' αργαλειτε τετυκται
Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ τοιαυτα σοφος
Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα μεν εν εστι
και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’ εδεν αρ' εισιν(94
Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος Tal su gli arbor fronduti il
lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi, e la cruenta Deri
Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e Deinèa E la turpe
Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto oscura O
Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io, mici cari,
so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala della fe la
forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio non v'è,
che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che chiaman vita,
esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia prima il
nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti Αιθερος ηνεκεός
τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος'; 8κ εσoρατε
Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον υιόν αερας
Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες οδ '
ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως
πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι
Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι χειλεσι
μητισασθα! Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e l'alta region dell
Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si sparge per le
vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete colla mente
piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che mutata forma Il
padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi cose prega Tutti
color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma quest'altro Nell'atto
di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di minaccia Malvagio in
casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte Il figlio al padre,
ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi d'anima Le care in cibo
ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi spense Prima, ch'avessi
fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie labbra ! kk 558 Ταυρων δ '
ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ ' εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον
Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια. Τοι γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν
Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον. Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον
Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα μεμπλε Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι
και 1ητροι Και προμοι ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι
τιμηση φεριστοι Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων
αποκληροι εοντες απειροι. Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di.
Ma sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e
divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato,
non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che
possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di
pensando Ne porta tenebrosa opinione. I vati infine, ed i cantor degl' inni I
medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü
d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii,
d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν
κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε
μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των
οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι
ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα
κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται
Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα Tra quelli o'era l' uom sopra d'ogn '
altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel seno.
Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte Dotte di
lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte
schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col
pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone,
Nato dun alto padre in G. Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua patria
posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba ritien
sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου υιον Φωτ’
Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους κεματοισι
Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων Δειλοί πανδειλοι κυαμας απο χειρος, εχεσθαι,
Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων Ναν μα τον αμετερας σοφίας ευρoντα
τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν Di Pausania. Il medico che
nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è discendente Degli Asclepiadi, ed ha
per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti languenti I'er penosi malor dalle
segrete Di Persefone stanze a forza trasse. Versi d' incerto Autore attribuiti
da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri, del tutto in felici Dalle fave la
mun: mangiar di queste Egli è privare i genitor del capo. Giuro per quel, che
nella nostra scuola Scoperse il qucttro, che racchiude il forte, E la radice
eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA DE FRAMMENTI. Questo verso si trova
presso Laerz. in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas αυτε, ω δη και τα
περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania è amato da G., e que sti gli intitola il suo
poema sulla natura E siccome questo verso forma la dedica; cosi si è collocato
il primo. La frase per quanto pare è Omerica come si può vedere Iliad. 11 V.
450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz.
d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono dagli altri, che li seguono, si
son collocati prima. Per altro Plut. de exil. afferma che cosi cominciava la
filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son rapportati da Laerz. che se 1. 8
in Emp. I primi tre da Sext. Emp. adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1
cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl. Phys. Questi si sono premessi per la
ragio ne ch'esprimono i quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia di
G. Si conviene da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti
l'acqua, condo Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto
Empirico deriva da yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per
gli due simboli. Giunone e Plutone.
Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1. cap. 3. de Pl. Ph.
Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è
espressa l'aria; ed al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp.
Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p.
443., -sotto il simbolo di Giunone è indicata la terra. E però per questi
Plutone era la• ria, e per quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om.
11. 20 V. 61. Esiod. Theog. v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium
'. Nella traduzione si è formato GIOTATO 2 per tmesi. col. Di questi versi il 7 e l'8 sono riferi
ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys Dal 10 sino al 15 si trovano presso
· Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22 presso Ciem. Alex. Strom. I. 5.,
ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi eccetto il g e'l 10 sono rapportati
da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz. d'Aldo. Siccliè si è supplito il 10
con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio. Questi versi che sono al numero di 36
fan parte del primo libro della natura. Poichè lo stesso Simplicio dice
chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel primo libro delle cose fisiche I
versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imitäzione d'Omero. II. 6.v.. Il 5 portá
P&T Th, ma si è cangiato in.dpuntu come più confacente al senso. Nel 6 in
luo go di xdcepecei dinge si è posto 8T0T€ anges.co me Omero. Il. -10. V. Nel z
la paro la Qiaotati amicizia non significa in verità che ainore, siccome fa
Omero. Il. 6 v. 161 c in quasi tutta l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab.
Dal 7 al 12 sembra di essere una semplice imitazione d' Esiodo nella Theog.
Poichè Empedocle mette in contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte
e'l giorno. Ne’ versi si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso
modo che suol fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272.
Odys. 4 V. 209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare
che l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso
aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. Nel verso reipata pewIwon siccome 0. mero
παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da dirsi che
intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i corpi
possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa
interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac
ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il
più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24
cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271
lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso
Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo.
L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod.
Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni
altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel
30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'.
Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne del
verso come in Omero. Il. I versi si
trovano presso Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono
rapportati da Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti
nel primo libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che
precedeano altri, che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων
των επων • Nel verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews
come si legge in Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero
II. 9 V. 502, Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune
presso Omero ed Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v.
140 ', ed in tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell'
Idyl.. 17 v. 77. non è difficile che imita G., dicendo egli εθνεα μυρια φωτων α
εinmiglianzα di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, Simplic. de.
Phys. aud. Quer sti versi sono quegli stessi innanzi a' quali di ce Simplicio
ch' erun collocati quelli della na: ta L' epiteto Truji Payowymi è Omerico. II.
8 v. 320 e 435. Orfeo nell'inno all' etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes I
primi tre' versi sono presso Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp.
de Phys. aud. I. 2 p. 66 Aldo. Simplicio af ferma che appartengano al primo
libro d' Em. pedocle λεγει εν πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota;
cosi si sono si tuati vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di
επίκρανος 273 è d'Omero. II. 1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod.
Theog. v. 865. Nel 3 l’ oGTEL deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. e d'Omero.
I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e il 7, 8, 9 presso
Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l. 1 p. 8, e nella
pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ. αγε
των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον
επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov
legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti
colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di
sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel
testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a
negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m
m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene
all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero
so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua
natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi
vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa
Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα.
It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al
v. 70. Il. e al. v. d' Esiod. Theog., e l'8 al v. Odys. 15. Nel 9, e 10 l '
epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono tutti
due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il Tlpenoi
Ospirtoi pare che sia preso dal v. . Simplic. de Phys. aud. 1. 1 p. 34. Egli li
rapporta dopo quelli della nota e dice, che Empedocle li soggiunge in esempio.
Non v'è quindi dubbio, che debbono essere collocati nel primo libro, e dopo di
quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi ripetuti alla maniera Omerica, e nel g
versa ľws YÜ XEV come nel v. Il. 11, e
nel v. 11 della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell'
11 vi si troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v:
Simplic. de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i versi delle
note. 80ggiunge και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però si son collocati dopo,
e come ap partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver si è quello stesso, ch
' è stato inserito da 9 nes versi della notą. Il 2 verso si trova presso Plut.
net lib. de adulat. et amici discrimine: il terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3.
cap. 4.- Tutti tre presso Clem. Alex. Strom. I. 6. Il secondo verso, si
rapporta d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle nel 19 della nota (4) dice
c7 NETOV, e per altro pare più armonioso ed Omerico. Questi versi, come quel li,
che indicano i quattro clementi ', non si possono collocare che nel primo libro.
m m Arist. Metaph. l. 3 cap. 4. Simplic. de Phys. ' aud. Plutaroo nel lib. de
Reip. geć. praecept. vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ' Εμπεδοκλεα. Questi
ver si non possono appartenere, che al primo li bro; perchè in esso dichiara
Empedocle le due forze amicizia e lite. Simp. 1. i de Phys. aud. p. 34. La
parola aprice del primo versa può significare pari di numero, perfetto, ed
adatto. Si è tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi, di cui
Empedocle enumera le parti de gli elementi, da cui quelli son composti, non
sono che di numero pari. Cosi l'ossa di oi to parti nota, la carne di parti
eguali de quattro elementi nota et.. Arist. de Gen. et Corrupt. e De Xenoph. Gorg., at Zenon.
Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati nel primo libro perchè
Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto
ď Omero Il., Odys. 11 V. 453. Odys.
10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod. in Scuto Herc., ' e
nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca che spesso si tra,
va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris nel principio come
opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me in fine significa
natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di natura. Plut. adv.
Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono una continuazio ne di
que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi fossero sta ti
alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in genere neutro, che
suol esa sere presso i Greci di genere maschile. Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E
siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8 Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ
της ανδριων και γυναικιων σωμάτων διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel
secondo libro delle cose fisiche canta questi versi prima di parlare della
formazione e articolazione de' corpi de maschi e delle femine Non vi ha 278
quindi alcun dubbio, che questi versi fan par te del secondo libro, e che il
soggetto di que. sto libro si versa sulla nascita degli uomini, e de' corpi de'
maschi e delle femine. Però è, che tutti i versi che riguardano la formazio ne
degli uomini, e de' loro membri, e delle parti del corpo umano e loro funzioni
sono stati da noi posti nel secondo libro. Il verso è un'imitazione d'Omero nel
v. dell' Iliad. Quais secondo Simpli cio esprime la massa tutta, del seme, che
an cora' non indicava la forma de' membri. Aeliano de Nat. anim. Le forme
descritte in questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come
singo lari. Cosi Arist. Nat. ausc. Esse non poterono durare, perchè non eran
tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi
sono i mostri.: Simpl. de coelo Arist.
de coel. De Gen. I. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 Simpl. de
coelo Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. Aldo.
Nel verso si è spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. Nel 6 e nel 7 - sono
da notarsi ud poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma
niere originali di G.. Aristot. de respir. Questo è il più bel frammento
d'Empedocle, e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica, in cui non
solo si spiegà da Empedocle il modo a suo credere del nostro respirare, ma si
di mostra eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è stato tradotto per
quanto si può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen. do talora la forma
della clessidra, senza di che non si avrebbe potuto chiaramente com prendere Il
coros del 4 verso corrisponde al cruor de’latini. Il. Chi si conosce – Omero
può accorgersi come va adattando Em. pedocle tutte le parole e frasi d'Omero
nel 5. sino all ': 8 verso. Lo stesso WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il.
15.. L'EPOMBAEOS, che Omero applica ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle
l'adatta alla duttilità del bronzo 200 Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes
dell' 11 è d' 0. mero Il. 14 v. . L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente
Omerica Il. 11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371 ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova
applicato al giorno in Oniero, e qui che non può esser fatale se non per che
nella clessidra è destinata a notare le ore che scorrono. Nel 18 verso Bpotew
Xpor presso Esiod. Opera è preso per umano corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil
duonysos è applica to alla guerra. Il. v.
ec. Da Empedocle si acconcia al gorgogliamento dell'acqua Arist. de
sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso σελας πυρος αθομενοιo e d'Omero. Il. 9
v. 559. Il. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282 ec. Il 24uepiny νυκτα e simile all'
αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v. 57. Nel 3 si trova apopg85 ch'e' una
metafora, quasi che le lanterne di fendendo il lume da venti se li succhiassero;
giacchè quopges vuol dire succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys. 5 v. 293 e
304. Nel 4 verso il divanid ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v. Nel 5 ci ha
un epiteto de' 2. Nel dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto ardito UTCpert
chè non sono vinti dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel i verso per
preparare è Omerica. Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione delle
lanterne è da dirsi, che for se allora erano di corno trasparente. Il i e gli
ultimi due versi presso Giov. Tzetze Chil. Il 2 presso Theod. de Curat. Graec. pres SO Clem. Aless. Strom. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov.
Tzetze Chil. Gli ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim.
Pl. Essi sono sta ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che
sembra non esser disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè
Tzetze nella Chil. 7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των
φυσικων δεικ: VUOY TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9,
Empedocle nel terzo libro delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la
sostanza di Dio dice cosi Il pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è
comune ad Omero nell' Odissea n n. o ad
Esiodo nella Theng. Clem. Alex. Strom. Il verso manca d'un piede, e si potrebbe
compiere leggenda Ει ο αγε τοι μεν εγω λεξω. Vi si os serva poi la stessa
maniera d’Oniero nell ' ap porre degli epiteti al mare, all'aria, aile tere.
Athen. Dipnosoph. Il devd pece pecupce è d'Omero. Il. Lo stesso Athen. nel
medesimo luogo attesta che tutti i pesci da Empedocle furon chiamati zce
paglves. Aristot. 1. 2 de coelo e De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli ultimi due
versi presso Clem. Aless. Strom. Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater. et mundo
Serm. Plut. Symp. l. 4 quaest. 1. MACROBIO
(vedasi) Saturn. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi sono stati
correlti con Macrobio. Plut. quaest. Nat. Plut. quaest. Nat. et de Curiosit. Alcuni leggono Keuuata,
altri rappese. (283 ra, ma si è sostituito xeu-ged, che
pare più acconcio al senso dell'autore Arist. Nat. Auscult. e De Part, Anim.
I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. Simpl. de Phys. and. I. 2 p. 73. Simpl. 1. 2 de
Ph. L' epiteto de incepa come dice '
Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il polyurgadins d'Omero Il. Simpl. l. 2 de
Phys. aud. Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel med. luog. Simpl. 1., nel med. luog.
Simpl. 1. 2 de Ph. aud. Simpl. l. 8 de Ph. aud. Plut. in l. non posse suaviter
vivi jut. xta epicuri decreta. Simpl. de Ph. aud. Simpl. nel med. luog. Simpl.
nel med. luog. (43) Arist. de Gen. et Corrupt. Simpl. de coelo Com. Arist. de Gener. et Corrupt. La
frase zgova dupsyo, presso Omero Il. Plut. quaest. Nat. p. 916. Arist. de
Gener. anim. Arist. de Gener. anim. I. 4 Plut. nel lib. de Amic. multitud. Arist.
de Gener. anim. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. Plut. quæst.
Platon. Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da leggersi
očußeans e in vece di naiyo Iraupe. Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi
sono stati corretti da Xilandro. Arist. Metaph.
de anim, Sesto Emp. adv. Gram. e adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. Pare che in questi versi Empedocle abbia imitato
Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v. 215. Il tip apo ndoy Omerico. Il. L'epiteto
della lite rugpw, che da Omero si adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita
ec. è situato in fine del verso come in Omero II. Sext. Emp. adv. logic. Stobéo Ecl. Plys. l. 1
p. 131. L' última verso è anche rapportato da Chalcid. in Tim. Pl. ed è un
imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy 750" T δες, περι δε
εστι νοημα Aristot. de anima Aristot. de anima" nel med. luog. Aristot. de
Gener. Plut. adv. Colot. Clem. Alex. Strom. Theodor. de curat. aegritud.
Ethnic. Acciaolus Theod, interpres I. i contra Graecos. Arist. Meteorol.,
atspao TURVO è d ' Omero. Il. 11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo
opera Plut. Symp. Deve lege
gersi andyl. Plut. Symp. quaest. Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. Put. de Orac
defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos. Plut. Simp. I.? quaest. Plut. de
Orac. defect: Plut. Simp. quaest. Arist.
Poet. Meteor. Theophr. de Caus. Plant. Athen. Dipnosoph. Que sti versi si son
collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve nere,
che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da
Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo,
e non Kπρις. Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche
rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel verso Scalig. legge suve ETEITA,
ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi
conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al
senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note sono riferiti
da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc vedono. E come
Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan parte del 287
Chil. 1, pra poema sulla natura, Sesto Emp. adv. Log. Sesto Emp. nel med. luog.
Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi sono anche pres. so Clen). Alex.
Strom. Nel 5 si legge d' alcuni παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub.
si vuole raditova, e fondasi so Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il
sanare gl' infermi si esprime, presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut.
in amat. Horaz. l. 2 Sat. Laerz. in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto
Emp. adv. Gramm., e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi Empedocle
avea dato prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός των καθαρμων
φησίν. Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8. Sesto Empirico mette
questi due versi dopo quelli della nota e soge. giunge nas nary. Sicchè icon
c'è dubbio che appartengano alle purgazioni. Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo
meza 288 zo verso è presso Hierocle in aur. carm., il quale lo ' rapporta
unitamente al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο Πυθαγοραος I primi tre versi
presso Plut. nel lib. de vit. aere alieno, e tutti quattro presso lo stesso
Plut. de Isid. et Osir., e presso Eusebio. Hierocl. in aur. carm. Hierocl. in aur. carm. Clem.
Alex. Strom. Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1 peegee herdos Il. Clem. ' Alex,
Strom. Clem. Alex. nel med. luog. Stob. Ecl. Phys. Porph. de Antr. Nymph. Ediz.
di Van - Gcens Clem. " Alex. Strom. Origen, Phy losophumera. Phil. in V.
Apoll. Athen. Dipn. In luogo di do7Os,
che è un epiteto dato da Esiodo e da Poeti Greci al pesce, presso d' al.cuni si
legge eurupos. A prima vista pare che l' epiteto ignito non abbia luogo; mu ove
si voglia riflettere che giusta Empedocle, gli ani mali molto caldi cercarono
l'acqua, ed ivi soggiornarono, si può comprendere in qual senso abbia potuto
adattare al pesce l ' epiteto Europos. Eliano de Nat. anim. Questi versi
appartengono al poema delle pur gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun
ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν
ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. »
Empedocle dice che ottima sia da stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do
vendo passare in un bruto la sorte lo porta nel corpo del leone, e se in una
pianta lo porta nell' alloro L' epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. Plut. de animi
tranquill. L'epiteto έροέσσα e d' Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s'
intende quello di μελαγκαρπος che vuol dire produttrice di frutti neri che Empe
docle adatta ad Asafia o sia al genio dell' oscurità. Tzetze Chil. dice Ecco
πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον
υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο Σοφοκλης που λεγα G. filosofo, grande sopra
d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia l'oscurità di nera pupilla conie Sofocle dice
l'animo di nero via In sostanza poi vuol qui indicare Em pedocle quello che noi
diciamo animo cupo, che tutto è coperto, e tutto fa con riserva. Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13
p. Clem. Alex. Strom. Plut. adv. Colot.
L'ultimo verso è stato corretto da Giov. Clerc. Bibl. Choisie Arist. Rhet. l. .
Si son collocati in questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che
riguardano la proi bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα
περι τε μη κτιγαν το εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. »
Co me dice Empedocle parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale.
Poichè que sto non può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto
supurtedortos é d' Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. Sesto Empir. adv.
Phys. Plut. de Superst. Nel verso l'entBTT05 si è tradotto per indegno d'essere
udito come půs letterale. Na potrebbe avere due altri sensi cioè: da non essere
compreso, o pure come colui, che è pieno di Qyaxer che vuol dire contumacia, o
inobbedienza; perchè senza di ciò non si ritrae un senso che sembra ragio
nevole. a legurato d'apra è d' Omero nell' Odys. Porphyr. de non necandis ad
epulan dum animalibus ediz. di Lio ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero
Odys. Porphyr. de non necandis ad epul. anim. Il primo verso somiglia a quello
ď Omero Il. Alcuni leg, gono appatolor in luogo d ' cxpitolob. Clem. Alex. exhortat. ad gentes.
Awe Q10ste Odys. Clem. Alex. Strom. Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re
ardpes sain horlon. Il. Clem. Alex,
Strom. Questi due versi sono stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge
fyte TPUDEGcus in luogo d' AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa
seconda maniera cor risponde meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες
ανδρειων αχεων αποκηροι ατειρεις. dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di
sostituire l' and pouleur ch'è più adatto e pie Omerico; all' електро! ľ
Anouampor ch'è anche più ragione vole; ed in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si
sa donde possa derivare. Si potrebbe dire più presto artelpon. Vi sono poi di
quei che in luogo di amewn leggong amoywy; dimodochè spiegano coi forti achivi.
I primi due versi sono presso Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso
Janibl. de Vit. Pyth. Questi versi si sono col locati nel poenia delle
purgazioni; perchè in questo poema Empedocle dichiara la morale pittagorica.
Presso Suida voce Axpwr e Laerz. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida
e Laerzio, è diretto a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere
un gran monumento a suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti.
Empedocle va scherzando.col nome di Acrone e la parola acron che in Greco
significa alto e altezza. Ma questo scherzo non si può rendere nel no stro
linguaggio. Laerz. in Emp. I. 8 et Towvoploy indi ca nome conveniente alla cosa.
Perchè liquo gavin in greco può significare che fa cessar i mali, e i dolori.
Perciò Empedocle scherza col nome del suo amico. Questi due versi s'
attribuiscono dit Aulo Gellio Noct. Att. A G., e da altri ad Orfeo. Ma in
verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. Geoponicon Varii sono i
sen timenti degli Scrittori sulla proibizione, che facea la scuola Pittagorica,
di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè non sono sa lutari, e secondo
altri perchè sono simili agli organi della generazione. Di fatto Gellio dice
che l'astinenza delle fave era un simbolo, eon cui si volea indicare da
Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree.
Questi versi esprimono il giuramen to che si facea nella scuola
Pittagorica. Si leggono presso Jambl, de vit. Pyth. Ma non semhrano d'esser di
G. cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come ancora
perchè vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne' suoi
poemi. ROMA BIBLIOTECA MEMORIA Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές
θες τοις Ιταλιωταις εδοξασθη συν τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες
οντες ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν
και Pittagora si porto in Cro tona d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni
fu egli in onore unitamente a' suoi disce poli. Trecento de' quali
amministravano otti mamente le cose politiche, si che quella re pubblica era di
posta a governo di ottimati, Laerz. in Pythag. La persecuzione della scuola
pittagorica nacque da ciò, giusta Jamblico nella Vita di Pittagora, che i
pittagorici allontanavano il popolo dalle magistrature, e da' pubblici
consigli, e voleano essi soli, come sapienti, regolar le cose pubbliche.Grice:
“If people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of
Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic Griceians” While
in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in
Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Empedocle da Girgenti – Keywords: Girgenti – “You say
Gergenti, and I say Girgenti” -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Girgenti” – Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Girgenti:
FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- Boezio e la ragione conversazionale al
limite -- l’implicatura conversazionale -- la parola che non s’incatena – filosofia
palermitana – scuola di Palermo – filosofia siciliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I love Girgenti for
many reasons! For one, he has
edited Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on Socratic irony, a concept
that needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero,
which is welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina,
Franchina, Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini,
Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo
in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia
riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero
forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra
filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il
platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema,
applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la
"fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina
deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico,
che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione
dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere
analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio
evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana
sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la
"Ellenizzazione del cristianesimo" di Harnack, secondo cui nell'incontro
con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e
dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una posizione mediana
potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo cattolico e le
chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi: “Porfirio:
catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il primo
cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero,
Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano,
Incontri con Gadamer, G. G., Bompiani, Milano “Platone” G. G., Bompiani,
Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato, Padova; Il bue
squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista con Sossio
Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda
biografica, curriculum e nel sito
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di
pubblicazioni Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia
sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il
pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di Reale, Vita e
Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino
Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino
Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di
San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano,
Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda
Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”,
introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte,
Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari
analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole
chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano,
Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino, Rusconi,
Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra henologia
platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero,
Milano, Porfirio, Storia della Filosofia
(frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione
a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di
Platone. Un dialogo di Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e altri
studiosi (Tubinga), introduzione di Gadamer, prefazione, traduzione e note di
G., Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra oralità e scrittura,
Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia introduttiva e analisi
filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio preliminare e
interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e indici di G.,
in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo greco e arabo a
fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di filosofia antica,
introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti, traduzione di M. Cajtham l,
testo ceco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Wojtyla,
Persona e Atto, a cura di Reale e T. Styczen, revisione della traduzione
italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a
fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima
dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari,
Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der
Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in Götz – J. Seifert
(Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp Verlag,
München; J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia realista come
riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice un testo
inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G. Girgenti, Vita
e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg Gadamer, edizione
italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio nel vegetarianesimo
antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia Calabria”, Due fonti neoplatoniche
indirette di Cusano: Porfirio e Giamblico, in Nicolaus Cusanus zwischen
Deutschland und Italien Beiträge eines deutsch-italienischen Symposions in der
Villa Vigoni vom (Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts), hrsg von Martin
Thurner, Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione di Radice. Saggio
introduttivo, prefazioni e note di commento di Reale. Porfirio, Vita di
Plotino, cur. G., “I Meridiani. Classici dello Spirito”, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano K. Wojtyla, Metafisica
della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a cura di Reale e Styczen, apparati e indici di G.,
Bompiani, Milano; Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi. Commentaria in
Porphyrium. Schepps Samuel Brandt Leipzig European Social Fund
Saxony Crane Jouve OCR-ed, Franzini Leipzig Stoyanova Robertson
Mount Allison Fonticola (Ludwig Maximilians Munich). Leipzig Germany Schepps Brandt BoezioVienna Leipzig Tempsky Freytag.
Secundus hic arreptæ expositionis labor nostræ seriem translationis expediet,
in qua quidem uereor ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum uerbo
expressum comparatum- que reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his
scriptis in quibus rerum cognitio quæritur, non luculentæ orationis
lepos, sed incorrupta ueritas exprimenda est. quocirca multum profecisse
uideor, si philosophiæ libris Latina oratione compositis per integerrimæ
translationis sinceritatem nihil in Græcorum litteris amplius desideretur, et
quoniam humanis animis excellentissimum bonum philosophiæ comparatum est,
BOEZIO IN YSAGOGAS PORPHIRII. BOEZIO IN YSAGOGE; BOEZIO COMMENTA IN
ISAGOGAS G,; INCIP COMENTV BOEZIO in isagogis porphirii; Expos Scda
L; COMENTV BOEZIO IN ISAGOGAS R; inscriptione carent CFHNS
(nisi quod in FH recens quædam est), item e codd. Isagogen tantum a Boethio
translatam continentibus ΛΣ ; ISAGOGÆ PORPHYRII TRANSLATÆ DE GRECO
IN LATINVM A VICTORINO ORATORE (sic) ΓΦ ; INCIP LIBER
YSAGOGARVM (HΥS-) POR- PHYRII (I pro Y Π ) AII,- Icipidt
isagoge porphyrii (m. poster.) Ψ; de titulo operis cf.
Prolegomena fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. cf. Cic. Acad. post.
fędi C foedi Hm1N infidi FGm1 7uerbo e uerbo
N incoepti CEGHPRS 10 corrupta Em1Sm1 incorruptæ
Em2 (e in mg. add. sed del .) Lm1 11 uidebor
brm 13 græcis Lm2 ut uia et filo quodam procedat ORATIO,
ex animæ ipsius efficientiis ordiendum est. triplex omnino animæ vis in
uegetandis corporibus deprehenditur, quarum una quidem uitam corpori
subministrat, ut nascendo crescat alendoque subsistat, alia uero sentiendi
iudicium præbet, tertia ui mentis et ratione subnixa est. quarum quidem
primæ id officium est, ut creandis, nutriendis alendisque corporibus præsto
sit, nullum uero rati- onis præstet sensusue iudicium. hæc autem est
herbarum atque arborum et quicquid terræ radicitus adfixum tenetur, secunda
uero composita atque coniuncta est ac primam sibi sumens et in partem
constituens uarium de rebus capere potest ac multiforme iudicium. omne enim
animal quod sensu uiget, idem et nascitur et nutritur et alitur, sensus uero
diuersi sunt et usque ad quinarium numerum crescunt, itaque quicquid tantum
alitur, non etiam sentit, quicquid uero sentire potest, ei prima quoque
animæ uis, nascendi scilicet atque nutriendi, probatur esse subiecta. quibus
uero sensus adest, non tantum eas rerum capiunt formas quibus sensibili corpore
feriuntur præsente, sed abscedente quoque sensu sensibilibusque sepositis
cognitarum sensu formarum imagines tenent memoriamque conficiunt, et
prout quodque animal ualet, longius breuiusque custodit, sed eas imaginationes
confusas atque ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum coniunctione ac compo 1
uia et filo quodam CEm2H uia fort. ras. ex uiæ, uiæ et
filo quodam N uiæ s. l. R ex filo quodam EmIGPR
edd . uiæ ex uia S ex quodam filo LS uiæ s. l . filo m1 quodam F ratio
CEmIGLRS ex ab Hm1NP
efficienti Em1 efficientis Fa. c . 3 post uitam add .
solum CFHP solam N corporis GNRL a.r.Sa.r . 5
rationis FGRS 6 procreandis CHNP 7 nutriendisque om . alendis EL sit s. l.
Gm2Nm2 9 terra CN 10 ac ad FSm1 at LSm2
et G 11 rebus quibus
GRS de rebus de quibus L 12 poterit E post
iudicium add . capit E sed del. L, s. l. m2 in HRS 13 et
nutritur om. CHP, s. l . nutritur om. et Lm2 14 ita
CHR 16 poterit E quoque prima FGm2H 19 præsente
ante feriuntur FHN præsentes CHm1N abscedente
Em2FGHmINESa.r . absente CEm1Hm2LPSp.r . 20 repositis GR 22
imagines FHN ante sumunt add. sic brm sitione
efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec æque omnia,
admissa uero obliuione memoriam recolligere ac reuocare non possunt, futuri
uero his nulla cognitio est. sed uis animæ tertia, quæ secum priores alendi ac
sen tiendi trahit hisque uelut famulis atque oboedientibus utitur, eadem tota
in ratione constituta est eaque uel in rerum præsentium firmissima conceptione
uel in absentium intellegentia uel in ignotarum inquisitione uersatur. hæc
tantum humano generi præsto est, quæ non solum sensus iraaginationesque
perfectas et non inconditas capit, sed etiam pleno actu intellegentiæ quod
imaginatio suggessit, explicat atque confirmat, itaque, ut dictum est, huic
diuinæ naturæ non ea tantum cognitione sufficiunt quæ subiecta sensibus
comprehendit, uerum etiam et insensibilibus imaginatione concepta et absen
tibus rebus nomina indere potest et quod intellegentiæ ratione comprehendit,
uocabulorura quoque positionibus aperit, illud quoque ei naturæ proprium est,
ut per ea quæ sibi nota sunt ignota uestiget et non solum unum quodque an sit,
sed quid sit etiam et quale sit nec non cur sit, optet agnoscere, quam
triplicis animæ uim sola, ut dictum est, hominum natura sortita est. cuius animæ
uis intellegentiæ motibus non caret, quia in his quattuor propriæ uim rationis
exercet, aut enim aliquid an sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit
addubitat, quodsi etiam utriusque scientiam ratione possidet, quale sit 2
admissa CR amissa EFGm1NP amissam Gm2LS, ras. et s.
l. ex admissam H memoriam om. FGR, s. l. Sm2,
memoria H hiis F, sic sæpe cogitatio
CNm2 animæ uis CEL ante trahit add . uires brm 6
ea CHm1N est ante constituta CEGS, om. R contentione EGm1Sm1
contemplatione R, m2 in GLS in s. l. Gm1PmS, del.
Lm2 ignotorum Hm1N imaginationes EN 11
conformat Gm2Pm2 13 cognitione in cognitione FHNP 14et ex Em1HN sensibilibus
CEm1Hp. c. Nm2 sensibus Ha. c. Nm1 ante
imaginatione add. sibi E del. m2 NPSm2 imaginatione in agnitione Gm1Sm1
agnitione Gm2R post concepta add. nomina Hm1, idem post
rebus s. l. m2 sint E 19 optat LR quia qua Gm1 atque
EHm1Pm1 scientiam post ratione E sententiam
Hm1 possedit FRS unum quodque uestigat atque in eo
cetera accidentium momenta perquirit, quibus cognitis cur ita sit quæritur et
ratione nihilo minus uestigatur. Cum igitur hic actus sit humani animi, ut
semper aut in rerum præsentium comprehensione aut in absentium intellegentia
aut in ignotarum inquisitione | atque inuentione uersetur, duo sunt in quibus
omnem operam uis animæ ratiocinantis inpendit, unum quidem, ut rerum naturas
certa inquisitionis ratione cognoscat, alterum uero, ut ad scientiam prius
ueniat quod post grauitas moralis exerceat, quibus inquirendis permulta
esse necesse est, quæ uestigantem animum a recti itinere non minimum
progressione deducant, ut in multis euenit Epicuro, qui atomis mundum
consistere putat et honestum uoluptate metitur, hoc autem idcirco huic atque
aliis accidisse manifestum est, quoniam per imperitiam disputandi
quicquid ratiocinatione comprehenderant, hoc in res quoque ipsas euenire
arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim sese ut in numeris, ita
etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim quicquid in digitis recte
computantis euenerit, id sine dubio in res quoque ipsas necesse est euenire, ut
si ex calculo centum esse contigerit, centum quoque res illi numero
subiectas esse necesse est. hoc uero non æque in disputatione seruatur; neque
enim quicquid sermonum decursus inuenerit, 4 aut om. CNR, s. l.
Gm2Sm2 rerum add. edd. post præsentium, ante Brandt;
cf. 137, 6 6 ignotorum
Gm2Hm1Lm2N ante inuentione s. l. in Hm2 8 inpendat
FPSa.c . naturam FHm1N certa inquisitionis Gm2H certæ
inquisitionis FNP inquisitionis certa CELm2, om. certa
Gm1Lm1RS fort. recte 10 quod eius
quod r exercet Hm1 12 minimum ante non E minime
FSm1 diducant FGm2 13 atbomis plerique codd .
consistere in mg. Hm2
constare CFP, post er . ł consistere C honestam
Em1P honestatem F 14 uoluptate om. F uoluptatera CEHm2
te* m1 LNR, add . corporis L del. m2 R, s. l. Gm2, ante
uol. edd . mentitur CEGHPRSm1 hoc hæc H 16 racione CN
comprehenderent m1 in EHN nero ergo H maximus E error
est CFHNP post sese add. res FR, s. l. Pm2
19 digitos CEFN id natura quoque fixura tenetur, quare
necesse erat eos falli qui abiecta scientia disputandi de rerum natura
perquirerent, nisi enim prius ad scientiam uenerit quæ ratiocinatio ueram
teneat disputandi semitam, quæ ueri similem, et agnoscere quæ fida, quæ
possit esse suspecta, rerum incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest
inueniri. cum igitur ueteres sæpe multis lapsi erroribus falsa quædam et
sibimet contraria in disputatione colligerent atque id fieri inpossibile
uideretur, ut de eadem re contraria conclusione facta utraque essent uera quæ
sibi dissentiens ratiocinatio conclusisset, cuique ratiocinationi credi
oporteret, esset ambiguum, uisum est prius disputationis ipsius ueram atque
integram considerare naturam, qua cognita tum illud quoque quod per
disputationem inueniretur, an uere comprehensum esset, posset intellegi, hinc
igitur profecta est logicæ peritia disciplinæ, quæ disputandi modos atque
ipsas ratiocinationes internoscendi uias parat, ut quæ ratiocinatio nunc quidem
falsa, nunc autem uera sit, quæ uero semper falsa, quæ numquam falsa, possit
agnosci, huius autem uis duplex esse perpenditur, una quidem in inueniendo,
altera in iudicando. quod Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica
titulus est, euidenter expressit dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas
habeat partes, unam inueniendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi
quidem uidetur, Aristoteles fuit. Stoici 20 Tullius Top. ante natura add . in
HLSpr, s. l. Pm2 3 post nisi add . quis r prius
enim E 4 disputandi om. GRS ad ueri similem s. l
. ał que ueri se similem agnouerit Hm2 et agnoscere
FSm1 om . et et agnouerit
EGLPRSm2 om . et edd. ut ex hoc delectia
rationum queamus agnoscere Hm1, s. l . ał et agnouerint quæ fida et
reliqua m2 ut ex diligentia rationum queamus ex quæramus
C agnoscere CN 7 et sibimet sibimet C sibi et EGRS
9 post re s. l . si Cm1? 10 cuique CHm1N
cuiue cett . 13 tunc FHNPm1R post an add . id R,
s. l. Gm2Lm2, 2 litt. er. C 15 ipsis ratiotinationibus Hm2 16
ante internoscendi add. et brm uiam CFHN 19 inneniendi
et iudicandi om . in Hm2 24
quidem uidetur FHNPCic . uidetur quidem GRS quidem om.
CEL autem in altera elaborauerunt; iudicandi enim uias diligenter
persecuti sunt ea scientia quam διαλεκτικήν appellant, inueniendi artem, quæ
τοπική dicitur quæque ad usum
potior erat et ordine naturæ certe prior, totam reliquerunt, nos autem
quoniam in utraque summa utilitas est et utramque, si erit otium, persequi
cogitamus, ab ea quæ prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius
considerationis fructus sit, danda est huic tam sollertissimæ disciplinæ tota
mentis intentio, ut primis firmati in disputandi ueritate uestigiis
facile ad rerum ipsarum certam comprehensionem uenire possimus. Et quoniam
qui sit ortus logicæ disciplinæ prædiximus, reliquum uidetur adiungere, an
omnino pars quædam sit philosophiæ an ut quibusdam placet, supellex atque
instru mentum, per quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat,
cuius quidem rei has e contrario uideo esse sententias. hi enim qui partem
philosophiæ putant logicam considerationem, his fere argumentis utuntur,
dicentes philosophiam indubitanter habere partes speculatiuam atque
actiuam. de hac tertia rationali quæritur an sit in parte ponenda, sed
eam quoque partem esse philosophiæ non potest dubitari, nam sicut de
naturalibus ceterisque sub speculatiua positis solius philosophiæ uestigatio
est itemque de moralibus ac 2 uias ENPCic.p, om. cett. codd .,
uiam brm ea scientia Pm1Cic . eam scientiam EPm2
edd. eam scilicet scientiam CN artem et scientiam FSm2
scientiam GHLRSm1 διαλεκτικήν Cic.
dialecticen CFGHLNPm2RS dialecticam E dialectica
Pm1 τοπική Cic . topice Gm2LNS topica
CEFGm1HPR 4 quæque quæ et
Cic . 5 prior prior est
GLa.c.RS 6 inest et CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius
etiam in comment. in Cic. Top. lib. I
1047 D hæc uerba respicit 8 prima prior Cic . ordiemur EHm1NCic .
ordiamur CGHm2LPRS ordinamus F 13 quid FHm1NPp.c
. quod a.c . 14 ante reliquum add . esse GHP pars
sit quædam GN quædam pars sit L 18 hii EHL
20 ante habere add . duas L m 1860 21
post rationali add . uel orationali EFGH del. m2 RS del.
mS id est logica L s.
l. m2 edd. ad an s. l . si Cm2 24 inuestigatio
L reliquis quæ sub actiuam partem cadunt, sola philosophia
perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est de his quæ logicæ subiecta
sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua atque actiua idcirco
philosophiæ partes sunt, quia de his philosophia sola pertractat, propter
eandem causam erit logica philosophiæ pars, quoniam philosophiæ soli hæc
disputandi materia subiecta est. iam uero inquiunt : cum in his tribus
philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam consideratio|nem subiecta
discernant, quod illa de rerum naturis, hæc de moribus quærit, non dubium
est quin logica disciplina a naturali atque morali suæ materiæ proprietate
distincta sit. est enim logicæ tractatus de propositionibus atque syllogismis
et ceteris huiusmodi, quod neque ea quæ non de oratione, sed de rebus
speculatur neque actiua pars, quæ de moribus inuigilat, æque præstare
potest, quodsi in his tribus, id est speculatiua, actiua atque rationali,
philosophia consistit, quæ proprio triplicique a se fine disiuncta sunt, cum
speculatiua et actiua philosophia partes esse dicuntur, non dubium est quin
rationalis quoque philosophia pars esse conuincatur. qui uero non partem,
sed philosophiæ instrumentum putant, hæc fere afferant argumenta, non esse
inquiunt similem logicæ finem speculatiuæ atque actiuæ partis extremo, utraque
enim illarum ad suum proprium terminum spectat, ut speculatiua tractat
Ep.r.FR, m2 in GLP 3 diiudicat CHm2 5 sola philosophia
CFN pertractet Em1 tractat Hm1 7 iam tam R ita FL sublectas
discernat Em2 10 dubium non est CEL non est
dubium F 11 a om. LS, s. l. Gm2Pm2, postea add. R
disiuncta iunc in ras. m1? R est enim etenim GLRS post tractatus add.
est LR, s. l. Pm2 14 orationibus E ratione Lm1, add .
est L 17 sint Rm1, ex sit Sm2 cumque
H q. er . Lm2N 18 et atque EFNP philosophiæ pbr
dicantur Lm2N non est dubium EFHNP 21 hæc argumenta
del. G asserunt
ss in ras. m1? C similem om. GR, post finem s. l.
Sm2, ad similem s. l. ł proprium Pm2 22
ante speculatiuæ add . sed R, s. l. Gm2Lm2 extremum E
u ex a uel o m2 GL um ex am m2
Pm2RSm1 23 proprium suum C ut ita ut brm quidem rerum
cognitionem, actiua uero mores atque instituta perficiat, neque altera refertur
ad alteram, logicæ uero finis esse non potest absolutus, sed quodammodo cum
reliquis duabus partibus colligatus atque constrictus est. quid enim est in
logica disciplina quod suo merito debeat optari, nisi quod propter
inuestigationem rerum huius effectio artis inuenta est? scire enim quemadmodum
argumentatio concludatur uel quæ uera sit, quæ ueri similis, ad hoc scilicet
tendit, ut uel ad rerum cognitionem referatur hæc scientia rationum uel ad
inuenienda ea quæ in exercitium moralitatis adducta beatitu dinem pariunt. atque
ideo quoniam speculatiuæ atque actiuæ suus certusque finis est, logicæ autem ad
duas reliquas partes refertur extremum, manifestum est non eam esse philosophiæ
partem, sed potius instrumentum, sunt uero plura quæ ex alterutra parte
dicantur, quorum nos ea quæ dicta sunt strictim notasse sufficiat. Hanc
litem uero tali ratione discernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem
logica partis uice simul instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa
suum retinet finem isque finis a sola philosophia, consideratur, pars
philosophiæ esse ponenda est, quoniam uero finis ille logicæ quem sola
speculatur philosophia, ad alias eius partes suam operam pollicetur,
instrumentum esse philosophiæ non negamus; est autem finis logicæ inuentio
iudiciumque rationum. quod scilicet non esse mirum uidebitur, quod eadem pars,
eadem quoddam ponitur instrumentum, si ad partes corporis animum
reducamus, quibus et fit aliquid, ut his quasi quibusdam instrumentis utamur,
et in toto tamen corpore partium obtinent locum, manus enim ad tractandum,
oculi ad 1 rerum Em2Hin mg. m1? Lm2 edd., post
cognitionem add . rerum s. l. Pm2Sm2, add . naturalium rerum
F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad
alteram de altera Em2 3 non potest
esse FGN 4 est om. C 5 aptari FGm1Hm1Pm2R 6
affectio EFHLm2Pm1Bm1 8 intendit F 9 rationum
scientia CLP 10 mortalitatis bm 11 parant Ea.c .
pariant Hm1 15 alterutra utraque EP, add. post
alterutra H, del. m2 ante dicta add . supra EP, s. l.
Lm2 18 enim nero CFHN
21 ei F 24 uidetur Em1FGm2LNPm2 28 optineant
Fp.c.S uidendum, ceteræque corporis partes proprium quoddam
uidentur habere officium, quod tamen si ad totius utilitatem corporis
referatur, instrumenta quædam corporis esse deprehenduntur quæ etiam partes
esse nullus abnuerit, ita quoque logica disciplina pars quidem philosophiæ
est, quoniam eius philosophia sola magistra est, supellex uero, quod per eam
inquisita philosophiæ ueritas uestigatur. Sed quoniam, quantum mihi quoque
breuitas succincta largita est, ortum logicæ et quid ipsa logica esset
explicui, nunc de eo nobis libro pauca dicenda sunt quem in præsens
sumpsimus exponendum, titulo enim proponit Porphyrius introductionem se in
Aristotelis PREDICAMENTO conscribere, quid vero valeat hæc introductio vel ad
quid lectoris animum præparet, breuiter explicabo. Aristoteles enim librum qui
De X PREDICAMENTI inscribitur hac intentione composuit, ut infinitas
rerum diuersitates quæ sub scientiam cadere non possent, paucitate generum
comprehenderet, atque ita quod per incomprehensibilem multitudinem sub
disciplinam uenire non poterat, per generum, ut dictum est, paucitatem
animo fieret scientiæque subiectum. decem igitur genera rerum esse omnium
considerauit, id est unam substantiam et accidentia nouem, quæ sunt II QUALITAS
III QVANTITAS IV RELATIO V VBI VI QVANDO VIII FACERE et pati, IX SITVS X HABERE,
quæ quoniam genera essent suprema et quibus nullum aliud superponi genus
posset, omnem necesse est multitudinem rerum horum decem generum
spequoddam quod
Em1 aliquod m2 G 2 utilitatem post corporis
EG, ante totius L quas FSm2 5 quidem post
philosophiæ H quædam L uero uero est L 8 quoque om.
L quidem edd . ueritas Cm1N succincta
CNPSm2 sua mora EFGHR sua mota Sm1 succincta suam
moram L ortum om . L et de ortu CNF quod CF est G
explicaui CELm2PRS 11 titulum CHm1N lectoris s.
l. Gm2, post animum CN, post præparet H. om. E 14
paret EFGNRS 15 scribitur EGRSm1 17 ita quod s.
l. Gm2 itaque m1 Rm2 quod
om . ita s. l. Sm2 20 decem in decem C 23 et om.
FLNP situm habere CRa.c . situm esse habere Gm1S genus
superponi H possit Ea.c.FGm1NPRS ante horum add.
per s, l. Pm2, ante species CFLR. s. l. Gm2Sm2
cies inueniri. quæ quidem genera a se omnibus differentiis distributa
sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi tantum nomen, quoniam omnia
esse prædicantur. quippe I SBSTANTIA est, II QVALITAS est, III QVANTITAS est,
et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter prædicatur, sed non est eorum
communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque X genera ab
Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt sed quæ aliquibus
differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium quiddam quod ea in
singularem solitariamque vindicet formam. non est autem idem proprium
quod accidens accidentia enim et venire et abesse possunt, propria ita sunt
insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint. quæ cum ita sint
cumque Aristoteles X rerum genera repperisset, quæ vel intellegendo mens
caperet vel loquendo disputator efferret quicquid enim intellectu
capimus, id ad alterum sermone uulgamus , euenit ut ad horum X PREDICAMENTI
intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret, scilicet generis,
speciei, differentiæ, proprii, accidentis. generis quidem, quoniam oportet ante
prædiscere quid sit genus, ut X illa quæ Aristoteles ceteris anteposuit
rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei uero cognitio plurimum ualet, ut
quæ cuiusque generis sit species, possit agnosci. si enim quid sit species
intellegimus, nihil impediti errore turbamur. fieri enim potest, ut per speciei
inscientiam sæpe quantitatis species in relatione ponamus et cuiuslibet
primi generis species alteri cui 4 omnibus aliis FHLN 9
quoddam S 10 uendicet HLP uindicent ent in ras. S constituat CN 11
euenire FGm2R om. et abire NP 12 propria ita propria enim ita H
proprietates EGm1S propria uero ita edd . insitæ EGm1S
14 uel om. FP 16 cupimus E alterutrum
FPm2S ante accidentis add. atque FHNP et
L 21 interposuit m1 in EGS superposuit Em2NP præposuit
FGm2 possemus FN 22 cognitio post ualet
LP 24 impedito uel in Ca.c.EGm1HNS impedit
R turbari CS 25 inscitiam F 26 cuilibet cuiuslibet Gm1N,a.r. in EFS
libet generi subdamus atque ita fiat permixta rerum atque indiscreta
confusio; quod ne accidat, quæ sit natura speciei ante noscendum est. nec uero
in hoc tantum prodest speciei cognoscenda natura, ne priorum generum species
inuicem permutemus, uerum etiam ut in eodem quolibet genere proximas species
generi nouerimus eligere, ut ne substantiæ mox animal dicamus esse speciem
potius quam corpus aut corporis hominem potius quam animatum corpus, at uero
differentiarum scientia in his maximum retinet locum, qui enim omnino
qualitatem a substantia uel cetera a se genera distare cognoscimus, nisi eorum
differentias uiderimus? quomodo autem discernere eorum differentias possumus,
si quid ipsa sit differentia nesciamus? nec hunc solum nobis inscientia
differentiæ offundit errorem, uerum etiam specierum quoque tollit omne
iudicium. nam omnes species differentiæ informant, ignorata differentia species
quoque necesse est ignorari, quomodo uero fieri potest, ut quamlibet
differentiam possimus agnoscere, si omnino quæ sit nominis huius significatio
nesciamus? iam nero proprii tantus usus est, ut Aristoteles quoque
singulorum PREDICAMENTI propria perquisiuerit. quæ propria esse quis
deprehenderit, antequam quid omnino sit proprium discat? nec in his tantum
propriis hæc cognitio ualet quæ singulis nominibus efferuntur, ut hominis
risibile, uerum etiam in his quæ in locum definitionis adhibentur, omnia enim
propria rem subrectam quodam termino descriptionis includunt, quod suo
quoque loco 25 suo loco lib. IV c. 15 s. 1
generis Gm1REa.r.Sa.r . fiet CH fit N
permixtio FHm2LNP 4 primorum FNP 5 in om. CERS, s. l. Gm2 6
ante generi add . cuilibet brm 7 aut corpus om.
E, s. l. Gm2Sm2 8 corpus om. FP, del. Hm2 9 qui quomodo Ep.c.HPp.c.R 11
nouerimus R quomodoignorari 16 in inf. mg. Em2 autem nero Em2 14 offundit E m2
Pm1 obfundit Hm2 diffundit Gm1 effundit
cett.; cf. p. 159,16 15 informant differentiæ brm 16 quomodo qui FNP uero om. G 18
huius nominis FNP 20 perquisierit R quis esse
FR 21 deprehenderit in ras. E deprehenderet Np.c .
deprehendet ex -it P
22 proprii Gm2N post singulis add . tantum FHLNP
24 subiecto EGm1RS oportunius commemorabo, accidentis quoque
cognitio quantum afferat, quis dubitare queat, cum videat inter X PREDICATMENTI
IX accidentis naturas? quæ quomodo
accidentia esse putabimus, si omnino quid sit accidens ignoremus, cum præsertim
nec differentiarum nec proprii scientia nota sit, nisi accidentis naturam
firmissima consideratione teneamus? fieri enim potest, ut differentiæ loco uel
proprii per inscientiam accidens apponatur, quod esse uitiosissimum etiam
definitiones probant, quæ cum ipsæ ex differentiis constent et fiant unius
cuiusque definitiones propriæ, accidens tamen non uidentur admittere. Cum
igitur Aristoteles rerum genera collegisset, quæ nimirum diuersas sub se
species continerent, quæ species nuraquam diuersæ forent, nisi differentiis
segregarentur, cumque omnia in substantiam atque accidens, accidens uero in
alia nouem prædicamenta soluisset cumque aliquorum PREDICAMENTI fere sit
propria persecutus, de his ipsis quidem prædicamentis docuit, quid uero esset
genus, quid species, quid differentia, quid illud accidens, de quo nunc
dicendum est, uel quid proprium, uelut nota præteriit, ne igitur ad PREDICAMENTI
Aristotelis uenientes, quid significaret unum quodque eorum quæ superius
dicta sunt ignora|rent, hunc librum Porphyrius de earum quinque rerum
cognitione perscripsit, quo perspecto et considerato quid unum quodque eorum quæ
supra præposuit designaret, facilior intellectus ea quæ ab Aristotele
proponerentur addisceret. Hæc quidem intentio est huius libri, quem
Porphyrius ad introductionem PREDICAMENTI se conscripsisse ipsa, ut 1
opportunius NR post accidentis add . teneri L,
post naturas 3 tenere HN 3 quonam modo
FHLNP 5 tota EN, m1 in GPS 6 tenemus C 7
insciciarn FN 11 ante rerum add . decem
cod. Monac. 4621 brm,
recte? 15 nouem om. S edd., s. l. Em2Gm2 16 fere om.
EFGS, er. H 18 nunc om. GRS est dicendum CL
eorum delendum esse coni. Engelhrecht 23 quo ut CHLNP inspecto FNP
perfecto EGm1 24 eorum cod. Monac. 4621 om . quæ, om. codd. nostri
proposuit FP proposui H posuit NR 25 ab om. ENR
præponerentur CHm2NR 27 ipse L ita F
dictum est, tituli inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius
libri referatur intentio, non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex
et in maxima quæque diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri
commemorat dicens; Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quæ est apud
Aristotelem prædicamentorum doctrinam, nosse quid genus sit et quid differentia
quidque species et quid proprium et quid apcidens, et ad definitionum
adsignationem et omnino ad ea quæ in diuisione uel demonstratione sunt,
utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi traditionem faciens
temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quæ ab antiquis dicta sunt
adgredi altioribus quidem quæstionibus abstinens, simpliciores uero
mediocriter coniectans. Utilitas
huius libri quadrifariam spargitur, namque ad illud etiam ad quod eius
dirigitur intentio, magno legentibus usui Porph. Boeth. Busse. eius
utilitas est FGm2 in mg. add. HP utilitas eius est in mg.
add. Em2 est eius
utilitas s. l. add. Lm2 eius est utilitas N, om, RS;
est tamen simplex eius utilitas C uerum in mg. Em2
sed GLS sed et R multiplex et in mg. Em2, s. l.
Sm2 est er. uid. E 5 ante Cura add .
PROLOGVS RS, de inscript. codicum Isagogen tantum continent. cf. ad
initium libri Chrysaori G chrisaori EHNPa.c . Γ s. l .
menanti Ώμ2ΣΦ chrysaoni S
chrisarori uel cris uel
chriss-,1 CFLPp.c . R lATl m1 *! -oui ante et add. te C
er. FLNA del. Σ, s. l . scil, te
E 6 ante prædicamentorum add . X Δ 7 sit genus L A et om . Φ quidue N 8 pr . et s. l.
E, om . A 9 diffinitionem Em1 \ m2, in
-nes, hoc in -num mut. F 10 in ad FHP, ante in er .
ad uid. C
diuisionem Ca.r.FHNP T a.r . A a.r . Q uel et N et ad FHP uel
in ΔΣΦ demonstrationem Ca.r . -ne ras.
ex -ne ut uid . FHNP
F a.r. A a.r .b utili edd . utilia codd . 11 hac HP,
s. l. Sm2 hanc CLNΤ ΛΙIΣΦ, del . Δ, om . EFGRS
speculationem CEa.r.Hm2L A a.r . ΑΦ, in -num corr. Σ compendiosa ras.
exsa C A 12 traditione
uel -cione CLΝ Φ, ras. ex -nem HT A 14 altioribus ab altioribus A 17
quadrifaria S ante ad add . et EGP, s. l. L
18 etiam om . G est et ad cetera, quæ cum extra intentionem
sint, non tamen minor ex his legentibus utilitas comparatur, est enim per hoc
corpusculum et PREDICAMENTI facilis cognitio et definitionum integra adsignatio
et diuisionum recta perspectio et demonstrationum ueracissima conclusio, quæ
res quanto difficiles atque arduæ sunt, tanto perspicaciorem studiosioremque
animum lectoris expectant. dicendum uero est quod in omnibus libris euenit. nam
primum si quæ sit intentio cognoscatur, quanta quoque utilitas inde prouenire
possit expenditur et licet extra multa, ut fit, huiusmodi librum sequantur,
tamen illam proxime utilitatem uidetur habere, ad quod eius refertur
intentio, ipso libro quem sumpsimus exponente, cum eius intentio sit ad PREDICAMENTI
intellectum facilem comparandi, non dubium quin hæc eius principalis probetur
utilitas, licet non minores sint comites definitio, diuisio ac
demonstratio, quorum nobis quædam hic principia suggeruntur, sensus uero
totus huiusmodi est : ‘cum sit, inquit, utilis generis, speciei, differentiæ,
proprii accidentisque cognitio ad PREDICAMENTI Aristotelis eiusque doctrinam,
ad definitionum etiam adsignationem, ad diuisionem et demonstrationem, quæ sit
harum rerum utilis überrimaque cognitio, compendiosam, inquit,
trautilitas legentibus FHP 3 opusculum CEp.r.FGm2HLN, recte ?
integra om. ER, s. l. Gm2Sm2 recta perfecta
CFGm2Hm1N 8 post libris add . his HNP
hoc R, s. l, sed exters. G sit est H id est add. Lm2
perpenditur Em2Lm2 10 ante huiusmodi add . in CE
del. G del. m2 N librum LPm2RSm2, om. Hm1, libros FGm1Sm1,
s. l. Hm2, libro CE del. Gm2NPm1 sequntur uel sec- R, m1 in EGS 11
uidentur FH ad quod aliquod Cm1 ad quam
FGm2Pm2 eius eorum
FGm2HPm1 12 ante ipso add . ut s. l. est Lm2 in
hoc CFHLNP, s. l . ut in Em2 hoc Gm2
exponendum CE dum in er . te? FHLNP ex -dus m1 exponere
m2 Sm1 post cum s. l . enim Hm2 13 præparandi
H 14 ante dubium add . est FHNP, s. l. Gm2, post
s. l. L 15 minoris CGm1N 16 nobis om. C hic quædam
C principalia NSm1 17 huiusmodi totus EG 19
eamque Hm1Sm1 20 ad om. C, s. l. Gm2, et FHN
et ad P et ac H, om.
CFNP, et ad edd . demonstrationemque CN demonstrationumque FP
quæ quia Lm2R, om. CFNP 21
traditione ras. ex -nē H ditionem faciens ea quæ
ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim
esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam
introductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quæstiones sponte refngiam,
simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est simpliciorum quæstionum
obscuritates habita in eis quadam coniecturæ ratiocinatione tractabo. Tota
quidem sententia huiusce prooemii talis est, quæ et utilitate überrima et
facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur quidnam
celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in Græco
άναγκαΐον, plura significat, diuersa enim
significatione Marcus Tullius CICERONE dicit necessarium suum esse aliquem
atque nos, cum nobis necessarium esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce
quædam utilitas significatur. alia quoque significatio est qua dicimus
solem necessarium esse moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima
significatio prætermittenda est, omnino enim ab eo necessario quod hic
Porphyrius ponit aliena est. hæ uero duæ huiusmodi sunt, ut inter se certare
uideantur quæ huius loci obtineat significationem, in quo dicit
Porphyrius; Cum sit necessarium, Chrysaori; namque, ut dictum est, neces Marcus
Tullius cf. infra apparatum.
2 enim om. E 3 corpus HNPm1 4 refugio
EGR 5 simplicium Gm2LPm2 6 eas
EFGm1HNSm1 7 ad quidem s. l. autem Gm2
8 prohemii EPS uberrima <sit> Brandt 9
animum EGLm2Pm2R uidetur om. ERS, s. l. Gm2 11 ΑΝΑ Γ ΑΙΟΝ uel ANAKAION uel sim. codd . ANA IT CION ł ANAKAION
C 12 etenim F ad Marcus Tullius in mg . Marcus enim
tullius pro fundanio inquit descripsistine eius necessarium id est adiutorem
danium leg . fundanium add. Hm2,
ex Mario Victorino De defin., Boeth. p. 906 B, haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6
Mueller 13 aliquod C aliquid Hm1NPm2 nos
Hm1Pp.e.Sm1 nostrum cett.; an nostrum est scribendum ? ante
cum add . ut EG del. m2 HLm2P uel F nos
Hm2 14 dicamus L 16 post, esse esset F est Hm1LNP 18
uero om. N ergo F
Chrysaori CEm1 chrisaori uel eris uel
crys-uel crisar uel sim. cett . necessarium harum E s. l . duarum necessitatum m2
Gm1S necessarium harum F sarium et utilitatem
significat et necessitatem, uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et
summe utile est ad ea quæ superius dicta sunt, de genere et specie et
ceteris disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint hæc ante præcognita,
illa ad quæ ista præparantur, non possunt cognosci, nam neque præter
generis uel speciei cognitionem PREDICAMENTA discuntur nec definitio genus
relinquit et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste tractatus, cum de
diuisione et demonstratione disputabitur, apparebit, sed quamquam necesse sit hæc
quinque de quibus hic disputandum est, prius ad cognitionem uenire quam
ea quibus illa præparantur, non tamen ea significatione hic a Porphyrio positum
est qua necessitatem significari uellet ac non potius utilitatem, ipsa enim
oratio contextusque sermonum id clarissima intellegentiæ ratione significat,
neque enim quisquam ita utitur ratione, ut aliquam necessitatem referri
dicat ad aliud, necessitas enim per se est, utilitas uero semper ad id quod
utile est refertur, ut hic quoque, ait enim Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad
eam quæ est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, si igitur hoc necessarium
utile intellegamus et id nomine ipso uertamus dicentes: cum sit utile. Chrysaori, et ad eam quæ est
apud Aristotelem prædicamen 1 et om. R, del. CGm2 significans R ante
necessitatem add . altera R, s. l. Gm2 4 necessitas est
E quia om. NS sint post hæc F, post
præcognita H 5 agnosci CN post cognosci add . quæ
om. E prædicamenta dicuntur CEGL in sup. mg. m2 PR
cognitiones del. et s. l . quæ add. m2 prædicamentarum rum
del. m2 dicuntur S
namdiscuntur om. GRS, in sup. mg. Lm2 namcognitionem in mg.
Em1?, reliqua om . 7 nec sed istis
cognitis nec C sed nec S neque N sit erit Em2GLm1RS 13
significare FN 15 utatur Sm1 oratione CHm1N
16 aliud] aliquid CHm1N 17 post se add .
quiddam CFHPN, s. l. Em2Lm2, quidem edd . quod ad quod NP
defertur Gm1Lm1RS 18 enim om . C Chrysaori eædem fere quæ p. 147, set in codd. scripturæ 19 et te et
L 20 post doctrinam add . nosse quid genus sit
C nosse quid sit genus et cetera in mg. Lm2 22 Chrysaori ut 18 et om . EFGS te
et L doctrinam prædicamentorum C torum doctrinam,
nosse quid genus sit et cetera, recte se habebit ordo sermonum; sin uero id ad
‘necesse’ permutetur atque dicamus : cum sit necesse, Chrysaori, et ad eam quæ
est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, nosse quid genus sit et
cetera, rectæ intellegentiæ sermonum ordo non conuenit. quocirca hic diutius
immorandum non est. quamquam enim sit summa necessitas his ignoratis non posse
ad ea ad quæ hic tractatus intenditur perueniri, non tamen de necessitate hic
dictum est necessarium, sed potius de utilitate. Nunc uero, licet idem superius dictum sit, tamen
breuiter quid ad PREDICAMENTI generis, speciei, differentiæ, proprii
atque accidentis prosit agnitio, disputemus. Aristoteles enim in X PREDICAMENTI
genera constituit rerum quæ de cunctis aliis PREDICARE ut quicquid ad
significationem uenire posset, id si integram significationem teneret,
cuilibet eorum subiceretur generi de quibus Aristoteles tractat in eo libro qui
De decem prædicamentis inscribitur, hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad
genus tale est, quale si quis speciem supponat generi, hoc uero neque præter
cognitionem speciei ullo modo fieri potest nec uero ipsæ species quid
sint uel cuius magis sint possunt perspici nisi earum differentiæ cognoscantur,
sed differentiarum natura incognita, quæ unius 1 recte sermonum recte intellegentiæ sermonum ordo
conuenit CLP ex 5 uero autem C atque itaque
FN ut CLH in ras. Chrysaori] sit GLRS nosse sit om. EH 5 ordo ante
sermonum E post his s. l. quinque
Lm2 pr. sic ad om. G, in mg. Em1? tractatus
hic H intendit L peruenire Lm1S 9
ante hic add. solummodo F 10 nunc nam F 11
quod EN 12 possit Lm2 cognitio R
possit Fa.c.LS Aristoteles delend. esse coni. Brandt eo om.
E 17 De om. NS, de s. l. Lm2 uero s. l. Gm2
18 post, ad om. GRS, s. l. Em2Lm2P qui S 19
neque er . L nec N post
cognitionem add. generis neque præter cognitionem CFHP in mg.
m2 generis nec E s. l. m1?N, s. l. generis et
Lm2 20 nullo Lm2 neque F 21 magis modi CEm2 in
aliis m1 Hm1Pp.c.corr. m1? modo N possint S
possumus Gm1Lm2 possemus m1 possimus E
perspici scire EGm1 sciri m2 L agnosci
RS cuiusque speciei sint differentiæ, modis omnibus ignorabitur, quare
sciendum est quoniam, si de generibus Aristoteles tractat in PREDICAMENTI, et
generum natura cognoscenda est, cuius cognitionem speciei quoque comitatur
agnitio, sed hoc cognito, quid sit differentia non potest ignorari,
quamquam in eodem libro plura sint ad quæ nisi maximam peritiam et
generis et speciei et differentiæ lector attulerit, nullus omnino intellectus
patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit : diuersorum generum et non
subalternatim positorum diuersæ secundum species et differentiæ sunt, quod his
ignoratis intellegi inpossibile est. sed idem Aristoteles proprium unius
cuiusque PREDICAMENTI diligentissima inquisitione uestigat, ut cum substantiæ
proprium post multa dicit esse quod idem numero contrariorum susceptibile sit,
uel rursus quantitatis, quod in ea sola æquale atque inæquale dicatur,
qualitatis etiam, quod per eam simile et dissimile aliud alii esse proponimus,
et in ceteris eodem modo, ut quæ sit proprietas contrarii, quæ secundum
relationem oppositionis, quæ priuationis et habitus, quæ affirmationis et
8 10 Aristot. Categ. c. 3, l b, 16 s. 13 s. ibid. c. 5, 4 a, 10 s. 15 s.
dicatur ibid. c. 6, 6 a, 26 s. 16 s. ibid. c. 8, 11 a, 15 19. 18 quæ sit 153, 1
negationis ibid. c. 10. 1 sit differentia S 5 non
potest s. l. Gm2 quamquam cum F et generis differentiæ post
attulerit E 8 pateat EGLRS dicit Brandt dicat codd. edd.; cf. 13. 154, 14. 21. 153, 2. 6
10 post secundum add . se EGL del. ES, er. uid. H
et om. CN, del. Lm2, er. uid. H; cf. Aristot. Cat. c. 3 τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπ’ αλληλα τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί et Boethii
interpretat. In Categ. Arist. 177 A om. se quid GRS 11
possibile EG post
est signum interrogat. RS propria FHNP 14
ante numero s. l. cum E æquum Em1FGLm1RS;
cf. 153, 17 atque aut N 16 dicitur FHLm2P et dissimile F uel dissimile s. l. Em2
aut dissimile s. l . Gm2Pm1?, om. cett.; cf. Aristot. Cat. c
. 9 Τ ών μέν ouv είρημένων τό ομοιον χα άνο'μοιον αοτήν et Boethii interpretat A simile et
dissimile, aliis DGPm1RS s in ras; cf. Aristot, ibid . έτέρω, Boeth. ibid . alteri 18 post
relationem add . contrarii Em1, del. et s. l . ut sapientia
stulticiæ m2 negationis, in quibus ita tractat tamquam iam
peritis scientibusque quæ sit proprietatis natura; quam si quis ignorat,
frustra ea quæ de his disputantur adgreditur. iam uero illud manifestum est,
quod accidens maximum PREDICAMENTI obtineat locum, quod proprio nomine nouem PREDICAMENTI
circumdat. Et ad PREDICAMENTI quidem quanta sit huius libri utilitas ex
his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum adsignationem, facile
cognosci potest, si prius substantiæ rationum diuisio fiat, substantiæ
ratio alia quidem in descriptione ponitur, alia uero in definitione, sed ea quæ
in descriptione est, pro|prietatem quandam colligit eius rei cuius substantiæ
rationem prodit, ac non modo proprietate id quod monstrat informat, uerum etiam
ipsa fit proprium, quod in definitionem quoque uenire necesse est; si
quis enim quantitatis rationem reddere uelit, dicat licebit; quantitas est
secundum quam æquale atque inæquale dicitur, sicut igitur proprietatem quidem
quantitatis in ratione posuit quantitatis et ipsa tota ratio ipsius quantitatis
propria est, ita descriptio et proprietatem colligit et propria fit ipsa
descriptio, definitio uero ipsa quidem propria non colligit, sed ipsa quoque
fit propria, definitio namque substantiam monstrat, genus differentiis iungit
et ea quæ per se sunt communia atque multorum in unum redigens uni speciei quam
definit reddit æqualia. ita igitur ad descriptionem utilis est proprii
cognitio, quoniam sola proprietas in descriptione colligitur et ipsa fit
propria sicut definitio quoque, ad definitionem uero genus, quod primum 1
ita om. RS, s. l. m2 in EGL tamquam iam quasi C 5
optinet FHm1LmSN obtineat ante prædicamentorum
E libri huius CGLRS utilitas brm intentio codd . 10
post substantiæ add . uero F, s. l . enim Lm2
16 ante dicat s. l . sc. ut Lm2 20 proprietates
CFHNP ipsa ita G nam qui Gm2Lm1 namque qui
m2 S 26 proprietas sola CLP sola proprietas sola
FGm1S 27 ad sicut s. l . ł sic Em2 uero s. l
. Hm2 quod om . F quidem R
ponitur, et species, ad quam genus illud aptatur, et differentiæ, quibus
iunctis cum genere species definitur, sed si cui hæc pressiora quam
expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc scire conuenit, nos, ut in
prima editione dictum est, hanc expositionem nostro reseruasse iudicio, ut ad
intellegentiam simplicem huius libri editio prima sufficiat, ad interiorem
uero speculationem confirmatis pæne iam scientia nec in singulis uocabulis
rerum hærentibus hæc posterior colloquatur. Ad diuisionem uero faciendam
tam hic liber est utilis, ut præter earum scientiam rerum de quibus in hac
libri serie disputatur, casu fiat potius quam ratione partitio, hoc autem
manifestum erit, si diuisionem ipsam diuidamus, id est si nomen ipsum
diuisionis in ea quæ significat partiamur, est namque diuisio generis in
species, ut cum dicimus ‘coloris aliud est album, aliud nigrum, aliud uero
medium’, rursus diuisio est, quotiens uox plura significans aperitur et
quam multa sint quæ ab ea significantur ostenditur, ut si quis dicat ‘nomen
canis plura significat, et hunc, latrabilem quadrupedem que et cæleste sidus et
marinam bestiam’, quæ omnia a se definitione disiuncta sunt, diuidi autem
dicitur et quotiens totum in partes proprias separatur, ut cum dicimus
‘domus aliud sunt fundamenta, aliud parietes, aliud tectum’, et hæc quidem
triplex diuisio secundum se partitio nuncupatur, est autem in prima editione
nihil eiusmodi. 1 post
ponitur add . utile est CN, post species s. l . utilis
est Lm2 et species aptatur in mg. Em2Gm2 illud
genus C 3 eum om. E, s. l. Gm2, ei R 4
uti FGLRSm1 5 reseruasse CPm2 edd . reseruare E -re in ras . FGm2HNPm1 ante
reseruare add. se m1, del.
m2 reseruantes Gm1S seruantes Lm1 seruare
m2 reseruantes sumus R 8 colloquatur m1 in GLS eloquatur CEm2 in ras.
HN collocatur Em1R, m2 in GLS edd . loquatur FP 9
utilis est LP 10 rerum om. E 12 post . si
om. EG, s. l. Sm2 13 ante partiamur s. l . si
E partiatur Gm1 14 aliud est CEp.c.R edd . aliud esse
Ea.c.GHLPS esse aliud FN 15 rursum CEGNPm1R
est s. l. Sm2, ante diuisio FHNP, et ante rursus
et post diuisio R 16 quam quod EG a.c . quæ p.c
. LRS sunt CFLNPa.c. 18 quadripedemque Sm1 20
distincta FHm1NP 23 partitio separatio EGLm1Pm1RS
alia quæ secundum accidens dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum
accidens in subiecta diuidimus, ut cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia
in corpore’, uel rursus cum subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt
alba, alia nigra, alia medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia
separamus, ut cum dicimus ‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii
coloris’, et rursus ‘alborum alia sunt dura, alia liquentia, quædam mollia’,
cum igitur ita omnis sit diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero
partitio tripliciter fiat cumque in superiore secundum se triplici partitione
sit una diuisionis forma genus in species separare, id neque præter generum
scientiam fieri ullo modo potest neque uero præter differentiarum, quas necesse
est in specierum diuisione sumi, manifestum est igitur, quanta utilitas huius
libri ad hanc diuisionem sit quæ primo aditu genus ac species et
differentias tractat, secunda uero ea diuisio quæ est secundum se in uocis
significantias, nec hæc quidem ab huius libri utilitate discreta est. uno enim
modo cognosci poterit, utrum uox cuius diuisionem facere quærimus, æquiuoca
esse uideatur an genus, si ea quæ significat definiantur, et si ea quæ
sub communi nomine sunt, definitione clauduntur, species esse necesse est, et
illud commune eorum genus, quodsi illa quæ proposita 3 sunt alia
H uel aut brm rursum FS 4 corporalium
Ca.c.Hm1N rursum F 6
liquentia Ea.c.Gm1 8 fit G sit ante omnis F,
post diuisio N 9 accidentia S 10 superiori Sm2 11
separare om. EN possit Em2 uero om. C post
præter s. l . scientiam Sm2 ea del. L, er. uid. P
ante quæ add . est N om. post quæ P er. uid. secundum significantias FHN uocis post
significantias C se et in om cett . 18 uno nullo F quo m2 in HLP
enim quidem N 20 si nisi FLm2Pm2 significant
CNPm2 et om. si, in ros.
Hm2 si et RS et s. l. m2 si om. EL, s. l. Gm2Pm2, etenim L
ex et m2 Pm1 communi nomine CEm2
in ras. FHNP nomine s. l. m2
communione cett. 21 sunt del. L, s. l. Pm2 ante
definitione add . una FHL del. m2 R, s. l. Em2Pm2 diffinitione
s. l. Gm2 claudantur EGLRS 22 earum ES post
genus s. l . necesse est Gm2 præposita EGPS
uox designat, non possunt una definitione concludi, nemo dubitat quin
illa uox sit æquiuoca neque ita sit communis his de quibus PREDICARE ut genus,
quandoquidem ea quæ sub se posita significat, secundum commune nomen non
possunt una definitione comprehendi, si igitur ex definitione manifestum
fit quid genus sit, quid uero nomen æquiuocum, definitio uero per genera
differentiasque discurrit, quisquamne dubitare potest æque in hac diuisionis
forma plurimum huius libri auctoritatem ualere? illa uero secundum se diuisio
quæ est totius in partes, quemadmodum discernitur ac non potius generis in
species diuisio esse putabitur, nisi sint genus |et species et differentiæ
earumque uis ante disciplinæ ratione tractata? cur enim non quisquam dicat
domus species potius esse quam partes fundamenta, parietes et tectum? sed cum
occurrit generis nomen in una quaque specie totum posse congruere, totius uero
in una quaque parte sua nomen conuenire non posse, manifestum fit aliam
diuisionem esse generis in species, aliam totius in partes, conuenire autem
nomen generis singulis speciebus ostenditur per id, quod et homo et equus singuli
animalia nuncupantur, neque tectum uero neque parietes aut fundamenta
singillatim domus nomine appellari solent, sed 1 concludi om .,
nemo comprehendi in inf. mg.
Gm1? nemo ita sit in ras. Em2 2 uox communis uox non
non er. L, om. S sit
communis Gm1 uel 2 Lm1Sm1, post uox add . sit æquiuoca neque
non, sed del. G ita
om. G etiam S s. l. Gm2 uel alia Sm2, in mg.
Lm2 3 ante his add . de E er. G del. m2 ES his s. l. Lm2 4 post
posita s. l. sunt Hm2 non possunt definiri uel diff-j -ri ex -re
Cm2 non possunt add . neq. Cm1, er. et una add.
m2 nec CFN 6 fit H
est C sit cett . 8 æque etiam CFHm1NPSm1 9
auctorem GR utilitatem Lm2 10 discernetur Hm2 fort.
recte discernatur N ac et FHNP 11 esse om.
R, ante diuisio FN sit FSm1 sunt G et
ac R 12 earum quauis ELR, m2 in GHPS, earum quis
Fm1 quamuis om . earum, m2
; cf. 157, 3 13 quisque CFHR esse potius
FNR 14 dum F 15 quaque om. FN 17 sit
ELRm1 est m2 S 19 id om . RS, s. l.
Em2Gm2 singula CEa.r. ut uid. GLPm1 singularis Sa.c .
singulaque R 20 aut ac FHLNP neque S 21
singulatim CNR appellari nuncupari FHLNP cum fuerint
iunctæ partes, tunc recte totius nomen excipiunt, de ea uero diuisione quæ
secundum accidens fit, nullus ignorat quin incognito accidenti incognitaque ui
generis ac differentiarum facile euenire possit, ut accidens ita in subiecta
soluatur quasi genus in species, et postremo omnem hunc ordinem
partitionis foedissime permiscebit inscientia. Et quoniam quid hic liber
ad diuisionem prosit ostendimus, nunc.de demonstratione dicemus, ne per ardua
atque difficilia hæreat qui in tanta hac disciplina uigilantissimo ingenio et
sollertissimo labore sudauerit. fit enim demonstratio, id est alicuius quæsitæ
rei certa rationis collectio, ex ante cognitis naturaliter, ex conuenientibus,
ex primis, ex causa, ex necessariis, ex per se inhærentibus, sed genera
speciebus propriis priora naturaliter sunt; ex generibus enim species fluunt,
item species sub se positis uel speciebus uel indiuiduis priores
naturaliter esse manifestum est. quæ uero priora sunt, ea et prænoscuntur et
notiora sunt sequentibus naturaliter, duobus enim modis primum aliquid et notum
dicitur, secundum nos scilicet et secundum naturam, nobis enim illa magis
cognita sunt quæ sunt proxima, ut indiuidua, dehinc species, postremo
genera, at uero natura conuerso modo ea sunt magis cognita quæ nobis minime
proxima, atque ideo quamlibet se longius 1 tunc er. C accipiunt F 3 incognita m1
in GRS accidente CN accidentia, del . a
EGm2Rm2 accidenti differentiarum in mg ., ante facile
add . ea accidentia, sed del. E incognitaque differentiarum
om. GR cognitaque sic ut generis ac differentiarum Sm1, del.
m2 4 soluamus FHNP 5 postremum HP hunc ante
omnem L, post ordinem R 6 inscitia FHN 7
quid hic liber FGm1NP quid liber hic Em2HL hic quid
liber Gm2 liber quid hic Em1R liber hic quid S; quid ad
diuisionem hic liber C 8 ne hæreat rem perarduam atque difficilem
illi etiam FN ; ne et in in difficil ** ia
et hereat in ras. C 9 hereat s. l. Sm2 etiam m1 tota
CFN 11 alicuius om. CL 13 priora propriis C
15 pr . uel om. L, del. Pm2 19 enim uero N 21
natura Ea.c.GR naturæ
Ep.c.FHLPS secundum naturam CN; cf. Boeth . Post. Analyt. Aristot.
interpret. lib. I c. II 714 B non enim idem est natura prius et ad nos
prius neque notius natura et nobis notius. 22 quantumlibet Em2
quantolibet Pm2 a nobis genera protulerint, tanto magis erunt lucida
et naturaliter nota, differentiæ uero substantiales illæ sunt quas per se
inesse his rebus quæ demonstrantur agnoscimus, præcedere autem debet generum ac
differentiarum cognitio, ut in una quaque disciplina quæ sint eius rei quæ
demonstratur convenientia principia, possit intellegi, necessaria uero esse ea
ipsa quæ genera et differentias dicimus, nullus dubitat qui speciem sine genere
et differentia intellegit essq non posse, genera uero et differentiæ sunt causæ
specierum. idcirco enim species sunt, quia genera earum et differentiæ sunt quæ
in syllogismis posita demonstratiuis non rei solum, uerum conclusionis
etiam causæ sunt, quod postremi Resolutorii locupletius dicent. Cum igitur
perutile sit et definitione quodlibet illud circumscribere et diuisione dissoluere
et demonstrationibus comprobare, hæc autem præter earum rerum scientiam
de quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant,
quis umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicæ adiumentum
sit, præter quem cetera quæ in ea magnam uim tenent, nullum doctrinæ aditum præbent? Sed
meminit Porphyrina introductionem æse conscribere neque ultra quam
institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim ‘se altiorum quæstionum
nodis abstinere, 1 protulerunt FLR prætulerint N
2 substantiales substantiæ uel E 3 inesse post
rebus C esse, del . in E 4 in om. C, s. l. Sm2 6
possint Hm1P 7 ante genera add. et LP 8
intellegit in mg . Cm2, post esse in ras. N 9
causæ sunt FHL sunt om. R causa G 11
demonstrantibus EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI 718 D
demonstratiuus syllogismus 12 postremis L in s. l. postremis Pm2
postremo EFGPm1RS resolutoriis L resolutarii
F resoluturi RS resoluituri G resolutius ac
E 13 dicemus EGLPm1RS 15 demonstratione N 16 in
om. FGPR, s. l. Hm2S 17 ualeant m2
in EHLS ualent CEm1F n del . GHm1NP n
in ras . RSm1 22 nec N 23 egreditur CF ægr- HNPm1 aggreditur
L egredi EGRS aggredi Pm2 altioribus
FN nodis om . Cm1Sm1 modis FNRa.c., s. l. Cm2, in mg.
Sm2 simplices uero mediocri coniectura perstringere’, quæ uero sint
altiores quæstiones quas se differre promittit, ita proponit : Mox, inquit, de
generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis nudisque
intellectibus posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an
incorporalia et utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus posita et
circa ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et
maioris egens inquisitionis. Altiores,.inquit, quæstiones prætereo, ne eis
intempestiue lectoris animo ingestis initia eius priraitiasque perturbem, sed
ne omnino faceret neglegentem, ut nihil præterquam quod ipse dixisset, lector
amplius putaret occultum, id ipsum cuius exequi quæstionem se differre
promisit, addidit, ut de his minime obscure penitusque tractando nec
le|ctori quicquam 54 obscuritatis offunderet et tamen scientia
roboratus quid quæri iure posset agnosceret, sunt autem quæstiones quas sese
retiPorph. Boeth. altissimum negotium Abælardus,
Epistolæ, OpI 5 ed. Cousin. 1 simpliciores L præstringere
G perscribere CFN 2 sunt N 3 inquit om .
Ω ac et ΗΝ Ω post quidem add . quod EG
del. Sm2 quæ m1 4 subsistant L nudisque nudis
purisqne Ω ; Porph. 1, 10 έν μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς 5 substantia
Em1 sunt ante corporalia Σ, post incorporalia Δ sint LR A m2, ras . ex
sunt II 6 separat R a sensibilibus om. Gm1 s. l. m2 Sm1 cf.
proxima, ras. ex ab insensibilibus \ m2; om . Porph.
1,12 ab CEa.r. A m1 A m1 an in sensibilibus posita et FG posita s. l. m2 LR Ψ an in sensibilibus a sensibilibus m2 et S an ipsis sensibilibus
posita om . iuncta in mg. et
om . II Γ, s. l . Π m2 et cetera om
. CEHPm1 h m1 s. l. an et in sensibilibus posita m2 A
m1 in mg . an sensibilibus
iuncta m2 Φ an cet. om.
NPm2 Σ 7 consistentia CHF
A m1 8 enim negotium FHLP
Q sed est enim A
Abælard . negotium ante est CEGRS enim est
negotium huius modo sic N; Porph. 1, 13 βαθύτατης οϊοης τής τοιοΰτης πραγματείας 10 ante eis add . in, sed
del. E 11 primitiaque R perturbent FN 12
neglegentiam Gm1P præter s. l. quam C præter
id quam L 13 putasset C 14 exequi quæstionem exeeutionem
uel eis- EGHm1LRS 15 penitus Em1FG ne
L 16 effunderet Ca.c.EGLNR infunderet Cp.c.FS ;
cf. 145, 14 17 possit C a.c. Fa.c . se N cere
promittit, et perutiles et secretæ et temptatæ quidem a doctis uiris nec a
pluribus dissolutæ, quarum prima est huiusmodi. omne quod intellegit animus aut
id quod est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione
describit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit ergo
intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quæritur, utrumne ita
intellegamus species et genera ut ea quæ sunt et ex quibus uerum capimus
intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quæ non sunt, animi nobis cassa
cogitatione formamus, quod si esse quidem constiterit et ab his quæ sunt,
intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior quæstio
dubitationem parit, cum discernendi atque intellegendi generis ipsius naturam
summa difficultas ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut corporeum aut
incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum esse oportebit
quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne corporeum an uero incorporeum?
neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum poni debeat
agnoscatur, sed neque cura hæc soluta fuerit quæstio, omne excludetur ambiguum.
subest enim aliquid quod, si incorporalia esse genus ac species dicantur,
obsideat intellegentiam atque detineat exsolui postulans, utrum circa corpora
ipsa subsistant an et præter corpora subsistentiæ incorporales esse uideantur.
duæ quippe incorporeorum formæ sunt, ut alia præter corpora esse 1
promisit C 2 doctissimis P 4 statutum L
discribit E 5 id s. l. C capiamus C ipsi nos ipsos FR ipsos
** -os ex i m2 S ipsi Hm1
nos s. l. m2 eludimus Hm2 cogitatione imaginatione
F 11 intellectu ras. ex -tu E ac et R
12 parat FHm1PRS discernendæ atque intellegendæ.. naturæ
EFGHNRS 13 natura L ostendatur N 16 utrum
FHm1NP an aut ex
ut F uero om. N 19
excluditur Cm2GHp.c.LPRS aliquid quod alia quæ que
N FN aliud ex aliquid quod E esse post species FHL, om.
N 21 ac et H intellegentiam atque animum
intelligentiamqne F intellegentiamque N ipsa corpora
EFGHN et om. CFHLN fort. recte, del. Pm2 23
subsistentia Ca.c.Gm2L substantiæ Cp.c.FN s. l . ł
subsistentes incorporalia Gm2L possint et separata a
corporibus in sua incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero
cum sint incorporea, tamen præter corpora esse non possint, ut linea nel
superficies uel numerus uel singulæ qualitates, quas tametsi incorporeas
esse pronuntiamus, quod tribus spatiis minime distendantur, tamen ita in
corporibus sunt, ut ab his diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus
separata sint, nullo modo permaneant, quas licet quæstiones arduum sit ipso
interim Porphyrio renuente dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium
lectoris animum relinquam nec ipse in his quæ præter muneris suscepti
seriem sunt, tempus operamque consumam, primum quidem pauca sub quæstionis
ambiguitate proponam, post uero eundem dubitationis nodum absoluere atque
explicare temptabo. Genera et species aut sunt atque subsistunt aut
intellectu et sola cogitatione formantur, sed genera et species esse non
possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne enim quod commune est uno tempore
pluribus, id unum esse non poterit; multorum enim est quod commune est, præsertim
cum una eademque res in multis uno tempore tota sit. quantæcumque enim
sunt species, in omnibus genus unum est, non quod de eo singulæ species quasi
partes aliquas carpant, sed singulæ uno tempore totum genus habent, quo fit ut
totum genus in pluribus singulis uno tempore positum unum esse non possit;
neque enim fieri potest ut, cum in pluribus totum uno sit tempore, in
semet ipso sit unum 1 a om. CS, s. l. Em2 corporalitate
ELS possunt ELNPR 4 tamenetsi Ca.c . tam ras.
ex tam L tam si Em1 tamensi GRS quod eo quod L tamen om. G tam N 6 uti EGLPa.r.RS ante
diuelli add. aut Hm1, del. m2 a om. ERS, s. l.
Gm2 separatæ exta H quæstiones licet FHLPN 9
rennuente Ca.r.Ga.c.LNS ut ita ut R 13 dubietatis
L exsoluere CF 14 atque et EGLPRS 15 solo s. l. Pm2
et FHNP uno tempore pluribus multorum uno tempore
N 18 est s. l. m2 enim
G tota sit transit F est
unum Fm2H non, s. l . quod S, ut non
CHm1N carpunt RS
capiant F participant Nm1 habeant
Hm2Lm2P possunt F
possint S enim om. FN. del. L unoque Gm2
sit uno FHN tempore in mg. Gm2 numero, quod si
ita est, unum quiddam genus esse non poterit, quo fit ut omnino nihil sit; omne
enim quod est, idcirco est, quia unum est. et de specie idem conuenit dici,
quodsi est quidem genus ac species, sed multiplex neque unum numero, non erit
ultimum genus, sed habebit aliud super-positum genus, quod illam
multiplicitatem unius sui nominis uocabulo includat, ut enim plura animalia,
quoniam habent quiddam simile, eadem tamen non sunt, idcirco eorum genera
perquiruntur, ita quoque quoniam genus, quod in pluribus est atque ideo
multiplex, habet sui similitudinem, quod genus est, non est uero unum,
quoniam in pluribus est, eius generis quoque genus aliud quærendum est, cumque
fuerit inuentum, eadem ratione quæ superius dicta est, rursus genus tertium
uestigatur itaque in infinitum ratio procedat necesse est, cum nullus disciplinæ
terminus occurrat, quodsi unum quiddam numero genus est, commune multorum
esse non poterit, una enim res si communis est, aut partibus communis est et
non iam tota communis, sed partes eius propriæ singulorum, aut in usus
habentium etiam per tempora transit, ut sit commune ut seruus communis
uel equus, aut uno tempore omnibus
commune fit, non tamen ut eorum quibus commune est, substantiam constituat, ut
est theatrum uel spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est.
genus uero secundum nullum horum modum commune esse speciebus potest;
nara numero in numero NR quoddam FS quodque
N quidem R 5 ad ultimum s. l .
maximum E super se se s. l. G
positum GR 6 sui LP
edd . ui cett. post nominis F
hominis R 7 uocabulo HLP edd., om. cett . concludat
H concludit Lm1 includat m2 includit R
12 requirendum F perquirendum N 13 ratio
Hm1N tertium genus CL 14 nestigabitur FH
nestigabit N 15 quodsi quod NR quiddam quoddem
sic R 17 si communis sic omnis F quæ communis CN
si om. R post
post, communis est add . ut puteus et uel H fons CHNP del. m2, in mg. E, s.
l. Lm2 18 proprie CFLNR post singulorum add
. sunt HP, s. l. Lm2, post sunt s. l . ut puteus
et fons Pm2 19 habent G etiam om. FNP
iam LS 21 sit NP
ras. ex fit est R ita commune esse debet, ut et
totum sit in singulis et uno tempore et eorum quorum commune est, constituere
ualeat et formare substantiam, quocirca si neque unum est, quoniam commune est,
neque multa, quoniam eius quoque multitudinis genus aliud inquirendum est,
uidebitur genus omnino non esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi
tantum intellectibus genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis
intellectus aut ex re fiat subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non
habet nam ex nullo subiecto fieri intellectus non potest , si generis et speciei ceterorumque
intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa habet quæ intellegitur,
iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in rerum etiam ueritate
consistunt, et rursus quærendum est quæ sit eorum natura, quod superior quæstio
vestigabat. quodsi ex re quidem generis ceterorumque sumitur intellectus
neque ita ut sese res habet quæ intellectui subiecta est, uanum necesse est
esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non tamen ita ut sese res habet; id
est enim falsum quod aliter atque res est intellegitur, sic igitur, quoniam
genus ac species nec sunt nec cum intelleguntur, uerus eorum est
intellectus, non est ambiguum quin omnis hæc sit deponenda de his quinque
propositis disputandi cura, quandoquidem neque de ea re quæ sit 1 sit s. l. Lm1? brm, om. cett . post tempore add. sit Np, s. l
. Em2 conformare N substantias FHNP
ante si add. et Hm1, del. m2 ad quoniam s.
l . quod Hm2 4 multiplex m2 in CEGP,Lm1 8 habeat
N aut habet in mg. Gm2 ut s. l. Lm2Sm2 9 habeat N,
post add . nanus est intellectus Intellectus otn. brm qui de nullo subiecto capitur in mg.
Lm2, s. l. Rm1? brm intellectus post potest
C 11 ipsa res HLN pr .
in om. ENR, s. l. F 13 etiam om. CL 14
uestigabit Lm2 inuestigabat F esse post
intellectum F, post uanniu N, om . R
enim falsum est CKNP est om . H, er .
L enim om. R si CNPS, m1 in GHL,
nec R igitur intelleguntur om . R quoniam om. CN
ac et S neque FHN quæ Sm1 neque
FH cum om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus nec uerus GLR
earum HN est eorum CL non neque N 22
fit Lm2 neque de ea de qua uerum aliquid intellegi proferriue
possit, inquiritur. Hæc quidem est ad præsens de propositis quæstio; quam
nos Alexandro consentientes hac ratiocinatione soluemus. non enim necesse esse
dicimus omnem intellectum qui ex subiecto quidem fit, non tamen ut sese
ipsum subiectum habet, falsum et uacuum uideri. in his enim solis falsa opinio
ac non potius intellegentia est quæ per compositionem fiunt. si enim quis
componat atque coniungat intellectu id quod natura iungi non patitur, illud
falsum esse nullus ignorat, ut si quis equum atque hominem iungat
imaginatione atque effigiet Centaurum. quodsi hoc per diuisionem et per
abstractionem fiat, non quidem ita res sese habet, ut intellectus est,
intellectus tamen ille minime falsus est; sunt enim plura quæ in aliis esse
suum habent, ex quibus aut omnino separari non possunt aut, si separata
fuerint, nulla ratione subsistunt. atque ut hoc nobis in peruagato exemplo
manifestum sit, linea in corpore quidem est aliquid et id quod est, corpori
debet, hoc est esse suum per corpus retinet, quod docetur ita : si enim
separata sit a corpore, non subsistit; quis enim umquam sensu ullo
separatam a corpore lineam cepit? sed animus cum confusas res permixtasque in
se a sensibus cepit, eas propria ui et 4 Alexandro testimonia Simplicii
in Categ. Aristot. 50 a, 45
ss., Dexippi 50 b 15 31 = 45, 12 28 Busse, Dauidis Brandis adfert
Prantl, Gesch. d. Logik im Abendlande I 623 n. 24. 6
sit CEFH ex fit NPR
ante ut add . ita FN, s. l. Gm2Pm2 habeat
FHm1NP 7 post uideri add . ut si quis dicat lineam esse
cum longitudine sine latitudine non est omnino falsum F 8
compositionem conjunctionem EGLPRS, recte? 9 quisquam HP
quisque N ponat H intellectu in intellectu
F id om. N 10 patiatur NR 11 pr . atque aut
N efficiet L c ex
g m2 efficiat CF effigiat Sa.c . 12 hæc
E ad abstractionera s. l . ł ??positionem
Lm2 ł abscisionem Pm2 fit R 13 ita
post res C, om. R 14 ille ipse R 16 ut s.
l. Cm2, del. Lm2, post hoc F ad peruagato
s. l . ł uulgato Pm2 18 hoc om. F est om. ELS, s.
l. Gm2, et F 19 ante docetur add . et CHNP,
in mg. Lm2 20
a om. ERS, s. l. Gm2 21 anima Em1Gm1Pm2Sm1 22
post permixtasque add . corporibus brm capit
C eas in mg. Hm2 cogitatione distinguit, omnes enim
huiusmodi res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus cum ipsis
nobis corporibus tradit, at nero animus, cui potestas est et disiuncta
componere et composita resoluere, quæ a sensibus confusa et corporibus
coniuncta traduntur, ita distinguit, ut incorpoream naturam per se ac sine
corporibus in quibus est concreta, specnletur et uideat. diuersæ enim
proprietates sunt incorporeorum corporibus permixtorum, etsi separentur a
corpore, genera ergo et species ceteraque uel in incorporeis rebus uel in
his quæ sunt corporea, reperiuntur. et si ea in rebus incorporeis inuenit
animus, habet ilico incorporeum generis intellectum, si uero corporalium rerum
genera speciesque perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus incorporeorum
naturam et solam puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita hæc cum
accipit animus permixta corporibus, incorporalia diuidens speculatur atque
considerat, nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam ita eam mente
capimus quasi præter corpora sit, cum præter corpora esse non possit, non enim
omnis qui ex subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsæ
res habent, falsas esse putandus est, sed, ut superius dictum 20 superius
164, 8. 2 corpore EGLRS 3 at
nero om. C animi om .
cui R et om. GRS, s. l. Lm2 post disiuncta add .
ut equum et hominem quæ iungi non patitur natura, post
composita add . ut corpus et lineam et sic disiungi natura
non patitur R 4 a s.l. m2 in EGLS 5 ante
incorpoream add . in FLNS 7 et ut S sunt
proprietates CLR, add. ut equum et cetera R 8 ante corporibus
add. et C etiamsi R et, s. l. si Cm2F separarentur F ra
s. l. R separantur Lm1N ergo om. FN, del. Lm2,
uero H, s. l. Lm2 corporeis Cm1GHLPa.c.R 10 incorporeis corporeis
Cm1 11 animus inuenit FHNP post ilico add . ibi F, s.
l. Gm2, add . quo E, sed del. incorporalium Em1
speciesque et species esse F prospexerit HR 14
ante hæc add . et H del. m2 N, s. l. Cm2 animus cum
accipit F 15 accepit Pm1S animus accipit C
post incorporalia add . ea CHm2LPN diuisa Gm2 16
desiderat Em1Ga.c . falso ante dicat F falsam
CGm1Lm1 post
nosl NRS 17 capiamus Cm2N 19 sese om. F ipsæ
om . H, s. l. Em2, ipsa F est, ille quidem qui hoc in
compositione facit falsus est, ut cum 56 hominem atque equum |
iungens putat esse Centaurum, qui uero id in diuisionibus et abstractionibus
assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non modo falsus non est,
uerura etiam solus id quod in proprietate uerum est inuenire potest. sunt
igitur huiusmodi res in corporalibus atque in sensibilibus, intelleguntur autem
præter sensibilia, ut eorum natura perspici et proprietas ualeat comprehendi,
quocirca cum genera et species cogitantur, tunc ex singulis in quibus sunt
eorum similitudo colligitur ut ex singulis hominibus inter se dissimilibus
humanitatis similitudo, quæ similitudo cogitata animo ueraciterque perspecta
fit species; quarum specierum rursus diuersarum similitudo considerata, quæ
nisi in ipsis speciebus aut in earum indiuiduis esse non potest, efficit genus,
itaque hæc sunt quidem in singularibus, cogitantur uero uniuersalia
nihilque aliud species esse putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum
dissimilium numero substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex
specierum similitudine, sed hæc similitudo cum in singularibus est, fit
sensibilis, cum in universalibus, fit intellegibilis, eodemque modo cum
sensibilis est, in singularibus permanet, cum intellegitur, fit
uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem præter
corpora, neque enim interclusum est ut duæ res eodem in subiecto sint ratione
diuersæ, ut linea curua atque caua, quæ 1 cõpositionem GHR
facit post hoc H 2 quia Gm1R quod
Sm2 3 id om. N, s. l. Em2H, post diuisionibus F
assumptionibus Em1Gm1P atque assumptionibus CL
post solus add. intellectus F, scil, intellectas s. l.
Lm2 6 corporibus FHN post sensibilibus add
. rebus CHLNP 8 ante genera add . et CFS ;
et species et genera R 11 post pr . similitudo add .
colligitur N, scil, colligitur s. l. Hm2Sm2 cognita
Cm1F cognita uel cogitata N 12 ueraciter Lm2N
perfecta Em1NP sit FN 13 in om. C 14 earum Pp.c. corr. m1? eorum cett . 17
substantiarum R 18 collecta cogitatio Cm1LP 22 autem tamen
R 23 eadem Em1Gm1Ha.c . eidem Gm2Lm1 fin eodem m2
PR e * dem sic S in ante subiecto s. l.,
post eodem er. uid. C, om. EGLPRS 24 sint om. L concaua
Cm2N cauata Lm1 res cum diuersis definitionibus
terminentur diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto
reperiuntur; eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et
speciebus, id est singularitati et uniuersalitati, unum quidem subiectum
est, sed alio modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur
in rebus his in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut
arbitror, quæstio dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem
alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed
sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet
ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et
species ceteraque non modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque præter
corpora subsistere putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia
atque universalia, sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare
sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiæ, idcirco uero
studiosius Aristotelis sententiam executi sumus, non quod eam maxime probaremus,
sed quod hic liber ad Prædicamenta conscriptus est, quorum Aristoteles
est auctor. Illud uero quemadmodum de his ac de propositis probabiliter antiqui
tractauerunt et horum maxime Peripatetici, tibi nunc temptabo monstrare.
Prætermissis his quæstionibus quas altiores esse prædixit, Porph.
Boeth. earum HPp.c.corr. m1? eorum cett. enim om. LP
quippe P, s. l. Lm2 concaua Cm2N eadcmque
FLRS 6 post singulare add . est R, s. l.
Sm2 9 post, alio alio modo LR post uero s.
l . præter corpora Pm2 11 subsistentia in ras. E
substantia GSm1 13 ante esse s. l . ea
E præter s. l. Cm2 15 ante sensibilibus add
. ipsis G 16 dixi Lp.c.Sa.c . 17 uero s. l. Cm2
20 auctor est CLP est om. G ante lemma
ISTORIA add. S, sic
uel HIST- ante omnia pæne lemmata uero autem Σ post, de om. E 22 probabiliter λογιχώτίρον Porph. 1, 15
tractauerint Cp c . GH X m1 23 monstrare demonstrare N temptabo FLN 24 ante
Prætermissis add . EXPOSITIO S, sic pæne ubique ante explicat,
lemmatum Missis Sm1 exoptat mediocrem introductorii
operis tractatum, sed ne hæc ipsa sibi harum quæstionum omissio uitio daretur,
apposuit quemadmodum de propositis tractaturus est, ex quorumque hoc opus
auctoritate subnixus adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem
tractatus promittit detracta obscuri tatis difficultate, animum lectoris inuitat,
ut uero adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, peripateticorum
auctoritate confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et speciebus,
de quibus superiores intulerat quæstiones, ac de propositis, id est de
differentiis, propriis atque accidentibus, sese probabiliter
disputaturum, probabiliter autem ait ‘ueri similiter’, quod Græci λογικώς uel Ινδόξως dicunt, sæpe enim et apud
Aristotelem λογικώς ueri similiter ac
probabiliter dictum inuenimus et apud BOEZIO et apud Alexandrum. Porphyrius
quoque ipse in multis hac significatione hoc usus est uerbo, quod nos
scilicet in translatione, quod ait λογικώς, ita interpretari ut
rationabiliter’diceremus omisimus, longe enim melior ac uerior significatio ea
uisa est, ut probabiliter sese dicere promitteret, id est non præter opinionem
ingredientium atque lectorum, quod introductionis est proprium, nam cum
ab imperitorum hominum mentibus doctrinæ secretum altioris abhorreat, talis
esse introductio debet, 57 ut præter opinionem ingredijentium non
sit. atque ideo melius hæc om. S harum que LS
horumque Gm1 quæstionum institutionum Gm1Lm1RS
omissi Em1 omisso Lm1Sm1 amissio F 3 est s. l.
Em2, esset Gm1 ex et FHN, s. l. om . ex Em2
quorum FHN 4 subnisus EGm1Sm1 aggreditur
EGLPRS 8 et ac R 10 de R, om. cett . 11 post ait
add . id est C 12 λογιχώς uel ένδόξως edd., ante λογιχώς add . uel CGLPR ; ΛΟΓ ΙΚΟΟ uel ΛΩΓΙ ΚΩΟ uel alia sim. codd
.; ΕΝ ΔΩ ΧΟΝ C, sim. Η endo ΧΩ Ο E ΕΝ ΑΟΓΩ Ο S, alia uarie cett . 13 et om. GR
est S λογιχώς S, in
cett. eadem fere quæ 12 14 Boethum b boetum p boethon
Em2GNS recte? boeton CEm1PR boethion
F bethon H boetoton Lm1 boeten m2 Boethum
-tium mrm uerbo usus est CEGLRS 17 λογιχώς item ut 13, λογικώτερον edd. se L *mitteret, s.
l . pro Cm2 23 ingredientium opinionem C non
ante præter CEG corr. m2 L atque ideo ergo
Gm1 atque ita m2 LPm1RS melius probabiliter quam
om. R, s. l. Gm2Sm2 probabiliter quam rationabiliter, ut
nobis uidetur, interpretati sumus, antiquos autem ait de eisdem disputasse
rebus, sed se eorum illum maxime tractatum insequi quem Peripatetici Aristotele
duce reliquerint, ut tota disputatio ad Prædicamenta conneniat.
2 eisdem E eis in ras
. hisdem cett. disputasse post rebus C, ante de
eisdem L, disputare N
se post illum add. brm, post
sed Brandt sequi CEm2HN reliquerint Gm1HPp.r . relinquerint FSm1P a.r .
relinquerent. R a. r.Sm2 reliquerunt CEGmSLNRp.r . EXPLICIT CΟΜMENTARIORV add . C, COMENTORVM add. F, COMTV
PLOLOGI, sic, add . S LIB. I. INCIPIT LIB. add. F II.INCIPIT. om. R CEFGPRS
uariis cum scripturis compendiisque, subscriptio deest in HLN Quæri
in expositionum principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis
ordine præponatur, uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei,
differentiæ, proprio accidentique prætulerit; de eo enim primitus
tractat, respondebimus itaque iure factum uideri; omne enim quod
uniuersale est, intra semet ipsum cetera concludit, ipsum uero non clauditur,
maioris itaque meriti est ac principalis naturæ quod ita cetera cohercet, ut
ipsum naturæ magnitudine nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species
intra se positas habet et earum differentias propriaque, nihilo minus
etiam accidentia, atque ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturæ suæ
magnitudine cohercet et continet, præterea illa semper priora putanda sunt quæ
si auferat quis, cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quæ
ceterorum substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris,
nam si animal auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est,
et rationale, quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum,
quod accidens, non manebit et 2 ante Quæri codd. et p exhibent idem
lemma sine inscript. quod 171,10 habent, om. brm expositione CGm1L
expositionis S principii CGm1L 3 dispositionis
N 5 prætulerat C tractat in ras ., s. l . scil,
conamur Em2 tractare Em1Sm1 6 respondemus F
8 cluditur i ex e m2 S naturæ naturæ suæ
F 10 igitur itaque C et om . CN 11 etiam
minus HS 12 etiam om. R etiam et C ita idcirco
CE in ras. HLm2NP ideo F inchoandum fuit erat
inchoandum FHNP 13 ante cetera add . et L natura
suæ magnitudinis FHN coerceat et contineat Lm2 14
priora propria LS aufert Ca.c . 19 ante
proprium add . est P, s. l. Lm2 post
grammaticum add . esse FHP, s. l. Em2 post accidens
add. est FP, ante N interemptum genus cuncta consumit,
si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel rationale uel risibile,
animal quoque esse necesse est. siue enim homo est, animal est, siue rationale,
siue risibile, siue grammaticum, ab animalis substantia non recedit,
sublato igitur genere et cetera consumuntur, positis ceteris sequitur genus;
prior est igitur natura generis, posterior ceterorum, iure est igitur in
disputatione præpositura. Sed quoniam generis nomen multa significat hoc
est enim quod ait : Videtur autem neque genus neque species simpliciter
dici; ubi enim non est simplex dictio, illic multiplex significatio est, prius
huius nominis significationes discernit ac separat, ut de qua significatione
generis tractaturus est, sub oculis ponat, sed cum neque genus neque
species neque differentia nec proprium nec accidens significatione
simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac specie, dixit non
simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens ipsa quoque sint
significatione multiplici? dicendum est quoniam longitudinem uitans tantum
speciem nomi nauit eamque idcirco, ne solum genus significationis esse
multiplicis putaretur, enumerat autem primam quidem generis significationem hoc
modo; Genus enim dicitur et aliquorum quodammodo se habentium ad
unum aliquid et ad seinuicem collectio, 10 s. Porph. Boeth. Porph. Boeth.
esse om. P 2 post grammaticum add . esse
FHP, s. l. Em2 3 esse post est Gm2L, om. EGmIRS, post esse
add . constituas EP, s. l. Lm2 alt . est sit FHNP 5 et
om. FHNR consummantur S 9 enim est L 10
ante Videtur add . INCIPIT Δ DE GENERE ΓΔΛΠ2Φ Incipit diffinicio
generis Ψ m. post., om. cett . autem om.
HN est significatio C tractatus R 14 est sit
P oculos HN neque genus om. C 15 pr .
nec FHP neque proprium neque N simplicia G
a add. m1 uel 2 LSm2 ac et C 17 non nec G 18 atque om.
C est om. G
solem Gm1 quidem om. C 24 ad et ad S
aliquod EN P IIS aliquem in ras . Cm2, fort .
aliquid m1 secundum quam significationem ROMANI dicitur genus
ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis habentium
aliquo modo ad inuicem eam quæ ab illo est cognationem secundum diuisionem ab
aliis generibus dictæ. Una, inquit, generis significatio est quæ in
multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens, ad quem scilicet ita illa
multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem unius principium copulata
sit, ut cum ROMANI dicitur genus; multitudo enim ROMANI ab uno ROMOLO
uocabulum trahens et ipsi ROMOLO et ad se inuicem quasi quadam nominis
hereditate coniuncta est. eadem enim quæ a ROMOLO societas descendit, ROMANI
inter se omnes uno generis nomine deuincit et colligat, uidetur autem secuisse
hanc generis significationem in duas partes, cum copulatiuam
coniunctionem admiscuit dicens; genus dicitur et aliquorum quodammodo se
habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio, tamquam et illud genus
dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus genus dicatur, quod ad se
inuicem unius generis significatione coniuncti sint. hoc uero minime;
eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum qui princeps est
generis, totam multitudinem refert et ipsam 1 significationem diffinitionem
Φ romanura Cm1G scilicet om. Porph. ante
inuicem add . se L s. l. m2 brm Busse; cf. 173,
12 4 eam quæ eamque CR 5 dictæ Hm1Lm2R \ m2 W dictam cett.; cf.
173, 14 et Porph. 1, τού πλήθοος_ κεκλιμένοι» 7 uno om. FGRS, s. l. Em2, unum H;
cf. 21 ad quem s. l . ał quod Lm2 8 est coniuncta
F 9 dicitur Romanorum in mg. E,
s. l. Gm2, uerba multitudo enim Romanorum del. Lm2 11
post trahens add . sit E del. G del. m2, s. l. Lm2 12
ea E ras. ex eadem FHN
ab CEH 14 colligit CFPm2RS alligat L 16
genus om . H, s. l. N dicitur edd., om. H dici cett. s. l.
N 17 ad et ad S aliquod N collectionem
FH aliquo modo om. EGRS
rursus post genus C rursum S dicatur
generis om. GRSm1 dicatur unius generis s. l. m2 coniunctiua EGR coniuncta
Sm2 sint NS sunt CFHLP,
om. EGR post minime add . est LPm2 22 refert multitudinem
om. EGSm1, s. l. m2 sed præfert inter se multitudinem uno
generis nomine conectit et continet. quocirca non est putandus diuisionem
fecisse, sed omne quicquid in hac generis significatione intellegendum fuit,
aperuisse. ordo autem uerborum ita sese habet qui est
hyperbaton intellegendus genus enim dicitur et aliquorum ad unum se
aliquo modo habentium collectio et ad se inuicem aliquo modo habentium rursus
collectio subaudienda; est enim zeugma, cuius significationis adiecit exemplum:
secundum quam significationem Romanorum dicitur genus ab unius scilicet
habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis rursus habitudine habentium
aliquo modo ad inuicem cognationem, eam scilicet quæ ab illo est, id est ROMOLO,
secundum divisionem ab aliis generibus dictæ, scilicet multitudinis. hæc enim
multitudo aliquo modo ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut
ab aliis discerneretur, ut ROMANI genus ab Atheniensium ceterorumque separatur,
ut sit integer uerborum ordo genus enim dicitur et aliquorum collectio ad unum
se quodammodo habentium et ad se inuicem, secundum quam significationem ROMANI
dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis
secundum diuisionem ab aliis generibus dictæ, habentium scilicet hominum aliquo
modo ad inuicem eam quæ ab illo est, id est Romulo, cognatio 1 nomine EGLRS uinculo CFHN nomine uel
uinculo P 4 se FHNP qui om. ER, s. l. Gm2Sm2 pr .
sese L 7 ante collectio s. l . et ut uid . C subaudiendo N,
post sub. add . est LR, ante s. l. Pm2 8 zeuma
EFGHPS 14 dictam EGm1Lm1PSm2 hæc enim multitudo
om. ERS, s. l. Gm2 aliquo modo om . FP, ante add .
et C, post add . se P del. m1?, s. l. Gm2H 15
post unum s. l . aliquid Gm2 post habens add .
cognationem Pm2 edd. separetur Fa.c.N separaretur
CFp.c.HLm1 sit sic H sit post uerborum,
P sit post ordo, sic sit F ; integer sit C ; ordo
uerborum, post repet . sit N 18 collectio om. E
20 ab ad F habitudinem F, post repetit uerba post .
aliquo exemplum 6 8 G 22 dictam
CEGm1Lm1Sm2 post habentium add . se Lm2P 23 id
est om. S, in quo post cognationem locus 172, 4 13 secundum deuincit
et collegit sic repetitus 5 dicta est, 12 ea
script. nem.’ Atque hæc hactenus; nunc de secunda generis
significatione dicendum est. Dicitur autem et aliter rursus genus,
quod est unius cuiusque generationis principium uel ab eo qui genuit uel a loco
in quo quis genitus est. sic enim Orestem quidem dicimus a Tantalo habere
genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus Pindarum quidem Thebanum esse genere,
Platonem uero Atheniensem; etenim patria principium est unius cuiusque
generationis, quemadmodum et pater. hæc autem uidetur promptissima esse
significatio; ROMANI enim sunt qui ex genere descendunt ROMOLO, et Cecropidæ,
qui a Cecrope, et horum proximi. Quattuor omnino sunt principia quæ unum
quodque principaliter efficiunt. est enim una causa quæ effectiua
dicitur, uelut pater filii, est alia quæ materialis, uelut lapides domus,
tertia forma, uelut hominis rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnæ
uictoria. duæ uero sunt quæ per accidens unius Porph. Boeth.
generationis om . A, in ras. C quæ Gm1 ll
m1 5 a loco ab eo loco CEGLRS; Porph. 2, 1 άπ6 τού τόποα sic ex si Cm2 enim
in ras. Cm2 6 oresthē C oresten LN ΣΝΑΣΦ horestem FH T dicemus S genus
habere F 7 Hyllum Gm1
yllum m2 illum ad quod
s. l . tantalum A m2 cett . autem om. G 8
ante Thebanum add . dicimus 2 9 principium Porph. 2,4 αρχή τις ; cf. infra 178, 17
10 et Ν Ψ er. uid. brm, s. l
. Δ, om. cett. Busse; Porph. 2, 5 καί om. codd. quidam habet M ; cf. 176,
1 11 esse om. H
sunt om. EFGΗΝS ΑΑΣ, s. l. Lm2, in
mg . U m2 dicuntur edd.; Porph. 2, 6 λέγονται ; cf. 176, 7 12 cecropides Σ 13 a Cecrope cecropis Ea.c . a cecropis p.c . G cæ m1 ci m2
R ex genere descendunt cecropis LS ΑΑΣ, s. l. Em2
om . cecropis, fort. ex 176, 8 ; Porph. Κ εκροπίδαι ol άπό Κέκροπος eorum HL A,
in ras . 2 14 efficiunt principaliter H 16 filii et
filius Em1FGLPRS post materialis add . dicitur
FPR 17 ante forma add. a R, s. l. Sm2, ras.
in E uelut i er . C quam NS, om. R, quæ cett., fort. recte
ob rem s. l. Rm2 18 pugnæ uictoria N pugna uictoriæ cett . duo
CNP accidentes Ea.c.GHm1
in mg . ał accidentialiter m2 Lm1RSm2
accidentis m1 cuiusque dicuntur esse principia, locus scilicet ac
tempus. quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore est,
quicquid loco uel tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus
accidenter dicitur habere principium. horum omnium in hac secunda generis
significatione duo quædam ex alterutris assumit, quæ ad significationem generis
uidebuntur accommoda, ex his quidem quæ principalia sunt, effectiuum, ex his
uero quæ accidentia, locum. ait enim genus dicitur et a quo quis genitus
est, quod est effectiua principalium causa, et in quo quis loco est procreatus,
quæ est accidens causa principii. itaque hæc secunda significatio duo continet,
eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis editus, ut exempla quoque
demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus ducere; Tantalus quippe
Pelopem, Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem, Agamemnon genuit Orestem.
itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero Pindarum dicimus esse
Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis nomen accepit. sed
quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est, locusque in quo quis
editus, uidetur diuersa esse generis significatio procreantis et loci,
quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed ne uideretur duplex,
per similitudinem coniunxit dicens: etenim patria principium est unius cuiusque
generationis, uel in ras. E et C quicquid ex
quo quid Cm2, ante add . et F, post add . enim L accidentaliter CLN
accidentialiter EGPSm2; cf. indicem Meiseri ex alterutris duo quædam
FP consumit S sunt Cm1H sumit Cm2, s.
l.N generis significationem H uidebantur LPRS
uideantur EG accommodata R post quidem add .
causis codd., om. unus F, del. Hm2 ante effectiuum add .
sumit H accidentalia N dici CFNP et om. C,
s. l. Lm2 quisque CGRS 10 loco procreatus est L
procreatus est loco N quod GKS 13 editus editus
est FHNP post quoque add . ipsa FHP, s. l. Lm2
oresten LN, item 16 14 pelopen E 15
agamemnonen EG -men 17 quoniam quia FHN ante
Thebis s. l. a Hm2? 18 editus editus est CL accipit C
est om. G 19 pr. quisque R editus editus
est NP est s. l. m2
22 post uideretur add . tamen EP, s. l.
Lm2 adiunxit FN 23 patria s. l. Cm2, in mg. F
generati Em1 generis RSm1 quemadmodum et pater. sed quoniam
in significationibus euenit fere, ut sit aliquid quod intellectui significatæ
rei propinquius esse uideatur, quoniam duas generis apposuit significationes,
multitudinis scilicet et procreantis, cui generis nomen conuenientius aptetur,
iudicat atque discernit dicens hanc esse promptissimam generis
significationem quæ a procreante deducta sit; hi enim maxime Cecropidæ sunt qui
a Cecrope descendunt, hi ROMANI, qui a ROMOLO quæ cum ita sint, confundi rursus
generis significationes uidentur. si enim hi sunt maxime Romani qui a Romulo
originem trahunt, et hæc significatio illa est quæ a procreante deducitur,
ubi est reliqua, quam primam quoque enumerauit, quæ est multitudinis ad unum et
ad se inuicem quodammodo se habentium collectio? sed acutius intuentibus plurimæ
admodum differentiæ sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante
genus ducere, aliud unum genus esse plurimorum. illud enim et per rectam
sanguinis lineam fieri potest et non in multa diffundi, ut si per unicos
familia descendat, huic enim aptabitur secunda illa generis significatio, quæ a
procreante deducitur; prima uero illa non nisi in multitudine consistit. illud
quoque est, quod prima procreationis principium non requirit, sed, ut
ipse ait, sufficit aliquo modo se habere ad id unde huiusmodi generis
principium sumitur, secunda uero significatio nullam uim nisi procreante
sortitur. item in illa PRIMÆ SIGNIFICATIONIS multitudine huius secundæ
particularitas continetur, ut in 2 fere sæpe C ante
euenit LNPm2S intellectu
G significandæ FRSm2 propinquis F propinquus
Gm1PR propinquum N quoniamque Em2HLm2P, post
quoniam add. qui Sm1, del. m2 generi EGH s
er . 6 esse om. G 7 ducta R cecropides R 8
Cecrope cecropede FR -ide post Romulo add .
descendunt N 9 significationes generis C 11
ducitur Lm1 15 est s. l. F, post enim CL
enim om. N aliquolibet om . a G 16 deducere
CLm1 et om. N 18 si s. l. Lm2, del. Sm2 per descendat puer
unicus familiam distendat Cm1FHN aptatur N 21 est est
intellegendum C primæ Hm2 24 <a> procreante
Engelbrecht prima EGHLm1RS Romanorum genere Scipiadarum
genus; nam cum sint ROMANI, Scipiadæ sunt. quoniam enim ad ROMOLO et ad ceteros
ROMANI secundum ROMOLO habitudinem iuncti sunt, ROMANI sunt, SCIPIADÆ uero
dicuntur ad secundam generis significa tionem, quia eorum familiæ SCIPIONE et
sanguinis principium fuit. Et prius quidem appellatum est genus
unius cuiusque generationis principium, dehinc etiam multitudo eorum qui sunt
ab uno principio, ut a ROMOLO; namque diuidentes et ab aliis separantes
dicebamus omnem illam collectionem esse ROMANI genus. Sensus facilis et
expeditus, si tamen ambiguitas una solvatur. cum enim prius multitudinis
significationem retulerit ad generis nomen, post autem ad procreationis
initium, nunc contrario modo illam prius a se enumeratam significationem
dicere uidetur quæ est procreationis, illam uero posteriorem quæ est
multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem superius digestæ
disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de humani consuetudine
sermonis, in quo prius eam significationem generis fuisse dicit quæ a
procreante sit tracta, accedente uero ætate loquendi usu nomen generis etiam ad
multitudinem habentem se quodammodo ad aliquem fuisse translatum, hoc uero
idcirco, quoniam Porph. Boeth. nam natura CFL 2 scipiades HNP ante pr.
ad add . et FHNP, s. l. Em2Lm2 post, ad om. L 4
scipiades N 5 quia quod E et om. NP, s. l.
Cm2 8 generationis in ras. Cm2 generis PR 9
namque sic etiam B Bussii om. ΛΦ, add. Hm2 \ m2 nam 2 quam edd. Busse;
Porph. 2, 8 το πλήθ-ος δ 10 post
aliis add . generibus F, s. l. Lm2 11 collationem
Λ collectionem post esse HP ;
romanorum esse collectionem F 12 post facilis s.
l . est Lm2Pm2 facile om .
et FN expeditur FNPa.c . 13 retulerat F
retulit R 14 post, ad om. FHNR, s. l. Sm2 post
nunc s. l . autem Lm2 15 prius posterius CLm2NP
numeratam N 16 post uidetur add . priorem
CGLNP 18 perspexerit C 21 loquendique CN et
s. l. m1? loquendi H 23 ante hoc s. l .
dicit Lm1?, post idcirco in mg . dixit Pm2
superius dixerat : hæc enim uidetur promptissima esse significatio, ut ab
hac, id est secunda, quam promptissimam significationem esse dixit, illa quoque
nuncupata uideretur, quæ est multitudinis. prius enim genus inter homines
appellatum est quod quis a generante deduceret, post autem factum est, ut
per loquendi usum etiam multitudinis ad aliquem quodammo|do se habentis
genus diceretur propter diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis
societatisque discretio. His igitur expletis uenit ad tertium genus quod
inter FILOSOFI tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus usus
est. horum quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium, tertium
uero genus apud philosophos consideratur. de quo hoc modo loquitur. Aliter
autem rursus genus dicitur cui supponitur species, ad horum fortasse
similitudinem dictum. et enim principium quoddam est huiusmodi genus earum quæ
sub ipso sunt specierum, uidetur etiam multitudinem continere omnem quæ sub eo
est. Duplicem significationem generis supra posuit, nunc tertiam monstrare
contendit, hanc autem ad superiorum similitudinem 1 superius 174, 10. 14 18
Porph. 2, 10 13 Boeth. 26, 19 23. 1 enim autem 174, 10 2
secundum GR a s. l. secunda E 5 quis
Cm2 prius m1 7 duceretur Cm1 diuisiones
EFHLm2NP 8 esset est s. l. et E has
FH 9 expeditis N ad om. F 10 cuius CF
multus post usus Lm1R, multum G 11 poesi
Cm1 13 hoc 2 litt. er. C 14 genus
ante rursus Λ, post dicitur
Φ cui genus 16 om. N, quod indicatur
uoce usque addita dicitur usque earum; sic sæpe etiam usque ad pæne
constanter in N aliisque codd. ubi mediæ lemmatum partes omissæ sunt 15
ab.. similitudine GL \ m2 \Z 16
eorum A m2 A earum specierum Porph. 2, 12 τών δφ’ lauto
17 ipso om . h m1 se m2Lp.c. \HA> sunt
add. Gm2 \ m2 uideturque brm Busse; Porph . xai SoxeT
xai etiam enim F autem Δ 18 omnem 2
h m1 ß m1 omnium CEGLPRS h
m2 U m2 earum FHN, s. l. post omnium Lm2 sub eo est PA m1 AU m1 ST est Φ sub eo
ipso F \ m2 se Lm2
sunt est E, s. l. G
specierum EFGHLNPp.c . sunt eo sub a.c . RS \ m2 U
m2 sunt sub eo specierum C; cf. Porph. 2,12 s . 19 proposuit
edd . 20 superiorem FLm1Pm1 dictam esse arbitratur. superius
autem dictæ significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam principii
antiquitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum genus ab uno
quoque procreante duceretur, quod eorum quæ procreantur principium est.
cum igitur sint superius duæ generis propositæ significationes, tertium nunc
addit de quo inter philosophos sermo est, illud scilicet cui supponitur
species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis credit ambiguo, quoniam
habet aliquam similitudinem superiorum. nam sicut illud genus quod ad
multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita etiam genus
plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod secundum
procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quæ ab ipso procreantur,
ita genus speciebus suis est principium. ergo quoniam utrisque est simile,
idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a superioribus
mutuatum esse ueri simile est. Tripliciter igitur cum genus
dicatur, de tertio apud philosophos sermo est; quod etiam describentes
adsiPorph. Boeth. dictam esse arbitratur ut dictum est GRS
autem om. C, s. l. Lm2, del. Pm2 dictæ duæ Lm1, ante
sunt s. l . dictæ m2, duæ ex dictæ H ras. Sm2, ante dictæ
s. l. Pm2, ante sunt edd., post R 2 quidem om. C
cum in mg. Cm2 quæ m1N quadam om. EFG
quandam H qua RSm1 antiquitatem H 3 ad se
iunctam CLm2 ad se et
adiunctam HN ad se iniunctam Sm1 ab uno quoque
iniunctam R adiunctam cett.; cf. 177, 2 continet
Cm1 corr. in mg. m2 Nm2 aliam G 4 deduceretur E 5
qui P 6 tertiam et qua F 7 post
scilicet add . genus F, s. l. Sm2 8 ante
opinionis add . suæ N, post CHLP, s. l. Em1?, in mg. Sm2 se m1 9 creditur
Ca.r.FR a multitudine Ep.c.FHN
11 suo sub C nomine sub uno FHNPm2, ex suo
EL ita in mg. Cm2, s. l. Nm2 13 est esse EGLm2RS
14 post suis add . constat FHN, post genus s. l.
Em2 est CLm1P esse
cett . 15 idcirco id C nomen post generis FHNP,
post quoque L 16 in hac etiam FHN hanc
significationem CP 18 cum genus sit 180, 2 om. N
dicitur S A m1 /AS 19 etiam etiam et R gnauerunt
genus esse dicentes quod de pluribus et differentibus specie in eo quod quid
sit prædicatur, ut animal. Iure tertium genus philosophi ad disputationem
sumunt; hoc enim solum est quod substantiam monstrat, cetera uero aut
unde quid existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam quasi populi
formam diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet genus, illius
multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum uno nomine
collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segregetur. item illud
quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatæ substantiam monstrat,
sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at uero genus id cui
supponitur species, ad speciem accommodatum speciei substantiam informat. et
quia inter philosophos hæc maxima est quæstio, quid unum quodque sit tunc
enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit agnoscimus , id circo reiectis ceteris de hoc genere quam
maxime apud philosophos sermo est, quod etiam describentes adsignauerunt ea
descriptione quam subter annexuit. diligenter uero ait describentes, non
definientes; definitio enim fit ex genere, genus autem aliud genus habere non
poterit. idque obscurius est quam ut primo aditu dictum pateat. fieri autem
potest ut res quæ esse ante genus Pm1, post
dicentes Σ et om. F differentiis R
quid iterum quod P prædicetur
Γ 3 ut animal om . ΑΣ 5 est solum enim CN enim est
solum FP existit E it in ras . GLPS
existet Sm1 extitit HN <multitudo> a
Brandt 7 una... forma EGRS diuidantur G
ostendit EGLPm1S 8 multitudinis multitudinem G 12
procreantis Nm1 13 atque G 14 ad speciem om.
N ad differentiam Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quæstio est FHN
16 unum om. EGRS enim etenim FN quodque unum
G uidemur debemus E in ras.
GPm1RS, post uidemur add . uel debemus Hm1 del.
m2 post reiectis add . quia non demonstrant substantiam
L temptatis temporum Sm1, del. m2 19 post quod
add . genus EPm1, del. m2
ait ex aut Em1 addit m2NP
addidit F 21 ex de H 23 dictum om. FH dictu
GLS autem enim FNP alii genus sit, alii generi
supponatur, non quasi genus, sed tamquam species sub alio collocata. unde non
in eo quod genus est, supponi alicui potest, sed cum supponitur, ilico species
fit. quæ cum ita sint, ostenditur genus ipsum in eo quod genus est, genus
habere non posse. si igitur uoluisset genus definitione concludere, nullo modo
potuisset; genus enim aliud quod ei posset præponere, non haberet, atque
idcirco descriptionem ait esse factam, non definitionem. descriptio uero est,
ut in priore uolumine dictum est, ex proprietatibus infor matio quædam rei et
tamquam coloribus quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita
ut omnia simul rei cui applicantur æquentur, nisi ex genere uel
differentiis hæc collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio
generis hæc : genus est quod de pluribus et differen tibus specie in eo quod
quid sit prædicatur. tria hæc requiruntur in genere, ut de pluribus prædicetur,
ut de specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re quoniam ipse
posterius latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam significemus
exemplo. sit enim nobis in forma generis animal. id de aliquibus sine
dubio prædicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed hæc plura sunt.
animal igitur de pluribus prædicatur, homo uero, equus atque bos talia sunt, ut
a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie, id est tota forma
suæ substantiæ. de quibus dicitur animal; homo enim et equus et bos
animalia nuncupantur. prædicatur ergo animal de pluribus specie differentibus.
sed quonam modo fit 9 in priore uolumine cf. 42, 8 43, 6 potius quam 153,
10 ss.; cf. Proleg. adn. 7. 1 genere G post
supponatur add . sed cum alii add. P subponitur
uel sup- CFHN, s. l. Pm2 non potest 3 del. E 2 collocatur
CFHNPm2 non enim EF 7 ei eius HN aliud quod HNPm1RS possit
EGS priori LN ex om. GHS, s. l. Em2Lm2 11
plurima L plura post unum C 16 post .
ut om. FG late E in ras. FHP, ecte ? 19 exemplo hoc
modo CLP 20 prædicetur CEGPm1RS ante equo add .
et FHLN, er. P 21 boue et boue L et er. uid.
C 22 a ad Lm1S 23 mediocri re mediocritate H 24 forma
tota E del. tota G 26 fit om. G hæc prædicatio?
non enim quicquid interrogaueris, mox animal respondetur: non enim si quantus
sit homo interrogaueris, animal respondebitur, ut opinor; hoc enim ad
quantitatem pertinet, non ad substantiam. item si qualis interroges, ne huic
quidem responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus interrogationibus hanc
animalis responsionem ineptam atque inutilem semper esse reperies, nisi ei tantum
apta est quæ quid sit interroget. interrogantibus enim nobis quid sit homo,
quid sit equus, quid sit bos, animalia respondebitur. ita nomen animalis ad
interrogationem quid sit de homine, equo atque boue ac de ceteris prædicatur,
unde fit ut animal prædicetur de pluribus specie differentibus in eo quod quid
sit. et quoniam generis hæc definitio est, animal hominis, equi, bouis genus
esse necesse est. omne autem genus aliud est quod in semet ipso atque in re
intellegitur, aliud quod alterius præ dicatione. sua enim proprietas ipsum esse
constituit, ad alterum relatio genus facit, ut ipsum animal, si eius
substantiam quæras, dicam substantiam esse animatam atque sensibilem. hæc
igitur definitio rem monstrat per se sicut est, non tamquam referatur ad aliud.
at uero cum dicimus animal genus esse, non, ut arbitror, tunc de re ipsa
hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest animal ad ceterorum quæ sibi
subiecta non num FHN rogaueris Cm1GS 3 ante
animal add . mox F respondetur F ut non FHN
4 post qualis add . sit FHNP, s. l. Em2, s. l. homo
sit Lm2 interroges Em1Lm1P
roges cett . nec CG hæc CSm2 id m1
hic FN 5 interrogantibus EG 6 ineptam CFHNPp.c.Lm2 idiotam E s. l. i .
inertem m2 GLm1 s. l. inpropriam m1? Pa.c.S Hilgard
idiotam uel ineptam R idiotæ Engelbrecht 7 nisi ni
C interrogat Em2HN enim autem F post . quid quidque
R sit om. E animal C item EGLm1PRS 11
ac et R ante bouis add . atque FHNP 14 genus
autem C ante alterius add . ad CEm2HN prædicationem
Em1PSm1 edd., post add . refertur Pm2 edd . 18 dicas Lm2 21
esse om. EGRS, s. l.
Lm2 re om. EGR, s. l. Sm2 post hoc add . nomen C,
s. l . Em2Pm2, ante FHNS de del. L, s. l. Pm2 22
relatione in ras . E ratione GLPm1R sunt prædicationem
referri. itaque character est quidam ac forma generis in eo quod referri prædicatione
ad eas res potest, quæ cum sint plures et specie differentes, in earum tamen
substantia prædicatur. Huius autem definitionis rationem per exempla subiecit dicens: Eorum
enim quæ prædicantur, alia quidem de uno dicuntur solo, sicut indiuidua ut
Socrates et hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum genera et
species et differentiæ et propria et accidentia communiter, sed non proprie
alicui. est autem genus quidem ut animal, species uero ut homo, differentia
autem ut rationale, proprium ut risibile, accidens ut album, nigrum,
sedere. Omnium quæ prædicantur quolibet modo, facit Porphyrius diuisionem
idcirco, ut ab reliquis omnibus prædicationem generis seiungat ac separet, hoc
modo. omnium, inquit, quæ prædicantur, alia de singularitate, alia de
pluralitate dicuntur. 7 14 Porph. 2, 17 22 Boeth. 27, 2 7.
1 post itaque add . ut P, s. l. Lm2 est om.
R, post generis F quiddam Ea.r.G quidem
CNPm1 2 prædicatione post res C 3 eorum
CGNS, m1 in ELP 4 tantum E substantiam NR, -a
ex -a CS; cf. 187, 11. 18 5 autem om. C, in mg.
Lm2 8 indiuiduum C indibus
s. l . indiuidua Em2 diabus
a, ex e E EG ut Socrates hoc om. CLNP, risibile 13 om. E in
mg . sicut socrates et hic et hoc GH ut sicut Em2 in mg. RS ΑΣ et hic et hec et hoc F 9 uero
om. CFLNPR autem Σ quemadmodum risibile
13 om. CL sed uerba est
autem 11 sedere 14 exhibet
184, 14 NP ut genera, om. reliqua usque accidens 13
F 10 differentia Sm1 m1 proprium Γ 11 sed et ΛΣ proprie L
184, 14 R Ψ propria ΓΑΑΠ ras.
ex -æ 2 a in ras . Φ post
alicui; Porph. 2, 20 ιδίως est risibile om. R est sedere 14
om. S 12 uero s. l . Δ m2 Φ m2 ante accidens add . ut
CL ut id est CLm2P uel E et R; Porph.
2,22 otov 14 ante nigrum add.
et R 16 a LPS 17 post separet add .
et F id facit FHN, s. l. Em2 18 pr . alia alia
quidem FHN alia de singularitate om. G, s. l. Em2, post
pluralitate CLm1 post . alia alia uero FHNS dicuntur prædicantur
post singularitate FHN de singularitate uero, inquit, prædicantur
quæcumque unum quodlibet habent subiectum de quo dici possint, ut ea quibus
singula subiecta sunt indiuidua, ut Socrates, Plato, ut hoc album quod in hac
proposita niue est, ut hoc scamnum in quo nunc sedemus, non omne scamnum – hoc
enim uniuersale est , sed hoc quod
nunc suppositum est, nec album quod in niue est uniuersale est enim album et
nix , sed hoc album quod in hac niue
nunc esse conspicitur; hoc enim non potest de quolibet alio albo PREDICARE quod
in hac niue est, quia ad singularitatem deductum est atque ad indiuiduam
formam constrictum est indiuidui participatione. alia uero sunt quæ de pluribus
PREDICARE, ut genera, species, differentiæ et propria et accidentia
communiter, sed non proprie alicui. genera quidem de pluribus prædicantur
speciebus suis, species uero de pluribus prædicantur indiuiduis; homo
enim, quod est animalis species, plures sub se homines habet de quibus
appellari possit. item equus, qui sub animali est loco speciei, plurimos habet
indiuiduos equos de quibus prædicetur. differentia uero ipsa quoque de pluribus
speciebus dici potest, ut rationale de homine ac de deo corporibusque cælestibus,
quæ, sicut Platoni placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item etsi
de una specie PREDICARE, de multis tamen indiuiduis dicitur, quæ sub
conuenienti specie collocantur, ut risibile de Platone, Socrate et ceteris
indiuiduis quæ homini supponuntur. accidens etiam 1 uero om.
FHN 2 possunt CLm1 3 ante Plato add . ut
FH, s. l. Lm2 et N edd . 4 quod ut F ut et
N 6 sed sed et F 7 niui Gm2Sm1 enim est FL
8 niui Sm1, item 9 9 hac alia EFGR a.c.ut uid. ac
p.c. Sm1 post, ad om. GHLR, s. l. Em2Nm2, in FSm2 14
propriæ FGa.c.Sm1 propria CHLN post alicui uerba
lemmatis 183, 11 14 est autem sedere add. L 15 plurimis
FN post indiuiduis add . suis CFHP 17 qui quod
FHN 19 prædicatur FHN potest dici E 21 quæ
om. R, s. l. Sm2
q. er. N item autem Lm2P specie om. C 23
tamen ante de H post indiuiduis add .
dicitur CLP, s. l. Hm2 hominibus EG homini *
b. ? er. L supponantur Em1GS supponuntur ante
homini C de multis dicitur; album enim et nigrum de multis
omnino dici potest quæ a se genere specieque seiuncta sunt. sedere etiam de
multis dicitur; homo enim sedet, simia sedet, aues quoque, quorum species longe
diuersæ sunt. accidens autem quoniam communiter accidens esse potest et
proprie alicui, idcirco determinauit dicens et accidentia communiter, sed non
proprie alicui. quæ enim proprie alicui accidunt, indiuidua fiunt et de uno
tantum valentia PREDICARE, ea quæ communiter accipiuntur, de pluribus dici
queunt. ut enim de niue dictum est, illud album quod in hac subiecta niue
est, non est communiter accidens, sed proprie huic niui quæ oculis
ostensionique subiecta est. itaque ex eo quod communiter prædicari poterat de
multis enim album dici potest, ut albus homo, albus equus, alba nix , factum est, ut de una tantum niue PREDICARE
illud album possit cuius participatione ipsum quoque factum est singulare.
omnino autem omnia genera uel species uel differentiæ uel propria uel
accidentia, si per semet ipsa speculemur in eo quod genera uel species uel
differentiæ uel propria uel accidentia sunt, manifestum est quoniam de pluribus
PREDICARE. at si ea in his speculemur in quibus sunt, ut secundum subiecta
eorum formam et substantiam metiamur, euenit ut ex pluralitate prædicationis ad
singularitatem uideantur adduci. animal enim, 3 enim om. C et s. l. m2
enim L sedit CN simia post sedet FH et simia
R aues auis N set et aues F sedet auis
H 4 quoque om. FN, uero L quarum Lm1 post
sunt s. l . sedent Pm2 scil, sedent Sm2 5
ante communiter add . et FHN, s. l. Em2Pm2 7
propria HN pr . alicui om. GLR quæ s. l. Sm2
cum E s. l. m2FH enim proprie s. l. Em2Sm2
propria N accidunt alicui E ea quæ et quæ E ea
quidem quæ N eademque cum P et cum F
cum H 9 queunt om. Em1G, s. l. Sm2 possunt E m2
Pm1 potest m2 R niui Sm1 niue est
subiecta HL niui Sm1 nunc G 12
ostensione GRS ita q. er
. C ita quoque Sm2, ad itaque s. l . quoque
Hm2 15 niui GSm1 17 differentias CE s in er
. e? GL 20 quoniam quod G 21 ut et FN
subiectam CEGH a.r.Lm1PSm2 22 substantiamque om . et FHNP metiantur
E mentiamur Ca.r.Sa.c . eueniet HN pluritate
Gm1P quod genus est, de pluribus prædicatur, sed cum hoc animal in
Socrate consideramus Socrates enim animal est , ipsum animal fit indiuiduum, quoniam
Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus
prædicatur, sed si illam humanitatem quæ in Socrate est
indiuiduo consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus
est ac singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed
in Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus prædicetur,
in Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de
pluribus dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est.
Fieri autem potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quæ dicuntur, alia quidem
ad singularitatem prædicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quæ de pluribus
PREDICARE, alia secundum substantiam PREDICARE, alia secundum accidens. eorum
quæ secundum substantiam prædicantur, alia in eo quod quid sit dicuntur, alia
in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac species, in eo quod
quale sit, differentia. item eorum quæ in eo quod quid sit PREDICARE, alia de
speciebus PREDICARE pluribus, alia minime; de speciebus pluribus prædicantur
genera, de nullis uero species. eorum autem quæ secundum accidens prædicantur,
alia quidem sunt quæ de pluribus prædicantur, ut accidentia, 1
plurimis R 5 si s. l. Lm2Sm2 quæ et
est om. F est indiuidua in mg. Cm2 7 est
post singularis E 9 hominibus om. FN prædicatur
CEGL ante hominibus Pm1RS dici possit N in Socrate om.
ER unica Em1GS unicam Lm1 unita R 10
cum s. l. Em2Sm2 11 possit dici E singulari singulari
corpore CFHN perspectum CE in ras.
FH, m2 in LPS
perspecta Lm1 a.c . perfecta m1p.c . R perfectam
Pm1Sm1 profecto alt . o in
ras . N profecto perfecta G indiuidua EGLm1RS
12 ante eorum add . ut GRS, del. EL 13 dicuntur prædicantur
Pm2 prædicantur dicuntur L
ex dicantur m2 P 14 plurimis R prædicantur
dicuntur N 17 pr . quod differentia 19 in ras. Em2 post, in eo differentia 19 om. GR 19 iterum
FN 20 pluribus plurimis H prædicantur
FHN 21 post speciebus add . quidem FHNP
pluribus om. GRS, s. l. Lm2, post prædicantur Em1Fm1 23
post pluribus add . speciebus CFHN, s. l. Em2
alia quæ de uno tantum, ut propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi
diuisio. eorum quæ PREDICARE, alia de singulis PREDICARE, alia de pluribus.
eorum quæ de pluribus, alia in eo quod quid sit, alia in eo quod quale
sit prædicantur. eorum quæ in eo quod quid sit, alia de differentibus
specie dicuntur, ut genera, alia minime, ut species, eorum autem quæ in eo quod
quale sit de pluribus prædicantur, alia quidem de differentibus specie PREDICARE,
ut differentiæ et accidentia, alia de una tantum specie, ut propria.
eorum uero quæ de differentibus specie in eo quod quale sit prædicantur, alia
quidem in substantia PREDICARE, ut differentiæ, alia in communiter
euenientibus, ut accidentia. et per hanc divisionem quinque harum rerum
definitiones colligi possunt hoc modo. genus est quod de pluribus specie differentibus
in eo quod quid sit prædicatur. species est quod de pluribus minime specie
differentibus in eo quod quid sit prædicatur. differentia est quod de pluribus
specie differentibus in eo quod quale sit in substantia PREDICARE. proprium est
quod de una tantum specie in eo quod quale sit non in sub stantia prædicatur.
accidens est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit non in
substantia prædicatur. 1 quæ om. FN una C s. l. add .
specie FHN possit FRS
potest N 2 etiam om. LP 4 post pr . sit add . prædicantur
CFHNP, s.l. Lm2 6 specie speciebus Ea.r.FLNPS 7 autem
in mg. E, s. l. Lm2 9 accidentia et
differentiæ C post accidentia add . communiter
Pm2 edd . 10 uero om. GRS, in mg. Em2Lm2 quæ in
mg. Em2 de differentibus specie om. GLRS, in mg . de specie
differentibus Em2 de om . C 11 substantiam RSa.r .
conuenientibus Pm2 13 definitiones diuisiones FHm1 14
specie differentibus hic F, post quid sit 15 cett.; cf. proxima et
193, 1 15 est autem E substantiam R proprium prædicatur
20 om. GR, in mg. Em2 proprium uero s. l. add. Lm2 est quod de pluribus minime specie
differentibus in eo quod quale ait sit s. l. Lm2 non in substantia prædicatur LPm2
non in substantiam prædicatur Sm1, del. m2, in sump. g . ante non inserenda hæc
proprium est quod de pluribus specie minime differentibus, deinde pauca
uerba, quorum extremum <prædi>cat<ur>, cum mg. abscisa,
sequuntur uerba accidens est
prædicatur, m2 ante specie add . et CE
del. GLP Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet
ipsis separaremus, Porphyrio vero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a
semet ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et
proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quæ PREDICARE aut in ea quæ
de singulis prædicantur, aut in ea quæ de pluribus, ea uero quæ de
pluribus PREDICARE, aut genera esse dixit aut species aut cetera, horumque
exempla subiciens adiungit : Ab his ergo quæ de uno solo PREDICARE,
differunt genera eo quod de pluribus adsignata prædi centur, ab his autem quæ
de pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species etsi de pluribus prædicantur,
sed non de differentibus specie, sed numero; homo enim cum sit species, de
Socrate et Platone prædicatur, qui non specie differunt a se inuicem, sed
numero, animal uero cum genus sit, de homine et boue et equo prædicatur, qui
differunt a se inuicem et specie quoque, non numero solo. a proprio uero
differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius est proprium,
prædicatur et de his quæ sub una specie sunt indiuiduis,
quemadmodum Porph. Boeth. separemus GNRm1Sm1 porphirii
Lm1 fuit alia CN 4 forma generis H separet
NPa.c.Sm1 ante idcirco add . hic FRS 5 diuisit s.
l. Em2 separauit m1 quidem s. l. R, ante
diuisit L 6 prædicarentur FHLm2Pm2 plurimis
Em1Lm2 uero autem C 7 plurimis FGm2N prædicarentur
FHLm2 8 horum F 9 Ab om. GHP, s. l. ER ergo uero
H prædicarentur N 10 prædicantur Em1GLm2PRSm2
Busse 11 ab his accidens 189, 14 Ω,
om. cett., sed in S particulæ lemmatis plerumque HISTORIA inscriptæ
uariis locis expositionis insertæ sunt, item particulæ quædam in L; quorum
locorum lectiones hic proponentur post . ab Ω etiam B Bussii a
edd. Busse 12 post quidem add . differunt genera Γ
prædicatur ΛΣ 13 sed non sed om . Σ non
tamen H m2 ‘i’ 14 Platone de platone A 16 sit
genus Σ 17 boue de boue Γ 18 et om. ΓΦ non Porph. 3, 1 aX\’ οΰχί
solum edd. cum Porph . τώ άριθ·μώ μόνον 20 hiis Φ
21 una om. Porph. 3, 3 risibile de homine solo et de
particularibus hominibus, genus autem non de una specie prædicatur, sed de
pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab his quæ communiter
sunt accidentibus differt genus, quoniam etsi de pluribus et
differentibus specie PREDICARE differentiæ et communiter accidentia, sed non in
eo quod quid sit prædicantur, sed in eo quod quale quid sit. interrogantibus
enim nobis illud de quo prædicantur hæc, non in eo quod quid sit dicimus PREDICARE,
sed magis in eo quod quale sit. interroganti enim qualis est homo, dicimus
rationalis, et in eo quod qualis est coruus, dicimus quoniam niger. est autem
rationale quidem differentia, nigrum uero accidens. quando autem quid est
homo interrogamur, animal respondemus; erat autem hominis genus
animal. Nunc genus a ceteris omnibus quæ quolibet modo prædi3
specie s. l. Γ, om. optimi
codd. Porph. 3,5, delend. uid. Bussio 5 locum quoniam animal
16 post genus 193, 18 add. LS etiamsi LS sΠ*ΙΓ specie differentibus ΛΣ ; Porph. διαφερόντων τψ ειόει 6 differentia
Lm2S 7 sed non Δ ad sed s. l .
id est tamen m1? Π ad sed s. l . uel tamen m1?
A Busse tamen non LS ΤΣΦ non tamen Ψ
edd.; Porph. 3, 8 άλλ’ οόκ, cf. supra 188, 13, infra
190, 12 7 sit om. L sed in eo quod quale quid sit codd. cum Porph. 3, 8 codicib. Lm2Mm2
άλλ’ έν τψ όποιον τ£ έστιν, delend. uid. Bussio 8 quid
om. S Φ interrogantibus sit 11 om . Φ ad
interrogantibus s. l . uel interrogati Δ nobis LS A m2 Ii del. m2 Busse
nos A m1 enim post nos, Ψ, om .
ΓΔ2 decst Φ ;
Porph. 3, 8 έρωτησάντων γάρ ήμών uel τινών
codd . post illud s. l . quomodo m1? uel de
quo m2 Δ hæc s. l. Lm2 10 post
quale add . quid Π del. m2 Ψ m Busse, om . LS VM
pbr, om. etiam 194, 7 cf. 195, 4. 196, 8. 15, aliquid s. l .
Λ deest Φ ;
Porph. 3, 10 έν τψ ποιόν τί έατιν 11 interroganti ΑΣ a.r . Ψ interrogantibus S
interrogati cett.; Porph. p, 3, 10 έν γάρ τψ έρωταν 12.
dicimus Π m2 ΣΨ, om . Φ,
dicitur cett.; Porph. 3, 11 οομέν 14 autem om.
N quid est quidem FN qui Gm1, s. l . est m2
quod est L 15 interrogamus P A, m1 in EGR Z
interrogemus S erat RS, m1
in Ρ ΔΛ, est 1 erit cett.; Porph. 3, 13 vjv
genus hominis Σ cantur separare contendit hoc modo. quoniam
enim genus de pluribus PREDICARE, statim differt ab his quidem quæ de uno
tantum prædicantur quæque unum quodlibet habent indiuiduum ac singulare
sublectum; sed hæc differentia generis ab his quæ de uno PREDICARE, communis ei
est cum ceteris, id est specie, differentia, proprio atque accidenti
idcirco, quoniam ipsa quoque de pluribus prædicantur. horum igitur singulorum
differentias a genere colligit, ut solum intellegendum genus quale sit sub
animi deducat aspectum, dicens : ab his autem quæ de pluribus prædicantur,
differt genus, ab speciebus quidem primum, quoniam species etsi de
pluribus prædicantur, non tamen de differentibus specie, sed numero. species
enim sub se plurimas species habere non poterit, alioquin genus, non species
appellaretur si enim genus est quod de pluribus specie differentibus in
eo quod quid sit PREDICARE, cum species de pluribus dicatur et in eo quod
quid sit, huic si adiciatur ut de specie differentibus PREDICARE, speciei forma
transit in generis; id quoque exemplo intellegi fas est. homo enim prædicatur
de Socrate, Platone et ceteris quæ a se non specie disiuncta sunt, sicut
homo atque equus, sed numero quod quidem habet dubitationem quid sit hoc quod
dicitur numero differre. numero enim differre aliquid uidebitur quotiens
numerus a 2 quidem om. CHN qui G, ex quæ Lm2
3 post prædicantur add . ut socrates et hic et hoc H quæ
CN 5 uno uno solo LS est ei L est om.
CEHN 6 post specie add . et FHP, s. l. Lm2
accidente Lm2Pm1N 9 aspectum deducat E ab CL s. l. NSm2, om. cett . 10 autem enim
P post pluribus add . id est
add . specie, sed del. E ab his quæ
hæc s. l. E de pluribus
Em2GPRS 11 a R primum om. S, s. l. Lm2; deest 188,
12 12 prædicatur S non tamen sed non S de
om. FHNP 15 plurimis Em2GPRS 16 plurimis EGR dicatur prædicetur
C prædicatur edd . 19 fas est placet HNPm1 post
enim s. l . cum sit species Em2Pm2 quod est species Lm2
20 et ceteris del. E
qui Ep. c . disiuncta ad quod s. l
. differunt equus del. E 21 post equus add . uel
bos LP 23 differre in mg. H post aliquid
FHLN aliquis GS quoties -cies EPRS numero
differt, ut grex boum qui fortasse continet triginta boues, differt numero ab
alio boum grege, si centum in se contineat boues; in eo enim quod grex est, non
differunt, in eo quod boues, ne eo quidem : numero igitur differunt, quod
illi plures, illi uero sunt pauciores. quomodo igitur Socrates et Plato specie
non differunt, sed numero, cum et Socrates unus sit et Plato unus, unitas uero
numero ab unitate non differat? sed ita intellegendum quod dictum est numero
differentibus, id est in numerando differentibus, hoc est dum numerantur
differentibus. cum enim dicimus ‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus
unitates, ac si digito tangamus dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de
Platone ‘hic unus est’, non eadem unitas in Socrate numerata est quæ in
Platone. alioquin posset fieri ut secundo tacto Socrate Plato etiam
monstraretur. quod non fit. nisi enim tetigeris Socratem uel mente uel digito
itemque tetigeris Platonem, non facies duos, dum numerantur. ergo differunt quæ
sunt numero differentia. cum igitur species de numero differentibus, non de
specie prædicetur, genus de pluribus et differentibus specie dicitur, ut
de boue, de equo et de ceteris quæ a se specie inuicem differunt, non numero
solo. tribus enim modis unum quodque uel differre ab aliquo dicitur uel alicui
idem esse, 3 continet EGLRS differt C, add .
neque CP, s. l. Hm2, s. l . nec Lm2 4 ne differunt H
post quidem del . hæc m2 N igitur
om. EG nec in eo recte? quidem differunt. Igitur numero
differunt L non nisi quidem numero. Igitur differunt numero F
non nisi eo add. S, sed del . quidem numero differunt RS
Numero igitur Igitur numero C
differunt, cet . om. CP quomodo quo R
igitur uero C 6 specie Plato om. F 7 pr . unum
PS 8 differt CEm2NPR post intellegendum add . est
CL 10 dum cum F ante rursus s. l . et
S possit FLRS posset fieri in mg. Cm2 ut in
Cm2Em2G tactu socrates Em1G ante etiam add .
et sed et in
etiam del. uid. E EG demonstraretur LP 19
speciebus CFHN post genus s. l . quoque Lm2
et om. Em1 s. l . et
de m2 R specie differentibus EF 20 pr .
de om. CL et om. FH de s. l. Em2Lm2
ceterisque quæ F inuicem specie FN genere, specie,
numero. quæcumque igitur genere eadem sunt, non necesse est eadem esse specie,
ut si eadem sint genere, differant specie. si uero eadem sint specie, genere
quoque eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem sint genere uterque
enim animal nuncupatur, differunt specie, quoniam alia est hominis species,
alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint specie, idem quoque sunt
genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis PREDICAZIONE ponuntur. si
quid uero uel genere uel specie idem sit, non necesse est idem esse numero,
quod si idem sit numero, idem et specie et genere esse necesse est; ut
Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie hominis idem sint, numero
tamen reperiuntur esse disiuncti. gladius uero atque ensis idem sunt numero,
nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius, sed nec specie diuersi sunt,
utrumque enim gladius est, nec genere, utrumque enim instrumentum est,
quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos atque equus, de quibus animal PREDICARE,
specie differunt, numero ergo etiam eos differre necesse est. idcirco hoc plus
habet genus ab specie, quod de specie differentibus PREDICARE nam si integram
generis definitionem demus, dabimus hoc modo : genus est quod de plu 1
ante genere add . id est P, s. l. Hm2Lm2 genere esse
specie om. EGRS numero et numero C 2
esse post specie C, ante eadem FH ut si differant
specie om. FHNPm1, in mg. add., sed del. m2 genere eadem sint om. C 3 sunt
F 4 est esse idem ante necesse
GSm1 sunt EFGKHm1NRSm1 5 animalia FHN
nuncupantur FHNS differentia Hm1N 6 species om. FG, ante est C
7 uterqne EGLPRS, recte? 8 et om. CP sub hominis
et om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post, sub om. C ponitur
Lm2Sm2 9 sit sint S sunt Fm1 in mg . est m2 Nm1
10 quod si necesse est post disiuncti 13 transpos. et
13 enim pro uero scr. brm 12 tamen tantum
CLm1 15 diuersi * s er., om, sunt C est
gladius FN 16 ad instrumentum s. l .
bellicum Em2 17 bos ante homo EG atque
bos post equus FN 18 ergo om. FHNP, del. Cm1?
Lm1? Sm2 etiam s. l. Lm1? ante idcirco add
. et F, s. l. Sm2 ab specie om. EGLS a R de
a R ab CEGLS 20 post specie s. l .
quidem L definitionem
uel diff- generis FHNP 21 dabimus om.
EG add . dicimus post
modo RS, s. l. Lm2, post modo C ribus specie et
numero differentibus in eo quod quid sit prædicatur, at uero speciei sic :
species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit prædicatur.
A proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie,
cuius est proprium, PREDICARE et de his quæ sub una specie sunt indiuiduis.
proprium semper uni speciei adesse potest neque eam relinquit nec transit ad
aliam, atque idcirco proprium nuncupatum est, ut risibile hominis; itaque et de
ea specie cuius est proprium prædicatur et de his indiuiduis quæ sub illa
sunt specie, ut risibile de homine dicitur et de Socrate et Platone et ceteris
quæ sub hominis nomine continentur. genus uero non de una tantum specie, ut
dictum est, sed de pluribus. differt igitur genus a proprio eo quod de pluribus
speciebus prædi catur, cum proprium de una tantum de qua dicitur appelletur et
de his quæ sub illa sunt indiuiduis. A differentia uero et ab his quæ
communiter sunt accidentibus differt genus. differentiæ atque accidentis
discrepantiam a genere una separatione concludit. omnino enim quia hæc in
eo quod quid sit minime PREDICARE, eo ipso segregantur a genere; nam in ceteris
quidem propinqua sunt generi, nam et 1 specie differentibus specie non
non Lm2 s. l. et R et cum cett. P numero solo
solo s. l. Lm2, om. P
differentibus LPR 2 plurimis S 3 in sit
om. HN 4 proprium prius
S proprium prædicatur proprium prædicatur et de una sola specie
C quidem est proprium om . G, s. l. Em2 quidem om. etiam S
6 post proprium add . uero N enim brm
7 uni om. GS, post
speciei E s. l. m2 HR 9 post hominis add .
est edd . 11 et ut RS de om. FN, s. l. Pm2
Platone de platone G et ceteris ceterisque FHNP 12
qui Em2 13 ut s. l. Hm2Pm2 de om. N
plurimis CEm1GNR, add . et differentibus specie S, in mg.
Pm2 om . specie 14 prædicetur
Lm2P 15 post tantum s. l . specie Lm2
appellatur FHm1NR 17 sunt accidentibus accidunt HN 18
genus cf. ad 189, 5; post locum 189, 5 16
uerba Quare prædicantur s. add. L discrepantia FL 19
separatione del. et s. l . diffinitione Em2, post
separatione add . uel definitione Hm1, del. m2 20 sint
Em2HN 21 in CL s. l. m2 N, om.
cett. de pluribus prædicantur et de specie differentibus, sed
non 65 in eo quod quid sit. si quis enim | interroget : qualis est
homo? respondetur rationalis, quod est differentia; si quis : qualis est
coruus? dicitur niger, quod est accidens. si autem interroges: quid est homo?
animal respondebitur, quod est genus. quod uero ait: hæc non in eo quod
quid sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit, hoc magis quæstioni
occurrit huiusmodi. Aristoteles enim differentias in substantia putat oportere PREDICARE.
quod autem in substantia PREDICARE, hoc rem de qua PREDICARE, non quale sit,
sed quid sit ostendit. unde non uidetur differentia in eo quod quale sit
prædicari, sed potius in eo quod quid sit. sed solvitur hoc modo. differentia
enim ita substantiam demonstrat, ut circa substantiam qualitatem determinet, id
est substantialem proferat qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale
est tamquam si diceret: uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in
eo quod quid sit PREDICARE, sed magis illud est uerius, quia tametsi
substantiam monstret, tamen in eo quod quale sit prædicatur. Quare
de pluribus prædicari diuidit genus ab his quæ de uno solo eorum quæ sunt
indiuidua prædicantur, differentibus uero specie separat ab his quæ
Porph. Boeth.
plurimis FH 3 respondebitur R rationabilis N
quis om. R, post s. l . scil. om. brm interroget Hm2brm
post, est om. HN 4 dicetur FHN interrogetis
N 9 autem uero FHN 10 qualis Cm2FHP 16 tamquam ac
F 20 uerba Quare prædicantur 21 et 193, 18 et
hic hic om . prædicatur
habet L, eadem iam ante lemma add. S predicari ex
preditur Pm2 genus diuidit hic L hiis F 21
sola F eorum accidentibus Ω, in sup. mg . non sunt indiuidua
accidentibus add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quæ de una solummodo
substantia dicuntur R, om. cett. codd . eorum quæ sunt indiuidua
om. L eorum om. L hic
A ante
differentibus add . de ΓΛΦ ; differentibus quibus prædicantur
post colligamus inseruit S,
itaque uerba quæ quibus prædicantur
195, 5 et illic et hic habet separatur Φ, in mg . genus add . Γ sicut species prædicantur uel sicut propria;
in eo autem quod quid sit PREDICARE diuidit a differentiis et communiter
accidentibus, quæ non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit uel
quodammodo se habens prædicantur de quibus prædicantur. Tria esse
diximus quæ significationem hanc tertiam generis informarent, id est de
pluribus PREDICARE, de specie differentibus et in eo quod quid sit. quæ singulæ
partes genus a ceteris quæ quomodolibet prædicantur distribuunt ac secernunt,
quod ipse breuiter colligens dicit; id enim quod de pluribus PREDICARE, genus
ab his diuidit quæ de uno tantum prædicantur indiuiduo. indiuiduum autem
pluribus dicitur modis. dicitur indiuiduum quod omnino secari non potest, ut
unitas uel mens; dicitur indiuiduum quod ob soliditatem diuidi nequit, ut
adamans; dicitur indiuiduum cuius prædicatio in reliqua similia non conuenit,
ut Socrates : nam cum illi sint ceteri homines similes, non conuenit proprietas
et PREDICAZIONE Socratis in ceteris. ergo ab his quæ de uno tantum prædicantur,
genus differt eo quod de pluribus PREDICARE. restant igitur quattuor,
species et proprium, differentia et acci 6 diximus 181, 15. 2
diuiditur Φ, s. l . genus add. Lm2
differentibus S 3 ante quæ add . et
CEGP quæ om. R non om. S hic quod quia
R 4 post . sit Σ est cett; cf. 196, 8 quodammodo
in ras. Em2 quod ad modum CG quemadmodum LP quod
a modo R quomodo Ψ edd. Busse ;
Porph. 3, 19 πώς ; cf. supra 128, 10
5 prædicantur om . ΓΦ ante de
quibus add . de his S
ad 194, 22 ab his Σ his A hiis Φ de quibus prædicantur S ad 194, 22 ΓΛ de s. l . 2Φ, om. cett . 7 informant FHm1N post, de
Hm2LPm2, om, CEGNRS, sed FHm1Pm1;
cf. 181, 16 8 et om. R
9 quolibet modo CL modo s. l. m2 N quo *** libet libe er. uid . F prædicatur
GPm1 10 colligens breuiter EGS 12 dicitur pluribus
C 13 non potest secari CFN 14 indiuiduum dicitur 15 om.
G 15 adamas HLm1P -as ras. ex -ans, amans
R 18 ceteros NP 20 igitur ergo FP differentiæ
EHa.c.NP, ante add . et H, s. l. Lm2 dens, quorum a genere
differentias colligamus. singulis igitur differentiis ab his rebus segregabitur
genus. ea quidem differentia qua de specie differentibus genus dicitur, separat
ab his quæ sicut species prædicantur uel sicut propria. species enim omnino de
nulla specie dicitur, proprium uero de una tantum specie PREDICARE atque
ideo non de specie differentibus. item genus a differentia et accidenti
differt, quod in eo quod quid sit PREDICARE; illa enim in eo quod quale sit
appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem ab his quæ de uno prædicantur
differt in quantitate PREDICAZIONE, ab speciebus uero et proprio in
subiectorum natura, quoniam genus de specie differentibus dicitur, proprium
uero et species minime. item genus in qualitate prædicationis a differentia
accidentique diuiditur. qualitas enim prædicationis quædam est uel in eo quod
quid sit uel in eo quod quale sit PREDICARE. Nihil igitur neque superfluum
neque minus continet generis dicta descriptio. Omnis descriptio uel
definitio debet ei quod definitur æquari. si enim definitio definito non sit æqualis
et si quidem maior sit, etiam quædam alia continebit et non necesse est ut
semper definiti substantiam monstret; si minor, ad omnem
definitionem Porph. Boeth.
quarum Cm1Lm1 colligamus ante differentias C
colligemus e ex i H; cf. ad 194, 22 2 ea quidem dicitur om. S 3 post
differentibus add . prædicari edd . separat ab his FLm1R dum separat ab his S differt
ab his CN differt s. l. Em2 ab a L specie et
proprio HP, s. l. Lm2 seperat propria 4 del. Lm2, om. P, s. l . et ab his add
. Hm2, om. EG separatur ab his edd.; cf. 194, 20 4 prædicantur
post propria H 5 nulla nulla alia LS 8 enim uero
FHN 10 a LNR 13 ab FHP b er . 15 prædicare
GR 16 Nihil ex Nil Pm1? pr . neque om . ΛΛΠΣΨ Porph. 3, 19 Busse, del . Γ m2 17 genus F dicta om. E, s. l . Σ, post descriptio G locus Porph. s. plenior est cf
. τής έννοιας, quod deest
aBoeth. 18 Omnis descriptio in mg. Em2 in contextu ras., om. GR, s.
l. Sm2 post Omnis add . enim L, s. l. Sm2, post
debet C er. EGR 19 definito om. FPS et om.
CFN 21 definitio uel
diff Ca.r.N post si s. l . sit L definitio
C definiti uel diff
Em2HN substantiæ non peruenit. omnia enim quæ maiora sunt, de
minoribus prædicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime;
nemo enim uere dicere potest omne animal homo est. atque idcirco si sibi prædicatio
conuertenda est, æqualis oportebit sit. id autem fieri potest, si neque
superfluum quicquam habet neque diminutum, ut in ea ipsa
generis descriptione dictum est enim esse genus quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit prædicetur, quæ descriptio cum genere
conuerti potest, ut dicamus quicquid de pluribus specie differentibus in
eo quod quid sit PREDICARE, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait, nec
plus neque minus continet generis facta descriptio. 1
substantiam CEm2 4 pr . est om. C 5
oporteat EGHL a del .
PRS ante sit add . ut E in ras. m2 FLNPR, s. l. Cm2Hm2
6 habeat R diminutiuum Em1 7 enim est G
esse s. l. Em2L, post genus Pm2 8 prædicatur
Em2FNa.c . post ut s. l . si Lm2 quicquid quod
EGLm1RS 10 prædicatur Em2 11 conuerti potest * ñ er .
conuertitur C conuertitur. est F conuerti non del
. potest S neque neque FLm2P nec nec
HLm1 neque nec N 12 continet s. l. Nm2 Sm2,
om. F, post generis CEGL facta dicta 196, 17 BOEZIO
V. C. ET I LL EXCONS. ORD. PATRICII IN ISAGOGAS YSAGOG. E PORPHYRII ID EST INTRODVCTIONEM
introductiones C A SE TRANSLATAS
EDITIONIS SECVNDÆ COMMENTARIVS SECVNDVS EXPLIC. commentum in secdo lib.
explic. C, post
PORPHYRII add . SCDE EXPOSITIONIS LIB. II. EXPLICIT E INCIPIT
C pleraque litt. minusc.
scr . GE uariis cum
scripturis compendiisque ; sede translationis comtarius expł incip lib IΙI. L ; EXPL COMMENTARIVS. II. INCIPIT LIB TERTIVS.
S; EXPLIC COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·, EXPLICIT LIBER SECDS.
INCIPIT LIBER TERTIVS TERCIVS LIBER P FP ; INCIPIT LIBER
TERTIVS R ; subscriptio deest in H Superior de genere
disputatio uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse tractatum. nam
cum genus ad aliquid prædicetur, id est ad speciem, cognosci natura generis non
potest, si speciei quæ sit intellegentia nesciatur. sed quoniam diuersa
est in suis naturis eorum consideratio atque discretio, diuersa in permixtis,
idcirco sicut singula in prooemio proposuit, ita diuidere cuncta persequitur.
ac primum post generis disputationem de specie tractat. de qua quidem dubitari
potest. si enim hæc fuit ratio præponendi generis reliquis omnibus, quod
naturæ suæ magnitudine cetera contineret, non æquum erat speciem differentiæ in
ordine tractatus anteponere, quod differentia speciem contineret, cura præsertim
differentiæ ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id quod
eius informatione perficitur. posterior igitur est species a differentia,
prius igitur de differentia tractandum fuit. etenim prooemio etiam consentiret,
in quo eum ordinem collocauit quem naturalis ordo suggessit, dicens utile esse
nosse quid genus sit et quid differentia. huic respondendum est quæstioni,
quoniam omnia quæcumque dicens p. 147, 5. 7. 148, 17. 2
uidetur CGHL, ras. ex uideatur PS 3 sumpsisse
CHN 5 nescitur FHm1 mixtis Fa.c.Lm1 8
posuit H diuidere ante ita G, post
cuncta CLP, diuise HNa.c . prosequitur Gm1PR 10
proponendi CFNR genus R 12 nonne Em2FHPSm2 ante æquum
add . et HP, s. l. Em2 speciei differentiam EFHLm2P; cf. 239,
9 13 obtineret CLm1 14 ipsæ CNP est s. l.
Gm2Lm2 15 informet E 16 post Em1GLm1RS igitur ergo
C a om. CRS, er. L 17 ut enim N ut CH
etiam om. CF 18 post quo add . prius
CN eam ordine CFN quam CFN 19 post
dicens add . ubi ait E 20 ante huic add .
sed E ad aliquid PREDICARE, substantiam semper ex oppositis
sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi sit filius, nec filius, nisi præcedat
pater, alteriusque nomen pendet ex altero, ita etiam in genere ac specie uidere
licet. species quippe nisi generis non est rursusque genus esse non
potest, nisi referatur ad speciem; nec uero substantiæ quædam aut res absolutæ
esse putandæ sunt genus ac species, ut superius quoque dictum est, sed quicquid
illud est quod in naturæ proprietate consistat, id tunc fit genus ac species,
cum uel ad inferiora uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio
alterutrum constituit, eorum continens factus est iure tractatus. De specie
igitur inchoans ait hoc modo. Species autem dicitur quidem et de unius
cuiusque forma, secundum quam dictum est primum quidem species digna
imperio dicitur autem species et ea quæ est sub adsignato genere, secundum quam
solemus dicere hominem quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album
autem coloris speciem, triangulum uero figuræ speciem. Sicut
generis supra significationes distinxit æquiuocas, ita idem in specie facit
dicens non esse speciei simplicem significationem. et ponit quidem duas, longe
autem plures esse 7 superius Porph. Boeth. positis Gm1Sm1 3 nomen non
Ea.c.Ga.c . 4 uideri EP 8 in om. R 9 consistit
CLNPSm2 constat Em1 tum R ac et H 10
referuntur FLm1 referantur NS refertur Pm2R
11 continuus CN 12 ante De add . sed CH,
m1 in LRS, si E de ex sed Sm2 sed
del. Lm2Rm2 13 ante Species inscriptio DE SPECIE
EXPLICIT DE GENERE. INCIPIT DE SPECIE Ψ additur in 11 et om. L 14 primum G edd . primi L primis
Sm1 priami cett. Busse; Porph. 4, 1 πρώτον piv είδος άξιον τυραννίδος Eurip. Æol. frg.
15, 2 N. ; cf . quemlibet illum infra 200, 22 15
post digna add . est HNPR AAΦ, s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras., s. l . etiam Γ 17 quidem om. N, post add . esse FR,
s. l. L, esse post speciem s. l. Pm2 cum animal
om. S 18 autem om. Ε ΑΣ 20 ita om. HN manifestum est,
quas idcirco præteriit, ne lectoris animum prolixitate confunderet. dicit autem
primum quidem speciem uocari unius cuiusque formam, quæ ex accidentium
congregatione perficitur. cautissime autem dictum est unius|cuiusque, hoc enim
secundum accidens dicitur. quæ enim uni cuique indiuiduo forma est, ea
non ex substantiali quadam forma species, sed ex accidentibus uenit. alia est
enim substantialis formæ species quæ humanitas nuncupatur, eaque non est quasi
supposita animali, sed tamquam ipsa qualitas substantiam monstrans; hæc enim et
ab hac diuersa est quæ unius cuiusque corpori accidenter insita est, et
ab ea quæ genus deducit in partes. postremumque plura sunt quæ cum eadem sint,
diuersis tamen modis ad aliud atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam
humanitatem in eo quod ipsa est si perspexeris, species est eaque substantialem
determinat qualitatem; si sub animali eam intellegendo locaueris, deducit
animalis in sese participationem separaturque a ceteris animalibus ac fit
generis species. quodsi unius cuiusque proprietatem consideres, id est quam
uirilis uultus, quam firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et
quodam modo depinguntur, hæc est accidens species secundum quam dicimus
quemlibet illum imperio esse aptum propter formæ 1 præterit
CEGLPR primo FHNP formam CN
figuram cett hæc GL s.
l. add . species m2 RSm1 uni om. EGRS 6 ea om.
HN ante species specie H add . ac CHN ex
om. CH 8 forma, s. l . species m. 2 E pr . quæ sed quæ
E eaque ea quæ EFGH Lm1Sm2 post
sed add . est brm, post qualitas S 11 unius
cuiusque corpori CNPm2R in
s. l. Lm2 unius cuiusque in add. Lm1, del. m2 corpore ex -ri Lm2 FHLPm1 unius
cuiusque in s. l. Sm2 corpore EGS accidentaliter
CLm2P sita FHLm1 si ita Na.c . ea hac F
postremoque CNPm2 recte? postremo quoque Rm1 postremum
quæ Rm2S postremum H 13 sunt FH post atque
add . ad CHR 14 intelligantur LRm1 si post
humanitatem FHN respexeris N eaque Cm1N ea quæ cett .
determinet R 16 eam om. GPRS recte?, s. l. Em2
se Lm1N 18 species generis C 20 informantur
LPm2 accidentalis Lm2Pm2 quamlibet FLm1
quodlibet Sm2 illum om. CHLNP illud RS
eximiam dignitatem. huic aliam adiungit speciei significationem, id est
eam quam supponimus generi. nos vero triplicem speciei significationem esse
subicimus, unam quidem substantiæ qualitatem, aliam cuiuslibet indiuidui
propriam formam, tertiam de qua nunc loquitur, quæ sub genere collocatur.
credendum uero est propter obscuritatem eius quam nos adiecimus, quia nimirum
altiorem atque eruditiorem quæreret intellectum, ea tacita prætermissaque
ceteras edidisse. cuius quidem speciei hæc exempla subiecit, ut hominem
quidem animalis speciem, album autem coloris, triangulum uero figuræ; hæc
enim omnia species nuncupantur eorum quæ sunt genera, animal quidem hominis,
albi autem color, trianguli figura. Quodsi etiam genus adsignantes speciei
meminimus dicentes quod de pluribus et differentibus specie in eo quod
quid sit prædicatur, et speciem dicimus id quod sub genere est. Dudum cum
generis descriptionem adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit
dicens id esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait
præ dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero cum
speciem definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse quæ
sub genere ponatur. Porph. Boeth. Dicens s. 3
subiecimus CLN substantialem FLm2Bm2 4 indiuiduam
G 5 collocatur -catur in ras. m2 E colligatur
GLm2 colligitur m1
Rm1s 6 est est quod EPRS 7 quia quæ CN quærit
C quæret Hm1N prætermissa quæ Em1Sa.c . prætermissa
Rm1 dedisse Gm1 edidisset R, ante edid. add
. ipsum r 9 ut et EGLm1Ra.c.S 11 eorum quæ CFHN earum quæ EGR
earumque LPS 12 trianguli figura Lm1 figura trianguli Pm2
forma trianguli HNPm1 trianguli forma cett.; fort, trianguli
>uero>; cf. 10. 199, 19 13 Quodsi Quid sit FPm1 Quod
sit m2 Quod CL
Sic Λ2 signantes F 14 et om. F, s. l.
R 15 sit om. ERS prædicatur quid sit 19 om. N
id s. l. Hm2 16 quod sub assignato genere ponitur est p
edd., Porph. 4, 6 το όπό τό άποοοθ-έν γένος 19 et differentibus 180, 1 20 genus
definiret C 21 nunc nam Cm1 cui quidem dicto illa
quæstio iure uidetur opponi. omnis enim definitio rem declarare debet quam
definitio concludit, eamque apertiorem reddere quam suo nomine monstrabatur. ex
notioribus igitur fieri oportet definitionem quam res illa sit quæ definitur.
cum igitur per speciei nomen describeret uel definiret genus, abusus est
uocabulo speciei uelut notiore quam generis atque ita ex notioribus descripsit
genus. nunc uero cum speciem uellet termino descriptionis includere, generis
utitur nomine rerumque conuertit notionem, ut in generis quidem sit notius
speciei uocabulum, in speciei autem descrip tione sit notius generis, quod
fieri nequit. si enim generis uocabulum notius est quam speciei, in definitione
generis speciei nomine uti non debuit. quodsi speciei nomen facilius
intellegitur quam generis, in definitione speciei nomen generis non fuit
apponendum. cui quæstioni occurrit dicens: Nosse autem oportet
quod, quoniam et genus alicuius est genus et species alicuius est species,
idcirco necesse est et in utrorumque rationibus ntrisque uti. Omnia quæcumque
ad aliquid prædicantur, ex his de quibus prædicantur, substantiam sortiuntur;
quodsi definitio unius cuiusque substantiæ proprietatem debet ostendere,
iure ex alterutro fit descriptio in his quæ inuicem referuntur. ergo quoniam
genus speciei genus est et substantiam suam et Porph. Boeth. post,
definitione uel diff-
CHNPm2 claudit C nec concludit F 3
monstrabat E -bat ex -batur? m2 R 5
sit est FHN 6 notiorem FR uelit FHNPm1 9
conuertit uidetur conuertere CHLm2P genere R 10
post quidem add . descriptione CFHLN, in mg. Em2, fort.
recte autem quidem C uero FHNP 11 sit om. G
pr . genus FH 16 autem om. Porph . quod add. edd.;
Porph. είϊέναι χρή ότι, έπεί χτλ . pr . est om. FN, s. l
. Λ, ante alicuius Σ idcirco in utrisque necesse est utrorumque rationibus
uti Σ et hoc N om . FPSA S
neutrorumque Em1 utrasque Em1 utriusque Λ 20 post definitio add . uel
descriptio CFHNP, s. l. Em2Lm2
ante inuicem add . ad CL, s. l. Pm2, ad se F, s.
l. Rm2 ante
substantiam add . in FHm1, del. m2 post, et om. F, s. l.
Hm2Sm2 uocabulum genus ab specie sumit, in definitione generis
speciei nomen est aduocandum, quoniam uero species id quod est sumit ex genere,
nomen generis in speciei descriptione non fuit relinquendum. quoniam uero
diuersæ sunt specierum qualitates aliæ enim sunt species, quæ et genera
esse possunt, aliæ, quæ in sola speciei | permanent proprietate neque in
naturam generis transeunt , idcirco
multiplicem speciei definitionem dedit dicens: Adsignant ergo et sic
speciem: species est quod ponitur sub genere et de quo genus in eo quod
quid sit prædicatur. amplius autem sic quoque : species est quod de pluribus et
differentibus numero in eo quod quid sit prædicatur. sed hæc quidem adsignatio
specialissimæ est et quæ solum species est, aliæ uero erunt etiam non
specialissimarum. Tribus speciem definitionibus informauit, quarum quidem
duæ omni speciei conueniunt omnesque quæ quolibet modo species appellantur, sua
conclusione determinant, tertia uero non ita. cum enim duæ sint specierum formæ,
una quidem, cum species alicuius aliquando etiam alterius genus esse
potest, altera, cum tantum species est neque in formam generis 9 15 Porph.
4, 9 14 Boeth.
29, 2 7. 1 genus om. H generis FLS ab om. F a NR,
s. l. Hm2 specie s. l . Hm2 species F
definitionem uel diff-
FGHP 2 pr . est fuit Lm2 post aduocandum Pm2 3
descriptione definitione uel diff- CFHLm2N diffinicione uel
descripcione P 4 relinquendum omittendum FHN uero
post sunt H 8 reddit FN 9 ergo uero
PLm2 autem Σ et er. Λ speciem sic F quæ CNR h m1 quo m2
ΛΣ 10 quo EGHLm2Pm1 > qua
cett . 11 amplius prædicatur 13 om. L 12 et om . S
ac EGRS 13 post prædicatur add . ut homo equs
sic bos et asinus et cetera C 14 specialissimæ ΧΨρ -me specialissima
cett. codd. brm ; Porph. 4, 12 aΰτη μέν ή άπόδοσις τού εΐδιχωχάτου άν εΐη et om. FHR,
s. l. Pm2, del. Sm2 sola C 17 omnis G 18
determinantur Hm2 19 post ita s. l . est
Hm2 sint om. Em1 sunt CEm2GR ante
specierum add . species Cm1, del. m2 20 post cum
s. l . sit Lm2, post aliquando EP del. m1?,
post species s. l . scil. sit N transit, priores
quidem duæ, illa scilicet in qua dictum est id esse speciem quod sub genere
ponitur, et rursus in qua dictum est id esse speciem de quo genus in eo quod
quid sit prædicatur, omni speciei conueniunt. id enim tantum hæ definitiones
monstrant quod sub genere ponitur. nam et ea quæ dicit id esse speciem
quod sub genere ponitur. eam uim significat speciei qua refertur ad genus, et
ea quæ dicit id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit prædicatur, eam
rursus significat speciei formam quam retinet ex generis PREDICAZIONE idem est
autem et poni sub genere et de eo prædicari genus, sicut idem est supponi
generi et ei genus præponi. quodsi omnis species sub genere collocatur,
manifestum est omnem speciem hoc ambitu descriptionis includi. sed tertia
definitio de ea tantum specie loquitur quæ numquam genus est et quæ solum
species restat. hæc autem species ea est quæ de differentibus specie
minime prædicatur. nam si id habet genus plus ab specie, quod de differentibus
specie prædicatur, si qua species prædicetur quidem de subiectis, sed non de
specie differentibus, ea solum erit superioris generis species, subiectorum
uero non erit genus. igitur PREDICAZIONE ea quam species habet ad subiecta, si
talis sit, ut de differentibus specie non prædicetur, distinguit eam ab his
speciebus 2 ponitur genere om. N rursum CR quo Schepss
qua codd. et edd.; prædicaretur EGLRS prædicetur edd . 5
ponuntur Cm2HN 6 speciem om. Sm1 species m2G
post eam add. tantum FHNP, s. l. Lm2 7 qua CNP quæ cett . 8 quo p Schepss qua codd. brm; cf.
3 genus s. l. Em2, ante add . species G prædicetur
FHLm2NP prædicaretur S 9 speciei om. C 10
est post autem E s. l. m2 R supponi EFGHLRS 11 generi genere
CGm1 12 omnes sed collocatur
ELN 13 post est add . autem CEGL del. m2 S
del. m2 15 est om. EGS, ante genus ΗR, fit L perstat E
pers in ras. HNa.c . 17 habet ante plus FH, post
N, plus post habet L a RS 18 si qua
species om. N prædicetur om. N prædicatur Em1HSm2
post subiectis add . Species uero differentibus numero
N 19 de om. N 21 de non non differentibus specie
N 22 ante distinguit add . sed hanc terciam, sed
del. E, post add . enim, sed del. RS quæ genera esse possunt
et monstrat eam solum speciem esse nec generis PREDICAZIONE tenere. illa igitur
tertia descriptio speciei quæ magis species ac specialissima dicitur, definitur
hoc modo : species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod
quid sit PREDICARE -ut homo PREDICARE enim de CICERONE ac Demosthene et ceteris
qui a se, ut dictum est, non specie, sed numero discrepant. Ex tribus
igitur definitionibus duæ quidem et specialissimis et non specialissimis aptæ
sunt, hæc uero tertia solam ultimam speciem claudit. ut autem id apertius
liqueat, rem paulo altius orditur eamque congruis inlustrat exemplis. Planum
autem erit quod dicitur hoc modo. in uno quoque prædicamento sunt quædam
generalissima et rursus alia specialissima et inter generalissima et
specialissima sunt alia. est autem generalissimum quidem super quod nullum
ultra aliud sit superueniens genus, specialissimum autem, post quod non erit
alia inferior species, inter generalissimum autem et specialissimum et genera
et species sunt eadem, ad aliud 7 ut dictum est 188, 13 ss. 12 206, 18 Porph.
Boeth. et s. l. m2 monstrabat S monstratque
FHNP solam Sm2 3 speciei solum species est N
speciei species ac quæ s. l. m2 solum species magisque in
ras. species H 4 hoc modo in mg. Hm2
ante species add . Dicitur enim FHP et
differentibus numero 203, 12 6 Cicerone socrate N post
ac add . de R 8 duæ claudit C om. pr . et E in ras. m2 FH
solum LNP duabus quidem et specialissimas et non specialissimas
species claudit GR una quidem et specialissimam et non specialis
ultimam speciem claudit Sm1, del. et in mg. corr. m2 apte
sunt post duæ quidem, 10 id om. LR rem om. EGS,
s. l. Pm2, post orditur Lm2 12 in uno quoque solum
species RS Q, om. cett . 14
rursum Γ et inter alia om. RS 15 sunt om
. T m1, in mg. scil. sunt ut corpus m2, est ut uid
. Δ 16 super ultra ultra quod nullum RS ultra
nullum ΓΦ 17 specialissima R quod quam RS
18 autem om . Γ
ante et genera add . alia p alia sunt quæ
brm; Porph. 4, 19 άλλα, α ν,α'ι γένη quidem et ad
aliud sumpta. Sit autem in uno PREDICAMENTO manifestum quod dicitur. substantia
est quidem et ipsa genus. sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum
corpus, sub quo animal, sub animali uero rationale animal, sub quo homo, sub
homine uero Socrates et Plato et qui sunt particulares homines. sed horum
substantia quidem generalissi-mum est et quod genus sit solum, homo uero
specialissimum et quod species solum sit, corpus uero species quidem est
substantiæ. genus uero corporis animati; et animatum corpus species
quidem est corporis, genus uero animalis. animal autem species quidem est
corporis animati, genus uero animalis rationalis, sed rationale animal species
quidem est animalis, genus autem hominis, homo uero species quidem est
rationalis animalis, non autem etiam genus particularium hominum, sed
solum species. et omne quod ante indiuidua proximum est, species erit solum,
non etiam genus. Prædiximus ab Aristotele decem prædicamenta esse dis 19
Prædiximus 151, 12. 1 quidem post eadem R 5
ad om . Λ, s. l. R T uno uno quoque R A
quoque er . Φ, ad uno s. l . isto A m2 2
est quidem R ΓΦ est quiddam repet, est S cett . 3 est
post corpus S, om . Φ 5 uero RST iI s. l. m2 Φ,
om . ΛΛΣΊ Busse; Porph. 4. 23 δέ 6 uero codd. nostri, om. Busse; Porph. 4, 24
δέ post, et om. RS 7 eorum RS generalissimum codd. PQ non L Bussii edd .
generalissima codd. nostri; Porph. 4, 25 τό γινικώτατον 8 uero om. R 9 ante
et add . est 2 pr . specie R 10 est
om . 2, s. l . Δ 11 et sed et brm,
recte ut uid.; Porph. 4, 27 αλλά καί est om. R 12 animal autem rursus
animal brm; Porph. 4, 28 κάλιν δέ to ζώον 13 uero ΓΔ s. l. m2
Π*!', om. cett . animalis Δ s. l. m2
ΣΊ ’ post
rationalis. om. cett.; Porph. 4, 29 γένος δέ τού λογικού ζώου 14 animal est om. R 15 autem uero
RS 16 autem del . h m2 genus etiam R 17 et
om. CEGP indiuiduum F est s. l. E erit
CGR solum species erit LS erit solum species E
solum species est CR solum speciem non etiam genus esse
liquet G 19 Prædicimus R, add. etiam L
posita, quæ idcirco prædicamenta uocauerit, quoniam de ceteris omnibus prædicantur.
quicquid uero de alio prædicatur, si non potuerit PREDICAZIONE conuerti, maior
est res illa quæ PREDCIARE ab ea de qua PREDICARE. itaque hæc PREDICAMENTI
maxima rerum omnium, quoniam de omnibus PREDICARE sunt. in uno quoque igitur
horum PREDICAMENTI quædam generalissima sunt genera et est longa series
specierum atque a maximo decursus ad minima. et illa quidem quæ de ceteris PREDICARE
ut genera neque ullis aliis supponuntur ut species, generalissima genera
nuncupantur, idcirco quia his nullum aliud superponitur genus, infima uero quæ
de nullis speciebus dicuntur, specialissimæ species appellantur, idcirco
quoniam integrum cuiuslibet rei uocabulum illa suscipiunt quæ pura inmixtaque
in ea de qua quæritur proprietate sunt constituta. at quoniam species id quod
species est ex eo habet nomen, quia supponitur generi, ipsa erit simplex
species, si ita generi supponatur, ut nullis aliis differentiis præponatur ut
genus. species enim quæ sic supponitur alii, ut alii præponatur, non est
simplex species, sed habet quandam generis admixtionem, illa uero species quæ
ita supponitur generi, ut minime speciebus aliis præponatur, illa solum species
simplexque est species atque idcirco et maxime species et specialissima
nuncupatur. inter genera igitur quæ sunt generalissima et species quæ
specialissimæ sunt, in medio 1 uocauit Lp.c.P dicuntur
N 3 poterit CNSm1 res om. E, sed ras .,
ratio R 4 post, prædicatur dicitur HNP 5
maxime Em1G a.c . 7 quædam quæ CFHN genera om. CN,
ante sunt F et om. CHN maximis
CFHNPm2 11 quia quoniam HN inpermixtaque Em2HPm2
intermixtaque NPm1 de qua s. l. Sm2 de quo
R quæ E ex alia uoce N 15 at ut CFN quod quoniam
E 16 nomen om. FN quia quoniam F aliis om.
C ante alii add . generi CL del. m2, post s. l.
P simplex om. GRS, s. l
. Em2Lm2 atque idcirco maxime -ma H species est est om. H in mg. Hm1?, s. l.
Lm2 ante species add . est P, post C, s. l. Lm2 specialissima EGSm1 sunt
om. EG, s. l. Pm2, post quæ L sunt quædam quæ superioribus
quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. hæc subalterna genera
nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur. quod
igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quæ uero ita sunt
genera, ut esse species possint, uel ita species, ut sint genera
nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est
species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.
His igitur cognitis sumamus PREDICAMENTI unius exemplum, ut ab eo in
ceteris quoque PREDICAMENTI atque in ceteris speciebus in uno filo atque
ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum genus est;
hæc enim de cunctis aliis PREDICARE ac primum huius species duæ, corporeum,
incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et item quod
incorporeum est, substantia PREDICARE sub corporeo vero animatum atque
inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur; nam si sensibile
adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id est species,
continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale atque
inrationale, sub rationali homo atque deus; nam si rationali mortale
subieceris, hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum; hunc enim
mundum ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione 1 quidem om.
EG collata FHm1NPm2 collatæ
Cm2EGHm2 add. e, sed exters
. Lm2 collocata Pm1 collocatæ Cm1Lm1RS in
ras. sunt species CLR hæc et C nominantur
FHNP 3 alterutrum Ea.r.Pm1 alterutro Pm2 ita s. l. Em2Lm2, ante ut
C ut sint est species 7 s. l. Em2 9 igitur ergo
E ante in add . ut Lm2Pm2 uno quoque
Em2H quoq. del. m1 ? PRS quod Ea.c .
GLm2Pm1R 14 duæ om. HN sunt add. C,s.l. Pm2, ante
duæ L post pr . corporeum add . et C, s. l. Pm2, atque
FHN 15 ante post . substantia add . et ES del, ex
R 17 sub animato ponitur om. R post . ponitur collocatur
FHNP 18 adicies RS 19 inanimatum Cm1Lm2NPm2S
in s. l. minus cert ., post add . et s. l. Pm2 20
post rationali add . autem L 22 feceris om. GRS,
s. l. Em2, scil. fecisti ante
hominem s. l. Sm2 constituis L post uero s. l .
dico Lm2, post corporeum Sm2 23 deum ueteres
LN dignati sunt deumque solem ceteraque cælestia corpora, quæ
animata esse cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine
uero indiuidui singularesque homines ut Plato, CATONE, CICERONE et ceteri,
quorum numerum pluralitas infinita non recipit. cuius rei subiecta
descriptio sub oculos ponat exemplum substantia corporea incorporea corpus
animatum inanimatum animatum corpus sensibile insensibile animal rationale inrationale
rationale animal mortale | inmortale homo Plato CICERONE CATONE Superius posita
descriptio omnem ordinem a generalissimo usque ad indiuidua prædicationis
ostendit. in qua quidem substantia generalissimum dicitur genus, quoniam præposita
est omnibus, nulli uero ipsa supponitur, et solum genus propter eandem
scilicet causam, homo autem species solum, quoniam Plato, 1 dignati sunt designauerunt
Em2 deum quoque HLm2P 2 cum tum Em2F
platone Lm2PSm1 tunc CGLSm1 4 cato om. C,
ante plato L, tito N 5 oculis CFP 6
ponit Lm1 figuram supra depictam exhibent P est altera de duabus ipsa
quoque a m1 facta, prior minus dilucida est, nisi quod ad pr . animal add
. sensibile et rationale post post . animal pos., et E,
in quo ordo nominum cato plato cicero est, simillima est in G, sed
extrema pars homo Cicero deest, et in H, nomina tamen
socrates plato cicero sunt; in S uoces mediæ tantum substantia homo
extant, sub uoce homo unum nomen est FVLCO GONCŁ, explicare non
potuimus; figura deest in CFLNR, in F post ponat exemplum est
SVBSTANTIA 8 ad om. H, s. l. Em2 indiuiduum FLN in qua et
E 10 uero ergo H Cato et Cicero, quibus est ipsa præposita,
non differunt specie, sed numero tantum. corporeum uero, quod secundum a
substantia collocatur, et species esse probatur et genus, substantiæ species,
genus animati. at uero animatum genus est animalis, corporei species. est enim
animatum genus sensibilis, animatum uero sensibile animal est; ipsum
igitur animatum propter propriam differentiam, quod est sensibile, recte genus
esse dicitur animalis. animal uero rationalis genus est et rationale mortalis.
cumque rationale mortale nihil sit aliud nisi homo, rationale fit animalis
species, hominis genus. homo uero ipse Platonis, CATONE, CICERONE non
erit, ut dictum est, genus, sed est solum species. nec solum differentiæ
rationalis species est homo, uerum etiam Platonis et CATONE ceterorumque
species appellatur, propter diuersam scilicet causam. nam rationalis idcirco
est species, quoniam rationale per mortale atque inmortale diuiditur, cum
sit homo mortale. idem nero homo species est Platonis atque ceterorum; forma
enim eorum omnium homo erit substantialis atque ultima similitudo est autem
communis omnium regula eas esse species specialissimas quæ supra sola indiuidua
collocantur, ut homo, equus, coruus sed non
auis; auium enim multæ sunt species, sed hæ tantum species esse dicuntur , quorum subiecta ita sibi sunt consimilia, ut
substantialem differentiam habere non possint. in omni autem hac dispositione
priora genera cum inferioribus coniunguntur, ut posteriores efficiant species;
nam 1 Cato tito N et om. P, s. l. Lm2 5
corporis FN enim autem CLSm2 ipsum post
igitur FL s. l. m2, om. EGRS propter præter H 7 quæ
ER 8 post rationale add. est genus R, s. l .
scil. genus L 11 Catonis om. CLN titonis N
ante Ciceronis add . et CFHP 12 species est solum
C 13 catonis et platonis CL platonis titonis N
15 post rationalis add . homo G homo om.
EGLS 17 atque et C eorum enim E erit est
FHNP ante omnium add . et R post
regula add . est EG esse ante eas FNS
s. l. m2, om. EGR 21 enim uero CEGLRS 22 hæc
Gm1NR hee P species om.
E quarum Em2FSm2 sibi om. R disputatione
F iunguntur CLm1 coniungantur m2 efficiunt
Fa.c.Sm1 efficiat m2 ut sit corpus substantia, cum
corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus. item ut sit animatum,
corporeum atque substantia animato copulatur et est animatum substantia
corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria illa superiora
iunguntur nam quod est sensibile, tantum est, quantum substantia corporea
animata retinens sensum, quod totum animal est. item superiora omnia rationi
iuncta efficiunt rationale postremumque hominem superiora omnia nihilo minus
terminant; est enim homo substantia corporea, animata, sensibilis,
rationalis, mortalis nos uero definitionem hominis reddimus dicentes animal
rationale, mortale, in animali scilicet includentes et substantiam et corporeum
et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem speciebus atque generibus ad
hunc modum uel genera diuiduntur uel species describuntur. Quemadmodum
igitur substantia, cum suprema sit, eo quod nihil sit supra eam, genus erat
generalissimum, sic et homo, cum sit species post quam non sit alia species
neque aliquid eorum quæ possunt diuidi, sed solum indiuiduorum indiuiduum enim est 71
Socrates et Plato , species erit
sola et ultima species Porph. Boeth. eadem H idem
ex eidem Lm2 6 retinet CN habens L 7
rationali Pm2 coniuncta HL efficiuntur
Ea.r.GS 8 postremoque CHNP recte? postremum -mo L
uero LS 11 inter mortale et in animali add
. quia animal includit ur in se et substantiam et corporeum et animatum atque
sensibile R 12 atque et H 14 describuntur distribuuntur
FN 15 cum R sed ante breuis
ras. fi quæ cum cett . quæ del. et in mg. scr .
parentesis 5 m2 ; an quæ scribend .? suprema om. S
summa G eo quod et A a.c . nihil nullum N SA
sit om. F, s. l . Λ, est post eam
Λ2 erat RSm1 erit m2F sit
P est cett. codd . edd. Busse; Porph. 5, 2 ήν sic et species
dicitur 212, 15 RS Q, om. cett . et etiam RS ΤΦ, glossa ut uid. ad et in Π alia aliqua
RS; add . inferior ΔΛΠΣ*Ρ Busse, post species Γ, om. RS Φ edd. Porph. 5, 3
aliud R post
diuidi add . in species edd., recte ut uid., etiam Bussio placet;
Porph. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις είδη post indiuiduorum add . species R
20 post Plato add . et hoc album brm, fort. recte;
Porph. 5, 4 xat χοοχι χό λεοχόν solum R
solam S et, ut dictum est, specialissima. quæ uero sunt in
medio, eorum quidem quæ supra ipsa sunt, erunt species, eorum vero quæ post
ipsa sunt, genera. quare hæc quidem habent duas habitudines, eam quæ est ad
superiora, secundum quam species ipsorum esse dicuntur, et eam quæ est ad
posteriora, secundum quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam
habent habitudinem. nam et generalissimum ad ea quidem quæ posteriora sunt,
habet habitudinem, cum genus sit omnium id quod est supremum, eam uero quæ
est ad superiora, non habet, cum sit supremum et primum principium,
specialissimum autem unam habet habitudinem, eam quæ est ad superiora, quorum
est species, eam uero quæ est ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam
indiuiduorum species dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea
continens, species autem superiorum, uelut quæ ab eis contineatur.
ipsa om. R, post sunt Γ species erunt RS;
Porph. 5, 6 είη αν εϊδη 3 uero sunt om.
S, s. l . autem quæ sunt sub se erunt m2 uero autem RSm2
V<]?} fort. recte post ipsa sub ipsis R 4 duas habent ΔΛ2 Busse; Porph. 5, 7 έχει Sio σχέσεις habentes S 7
dicuntur esse R extremæ -me Sm1 h m1 A2 m2 b 8 habent
unam Δ et generalissimum id quod generalissimum est
RS; Porph. 5, 9 το τε γάρ γενιχώτατον 9 habet habet unam Δ 10 genus post omnium R,
post sit S Σ id hic R
ea R 11 post uero add . habitudinem Γ non habet hic om., post
principium add . non habet habitudinem R, add . et ut diximus supra
quod non est aliud superueniens genus edd. cum Porph. 5,12 12
ante specialissimum add . et brm Busse, fort.
recte, om. codd. etiam LPQ Bussii; Porph. 5, 12 «ύ τί> είδιχώτατον δέ specialissimam R T
m1 specialissima S autem etiam brm 13 eam
om. RS 14 posteriora inferiora RS
511, recte ? 15 non diuersam Sm1
edd . quorum diuersam A m1 non
del. uel om . diuersam, Sm2 A m2 et cett. Busse;
Porph. oi% άλλοίαν species dicitur indiuiduorum om. FHN, sed indiuiduorum
om. CT quidem om. Σ, post add. dicitur edd.;
codd. quidam Porph. λέγεται eam N 17 post continens
add. est Σ autem uero L 18 his NR illis
F contineantur CEm2H continetur N Ω sed corr . K m2, ex
-entur II m2 Ex proportione speciei nomen et generis
ostendit. nam ut genus, quoniam non habet genus supra se, generalissimum genus
dicitur, ut substantia, ita species, quoniam non habet sub se speciem, sed
indiuidua, specialissima species dicitur, ut homo. quid est autem species
non habere his præesse quæ neque in dissimilia diuidi possunt, ut genera
diuiduntur, neque in similia secantur, ut species. quæ uero inter genera
generalissima speciesque specialissimas constituta sunt, ea et species et
genera nuncupantur, quoniam et ipsa aliis supponuntur et his alia subiciuntur,
quorum uel in dissimilia uel in similia possit esse partitio. cumque duæ sint
habitudines et quasi comparationes oppositæ, quæ in omnibus generibus
speciebusque uersentur, una quidem quæ ad superiora respiciat, ut specierum, quæ
suis generibus supponuntur, alia uero quæ ad inferiora, ut generum, cum
speciebus propriis præponuntur, generalissima quidem genera unam tantum
retinent habitudinem, eam scilicet quæ inferiora complectitur, illam uero quæ
ad præposita comparatur, non habent. generalissimum enim genus nulli
supponitur. item species specialissima unam possidet habitudinem, per quam
scilicet ad sola genera comparatur, illam uero quæ ad inferiora committitur,
non habet; nullis enim speciebus ipsa præponitur. at uero quæ subalterna sunt
genera, utraque habitudine funguntur. 1 propositione FPm1
et om. N, del. Sm2, etiam FL 2 super F se
om. CN, s, l. Lm2 4 species specialissima FHN 5 speciem
Lm2 post habere add . nisi
ex 2 al. litt. m2 L hoc est N id est R,
inseruit Pm1? 6 possint ESm2 7 ante
neque add . sed P, del. m1?, s. l· Lm2 quæ constituta specialissimæ
constitutæ, cet. om. EGRS ea
et illæ illa L uero
EGLRS 9 et om. FP quoniam quæ EGLm1R subponantur
S 10 subiciantur S pr . uel om. EGR, s. l. Lm2 uel in
similia om. EGRS 11 possint EGLm1S possunt
R paratio Cm1 partitiones EGLa.r.RS cumque comparationes
om. EGRS, in mg. Lm2 duo Cm1 sunt NPa.c. subpositæ
CHm1Lm1N, om. F 13 uersantur EGL 16 una Cm1
retinent ante tantum H retinet R
habent N illam comparatur
21 om. S habet G, m1 in CEH 19 genus enim H
nullis F 23 quæ illa quæ F utramque habitudinem G
nam et illam possident quæ ad superiora respicit, quoniam quæ subalterna
sunt, habent superpositum genus, et illam quæ de inferioribus PREICARE; habent
enim subalterna genera suppositas species, ut corporeum ad substantiam quidem
eam retinet habitudinem qua potest poni sub genere, ad ani matum uero eam qua
potest de specie prædicari specialissimæ uero species licet ipsæ indiuiduis præponantur,
tamen præpositi habitudinem non habebunt, idcirco quoniam illa quæ speciei
ultimæ supponuntur, talia sunt, ut quantum ad substantiam unum quiddam sint non
habentia substantialem differentiam, sed accidentibus efficitur, ut
numero saltem distare uideantur, ut pæne dici possit et pluribus præesse
speciem et quodammodo nulli omnino esse præpositam. nam cum species substantiam
monstret unam, quæ omnium indiuiduorum sub specie positorum substantia sit,
quodammodo nulli præposita est, si ad substantiam quis uelit aspicere. at
si accidentia quis consideret, plures de quibus PREDICARE species fiunt, non
substantiæ diuersitate, sed accidentium multitudine. itaque fit ut genus quidem
semper plurimas sub 1 ad illam et quæ s. l
. ał illud et ał quod L ad om. CGHLPS
quoniam quæ quantum que S 2 post sunt add .
genera P, s. l. Lm2 3 prædicantur Hm1Sm1 4
superpositas Hm1 5 qu * a i er . C poni
potest E 6 quæ EHm1LPN specie speciebus R 7 præponuntur
Hm1Pm1 8 subpositi E habent EP habebit
Gm2 9 ultima EGLm1S ad substantiam substantia F
10 quidem GLm2S non nec FHLm2NP habentia Em2 habentes CEm1GL es
ex al. litt. m2 PS habentem R habent FHN
11 post sed s. l . scii, ex Hm1?
accidentibus del. et s. l . ał accidentalem Hm2 uel al .,
accidentalem, s. l . ał accidentibus Lm1, s. l . Nam
accidentibus m2 saltim Lm2NPR 12 possint
EFGLRS et nec F, m1 in HLN 13 species EGL es in er . em? m2 Pm1RS
esse om. FHN præpositæ EGLRSm2 -tum m1 nam cum præposita est 16 in sup. mg.
Lm2 14 monstraret HPm1 monstrat RS unam, quæ S unaque CFHNP ras. ex -que unam quamque
EGR unam * L 15 substantiæ GLR sit s. l.
ante substantia Pm2, om. EGLR, est S ante quodammodo
add. fit HN, post nulli C, om . est CHN 16 ad om.
EGPRS 17 ac GR prædicatur EGLRS se habeat
species; de differentibus enim specie PREDICARE, differentia uero nisi
pluralitati non conuenit. at uero species etiam uni aliquando indiuiduo præesse
potest. si enim unus, ut perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno
tantum indiuiduo PREDICARE; solis etiam species unum solem intellegitur
habere subiectum. ita nullam multitudinem species per se continet, cum
etiam si unum sit tantum indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus;
quibusdam enim suis quasi similibus partibus præest. ut si æris uirgulam
diuidas, secundum id quod æs dicitur, idem et partes esse intellegitur et
totum. idcirco dictum est speciem, licet sit indiuiduis præposita, unam tamen
habitudinem possidere, unam scilicet qua species est. quoniam enim præpositis
subditur, species nuncupatur, et est superiorum species tamquam subiecta
inferiorum quoque species, idcirco quoniam eorum substantiam monstrat. speciem
uero substantiam nuncupamus, nec ita est species substantia indiuiduorum,
quemadmodum speciei genus; illud enim pars substantiæ est, ut animalis homo reliquæ
enim partes rationale sunt atque mortale, homo uero Socratis atque CICERONE
tota substantia est; nulla enim additur differentia substantialis ad hominem,
ut Socrates fiat aut Cicero, 1 de differentibus enim quod de differentibus
CL 2 ni C 4 est post unus FHP, post
phoenix N 5 solem EGPpr solum cett. codd . bm;
cf. 218. 3. 219, 17 . 7 cum om. S ut CFN tantum
om . ENRS; cf.219,11 post indiuiduum add . unius generis
G 8 tamen om. C perit Sm2, add . sensus et F
9 post uirgulam add . in partes suas suas partes P id est id est om. F æneas particulas particulas om. F, æneas
uirgulas, sed del. L CFHLN, in mg. Pm2 10
intelliguntur H 12 possidet FN unam illam L
eam unam F 13 ante qua s. l . in Sm2
14 nuncupatur nominatur FHN 16 demonstrat CEGLP est om.
S, post species in ras. N, esset F 17 substantia
ia ex ie F ante species FNa.c.RS,
post indiuiduorum C 18 animalis homo EGLm1 homo animalis Sm2P
animal hominis CLm2Sm1 hominis animal FH inis in
ras. m2 et post animal 2 litt. er . NR 19 etenim
R sunt om. EGR post mortale add . adduntur om. N
animali ad diffiniendam substantiam hominis N edd . uero om.
CFGLRS sicut additur animali rationale atque mortale, ut homo
integra definitione claudatur. idcirco igitur species specialissima tantum
species est atque hanc solam possidet habitudinem ad superiora quidem, quoniam
ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam eorum substantiam format et
continet. Determinant ergo generalissimum ita, quod cum genus sit, non est
species, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus,
specialissimum uero, quod cum sit species, non est genus et quod cum sit
species, numquam diuiditur in species et quod de pluribus et
differentibus numero in eo quod quid sit prædicatur. ea uero quæ in medio sunt
extremorum, subalterna uocant genera et species, et unum quodque ipsorum
speciem esse et genus ponunt, ad aliud quidem et ad aliud sumpta. ea uero quæ
sunt ante specialissima usque ad generalissimum ascendentia, et genera dicuntur
et species et subalterna genera, ut Agamemnon Atrides et Pelopides et
Tantalides et ultimum Iouis. Posteaquam naturam generum ac specierum
diuersitatemque monstrauit, eorum ordinem definitionis descriptionisque
commemorat. ac primum quidem generalissimi generis terminum Porph. Boeth.
rationalis atque mortalis N 3 possidet optinet P
6 post determinant add . philosophi C ergo
om. CN enim EGLm1 <t> p.c.; Porph. 5, 17
τοίνον ita om. CGHP, s. l. Em2 A m2 quod quoniam
S 7 sit genus NR et rursus genera ut 17 LRS ii,
om. cett . rursum S 8 erit LRS T est cett.; Porph. 5, 18 οΰχ αν ειη 9 pr . quod quæ S h a.c . post. quod et
quod 10 om. L 10 diuidatur S 11 et et de L
13 uocant Λ2Φ uocantur cett. edd.
Busse;
Porph. χολοΰσι 14 ipso eorum S speciem Brandt species codd. Busse
ponunt A m2 U m2, e coni. scr.
Busse, ponuntur T m1 possunt m2 cum
cett .; species esse potest et genus edd.; Porph. 5, 22
xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος τίθενται 17 post, et om. R ut om. FS 18
et om. CEG pelides F post . et om. C 19 ultimo F 20 Post ** quam
CL diuersitatem GLm1R, -que in ras. E, er. P
inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum genus sit, non habet
superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus, supra quod non erit
aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus, minime ipsum
generalissimum uocaretur. specialissima uero species hoc modo : quod cum
sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex oppositis
describuntur interdum. nam quoniam præpositio opposita est suppositioni, genus
autem præponitur, species uero supponitur, si idcirco erit primum genus, quia
ita superponitur, ut minime supponatur, idcirco erit ultima species, quia
ita supponitur, ut præponi non possit, oppositorum igitur recte ex oppositis
facta est definitio. Est alia rursus descriptio : quod cum sit species, numquam diuidatur in
species, id est genus esse non possit. si enim omne genus specierum genus
est, si quid non diuiditur in species, genus esse non poterit. Est rursus alia
definitio : quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit prædicatur.
de qua definitione sæpe est superius demonstratum. nunc 18 sæpe
superius]11 ss. 203, 11. 205, 4.
1 inducit RSm1 indicit
Em1 indicat GLa.c. dicit CEm2FHLp.c.
NPSm2 inducit dicens brm indicat dicens p
id om. EGRS, s. l. Lm2 3 non om. EGRS, s. l. Lm2
superueniens om. EGRS, s. l. Lm2 si genus om. EGRS, in mg.
sup. Lm2 5 uocetur EGLm1Sm2; post inlatus est locus
219,14 220, 3 quoniam ridere exemplam in EGL, quoniam
irridere sic prædicatur 219,
15 qui locus tamen infra quoque extat in S specialissima idcirco
erit in ras. C post
modo add. describitur edd. 6 opposito opposita
F opposito est H; post add. Quia sicut genus
(genus in mg. F generalissimum est
cui non aliud genus superponitur, ita et species specialissima nuncupatur, cui
alia species non subponitur (superponitur F et utrumque ex opposito dicitur alterius
sicut pater ex opposito dicitur filii F, in inf, mg. cum nota
d(esunt h(æc Hm1? opposita
om. EGR, s. l. Sm2 quoniam om. EN si er. E
sed La.c, Pm2 11 ante ut add. rursus
RS ut præponi non possit ut minime præponatur CFHN (in mg. add.
m2 oppositorum om. EGLRS recte om. C quod Lm1 edd. quæ cett.
ante numquam add. quæ CGHm1, del. m2
diuiditur CLRSm1 est om. C possit posse CFN
potest edd . potest EGLRS Est et FHNS et
om. N illud attendendum est. si, ut paulo superius dictum est,
speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut phoenici atomum suum, ut soli
corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunæ, quorum species singulis suis indiuiduis
superponuntur, qui conuenit dicere speciem esse quæ de pluribus numero
differentibus in eo quod quid sit prædicatur? sunt enim quædam quæ de
numero differentibus minime dicuntur, ut phoenix, sol, luna, mundus. sed de his
illa ratio est de qua etiam superius pauca reddidimus, quæ paululum inflexa
commodissime nodum quæstionis absoluit. | omnia enim quæ sub speciebus
specialissimis sunt, siue infinita sint siue finito numero constituta
siue ad singularitatem deducantur, dum est aliquod indiuiduum, semper species
permanebit neque indiuiduorum deminutione, dum quodlibet unum maneat, species
consumitur. ut enim dictum est, tametsi plura sint indiuidua, substantiales
differentias non habebunt. id uero in genere dici non conuenit, quod his
præest quæ substantiali a se differentia disgregata sunt; præest enim speciebus
quæ diuersis differentiis informantur. 1 paulo superius. superius 215, 2 ss. 1 est
om. G, s. l. Lm1 si, ut sicut FGPSm1 sic La.c.
supra RS 3 suam S solis F mundi FR,
add. hoc inane
spacium s. l. Lm2, post lunæ in mg. et hoc
immane spacium quod uidemus P quorum quæ Lm1 4
indiuiduis om. EGRS post superponuntur add . quod si ita est ut
species de uno quolibet indiuiduo prædicetur (prædicatur P ut de phoenice (phe P P edd. qui
quomodo Hm2LP 6 prædicetur L 8 mundus om. EGRS,
s. l. Lm2 illa his EG ratio est om. EG 9
paulum N inplexa ( uel im- EHm1LP nodum ras.
ex modum EN 10 sub suis EGS in suis R
specialissima GPm1RS 11 sint sunt CHa.c.Lm1R
finita CHm2N 12 deducuntur Lm2R adducuntur P,
add. ut fenix uel sol R aliquid FL semper deminutione
om. EGRS, in mg. Lm2 semper s. l. Pm1?, post species N, om. L (m2 13 deminutione C diminutione cett.
dum om. S si EGLm1R 14 ante consumitur
add. non EGL del. m2 RS ut quod EGLRS
15 tamenetsi G tamen si RS sunt F ante
substantiales add. si G, s. l. Sm2, ras. in E 16 id
uero om. EG quod L idcirco id R id circo
Sm1, circo del. m2 ante speciebus s. l.
genus E si igitur earum una perierit et ad unitatem speciei
reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia de differentibus specie prædicatur.
non ita in speciebus. si enim omnium indiuiduorum natura consumpta sit et ad
unius singularitatem indiuidui superpositæ speciei prædicatio peruenerit, est
tamen species ac permanet. talia enim sunt illa quæ pereunt ac desunt, quale
est id quod permansit et subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero
differentibus speciem prædicari, duobus id recte explicabitur modis, uno
quidem, quia multo plures sunt species quæ de numerosis indiuiduis prædicantur,
quam hæ quibus unum tantum indiuiduum uidetur esse suppositum, dehinc hoc, quia
multa secundum potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis
homo dicitur, etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur
species de numero differentibus prædicatur; nihilo enim minus phoenix de
pluribus phoenicibus PREDICARE, si plures essent, quam nunc, quando unus esse
perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at
si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus
solibus indiuiduis nomen solis quam de hoc uno prædicabitur. idcirco
igitur species de pluribus numero differentibus dicitur prædicari, cum sint
aliquæ quæ de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quæ subalterna
uocantur ita definiri queunt : subalternum 1 eorum EFGLm1RS
redacta EGLPm2RS edd. 2 de om. E 3 si enim nam si
EGLRS 5 suppositæ LNR superposita S uenerit
EGLRS 6 alia EGLa.c.RS ante sunt s. l. non E 7 quale quam
EGLa.c.RS et ac CFHNP 8 de numero pluribus Ca.c.
numero de pluribus p.c. 9 excusatur EGLRS quidem
uno EG multo om. FN, s. l. H 11 hæ om. ER
hee C eæ H ea N ante quibus
add. e CR, er. uid. E tantum om. S suppositum
esse RS 12 dehinc deinde EGLRS hoc om. FHNS
13 semper om. CFH 14 etiamsi prædicatur om. F de loco
quoniam ridere eqs. in EGLS cf. ad 217, 5 igitur etiam
E 15 nihil EGLPRS 16 phoenicibus om. F 17 ita a
in ras. m2 E hoc om. S, post uno F 18 ac
EGR ante animo s. l. in Pm2 19 cogitationes
Ca.c.F ante de add. enim EG 20 prædicatur
EGLRS 22 appellantur FHN genus est quod et genus esse
poterit et species, ad eumque modum est ut in familiis, quæ procreant et
procreantur, ut etiam subiectum monstrat exemplum : ut Agamemnon Atrides et
Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam
eiusdem species quasi Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et
Tantalides, cum Pelops ad Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi
species itemque Tantalus ad Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse
uideantur, cum Iuppiter ueluti sit horum generalissimum genus. Sed
in familiis quidem plerumque ad unum reducuntur principium, uerbi gratia ad
Iouem, in generibus autem et speciebus non se sic habet. neque enim est commune
unum genus omnium ens nec omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus,
quem admodum dicit Aristoteles. sed sint posita, quemadPorph. Boeth.
Aristoteles Metaph. II, 3, 998 b, 22. 1 et om. RS et
genus om. EG ad ut CG ut om. Hm2 ad eumque et ad eum N modum sunt ut
Hm1N ad eumque eum que
* L eundem Pm2
modum qui s. l. Lm2, part. in ras. Pm2 est s. l.
Pm2 LP ad eum modum qui est EFR ad eum eum del. m2, post que eu
er. modum, in ras. quæ est m2 S 4 et Tantalides Iouis Lm2Pm2 om. et
Tantalides R edd., post
species 5 Lm1S, om. cett. 5 quasi quæ si Sm1, del. m2, ante
add. et F, s. l. Pm2, est R Agamemnonis tamen
his is R EGLm1R tamen
non his Sm1, del. m2 genus est del. Sm2 est om. P
ante Pelopides add. non E atrides non non del. m2 L 7 comparatus s in ras. m2 H comparatur cõ-
cett Tantalusque ut tantalus quæ G idemque CP idem N Atreum creontum EG creontem Lm1 tareontum S tamquam
quasi EGLR quæ S uelut HP 11
reducuntur ante ad N, post reducuntur add.
omnes L, s. l. Pm2; reducunt coni. Busse; cf. 224, 19
reduci; Porph. 6, 3 άναγουοι 12 ad om. EGRS A 13 speciebus in
speciebus R sic se ΝΣ habetur EG
neque dicerentur 221, 5 RS Q, om. cett.
enim om. R 14 neque Busse 15 sunt generis Γ 16 sunt \ m2 2 ; Porph. 6, 6
χείοθ·ω quemadmodum om. S, add. dictum
est edd., idem post Prædicamentis h m2 W m2; om. Porph. 6,
7 modum in PREDICAMENTI, prima X genera quasi prima X principia;
uel si omnia quis entia vocet, æquiuoce, inquit, nuncupabit, non uniuoce si
enim unum esset commune omnium genus ens, uniuoce entia dicerentur; cum
uero X sint prima, communio secundum nomen est solum, non etiam secundum
rationem, quæ secundum nomen est. Cum de subalternis generibus diceret,
familiæ cuiusdam posuit exemplum, quæ ab Agamemnone peruenit ad Iouem,
quem quidem pro numinis reuerentia ultimum posuit. quantum enim ad ueteres
theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum, Saturnus ad Cælum, Cælus uero ad
antiquissimum Ophionem ducitur, cuius Ophionis nullum principium est. ne igitur
quod in familiis est, id in rebus quoque esse credatur, ut res omnes
possint ad unum sui nominis redire principium, idcirco determinat hoc in
generibus ac speciebus esse non posse; neque enim sicut familiæ cuiuslibet, ita
etiam omnium rerum unum esse principium potest. fuere enim qui hac opinione
tenerentur, ut rerum omnium quæ sunt unum putarent esse genus quod ens
nuncupant, | tractum ab eo quod dicimus ‘est’; omnia enim inquit sententia,
non uerba Aristotelis. 1
quasi in ras. Σ sic A m1 sicut
Ψ 2 prima om. Γ, post decem Π 2
uocat A m1 II 3 nuncupauit S, in ras. ex -bit
Γ 4 genus omnium Busse entia uniuoce R post
uniuoce add. omnia edd. cum Porph. πάντα
uero autem Γ enim ΔΔΣΦ ; Porph. δέ sunt
FH prima principia Lm1 prima genera m2P
genera s. l. m2 , prima principia N ΓΣ 7 ante
rationem ante nomen E
add. definitionis uel
diff- ELRS Q, om. Porph. 6, 11 quam E post
est add . solum CHN 8 Cum Quoniam CLm1NS
Quoniam del. m2 cum H dicens CLm1N
dicit in ras. S cuius Pm1 cuiusque F
eiusdem R ponit
Sm2 ab om. F, s. l. Gm2
nominis EGLS nomini R 11 ad ueteres aduertere
Sm1 aduertisse CEFGLm2P aduertit se R referantur
Hm1N 12 cælium uel ce
LPm2RS zethum F zechum N Cælus Hm2 cælius
uel ce LPm2Sm2 celium R cælum CEGHm1Pm1Sm1
zetus F zehus N othionem F sed ophionis 14 esse Pm2 est m1 quoque FHNP ante sui exters. uid.
proprii E 17 familia H 19 ut et Fa.c.S ut
et N 20 est esse S sunt et de omnibus esse PREDICARE
itaque et I SBVBSTANTIA est et II QVALITAS est itemque III QVANTITAS ceteraque
esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur, nisi hæc quæ PREDICAMENTI
dicuntur, esse constaret. quæ cum ita sint, ultimum omnium genus ens esse
posuerunt, scilicet quod de omnibus PREDICARE ab eo autem quod dicimus est
participium inflectentes Græco quidem sermone Sv Latine ens
appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus rerum cognitor reclamat huic
sententiæ nec ad unum res omnes putat duci posse primordium, sed X esse genera
in rebus, quæ cum a semet ipsis diversa sint, tum ad nullum commune
principium reducantur. hæc autem X genera statuit I SVBSTANTIA II QVALITAS III
QVANTITAS IV AD ALIQVID V VBI VI QVANDO VII SITVM VIII FACERE IX PATI X HABERE quod
uero occurrebat quoniam de his omnibus esse PREDICARE omnia
enim quæ superius enumerata sunt genera, esse dicuntur, ita discussit ac
reppulit dicens non omne commune nomen communem etiam formare substantiam nec
ex eo debere genus esse commune arbitrari, quod de aliquibus nomen commune PREDICARE
quibus enim definitio communis nominis convenit, illa communis nominis iure
species iudicabuntur et communi illo vocabulo uniuoce PREDICARE quibus
uero non convenit, vox his communis tantum est, nulla uero substantia. id autem
manifestius declaratur exemplis hoc modo. animal hominis atque equi genus esse PREDICARE;
demus igitur 1 post. et om. EGRS, s. l. Lm2 2 cetera C
3 de in GLm1RS 5 esse om. EGRS, s. l. Lm2 6 autem
s. l. L enim C est esse FS principium EG,
m1 in LPS inflectentes post quidem N quidem ante Græco R
ante sermone add. de P, s. l. L post Latine add.
autem FHN, s. l. Pm2 prudentissimus FNP rerum principiorum
EGLm1Pm1RS 9 omnes ante res C, om. EGRS, s. l.
Lm2 dici FGm1Pm2 10 ad FHNRm1 ipso Em1GPm1S
ipsa FHN ipsos Rm1 sunt CLm1R edd. 11
reducuntur EFGLm2RPm1S 15 numerata CEGL
innumerata S repulit CEFHRP 17 eo debere eodem uere e
re add. S EGSm1 18 post arbitrari
add. debet E 19 prædicatur E prædicetur
FHNP nominis communis FN 22 his uox FHNP manifestis
FLp.c. prædicatur S dicamus CHN animalis
definitionem, quæ est substantia animata sensibilis; hanc si ad hominem
reducamus, erit homo substantia animata sensibilis, nec ulla falsitate
definitio maculatur. rursus si ad equum, erit equus substantia animata
sensibilis; id quoque uerum est. conuenit igitur hæc definitio et
animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo atque homini, quæ
species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus utraque animalia
uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque uiuum communi
animalis nomine nuncu pauerit, definiat si libet animal hoc modo, substantiam
animatam esse atque sensibilem. sed hæc definitio ei quidem homini qui uiuus
est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque enim est animata
substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis nominis definitio,
id est animalis, non potest conuenire, non est animal commune genus, sed
tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in uiuo homine atque
picto non genus, sed uox plura significans; uox autem plura significans æquiuoca
nuncupatur, sicut uox ea quæ genus ostendit, uniuoca dicitur. itaque id
quod dicitur ens, etsi de omnibus dicitur PREDICAMENTI quoniam tamen
nulla eius definitio inueniri potest quæ omnibus PREDICAMENTI possit aptari,
idcirco non dicitur uniuoce de prædicamentis, id est ut genus, sed æquiuoce, id
est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac quoque ratione id
quod dicimus, ens PREDICAMENTI genus esse non posse. 2 hanc uel hanc
E 3 facultate Em1 4 equus equi CFPm2 5 definitio
uel diff- hæc FHN homini et homini CNP atque et,
FHNPR eidem CEm2FH a.r.NPR
idem Em1GHp.r.Lm1S eadem Lm2brm ea eidem p
animalis EGLa.c. una uoce E nuncupantur C
nominentur FHN 9 uiuum uerum EGLm1PRS 10 si libet scilicet
CHm1N animal om. E
uero FHP, om. S, quidem
cett. 13 est post substantia LP 16 dicitur quæ
Em1Sm1 dicitur quod LSm2 dicitur quia CFN 17
genus genus est FN uox significans om. CEGP, s.
l. Lm2Sm2 18 autem enim RS ante æquiuoca add. quæ
CEGP nuncupantur GS 19 ita ELm1 23 id est
om. CFN ut genus om. F 24 quoque om. N
unius enim rei duo genera esse non possunt, nisi alterum alteri
subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum animal animato
uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita æqualia, ut numquam
alterum alteri supponatur, hæc utraque eiusdem speciei genera esse non possunt.
ens igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim unius dicere
possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod dicimus ens, unum
est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species sibi minime
conuertuntur. si igitur PREDICARE ens de omnibus PREDICAMENTI PREDICARE etiam
unum. nam I SBVSTANTIA unum est, II QVALITAS unum est, III QVANTITAS unum est
ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus PREDICARE, omnium
genus erit, et unum, quoniam de omnibus PREDICARE, erit omnium genus. sed unum
atque ens, ut demonstratum est, minime alterum alteri præponitur; duo
igitur æqualia singulorum PREDICAMENTI genera sunt, quod fieri non potest. cum
hæc igitur ita sint, id Porphyrius determinauit dicens non ita in rebus, ut in
familiis omnia ad unum principium posse reduci nec omnium rerum commune esse
genus posse, ut Aristoteli placet; sed sint posita, inquit, quemadmodum in PREDICAMENTI
dictum est, prima X ge|nera quasi X prima principia, scilicet ut nulla interim
ratio perquiratur, sed auctoritati Aristotelis concedentes hæc decem genera
nulli 3 ac R sint post æqualia pos. RS,
repet. FL s. l. m2 P 4 sibimetque
quæ F FLm2Pm1 ita s. l. Lm2 5 ante hæc
add . æqua C, sed del . eidem Pm2 eius
S neutris Em1 8 pr . unum post nec, om
. post
ens H dicitur om. S dicimus Rbrm 13 esse ens
Lm2P post omnibus add . his CP, in mg. Hm2, add .
prædicamentis s. l. m2 his L post erit add .
ens CHN et unum omnium genus om. R 15 sed si in
ras. Em2 ut om. FH præponi FH 17 hoc Ea.c. edd.
sit edd . 19 deduci LS duci Em1 genus ante
esse CFN, post posse S poterit F 21 sint FHm1 sunt cett . 23 prima
om. N, post principia R ut om. EGS 24
auctoritate Em1Hm1 ad auctoritatem FN accedentes
CFNS alii generi esse credamus subiecta, quæ si quis entia
nuncupat, æquiuoce nuncupabit, non uniuoce; neque enim una eorum omnium
secundum commune nomen definitio poterit adhiberi. quæ res facit, ut non
uniuoce de his aliquid PREDICARE si enim uniuoce PREDICARE genus esset
eorum commune nomen quod de omnibus PREDICARE; at si genus esset, definitio
generis conueniret in species. quod quia non fit, commune his id quod dicimus
ens, uocabulum est uocis significatione, non ratione substantiæ X quidem
generalissima sunt, specialissima uero in numero quidem quodam sunt, non tamen
infinito, indiuidua autem quæ sunt post specialissima, infinita sunt.
quapropter usque ad specialissima a generalissimis descendentem iubet Plato
quiescere, descendere autem per media diuidentem specificis differentiis;
infinita, inquit, relinquenda sunt; neque enim horum posse fieri
disciplinam. Porph. Boeth. Plato Phileb. 16 C. Polit, 262 A C. Sophist.
266 A. B adfert Busse. 1 entia nuncupat ERS -pet, etiam entia nuncupat
N ab ens entia nuncupat -pet Lm2 CGL etiam nuncupat
nuncupat post ens P ab
ens entia HP entia nuncupat ens F 2 nuncupabit -uit FHN
post uniuoce FHNP, nuntiauit S unam definitionem uel diff- poterit adhibere
FHN 3 nomen ex non Em2G 5 esse Hm1, add .
ens s. l . L, ante esset P eorum om. CN,
post commune L 6 nomen in mg. Hm2, del.
Lm2 ens CHin mg. Lm2
s. l. ante eorum N 7 conuenerit Em1 8
his om. GS 10 sunt om. S 11 in numero om . Δ quodam quædam Pm1 sunt om., post
indiuidua add . est S tam C infinito Fp. c . finito a.c . Hm2S TNtt p.c
. Φ in infinito Hm1N W a.c . indefinito
C ras. ex -tio EGL a.c . in
indefinito et ał definito corr. m1 PR kIPV
in er . 12 indiuidua quiescere LRS Q, om. cett . 13 sunt
infinita LRS Busse; cf. 226, 22 a om. R 15
ante descendere post usque cf. ad 178, 14 add. ad
id CHP diuidentem per media Γ 16 ante infinita add . indiuidua uero Δ, sed del., post add . uero ΓΦ 17 enim s. l. L, del . Γ horum N ii ante add . et ΛΦ, er. uid . Γ, post add .
indiuiduorum Γ eorum cett.; Porph. 6, 16 τούτων disciplina Cm1 Quoniam specierum nosse naturam
ad sectionem generum pertinet quoniamque scientia infinita esse non potest nullus
enim intellectus infinita circumdat ,
idcirco de multitudine generum, specierum atque indiuiduorum rectissima ratione
persequitur dicens supremorum generum numerum notum enim X PREDICAMENTI ab Aristotele esse
reperta quæ rebus omnibus generis loco præferenda sint , species uero multo plures esse quam genera.
nam cum decem suprema sint genera cumque uni generi non una, sed multæ species
supponantur proximæque species supremis generibus subalterna sint genera
usque dum ad ultimas species descendatur, nimirum unius generis multas species
esse necesse est utrobique diffusas, specialissimas uero multo plures esse quam
subalterna, quoniam per multitudinem generum subalternorum ad specialissimas
descenditur species. quas multo plures esse quam genera subalterna hoc
maxime ostenditur, quod inferiores sunt; semper enim genera in plura subiecta
diuiduntur. decem uero generum species multo plures quam unius existere
manifestum est, uerum tamen etsi plures sunt, certo tamen numero continentur;
quem facile si quis discutiat omniumque generum species persequatur,
possit agnoscere. indiuidua uero quæ sub una quaque sunt specie, infinita sunt
uel quod tam multa 1 generis EGLRS, recte? 2 scienti
GRS scienti alicui Lm2 5 supremorum supra horum EG, m1 in LPS
ante numerum add . esse FHNP, post notum L
6 post reperta s. l . commemorat Em2 7
generis om. R, post loco L, generum S sunt
CFH ras. corr. NPRSm2 8 nam cum genera om. EGRS 9
sunt FLP ras. corr. 11 sint post genera C
sunt F 13 subalternas FH s in ras. m2 N, ante
sub. add . genera PS, s. l. Lm2 16
hoc in hoc F inferiora FHm1Lm2NP 17 semper enim genera FHN semper si genera Cm1
semper enim subalterna genera subalterna P Cm2 part. in mg.
P et semper subalterna genera RS et om. G semper
subalterna EGL plurima N 18 generis G unius
generis unius R species unius generis Lm1 19 sint
L compræhenduntur L prosequatur NR 22 species
G specie ante sunt FHLNR tam FHN ea EGLPRS tam ea
C sunt diuersisque locis posita, ut scientia numeroque includi
comprehendique non possint, uel quod in generatione et corruptione posita nunc
quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque idcirco suprema quidem genera
et subalterna et species eas quæ specialissimæ nuncupantur, quoniam finitæ
sunt numero, potest scientiæ terminus includere, indiuidua uero nullo modo.
idcirco igitur Plato a magis generibus usque ad magis species id est
specialissimas præcipiebat facere sectionem; per ea enim quæ finita essent
numero, iubebat descen dere diuidentem, ubi autem ad indiuidua ueniretur,
standum esse suadebat, ne, quod natura non ferret, infinita colligeret. ita
uero genera in species diuidi comprobabat, ut specificis differentiis
soluerentur. de specificis autem differentiis melius in eo titulo ubi de
differentia disputatur, ac largius disseremus. hic enim hoc tantum
dixisse sufficiat, eas esse specificas differentias quibus species informantur,
ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus animal, rationali atque
inrationali, mortali inmortalique separamus. hoc ergo ceteraque genera talibus
differentiis quæ subiectas species informent, Plato censuit esse
diuidenda usque dum ad specialissima 13 de specificis disputatur lib. IV c. 8. 1
sint EFGHp.r . ex sunt
LPRS numeroque FHN in
unum EGLm1 numero m2 RS numeroque in unum
CP concludi LS 3 uero ex quidem uero P
recepit Brandt, quidem CEGLRS, om. FHN; cf. 223, 12 5 easque om . quæ, LR specialissime
GS 7 igitur om. C magis a EGLPRS usque ad magis
species FHN magis om. C quam
a speciebus cett . 8 id est e ut uid. er. C specialissimas CFHN a
add. L specialissimis
cett.; cf. 225, 13 9 essent sunt FN 10 diuidentem diuisionem
EGHm1 diuisorem m2 Lm1PRS 11 nec HN 12
comprobat ELm1 probabat m2 R ut et
soluerentur om . EGPm1 s. l. m2 RS post ut add . in edd . 13
autem om. EGLPm1 uero m2 RS 14 de om.
FG differentiis CS a.c . 16 rationabile E uel om.
ERS et Lm1 17 ante rationali et
inrationali add . in Em2 rationale atque inrationale uel irr- EGN p.c.RS 18
mortali om . N
mortale EGLPS inmortaleque EGNp.c.PRS ; mortale sic
ac s. l. inmortali L 18 hoc ergo add. Brandt,
cetera <quo>que Engelbrecht separabimus FHN
separauimus R 19 informant Fa.c.Lm1NR ueniretur,
dehinc consistere nec infinita sequi, quoniam indiuiduorum numquam esset nec
disciplina nec numerus. Descendentibus igitur ad specialissima necesse est
diuidentem per multitudinem ire, ascendentibus uero ad generalissima necesse
est colligere multitudinem. collectiuum enim multorum in unam naturam species
est et magis id quod genus est, particularia uero et singularia e contrario in
multitudinem semper diuidunt quod unum est; participatione enim speciei plures
homines unus, particularibus autem unus et communis plures; diuisiuum est
enim semper quod singulare est, collectiuum autem et adunatiuum quod commune
est. Diuidere est in multitudinem quod unum fuerat ante dissoluere,
omnisque diuisio e contrario compositionem coniunctionemque meditatur. quod
enim, cum sit unum, dispertiendo diuiditur, id ipsum ex pluribus rursus
partibus adunando componitur ut igitur superius dictum est, indiuiduorum quidem
similitudinem species colligunt, specierum uero genera : similitudo uero nihil
est aliud nisi quædam unitas qualitatis. ergo substantialem similitudinem
indiuiduorum species colligere manifestum est, substantialem uero similitudinem
specierum genera contrahunt et ad se ipsa reducunt. rursus Porph. Boeth. 32, 1 8. 9
participatione 11 plures Abælardus, Theolog. christ., II 486 ed. Cousin. 18
superius 166, 8 ss. 3 ante igitur add . illis L
necesse singulare est om. N 4 ire ante per L
T ascendentibus plures 11 Ω, om. cett . 6 post multitudinem excidisse
in unum coni. Busse cum
Porph. 6, 18 e’:; εν , add. edd . 8 e contrario semper Γ edd. cum Porph. 6, 20 semper in
multitudinem e contrario cett. codd. Busse 9 est unum Φ 10 unus, unus autem et communis particularibus
plures Abælard . 11 commune P a.c . communes Φ enim post est FS Φ, om. CELR, ante est cett . 12
est om. E 14 est enim C est enim L in
om. G, s. l. Lm2 15 post dissoluere add .
est C 17 plurimis F 19 uero ergo CEGLm1RS
20 nisi ni C generis adunationem differentiæ in species
distribuunt, specieique adunationem in singulares indiuiduasque personas
accidentia partiuntur. cum igitur hæc ita sint, necesse est semper cum a genere
descendis ad speciem, diuidendo semper facere multitudinem, cum uero ab
speciebus ascendis ad genera, componendo colligere et plura quæ in specierum
differentiis fuerant similitudine qualitatis adunare. in speciebus etiam idem
considerari potest. ut enim ipsæ indiuidua, quæ sunt infinita, una similitudine
substantiali colligunt. ita indiuidua speciem propria infinitate
distribuunt. omnia enim indiuidua disgregatiua sunt et diuisiua, species uero
et genera collectiua, species quidem indiuiduorum collectiua atque adunatiua,
specierum uero genera, ut ita dicendum sit : genus quidem species distribuunt
et species ab indiuiduis in multitudinem deducuntur, rursus autem genus quidem
multas species colligit, species autem particularem singularemque multitudinem
ad singularitatis deducit unitatem. igitur plus genus adunatiuum est quam
species. species namque sola indiuidua colligit, genus uero tam species quam
ipsarum quoque specierum indiuiduas contrahit singularesque personas. sed in
hoc conuenienti utitur exemplo dicens quoniam participatione speciei, id est
hominis, CATONE, Plato et CICERONE pluresque reliqui homines unus, id est milia
hominum 1 post generis s. l . ergo E
species specie G speciem Lm1 2 ante indiuiduasque
s. l . in Hm2 3 hæc igitur LNP 4 species
ELm2R 5 a ELS ad
tamen speciebus G 6 et om. EGLPRS
plures EFGLPm1RS quæ ante fuerant EGLPRS 7
fuerint S similitudinum -nem Pm2 qualitates
ex -tis Pm2 EFGLPRS ante adunare add . et
EGLPR 8 poterit Lm2 ante ipsæ add . species N,
post in mg. Cm1? ipsæ Cm2H
ipsa cett . 9 unam similitudinem substantialem EFGLRS 10
propriam infinite uel -tæ, -tate H
EGHLPRS 12 post adunatiua add . est
CGH in mg. m1? Lm2 NPm2 13 specierum uero genera s. l.
Hm2 14 distribuit EGRS 15 ducuntur EGHN 17
ducit HN 19 cum species tum N 20 indiuidua
EGHLPRS 21 participationi G post unus add . est
Hm2 in eo quod sunt homines, unus homo est; at uero unus homo, qui
specialis est, si ad hominum multitudinem qui sub ipso sunt consideretur,
plures fiunt. ita et plures homines in speciali homine unus est et specialis
unus in pluribus infinitus. sic igitur quod singulare quidem est, diuisiuum
est, quod uero commune, quoniam multorum unum est, ut genus ac species,
collectiuum atque adunatiuum. Adsignato autem genere et specie,
quid est utrumque, et genere quidem uno, speciebus uero pluribus semper
enim in plures species diuisio generisest, genus quidem semper de specie PREDICARE
et omnia superiora de inferioribus, species autem neque de proximo sibi genere
neque de superioribus; neque enim conuertitur. oportet autem aut æqua de æquis
prædicari, ut hinnibile de equo, aut maiora de minoribus, ut animal de
homine, minora uero de maioribus minime; neque enim animal dices esse hominem,
quemadmodum hominem dices esse animal. de quibus autem species præ Porph.
Boeth. est. ut et 3 fiunt, ita r 2 pr . qui quamuis
FNm1 post . quæ EPR 3 et ut Cm1 4 unus est unum est
ał hæc del. m2 unus est C post . unus unus est LS
infinitis CLm1 diffinitus R 5 quidem om. FN
diuisum Em1 diuisuum N quod quia quod, s. l .
est G 6 uero commune FS commune uero Cm1 post uero add . est m2
HN commune est uero LPm2R commune est numero
EGPm1 ac et R ad Em2GLPm1 8 Assignati
Pm1 quid est FHPm2 \ m1
quide CNRS quid sit Π m2 xV edd . quod
est cett. Busse; cf . sunt 236, 14 9 utrumque uno CEGHPm1 quidem ex
quodem RS h m2 W m2 xP utrumqæ quodque sit genus unum unum
genus N FN et m1 AZΦ utrumque et et om
. L Π cum cumque Π sit genus
unum LPm2 il m1 utrumque unum Γ species uero plurimæ FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ; ad utrumque pluribus cf. Porph. 7, 1 11 genus indiuiduis 231, 16 RS Q,
om. cett . speciebus R 14 autem Porph. 7, 4 γάρ 15 aut RS edd., om . Ω Busse; Porph. ή æquis æquo R ignibile R 17 uero autem S
post minime add . prædicantur Γ utroque loco dices RS dicis Ω edd. Busse; Porph. ειποις άν dicatur, de his
necessario et speciei genus PREDICARE et generis genus usque ad generalissimum;
si enim uerum est Socratem hominem dicere, hominem autem animal, animal uero
substantiam,| uerum est et Socratem animal dicere atque substantiam.
semper igitur superioribus de inferioribus prædicatis species quidem de
indiuiduo PREDICARE, genus autem et de specie et de indiuiduo, generalissimum
autem et de genere et de generibus, si plura sint media et subalterna, et
de specie et de indiuiduo. dicitur enim generalissimum quidem de omnibus sub se
generibus speciebusque et de indiuiduis, genus autem quod ante specialissimum
est, de omnibus specialissimis et de indiuiduis, solum autem species de
omnibus indiuiduis, indiuiduum autem de uno solo particulari. indiuiduum autem
dicitur Socrates et hoc album et hic ueniens, ut Sophronisci filius, si solus
ei sit Socrates filius. Breuiter quæcumque superius dicta sunt commemorat hoc
modo. cum, inquit, adsignauerimus quid sit genus et quid species, cumque suis
ea definitionibus comprehenderimus docuerimusque unum genus semper in plurimas
species solui, 2 generalissima Sm2 specialissimum m1
ΓΛΛ 3 enim autem S 4 autem uero Λ uero autem Δ 5 et Socratem animal A m2 A m2 om . et, Ψ hominem et et om, AA animal Α m1 Α m1 Φ et hominem animal RS Σ et om
. II socratem et et om
. Γ hominem del . Γ m2 et om. T
animal ΓΠ ; cf. Porph. 7, 11
6 igitur RS enim Ω ; Porph. οΰν superioribus superiora RS TA a.c . 7 prædicantur
RS VA a.c . species et species R indiuiduo cod. Q. Bussii brm indiuiduis RS
Q ante add. eius Σ ; Porph,. 7, 13 τοΰ άτο’μοο 10 sunt RS m2 p.c
subalterna de subalternis A 11 enim autem S 13 et
de om. R de om. S 14 de Ω cum Porph. 7,
17 et de RS 15 pr . de om. S post . de et
de R 17 autem enim N TAΛΣ ; Porph. 7, 19
ie 18 album aliud T m1 et illud m2 A
m1 ut et Ν ΤΑ m2 ΑΣ 19 socrates sit
CEGLPRS; Porph. εΤη Σινγ,ράτης 20 quæ FHN 21 et om. R
illud, inquit, adiungimus quoniam omnia superiora de inferioribus prædicantur,
inferiora uero de superioribus minime. et ea quæ sunt utilia de PREDICAZIONE modo
rite pertractat. ostendit autem genus in plurimas species semper solui
adsignata generis definitione. quod enim de pluribus rebus specie
iffdiertenbus in eo quod quid sit prædicaretur, esse definiuit genus. nihil
autem sunt plurimæ res specie differentes nisi plurimæ species; de quibus autem
prædicatur genus, in ea ipsa dissoluitur. ostensum est igitur ex definitionis
adsignatione unius generis esse species plures. quæ cum ita sint, genus
quidem de specie PREDICARE, species uero de indiuiduis omniaque superiora de
inferioribus, inferiora de superioribus nullo modo. id quare eueniat paucis
absoluam. quæ superiora sunt, substantialiter ea genera esse prædiximus, qua
uero sunt genera, ampliora sunt quam una quæque species. neque enim in
plurima diuideretur genus, nisi ab una quaque specie maius existeret. id cum
ita sit, nomen generis toti conuenit speciei; non enim coæquatur solum speciei
generis magnitudo, uerum etiam speciem superuadit. idcirco igitur omnis homo
animal est, quoniam intra animalis uocabulum et homo et cetera
continentur. at uero nullus dixerit : omne animal homo est; non enim peruenit
ad totum animal hominis nomen, quia, cum sit minus, nullo modo generis uocabulo
coæquatur. itaque quæ maiora sunt, de minoribus PREDICARE, quæ minora, non
conuertuntur, ut de maioribus prædicentur. at uero si qua sint æqualia,
ea secundum naturæ parilitatem conuerti necesse est, ut hinnibile atque equus,
quoniam ita sibimet 1 quoniam quod S 2 uero om.
ES 4 ante genus add. unum FHNPR, in mg. Cm2, recte?
5 definitio uel diff-
Ea.c.GLPm1S 6 esse et esse R definiuit designauit
Sm1 10 ante esse add . semper FHNP 13 id
cur HN idcirco F ea add. Em2 quæ
L s. l. illa PS
15 quaque E quoque S 17 toti totum non R
post enim repet . non R 21 cetera cicero F
cetera animalia G 23 itemque Lm1S 24 post post.
quæ s. l . uero Hm2 26 sunt FHLN paritatem
EGLp.c.RS 27 ignibile R ita si ita H coæquantur,
ut neque equus non sit hinnibilis neque quod sit hinnibile, non sit equus. fit
ergo ut omne hinnibile equus sit et omnis equus hinnibilis. quæ cum ita sint,
ea quæ superiora sunt, non modo de sibi proximis inferioribus PREDICARE, uerum
etiam de inferiorum inferioribus. nam si illud recipitur, ut ea quæ superiora
sunt, de inferioribus PREDICARE, inferiorum inferiora superioribus multo magis
inferiora sunt, uelut substantia prædicatur de animali, quod est inferius; sed
animali inferius est homo, PREDICARE igitur etiam substantia de homine.
rursus Socrates inferius est homine, prædicabitur igitur substantia de Socrate.
itaque species quidem de indiuiduis PREDICARE, genera uero et de speciebus et
de indiuiduis. quod conuerti non potest; nam neque indiuidua de speciebus aut
generibus præ dicantur nec species de generibus. ita fit ut genus quod est
generalissimum, de omnibus subalternis generibus prædicari et de speciebus et
de indiuiduis possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id est quod ante
specialissimas species collocatur et de solis speciebus specialissimis dici
potest, species uero de indiuiduis, ut dictum est, indiuidua autem de singulis
prædicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime sunt 1 non om. brm
post sit si R add . nisi CH s. l. m2 LNPS
ni R inhinnibilis EG nec FN quid CF
2 pr . sit om. S post . sit est CEGLm1RS ; non sit om.
brm; post add . nisi CLNPRS, s. l. Hm2 ergo om. H
enim F sit equus FHNP 3 hinnibile N, post
hinn. add . sit
L, ante P 4 sunt om. S, ante superiora EGP
sibi om. H 5 si om. S, s. l. Hm1? 8 uelut om. LS
ut C 9 pr . est s. l. Lm2 post . est
s. l. Gm2 prædicatur CELm2RS 10 etiam om. FG
11 ante de add. et EGLR ita R de
speciebus hic desinit cod. F 14
aut ac R 15 itaque CHNP quod est quidem CP
quidem est R 16 post prædicari add . potest
L s. l. m1 possit m2 N 17 possit om. N
potest L post ipso add . uero HNPR, s. l. Cm2Lm2
uero autem L id est CHm2NS id est autem est Hm1
id autem est EGLa.c. id est autem ut uid. p.c . RP
ante om. EGR, s. l. Pm1? 19 collocat EGR et om.
HN 20 post uero add . quæ post
indiuiduis add . dici potest R autem enim Lm1 21
ea quæ maximæ G 78 indiuidua quæ sub ostensionem |
indicationemque digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quæ ex aliqua
proprie accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem significatione uelit
ostendere, non dicat Socrates, ne sit alius qui forte hoc nomine nuncupetur,
sed dicat Sophronisci filius, si unicus Sophronisco fuit. indiuidua enim
maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi oculorum digito tactuue
monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel nomine proprio, si solus
illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum est unicus filius, uel
ex quolibet alio accidenti singularitas demonstratur, eo quod ad esse
unam prædicationem habeat eiusque dictio non transeat ad alterum, sicut generis
quidem ad species, specierum uero ad indiuidua. Indiuidua ergo dicuntur
huiusmodi, quoniam ex proprietatibus consistit unum quodque eorum, quarum
collectio numquam in alio eadem erit. Socratis enim proprietates numquam in
alio quolibet erunt Porph. Boeth.ostensione EGPS
ostentationem HN indicationeque EGPS
indagationemque N 2 ante hic is ex
hic E add . ut CEGR et L atque quæ Hm2LNP atque EGHm1 atque ea
quæ S eaque quæ CR propria CH proprietate
R 4 qui post forte HP 5 forte ante
alius N 6 Sophronisci LNRS; cf . ei 231, 19 7 quæant
R si uel ex siue Lm2 sensu GL ante add . siue P ras. ex -sui R ipso
Cm1LPm1R tactuque H tactu uel R 8
monstrantur R accidenti significentur uel om. EGR
accidente N ante uel add . id est CH del.
m2 Lm2NP 9 nomine om. EGR, post proprio S
illud om . S, del. Lm2
10 post uel add . si HR, s. l. Lm2 11
demonstretur S eo quod in ras. Cm2 eaque H
que add. m2, post er . quod N ea quæ P; post quod
add . accidentia in mg. Cm2
de s. l. accidenti in con
textu, ał eo quod accidentia in mg. L ad esse unam unam ad
sese C ad sese unam HN ad se unam L s. l. et in
mg . de se a.c. P 12 habeat EGHm2Lp.c.PRS habet
Cm1Hm1La.c.N habeant Cm2L in mg . dictio prædicatio
CNSp.c . transit CHNR 13 species m2 in CH in mg. P, La.c . specierum cett
. 16 quarum pluribus 235, 3 R il, om. cett . quarum Π m2 Ψ quorum cett . in alio
post eadem s. l . \ m2 in alium R, post
alio add . quolibet 2 particularium, hæ uero quæ sunt
hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt eædem in
pluribus, magis autem in omnibus particularibus hominibus in eo quod homines
sunt. Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius nominis rationem conatur
ostendere. ea enim sola diuiduntur quæ pluribus communia sunt; his enim unum
quodque diuiditur quorum est commune quorumque naturam ac similitudinem
continet. illa uero in quæ commune diuiditur, communi natura participant
proprietasque communis rei his quibus communis est conuenit. at uero
indiuiduorum proprietas nulli communis est. Socratis enim proprietas, si fuit
caluus, simus, propenso aluo ceterisque corporis lineamentis aut morum
institutione aut forma uocis, non conueniebat in alterum; hæ enim
proprietates quæ ex accidentibus ei obuenerant eiusque formam figuramque
coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem proprietates in nullum
alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse communes, cuius autem
proprietas nulli communis est, nihil est quod eius proprietate
participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil parti
post particularium add . eædem edd . cum Porph. 7,
24 hæc Δ eæ Φ post hominis s. l .
proprietates Δ dico communis
om. R 2 proprietates er . Λ proprietatis Γ
3 eadem Δ m1 2 pr . in et in Γ post . in et
in ΓΛ m2 Φ omnibus om. S 4 in om . Φ
post sunt add . continentur ex 236, 7 R 6
ostendere conatur C 7 <in> his brm quodque
unum Cm1 quibus EGLPRS edd . 10 participantur R post .
communi om . est Gm1 proprietas
om. E proprietates Gm1 12 caluus, simus caluissimus
EGHm1 caluus uel simus m2 Lm1PR 13 perpenso
ESp.c . albo Em1 caluitio m2 G uentre
N corporis linea del., sed lin. er., s. l . corruptus
Hm2 liniamentis CEG LNPm2S 14 post
institutione add . probatus EP, s. l. Lm2 uocis Cm1EGPRS uocisue sono
Cm2HLm2 uocis uel sonus m1 N conueniebant
EGm1Hm1P hæc G 16 in nullo alio EGHLm1PS cuius conueniunt
om. EGLRS cuius eius P autem uero N itaque
P in nullum eius om. P post eius add . itaque N
igitur L 18 poterant EGL potuerunt ex
poterunt P potuerant R autem om. LS
proprietatem EGLRS proprietate * s er . H 20
proprietatem EGH LPRS nihil nulli Lm2P
participat ER cipet, diuidi in ea quæ non participant, non
potest; recte igitur hæc quorum proprietas in alium non conuenit, indiuidua
nuncupantur. at uero hominis proprietas, id est specialis, conuenit et in
Socratem et in Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus
uenientes in quemlibet alium singularem nulla ratione
conueniunt. Continetur igitur indiuiduum quidem sub specie, species autem
sub genere. totum enim quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero
et totum et pars, sed pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed
aliis; partibus enim totum est. De genere quidem et specie et quid
generalissimum et quid specialissimum et quæ genera eadem et species sunt, quæ
etiam indiuidua, et quot modis genus et species dicitur, sufficienter dictum
est. Hic retractat omnia breuiter quæ supra latius absoluit dicens
indiuiduum ab specie contineri, species uero ipsas a genere, huiusque causam
reddens ait : omne enim genus totum est, indiuiduum pars. totum enim genus in
eo quod genus est, continet, tametsi species esse potest; totum enim non
ut genus species est, sed ut ea quæ supponitur generi. genus igitur in eo quod
genus est, totum est speciebus, semper enim continet eas. at uero indiuiduum
pars semper est, numPorph. Boeth. proprietates Em1NR conueniunt N 4
pr . et om. C secund . in om. S tert . in om. HNP 5
uenientes ex accidentibus C ex accidente om . uenientes EGLm1RS 7 Continetur om. R cf. ad
235, 4 continentur A m2 K m1 Z quidem om . Φ est quidem Δ 8 totum indiuidua 14 R Q,
om. cett . 9 pars uero pars est species autem Δ 10 pr . totum totum est ΛΦ 11 sed in aliis, in partibus edd. cum Porph. 8,
2 12 quod ΛΣ 13 et quid
specialissimum om . A quod A2 14 sint. R ΓΛΙIΣ; cf. 237, 15
quod GS tot Pm1 modis om. S 15 dicatur N ΥΔΛΠΦΨ, s. l. add . Σ ; cf. 237, 19 16
Hic om. NR, s. l. Hm2 17 teneri
C ipsas om. E ipsa Cm1 18 huiusce
Lm2 pars om. E genus enim Cm1 ante genus s.
l. totum m2 HN 20 totum tum Hm1 tunc Ν enim
autem S 23 est ante semper CN pars
post est LS quam enim ipsum aliquid sua proprietate
concludit. species uero et totum est et pars, pars quidem generis, totum uero
indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem refertur, cum totum, ad
pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus speciebus superest, una quælibet
species pars est generis, id est unius, quoniam autem species pluribus
indiuiduis præest non est uni indiuiduo totum, sed plurimis. idcirco enim totum
dicitur, quia plura continet et cohercet. nam ut pars sit aliquid, una ipsa
unius pars esse poterit, ut uero totum sit, unum ipsum unius totum esse
non poterit. idcirco alterius quidem pars est species, aliis uero
totum. Et de genere quidem et specie dictum est et quid sit generalissimum
genus, quoniam id cui nullum aliud superponitur genus, et quid specialissima
species, quoniam ea cui species nulla supponitur, et quæ genera eadem
sunt, eadem et species, scilicet subalterna quibus aliquid superponitur,
aliquid uero supponitur, quæ etiam indiuidua, ea scilicet quorum proprietates
alteri nequeunt conuenire, et quot modis genus uel species dicitur, genus
quidem aut in multitudine aut in pro creatione aut in participatione substantiæ,
species uero aut ex figura aut ex generis suppositione, sufficienter dictum
est. quibus absolutis modum uoluminis terminabo, ut quarti area libri
differentiæ reseruetur. 2 ante post . pars add . et C,
post er . que L totum in mg. Cm2 uero om. HN
autem C in mg. add. m2 L quidem S 3 indiuidui
Cm1NS et sed CHN post post . cum add . uero R 4
quoniam quod L 7 pluribus HLm2NS 9 unum ipsum
brm 12 Et sed in er . et Lm2 specie de specie
EG 13 post id add . est P, s. l. Em2 14
quod C specialissimum om .
species, HN nulla species
NR 15 superponitur ras. corr. E nulla EG eadem s. l. Lm2 16
supponitur HR aliquid uero supponitur om. ENR, in mg.
Cm2 17 ea om. EGLPRS 18 non queunt G quod
Em1GN quod quot R 20 aut in participatione s. l. Gm2 post
substantiæ add . aut ex figura S consistit edd . uero
aut autem N 21 figura genere S ex om. E est
om. S post area s. l . ubi discutiamus ea Em2
23 ante subscriptionem initium libri IV usque ad 239, 6
iniecta scriptum, post subscrip
tionem E ANICII MANLII MALLII G SEVERINI BOETII BOECII G V. C. ET I LL . EXCONS EXC. E ORD. PATRICII IN ISAGOGEN YSAGOGAS E )
PORPHYRII PORPHIRII E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATÆ ID eqs.
om ., SCDÆ E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII. EG ;
EXPLICIT LIBER TERTIVS. LIB. IIII. EXPLICIT L ) INCIPIT LIBER add.
LS ) QVARTVS L add. mS) NPRS uariis cum.
compendiis) ; LIBER QVARTVS C; subscriptio deest in H De
differentia disputanti non æque illud debet occurrere quod in generis
specieique tractatu de collocationis ordine quærebatur. illic enim meminimus
inquisitum, cur esset omnibus præpositum genus, ut id primum ad disputationem
ueniret, cur post genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum est
dicere, cur post speciem differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit
inquisitum, cur non ante speciem collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem
differentiæ in disputationis loco fuisse præpositam, quod differentia
continentior et magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque
mirari, si eandem differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum
proprium unius semper sit speciei, ut posterius demonstrabitur, accidens uero
exteriorem quandam ostendat naturam nec omnino in substantia PREDICARE,
differentia uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia PREDICARE?
sed hæc hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.
Differentia nero communiter et proprie et magis 3 quod inquisitum Porph.
Boeth. De differentia Differentiæ E Differentia G
Differentiam La.c . disputanti in disputando CEGLm1N non æque
illud non illud quoque C 3 quod ut HN collationis
Cm1HN 4 quærebatur hic desinit
cod. S 11 ante specie add . ea EG ab
HL est quod om. GR
post quid add .interrgatiue) s. l. Lm2, sit
Em1 sit quod m2 an quisquam? ad quisque add
. iure possit Em2 12 post eandem add . iure
E, s. l. Lm2 13 sit unius speciei semper C unius sit semper
speciei R unius semper speciei sit N 15
substantiam NR 16 substantiam Em1 ante
Differentia inscriptio DE om
. Ψ DIFFERENTIA additur
in 2 et magis proprie in mg. Cm2? proprie
dicitur. communiter quidem differre alterum ab altero dicitur, quod alteritate
quadam differt quocumque modo uel a se ipso uel ab alio. differt enim Socrates
a Platone alteritate et ipse a se uel puero uel iam uiro et faciente aliquid
uel quiescente et semper in aliquo modo habendi alteritatibus. proprie
autem differre alterum ab altero dicitur, quando inseparabili accidenti ab
altero differt. inseparabile uero accidens est ut nasi curuitas, cæcitas
oculorum, cicatrix, cum ex uulnere obcalluerit. magis proprie differre
alterum ab altero dicitur, quando specifica differentia distiterit, quemadmodum
homo ab equo specifica differentia differt rationali qualitate. Tribus
modis aliud ab alio distare PREDICARE genere. specie, numero, in quibus omnibus
aut secundum substantiales quasdam differentias alia res distat ab alia
aut secundum accidentes. nam quæ genere uel specie distant, substantialibus
quibusdam differentiis disgregata sunt, idcirco quoniam genera et species
quibusdam differentiis informantur. nam quod homo ab arbore genere distat,
animalis sensibilis qua litas in eo differentiam facit. addita enim sensibilis
qualitas prædiximus dicitur λεγέσ&ω Porph. 8, 8; cf .
nuncupatur infra communiter distiterit 12 R Q,
om. cett . 2 ab om . A, s. l . Γ 3 ipso om.
R 4 pr . a om. R X puero a puero ΣΦ 5 uiro a
uiro Φ et R T
uel cett.; Porph. 8, 11 χοιί aliquod S 6 habendi habendi
se Φ ; Porph. 8, 12 τού πώς εχειν 7 ab om
. ΔΛΣ quandam R 8 accidente R ; post add .
alterum edd. cum Porph. 8, 13 ab om . Σ 10 coaluerit Σ m2 post proprie add . autem ΓΔ fort. recte uero Φ ; Porph. 8,
15 hi 11 ab om . ΛΣ 12 destiterit TX
m1 AZ quemadmodum differt del. Lm1? 13 differentia om.
Ν Σ ante rationali add . id
est CEGL, s. l . Hm2 A m1? rationabili CEGLPR 14
ab LP, om. cett . 17 accidens CEm2
accidentales Lm2 18 disgregata quibusdam om. N, s. l. R 19
post quibusdam add . substantialibus Hm2 edd.,recte? ad
informantur s. l. disregantur N 21 ea
Hm1Lm2NP animato animal facit, eidem detracta facit animatum atque
insensibile, quod uirgulta sunt. igitur homo atque arbor genere differunt utraque
enim sub animalis genere poni non possunt, differentia sensibili secundum genus
discrepant, quæ unius ex propositis tantum genus, id est hominis informat,
ut dictum est. illa uero quæ specie distant manifestum est quod ipsa quoque
differentiis substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis
substantialibus discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quæ
indiuidua sunt et solo numero discrepant, solis accidentibus distant. hæc
autem sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri,
dormire; distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet.
distat item inseparabilibus accidentibus, quod hic staturæ sit longioris, hic
minimæ. Quæ cum ita sint, in ternarium numerum has differentiarum diuersitates
Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens :
omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur,
communiter quidem eam differentiam sumens quæ quodlibet accidens monstret, quæ
in quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod ille
sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic 5 ut dictnm est 208, 17
ss. 1 eiusdem
E et idem G eadem L inanimatum L, in er.
EP; cf. 208, 14 ss . 2 post arbor add . quæ H
linea del., sed lin. er. L del. m1 N 3 animali om . genere N 4 ante
differentia add . sed ex E nam brm, post s. l .
igitur Pm2 5 præpositis CLm1N positis Em1, s. l .
homine et arbore Lm2Em2 6 distant specie C quod
om. CHN 7 discrepare CHN ut discrepant om. EGL, s. l.
R 8 discrepant om. C 9 post
inrationabilitate add . distant L 10 sunt add. Lm2, in
mg. Pm2 13 distant Hm1Pm2 distet L distat
enim E 14 sit om. R, ante staturæ HN staturæ
sit post longioris L minimæ Ppr minime cett. codd. bm 16
isque EG ipsis C post utatur postulatur EGR 17
propria Ca.c.L 18 propria L differentiam eam
HNP a differentia om. eam E 19 ad sumens s.
l . exordium Em2 monstraret EGLm1 demonstraret m2
R 20 ut si uti EGLm1 uti si m2 R
a om. CGR, s. l.
Lm1?Pm2 differt ex -rat E 21 sit om.
C est EGL s. l. R iuuenis. a se ipso etiam sæpe aliquis
differre potest, ut si nunc quidem faciat aliquid, cum ante quieuerit, uel si
nunc adulescens iam factus sit, cum prius tenera uixisset infantia. communes
autem differentiæ nuncupatæ sunt, quoniam nullius propriæ esse possunt
differentiæ, sed separabilia accidentia sola significant. nam et stare et
sedere et facere aliquid ac non facere multorum atque adeo omnium et
separabilia esse accidentia manifestum est. quibus si qui differunt, communibus
differentiis distare dicuntur. præterea puerum esse atque adulescentem uel
senem, ea quoque separabilia sunt accidentia. nam ex pueritia ad
adulescentiam atque hinc ad senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque ætatem
naturæ ipsius necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile de unius
cuiusque forma corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque est
separabilis, nullius enim diuturna ac stabilis forma perdurat. idcirco nec
peregrinus pater relictum domi puerum, si adulescentem redux uiderit, possit
agnoscere; forma enim semper quæ ante fuerat, permutatur atque ipsa alteritas
qua distamus ab altero, semper diuersa est. Constat igitur hanc communem
differentiam separabilibus maxime accidentibus applicari, propria uero
est quæ inseparabilia significat accidentia. ea huiusmodi sunt, ut si quis cæcis
nascatur oculis, si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque oculi, ille cæcus,
ille erit semper incuruus. atque hæc per naturam. sunt uero alia quæ per
accidens corporibus fiunt, ut si cui uulnus 1 post
differre add . quidem L 2 cum ante in mg. Cm2
nunc si C 3 iam er. L, post nunc N 5
proprie CL sed CLm2NP,
om. EG, et R quæ HLm1 separabiles E, post add .
enim Lm1, del. m2 6 pr . et om. P ac et
HNP 7 ideo EGL post omnium add sunt edd .
et om. H esse om. G, post accidentia EL ;
separabilium esse accidentium N 8 si om . N quid
EG qua R 9 discuntur E 10 ante
separabilia add . ueraciter R 14 eo Lm1 15 est
separabilis est separabilis forma PR separabilis forma est
EGL nullius perdurat om. GR, in mg. Cm2, s. l. Pm2 ac
stabilis et stabilis C ut
uid . N ac stabili P estimabilis E 18
alteritas ipsa EG 19 altera EGLm2R 22 nascetur
Em1 24 ante erit add. etiam R semper
om. C inflictum cicatrice fuerit obductum, hæc si obcalluerit,
propriam differentiam facit; distabit enim alter ab altero, quod hic cicatricem
habeat, ille uero minime. postremoque in his omnibus uel separabilibus
accidentibus uel inseparabilibus alia sunt naturaliter accidentia, alia
extrinsecus, naturaliter quidem ut pueritia uel iuuentus et totius conformatio
corporis, sic cæci oculi et curuitas nasi. et superiora quidem exempla
separabilis accidentis per naturam sunt, posteriora uero inseparabilis. item
extrinsecus uel ambulare uel currere; id enim non natura, sed sola affert
uoluntas, natura uero posse tantum dedit, non etiam facere. atque hæc sunt separabilis
accidentis extrinsecus uenientis exempla, illa uero inseparabilis, ut si qua
cicatrix obducta uulneri obcalluerit. Magis propriæ autem differentiæ prædicantur,
quæ non accidens, sed substantiam formant, ut hominis rationabilitas; differt
enim homo a ceteris, quod rationalis est uel quod mortalis hæ sunt igitur
magis propriæ, quæ monstrant unius cuiusque substantiam. nam si illæ quidem
idcirco communes dicuntur, quia separabiles atque omnium sunt, aliæ autem
propriæ, quoniam separari non possunt, quamuis sint in accidentium
numero, illæ iuro magis propriæ prædicantur, quæ non modo a subiecto separari
non possunt, uerum subiecti ipsius speciem substantiamque perficiunt. ex his
igitur tribus differentiarum diuersitatibus, id est communibus, propriis ac
magis propriis, fiunt secundum genus uel speciem uel numerum discrepantiæ
nam ex communibus et propriis secundum numerum distantiæ nascuntur, ex magis
propriis uero secundum genus ac speciem. 1 ante cicatrice add
. si H 6 uel om. C formatio HNPm2 sic HPm1 et si m2 Rm1
sieque m2 si EGLm1
sique m2 tum CN
9 post currere add . sunt E 10 uoluptas
L 11 at Em1 atqui m2 separabilis sunt C 13
uulneris Lm2P autem propriæ La.c.R 14 substantia
Cm1 15 informant Pm2, recte? 16 a om. HN
rationabilis EGLPR post mortalis add . est C hæ Hp.r.L hæc cett . sunt igitur enim
sunt H 20 quoniam quod R 22 ab G post
ipsius add . suis Em1, del. m2 23 tribus igitur
CG 24 ac s. l. Em2, et CR Uniuersaliter ergo
omnis differentia alteratum facit cuilibet adueniens, sed ea quæ est communiter
et proprie, alteratum facit, illa autem quæ est magis proprie, aliud.
differentiarum enim aliæ quidem alteratum faciunt, aliæ uero aliud. illæ quidem
quæ faciunt aliud, specificæ uocantur, illæ uero quæ alteratum,
simpliciter differentiæ. animali enim differentia adueniens rationalis aliud
fecit et speciem animalis fecit, illa uero quæ est mouendi, alteratum solum a
quiescente fecit; quare hæc quidem aliud, illa uero alteratum solum
fecit. Omnis differentia alterius ab altero distantiam facit. sed hæc uel
est communis et continens uel cum quodam proprio et magis proprio
differentiarum modo. quare quicquid qualibet ratione ab alio diuersum est,
alteratum esse dicitur. si uero accesserit illi diuersitati ut etiam
specifica quadam differentia sit diuersum, non alteratum solum, uerum etiam
aliud esse prædicatur. alteratio igitur continens est, aliud uero intra
alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est, alteratum est, sed non
omne quod alteratum est, aliud dici potest. itaque si accidentibus
aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum 1 11 Porph. 8, 17 9, 2
Boeth. 34, 7 15. 1 ergo uero CEGR; Porph. osv
alterum E h m2 A 2 sed ea quiescente fecit 10 Ω, om. cett . ea quæ est eqs. cum
cod. A Porph. cett. α: μέν κοιοϋσιν, a: 81 άλλο 3 alterum Δ, item 4 autem uero ΔΣΦ 7 altera Φ* enim autem A a.c . 8 rationale
2 facit ΓΣΦ item 9; Porph. 9,
1 ίποίησεν et speciem animalis
fecit om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse 10 faci?? ΓΔ m2 ΣΦ qua *
?? ? er. re * C qua in re si add. GLm1, s. l . siquidem m2
EGL 11 ille Gm1 illæ Δ solum om. EG, s. l. Cm2, solum modo P fecit ΔΛ, om. P, facit cett.;
Porph. 9, 2 έποίηοιν 13 uel est L uel ex EG est uel N,
om . est CR, om . uel HP ante est add .
quidem communi EG continenti E -ti *
G cum om. N, s. l. Em2 eo m1 14 proprio proximo
GR, post proprio add . uel maximo P 18 inter
Gm1 19 nam et Hm1NR igitur
et EG igitur omne
et add. C CHm2L 21 erit HN quidem effectum
est, quoniam quidem quolibet modo uel ex quibuslibet differentiis considerata
diuersitas alterationem facit intellegi, aliud uero non fit, nisi substantiali
differentia alterum ab altero fuerit dissociatum. itaque communes et propriæ
differentiæ, quoniam accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt
alteratum, aliud uero minime, magis propriæ autem, quoniam substantiam tenent
et in subiecti forma prædicantur, non modo alteratum, quod est commune uel
substantiali uel accidenti differentiæ, sed etiam aliud faciunt, quod ea
sola retinet differentia quæ substantiam continet formamque subiecti.
atque hæ quidem differentiæ quæ faciunt aliud, specificæ nuncupantur idcirco,
quod ipsæ efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis
informauerint, faciunt ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit,
uerum etiam tota alia prædicetur. itaque fit huiusmodi diuisio,
differentiarum ut aliæ alteratum faciant, aliæ nero aliud. et illæ quidem quæ
faciunt alteratum, simpliciter puro nomine differentiæ nuncupantur, illæ uero
quæ aliud, specificæ differentiæ PREDICARE atque ut planius liqueat quid sit
alteratum, quid aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo
: aliud est quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam
rationalis differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum
esse constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo
diuersus ab homine, sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit
ab eo qui 5 ut dictum est 242, 4 ss. 19 ss. 1 post, quidem om.
HNP, del. Lm2 uel ex quibuslibet om. H ad
differentiis s. l . uel diuersitatibus Rm1 ? 7 formam N
9 accidentali Hm2NPm2 facit EGLP 10 quæ er. C 11
hee P 12 ipsæ om. EGLR
14 alteratum E in ras. m2 P alterum GLR 15 aliud
R sit E 16 ut om. EH faciunt HNR
facient Em2 facie m1 20 describantur Em1 21
ratione specie sic E ab om. EGL, s. l. HP 22
facit HLNPm1 23 esse est Em1 ita R
itaque N 24 efficitur N efficiatur ur add. m2
P sedet faciat alteratum. item si ille sit nigris oculis,
ille cæsiis, nihil, quantum ad formam humanitatis attinet, permutatum est. ita
secundum has differentias alteratio sola consistit. at si equus quidem iaceat,
homo uero ambulet, et aliud est equus ab homine et alteratum, dupliciter quidem
alteratum, semel uero aliud. alteratum est enim, uel quod omnino specie
diuersum est et est aliud; omne enim aliud, ut dictum est,
etiam alteratum est , uel quod
accidentibus distat, quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero est aliud, quod
rationabili atque inrationabili differentiis dis|gregatur, quæ specificæ
sunt et substantiales dicuntur. est igitur alteratum quod ab alio
qualibet ratione diuersum est. Secundum igitur aliud facientes diuisiones
fiunt a generibus in species et definitiones adsignantur, quæ sunt ex genere et
huiusmodi differentiis, secundum autem eas quæ solum alteratum faciunt,
alteratio sola consistit et aliquo modo se habendi permutationes. Quoniam
in principio operis huius generis, speciei, differen 13 17 Porph. 9, 2 6 Boeth.
34, 15 19. 18 in principio o. h. 147, 5. 1 facit Em1G
item om. EGR, in mg. Hm2, s. l. Lm2 si om. EGL, post
ille R, in mg. Hm2 post . ille iste N cæsius La.c .
ce- Pm1 cæcis N cecus C 3 item in
ras. L post
has add . quoque HNP, s. l. Lm2 sola s. l. Em2
ut GN 4 uero om. E 5 ab de P pr . alterum GLm1
6 post uero add . est C enim om .
H quidem add. post est N, ante est CGPR 7
enim om. G 8 distet R 9 iacet HLm1N ambulat
H rationali atque inrationali HLm2R 10 differentia
N segregatur CR specificæ sunt differentiæ specificæ
C 13 post facientes add . differentias edd., om. codd.
cum cod. C Porph. 9,3 et Dauide commentatore 177, 23 Busse; post add . et
edd. cum Porph . τέ 14 quæ faciunt 16 L Q,
om. cett . 15 ante sunt add . definitiones Γ definitiones scilicet Δ et ex Δ m2 16 ante
alteratio add . at CG alteratio sola consistit ai έτερότητες μο'νον συνίατανται Porph. 9, 5 17 et in CEGLR ad Δ
; Porph. v.at aliquo modo aliquando Γ
se add. Em2 habentis R habentibus EGLm1
permutatione R permutationibus CEGLm2 18 huius
om. EGR, ante operis s. l. Lm2 specieique EGLNPR; tiæ,
proprii accidentisque notitiam ad diuisionem atque ad definitionem utilem esse
prædixit, idcirco nunc differentiarum ipsarum facta diuisione easdem partitur
et segregat, quænam differentiæ diuisionibus ac definitionibus accommodentur,
quæ uero minime. quoniam igitur diuisio generis ita in species facienda
est, ut illæ a se species omni substantiæ ratione diuersæ sint, idcirco non
probat assumendas esse eas ad diuisionem differentias quæ uel separabilis uel
inseparabilis accidentis significationem tenent, idcirco quoniam, ut dictum
est, solum faciunt alteratum, aliud uero perficere et informare non
possunt. inutiles igitur sunt ad diuisionem hæ differentiæ quæ faciunt
alteratum. segregandæ igitur sunt communes et propriæ a generis diuisione, illæ
assumendæ tantum quæ sunt magis propriæ. illæ enim faciunt aliud, quod
generis diuisio uidetur exposcere. ad definitionem quoque eædem magis
propriæ plurimum ualent, communes et propriæ uelut inutiles segregantur;
communes enim et propriæ, quoniam accidens diuersi generis ferunt, nihil
substantiæ ratione conformant, definitio uero omnis substantiam conatur
ostendere. specificæ uero differentiæ illæ sunt quæ, ut superius dictum
est, speciem informant substantiamque perficiunt; hæ sunt magis propriæ. eædem
igitur sicut in diuisionem, ita etiam in definitionem assumuntur. ut enim
dictum est, eædem diffe 9 ut dictum est superius ut enim dictum est infra 253,
12 ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss. 2 definitionem defensionem
G utile E 4 ac definitionibus om . EG 5
diuisio igitur E 7 eas ante assumendas P,
ante esse HN diuisiones NRm1 8 uel
inseparabilis om. EGR 9 idcirco faciunt uel eas differentias quæ
faciunt faciant R EGL del. m2 R 10 aliud alteratum 12 om. EGR 14 aliud
faciunt C 15 definitionem diuisionem Cm1EGLm1
eadem Em1G 16 plurimum om. EG post ualent add .
nam EGL del. m2 P 17 uelut propriæ om. EGR enim
om. CH 18 proferunt Lm2Pm2 procedent m1 præcedunt
N a.c. informant N hee CP hæc E 22 eædemque
C eadem Em1GL diuisione GN, add . generis
GL etiam om. HN et P 23 diffinitione N
ut enim sumuntur om. edd .
rentiæ nunc quidem constitutiuæ ad definitionem specierum sumuntur, nunc
diuisiuæ ad partitionem generis accommodantur. ita igitur cum diuisiuæ sunt
generis, aliud constituunt, in substantiæ uero definitione speciei
informationem faciunt, cumque magis propriæ et aliud faciant et specificæ sint,
eo quidem quo aliud faciunt, diuisionibus aptæ sunt, eo uero quo speciem
informant, definitionibus accommodatæ sunt. communes autem et propriæ quoniam
neque aliud faciunt, sed alteratum, neque omnino substantiam monstrant, æque a
diuisione ut a definitione disiunctæ sunt. A superioribus ergo rursus
inchoanti dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles, alias uero
inseparabiles. moueri enim et quiescere et sanum esse et ægrum et quæcumque his
proxima sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel simum uel
rationale uel inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliæ quidem sunt
per se, aliæ Porph. Boeth.
assumuntur Ea.c . partitionem coparationem N 3 ita faciunt
4 in mg. sup. Hm2 Ita igitur cum diuisio generis aliud quærat. substantia
uero speciei informationem Hm1, eadem uerba loco ita faciunt
adiungit N Ita igitur cum ad diuisionem generis aliud querant. aliud uero
ad speciei informacionem faciunt Hm3 3 diuisiuæ CHm2LN priore loco Pm1
diuisione EG ad diuisionem Hm3R diuisio Hm1N
post. l Pm1 sunt CHm2LN pr. l.,
om. EGHm1 et 3 N post. l. R, s. l. Pm2 constituunt CHm2N pr. l. Pm2 quærat Hm1N post.
l. Pm1 quærant uel
que-, Hm3R quam erat EG constituunt quam erat
L in substantiæ uero definitione CHm2LN
pr. l. Pm2 in substantia uero Pm1R substantia uero
EGHm1N post. l. aliud uero Hm3 4 post uero
add . ad Hm3 faciunt om. EHm1N post. l. 5
pr. et om. HN, s. l. Pm2 faciunt Lm1Pm1 et ac
C eo in eo N 6 quidem om. L quod HLm1NP
d er . uero modo N 7 quod HRm1 9 sed sub
G monstrat CGm1 11 ergo om . H uero N
2 ; Porph. 9, 7 ouv rursus om. H 12 aliæ...
aliæ h m1 separabiles esse Φ 13 alias uero perceptibile 249, 2 om.
C moueri perceptibile R Ω, om. cett . 14 ante quæcumque s.
l . omnia Λ 15 at inseparabilia in sup. mg . h m2 acylum ΓΦ acilum ΛΣ, sim. . al . 16
post inseparabilia add . sunt PAS<P edd. Busse, om.R
h cum Porph. 9,10 uero per accidens; nam rationale per
se inest homini et mortale et disciplinæ esse perceptibile, at nero aquilum
esse uel simum secundum accidens et non per se. Superius differentias
triplici diuisione partitus est dicens aut communes esse aut proprias aut magis
proprias, dehinc easdem alia diuisione in duas secuit partes dicens has quidem
aliud facere, illas uero alteratum. nunc tertiam earum quidem facit diuisionem
dicens alias esse separabiles, alias inseparabiles, posse autem de uno quoque
cuius multæ sunt differentiæ, plurimas fieri diuisiones ex ipsa differentiarum
natura manifestum est. nam si omnis diuisio differentiis distribuitur, quorum
multæ sunt differentiæ, multas etiam diuisiones esse necesse est. fit autem ut
animal diuidatur quidem hoc modo: animalis alia quidem sunt rationabilia,
alia in rationabilia, item alia mortalia, alia inmortalia; item alia pedes
habentia, alia minime; rursus alia herbis uescentia, alia carnibus, alia
seminibus. ita nihil mirum uideri debet, si multiplex differentiæ est facta
partitio.ac primum quidem cum in ternarium numerum differentiæ membra
secuisset, communes et proprias et magis proprias nuncupauit. secunda uero
diuisio communes et proprias intra nomen alteratum | facientis inclusit, magis
proprias uero intra aliud facientis. hæc nero tertia diuisio, quæ ait
differentiarum alias esse separabiles, alias inseparabil es, 5
Superius... dicens aut eqs. 239, 18. 7 dicens has eqs.| 244, 2. 2 perceptibile ΦΨ perceptibilem cett
. in mg . capacem T 3 uel et Γ simium P post accidens add .
est Γ, s. l. Lm2, ras. in E et om. Ν ΑΣ 4 post
se add. est P 5 differentia R 7
dicens in mg. Hm2 8 earum quid R earundem
CN quidem post pr . alias C 9 post post,
alias add . uero C 14 animal in animali quod H
diuiditur H quidem ante diuidatur Lp, om.
brm 15 animalium N edd . quidem post sunt NP, om.
H rationalia alia inrationalia H 18 item P
20 post secuisset add . ait HP aut CN
et magis et proprias om. EG 21 nuncupari H
nuncupauerit LPR 22 facientes CNPm1 propria
R proprium Em1GLp.c . 23 facientes CN qua
CLNRm1 unam quidem ex alteratum facientibus separabilibus
differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis differentiæ uocabulum
claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est propria differentia, et
reliqua quæ aliud facere demonstrata est, id est magis propria, inseparabiles
differentiæ esse dicuntur. quarum subdiuisio fit. inseparabilium
differentiarum aliæ sunt per se, aliæ secundum accidens, per se quidem magis
propriæ, secundum accidens uero propriæ. per se autem aliquid inesse dicitur
quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco quælibet species est,
quoniam substantiali differentia constituitur, illa differentia per se
subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet aliud medium, sed sui præsentia
speciem quam tuetur informat, ut hominem rationabilitas. homini enim huiusmodi
differentia per se inest, idcirco enim homo est, quia ei rationabilitas adest;
quæ si discesserit, species hominis non manebit. et has quidem quæ
substantiales sunt, inseparabiles esse nullus ignorat; separari enim a subiecto
non poterunt, nisi interempta sit natura subiecti. secundum accidens nero
inseparabiles differentiæ sunt hæ quæ propriæ nuncupantur, ut aquilum esse uel
simum; quæ idcirco per accidens nuncupantur, quoniam iam constitutæ
speciei extrinsecus accidunt nihil subiecti substantiæ commodantes.
Illæ igitur quæ per se sunt, in substantiæ Porph. Boeth. ex
om. EG, in inf. mg. L alteratum post facientibus R, om.
G post facientibus add . id est communem L in inf. mg.
P 2 adiungit ponit La.c . cetera R ceterasque
Lm2 alteram C 3 una ras. ex una C
quidem quidem fit G quippe HN 4 et om. G, s. l.
E 5 inseparabilis E esse om. G 6 post
quarum add . quidem Lp ita brm post aliæ
add . enim EGL 8 inesse aliud
ex aliquid m2 L 11 neque non Lm2R,
ante neque add . quæ Hm2 12 post
medium add . quæ sunt propria Hm1, del. m2 13
rationalitas H, item 15 15 ei s. l. Hm2 16 quidem
eas sic C 17 nullus esse C 18 nisi ni EG 20
proprie CN aquilum cf. 248,
15 22 accedunt Hm1N subiecto Hm1 subiectæ
Lm1N -te 24 Igitur illæ C in om .
N ratione accipiuntur et faciunt aliud, illæ uero quæ secundum
accidens, nec in substantiæ ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum.
et illæ quidem quæ per se sunt, non suscipiunt magis et minus, illæ uero
quæ per accidens, uel si inseparabiles sint, intentionem recipiunt et
remissionem; nam neque genus magis aut minus prædicatur de eo cuius fuerit
genus, neque generis differentiæ, secundum quas diuiditur; ipsæ enim sunt
quæ unius cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem neque
intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel simum uel
coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur. Differentiis rite partitis
earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam superius
dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias, magis
proprias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud minime,
sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc igitur idem repetit dicens
quoniam inseparabiles differentiæ quæ substantiam monstrant, id est quæ per se
subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illæ
uero superius rationem GR h suscipiuntur Lm2
percipiuntur Φ aliud illud E
illæ suscipiens est 12 Ω, om. cett . 3 dicuntur accipiuntur
Φ ex 1; Porph. 9, 16 λαμβάνονχαι uel παραλαμβάνοντα codd ., λέγονται Dauid comment. 184, 16 alteratum alterum
Wm1 et om . Γ 4 quidem om .
Λ uero Γ 5 uero quæ quidem Γ si om . Φ 6 sunt ΔΣΦ brm Busse; Porph. 9, 18 v.dv Jaw 7 aut
Λ Busse
et cett. codd. edd. cf. 4; Porph. 9, 19 ή cod. M m; cett . 9
ipsæ otuxat Porph. 9,
20 10 post rationem add . id est diffinitionem Φ 11 neque remissionem cum Porph. 9, 21 cod. Μ, ooxe ανεσιν οντε έπίχασιν cett . 12 aquilum cf. ad 248, 15 autem om. P
13 pr . uel et Γ colorari Em1
et om. CLR 14 et uel R 17 esse post
dixisset HNP, ante tres P 18 alteratum proprias proprias
alteratum facere dixit HNP 19 post aliud add .
uero HNPR, s. l. Lm2 quæ sunt propriæ, id est secundum
accidens inseparabiles differentiæ, neque in substantia insunt nec aliud
faciunt, sed tantum, ut superius dictum est, alteratum. item alia distantia est
earum differentiarum quæ secundum substantiam sunt, ab his quæ secundum
accidens, quoniam quæ substantiam mon strant, intendi aut remitti non possunt,
quæ uero sunt secundum accidens, et intentione crescunt et remissione
decrescunt. id autem probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum neque crescere
neque deminui potest; nam qui HOMO cavallo est, UMANITA cavallita suæ nec
crementa potest nec detrimenta suscipere. nam neque ipse a se plus aut
minus hodie uel quolibet alio tempore homo esse potest nec homo rursus ab alio
homine plus homo potest esse uel animal. utrique enim æqualiter animalia, æqualiter
homines esse dicuntur. quodsi uni cuique esse suum nec cremento ampliari potest
nec inminutione decrescere, quod per id facile monstrari potest, quoniam
quæ genera sunt uel species, nulla intentione uel remissione uariantur, non est
dubium quin differentiæ quoque, quæ unius cuiusque speciei substantiam formant,
nec remissionis detrimenta suscipiant nec intentionis augmenta. itaque
substantiales differentiæ neque intentionem neque remissionem suscipiunt.
huius causa hæc est. quoniam esse uni cuique unum et idem est, et
84 intentionem re|missionemue non suscipit huius exemplum. genus 2
nec N substantiam N sunt EN neque edd
. 4 est L s. l. m2 P edd.,
om. cett . sunt om. E 5 secundum accidens quoniam quæ om.
EGP 6 ante intendi add . quæ EGP post
possunt add . secundum s. l. E accidens EGP
sunt om. CHL 7 intentione intensione Pm2 edd., item 17 253,
6 9 deminui Pm1 minui
L ex diminui m2 N diminui cett . quia C 10
decrementa Em1G edd . 11 uel aut L 12 neque N 13 uterque
P æqualiter dicuntur æqualiter corporales. æqualiter animati. æqualiter
homines esse dicuntur H, eadem uerba loco æqualiter dicuntur adiungit sic utrique enim
æqualiter eqs. N 15 ampliorari EGLPm1 17
ante non s.. et ob hoc Em2 informant Pm2 21
suscipient N cuius HNP 22 post unum
add . est L 23 remissionemque N post exemplum
add. sit Lm1 edd. ante huius distinctio, est Lm2,
s. l. Hm2 enim dici non potest plus minusue cuilibet genus; omnibus
enim genus æqualiter superponitur differentiæ quoque quæ diuidunt genus et
informant speciem, quoniam speciei essentiam complent nec intentionem recipiunt
nec remissionem. quæ uero secundum accidens differentiæ sunt
inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel coloratum aliquo modo, et
intentionem suscipiunt et remissionem. fieri enim potest ut hic paulo sit
nigrior, hic uero amplius simus, ille minus aquilus, at uero quod non omnes
homines æqualiter rationales mor talesque sint, nec specierum nec
differentiarum natura uidetur admittere. Cum igitur tres species
differentiæ considerentur et cum hæ quidem sint separabiles, illæ uero
inseparabiles, et rursus inseparabilium cum hæ quidem sint per se, illæ
uero per accidens, rursus earum quæ sunt per se differentiarum aliæ quidem sunt
secundum quas diuidimus genera in species, aliæ uero secundum quas ea quæ
diuisa sunt specificantur, ut cum per se differen tiæ omnes huiusmodi sint,
animati et inanimati, Porph. Boeth. differentiarum 19 specificantur Abælardus, Introduct. ad
theolog., II 94. 1 post cuilibet add . esse
L edd . 2 quæ om. GPR, del. Hm1? 3 formant CEGLm1R
species Lm2NP ante quoniam add . quæ EGHLPR
essentiam substantiam N 4 ante quæ add.
ill<a>e G aquilum cf.
ad 248, 15 colorari EG 8 nigrior sit HNP hic aquilus hic uero minus hic magis acilus ille
autem minus hic amplius simus illo uero minus E amplius simus amplissimus
G, add . sit L aquilus ut 6 9 non quod R ut
non HNPm1 quoniam non m2 rationabiles ELm2P
12 considerantur Λ m2 in er . -entur 2 13 hæc
EG illæ sensibilis om. CEG 14 et sensibilis ibid. om. HLNP 16
rursus sensibilis ibid. om. R per se sunt Λ2Φ 17 quidem om
. Λ2 18 ea ΓΔΨΨ edd . hæc ΛII2 20 animatum et inanimatum sensibile et
insensibile rationale et inrationale mortale et inmortale h m1 animati insensibilis
Porph. 10, 4 εμψύχου και αίαβητικου ante sint add . animalis
edd. cum Porph . τοϋ ζώου quattuor et om.
sensibilis et insensibilis, rationalis et inrationalis, mortalis et
inmortalis, ea quidem quæ est animati et sensibilis differentia. constitutiua
est substantiæ animalis est enim animal substantia animata sensibilis,
ea uero quæ est mortalis et inmortalis differentia et rationalis et
inrationalis, diuisiuæ sunt animalis differentiæ; per eas enim genera in
species diuidimus. Fit nunc differentiarum plena et suprema diuisio, quæ
est huiusmodi. differentiarum aliæ sunt separabiles, aliæ inse parabiles,
inseparabilium aliæ sunt secundum accidens, aliæ substantiales. substantialium
aliæ sunt diuisibiles generis, aliæ coustitutiuæ specierum. quod uero ait : cum
igitur tres species differentiæ considerentur, ad hoc retulit, quod in prima
differentiarum diuisione partim eas communes esse, partim proprias,
partim magis proprias dixit, quas rursus tres differentias alias separabiles
esse monstrauit, alias inseparabiles, separabiles quidem communes,
inseparabiles uero proprias ac magis proprias. inseparabilium uero fecit
diuisionem dicens alias esse secundum accidens, quæ propriæ nuncupantur,
magis proprias uero secundum substantiam considerari. earum uero quæ
secundum substantiam sunt, subdiuisionem facit, quod 3 constituta T
m1 4 post animata add . et ΓΛ Busse, om . ΔΠΣΦΨ Porph. 10, 6 edd . 5 ea he ex e Rm2 est sunt
R 6 differentia om . CEGPR et om . CLR \\
rationabilis et inrationabilis rac et irrac P Lm2P 7
diuisi Em1 diuisæ GPm1 has HP; Porph. 10, 8
St’ αΰτών genera in L s. l. m2 ΓΔΠ . in mg. m2 Ψ Porph., om. cett
. 11 post inseparabilium add. uero C 12
generis om. EGR, in mg. Lm2 15 post esse add .
dixit HNP dicit R 16 dixit om. HPR, s. l.
Em2 rursum H 17 alias inseparabiles esse esse om.
N monstrauit HNP 18 ac et
HN 20 accidens se EGer., s. l. Pm2, add . substantiam
Em1 alias alia E secundum
substantiam considerari G edd., in mg. Em2, s. l . alias secundum
Pm2, post considerari add . et illas esse secundum accidens
edd. quæ considerari om. E post quæ s. l . uero
secundum accidens Pm2 propria C proprias
Pm2 nuncupari Pm2 21 eorum sic uero quæ secundum
substantiam s. l. add. Em2 post quæ add. et
C aliæ earum genus diuidant, aliæ speciem informent. ad cuius rei
facilem cognitionem illa tertii libri specierum generumque dispositio
transcribatur. sitque primum substantia, sub hac corporeum atque incorporeum,
sub corporeo animatum atque inanimatum, sub animato sensibile atque
insensibile, sub quo animal, sub animali rationale atque inrationale, sub
rationali mortale atque inmortale et sub mortali species hominis, quæ solis
deinceps indiuiduis præponatur. in hac igitur diuisione omnes hæ differentiæ
specificæ nuncupantur, generum enim specierum que differentiæ sunt, sed generum
quidem diuisiuæ, specierum autem constitutiuæ. id autem probatur hoc modo.
substantiam quippe corporei atque incorporei differentiæ partiuntur, corporeum
uero animati atque inanimati, animatum sensibilis atque insensibilis. ita
igitur genera substantiales differentiæ partiuntur et dicuntur generum
diuisiuæ. at uero si eædem differentiæ quæ a genere descendentes genus
diuidunt, colligantur et in unum quæ possunt iungi copulentur, species
informatur. nam cum animal species sit substantiæ omnia enim superiora de
inferioribus prædicantur et quicquid inferius fuerit, species erit etiam
superioris , animatum tamen atque
2 illa tertii libri.. dispositio 208, 12 ss. 1 diuidunt
N diuident R informant CNR, add . atque construant
H atque constituunt -ant ex -ent P NP, s. l.
Lm2 ex 256, 3 at E 2 facilitatem G
cognitionem om. EG illa s. l. Hm2 3 transferatur
Hm1N; post transcribatur spatium ad inscribendam figuram ut uid. relictum
in EG sub ubi E hoc Em1GLm1R 4 atque
incorporeum in mg. Em2 sub
corporeo om. GR, in mg Em2, s. l. Lm2 6 animal sub om. E sub animali om.
GR rationabile E 7 et om. HN, del. Em2 12
patiuntur Em1G corporeum partiuntur
15 om. Em1, in mg . corporeum ex
corpore m3 inanimati animatum
autem s. l. add. m3 sensibilis partiuntur add. m2 13
animatum om. G, post add . autem Em3 enim Lm1, del. m2, et er.
N 14 post insensibilis add . partiuntur CL
substantialis Gm1Pm2 15 si del. Lm2, post si del
. et R heædem P dem er . R h
del . hæ HN 16 quæ post descendentes L 17 in ex al.
litt. Em2 18 informantur EHN informant part. ras. ex
informatur Lm2 fit E sensibile quæ sunt
differentiæ, si referantur ad genera, diuisiuæ sunt, constitutiuæ uero fiunt
animalis eiusque substantiam formant atque constituunt definitionemque
conformant, ut sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem
genus, animatum uero atque sensibile eiusdem differentiæ constitutiuæ. | item
animal rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque
inmortali diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quæ animalis
diuisiuæ fuerant, fiunt hominis constitutiuæ eiusque perficiunt speciem atque
omnem eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si
inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quodlibet animal,
quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatæ del
substantiam informant. ita eædem differentiæ cum referuntur ad genera, diuisiuæ
generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant
species earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc
quæsitum est, quemadmodum dicerentur esse hæ diffe 1 post
sunt add . eiusdem P s. l. m2 edd . diuisiua Em1G
2 post sunt s. l . si ad speciem Lm2Pm2
uero om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2 fiunt s. l. Rm2 3
definitionemque diuisionemque EG formant Hm1 4 quidem uero
N 5 ante genus add. eiusdem CN, post add . est s. l.
LPm2 ante differentiæ add . generis GP, post add . diuisiuæ
R post constitutiuæ add . animalis R, s. l . speciei
animalis Lm2 6 rationabilitas diuiditur P rationalitas atque inrationalitas
diuidit mortalitas ex
inmortali m2 etiam atque
inmortalitas ex inmortali
m2 diuidit ** · H
rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque inmortale diuidit
C rationale atque inrationale diuidunt add. N mortale atque et N inmortale diuidit diuidit om. N
NR inrationabile inrationale L
atque inmortale diuiditur EGLm1, in mg. ante atque add
. irracionale. mortale etiam atque m2 rationabilitas atque
irrationabilitas, mortalitas atque immortalitas diuidit brm 7
rationalitas E 8 diuisiua Em1GLm1R 9 constitutiua
GLm1R eiusque hominisque HNP nominis del. Lm2
eiusque EGL 10 atque perficiunt s. l. Rm2 11
irrationalitas EP mortali Lm2Pm1 fiat G aut
atque L 12 rationalitas HP 13 inmortalitas inrationabilitas
R dei om. G,
post substantiam E s. l. m2 L formant HN
item HL 14 diuisæ E 17 esse om. C eæ
EGR heæ P rentiæ specierum constitutiuæ, cum inrationabilis
differentia atque inmortalis nullam speciem uideantur efficere. respondemus
primum quidem placere Aristoteli cælestia corpora animata non esse; quod uero
animatum non sit, animal esse non posse; quod uero non sit animal, nec
rationale esse concedi. sed eadem corpora propter simplicitatem et
perpetuitatem motus æterna esse confirmat. est igitur aliquid quod ex duabus
his differentiis conficiatur, inrationabili scilicet atque inmortali. quodsi
magis cedendum Platoni est et cælestia corpora animata esse credendum,
nullum quidem his differentiis potest esse subiectum quicquid enim
inrationabile est corruptioni subiacens et generationi, inmortale esse non
poterit, sed tamen hæ differentiæ, quoniam substantialium differentiarum in
numero sunt, si iungi ullo modo potuissent, earum naturam et speciem
quoque possent efficere. atque ut intellegatur, quæ sit hæc potentia efficiendæ
substantiæ specieique formandæ, respiciamus ad proprias atque communes, quæ
tametsi iungantur, speciem substantiam que nulla ratione constituunt. si quis
enim loquatur ambulans, quæ sunt duæ communes dif ferentiæ, uel si albus ac
longus, num idcirco isdem eius substantia constituitur? minime. cur? quia non
eiusdem sunt generis, quæ alicuius possint constituere et conformare sub
Aristoteli cf. De cælo; ed. Didot IV part. II 38 a, frg. 24 Cic. de nat. deor. II 15,
42 cum locis ab Heitzio adlatis. 9 Platoni Tim. E. 39 E ss.; cf. supra 209,
2. 1 species G inrationalis CEGP differentiæ
E 5 concedit Lm1N 7 est esse CN, ad est s.
l . ał esset L aliud G 8 conficeretur H, s.
l. add . ał ad conficiatur L
irrationali Lm2P 9 accedendum CN ac er . H ac in ras. m2 ,
concedendum edd . est platoni CN et om. C 10 credendum
om. CN 11 inrationale irr P HP 13 ante
substantialium add . in CHN, post diff. om. CHNR 16 efficientiæ G 17
tametsi etsi C etiam si er. H
etsi H in mg . ł
tametsi m2 NP 19 loquitur HN 20 sit
H num ex non Rm2 isdem NP eisdem ei in ras. m2
L hisdem cett., post s. l . differentiis add. Em2
21 ante cur add . id HNP, s. l. Lm2 eius
EG sunt ante eiusdem N, post generis
L 22 possunt NP confirmare Em1GRm1
stantiam. ita igitur hæ, id est inrationale atque inmortale, etiamsi
subiectum aliquod habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si
ullo modo iungi copularique potuissent, præterea inrationale iunctum cum
mortali substantiam pecudis facit: est igitur constitutiua inrationalis
differentia, item inmor tale ac rationale coniuncta efficiunt deum: est igitur
inmortale quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non idcirco quod
in natura earum est, abrogatur. Sed hæ quidem quæ diuisiuæ sunt
differentiæ generum, completiuæ fiunt et constitutiuæ specierum; diuiditur enim
animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et inmortali
differentia, sed ea quæ est rationalis differentia et mortalis, constitutiuæ
fiunt hominis, rationalis uero et inmortalis del, illæ uero quæ sunt
inrationalis et mortalis, inrationabilium animalium, sic etiam et supremæ
substantiæ cum diuisiua sit animati et inanimati differentia et sensibilis et
insensibilis, animata et sensibilis congregatæ ad substantiam animal
perfecerunt. Porph. Boeth. aliquod om. C aliquid
LP possunt substantiam possent
tamen substantiam possent C 4 mortale EGPm1 5
irrationabilis NP ita R 6 coniunctæ HN 8 eorum
edd . 9 hæc CL heæ P 10 generum om. EG fiant
Cm1Em1G sunt Σ 11 diuiditur insensibilis
18 2, om. cett . 12 pr . et differentia
om. 2, add. X m2 13
ea... differentia Porph. ai...
διαοοραί rationalis.. mortalis cum cod . M Porph., cett
. τοΰ 6-νητοδ καί τού λογικού 14 fiunt definiunt Δ m1
ΙΛΣ hominem Δ m1 ΑΣ 15 dni in ras. 2, add . sunt
et angeli Δ, sed del., ante dei add. angeli
et Π m2, sed del.; codd. Porph. 10,13 aut θεού
aut άγγέλοο quæ sunt add . X m2
post mortalis add . constitutiuæ sunt Γ 16
inrationalium X m2 \ m1, add . sunt Φ etiam enim
Φ supremæ substantiæ T m2 suæ
substantiæ m1 X m 2 superna substantia m1 suprema substantia cett. codd. edd.
Busse; cf. Porph. animatum EGR sensibile E le in
ras . R 19 congregata ER perficerent G
perficiunt in ras . 2 post perfecerunt add . animata
uero et insensibilis perfecerunt plantam edd. cum Porph. 10, 17,
om. BOEZIO etiam in commentario Geminum differentiarum usum esse
demonstrat, unum quidem quo genera diuiduntur, alium uero quo species
informantur; neque enim hoc solum differentiæ faciunt, ut genera partiantur,
uerum etiam dum genera diuidunt, species in quas genera deducuntur
efficiunt, itaque quæ diuisiuæ sunt generum, fiunt constitutiuæ specierum,
huiusque rei illud exemplum est quod ipse subiecit; animalis quippe differentiæ
sunt diuisiuæ rationale atque inrationale, mortale atque inmortale; his enim PREDICAZIONE
diuiditur animalis, omne enim quod
animal est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut inmortale est.
sed istæ differentiæ quæ diuidunt genus quod est animal, speciei substantiam
formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur rationali mortalique
differentiis, quæ dudum animal partiebantur, item cum sit equus animal,
inrationali mortalique differentiis constitui|tur, quæ dudum animal
diuidebant. deus autem cum sit animal, ut de sole dicamus, rationali
inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere genus habita partitio paulo
ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum corporeum intellegi oportet, ut
solem et cælum ceteraque huiusmodi, quæ cum animata et rationabilia Plato
esse confirmat, tum in deorum uocabulum antiquitatis ueneratione probantur
assumpta, de primo quoque genere, id est substantia demonstrantur uenire. nam
cum eius diuisiuæ sint differentiæ 18 ut diximus 208, 22 ss. 20 Plato aliud
EHm1Rm2 alio m1 uero om. R 4 partiuntur
GPm1 diuidendo N 5 deducantur HN dicuntur
R diuiduntur C uid in er . duc? m2 diuisæ Em1Gm2HR 6 huius C
rei om. EGR s. l. Lm2 7 ipse ille R diuisæ
Em1Gm2 8 mortale atque inmortale om. EGR, in mg. Lm2 9 quod
animal est animal HNR 10 pr . aut om. R post
rationale add . est HN 11 est om. HR quod hoc
C 13 post efficitur add. ab his EPm1, del. m2, s. l.
Lm2 post differentiis add . constituitur Cm1, del. m2
14 partiebantur diuidebant Lm1R 15 diuidebant parciebantur R
16 ut si CH, in ros. N, recte?; cf.208, 22 20 confirmet
C et in ras. m2 HLm2N
22 substantiam Em1 23 demonstrantur idem monstratur HN
idem super ras. Cm2, s. l. Pm2 demonstrantur Cm1Pm1, alt.
n del. Cm2Pm2 euenire HNPm2, add. s. l . differentiæ
Lm2 diuisæ Em1Pm1 sunt EHm1 animatum atque
inanimatum, sensibile atque insensibile, iunctæ differentiæ sensibilis atque
animati efficiunt substantiam animatam atque sensibilem, quod est animal, iure
igitur dictum est, quæ diuisiuæ sunt differentiæ generum, easdem esse
constitutiuas specierum. Quoniam ergo eædem aliquo modo quidem acceptæ fiunt
constitutiuæ, aliquo modo autem diuisiuæ, specificæ omnes uocantur. et his
maxime opus est ad diuisiones generum et definitiones, sed non his quæ secundum
accidens inseparabiles sunt, nec magis his quæ sunt separabiles.
Omnes a genere differentias procedentes genus ipsum a quo procedunt, diuidere
nullus ignorat, ipsæ autem quæ diuidunt genus, si ad posteriores species
applicentur, informant substantias easque perficiunt, eædem igitur sunt
constitutiuæ specierum, eædem diuisibiles generum, alio tamen modo atque
alio consideratæ, ut si ad genus relatæ quidem in contrariam diuisionem
spectentur, diuisibiles generis inueniuntur, si uero iunctæ aliquid efficere
possint, specierum constitutiuæ sunt, quæ cum ita sint, hæ differentiæ quæ
genus diuidunt, rectissime diuisiuæ nominantur quæ enim constituunt speciem,
specificæ sunt, sed constituunt speciem hæ differentiæ quæ Porph. Boeth. post
constitutiuas add . et completiuas C completinasque
HNP ex 258,10 6 ergo igitur P needem
uel heedem hic et 15. 16. 261, 1 codd. quidam alio
P ras. ex aliquo, Γ o in ras . quidem ΓΔΛΙIΨ, om. cett.; Porph. 10, 18 μεν 7 aliquo inseparabiles sunt 10 Ω, om. cett . alio ras. ex aliquo
ut uid . Γ autem modo Φ autem add . 5 m2 10 sunt inseparabiles Γ his om . Γ 12 post
Omnes add . enim R quo quibus EGR procedent
Em1 15 post substantias s. l . earum L eas
substantiasque quæ N HNR sunt igitur HL 16
post eædem add . sunt LR 19 sint CHPRm1 21
diuisiuæ specificæ Lm2 nominantur nuncupantur HΡΝ enim om. C post speciem add. eædem
speciem faciunt, quæ uero speciem faciunt CHN sunt generis
diuisiuæ eædemque sunt specierum constitutiuæ. quare iure quæ generum diuisiuæ
sunt et quæ specierum constitutiuæ, specificæ nuncupantur, has igitur in
diuisione generis et in definitione specierum accipi oportere manifestum
est. quoniam enim diuisiuæ sunt, per eas diuidi oportet genus, quoniam autem
constitutiuæ, per eas species definiri; quibus enim unum quodque constituitur,
isdem etiam definitur, constituitur autem species per differentias generis
diuisiuas, quæ sunt specificæ, iure igitur specificæ solæ et in generis
diuisione et in specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem hæc
ratio est, de his autem quæ uel separabilia uel inseparabilia continent
accidentia, nihil in generum diuisione uel definitione specierum poterit
assumi, idcirco quoniam quæ diuisibiles sunt, substantiam generis
diuidunt, et quæ constitutiuæ sunt, substantiam speciei constituunt. quæ uero
sunt inseparabilia accidentia, nullius substantiam informant, unde fit ut multo
minus separabilia accidentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones
accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus differentiis,
nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc
est substantialibus differentiis, quod æque subiectum non relinquunt, sicut nec
specificæ differentiæ, separabilia autem accidentia ne hoc quidem; sepa 1 diuisæ
Gm1 eædemque H hee-
NP eædem C igitur eædem eædem s. l. Lm2 quæ que E sunt EGLR constitutiuæ
specierum C 2 quare constitutiuæ om. EGLR quare iure iure
igitur P 4 diuisionem HLm2P et uel R
definitionem uel diff- HL s.
l . ał constitutione P
diuisione Em1 6 eius Em1 7 post
definiri add . oportet CN, s. l . scil. add. E EL
quibus definitur om. EGLR, in mg. Pm2 hisdem CHN 9 solæ
s. l. Em2 10 post, in om. HN 12 continent concedunt
EG, s. l . uel faciunt Gm1? 13 post uel add .
in L 16 substantiam HN, om.
Em1, speciem CGLm1R post informant s. l. Em2, speciei
substantiam Lm2P edd . 17 formant H multo om. C
18 ad diuisiones accidentia 20 in inf. mg. Gm2 definitiones diuisiones
Em1G 19 ante substantialibus add . a HN,
recte? 22 ante quod add. id H linea del., sed
linea er. uid. N ad quod æque s. l. ał quod hæ
similiter L sic G ut er . L ut del.
m2 23 ne nec LN rari enim possunt, nec tantum potestate
et mentis ratiocinatione, sed actus etiam præsentia, et omnino ueniendi uel
discedendi uarietatibus permutantur. Quas etiam determinantes dicunt:
differentia est qua abundat species a genere, homo enim ab animali plus
habet rationale et mortale : animal enim neque ipsum nihil horum est nam unde
habebunt species differentias? neque enim omnes oppositas habet nam in eodem
simul habebunt opposita . sed,
quemadmodum probant, potestate quidem omnes habet sub se differentias,
actu uero nullam, ac sic neque ex his quæ non sunt, aliquid fit neque opposita
circa idem sunt. Specificas differentias definitione concludit
dicens substantiales differentias a quibusdam tali descriptionis ratione finiri
: differentia specifica est qua abundat species a genere, sit enim genus
animal, species homo : habet igitur homo differentias in se, quæ eum
constituunt, rationale atque mortale; omnis enim species constitutiuas formæ suæ
differentias in se retinet nec præter illas esse potest, quarum
congregatione perfecta est. si igitur animal quidem solum genus est, homo
uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab animali id quod rationale
est atque mortale, quo igitur abundat species Porph. Boeth. nec non
brm 4 Quæ h m1 dicuntur A m1 est add
. \ m2 5 que Em1 quæ Ga.c . abundant ha G
Em1G a om. N homo -nullam 11 R Q,
om. cett . ab om . ΓΦ 6 enim enim
tamen R autem A 7 horum nihil Γ 8 enim om . Φ, add . et m2,
autem er . T : Porph. 11, 3 ούτε ίί ; enim pro
autem; cf. ad 16, 15; an autem
cf. T Boethius scripsit ? opposita R
habet habent cett .
codd. et edd . 9 nam nec R habebit Φ post opposita, non
habebunt Δ 11 habet P p.c . Φ*Γ habent cett . ac sic om. N
sic ex si Em2G 12 hiis Φ sint Sa.c . opposita ex oppositis quæ R h m1 13
circa idem sunt Porph.
&pa περί τό αΰτο εσται 15 diffiniri Pm2R 19 constitutiuæ
Em1GLp.c.Rm1 in se om. C est uero E 23 id id
est EGP a genere, id est quo superat genus et quo plus habet
a genere, hoc est specifica differentia, sed huic definitioni quædam quæstio
uidetur occurrere habens principium ex duabus per se propositionibus notis, una
quidem, quoniam duo con traria in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex
nihilo nihil fit. nam neque contraria pati sese possunt, ut in eodem simul
sint, nec aliquid ex nihilo fieri potest; omne enim quod fit, habet aliquid
unde effici possit atque formari, quæ propositiones talem faciunt quæstionem,
dictum est differentiam esse id qua plus haberet species a genere, quid
igitur? dicendum est genus eas differentias quas habent species, non habere? et
unde habebit species differentias quas genus non habet? nisi enim sit unde
ueniant, differentiæ in speciem uenire non possunt, quodsi genus quidem has
differentias non habet, species autem habet, uidentur ex nihilo
differentiæ in speciem conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo, quod fieri
non posse superius dicta propositio monstrauit. quod si differentias omnes
genus continet, differentiæ autem in contraria dissoluuntur, fiet ut
rationabilitatem atque inrationabilitatem, mor talitatem atque inmortalitatem
simul habeat animal, quod est genus, et erunt in eodem bina contraria, quod
fieri non potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia pars alba, alia
nigra, ita fieri in genere potest; genus enim per se consideratum partes non
habet, nisi ad species referatur, quicquid igitur habet, non partibus,
sed tota sui magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in partibus suis
genus habeat 1 post, quo quod Em1 quid m2
GHm1R a om. H 2 hoc differentia om. C huic hunc
Em1N 4 per se ante notis brm unam GHa.r.
5 aliam C sic Ha.r. post quoniam add . quidem
C 6 sit C nec N 10 id om. R qua quod
GHLm1P; cf. 270, 12 dicendumne Lm2 11 genus ante
non habere HNP habent habet Lm2 12 habet habebit
CEGLm1, in mg. Rm2 om. m1 13 ueniunt R 15 uidetur
GLm1P differentia EGL
ex -tiasj P 16 esse est CLP aliquando Em1
18 contrarium HLm2NPm1 contrario R 19 mortalitatem
atque inmortalitatem CNP, s. l. Lm2, om.
cett . 22 esse post alba N, post alia P 25
detinebit N in HNP, s. l.
Lm2, om. cett . contrarietates, ut animal in homine
rationabilitatem, in boue contrarium. sed nunc non de speciebus quærimus, de
quibus constat, sed an ipsum per se genus eas differentias quas habent species,
habere possit atque intra suæ substantiæ ambitum continere, hanc igitur quæstionem
tali ratione dis soluimus. potest quælibet illa res id quod est non esse, sed
alio modo esse, alio uero non esse, ut Socrates cum stat, et sedet et non
sedet, sedet quidem potestate, actu uero non sedet. cum enim stat, manifestum
est eum non agere sessionem, sed potius standi inmobilitatem. sed rursus cum
stat, sedet, non quia iam sedet, sed quia sedere potest; ita actu quidem
non sedet, potestate uero sedet. et ouum animal est et non est animal. non est
quidem animal actu, adhuc namque ouum est nec ad animalis processit uiuificationem,
sed idem tamen est animal potestate, quia potest effici animal, cum
formam ac spiritum uiuificationis acceperit. ita igitur genus et habet has
differentias et non habet, non habet quidem actu, sed habet potestate. si enim
ipsum per se animal consideretur, differentias non habebit, si autem ad species
reducatur, habere potest, sed distributim atque ut eius speciebus separarim
nihil possit euenire contrarium. ita ipsum genus si per se consi 1
post homine s. l . habet E, post rationabilitatem
Lm2 2 nunc om. EGR, s. l. Lm2 4 suæ intra C 6 quælibet
illa res HLm2NPm1 quælibet
res res s. l. E CEPm2
quidlibet Lm1R quodlibet G 7 alio uero non esse om. Hm1, s. l . alio non esse m2 8
secund . sedet om. CEGR 9 enim om. CEGLPm1 s. l . autem
m2 R sessione G 10 mobilitatem CEGLm1P
mobilitate N cum stat in constat mut .
ERm2 13 actu om. EG 14 neque CL ad om.
E animal G animalis quidem L spiritum speciem
CHR genus et ELm2NP et genus
et H genus CGLm1R 17 non habet quidem potestate habet
quidem potestate sed non habet
habet om. C actu CEm2P habet quidem actu sed non habet
potestate Em1G 18 consideretur quis s. l.
consideret E 19 autem enim R reducat E distributim
HLm2PRm2 distributum
CN distribute EGLm1 distributam Rm1 atque contrarium atque
in species separatum
separatim H ut nihil possit esse euenire H contrarium CHN,
add. locum atque ut eius contrarium C nihil et nihil G
21 si ipsum genus HN deretur, differentiis caret; quod si ad
species referatur, per distributas species uel in partibus suis contraria
retinebit, atque ita nec ex nihilo uenerunt differentiæ quas genus retinet
potestate nec utraque contraria in eodem sunt, cum contrarias differentias
in eo quod dicitur genus, actu non habet, inpossibilitas enim eius
propositionis quæ dicit contraria in eodem esse non posse, in eo consistit quod
contraria actu in eodem esse non possunt, nam potestate et non actu duo
contraria in eodem esse nihil impedit, quæ uero nos contraria diximus,
Porphyrius opposita nuncupauit. est enim genus contrarii oppositum : omnia enim
contraria, si sibimet ipsis considerantur, opposita sunt. Definiunt autem
eam et hoc modo : differentia est quod de pluribus et differentibus specie in
eo quod quale sit PREDICARE; rationale enim et mortale de homine PREDICATO
in eo quod quale quiddam est homo
dicitur, sed non in eo quod quid est. quid est enim homo interrogatis nobis
conueniens est dicere animal, quale autem animal inquisiti, quoniam ratio nale
et mortale est, conuenienter adsignabimus. Tres sunt
interrogationes ad quas genus, species, differentia, proprium atque accidens
respondetur, hæc autem sunt : quid 13 20 Porph. 11, 7 12 Boeth. 37,
6-12. 1 species differentias H 2 uel om.
Lm1 uelut HLm2 sin eo id HN quot E 7
actu ante contraria H, post eodem CLN in
eodem esse in eodem om. EG 8 post non possunt add
. quantum ad genus potestate solum, quantum ad species actu et potestate
Rm2 9 nil L contraria nos C 11 si om. HN, s. l. Cm2 si in semet Lm2P
considerentur CLm2 12 sunt om. HN 13 autem om. H enim C
et om. CEGHNP 2, ante eam 4 ; Porph. 11, 7 xo; όντως 14 quæ EP de om. C et
om. CEGLIR; Porph. xat ; cf. infra 267, 1 15
rationale animal 19 R Q, om. cett . 16 prædicatur T
a.c. m1 quiddam om. ΓΦ 18 homo om. R ΔΦ, s. l . scil, homo \ m2 ; Porph. άνθρωπος 19 post post, animal add . sit
C, ante EG inquisiti Porph. 11,
11 πυνθανομενων 20 et om. CEGLR;
Porph. 11, 12 xac est om. HNR, s. l . 2 m2
assignauimus E assignamus G 22 hæ Hp.r.LR edd .
heede m P sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis
interroget: quid est Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal
aut homo, si quis quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens
respondebitur, id est aut sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit
Socrates interroget, aut differentia aut proprium aut accidens
respondebitur, id est uel rationalis uel risibilis uel caluus. sed in proprio
quidem illa est obseruatio, quod illud proprium dici potest quod de una specie PREDICARE,
accidens uero tale est quod qualitatem designet quæ non substantiam significet,
differentia uero talis est quæ substantiam demonstret, interrogati igitur
qualis una quæque res sit, si uolumus reddere substantiæ qualitatem,
differentiam prædicamus, quæ differentia numquam de una tantum specie prædicatur,
ut mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus
inter se differentibus PREDICARE ad eam interrogationem, quæ quale sit id de
quo quæritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem :
differentia est quod de pluribus 1 se om. G, s. l. E
habet CEGLR 2 per om. H ac N 3 pr . aut
ut CHm1N post, aut ut Hm1N habet R, post
habeat del . se habet G 4 iure legit differentia aut
legit G aut differentiam * ut a er. legit E differentia
respondetur respondetur etiam R id est aut sedet aut legit
Lm1 5 aut et HLm1NP quale H proprio aut
accidenti EGR respondebitur CLm2P respondebit EGR
respondetur HLm1N 7 pr . uel om. LN uel risibilis
uel caluus Lm1 edd . uel mortalis uel
caluus CHLmSN uel mortalis uel alicuius EGR uel
mortalis uel saluus uel caluus Pm1 uel mortalis uel risibilis uel
caluus m2 10 quæ non demonstret Differentia uero talis est hæc om.
L quæ que ELm1 atque m2
non substantiam significet -cat Lm1, add. m1 Differentia
uero talis est quæ substantiam significat, del. m2 . Differentia uero talis est quæ non add.,
sed del. E substantiam demonstret at Lm1
EGL post significet in mg. Proprium uero est quod non
substandam significat H 11 quæ quia R demonstrat
CLm1 interroganti R
extis quale R 12 constantiæ G 13 numquam non
C tantum de una C 14 sed om. EG, s. l. Lm2 15
quod quodsi R 16 ad prædicatur in mg .
respondetur E 18 pluribus differentibus cf. 265, 14 specie differentibus
in eo quod quale sit praltdicatur; cuius definitionis causam rationemque
pertractans ait; Rebus enim ex materia et forma constantibus uel ad
similitudinem rtfateriæ et formæ constituti onem habentibus, quemadmodum statua
ex materia est æris, forma autem figura, sic et homo communis et specialis ex
materia quidem similiter consistit genere, ex forma autem differentia, totum
autem hoc animal rationale mortale homo est, quemadmodum illic
statua. Dixit superius differentias esse quæ in qualitate speciei PREDICARE,
nunc autem causas exequitur, cur speciei qualitas differentia sit. omnes,
inquit, res uel ex materia formaque consistunt uel ad similitudinem materiæ
atque formæ substantiam sortiuntur, ex materia quidem formaque subsistunt
3 10 Porph. Boeth. post quale add . quid Lm2in ras. E sed er.
Rm1, del. m2, add . quid post sit s. l. Hm2 4
post similitudinem add . proportionemque LNRQ in mg . nempe communionem Γ ; om. Porph. 11, 13 et ac ΓΔΙΙΨ-, om . L Α2Φ formæ A m2 HI!1
speciei CEGHNPR h m1 specieique L Λ2Φ formæ speciei er. uid . Γ ; cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quemadmodum differentia 8 LR Q,
om. cett. post materia add . quidem edd., recte ut uid.;
Porph. μέν 6 æris et s. l. m2 ære in
ras. m2 Ψ forma ex in al. litt. xV m2 forma L xV brm Busse;
Porph . εΐϊοος post figura hæc
Proportionale autem enim Φ dicitur est Σ quod proportionem omnium
specierum teneat tenet Σ id est communionem omnium partium uel
et T specierum quæ diuidi
diuidendo Rhm1 diuidendæ Th m2 \l m1 2'l> ex ea eo ΣΣ contingunt contingant
R per del. Σ differentiam figuras ΓΠ m2 differentiam figuras \ add . LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ, om . Ψ, del . T m2 \
m2 7 similiter Busse
similiter proportionaliter LR ll m1 similiter
proportionaliterquc ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ proportionaliter 2 brm; cf. Porph. 11, 15 8 ante genere add . in Γ
m2 ex m1 L Σ toto Ga.c . 9 ratione E
ante mortale add . et CEGHLPR, om . N Q cum
Porph. 11, 16 homo est om. N, ex homine Δ
m2 11 differentiam HN 12 prædicaretur HN causis
Em1 post cur add . autem Hm1, del. m2 qualitas
speciei H omnis ELm2N uel om. EGR 14 consistit
Ea.c.HLm2 subsistit N 15 sortitur HLm2N ex
om. CEGR formaque et forma P omnia quæcumque sunt
corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod suscipiat formam, nihil omnino
esse potest, si enim lapides non fuissent, muri parietesque non essent, si
lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quæ ex ligni materia est, esse
potuisset, igitur supposita materia ac præiacente cum in ipsam figura
superuenerit, fit quælibet illa res corporea ex materia formaque subsistens, ut
Achillis statua ex æris materia et ipsius Achillis figura perficitur, atque ea
quidem quæ corporea sunt, manifestum est ex materia formaque subsistere, ea
uero quæ sunt incorporalia, ad similitudinem materiæ atque formæ habent
suppositas priores antiquioresque naturas, super quas differentiæ uenientes
efficiunt aliquid quod eodem modo sicut corpus tamquam ex materia ac figura
consistere uideatur, ut in genere ac specie additis generi differentiis species
effecta est. ut igitur est in Achillis statua æs quidem materia, forma
uero Achillis qualitas et quædam figura, ex quibus efficitur Achillis statua,
quæ subiecta sensibus capitur, ita etiam in specie, quod est homo, materia
quidem eius genus est, quod est animal, cui superueniens qualitas rationalis
animal rationale, id est speciem fecit, igitur speciei materia quædam est
genus, forma uero et quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua æs,
hoc est in specie genus, quod in statua figura conformans, id in specie
differentia, quod in statua ipsa statua, quæ ex ære 2 potest putem
G putemus R 4 nec om. Gm1 ne EGm2L 5
materia est fit materia HNP ante igitur add . si E,
sed del . 6 in om. R ipsa ER figuram Hm1La.r .
peruenerit HN 9 corporalia HNP ex om. C 11 prioris Em1G 12
antiquiorisque G 13 tamquam om. CLP, del. Hm2 ex ea
GL in ras. m2 R 14 materia ac figura brm materia in ras. Lm2
forma ac figura ac figura del. Lm2 LP forma ac figura
CEGHRp figura ac forma N 15 generi generis EG 16 æs
statua 17 om. N materiæ G 17 et quædam statua CH, om. Lm1 in mg . et quædam figura m2
P statua cet. om. EGR 18 quod quæ edd . 22 et om. EGR,
s. l. Lm2 qualitatis R igitur est est s. l. Pm2
HNP 23 figura forma N 24 post quod add .
est igitur Pm2 figuraque conformatur, id in specie ipsa
species, quæ ex genere differentiaque coniungitur. quodsi materia quidem
speciei genus est, forma autem differentia, omnis uero forma qualitas est, iure
omnis differentia qualitas appellatur, quæ cum ita sint, iure in eo quod
quale sit interrogantibus respondetur. Describunt autem huiusmodi
differentias et hoc modo: differentia est quod aptum natum est diuidere quæ sub
eodem sunt genere; rationale enim et inrationale hominem et equum, quæ sub
eodem sunt genere, quod est animal, diuidunt. Hæc quidem
definitio cum sit usitata atque ante oculos exposita, eam tamen plenius
dilucideque declarauit. omnes enim differentiæ idcirco differentiæ nuncupantur,
quia species a se differre faciunt, quas unum genus includit, ut homo
atque equus propriis discrepant differentiis; nam sicut homo animal est,
ita etiam equus, ergo secundum genus nullo modo distant. Porph. Boeth. 37,
18 38, 1. formatur CHNP quidem quædam CHLm2PR 3
autem nero N uero ergo Lm1 autem N qualitas HNPm1 qualia CEGLR uel
qualis s. l. Pm2 5 ante respondetur excidisse
differentia coni. Brandt 6 post autem add .
et L del. R; Porph. 11, 18 post 8e add . *αί cod. B differentias Em2GHPm1 xV differentiam
CLPm2 ΓΛΑΙIΣΦ differentia Em1NR; Porph,. τάς τοιούτας διαφοράς et LPR i,
om. cett.; Porph. *a\ οοτως 7 qua CG
actum R natura HL
del. m2 ΓΑΛΠΦ om. cett.;
Porph. πεφοχος; ante quæ add. ea Γ2, s.
l. A m2, del. m. al., illa s. l. Δ m2
genere sunt ΣΑΨ rationale sunt genere om. EG 9 et equum
equnmque C 10 diuidit L 11 cum oculos in mg.
E sit usitata sita sit situr sic Em1 ita sit m2
situ sit sita G ante om. HNR, s. l. Lm2 oculis HN
12 post exposita add. superius R ea GNR plenius
dilucideque declarauit claruit Em1Gm1 CEm2Gm2 plenius
dilucideque declarauit L plenius lucidinsque declarauit Hm2
plenius dilucidiusque claruit R exempli insuper luce
declarauit ex declaruit N
NP plenius dilucideque exempli insuper luce declarauit
Hm1 exempli insuper luce reserauit edd . 13 species ase differre specie ex specierum, sequ. rasura differentiam E species in ære
differentiam G species ase differentiæ Lm1 14 a ad
R concludit N nam in ras. Lm2 sed EG
quæ igitur secundum genus minime discrepant, ea differentiis
distribuuntur, additum enim rationale quidem homini, inrationale uero equo
equus atque homo, quæ sub eodem fuerant genere, distribuuntur et discrepant,
additis scilicet differentiis. Adsignant autem etiam hoc modo:
differentia est qua differunt a se singula; nam secundum genus non
differunt, sumus enim mortalia animalia et nos et inrationabilia, sed additum
rationabile separauit nos ab illis, et rationabiles sumus et nos et dii, sed
mortale adpositum disiunxit nos ab illis. Vitiosa ratione et non sana quod
uult explicat definitio quorundam. id enim esse dicunt differentiam qua una quæque
res ab alia distet, in qua definitione nihil interest quod ita dixit an ita
concluserit : differentia est id quod est differentia, etenim differentiæ
nomine in eiusdem differentiæ usus est 5 10 Porph. 11, 21 12, 1 Boeth.
38, 1 5. 2 describuntur EG post equo
distinguunt edd., post equus expectatur igitur’ Schepps,
additum eqs. nominatiuum absolut . cf. indicem Meiseri
interpretatur Brandt qui Lm2P 5 autem om .
\, del. Lm2 A. m2 etiam om. H etiam et
Λ eam et Ν Σ ; Porph. 11, 21 St καί 6 qua Porph. διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει
έκασχα; ‘an quo?’ Busse, sed cf. infra 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6
nam ab illis 9 LR Q, om. cett. post nam add
. homo et equus cum Porph. edd. cf. etiam infra 271, 9. 12, sed etiam
supra 269, 9, etiam Bussio homo atque equus addendum uid . 7
enim autem Γ 8 inrationalia
uel irr- R ?ΓΠ in ras. ros. ex -bilia
Δ sed illis 9 om. R
rationabile p.r
rationale \ a.r. et cett . separauit disiunxit ΓΦ 9 et CHP,
s. l. er. uid. Δ, om. cett . rationabiles L \ m1 2 rationale CP
rationales cett., add . enim ΕGΗ ΑίΙΦΨ ; codd. Porph. aut
λογικοί aut λογικά sumus om. CEGHP; Porph . έσμέν et nos om. E et om. N di C dei ut
uid . 2 sed ab illis om. EG 11 ante
Vitiosa in ras. Hæc E ratione L edd., om. cett. recte?, in ras . est
E et om. G sane E in ras. NP explicans
HNP non s. l. m2 explicat L 12 id cf. 263, 10 13 aliis R
distat HN differt P 14 dixerit Lm2P an utrum
R concluderit L concludat EGR id quod est
om. E ante differentia add . ipsa ER differentia
om. G 15 etenim om. EGR differentiæ nomine qua differt una res ab
alia, id est id quod est differentia est differentia. Differentiæ nomine fid
est nomine in ras. m2 E in definitione usus in eius
diffinitione N definitione dicens : differentia est qua
differunt a se singula, quodsi adhuc differentia nescitur, nisi definitione
clarescat, differre quoque quid sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius
attulit ad agnitionem qui differentiæ nomine in eiusdem usus est
definitione, est autem communis et uaga nec includens substantiales
differentias, sed quaslibet etiam accidentes hoc modo : differentia est qua a
se differunt singula; quæ enim genere eadem sunt, differentia discrepant, ut
cum homo atque equus idem sint in animalis genere, quoniam utraque sunt
animalia, differunt tamen differentia rationali, et cum dii atque homines sub
rationalitate sint positi, differunt mortalitate, rationale igitur hominis ad
equum differentia est, mortale hominis ad deum, atque hoc quidem modo
substantiales differentiæ colliguntur, quodsi Socrates sedeat, Plato uero
ambulet, erit differentia ambulatio uel sessio, quæ substantialis non est.
namque istam quoque differentiam definitio uidetur includere, cum dicit :
differentia est qua differunt singula; quocumque enim Socrates a Platone
distiterit nullo autem alio distare nisi accidentibus potest , id erit differentia secundum superioris
terminum definitionis, quam rem scilicet uiderunt etiam hi qui definitionis
huius uagum communemque finem reprehendentes certæ conclusionis terminum
subiecerunt. 2 nesciatur Lm2 non noscitur m1 P
definitione in definitione N 3 qui LN quomodo CEGPR qui d er. H possemus
EG possimus R 4 ita om. EGR cognitionem
NPm2, post agnitionem add. a cogitatione Hm1, del. m2, s. l. uel
cognitione m2, del. m. al. set om. EG accidentales Lm2Pm2
9 sunt EGHLm1R in om. GNR et om. EGR
rationabilitate CGLm1 rationale N sunt CEGLm1R 12
positi post EG post differunt add. tamen L
rationabile L 13 est om. C 15 ambulatio uel om.
EG, s. l. Lm2 16 nam HLm1 ista E quo EGHm1
post differunt add. a se R cumque EG
quoque Rm1 quocumque modo P post enim s. l.
modo Lm2 19 destiterit CEm1HPRm2 distauerit m1
post alio s. l. modo Em2 accidentibus ex
accidentibus P Interius autem perscrutantes de differentia
dicunt, non quodlibet eorum quæ sub eodem sunt genere diuidentium esse
differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est esse rei pars
est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit hominis differentia, etsi
proprium sit hominis, dicimus enim animalium hæc quidem apta nata sunt ad
nauigandum, illa uero minime, diuidentes ab aliis, sed aptum natum esse ad
nauigandum non erat completiuum substantiæ nec eius pars, sed aptitudo quædam
eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quæ specificæ dicuntur
differentiæ, erunt igitur specificæ differentiæ quæcumque alteram faciunt
speciem et quæcumque in eo quod quale est accipiuntur. Et de differentiis quidem ista
sufficiunt. Sensus propositionis huiusmodi est. quoniam superius
dixit determinasse quosdam differentiam esse qua a se singula dis 90
creparent, ait alios diligentius de differentia | perscrutantes non 1 15 Porph.
Boeth. perscrutantes EGHP
perscrutantes et speculantes cett.; Porph. 12, 1 προσεξεργοζόμενοι de differentia CH linea del., sed lin. er. Σ differentiam cett. edd. Busse; Porph. 12, τά περί τής διαφοράς 2 non non solum R,
quodlibet quod habet ELm1 h m1 X, post quodlibet
er. habet 23 diuidentium esse om. X,
s. l. Lm2 sed quod dicuntur
differentiæ 12 LR Q, om. cett. 5 aptum actu
R natum om. LR; Porph. 12, 4 τδ πεφοχέναι πλεΐν 6 dicimus Porph. 12, 5 εΐποιμεν γάρ dv, unde
dicemus coni. Brandt; infra 12 erunt ειεν άν ; 234, 16. erit. 17. 235, 2
erunt 7 animalia A acta Rm1 nata om. LR 8
aliis illis A actum Rm1 natum om. R est R
erit h m2 10 neque Busse 11 est om. R
quoniam om. LR 12 quæ om. Φ igitur ergo L 13 alteram quæcumque om. H et ea EG quale in er.
quid ut uid. Hm2 quid EG post est add. esse EG
accipiunt EG 15 Et sufficiunt om. N Et om. CEGP;
Porph. 12,11 Καί de om. EG A
differentiis Porph. περί μίν διαφοράς quidem om. H sufficiant CL X
m2; Porph. άρχει 18 alios ilico
EGLa.c. ilico alios P de differentia differentiam
CLm1P fuisse arbitratos recte esse superius propositam
definitionem, neque enim omnia quæcumque sub eodem posita genere differre
faciunt, differentiæ hæ de quibus nunc tractatur, id est specificæ, numerari
queunt, plura enim sunt quæ ita diuidunt species sub uno genere positas,
ut tamen eorum substantiam minime conforment, quia non uidentur esse differentiæ
specificæ nisi illæ tantum quæ ad id quod est esse proficiunt et quæ in
definitionis alicuius parte ponuntur, hæ autem sunt ut rationale hominis, nam
et substantiam hominis conformat et ad esse hominis proficit et
definitionis eius pars est. ergo nisi ad id quod est esse conducit et eius quod
est esse rei pars sit, specifica differentia nullo modo poterit nuncupari, quid
est autem esse rei? nihil est aliud nisi definitio, uni cuique enim rei
interrogatæ quid est? si quis quod est esse monstrare uoluierit,
definitionem dicit, ergo si qua definitionis pars fuerit, eius erit pars quæ
unius cuiusque rei quid esse sit designet, definitio est quidem quæ quid una quæque
res 1 positam EG 2 posita posita sunt EGL post genere
add. quæ Lm1, del. m2 3 differentiæ
id est om. CN hæ om. H id est om. R, er. uid. H,
s. l. Lm2 nominari HLm2NR 5
earum H 6 quia quæ CH specificæ ante
esse H, post N 7 proficiant R et quæ eæque G eæ
quæ Em1, del. m2, etiam proxima inponuntur del. m2in
del. Lm2, om. P diffinitiones N definitionibus
EGLm1 aliqua N partes EGLP post ponuntur
add. ut mortalis rationalis Em1, del. m2 hæ ea
EGLm2P 9 et s. l. Lm2 et ad G conformat hominis
om. EG 11
conducat EHm2Lm2N et eius pars
sit N et eius quod add. quid Rm1, del. m2, quidem
ex quid Hm2, del. m3
est esse rei pars sit est Hm1 HR et eius rei quod est
est del. Lm2 esse pars est
est om. Lm1, s. l. sit m2 CL et eius quod quidem esse
rei pars est P eius rei quod quidem aliquid add. E EG 13 esse om. G, ante
autem H nihil del. Em2 est s. l. Lm2Rm2
esse E del. m2 G unius cuiusque R 14 interrogatæ ad
interrogationem CHN quis quid Lm2 quod id quod
CHNP qua quid CHN 16 post eius s. l.
rei Lm2 quæ quod HLm1N quid quod N sit
esse L esse fit G est esse Hm1N 17 designat
Lm2P significet Hm1N est quidem enim est HN quæ
quid quia N sit, ostendit ac profert, demonstraturque quid
uni cuique rei sit esse per definitionis adsignationem. illæ uero differentiæ
quæ non ad substantiam conducunt, sed quoddam quasi extrinsecus accidens
afferunt, specificæ non dicuntur, licet sub eodem genere positas species
faciant discrepare, ut si quis hominis atque equi hanc differentiam
dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus est ad nauigandum, equus uero
minime, et cum sit equus atque homo sub eodem genere animalis, addita
differentia aptum esse ad nauigandum equum distinxit ab homine, sed aptum esse
ad nauigandum non est huiusmodi, quale quod possit hominis formare substantiam,
sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat et ad faciendum aliquid uel
non faciendum oportunitatem. Id circo ergo specifica differentia esse non
dicitur, quo fit ut non omnis differentia quæ sub eodem genere positas species
distribuit, specifica esse possit, sed ea tantum quæ ad substantiam speciei
proficit et quæ in parte definitionis accipitur, concludit igitur esse
specificas differentias quæ alteras a se species faciunt per differentias
substantiales, nam si uni cuique id est esse quodcumque substantialiter fuerit,
quæcumque differentiæ substantialiter diuersæ sunt, illas species quibus
adsunt, omni substantia faciunt alteras ac discrepantes, atque hæ in
definitionis parte sumuntur, nam si definitio substantiam monstrat 1
ostendit om. E ostenditur N ac er. E, om. N
profert om. N
demonstratque CLm1 quid quod Lm1Pm1R quidem quid
N 2 per om. EGR, in mg. Lm2
assignatione EG 3 ad om. EΡ quasi om. EGPR
5 faciant om. EG facient CLm1Rm1 7 homo enim
autem LR equus HLNR hominem equum cet, om.
CEGP 10 esse ad sed tantum 11 om. EG 11 quale om. EGR,
del. Lm2 ante
quod quid P add. per L del. m2, s. l. Pm2
post substantiam add. sicut rationale quæ est substantialis
qualitas C 12 habitudinem Hm1 13 opportunitatem
CR differentia specifica C 18 ante esse
add. eas HΝΡ, s. l. Lm2 quæ differentias
om. EGR ad faciunt s. l. 1 informant
Lm2 19 differentias ex distantias Lm2 idem
est in ras. m2 esse H idem esse est
R 21 sint Hm1 omnes EGP 22 substantias
P substantiæ Hm1 substantiæ ratione N et
substantiales differentiæ species efficiunt, substantiales differentiæ erunt
partes definitionum. Proprium uero quadrifariam diuidunt. nam et id
quod soli alicui speciei accidit, etsi non omni, ut homini medicum esse uel
geometrem, et quod omni accidit, etsi non soli, quemadmodum homini esse
bipedem, et quod soli et omni et aliquando, ut homini in senectute canescere,
quartum uero, in quo concurrit et soli et omni et semper, quemadmodum homini
esse risibile, nam etsi non semper rideat, tamen risibile dicitur, non quod iam
rideat, sed quod aptus natus sit; hoc autem ei semper est naturale et equo
hinnibile, hæc autem proprie propria perhibent esse, 3 276, 2 Porph. Boeth. et om. EG, s. l. Pm2 2
erunt post partes Lm2 sunt m1 sunt
post definitionum CGR, s. l. Em2 3 DE PROPRIO om. H, add. Lm2 EXPLICIT DE
DIFFEREN. DIFFERENTIIS Ψ
INCIPIT DE PROPRIO 2<F 4 et s. l. C 5
hominem R h m1 A 6 uelut H geometram CEm1G edd. Busse
et quod perhibent esse 14 LR
locum hic om., 277, 7 post adest inserit Ω, om. cett. omni Porph. 12, 14 παντί τφ εϊδει 7 etsij et R T m1 ante
homini add. et R 8 homini Porph. όνΟ-ρώπψ παντί, unde homini
omni coni. Busse 9 post uero add. est Φ in quo concurrit et del., in mg.
conuenit T m2 10 hominem R Σ 11 risibilem R ΓΣΦ ; Porph. ώς τψ άνθρώπψ τό γελαστιχόν non semper rideat L Σ non rideat ΓΑ non ridet
hic ut uid. s. l. semper add., sed er. \
R AIIΨΨ semper non rideat Busse non rideat
semper edd.; Porph. 12, 18 χαν γάρ μή γελά αεί risibile tamen L Λ edd. Busse; Porph. άλλα γελαστιχο'ν 12 iam semper Σ edd.; Porph. άεί, cod. Mm2 ίBη rideat natus sit om. Φ 13 sit natus R, add. ad ridendum R ΓΑ ridere Σ,
ante sed add. ridendum Φ ; om. Porph.
semper ei est naturale L semper est ei naturale Γ ei
semper naturale est Σ ante et add. ut om.
etiam B Bussii edd. Busse ; Porph. 12, 20 ώς, om. cod.
A 14 autem Porph. 81
xai, om. xai cod. A proprie esse L Λ esse s. l. m2 Σ
esse om. , proprie dominanterque nominantur T m2 propria perhibentur perhibentur
del. Γ m2 ΓΦ proprie nominantur nominant Π propria R ΔΙΙ uere dicuntur
propria Ψ ; Porph. χυρίως ΐßιά φασιν
quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim equus, hinnibile, et quicquid
hinnibile, equus. Superius dictum est omnia propria ex accidentium genere
descendere, quicquid enim de aliquo prædicatur, aut substantiam informat aut
secundum accidens inest. nihil uero est quod cuiuslibet rei substantiam
monstret nisi genus, species et differentia, genus quidem et differentia
speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo reliquum est, in accidentium
numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent inter se aliquam
differentiam, idcirco alia quidem propria, alia priore atque antiquiore
nomine accidentia nun|cupantur. et de accidentibus paulo post, nunc de
propriis, quæ quadrifariam diuiduntur, non tamquam genus aliquod proprium in
quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait diuidunt, ita
intellegendum est, tamquam si diceret nuncupant, id est propria
quadrifariam dicunt, cuius quadrifariæ appellationis significationes enumerat,
ut quæ sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat, dicit ergo
proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo coæquetur ei,
sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur proprium medicum esse,
idcirco quoniam nulli alii inesse ani 3 superius eqs. fort. enim equus
om. N equus equus
CEGHNP U sed add. et si
homo, risibile, si risibile, homo est cum Porph. 12, 21, post pr. equus
add. et R A est et L est etiam est et
sic Φ equus est et hinnibile est est s. l.
F\ m2 et quicquid hinnibile equus
est ΓΔ est equus est hinnibile et quicquid est hinnibile
est equus quattuor est s. l.
m2 Ψ equus est hinnibile et quicquid hinnibile est
equus est et si homo est risibile est et risibile homo est 2 4
alio N 6 ante species add. et Lm1,
del. m2 7 et om. R genus diiferentia om. EGR, s. l.
Hm2 11 ante antiquiore add. in ER 12
nunc ex nam Hm2 quadrifarie N in
quadrifariam -um GP EGP diuidunt H ur er.
P ur del. m2 aliquid CPm1 14 ait om.
E in mg. dicitur m2
G est R diuiduntur EG 15 nuncupantur
EGR proprie CEm1G propriam ut uid. Pm1
propriam m2 dicuntur EGHm1La.c.NR quadrifariam
C 18 proprietas Ea.c. proprii p.c. G
dicitur CEHLa.c. corr. m1 et 2 P ergo om. C
proprium s. l. Cm2 primum m1 20 ei ante
nullo HN ac et HNP dicimus HN malium
potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine prædicari possit, sed illud
tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum esse, et hæc
quidem significatio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni; soli enim
speciei, etsi non omni coæquatur, ut medicina soli quidem inest homini, sed non
omnibus hominibus ad scientiam adest. Aliud proprium est quod huic e contrario
dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut omnem quidem speciem
contineat eamque transcendat, et quoniam quidem nihil est sublectæ
speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni, quoniam uero transcendit in
alias, dicimus non soli: hoc huiusmodi est quale homini esse bipedem, proprium
est enim homini esse bipedem, omnis enim homo bipes est etiamsi non solus, aues
enim bipedes sunt, geminæ igitur significationes proprii quæ superius
dictæ sunt, habent aliquid minus, prima quidem quia non omni, secunda uero quia
non soli, quas si iungimus, facimus omni et soli, sed demimus aliquid secundum
tempus, si ei adiciatur aliquando, ut sit hæc tertia proprii nuncupatio ‘omni
et soli, sed aliquando, ut est in senectute canescere uel in iuuentute
pubescere; omni enim homini adest in iuuentute pubescere, in senectute
canescere, et soli, pubescere enim solius hominis est, sed ali 1 hoc om. EG homini EN
quod quia HN nisi de homine post esse N 3
medicus Hm1N 4 inesse CP, s.
l. Hm2Lm2, om. EGR inest N etiamsi
Em2 et m1 Hm1LR etiamsi EHm1L repet,
post inest PR coæquetur Em2Hm1 ante medicina
add. homini H del. m2 LNR homini om.
NR, s. l. Hm2 adest adesse potest CLN potest esse H; de
R cf. ad 275, 6 7 est ante aliud HN, post
CG, om. E 8 etiamsi HLNR
quid HN 10 quod illo non soli in inf. mg. Em2 post dicimus
add. enim C 11 aliis Em2G 12 hoc id N
post quale add. est s. l. Hm2, post homini CG
hominis R, post homini add. proprium Em2
enim in mg. Em2 14 etiamsi geminæ om. EGR
17 sed Hm2 si m1 demimus HN deminus Cm1 i demimus ί deest minus m2 dempsimus R
dedimus Em1 addimus m2 G deest minus
LP 18 eis HLP ei post adiciatur
N omni et soli et soli et
omni C sed si G 21 post. in et in HN
22 est hominis HN quando, neque enim omni tempore, sed in
sola tantum iuuentute. hæc igitur determinatio proprii in eo quidem modo quod
omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel contrahit, cum
dicimus aliquando, quod si auferamus, fit proprii integra simplexque
significatio hoc modo : proprium est quod omni et soli et semper adest,
omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini risibile, equo
hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper. neque illud nos
ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non enim ridere est
proprium hominis, sed esse risibile, quod non in actu, sed in potestate
consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse soli et omni homini
semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur, nam si actus separatur
ab specie, potestas nulla ratione disiungitur. Quattuor igitur
significationes proprii dixit, nam prima quidem, quando accidens ita
subiectæ speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non omni, ut homini medicina;
secunda uero, 1 in om. EGR, s. l. L, post tantnm
P tamen L post iunentnte add. pubescit N
2 post proprii add. integra simplexque
significatio GHP del. m1? ex 5 in eo fit proprii om. R
modo om. N, del. Lm2 inest om. EG est
Lm1 minus La.c. minui N minuens P aliquid
uel atque significationem in ras. Em2 uel CNP et GL, om. ΕH 4 quod quam N simplexque et simplex
HLNR proprii R 6 soli et omni N secund. et
om. GLR, s. l. Pm2 omni autem intellegendum est om.
Rbrm 7 et semper om. EGR, del. Lm2, s. l. Hm2Pm2
intellegendum est del. et s. l. adest scr. Hm2, in mg.
quod soli et omni adest m. al. 8 post. et om.
EGPR post semper add. similiter et equus
hinnibile brm 9 illud Hm2 enim Hm1N 10 proprium
est NPR sed si est R esse del. Lm2 est R 11 sed si R
12 si non rideat etiam C quia om. N, s. l. Hm2
tamen om. R autem HN possit La.c.N
potest Em2 post omni add. adsit H del. m2
adest N 13 ante semper s. l. et Hm2
semper om. R ante conuenienter add. et H er. L
del. m2 NP 14 si etsi Hm1Lm1N separetur Em2
a C 15 proprii om. EG nam prima unam CHm1 primam m2
N nam s. l. primam
P homini medicina hominem esse medicum C secundam CHN;
in mg . ał. secunda autem cum omni accidit etsi non soli ut homini esse
bipedem add. L uero autem CL in mg. cum soli
quidem non adest, omni uero semper adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia
uero, cum omni et soli, sed aliquando, ut omni homini in iuuentute pubescere;
quarta, cum omni et soli et semper adest, ut esse risibile, atque ideo
cetera quidem conuerti non possunt : neque enim coæquatur quod soli, sed non
omni speciei adest, species quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie
minime, qui enim medicus est, potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse
non dicitur, rursus quod ita est alii proprium, ut omni adsit etiamsi non
soli, ipsum quidem de specie PREDICARE potest, species uero de eo minime, nam
bipes prædicari de homine potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod
ita adest, ut omni et soli, sed aliquando adsit, quoniam de tempore habet
aliquid deminutum nec simpliciter semper adest, reciprocari non poterit,
possumus enim dicere omnis qui pubescit homo est, non omnis homo pubescit:
potest enim minime ad iuuentutem uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte
non sit pubescere hominis proprium, sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum
nondum est in iuuentute aut etiam præteriit, tamen sit ei proprium non
tale quale tunc fieri possit, cum præter iuuentutem est, sed quale cum in
iuuentute consistit, atque ideo hoc 1 cum quæ N soli adiungitur del. Hm2 omni accidit etsi
non soli CHm2L semper s. l. Hm2 2 hominem C
tertiam CHN soli et omni N omnio m. LNR
homini om. N
quartam CG sic HN 4 post. et om. EG, add.
Pm2 inest CHm1N ideo om. E adeo HLR coæquantur
HN 6 quodj quia cum Hm1N non omni sed soli N sed si
R 7 qui enim dici homo om. EGR 8 homo dici C 9 ad
alii s. l. a t illud L, post add. una pars
R de homine prædicari C 13 adest ex est
Em2 distat Hm1 assit ex sit Hm2 14
diminutum EN nec et Hm1 non non tamen dicimus
L homo qui est homo L qui homo est qui et
est s. l. m2 H 18 ante sed add.
solummodo Hm2, ante in CN, post post. pubescere
L aut Hm2La.c.Pm2 ut
EGHm1Lp.c.Pm1R autem CN 19 cum Hm1NR quod CEGHm2LP etiam s.
l. Hm2 iam Em1 20 sit adsit CHN ei om. G fieri om. C, in ras. Lm2 fieri
possit del., est s. l. scr. Hm2 potest L
in ras. m2 P est C 21 post quale
add. tunc fieri potest posset CHLm1N CH s. l. m2 LNP
quod non in omne tempus tenditur, etiamsi tale est, ut omni 92
speciei adsit, quod ta|men in tempus aliquod differatur, integrum atque
absolutum proprium esse non dicitur, quartum est quod ita alicui adest, ut et
solam teneat speciem et omni adsit et absolutum sit a temporis condicione, ut
risibile quod a superiore plurimum distat; nam qui risibilis est, semper ridere
potest, rursus qui potest in iuuentute pubescere, cum ipsa iuuentus non sit
semper, non ei adest semper ut in iuuentute pubescat, hæc autem quarta proprii
significatio quoniam nulla temporis definitione constringitur, absoluta est
atque ideo etiam conuertitur et de se inuicem proprium atque species prædicantur;
homo enim risibilis est et risibile homo. Accidens uero est quod adest et
abest præter subiecti corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa bile et
in inseparabile, namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse
inseparabiliter coruo et Æthiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus
albus et Æthiops amittens colorem præter subiecti corruptionem, definitur autem
sic quoque; accidens est 13 281, 7 Porph. 12, 23 13, 8 Boeth. 39, 10 21. 1 quod quia
HN 2 speciei tempori EGR aliquid C 4 alicui
om. EG, del. Hm2
ali R alii Lm1 pr. et om. EGLR post. et ut
La.c.R 5 post. a s. l. Hm2 6 qui ex
quod Lm2 7 ante cum add. sed CH del.
m2 NP, s. l. Lm2 8 adest est EGR in iuuentute deleri
uult Hilgard 9 quoniam quam EGLm2P 10 definitio uel difd– EGLm2R
constringit EG 11 et de se et ideo de se P de se
om. R De specie EG 12 risibile C et om.
EGHR 13 inscript. om. HL K ACCIDENTE ΝR ΔΣ 14 uero om.
A 15 diuiditur subsistens 281, 3 LR Q,
om. cett. duobus L 16 in om. Φ nam A Busse amittens
colorem A m1 T" nitens colore
c ett. edd. Busse; Porph. άποβαλών τήν χροιάν; cf. supra 101,
13 corruptionem subiecti LR ϋίΓΦ ; codd. Porph.
φθοράς aut ante
τοΰ υποκειμένου aut
post; definitur Porph. 13, 3
ορίζονται quod contingit
eidem esse et non esse, uel quod neque genus neque differentia neque species
neque proprium, semper autem est in subiecto subsistens. Omnibus igitur determinatis quæ proposita sunt,
dico autem genere, specie, differentia, proprio, accidenti, dicendum est quæ
eis communia adsint et quæ propria. Quouiam, ut superius dictum est, quæ de
aliquo PREDICARE, uel substantialiter uel accidentaliter dicuntur cumque
ea quæ substantialiter PREDICARE, eius de quo dicuntur substantiam
definitionemque contineant et sint eo antiquiora atque maiora, quod ex
substantialibus PREDICATO efficiuntur, cum ea quæ substantialiter dicuntur
pereunt, necesse est ut simul etiam ea interimantur quorum naturam
substantiamque formabant, quæ cum ita sint, necesse est ut quæ accidenter
dicuntur, quoniam substantiam minime informant, et adesse et abesse possint præter
subiecti corruptionem, ea enim tantum cum absunt subiectum corrumpere poterunt,
quæ efficiunt atque conformant quæ sunt substantialia, quæ uero 8
superius 276, 4. 1 contigit R A ante pr. esse add. et R, s.
l. \ m2; om. Porph. 13, 4 post. et uel
L post uel littera er.
) edd.; Porph. η, codd. CM
nat 2 post genus s. l. est A m2 neque
species neque differentia ΔΔΣ edd. Busse;
Porph. οοτε διαφορά οϋτε είδος post proprium add. sit
LR 3 consistens Λ 4 præposita Δ m1 5 dico accidenti om. Γ propria Φ proprio et L ΔΑΣ accidente H et accidenti L A
m2 et accidente m1 ) ΛΣ de accidenti
EG 6 eis his CHP hiis Φ uel his R, om. EG; Porph.
13, 7 αΰτοϊς adsint sint R
sunt L Λ m1 ηιΙΧΣ ; Porph. πρδσεοτιν et om. G 7
post propria add. EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIFFERENTIA
PROPRIO ACCIDENTE Σ 8 ut om. EG alio CEGR 9
accidentialiter CP accidenter HR dicuntur prædicantur
R cum EG 11 definitione EG maiora atque
antiquiora C 12 quod quia R substantialiter CN
efficitur CHm2LN 13 cumque N, post cum s.
l. accidenter
E intireunt P an informabant? accidentaliter
Lm2 16 et om. EGR, s. l. Lm2 abesse et adesse H
17 possunt N tantum enim C 18 perrumpere E
potuerunt LR 19 informant HN non efficiunt
substantiam, ut accidentia, ea cum adsunt uel absunt, nec informant substantiam
nec corrumpunt, est igitur accidens quod adest et abest præter subiecti
corruptionem, id autem diuiditur in duas partes, accidentis enim aliud est
separabile, aliud inseparabile, separabile quidem dormire, sedere,
inseparabile uero ut Æthiopi atque coruo color niger. in qua re talis oritur
dubitatio. ita enim est definitum : accidens est quod adesse et abesse possit
præter subiecti corruptionem. idem tamen accidens aliquando inseparabile
dicitur; quod si inseparabile est, abesse non poterit, frustra igitur positum
est accidens esse quod adesse et abesse possit, cum sint quædam
accidentia quæ a subiecto non ualeant separari, sed fit sæpe ut quæ actu
disiungi non ualeant, mente et cogitatione separentur. sed si animi ratione
disiunctæ qualitates a subiectis non ea perimunt, sed in sua substantia
permanent atque perdurant, accidentes esse intelleguntur, age igitur, quoniam Æthiopi
color niger auferri non potest, animo eum atque cogitatione separemus, erit
igitur color albus æthiopi, num idcirco species consumpta sit? minime, item
etiam coruus, si ab eo colorem nigrum imaginatione separemus, permanet
tamen auis nec interit species, ergo quod dictum est et adesse et abesse,
non re, sed animo intellegendum est. alioquin et substantialia, quæ omnino
separari non possunt, si animo et cogitatione disiungimus, ut si ab homine
rationabilitatem auferamus 1 cum absunt uel cum adsunt uel cum
absunt H uel cum absunt uel cum adsunt N cum uel
uel s. l. m2 absunt uel
adsunt L; ante assunt sic add. uel P
3 ante adest add. et P 4 dinidunt
EGLR accidens edd. aliud est enim H ante
dormire add. ut
brm 6 ut om. HR edd. 7 dubietas CEG recte? post.
est add. Hm2 8 et uel N potest CL 9
dicit EG 11 abesse-et adesse E 12 ab CRm1
14 animi hac C 15 eas EGN permaneant G
ac R 16 accidenter CG intellegantur Em1 igitur enim
HN 17 eum om. G, ante separemus C, uero E
atque et HLNPR 18 num ex non Rm2 19
consumptæ consumpta R sunt
EGLR edd. ita CEP 20 imagine EGR 21
interiit Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2 22 et om. CEG
23 si sæpe Hm1LNP 2t rationalitatem P quam licet actu separare non possumus, tamen
animi imaginatione disiungimus , statim
perit hominis species, quod idem in accidentibus non fit: sublato enim
accidenti cogitatione species manet. Est alia quoque accidentis definitio
ceterorum omnium priuatione, ut id dicatur esse accidens quod neque genus sit
neque species nec differentia nec proprium; quæ definitio plurimum uaga est
ualdeque communis. sic enim etiam genus definiri potest, quod neque species
neque differentia nec proprium sit nec accidens, eodemque modo species ac
differentia et proprium, cum autem eadem similitudine definitionis plura
definiri queant, non est terminans et circumclusa descriptio, præsertim cum
longe sit a definitionis integritate seiunctum quod cuiuslibet rei formam
aliarum rerum negatione demonstrat. Quibus omnibus expeditis, id est
genere, specie, differentia. proprio atque accidenti, descriptisque eorum
terminis quantum postulabat institutionis breuitas, ea ipsa communiter
pertractanda persequitur, ut quas inter se habeant differentias hæc quinque, de
quibus superius disputatum est, quas uero com muniones, mediocri consideratione
demonstret, ut non solum 1 separari EG possimus EL
post tamen add. si L, s. l. Hm2Pm2 imaginatione cogitatione
N statimque C q. er. H q. del. m2
N periit PR 3 item CHm1 sit EN ut
uid. sublata
EGR enim s. l. Cm2 accidenti om. EGR, post
cogitatione N ante cogitatione er. et
C quoque om. EGP sic
accidentis om. C, post definitio R ad
priuatione s. l. quæ fit per priuantiam Em2 id
om. EG dicat EGR 6 fit C neque differentia neque
proprium LNR 8 enim om. NR nec ante differentia CH 9 neque
NR sit om. L, post accidens R
neque N 10 proprio HPm1 11 plurima L
queunt EGLm1R termino Ep.c.R et om. EGR 12
ab LR ac G negatione rerum E demonstret N post
genere add. quidem CP ante proprio add. et H
ante quantum add. et PR, s. l. Lm2 17
post breuitas repet. expeditis PR, s. l. Em2
pertractanda om. C retractanda HNP 18 ante
quas s. l. quia
Em2 de quibus om. E disputandum G quas nero quasue
CL quid ipsa sint, uerum etiam quemadmodum inter se comparentur,
appareat. quid H, m2 in CLP
quod NPm1 quæ Cm1EGLm1R comparantur E 2 BOEZIO BOETI E V. C.ET I LL .
EXINI sic E EXCONS. ORDINAR.
PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII Y ex I Gm2 ID EST
INTRODVCTIONEM IN CATEGORIAS A SE TRANSLA. sic EG EDITIONIS SECVNDÆ
LIBER IIII. EXPL. EXPLICIT’
E . INCIPIT LIBER V. EG ; EXPLICIT LIBER LIBER om. C QVARTVS. INCIPIT
LIBER LIBER om. HN
QVINTVS CHLNP, add. DE COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC. ACCID. ET
PROPI N ; EXPLICI R Expeditis per se omnibus quæ
proposuit et quantum in unius cuiusque consideratione poterat, ad scientiæ
terminum breuiter adductis nunc iam non de singulorum natura, id est uel
generis uel differentiæ uel speciei uel proprii uel accidentis, sed de ad se
inuicem relatione pertractat, nam qui communiones ac differentias rerum
colligit, non ut sunt per se res illæ considerat, sed ut ad alias comparentur,
id autem duplici modo, uel similitudine, dum communitates sectatur, uel
dissimilitudine, dum differentias, quæ cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus,
propter planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his
communionibus quæ adsunt generi et speciei et differentiæ uel proprio et
accidenti. Commune quidem omnibus est de pluribus prædiPorph. Boeth.
40, 1 16. 3 cuiuscumqne C considerationem
Ea.r.G 4 id est om. N, add. Rm2 5 pr .
uel om. P secund. uel et P 6 nam quia R
namque Hm1N 7 sunt. om. C 8 ille GLNP, post illæ
s. l. sint Cm2 ut om. R ad s. l. LRm2 post
alias add. qualiter CHPR, s. l. Lm2 comparantur
EGHm2, recte? cf.284, 1 post autem s. l. fit
Cm2L, in mg. Em2, post duplici s. l. Pm2 9 dum dum
om. EG sectatur retractat R retractantur L
n del., s. l. a i sectatur P differentiæ La.c.P uel
differentia EG 11 ad adhuc s. l. id est
uel G hac tenus EGm2
12 his his omnibus R communibus EGR utrumque
et om. EGLR uel om. R et NP 14
et uel EGL atque R 15 ante Commune add.
inscriptionem DE COMMVNIBVS GENERIS ET add. ΔΠ SPECIEI DIFFERENTIÆ PROPRII ET
ACCIDENTIS ΛΠ Busse, N in subscript. libri IV
cum alio ordine uerborum, DE HIS HIIS Φ COMMVNIBVS QVÆ
ASSVNT sunt A GENERI ET SPECIEI ET
SPECIEI om. T ET
DIFFERENTIÆ ET PROPRIO ET ACCIDENTI accidenti proprio et differentiæ A
ΓΑ litt. minusc. Φ, INCIP. DE EORV COMVNIBVS 2 DE COMMVNITATIB;
OMNIVM. i', inscript. om. CEGHLPR cari, sed
genus quidem de speciebus et de indiuiduis, et differentia similiter, species
autem de his quæ sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium et de specie cuius
est proprium et de his quæ sub specie sunt indiuiduis, accidens autem et de
speciebus et de indiuiduis. namque animal de equis et bobus et canibus prædicatur,
quæ sunt species, et de hoc equo et de hoc boue, quæ sunt indiuidua,
inrationale uero et de equis et de bobus prædicatur et de his qui sunt
particulares, species autem, ut homo, solum de his qui sunt particulares
prædicatur, proprium autem, quod est risibile, et de homine et de his qui sunt
particulares, nigrum autem et de specie coruorum et de his qui sunt
particulares, quod est accidens inseparabile, et moueri de homine et de equo,
quod est accidens separabile, sed principaliter quidem de indiuiduis,
secundum posteriorem uero rationem de his quæ continent
indiuidua. Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam
prius respicit quam omnes ad se inuicem habere uide 1 sed separabile 16
om. HNP post. de om. R 2 autem quidem Δ hiis Φ, item 4 3
post indiuiduis s. l. prædicatur Em2 at uero separabile 16 om. CEG at uero indiuiduis
5 om. Σ · 4 de his om.R 5 post. de
om. R 6 bubus Lm1 A bobis R, ante add. de L
T de bobus Busse et canibus cum Porph. 13, 14 om. edd.,
delend. uid. Bussio 7 prædicatur post species R pr. sic
de om. R 8 inrationabile L et om. Porph. 13, 15;
ante et add. similiter R 9 de om. R
bubus RLm1 A prædicatur s. l. \ m2
dicitur m1 , post particulares Λ2 quæ L TA 10 quæ R ΓΑ 11 particularia R, add. homines
L 4ΛΦ ; om. Porph. proprium particulares 12
om. R quod est otov
Porph. 13, 17 12 pr. et om. L ΆΣ Busse casu ut uid., cf. eius adnot. ad Porph.
v-ai ,
add. \ m2 13 pr. et om. Busse; Porph. 13,
18 τοΰ τε εΐδοος 14 qui quæ R de homine equo
post separabile R 16 sed om. Π Σ post
principaliter add. accidens prædicatur Φ, s. l. accidens Lm2 17 secundum rationem
secundo uero cet. om. N ΛΣΦ ; secundo etiam T m1 ; uero post
secundum C posteriore E ratione E orationem
Λ ante de add. et edd.
cum Porph. 13, post indiuidua add. speciebus N Σ 20 uidentur RG antur. hæc est
autem una communio quæ propositarum quinque rerum numerum pluralitate prædicationis
includit; omnia enim de pluribus prædicantur, in hoc ergo sibi cuncta
communicant, nam et genus de pluribus prædicatur, itemque species ac
differentia et proprium et accidens, quæ cum ita sint, est eorum una atque
indiscreta communio de pluribus PREDICARE, disgregat autem ipsam de pluribus PREDICAZIONE,
quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque propositorum de quibus pluribus
prædicetur ostendit, ait enim genus quidem de pluribus prædicari, id est
speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal prædicatur de homine atque equo ac
de his indiuiduis quæ sub homine sunt atque sub equo, item genus PREDICARE de
differentiis specierum atque id iure. quoniam enim species differentiæ
informant, cum genus de speciebus prædicetur, consequens est ut etiam de
his dicatur quæ specierum substantiam formamque efficiunt, quo fit ut genus
etiam de differentiis prædicetur ac non de una, sed de pluribus; dicitur enim
quod rationabile est, esse animal et rursus quod inrationabile est, esse
animal, ita genus de speciebus ac differentiis prædicatur ac de his quæ sub
ipsis sunt indiuiduis. differentia uero de speciebus dicitur pluribus ac de
earum indiuiduis, ut inrationabile et de equo prædicatur ac boue, quæ sunt
plures species, et de his quæ sub ipsis sunt indiuiduis eodem modo dicitur; nam
quod de uniuersali prædicatur, prædicatur et de indiuiduo. quodsi
differentia de speciebus dicitur, prædicabitur etiam de eiusdem speciei sub1 præpositarum
HN 5 post. et atque R 7 autem ut est
E 8 quod ut Em2P et quod La.c. et ut p.c.,
ante quod s. l. in eo Hm2 præpositorum
HN 9 ostendat ELm2P 10 id est om. HNR, er. G 11 atque et
CL equo ac de om. EG ac atque CL et R
12 de om. L, s. l. Cm2 qui EGP post. sub om. LNP
14 enim del. E 15 prædicatur HN 16 perliciunt
HNP 18 rationale EGHNP 19 quod om. R, in ras. E,
quoniam GLm1 inrationale HNP est om. R 21
differentiæ... dicuntur R 22 inrationale
uel irr- Em2 rationabile m1 HLm2NP 23
bouej de boue N et de deque EG 25 et ante prædicatur
C 26 prædicatur C etiam om. EN iectis.
species uero de suis tantum indiuiduis prædicatur; neque enim fieri potest, ut
quæ species est ultima quæque uere species ac magis species nuncupatur, hæc
alias deducatur in species, quod si ita est, sola post speciem indiuidua
restant, iure igitur species de suis tantum indiuiduis prædicantur, ut
homo de Socrate, Platone, CICERONE et ceteris, proprium item de specie PREDICARE
cuius est proprium, neque enim esset proprium alicuius, si de alio diceretur;
de quo enim una quæque res ‘et soli et omni et semper’ dicitur, eiusdem
proprium esse monstratur quæ cum ita sint, proprium de specie dicitur, ut
risibile de homine; omnis enim homo risibilis est. dicitur etiam de indiuiduis
speciei de qua prædicatur; est enim Socrates, Plato et CICERONE risibilis,
accidens uero et de speciebus pluribus dicitur et de diuersarum specierum
indiuiduis. dicuntur enim coruus atque Æthiops nigri et hic cor uus et hic Æthiops,
qui sunt indiuidui, nigri secundum nigredinis qualitatem uocantur. atque hoc
quidem est accidens inseparabile, sed multo magis separabilia accidentia
pluribus inhærescunt, ut moueri homini et boui uterque
enim mouetur , et rursus ea quæ sub
homine sunt atque boue indiuidua, moueri sæpe prædicantur. sed
aduertendum est auctore Porphyrio quod ea quæ accidentia sunt, principaliter
quidem de his dicuntur in quibus sunt indiuiduis, secundo uero loco ad
uniuersalia indiuiduorum referuntur, atque ita prædicatio 1 prædicabitur
CLP 3 uero C 5 prædicatur Cm1EGLRm2 7 esse
E 8 nisi HPR, ex si CLm2 aliquo CHP
ante diceretur add. non R, s. l. Lm2 9
pr. et om. EGHN secund. et om. G tert. et
om. EG, del. Lm2, s. l. Pm2; ad et semper cf. 275,10 12 etiam
autem HPm1 13 Plato et piato N et om. CEG
risibiles CH et om. EGLP 14 pluribus om. CN
dicitur om. H, post
indiuiduis s. l. scil, prædicatur m2 specierum
om. HN 15 dicuntur in ras. Hm2 dicitur
GNR niger NR et om. EGHN 16 et om. EG
post nigri add. autem R, s. l. Lm2 19
et om. EG 20 et om. CEGP 21 mouere
Ea.c.Gm2 actore Ea.c.R 23 post dicuntur
add. nam non subsistunt præter hæc quibus adsunt et nulli prius accidunt quam
indiuiduis R 24 post uniuersalia add. ad
speciem G superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis
coruis adest, dicitur adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista
accidentis nigredinis inficit, idcirco eam de specie quoque PREDICARE dicentes
coruum, ipsam speciem, nigrum esse. In quibus omnibus mirum uideri potest,
cur genus de proprio PREDICARE non dixerit nec uero speciem de eodem proprio
nec differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac
differentiis, differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de
indiuiduis, proprium de specie atque indiuiduis, accidens de speciebus
atque indiuiduis. fieri enim potest ut quæ maioris PREDICAZIONE sint, ea de
cunctis minoribus prædicentur, et quæ æqualia sunt, sibimet conuertuntur, eoque
fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de accidentibus prædicetur,
ut cum dicimus ‘quod rationale est, animal est’, genus de differentia,
quod homo est, animal est, genus de specie, quod risibile est, animal est,
genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum uel Æthiopem demonstremus,
animal est, genus de accidenti prædicamus, rursus quod homo est, rationale est,
differentia de specie, 1 superiorum E
s. l. id est specierum GP superioribus
cett. subteriorura superioribus brm ut dicitur om.
EG 2 post coruo s. l. speciali Lm2 3
nigredinis accidentis C infecit HLm1 eam eamdem
Lm2Pm2 it eadem m1
eadem EG eo Rm1 ea m2 de om.
P 4 ipsum specie EGPRm2 post ipsam add.
scilicet C nigram C 5 omnibus s. l. Cm2
6 utroque loco neque R 7 differentias R 8
atque Rbrm et de p differentiis indiuiduis pr cum
286, 1, differentiis <atque indiuiduis> coni. Brandt; cf. 287,12 21
differentias HLPR 9 proprium de specie atque indiuiduis om.
H 11 maiores prædicationes EGR sunt Ca.c. ras.
i ex u Pm2R ea s. l. L eadem C
eædem om. de G eæ Pm1 hæ ER cunctis dictis
EGR 12 et om. EG conuertuntur Em1GLm1Rm2 conuertentur m1 conuertantur CEm2HL m2NP
ad eoque s. l. i ideo G fit quale
sit EG 13 pr. de et de HNP
secund. de om. R et de HLNP tert. de
om. E et HNPR et de L quart. de et
NP et de HL atque R 14 prædicatur EG
rationabile CEGLm1NR 15 animal est sit animal E ad sit s. l. pro est
GLR de s. l. EGm2L post differentia add. prædicatur
GP del. m1?, s. l. Lm2, s. l. prædicari Em2 16 eat
genus om. G accidente R 19 rationabile Em1G post
specie add. prædicatur G quod risibile est, rationale
est,’ differentia de proprio, quod nigrum est, rationale est, si æthiopem
demonstremus, differentia de accidenti; item quod risibile est, homo est,
species de proprio, ‘quod nigrum est, homo|est,’ si æthiopem designemus,
species de accidenti, qua in re etiam quod nigrum est, risibile est in Æthiopis
demonstratione ut proprium de accidenti prædicatur. conuerti autem ad totum
accidens potest, ut quoniam in indiuiduis singulorum esse proponitur, idcirco
de superioribus etiam PREDICARE, ut quoniam Socrates animal est, rationalis
est, risibilis est et homo est, cumque in Socrate sit calvitium, quod est
accidens, prædicetur idem accidens de animali, de rationali, de risibili, de
homine, ut accidens de quattuor reliquis PREDICARE sed horum profundior quæstio
est nec ad soluendum satis est temporis, hoc tantum ingredientium intellegentia
expectet, quod alia quidem recto ordine PREDICARE, alia uero obliquo,
quoniam moueri hominem rectum est, id quod mouetur hominem esse conuersa
locutione proponitur, quocirca rectam Porphyrius in omnibus propositionem
sumpsit, quodsi quis uim prædicationis et solutionis adtenderit in singulis prædicationibus
comparans, eas quidem 1 differentiam HR 3 accidentia G
post item add. quod rationale est homo est species de
differentia Hm1, del. m2 speciem ELm2PR, item
5 6 ut om. R, del. ELm2
post proprium s. l. etiam Pm2, post
accidenti N, s. l. Cm2 prædicetur CHLm1NPm2 ad
om. N, s. l. Cm2 8 ut ex et Hm2 in N, s. l. m2 in EHP, om. cett. præponitur
Ca.c.EGHLNR 9 prædicatur CHLNR ante animal add. et HN 10
ante rationalis add. et HNP, s. l. Cm1?
rationabile Lm1 ante risibilis add. et HNPR, s.
l. Cm1? Lm2 risibile Cm1EGLm1 et s. l. m1? homo est
post rationalis est C et om. EG 11 prædicatur
CHLm2NP 12 secund. de om. CEGR tert. de om. R
quart. de om. C ut et CHN prædicatur
CHN dissoluendum N expectet idem quod spectet quoniam
nam HLm2NP moueri posthominem Cm2Pm2 17 moneatur
N ante proponitur s.l. non Hm2
proportionem EL uim quis EGLR uim om. Hm1,
ante adtenderit s. l. m2 prædicatæ H prædictæ Lm2Pm2
et solutionis CN solutionisque L solutionis
Gm1Hm2 locutionis m1 , s. l. add. Pm2 solutione
Gm2R solue sic E attenderit in ras. Em2
ostenderit R prolationes quæ rectæ sunt, inueniet a Porphyrio esse
enumeratas, eas uero quæ conuerso ordine prædicantur, fuisse
sepositas. Commune est autem generi et differentiæ con tinentia specierum.
continet enim et differentia species, etsi non omnes quot genera, rationale
enim etiamsi non continet ea quæ sunt inratio· nabilia quemadmodum animal, sed
continet homi nem et deum, quæ sunt species, et quæcumque prædicantur de genere
ut genera, et de his quæ sub ipso sunt speciebus prædicantur, et quæcumque de
differentia PREDICARE ut differentiæ, et de ea quæ ex ipsa est specie prædicabuntur.
nam cum sit genus animal, non solum de eo prædicantur ut genera substantia et
animatum, sed etiam de his quæ sunt sub animali speciebus 4 292, 10 Porph.
13, 22 14, 12 Boeth. 40, 17 41, 12.
1 esse om. GN, add. Hm2 enumeratas N numeratas
cett. 2 prædicantur proferuntur HN 3 positas
Gm1Hm1 suppositas Pm2 4 de Porph. cf. ad
103, 7 5 Communis Σ, m1 in EH \ est om. E
Porph. 13, 33 Busse, post autem N 6 continet sunt
292, 8 LR Q, om. cett. 7 etiamsi ΔΣ quod i
m1 quas A m2R 8 enim om. R, 8. l.
Δ inrationalia 2Φ, add. ut genus codd. præter R Σ,
om. etiam Porph. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed tamen brm 10 deum angelum
R angelum et deum L; Porph. cod. A θεόν, cett. άγγελον 11 genera Σ genus cett.
Busse sed genera probare uid.; cf. ut genera 16. 293,
20, ut differentiæ; Porph. όσα τε ν,ατηγορεΐται του γένους ώς γένους et eadem in ras. A m2 12 et Z p, s. l. A m2, om.
cett. (aliter er. T Busse item brm;
cf. ad quæcumque Lm2R Z quæque
cett. 13 de differentia differentiæ Lm1
A differentia R ΓΦ ; cf. ut differentiæ 294, 1;
Porph. 14,4 όσα τε τής διαφοράς ώς διαφοράς ex sub
L \ et R; Porph. έξ prædicantur Γ 15 genus
sit ΔΛΣ 16 prædicatur R ut om. edd. genera L Z Busse genus cett.
codd., om. edd.; cf. 394, 3 5; Porph. 14,5 γένους... ώς γένους αατηγορεΐται ή ουσία 17 sunt om. L
animalis Δ omnibus PREDICARE hæc usque ad indiuidua. cumque
sit differentia rationalis, prædicatur de ea ut differentia id quod est ratione
uti, non solum autem de eo quod est rationale, sed etiam de his quæ sunt sub
rationali speciebus PREDICARE ratione uti. commune autem est et perempto genere
uel differentia simul perimi quæ sub ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit
animal, non est equus neque homo, ita si non sit rationale, nullum erit animal
quod utatur ratione. Post eam quæ cunctis adesse uisa est communitatem,
singulorum ad se similitudines ac dissimilitudines quærit, et quoniam inter
quinque proposita genus ac differentia uniuersalioris prædicationis sunt,
siquidem genus species continet ac differentias, differentiæ uero species
continent neque ab his ullo modo continentur, primum generis ac
differentiarum similitudines colligit, ac primam quidem ponit hanc, dicit enim
commune esse generi ac differentiæ, ut species claudant; 1 prædicatur
LR ante hæc add. et s. l. Lm2, in mg. Γ, post hæc Λ hæc del.
\ m2 2 rationalis codd.
(etiam Bussii LQ rational, in P uox pæne tota euanuit
rationale edd. Busse; Porph. διαφοράς τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ; cf. infra 293, 14 rationalis
differentia; 295, 11 sub rationali differentia, unde
rationalis nominatiuum potius intellegas quam cum Porph.
genetiuum prædicantur Φ 3 eo coni. Busse non et non L
*l 4 autem ΓΦ, s. l. Km2, om. cett.; Porph. 14,
8 δε 5 ante sunt s. l. sub
ipsa \ m2 sub rationabilibus h m1, del. m2 post
rationali add. animali ΠΦ, s. l. Lm2 prædicatur
ΓΔΛΣΦ a.c.; Porph. 14,
9 χατηγορηθήσετοι 6 ante
ratione add. id quod est s. l. et m2 W m2 Busse id quod potest LR
post commune s. l. illis Γ est autem Φ ante
perempto add. hoc Λ genere Porph. ή τοΰ γένους, om. η cod. Μ 8 enim Σ, s. l. Ψ m2, om. cett.; Porph. 14,11 γάρ sit est CEGHP 9 ita sic L
ac b m1 \ 12 ad se ad esse EGP et om. CEG, s. l. Pm2,
del. Lm2 13 generis ac differentiæ CN uniuersaliores prædicationes
CEGNP 14 ante species add. et LR 15
nec N 16 ac et N 17 primum LNP hanc hanc
communionem H 18 commune hoc commune H
communionem LR ac et CGLP concludant HN nam
sicut genus sub se habet species, ita etiam differentia, tametsi non tantas
quot habet genus, etenim genus quoniam differentiam etiam claudit et non unam
tantum sub se differentiam cohercet ac retinet, plures necesse est habeat sub
se species, quam quælibet una earum differentiarum quas claudit, ut
animal PREDICARE de rationabili et inrationabili. quodsi ita est, PREDICARE et
de his quæ sub rationali sunt positæ speciebus et de his quæ sub inrationali.
est ergo commune animali et rationali, id est generi et differentiæ, quod
sicut genus de homine et de deo PREDICARE, ita etiam rationale, quod est
differentia, de deo ac de homine dicitur, sed non in tantum hæc prædicatio
funditur quantum animalis, id est generis, animal enim non de deo solum atque
homine, sed de equo et boue prædicatur, ad quæ rationalis differentia non
peruenit. sed quandocumque deum supponimus animali, secundum eam opinionem
facimus quæ solem stellasque atque hunc totum mundum animatum esse confirmat,
quos etiam deorum nomine, ut sæpe dictum est, appellauerunt. Secunda item
communio est generis ac differentiæ, quoniam quæcumque PREDICARE de |
genere ut genera, eadem de his quæ sub 96 ipso sunt speciebus prædicantur;
ad hanc similitudinem 15 quandocumque 18 appellauerunt Abælardus, Introduct. ad
theolog., II 34. sæpe 208, 22. 259, 19. 1 habeat Lm2
differentiæ EGR 2 post. genus om. EGR, post
quoniam Cm1, corr. m2 3 differentias CHm1L etiam
del. Lm2, om. N et om. EG, s. l. Lm2 tantum om. H, s. l. Lm2
4 ante plures add. sed EGL adhibeat
R ut habeat L 5 quas om. L quam EGHPm1R 6
rationali CHLN inrationali
uel irt- HLN 7 rationabili Cm1EGm2P 8
inrationabili uel irr-,
CEGNP commune est, post s. l. ergo C; ergo om.
EG, add. Pm2 10 et de deo om. EG rationabile CEGR
11 in om. LN 12 hæc om. EG 14 rationabilis
R 16 opinionem CHNPm2 Abælard.
propositionem EGLPm1R qua EGLm1P solem coelum Abælard.
17 confirmant EGLm1 confirmet N 20 de genere prædicantur
C post eadem add. et L 21 ipso genere
H ad hanc similitudinem om. EGR; ante ad s. l.
et Pm2 quæcumque de differentia prædicantur ut differentiæ,
et de his quæ sub differentia sunt ut differentiæ prædicantur, cuius sententiæ
talis est expositio, sunt plura quæ de generibus prædicantur ut genera, ut de
animali dicitur animatum, dicitur substantia, atque hæc ut genera, hæc igitur
prædicantur et de his quæ sub animali sunt, ut genera rursus; nam hominis
et animatum et substantia genus est, sicut ante fuerat animalis. item in ipsis
differentiis quædam differentiæ inueniuntur quæ de ipsis differentiis PREDICARE,
ut de rationali duæ differentiæ dicuntur, quod enim rationale est, utitur
ratione uel habet rationem, aliud est autem uti ratione, aliud habere
rationem, ut aliud est habere sensum, aliud uti sensu, habet quippe sensum et
dormiens, sed minime utitur, ita quoque dormiens habet rationem, sed minime
utitur, ergo ipsius rationabilitatis quædam differentia est ratione uti, sed
sub rationabilitate homo positus est; prædicatur igitur de homine ratione uti
ut quædam differentia, differt enim a ceteris animalibus homo, quia ratione
utitur, demonstratum igitur est quia sicut ea quæ de genere prædicantur,
dicuntur de generi subiectis, ita etiam ea quæ de differentia prædicantur,
dicuntur de his quæ differentiæ supponuntur. Tertium commune est
quod ante quæcumque add. et EGLdel. m2, er. uid. C
quæque GPR prædicantur om. EGR, post ut differentiæ
H ut differentiæ om. EG post differentiæ add. eadem
quoque L, post de his P om. et, eadem s. l.
Nm2 2 post sub add. ipsa NR
sunt ante sub H ut differentiæ om. H, s. l. Nm2 ut
differentia EG 4 post. dicitur om. L 5 ante
substantia add. et LPm2 6 rursus ante
ut GR, post L 7 antea fuerat H ante fuerant n s.
l. m2 L fuerant ante R 8 quædam s. l. Cm2 9 prædicentur
Cm2 ut om. HN 11 autem habere rationem aliud uti
ratione NR. 12 ut om. H sicut N est om.
H 13 sed minime utitur om. N sed dormiens om. EGPE,
del. Lm2 ita rationem in sup. mg. Nm2 15 sed om. EG, s.
l. Pm2 16 positus est homo R esse om. est EGP est ex
esse Lm2 esse del. Pm2
prædicatur. Igitur
EGLP 17 ut om. EG, s. l. Cm2 post differentia
add. est EGP
a L, om. cett. 18 homo
ante ceteris H est igitur HLN quia quod
CL post. generum
EGLm2P 20 post his add. quoque HN 21
post Tertium add. uero P, s. l. Lm2 quod quia
C sicut absumptis generibus species interimuntur, ita absumptis
differentiis species de quibus differentiæ prædicantur, intereunt, commune enim
est hoc, uniuersalium in substantia pereuntium perire subiecta. sed prima
communio demonstrauit genera de speciebus prædicari, sicut etiam
differentias, propter hanc igitur similitudinem si auferantur genera, species
pereunt, sicut etiam species perire necesse est quæ sub differentiis sunt, si
uniuersales earum differentiæ consumantur, cuius exemplum est: si enim auferas
animal, hominem atque equum sustuleris, quæ sunt species positæ sub
animali, si auferas rationale, hominem deumque sustuleris, qui sunt sub
rationali differentia collecti. Et de communitatibus quidem hactenus, nunc de generis et
differentiæ dissimilitudine perpendit. Proprium autem generis est de
pluribus prædicari quam differentia et species et proprium et accidens; animal
enim de homine et equo et aue et serpente, quadrupes uero de solis quattuor
pedes habentibus, homo uero de solis indiuiduis et hin nibile de equo et de his
qui sunt particulares, et 14 297, 2 Porph. 14, 13 15, 8 Boeth. 41, 13 42,
14. 1 sicut ita om. EG consumptis post ita Pm2 6 igitur quidem
E sicut sic GHm2LN 7 species etiam HNP 10 quæ quia
H qui ex quia Nm2 12 collocati HNP, recte?
cf. 10. 300, 18 Et om. CEGP, del. Lm2 13 perpendet
G 14 PROPRIO C PROPRIIS post DIFFERENTIÆ L
GENERI R DE PROPRIIS EORVM EORVNDEM Ψ Ρ Ψ ; de Porph. cf. ad autem om ·. ΓΦ generi LNR A ; cf. infra 297,
15. 16 s. 299, 17. 300, 23. 301,10. 13 302,11 est ante
generis s. l. A, om . Σ, om. Porph.
14,14 16 ante quam add . magis L er.
A del. m2 differentiæ EGHLPm1R ; Porph. 14,
15 ή διαφορά et species differentia LR ii, om.
cett . et proprium propriumque A 17 de equo et de add.
\ homine ΔΑ post
uero add . uidetur ΓΦ, m1 in L ΔΑ, del. m2; om. Porph.
14, 17 solis om. R 20 ante equo add .
solo edd. cum Porph. μόνον, fort. recte post, de om. R, s. l.
Lm2 accidens similiter de paucioribus, oportet autem differentias
accipere quibus diuiditur genus, non eas quæ complent substantiam generis,
amplius genus continet differentiam potestate; animalis enim hoc quidem
rationale est, illud uero inratio nale. amplius genera quidem priora sunt his
quæ sunt sub se positæ differentiis, propter quod simul quidem eas auferunt,
non autem simul auferuntur; sublato enim animali aufertur rationale et
inrationale. differentiæ uero non auferunt genus; nam si omnes
interimantur, tamen substantia animata sensibilis subintellegitur, quæ est
animal, amplius genus quidem in eo quod quid est, differentia uero in eo quod
quale quiddam est, quemadmodum dictum est, prædicatur, amplius genus
quidem unum est secundum unam quamque speciem, ut hominis id quod est animal,
differentiæ uero plurimæ, ut rationale, mortale, mentis et disciplinæ
perceptibile, quibus ab aliis differt, et genus quidem consimile est materiæ,
formæ uero differentia, cum autem sint et alia communia 1
autem om . Σ enim Lm1 4 continet genus LR;
Porph. 14, 20 τό γένος περιέχει 5 enim om.
2 uero A m1 est in mq. Lm2 6 quidem
genera Lm1R priora om. L 7 sub se ante sunt
L, post positæ R positis ΓΛΦ, m1 in L Λ2
quidem om. L, ante simul R auferunt h m1 V aufert cett.; Porph. 14,
22 τα γέν-r σοναναιρεΐ
οΰτός auferuntur A m1 W
aufertur cett.; Porph. 14, 23 σοναναιρεϊται 9 aufertur
rationale aufernnt genus om. R 11 si etiamsi brm cum Porph.
15, 1 καν ; fort. etsi scribendum tamen om
. Σ, s. l. A m2 A m2 12 sensibili R
subintellegitur Φ subintellegitur
potest R subintellegi potest cett.; Porph. 15,
2 επινοείται quod Δ Busse; Porph .
οϋσια...ήτις ήν τό ζψον 14 uero om. L quiddam om.
R quid edd . est om. LR TΛΦ 15 quemadmodum sicut
LR est dictum Λ Busse 16 quidem genus hA m1
Z est unum LR 17 ante hominis add.
est edd. Busse; om. Porph. 15, 4 18 plures brm cum
Porph. 15, 5 πλείοος ; cf. infra 301, 21; post plurimæ
add . sunt ΑΣ Busse; om. Porph. mentis 5 m2
risus m1 20 cum simile R 21 autem Cp.c . hæc
a.c . et om. G et propria generis et differentiæ, nunc ista
sufficiant. Proprium quidem quid sit, conuenienti atque integro uocabulo
definitum est. sed per abusionem illa etiam propria quorumlibet dicuntur
quæ in una quaque re ab aliis continent differentiam, licet cum aliis sint ea
ipsa communia, per se quippe proprium est homini quod ei omni et soli et semper
adest, ut risibilitas, per usurpatam uero locutionem etiam proprium hominis
rationabilitas dicitur non per se proprium, quippe quod ei cum deorum est
natura commune, sed homini rationabilitas proprium dicitur ad discretionem
pecudis, quod rationale non est; id uero propter hanc causam, quoniam id
proprium unius cuiusque dicitur quod habet suum, quo igitur quis ab alio
differt, proprium eius non absurda usurpatione prædicatur, sed nunc quod
dicit proprium generis esse de pluribus prædicari quam cetera quattuor, id
ipsum generis tale proprium est, quale per se proprium dici solet, id est quod
semper et omni et soli adsit generi, generi enim soli adest, ut differentia,
specie, proprio, accidenti überius atque affluentius prædicetur, sed de
his differentiis, speciebus, propriis atque accidentibus id dici potest quæ sub
quolibet 1 proprii P et ac EGP nunc om.
Porph. sufficiunt Λ m1 2 ; Porph . άρκείτω ταϋτα, cod. B apxet
τοααδτα 3 quidem autem
C quod R in una quaque re CLP re om. N una
quaque E una quæque G unam quamque HR 6
differenda EGLm1 7 omni et soli et soli et omni C
pr. et s. l. Lm2 post, et om. EG 10
post ei add . quoque HNP 12 rationabile HR
post uero add. fit L, s. l. Pm2 14 aliquo
Lm2 differat Cm2Hm1N 15 nunc om. EG, post
quod C 17 tale ante quale P est proprium LP
post, est om. CN 18
et add. brm adest C generi enim in mg. Hm2
enim uero C autem L 19 post ut add .
et H del. m2 N et specie HLN et
proprio HLR et atque R
accidente HLm1 -ti m2 NR 20 affluentius CHNPm2 fluentius Lm1, s. l .
ł lucidius m2 cluentius E
s. l . habundantius Pm1
licentius G luculentius R de e R
speciebus post differentiis pos. Brandt, ante codd. pr, om.
bm et propriis CHLN atque om. P genere
sunt, id est differentiæ quidem quæ quodlibet diuidunt genus, species uero quæ
diuisibilibus generis differentiis informatur, proprium autem illius speciei quæ
sub illo genere est quod differentiis est diuisum, accidentiaque quæ his hæreant
indiuiduis quæ sub ea specie sunt quam designatum genus includit, hoc
facilius exempla declarant, sit enim genus animal, quadrupes ac bipes
differentiæ sub animalis positæ continentia, homo atque equus species sub eodem
genere constitutæ, risibile atque hinnibile propria earundem specierum, uelox
uero uel bellator accidentia quæ his indiuiduis accidunt quæ sub
speciebus equi atque hominis continentur : animal igitur, quod est genus, prædicatur
et de quadrupede et bipede, quæ sunt differentiæ, quadrupes uero de bipede non
dicitur, sed tantum de his animalibus quæ quattuor pedes habent; plus igitur prædicatur
genus quam differentia, rursus homo de Platone ac Socrate prædicatur,
animal uero non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de ceteris
inrationabilibus indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species prædicatur,
sed cum sit proprium hinnibile equi speciei cum 1 differentiæ CNp differentias EG, m1 in HLP
de om. HPR differentiis m2 in HLP, Rbrm quidem
om. B, ante add . sunt C, post N genus diuidunt HN 2
speciebus Hm2Lm2 specie Pm2brm diuisibilis
Hm1Pm1R add . est,
dissimilis E add . est
G, ad diuisibilibus in mg. ał quæ diuisiuis Lm2, sed
ante generis add est ERm2, add . sunt, post
et del. m2 P informantur CLm2 3 proprio m2 in HLP
ante s. l. de add. brm post autem add . quod est EGP del.
m2 illi Lm1 diuisiuum Lm1 diuiditur om .
est; N accidentiaque CEGHm1Lm1 accidentia
quoque Pm1 de accidentibus quoque m2 accidentia Rp accidensque
N accidentibusque Hm2Lm2brm quæ quod N
hereat N hærent Pm2 edd . 5 sint G 10 uelox bellator HNP uel om., et s. l. m2 ,
uelox uero dux uel bellator C uelox uero uel bellator dux
L uelox uero bellator dux EG ferax uerox sic s. l . equus m2 bellator dux R 11 accidant
H accidencia Pm1 12 et om. EGP 13 et bipede HNP, om. R bipede C de
bipede EGLm1 et de bipede m2 quadrupedes G
14 his om. GR, s. l. Cm2Lm2 ac et P post prædicatur
add. et ceteris HNP 17 hominis C s in er. b.? m2
GHm1N 19 sed prædicetur om. EG hinnibile
ante proprium N, om. LR simile H equi om.
H que genus quam species überius prædicetur, prædicatio quoque
generis proprii supergreditur prædicationem, accidens quoque etsi pluribus
inesse potest, tamen sæpe genere contractius inuenitur, ut bellator non proprie
nisi homo dicitur, ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur. quo fit,
ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius prædicetur. Atque
hæc est una proprietas generis quæ genus ab aliis omnibus disiungat ac separet,
oportet autem, inquit, nunc eas differentias intellegere quibus diuiditur
genus, non quibus informatur, illæ enim quibus informatur genus, plus
quam ipsum genus sine dubio prædicantur, ut animatum et corporeum ultra animal
tenditur, cum sint differentiæ animalis, sed non diuisiuæ, sed potius
constitutiuæ; omnia enim superiora de inferioribus prædicantur, quæ uero de
inferioribus prædicantur neque conuerti possunt, hæc ab eis quæ inferiora sunt
amplius prædicantur. Post hoc aliud proprium generis ostendit quo
ab his differentiis quæ sub eodem sunt positæ, segregatur, omne enim genus
continet differentias potestate, differentia uero genus non potest
continere, animal enim rationale atque inrationale continet potestate; neque
enim inrationabilitas neque rationabilitas animal poterit continere, potestate
autem ait continere animal differentias quia, ut superius dictum est, 23
superius 264, 16. 1 prædicatur
Cm1R 3 inesse inest C ante sæpe add . semper uel
Hm1, del. m2 contractius genere H inneniri C
5 pr. ut er. uid. C,
om. HPm1 et LN, s. l. Pm2 6 ante
differentia add . et Hm2LN ante specie add . et
HL et de N ante proprio add. et HL et de
N et om. E accidente R 8 inquit om. N, del.
Hm2 10 post informatur add . genus C illæ informatur
om. EGLR, post prædicantur 11 add . Ipsæ enim differentiæ a quibus
informatur genus Lm1, ante plus quam transpos. m2 illæ
enim nam illæ P ante plus add . nam GR 11 sine
dubio om. HN et om. EG 12 tendit EG ?
tenduntur R sunt H 15 ab om. H 18 eodem eo
HN eodem genere C segregetur HN 20 rationabile
ELm2P atque om. EGR, s. l. Pm2 inrationale om. EGPm1R
inrationabile Lm2, s. l. Pm2 21 inrationalitas neque
rationalitas HN 22 poterunt CHLP post differentias
add . proprias CL del. m2, ante HNP genus quidem omnes sub se
habet differentias potestate, actu uero minime, ex quo fit ut alia proprietas
oriatur, sublato enim genere perit differentia, ueluti sublato animali
interimitur rationabilitas, quod est differentia, at si rationale interimas,
inrationale animal manet, sed obici potest : quid? si utrasque
differentias simul abstulero, num poterit remanere genus dicimus: potest, unum
quodque enim non ex his de quibus prædicatur, sed ex his ex quibus efficitur,
substantiam sumit, itaque fit ut genus sublatis diuisiuis differentiis
permanere possit, dum tamen maneant illæ quæ ipsius generis formam
substantiamque constituunt, quoniam enim animal animata atque sensibilis
differentiæ constijtuunt, hæ si maneant atque iungantur, perire animal non
potest, licet ea pereant de quibus animal prædicatur, rationale scilicet atque
inrationale. unum quodque enim, ut dictum est, ex his substantiæ
proprietatem sumit ex quibus efficitur, non ab his de quibus prædicatur,
amplius si utrasque differentias genus potestate continet, ipsum per se neutram
earum intra se positam collocatamque concludit. quodsi actu quidem eas non
continet, sed potestate, actu etiam ab his poterit separari; hoc ipsum enim,
potestate eas continere, id erat actu non continere, genus uero, quod
quaslibet differentias actu non continet, actu ab eisdem etiam separatur.
Kursus aliud est proprium generis, quod ex pro 1 omne GR 2 alia
ut EGP 4 rationalitas HN at om. EGR
rationabile CLm1R 5 inrationale om. EG
inrationabile Lm1R quod CEGLP qui R 6
post abstulero add. rationales et inrationales E num non
EGLm1P 7 dicimus sed dici EP de quibus his in mg.
Hm2 8 post, ex de P 9 itaque atque GR
atque ita C atque ideo EP 10 post
tamen add . earum P illa C a. in er . æ m2 N
quod E 11 quoniam constituunt in mg. inf. Em2
animati Cm2LR 12 differentia HN differendis Pm1 hæc
C c er. EGHN manent E 15 dictam est diximus
C 17 ante ipsum s. l. tunc Hm2 18
neutra G neutrum R positum collocatumque
LPm1R 20 etiam quidem E post poterit add . genus
EG post enim add . quod est R, s. l. Pm2 21
erit Lm2R quod quæ E 23 eat om. ENR
prietate prædicationis agnoscitur, omne enim genus ad interrogationem
‘quid est unum quodque?’ responderi conuenit, ut animal in eo quod quid est de
homine prædicatur, differentia uero minime, sed in eo quod quale sit; omnis
enim differentia in qualitate consistit, sed hoc proprium tale est quale
superius diximus, non per se, sed secundum alicuius differentiam dictum,
alioquin commune est hoc generi cum specie, ut in eo quod quid sit prædicetur,
sed quia hoc genus a differentia discrepat, quoniam differentia quidem in eo quod
quale est, genus uero in eo quod quid est prædicatur, generis proprium
dicitur non per se, sed ad differentiæ comparationem, et in omnibus reliquis
eandem rationem conueniet speculari; quodcumque enim ita generi proprium
dicitur, ut nulli sit alii commune, sed tantum hoc habeat genus ut omne genus
et semper, id secundum se proprium nuncupatur, quicquid uero cum quolibet
alio commune est, id non per se, sed ad alterius differentiam proprium dicitur.
Alia rursus generis et differentiæ separatio est, quod genus quidem speciei
unum semper adest, scilicet proximum plura enim possunt esse superiora,
uelut hominis animal atque substantia, sed proximum eiusdem hominis animal
tantum , differentiæ uero plures uni
speciei 5 superius 297, 9. 1 post agnoscitur add . Omne enim
genus ei proprietate cognoscitur prædicationis P, in inf. mg. Lm2 generis E
2 quid est quidem E quidem quid est HN unum om.
E respondere CLR 4 sit est HN 7 hoc
ex huic Em2 8 ac G 9 est sit N 11 et om.
EG 12 conuenit CHNP 13 generis Pm2 alii sit
C 14 tamen E habeat semper Cm2Hm1N habeat genus et omne genus et
et om . Lm2R semper
Cm1Hm2Lm2R habeat omne genus semper EG habeat genus omne
semper Lm1 genus hoc del. m2 haheat omne genus genus
omne m2 et s. l. m2
semper P 15 se om. CN, illud Cm2 s. l. id H
post proprium add . dicitur quod per se proprium CHN 16
ad om. C, in mg. Hm2 17 pr . differentia C 18
est om. HNR, s. l. E uni R 19 proximum Cc .
proprium a. c . ad plura in mg. genera Lm2,
enim genera P 20 ante animal s. l . sed genus Cm2
21 post speciei add. semper adsunt E
adesse poterunt, ut rationale atque mortale homini, itaque fit definitio
ex uno quidem genere, sed pluribus differentiis, ut hominis animal rationale
mortale. Rursus alia discretio est, quod genus quidem quasi subiecti locum
tenet, differentia uero formæ, ita ut illud sit materia quædam quæ
figuram suscipiat, hæc uero sit forma quæ superueniens speciei
substantiam rationemque perficiat. Idcirco uero pluribus differentiis a genere
differentiam segregauit, quia hæc maxime generis quandam similitudinem
contineat, quia est uniuersalis et præter genus inter ceteras maxima, sed cum
alia plura communia pluraque propria generis inter se ac differentiæ
ualeant inueniri, nunc, inquit, ista sufficiant, satis est enim ad discretionem
quaslibet differentias assumere, etiamsi non quæ dici possunt omnia
colligantur. Genus autem et
species commune quidem habent de pluribus, quemadmodum dictum est, prædicari.
sumatur autem species ut species et non etiam ut genus, si fuerit idem et
species et genus. Porph. Boeth. adesse mortale om. EGR
ut om. HN ut homini C Hominis itaque C
hominis, itaque P 2 ante pluribus add . de
Lm2 3 post rationale add. atque edd .
est om. HNR 4 quidem om. C 5 ita ut om.
EGLm1 ut m2 quædam om. EG, s. l. Lm2, ante
materia P quæ om. R, s. 1. Cm1? quod Em1 6
suscipiens Lm1R 7 uero om. EGLR 8 differentias
CEGHm1Pm1 9 continet EGLPR 10 et om. N præter post
HPm1 maxima inter ceteras H in N cetera Lm1Pm2
edd . maximi G maximæ Pm1 12 nunc sufficiant
HLNR recte? an ex 297, 1?
ista inquit sufficiunt GP sufficiunt inquit ista C ista
quidem sufficiunt E 14 non post omnia E s. l. p,
ante brm colliguntur Hm1R 15 ET SPECIEI SPECIEIQVE C;
de Porph. cf. ad 102, 7 17 de pluribus om. G 18 sumatur prædicantur
303, 2 LR Q, om. cett . autem autem et L ΛΛΦ ; Porph. 15, 11 11 et om
. ΓΔ sed RΣ 19 ut add . \
m2 pr . et L cum Porph. 15,12, om. codd.
cett. edd. Busse genus et species Ε Σ commune autem his
est et priora esse eorum de quibus prædicantur, et totum quiddam esse utrum
que. Generis et speciei enumerat tria communia, unum quidem, de
pluribus prædicari; genus enim et species de pluribus prædicantur, sed genus de
speciebus, ut dictum est, species uero de indiuiduis. sed nunc de illa specie
loquitur quæ tantum species est. id est quæ non etiam genus est, sed ultima
species, quodsi talem speciem ponamus quæ etiam genus esse potest, ac de
ea dicamus quoniam commune habet cum genere de pluribus prædicari, nihil
interest an ita dicamus, ipsum genus id secum habere commune de pluribus prædicari,
talis enim species quæ non est solum species, ea etiam genus est. Est autem
commune his quoque quod utra que priora sunt his de quibus prædicantur, omne
enim quod de aliquibus prædicatur, si recto, ut dictum est superius, ordine
dicatur, prius est his de quibus prædicatur. Præterea est illis hoc etiam
commune, quod genus ac species totum sunt eorum quæ intra suum ambitum
continent et cohercent; omnium enim specierum totum est genus et omnium
indiui|duorum totum species, æque enim genus et species aduna 99 tiua
sunt plurimorum, quod uero multorum adunatiuum est, id eorum quæ ad unitatis
formam reducit, recte dicitur totum. superius 290, 15 ss. 1
est om. L priora propria La.c. Tk a.c A m1 2 esse est
C 5 ante genus add. et H er. N 6 post
genus add . quidem L 8 est, sed est ut est H ut
est N 12 secum H
cum in ras. m2 LR secundo CEGNPm2 -da
m1 de pluribus commune post
prædicantur 15 E 13 quod E 14 his commune HN 15
omne -prædicatur 16 in mg. Hm2 dicatur prædicatur CN his
de his G 18 etiam hoc N eorum sunt C 20
genus est NR et ut Hm1 ante species add.
est CNP, post E in ras. H 23 quod E reducuntur
Ca.c.N Differt autem eo quod genus quidem continet species
sub se, species uero continentur et non continent genera; in pluribus enim
genus quam species est. genera enim præiacere oportet et formata
specificis differentiis perficere species; unde et priora sunt
naturaliter genera et simul interimentia, sed quæ non simul interimantur. et
species quidem cum sit, est et genus, genus uero cum sit, non omnino erit et
species. et genera quidem uniuoce de speciebus prædi cantur, species uero de
generibus minime, amplius genera quidem abundant earum quæ sub ipsis sunt
specierum continentia, species uero a generibus abundant propriis differentiis.
amplius neque species fiet umquam generalissimum neque genus
specialissimum. Expeditis communibus generis ac speciei nunc de
eorum discretione pertractat. differre enim dicit genus ab specie, quoniam
genus continet species, ut animal hominem, species 1 15 Porph. 15, 14 24 Boeth. 42, 21 43,
10. 1 PROPRIO H DIFFERENTIIS C; de Porph. cf. ad 105,
16 2 Differunt ENR edd.; Porph. 15, 15 διαφέρει post autem add . genus
a specie Φ continet quidem
N 3 sub se er. uid . 5, s. l. 2 m2, ante
species 2 ΓΦ ; Porph. 15, 15
περιέχει τά είδη species s. l.
Gm2 continetur C A continetur a genere Γ ; Porph . τα δέ είδη περιέχεται et om. EG
continet C ΑΦ 4 in pluribus differentiis 14 LR Q,
om. cett . enim quidem S ; Porph. 15, 16 ετι τά γένη 5 ante oportet s. l . et 5
m2 et s. l . 5 m2, hic om., sed ante perficere pos.
LR h m1 del. m2 A ; Porph. 15, 17 ν.α'ι διαμορφωθ-έντα 7 sed si R 9 est Porph. 15, 19 πάντως εστι; exciditne
omnino ? pr . et om . LR I, s. l . A m2
; Porph. 15, 19 εστι και γένος post . et A del. m2 Φ cum Porph. 15, 20, om. cett. edd.
Busse 10 uniuoce quidem AAS ; Porph. τά μέν γένη de speciebus Porph. 15, 21 των δφ’ έοοτά ειδών 12 quidem genera L
s m2 i\Y . Busse; Porph. τά μέν γένη sunt s. l. L sub ipsis LR;
Porph. 15, 22 των όπ’ αΰτά ειδών 13 a om . ΓΦ ab A m1, del. m2 14 fiet
post umquam C fit HN 15 neque genus
specialissimum om. H
post genus add . fiet CEGR fiet umquam ΑΑΣ fiet species L; Porph. 15, 24 ούτε τδ γένος ειδικάιτατον 16 ac et
CE 17 differt GR a HLNR 18 pr .
speciem HN uero non continet genera; neque enim homo de
animali prædicatur. itaque fit ut species quidem contineantur a generibus,
numquam uero contineant genera, omne enim quod amplius prædicatur, illius est
continens quod minus dicitur, quodsi genus amplius prædicatur quam
species, necesse est ut species quidem contineatur a genere, genus uero speciei
nullo ambitu prædicationis includatur, huius autem ratio est quoniam genus
semper suscipiens differentiam speciem facit, hoc est, genus quod habebat
latissimam prædicationem, coartatum differentia et contractum speciem
facit; omnino enim generi iuncta differentia speciem reddit et ex uniuersalitate
atque latissima prædicatione in angustum speciei terminum contrahit. animal
enim, cuius prædicatio per se longe lateque diffusa est, si arripiat rationalis
differentiam, si etiam mortalis, deminuit atque contrahit in unum hominis
speciem, unde fit ut minor sit semper species quam genus atque ideo
contineatur, sed non contineat, sublatoque genere auferatur et species; si enim
totum auferas, pars non erit, quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum
animal sustuleris, interi mitur etiam homo, si hominem auferas, animal restat,
hæc etiam causa est, ut genus de specie uniuoce prædicetur, id est ut species
suscipiat definitionem generis et nomen, sed 1 continent HN
enim om. C 6 contineantur NR speciei om. R
specie Cm1 in specie Lp.c . species N post nullo
add . modo EGHPR, s. l. Lm2 7 includitur EGLm1P
includat N post autem s. l. rei
Cm2 8 semper om. HN species N hoc facit 10
om. EG 9 est s. l. C, om. HN, del. Pm2 habet
Lm2Pm2 coartatum ex coaptatum Lm2, in mg . ał coaptata
ipsa diffinitio et contracta speciem facit m1 coaptata
Hm2P apta Cm1 aptata m2 Hm1N 10 et LR, s. l. Pm2, om. CHN de EG cf. ad S
contracta Lm2 omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque et EHNPR 12 post prædicatione
add. generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14 differentia
C ras. ex -ã R etsi
etiam E et s. l., del. si etiam Lm2, et R diminuit EHLPR ;
diminuitur atque contrahitur N unam C am in ras.
m2 Hm2NR 16 continentur sed non continent N 17
et om. EGR 19 remanet C cum si P 21 est
causa C 22 generis et nomen et generis nomen E et nomen
generis N generis nomen R non e conuerso.
definitionem quippe speciei genus suscipere non uidetur; substantiam enim
priorum inferiora suscipiunt, si enim definias animal et dicas substantiam esse
animatam atque sensibilem aut si prædices de homine animal, uerum dixeris, si
etiam animalis definitionem de homine prædicaueris dicasque hominem esse
substantiam animatam atque sensibilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed
si hominis definitionem reddas ‘animal rationale mortale’, ea animali non
conueniunt; neque enim quod animal est, id dici poterit animal rationale
mortale, fit igitur, ut sicut species generis nomen suscipit, ita etiam
capiat definitionem, et sicut genus nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem
definitione monstretur, sed cuius nomen et definitio de aliquo prædicatur, id
uniuoce dicitur, cum igitur generis et nomen et definitio de specie prædicetur,
genus de specie uniuoce dicitur, quoniam uero speciei de genere. neque
nomen neque definitio prædicatur, non conuertitur uniuoca prædicatio. Differunt
genera <ab> speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt species
suas aliarum continentia specierum, species uero genera differentiarum
pluralitate, animal enim, quod est genus, superuadit hominem, quod est
species, quia non hominem solum continet, uerum etiam bouem, equum aliasque
species, quas suæ spatio prædicationis includit, species uero, ut homo,
superuadit genus, ut animal, multitudine differentiarum, nam quod actu
genus 1 e conuerso est om. R conuersio EGLPR 2
non er. H substantiæ EGLm2 -tia m1
PR enim priorum enim proprium EGP diffinitionem om . en. pr . R 3 et
om. CHNP 4 aut brm at
CHLNP, om. EGR 5 definitione E 7 nil C fuerat
Cm1 fueris HN falsi mentitus HN sed quod
CHN hominis definitionem om. EGR hominis rationem
L 8 addas EGR, post si
om . reddas, add. P, reddas addas L pr . animali Ea.c.LR
animal est G conuenit CNPa.c. 9 ante quod add. id
HNPR, s. l. Lm2 id dici EGLa.r.P dici Lp.r.R idcirco
dici HN id circo id dici C 11 et om. EG 12
definitionem uel diff- monstret
EGR 14 pr . et om. CEG, s. l. Lm2 15 prædicatur
E uniuoce de specie C 17 a add. brm, ab
Brandt 18 modo om. NR 19 continentia aliarum C 21
quod quæ N non s. l Cm2 22 equum bouem HN 24
namque quod Lp.c . non habet rationale uel mortale nullas
quippe actu genus retinet | differentias, easdem species suæ substantiæ inhærentes
atque insitas tenet, homo enim rationalis est atque mortalis, quod genus minime
est; animal enim neque mortale est per se neque rationale, quodsi genus
quidem plus unam continet speciem, at uero species multis differentiis infor
mantur, superat quidem genus speciem continentia specierum species uero uincit
genus differentiarum pluralitate. Illa quoque est differentia, quod genus
quoniam omnium primum est, numquam in tantum descendere poterit, ut fiat
ultimum, species uero, quæ cunctis est inferior, in tantum ascendere non
poterit, ut suprema omnium fiat; numquam igitur nec species generalissimum fiet
nec genus specialissimum. Sed ex his quæ dictæ sunt differentiæ aliæ sunt quæ
genus ab specie propriæ coniunctæque disterminant, aliæ uero quæ non
solum genus ab specie, uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in
his tantum differentiæ quæ sunt dictæ, uerum etiam in ceteris considerentur
oportet, si proprie normam quærimus discretionis agnoscere. uel om.
R 4 mortale rationale CHN 5 rationale R inrationale CHN per se
rationale EGLP unam continet speciem EG unam s. l. m2 Lm1
quam unam continet speciem Lm2R una continet continet una
C specie CHNP 6 species uero om . at C informatur
Lm1Pm1 7 species G 9 quoniam quod Hm2 11 in
tantum ascendere non numquam in tantum ascendere LNR 12 nec... nec et...
et Hm1N et... nec C, pr . nec om. P 14 ex his om.
EG, s. l. Lm2 sunt om. E
differentiarum CN differentiis R genus s. l.
Cm2 a R 15 proprie coniuncteque ras. ex -teque Η HΝR
recte? propriæque G coniunctæque om. EG 16 ab a
R diducunt Em2R deducunt
cett. distinguunt ac deducunt om .
disterminant HN 17 neque et quæ
non CHN, s. l . ał quæ L in
his tantum differentiis quæ sunt dictæ
L quæ sunt dicta G quæ dictæ sunt CHNP quid
sint in ras. E uerum etiam in
ceteris add. quoque HLm1N, del. Lm2
considerentur oportet CEGHLNP neque in his tantum oportet
considerare differentias quæ sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet R
; differentiæ scr. Brandt ; neque enim in de bm his tantum oportet oportet om. p differentiis quæ sunt dictæ, uerum etiam in
ceteris considerare considerari oportet p edd. 18 propriæ CEGLP 19
discretionis quærimus HR Generis autem et proprii
commune quidem est sequi species nam si homo est, animal est, et si homo est,
risibile est et æqualiter prædicari genus de speciebus et proprium de his quæ
illo participant; æqualiter enim et homo et bos animal et Cato et Cicero
risibile, commune autem et uniuoce prædicari genus de propriis speciebus et
proprium quorum est proprium. Tria interim generis ac proprii
dicit esse communia, quorum primum illud est, quoniam ita genus sequitur
species ut proprium, posita enim specie necesse est intellegi genus ac
proprium; neutrum enim species proprias derelinquit, nam si homo est, animal
est, si homo est, risibile est; ita quemadmodum genus, sic proprium ab ea
specie cuius est proprium, non recedit. Illud quoque, quod æqualis est generis
partici patio, sicut etiam proprii, omne enim genus æqualiter speciebus
participatur, proprium uero indiuiduis omnibus æqualiter adhærescit, manifestum
uero est participationem e?se generis æqualem; neque enim plus homo animal est
quam equos Porph. Boeth. COMMVNITATIBVS Ψ ; de Porph. cf. ad 102, 7 2 Genus
Em1Gm1 consequi Pm1 3 nam risibile LR Q, om. cett. pr . est s.
l. h m2 5 illo sub illo R participant continentur
R, add. indiuiduis edd. cum plerisque codd. Porph. 16,
4 6 post animal add. est ΓΦ, om. Porph. 16, 5 et Cato et Cicero Porph . xat Άνοτος και Μέληχος post risibile add. est Φ 7 autem et autem CEGP autem est
est s. l . h m2 et om.
R R h autem his Ψ autem hiis et Φ his s. l. m2 autem et Γ ; Porph. 16, 6 δέ καί speciebus propriis
R 8 post pr . proprium add . de his Ν Σ, s. l. de
propriis Gm2 10 illud est primum R 11 post
proprium add. quoque CH del. m2 N ac et
C 13 si et si HN risibilis EGHNP 15 post
quoque add. est commune R, s. l. Lm2, s. l . scil, commune
est Hm2 a genere generis Hm2
participatio est HN 16 proprii a proprio Hm1N
ante speciebus add . a H ab L del. m2 NB,
post add . suis R 17 participat ** ur er .
E 18 adheret N participatione EGR generi
E ex genere m2
R 19 æquale EG æquale proprium R, post æqualem
add. s. l . et proprii Lm2, in mg . et proprium Pm2
atque bos, sed in eo quod sunt animalia, æqualiter animalis, id est
generis ad se uocabulum trahunt. CATONE si veda etiam et CICERONE si veda æqualiter
risibiles sunt, etiamsi æqualiter non rideant; in eo enim quod apti ad ridendum
sunt, dici risibiles possunt, non quod iam rideant, æqualiter ergo ea quæ
sub genere sunt, suscipiunt genus, sicut ea quæ sub propriis, propria. Tertium
illud, quod sicut genus de speciebus propriis uniuoce prædicatur, ita etiam
proprium de sua specie uniuoce dicitur, genus enim quoniam substantiam speciei
continet, non modo eius nomen de specie, uerum etiam definitio prædicatur,
proprium uero quia speciem non relinquit eamque semper sequitur nec in aliam
speciem transgreditur nec infra subsistit, definitionem quoque propriam
speciebus tradit; cuius enim nomen uni tantum conuenit speciei cui coæquatur,
dubitari non potest quin eius quoque definitio speciei conueniat. quo fit
ut sicut genus de speciebus, ita proprium de sua specie uniuoce prædicetur.
Differt autem, quoniam genus quidem prius est, posterius uero proprium;
oportet enim esse animal, dehinc diuidi differentiis et propriis, et
genus quiPorph. Boeth. eo eodem HLm2NR 2 ad se om. EGR, s. l.
Lm2 etiam om. H et om. R 3 pr . æqualiter
om. C 6 suscipiant Em1Lm1 genera EGLPm2
gen. ante suscipiunt HNP 7 illud illud commune
est G quid Cm1 9 enim om. E nomen eius
C 11 quia om. EGLP derelinquit Lm2P eamque eique
HN ei quæ R ea quæ Pm1 æquatur Pm2 12
definitio diff- ELm2 diffinitione m1 Pm1 definitio
enim R 13 proprium Ea.r.R proprii
Ep.r.L ras. ex
propriis, P traditur EGLm2Pm1 14 cui uel ei C
eique HNPm2 cuique m1 , et del. m2 cui
L æquatur L 18 De proprietatibus Δ ; de Porph. cf. ad 105, 16 GENERIS ET
PROPRII EORVM P PROPRII SPECIEI L 19 Differunt C edd . autem
om. N autem genus et proprium LR Δ2 ; Porph. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος quidem om.
HNR est om. H 20 oportet interimunt genera 310, 10 LR Q,
om. cett . 21 pr . et om. L dem de pluribus speciebus
prædicatur, proprium uero de una sola specie cuius est proprium, et proprium
quidem conuersim prædicatur de eo cuius est proprium, genus uero de nullo
conuersim prædicatur, nam neque si animal est, homo est, neque si animal est,
risi bile est; sin uero homo est, risibile est, et e conuerso amplius proprium
omni speciei inest cuius est proprium, et soli et semper, genus uero omni quidem
speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem soli, amplius species quidem
interemptæ non simul inter imunt|genera, propria uero interempta simul
interimunt ea quorum sunt propria, et bis quorum sunt propria interemptis et
ipsa simul interimuntur. Rursus tale proprium sumit, quod ad alterius
comparationem proprium nuncupetur, dicit enim proprium esse generis prius
esse quam propria, oportet enim prius esse genus, quod ueluti materia
differentiis supponatur, uenientibusque differentiis fieri speciem, cum quibus
propria nascuntur, si igitur prius est 1 prædicatur R A m2 n edd . prædicari
cett. codd. Busse propriis, et genus distinguit, sed cf. 16
oportet et 311, 9 Rursus differt; Porphp. 16, 11 κατηγορεΐται 2 una sola Porph. ενός, cod. C add . μόνοο est om. Φ 6 si R homo est homo et ΔΑΠΨ et er ., homo, et Busse homo est
est s. l. m2 et L; Porph.
16, 13 et δέ άνθρωπος et e conuerso et conuerso L h m1 et
conuersim si risibile est homo est R si risibile est homo est
2 ; Porph. 16, 14 καί εμπαλιν, add. ei γελαστικόν, άνθρωπος cod. C 8 et soli TA m2 et uni Δ m1 ΑΣ et uni et soli LR ΠΦΨ ; Porph. 16, 15 καί μόνψ speciei quidem
2 9 post speciei add . inest LR TA s. l . ΠΦΦ in mg. m2 edd. Busse, om . Δ2 cum Porph . soli Porph. 16,16 και μόνω 10 species s. l.
L propria brm cum Porph . interempta Φ interimuntur HL 11 post
genera add. quorum sunt species A propria genera
brm Busse in adn. cum Porph. 16, 17 interimuntur HΡ 12 ea om . Η ΤΦ species brm cum
Porph . quarum brm et his interemptis om. EG et quare
edd., Porph. 16, 18 ώστε καί 13 interemptis ante et his
CP et ipsa et ipsa etiam propria Φ ipsa propria 2 interimuntur
simul CGLR ad 10 13 cf. 312, 13 ss . 14 Rursus om. EG, s. l. Pm2,
sed R ad om. H, s. l. Pm2 comparatione HPm1
15 nuncupatur Cm2Em2Ga.c.N pr . esse om. N, s. l.
Pm2 uelut N species Lm2 nascantur N
genus quam differentiæ, prius etiam differentiæ quam species et speciebus
propria coæquantur, non est dubium quin propria generibus posteriora sint, ac
per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse quam propria, commune
est hoc generi cum differentia, differentiæ enim species conformantes
priores considerantur esse quam propria, siquidem speciebus ipsis priores sunt,
quas propria ratione determinant, sed ut dictum est, hoc proprium ad
differentiam proprii intellegendum est, non quale superius per se proprium constitutum
est. Rursus differt genus a proprio, quod genus quidem de pluribus prædicatur
speciebus, proprium uero minime; nam neque genus est, nisi plures ex se species
proferat, nec proprium, si alteri cuilibet speciei possit esse commune, fit
igitur ut genus quidem plurimas sub se species habeat, ut animal hominem
atque equum, proprium uero unam tantum, sicut risibile hominem. Quo fit ut illa
quoque differentia nascatur : genus enim prædicatur quidem de speciebus, ipsum
uero in nulla prædicatione supponitur, proprium uero et species alterna prædicatione
mutantur, fit enim prædicatio aut a maioribus ad minora aut ab æqualibus
ad æqualia, genus igitur, quod maius est, de speciebus omnibus prædicatur,
species uero, quoniam minores sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de
homine dicitur, homo uero de animali nullo modo prædicatur. at uero proprium,
quoniam speciei æquale est, æque 1 etiam enim Lm2 2et
om. EG et si H 4 est hoc HL hoc del. m2 N est
et hoc C esse Pm1 et hoc est m2 est
EGR 5 differentia differentiis CHN differentiæ om.
EG enim s. l. Cm2, post species EG informantes
prius N 6 considerentur Hm1R esse s. l .
Cm2 7 quam G 8 hoc om. EGR 10 a om.
NR quod quoniam L de a C 12 proferet
Lm2 14 species sub se C 16 quoque del. Em2, post add .
proprietas s. l. Lm2 ex GL, s. l. Pm2 nascantur
Ep.c . 17 de speeiebus quidem C ipsis CN in om. CN 19 mutuantur La.c.Pm2 prædicatio
om. EGR, s. l. Lm2 20 quod quoniam E in ros. Gm2 21 est
s. l. Em2 prædicabitur N 22 minora CEGLm2P
prædicatur atque supponitur, ut risibile de homine dicitur omnis enim
homo risibilis est , eodemque
conuertitur modo; omne enim risibile homo est. Differt etiam proprium a genere,
quod proprium uni et omni et semper speciei adest, genus uero ex his duo quidem
retinet, in uno uero diuersum est. nam speciebus suis et semper adest et
omnibus, non uero solis; hoc enim hæret propriis, quod singulas tantum species
continent, hoc generibus, quod plures. igitur propria quidem singulas optinent
species, genera uero non singulas, adest igitur proprium uni soli speciei et
semper et omni, genus uero omni quidem et semper, sed non soli, ut
risibile homini soli, animal uero eidem homini, sed non soli; præest enim
ceteris, quæ inrationabilia nuncupamus. Præterea si auferatur genus, species
interimuntur nam si non sit animal, non erit homo , si auferas species, non interimitur genus;
nam si non sit homo, animal non peribit, species uero et propria quoniam
sunt æqualia, alterna sese uice consumunt; nam si non sit risibile, homo non
erit, si homo non sit, risibile non manebit, consumunt igitur genera sub se
positas species, non uero ab his inuicem consumuntur, species uero et proprium
inuicem perimuntur et perimunt. 1 supponitur sub HP
CHm2Lp.c.P præponitur cett., recte? 2 enim om. C locus
risibilis est quidem speciebus 315, 7 bis in E scriptus, pag. 229 231 E I
, ubi deletus est, et 232 234 E II 3 etiam om. R, del. Lm1,
enim m2 autem etiam H a genere proprium C
a om. R 4 speciei s. l. Hm2 5 uero quidem E I
quidem duo CNB, om . quidem E I 7 hæret propriis E III GL hæret ł
inerit m2 tantum propriis
P erat erit R tantum
propriis proprii N esse
CNR heret propriis uel aliter hoc enim erat tantum H; ad hæret
cf. 298, 4 tantum species quidem singulas om. E I
tantum del. Lm2, s. l. Pm2, post species NR 8
continerent CHm2 contineret N contineant
Pm2 10 soli///// E I solius E II G 11 sed et
HN soli homini NP 13 inrationalia H
auferamus EGLPR 14 interimantur L erit est N
19 sub se positas sibi om. H suppositas HN 21
perimuntur consumuntur Lm2 perimunt perimuntur Lm2
pereunt HNPm2 Generis uero et accidentis commune est
de pluribus, quemadmodum dictum est, prædicari, siue separabilium sit siue
inseparabilium; etenim moueri de pluribus et nigrum de coruis et de
hominibus Æthiopibus et aliquibus inanimatis. Nihil est quod inter cetera
ita sit a generis ratione disiunctum, sicut est accidens, nam cum genus
cuiuslibet substantiam monstret, accidens uero a substantia longe
disiunctum sit et extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest
habere cum genere quam de pluribus prædicari, genus enim de pluribus prædicatur
speciebus, accidens uero de pluribus non modo speciebus, uerum etiam generibus
animatis atque inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili homine, de inra
tionabili coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de cygnoj 102
et marmore, moneri de homine, de equo et de stellis ac de sagitta, quæ sunt
separabilis accidentis exempla. 1 6 Porph. 16, 19 17, 2 Boeth. 44,
12 16. 1 GENERIBVS ACCIDENTIBVS E I E II
m1 ACCIDENTI R de Porph. cf. ad 102, 7 2 Commune uero
est generis et accidentis 2 Generi N Generibus E
I accidentibus E I m1 3 prædicari ante
quemadmodum L siue pluribus et LR Q,
om. cett . separabile 2 m1 4 sit sit accidens 2
inseparabile 2 m1 5 post et om. R de
om . E II HNR ΑΦ, recte?
homine E III omnibus L A ras. ex hominibus hominibus om. brm,
delend. uid. Bussio; cf. 116, 5. 123, 22. 131, 2 homine Æthiope; Porph.
17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων æthiopus EIII et et de G,
del. m2 æthiopibus GPm2 T2 6
ante aliquibus add. de Gm2 in animis E I, ante
inanimatis add . naturis H del. m2, post CN, prædicari Γ in mg . prædicatur
Φ ; Porph. καί tivmv άψΰχων 7 in ceteris E III
GLm1P 9 a om. R 10 uere GR uero habere
potest C enim uero C 14 rationabile E III
a. c. Gm1 rationali HNP post homine add .
et N irrationali HNP 15 ebeno E III 16 marmore de
marmore P post homine add . et N 17
sagitta CHLm1NPm1 sagittis
m2 agitatis E III GR
edd . ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus Lm2
Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante species est,
accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam inseparabile sumatur
accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam accidens, et genere
quidem quæ participant, æqualiter participant, accidenti uero non æqualiter;
intentionem enim et remissionem suscipit accidentium participatio, generum uero
minime, et accidentia quidem in indiuiduis principaliter subsistunt, genera
uero et species naturaliter priora sunt indiuiduis substantiis, et genera
quidem in eo quod quid sit prædicantur de bis quæ sub ipsis sunt, accidentia
uero in eo quod quale aliquid sit uel quomodo se habeat unum quodque; qualis
est enim Æthiops interrogatus dices ‘niger’, et quemadmodum se Socrates
habeat, dices quoniam sedet uel ambulat. Porph. Boeth. PROPRIIS DIFFERENTIA
C; de Porph. cf. ad 105, 16 QVID INTER GENVS ET ACCIDENS SIT
Φ ex 116, 10 2 genus s. l. Hm2 ab om
. HRE III Δ accidenti Δ accidente cett . 3 speciem
ΧΦ posteriora ante speciebus C inferiora XA m1
AS 4 nam unum quodque 14 LR Q, om. cett . si etiam etsi
etiam ΓΦ sed om . Γ si Σ 5 prius plus
S 6 genere A m2
Busse genera cett. codd. edd . quæ quibus A m1 æque
Δ 7 accidenti p Busse
accidentia codd. brm; ad 5 et 7 cf. Porph. 17, 6 s. et infra 315, 12 14
enim om. L in mg: figuram quandam habet Δ, aliam cf. ad
320,17 Γ 9 uero om. R in om . Γ Busse, s. l . Rm2 A m2 K ; cf. 315, 21; Porph.
17, 9 έπΐ τών άτομων 10 nero om . Δ 11 post
naturaliter add. non principaliter LR AΑΦ ; om. Porph. 17, 9 12 sit est LR A
ante de add. et, sed del. ΓΔ 13 hiis Φ 14 ante quale add.
et R sit cod. Q Bussii edd . est cett. codd . quomodo
om. R quodammodo A m2 se s. l. A m2 habet A
m1 15 eat ante æthiops ΔΑ, post HΝ ΤΣΦ enim om. L interrogatur Φ dices LRT dicis cett. codd. edd. Busse,
cf. 317, 15 respondebimus; Porph. 17, 12 έρεΐς 16 quomodo Δ habeat ante socrates A
habet ΗR Φ dices K m2 dicis cett. codd. edd. Busse,
cf. 317, 16 dicemus; Porph . έρείς 17 ambulet La.c.N Differentiam
generis et accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit,
quippe quod materiæ loco est et differentiis informatum species gignit, at uero
accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui aliquid
accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod
suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum
est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur,
accidentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur.
manifestum est genus quidem esse ante species, accidentia uero post species.
Rursus alia differentia, quoniam genus neque intentionem neque remissionem
suscipere potest, quo fit ut quæ participant genere, æqualiter eius nomen
definitionemque suscipiant; omnes enim homines æqualiter animalia sunt
eodemque modo equi, nec non inter se homo atque equus et cetera animalia
comparata æque animalia prædicantur, accidentis uero participatio et intenditur
et remittitur, inuenies enim quemlibet paulo diutius ambulantem, paulo amplius
nigrum et in ipsis Æthiopibus considerabis omnes non æque nigro colore
obductos. Alia quoque differentia est, quoniam omne accidens in indiuiduis
principaliter subsistit, genera uero et species indiuiduis priora sunt; nisi enim
singuli corui 1 et accidentis ab accidentibus HN ponit
C 2 pr. quod quid C quoniam del. m2
quod E II 4 post esse add . aliquid P, s.
l. Lm2 5 si sit nisi sit subiectum HN nisi subiectum
sit R 6 quid Cm1 potest H 7 speciei
HN est sit N nec non CEGLP 8 uelut CEGLP
uel R supponitur C 9 supponatur uel subp- EGH 10 ante
manifestum add . nam EGLP 11 post Rursus
add . uero C post alia add . est CGP 13
generi CEGP 15 eodem EHLR 18 paulo amplius nigrum paulo
diutius ambulantem HN post ambulantem add . et LR 19 et
et si si s. l, Lm2 LR si EGP omnis
GLm2R æqua nigredine coloris coloris del. Lm2 HLNP 20
obductus EGLm1R, post obd. add . esse C
est EGLR est om. HN 21 in om. CG genera priora
sunt C species uero et genera
indiuiduis priora sunt HLm1N genera uero speciebus et indiuiduis priora
sunt GP genera nero et speciebus et indiuiduis posteriora
sunt Lm2 genera indiuiduis priora sunt E et indiuiduis
posteriora sunt R 22 singulariter EGPR nigredine infecti
essent, comi species nigra esse minime diceretur. ita fit ut accidentia post
indiuidua esse uideantur. nam si prius est id cui aliquid accidit quam illud
quod accidit, nop est dubium prius esse indiuidua, posterius uero accidens,
genera uero et species supra indiuidua considerantur; hoc idcirco,
quoniam de his omnibus prædicantur eorumque substantiam propria prædicatione
constituunt, sed dici potest genera quoque ipsa et species posteriora
indiuiduis inueniri; nam nisi sint singuli homines singulique equi, hominis
atque equi species esse non possunt, et nisi singulæ species sint, eorum
genus animal esse non poterit, sed meminisse debemus superius dictum esse genus
non ex his sumere substantiam de quibus prædicatur, sed de eo potius, quod
differentiis constitutiuis eorum substantia formaque perficitur, itaque si
genus quidem diuisiuis differentiis interemptis non perimitur, sed manet
in his quæ eius constitutiuæ sunt eiusque formam definitionemque perficiunt,
cumque differentiæ diuisiuæ generis speciebus sint priores ipsæ
enim species conformant atque constituunt , non est dubium quin genus etiam pereuntibus
speciebus possit in propria manere substantia, idem de speciebus dictum sit;
species enim superioribus differentiis, non posterioribus indiuiduis
informantur, quæ cum ita sint, species quoque ante indiuidua subsistunt,
accidentia uero nisi sint 12 superius essent in ras. Lm2, sunt N sint R 2
esse om. EGR 4 indiuiduum CHN 5 super CN 8
genera de genere R quoque om. R quæque EGP
ipsa om. EGPR et species atque species specie R
LR specieaque N 9 nam nisi nisi enim EGR nara
nisi enim enim del. m2 C homines nisi singulæ 10 in
mg. Em2 homines EN 10 et om. EG singulis
E singuli G singulares Lm2R 11 eorumque Lm2
earum brm 12 ex del ., his om. E 13 de eo eo
Hm1N ex eis Hm2 de eis Lm2 quod del. Hm2,
er. L, quo GPR 14 eorum om. Lm1 eius R edd . quæ
eius Hm2 de quibus eius Lm2 substantiam formamque
perficiunt Hm2 normaque N 15 diuisiuæ post
differentiæ N differentiæ interemptæ non perimunt HLN 16
eiusque quæ eius C quæque eius EGP 17 speciebus
generis LNR 20 permanere Lm2R 23 quæque EG
quibus accidant, esse non possunt, nullis uero prius accidunt quam
indiuiduis; hæc enim generationi et corru|ptioni supp, 103· posita uariis
semper accidentibus permutantur. Illam quoque adnumerat differentiam quæ est
superius dicta, quod genus quidem, quia rem demonstrat et de substantia
prædicatur, in eo quod quid est dicitur, accidens uero in eo quod quale est aut
in eo quod quomodo sese habet res. nam si qualitatem interroges, accidens
respondebitur, ut si qualis est coruus, ‘niger’, si quomodo sese habeat, aliud
rursus accidens, aut sedet aut volat aut crocitat. nam cum accidens in
nouem prædicamenta diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando,
situm, habitum, facere, pati, cetera quidem omnia in ‘quomodo se habeat’
interrogatione ponuntur, qualitas uero in qualitatis sciscitatione responderi
solet. nam si interrogemur qualis est æthiops, respondebimus accidens, id
est ‘niger’, si quomodo se habeat Socrates, tunc dicemus aut ‘sedet’ aut
‘ambulat’ aut superiorum aliquid accidentium. Genus uero quo ab aliis
quattuor differat, dictum 4 superius 189, 4 ss. 195, 1 ss. 18 319, 14 Porph.
Boeth. pr. accidunt Lm1 accident N prius
post accidunt C 2 post indiuiduis add. quia
indiuidna prima sunt quantum ad prædicationem P, in mg. Lm2 4
adnumera ann G EG
annumerant Hm1 dicta est superius R est sepius corr.
m2 dicta C sepius corr. Hm2 dicta est
HN 5 quidem om. EGR 6 dicitur om. N, s. l. Hm2
post uero add. aut P 7se H post habet
add. res CLm1, del. m2 9se EGHN habet
Clm1 aliud rursus accidens aliud uero accidens rursus C aut
uolat aut sedet HLN 10 croccit Hm1 groccitat N,
post add . egrotat P nam at EGLm1 ac ut uid. R 12 quanto Em1 quantum
G situm habitum quando C post omnia add. id est
VIIII Hm1, del. m2 13 habeant Ep.c. Lm2P
interrogationem EGR 14 interrogemur C edd. cf.314, 15 interrogemus
cett., recte? cf.58, ss. 99, 23 15 respondemus HNR 16
dicimus EHLRbrm 17 aliquod ELa.c.N 18 uero uerus
Pa.c. ergo CHL in ras. m2 R Φ enim A
; Porph. 17, 14 uiv ουν quod EGPm1Rm1
T<l> ab ΔΣΨ, s.
l. Il m2, om. cett. quattuor om. G, s. l. Δ
m2 est. contingit autem etiam unum quodque aliorum differre ab
aliis quattuor, ut cum quinque quidem sint, unum quodque autem ab aliis
quattuor differat, quater quinque, uiginti fiant omnes differentiæ, sed semper
posterioribus enumeratis et secundis quidem una differentia superatis,
prop??terea quia iam sumpta est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus,
quintis uero quattuor, decem omnes fiunt, quattuor, tres, duæ, una. genus enim
differt a differentia et specie et proprio et accidenti; quattuor igitur sunt
omnes differentiæ. differentia uero quo differat a genere dictum est, quando
quo differret genus ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab specie
et proprio et accidenti dicere, et fiunt tres. rursus species quo 1
contingit ad accidens LR Q, om. cett. contigit R A m1 Y m1 2
aliis om. Porph. 17, 15 quidem om. L K Busse;
Porph. μεν 3 post sint add. res
L unum quodque autem il m2 xP
p Busse unum autem Β ΤΜΙ m1 Σ una autem L
ΑΦ et unumquodque brm; Porph. ίνος ϊέ εκάοτοο
aliis om. Porph. differt Δ 4 uiginti del.
A, pos t
XX add. uel quinquies quattuor Rm1 quater V. XX
uel del. et post fiant add. uiginti m2
fient ΑΑ m1 Φ fuerint Γ post differentiæ add. sed
non sic se res res om.
p habet edd. cum Porph. 17, 17 άλλ’ οοχ οδτως εχει set om.
Γ 6 superatis subtractis ΓΦ ex substr quia quoniam L
A Busse sumpta subtracta Γ 7 uero autem LR T<l' duobus
R 8 omnes om. L post
fiunt add. differentiæ Γ s. l.
Π m2 edd. Busse sed om. etiam eius codd. LP cum Porph.
17, 20 9 enim autem Γ a om. Σ, s. l. A m2 et specie et proprio a specie a proprio
R specie proprio Σ 10 et om.
Σ accidente R Σ igitur quatuor R differentiæ omnes La.c.
generis differentiæ R; Porph. 17, 22 at διοφοραί 11 quo om. R differat La.c. a
del. Σ differret R differt cett.
a om. R 12 quo quid
L A Busse quod m1, om. A ; ubi
quo est hic et 11. 13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis, Porphyrius
π-j scripsit 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis. 18,
1. 2. 3. 4 differret LR Ψ alt. r s. l. differre Λ differt ΓΙIΣΦ 13
igitur ergo 2 quod R A differt A a.c. ab
Brandt a LR il, s. l. A m2, om. cett. et om. Β
ΤΑΣ a L 14 accidente R ΓΔ2Φ post tres
add. differentiæ Λ ei fiunt tres differentiæ. rursus
in mg. m2 11 m2
species m1 Γ rursus differentiæ
pos. Busse cum duobus suis codd., om. cett. codd. edd. Porph. quidem quo
ΓΔ2Φ; Porph. π-jj έν quidem differat a
differentia dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur;
quo autem differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab
specie dicebatur; reliquum est igitur, ut quo differat a proprio et
accidenti dicatur. duæ igitur etiam istæ sunt differentiæ. proprium autem quo
differat ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et genere
differat, prædictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor igitur
sumptis generis ad alia differentiis, tribus uero differentiæ, duabus autem
speciei, una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum quattuor, quæ
erant generis ad reliqua, superius demonstrauimus. Quoniam differentias
atque communitates generis ad differentiam, ad speciem, ad proprium atque
accidens persecutus est, idem quoque ad ceteras facere contendens prædicit,
quot omnes differentiæ possint esse quæ inter se comparatis com 1 differt
R A quo quid A Russe quod Lm1 \ 2
differret Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl p.c.
differet Lm1Rm Uα a. c. ΦΨ a.c. differt Δ2
differtur Γ differentia ab specie ΓΦΨ sed a, scr.
ab Brandt, a s. l. A m2 specie s. l.
et add. Δ m2 differentia ΔΔΣ edd. Busse
species a et Ώ
differentia L H differentia ab ea R; Porph. 17, 26
ή διαφορά τού είδους quod A m1 3 differat L differt cett. ex
differet V a om. R ϋϊ quo quid Δ
Busse quod A 4 differret L yAIW differet R Φ
differt ΓΑ2 4 ab specie Γ a specie L ΔIΙΔΦΦ
specie 2 ab ea R 5 differt R, add.
species ΓΑΠΨΨ, s. l. Lm2; om. Porph. a om. accidenti L accidente cett.
dicitur R 6 igitur om. 2 7 autem om.
R, s. l. h m2 ab om. Σ accidenti edd. accidente codd. fort.
relinquetur; cf. Porph. 18, 3 χαταλειφθήσεται 8
ab Brandt a ΓΦ, om. cett. pr. et om.
R differet Λ m1 differret m2 differt A m1 2,
s. l. proprium add. Lm2 dictum Σ 9
differentia ante ad ipsum Σ differentiis Β ΓΑΦ ;
Porph. 18, 5 ... διαφορά 11 pr. autem uero A ad
accidens et accidentis ΓΔ«ι7ΠΦ; Porph. 18, 7
πρός τδ σορβεβηχος 13 erant erunt
N reliqua N Λm1ίΣΦΨ reliquas cett. in
mg. ad aliquas T m2; Porph. 18, 8 πρός τά άλλα 16 utrumque ad om. NR 17
idem quoque idemque Lm1NR ad cetera C de ceteris
HLN prædicit om. R nunc dicit H 18 possunt
CHLm1N commissisque N mixtisque rebus his quæ supra
propositæ sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una
quæque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti
differentiæ fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint
quinque res ueluti quinque litteræ A B C D E. differat igitur A quidem ab
aliis quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiæ. rursus B differat
ab aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quæ superioribus
iunctæ octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt quattuor, scilicet A
B D E; quæ quattuor differentiæ supe rioribus octo copulatæ duodecim reddunt.
quarta D reliquis quattuor comparetur differatque ab eisdem, id est A B C E,
fient igitur rursus quattuor; quæ superioribus duodecim appositæ sedecim
copulant. quodsi ultima E ab aliis quattuor differat, scilicet A B C D, fient
aliæ quattuor differentiæ; quæ compositæ prioribus uiginti perficiunt. et
sit quidem huiusmodi descriptio:
positæ EHLNP efficiuntur HN ante
una add. et HLNPR res om. HN 3 si om.
HN a om. R uiginti om. E fiant Rm2 5
uel E 6 aliis reliquis HN 7 fiant R
differt Ha.c.LN aliis reliquis L 8 id est om.
HN 9 ab codd. reliquis aliis
L ante reliquis add. si L, s. l. Pm2 12
differatque differat æque EGP
differt m2 R eis GHNPm1R 13 fiunt N
fiant R igitur om. HN post quattuor add.
differentiæ HN 15 fiant R faciat L
faciet HN aliæ om. H alias LN
differentias HLN 16 superioribus C et sit quidem CGP et quidem sit R et
sic ex si quidem est E quarum quorum LN quidem sit
HLN 17 discriptio C figuram om. G duæ lineæ uacuæ Hm1N, supra
depictam dedimus ex E, eandem uarie exornatam habent R post uerba
quattuor differentiæ supra 7 Γ in mg ad locum 314, 7 ss., litteras tantum
omissis lineis Quæ cum ita sint, in generibus quoque et speciebus
et ceteris idem considerabitur. erunt ergo quattuor differentiæ, quibus genus a
differentia, specie, proprio accidentique disiungitur; aliæ rursus quattuor,
quibus differentia a genere, specie, proprio atque accidenti discrepat;
rursus quattuor speciei ad genus ac differentiam, proprium atque accidens;
quattuor etiam proprii ad genus, differentiam, speciem atque accidens; quattuor
insuper accidentis ad genus, differentiam, speciem atque proprium. quæ coniunctæ
omnes uiginti explicant diflferentias. sed hoc, si ad numeri referatur
naturam comparationisque alternationem; nam si ad ipsas differentiarum naturas
uigilans lector aspiciat, easdem sæpe differentias inueniet sumptas. quo enim
genus differt a differentia, eodem differentia distat a genere, et quo
differentia distat ab specie, eodem species a differentia disgregatur, et
in ceteris eodem modo. in hac igitur dispositione differentiarum, quam supra
disposui, easdem sæpius adnumeraui. atque si differentiarum similitudines
detrahamus, decem fiunt omnino differentiæ, quas ad præsentem tractatum uelut
diuersas atque dissimiles oportet assu mere. age enim differat genus a
differentia, specie, proprio in mg. suadd. Hm2, quaternas litteras B C D E cett. infra singulis litteris
A cett. positas quadratis inclusas exhibet L; in C in mg. litt. minusc. hæ
duæ figuræ sunt, quarum posterior spectat ad 321, 20 ss. 323, 9 ss:
in P figura est per quinque oblonga deorsum continuata, quorum primum hic
proponitur : 3 ab CEGHP accidentique atque
accidenti -te N HN 4
differentiæ G ab CEGHNP ac om. N ad LP
10 post hoc add. fiet E s. l. m2 fit
H s. l. m2 niget L in mg. R 13 adsumptas R
differat C 14 ab a R sæpius om. EGPR, s. l. Cm2,
post adnumeraui L adnumerauit Cm2GP atque
EGP at CR itaque HLN si om. N
multitudines, s. l. ał similitudines L 18 fient
edd. atque accidenti, quattuor differentiis, quas supra iam
diximus. item sumamus differentiam, distabit hæc a genere primum, dehinc ab
specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere, iam superius
explicatum est, cum diceremus quo genus a differentia discreparet.
detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est, relinquuntur tres
distantiæ quibus differentia ab specie, proprio accidentique disiungitur; quæ
iunctæ cum superioribus quattuor septem differentias reddunt. post hanc species
si sumatur, quattuor quidem eius essent differentiæ secundum numeri
diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium atque accidens comparatur,
sed priores duæ comparationes iam dictæ sunt. nam quo species differat a genere
tunc dictum est, cum quid genus differret ab specie dicebamus, quid uero
species a differentia distet commemoratum est, cum differentiæ ab specie
dissimilitudines redderemus. quibus detractis duæ supersunt integræ atque
intactæ speciei ad proprium atque accidens discrepantiæ; quæ iunctæ cum septem
nouem differentias copulant. proprii uero si ad numerum differentiæ
considerentur, quattuor erunt, scilicet ad genus, differentiam, speciem
atque accidens comparati, quarum quidem tres superiores differentiæ iam dictæ
sunt. nam quid proprium distet a genere, tunc dictum est, cum quid genus a
proprio distaret ostendimus, rursus quid proprium a differentia discrepet, in
colligenda distantia differentiæ propriique superius accidente
N 3 ab HN a
cett. accidente HN quod L discrepet distet
HN 5 hac igitur C 6 distantiæ differentiæ L 7
a LN accidenti C accidenteque H
disiungitur ante ab specie C 8 reddunt differentiæ
C 9 sumatur mutatur E 11 ante differentiam
add. et HLNP ante
proprium add. et P cõpararetur C
cõparantur N 12 differat post genere
EN a om. EGHNP
differret GLm2Pm2R differet ΕLm1 differat HNPm1 differt
C ad speciem R ad specie C 15 ab specie CG a specie EHLm2NP ad
speciem Lm1R 17 post speciei add. id
est EGP 18 differentias copulant complent differentias
C 20 comparatæ Ep.c. ex-ti GHm2PR quorum EGLm1R 21
quod C 22 proprium cum quid om. EGR distaret a
proprio H demonstratum est, quid uero proprium distet ab
specie, tunc expositura est, cum quid species distaret a proprio dicebatur.
restat igitur una differentia proprii ad accidens, quæ superioribus iuncta
decem differentias claudit. accidentis nero ad cetera possent quidem esse
quattuor, nisi iam omnes probarentur esse consumptæ. nam quid differat uel
genus uel differentia uel species uel proprium ab accidenti, supra monstratum
est, nec sunt diuersæ differentiæ accidentis ad cetera quam ceterorum ad
accidens. itaque fit, ut cum sit quinque rerum numerus, si prima
assumatur, quattuor fiant differentiæ, si secunda, tres, uincanturque secundæ
rei ad ceteras difterentiæ a prima ad ceteras una tantum distantia; nam cum
prima habuerit quattuor, secunda retinet tres. tertia uero si sumatur, duas
habebit differentias, quæ uincantur a primis quattuor differentiis
duabus; quarta si sumatur, unam habebit differentiam, quæ uincitur a primis
quattuor differentiis tribus, quinta uero quoniam nullam omnino habebit
differentiam nouam, totis quattuor a prima differentiis superatur. atque hoc
numerorum gradu quidem usque ad denarium numerum tenditur : quattuor,
tres, duæ, una, ut generis quidem quattuor, differentiæ uero tres, speciei duæ,
proprii una, accidentis nullap 105 sit. et primæ quidem generis
comparationes quattuor nouas tenent differentias, secundæ uero differentiæ
comparationes 1 uero om. EGR a EGLR 2 cum quando
R 5 cetera extera Cm1 6 differret H
differet N 7 accidente CHN monstrauimus H
8 ante diuersæ add. plus R, s. l. Lm2
10 ad prima s. l. ł una res Hm2
sumatur HN fient C 11 uincanturque C pr. n om. Lm1
iungantur m2 N, m2 in HPR
iungenturque Rm1, uincantur EGHm1Pm1 12 primis L
13 habuerat C habeat Lm2NP retineat Lm2 14
differentias habebit C uincuntur Lm1R 15 duabus
s. l. E differentiis EHN post duabus add.
distantiis GR post quarta add. nero R, s. l.
autem Pm2 16 post tribus add.
subdistantiis E distantiis G 17 habet HL 18
primis brm hoc ex hoc HLN numeri HN 19
gradus HLm1N quidam HN 20 post post.
quattuor add. sint CHm2L del. m2 P sunt Hm1N 22
sit Rbrm est CEGLP, om.
HN et om. EGR quidem s. l. Em2L, post
generis C 23 teneant HLm1NR tres nouas tenent;
una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor nouis
differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet
differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur
a quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam
retineat nouam, quoniam tres habet superius adnumeratas, uincaturque a prima
nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam
retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis
transcendantur. atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum
numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum
dissimilitudinem differentias non in quinario tantum numero, uerum in ceteris
notas habere possimus, talis dabitur regula quæ plenam differentiarum
dissimilitudinem in qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum
enim rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relinquitur, in
totam summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est dimidium
coæquabitur ei pluralitati quam propositarum rerum differentiæ continebunt.
sint igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt tres; has igitur
quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium 1 teneant
HLm1NR ten. post nouas CR adnumera
tamen eat C uincitur autem et
uincatur HLm1 et del.,
uincitur m2 N 2 nouis quattuor primis HN
adnumeratas om., in mg. enumeratas G uincatur Lm1
uincantur HN uincuntur C 6 ante unam
add. tantum L, post EGPR retinet Lm2Pm2 edd. 7
uincanturque N uincatur qua re EG uincitur hæc R
uinciturque edd. quinta N 8 comparatio Lm2N
retinet HLN, post nouam HN primis CLPH a.r. primi EGHp.r.NR
transcendentur Lm2 transcendatur N transgrediantur
C transcenduntur edd. 11 tamen er. uid. E
non G etiam post differentias est non 13 uerum uerum
etiam C ceteris quoque brm notas Lm1N notis CEGHm2 totas m1 Lm2PR 15 reperiat pariat
Cm2Hm1N 17 post numeri add. si CHP
simul EG 18 ei om. EGN 19 sunt Lm1R 20
igitur ergo CEN fiant LR hos EGLPR post
igitur add. si N
tres H per totam summam R multiplica C
multiplicato E fiunt HN fiant R post
horum add. si L teneo, sex erunt. tot igitur
erunt differentiæ inter se rebus quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D
tres retinet differentias, rursus B ad C et D duas, C uero ad D unam; quæ iunctæ
senarium numerum complent. atque hanc quidem regulam simpliciter ac sine
demonstratione nunc dedisse sufficiat, in Prædicamentorum uero expositione
ratio quoque cur ita sit explicabitur. Commune ergo differentiæ et
speciei est æqualiter participari; homine enim æqualiter participant
particulares homines et rationali differentia. commune uero est et semper
adesse his quæ participant; semper enim Socrates rationalis et semper Socrates
homo. Dictum est sæpius ea quæ substantiam formant, nec
remissione contrahi nec intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum
atque idem est. quodsi differentia specierum substantiam monstret, species uero
indiuiduorum, æqualiter utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt;
quo 6 in Prædicamentorum expositione 272 C. B Porph. Boeth 14 sæpius cf. infra.
1 teneo sumo N sumo tenens tenens del. m2 H si
ex sumo m2 teneo L pr. erunt ante
sex N, s. l. Hm2 post. erunt ante igitur ergo H HL 2 detinet
HN 4 complent numerum H 5 dedisse nunc HN 8
DIFFERENTIÆ ET SPECIEI plerique codd.
fort. ex 9 sumptum, om. Δ, SPECIEI ET DIFFERENTIÆ Γ2Φ, r ecte ut aid.; Porph. 18,
10 Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ είδοος, cod. Μ Περί κοινών είδους καί διαφοράς 9 est add. Hm2 10 homine participant
12 LR Q, om. cett. homini R T
a.c. hominem L \ 11 rationalem differentiam L \, post
differentia add. nam omnes homines æqualiter homines sunt et æqualiter
rationales Σ 12 et del. uid. Δ, om. Ψ his adesse LR
<t> post quæ add. eorum ΓΔΠΦ 13 enim om. R rationabilis CEGPR
U Busse, add. est ΓΔΦ, s. l. A m2
14 sæpius i. e. 250, 24 ss. 314, 5 ss. ; sæpe de duobus locis etiam
293, 18 dictum; superius P, fort. recte, cf. ad 317, 4. 337,
8 17 monstrat HLNP 18 utræque CP seiunctæ
CGPR fit ut æqualiter participentur. omnes enim indiuidui mortales æque
sunt atque rationales sicut homines. nam si idem est ‘esse’ homini quod est
esse rationale, cum omnes homines æque sint homines, necesse est ut sint æqualiter
rationales. Aliud quoque commune habent quoniam ita differentiæ sui
participantia non relinquunt ut species. semper enim Socrates rationalis est Socrates
enim rationabilitate participat, semper homo est, quia scilicet humanitate
participat. ut igitur differentiæ sui participantia non relinquunt, ita species
his quæ ea participant, semper adiuncta est. Proprium autem differentiæ
quidem est in eo quod quale sit prædicari, speciei uero in eo quod quid est:
nam et si homo uelut qualitas accipiatur, non sim 11 327, 16 Porph. 18, 15 19, 3 Boeth. 46, 15-47,
11. 1 mortales sicut homines sunt ex sint Lm2,
add. homines Lm1, del. m2, sunt del. Pm2; atque
Lm1Pm2 et HLm2Pm1; sicut del. et sunt scr.
Pm2 HLP æque mortales atque rationabiles sunt ut homines C æque
s. l. m2 mortales ex -lis m2 sunt atque
rationabilis sic sunt part. ras. ex sicut
m2 homines E mortales sunt atque atque sint N rationales sicut
homines NR mortalis atque rationabilis sicut homines G
2 nam homines 4 om. N idem est E
est in mg. HR idẽ CL id est ẽ G GP est del.
Lm2 esse post ration. EL, repetit. post ration. P,
om. CH rationali R rationalis Lm1
rationabile G rationabili E rationabilis Lm2P
5 ante commune add. est H habent om.
HR, s. l. EL n del. m2
differentia R 6 relinquit R relinquent Pm1
derelinquunt Lm1 rationabilis EG 7
rationabilitati CGP rationalitate HN post semper
add. enim G 8 quia ex qua Em2
humanitati EGLP differentia HLNR 9 relinquit
HLNR participent E 11 SPECIEI ET DIFFERENTIÆ DIFFERENTIIS E ΕG ΤΖΦ, recte ut uid., DE PROPRIIS
EORVM EORYNDEM Ψ Ρ Ψ ; Porph. 18, 15
Περί τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς, cod. Μ Περί τών ιδίων ειδοος και διαφοράς 12 autem om. Η uero C Q quod ex quid
C 13 species EGHNP uero om. H autem
Busse eo quod quo Γ est sit R
14 nam generationem 327, 15 LR Q, om. cett. accipitur A
m1 non R ΓΔΈ cum Porph. 18, 17 hic non L non hic A m2
H Busse non sic Λ m1 Σ non homo Φ pliciter erit
qualitas, sed secundum id quod generi aduenientes differentiæ eam
constituerunt. amplius differentia quidem in pluribus sæpe speciebus
consideratur, quemadmodum quadrupes in pluribus animalibus specie
differentibus, species uero in solis his quæ sub specie sunt indiuiduis est.
amplius differentia prima eat ab ea specie quæ est secundum ipsam; simul enim
ablatura rationale interimit hominem, homo uero interemptus non aufert
rationale, cum sit deus. amplius differentia quidem componitur cum alia
differentia rationale enim et mortale compositum est in substantia hominis,
species uero speciei non componitur, ut gignat aliam aliquam speciem; quidam
enim | equus cuidam asino permiscetur ad muli generationem, equus autem
simpliciter asino numquam conueniens perficiet mulum. Expositis
communitatibus quantum ad institutionem pertinebat differentiæ et speciei,
eorundem nunc dissimilitudines colligit dicens quoniam differunt, quod species
in eo quod quid sit prædicatur, differentia uero in eo quod quale sit.
huic differentiæ poterat occurri. nam si humanitas ipsa, quæ species est,
qualitas quædam est, cur dicatur species in eo quod quid sit prædicari, cum
propter quandam suæ naturæ sed id del. R 3 considerantur
Δ 4 pluribus Porph. πλείστων, cod. B πλειόνων 6 specie una specie R Γ sunt ante specie
ΛΨ ; Porph. 18, 21 άκο το είδος 7 prima ante differentia Δ prior edd.fort· recte cum Porph. κροτέρα; cf. 328, 32 superioris ab ea et
Γ ab ea ipsam ab ea quæ est secundum se
specie 2 8 post ipsam add.
differentiam Δ del. m2
Λ 10 deus angelus LR ponitur Δ 12 substantiam edd. cum Porph. 19, 1 εις οπδστοσιν speciei specie
R 13 aliquam ante aliam T\A, post
speciem 2 14 equus asinus Σ asinæ Φ equæ Σ 15 equus asinus 2 autem om. N enim C ΔΛ2 asinæ Pm2 conueniens numquam 2 16 mulum
perficiet CEG perfici ad mulum R 17 Positis N
instructionem H 18 eorum L earundem edd.; cf.
indicem Meiseri s. neutrum 20 differentiæ C uero om.
CGP autem R post sit add. qua inter se differunt
differentia et species Hm1, del. m2 21 huic nunc G
differentia G 22 dicitur CLm2 prædicatur GR
proprietatem quædam qualitas esse uideatur? huic respondemus, quia
differentia solum qualitas est, humanitas uero non est solum qualitas, sed
tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens generi speciem
fecit; ergo genus quadam differentiæ qualitate formatum est, ut procederet in
speciem, species uero ipsa, qualis quidem est, secundum differentiam
illius quæ est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur et
conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex
qualitatibus effecta substantia. itaque iure differentia, quæ pure ac
simpliciter qualitas est, in eo quod quale est sciscitantibus
respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quædam
qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque
differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero
tantum indiuiduis præsunt. rationabilitas enim et hominem claudit et
deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos.
atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque
secutæ sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in
eo quod quale sit prædicatur, species uero quod de pluribus numero
differentibus in eo quod quid sit prædicatur. Ideo etiam superioris naturæ sunt
differentiæ, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat
differentiam, speciem 1 respondebimus G tantum om.
EG solum, s. l. ał tantum L 4 facit
CLN 5 formatum est s. l. Gm2 6 ad qualis s.
l. ł qualitas Hm2 post quidem add. non EGP
del. m2, in mg. Hm2 9 post sed s. l. hec
L iure itaque C 11 species quid sit in mg. Gm2 12
sit est HN, add. iure respondetur CG in mg. m2 LP 13
rursum E, add. differentiæ et speciei C illa om.
E ipsa CGP post quoque add. his HN
differentia est differunt in ras. E est om. P in hoc a specie
distat G 15 uero om. CEGP rationalitas HΝ post quadrupes add. enim P, s. l.
Lm2 canem om. C camelum R 17 sola indiuidua
Lm2R pr. in de Pm2 20 prædicetur HLN species prædicatur
om. E 21 prædicatur dicatur GHLPm1 post differentiæ
add. quam species CLP speciebus N post
quoniam add. enim HLN 23 sunt erunt L post specierum EGL,
ante continentes R nam om. LR, post quis s.
l. enim Lm2 quoque sustulerit, ut si quis auferat
rationabilitatem, hominem deumque consumpserit, si uero hominem tollat,
rationabilitas manet in speciebus reliquis constituta. est igitur differentiæ
specieique distantia quod una differentia plures species continere potest,
species uero nullo modo. Alia rursus est differentia, quoniam ex pluribus
differentiis una sæpe species iungitur, ex pluribus speciobus nulla speciei
substantia copulatur. iunctis enim differentiis mortali ac rationali factus est
homo, iunctis uero speciebus nulla umquam species informatur. quodsi quis
occurrat dicens quoniam permixtus asinoequus efficit mulum, non recte dixerit.
indiuidua enim indiuiduis iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt,
ipse uero equus simpliciter, id est uniuersaliter, et asinus uniuersaliter
neque permisceri possunt neque aliquid, si cogitatione misceantur,
efficiunt, constat igitur differentias quidem plurimas ad unius speciei
substantiam conuenire, species uero in alterius speciei naturam nullo modo
posse congruere. Differentia uero et proprium commune quidem habent æqualiter
participari ab his quæ eorum participant; æqualiter enim rationalia rationalia
sunt et risibilia risibilia. et semper et omni adesse com 18 330, 4 Porph. Boeth.
rationalitatem HN 2 æro quis R rationalitas
HLa.c.N 3 est om. CEGP 4 specieqne R et
species C distant C distantia est EGP
species significationes Em1 5 differentia est C 6 sæpe
om. EGR post pluribus add. uero R 8 enim etiam
Lm1 igitur Lm2Pm1 10 asinæ HLm2 11 perficit
GP 12 perficiant Lm1R 14 nec.. nec C neque
permisceri possunt om. EGR neque aliquid non aliquid
EGR cogitatione si HN 18 COMMVNIBVS d e Porph. cf. ad 102,
7 20 participari prædicari L ab his dicitur 330, 2 LR Q,
om. cett. ab om. Σ, del. A m2 21
post enim s. l. quæ T m2 rationalia rationalia Tk m2 <t>W m2 edd. rationalia
rationabilia Π rationalia
A2<V m1 rationabilia LR et m1 rationabilia
rationabilia Busse sunt om. R, s. l. h m2 22
et er. uid. Δ post.
risibilia om. LR \2, post add. sunt codd., om. L cum Porph.
19, 6 mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad id
quod natum est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id
quod est semper, sed non in eo quod semper rideat. Nunc differentiæ
propriique communia continua ratione persequitur. commune enim dicit esse
proprio ac differentiæ quod æqualiter participantur æque enim omnes homines
rationabiles sunt, æque risibiles, illud, quia substantiam monstrat, istud,
quia est æquum proprium speciei et subiectam speciem non relinquit. Aliud etiam
his commune subiungit : æqualiter enim semper differentia subiectis adest ut proprium;
semper enim homines rationabiles sunt, ut semper quoque risibiles. sed obici
poterat non semper esse bipedem hominem, cum sit bipes differentia, si unius
pedis perfectione curtetur. quam tali modo soluimus quæstionem. propria et
differentiæ non in eo quod semper habeantur, sed in eo quod semper
naturaliter haberi possunt, semper dicuntur adesse subiectis.
utrisque ΓΛΣΦ si sine R ΓΦ qui est quies R quidem L A
post bipes add. non substantiam substantia ΑΦ perimit
perimitur Ψ
L ΑΨ Busse in adn. deleri mauult, non substantia
perit peribit Σ ΓΠΣΦ p, om. Rbrm, Porph. 19, 8, Boeth. in
comment. 2 sed tamen R ad id quod ad quod L AΠ post est repet. ad id Σ Busse ad id ad quod Ψ, ad id post est h m1 post est add. habet et id quod est L
A del. m2 2, ‘fortasse id quod est recipiendum’ Russe :
Porph. 19, 8 αλλά πρός το πεοοχένοι το το om. Μ άει λέγεται nam -om. R 3
in eo eo EGLR A m1 ad C 72 id Ρ Π ad id *F
aliquod N habet id quod est semper C
id s. l. m1? L hA
"habet est del. m2, pro id exhib. hoc
H et id Σ, est om. N habet
semper Ρ Π habet EG semper
dicitur ΓΦΨ, om. R 4 sed rideat in om. C, in mg. Hm2,
in quod semper rideat EG non quod semper rideat R Ψ ; Porph. έπε'ι ναι τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει 6 enim autem
Lm2P dicitur CEGR proprii C 7 rationales
Cm2ELm2P 8 atque NR 9 istud illud EGHN add. risibilis P æquum om. H æque
EG, recte? propriæ EGLPR et om. EG ac
N subiectam om. C subiectum EGPm1 10
reliquit ELa.c. etiam his hic etiam HN 11 subiectis s. l. Gm2 12
rationales Cm2HN 15 ante propria add. et HNP del. m2, s. l.
Lm2 propriæ CEGPm2 proprii R et om. CE,
del. Pm2 16 post in ex HN si enim quis
curtetur pede, nihil attinet ad naturam, sicut nihil ad detrahendum proprium
ualet, si homo non rideat. hæc enim non in eo quod adsint, sed in eo quod per
naturam adesse possint, semper adesse | dicuntur. ipsum enim semper;
107 non actu esse dicimus, sed natura. numquam enim fieri potest,
ut per naturæ ipsius proprietatem non semper homo bipes sit, etiamsi potest
fieri, ut pede curtetur, etiam si deminuto pede sit natus; in his enim non
speciei atque substantiæ, sed nascenti indiuiduo derogatur. Proprium autem
differentiæ est quoniam hæc quidem de pluribus speciebus dicitur sæpe, ut
rationale de homine et de deo, proprium uero de una sola specie, cuius est
proprium. et differentia quidem illis est consequens quorum est
differentia, sed non conuertitur, propria uero conuersim prædicantur quorum
sunt propria, idcirco quoniam conuertuntur. Distat a proprio differentia,
quia differentia plurimas species 10 17 Porph. Boeth. curtetur quis
N nil C attinet s. l. Lm2, post naturam
R 2 ad om. EG
ualet om. EGR 3 pr. in om. CEH, s. l. Lm2Pm2,
ab Gm1, del. m2 post. in om. EGNP, s. l. Lm2 4
possunt HN dicuntur semper adesse R 5 actum...
naturam E umquam Ea.c.G 7 potest om. EG,
post fieri L, postea om. fieri ut HN pede HLm1N ambo pede Em1GR utroque
pede Em2Lm2P; ambobus curtetur pedibus C ante
etiam om. C add. uel CL s. l. m2
R diminuto CEGLPR 8 pede om. C sit natus nascatur
C de inscript. app. Porphyr. cf. ad 105, 16 11 autem uero
Δ quoniam quod ΓΦ 12 sæpe conuertitur 15 LR Q,
om. cett. sæpe om. Lm1R, ante dicitur Lm22 ;
Porph. 19, 11 λέγεται πολλά*ις rationabile R
13 post, de A, om. cett.;
cf. Porph. 19, 12 et infra 332, 3 deo ii angelo R deo et
angelo L; cf. Porph. 19, 12 adn. ante proprium add.
et Δ uero om. R de una L 4 m2 4' in una R ΓΔ m1 ΠΣ
una Φ ; Porph. έφ’ ένός post
specie add. dicitur Δ 16 post prædicantur add. de his Δ s. l. m2 edd. ex his Σ hiis Φ, om. Porph. 19,
14 18 post. differentia om. C plurimis R
plures L pluribus EG speciebus Em2GR
claudit ac de his omnibus prædicatur, proprium uero uni tantum speciei
cui iungitur adæquatur. rationale enim de homine atque de deo, quadrupes de
equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum tenet speciem, id est
hominem. unde fit ut differentia semper speciem consequatur, species uero
differentiam minime. proprium uero ac species alternis sese uicibus æqua prædicatione
comitantur. sequi uero dicitur, quotiens quolibet prius nominato posterius
reliquum conuenit nuncupari, ut si dicam omnis homo rationabilis est, prius
hominem, posterius apposui differentiam; sequitur ergo differentia speciem. at
si conuertam nomina dicamque omne rationabile homo est, propositio non tenet
ueritatem; igitur species differentiam nulla ratione comitatur. proprium uero
et species quia conuerti possunt, mutuo se secuntur : omnis homo risibilis est
et omne risibile homo est. Differentiæ autem et accidenti
commune quidem est de pluribus dici, commune uero ad ea quæ sunt 16 333,
3 Porph. Boeth. clauditur EGRm2 claude his sic ml 2 cui
iungitur coniungitur Lm1N, add. et L rationabile
CGLPR 3 pr. de om. CH, er. L post deo
add. prædicatur R, s. l. Lm2 post quadrupes add.
uero R et ceteris ceteris E ceterisqne GP 6
ac et E 7 æque G R -??e
comitentur HN comitatur ex commitetur
Rm2 sequi si quid EGPm1 8 quotiens om. EG, s. 1. Pm2
qualibet re re s. l.
Pm2) prius nominata HLNPm2R reliquam HLm2NPm2
reliqua Lm1Rm2 uero qua m1 rationalis Cm2HN
est om. N 10 posterius ex
prius Em2 opposui EG posui Lm1R ergo enim
E 11 at et Hm1 nomina ut in ras. Lm2 prius
differentiam nominem HNP, in mg. Lm2 12 rationale HN
propositi CG proposita oratio in ras. E 13 nulla ratione
differentiam C proprium secantur in mg. sup. Hm2 14 sequuntur
PRm2 sequntur E ante omnis add. ut L, post
add. enim HNP
15 et om. EG, s. l. Lm2 est om. R 16 ACCIDENTIS ET
DIFFERENTIÆ E ΕΤ uel P
ACCIDENTI C de inscript. ap. Porphyr.
cf. ad 102, 7 17 accidentis Cm2 il commune adesse om.
N 18 post uero add. est Ρ ΑΠ Busse, om.
Porph. 19, 18 inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse;
bipes enim semper adest omnibus coruis et nigrum esse similiter. Duo
quidem differentiæ et accidentis communia proponit, quorum unum
separabilibus et inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab
altero uero separabile accidens segregatur. tantum uero inseparabile secundo
communi concluditur. est enim commune differentiæ cum omnibus accidentibus de
pluribus prædicari; nam et separabilia et inse parabilia accidentia sicut
differentia de pluribus speciebus et indiuiduis prædicantur, ut bipes de coruo
atque cygno et de his indiuiduis quæ sub coruo et cygno sunt, nuncupatur. item
de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quæ sunt inseparabilia accidentia,
prædicantur. ambulare enim uel stare, dormire ac uigilare de eisdem dicimus,
quæ sunt accidentia separabilia, reliqua uero communitas ea tantum accidentia
uidetur includere quæ sunt inseparabilia. nam sicut differentia somper
subiectis speciebus adhærescit, ita etiam inseparabilia accidentia numquam
uidentur deserere subiectum. ut enim bipes, quod est differentia, numquam
coruorum speciem derelinquit, ita nec nigrum, quod accidens inseparabile est.
differentia enim idcirco non relinquit subiectum, quoniam eius substantiam
complet ac perficit, accidens uero huiusmodi, 1 post
semper add. in eodem genere P omni R; Porph. 19,
18 παντί post omnibus add. hominibus
et L hominibus Λ del. m2 2 nigrum esse ΓΛ»ηίΨ nigris nigros Hm2 esse EGHm1
nigredo esse L nigrum adest \A m2 nigrum CNΡR
ΙΙΣΦ Russe; Porph. 19, 19 τότε μέλαν είναι sic
Μ, μέλασιν είναι Βm2 μέλαν eett. 4 quædam
HΝ et atque ΗΝ 5 separabilibus om. G, s. l. Em2 6
uero autem E 7 uero enim R, recte? post
inseparabile add. accidens L accidens cum inseparabilibus
differentiis in mg. Hm2 secunda communione HLP differentiæ
CEGLm2P 11 et de his cygno om. H, cygno sunt om. EGR nuncupantur
G prædicatur uel nuncupatur C prædicantur separabilia om.
N enim s.
l. C etiam H isdem
CPm2 hisdem ER dicitur LP 17 post
inseparabilia add. accidentia
C 19 accidentia inseparabilia HN deserere uidentur
C corui N 21 est inseparabile C 22 subiectum non
relinquit C derelinquit Lm1 post huiusmodi
add. est edd. quia non potest separari; neque enim
possit esse accidens inseparabile, si subiectum aliquando relinquit.
Differunt autem quoniam differentia quidem continet et non
continetur continet enim rationabilitas hominem, accidentia uero quodam quidem
modo continent eo quod in pluribus sunt, quodam uero modo continentur eo quod
non unius accidentis susceptibilia sunt subiecta, sed plurimorum, et
differentia quidem inintentibilis est et inremissibilis, acci dentia uero magis
et minus recipiunt. et inpermixtæ quidem sunt contrariæ differentiæ, mixta uero
contraria accidentia. Huiusmodi quidem communiones et proprietates
differentiæ et ceterorum sunt, species uero quo quidem 108 differat a
genere et differen|tia, dictum est in eo quod dicebamus, quo genus differret a
ceteris et quo differentia differret a ceteris. Post differentiæ et accidentis
redditas communitates nunc de eorum differentiis tractat. ac primum quidem
talem proponit. 3 18 Porph. Boeth. post. posset Lm1
potest HLm2NPR post accidens repet. esse G, 3
uel 4 litt. er. L 2 reliquerit H
relinqueret N 3 ACCIDENTIS ET DIFFERENTIÆ Γ EARVNDEM C EORYNDEM E de inscript. ap.
Poiphyr. ef. ad
105, 16 4 Different Cm1 Differt L ΣΐΑηιΐ m1 Φ post autem add. differentia
ab accidenti Γ 5 et om.
GHP continet sunt 15 ]
LR il, om. cett. enim autem
L rationalitas ΓΑ a.c. Π2ΦΨ 6 quidem om. Δ2 7 sint L ΓΔΛΠΦ»ιί m1 | ·uero post modo Ψ, del. ΓΦ ut uid. 9
sint A 10 intentibilis ΓΣ Busse
inintensibilis edd.; Porph. 20, 4 άνεπίτατος; ef. Roensch, Collect. phil. 299 12
post uero add. sunt ΛΦ 14 Huiuscemodi Δ 15 quod
EGR quidem om. 2 quidam Em2G 16 a om.
EGH 2 differentiæ E est om. C 17 quo quod R A m1 differet R
differt CEGP 2 a om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod EGR is m1
18 differet R differat L A differt G a om.
EGHR TWZ 19 reddit has E communicantes Rm1
communiones m2 20 primam HN quidem om. HN
tale C differentia, inquit, omnis speciem continet.
rationabilitas enim continet hominem, quoniam plus rationabilitas quam species,
id est homo, prædicatur : supergressa enim substantiam hominis in deum usque
diffunditur. accidentia uero aliquando quidem continent, aliquando
continentur. continent quidem, quia quodlibet unum accidens speciebus adesse
pluribus consueuit, ut album cygno et lapidi, nigrum coruo, æthiopi atque
hebeno, continentur uero, quoniam plura accidentia uni accidunt speciei, ut
uideatur illa species plurima accidentia continere. cum enim æthiopi
accidit ut sit niger, accidit ut sit simus, ut crispus, quæ cuncta sunt
accidentia æthiopis, species, quod est homo, omnia quæ habet intra se plurima
accidentia uidetur includere. huic occurri potest: quoniam differentiæ quoque
aliquo modo continentur, aliquo modo continent, ut rationabilitas
continet hominem plus enim quam de homine prædicatur, continetur quoque ab
homine, quia non solum hanc differentiam homo continet, uerum etiam mortalem.
respondebimus : omnia quæcumque substantialiter de pluribus prædicantur, ab his
de quibus dicuntur non poterunt conti neri; quo fit ut differentiæ quidem non
contineantur ab specie, etsi sint differentiæ plures quæ speciem forment.
accidentia uero continentur, quoniam accidentia speciei substantiam nulla prædicatione
constituunt; nam nec proprie uniuersalia dicuntur 1 omnis speciem species R rationalitas HNP 2
rationalitas HNP 3 substantia N aliquando aliquando aliquo modo quid N ante
lapidi s. l. pario Em2 post nigrum add.
ut CEGLP, ante edd. ante Æthiopi add. et
E continentur uero HLm2NP continenturque cett. 9 plura HN 10 enim etenim N ad simus s. l.
naribus pressis E 12 ex quod part. ras. quæ
Cm2 quod est quidẽ G
ante intra add. et E plurima om. EGH 13 occurri opponi HN 14 pr.
aliquo modo aliquando EGLm2P post.
aliquo modo om. N aliquando Em2Lm2P 15
rationalitas H 17 homo nomen
hominis HN mortale edd. respondemus HN
respondebimus contra hæc GLPR 18 prædicantur de pluribus
C 20 a R 21 sunt H differentiæ om. HN speciem forment
CEGP speciem formant Lm??
informent m2 hrm N formant speciem H informant
speciem R 22 contineantur HN 23 ad
constituunt in mg. ał subsistunt Hm2 accidentia,
cum de speciebus pluribus dicuntur, differentiæ uero maxime. quæ enim
quorumlibet uniuersalia sunt, ea neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia,
etiam substantiam continere. qno fit ut quia differentiæ substantiam monstrant,
intentione ac remissione careant una enim quæque substantia neque
contrahi neque remitti potest, at uero accidentia quoniam nullam constitutionem
substantiæ profitentur, intentione crescunt et remissione decrescunt. Illa
quoque eorum est differentia, quod differentiæ contrariæ permisceri, ut ex his
fiat aliquid, non queunt, accidentia uero contraria miscentur et quædam
medietas ex alterutra contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et
inrationabili nihil in unum iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit
aliquis medius color. Expositis igitur distantiis differentiæ ad cetera
restat de specie dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle gimus,
cum generis ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias
ad differentiam diximus, cum differentiæ ad species dissimilitudines
monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni
coniungere, tum differentia segregare. Speciei autem et proprii commune
est de se intricem prædicari; nam si homo, risibile est, et si risi Porph.
Boeth. pluribus speciebus HN 2 maximæ EH, add. dicuntur
uniuersalia et et om. R proprie Lm2 in mg. R 4 ut om. CG,
s. l. Lm2 5 una quæque enim HNR 6 quoniam quia E 7 profitentur monstrant R ante intentione
add. et HN 9
his se C 10 misceantur
N permiscentur R et ut C 11 coniunguntur
LN fiat C 12 rationali C bi s. l. er. HN inrationali
HN in unum L in om. cett.; cf. indicem Meiseri
s. unus 13 post color s. l. ut uenetns Pm2 15 ad
genus differentias om. EG 16
dicebamus diximus EGP 17
diximus dicebamus C 19
proprio HLm1NP accidenti Lm1 accidenti tum
HPm2 accidentique om. et N
communione HLm1NP tunc R 20 disgregare N
21 de inscript. ap. Porph. cf. ad
102, 7 23 nam dictum est 337, 4 ] LR Q, om. cett. post
homo add. est ΔΣ, s. l. A m2 et si ΔΕΈ et L ΓΛΠΦ ita et R post
risibile add. est ΔΣΨ bile, homo est –
risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, sæpe iam dictum
est ; æqualiter enim sunt species his quæ
eorum participant et propria quorum sunt propria. Commune, inquit, habent
propria atque species ad se ipsa prædicationes habere conuersas. nam sicut
species de proprio, ita proprium de specie prædicatur; namque ut est homo
risibilis, ita risibile homo est; idque iam sæpius dictum esse commemorat.
cuius communitatis rationem subdidit, eam scilicet, quia æqualiter
species indiuiduis participantur, sicut eadem propria his quorum sunt propria.
quæ ratio non uidetur ad conuersionem prædicationis accommoda, sed potius ad
illam aliam similitudinem, quia sicut species æqualiter indiuiduis
participantur, ita etiam propria; æque enim Socrates et Plato homines
sunt, sicut etiam risibiles. itaque tamquam aliam communionem debemus accipere
quod est additum : æqualiter enim sunt species his quæ eorum participant et
propria quorum sunt propria. an magis intellegendum est hoc modo dictum,
tamquam si diceret ‘æqualia enim sunt species et propria’? nam quia
species eorum sunt species quæ speciebus ipsis participant, et propria eorum
propria quæ|pro p.109 priis participant, proprium atque species æqualiter
utrisque sunt, id est neque species superuadit ea quæ specie parti 8 sæpiuscf.
infra. 1 est om. R ante secundum add.
et A s. l. Busse, om. Porph. 20, 13 id om.
J! 2 natum Porph. 20, 14 κατά τό πεοοχέναι γελάν sumi oportet LR
dicitur Q ; Porph. ληπτεον 3 sunt om. Φ, post species P earum R,
ex eorum ut uid. 5 m2 7 ita est homo in mg. Hm2
prædicamus EGHm2P p.c.R namque om. N nam R
8 ita homo risibile est E ita est risibile homo R
iametiam C sæpius HN superius cett. recte?; cf. sæpe
2, et ad 317, 4. 325, 14 10 qua CGLP eademeodem modo E
11 ratioputo Em2 12 accommodata edd. 13 qua
CGEm1P ante indiuiduis add. ab HNR, s. l. Lm2 14
participatur H 18 ac Lp,c.Pm2 est om. C 19 æqualiter
N 20 post propria add. quorum sunt propria
C 21 et propria atque speciesatque
proprium species N 23 post. speciei EGLP
cipant, neque propria superuadunt ea quæ propriis participant. cumque hæc
propria specierum sint. propria, species ac propria æqualia esse necesse est
atque inuicem prædicari. Differt autem species a proprio, quoniam
species quidem potest et aliis genus esse, proprium uero et aliarum
specierum esse inpossibile est. et species quidem ante subsistit quam proprium,
proprium uero postea fit in specie; oportet enim hominem esse, ut sit risibile.
amplius species quidem semper actu adest subiecto, proprium uero
aliquando potestate; homo enim semper actu est Socrates, non uero semper ridet,
quamuis sit natus semper risibilis. amplius quorum termini differentes, et ipsa
sunt differentia; est autem speciei quidem sub genere esse et de plu 4 339,
3Porph. 20, 16 21, 3
Boeth. 49, 11 50, 2. 14 quorum differentiaAbælardus II, Introduct. ad theolog.
94; Theolog. christ. 488; De unit, et trinit. diuina 58 Stoelzle. 1
nec CELN 2 hæc om. LN, del. uid. E sunt EHa.c.N,
add. et CE del. GH del. P del. m2
propriis post sint E del.
G proprii Ha.c. 4 DE PROPRIETATIBVS Δ DE
DIFFERENTIA C; de Porph. cf. ad 105, 16 5 a om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2 6
et om R SΣ ; Porph. 20, 17 cod. BM χαί proprium prædicari 339, 2 LR Q, om. cett. et om. Porph. 9 post R Σ post enim add. ante L ut Porph. 20, 20 Ινα xai Voti om. cod. M ut
sit s. l. \ m2 11 potestate Porph. 20, 21 xol
δονάμε: 12 enimuero L est om. R non uero semper ΔΛΠΨ
edd. Busse non semper autem Γ2Φ semper autem non
LR; Porph. 20, 22 γελά δέ oix αεί ; cf. infra 340, 4 13
quamquam uel quan L ΓΦ natura in ras.
A m2 14 terminidefinitiones uel diff LR ΓΦ, ad
termini s. l. ł diffinitiones \ m2 differentes ΓΑ
differentes sunt Δ»ιίΠ2Φ differunt LR s m2 ii} ; Porph. 20, 23 ων οί οροί διάφοροι ; quorum termini, id est
diffinitiones id est diff.
om. 94 sunt differentes ( sunt differentiæ 488, ipsa quoque
sunt differentia Abælard. 15 species R, post
speciei s. l. diffinicio A m2 quidem R T\ m2 in ras. Ψ brm Busse in adn., semper \ m1 ut
uid. All/ p Busse in contextu, esse semper L quidam
terminus Σ ; quidem sub genere semper esse Φ ante
sub add. et L A Busse; Porph. εατιν δέ
ειδοος uev το οπδ τό γένος είνα: ribus et differentibus numero in eo quod
quid est prædicari et cetera huiusmodi, proprii uero quod est soli et semper et
omni adesse. Primam proprii et speciei differentiam dicit quoniam
species potest aliquando in alias species deriuari, id est potest esse
genus, ut animal, cum sit species animati, potest esse hominis genus. sed nunc
non de his speciebus loquitur quæ sunt specialissimæ, atque hunc confundere
uidetur errorem, quod cum de his speciebus dicere proposuerit quæ essent ultimæ,
nunc de his quæ sunt subalternæ et sæpe locum generis optineant disserit.
propria uero nullo modo esse genera possunt, quoniam specialissimis adæquantur;
quæ quoniam genera esse non queunt, nec propria quæ sibi sunt æqualia, genera
esse permittuntur. Rursus species semper ante subsistit quam proprium nisi
enim sit homo, risibile esse non poterit, et cum ista simul sint, tamen
substantiæ cogitatio præcedit proprii rationem. omne enim proprium in
accidentis genere collocatur, eo uero differt ab accidenti, quia circa omnem
solam quamlibet unam speciem uim propriæ prædicationis continet. quodsi
pviores sunt substantiæ quam accidentia, species uero substantia est, proprium
uero accidens, non est dubium quin prior sit species, proprium uero posterius.
Dis1 estsit 2 edd.; cf. 340, 13. 341, 22 2 prædicari
Porph. 21, 2 κατηγορούμενον είναι post huiusmodi add. prædicari
I m1, del. m2 proprium R quod est om. ΓΦΨ,
del. \ m2;Porph. τό μονω προοείνα;. 3 soli et omni et semper
Λ semper et soli et omni 2 scilicet semper et omni Gm1,
ante scilicet in mg. sali et semper m2 4
ad dicit s. l. dicunt Έ 5 diriuari
EGNPR 7 specialissimæ sunt H 8 hunc s. l. L
nunc N hinc C hic Em2 uidetur
confundere C 9 essentsunt L 11 genera s. l. Lm2,
ante esse HRS 13 non queuntnequeunt L non
possunt NR 14 permiitunt C
ur er. N species subsistitspecies est semper ante
C 15 homo sit LPR 16 istaita CLa.c. 18 uero
Brandt enim codd. edd. accidente CNR
quiaquod L 19 speciem om. H propriæ del. Lm2
20 post continet add. accidens autem quando continet,
ad multas species potest diffundi EL. in mg. inf. m2 Pbrm 21
accidens proprium uero om. R 22 uero
om. EG, s. l. Pm2 Decernuntur GHLP Disterminantur
E cernuntur etiam species a propriis actus potestatisque natura;
species enim actu semper indiuiduis adest, propria uero aliquotiens actu,
potestate autem semper. Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero
semper actu rident, sed risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant,
ridere tamen poterunt. natura itaque species et proprium semper subiectis adest,
sed actu species, proprium uero non semper actu, uelut dictum est. At rursus
quoniam definitio substantiam monstrat, quorum diuersæ sunt definitiones,
diuersas necesse est esse substantias; speciei uero et proprii diuersæ sunt
definitio nes, diuersæ sunt igitur substantiæ. est autem speciei definitio esse
sub genere et de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit prædicari;
quam superius frequenter expositam nunc iterare non opus est. proprium uero non
ita : definitur : proprium est quod uni et omni et semper speciei adest.
quodsi definitiones diuersæ sunt, non est dubium speciem ac proprium secundum
naturæ suæ terminos discrepare. Speciei uero et accidentis
commune quidem est de pluribus prædicari; raræ uero aliæ sunt communi-20
18 341, 2Porph. Boeth. species om.
EHP, s. l. Lm2, ante etiam G a propriis in ras.
Lm2, a om. R proprio Pm2R actu CHLm1N
2 post uero add. non semper actu s. l. add. Lm2 sed
EGLPR 3 actu om. EG, del. R, s. l. Lm2 autem semper om.
EGR 4 ante sunt add. semper N 5
quia om. HN, s. l. Lm2 tametsietiamsi C potuerunt
N possunt R non del. E poterunt EG
6 ante species add. e?? R, ras. L
adestadsunt H 7 uelutut NR 9 diuersas definitiones
10 om. N 11 igitur specieisubstantiæ
igitur. est speciei autem H substantiæ de pluribus in mg. inf. Gm2 speciei definitiodiffinitio speciei
species C 12 sub genere esse HΝ 14 opus non
H ita definitur, om. non Hbrm, er. E; ita,
<sed> definitur Brandt, cf. 347, 4 15 speciei om. H 18 de inscript.
ap. Porph. cf. ad 102, 7 19 ueroautem H est quidem
C 20 sunt aliæ HRT tates propterea, quoniam quam
plurimum a se distant accidens et id cui accidit. Speciei atque
accidentis similitudinem communem dicit de pluribus prædicari; de pluribus enim
dicitur species, sicut et accidens. raras uero dicit esse alias eorum
communiones idcirco, quoniam longe diuersum est id quod accidit et cui accidit.
cui enim accidit, subiectum est atque suppositum, quod uero accidit,
superpositum est atque aduenientis naturæ. item quod supponitur substantia est,
quod uero uelut accidens prædicatur, extrinsecus uenit. quæ omnia multam
eius quod est subiectum et eius quod est accidens differentiam faciunt. tamen
inueniri etiam aliæ possunt speciei et accidentis inseparabilis communitates,
ut semper adesse subiectis æque enim homo singulis hominibus | semper
adest et inseparabilia 110 accidentia singulis indiuiduis præsto
sunt , et quod sicut species de his quæ
indiuidua continet, æque de pluribus accidentia indiuiduis prædicantur; nam
homo de Socrate et Platone, nigrum uero atque album de pluribus coruis et
cygnis quibus accidit nuncupatur. Propria uero utriusque
sunt, speciei quidem in eo quod quid est prædicari de his quorum est
species, 20 342, 15Porph. Boeth. quam om. ΗL ΣΑΛ'Ψ recte?, s. l. Π m2, quem R qui ut uid. N; Porph. 21, 6
itXststov distant ante a se Δ s. l. m2 A, a se om.
N 2 ante accidens add. et Γ id om. 12, s. l. Pm2, hoc Σ ; Porph. 21, 7 *a\ το m οομβέβηχβν accidunt Em1P
3 atqueet HL accidens Έ dicit om. E, s. l. Lm2Pm2 de
s. l. Lm2 5 dicit alias, post er. esse uid. C 7
atqueet H 8 est om. EGHP adueniens EPm1
accidentis N 11 et eiuseius est E 12 possunt sunt
E inseparabiles Cm1GP 13 subiectis semper adesse HN
post adesse add. possunt E 15 sicut L s. l. m2
Rbrm, om. cett. codd. p 16 continent H ante accidentia
add. ut CH 17 prædicatur G et om.
EGHPR 20 ET om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad 105, 16 21
inet C 22 estsunt Hm1 sit Σ prædicare EGm1P, prædicatur 2 de
his om. Σ hiis Φ quorum in eoin eo accidentis autem quorum est
species Φ accidentis autem in eo quod quale quiddam
est uel aliquo modo se habens; et unam quamque substantiam una quidem specie
participare, pluribus autem accidentibus et separabilibus et inseparabilibus;
et species quidem ante subintellegi quam accidentia, uel si sint
inseparabilia oportet enim esse subiectum, ut illi aliquid
accidat , accidentia uero posterioris
generis sunt et aduenticiæ naturæ. et speciei quidem participatio æqualiter
est, accidentis uero, uel si inseparabile sit, non æqualiter; Æthiops enim
alio Æthiope habebit colorem uel intentum amplius uel remissum secundum
nigredinem. Restat igitur de proprio et accidenti dicere; quo enim
proprium ab specie et differentia et genere differt, dictum est.
Quod nunc proprium speciei et accidentis se exequi pollicetur, tale
proprium intellegendum est quod, ut superius dictum est, ad comparationem
dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid est prædicatur,
accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab accidentibus solis
species 2 unam quamque 4 inseparabilibusAbælardns II, Introduci. ad
theolog; Theolog. christ. 479. 17 superiusqualequale est N
quidem CEm1 quidam m2 uel habens om. CEGHN
2 aliquo modo quomodo ΓΦ ; Porph. 21, 10
πώς ; cf. supra p.128, 10 adn. et nigredinem
12 LR Q, om. cett. 3 unam R
quidem om. Abælard. participari L ΓΔΣ a.c. Φ prædicari \ m1
autem uero L Abælard. 4 tert. et om. Γ 5 post quidem add.
sane L ΓΛ s. l. m2 ΙIΣΦ Busse, om. R ΛΨ cum Porph. 21, 12 post subintellegi
add. potest Lpr possunt bm; Porph. w\ τά piv είδη προεπινοεΐται uel om. Φ ad uel si s. l.
etiamsi K m2 6 inseparabilibus R 8 generis om. R aduentiuæ R
9 æqualis Λ accidens L T m1 A m1 10 alio Æthiope Porph. 21, 16 ΑίίΚοπος 13 accidente HNR ΔΣ, ante er. de P 14 enim etiam
H a cod. Q Bussii om. cett. edd.
cf.344, 9, ab scr. Brandt speciei Ca.r.EGR
et om. CEGHPR differentiæ GR 15 differt om. L
differat ΦΣ distat R est dictum H,
add. in illorum differentiis ad ipsum 2 18 dicatur
R 20 est om. GP, post add. prædicatur H
discernitur, uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab
eisdem, uerum etiam genus. præterea quod species in eo quod quid est prædicatur,
accidens uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum
genere; genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se
habeat prædicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur
species continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas
est species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima,
itemque in ceteris; uni cuique enim substantiæ una species præest. at
uero uni cuique substantiæ non unum accidens iungitur; uni cuique enim
substantiæ plura semper accidentia superueniunt, ut Socrati quod caluus, quod
simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis de
numero accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia species
intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse non
poterit, et nisi sit quælibet substantia cui accidens possit adiungi, accidens
non erit. omnis autem substantia propria specie continetur. recte igitur prius
species, accidentia uero posterius intelleguntur; posterioris enim sunt,
ut ait, generis et aduenticiæ naturæ. nam quæ substantiam non informant, recte
aduenticiæ naturæ esse dicuntur et posterioris generis; his enim substantiis
adsunt quæ ante diferentiis informatæ sunt. Rursus quoniam species
substantiam 1 decernitur Rm2 ac s. l. Lm2 a
EGH et a P 3 prædicatur post species
H quod om. E, s. l. Gm2 4 se EP habet LR id habeat
6 om. R est commune H post est add. speciei L s. l. m2 brm 5 accidenti edd. accidente codd.
quod om. E 8 propinquitate EPm1 propinqua L
species est LR 9 est equi H item H 10 una substantiæ
in mg. Hm2 13 quod
simus om. C 15 accidentium ex accommodantium Hm2
post conuenit add. dicere R ante om. C 16
accidit CHLNPR, recte? 18 autem del. Lm2 enim
P 20 uero om. R, in mg. Lm2 posterius postremo R
enim uero CE 21 generis ut ait CR nam quæ nam
Rm1 namque EG nam quia CN 22 ante
recte add. ideo EGL s.
l. m2 P del. m2 esse om. H monstrat, substantia uero,
ut dictum est, intentione ac remissione caret, speciei participatio intentionem
remissionemque non suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest intentionis
remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens
quod Æthiopibus inest, nigredo. potest enim quibusdam talis adesse, ut
sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima. Restat
nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a
genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus
uel species uel differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua
ad communitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus aut
iungat aut segreget. Commune autem proprii et inseparabilis
accidentis est quod præter ea numquam constant illa in quibus
considerantur; quemadmodum enim præter risibile non subsistit homo, ita nec præter
nigredinem sub 14 345, 2 Porph. Boeth. demonstrat H ac et
H 2 remissionemque ac remissionem H 3 si s. l. CLm2 4
in del. m2 incremento H decremento R
edd. uti R ita E 5 ante nigredo
add. ut Hm1N
id est s. l. Hm2 6 fuscis La.c. edd. fuscus Lp.c. et
cett. aliis uero edd. uero
aliis codd. uero s. l.
Lm2 8 post proprii add. et accidentis
N ac ad EGLm1 9 quo Cm2 part. ras. corr. quod
Cm1EGLm1NPR quid HLm2; cf. 342, 13 10 quid quod N
quicquid E uel differentia uel species H a s. l.
Lm2 12 uel et N quod E quæ Hm2LR 13
iungit EGHm1LPm1R segregat LPR separet N 14
ACCIDENTIS Porph. 21, 20 cod. Μ σομβεβηχοτος, cett. τοδ άχωρίστοο σομβεβηαότος ; de Porph. cf. etiam ad 102, 7 16 est
post commune L, ante accidentis AA m1 accidentis
inseparabilis est m2 præter ea propterea Φ constant CH
Busse coll. 159, 7 consistant EGNPR h m1 A p.c. W
edd. consistunt L A a. c. 112Φ consistent r\ m2 illa post
quibus N 17 quemadmodum Æthiops 345, 1 LR Q,
om. cett. 18 ita om. 2, s. l. A m2
subsistit non subsistit A m2; Porph. ΰποσταίη dv sistit Æthiops, et quemadmodum semper et
omni adest proprium, sic et inseparabile accidens. Quoniam proprium semper
adest speciebus nec eas ullo 111 modo relinquit quoniamque
inseparabile accidens a subiecto non potest segregari, hoc illis inter se
uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, præter propria uel
inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia
comparat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimæ sunt speciei atque
accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii atque accidentis
communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet,
in separabile accidens atque in inseparabile, quæ uero sub genere in contrarium
diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis prædicatione participant. quodsi
proprium inseparabile quoddam accidens est, a separabili accidenti
plurimum differt, atque ideo nullas proprii et separabilis accidentis
similitudines quærit. sed quia ipsum proprium certis quibusdam causis ab
inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates inueniri possunt et
inter se differentiæ. quarum una quidem ea est quam superius exposuimus,
secunda uero quoniam sicut proprium semper et omni speciei adest, ita
etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini et semper adest,
ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est. 8 ut in specie dictum
est 1 et omni om. H et om. R; Porph. παντι και άεί 2 sic om. P sicut C
et om. R 3 semper om. H 4 quodque Hm1 5
inter se post commune H 6 ea in eam m del. m2
H insunt sunt R, add. ipsa
propria et inseparabilia accidentia sunt E del. et s. l. glosa est scr. m2 L in
mg. m2, om. sunt P om. sunt uel et LNR 7 possunt EHLm2NP
uero s. l. Cm2 ante comparat s. l. proprio Cm2,
post s. l. scil. proprio L 8 sunt post
accidentis H 10 ante accidens add.
scilicet E 11 enim uero R 12 sub genere om HΝΡ, del. Lm2 14 quiddam CL quoddam
post est H 16 similitudines accidentibus in mg.
Em2 17 causis om. EG rationibus Lm2PR differentiæ dissentiæ
uel differentiæ H 19 est ea H 21 post
accidens add. est H 22 et semper om. H et
semper adest s. l. Gm2 post. et N edd., om. cett. Differt autem quoniam
proprium uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini, inseparabile vero
accidens, ut nigrum, non solum æthiopi, sed etiam coruo adest et carboni et
hebeno et quibusdam aliis. quare proprium conuersim prædicatur de eo
cuius est proprium et est æqualiter, inseparabile autem accidens conuersim non
prædicatur. et propriorum quidem æqualiter est participatio, accidentium uero hæc
quidem magis, illa uero minus. Sunt quidem etiam aliæ communitates uel proprietates
eorum quæ dicta sunt, sed sufficiunt etiam hæc ad discretionem eorum
communitatisque traditionem. Proprii atque accidentis prima quidem
differentia est quia proprium semper de una tantum specie dicitur, accidens
uero minime, sed eius prædicatio in plurimas diuersi generis substantias
speciesque diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine prædicatur,
nigrum uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo quam æthiopi,
quæ diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quæ differunt generi bus, non
tantum specie, præsto est. quo fit ut propriis quidem Porph. Boeth. PROPRII ET ACCIDENTIS CP W, item Porph. 22, 4 cod.
M των αυτών plerique cett. ,
ACCIDENTIS ET PROPRII cett., nisi quod EORV II EORVNDEM Ψ ; de Porph. cf. etiam ad 105, 16 2 Differunt CG ΔΣΦ ; Porph. 22, 5 διενήνοχεν proprium
om. Σ 3 risibili N inseparabile minus
10 LR Q, om. cett. 4 soli L
A‘l> 5 etiam æque R hebeno plerique codd., item
proprium est ΓΦ post. est ΓΔ del. uid.
ΙΙΣΦΨ cum Porph. 22, 8, om. LR A Busse 8
autem uero ΔΛ Busse conuersim non nec
conuersim A proprii R A m2 2 proprium uero Φ 9 æqualiter R 2,
coni. Busse, æqualis cett.; Porph. και τών μέν ιδίων έπίτης ή μετοχή 10 hæ Δ 11 uel Porph. τέ καί earum C
dictæ CEGHP hæ N et R traditionem ex
distractionem E contradictionem Gm1 14 est om.
H 16 prædicatio eius H species Cm1 diuersæ
HLNPm2 diuisæ m1 20 speciei H ante sunt
N tunc R nec non Lm1 sed tum m2 21
tantum specie uni tantum speciei P conuersio æqua seruetur,
in accidentibus uero minime. quoniam enim propria in singulis esse possunt
atque omnes continent, species conuerso ordine prædicantur; nam quod risibile
est. homo est, et quod homo, risibile. nigrum uero non ita, sed ipsum
quidem de his prædicari potest quibus inest, illa uero ad huius prædicationem
conuerti retrahique non possunt; nigrum enim de carbone. hebeno, homine atque
coruo prædicatur, hæc uero de nigro minime, nam quæ plurima continent, de his
quæ continent prædicari possunt, ea uero quæ continentur, de sese
continentibus nullo modo nuncupantur. Rursus proprium quidem æqualiter
participatur, accidens remissionibus atque intentionibus permutatur. omnis enim
homo æque risibilis est, æthiops uero non æqualiter niger est, sed, ut dictum
est. alius quidem paulo minus alius uero tæterrimus inuenitur. Et de
proprii quidem atque accidentis differentiis satis dictum est. restabat uero
accidentis ad cetera communiones proprietatesque explicare, sed iam superius
adnumeratæ sunt, cum generis, differentiæ, speciei et proprii ad accidens
similitudines ac differentias adsignauimus. fortasse autem his institutus
animus et sollertior factus alias præter eas quas nunc diximus communitates uel
differentias quinque rerum quæ superius sunt positæ reperiet, sed ad
discretionem atque eorum similitudines comparandas ea fere quæ sunt dicta
sufficiunt. nos etiam, quoniam promissi operis portum tenemus atque huius
libri seriem primo quidem ab rhetore Victorino, post uero a nobis 1
conseruetur con s. l. m2 æqua
conuersio H 2esse presunt presunt del. m2 H esse
Lm1 esse habent Lm2R 4 post post. homo
add. est CLR post risibile add. est
LPR 5 quibus in quibus R ante hebeno add.
de H, er. uid. L 9 continentur HN 11 proprium post
quidem H s. l. m2 quidem om. G permittatur
E deterrimus CLN 16 proprii * s er.
HL differentiis om. G proprietate E accidens
G 18 replicare EGLPR iam etiam EG enumeratæ
La.c. 19 speciei et
speciei NR ad accidens et accidentis Em1La.c.R
his om. NR 23 ante eorum add. ad
EGLPR 24 sufficiant HR 26 ab in a mut. ut uid. C Latina oratione conversam gemina
expositione patefecimus, hic terminum longo statuimus operi continenti quinque
rerum disputationem et ad Prædicamenta seruanti. 1
conuersa ELm1 continenti om. C quinque V L in ras.
m1? edd., om. cett. 3 et om. C seruienti brm ANICII
MALLII SEVERINI BOEZIO LIBER V EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS COMMENTI P
FINIT EXPLICIT EDITIONIS SECVNDÆ COMMENTARIORV LIBER V FELICITER. AMEN
er. uid. DEO GRATIAS C
ANICII MANLII SEVERINI BOEZIO ILLVSTRIS CONSVLIS EXPLICIT
LIBER ANICII. MANLII SEVERINI BOEZIO A. M. S. B. N V. C. ET ILL. I LL S. N EXCONS EXCS
N ORD. PATRICII. ΈΧC. PATR. om.
G IN ISAGOGAS YS EG PORPHYRII I pro Y N
IDE. INTRODVCTIONES -NE E IN CATEGORIAS KATH N A SE om.
N TRANSLATAS. -TĘ E, IDE TRANSL. om. G EDITIONIS EDΙCΤ E, ÆD
N SCDĘ LIBER V QVINTVS N EXPLICIT EGN, add. TIBI PAX.
AMEN. E ; QVINQVÆ sic FIT OPTATVS HIC FINIS ISAGOGARV
R; subscriptione caret H, item e codd. Isagogen tantum a BOEZIO translatam
continentibus ΓΛΣΦΊ’ nisi quod in Φ recens quædam est;
post traditionem habent EXPLIC. LIB. HISAGOGARV
PORPHIRII Δ, EXPLICIT Π. gradatimfoliacontrahit.Videtur
hæcnonminusdilatatio ne, contra iones foliorum honorare solem, quam homines genarum
gestu, moru labiorum. No folumuero 'in plantis, quæ ueftigium habent uitæ, fed etiam
in lapidibus aspicere licet, imitations, et participationem quandam luminum supernorum,
quem ad modum helicis lapis radijsaureisso laresradio simitatur. lapis autem, qui
uocatur cælioculus, uel solis oculus, figuram habet fimilēpu pillæ oculi, atqsex
media pupillæ micatradius. Lapis quoque selenitus, id est lunaris, figura lung
corniculari similis, quadam sui mutatione lunarem fequitur motum. Lapis deinde helio
selenus, id est solaris, lunarisóz imitatur quod ã modo congreffum folis, et lunæ,
figuratcs colore. Sic diuinornm omnia plena funt, terrena quidem cælestium, cæleftia
uero super cælestium proceditæ quilibetor d o rerum uso ad ultimum . Quæ enim
super ordinem rerü colligū curin uno, hæc deinceps dilatan turindescendendo, ubi
aliæ animæ subnuminibusalñs ordinantur. Deinde et animalia funt sol ana multa, uel
ut leones, et galli, numinis cuiusdam solaris pro fua natura participes, unde mirum
est, quantum inferiora in eodem ordine cedant superioribus, quamuis magnitudine,
potentias non cedant hin eserunt gallum timeri am leone quam plurimum, et quafi
col0i . cuius rei causam a matería, sensu ue assignare non possumus, sed solum ab
ordinis supernicontemplatione. quoni amuide licet præsentia folaris uirtutis conuenitgalto
magis quam leoni: quod& inde appare Marfil. Ficin. in Interprete FICINO. Vem ad modum amatoresabipsa pulchritudine,
quæcircasensumapparet, addiuinam paulatim pulchritudinem ratione progrediuntur:
fic& sacerdotesantiqui,cùmconli, derarentinrebus naturalibus cognacionemquandam
compassionemç; aliorumadalia &manifestorum aduiresoccultas,&
omniainomnibus inuenirent, facrameorumscien quicquidest, pulchrumeft, et bonum
eft.etiamsiindecorporissequaturin commodum. Corpus enim nonpars hominis, fedinftrumentum:
instrumentiuero malumnonpertinetadutentem. Quomodo differantduohæc, fcilicetfecundumfeipfum,
& quaipsum. Ietioneseius modi, fcilicet secundum feipsum, et quaipsum, etiam
apud Aristotelemdistin, D guuntur. Quod enim secundum seipsum alicui competit,
poteste i non competere primo. Quod autem qua ipsum conuenis præter id, quod conuenit,
secundum se ipfum etiam primo competitei, atque adæquatur. Pulchrum igitur, fi commensurationis
animæ causæst, atq;obhoc ipsum dicitur pulchrum, efficito, ut melius inanima dominetur
deceriori, perficitąnos, et animæ deformitat empurgat: hac ipfa ratione bonum
est, non quidem pe raccidens, fedquarationepul. chrum .fienim qua pulchrum est commensuratum,
eft et bonum. Bonãenim estmensura
cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum. Similiter turpe, qua turpe,malum est.
Nam qua curpe eft, informe est qui 1 quiagallus, quafiquibufdáhymnis
applaudit furgentisoli, et quafiaduocat, quãdoexantipodum
mediocæloadnosdeflectitur, et quando non nullisolaresangeliapparuerunt formiseiusmodi
prædici, a r c f, cum ipfi i n s e fine form a essent, nobis tamen, qui formati
sumus, occurrere formati. No nunquam tione. Quæ fecundumfefuntin corporea, non localicerpræsentia
corporibus, adsunt eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià, quatenusuidelicet
naturaliteradea uergunt, arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfint localia conditione
corporibus, habitudine quadam eisadfunt. Quæ fecundum sesuntincorporea, certenonper
substantiam, et peressentiam corporibusadsunt. Non enim corporibus cómifcentur ueruntamen
ex ipsa inclinatione, quasimo mentouisquædam subfiftitinde comunicataiam
propinquacorporibus. Ipsa namq inclinatio secundam quandam uim substituít corporibus
iam propinquam. mæ, fecundữ corporafuntdiuisibiles. Non omne, quod agitinaliud appropinquatione,
&ta &ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido, et tangendo faciuntali
quid fecunduma ccidens, nonutuntur propinquirate. Anima corporialligatur conuersione quadam
adpassionesprouenien resacorpore. Rursum foluiturquatenusa corpore nihil patitur.
Quod natura ligauit,
hoc &ipsa naturasoluit. Rursusquod conciliauitanima, hoc et animadirimit. Naturaquidem
corpusinanimadeuincit, animauerose ipsam in corpore.Quamobrem natura corpusab
anima separaczanimauerose ipsam à corporesegregat, saclia us modi . Qui 1
Proc. De Sacrif. et Magia. ICOR bada
mler: in: no.N enlos ur, but aliano compiz quider Locum siue causisadintelligibilianos
ducentibus. FICINO INTERPRETE. De natura, e
alligatione,o solutioneanime. Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam
indiuiduam, arqueessentiamuera corpora A diuisibilem. Intellectusautem essentiæst,indiuiduafolum.
Sed qualitates, materialesq for læl, ea ncense garia 1, fiu ucent oxd zateni
XOM etiam dæmones nisisuntsolares leonina fronte quibuscum gallusoböceretur, repente
disparuerunt. Quod quidemindeprocedit, semper quæineodem
ordineconstitutainferiora funt, reuerentur superiora: quemadmodum
plerişintuentes uirorum imagines diuinorum,hocipsoas. pe&uuererisolentturpe
aliquidperpretare. Vt autem summatimdicam, aliaadreuolucionessolis
correuoluuntur, ficutplantæ, quasdiximus: aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan
tur, ut palma, dactylus: aliaigneamsolis naturam, ut laurus: aliaaliudquiddam
uideresanelicetpro prietates, quxcolligunturin sole, passimdistribucasinsequentib.
insolariordineconstitutis, scilicet angelis, dæmonibus,animis, animalibus, plantisatque
lapidibus. Quo circasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibus superiorum
uiriumcultumad in uenerunt, dum aliamiscerent, alia purificarent. Misceban t
autem plura i n uicem, quia uidebant fimplicia non nullam habere numinis
proprieratem, non tamen fingulatim, sufficientem ad numinis ilius ad uocationem.
Quamobrem ipfa multorum comixtioneattrahebant supernos influxus: acßquodipfi componendo
unumexmul tisconficiebant, assimilabantipfiuni, quod est super multa, constituebantæ
statuas exmaterñismul tispermixtas: odores quoq compositos colligentes:arceinunum
diuina symbola, reddentesísun um tale, qualediuinumexiftit secundum effentiam, comprehendens,
uidelicet uires quam plurimas. Quorum quidem diuisiounamquamg debilitauit, mixtiouerorestituitin
exemplarisideam. Non nunquam ueroherbauna, uellapisunus, addiuinum sufficitopus.
Sufficicenim Cnebison, ideftcar duus, ad fubitam numinis alicuius aparacionem, ad
custodiam uerò laurus. Raccinum, ideftgenus uirgultispinosum, cepa, squilla, corallus,
adamas, laspis, fed adpræsagiumcortalpæ, adpurificatio. nem uerosulfur, &atos
marina. Ergo sacerdotes permutuam rerum cognationem, compassionem'. conducebant
inunum, per repugnantiam expellebant purificantes,cum oportebat, sulfure, atque
asphalto, idestbitumine, aquaas per gentes marina, purificat enim sulfur quidem
propterodorisa cumen, aquaueromarina propterigneamportionem, et animaliadrjsindeorum
cultucongruaad hibebant, cxtera't similiter. Quamobrem abës, atoßsimilibus recipientes
primum potentias demonum, cognouerunt, uideliceceasesse proximasrebus.actionibus
naturalibus: atq; perhæcnatura lia, quibus propinquantin præsentiam conuocarunt.
Deindeà dæmonibus adipfasdeorumuires actiones et processerunt, partimquidem docentibus
dæmonibus addiscentes, partim uero industria propria interpretantes conueniencia
symbola, inpropriam deorum intelligentiam ascendentes, ac deni q post habitis
naturalibus rebus, actionibusque, ac magna ex parte dæmonibus in deorum
feconfortium receperunt. PORPHYRIVS DE OCCASIONIBVS, De natura corporeorum, atque
in corporeorum. Mnecorpuseftin loco, nullumuerocorum, quæfecundūsesuntin corporea,
uelaliquid tale, estinloco. Quæ secundum sesuntincorporea, eoipso, quodpræstantiusestomni
corpore, atqueloco, ubiquesunt, nondistanti quidem, sedindiuiduaquadam condi
USCE inuss sdina labor Pt, imi adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei,unto 10,p
Omnia MMM $ Omnia quodammodo suntin omnibus pro conditionecorum, quibusinfunt.
On fimiliter omniainomnibus intelligimus, sed propriese habetadomniauniuscuíu sed
sentia: intellectuquidem intelle&ualiter, inanimauero rationaliter: in plantis
seminarie, in corporibus imaginariè: ineodem quod his omnibussuperiuseft, modoquodamfuper
intellectuali, atquesuperessentiali essentiæ, aliatandem naturx supe
rioris,aliaanimæ, aliaintele&ualis: uiuuntenim et ila: etfi nullum eorum, quæabiplisexi
ftunt, uirameisfimilemsorciatur. aliaueropartim quidem fle&tunturadila, partimetiamnonflestuntur
aliacandem folumde flectunturadgenituras, neqzinterimadse reflectuntur. per,
educere. Anima quidé habet omnium rationes. Agit autē secundã eas, uel ab alio
ad ex peditionemeiusmodi prouocata, uel ipfa fe ipfamintus conuertensadrationes,
et cum abaliopro uocatur, tanquamadexternacommititintroducere sensus: cum uero ingredicurinseipsam,
adintel ligentiasperuenit: necigitursensus extra imaginationem funt, necß,utdixeritaliquis,
intelligence quatenus competunt animali Anima eft immortalis. Anima ef t essencia
inextensa, immaterialis, immortalis, in'yita habenteaseipsauiuere, arosese
fimiliterpossidente. Passio animæ, atque corporisestlonge diuersa. Liudestpati corpora,
aliudincorporea. passioenim corporụm cum transmutatione cötingit passiouero animęest
accommodatio quædam, et affe&ioadrem ipfam, et a&ioquædã, nullo modo fimilis calefationi, frigefactionią corporum, quamobrem
sipassiocorporū, cũtrans mutatione fit, dicendum eft omnia incorporea esse passionis
expertia. Quæ enim a materia, corporf busipfeparatasuntadu, eadempermanent: quæueromateriæ
corporibus propinquant, ipsaqui d e m n o n sunt passiua, sed illa, in quibus
hæc apparent, patiuntur, quád o enim animal s e n d t, anima quidam fimilis
esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex seipsam chordas mouenti cötemperatas
Corpus aữrsimileharmonię, quæ inseparabilisinestchordis, fed causa mouendieffeuideturanimal
propter eaquod fit animatū, quod quidem simile eft mufico, exeoquodfitcõcinnum,
corporaueros quæ per passione sensualem pulsantur, fimilia contemperatis chordis
apparent. Etenim ibinon harmonica quid é separata patitur, fed chorda . et mouet
f a n e musicus p ipsam, quæ sibi i n eft, harmoniā: newtamen chordaratione musica
moueretur etiam, fiuelletmusicus, nifi harmonia ipsaiddixit. natæstquemadmodum
corpora, sed fecundum nudam ad corporapriuationem. Quãobrenihil
prohibetinterila, alia quidemesse essentia, alia uerò non essentia: et aliarursusante
corpora, alia ueròunacumcorporibus: itemalia a corporibus separata, alia uerò non
separata. Præter eaaliasecun dum sesubfiftentia, aliaueroalijs, utsintindigentia:
alia deniqa&tionibus, uitisfexfemobilibuse adem, sedaliauitis, &qualibu
sa&tionibus quodammodo permutata,nempefecundumnegatione corum, quæ ipfanon
sunt, non secundum assistentiameorum, quæ sunt, appellatur. Pussiones materie prime
assignat esimiliter à Plotino. Ateriæ propria apudantiquos hæc funtincorporeaquidem,
diuerfænimeftàcorporibus, prætereauitæexpers, negintelle&tus, neckanima, neque
aliquid fecundum seuiuens. Itêin, formis, permutabilis, infinita, impotens. Quapropternec
ens, feduerum nõens, imagomol lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum
impotens, itéappetitio subsistentia et ftansno instacupræterea fempinse apparens,
tum paruum, rum magnữ,tūminus, tūmagis, tūdeficiens, cī excedens, quoduefiatfemp,
maneatuerònunquã, nec tamen aufugere potens, quippecútotius entisfit defectus. Quamobrēquicqd
pmittat, mentitur: aciimagnūappareant, interimeuadirparo uũ, quafienimludus quid
ãeftinnõensaufugiés, Fugænimeius non fit loco, sed dūabencedeficis, Quamobren. in
infummiseftunitas cumuirtute: ininfimis multitudo cum debilitate. N corporeæ fubftantiædescendentesquidemdiju
dicentur, atqßinsingula potentiæ defe&umul tiplicantur, adscendentes autemutuntur,
atæ fimul recurrunt inunumcopia poteftatis. Quegenerant, partimconuertuntur ad genita,
partimminimè. Mne, quodsuæssentiagenerat, aliquid sed eterius generat, atqomne genitü
adgenitorina O curaconuertitur, eorumuero, quægenerant, alia quidem nullo modo conuertuntur
ad genitas Sensus, imaginatio, memoria intelligentia. Emorianonest imaginationü
conferuatio quædam, ámdtāmpastwintorspobaristale vias spoluéwata, sed eft ipfas
propositiones, fiue productiones ina&um corū, quæ medicatus eft animusnu: nec
rurfusabsq inftrumentorum sensualium passione sunt senfus, sic et intelligentiæ
non absque imaginatione, nisianalogaconditiofit: quemadmodum figura consequens quiddam
est ad animal sensuale, sic phantasma ali quid consequens ad intelligentiam anima
intelligentis in animali. 1N Despeciebusuite. On solumincorporib æquiuoca conditio
est, sed ipsa etiãm vita multipliciter prædicatur eftenim uita plantæ, animalisalia:
aliarursus intellectualis Alia IN N>M Dedifferentijs incorporeorum. Pfain corpore
orī appellatio non secundum communicatē unius, eiusdemiş generis, sic cognomi.
Quam obremquæineasunt imagines, in suntindeteriorirursus imagine, quem admodum
in speculo id quodalibilitum eft, apparetalibi, et ipsum speculum plenumese uidetur,
nihilqz habet, dum om nia uidetur habere. funt, aut non funt, quappter nulla corūpaticur:
quodempatienseft, non oportetitafe habere, fed efetale, ütalterariqueat, atointeriminqualitatibus
eorī, quae ingrediuntur, ficásinferuntpas fionem. Eiñamos quodinest alteratio non
aqualibec accidit, nexigicur imaceriapacítur. Nāsecun dum fe ipfam qualitatis estexpers,
nesprorsusformx, quae funtinca, ingrediences; uicissim sexe, untes, sed passio fic
circa compofitum, et uniuselsein compositione confiftit, hocenim incontrarijs
uiribus& qualitatib ingredientiữz inferentiumą passione perfeuerare in fubfiftendo
uidetur. Quá obre mea quoru um i uere est ab externis, ne casciplis, nimirum et
uiuere, et non uiuere pat i possunt. Sed ea, quorum esse in u i t a consistit,
passionis experte, necessarium est permanere secunduum itam, quemadmodūm uitä uacuitati
conuenit et non pac, quarenus et uitæuacuicas. Icaq ficut permutari, acpati composito
ex materia, forma côtingit, ideftcorpori, neqstamenidmateriæ accidic, ficujuere,
areinterire, patiofecundumhocipfum incompofitum exanima, corporeæperspicitur, neqstamé
animæidcontingit, quoniam animanoneft aliquidexuita, et non uita conflatum, sed
uica solum constatquippe, cum fimplex essentia fit, ipfaqsanimæ ratio fit natura
ipfa se mouens. Omnis intellectuseft omniformis. Ntelle&ualis esentia fic in
partibuseftconfimilis, ut et in particulari quolibet intellectu, uniuersoos intellectu
fint entia: fed intele&u quidem uniuerfali endaeciam particularia uniuersalifint
ratione: in particularia ut čincellectu eciāmi uniuersalia fimulacos particularias
intconditione qua dam particulari: Omnisuitain corporeaquocunq; mütetur,permanetimmortalis.
Nuicisin corpore ispces susmanentibus prioribus in se firmisefficiuntur, dūnihilfuiõdunt,
neos pmutantad substantiâ inferiori bexhibendam, quapptern ed quæ inde subfiftūccũaliquagdi
tioneueltráf mutatione subsistûr, nechoc qdēefficitur, ficutgeneratiointeritus,
gmutationisą particeps, ingéciaigitur, et incorruptibilia funtaroingčitæ, incorrupcx'ssecīdū
hoc ipfumeffecta. Quomodo intelligatur quod eft fuperius intelectus
uigilantiãmultadicatur, fed perfomnū ipsum cognitioeius, peritia'oshabetur, fimilinãque
fimile cognosci folet, quoniã omnis cognitio, assimilatio quæ dá ef t ad hoc ipsum,
quod cognoscitur ens uel ut falsam concipimus passionecă, ingentem uidelicet ili,
quidigreditur extrase ipsum, ipfeenimquisque quemadmodum existenter deftuere, atokperse
ipfum poteftreduciad ipfum non ens ente superius, ficabence, sepsipfodigres
diensiam traducitur ad non ens, quod entisipfius est casusatqzruinia.
Substantia in corpore aest ubi cunque uult. Atura corpori snihil impedit, quinquod
fecundum fe incorporeum eft, ficubicung, et quò modocunque. Sicuc enim corpori incomprehensibile
est, quod molis eft expers, nihilą adip Porphyr de Occasionib. Quidpatiatur, quidnon. Afsiones circa id funt
omnes, circaqd accidit et interitus.Vía enim ad interitãeft admissio passionis,
acohuius est interirecuius eft paci. In cerireaūc
in corpore ūnullű, sed quædã interilaaur Anima quia per effentiam eft uita, non
moritur. yIrca essentiam, cuius efe confiftic in uita, et cuius passione suit a
quædã funt, nimirum& morg in quali aliqua uita uersatur, non in priuatione uitæ
fimul tota. Quoniamneqs passio, seu uita est omnino, illic ad non uiuendum, iplaqz
illic accidit orbitas. Sillo quod eft mente superius, per intelligentiam quidem
multa dicuntur: considerantur D temuacuitatequadă intelligentiæ intelligentiam eliore;
quem admodum dedormienteper Non ens aut eft fuperiusenteut Deus, aüt inferius cum
materia. Vod non ensdicitur, auciplínos machinam urab ipso entealiquando separaci,
aut super intelligimus,dum ens possidemus qua propter fi separamur ab ente, ens
ipsum non super inetelligimus non ens super ens ipsum, sed iamnon N sumpertiner:
sicin corporeo ipsum, quod molle diftenditur, non fic obstaculum et quafi non
acec, neque enim quod incorporeum eft locali conditione quo uulc discurrit locus
enim cum mole simul exiftit, neq srurfus corporum limitibus coercecur, quod enim
quomodo cūqiiacetinmole, in angustum cohiberi poteft, et conditione locali transmutationem
agere, quod aucemestamole,mag nitudine prorsusexemptū, hocabójs, quæ funt inmole
contineri non poteft, a motuş i localiper manet liberum. Igitur qualiquadam, certaque
dispositione reperituribi, ubi cunque disponitur, loco inter eatum ubique, tum nusquam
simul exiftens, qua propter quali quadam certaque affectione uel super cælum, uel
in parte mundi quadam apprehenditur: quando uero in aliqua mundi pàřectenetur, non
oculis quidem aspicitur, sed ex operibus eius præsentia sua fit hominibus
manifestas Substantia in corpore inullo corpore cohibetur, sed produci tescamin
corpore perquamse corpori applicát. Vodeft in corpóreū, li quando in corporecomprehendatur,
nonopuseftutitaconcludatur, Q quem admodum inparcoferæ clauduntur, nullum namque
corpus poteft ipsumficinfeco hibere, nequeficutüterliquoremaliquem trahit, et cohibet,
autfacum, fed oportetipsum ia nd C TO MmM. fubftituere cavite Vniaersales
cause non conuertuntura defectus, fed eosadfe conuertunt. V l l a
substantiarum, quæ universæ sunt, a t æ perfectæ ad suam conuertitur geni cură.
Omnes auté perfectæ subftantiæadgenerantiarediguntur, et id quidem ad corpus uso
mundanum. Quomodo differenterestubiq; Deusintelle Āus, animas Euseftubiq, quianusquam
intellectus est:ubiq etiã,quianufquam anima deníqueubiqet EX PORPHYRIO DE AB
ftinentia animalium quinetiam cognoscitipsum, quod in feest, naturaliterperpetuo
uigilans, atque fom/ num, quo hic opprimitur, deprehendit. Cui non sane educationem,
nutritionemque trademus consentancã, tūhuius locinaturæ, tum
suiipsiuscognitioni conuenientem, Beatitudo non eft diuinorum cognitio, fed uita
diuina. Eata nobis contemplatio non est uerborum accumulatio, disciplinarumque multitudo,
quemad Bmodum aliquis forteputauerit: neque enim iracomponitur, neque pro quantitate
rationūac quare perfectio quidê aprioribus fecunda fubftituit cõferuanseade
ad priora conversa, defectusautempri oraetiam ad pofteriora defledit, eficitqzut
hæc ipfa diliganta superioreinterim differentia Marsil. FICINO si veda in
substitucreuiresab ipsa in se ipsum unione extramanantes, quibus descendens corporiaplícatur,
copula itaßeius ad corpus per ineffabilem quandam suiipsiu simpletur extensioné,
quam obrénõ aliud adem ultūipfuamlligat, fed ipfum certe se ipfum, nec
igiturefoluit ipsum corpus quãdofrangitur autinterit,fèdipsum
pociusfemetipsumcnodat, quando a familiari erga subiectâ affectione diuercio
Quod quidemcūsit perfectum ad animā estreda&um, animam in quã intellectualem,
ideoas círculouoluitur, anima uero mundi ad intellectum attollitur, intelle&us
auteerigitur ad principio Omnia itaque perueniunt ad hoc ipsum ab extremis exordientia,
quatenus facultas suppecitunicuic perueniūt inquam eleuatione ad primū, illucusą
perducta: quæ quidēautex propinquo, autex. lon ginquoeficifolet. Hæcitas non solum
appetere Deum dicipossunt, sedetiam prouiribusafequizin substancijsuero particularibus,
et ad multa labipotentibus in eft procliuitas deflectēs adgenicuras:
ideoiginhis deli&um dicitur accidissezinhis infidelitas eft damnata. Has igitur
contaminatipla materia, propter ea quod ad hác defledipossint, cũtameninterea ad
diuinūs e ualeant convertisse: quoniã eft et nufquā: fed Deus quidem
ubique& nusquãeftcorum omnium, quæ funt poft ipsum. Sui uerò ipfius eft folum,
ficutest, atqueuult. Intellectus autem in Deo quidem ubica est, fed ineis, quæ funt
poftipsum, existirnusqua pariter, et ubique anima tandem in incelecttu, acor
Deo, fimiliter eft ubique, incorporeuero ubique est simul et nusquam. Corpus aut
et inanima, et in intellectu, et in Deo, omnia pro se et o cūentia, tum non
entia ex Deo sunt, et ideonec tamen ipse Deus eft,cum entia,tum nonentia, nec existit
in eis. Si enim esset duntaxat ubiq ipfe quidem omnia, et in omnibus esset.
A quoniam est, et nusquam, omnia sane
per ipsum fi unc fiunt a ž r ursus in ipso, quiam ipse existit ubios: diversarursusab
ipso, quoniam ipse nusqua. Similiter intelectu subicexistens, atqs nus quam,
causa est animaram, animasæ sequentium: neq s ipse anima est, neg quæ post
animam, neque in cis existic: quoniam uide licet non folum ubiqueest, eorumque,
quæ funt post ipsum, sed et nusquam. Rursus anima neque corpu seft, neque est in
corpore, fedcausacorporis,quoniam dum ubiq eftper corpussimuleft, et incorporenus
quam, processus denique universi in illud definit, quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet,
sed alternis quibus damuicibus utriusque fit particeps. Giuseppe Girgenti. Girgenti. Keywords: la parola che
non s’incatena, Giustino martire, la traduzione di Boezio delle Categorie di
Porfirio, traduzione di Ficino delle sentenze sugl’intelligibili di Porfirio,
henologia platonica, categoria, prediccamento, Agostino, Boezio, predicare,
predicato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Girotti:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della curva – la
filosofia nella storia d’Italia – il caso Gentile – filosofia veneta – scuoa
d’Adria -filosofia italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo adriase. Filosofo veneto Filosofo Italiano.
Adria, Rovigo, Veneto. Grice: “I like Girotti; for one, he has explored the
idea of ‘beauty,’ which Sibley should, but did not!” Si laurea a Padova, sotto SANTINELLO (si veda) e BERTI
(si veda). Pubblica Filosofia (La Scuola, Brescia). Pubblica: “Gouhier e la sua
storia storica della filosofia” (Unipress, Padova). “Comunicazione filosofica”
“Società Filosofica Italiana.” Altre saggi: “Aristotele, dal platonismo all’autonomi”
(Polaris, Faenza); “Modelli di razionalità nella filosofia”, Sapere, Padova; Discorso
sui metodi, Pensa, Lecce; Medioevo vs oggi: tra tabula rasa e innatismo,
Sapere, Padova; Riforma Gelmini e filosofia Sapere, Padova; Essere e volere,
Pensa multimedia, Lecce; Siamo completamente liberi di volere ciò che
vogliamo?, Il Giardino dei Pensieri, Bologna); Bellezza e responsabilità,
Diogene Multimedia, Bologna; Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia,
Bologna; GENTILE; Diogene Multimedia, Bologna); “Il fico proibito dell’Eden e
la giustificazione del male, Diogene Bologna; Un viaggio intorno all’io: Da
Atene a Delfi dialogando, Diogene, Bologna; Sul permesso di morire, Diogene
Bologna; Comunità di ricerca, Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani, La collana si chiama Briciole di Filosofia “una
storia storica che si fermi all’esibizione dei dati diventa semplice una ‘cronaca’;
infatti, nel momento in cui si espone la filosofia di Grice, per poter
abbracciare l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione,
quella che G. definisce como “fenomenologia dello spirito metafisico. G.
distingue la fenomenologia come metodo e lo spirito metafisico come oggetto.
Seguendo il metodo della fenomenologia, il filosofo-storiografo sarebbe
invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere ciò che esso mostra.
Seguendo “lo spirito metafisico”, il filosofostoriografo ritroverebbe l'oggetto
o topico della sua ricerca, cioè il fatto spirituale. È su questo fatto spirituale che G. refina Gouhier
in quanto trova che Gouhier, quando ha messo le vesti dello storico della storia
storica della filosofia, sia scivolato in una loro descrizione bergsoniana, ammessa
anche da Gouhier. Cf. Grice on the
longitudinal history of philosophy. “We should treat those who are dead and
great as if they were great and living – it’s a matter of introjecting into his
shoes, or sandals!” -“La distillazione filosofica” GENTILE nasce a
Castelvetrano, provincia di Trapani, ottavo di dieci fratelli, due dei quali
erano già morti quando egli vide la luce. Suo padre, che si chiamava anche lui Giovanni, era
farmacista; sua madre, Teresa Curti, maestra elementare. Da quel poco, o
non molto, di autobiografico che, sempre restio alla confidenza e all'effusione
dell'animo, pur si deduce dagli scritti e, in particolare, dai carteggi con i
suoi maestri pisani, Jaja ed Ancona,
risulta che il rapporto con i genitori fu intenso, nutrito di forti affetti;
sebbene, per altro verso, travagliato, a causa soprattutto, oltre che della
morte del fratello Gaetano, delle disavventure professionali del padre. Le
quali derivarono dal forte e alquanto anarchico convincimento di non dover
sottostare, nella gestione della farmacia di cui era proprietario e titolare,
alle nuove regole introdotte dalla legge sanitaria emanata dal governo di F.
Crispi; e dalla sua decisione di chiudere perciò la farmacia, che si trovava a
Campobello, e ritirarsi con la famiglia nella vicina Castelvetrano, quindi di
riaprirla tornando da solo là dove quella si trovava e subendo un nuovo
processo per il reiterato suo rifiuto di sottostare alle nuove regole. È
probabile che nell'animo sensibile, e più impressionabile forse di quanto il G.
fosse disposto ad ammettere, del giovinetto che intanto attendeva agli studi
scolastici, si formassero, nei confronti della terra siciliana, ossia di un
luogo così fortemente segnato da dolori e umiliazioni, sentimenti contrastanti.
Non che per le sofferenze che involontariamente aveva inflitto al padre, egli
prendesse allora a odiare, o anche soltanto a disistimare, il siciliano Crispi,
al quale sempre invece guardò come a un grande personaggio, l'unico degno di
rappresentare sul serio, nella decadente Italia di fine secolo, lo spirito
autentico del Risorgimento, nelle cui battaglie era stato protagonista.
Ma nei confronti della piccola, e pur amata, patria siciliana, i suoi
sentimenti furono in effetti misti; e abbastanza presto si sublimarono, assumendo
forma intellettuale, in quelli che, se lo si legge con attenzione, si colgono
al fondo del libro che, quando era professore a Pisa e insegnava dalla cattedra
che era stata del suo maestro Jaja, egli dedicò a Il tramonto della cultura
siciliana (Bologna). Libro singolare, in effetti; che, riboccante di passione e
di affetti, concerne un "tramonto" atteso e auspicato di
"cose" che, profondamente radicate nella storia e nelle tradizioni
dell'isola, meritavano, a suo giudizio, di "tramontare" per sempre
risolvendosi in assai più ampio e comprensivo orizzonte di pensieri e di
cultura. Nella Sicilia "moderna", con poche eccezioni, il G. non
coglieva infatti se non materialismo, illuminismo astratto, anticlericalismo
estrinseco, e niente romanticismo, niente idealismo, nessun serio sentimento
della vita vissuta nel segno di più alte idealità. E con questi
"caratteri" spiegava le difficoltà che l'isola aveva opposto al
Risorgimento nazionale e, quindi, alla vera cultura idealistica. Quando perciò,
divenuto nel 1906 professore di storia della filosofia nell'Università di
Palermo, il G. dette inizio all'insegnamento che doveva condurlo alla prima
sistemazione del suo pensiero nell'idealismo attuale, c'era nel suo impegno
filosofico qualcosa di missionario, quasi che nel fondo di sé sentisse di
operare in partibus infidelium e il suo compito consistesse nel riscattare nel
suo idealismo gli assai diversi principî ai quali la Sicilia era rimasta
ferma. Nell'isola il G. non rimase se non il tempo necessario al conseguimento
dei primi traguardi scolastici; e quando, finalmente, ottenuta, nel 1893, un
anno prima della naturale scadenza, la licenza liceale presso il liceo Ximenes
di Trapani, fu ammesso, avendo vinto il relativo concorso, a frequentare la
Scuola normale superiore di Pisa, era uno studente critico bensì di molti
aspetti della cultura siciliana quello che approdava alla sponda toscana, ma
recante tuttavia in sé non pochi segni di quella. Il positivismo che,
colorandosi sotto l'influsso di R. Schiattarella di materialismo e
anticlericalismo, largamente dominava la cultura siciliana non era passato sul
suo animo e sulla sua mente senza lasciare qualche traccia; e se non vi era
passato intero, in parte almeno vi era passato: il che spiega l'intransigenza
con la quale, compiuta la sua più autentica formazione alla scuola pisana dello
Jaja, egli si impegnò a cancellarne, nel suo pensiero, ogni possibile
traccia. Nel componimento scolastico consacrato a U. Foscolo con il quale
ottenne la licenza liceale colpiscono in effetti le due tonalità che lo
caratterizzano: quella civile, che sarebbe poi rimasta, attraverso la
trasfigurazione risorgimentale, al centro dei suoi sentimenti e interessi, e
l'altra, antiromantica, appresa alla scuola del suo professore di italiano, V.
Pappalardo, e ribadita attraverso lo studio della Storia della letteratura
italiana di Giudici. E si può e si deve, del resto, andare anche oltre. Fu
forse allora, infatti, negli anni in cui fu studente in Sicilia, che il G.
venne positivamente in contatto con la questione del "fatto"; che
certo, nel corso del suo pensiero, subì, rispetto al punto di partenza,
trasformazioni così profonde da rendere questo quasi irriconoscibile nel
risultato conseguito. Quasi, tuttavia, e non del tutto: perché, assunto nella
prospettiva dell'atto, il "fatto" è bensì l'astratto che quello,
l'atto, perennemente supera conseguendo e conquistando la sua concretezza, ma,
oltre a esser anche la sua "determinatezza", si rivela altresì, nel
processo costitutivo dell'atto, indispensabile e necessario: con la conseguenza
che, nell'idealismo attuale, la sua è bensì una morte, caratterizzata tuttavia
nel senso, piuttosto, della "trasfigurazione". Non s'insisterà
mai abbastanza sull'importanza che, proprio per queste ragioni, la Scuola
normale ebbe, con i professori che vi insegnavano, lo Jaja e il D'Ancona, in
primo luogo, ma anche A. Crivellucci, nella formazione del giovane allievo
siciliano. E ai professori debbono aggiungersi i compagni che egli allora
v'incontrò, Volpe e Pintor, Congedo, Salza, Radice. Anche qui, per altro,
avrebbe torto chi semplicemente ritenesse che al fuoco dell'idealismo
professato dallo Jaja il G. bruciasse ogni scoria positivista e rapidamente
acquistasse la fisionomia che in seguito sarebbe stata la sua. È vero invece
che la dicotomia determinatasi in lui quando, in Sicilia, per un verso si
accendeva di entusiasmo per il Foscolo e i valori civili da lui rappresentati e
per un altro si piegava al culto reverente dei fatti, in qualche modo si
ripropose anche a Pisa. Ed egli dovette subirla anche qui perché alla filosofia
senza storia né arte che gli veniva insegnata da Jaja corrispondevano la storia
e la letteratura senza filosofia che gli provenivano dall'esempio di D'Ancona e
di Crivellucci. Il che, naturalmente, non deve sorprendere, perché a
predominare, anche a Pisa, era allora il positivismo con il congiunto metodo
storico; e con il suo idealismo di derivazione spaventiana Jaja costituiva, in
quell'ambiente, piuttosto l'eccezione che non la regola. La produzione
scientifica in cui, senza abbandonare la rivista Helios, che si pubblicava in
Sicilia, a Castelvetrano, e alla quale seguitò infatti a non far mancare la sua
collaborazione, allora si impegnò appare nettamente scissa fra l'erudizione
pura, da una parte, e la filosofia, altrettanto pura, da un'altra (anche se,
nel ricercare e commentare i testi di quest'ultima, il giovane G. mostrava
chiari i segni del metodo che aveva appreso d’Ancona e dal Crivellucci, e che
dette del resto chiara prova di sé nella dissertazione accademica Delle
commedie di Grazzini, detto il Lasca, pubblicata negli Annali della Scuola
normale superiore di Pisa. Le cose più notevoli uscite tuttavia dalla sua penna
a conclusione del suo periodo pisano sono, com'è noto, la tesi su Rosmini e
Gioberti, discussa con Jaja e quindi, discussa anch'essa con quest'ultimo, la
più breve indagine su La filosofia di Marx. Di questi due libri, il primo
costituisce il documento, altrettanto precoce che maturo, di un'indagine
condotta nel segno di Bertrando Spaventa e della sua idea relativa alla
relazione intercorrente fra il pensiero italiano e quello europeo, fra A.
Rosmini e V. Gioberti, da una parte, I. Kant e Hegel da un'altra. Il secondo è
invece il documento della capacità dimostrata dal giovane studioso di cogliere
il carattere, che a lui sembrava nel fondo idealistico, della filosofia di K.
Marx, e altresì di entrare con autorevolezza in uno dei dibattiti - quello
concernente la "crisi" del marxismo - fra i più vivi che allora si
accendessero nella cultura dell'Europa contemporanea. Lo studio dedicato
a Rosmini e Gioberti, e alla loro polemica fu steso per il conseguimento della
laurea in filosofia, che il G. ottenne con il massimo dei voti e il diritto
alla stampa. Quello dedicato a Marx fu composto per la tesi di abilitazione
all'insegnamento che egli conseguì l'anno successivo e gli dette la possibilità
di un ulteriore periodo di perfezionamento da trascorrere presso l'Istituto di
studi superiori di Firenze, dove fu per un anno e dove ebbe modo di entrare in
contatto con gli illustri professori che allora vi insegnavano e che, fra gli
altri, si chiamavano Villari, Vitelli, Rajna. Fra questi era anche il
professore di filosofia, il neokantiano F. Tocco, con il quale i rapporti non
furono né semplici né facili, ma con il quale comunque conseguì un nuovo
titolo, discutendo una tesi sulla filosofia italiana del periodo che da
Genovesi va fino a Galluppi, e che poi divenne un volume, pubblicato, nelle
edizioni de La Critica, da Croce (Da Genovesi a Galluppi: ricerche storiche,
Napoli). Fu, anche quello trascorso a Firenze, un periodo importante; e
se il rapporto con il Tocco fu, malgrado asprezze e incomprensioni, proficuo
perché lo mise comunque in contatto con un Kant diverso da quello di Bertrando
Spaventa mediatogli dall'insegnamento di Jaja; se quello con Villari fu
alquanto burrascoso, dei grandi filologi, classico il primo, romanzo il
secondo, Vitelli e Rajna dovette conservare per sempre un grato ricordo, se è
vero che ancora negli ultimi anni progettò di ristampare, del secondo, il libro
su Le fonti dell'Orlando furioso, ossia uno dei monumenti più insigni della
vecchia scuola del metodo storico. Con l'anno trascorso a Firenze,
nell'estate 1898 i suoi Lehrjahre avevano termine; e gli anni che seguirono
furono non facili; anzi decisamente difficili, perché l'esigenza per lui
imperiosa di trovare un lavoro, e perciò un posto nell'insegnamento medio, era
pari a quella che egli avvertiva non meno viva e urgente di non interrompere
gli studi filosofici, nei quali aveva già realizzato un'impresa notevole, con
quei tre lavori, così ricchi di dottrina e di idee. Ma l'esigenza di proseguire
senza nocive interruzioni la intrapresa carriera dello studioso implicava
l'altra che l'eventuale sede non fosse dispersa nella lontana provincia
meridionale e lontana perciò dai centri vivi della cultura nazionale, dalle
università e dalla biblioteche. E la preoccupazione principale del G. fu
allora, in particolar modo, di non essere costretto a far ritorno nell'isola
dalla quale era partito anni innanzi: sì che quando ebbe la sede di Campobasso,
con l'incarico di filosofia al liceo Mario Pagano, non poté dirsene del tutto
scontento, perché di lì poteva raggiungere di tanto in tanto Napoli, dove la
frequentazione del filosofo hegeliano S. Maturi, professore al liceo Umberto e,
sopra tutto, di Benedetto Croce, con il quale era entrato in contatto quando
ancora era studente del terz'anno, largamente lo compensavano dalla solitudine
alla quale era invece, per il resto del tempo, costretto. Del resto, non
fu quello di Campobasso un periodo che si protrasse nel tempo. E la fortuna
girò in suo favore, perché G. poté ottenere un posto presso il liceo Vittorio
Emanuele di Napoli: il che gli dette la possibilità di rendere veramente
intrinseci i legami intellettuali con Croce, ossia con il già illustre studioso
che, in quello stesso anno, concluso il periodo degli studi soltanto eruditi,
giunto al termine della discussione intrapresa con i testi di Marx e dei marxisti,
era tornato alla filosofia e aveva dato all'estetica la sua prima
sistemazione. A ragione, e del resto non è un'osservazione peregrina, è
stato detto che, se senza Croce non s'intende G., altrettanto è vero per
l'inverso. Ma ancor meglio potrebbe dirsi e ripetersi che, se si prescindesse
dalla collaborazione, stretta, intensa e anche conflittuale, che subito si
stabilì fra il libero studioso Benedetto Croce e il giovane ex normalista
siciliano, poco o niente si capirebbe della cultura italiana che nel bene (secondo
alcuni), nel male (secondo altri) per circa mezzo secolo fu dominata dalle loro
personalità e dalle loro opere, spesso intrecciate le une alle altre nel segno
prima della concordia discors e poi dell'aperta polemica. È difficile decidere
chi fra i due, se il più vecchio o il più giovane, giovasse all'altro nella
forma più decisiva. E forse, posta così, la questione è posta male, perché, se
è vero che da G. Croce ricevette impulsi a cogliere nel pensiero che si veniva
formando in lui le difficoltà che ne nascevano e ad affrontarle nel segno
dell'unità, se è vero, d'altra parte, che la collaborazione prestata dal
giovane studioso alla formazione della filosofia dello spirito non avvenne
senza che egli ne traesse grande giovamento per le tante idee con le quali
veniva in contatto e la non comune dottrina storica e letteraria con il cui
carattere venivano al mondo, anche è vero che in questi bilanci del dare e
dell'avere c'è sempre qualcosa di angusto, di gretto, di meschino: e conviene
perciò, dalle parole generali, passare di volta in volta ai fatti
determinati. Sta comunque di fatto che, mentre il carteggio fra i due si
faceva tanto intenso e frequente che non c'era, si può dire, giorno senza che
uno scambio intervenisse a proporre osservazioni, suggerimenti, informazioni e,
magari, contrasti; mentre l'amicizia si approfondiva nella collaborazione, la
diversa indole dei due ingegni ne riusciva non soffocata, ma in qualche modo
persino potenziata. E, come si è detto, c'erano, meno infrequenti di quanto non
si pensi, anche i contrasti, anche le polemiche, garbate, amichevoli, ma
ferme. Se, per esempio, nella questione concernente il materialismo
storico (una filosofia, per il G., e non, come per Croce, un semplice
"canone empirico": una filosofia della storia, fondata per altro
sullo scambio del trascendentale e dell'empirico), il dissenso rimase senza
soluzione, la discussione, che in buona parte si svolse per lettera, su forma e
contenuto nell'estetica condusse i due filosofi a un accordo sempre più stretto;
e anche qui è, non solo alquanto meschino, ma sopra tutto difficile chiedersi,
e quindi rispondere al quesito, se a condurre il gioco fosse piuttosto G., o se
invece fosse Croce che, via via che veniva impadronendosi dell'intero
territorio dell'estetica, suggeriva il tema e controllava lo svolgimento.
Intanto, la realizzazione del progetto di una rivista letteraria, storica e
filosofica, che si chiamò La Critica (il primo numero uscì il 20 gennaio),
dette a Croce, e a G., lo strumento attraverso il quale la loro collaborazione
potesse rendersi visibile e concreta in risultati specifici, attraendo altresì
su di sé, fra consensi e dissensi, l'attenzione del mondo culturale italiano e
non soltanto italiano, perché l'anno precedente era uscita la prima edizione
dell'Estetica crociana e il successo travolgente del libro, andato al di là di
ogni previsione, non poteva non ripercuotere sulla rivista appena agli inizi la
sua positività. La Critica divenne così, velocemente, un severo luogo di
ricerche, di studi, e anche, spesso, di impietosi esami critici; e, con il
diverso accento caratterizzante lo stile del direttore e del suo principale
collaboratore, svolse un'opera della quale sarebbe vano voler disconoscere
l'importanza. L'oggetto della "critica" era costituito dalla cultura
positivistica, che era bensì in declino quando la rivista iniziò la sua
battaglia, ma non tanto, tuttavia, che se quell'urto violento e sistematico non
si fosse prodotto, avrebbe trovato così presto la via della sua risoluzione. Al
contrario, si direbbe: perché, malgrado la non eccelsa qualità dei suoi
pensatori, e certa loro tendenza a dividersi fra un alquanto volgare
materialismo e vacue accensioni mistiche e "spiritualistiche", il
positivismo aveva, nella sua forma di "metodo storico", non soltanto
prodotto alcune opere egregie e importanti, ma era penetrato in profondità
nella cultura e nel costume dei professori e della classe dirigente del paese.
E "positivista" era in sostanza il pensiero democratico e altresì,
malgrado il marxismo, quello socialista; positivisti altresì, con maggiore o
minore intensità, erano stati, e per qualche tratto ancora erano, gli stessi
Croce e G., che in quella tradizione, e non in un'altra, avevano compiuto i
primi passi. Con la conseguenza che quella loro battaglia antipositivistica,
esaltata, enfatizzata e mitizzata da alcuni, deprezzata e magari deplorata da
altri, fu, con le sue luci e le sue ombre, anche una battaglia che giorno dopo
giorno i due filosofi amici condussero contro quel loro "sé stesso" che
di essere emendato nel senso della nuova filosofia avesse avuto necessità. E
molte cose della vecchia "fede" certamente furono lasciate cadere,
che qui non occorre elencare. Ma alcune no; e, per fare qualche esempio, certo
si deve anche alla severa disciplina erudita appresa alla scuola dei maestri
del metodo storico se, come nessun altro ai suoi tempi, Croce esplorò gli
angoli più riposti della "regione" seicentesca, e scrive il saggio su
La novella di Andreuccio da Perugia (Bari), e il G. non disdegnò le minute
ricerche rinascimentali che sottese e affiancò ai grandi quadri d'insieme, e
rievocò le ombre dei suoi maestri toscani per scrivere il bel libro dedicato a
Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono. Il soggiorno a
Napoli fu, nel rapporto con Croce, quale non poteva non essere: importante,
fondamentale perché ebbe per conseguenza di renderlo sempre più stretto, sempre
più profondo e, perciò, più stimolante. Il che, trattandosi del rapporto di due
pensatori che in quello impegnavano la parte più delicata del loro essere,
significa altresì che, per ciò stesso che toccava il profondo, scopriva le
differenze mentre celebrava le affinità e persino le identità, e potenzialmente
conteneva in sé il germe del suo rovesciamento nell'inimicizia. La polemica sul
marxismo contribuì a far meglio conoscere a entrambi le rispettive, e diverse,
fisionomie intellettuali; e i due ne uscirono, sebbene avessero ciascuno
mantenuto il proprio punto di vista, rafforzati nell'amicizia. Ma la polemica
epistolare, e rimasta perciò privata, sulla questione della filosofia e della
storia della filosofia, aveva già, sotterraneamente, impresso qualche
preoccupante vibrazione alla struttura portante dell'edificio; perché a Croce,
sebbene avesse alla fine dato il suo consenso alla tesi del G., era anche
sembrato di cogliervi qualche tratto di vecchio hegelismo, il cui Idealtypus
era rappresentato allora a Napoli da S. Maturi; e questo G. non l'aveva
gradito. L'amicizia per allora rimase salda, e anzi, via via, si approfondì,
perché in realtà non solo la filosofia e la scienza riguardava, ma anche le
cose dell'anima e dell'esistenza, che nella battaglia culturale non potevano,
del resto, non essere coinvolte. E poiché nella Critica il G. sistematicamente
svolgeva il compito che si era assunto di ricostruire le origini della
filosofia contemporanea in Italia e intanto, al margine, scriveva note e
recensioni per lo più molto polemiche nell'atto stesso in cui, su un altro
fronte, conduceva la sua aspra battaglia, in nome della filosofia che non può
non essere immanentismo assoluto, contro quello che perciò sembrava a lui
l'equivoco del modernismo cattolico: delle eventuali dispute che intanto i due
filosofi svolgessero in privato la rivista non risentì e non mostrò il segno.
La collaborazione che essi vi svolgevano e realizzavano fu perciò, per anni e
anni, vista e avvertita come se i due fossero quasi una sola persona che, di
volta in volta, faceva prevalere il rigore filosofico e l'eleganza letteraria,
nutrita anch'essa di rigore. Si aggiunga che allora Croce fu impegnato, fuori
della Critica, nella costruzione della Filosofia come scienza dello spirito; e
che, per parte sua, mentre svolgeva il suo lavoro e si impegnava a seguire i
progressi filosofici del suo amico, sul piano teoretico il G. mostrò in quei
primi anni la tendenza a restare in disparte. Avvertiva, e in una lettera
del 1908 inviata al Maturi lo scrisse anche in modo esplicito, che se avesse
dovuto esprimere intero il pensiero che intanto gli urgeva dentro con Croce
sarebbe giunto allo scontro, e avrebbe dovuto combatterlo. Sapeva, o riteneva
di sapere, che, svolto con rigore, il tratto spaventiano del suo pensiero
avrebbe dato luogo a conseguenze diverse da quelle che Croce stava allora
ricavando dalle sue premesse, e sistemando nei suoi libri; e della migliore
qualità filosofica di quelle era altrettanto convinto come della necessità che
per allora non convenisse mettere in crisi una collaborazione dalla quale
frutti copiosi la cultura italiana poteva ancora attendersi. Del resto, la
cautela del G. e la sua decisione di lavorare per, e non contro, l'alleanza con
Croce non potevano esser tali da impedire che, talvolta anche in pubblico,
sebbene non dichiarate, le differenze emergessero; e fu quel che puntualmente
avvenne quando G. scrisse (e per allora non pubblicò) la prolusione al suo
corso libero di filosofia teoretica nell'Università di Napoli. Da Napoli,
dove nell'insieme trascorse un sereno periodo (aveva sposato Erminia Nudi, una
maestra conosciuta a Campobasso), quasi per intero consacrato all'insegnamento
- aveva ottenuto la libera docenza che esercitava nel corso libero di filosofia
teoretica presso l'Università e dal 1904 aveva assunto anche un incarico di
filosofia e pedagogia presso l'Istituto superiore di magistero Suor Orsola
Benincasa -, alla riflessione filosofica, allo studio, G. passò a Palermo,
perché nel frattempo - dopo che un primo concorso per la filosofia teoretica lo
aveva visto soccombere per l'ostilità dimostratagli da Tocco, e anche a causa
della debole difesa fattane da A. Labriola, gravemente ammalato e quasi
impossibilitato a parlare - aveva vinto la cattedra di storia della filosofia
per quella Università. Così, senza averlo sul serio desiderato, era di nuovo
approdato alla sponda siciliana; e meno che mai lo aveva desiderato Croce, che
non solo vedeva interrotta una consuetudine di vita, di collaborazione e di
lavoro che doveva a ogni costo essere difesa, ma anche temeva che il nuovo
ambiente potesse distrarre in vario modo l'amico e, sotto diversi punti di
vista, allontanarlo da lui. Il timore di Croce non aveva allora nessun
altro fondamento che sé stesso e l'intuizione di cui si alimentava. Era infatti
qualcosa come una congettura, una supposizione. Ma la congettura, la supposizione,
e il timore, non si rivelarono tuttavia per intero infondati; perché, come
forse era inevitabile, nel nuovo ambiente G. non poteva non ottenere la
posizione preminente e da protagonista che non solo il prestigio di cui godeva,
ma anche e sopra tutto la forte personalità della quale era dotato, non
potevano non assicurargli. La sua posizione divenne preminente nell'Università
e, quindi, nella Biblioteca filosofica che, per le iniziative di G. Amato
Pojero che ne aveva la cura principale, divenne un centro vivo di dibattiti,
nel quale l'idealismo attuale definì per la prima volta sé stesso e vide la
luce. Anticipato in modo più che parziale con il breve saggio che G. dedicò a
Le forme assolute dello spirito e, senza presentarlo in altra sede, incluse nel
volume su Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia come sua ideale
premessa (e conclusione), l'idealismo attuale trovò la sua prima espressione
nella memoria, letta presso la Biblioteca filosofica su L'atto del pensare come
atto puro (Palermo), quindi nell'altra su Il metodo dell'immanenza, e ancora
nelle pagine consacrate a La riforma della dialettica hegeliana e a Spaventa
che l'aveva avviata, nonché nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica,
il cui primo volume contiene in effetti una sorta di teoria generale dello
spirito sotto specie pedagogica. Un volume, questo, che quando lo lesse
in bozze Croce giudicò con qualche severità, perché gli parve che non solo il
G. si fosse espresso con nettezza contro la possibilità che tra le forme dello
spirito potesse darsi la "distinzione", ma anche che, senza nominarlo
e perciò con tanta maggiore asprezza, avesse polemizzato proprio con lui che
nella distinzione aveva fatto e stava facendo consistere il criterio supremo
dell'intelligenza della realtà. Da queste dichiarazioni di autonomia e di
indipendenza, che, implicitamente (ma in modo per altro trasparente),
contenevano qualcosa come una sfida, Croce non poteva non essere preoccupato; e
tanto più in quanto il senso di indipendenza e di autonomia era confermato da
quel che scrivevano gli allievi siciliani del G.: Fazio-Allmayer e Omodeo,
Saitta e Albeggiani; e anche Ruggiero, che siciliano e residente in Sicilia non
era, ma attualista sì, anzi ultrattualista, come ci teneva a dichiararsi e come
aveva del resto dimostrato con la memoria, pubblicata anch'essa nell'Annuario
della Biblioteca filosofica, su La scienza come esperienza assoluta. La
pubblicazione degli scritti attualisti del G. e le varie manifestazioni che
allora innegabilmente si ebbero del formarsi di una scuola che in quella forma
d'idealismo riconosceva l'unica rigorosa e, perciò, possibile, non potevano non
provocare prima o poi la reazione di Croce. Il quale aveva bensì fatto il
possibile perché G. tornasse a Napoli come professore nell'Università, convinto
che in tal modo la collaborazione sarebbe tornata alle vecchie forme senza le
perturbazioni provocate dalla "scuola" e dagli spiriti non sempre
positivi che, in effetti, vi si formano o tendono a formarvisi. Ma il suo
tentativo non ebbe, com'è noto, successo, perché forti e insormontabili furono
le resistenze che l'ambiente accademico napoletano dimostrò all'accettazione
della sua proposta. E così accadde che, persa quella battaglia nella quale
aveva speso molto del suo prestigio e delle sue energie, quando una grave
sciagura privata gli dette il senso che tutto ormai, nella sua vita dovesse
giungere all'estremo chiarimento, Croce decidesse di rendere pubblico il
"dissidio" filosofico che lo divideva dall'idealismo attuale; e
scrisse, per la Voce di Prezzolini, un articolo in forma di lettera, nel quale
i termini del dissenso erano definiti con amichevole fermezza. La scelta della
Voce significava, nelle intenzioni crociane, che la disputa non riguardava La Critica,
ossia il luogo della loro comune opera culturale; e si svolgeva, per così dire,
al margine di questa. Ma la decisione di mettere in piazza il loro dissenso
ferì in modo particolare G.: anche se, decisa nella sostanza e orientata non a
sanare, bensì a ulteriormente precisare, il dissenso, la replica che anche lui
affidò alla Voce, si presentasse come la risposta amichevole a un'amichevole
richiesta di chiarimenti teoretici. Il dissenso era comunque stato dichiarato;
e non mancò di suscitare molta impressione: tanto più che, replicando a sua
volta, con fermezza, Croce prese atto di un divario che concerneva non la
periferia, ma il centro stesso delle loro filosofie. Il periodo siciliano
fu comunque fecondo di molto lavoro. E oltre ad aver gettato le basi
dell'idealismo attuale, G. svolse infatti e approfondì alcuni essenziali
aspetti della scolastica e del Rinascimento; e scrisse di Bruno, di Telesio, di
Vico, mentre la collaborazione alla Critica continuava con il consueto ritmo e,
dopo la tempesta teoretica, nei rapporti con Croce era tornata la calma. Deve
anzi dirsi che, malgrado varie traversie di natura familiare e qualche
apprensione per la sua salute, fu quello un periodo nella sostanza sereno,
sebbene non possa escludersi che egli lo considerasse provvisorio e in cuor suo
non desiderasse una sede diversa e migliore. Quando infatti a Napoli e a Roma
si liberarono due cattedre, la prima università fu subito scartata, perché vivo
era ancora il ricordo della sconfitta patitavi quattro anni prima, ma la
seconda no; e fu invece presa in seria considerazione. G. riteneva infatti che
l'opposizione di Barzellotti, titolare della cattedra di storia della
filosofia, potesse essere in qualche modo aggirata e vinta. Ma il calcolo
risultò errato: a Roma per allora non fu chiamato; e dopo un tentativo,
esperito senza troppa convinzione, di essere chiamato a Torino, città molto
amata da Croce, che non avrebbe visto male un suo trasferimento colà, ma assai
meno da lui, che la considerava lontana, fredda ed estranea ai suoi gusti e alle
sue abitudini, scelse infine di andare a Pisa, dove sarebbe succeduto a D. Jaja
e, con l'atmosfera della giovinezza, anche avrebbe ritrovato la Scuola normale,
luogo e fonte inesausta di cari e intensi ricordi. A Pisa tornò con un
piglio e una convinzione ben diversi da quelli con i quali vi era approdato,
giovane e sperduto studente siciliano, tanti anni prima. Vi approdò con il
piglio del pensatore che, ormai sicuro di sé e delle sue forze, sente di dover
svolgere una missione non solo filosofica, ma anche, lato sensu, civile e
politica. La forte accentuazione teoretica che nei precedenti anni aveva
conferito alle sue pagine, anche di storia della filosofia, non aveva mai
spento in lui, se mai aveva rafforzata, la convinzione spaventiana che
ricostruire la filosofia italiana nella sua storia significasse in realtà
contribuire, con le armi della cultura, alla prosecuzione del Risorgimento,
riaccenderne negli animi la consapevolezza, battersi contro la corruzione
letteraria che in Italia si era per secoli fatalmente intrecciata con lo
splendore delle arti. Egli faceva insomma vibrare e risuonare un corda che a
Jaja era rimasta sostanzialmente estranea, ma non ad Ancona, ebreo e fervente
patriota risorgimentale, e nemmeno, nei suoi modi particolari, a Crivellucci.
Del resto, la prolusione pisana è; e con gli avvenimenti che lo
caratterizzarono e con quelli che ne sarebbero seguiti, quell'anno fatale
avrebbe ben presto provveduto a trasformare dal di dentro atteggiamenti,
abitudini, costumi, ad accelerare il ritmo delle passioni, talvolta in
superficie, altre volte in profondità, a rendere esplicito e visibile quel che
per l'innanzi fosse rimasto chiuso nel segreto delle coscienze. A Pisa,
per altro, G. non stette a lungo, perché egli passa all'Università di Roma per
ricoprirvi la cattedra di storia della filosofia, dalla quale, sempre nella
stessa Università, sarebbe passato a quella di filosofia teoretica, lasciata
libera da Bernardino Varisco. Ma, a parte le passioni e anche le
incertezze e le angosce politiche che li caratterizzarono, quelli pisani furono
anni importanti: per i risultati filosofici innanzi tutto, che G. vi conseguì.
Fu allora, infatti, che, dopo averne offerto un primo saggio nel Sommario di
pedagogia, e quindi nelle memorie palermitane, egli procedette senz'altro a
tracciare le linee della Teoria generale dello spirito come atto puro, nata
dalla scuola e pubblicata la prima volta quello stesso anno: così come dalla
scuola nacquero in quel medesimo tempo i Fondamenti della filosofia del diritto,
nei quali, espressione suprema dell'unità, e unità esso stesso, l'atto era
indagato nella sua dimensione, oltre che teoretica, pratica, senza che fra
l'una e l'altra potesse operarsi la distinzione per la quale, in Croce, i
distinti erano i distinti. Ma a Pisa il G. avviò anche la composizione del
Sistema di logica come teoria del conoscere, la sua opera in ogni senso più
rilevante: della quale scrisse il primo volume che, nato anch'esso dalla
scuola, vide la luce e dovette attendere per avere il suo compimento nel
secondo volume, dedicato alla logica del concreto. Agli anni di Pisa
appartiene anche, con sicurezza, Il tramonto della cultura siciliana, un libro
del quale si è già avuto modo di accennare come presenti un duplice carattere,
di condanna della cultura siciliana positivistica, materialistica e, deteriori
sensu, illuministica; e di speranza: la speranza che nel segno dell'idealismo
attuale, nato nell'isola per virtù di un siciliano, quella si riscattasse ed
entrasse a pieno titolo nella civiltà moderna. Gli anni pisani furono
quelli del primo conflitto mondiale, di quel dramma, anzi di quella tragedia,
dopo la cui conclusione niente sarebbe più stato come prima. Il G. li visse con
passione, fra esaltazioni e depressioni, come ogni altro italiano del suo ceto,
della sua condizione e della sua cultura; ma anche con il sempre più netto
convincimento che, all'inizio, non era stato scevro di dubbi anche forti, che
quella di entrare in guerra a fianco della Francia e della Gran Bretagna contro
gli Imperi centrali fosse stata una giusta decisione, una sorta di chiamata del
destino risorgimentale della nazione. G. non è nazionalista, e meno che mai era
disposto a vedere nell'evento bellico la manifestazione delle forze sanamente
irrazionali che spezzano l'ordine stabilito dalla logica, sconvolgendo i suoi
concetti. Dalle deteriori manifestazioni di misticismo e vario sensualismo,
così frequenti allora nella "cultura" italiana e non soltanto
italiana, si tenne sempre discosto. Ma quando gli indugi diplomatici furono
rotti e la guerra fu dichiarata, egli scoprì in sé l'interventista che
all'inizio non era stato, e progressivamente venne intensificando e
attualizzando le critiche che nei confronti dell'Italia e dell'assetto politico
e morale che si era dato dopo la conclusione del Risorgimento erano già in lui,
allo stato potenziale e, in qualche caso, più che potenziale. Le essenzializzò
e attualizzò perché, senza con ciò diventare nazionalista e seguitando anzi a
oppugnare ogni idea della nazione che attingesse a concezioni naturalistiche o,
peggio, razzistiche, il suo principio, gli parve tuttavia che la prova
terribile alla quale l'Italia aveva deciso di sottoporsi richiedeva che di lì
in avanti i piccoli pensieri cedessero a pensieri grandi e che quel che s'era
ottenuto sui campi di battaglia non fosse poi amministrato dai politici di
sempre, maestri non di drammi, ma di mediocri commedie. Di qui, anche in
questo campo così pericolosamente esposto ai venti violenti delle passioni,
delle "cupidigie", per dirla con il poeta, e dei "brividi",
la ragione profonda dell'ulteriore distacco che allora, giorno dopo giorno, si
venne compiendo da Croce. Il quale, come si sa, non solo era stato contrario
alla guerra, condividendo le realistiche preoccupazioni di Giolitti e di
quanti, come lui, erano persuasi che, vinta o persa, la guerra avrebbe comunque
rappresentato per l'Italia un troppo grave rischio. Ma anche aveva dichiarato
che avrebbe considerato una grave onta per il popolo italiano se all'improvviso
i suoi governanti avessero stracciati i trattati e si fossero schierati dalla
parte di coloro contro i quali avrebbero, semmai, dovuto combattere. Anche nei
confronti della guerra che, quando fu dichiarata, li vide entrambi consapevoli
che il loro posto non potesse essere se non quello che l'Italia aveva scelto
per sé, l'atteggiamento dei due filosofi fu, nella sostanza, assai diverso. E
Croce considerava la guerra alla stregua di un evento irresistibile della
natura, ne vedeva la trama violentemente economica e utilitaria, così che
sempre il suo monito fu che non si sottomettesse alla sua particolare logica la
logica dei superiori valori della verità e della cultura, del pensiero e
dell'arte. Diverso fu, invece l'atteggiamento del Gentile. Senza che
perciò si inducesse a passare il segno e a farsi, come Croce diceva,
"l'animo di guerra", egli la considerò tuttavia come una grande
occasione rigeneratrice, come un evento assoluto, recante in sé il segno di una
tal quale superiore provvidenzialità. Mentre Croce confidava, o quanto meno
sperava, che nell'Europa di domani il meglio dell'Europa di ieri fosse
conservato e potenziato, e nella religione degli studi, nella civiltà dei
rapporti intellettuali, nell'universalità delle idee, gli odi nazionali si
placassero e depurassero, G. inclinava viceversa, lui che nazionalista non era
mai stato e nemmeno a rigore era diventato, verso i toni dell'esaltazione
nazionale. E fu allora che, per la forza di queste sue convinzioni e passioni,
si preparò la sua futura adesione al fascismo, nel quale, mettendo come fra
parentesi le molte cose che certo non appartenevano al suo costume, egli
credette di scorgere, e in questo convincimento fu poi irremovibile, lo
strumento del riscatto "risorgimentale" dell'Italia. Il sistema
filosofico che fino a quel punto il G. aveva elaborato negli scritti dei quali
qui sopra si è detto era per intero incentrato su questo concetto: che, come la
filosofia antica e quella medievale e moderna (che non riusciva perciò a esser
tale), era rimasta ferma, anche nelle sue dimensioni idealistiche, a un
concetto intellettualistico e soltanto descrittivo del concetto, del soggetto e
della sua attività, con la conseguenza che il concetto non era autoconcetto, e
cioè la sua eterna autogenerazione e autoproduzione, nell'idealismo invece, che
per questa ragione meritava di essere definito "attuale", questo
proprio avveniva. E il concetto era autoconcetto, il soggetto, soggetto, e non
concetto (astratto) del soggetto: non era una sorta di res naturalis che il concetto
appunto si limiti a contemplare, a descrivere nel suo astratto organismo
logico, e non a produrre nell'atto del suo atto. Di qui la tesi, caratteristica
di questo idealismo, che nella sua concretezza e attualità, l'atto non può
trascendere il suo atto, questa trascendenza dell'atto non potendo essere se
non, essa stessa, atto; e l'altra tesi secondo cui la teoria che dell'atto
intendesse darsi è perciò una teoria vera (secondo G.) ma astratta: una teoria
astratta del concreto (vero anch'esso, naturalmente: e a fortiori). E di qui
l'interna, forte tensione di questa filosofia; che, per un verso (e sopra tutto
nelle sue prime formulazioni) era orientata a svalutare e criticare ogni teoria
che, in quanto soltanto contemplativa e descrittiva, fosse perciò incapace di
cogliere l'atto se non come un "fatto", e dunque come il suo opposto,
falsità ed errore, se l'atto era viceversa verità e concretezza. Ma per un
verso (e questo accade sopra tutto nel secondo volume del Sistema di logica,
non senza che per tale via il G. provasse a rispondere al rilievo di
ineffabilità e misticismo rivoltogli da Croce) la questione dell'astratto e del
fatto assumeva un altro volto, e l'atto era bensì celebrato nella sua non
obiettivabile attualità, ma il fatto e l'astratto gli si rivelavano a loro
volta indispensabili, erano (per dirla in modo tecnico) il suo opposto, ma
anche il suo diverso, un grado attraverso il quale, sia pure dissolvendolo, il
concreto era, nel e per il suo costituirsi, costretto a idealmente passare. Il
punto critico di questa filosofia sta qui: nel suo essere, non, come tante
volte si è detto, misticismo e indistinzione, ma nel porsi come una sintesi,
attuale e intrascendibile, di opposti, senza poter rinunziare - donde
l'ambiguità - a trattare gli opposti come gradi, e cioè come diversi o
distinti: nell'essere insomma una teoria dell'unità che in eterno supera la
distinzione, e della distinzione che, proprio perché è in eterno superata, non
può veramente uscire dal quadro e si rivela come la condizione insostituibile della
sua possibilità. Verità del concreto, dunque: ma anche dell'astratto; che
nelle opere del secondo attualismo, e cioè nel Sistema di logica e oltre, si
rivela non, quale all'inizio era, come natura, immobilità, impenetrabile
assenza di coscienza, ma come circolo e mediazione, punto semovente che parte
da sé e per fare ritorno a sé: come circolo, e perché no, dunque, come esso
stesso logo concreto? Come logo concreto; e perché no, dunque, come logo
astratto, se questo è mediazione e coscienza, e niente più di questo il logo
concreto può essere? A Pisa, negli anni della Grande Guerra, il G. rivelò
a sé stesso la passione politica che gli stava dentro come assopita; e assunse
perciò una dimensione che non era più soltanto quella del professore che parla
dalla cattedra e magari fa conferenze, ma era bensì quella
dell'"intellettuale" militante, che si rivela al grande pubblico
attraverso i giornali quotidiani. Ai quali in effetti, assumendo una
consuetudine che avrebbe, con diversa intensità (nel tempo), mantenuta fino
alla fine della sua vita, G. allora prese a collaborare: tanto che quando, a
guerra finita, raccolse in un volume che intitolò Guerra e fede (Napoli) quanto
aveva scritto durante il suo corso, il libro risultò tutt'altro che smilzo, e
comunque più consistente di quello che lo seguì, e nel quale, con il titolo
Dopo la vittoria (Roma 1920), sistemò gli articoli composti nei due anni
iniziali dell'agitato, inquieto, drammatico dopoguerra. Un periodo,
quest'ultimo, nel quale sempre più decisamente G. cercò la sua parte e venne
via via inasprendo la sua posizione, perché l'idea natagli nei passati anni,
durante le sue meditazioni sulla storia d'Italia e sulla fatale dicotomia che
nell'età del Rinascimento si era prodotta fra lo splendore artistico e la
decadenza politica e morale, quest'idea doveva ora essere messa alla prova
della realtà, doveva diventare uno strumento forte e tagliente di lotta e di
azione politica. Il che implicava che, pur seguitando a dichiararsi liberale,
sempre più egli sentiva di doversi opporre al liberalismo quale si era riflesso
nel costume politico italiano, nella degenerazione dei metodi parlamentari,
nell'arte del compromesso e del perenne rinvio delle decisioni: un'arte nella
quale maestro insuperabile gli sembrava fosse Giolitti, che per lui fu allora
non il ministro, come Salvemini l'aveva in precedenza definito, della malavita,
ma l'artista di ogni cosa che fosse mediocre, si contentasse della mediocrità e
rinunziasse a volare alto nei cieli della grande politica. Furono,
questi, mesi drammatici, che egli visse in uno stato d'animo teso e agitato, e
nel segno di un'attività senza soste, che dette a tratti l'impressione di
essersi risolta in frenetico attivismo. Che certo non si placò quando Croce è
chiamato da Giolitti a ricoprire nel governo la carica di ministro
dell'Istruzione pubblica e dette la sua opera alla riforma della scuola media e
introdusse sia l'esame di Stato, sia l'insegnamento della religione. Alle cose
della scuola G. aveva, per parte sua, cominciato a interessarsi da molto tempo:
ossia fin da quando, giovane professore nel liceo di Campobasso, s'era reso
conto di quante manchevolezze l'affliggessero. E poi aveva pubblicato il
Sommario di pedagogia, così che a giusto titolo era, in quel campo, considerato
un'autorità; che, divenuto ministro, Croce non tardò a riconoscere, chiamandolo
a presiedere "la commissione per lo studio dell'autonomia universitaria e
dell'esame di Stato", nonché "a far parte di quella per la riforma
dei programmi presieduta da Vitelli", nominandolo commissario
dell'Istituto femminile superiore di magistero di Roma e confermandolo nel
Consiglio superiore dell'istruzione pubblica (Turi). A Croce, del resto,
G. non fece mancare il suo appoggio, pieno e incondizionato. Almeno nei
risultati da raggiungere, e nelle conseguenze che occorreva trarre da alcune
generali premesse, i due filosofi amici concordavano senza riserve. E nel
sostenere, per esempio, la tesi che la religione dovesse costituire materia
d'insegnamento, il suo pensiero non differiva da quello di Croce se non per il
modo e per la diversa posizione che alla religione egli riserva nel sistema
dello spirito. La sua idea era insomma che, come per pervenire alla pienezza
del suo sé nella filosofia, lo spirito passa attraverso le fasi ideali, e
contrapposte, dell'arte (soggetto) e della religione (oggetto), così anche
nella scuola questo ritmo dovesse trovare una sorta di trascrizione temporale o
fenomenologica, quasi che, per giungere alla filosofia, anche lì si dovesse
percorrere la regione del mito di cui le religioni s'interessano. Ma la
religione della quale il progetto ministeriale prevedeva l'insegnamento era
quella cristiana e cattolica, la più perfetta, per G., di tutte le religioni
quando, appunto, proprio nella forma assunta dal cattolicesimo la si fosse
considerata. Era, questa, della perfezione cattolica, un'idea che G. aveva
sostenuto quando, nei primi anni del secolo vigorosamente aveva polemizzato con
i modernisti cattolici. E, per questo riguardo (oltre che per quello
concernente la struttura dello spirito), il suo accordo con Croce era piuttosto
sulle conclusioni che non sul metodo. Che è poi quello stesso che si dà a
vedere nell'idea che presiedette all'introduzione dell'esame di Stato, perché
se, nel propugnarlo, G. vi implica il concetto secondo cui in esso lo Stato
realizzava una delle dimensioni della sua eticità, Croce non vi vedeva se non
uno strumento di controllo e a questa luce ne interpretava la necessità.
La cosa più singolare fu allora che, nell'atto in cui più stretto si rivelava
il legame dei due filosofi impegnati in una importante impresa pratica, il loro
dissenso filosofico tornò invece a farsi acuto e a complicarsi con quello
politico generale, perché nei confronti del fascismo la reazione di Croce fu
bensì, agli inizi, cauta e anche esitante, ma certo in quel movimento egli non
vide nemmeno una piccola parte delle idealità che G. riteneva gli fossero
intrinseche e immanenti. Del resto, dopo due anni che era salito sulla
cattedra romana, G. fondò, assumendone la direzione, il Giornale critico della
filosofia italiana: una rivista di sola filosofia che anche per questo suo
carattere non si contrapponeva in ogni senso alla Critica, ma in un certo senso
sì, anche perché nella nuova rivista gli scolari che subito si erano stretti
intorno al nuovo professore, e in lui vedevano il sole della filosofia
mondiale, riconobbero l'organo della scuola. E questo, come si sa, era il punto
che Croce meno apprezzava ed era disposto a perdonare. Il momento decisivo
della vita del G. venne quando, caduto il governo del Giolitti nel quale Croce
aveva ricoperto l'incarico di ministro, e succedutogli uno presieduto da Bonomi
con Corbino all'Istruzione pubblica, egli ebbe modo di riflettere sulle mille
difficoltà che dal mondo politico e parlamentare sempre sarebbero state opposte
a ogni tentativo che si fosse fatto d'introdurre nella scuola una seria
riforma. La disistima che, in linea generale, già da molto tempo G. nutriva nei
confronti della classe dirigente italiana trovava così, nella recente
esperienza fatta quando Croce era al governo con Giolitti, nuovo alimento. E
può ben darsi che anche da questo egli fosse indotto a guardare con sempre più
grande favore al movimento fascista e a considerare con politica indulgenza la
violenza e le illegalità di cui nutriva la sua azione. I documenti
necessari a rendere certezza questa, che è solo una congettura, mancano, che si
sappia. Ma non è improbabile che, appunto, riflettendo sulle recenti
esperienze, G. allora si persuadesse che, nella questione della scuola come, in
generale, in quella concernente il governo del paese, il regime parlamentare
dovesse cedere il campo a un sistema politico diverso, fondato sulla rapidità
delle decisioni e sulla forza necessaria a tradurle nella realtà. E altresì
deve aggiungersi che, nel pensare così e nell'orientare in questa direzione le
sue scelte politiche, come molti altri egli fu forse tratto in inganno dalla
scarsa esperienza che, nel complesso, aveva non solo della politica, ma anche della
storia; che, se gli fosse stata meglio nota, gli avrebbe con ogni probabilità
in segnato che la politica è un'arte difficile, complessa e insidiosa, non
in quanto si svolga in un Parlamento e da questo attenda il consenso, ma perché
è politica, e ha a che fare con le passioni e gli interessi, nonché con il loro
governo. Come che sia, l'occasione di mettere alla prova i convincimenti
che via via gli si erano formati dentro venne quando, avendo ricevuto dal
sovrano l'incarico di formare il suo governo, che succedeva così a quello per
breve tempo presieduto da L. Facta, MUSSOLINI scelse infine come ministro della
Pubblica Istruzione proprio Gentile. È stato detto da taluni che, entrando in
quel governo come indipendente e soltanto per le sue competenze non politiche
ma tecniche, il G. accettava da Mussolini quel che avrebbe benissimo potuto
accettare da Giolitti e da chiunque gli avesse offerto un'analoga occasione.
Ma, sebbene egli non avesse ancora dichiarato il suo consenso esplicito al
fascismo, e fascista ancora non potesse perciò essere detto, è pur vero che
quel che pensava di Giolitti e della tradizionale classe politica italiana non
gli avrebbe forse consentito di collaborare nel governo con uomini per i quali
nutriva disprezzo, e non stima. Nel governo in cui entrava G. poteva infatti
contare sugli ampi poteri che, nel dargli fiducia, il Parlamento aveva concesso
a Mussolini, che governò infatti soprattutto con i decreti legge e con facilità
poteva aggirare le opposizioni; e di questo, che considerava un vantaggio, egli
si giovò con larghezza e altrettanta fermezza, perché, appunto, al governo era
andato con l'idea di realizzare comunque la riforma; e a realizzarla era
deciso. Non è possibile, in poco spazio, raccontare le vicende complesse e
intricate alle quali il progetto gentiliano della riforma dette luogo. E
basteranno due rilievi: uno rivolto a ricordare la struttura a cui la riforma
tendeva e alla quale infine mise capo, l'altro diretto a rievocare le fiere
critiche che essa suscitò, non solo nel mondo politico, ma anche in quello
della scuola. La struttura della scuola riformata prevedeva una scuola
elementare obbligatoria per tutti, nella quale il senso della tradizione
nazionale, della religione e della letteratura tenessero il centro e costituissero
il criterio per la formazione del giovane, al quale certo non sarebbero mancate
le nozioni elementari dell'aritmetica e della scienza. Accanto al
ginnasio-liceo, destinato a formare le future élites dirigenti e, comunque, gli
strati più alti della popolazione, la scuola riformata prevedeva quattro
indirizzi fondamentali a cui, come ha scritto S. Romano, corrispondevano
quattro distinti ruoli sociali; e altresì prevedeva che l'educazione impartita
nelle elementari sarebbe stata completata, per i figli del popolo, con tre anni
di complementare, mentre una scuola industriale e tecnico-commerciale,
integrata da un istituto tecnico per chi avesse inteso proseguire nello studio,
avrebbe corrisposto alle esigenze formative di queste professioni, insieme con
una scuola magistrale, proseguibile in un magistero universitario, per certe
parti analogo alla facoltà di lettere e filosofia. Le critiche che a
questo modello di scuola, qui sommariamente descritto, furono rivolte posero
subito in rilievo il carattere conservatore, statico e anche classista di una
struttura a cui faceva in effetti riscontro l'idea di una società
immodificabile nei suoi equilibri politici ed economici. E forti furono subito,
da parte di non pochi, le riserve avanzate circa il ruolo riservato al
ginnasio-liceo, nel quale lo studio delle due lingue classiche, il latino e il
greco, prevaleva su quello delle lingue moderne e, nel complesso, la parte
riservata alle lettere appariva rispetto a quella fatta alle scienze naturali,
predominante. Si aggiungano le critiche rivolte all'abbinamento, nel liceo,
della filosofia e della storia, e anche della matematica e della fisica; e
sopra tutto al primo, che sconvolgeva antiche abitudini sia degli storici, sia
dei filosofi, alquanto astrattamente dedotto da una teoria e che in concreto
non aveva, e non ebbe, il potere di rendere filosofi gli storici, e storici i
filosofi. E infine non si dimentichi che la riforma non piacque a molti
cattolici, scontenti del potere che lo Stato veniva a esercitare sulle scuole
private, e a non pochi laici, scontenti essi pure che la religione cattolica
fosse diventata materia obbligatoria per tutti i cittadini dello Stato
italiano. Accanto alle molte critiche, occorre tuttavia anche ricordare e
sottolineare che la riforma gentiliana nasceva da una visione coerentemente
unitaria, e certo non era la veste di Arlecchino che altrimenti (e come poi è
accaduto) avrebbe rischiato di essere: tante idee di diversa provenienza mal
combinate e peggio tenute insieme dallo spirito deteriore del compromesso
politico. Per quanto concerne il rilievo (certo non infondato) di elitismo e
persino di classismo, conviene dimenticare il nodo che, per parafrasare
ALIGHIERI, tiene al di qua di ogni ragionevole traguardo chi, ripugnando all'idea
di fare delle classi economiche più forti le vere destinatarie dell'alta
cultura, intesa perciò come strumento di conservazione e di trasmissione del
potere, con alquanta semplicità di spirito ritenga che la difficile questione
si risolva col "democratizzare" la cultura, ossia con l'estenderne
l'ambito e abbassarne il livello. L'esigenza che G. (e questo non può essere
negato) cercava di realizzare, e che per alcuni versi si traduceva in istituti
didattici inadeguati, era diretta a far entrare nelle menti che
"cultura" significa, in primo luogo, la grande difficoltà che
s'incontra nel tentativo che si faccia di conseguirla: un tentativo che va a
buon segno soltanto se ci si impegna nell'acquisizione degli strumenti tecnici,
storici, linguistici, filosofici, scientifici, senza i quali il mondo del
sapere non dischiude i suoi tesori. Ma qui, su questo difficile problema, che
tende a tornare insoluto dinanzi a chi pur lavori nel tentativo di risolverlo,
occorre non insistere. All'apparenza con una decisione improvvisa, che
non fu comunicata se non a Mussolini, che doveva essere informato, e della
quale nemmeno Croce fu messo al corrente, G. si iscrive al PARTITO NAZIONALE
FASCISTA. E sulle ragioni che lo indussero, mentre era ministro, a compiere
questo passo, che certo non era privo di gravi conseguenze, si è molto
discusso; e da alcuni si è avanzata l'ipotesi che a prendere questa decisione,
che rese contenti i suoi allievi romani, ma non altri che ne rimasero invece
alquanto sgomenti, egli fosse indotto da due diverse, ma convergenti,
persuasioni. La prima, che quello fosse l'esito necessario non
tanto dell'idealismo attuale, che con il fascismo in quanto tale poco aveva in
comune, quanto piuttosto della riflessione da lui condotta nei passati anni sulla
storia d'Italia e sulla possibilità che ora il fascismo aveva nelle mani di
reintegrarne in unità le secolari scissioni e lacerazioni, la politica imbelle
e la letteratura vuota, compiendo il Risorgimento. L'altra, immediatamente
pratica e politica, che la riforma sarebbe stata meglio difesa, e altrimenti
non potesse esserlo, se il liberale che egli era, ed era considerato, avesse
mostrato di condividere senza riserve la convinzione mussoliniana e fascista e
avesse così posto termine, o almeno un freno, alle critiche che gli si
muovevano e alle diffidenze da cui era circondato. In ogni caso, il passo
che doveva decidere il destino di G. era compiuto. Ed è quanto meno dubbio che,
se lo compì anche per salvare la riforma dalle forze che l'avversavano e
minacciavano di impedirne l'attuazione, quel passo servisse veramente allo
scopo. I mesi che precedettero l'assassinio di Matteotti, e che videro quattro
giorni dopo le sue dimissioni dal governo, furono drammaticamente segnati da
gravi difficoltà, a superare le quali non bastarono né il tattico appoggio
datogli dal capo del governo, né gli inviti alla resistenza provenienti dai
suoi scolari e amici romani, né il sostegno deciso di Croce che, malgrado il
sempre più netto incrinarsi dei loro rapporti e la frattura che entrambi
sapevano, in cuor loro, inevitabile, non glielo fece mancare e, nella sua
impresa di ministro, lo sostenne. Le dimissioni dal governo non furono un atto
di autonomia, di distacco dal fascismo che si era macchiato di un gravissimo
delitto, di opposizione alla sua politica. Furono, infatti, da lui motivate con
pure ragioni di opportunità politica e nell'interesse sia del governo, sia di
colui che lo presiedeva: ossia con l'argomento secondo cui le opposizioni delle
quali la sua riforma era da tempo l'oggetto potessero diventare un pretesto per
colpire Mussolini o avessero comunque, pretesto o no, a indebolire la posizione
politica di lui che, all'improvviso, era venuto a trovarsi in una situazione
obiettivamente molto difficile. Accusato apertamente dalle opposizioni di
essere il responsabile e il materiale mandante del delitto, MUSSOLINI è allora
non solo in pericolo, ma sembrava altresì aver perduto la sicurezza e la
spregiudicatezza che, in momenti non altrettanto gravi, erano sembrate la dote
precipua del suo essere un politico nuovo, estraneo alle astuzie deteriori e
alle infinite mediazioni della prassi parlamentare. E, proprio perché
sull'indecisione dimostrata da Mussolini egli ebbe allora, in lettere private,
a formulare critiche precise - nonché il timore che quello smarrisse la via e
naufragasse -, proprio per questo il proposito di rendergli il più possibile
sgombro di ostacoli il cammino dovette sembrargli l'unico che un seguace fedele
dovesse preoccuparsi di tradurre in comportamenti conseguenti. Al
fascismo, dunque, con quel gesto il G. non tolse il suo consenso, ma piuttosto
lo rinnovò in un momento in cui non mancarono, fra i suoi allievi, quelli che,
delusi dall'indecisione mussoliniana, lo esortavano a prender lui la guida effettiva,
e cioè politica, del fascismo in crisi. Furono quelle settimane drammatiche,
perché, oltre gli elementi obiettivi che rendevano tale la crisi, a coloro che,
nel campo fascista, lo spingevano verso posizioni estreme si contrapponevano
gli amici che, o antifascisti o in via di diventar tali, gli davano il
consiglio opposto: non di rimanere nel partito di MUSSOLINI, ma, decisamente,
di uscirne, mettendo in salvo una volta per tutte il suo "nome
onorato". Drammatiche sono, in questo senso, le lettere che allora gli
scriveno Radice, collaboratore fedele e amico fraterno, e Omodeo, uno degli
allievi prediletti della scuola palermitana. Furono giorni, settimane, mesi
molto difficili anche perché il dissidio con Croce, che, come si è detto, mai
si era sul serio ricomposto e, come il fuoco la cenere, sempre aveva seguitato
a sottendere i loro rapporti, giunse allora, finalmente, alla sua definitiva
espressione. E quali, a determinare la rottura che in sostanza si consumò,
possano essere stati gli episodi e le circostanze specifiche, sta di fatto che
era la logica delle cose a rendere grave ogni episodio, ogni circostanza che,
se tale logica non fosse appunto stata così forte e imperiosa, avrebbero, con
ogni probabilità, potuto avere un esito diverso. Sulle ragioni profonde
che la determinarono e misero fine a un sodalizio durato quasi trent'anni,
molte cose si dissero allora, molte sono state dette poi, quando parve che il
distacco cronologico consentisse la serenità necessaria alla formulazione del giudizio.
E questa non è la sede dove la questione possa essere analizzata in ciascuno
dei suoi aspetti, filosofici, politici, psicologici; e si può ben dire che, per
quanto attiene al suo concreto e determinato delinearsi e decidersi, essa
risulti definita dalle due lettere che G. e Croce si scambiarono: essendo
tuttavia quest'ultimo che, di fronte alla dolorosa meraviglia espressa
dall'altro nell'apprendere che certi suoi comportamenti avevano seriamente
messo in pericolo la prosecuzione, non solo del loro sodalizio scientifico, ma,
addirittura, della loro amicizia, obiettò che al dissidio mentale nel quale da
tempo si trovavano se n'era aggiunto un altro, di natura pratica e politica; e
che le cose dovevano perciò fare il loro corso necessario, fino alle estreme conseguenze.
Le dimissioni che il G. presentò e che Mussolini accettò, nominando al suo
posto il liberale, e grande amico di Croce, A. Casati, segnarono nella sua vita
una svolta importante. Nella sua vita, s'intende dire, pubblica e politica; e
non nei suoi sentimenti e convincimenti politici che, a quanto risulta, fino
all'ultimo dei suoi giorni rimasero quelli che lo inducenno a chiedere la
tessera del PARTITO FASCISTA. Non nei sentimenti e nei convincimenti, dunque.
Ma nella vita pubblica e politica, sì. Al governo infatti G. non torna più. E
alla politica del paese partecipa bensì, nei primi tempi, come presidente della
commissione dei quindici (divenuta poi dei diciotto), il cui compito fu di
svolgere una revisione costituzionale in senso autoritario dello Stato.
Partecipò bensì come vicepresidente del consiglio superiore della pubblica
istruzione: una carica importante, questa, che gli consentiva di vegliare
sull'integrità della riforma, proteggendola da quanti avevano interesse a
intervenirvi per alterarla e stravolgerla. Ma, intesa in senso stretto, dalla
politica, in sostanza, egli allora uscì. E la sua partecipazione alla vita del
regime fascista si realizzò nelle istituzioni culturali (per esempio,
l'Istituto nazionale fascista di cultura, poi di cultura fascista) delle quali
ebbe la cura e che presiedette; e se nei giornali e nelle riviste politiche
alle quali normalmente collaborava non perse occasione per dire il suo parere
su ciò che più da vicino lo toccava, l'argomento prescelto fu quasi sempre
culturale, anche se mai egli mancò di collocarlo nel quadro costituito della
sua fede fascista e della sua fedeltà al regime mussoliniano. Almeno su
due episodi occorre tuttavia, non essendo possibile in questa sede un più largo
discorso, soffermarsi. E di questi uno era bensì di natura anche filosofica e
culturale, perché implicava in modo preminente l'idea che da anni ormai egli
aveva elaborato della filosofia e dello Stato che, identico alla filosofia,
rappresenta il vertice stesso dell'autocoscienza; ma anche era di natura
politica, e persino diplomatica, coinvolgendo direttamente l'azione del governo
e del suo capo. Si allude al concordato con la S. Sede. E G. lo avversò in un
pubblico discorso, che non ebbe conseguenze pratiche perché sulla via concordataria
MUSSOLINI è deciso ad andare fino in fondo, e l'opposizione del filosofo
formalmente rientrò: sebbene quell'episodio dovesse seguitare ad agire dentro
di lui che, forse anche per questo, quasi volesse rinverdire dentro di sé quel
gesto di autonomia non andato a segno, per tutta la vita polemizzò con i
filosofi cattolici e, in modo particolare, con gli ambienti dell'Università
cattolica del S. Cuore di Milano, in primis con Gemelli, che egli trattò con la
mano rude che riservava a certe sue battaglie culturali e filosofiche.
L'altro episodio è costituito dalla battaglia che egli sostenne perché ai
professori universitari fosse imposto il giuramento di fedeltà al regime
fascista. E a parte le modalità con le quali e attraverso le quali si svolse; a
parte il nesso con le vicende della replica che, per iniziativa di Amendola, e
a nome di tanti e tanti intellettuali, Croce dette al Manifesto degli
intellettuali fascisti redatto da G.; a parte le tragiche ferite che questa
imposizione apriva nella coscienza di tanti che innanzi a sé videro o la
prospettiva della miseria o quella dell'abdicazione ai dettami dell'etica, c'è
qualcosa che a questo riguardo merita di essere notato. E questo è il singolare
concetto della "concordia" a cui, com'era accaduto persino nei giorni
cupi della crisi aperta dell'assassinio Matteotti (e come ancora sarebbe
accaduto vent'anni dopo nei mesi della Repubblica sociale), anche in quel caso
G. si appella per sostenere che, se l'opposizione resa evidente e, anzi,
drammatizzata dal conflitto dei due manifesti, il suo e quello di Croce, fosse
stata superata da un formale atto di fedeltà al regime, l'unità sarebbe stata
ristabilita e nessuna discriminazione avrebbe più avuto alcuna ragione d'essere
nei confronti di dissenzienti che non erano, ormai, più tali. E la cosa
singolare è che, nell'argomentare così, non solo egli mostrava di credere che,
se il giuramento fosse stato dato, le ragioni del dissidio politico che ai suoi
occhi lo aveva reso necessario sarebbero venute meno; ma addirittura riteneva
che potesse essere e definirsi unità autentica quella che fosse stata
conseguita per la via della coercizione e non per quella, da lui tante volte
definita come l'unica possibile, della libertà, mediante la quale lo spirito
costituisce sé stesso. Quella dell'enciclopedia è l'impresa alla quale G.
dedica la parte più viva della sua energia di grande organizzatore culturale.
La parte più viva, e anche la più grande, la più impegnata e costante, quella
con la quale il suo "tutto" quasi per intero giunse a coincidere.
Quasi per intero; perché, accanto all'opera dell'Enciclopedia, occorre non
dimenticare l'altro grande suo impegno, che fu costituito dalla Scuola normale
superiore di Pisa, della quale ècommissario, quindi direttore, e che nella sua
stessa persona difese dall'attacco mosso da Vecchi di Val Cismon che, divenuto
ministro dell'Educazione nazionale, gli mostra intera la sua ostilità,
giungendo anche a destituirlo. Il provvedimento del ministro è presto ritirato
perché, sollecitato da G., nella controversia intervenne direttamente il capo
del governo, che rimise al suo posto il filosofo; che poté così continuare la
sua opera di potenziamento e di ammodernamento della Scuola, e rendere assai
più agevole il soggiorno, e migliori le condizioni di studio, agli studenti
interni. Dai quali dovette sopportare non poche manifestazioni di antifascismo,
perché, fra La Sapienza e la Normale, per opera di alcuni giovani professori, e
in primo luogo di Calogero, Pisa era diventata un centro assai vivo di
opposizione al regime fascista. Il consenso del quale questo aveva goduto
fin verso la metà degli anni Trenta era andato impallidendo quando, con la
guerra di Spagna e poi, con le leggi razziali, si ha netta l'impressione che
l'allineamento alla Germania nazionalsocialista avrebbe avuto per conseguenza
la tragedia di una seconda guerra europea e mondiale. E, ancora una volta, il
G. si trovò a dover affrontare un conflitto, difficile e penoso, con i giovani
che, direttamente o no, erano anche suoi allievi e non poco, comunque, avevano
ricevuto da lui. Le testimonianze, scritte e anche orali, che rimangono di
quegli anni pisani dicono di un suo atteggiamento incerto fra paternalismo e
autoritarismo, fra benevole indulgenze e improvvise durezze. Un atteggiamento,
questo, tipico di un uomo generoso e, nello stesso tempo, incapace di
comprendere le ragioni del dissenso; e che, su un piano di ben altra
drammaticità, si ripeté quando, avendo accolto e cercato di
"sistemare" alcuni intellettuali tedeschi che avevano dovuto lasciare
la loro terra perché ebrei (Kristeller, Löwith, Rubinstein, per citarne solo
tre), la medesima questione gli si presentò, per gli ebrei italiani, in seguito
alla promulgazione delle già ricordate leggi razziali. Anche in questo caso,
infatti, quanto fu benevolo e comprensivo nei confronti dei perseguitati,
altrettanto il suo atteggiamento fu debole nei confronti di chi di quella
persecuzione si era reso responsabile. E se niente egli disse in quegli anni in
difesa di provvedimenti che non potevano non ripugnargli profondamente, in
pubblico non se ne dissociò. Ma si diceva dell'Enciclopedia,
nell'organizzare la quale, nel dirigerla, nell'avviarla alla sua realizzazione,
G. seppe altresì formare, nella sede romana di piazza Paganica, un luogo di
lavoro affatto particolare, segnato in profondità dalla sua energia, ma anche
dal suo vivo senso della libertà della scienza, che in sostanza, tenendosi in
difficile equilibrio fra il censore ecclesiastico e quello politico, egli seppe
per lo più garantire agli studiosi che vi collaboravano e che, se non certo in
maggioranza, in buon numero erano antifascisti o non fascisti. Si pensi,
per fare qualche nome, a Sanctis, che all'Enciclopedia seguitò a collaborare
anche dopo che, per non aver voluto prestare il giuramento di fedeltà al
regime, aveva dovuto rinunziare alla cattedra romana. Si pensi a Calogero, a
Giusti, a Malfa, a Antoni, e ad altri che, se, come si è detto, non erano
propriamente ostili al fascismo, nemmeno gli erano amici incondizionati; e qui
si possono, per esempio, fare i nomi di Chabod, di Sestan, di Maturi. A
proposito dell'Enciclopedia sono state poste, tra le altre, due questioni: se
il G. la concepisse come un grande monumento, fascista, da innalzare al
fascismo, o se da questa idea si tenesse tanto lontano quanto per contro era
convinto che quello dovesse essere un monumento italiano, frutto e documento
dell'unica, ossia della più alta, cultura italiana; e, inoltre, se l'enciclopedia,
quale il G. la concepì e disegnò, abbia patito la conseguenza della chiusura e
dell'angustia della cultura idealistica e fosse perciò poco disposta a
concedere alle scienze naturali, fisiche e matematiche, lo spazio che queste
avrebbero richiesto e, beninteso, meritato. Alla prima deve rispondersi che,
certo, nata in quegli anni e resa possibile dal fascismo, l'Enciclopedia
appartiene al numero delle opere che allora si produssero. Ma fascista non è
nella concezione, perché esplicitamente il G. sostenne il suo carattere in
primo luogo scientifico, culturale e non politico. E fascista non è nel
contenuto, perché, oltre a essere scritta da molti che fascisti non erano, e
anzi al regime erano avversi, anche gli studiosi che aderivano al regime vi
scrissero per lo più da studiosi e non da fascisti. Sì che, al riguardo,
occorre distinguere e mantenere le distinzioni: aggiungendo (e con questo si
passa all'altra questione) che, come non fu fascista nella concezione, così
nemmeno fu "idealistica" nel senso vulgato, per il quale si dice
"idealismo" e s'intende qualcosa come un oltraggio recato alla
scienza. In realtà, come accanto a studiosi idealisti tanti altri vi scrissero
che idealisti non erano affatto, così non sarebbe giusto dire che in generale
le scienze vi fossero depresse, e che le relative voci non fossero affidate a
studiosi di provato e, spesso, di grande valore. Il lavoro svolto nelle
Università di Roma e di Pisa, l'Enciclopedia, e quindi l'Università Bocconi di
Milano, l'Istituto per il Medio e l'Estremo Oriente, il Centro nazionale di
studi manzoniani (di cui G. è stato nominato commissario, e che è affidato alle
cure sapienti di Barbi e del suo collaboratore Ghisalberti) non resero però
meno intensa la sua attività di studioso. Certo, venne meno in G. la
possibilità e, con questa, anche l'interesse, di coltivare la ricerca storica
nelle forme che questa aveva assunto, presso di lui, negli anni precedenti. Ma
nel 1931, rielaborazione di un corso tenuto nell'Università di Roma, dove (come
già si è ricordato) era succeduto al Varisco sulla cattedra di filosofia
teoretica, il G. pubblicava La filosofia dell'arte, documento di aspra polemica
anticrociana, ma anche, nello stesso tempo, rielaborazione dell'idealismo
attuale dal punto di vista del sentimento, interpretato ora come una sorta di
grande Grundakkord, presentante tratti di essenzialità e precategorialità della
stessa vita spirituale. E quindi pubblicava l'Introduzione alla filosofia,
raccolta di scritti concernenti l'esame dei concetti fondamentali della
filosofia, studiati e prospettati dal punto di vista conseguito dall'idealismo
attuale. E senza la pretesa di ricordare tutti i tanti scritti, spesso di varia
occasione, che egli allora compose e con i quali fu presente nel dibattito e
nella vita culturale del paese, converrà tuttavia far menzione degli scritti
dedicati ai poeti, e cioè, in pratica, a Dante (La profezia di Dante, Roma; Il
Purgatorio, Firenze), a Manzoni e infine a Leopardi, il più amato, e quello
altresì al quale dette forse il contributo, in questo campo della critica letteraria,
più notevole (Manzoni e Leopardi, Milano; Commemorazione di Leopardi, Roma;
Poesia e filosofia di Leopardi, Firenze). Se la si osserva dall'alto, e
la si scruta nel non breve periodo seguito alle battaglie per la riforma della
scuola, contro il concordato, per l'istituzione del giuramento da imporre ai
professori delle università, la vita di G. sembra, come si è detto, svolgersi
prevalentemente all'interno delle istituzioni culturali delle quali ebbe la
cura. E qui, fra le luci e le ombre di queste molteplici attività, che lo
condussero anche all'acquisto della Sansoni, si ha quasi l'impressione che il
personaggio sfugga a una definizione; che, malgrado la sua spesso ingombrante
presenza, ci fosse in lui qualcosa di segreto, di irriducibile, con il quale
egli era forse il primo a non voler prendere, fino in fondo, contatto.
L'uomo era orgoglioso, sicuro di sé: tollerante, come si è detto, ma anche
deciso e prepotente. E non avrebbe mai consentito che qualcuno spingesse, o
provasse a spingere, lo sguardo per andare al di là di quella spessa corazza
attivistica, dietro la quale si muovevano forse più cose di quante amici,
nemici, egli stesso supponessero. Mentre impediva che altri penetrasse nel suo
animo, non era certo lui quello che fosse disposto ad aprirlo perché egli
stesso vi guardasse dentro. Un contributo gentiliano alla "critica"
di sé stesso sembra, francamente inconcepibile. Non senza perciò che un moto di
stupore si determinasse nell'ambito di chi vi conduceva qualche ricerca, dal suo
archivio sono emersi alcuni inediti dedicati alla questione della morte, ossia
a un tema, per il teorico dell'idealismo attuale, insidioso fin quasi al limite
dello "scandalo" (filosofico). Da qualche altro indizio
documentario può desumersi che se la fedeltà che lo legava al FASCISMO non
venne meno e intatta rimase l'ammirazione per Mussolini e inconcussa la fiducia
in lui, nei confronti del razzistico nazionalsocialismo il G. mostrò tutt'altro
che inclinazione o simpatia. Il che peraltro non gli impedì di accettare senza
discussione alcuna la guerra che coinvolse tragicamente anche l'Italia. Nei tre
anni successivi - in quei tre anni così gravi di disastri, di distruzioni, di
sconfitte, e anche di dolorosi lutti familiari, mentre il nesso che aveva unito
le coscienze alla patria si spezzava, perché la difesa di questa non
s'identificava più, per molti, con la difesa della libertà, da vent'anni
perduta -, in questi tre anni G. scelse il silenzio; che fu rotto solo in poche
occasioni: quando esaltò in un articolo il Giappone guerriero, che, nei modi
noti era entrato in guerra attaccando gli Stati Uniti d'America; e quindi con
il famoso discorso agli Italiani del 24 giugno 1943. È difficile dire
come, dentro di sé, G. valutasse il dissenso politico sempre più vivo nei
confronti del regime, e che egli non poteva non cogliere nei giovani con i
quali, a Roma e a Pisa, aveva frequente contatto: anche se è indiscutibile che
di quel dissenso, di quell'avversione, del progressivo distacco dal fascismo di
molti che pure in questo avevano creduto e riposto speranze, egli non
partecipò, chiuso nel suo sentimento di fedeltà come in una fortezza della
quale convenisse non abbassare, bensì, piuttosto, tenere ben alzati i ponti
levatoi. È questa, come si sa, la ragione per la quale egli accettò
l'invito rivoltogli dal segretario del partito fascista, Scorza, di pronunziare
dal Campidoglio un discorso che si rivolgesse agli Italiani, impegnati nella
terribile prova della guerra e che, da qualche settimana avevano ormai il nemico
in casa, fortemente attestato nella terra siciliana. Accettò l'invito che
altri, interpellati prima di lui, avevano declinato. Salì sul Campidoglio, e
pronunziò il suo discorso, che alcuni lodarono per il coraggio che aveva
dimostrato e per il rischio al quale aveva in tal modo esposto la sua persona,
e altri invece fortemente deplorarono e criticarono, cogliendovi come il segno
della sua perdizione, del suo ribadito essersi reso estraneo a quel suo più
profondo "sé stesso" dal quale non pochi avevano tratto una lezione
di libertà. Certo, con quel suo discorso, così teso, così eloquente e così,
politicamente, ingenuo, G. mostra intero il dramma, anzi rivelò la tragedia
nella quale, forse al di là della sua stessa consapevolezza, si
dibatteva. Poi vennero la caduta di Mussolini e del fascismo, le
umiliazioni che egli dovette subire quando il suo antico segretario al
ministero della Pubblica Istruzione, Severi, divenuto a sua volta ministro nel
governo formato da Badoglio, rese, senza alcuna seria ragione, pubbliche tre
lettere che gli erano state da lui privatamente indirizzate a proposito, sopra
tutto, di questioni concernenti la Scuola normale superiore di Pisa. Il che
provocò giudizi aspri su di lui sia da parte dei fascisti che lo ritennero
pronto a mettersi al servizio dei nuovi governanti, sia da parte di non pochi
antifascisti uniti ai primi, in questo caso, da un non diverso giudizio.
Poi venne l'8 settembre, la cui notizia il G. apprese mentre si trovava a Roma,
dove si era recato uno o due giorni prima, per affari personali, da Troghi, un
piccolo paese sito a pochi chilometri da Firenze, nel quale, in una casa di
campagna messa a disposizione sua e della sua famiglia dall'amico G. Casoni,
aveva trascorso i mesi estivi, occupato a scrivere Genesi e struttura della
società, il suo ultimo libro, estremo frutto di un corso di lezioni tenute
all'Università di Roma. E le settimane successive furono quelle in cui,
liberato Mussolini, e formatosi, con la proclamazione della Repubblica sociale,
un governo fascista con sede a Salò, egli ricevette, tramite Biggini, divenuto
ministro dell'Educazione nazionale, l'invito a recarsi al Nord per un incontro
con il capo del governo, il "vecchio amico" al quale, ancora una
volta, non poté non concedere quel che quello gli chiedeva. Così fu nominato
presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita da Roma a Firenze, dove fu
sistemata a palazzo Serristori. E qui, dopo che il "commovente"
incontro con l’amico" Mussolini aveva come riacceso in lui il desiderio di
non starsene in disparte e, invece, di combattere la sua ultima battaglia, egli
riprese il lavoro, cercando di riorganizzare l'Accademia e lavorando con i
pochi soci che vi si recavano, assumendo la direzione della Nuova Antologia,
cercando di riprendere contatti, e rapporti, per avviare nuove imprese. Ridette
vita e autonomia, e questa è una circostanza singolare, la cui genesi
richiederebbe qualche studio e attenzione, all'Accademia dei Lincei che infine
era stata in parte assorbita nell'Accademia d'Italia, e quindi soppressa. E
riprese ancora a collaborare ai giornali, perché, mentre gli eserciti alleati
risalivano la penisola e alla guerra che investiva le città e le campagne
un'altra si aggiungeva, di Italiani contro Italiani, gli sembrò che non si
potesse non far di nuovo risuonare il tema della concordia e dell'unità.
Era un suo vecchio tema, una sua convinzione tenace che, nel livido e tragico
teatro che era allora l'Italia, fu qual era stata durante la crisi seguita
all'assassinio di Matteotti, e quindi al tempo del giuramento fascista imposto
ai professori universitari, anche se, risuonando nella solitudine e nel gelo
che circondavano la sua persona, il suo accento risultasse ancora più livido,
ancora più tragico. G. riprese quel tema nel fosco crepuscolo dell'Italia
fascista, forte lui della convinzione che gli Italiani sarebbero tornati a
esistere come soggetti politici solo se fossero retroceduti al di qua delle
ideologie e qui, in questo luogo ideale, avessero ritrovato la loro unità e
identità di Italiani. Era una convinzione nutrita di illusione; e che fosse
tale, si comprende non solo se le sue parole siano ripensate nel clima di quel
tragico inverno, ma anche se si riflette sullo scambio logico sul quale, ancora
una volta, si fondavano, e che si rivela non appena si consideri che per un
verso sembrava che la conciliazione, la concordia, la ritrovata unità e
identità dovessero realizzarsi in un luogo ideale, irraggiungibile dalle
ideologie, dal fascismo, dunque, e dall'antifascismo, mentre per un altro era la
Repubblica sociale a rappresentare, nel segno dell'italianità, quel luogo
ideale. Ancora una volta le diverse componenti della sua anima, quelle
che, nel loro contrasto, conferiscono alla sua personalità un'inconfondibile
dimensione tragica, urtarono violentemente l'una contro l'altra. E la fedeltà
mantenuta usque ad mortem al fascismo si accompagnò alla protesta che egli più
volte elevò contro le atrocità alle quali intanto si dava luogo, da parte dei
fascisti, con torture, uccisioni, gravi violenze. La sua morte, avvenuta
per mano di un commando partigiano comunista, che lo attese nei pressi della
Villa Montalto al Salviatino, sulle colline di Firenze dalla parte di Fiesole,
nella tarda mattina, al suo ritorno a casa dopo la mattina trascorsa al lavoro
a palazzo Serristori, fu perciò anch'essa una morte violenta. E suscitò molta
emozione, anche fra coloro che lo avevano combattuto e mai avevano perdonato a
lui, filosofo dell'atto e della sua assoluta libertà, la scelta fascista, cui
era rimasto fedele. Due domande, semplici, ovvie e altrettanto
inevitabili, si pongono, e sono state poste, a proposito della sua ultima
scelta politica e sulle ragioni che determinarono la decisione di ucciderlo. E
la risposta non è, per quanto concerne la seconda, altrettanto semplice di
quella che può e deve darsi alla prima. Alla Repubblica sociale il G. aderì per
le ragioni da lui stesso addotte; perché si trattava non di scegliere di nuovo,
ma di ribadire, nel momento del supremo pericolo, la scelta fatta vent'anni
innanzi. E non c'era calcolo politico che bastasse a mettere in crisi questa
decisione, perché l'intero universo si concentra e vive nell'atto puro, e quel
che resta fuori non è se non calcolo, astuzia: ossia, a rigore, niente. Alla
seconda domanda rispondere si potrà in modo adeguato quando nuovi documenti
interverranno a far luce nelle molte zone oscure che tuttora impediscono di
vedere tutta la verità; che emergerà quando e se emergerà: e allora si vedrà
fino a che punto nella decisione di uccidere il G. che aveva rinnovato il suo
legame con il fascismo e con Mussolini siano entrate anche valutazioni
politiche non direttamente note a quanti, sulla collina fiorentina, spezzarono
il filo della sua vita. Qui basterà ricordare che nella chiesa di S. Croce, in
Firenze, il nome del G. indica, sul pavimento, il luogo della sua
sepoltura. Opere. Le opere complete del G., raccolte via via durante la
vita dell'autore, prima da Laterza (Bari), poi da Treves-Tumminelli (Milano e
Roma), quindi da Sansoni (Firenze), furono riprogettate e stampate dopo la
morte del G. e la fine della guerra mondiale da questo medesimo editore, al
quale subentrò negli ultimi anni, ma senza alcuna mutazione di veste
tipografica e di caratteri, l'editrice Le Lettere, sempre di Firenze. L'edizione
definitiva rispetta fondamentalmente le partizioni già previste dal G., e cioè:
Opere sistematiche; Opere storiche; Opere varie alle quali due si aggiungono,
una IV, Frammenti, e una V, Epistolari. A queste cinque partizioni si è unita
di recente, una VI di Scritti inediti e vari, nella quale sono apparsi fin qui
Eraclito. Vita e frammenti (con il facsimile del manoscritto della traduzione
di Diels), a cura Cavallera, premessa di Adorno, Firenze 1996, e La filosofia
della storia. Saggi e inediti, a cura di Schinaia, premessa di Garin. A parte
questi due ultimi, i volumi fin qui pubblicati delle Opere complete sono
quarantanove, perché ancora in preparazione risulta il XXIX, dedicato a
Spaventa; e aumenteranno, negli anni a venire, nella sezione comprendente i
Carteggi, alcuni dei quali sono già in lavorazione, come quello con G.
Calogero, a cura di C. Farnetti, e l'altro con G. Chiavacci, a cura di M.
Simoncelli. Qui converrà ricordare in quanto inserite nel testo
della voce le principali opere del G.: Rosmini e Gioberti, Pisa; La filosofia
di Marx, ibid. 1899; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia,
Bari; I problemi della scolastica e il pensiero italiano; La riforma della
dialettica hegeliana, Messina; Sommario di pedagogia come scienza filosofica,
I, Pedagogia generale, Bari; II, Didattica, ibid.; Teoria generale dello
spirito come atto puro, Pisa; I fondamenti della filosofia del diritto, ibid.;
Sistema di logica come teoria del conoscere, La logica dell'astratto, La logica
del concreto, Bari; Le origini della filosofia contemporanea in Italia,,
Messina; Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, Firenze; La
filosofia dell'arte, Milano; Introduzione alla filosofia, ibid.; Genesi e
struttura della società, Firenze. Fra i carteggi, quello con Croce,
comprendente le sole lettere del G., è raccolto in Lettere a B. Croce, cur. di
Giannantoni, Firenze (il testo di riferimento è Croce, Lettere a Gentile, a
cura di Croce, con introd. di Sasso, Milano). Ma sono anche usciti: G. - Jaja,
Carteggio, a cura di Sandirocco, Firenze; G. - Omodeo, Carteggio, a cura di
Giannantoni; G. - Maturi, Carteggio, a
cura di Schinaia, Gentile - Pintor, Carteggio, a cura di E. Campochiaro, Fonti
e Bibl.: Tre sono le biografie fin qui dedicate a G.: Lalla, Vita di G.,
Firenze; Romano, G.: la filosofia al potere, Milano; G. Turi, G. G.: una
biografia, Firenze. Si aggiungano i ricordi e le testimonianze di Gentile: G.:
dal Discorso agli Italiani alla morte, Firenze; Ricordi e affetti, Firenze.
Sulla uccisione di G., v. Canfora, La sentenza. Marchesi e G., Palermo, dove si
trova l'indicazione della precedente bibliografia relativa a questa pagina non
ancora definitivamente scritta. Cfr. anche Sasso, La fedeltà e l'esperimento,
Bologna. La bibliografia su G. è assai ampia: per gli scritti di G. ci si deve
ancora servire della Bibliografia degli scritti di G., a cura di V.A. Bellezza,
in G.: la vita e il pensiero, Firenze, e anche di Il pensiero di G. Gentile.
Atti del Convegno, Roma. Per gli scritti, si veda: Bonechi, Croce - G.:
bibliografia Giornale critico della filosofia italiana. In questo ambito per un
primo orientamento si può innanzi tutto cercar di distinguere fra quanto di e
sul G. è stato scritto dai principali discepoli delle sue due scuole, la
palermitana e la romana, e cioè da V. Fazio-Allmayer, da Omodeo, Albeggiani,
Ruggiero, e quindi Spirito, Volpicelli, Volpicelli, Calogero, Chiavacci, lo
stesso Carlini, ecc. in ciascuna delle loro opere, e quanto invece al pensatore
siciliano è stato dedicato con esplicita intenzione storiografica. Non sempre
agevole da rispettare, la distinzione può tuttavia essere di qualche utilità; e
qui si indicheranno gli scritti appartenenti alla seconda classe (mentre per la
storia "filosofica" dell'attualismo, può vedersi Negri, G. G.,
Firenze; cfr. anche A. Lo Schiavo, Introduzione a G., Bari). Sono, innanzi
tutto, da tener presenti gli studi raccolti nei quattordici volumi della serie
G.: la vita e il pensiero, Firenze. Si veda quindi: G. De Ruggiero, La filosofia
contemporanea, Bari; U. Spirito, Il nuovo idealismo italiano, Roma; Id.,
L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze; La Via, L'idealismo attuale di
G. G., Trani; Sarlo, G. e Croce. Lettere filosofiche di un superato, Firenze;
Calogero, Il neohegelismo nel pensiero contemporaneo, in Nuova Antologia; Holmes,
The idealism of G. G., New York Carabellese, L'idealismo italiano, Roma; Guzzo,
Sguardi sulla filosofia contemporanea, Roma, Ciardo, Un fallito tentativo di
riforma dello hegelismo: l'idealismo attuale, Bari; E. Garin, Cronache di
filosofia italiana, Bari; Harris, The special philosophy of G. G., Urbana, IL;
A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova Spirito,
G., Firenze, Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano; Bellezza, La
problematica gentiliana della storia, Roma; Noce, G. G.: per una
interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Negri,
L'inquietudine del divenire. G. G., Firenze, Sasso, Filosofia e idealismo, G.,
Napoli. Armando Girotti. Girotti. Keywords: la curva, la curva della bellezza,
la linea, la linea della bellezza, storia storica, non filosofica – unita
longitudinale – longamiranza, distillizione filosofica – Gentile, il Gentile di
Girotti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girotti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Gitio: la ragione conversazionale e a setta di Locri -- Roma – scuola
di Locri – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Locri,
Calabria -- According to Giamblico, a Pythagorean.
Luigi Speranza – GRICE ITALO; ossia, Grice e Giudice:
la ragione conversazionale al rogo -- l’implicatura conversazionale di Bruno – filosofia
napoletana – scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
Italiano. Napoli, Campania. Grice: Grice: “Giudice amply proves my trust in the
worth of the longitudinal unity of philosophy, for Giudice has unearthed some
philosophical minutiae in Bruno – like his tract to Sir Philip Sidney on
‘Atteone,’ which are jewels of implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno
is interesting: it’s not all saints like Aquinas; they had hereetics, too – and
usually the heretics had a better philosophical background – into what the
Italians called the lovely ‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford
in pre-lib days!” -- Grice: “If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the
Italians prefer ‘brunista’ or ‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the
full surname – if it is ‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” Essential Italian philosopherwho has studied in depth
the origin of philosophy in the Eleatic school. Si laurea a Napoli e studia BRUNO e la filosofia del
rinascimento. Fonda la Societa Bruno. Altre opera: “BRUNO” (Marotta e
Cafiero Editori, Napoli); “La coincidenza degl’opposti” (Di Renzo, Roma); “Bruno,
Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo, Roma); “Due Orazioni. Oratio
Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo, Roma, “La disputa di Cambrai.
Camoeracensis acrotismus, Di Renzo, Roma); “Il Dio dei Geometri” quattro dialoghi,
Di Renzo, Roma); “Somma dei termini metafisici”; “Tra alchimisti e Rosacroce,
Di Renzo, Roma, “Io dirò la verità. Intervista a Bruno, Di Renzo, Roma, “Contro
i matematici, Di Renzo, Roma, “Il profeta dell'universo finite” – “Epistole
latine, Fondazione Luzi,. Scintille d'infinito” (Di Renzo Editore). BRUNO,
Giordano (Philippus Brunus Nolanus; Iordanus Brunus Nolanus, il Nolano). Nacque
a Nola, nel Regno di Napoli, figlio di Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa
Savolino: è battezzato con il nome Filippo. Della città natale, dove trascorse
l'infanzia e iniziò i primi studi, conserva poi sempre un ricordo nostalgico. Si
reca a Napoli per studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe
come maestri il Sarnese (COLLE (si veda)), filosofo di tendenze averroiste, e
fra' Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui ricordato in seguito con sincera
ammirazione. La lettura di uno scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da
allora in lui l'interesse per la mnemotecnica. Con una incipiente
formazione laica, entra come chierico nel convento napoletano di S. Domenico
Maggiore, dove assunse il nome Giordano (forse in onore del domenicano fra'
Giordano Crispo, maestro allo Studio) e quel nome ritenne poi sempre, salvo che
per una breve parentesi. Mal compatibile, per carattere e prima formazione, con
la regola conventuale incorse nelle prime infrazioni per aver spregiato il
culto di Maria, nonché quello dei santi (una denuncia contro di lui venne
allora stracciata dal maestro dei novizi). Con cautela va accolta la
notizia da lui in seguito fornita (Doc. parigini) di un invito a Roma per
mostrare la propria abilità mnemonica a Pio:va però notato che allo stesso
pontefice il B. dichiarò di aver dedicato L'arca di Noè,operetta smarrita di
argomento morale (Dialoghi italiani). Ordinato suddiacono e poi diacono,
venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i ventiquattro anni, e celebrò la
prima messa nella chiesa del convento domenicano di S. Bartolomeo a Campagna,
presso Salerno. Dopo aver soggiornato in altri conventi del Napoletano, fece
ritorno allo Studio di S. Domenico Maggiore in Napoli come studente formale di
teologia: il curriculum quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e
terza parte della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della
Summa,alternabile con il quarto libro delle Sentenze di PLombardo esposte da
Capreolo). È da ritenere che il B. abbia superato gli esami annuali, e quelli
di licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est quicquid dicit D. Thomas
in Summa contra Gentiles" e "Verum est quicquid dicit Magister
Sententiarum" (Doc. parigini). Tali studi, se da una parte
suscitarono in lui una non mai smentita ammirazione per l'opera d’AQUINO (si
veda), d'altra parte dovettero ingenerargli quel fastidio per "les
subtilitez des scholastiques, des Sacrements et mesmement de
l'Eucharistie" (Doc. parigini,), con il conseguente disinteresse per la
problematica teologica manifestato in seguito nelle proprie opere come pure,
più tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò per contro
interesse per opere estranee al curriculum, nonché decisamente vietate, quali i
"libri delle opere di S. Grisostomo e di S. Ieronimo con li scolii di
Erasmo" (Doc. veneti). Ciò che, unitamente all'espressione dei propri
dubbi circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla eresia ariana,
portò all'istruzione di un processo a suo carico da parte del padre provinciale
(con l'occasione venne ricostruito anche il precedente atto d'accusa già
distrutto): in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come
sospetto di eresia. Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò
ad abbandonare il convento e la città, probabilmente nel febbraio 1576, e nello
stesso mese dové giungere a Roma, dove prese alloggio nel convento di S. Maria
sopra Minerva, confidando forse che il proprio caso passasse ignorato tra i
disordini che turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto in tali
disordini e imputato di "aver gettato in Tevere chi l'accusò, o chi
credette lui che l'avesse accusato a l'inquisizione" (Doc. veneti, I):
imputazione infondata (come è mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle
successive vicende processuali), con tutto che un secondo processo contro di
lui venne istruito dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di
quell'anno, saputo che i propri libri erasmiani erano stati rintracciati a
Napoli, B., deposto l'abito, abbandonò Roma, raggiunse GENOVA e si trattenne a insegnando
la grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini (Doc. veneti).
Da NOLI passa a SAVONA e quindi a Torino; di lì, non avendovi trovato
trattenimento a sua satisfazione", si recò a Venezia, dove si trattenne
non più di due mesi, facendovi stampare, allo scopo di guadagnare qualcosa,
"un certo libretto intitolato De' segni de' tempi", da lui fatto
esaminare dal domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A Padova
fu persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non avesse
voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo essersi recato, per Brescia,
a Bergamo. Toccata Milano, lasciò l'Italia attraverso la Savoia, diretto a
Lione: giunto a Chambéry e avvertito dai domenicani locali dell'ostilità che
avrebbe incontrato nella regione, si trasferì a Ginevra, dove fin dal 1552 una
comunità evangelica italiana era stata fondata dal marchese Gian Galeazzo
Caracciolo di Vico. A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito, il B. si
guadagnò da vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta tuttavia che
egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto dalla immatricolazione
universitaria autografa, quanto da un processo per diffamazione ai danni del
titolare di filosofia Antoine de la Faye, istruito contro di lui dal
concistoro: B. venne riconosciuto colpevole e virtualmente scomunicato. Dopo un
debole tentativo di difesa, egli si riconobbe colpevole, pregò di essere
riammesso alla cena, e il giorno 27 venne prosciolto dalla scomunica. Tale
episodio (che avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere mediante la
propria polemica anticalvinista) determinò la sua partenza da Ginevra.
Recatosi questa volta a Lione, non avendovi trovato modo di sostentarsi, vi si
trattenne solo un mese e si recò quindi a Tolosa, che era proprio in quel tempo
uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò che dimostra la portata della
sua reazione anticalvinista, confermata anche dal tentativo che allora fece di
ottenere l'assoluzione da un padre gesuita. La mancata assoluzione, "per
esser apostata" (Doc. veneti), non gli impedì di essere invitato "a
legger a diversi scolari la Sfera, la qual lesse con altre lezioni de filosofia
forse sei mesi" (Doc. veneti), nonché di conseguire il titolo di magister
artium: ed ottenere per concorso il posto allora vacante di lettore ordinario
di filosofia: onde lesse, "doi anni continui, il testo del LIZIO De anima
ed altre lezioni de filosofia". Da accenni fatti più tardi dallo stesso
B., è dato inferire che il suo insegnamento incluse lezioni di fisica,
matematica e lulliane. Risale a quest'epoca la composizione della Clavis magna,
trattato mnemotecnico-lulliano rimasto inedito e smarrito. Si delineò una
ripresa della lotta tra cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare Tolosa
"a causa delle guerre civili" (Doc. veneti, IX). Trasferitosi a
Parigi, vi intraprese "una lezion straordinaria", cioè un corso di
trenta lezioni su altrettanti "attributi divini, tolti d'AQUINO (si veda)
dalla prima parte, che alcuni vogliono costituisse l'operetta inedita e
smarrita "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali"
(Doc. veneti). A Parigi non poté accettare un lettorato ordinario per l'obbligo
- che, come apostata, non volle assumersi - di frequentare la messa; tuttavia
conseguì tale rinomanza mediante il lettorato straordinario, che, come ebbe a
dichiarare egli stesso, "il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno,
ricercandomi se la memoria che avevo e che professava, era naturale o pur per
arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e feci
provare a lui medesimo, conobbe che non era per arte magica ma per scienza"
(Doc. veneti): episodio che ben si comprende tenendo conto del fatto che la
corte francese era frequentata da intellettuali come Perron e Tyard di cui sono
noti gli interessi per il sapere enciclopedico e l'arte della memoria come
strumenti per un piano di riforma culturale. Tuttavia i rapporti del B. con la
corte - che sarebbero durati, direttamente o indirettamente, per circa un
quinquennio - si spiegano altresì sul piano ideologico-politico, ove si tenga
conto dell'analogia tra l'equidistanza bruniana dal rigorismo cattolico e da
quello protestante, e la posizione mediana dei politiques, che controllavano la
corte, tra l'estremismo cattolico dei ligueurs e quello protestante degli
ugonotti. Durante questo primo soggiorno parigino apparvero a stampa le
prime operette bruniane a noi pervenute: il Deumbris idearumcon raggiunta
dell'Arsmemoriae, opera mnemotecnica e lulliana stampata da Gourbin, da B.
dedicata ad Enrico III, il quale "con questa occasione lo fece lettor
straordinario e provisionato" (Doc. veneti, IX: egli venne cioè a far
parte del gruppo dei lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo
aristotelico della Sorbonne); seguì, nello stesso anno, il Cantus circaeus,
operetta mnemotecnica stampata da Gilles e dedicata, per conto del B., da Regnault
ad Angoulême, fratello naturale del re, essendo B. stesso "gravioribus
negociis intentus" (Opera); quindi il De compendiosa architectura et
complemento Artis Lullii (Gourbin) dedicata dal B. all'ambasciatore veneto
Giovanni Moro. La prima parte del De umbris rielabora materiale lulliano
e mnemotecnico ai fini di una ricerca gnoseologica che presuppone,
platonicamente, una corrispondenza tra mondo fisico e mondo ideale; la seconda
e terza parte costituiscono un manuale mnemotecnico per cui il B. attinge in
particolare al ravennate (l'impostazione didascalica è ripresa nell'Ars
memoriae, in cui elementi della tradizione astrologico-ermetica si inseriscono
nella elaborazione lulliana e mnemotecnica, fermo restando l'intento
gnoseologico). Il Cantus circaeus, in due dialoghi, presenta un'applicazione
concreta dell'ars esposta nel De umbris, non senza un'intenzione satirica che
sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa architecturarielabora gli
elementi tecnici del lullismo allo scopo di offrire uno strumento gnoseologico
per cui l'ordine universale risulta riflesso nello schema simbolico. B.
terminava la composizione dell'unica sua commedia, il Candelaio, stampata prima
della fine dell'anno (anteriormente forse al De compendiosaarchitectura) da
Guillaume Julien figlio. Sul frontespizio l'autore si definiva "Academico
di nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia hilaris, in hilaritate
tristis. Il Candelaio, scritto in un volgare popolaresco ricco di
napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione burlesca
rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della retorica
classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con l'Ordine, né è da
escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima dell'allontanamento
dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio napoletano di non
sicura identificazione, la commedia, di ambientazione appunto napoletana - la
cui azione si svolge vicino al seggio di Nilo" - investe satiricamente tre
materie principali e l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la
pedanteria di Manfurio", in una sorta di applicazione alla vita morale del
principio bruniano della corrispondenza e identificazione dei distinti
nell'uno. Fin dalle pagine preliminari si notano del resto motivi che,
riallacciandosi alla base teoretica dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica
delle operette latine, anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi
filosofici ("Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla
s'annichila; è un solo che non può mutarsi..."). Dalla dedica del
Candelaio si sono desunti due titoli di presunte opere smarrite del B. (Gli
pensier gai e Il troncod'acqua viva), mentre nell'atto I, scena II, si trova
citata un'ottava ("Don'a' rapidi fiumi in su ritorno") di un
"poema" inedito e smarrito, cui appartiene forse anche l'ottava
"Convien ch'il sol, donde parte, raggiri" citata tre anni dopo negli
Eroici furori. L'ambasciatore inglese a Parigi, Cobham, inviava un
preoccupato messaggio al primo segretario del Regno d'Inghilterra, Walsingham,
informandolo dell'intenzione del B. di passare in Inghilterra: la
preoccupazione concerneva l'ambigua posizione bruniana in fatto di religione.
L'arrivo del B. in Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III
per il proprio ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de
Castelnau (cui era affidato il compito delicato di sostenere la causa di Maria
di Scozia presso la regina) -, è da porre nell'aprile. Da una parte il B. poté
essere indotto a lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc.
veneti) - o più esattamente per il delinearsi di quella reazione cattolica che
due anni più tardi avrebbe indotto il re a revocare gli editti di pacificazione
con i protestanti -; d'altra parte non è da escludere che il suo viaggio in
Inghilterra potesse rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a
mobilitare la corrente politique inglese ai fini di una distensione
politico-religiosa in Europa. Ma non è certo da trascurare la personale urgenza
bruniana per una sua affermazione sul piano accademico-speculativo dopo i
tentativi compiuti a Tolosa e a Parigi. Al suo arrivo in Inghilterra B.
prese dimora nella casa del Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva
altro, se non che stava per suo gentilomo" (Doc.veneti). Fa una visita a
Oxford, al seguito del conte palatino Laski: in tale occasione, pur non facendo
parte degli oratori designati, sostenne un pubblico dibattito con i dottori
oxoniensi, in particolare con il teologo Underhill, richiamandosi alla logica
aristotelica in polemica con le posizioni ramiste. Rientrato a Londra, è da
ritenere che indirizzasse allora la sua pomposa lettera Ad excellentissimum
Oxoniensis Academiae Procancellarium, clarissimos doctores atque celeberrimos
magistros (allegata ad alcuni esemplari della Explicatio triginta sigillorum),
con la quale faceva istanza per l'ottenimento di una lettura a Oxford. Sebbene
dai registri universitari non risulti che B. abbia tenuto un corso formale in
quella sede, la sua stessa testimonianza di avervi tenuto "pubbliche
letture, e quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplici
sphaera" (Dialoghi italiani: vedi Doc. parigini, I, e Opera), risulta
confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot (cfr. McNulty), il
futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro del Balliol, da cui si apprende
che, dopo la prima visita a Oxford, il B. vi tornò nel corso della stessa
estate e vi iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria
copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei cieli: anticipando
quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei dialoghi londinesi stampati
l'anno seguente. Così il B. come l'Abbot concordano nell'affermare che tale
corso venne interrotto per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico Martin
Culpepper, guardiano di New College, e Matthew, decano di Christ Church,
avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De vita
coelitus comparanda: ciò che può essere inteso con riferimento ai prestiti
ficiniani nella terminologia bruniana). Interrotto il corso dopo la terza
lezione, rientrò a Londra, presso il Castelnau, ribadendo il proprio
atteggiamento antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme
antiumanistica. A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e
speculativa sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte,
sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie già respinte dal
pubblico universitario inglese. La prima opera pubblicata a Londra è un
volumetto contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum
(preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli Oxoniensi) e il
Sigillus sigillorum. Solo per l'Explicatio e per la lettera è possibile
precisare l'officina tipografica, che è quella di Charlewood, dalla quale
sarebbero uscite tutte le rimanenti opere londinesi. L'Ars reminiscendi
è, con lievi varianti, una riproduzione dell'ultima parte del Cantus circaeus.
Gli scritti che seguono portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole
di riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei triginta sigilli
mostra che questi rappresentano la sintesi formale dei segni ovvero ombre delle
cose e delle idee. Dalla Triginta sigillorum explicatio appare manifesto il
presupposto gnoseologico del complesso simbolismo mnemotecnico bruniano. Nel
Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità del processo
conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la fondamentale unità
dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi propri alla tradizione
platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni e tendenze
d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo" del Sigillusfa
di quest'opera il legittimo antecedente della serie dialogica italiana. Il
mercoledì delle Ceneri, B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul
moto della Terra nella "onorata stanza" di Greville, a Whitehall, in
compagnia di Florio e del medico Gwinne, essendo presenti due dottori oxoniensi
sostenitori del sistema geocentrico e un cavaliere di nome Brown (in sede
processuale tale riunione venne dichiarata come avvenuta invece in casa del
Castelnau). La conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla
intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si licenziò dall'ospite
e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata
nello stesso anno). Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il
B. enuncia in questi dialoghi la propria cosmografia: movendo
dall'eliocentrismo copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione
originale dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati
della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del B. in Inghilterra, la corrente
scientifica distaccatasi dalle università e sostenuta dalla corte elisabettiana
(Recorde, Dee, Field, Digges) aveva mostrato un certo interesse per le teorie
copernicane: è in questa corrente appunto che si inserisce ormai l'attività
inglese di B., sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una
moderna teoria astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del latino e
adozione del volgare per trattazioni scientifico-speculative) e perfino
politiche (adesione alla moderata fazione puritana capeggiata da Dudley, conte
di Leicester, nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano Cecil: ciò
che ci è rivelato dal confronto tra la prima e la seconda redazione del dialogo
II della Cena). Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore
francese, la Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte
contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte trascende
l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della pluralità dei mondi
nell'universo infinito (non senza la suggestione implicita della definizione ermetica
di Dio, come sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non
si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva l'affermazione
dell'infinito effetto della causa infinita, nonché l'interpretazione prammatica
di quei passi delle Scritture che concordano con la concezione vulgata
dell'universo. L'impostazione polemica dell'opera investe, nel dialogo
II, tutti gli strati della contemporanea società inglese mediante una
rappresentazione vivacemente realistica. B., pur adottando la forma dialogica
della tradizione speculativa rinascimentale, la piega alle esigenze della
propria polemica, accostandosi non di rado alla maniera parodica della
tradizione aretiniana: onde non manca la satira della pedanteria grammaticale
oltre che di quella peripatetica. Gli attacchi contenuti nella Cena alla
università di Oxford e alla società inglese suscitarono una forte reazione
negli ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con una serie di
offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli addetti
all'ambasciata francese e contro, la stessa sede diplomatica. Nell'emozione del
momento il B. poté ritenersi oggetto diretto di quella reazione anticattolica:
è certo tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di
quelle simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui l'esigenza di
premettere ai già composti quattro dialoghi speculativi De la causa, principio
et uno, un dialogo "apologetico" che si risolse però,
caratteristicamente, in un ribadimento della propria polemica, salvo un
riconoscimento esplicito della validità della tradizione speculativa oxoniense
anteriore alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in
particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei nuovi dialoghi,
dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di poco quella della Cena. Il primo
dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro anche per i diversi
interlocutori (tra questi Elitropio è Florio, mentre Armesso sembra
identificabile con Gwinne); notevole, tra gli interlocutori dei rimanenti
dialoghi, lo scozzese Alexander Dicson Arelio (nativo di Errol), discepolo
londinese del B. e autore di un'opera mnemotecnica, De umbra rationis et
iudicii ispirata al De umbris bruniano: l'opera era stata attaccata da William
Perkins, ramista di Cambridge, il quale non mancò di accomunare i nomi di B. e
del Dicson nella sua riprovazione del metodo mnemonico classico considerato in
opposizione a quello ramista. La presenza di questo interlocutore, insieme con
l'attacco frontale a Ramo nel dialogo III, può valere a farci considerare la
Causa come opera di letteratura militante nell'ambito della contemporanea
polemica ramista (per l'aspetto politico non va dimenticato che l'attività del
Dicson era in linea con il programma politique). I quattro dialoghi più
propriamente speculativi della Causa concernono la definizione dei tre termini
enunciati nel titolo: "causa" e "principio" sono intesi,
rispettivamente, come la "forma" e la "materia" che,
indissolubilmente unite, costituiscono l'"uno", cioè il
"tutto". Movendo dalla critica dei postulati della tradizione
aristotelica, e non senza ricorso alle formulazioni di stampo neoplatonico ed
ermetico, B. giunge in tal modo a fornire una originale base teoretica alla
propria cosmologia già in parte enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata
nei dialoghi De l'infinito. Il motivo della satira antipedantesca si
accentua nella Causa con una aderenza polemica alle posizioni culturali delle
due università inglesi. Il ritmo serrato con cui alla pubblicazione della
Cena e della Causa segue quella dei dialoghi De l'infinito, universo e mondi e
dello Spaccio de la bestia trionfante si spiega tenendo conto del fatto che B.
doveva aver elaborato buona parte del materiale confluito poi nei tre dialoghi
cosmologici. Anche l'Infinito porta la dedica al Castelnau, mentre lo Spaccio è
dedicato a sir Philip Sidney, nipote del Leicester, mostrandoci in tal modo la
portata dei contatti letterari, oltre che politici, dal B. avuti in
Inghilterra. Nei cinque dialoghi De l'infinito, in polemica con la fisica
aristotelica, il B. rigetta la teoria della divisibilità all'infinito e
ribadisce la propria teoria della infinità dell'universo e della pluralità dei
mondi. In questa opera risulta enunciato il pensiero bruniano sul rapporto tra
filosofia e religione conforme alla teoria averroista esposta dal Pomponazzi.
Tra gli interlocutori figura Fracastoro, tracce delle cui dottrine sono
reperibili nel dialogo; discutibile rimane l'identificazione di Albertino con
Gentili (da B. certamente incontrato a Oxford): potrebbe trattarsi invece di
personaggio nolano. La nuova concezione dell'universo esposta nei tre
dialoghi cosmologici si riflette sul piano etico con la trilogia dei dialoghi
tradizionalmente definiti "morali", a cominciare dallo Spaccio, il
cui tono satirico ravviva un'invenzione che risale, letterariamente, ai
dialoghi "piacevoli" di Niccolò Franco. Lo Spaccio espone un
piano di riforma morale che implica la critica all'etica cristiana delle Chiese
riformate non meno che di quella cattolica, in nome di un attivismo umanistico
contrapposto al tradizionale umanesimo misticheggiante e retorico.
L'ispirazione acristiana dell'etica bruniana sembra trovare conferma nella
critica - metaforicamente condotta - della duplice natura della persona del
Cristo. Non è escluso che questa opera sia da identificare con il Purgatorio de
l'inferno,titolo fornito dal B. nella Cena. Le allusioni politiche
contenute nello Spaccio sono compatibili con l'orientamento brumano favorevole
ai politiques e che risale al suo soggiorno parigino: c'è chi pur oggi continua
a ritenere che la "bestia trionfante" spodestata nello Spaccio sia da
identificare con l'intransigente Sisto V. Ma, a parte la cronologia,
sembrerebbe contrastare all'interpretazione il quadro tracciato nella Cabala
del cavallo pegaseo, con l'aggiunta dell'Asino cillenico, in cui
l'"asino", identificabile con la "bestia" dello Spaccio,
riassume il suo posto nel cielo: né sembra possibile supporre che la Cabala sia
posteriore, data della bolla con cui Sisto scomunicò il re di Navarra. Al
di là del possibile significato politico-religioso, la Cabala interessa sia per
l'accentuata satira morale rispetto allo Spaccio,sia per gli spunti speculativi
(quali il problema del rapporto tra le anime individuali e l'anima universale,
risolventesi nella negazione dell'assoluta individualità delle anime) che
valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero bruniano. L'operetta
è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano, don Sabatino Savolino, della
stessa famiglia materna di B. cui pure appartiene l'interlocutore Saulino
presente già nello Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in seguito, di aver
soppresso questa opera in quanto non piacque al volgo e ai sapienti
"propter sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra le
superstiti opere a stampa di Bruno. Il soggiorno inglese del B. non
poteva concludersi in maniera più degna che con la pubblicazione dei dialoghi
De gli eroici furori, dedicati a Sidney, in cui risultano poeticamente esaltati
i principî fondamentali della filosofia bruniana esposti nei tre dialoghi
cosmologici, mentre vi si sviluppa e precisa la portata della satira morale
contenuta nei due dialoghi etici. I dieci dialoghi De gli eroici furori
hanno come tema il conseguimento della consapevolezza dell'unione con l'Uno
infinito da parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione ficiniana
(risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico, Proclo, ecc.)
rischia di far perdere di vista il carattere "naturale e fisico" del
discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato nella dedicatoria. La
stessa adozione dei moduli platonici ("ente, vero e buono son presi per
medesimo significante circa medesima cosa significata") va in realtà
ricondotta a una sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo di
trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono
"intrinseci" e la divina luce è sempre presente"; "ogni
contrarietà si riduce a l'amicizia, "le cose alte si fanno basse, e le
basse dovegnono alte. Notevole nei Furori l'esposizione della poetica
bruniana che, movendo dalla critica delle poetiche rinascimentali nella loro
interpretazione normativa della poetica aristotelica, approda a una concezione
della poesia come letteratura applicata: di qui il ripudio della tradizione
lirica petrarchesca, pur nell'adozione prammatica di rime intonate al gusto del
tardo petrarchismo (ivi inclusi prestiti dal Tansillo e dalla Cecaria di M. A.
Epicuro). Gli interlocutori sono tutti nolani, ovvero, come il Tansillo,
amici della famiglia del Bruno. Notevole, come dato biografico dell'infanzia,
la presenza di due figure femminili: Laodamia e Giulia. B. rientrava in
Francia al seguito dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre
si trovava già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era stata vittima di
una grassazione. Al suo rientro a Parigi B. veniva a trovare un clima politico
mutato (nel luglio Enrico III aveva revocato gli editti di pacificazione e nel
settembre era stata pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse
il suo tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc.
veneti) tramite il nunzio apostolico Ragazzoni. Dedicò al filonavarrese Bene,
abate di Belleville, la Figuratio Aristotelici physici auditus, esposizione
mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in contatto con gli
italiani di Parigi, tra i quali Botero, stringendo amicizia con Iacopo
Corbinelli che lo definì "piacevol compagnietto, epicuro per la vita"
(cfr. Yates), e prese a frequentare l'abbazia di St. Victor, dove quel giorno
prese a prestito l'edizione di LUCREZIO (si veda) curata da Giffen e confidò al
bibliotecario Guillaume Cotin (il cui diario ci conserva le notizie fornitegli
da B.) l'intenzione di pubblicare l'Arbor philosophorum, del quale nulla
sappiamo a parte il titolo lulliano. Due episodi clamorosi neutralizzarono
in quel tempo il residuo d'appoggio in cui il B. poteva ancora sperare presso
il partito politique. Dopo aver assistito a una pubblica dimostrazione del
compasso di riduzione inventato dal geometra salernitano Fabrizio Mordente,
uomo senza lettere, il B. acconsentì a divulgare in latino la scoperta -
parendogli atta a dimostrare il limite fisico della divisibilità, conforme alla
propria incipiente monadologia -: pubblicò infatti i Dialogi duo de Fabricii
Mordentis Salernitani prope divina adinventione (seguiti dall'Insomnium),
presso Chevillot: opera ambiguamente laudatoria che irritò il Mordente, alla
cui polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi Idiota triumphans
e De somnii interpretatione,dedicati al Del Bene e fatti stampare insieme con i
due precedenti dialoghi mordentiani. B. veniva così ad attaccare apertamente un
cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai vacillante protezione
politique. Atale imprudenza si aggiunse una disputa da B. tenuta al Collège de
Cambrai, in presenza dei lecteurs royaux, sulla base di Centum et viginti
articuli de naturaet mundo adversus peripateticos: programma da lui fatto
stampare sotto il nome del discepolo Hennequin. Secondo il Cotin B. non avrebbe
preso la parola, neppur dopo che allo Hennequin ebbe risposto Callier, giovane
avvocato politique (il B. venne dunque sconfessato dal suo stesso partito), e,
riconosciutosi battuto, avrebbe abbandonato Parigi. Secondo Corbinelli, il B.
"s'andò con Dio per paura di qualche affronto, tanto haveva lavato il capo
al povero Aristotele", mentre il Mordente decideva di ricorrere al
Guisa. Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania; toccata Magonza e
Wiesbaden, veniva immatricolato all'università di Marburgo come theologiæ
doctor romanensis (Doc. tedeschi). L'insegnamento bruniano si dovette mostrare
incompatibile con l'aristotelismo ramista di quella università: gli fu infatti
negato il permesso di leggere pubblicamente; a una protesta formale B. fece
seguire le proprie dimissioni. Nella stessa estate passò a Wittenberg, nella
cui università venne introdotto da Gentili e immatricolato come doctor ITALVS
(Doc. tedeschi. Per circa due anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra
l'altro, l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria
lulliana - commentario dell'Arsmagna - cui premise una lettera alle autorità
accademiche mostrandosi riconoscente per la liberale accoglienza. Seguì la
pubblicazione del De progressu et lampade venatoria logicorum, sorta di
compendio della Topica aristotelica, dedicato a Mylins, cancelliere
dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato sulla Rhetorica
adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium perorandi, Francofurti,
come il frammento delle Animadversiones circa lampadem lullianam e la Lampas
triginta statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana post.: negli Opera,
con cui si conclude la trilogia delle "lampade". L'anno seguente, per
i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella stessa città una seconda edizione dei
Centum et viginti articuli (ridotti a ottanta, con le relative rationes), con
un discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani Camoeracensis
Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i commentari aristotelici ai
primi cinque libri della Fisica, al De generatione et corruptione e al quarto
libro Meteorologicon (pubblicati negli Opera postumi: Libri physicorum
Aristotelis explanati. B. si accomiatava dall'università con una Oratio
valedictoria stampata dal Cratone: va notato che il vecchio duca Augusto era
morto prima dell'arrivo del B., e che il successore Cristiano I favorì
progressivamente il calvinismo, giungendo a proibire, ogni polemica a questo
contraria; di qui la rinnovata precarietà della posizione di Bruno.
Partito da Wittenberg, B. giunse a Praga e vi si trattenne fino al principio
dell'autunno, attrattovi forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il
cui cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non sappiamo comunque
se fu registrato all'università. A Praga B. ripubblicò, presso Nigrinus, il De
lampade combinatoria R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum scrutinio:
nuovo commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo don Guglielmo
de Haro; con dedica all'imperatore, presso Daczicenus, gli Articuli centum et
sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, in cui
riprendeva la propria polemica contro l'interpretazione meccanica della natura
(già anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta nel De minimo):notevole,
nella dedicatoria, la dichiarazione della religio bruniana, interpretabile come
teoria della tolleranza religiosa e speculativa. Ricevuta in dono
dall'imperatore la somma di "trecento talari" (Doc. veneti), B. si
recò a Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia" (fondata dal duca
protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato e dove lesse l'Oratio
consolatoria (stampata da Iacobus Lucius) per la morte del duca. B. fu
remunerato dal nuovo duca, Enrico Giulio, con "ottanta scudi de quelle
parti" (Doc. veneti), ma non gli mancarono seri fastidi: fu infatti
scomunicato dal sovrintendente della locale Chiesa luterana, Voët, per motivi
che B. definì di natura privata in una sua lettera di protesta alle autorità
accademiche, ma che avranno avuto giustificazione formale per sospetto
filocalvinismo (è comunque significativo che alla originaria scomunica
cattolica e a quella calvinista ginevrina si aggiungesse ora la scomunica
luterana). Il B. rimase tuttavia nella città. Durante l'anno e mezzo ivi
trascorso lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e compose il gruppo di
opere magiche stampate postume negli Opera, De magia e Theses de magia
(concernenti la magia naturale), De magia mathematica (parzialmente tuttora
inedita nel codice di Mosca), De rerum principiis et elementis et
causis;trattati tutti che tendono a dimostrare la possibilità
dell'utilizzazione pratica delle forze naturali occulte. Intervenne a una
disputa tenuta dal dottor Heidenreich e avendo riscossi a Wolfenbüttel 50
fiorini assegnatigli dal duca - si accomiatò dall'università con l'intenzione
di passare per Magdeburgo (dove risiedeva W. Zeileisen, zio del discepolo
norimberghese Besler, di cui si era servito come copista) allo scopo di farvi
stampare qualcosa di suo in onore del duca. La partenza fu ritardata: ed è
probabile che il B. si recasse direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo
di farvi stampare la trilogia poetica latina, sua opera di maggior rilievo dopo
i dialoghi londinesi), dove giunse al più tardi nel giugno. Il Senato della
città rigettò una sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J.
Wechel, il quale tuttavia gli procurò alloggio presso il convento dei
carmelitani. B. attese soprattutto alla pubblicazione dei tre poemi: i
Detriplici minimo et mensura... libri V e il De monade, numero et figura liber
unito ai De innumerabilibus, immenso et infigurabili... libri octo, opere
dedicate al duca di Brunswick, per le quali B. curò la stampa e intagliò i
legni, salvo che per l'ultimo foglio del De minimo a causa di un repentino
allontanamento dalla città (per cui la dedica relativa fu composta dal Wechel.
Stampati il De minimo fu posto in vendita nella primavera; il De monade con il
De immenso,nell'autunno. Nei poemi francofortesi - composti alla maniera
di Lucrezio - il B. sviluppa in senso decisamente atomistico la propria
concezione della materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo
sicontiene la definizione dell'atomo bruniano: pars ultimadella materia,
minimum fisico assoluto, sostrato di tutti i corpi, impenetrabile. La
discontinuità degli atomi lascia aperto il problema dello spazio tramezzante
con tutto che B. riconosce l'esigenza di una materia che agglutina gl’atomi. Se
l'atomo è l'elemento materiale insecabile, il minimo è l'essere o la figura
minima in un dato genere, mentre la monade è l'unità di un genere determinato:
l'atomo, che è di forma sferica, è anche minimo e monade. Gl’atomi sono
infiniti essendo infinita la materia. In tale concezione non v'è posto per una
forza esteriore che regoli o determini le combinazioni materiali. Nel De monade
B. dà una spiegazione aritmologica delle diverse qualità degli oggetti
sensibili, i cui elementi vengono mossi - come già sostenuto nella Causa
rispetto alla materia infinita - da un principio intrinseco. Così l'atomismo
dei poemi francofortesi si riallaccia all'animismo dei dialoghi londinesi, dei
quali il De immenso riprende esplicitamente l'esposizione cosmologica, con una
aderenza a tratti letterale (tanto che il Fiorentino fu indotto a riportare al
periodo inglese l'inizio della composizione del poema). In quest'ultimo il B.
ripercorre il cammino della propria speculazione, rinnovandone la polemica
contro la fisica aristotelica e ribadendone il superamento intuitivo
dell'eliocentrismo copernicano. Applicato l'ordine di estradizione del
Senato francofortese B. riparò a Zurigo, dove tenne lezioni di filosofia
scolastica raccolte e pubblicate poi da Egli (la Summa terminorum metaphysicorum
a Zurigo; la Summa con la Praxis descensus seu applicatio entis a Marburgo.
Ritornato per breve tempo a Francoforte, B. pubblica presso Wechel i De
imaginum,signorum,et idearum compositione ad omnia inventionum,dispositionum et
memoriae genera libri tres, dedicati a Heinzel, patrizio di Augusta da lui
conosciuto a Zurigo. Durante il secondo soggiorno francofortese B. è raggiunto
da lettere del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, il quale, letto il De
minimo, lo invitava a Venezia affinché gli "insegnasse l'arte della
memoria ed inventiva" (Doc. Veneti. B. giunse a Venezia. I motivi
soggettivi dell'imprudente rientro in Italia sono stati variamente definiti:
imponderabile è la componente nostalgica, mentre è ormai da escludere il
proposito di una azione di riforma religiosa con l'ausilio delle proprie
nozioni magiche (con tutto che l'accessione del Borbone al trono di Francia e
la presenza del mite Gregorio sul soglio pontificio ravvivavano allora le
speranze conciliatrici in Europa); sul piano contingente, più che
dell'occasionale invito del Mocenigo, va tenuto conto delle aspirazioni
magistrali dal B. non mai dimesse nel corso dei suoi soggiorni francesi,
inglese e tedesco. Infatti, soffermatosi qualche giorno a Venezia "a
camera locanda Doc. veneti, B. prosegue per Padova, dove già si trovava al
principio di settembre e dove si trattenne, con brevi interruzioni, per almeno
tre mesi. Qui impartì lezioni "a certi scolari tedeschi", tra i quali
sarà da includere Besler, che era allora procuratore degli studenti tedeschi
(Besler gli trascrisse, e la Lampas triginta statuarum, il De vinculis in
genere, abbozzato l'anno precedente, e il non bruniano De sigillis Hermetis,
inedito e smarrito). All'insegnamento patavino vanno riferite le Praelectiones
geometricae e l'Ars deformationum, lezioni, rinvenute solo piu pardi, in cui B.
illustra geometricamente postulati ed enunciazioni del De minimo. L'attività
del B. a Padova induce a ritenere che, con l'appoggio del Besler, egli mirasse
alla vacante cattedra di matematica, che è assegnata a GALILEI (si veda).
Rivelatosi infruttuoso l'insegnamento padovano, al principio dell'inverno il B.
si trasferì a Venezia, prendendo dimora, almeno dal marzo in contrada S.
Samuele, presso il Mocenigo. Incominciò a frequentare il ridotto Morosini, sul
Canal Grande, dove, in un clima di "civile e libera creanza", si
disputava di cose che avevano "per fine la cognizione della verità"
(F. Micanzio, Vita di Paolo Sarpi, Leida. Nella chiesa dei SS. Giovanni e
Paolo, confide al domenicano fra' Domenico da Nocera il proprio desiderio di
quetarsi e di comporre un libro da offrire al neoeletto Clemente, con lo scopo
ultimo di trasferirsi a Roma, ed ivi "accapare forsi alcuna lettura Doc.
veneti: programma illusorio, suggeritogli forse dalla politica papale e dalla
contemporanea esperienza di Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo di far
stampare a Francoforte alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle sette
arte liberali e sette altre inventive, e dedicar queste al Papa Doc. veneti, B.
chiede licenza al Mocenigo. Costui, deluso dall'insegnamento ricevuto, la notte
lo fece arrestare dai suoi e presenta una denuncia per eresia (allegando tre
libri a stampa di B. e l'autografo della smarrita operetta "di Dio, per la
deduzion di certi suoi predicati universali", nonché i nomi di due
contesti: i librai Ciotti e Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da
Saluzzo: la sera stessa B. veniva prelevato dagli sbirri e condotto alle
carceri di S. Domenico di Castello. Si apriva così la fase veneta del processo,
che si doveva concludere nove mesi dopo con la sua estradizione a Roma.
Gli episodi principali del processo veneto sono i seguenti: denuncia del
Mocenigo; denuncia (B. era complessivamente accusato di disprezzare le religioni,
di non ammettere la "distinzione in Dio di persone", di avere
opinioni blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione, di
sostenere che il mondo è eterno e che vi sono mondi infiniti, di credere alla
metempsicosi, di attendere all'arte divinatoria e magica, di negare la
verginità di Maria, di disprezzare i dottori della Chiesa, di ritenere che i
peccati non vengano puniti, di essere già stato processato a Roma, di indulgere
al peccato della carne); interrogatorio dei contesti (favorevoli a B.) e primo
costituto di B.; costituto e ulteriore accusa (di aver soggiornato in paesi di
eretici vivendo alla loro maniera); interrogatorio sui capi d'accusa (a
proposito dei propri saggi B. dichiara: "io ho sempre diffinito FILOSOFICAMENTE
e secondo li principii e lume naturale, non avendo riguardo principal a quel
che secondo la fede deve essere tenuto, Doc. veneti; interrogatorio di Morosini
e deposizione di Ciotti, favorevoli a BRUNO; 30 luglio: ultimo costituto veneto
del B. (ammissione di dubbi marginali già dichiarati e sottomissione al
tribunale) e trasmissione del processo al card. di Santa Severina, inquisitore
supremo in Roma (il quale già prima dell'ultimo costituto interferiva nella
causa); richiesta formale di avocazione della causa a Roma: consenso del
tribunale veneto; trasmissione della richiesta romana al Collegio presieduto
dal doge; parere sfavorevole del Collegio trasmesso al Senato; comunicata a
Roma la risposta negativa; rinnovata richiesta al Collegio motivata con
precedenti; comunicazione a Roma dell'approvazione del Senato. BRUNO usce dal
carcere veneziano e, fatto salpare per Ancona, fa ingresso nel carcere del S .
Uffizio di Roma da cui, dopo lungo e intermittente processo, sarebbe uscito
sette anni più tardi per subire l'orrendo supplizio. Gli episodi noti e
salienti del processo romano sono così riassumibili: grave denuncia da parte di
fra' Celestino da Verona, concarcerato a Venezia (imputazione di aver sostenuto
che Cristo peccò mortalmente, che l'inferno non esiste, che Caino fu migliore
di Abele, che Mosè era un mago e inventò la legge, che i profeti furono uomini
astuti e ben meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che
il culto dei santi è riprovevole, che il breviario è opera indegna; di aver
bestemmiato; di aver intenzioni sovversive ove fosse costretto a rientrare
nell'Ordine); interrogagatorio a Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò,
Francesco Vaia, Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità
bruniane e nuova accusa: l'avere in spregio le sante reliquie); interrogatorio
del conteste Graziano (ribadimento della credenza bruniana nella pluralità dei
mondi e nuova accusa: riprovazione del culto delle immagini). Otto costituti
bruniani (dall'ottavo al quindicesimo dell'intero processo) e conclusione del
processo offensivo. Il B. mantenne la linea difensiva già adottata a
Venezia (attenuò la portata dei dubbi circa la Trinità, disponendosi ad
accettare il dogma; negò le accuse circa l'inferno, Cristo, i propositi
sovversivi, l'ateismo, le manifestazioni blasfeme; precisò il significato di
"magia" con riferimento a Mosè, e la propria opinione, ritenuta
"filosoficamente" e ipoteticamente, circa la metempsicosi; negò
l'opinione attribuitagli circa Caino, e precisò quella relativa alla pluralità
dei mondi; negò le pratiche superstiziose, precisando il proprio interesse per
l'astrologia). Gennaio-marzo 1594: a Venezia, esami ripetitivi dei testi
(Mocenigo, Ciotti, Graziano, De Silvestris): confermate nel complesso le
precedenti deposizioni, solo la sospetta integrità dei testi poté far differire
la conclusione del processo; giugno: supplemento di denuncia da parte del
Mocenigo (accusa di aver irriso il papa nel Cantus circaeus); estate 1594:
sedicesimo costituto (il B. si difese sull'ultima accusa, su quella relativa ai
Magi, e forse anche sull'altra relativa alla verginità di Maria; sporse denunce
contro il Graziano e Francesco Maria Vialardi concarcerato a Roma); BRUNO
presenta una difesa scritta, non pervenutaci. Si stabilì che una lista dei
libri bruniani fosse presentata al papa. BRUNO è raggiunto nel carcere da
Pucci, Campanella e Stigliola. La
Congregazione stabilì una commissione con lo scopo di censurare le proposizioni
eretiche contenute nei libri. BRUNO è ammonito di abbandonare la sua teoria
della pluralità dei mondi. Si stabilì inoltre che egli è interrogato stricte
(forse con applicazione della tortura): ciò che avvenne con il diciassettesimo
costituto, circa la Trinità e l'incarnazione (BRUNO precisa il carattere
speculativo dei dubbi passati), nonché la pluralità dei mondi (che BRUNO
persiste a sostenere). Ha luogo, forse oralmente, la risposta del BRUNO alle
censure, otto delle quali sono rilevabili dal Sommario del processo:
"circa rerum generationem"; circa il principio che a causa infinita
debba corrispondere effetto infinito; circa il rapporto tra anima universale e
anima individuale; circa il principio che nulla si genera e nulla si corrompe;
circa il moto della terra; circa la definizione degl’astri come angeli; circa
l'attribuzione di un'anima sensitiva e razionale alla terra; circa
l'affermazione che l'anima non è forma del corpo umano (due altre censure,
rilevabili da una lettera di Schopp Doc. romani, concernono l'identificazione
dello spirito santo con l'anima mundi, e la credenza nei pre-adamiti. A istanza
di Bellarmino, venneno sottoposte a BRUNO, per la sua dichiarazione di abiura,
otto proposizioni eretiche (ci è nota la prima, de hæresi Novatiana, e la
settima, estratta dal De la causa, ubi tractat an anima sit in corpore sicut
nauta in navi. Il ventesimo costituto BRUNO si dichiara disposto all'abiura
incondizionata; ma torna a manifestare esitazioni sulla prima e la settima. In
mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i consultori si dichiararono
in favore dell'applicazione della tortura, che tuttavia non è approvata da
Clemente. BRUNO si dichiara disposto all'abiura (costituto), ma con un
memoriale al papa, rimette in discussione le proposizioni incriminate. Intanto
al S. Uffizio di Vercelli perveniva una delazione dovuta, sembra, a un reduce
dall'Inghilterra con cui BRUNO è di nuovo accusato di irriverenza verso il papa,
lo Spaccio, e di aver lasciato fama di ateo in Inghilterra. Il tribunale ordina
il termine per il riconoscimento degl’errori. Ventiduesimo costituto, BRUNO rifiuta
la ritrattazione. Vano è l'intervento del generale e del procuratore dei
domenicani. Il papa ordina che BRUNE è sentenziato come eretico formale,
impenitente e pertinace, e consegnato al braccio secolare. Un estremo memoriale
di BRUNO al pontefice venne aperto ma non letto dal tribunale. BRUNO viene
condotto dal carcere del S. Uffizio al palazzo del cardinale Madruzzi, in
piazza Navona, dove la sentenza gli è letta pubblicamente. Dell’imputazioni
contenute nella sentenza, risultano accertate quelle concernenti la
transustanziazione, la verginità di Maria, la vita eretica, lo spaccio, la
pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima umana, l'eternità del mondo,
Mosè, le Sacre Scritture, i preadamiti, Cristo, i profeti e gl’apostoli.
Riconosciuto eretico impenitente pertinace ed ostinato (Doc. romani), BRUNO è
condannato alla degradazione dagl’ordini, all'espulsione dal foro ecclesiastico
e a essere consegnato alla corte secolare per la debita punizione. I suoi saggi
sono bruciati in piazza S. Pietro e le opere tutte incluse nell'indice. BRUNO
ascolta in ginocchio la sentenza. Quindi, levatosi in piedi, esclama rivolto ai
giudici. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam Doc.
romani. Trasferito al carcere di Tor di Nona, e visitato ancora da teologi e
confortatori, è condotto a Campo di Fiori, dove, spogliato nudo e legato a un
palo, è bruciato vivo Doc. romani. La portata speculativa della vicenda
bruniana è implicita nella storia del moderno pensiero europeo. Per il lato
culturale e biografico, pur dopo ricerche secolari, quella vicenda è tuttora al
vaglio della filologia contemporanea. Fonti e Bibl.: Per la biografia
bruniana le fonti sono costituite dalle opere e da una serie di documenti
coevi. Edizioni complete delle opere: Iordani Bruni Nolani Opera Latine
Conscripta: Facsimile - Neudruck der Ausgabe von Fiorentino,Tocco und
anderen,Neapel und Florenz Drei Bände in acht Teilen, Stuttgart-Bad Cannstatt
da integrare con le seguenti pubblicazioni: Zubov, Rukopisnoe nasledie Džordano
Bruno, Moskovskij Kodeks" Gosudarstvennoj Biblioteki SSSR im. V. I.
Lenina, in Zapiski Otdela rukopisej, Moskva Bruno, Due dialoghi sconosciuti e
due dialoghi noti: Idiota triumphans, De somnii interpretatione, Mordentiu, De
Mordentii circino, cur. Aquilecchia, Roma con Errata-corrige stampate a parte;
Id., Prælectiones geometricæ e Ars deformationum: Testi inediti, cur. di
Aquilecchia, Roma; Le opere italiane di G. B., cur. Lagarde, Gottinga, edizione
para-diplomatica, per le opere italiane in edizione moderna: Bruno, Candelaio:
commedia, a cura di V. Spampanato, Bari; Id., Dialoghi italiani: Dialoghi
metafisici e Dialoghi morali stampati con note da GENTILE (si veda) cur.
Aquilecchia, Firenze; Id., Lacena de le ceneri, cur. di Aquilecchia, Torino (da
tenere presente Tissoni, Sulla redazione
definitiva della Cena de le ceneri, in Giorn. stor. della letter. ital. Pregevoli
le sillogi antologiche in Opere di BRUNO e di Campanella, cur, Guzzo e Amerio,
Milano - Napoli, e in Scritti scelti di BRUNO e Campanella, cur. Firpo, Torino.
I documenti coevi in Spampanato, Documenti della vita di BRUNO, Firenze
suddivisi in Documenti napoletani Documenti ginevrini Documenti parigini Documenti
tedeschi Documenti veneti Documenti romani da integrare con Elton, Modern
Studies, London, Harvey, Marginalia, cur. Smith, Stratford-upon-Avon; Sigwart,
Kleine Schriften, Freiburg i. B. Mercati, Il sommario del processo di BRUNO, Vaticano,
Firpo, Il processo di BRUNO, Napoli Yates, BRUNO: some documents, in Revue
internationale de philosophie, XVI 1951],
2, pp. 174-199; G. Aquilecchia, Un autografo sconosciuto di G. B., in Giorn.
stor. della letter. ital., Id., Un nuovo documento del processo di BRUNO, McNulty,
B. at Oxford, in Renaissance News]; A. Nowicki, Un autografo inedito di G. B.
in Polonia, in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche... in Napoli, Una
poesia "Ad Iordanum: Brunum", in La Ragione, Korzan, Praski Kra̢g
humanistów wokóù Bruna, in Euhemer. La biografia più estesa, sebbene in
parte invecchiata, rimane quella di V. Spampanato, Vita di G. B. con documenti
editi e inediti, Messina Biografie sintetiche recenti sono dovute a Garin, B.,
Roma-Milano, e a G. Aquilecchia, G. B., Roma da cui dipende la presente voce.
La bibliografia bruniana è vastissima: va fatto riferimento a Salvestrini,
Bibliografia di BRUNO, a cura di Firpo, Firenze: opera monumentale di
inestimabile utilità, aggiornata poi essenzialmente, Quanto ai titoli, con
l'appendice bibliografica alla citata monografia di Aquilecchia. A questi due
strumenti si fa qui riferimento, rispettivamente, per opere critiche di
tradizionale autorità (Tocco, Troilo, Gentile, Namer, Garin, Corsano, ecc.), e
per saggi più recenti, che propongono un ridimensionamento della problematica
bruniana conforme a diverse metodologie (Badaloni, Michel, Yates, Gorfunkel',
Nowicki, Papi, ecc.). Guido del Giudice. Giudice. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Keywords: l’implicatura di Giudice, universe finite, infinito,
geometrici, alchimisti, matematici – rinascimento – scintilla d’infinito” -- Refs: Luigi Speranza, “Grice e Giudice:
implicatura e scintilla” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giudice:
la ragione conversazionale, l’esperienza, e l’implicatura conversazionale di Telesio
– filosofia foggiese – la scuola di Lucera -- filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lucera).
Filosofo lucerese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Lucera, Foggia,
Puglia. Grice: “Riccardo del Giudice is a philosopher; he wrote an essay on
Telesio.” Allievo e collaboratore di GENTILE
(si veda), si laurea in filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi
culturali, che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività
politica formano il suo principale merito. Apprezzato per le doti oratorie e
l'accuratezza nella scrittura, è parlamentare di chiara fama nella Camera dei Deputati. Di profonda ed esemplare
preparazione filosofica. Insegna a Roma. Intestazioni: Sindacalista,
politico, SIUSA. Iscrittosi al movimento nazionalista mentre frequenta
nell'ateneo romano i corsi di GENTILE (si veda). Si tessera al Partito
fascista, del quale apprezza l'interesse per le questioni sindacali. È appunto
nell'organizzazione fascista dei lavoratori, diretta da Rossoni, che muove i
primi passi nella politica militante. Nominato responsabile dei sindacati in
provincia di FOGGIA, distinguendosi per la dura opposizione nei confronti
dell'apparato del Pnf guidato dal conservatore Caradonna. Espulso dal partito viene
nominato da Rossoni Segretario della Federazione sindacale di Torino. Passato
nella Federazione di Bari si oppone allo sbloccamento dei sindacati. Si occupa
di studi sulla legislazione del lavoro e sul corporativismo, partecipando
attivamente alle riunioni del consiglio nazionale delle corporazioni e viene
nominato presidente della confederazione fascista dei lavoratori del commercio.
Dopo una intensa attività nel settore sindacale - celebri le sue polemiche con SPIRITO
(si veda) sul rapporto tra sindacato e corporazione - è nominato sotto-segretario
al ministero dell'educazione nazionale, allora retto da Bottai. Si occupa
soprattutto di sviluppare i rapporti tra la scuola e il mondo del lavoro,
seguendo le indicazioni contenute nella carta della scuola di Bottai. Lasciato
il ministero in seguito alla sostituzione del ministro Bottai con Biggini, è
nominato presidente dell'ente nazionale per l'oganizzazione scientifica del
lavoro, Enios. Non adere alla Rsi e viene arrestato dagl’alleati e inviato nel
campo di concentramento di Padula dove scrive le memorie. Epurato
dall'insegnamento universitario, vi ritorna come docente prima di diritto della
navigazione, poi di diritto del lavoro, presso l'ateneo romano. Complessi
archivistici prodotti: G. (fondo). Il fondo archivio conserva le carte del
dirigente sindacale e collaboratore di BOTTAI ed e costituito da documentazione
riguardante la politica sindicale FASCISTA, da una vasta raccolta di materiale
e stampa sulla POLITICA CORPORATIVA, da documenti sulla POLITICA SCOLASTICA del
regine negl’anni della guerra e da un ricco epistolario con personalita della
FILOSOFIA, della politica, dell’economia, e della cultura. Bibliografia:
PARLATO, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime, Roma,
Bonacci. G. PARLATO, G.: dal sindacato al governo, Roma, Fondazione Spirito, G.
PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il
Mulino. Sindacalismo fascista Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni La
neutralità di questa voce o sezione sugli argomenti fascismo e politica è stata
messa in dubbio. Con sindacalismo fascista si intende quel settore del
sindacalismo improntato sui principi della dottrina fascista del lavoro. Filippo
Corridoni con Mussolini durante una manifestazione interventista del 1915 a
Milano. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Sindacalismo rivoluzionario. Fontana sulla cui lapide marmorea era
scolpito il discorso che Mussolini pronuncia presso lo stabilimento di Dalmine,
in occasione dell'autogestione operaia. Il sindacalismo fascista ha i suoi
primordi nel magma del movimentismo sindacale dei primi due decenni del XX
secolo: in particolare esso trova i suoi riferimenti culturali prima nella
componente rivoluzionaria del sindacalismo socialista, che portò alla dirigenza
del partito diversi esponenti e Benito Mussolini alla direzione dell'Avanti!,
poi nelle sezioni più agguerrite del sindacalismo interventista, in particolare
l'attivissima sezione milanese retta da Filippo Corridoni, nate in seno
all'Unione Sindacale Italiana[1]ma da cui saranno espulse già nel 1915, per
incompatibilità con i principi antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2].
Numerosi, pur con alcuni bassi, sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza,
gli scontri ed i comizi cui parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo
a fianco, o anche in qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari. In Italia
non sarà possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito
Socialistanon sarà abbattuto. Corridoni a Malaparte SICKERT (si veda) a Milano
poco prima di partire per il Carso, giugno 1915[4]) Un altro forte legame è quello
con la Unione Italiana del Lavoro, da essi creata e di ispirazione sindacalista
rivoluzionaria, diretta inizialmente da Rossoni. La nuova formazione sindacale,
nel fermento dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di
operare una prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario
italiano, combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle nazionaliste
del popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le teorie di
imperialismo operaiodi Enrico Corradini (Associazione Nazionalista Italiana) e
lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo d'Italia di
Mussolini, pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di classe per
difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti all'interno
del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL portava però
già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a concludersi più tardi,
durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella tra la visione di un
sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata principalmente da Rossoni,
e quella indipendentista di Ambris. Primo sfogo di queste evoluzioni avvenne al
Dalmine, dove si verifica la prima occupazione con autogestione operaia della
storia italiana, organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante
che destò scalpore fu però soprattutto la continuazione della produzione,
d'accordo con l'ottica produttivista che aveva acquisito il movimento: gli
operai autorganizzati continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il
tricolore nazionale. Due giorni dopo lo stesso Mussolini è in visita agli
stabilimenti: Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l'orizzonte.
È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante,
anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a
non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia,
orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande
oltre i confini. Mussolini, Discorso del Dalmine, in "Tutti i discorsi) In
un primo momento la posizione di De Ambris e della sua UIL fu la più apprezzata
da Mussolini, aprendo nel periodo 1919-1920 una forte convergenza tra i due,
con il secondo che sostenne apertamente la UIL dalle colonne de Il Popolo
d'Italia[11 ed il primo che dette un apporto considerevole al programma dei FASCI
ITALIANI DI COMBATTIMENTO, costituiti e dai quali prenderà spunto il fascismo
durante la fase governativa. Il nucleo iniziale Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Sansepolcrismoe Squadrismo. Benito
Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito. Grandi.
È da questo connubio che, infatti, si costituisce in maniera strutturata il
sindacalismo fascista, i cui protagonisti, dapprima immersi nei movimenti
sindacalisti di varia estrazione sopra descritti, andarono a creare l'ossatura
del nuovo movimento insieme agli interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di
guerra, nazionalisti e squadristi. Fra i maggiori esponenti di questo
sindacalismo squadrista, che affianca i sindacalisti puri Balbo, Bianchi,
Baroncini ma, soprattutto, Grandi e lo squadrismo bolognese vicino agli
ambienti de "L'Assalto", portatori di uno dei più genuini tratti del
fascismo di sinistra, basato particolarmente a Bologna sulle rivendicazioni
contadine, l'allargamento della piccola proprietà agricola ed al concetto de
"la terra a chi la lavora. L’armonia tra sindacalismo rivoluzionario e
fascismo sansepolcrista si spezzò quando, in conseguenza della grave sconfitta
elettorale, Mussolini operò la strategia della virata a destra per aprirsi
maggiori spazi politici e, staccandoli dalla UIL, creò i Sindacati economici,
che diventeranno poi la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacalifasciste
dirette da Rossoni. La crisi tra i due movimenti si attuò essenzialmente sul
nodo della concezione del rapporto tra economia e politica. Da una parte il
fascismo, che riteneva fondamentale che ogni dinamica attraverso la nazione sia
controllata dallo Stato, dall'altra i sindacalisti rivoluzionari, che vedevano
questa posizione come antitetica ai propri canoni libertari ed autonomisti,
concependo la nazione come identità e sostanza storica di un popolo, ma lo
Stato come sistema di potere di una classe esclusiva. Il sindacalismo
rivoluzionario, portando il suo contributo decisivo alla determinazione
dell'Italia per l'intervento nella guerra, salvò l'onore dei lavoratori
italiani e gettò le premesse in virtù delle quali l'organizzazione del lavoro è
oggi, su piede di uguaglianza con tutte le altre forze economiche, elemento
fondamentale dello Stato Corporativo. In questo senso soltanto può essere
affermata la derivazione del movimento sindacale fascista dal vecchio
sindacalismo rivoluzionario. Masotti) Rossoni e la Confederazione nazionale
delle corporazioni sindacali fasciste Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso
argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali. Edmondo Rossoni. I quadrumviri e Benito Mussolini(da sinistra
a destra: Bono, Bianchi, Mussolini, Vecchi e Balbo). Il primo, il terzo ed il
quinto furono sindacalisti. Si tenne il I Convegno sindacale di Bologna,
in cui si scontrarono le due visioni principali, già emerse in passato,
riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei confronti della politica
e, in questo caso, del neocostituito PARTITO NAZIONALE FASCISTA. Si scontrarono
quindi la visione "autonomista" di Rossoni e di Grandi e quella
"politica" di Rocca e Bianchi, tra le quali sarà vincente la
seconda. A Bologna vennero inoltre affermati i principi basilari della
politica corporativa, con la conferma del superamento della lotta di classe nei
confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su quello individuale
o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali, una nuova formazione antisocialista ed anticattolica, costituita
nella forma di sindacati autonomi formati da cinque Corporazioni suddivise per
categorie lavorative e non ancora (lo saranno piu tardi) sindacati misti
lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo rivoluzionario, inoltre, le
corporazioni dovevano riunire tutte le attività professionali che
identificavano la loro "elevazione morale e economica con il dovere
imprescindibile del cittadino verso la Nazione". La nazione, sintesi
superiore di tutti i valori materiali e spirituali della razza, è al di sopra
degli individui, dei gruppi e delle classi. Individui, gruppi e classi sono gli
strumenti di cui la nazione si serve per migliorare le proprie condizioni. Gli
interessi individuali e di gruppo acquistano legittimità a condizione che si
realizzino nell'ambito dei superiori interessi nazionali.» (Articolo 4
della Carta dei principi delle corporazioni) Sulla Confederazione si
svilupparono polemiche anche negli ambienti del sindacalismo internazionale: la
sinistra operaia internazionale, in sede di Organizzazione Internazionale del
Lavoro, contesta il titolo alla rappresentanza operaia alle corporazioni
fasciste e, quindi, la possibilità di partecipare all'assemblea. La polemica
non venne però accettata, e l'ILO permise alle Corporazioni di partecipare alle
sedute senza interruzioni nel rinnovo del mandato. In sede congressuale Rossoni
dichiarò l'esistenza di una linea di continuità tra il sindacalismo
rivoluzionario, il sindacalismo fascista ed il corporativismo: per il
sindacalismo fascista, infatti, l'ultimo era legato al primo sia per il comune
intendimento del concetto di rivoluzione che, al di là dell'aspetto della
rivolta popolare, in ambito lavorativo ritenevano rivestisse il significato di
sopravvento di superiori capacità produttive; inoltre, ugualmente, avevano
l'obbiettivo di innalzare il proletario (nell'accezione negativa del termine)
al rango di lavoratore inserito a pieno titolo nella vita nazionale. Il
sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso
deve comprendere capitale e lavoro e sostituire al vecchio termine
proletariato, quello di lavoratore ed all'altro, di padrone, la parola dirigente,
che più alta, più intellettuale, più grande. Rossoni, Congresso dei Sindacati
intellettuali fascisti) Nei mesi successivi, in concomitanza con il termine del
biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva militare del fascismo imperniata
sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo sfondamento politico in campo sindacale,
con il passaggio di interi settori operai dalle strutture del Partito
Socialista Italiano e della CGdL al fascismo. Tanto che la Confederazione
nazionale delle corporazioni sindacali contava 800.000 iscritti. Ciò
evidenziava il successo dei progetti di Rossoni, che aveva pensato di creare da
una parte una base contadina potente ed affidabile che appoggiasse e facesse da
riserva strategica allo squadrismo, dall'altra di fare del sindacalismo una
delle pietre angolari dello Stato fascista. Con la Marcia su Roma,
l'affermazione del sindacalismo fascista fu quasi definitiva e l'inizio della
costruzione del nuovo Stato portò quindi una relativa tranquillità
nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine degli scontri e delle
tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo culturale e la
propria evoluzione politica. Rossoni così ne spiega definizione e scopo
principale: la salvaguardia della salute spirituale del popolo. Sindacato
vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve
disciplinare e tutelare gli interessi omogenei. Noi rivendichiamo la concezione
italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor
prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.» (Edmondo Rossoni,
La Marcia su Roma e il compito dei sindacati, Napoli) Caratteristiche
principali, che evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto
a quello socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e
perseguimento di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un
determinato tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare,
ma tentando sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27] Questo clima
non portò fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che
gli stessi vecchi sindacalisti rivoluzionari come Rossoni, Lanzillo, Panunzio e
Olivetti, discutevano e si dividevano spesso e volentieri tra loro. In tutti
però un'evoluzione era avvenuta: il sindacalismo non era più considerato
propulsore del libero mercato ma, aderendo al concetto di nazione come unità
organica d'intenti, ritenevano che il sindacato - come gli imprenditori -
dovesse trovare il suo limite nel superiore interesse della patria, rigettando
il concetto di libero mercato stesso e giungendo al tal punto da definire che
"la nazione è il più grande sindacato. Le prime forti tensioni con i
conservatori ed il padronato Farinacci. Renato Ricci con la sua squadra
d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle macerie del
forte di Falconara. Immediatamente dopo l'apice della Marcia su Roma si accese
però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello
Stato. Avvennero alcuni episodi chiave: la creazione dei gruppi di
competenza, da parte di Rocca, limitanti lo spazio sindacale della
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali; il tentativo di bloccare
il corporativismo da parte di Confindustria e Confagricoltura, contrapposti
alla minaccia di Rossoni di assalti, scontri ed occupazione delle fabbriche da
parte dei lavoratori fascisti; l'appoggio diretto al sindacalismo fascista da
parte di tutta la sinistra fascista nazionale, compresi Bianchi e Farinacci; il
lancio del sindacalismo integrale da parte di Rossoni, che puntava ad inglobare
nelle corporazioni Confindustria e Confagricoltura (ossia le rappresentanze
sindacali dei datori di lavoro); la creazione della Federazione italiana dei
sindacati agricoltori e della Corporazione dell'Industria e del Commercio da
parte di Rossoni; i primi tentativi di trasformare le organizzazioni sindacali
da associazioni di fatto in organi di diritto pubblico da parte di Casalini; il
patto siglato tra Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e
Confindustria a Palazzo Chigi, in ottica di limitazione dei conflitti di classe.
Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati. L'appetito
all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista
è per la collaborazione ma con gli industriali che si impuntano e dicono
comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto
degno nella vita della nazione» (Edmondo Rossoni, adunata al Teatro Regio
di Torino) In questo periodo di tensioni tra industriali e sindacati fascisti,
difficile per l'attecchimento della collaborazione di classe vagheggiata dal
fascismo per il mondo del lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo
fascista le personalità di Mario Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di
Milano, e di Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino.
Organizzatore e combattente di piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto
gli industriali, accusando il padronato di "spietata intransigenza
antioperaia". Spesso i sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono
con la fine della propria carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un
fascismo ancora non abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la
grande industria, appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora
posizionati nelle istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di
infondere risolutezza in molti sindacalisti di periferia. La seconda fase del
sindacalismo fascista Monumento a Razza. Corradini. Si entra quindi
in quella che viene chiamata "la seconda fase del sindacalismo fascista,
durante la quale il sindacalismo e tutte le componenti della sinistra fascista
tornarono all'attivismo ed alla tensione del periodo rivoluzionario. Panunzio
ricominciò a tuonare a favore della ripresa dell'anima rivoluzionaria del
fascismo e del recupero del programma, esprimendosi per la creazione di una
Camera sindacale e del lavoro e di un Senato politico. Cadde la
Confagricoltura, inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati
agricoli, riunendo in un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli
proprietari agricoli. Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento
fascista, questa volta apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un
conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni
reazionarie, decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la
ripresa militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista,
dando luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più
infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo
sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio
Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito
Nazionale Fascistae da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del
PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini. Al termine dello sciopero si
ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori
per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato. Si
tenne a Roma il II Congresso nazionale delle corporazioni. Qui venne messa
momentaneamente da parte la strada della collaborazione di classe, per
riprendere quella della lotta in difesa dell'unità dei lavoratori e
dell'istituzionalizzazione delle corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a
gran voce durante tutto il congresso dalla maggioranza degli esponenti,
soprattutto quelli rappresentanti i sindacati agricoli provinciali, come Mario
Racheli. Nei riflessi della politica economica non v'è chi non afferri
l'utilità nazionale di rendere responsabili le organizzazioni sindacali e di
creare discipline contrattuali garantite dalla legge.» (Edmondo Rossoni,
intervento al II Congresso nazionale delle corporazioni) In questo quadro ha
luogo, come in altri casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti
dell'inerzia e dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale,
legato alla fase ed alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo
all'interno della formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il
concepimento e la presa di decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei
leader sindacali e dell'ala movimentista e la messa in evidenza della natura
anticapitalista che permeava il fascismo provinciale nei confronti di quello
cittadino, dove il movimentismo si scontrava coi circoli conservatori. Questa
natura emerse visibilmente e prepotentemente con lo sciopero carrarese
organizzato da Renato Ricci, capo delle squadre d'azione della Lunigiana. In
tale frangente lo sciopero fascista portò ad una radicalizzazione estrema dello
scontro con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare
all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di
lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e
propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una
corrente di dissidenti all'interno del fascismo ufficiale. Ha luogo il discorso
alla Camera con cui Mussolini si prende carico della responsabilità politica
della vicenda Matteotti. Il Direttorio delle corporazioni e quello del
Partito Nazionale Fascista si riuniscono congiuntamente studiando una serie di
problemi da risolvere per valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il
loro inserimento a pieno titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine
del giorno in cui si autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla
"lotta economica" contro industriali e capitalisti, rei di
"colpevole incomprensione" dei fini e della prospettiva sociale e
nazionale del fascismo. Ciò determina, insieme all'entusiasmo per
l'intransigenza insita nel discorso di Mussolini, l'instaurazione di un clima
da "seconda ondata", rimettendo nuovamente in moto la rivoluzione da
sinistra e accendendo nuovamente l'entusiasmo del fascismo movimentista. Avviene
quindi l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M.
di Brescia e la FIOMindicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie
di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta,
abbandonarono i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di Farinacci,
in quel periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto, gli appelli
alla moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per non ripetere
le vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi. Le agitazioni dei
metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove gli operai
socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di
contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri
argomenti, estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il
sindacalfascista Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta minaccia
e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla possibilità di
combinazioni politiche unitarie impreviste. Dopo lunghe trattative le agitazioni
rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli industriali, che dovettero
fare buone concessioni, sebbene non totali, agli operai tramite i sindacati
fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i cui rappresentati si
spostarono in massa nelle Corporazioni. Per ben tre anni l'esistenza di un
sindacalismo fascista, cioè di un movimento sindacale guidato da fascisti e
orientato verso le idee del fascismo, fu ostinatamente negata. Ci voleva, per
dissuggellare gli occhi dei ciechi volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo
sciopero che mettesse in campo le forze sindacali del fascismo e che desse in
pari tempo allo stesso sindacalismo fascista una più risoluta nozione della sua
forza e delle sue possibilità di azione.» (Benito Mussolini, Fascismo e
sindacalismo, a seguito degli scioperi metallurgici organizzati dai sindacati
fascisti in Nord Italia) Altro commento che rivela il momento infuocato fu
quello di Corradini, sindacalista nazionale: «Il superamento del
socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell'opera socialista.
Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti. Vi
è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione
storica. Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti
dell'opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale
opera continua. Corradini, Il Popolo d'Italia. La trasformazione in organi di
diritto pubblicoModifica Edmondo Rossoni in Piazza del Popolo (Roma)
annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro. Spirito. La conseguenza
principale di questi avvenimenti furono però gli accordi di Palazzo Vidoni, in
cui venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali e da Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di
lavoratori e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario
dell'interesse nazionale. Va però evidenziata soprattutto la legge: con questa
legge vennero infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei
sindacati fascisti e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei
lavoratori con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò
andava a significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico
dell'amministrazione statale, con "funzioni di conciliazione, di
coordinamento ed organizzazione della produzione". All'interno di questa
legge era inoltre presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune
tra le associazioni di categoria delle due parti, contenendo in nuce il progetto
corporativo a sindacato misto che verrà realizzato piu tardi. Dopo questa
vittoria, per Rossoni si ebbe la redazione della Carta del Lavoro, testo
fondamentale della politica sociale fascista in ottica di eliminazione della
dicotomia tra le classi sociali ma, dall'anno successivo, con Farinacci non più
alla segreteria nazionale del PNF, ebbero sfogo gli attacchi alla Conferenza
nazionale delle corporazioni sindacali, che venne smembrata dai circoli
conservatori, capeggiati da Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle
corporazioni) ed Augusto Turati(nuovo segretario del partito), in sei separate
confederazioni di sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale
dell'organismo, disperdendolo in strutture più piccole e limitate. Il secondo
Convegno di Studi sindacali e corporativi Nel periodo che intercorse da questo
momento alla legge, istitutiva delle corporazioni, si ebbe uno blocco totale
dell'azione nel settore, in cui intervenne positivamente soltanto il II
Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara, nel quale emerse
il concetto di corporazione proprietaria proposta da Spirito, nei confronti
della quale il sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa
di un arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel
passaggio dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti
pre-rivoluzionari del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco,
ecc.) videro il progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come
un progetto reazionario, rimanendo ancorati alla concezione della lotta di
classe come uno scontro benefico per gli interessi individuali e nazionali. L'incapacità
di accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti,
ma anche i "nuovi" come Razza e Capoferri, fu dovuta quindi
essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi
nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la
corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato
sindacale. L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle CorporazioniModifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Corporativismo. Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Viene approvata la
creazione dello Stato corporativo che, con le nomine dall'alto al posto delle
cariche elettive e l'abolizione del fiduciario di fabbrica, aveva dato tra
l'altro alle corporazioni, divenute veri e propri sindacati formati dai
rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro ed istituzionalizzati
nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti collettivi di lavoro. In ogni
caso il cambiamento di assetto istituzionale e la rivoluzione nel mondo del
lavoro, non pregiudicarono i risultati effettivi che il sindacalismo fascista
aveva ottenuto negli anni. Tra le più importanti si possono elencare:
ferie pagate; indennità di licenziamento; conservazione del posto in caso di
malattia; divieto di licenziamento in caso di maternità; assegni familiari;
diffusione delle casse mutue aziendali; assistenza sociale dell'Opera Nazionale
Dopolavoro(ad es. centri ricreativi, viaggi collettivi a prezzo simbolico,
manifestazioni teatrali, etc). È Mussolini stesso a rivendicare alle
corporazioni la funzione di esaurire in sé il compito del sindacalismo
fascista, superando ed andando oltre al sindacalismo stesso, inserendosi nel
solco della Rivoluzione continua: «È nella corporazione che il sindacalismo
fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un
decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con
l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione
dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica;
si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista,
per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a
programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa
individuale, il sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe,
sbocca nella corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e
armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale,
rispettando l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia
della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé stesso: o si esaurisce
nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella
corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi:
capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso
la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità
del sindacalismo è assicurata. Mussolini, discorso inaugurale del Consiglio
Nazionale delle corporazioni) Maggiori esponenti ed ispiratori Corridoni
Corradini Ambris Panunzio Olivetti Dinale Lanzillo Grandi Fontanelli, G., Bianchi Baroncini Cianetti Rossoni Razza
Racheli Bagnasco Bramante Cucini Capoferri Landi Aimi Riviste La Stirpe Il
Lavoro Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano) Il
Lavoro d'Italia Cultura Sindacale Rivista del Lavoro L'Idea Sindacalista Il
Lavoro I Problemi del Lavoro NoteModifica Perfetti, Il sindacalismo fascista.
Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo Bonacci, Roma, Breve storia
dell'Usi di Fedeli Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di
Milano, De Donato, Bari, Malaparte e Suckert, Malaparte, vol. 1, Ponte delle
Grazie, operante e senza legami con la UIL attuale. Cordova, Le origini dei
sindacati fascisti, Roma e Bari, ristampa Firenze, La Nuova Italia, Nel cui
sottotitolo cambiava, in questo periodo, la dicitura da quotidiano socialista
in quotidiano dei produttori ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo
rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, Felice, Mussolini il
rivoluzionario, Torino, Einaudi, Corridoni (a cura di Andrea Benzi), ...come
per andare più avanti ancora - gli scritti, Milano, Zamponi, Lo spettacolo del
fascismo, Rubbettino, Roma, Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino,
Einaudi, Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. Torino,
Einaudi, Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, Olivetti Dal sindacalismo
rivoluzionario al corporativismo, Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al
corporativismo, Roma, Bonacci, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, Anche
per via del cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini
il fascista, I, La conquista del potere. Torino, Einaudi, Haider, Capital and
Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, Allio, La polemica
Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle corporazioni fasciste nell'ILO,
"Storia contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, Feltrinelli,
Milano"Il Giornale d'Italia", Il Mondo", Felice, Mussolini il
rivoluzionario, Torino, Einaudi, Cordova, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni,
Roma, Ancora forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e comunisti
soprattutto tra metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo rimarranno
fino allo sciopero fascista della OM di Brescia, espansosi poi in tutto il nord
Italia. In Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo,
Roma, Le idee della ricostruzione. Discorsi sul sindacalismo fascista,
Bemporad, Firenze, Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato
corporativo, Bonacci, Roma, Con l'eccezione di Lanzillo, che continuò
pericolosamente a portare avanti idee liberiste anche durante il regime.
Olivetti, Bolscevismo, comunismo e sindacalismo, Editrice Rivista Nazionale,
Milano, Deliberazione congiunta del PNF e del Gruppo parlamentare del partito
Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Espressosi esplicitamente,
in particolare, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo occupatasi
dell'analisi dei problemi sindacali. In questo ambito Michele Bianchi definì
"dittatoriale" la "procedura introdotta dal sindacalismo
fascista", mentre il sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la
doppia organizzazione, cioè quella dei datori di lavoro e quella dei
lavoratori, allontana ogni pericolo che anche il Fascismo, per le pressioni e
l'influenza delle organizzazioni sindacali, possa diventare un partito di
classe". In Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia,
Milano, Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, Rimbotti, Il
Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma, Corriere della Sera, Uomini e
volti del fascismo, Bulzoni, Roma, contrassegnata da un parziale ritorno alla
teoria e alla pratica del conflitto di classe", in Adrian Lyttelton, La
conquista del potere. Il fascismo Laterza, Bari, Il fascismo è una dottrina,
una fede, una civiltà nuova. Riemerge ora l'anima rivoluzionaria del Fascismo.
Il Fascismo deve immediatamente tornare, non per opportunismo, ma per necessità
storica, al programma L'anima del Fascismo è, ricordiamolo sempre, il
Sindacalismo Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima, prima di
Vittorio Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il Popolo
d'Italia, Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, Schwarzenberg, Il
sindacalismo fascista, Mursia, Milano, Il Mondo, Rossoni sta, nel suo
intervento, illustrando le future battaglie del sindacalismo fascista sui
contratti collettivi di lavoro. In Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati
fascisti, Laterza, In questo periodo continuarono ad affiorare, in seno al
sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il partito, la
cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto Acquarone, La
politica sindacale del fascismo ^ Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Il
regime fascista, Il Mulino, Bologna, Che rientrò poi in breve tempo nell'alveo
della sinistra fascista ufficiale. ^ Sandro Setta, Renato Ricci: dallo
squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. Uva, La nascita
dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci, Assisi-Roma Gerarchia
Acquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Arata,
Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su
"L'Italia", Milano, Felice, Mussolini il fascista. L'organizzazione
dello Stato fascista Einaudi, Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi,
Milano Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Spirito,
Firenze, in Belfagor Parlato, Spirito e il sindacalismo fascista, Il pensiero
di Spirito, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Roma, Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Settimo Sigillo, Roma,
Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
BibliografiaModifica Testi in lingua italiana Uomini e volti del fascismo,
Bulzoni, Roma, Critica Fascista, antologia a cura di De Rosa e Malgeri, Landi,
San Giovanni Valdarno, Aquarone, La politica sindacale del fascismo. Alberto Aquarone
e Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, Aquarone,
L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, Allio, La polemica
Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle Corporazioni fasciste nell'ILO,
"Storia contemporanea", Bologna, Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale Feltrinelli,
Milano, Bocca, Mussolini socialfascista, Garzanti, Milano, Chiurco, Storia
della rivoluzione fascista, Vallecchi, Firenze. Ferdinando Cordova, Le origini
dei sindacati fascisti, Roma e Bari; ristampa Firenze, La Nuova Italia, Felice,
Mussolini il fascista. La conquista del potere, Torino, Einaudi, Felice,
Mussolini il fascista. L'organizzazione dello Stato fascista, Torino, Einaudi,
Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, Felice, Autobiografia del
fascismo. Antologia di testi fascisti, Bergamo, Minerva italica, Gentile, Le
origini dell'ideologia fascista, Laterza, Bari. Granata, La nascita del
sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La
dottrina corporativa di Spirito, Firenze, in Belfagor, Lyttelton, La conquista
del potere. Il fascismo Laterza, Bari, Parlato, La sinistra fascista: storia di
un progetto mancato, Il Mulino, Parlato, Spirito e il sindacalismo fascista, in
AA. VV., Il pensiero di Spirito, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Roma, Parlato, Il sindacalismo fascista.
Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il
sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo
Bonacci, Roma, 1988. Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al
corporativismo, Bonacci, Roma, Sacco, Storia del sindacalismo, Torino,
Salvemini, Scritti sul fascismo, Feltrinelli, Schwarzenberg, Il sindacalismo
fascista, Mursia, Milano, Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica
sociale italiana, Il Mulino, Susmel, Opera Omnia di Mussolini, La Fenice,
Firenze. Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze,
Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, Zamponi, Lo spettacolo del
fascismo, Rubbettino, Roma, Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia
University Press, New York, Lowell Field, The Syndacal and Corporative
Institutions of Italian Fascism, Columbia University Press, New York, Roberts,
The Syndacalist Tradition and Italian Fascism, University of North Carolina
Press, Chapel Hill, Camera dei fasci e delle corporazioni Carta del Lavoro
Corporativismo Corporazione proprietaria Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali Collaborazione di classe Fasci Italiani di Combattimento
Interventismo Leggi fascistissime Politica economica fascista Politica sociale
(fascismo) Dalmine Rivoluzione fascista Squadrismo Sindacalismo rivoluzionario
Sindacato fascista dei giornalisti Portale Fascismo Portale
Politica Portale Storia d'Italia Edmondo Rossoni sindacalista,
giornalista e politico italiano Oliviero Olivetti politico, politologo e
giornalista italiano Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali. Riccardo Del Giudice. Giudice. Keywords: l’implicatura di Telesio, Telesio,
polemica con Spirito su la distinzione tra sindacato e corporazione, le
corporazione nell aroma papale, I diritti dello stato pontificio, il diritto
della navegazione, contratto, gentile, la scuola al lavoro – ‘dottrina e prassi
corporativa” -- – la tesi di telesio – consiglio
nazionale delle corporazioni. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giudice: l’implicatura di Telesio” -- The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giudice:
all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- corpi ed espressioni – filosofia messinese – scuola di
Messina – la scuola d’Antillo -- filosofia siciliana – filosofa italiana -- Luigi
Speranza (Antillo). Filosofo messinese. Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Antillo,
Messina, Sicilia. Grice: “Giudice has written an essay that poses a conceptual
query for Austin’s conceptual query. It’s “Sull pudore” – “But do we have that in ordinary
language?”” – Grice: “Giudice has also written on more standard forms of
philosophy of language, and Nietzsche.” Dopo
aver espletato studi classici si laurea con la tesi “Ideologia e Sociologia” --
Ricercatore all'Istituto di Filosofia di Messina. Direttore della collana
"Filosofia Teoretica". Altre saggi: “La Nuova Filosofia, Messina,
Sortino “Il discorso filosofico” “Gli echi del corpo” Verona,Paniere, “Il
lessico di Nietzsche” Roma, Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura,
Messina, Alfa, “Il tribunale filosofico” I simboli delle cose più alte, Fedeltà
alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini, “Stare insieme”
Cosenza, Pellegrini, La filosofia del finito, Cosenza, Pellegrini, Gl’echi, Cosenza,
Pellegrini Editore, Il corpo e l'espressione, Cosenza, Pellegrini, Scritti di
filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Emozioni e cognitività: Un approccio
fisiologico, Cosenza, Pellegrini Sul pudore -- Sul pudore e sull'osceno,
Cosenza, Pellegrini Breve documento sulla "nuova filosofia", Cosenza,
Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Su Messina e
altri scritti, Cosenza, Pellegrini, Morelli, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori,
Battaglia, Storia e cultura in Popper, Cosenza, Pellegrino, Battaglia, Guicciardini
tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino,, varie Giovanni Coglitore, Kant: cristianesimo
come impegno morale, in Il contributo,
L'Espresso, Studi etno-antropologici e sociologici,. Fisiologia
branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi
disambigua.svg Disambiguazione – "Fisiologo" rimanda qui. Se stai
cercando l'omonimo trattato antico, vedi Il Fisiologo. La fisiologia (da φύσις,
natura', e λόγος, 'discorso', quindi 'studio dei fenomeni naturali') è la
branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi,
analizzando i principi chimico-fisici del funzionamento degli esseri viventi,
siano essi mono o pluricellulari, animali o vegetali. L'Uomo Vitruviano
di Leonardo da Vinci, un'importante prima tappa nello studio della fisiologia.
È detta "condizione fisiologica" lo stato in cui si verificano le
normali funzioni corporee, mentre una condizione patologica è caratterizzata da
anomalie che si traducono in malattie. Data l'estensione del campo di studi, la
fisiologia si divide, fra gli altri, in fisiologia animale, fisiologia
vegetale, fisiologia cellulare, fisiologia microbica, batterica e virale. Il
Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina è assegnato dall'Accademia reale
svedese delle scienzea coloro che raggiungono risultati significativi in questa
disciplina. StoriaModifica Claude Bernard e i suoi aiutanti. Olio
su tela di Leon-Augus Wellcome. I primi studi fisiologici risalgono alle
antiche civiltà dell'India e all'Egitto, dove venivano condotti insieme agli
studi anatomici, senza l'utilizzo della dissezione o della vivisezione. Lo
studio della fisiologia umana come campo medico risale almeno ai tempi di
Ippocrate, noto come il padre della medicina. Ippocrate incorpora questa
scienza alla sua teoria degli umori, che si basa su quattro sostanze
fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco; associate ad un corrispondente humor
(bile nera, flegma, sangue e bile gialla, rispettivamente). Ippocrate nota
alcune connessioni emotive ai quattro umori, che Galeno avrebbe poi ripreso nei
suoi studi. Il pensiero criticodi Aristotele e la sua teoria sulla correlazione
tra struttura e funzione ha segnato l'inizio dello studio della fisiologia
nella Grecia antica. Come Ippocrate, Aristotele riprende la teoria umorale, che
per lui consisteva in quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco. Galeno
è stato il primo ad utilizzare degli esperimenti per sondare le funzioni del
corpo. A differenza di Ippocrate, però, Galeno sostiene che gli squilibri
umorali siano situati in organi specifici, o nell'intero corpo. Galeno ha poi
introdotto la nozione di temperamento: sanguigno corrisponde al sangue; il
flemmatico è legato al catarro; la bile gialla è collegata alla collera; e la
bile nera corrisponde alla malinconia. Galeno afferma che il corpo umano è
composto da tre sistemi collegati: il cervello e i nervi, responsabili dei
pensieri e sensazioni; il cuore e le arterie, che danno la vita; e il fegato
con le vene, che sono collegati alla nutrizione e la crescita.[9] Galeno è
anche il fondatore della fisiologia sperimentale. Per i successivi 1.400 anni,
la fisiologia galenica influenza l'intera medicina. Fernel, un medico francese,
ha introdotto per primo il termine "fisiologia". Il fisiologo
francese Milne-Edwards introduce il concetto di divisione fisiologica del
lavoro, che ha permesso di "confrontare e studiare le cose viventi come se
fossero macchine create dall'industria dell'uomo". Ispirato dal lavoro di
Adam Smith, Milne-Edwards ha scritto che il "corpo di tutti gli esseri
viventi, animali o piante, assomiglia ad una fabbrica ... in cui gli organi,
paragonabili ai lavoratori, lavorano incessantemente per produrre i fenomeni
che costituiscono la vita dell'individuo." Negli organismi più
differenziati, il lavoro può essere ripartito tra diversi strumenti o sistemi
(chiamati da lui appareils). Lister studia le cause della coagulazione del
sangue e l'infiammazione. Le sue scoperte portano all'implemento di antisettici
in sala operatoria, con conseguente diminuzione del tasso di mortalità degli
interventi chirurgici. La conoscenza fisiologica ha iniziato a crescere ad un
ritmo rapido, in particolare grazie alla teoria cellulare di Schleiden e
Schwann, nella quale si afferma per la prima volta che gli organismi sono
costituiti da unità chiamate celle. Le scoperte di Bernard hanno portato al
concetto di milieu interieur (ambiente interno), che sarà poi ripreso e
definito "omeostasi" dal fisiologo americano Walter B. Cannonnel. Con
omeostasi, Cannon intendeva "il mantenimento di stati stazionari nel corpo
e i processi fisiologici con cui sono regolati. In altre parole, la capacità
dell'organismo di regolare l'ambiente interno. Va notato che, William Beaumont
è stato il primo americano ad utilizzare l'applicazione pratica della
fisiologia. I fisiologi del XIX secolo come Michael Foster, Max Verworn,
e Alfred Binet, sulla base delle idee di Haeckel, elaborano il concetto di
fisiologia generale, una scienza unificata che studia le cellule, ribattezzata
biologia cellulare nel 900. Nel XX secolo, i biologi iniziano ad interessarsi
agli organismi diversi dagli esseri umani, e nascono i campi della fisiologia
comparata ed ecofisiologia. Più di recente, la fisiologia evolutiva è diventata
un sotto-disciplina distinta. La fisiologia opera su diversi livelli,
occupandosi sia dei meccanismi di base a livello molecolare sia di funzioni di
cellule e organi, come pure dell'integrazione delle funzioni d'organo negli
organismi complessi. A seconda dell'ambito specialistico, la
fisiologia si avvale delle conoscenze di numerose discipline, oltre alle già
citate chimica e fisica, alcune branche della biologia quali: biochimica,
biologia molecolare, anatomia, citologia e istologia e costituisce anche la
base fondamentale per numerose discipline mediche quali la patologia, la
farmacologia e la tossicologia. Esistono diversi metodi per classificare
la fisiologia In base al taxon: Fisiologia animale: studia i fenomeni e i
meccanismi associati alle funzioni degli animali. Fisiologia vegetale: studia i
fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali. Fisiologia umana:
studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli esseri umani
Fisiologia microbica e virale. In base al livello di organizzazione: Fisiologia
cellulare: studia i meccanismi associati al funzionamento delle cellule e le
loro interazioni con l'ambiente. Fisiologia molecolare: studia i fenomeni e i
meccanismi associati alle funzioni delle molecole Neurofisiologia: studia il
funzionamento del sistema nervoso sia a livello cellulare che sistemico
Fisiologia sistemica Fisiologia ecologica Fisiologia integrativa In base ai
processi che causano variazioni fisiologiche: Fisiologia ambientale: studia le
reazioni e l'adattamento dell'organismo sottoposto a differenti ambienti
(temperatura, altitudine, inquinamento, ecc..). Fisiologia patologica: studia
le modificazioni delle funzioni in seguito ad una patologia. Fisiologia dello
sviluppo: studia i meccanismi e le fasi che conducono un organismo alla
maturità riproduttiva. In base agli obiettivi finali della ricerca: Fisiologia
applicata: studia la capacità umana d'interagire con l'ambiente esterno.
Fisiologia comparata: studia le somiglianze e le differenze delle diverse
specie animali. Fisiologia dell'esercizio: studia i meccanismi che interessano
l'attività motoria e sportiva e come migliorare le prestazioni con
l'allenamento. Prosser, C. Ladd
Comparative Animal Physiology, ambientale Environmental and Metabolic Animal
Physiology Hoboken, NJ: Wiley Introduction to Physiology: History And Scope,
in Medical News Today Hall Guyton e Hall Manuale di fisiologia medica Philadelphia,
Pa .: Saunders / Elsevier. Burma; Maharani Chakravorty. From Physiology and
Chemistry to Biochemistry. Pearson Education. Zimmermann. The Jungle and the
Aroma of Meats: An Ecological Theme in Hindu Medicine. Motilal Banarsidass
publications. Selin, Medicine Across Cultures: History and Practice of Medicine
in Non-Western Cultures, Springer Science et Business Media, Physiology -
humans, body, used, Earth, life, plants, chemical, methods, su
scienceclarified. URL Boeree, Early Medicine and Physiology, su
webspace.ship.edu. URL Galen of Pergamum | Greek physician, in Encyclopedia
Britannica. Stanley C. Fell e F. Griffith Pearson, Historical Perspectives of
Thoracic Anatomy, in Thoracic Surgery Clinics thorsurg.. Wilbur Applebaum. Encyclopedia of
the Scientific Revolution: From Copernicus to Newton. Routledge. Cervello. The Pulse del modernismo:
fisiologici Estetica a Fin-de-siècle Europa . Seattle: University of Washington, Milestones in
Physiology Archiviato il 20 maggio 2017 in Internet Archive. Brown e Elizabeth
Fee, Walter Bradford Cannon, in American Journal of Public Health, Brain, The
Pulse of Modernism: Physiological Aesthetics in Fin-de-Sicle Europe, University
of Washington Feder, ME; Bennett, AF;
WW, Burggren; Huey, RB New directions in ecological physiology. New York:
Cambridge University Press. Jr T Garland, P. A. Carter, Evolutionary Physiology
Moyes, C.D., Schulte, P.M. Principles of Animal Physiology, second edition. Pearson/Benjamin Cummings. Boston, MA, lemma di
dizionario «fisiologia» fisiologia, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Fisiologia, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere
riguardanti Fisiologia, su Open Library, Internet Archive. Fisiologia, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Portale Biologia: Biologia scienza che
studia la vita Storia della biologia Equilibrio idro-salino. Santi Lo
Giudice. Giudice. Keywords: corpi ed espressioni, corpo, espressione, pudore,
osceno, l’osceno nella Roma antica, l’osceno nella italia antica, fisiologia,
fisiologico, natura -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giudice: corpi ed espressioni” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giulia:
la ragione conversazioanle e l’implicatura conversazionale – la scuola d’Acri
-- filosofia calabra – scuola d’Acri -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acri). Filosofo calabro. Filosofo italiano. Acri, Cosenza,
Calabria. Grice: “Julia was more of a poet than a philosopher; but then for
Heidegger, philosophy IS poetry and vice versa!” -- essential Italian
philosopher. Studia a Cosenza sotto FOCARACCI (si
veda). Direttore di Telesio, periodico. Stringe grande amicizia PADULA (si
veda). La temperie culturale in ambito locale vede la difficoltà della Calabria
a integrarsi nella nuova entità politica. Area essenzialmente contadina, la
regione ha una classe dirigente che preferisce assoggettarla al clientelismo e
alla sua arretratezza piuttosto che metterla al passo con zone del paese più
avanzate e progredite; perciò il mondo intellettuale d'avanguardia, deluso
dalle speranze e conscio del sottosviluppo, si volge verso il positivismo e il
socialismo. Vive tra il tardo romanticismo e l'affermarsi delle innovative
correnti costituite dal naturalismo e dal verismo, nella scia di CARDUCCI (si
veda) e VERGA (si veda). Le contraddizioni della sua epoca lo formano come un
intellettuale spiritualista che rifiutail materialismo e in parte il mondo
contemporaneo, e d'altra parte un sostenitore degli ideali socialisti, del
riscatto delle masse disagiate e della glorificazione del passato della
Calabria a partire dall'assedio degl’Aragonesi e dei suoi conterranei coevi
illustri, fra i quali Miraglia, Padula, Quattromani, Tocco, oltre a CAMPANELLA.
Accostatosi in un primo tempo al misticismo di Gioberti, si converte al
verismo, alla ricerca del pragmatismo e di un modello di poesia di alto civismo
che lo stesso G. proclama nei suoi Sonetti e liriche. Parte dai miti popolari e
dalle ballate della tradizione romantica per marcare orgogliosamente la storia
della sua terra. Considerato il padre della letteratura calabrese, si interessa
alle origini della cultura letteraria della regione analizzando anche alcune
opere a lui precedenti. Il suo impegno regionalistico si concretizza in uno
studio su Selvaggi, nel quale si individua un collegamento fra Galeazzo di
Tarsia e le produzioni romantiche. Vi fu poi un saggio su Padula e un esame
delle liriche riferibili all'Accademia Cosentina. Sa però spaziare oltre i
confini delle sue terre, fino a richiamare Milton nel suo scritto dedicato a
Padula. Oltre a uno studio su Monti, produce dei lavori anche su Mazzini, Poerio,
Correnti, legati dall'attenzione alle tematiche relative al Risorgimento e
perciò in convergenza con il proprio pensiero, che dal punto di vista della
poetica si richiama ai modelli che il letterato individua in Leopardi, Berchet
e Giusti, oltre che in Prati. Piromalli,
La letteratura calabrese, Pellegrini, Cosenza; Monografia su calabria o, su
calabria. Digital Storytelling su G. a cura degli studenti del Liceo G. di
Acri, CS. Ovvero delle famiglie nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai
Sedili di Napoli, al libro d'oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle
città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
gioccano un ruolo nelle vicende del Sud Italia. Famiglia G. A cura di Dodaro
Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina, Arma: d’azzurro alla fascia
d’oro accompagnata nel capo da un destrocherio di carnagione tenente un uccello
di nero e in punta da un albero radicato al naturale. Titolo: Nobile d’Acri. Arma
Famiglia La famiglia G., in origine nota come de “Giulia”, figura fra le
antiche e nobili casate d’Acri, Cosenza. I G. godettero sempre nella locale
società di un buon livello di prestigio sociale come testimoniato dalle
alleanze matrimoniali contratte con diverse famiglie patrizie fra le quali
ricordiamo le seguenti: Benincasa, Candia, Capalbo, de Simone, Dodaro, Falcone,
Fusari. Simbolo della condizione privilegiata della famiglia è il grande
palazzo sito tra il rione Casalicchio ed il quartiere Piazza. Tale edificio, al
cui interno si conserva la ricca biblioteca di famiglia, è abbellito da un
portale lapideo sul quale spicca un mascherone sormontato da un’antica
riproduzione in pietra dello stemma del casato. Il suddetto blasone è timbrato
dalla classica corona a cinque punte che identifica i Julia come
nobili. Acri, Palazzo Julia, portale con atto del notaio Gaudinieri,
il sacerdote Nicola Maria J. fonda una cappella privata sotto il titolo
dell’Immacolata Concezione all’interno della chiesa di San Nicola di Bari in
Acri situata nel rione Casalicchio. Fabrizio J. vende a Sanseverino un terreno
dove e edificato l’imponente complesso del palazzo acrese dei principi di
Bisignano, permutandolo con la casa e il fondo Macchia. Dal matrimonio fra il
dott. Raffaele e la N.D. Giuseppina Capalbo nacquero Salvatore ed Antonio dei
quali il primo è rinomato avvocato mentre Antonio viene ricordato come “Medico
illustre” che “in età provetta, in pochi mesi, studiò leggi presso il Focaracci
e ne apprese quanto ne anno i più maturi; onde s’incentrarono in lui il medico
e l’avvocato. Fra i personaggi celebri di questa famiglia ricordiamo il citato
Raffaele, Governatore di S. Giorgio e Vaccarizzo. La figura cui si lega
maggiormente la fama del casato è quella di G., FILOSOFO. Allo stesso è
intitolato il liceo – LIZIO -- d’Acri. Svolge gli studi presso l’istituto
Molinari di Acri ed il seminario di S. Marco Argentano. Frequenta il seminario
di Bisignano dove ebbe come insegnante il Canonico acrese Francesco Saverio
Benvenuto, quest’ultimo colto latinista nonché teologo, filosofo e parroco
maggiore di Santa Maria in Acri.
Intraprese gli studi giuridici e per alcuni anni esercita la professione
di avvocato poi accantonata a favore dell’insegnamento di materie filosofiche.
Quanto alla sua produzione filosofica questa e quella del poligrafo
(letteratura, filosofia, storia, cultura calabrese) inoltre. Nei suoi studi
predilesse la valorizzazione e la riscoperta di figure regionali poiché gli
pareva che la Calabria fosse dimenticata e poco apprezzata dopo la raggiunta
Unità. Fra le sue opere ricordiamo: Saggio sulla vita e le opere di Gravina,
Saggio di studi critici su Selvaggi e la Calabra poesia, ROVERE e i suoi
dialoghi di scienza prima, FIORENTINO filosofo, Lettere al figlio Antonio su
Cesare, SANCTIS in Calabria, Monti. Muore in Acri. Telesio, rivista
codiretta da J. Antonio J. figlio di Vincenzo, avvocato e raffinato poeta
sposa, in prime nozze, Mariantonia Dodaro, figlia dell’avv. Giovanbattista e di
Cristina Benvenuto. Il loro è un matrimonio felice e allietato dalla nascita di
Maria Gabriella, Vincenzo e Antonietta. Antonio G. e sua moglie
Mariantonia Dodaro Antonio G. è legato da sincero amore a sua moglie e
quando questa prematuramente scomparve, riversò il suo dolore in alcuni
toccanti componimenti poetici che rappresentano una struggente testimonianza
del suo dramma interiore e assieme della sua spiccata sensibilità
d’animo. AL CROCIFISSO DEL SUO LETTO Non più le sue lucenti Pupille a te
si volgeran la sera; non più per le dolenti mie stanze echeggerà la sua preghiera.
O tu, che pendi ancora, mistico Iddio, sul vedovo mio letto, volgi le luci
ognora sovra i miei figli e sul paterno tetto! Dimmi che ancor le rose
Olezzano per te, vigile Iddio, le parole amorose che a te rivolse, ne l’estremo
addio. Dimmi che ancor tu senti La voce sua, ne l’ombre de la sera, e che, in
soavi accenti, mormora pe’ suoi figli una preghiera! Gli smalti dello stemma J.
sono noti grazie ad una raffigurazione del blasone in oggetto riportata dallo
storico acrese Capalbo in un suo lavoro inedito sull’araldica delle famiglie
nobili d’Acri. Nella riproduzione del blasone dei G., visibile ancora oggi sul
portale del loro palazzo in Acri, il destrocherio appare vestito. (2) - Per
approfondimenti si rimanda a CHIODO, L’Archivio Privato della famiglia G. di
Acri - Inventario sommario, in “Archivio Storico per le Province Napoletane.
Per un elenco completo delle famiglie patrizie di Acri si vedaCAPALBO, Memorie
storiche di Acri, S. Giovanni in Persiceto (BO), Edizioni Brenner, CAPALBO.
Quest’ultima, appartenente a una famiglia originaria di Rogiano Gravina,
sorella di Balsan, letterato e deputato
del regno d’Italia nonché preside del liceo Telesio di Cosenza. Lo stesso
figura tra i maestri del nipote PIROMALLI, La Letteratura Calabrese, Cosenza,
Pellegrini. Per approfondimenti su alcune vicende storiche che interessarono la
famiglia Fusari si rimanda a CAPALBO,- G. vincenzo. atavist. Alcuni anni dopo
il decesso della prima moglie, si unirà in matrimonio con Maria Beatrice
Antonietta Romano di Acri. Poi sposatasi con Carlo Giannice Andata
successivamente in sposa a Giuseppe dell’Armi A. G., Momenti, S. Maria Capua a
Vetere, Casa ed. Della Gioventù, Si veda anche il componimento intitolato “Alla
Vergine della Sua Stanza”. Questo egregio, su cui fondiamo, a buon dritto, non
pic cola speranza, per le diverse prove del suo nobile ingegno fin'ora dateci,
coltiva con forte, inteso amore le filosofiche discipline, tutto solo
rannicchiato in piccol paesuccio delle Calabrie, Acri. Egli, da quello n'è
sembrato, predilige la filosofia di quel sommo torinese filosofo, che col suo primato
Civile e Mormale D'Italia fanatizzò tutti isuoi connazionali per la dupla
autonomia del loro paese, Libertà ed Indipendenza; e con l'Introduzione allo
studio della Filosofia, la Protologica ed altre opere speculative ispira nei
cultori di questa no bilissima scienza l'amore delle nazionali dottrine. J. a
dunque è un giobertiano, un ontologo, e per lui quindi sta che l’ente, il primo
essere, Colui che dà l'essere a tutte cose, non però spezzandosi, non
diffondendosi, nè emanandole dal suo seno, come il ragno il ragnatelo; ma
liberamente creandole; per lui dico sta, che l'Ente, l'ASSOLUTO reale, non
astratto, quale il pose, il proclama Hegel, è il Primo Filosofico, cioè a dire
è non solo il primo essere o primo ontologico; ma anche la Prima Idea o Primo
Psicologico. Sicchè non solo anno le cose tutte da Dio l'essere loro, ma anche
la loro intelligibilità. Verità già insegnata dal fondatore dell'Accademia, il
divino Platone, il quale dice che l'idea del DIIVINO è pel mondo intelligibile
quello che il sole è pel mondo visibi le, e che l'essere assoluto dà alle menti
nostre l'esistenza e spande su loro e sugli obbietti della scienza illume della
verità« detí v 8.& Tlothuns oùoxv xai adnocías» come il sole, che non
solamente rende visibili le cose, ma dona loro eziandio il nascimento,
l'accrescimento e la maturita -- τον ήλιον τοϊς ορωμένοις ου μόνον, οίμαι τήν
του οράσθαι δυναμιν παρέχειν φήσεις, αλλά και την γένεσιν αυτών όντα. Quindi
per J. sta quel metodo detto deduttivo, o sillogistico, che dai principii va
alle conseguenze, ma non come pretende il fondatore del Peripato del LIZIO, il
qua le fa il sillogismo posteriore all'induzione, ed il cui scopo non consiste
in altro che in applicare i principii alle cose particolari a meglio
rifermarle. J. ha capito bene che l'induzione non può darci punto tanto i
principii proprii a ciascuna scienza, quanto i principii comuni ed
assolutamente universali. I principii sono ontologici ed originalmente presenti
alla intelligenza, secondo dice il divino Platone, e non già puramente logici
ed astratti, secondo dice Aristotele, che li vuole prodotti la merce
dell'intelligenza con gl’elementi fornitici della sensazione. Nè debbe dirsi
che J. neghi l'induzione. Ei l'ammette, e nel senso di venir essa provocata,
sostenuta e guidata in noi dal lume di certe idee generali sempre presenti
all'anima nostra, essendo un impossibile elevarsi da qualche fatto individuale
e variabile all'idea della legge generale e permanente, senza averci di già
nella mente, almeno in una maniera vaga e confusa, l'idea di ordine, di
generalità e di stabilità. Laonde dice Laforet nella sua storia della filosofia
antica, in parlando del LIZIO. Comment s'élever de la perception de faet contingents et
relatif à l'idée de principes nécessaires et absolus, si le necessaire et
l'absolu sont entieremant étrangers à l'intelligence? Dunque pel J., come per ogni giobertiano, si deve
partire di Dio per costruire la scienza filosofica ossia dalla idea somma ed
improdotta, perché è quel principio supremo che illumina e rende conoscibili gli
altri principiimeno generali e senza di cui non potrebbe aversi quella sintesi
obbiettiva, che argumenta di necessità nel suo moto organico la gerarchia dei
principii scientifici; e deve radicarsi in un principio assoluto, supremo,
universale, immutabile, il quale, reggendo colla sua virtù ogni singolar passo
del procedimento razionale, accorda ed unifica tutti imomenti del discorso
ideale, e tutta insieme 1.umana enciclopedia. Laonde dice saviamente nel suo
dotto di scorso intorno al Panteismo Attanasio, nella La Carità di Napoli.
Sintesi senza gerarchia di principii io non intendo nell'ordine dell'idee, come
non vedo nell'ordine umano sociale e nell'ordine fisico di natura. E
ingradamento di gerarchie che ponga in atto una sintesi universale torna
impossibile a concepire pur col pensiero senza un principio supremo,
essenzialmente uno ed immutabile, che sia il centro immoto che governi i moti
del multiplo e del diverso e tragga a sè ed accordi il multiplo e dil diverso».
Laonde, lasciando chel'induzione non conduca ai principii, a ciò che è
universale, sia che dessa fosse positivista o come la intende il positivismo,
siache fosse anche nel senso di Aristotsle, ci facciamo a lodare J. per avere
ei scelto quel sistema, che parte dall'idea dell’ASSOLUTO reale per costruire
la scienza, non sipotendo, per tante e tante ragioni dette e ri-dette, porsi
per primo conoscibile ciò che non è prima cosa; per chè sarebbe, seguendo
questa via, un turbare l'armonia della scienza filosofica; giusta che vien
fatto dai psicologi, i quali partono dal contingente, ed oșano spiegare
l'assioma degl’assiomi, la verità prima con la verità seconda, e separare
l'ordine di esistenza da quel lodi conoscenza, il primo psicologico dal primo
ontologico, dando questo per primo filosofico. Di qui non potremmo esserer
improverati che atorto, se dicessimo che iseguaci del PSICOLOGISMO di
Aristotele -- non però di quelle d’AQUINO (si veda) ch'è ben altro -- siam
lontani da una vera scienza; perché la scienza è con la sintesi, e la sintesi co'principii,
e la gerarchia dei principii scienziali nel principio sommo, Dio, radicata.
Siechè scienza sull'ANALISI è scienza effimera, è scienza di nome, essendo
disgregazione, e tale è la filosofia di Aristotele, siccome è conto da quei due
principii ammessi da lui. Nihilest in intellectu,quod prius non fuerit in sensu
-- e che l'anima nostra si rassomiglia
ed una tavolarasa -- Δείδ'ούτως ώσπερεν γραμματειωώ μηθένυ πάρχει εντελεχεία
γεγραμένον. È quantunque fosse vero che il LIZIO ammettesse l'intelletto
attivo profondamente distinto dalla sensibilità, essendo quello che
opera 83 $¢%su ciò che ci vien porto dalla sensazione, per tirarne od
indurne avec lemonde intelligible; sun intervention n'apportedo nerien de now
eri veau à ce qui est déposé dans l'àme par suite de la perception des 0C sens,
il ne peut qu'exercer son activité et travaillier sur ce qui est racu dans
l'intellect paseif. L'intellect actif d'Aristote nous semble jouer, redans la formation de la
connaessance,un rôle exactement samblable à 1021"celui que joue la
reflexion de Locke; ni l'un ni l'autre n'ajoutent ta rien à l'objet fourni par
la sensation, toute leur action seborné à éla:) doaborer cet objet Dunque
nonpuò farsi ammeno di ammettere col ret. J. e la scuola giobertiana l'apprensione diretta ed
immediata, din cioè l'intuito dell'assoluto, e ritenere essere questi la prima
idea, la l'oprima conoscenza, che, per la via di un primo guardare, viene al.
into: l'intelletto umano nello stato d'intenebramento, che la riflessione di in
poi, la quale èun secondo intuito od un ripiegamento dello spirito e sopra il
primo intuito, chiarifica e fissa, e non già che la si acqui isti e conosca in
forza del raziocinio, passandosi dalla cognizione a iilistratta, ottenuta per
la via dell'induzione, a quella concreta del V e on& ro Assoluto, avendo
ben dimosorato altrove, che i psicologi si tro fost vino in grande errore,
credendo ed insegnando, che Dio siccome ve fosesrità assiomatica, essendo
universale, necersaria ed immutabile, debba 18 essere astratta,e che vi bisogna
di forza indispensabilmente il ra ley ziocinio per ascendere, mediante essa
verità astratta, al vero primo buik ed assoluto, mentre, siccome facemmo notare
in proposito di Milone. Insomma, senza menarla piùinlungo, della insignescuola
on anda tologica è J., siccome l'ha mostrato co'suoi vari scritti di ar
veratgomento filosofico e conquello, veramente stupendo, Discorsointorno alla
vita ed alle opera di Balsano, in cui, prendendoa consi ost: der ar e questo
disgraziato dotto Calabrese, divenuto vittima del pugnale di un assino, e,
considerandolo non solo quale oratore egregio ed acuto critico,ma anche
qualeillustre cultore delle scienze filosofi cincche, e forte amatore del
sistema ontologico, palesa a chiare note i suoi O. pensamenti in fatto di
filosofia, che sono indubitatamente quelli del Pladiotonismo, cristianizzato
d’Agostino, ammirato d’AQUINO (si veda) e d’ALIGHIERI (si veda), divulgato da
Gioberti, ed abbracciato dalla th, maggior parte de'pensatori nostrani. La
FILOSOFIA di J. che ci avemmo in dono da lui medesi i mo, palesa ad evidenza
non solo la scuola filosofica cui appartie ne; non solo la lucentezza delle
idee, ond'è corredata sua mente; e non solo l'affetto per la patria grandezza
quanto a politica, governo e civile, scienze, lettere ed arti; ma dàanche prova
della perizia che l'universale ed elevarci sino alla concezione dei principii;
pure non to bisogna dimenticarci che nella teoria dello Stagirita è desso
affatto et vuoto, senza alcun rapporto diretto col mondo intelligibile, da
potersi pelo dire che nella conoscenza eserciti l'ufficio nè più nè meno della
riostruflessione di Locke. E dice bene Laforet. Dans la theorie du Stagirite
l'intellect actif est tout a fait vide et n'a nul rapport direct Profilo
Bibliografico pubb. nella Rivista Itoliana di Palerino ela:Anno IV,N. 11, nonci
ha cosa più chiara, che essa verità assio -artormatica primitiva è obbiettiva
in sommo grado,appunto per le sue veritacaratteristiche di universalità,
necessità ed iminutabilità. COSS me adal tile. // ne 84 ha ei nell'idioma
nazionale. Sicchè è a rallegrarci con lui dei buoni studi, dell'amore delle
nazionali dottrine dell'eccellenza del sistema che ha adottato nelle scienze
speculative, anteponendo (fra i due sistemi che veramente possono dirsi i più
perfetti, essendo ambo sin tesisti, cioè a dire razionalo-empirici od
empirico-razionali) l'ontologismo al psicologismo, e, fuggendo, quelloche è
più, gl’eccessi del razionalismo e dell'empirismo, e quei tali sistemi erronei,
idealismo e positivismo, pei quali delirano i filosofi, da cui camminando si di
questo passo, non ci possiamo attendere, se non un ar venire sventurato.
Prosegue J. i suoi studii filosofici, e ci offra lavori speculativi di maggior
lena, per poterlo vie meglio ammirarlo, e rallegrarcene con lui. Delle
dottrine filosofiche e civili di Gravina per Balsano, con saggio sulla vita e
sulle opere del Gravina per J. Cosenza, Mgliaccio. Gravina è considerato dai
più come poeta e letterato segnatamente pel suo trattato della Ragione poetica,e
come insigne giureconsulto, specie per lasua opera De ortu et progressu juris civilis.
Ma eglime rita,sotto un certo rispetto,d'essere altresi considerato come
filosofo e per le dottrine speculative che professava e per quei sommi
principii a cui s'informano i suoi SAGGI DI FILOSOFIA, dovendo le scienze
particolari e d'applicazione, quali sono appunto le discipline giuri diche e
pratiche.esser precedute ed illuminate da una scienza speculativa più alta ed
universale, cioè dalla Filosofia propriamente detta. A nostri giorni il
calabrese Balsano si pro pose di far meglio conoscere le dottrine filosofiche e
civili di Gravina, studiando accuratamente e con intelletto d'amore le opere
del suo grande concittadino. Ma Balsano, non che pubblicarlo, non potè compiere
il suo lavoro, perchè trafitto dal pugnale dell'assassino! J. ha raccolto la
sacra eredità del suo venerato maestro, dettando un'eru dita ed ampia
monografia sulla vita di Gravina, e pubbli candola insieme al lavoro inedito
del Balsano. In questa vita e troviamo uno specchio breve ma
fedele dei tempi di Gravina, specie riguardo agli studii; la pittura del carattere
morale del pensatore rogianese, un cenno de'suoi numerosi scritti e de'suoi
meriti letterarii. L'opera del Balsano, dettata in una forma quanto castigata
altrettanto elegante ed elevata, contiene una larga esposizione dei pensamenti
di Gravina diretti a coordinare tutte le sue meditazioni di filosofia
speculativa e di morale, di religione e di diritto, di estetica e
d'insegnamento, di politica edi civiltà. È divisa in due libri. Nel primo si
ragiona delle dottrine civili. Quanto alla filosofia, da Balsamo si cerca dimo
strare che Gravina, studioso della TRADIZIONE DELL’ANTICA FILOSOFIA ITALICA,si
attenne specialmente alla dottrine platoniche (come apparisce anche
dall'Orazione sua De instauratione studiorum), armoneggiandole col progresso
della civiltà cristiana, delle scienze particolari e massime del Diritto, egli
che aveva meditato le opere dei sommi giure consulti romani, e che aveva piena
la mente ed il petto della grandezza di ROMA antica. Le dottrine platoniche da
lui professate gli fecero innalzare la mente ai principii sommi del Diritto, a
meditare la riforma delle dottrine civili, ed a comprendere la sintesi
el'armonia delle parti principalidel sapere. Difatti, Gravina vedeva la scienza
umana come un'armonia e ricordava la piramide in cui egli dice espressamente
avere gli antichi savi simboleggiato la scienza umana e la natura delle cose:
il che significa che per lui l'ordine della scienza risponde a quello della
natura, l'idealità alla realità; e come il primo vero è l'idea divina nota da
principio all'intelletto creato, così il primo essere è Dio creatore della
scienza e della natura. Tutto l'ordine dei contingenti reali ha sua causa
efficiente nell'ASSOLUTO che licrea; tutto l'ordine delle cono scenze empiriche
ha sua origine nell'idea eterna, presente sempre all'intelletto umano e norma o
tipo a cui si riscon trano le cose finiteapprese per esperienza sensibile. E
sotto questo aspetto può dirsi che Gravina precorresse a Gioberti, che in cima
del sapere e dell'essere doveva porre Dio creatore. Adunque il contemporaneo di
VICO (si veda) non segui le dottrine del Locke, ma invece quelle più elevate di
Pla- [Disp.] tone e del Cartesio, quantunque non și mostrasse sempre giusto
verso il LIZIO. Ma se a Gravina non può negarsi un certo valore filosofico, i
suoi veri meriti risguardano, più che la FILOSOFIA ela Letteratura, la
Giurisprudenza. Preceduto da Gentile, da Bacone e da Grozio, Gravina non solo
ricercava l'origine del Diritto e ne indagava iprogressi (De ortu et progressu
juris civilis), ma sapeva altresi elevarsi alle idealità o ai principii supremi
del Diritto. Quindi è che a lui debbono molto la Storia del Diritto, specie, di
quello romano che insegna in Roma stessa, e la FILOSOFIA. Gravina, esaminando
l'origine e la natura del Diritto, non lo separava dalla Morale come oggi fanno
taluni, perchè nella legge morale,da cui scaturiscono tutti i doveri umani,
trova pure il suo primo e vero fon damento il diritto. Egli precorse al Savigny
da un lato, al VICO e Montesquieu dall'altro, interpretando con larghezza di
veduta la storia civile e giuridica di ROMA. Balsano si è proposto di ritarrre
ilGravina non solo qual eminente giureconsulto, sì ancora qual filosofo civile,
mostrando com'egli additasse le norme eterne d'ogni società umana (che
ammetteva come un portato della natura) nella vita privata e pubblica,
nell'ordine privato e politico. Ma ripetiamo, Balsano non potè compiere l'opera
sua; la quale del resto, merita di essere conosciuta e studiatadai cultori
della Filosofia, benchè ci sembri scritta con entusiasmo soverchio verso il
proprio concittadino risguardato come filosofo. DISCORSO Recitato nella sala
dell'Accademia Cosentina). Piansi,o Signori, nella mia pensosa solitudine, la
morte immatura del caro Fiorentino, che mi fu amico e fratello!; vengo ora a
glorificarne l'ingegno nel tempio della scienza, innanzi al simulacro del
vecchio TELESIO, al cospetto di dotti Accademici, di fervidi giovani, dieletti
ingegni, di distinti Professori, che meglio di m e, nato e cresciuto nelle
montagne, potrebbero valutarne i forti studi e la vasta intelli genza. Parlerò
con franchezza, senza adulazioni rettoriche, senza intemperanze di lodi;
dinanzi ad uomini gravi ed austeri le apoteosi e la rettorica sono un
fuordopera. La parola mendace è un insulto alle ceneri di Fiorentino, uomo
sovero ed aperto, che disdegnò il lenocinio e le bel lezze oratorie, sa dire
con schiettezza di calabrese la v e rità ad amici e nemici, e fu audace
demolitore del vecchio mondo; inesorabile agl'ipocriti ed ai ciarlatani. Nella
rioca personalità del Fiorentino grandeggia il filosofo ed il pensatore; lascio,per
ora,ad altri di me più competenti, esami nare il letterato, lo scrittore, ed il
cittadino; io vi parlerò soltanto dell'Autore di BRUNO;del Saggio Storico sulla
Filosofia; di POMPONAZZI e di TELESIO; quat tro titoli di gloria, che
basteranno a rendere immortale il nome di Francesco Fiorentino. [Vedi il saggio
su Fiorentino da J. pubblicato nell'Avanguardi, riprodotto dalla Gazzetta
Calabrese e dal Calabro in Catanzaro; dal Corriere del Mattino e dall'Ateneo,
in Napoli. L'Italia, o Signori, fu scossa nei principi del secolo, dopo la
grande Rivoluzione dell'ottantanove, dalla parola del nostro GALLUPPI, che il
Gioberti chiama il Nestore della sapienza italiana. Senza mistiche
intemperanze, senza voli metafisici, ei richiamò, nuovo Socrate, la mente degl’italiani
ad indagare il me e la coscienza; a scrutare profondamente ilsubbietto umano;
e, rigettando lequiddità scolastiche ed il sensismo di Condillac e di Tracy,
contribui à rinnovare presso di noi il metodo naturale, e fu salutare reazione
all'esorbitanze speculative del secolo decimottavo, Conscio dell’esigenza
storioa del secolo decimonono, Galluppi inizia presso di noi lo studio della
storia della filosofia; indovino, pur combattendola fieramente, l'importanza
speculativa della sintesi a priori, che in parte accetto; e, benchè avesse
trascurata la Rinascenza, Telesio, Bruno, Campanella, può dirsi, IL VERO
EDUCATORE DELLO SPIRITO FILOSOFICO IN ITALIA. La Calabria, terra delle grandi
iniziative e delle magnanime audacie, si elevò con Galluppi all'altezza del
pensiero moderno, e fu, sarei per dire, la squilla settimon tana di CAMPANELLA,
che risveglia in Italia il pensiero laicale ed umano, il pensiero puro ed
universale. FIORENTINO studia Galluppi, ne comprese l'indirizzo storico, o gli
piacque la nuova e socratica spe culazione, che un modesto filosofo inizia
nella estrema Calabria, sulle rive di quei mari, che ripetono ancor l'eco delle
armonie pitagoriche. Galluppi, con le sue serene e casalinghe meditazioni, non
bastava ad appagare il libero ed irrequieto ingegno di Fiorentino, aquila delle
montagne, che volea spezzare le pastoie del vecchio mondo e della speculazione
galluppiana. In mezzo a queste ansie intellettive sopravvenne Gioberti a
scuotere le menti dei meridionali con la magica parola; ed Fiorentino, assetato
di ideale e di patria, come tutti i forti ingegni di Calabria, accettò
anch'egli la mistica speculazione giobertiana, o è idealista platonico ed
ortodosso. E chi potea, pria del sessanta, resistere al fascino di Gioberti?
Chi rinnegare la p a tria, ch'egli glorificò nelle pagine immortali del
Primato? Guerrazzi chiama Gioberti scintilla piovuta dal Vesuvio sulla cima
delle Alpi: veramente ci è in lui l'audacia, la fiamma profetica, la
divinazione geniale del Mezzogiorno; ci è VICO e Campanella, AQUINO o Bruno; ci
è la fede dei credenti, lo spirito ribelle dei tempi nuovi, l'ome rica fantasia
di Platone, l'austero sillogismo di Aristotile. Nei dolori dell'esilio, egli scrive
la Teorica del Sopranna turale, ch'è l'apoteosi della vecchia ortodossia ;
riassunge nella Introduzione tutto il passato teologico e tradizionale, rinnovò
il realismo del Medio-Evo, sposandolo al pensiero moderno; risuscitò nel
Primato, con l'entusiasmo del pro feta, i titoli della nostra grandezza, e
lanciandosi col volo dell'Aquila alpigiana nel grembo dell'essere, credette di
averne interrogate le profondità, ringiovanito il vecchio Dio della Scolastica,
e sciolti tutti i problemi con la formola ideale e con l'ente creatore.
Gioberti non arrestossi a metà; e, ringagliardito da nuovi studî, ingegno
audace e progressivo, com'era, accettò gran parte della speculazione moder na,
e, spastoiandosi dal vecchio teologismo, dalle utopie del Primato, inaugura la
nuova Italia col Rinnovamento; la nuova Scienza con la Protologia, e la nuova chiesa
con la riforma cattolica, e con la filosofia della rivelazione; sebbene non
interamente emancipato dalla vecchia ortodos sia. Ai tempi che Gioberti pubblica
il Rinnovamento, ed Massari le Opere postume del suo grande amico, le Calabrie
erano chiuse dalla muraglia cinese, ed ilnuovo pen siero laicale di Gioberti
non potè penetrare nei nostri boschi. È ancora innamorato del misticismo e
della formola ideale; gl’eroi della Rinascenza non sono ancora conosciuti tra
noi; o SPAVENTA, esule a Torino, dove pubblica i suoi stupendi Saggi Critici su
Bruno e Campanella, e quasi ignorato in Calabria. Fiorentino, non bisogna
nasconderlo, avea subito an. Scrisse allora a Napoli Bruno, un Saggio,
come schiettamente confessa l'Autore; composto in tutta fretta nelle vacanze, e
disteso in soli ventotto giorni. Quel Saggio, benchè imperfetto, segna il primo
momento della critica evoluzione del nostro in filosofia, il passaggio, cioè,
dal dommatismo giobertiano alla speculazione libera e laicale dei tempi
moderni. Nello studio del passato Fiorentino trova la spiegazione dei
posteriori sistemi; e, poichè non poteva valutare le teoriche di Bruno, senza
risalire alle origini, guarda la dialettica nelle scuole di CROTONE e VELIA, e
ne rilevò con sa gace giudizio l'importanza speculativa nel gran dramma del
greco pensiero. Si occupa, egli il primo, presso di noi, della stupenda
Dialettica del cardinale di Cusa, e ne indaga i le gami col sistema del Nolano,
dove causa e principio sono una medesima cosa, e la esteriorità della causa e
la inte 1 Leggeva i SS. Padri in una cella di monaci: ne trascrisse molto; e ne
pubblica alcuni saggi a Messina, voltandole in italiano. Cusani; Aiello; Re;
Salvetti; Gatti; Spaventa e Spaventa; Imbriani; Meis; Tari; Savarese; Perez;
Mancini; Sanctis; Marselli; Trinchera; Turchiarulo; Zio; Quercia ed
altri. pensiero germanico, diffuso nel mezzogiorno dai più forti ingegni
del Napolitano; indovina la grandezza speculativa della Rinascenza, e si sentì
attratto dall'eroica figura del Nolano ch'egli l'influsso dei Santi Padri, e,
principalmente, come dicemmo, del filosofo torinese, che da lui studiato profon
damente in gioventù, non fu dimenticato nella età matura, in mezzo ai più
splendidi trionfi del suo ingegno. Venne però il sessanta, con le sue titaniche
audacie, e con le sue immortali demolizioni a svegliare Fiorentino dalla sua
fede dommatica e dal suo sonno ortodosso; e, benchè non ancora emancipato da Gioberti,
si volse a studiare il riorità del principio si ricongiungono nell'Uno, ch'è
insie me causa e principio. L’uno nel sistema del Nolano, è totalità assoluta;
vale a dire che come principio della forma zione dello cose è minimo,come
totalità perfetta ó massimo; come identità del principio e della fine piglia il
nome di uno, ove tutto si assorbe, come in vasto ricettacolo; ove il pensiero e
la realtà si confonde in una identità suprema. In ciò consiste il panteismo di
Bruno, che Fiorentino rigetta, soggiogato da Gioberti, confutando l'eccletismo
poco omogeneo, gli ondeggiamenti e le contraddizioni del Nolano, che fonde
insieme la Causa dei Pitagorici, l'Uno di VELIA, ed il Principio
degl’alessandrini. E pure, ad onta delle prevenzioni ortodosse e giobertiane,
Fiorentino non disconosce le novità laicali, di cui è ricco il sistema del
Bruno; la maggioranza del pensiero, la menta lità, che splende come intelletto
divino, mondano, partico lare,ed ilconcetto direlazione, ch'è tanta parte della
Protologia del Gioberti, e costituisce il verace assoluto; l'assoluto, cioè,
della moderna speculazione. Dallo oscillare di Bruno tra la Scolastica e la
Rinascenza deriva che il finito ora è una vana parvenza, ora la massima realtà;
ed il Nolano ondeggia tra Eraclito e Parmenide di VELIA, tra il flusso c o n
tinuo e la rigida immobilità. Fiorentino mette Bruno in relazione con Spinoza e
Schelling, ne nota col solito acume le differenze e le somiglianze, o conclude
che i tre filosofi si rassomigliano nella prospettiva generale del sistema,
hanno il medesimo intendimento di unificare la scienza e d'immedesimarla col
mondo; cercano fuori del pensiero il centro della loro unità, e costituiscono
quella serie di Panteisti, che si dicono obbiettivi; l'Uno, la Sostanza, l'Assoluto
sono tre creazioni parallele. Fiorentino analizza del pari la dialettica di
Hegel e di Gioberti, monumenti immortali della moderna speculazione, e nota che
in Hegel e Gioberti contrastano due tradizioni, due filosofie, e due nazioni;
la filosofia della creazione e la filosofia della identità, il
cattolicismo ed il razionalismo, l’Italia, patria d’AQUINO o d’ALIGHIERI, e la
Germania, patria di Lutero e di Göthe. Fiorentino, senza sconoscere la
importanza della filosofia tedesca, glorifica la vecchia formola giobertiana,
il cattolicismo e la rivelazione; rigetta quasi il pensiero moderno, desidera
il rinnovamento della antica filosofia italiana, e, collocando sugl ialtari il Gioberti
della Teorica e della Introduzione, chiude il Saggio con queste parole. Sogna
che il nome di GIOBERTI suonerebbe terribile sui campi di battaglia, e
venerando tra le arcale della Università. Quel mio sogno giovanile si è
avverato in gran parte e la indipendenza e l'unità della « mia
patria,propugnata da quel grande statista, è presso a compiersi; mi sarebbe ora
assai dolce il vedere una « scuola ed un'accademia iniziarsi, diffondersi,
giganteggiare in quel nome si caro ad ogni italiano, con quella « formola,che
assomma la scienza e la fede dei nostri padri. Da esse soltanto noi potremo
sperare, compagni di quelli che combatterono a Curtatone, e cacciarono
gli’austriaci da Varese e da Como. Bruno porta Fiorentino ad uno studio più
accurato della greca filosofia, di cui è anche specchio e ri produzione, in buona
parte, la Rinascenza italiana, della quale il Nolano è l'eroe ed il martire.
Professore straordinario di Storia di filosofia a BOLOGNA, Fiorentino si da a
studiare alacremente e con tenacità di calabrese Aristotile e Platone. Si fatti
studii, come racconta egli stesso, gli apreno nuovi orizzonti, gli allargano la
vista intellettiva, o gli fanno scorgere il difetto fondamentale della
filosofia giobertiana. Fiorentino si allontano da Gioberti, non col cuore, si bene
con la mente, ch: i forti amori non possono dimenticarsi. Rude e franco
calabrese, intelletto austero, Fiorentino si emancipa dalla scuola filosofica
ortodossa, quando si convince che il mito e la leggenda prevalevano sulla pura speculazione,
sul pensiero libero o laicale. La critica, che Aristotile fa di Platone, a cui
GIOBERTI si rassomiglia, fece schivo il Nostro dal mescolare immagini ad idee,
e lo inimicò con le metafore filosofiche la severa, m a ineluttabile critica di
Aristotile; non i tedeschi lo convertirono alla nuova filosofia, degna dei
tempi moderni, si bene il rigido, inesorabile Aristotile Fiorentino scese,
CALABRO ATLETA, nella arena della greca filosofia, e ardente è trasportato
lungo le sponde dell' Ilisso, tra gl’alberi fragranti, che ne ombreggiano il
margine; sotto il bel cielo d’Omero, tra le dispute di Socrate, i simposî
platonici, e le austere meditazioni dell'Accademia. Sa egli fondere ed
accordare insieme l'idea greca all'idea calabra, rappresentata nei tempi
antichi da Pitagora, e tutte e due al nuovo pensiero laicale del Rinascimento,
rappresentato presso di noi da Telesio e Campanella. Ringiovani così il
pensiero, irrigidito nelle ferree strette della Scolastica e di Gioberti; e
farfalla, ch'esce a poco a poco dal suo involucro; montanaro calabrese, che si
trasfigura man mano sotto il soffio dei nuovi tempi, si sentì umano ed
universale nei Dialoghi di Platone e nella Metafisica di Aristotile. La Grecia è
infatti la terra dove sboccia il fiore dell'Arte, e germoglia il seme
dell'umana ragione; è la patria del pensioro speculativo, della Dialettica, e
della Categoria, a cui metton capo ipiù vasti sistemi dell'antica e della moderna
filosofia. Fu lapatria di Platone, che per genialità e divinazione speculativa,
per universalità di pensa menti, per movimento drammatico, per colorito
artistico e finezza di dialogo, grandeggia su tutti i filosofi; egli fonde in
sè l'eloquio facile e maraviglioso d’Omero e l'attica bellezza di Sofocle. La
vecchia Grecia s'idealizza e si trasfigura nel gran discepolo di Socrate; la
speculazione diviene arte e dramma, ed il pensiero, chiuso nei c ancelli di
Talete e di Eraclito, abbraccia ilmondo, si fa universale ed umano, an- [Vedi
Filosofia Contemporanea in Italia, Napoli] ticipa il Cristianesimo e preludia
all'età moderna. Egli fonde, come disse bene FERRAI FERRARI (si veda), in una
grande unità isofisti e i politici, gli artefici e i guerrieri; uomini, donne,
vecchi, fanciulli, schiavi e liberi, e in questo mondo in azione ti si fa duca
e maestro, innalzandoti, migliorandoti, affinando le tue facoltà, spesso
spirandoti nell'anima un sacro entusiasmo per il buono, per il vero;
quell'entusiasmo, aggiungo io, che crea i grandi fatti della storia, e quei
capolavori del l'arte, che si chiamano Convito ed il Fedro, ove si specchia
tutto il sorriso dell'Ionio mare, l'apollinea bellezza dei Greci, il fascino di
Diotima e di Aspasia; la morbida poesia dell'Attica e l'arguta ironia di
Socrate ; divina bellezza, m u . sica arcana, che rende unica la Grecia tra le
nazioni più civili e più artistiche del mondo. Non volendo abusare della vostra
bontà io m i restringo per ora a Platone; che ci porterebbe assai lungi il
voler discorrere completamente del Saggio Storico sulla filosofia Greca ; discutere
ed esaminare Aristotele e quanto altro riguarda le Categorie ed i problemi
della filosofia moderna, di cui si occupa il nostro nel suo stupendo lavoro.
Fiorentino scrutò con animo libero e spassionato la vec chia speculazione
ellenica; la Grecia anteriore a Socrate,ove campeggiano le grandiose figure di
Talete, di Senofane, di Eraclito, di Parmenide, d’Anassagora; o dove si elabora
a poco a poco l'idea platonica e la categoria aristotelica. È un quadro ricco
di pensiero, ed anche di poesia,che con vivi colori ci tratteggia Fiorentino
con quella sua ge nialità, con quella lucida esposizione, che tanta grazia a g
giunge ai suoi lavori speculativi; incantevole lucidezza, che ritrae i limpidi
Soli diffusi sui patrî vigneti e sulle marine di Cotrone CROTONE. Il Saggio
Storico sulla filosofia sarà sempre, secondo il nostro debole parere, l'opera
più bella, più geniale del Fiorentino; ci è il profumo e l'entusiasmo, ci è la
vita artistica, anche in mezzo alle severe meditazioni del pensatore; quella
vita, che solo può dare la Giorn.Napoli] gioventù, nella sua più rigogliosa
fioritura ed espansione. Ciò nonostante, spassionati estimatori dell'ingegno
del nostro amico, riconosciamo in quel saggio lacune ed imperfezioni, che
l'autore medesimo, uomo schietto e leale,vi riconobbe, ricco di nuovi studi
sulla lingua, sulla filosofia, sulla letteratura greca; dotto nel tedesco e
conoscitore profondo dei moderni lavori alemanni su Platone ed Aristotile.
Intanto facciamo notare che il cardine fondamentale della critica di Fiorentino
sono le idee platoniche e le categorie aristoteliche, che sono e saranno sempre
le colonne e le pietre granitiche dell'umano pensiero. La critica platonica
(come nota Chiappelli nel dottissimo studio sulla interpetrazione panteistica
della dottrina platonica) si è a giorni nostri ri fatta da capo; e la quistione
si aggira sui fondamenti di tutto il platonismo, valeadire, sul genuino valore
della dottrina delle idee, che forma il centro del sistema dell’ACCADEMIA.
Dalla interpetrazione di codesta dottrina dipende quella di tutto il resto del
sistema; è il presupposto, da cui, come tanti corollarii, scendono tutte le
altre parti di questo monumento immortale del genio greco, che scosso dalla
potente critica dal LIZIO d’Aristotile, travisato dal Neo-platonismo, rivive
anche oggi, dopo le vicende di tanti secoli. Varie e con traddittorie in ogni
tempo sono le interpetrazioni delle idee platoniche. Sono scambiate, ora con
gl’ideali estetici, che vagheggia l'artista, ora ritenuti come generi logici e
concetti intellettivi, ed ora come gl’eterni paradimmi del divino artefice, modelli
esemplari delle cose, e quindi esistenti per sė; la quale interpetrazione, che
si trova diffusa tra i neo-platonici, tra i padri della chiesa, ed in tutto il medio-evo,
anche oggi è sostenuta da valorosi critici. È certo poi che le idee in Platone
sono trascendenti, immobili e separate dalla materia, e che carattere
principale del Platonismo è la irreconciliabilità tra l'idea e la materia, tra
l'intelligibile ed il sensibile: Le più ingegnose interpetrazioni dei critici moderni,
e massime di Teicmuller, che fa dell’ACCADEMIA un Panteista, non han potuto
colmare l'abisso, che nel greco filosofo separa l'idea dal cosmo, l'elemento
intelligibile dall'elemento materiale. Relegate, come sono, le idee in un mondo
inaccessibile, non possono esercitare nessuna influenza, nè sul l'essere, nè
sul divenire delle cose sensibili, nė spiegare il formarsi delle cose medesime.
Anche la relazione delle idee col divino, osserva Fiorentino, rimane indefinita.
Le idee non hanno causalità, perciò la causa efficiente deve trovarsi accanto a
loro, o concorrere con loro alla formazione dei mondo. L’ACCADEMIA non tenta
neppure di conciliare il divino con le idee; perciò accanto alla speculazione
tu trovi ancora il mito, non come semplice ornamento, ma come elemento
integrale del sistema. Solo è certo che l'altissima idea è per Platone quella
del bene; la quale ora s'immedesima con la ragione divina, ora è quella, a cui
guardando il demiurgo dà forma al mondo; se non che non si può risolutamente
affermare che il bene s’immedesimi col divino, ch'è un dato della tradizione
piuttosto che della filosofia, ed in Piatone non essendo chiara quella
immedesimazione, non riesce perfetto il collegamento tra le idee e la mente
divina, ed il sistema delle idee riesce poco coerente, e sempre ondeggiante ed
incerto. Fiorentino nel Saggio storico rigetta la interpetrazione delle idee
dell’ACCADEMIA come riminiscenze di una vita anteriore, come modelli e
paradimmi del mondo, come pensieri divini; e ritenne che Platone non è sempre
lo stesso ne'suoi dialoghi; filosofo da poeta, senti bisogno di spiegare la
scienza, e ricorre alle idee; negli ultimi anni adotta il linguaggio pitagorico
a proposito delle idee, e le considera come numeri. La dottrina delle idee
platoniche, trattata davvero scientificamente, consiste per Fiorentino nei
Dialoghi il Teeteto, il Sofista, ed il Parmenide. Il Sofista prepara il
Parmenide, a cui dà il fondamento ed il principio; ed il Parmenide sostituisce
alla me- [Manuale di Storia della Filosofia, Napoli] tessi ed ai simulacri la
relazione, ch'è la vera natura e la vera condizione di tutte le idee; è la loro
vita e fecondità. Fiorentino, austero intelletto e libero pensatore, prefere
alla lirica del Fedro e del SIMPOSIO, alla epica narrazione del Timeo ildramma
ideale del Parmenide. Fiorentino scruta profondamente i tre dialoghi platonici,
o ne rileva il vero significato. La scienza, egli dice, non è sola sensazione e
sola opinione, come vogliono i Jonici, ed ecco il significato del Teeteto; la
scienza non è la sola cognizione dell'uno, come pretende Parmenide di VELIA, e
ne anco dell'essenze immobili ed irrelative dei megarici; ed ecco il significato
del Sofista. La scienza è l'una e l'altra opinione e cognizione, relazione di
entrambe; ed ecco il risultato ultimo del Parmenide da VELIA; tanto vero che, senza la relatività
delle idee, il Parmenide da VELIA rimarra sempre un enimma, il sistema di
Platone un leggiadro tessuto di favole, di reminiscenze oltre-mondane ed
assurde, e di sperticate idealità. Scrutando meglio il Sofista ed il Parmenide
di VELIA, Fiorentino asserisce che il principio da cni muove Platone nel
Sofista, ossia l'ente, e quello da cui muove nel Parmenide, ossia l'uno,
sonolostesso principio; se non che l'ento è rigido, immobile, indeterminato, e
l'Uno è determinato, e produce i molti. L'uno è il medesimo e dil diverso del
Molti; come viceversa il molti si può dire medesimo ed altro dell'uno; tanto
che, a parere del Fiorentino, abbiamo nel Parmenide esplicito il diverso e
l'altro; sebbene rimanga in Platone nell'ombra la causa della estrinsecazione
della idea, e l'apparire della materia. Platone non colse la vera natura
dell'altro, che non può essere nè un'essenza, nė un'idea; sì bene una
relazione; egli perciò oscilla dall'uno all'altro di questi due termini, per
trovarvi la materia, ed, irresoluto, la fè credere una volta essenza, ed un'altra
idea. Pare che in tutte queste sottili ed ingegnose interpetrazioni di
Fiorentino entrasse un po il sistema e la critica moderna dell’Hegel, sempre
caro al nostro, come quegli che è la sintesi più stupenda del pensiero laicale
tedesco, da Lutero a Kant. TOCCO (si veda), di cui tanto si onorano le
Calabrie, nelle sue dotte Ricerche Platoniche, esplicitamente osserva che
Fiorentino interpetra il Parmenide di Platone alla maniera di Hegel, e che, ad
onta delle argute considerazioni sulle stonature della Dialettica platonica, non
tenne in conto il fare negativo di tutto il dialogo. Il trapasso, dalla teorica
della metessi e degl’influssi a quello della dialettica assoluta, è un salto così
smisurato, che difficilmente puo farsi da un uomo, per vastissimo ingegno
ch'egli ha, sopra tutto nel tempo, in cui la speculazione è ancora sul nascere,
ed i sistemi filosofici sono appena abbozzati. E ingiusto per ciò, conchiude
Tocco, il raccostamento della dialettica platonica all’egheliana, e non bisogna
interpetrare con Hegel Platone, e trasportare il mondo antico nel mondo
moderno! Alla origine e natura delle idee è intimamente legata la DIALETTICA
dell’accademia. Essa non è altro, se non che la legge dell'intreccio ideale, il
modo come si forma il Logo, o la Ragione universale ed assoluta. Il ritmo della
dialettica vera dell’ACCADEMIA, secondo la interpetrazione di Fiorentino, è nel
Parmenide; il contenuto del quale si risolve in una trilogia, di cui la prima
parte presenta la idea solitaria dell'uno, e l'annulla. La medesima idea
appaiata con quella del l'essere, e con essa in contraddizione; la risolve la
con traddizione nel momento, ch'è il diventare; momento e divenire, che sono
mutuati dalla dialettica hegeliana, e rendono infide e soverchiamente moderne le
interpetrazioni di Fiorentino. Egli è convinto, quando scrive il saggio
storico, che la dialettica hegeliana è modellata sulla platonica, e che le
prime tre categorie del filosofo alemanno, l'essere, il non essere, ed il divenire
ricordano l'uno, l'ente, ed il momento del Parmenide da VELIA. La Dialettica
platonica, monumento grandioso dell'umano pensiero, ispira in ogni tempo gl’Artisti
ed i Filosofi; e Fiorentino conchiude che Goethe v'im [Catanzaro. Lo
studio della filosofia greca fa rientrare Fiorentino nel mondo moderno, ch'egli
avea sfiorato col lavoro di Bruno; il greco pensiero, che più degli altri è
pensiero umano ed universale, ricondusse il nostro alla Rinascenza, la quale,
se inizia l'epoca moderna con le ribellioni speculative di Bruno, di Telesio e
di Pomponazzi, usufrutta con TELESIO e con BRUNO la parte viva ed immortale
della greca filosofia, il concetto della natura, autonoma od assoluta, e l'idea
dell'infinito generante. FIORENTINO, ingegno fecondo e progressivo, accetta i
pronunziati, gl’ardimenti, o, le ribellioni della rinascenza. Nelle fresche
correnti della natura ei sente ringiovanirsi, ed il suo pensiero divenne più
ampio ed umano. L'epoca della rinascenza è, o Signori, un'epoca gloriosa,
battagliera, o titanica. La scolastica è assottigliata. La cavalleria ed il
feudalismo se ne vanno. La teocrazia perde il suo prestigio, e la sua
universalità. La poesia si emancipa dai terrori mistici. Alle fosche pitture
succedono i freschi colori del Tiziano e del Correggio. Nasce lo stato laicale,
e Machiavelli crea la storia moderna. I filosofi rappresentarono in questo gran
dramma una parte gloriosa, e specialmente il mantovano POMPONAZZI, che per
audacia speculativa, per energia di carattere è uno degli eroi più spiccati del
rinascimento italiano. FIORENTINO, che come fiero calabrese e libero pensatore,
è naturalmente attratto verso i grandi precursori ed apostoli, si mette a
studiarlo con coscienza di filosofo e pazienza di critico; sgobba sui polverosi
volumi in folio, si chiuse come un anacoreta nella sua cella di BOLOGNA; ed
affronta con leonino coraggio l'intolleranza e lo scherno degl'insipienti, le
beffe dei gaudenti, che senza forti stupara la movenza del Dialogo; Hegel il
severo ragionamento; VICO vi attinse lo schema della Scienza Nuova; SERBATI il
principio del nuovo saggio; ed a quell'opera immortale bisogna ricorrere ogni
volta, che si vorranno scandagliare davvero le origini dell'umano pensiero
senza accurato lavoro vogliono, con la veduta corta di una spanna, giudicare gl’uomini
serî ed austeri, gl’uomini che sacrificano tutto sull'ara del pensiero e della
scienza ; indomiti o tetragoni nei loro propositi ; Capanei, che muoiono e non
si arrendono. POMPONAZZI insorse fieramente contro la scolastica, e contro la
greca filosofia; e nello spiegare la natura dell'anima, ed il processo del
conoscere non ha esitato punto, nè riprodotte, come altri fecero, le incertezze
del LIZIO. Sgombrate tali perplessità, il filosofo mantovano si libera
dall'intelletto separato di Averroè, dell'intelletto agente dello Afrodisio,
senza però emanciparsi del tutto dagl’influssi e dalle intelligenze superiori;
ondeggiante ancora, come tutti gl’uomini della rinascenza, tra la scolastica ed
il mondo moderno; tra AQUINO (si veda) e BRUNO (si veda). Strema, è vero,
POMPONAZZI (si veda) la trascendenza in filosofia; considera l'intelletto umano
come sviluppato dalla potenza della materia. Ma non volle attribuire
all'intelletto dell'uomo la concezione dell'universale; e disconobbe la vera
mediazione, che l'uomo fa tra le cose eterne e caduche. Egli scruta insistente
i più ardui problemi metafisici, religiosi e morali, la provvidenza, il fato,
la libertà, la predestinazione e la grazia; e porta in tutte queste discussioni
la novità e l'audacia, proprie dei filosofi del rinascimento; piega più dalla
parte della determinazione fatale del PORTICO ROMANO che da quella della vuota
determinabilità dell’Afrodisio; che l'arbitrio non può essere primo movente; e
l'aver compreso il difetto della dottrina della libertà, come è in Alessandro
ed in LIZIO; l'aver intravveduto nel fato del PORTICO ROMANO maggior ragione
volezza costituisce uno dei massimi pregi della critica di POMPONAZZI (si veda)
Disconosce inoltre il valore assoluto delle Religioni; ne spiega con ragioni
naturali l'origine, il fiorire, la decadenza; le riconosce portato dello
spirito, eterno ed irrequieto viaggiatore, che tutto rinnova e distrugge. Con
questa divinazione Pomponazzi è anche precursore dei nuovi tempi, e della
scuola moderna; se non che mancogli la perfetta coerenza nelle dottrine, e non
si solleva al concetto profondo dello spirito, come lo intendono i moderni.
L'ingegno di POMPONAZZI (si veda), benchè novatore e ribelle, non si era
completamente spastoiato dal vecchio mondo scolastico ed del LIZIO aristotelico;
ei non puo ai suoi tempi cancellare del tutto il divino di Agostino e d’AOSTA
(si veda); non puo scartare intieramente la provvidenza oltre-mondana, non puo
combattere a viso aperto le tradizioni della fede ortodossa. Ei però intravvede
che al divino estra-mondano, collocato fuori la coscienza, dovea fra poco
succedere il divino intimo e vivente; che la vecchia forma religiosa dovea
ringiovanirsi e al motore immobile di LIZIO dovea succedere l'infinito di BRUNO
(si veda). È questo il merito precipuo di POMPONAZZI (si veda), che a buon
dritto deve chiamarsi il precursore della riforma e del mondo laicale moderno;
e l'averlo saputo rilevare con sagacia di critico coscienza di storico è gloria
di FIORENTINO (si veda). Ciò segna un altro momento importante nella evoluzione
critica e speculativa del nostro; la quale ha il suo compimento ed il suo
massimo splendore in Telesio, e negli studii sulla idea della natura nel
risorgimento italiano. TELESIO (si veda) infatti costituisce l'ultimo e più
splendido momento speculativo e storico di FIORENTINO (si veda), il quale
rappresenta perciò in Calabria il più alto grado, la più alta manifestazione
della critica storica, ed il completo svegliarsi presso di noi della coscienza
laicale ed umana; rappresenta la continuazione della rinascenza, ingrandita,
però, trasformata e divenuta pensiero europeo ed universale coi Saggi critici
di SPAVENTA (si veda). È primo SPAVENTA (si veda) in Italia a dare la debita
importanza a BRUNO (si veda) ed a CAMPANELLA (si veda), ed a tutta la filosofia
del rinascimento, rivendicando gl’eroi della nostra filosofia, ed i martiri
obbliati della ragione. L’Italia, dice Spaventa, apre le porte della civiltà
moderna con una falange d’eroi della filosofia. Pomponazzi, Telesio, Bruno,
VANINI, Campanella, CESALPINO (si veda) paiono figli di più nazioni. Essi
preludiano più o meno a tutti gl'indirizzi posteriori, che costituiscono il
periodo della filosofia da Cartesio a Kant. VICO (si veda) è il vero precursore
di tutta l'Alemagna -- Prolusione alle Lez.di fil. nap. Le austere parole e i
forti ragionamenti del filosofo abruzzese eccitarono il potente ingegno di
FIORENTINO, e come il nostro schiettamente confessa, lo fa orientare in quell'
arruffio, ch'è la speculazione della rinascenza, e lo innamorarono di quel
periodo filosofico, che prima si contenta di ammirare, senza averne perfetta e
matura cono scenza, piuttosto, perseguire i facili lodatori che per vederne
realmente l'importanza coi proprii occhi. Educato dalla critica nuova e
poderosa di Spaventa, Fiorentino percorso da padrone e da maestro il campo
glorioso della rinascenza italiana, e v'impresse orme da gigante. Gli uomini
nuovi od audaci; i martiri dell'idea piacquero tanto a Fiorentino, ed ei s'immedesimò
loro, aspirandone l'immortale profumo, ed il soffio. La Calabria, che, senza
conoscersi, spesso si vilipende e si schernisce, non è per lui barbara c
selvaggia, covo di briganti, e nido di cannibali; è invece terra di filosofi,
di critici, di poeti; culla di martiri e di eroi, terra artistica ed originale,
a cui, ultimo tra gl’ingegni calabresi, consacrai tutto me stesso, e per la
quale non cessa di combattere, finché avrò forze, finchè in Italia vi saranno uomini
senza coscienza storica e senza carità di patria. La Calabria (e perdonate
questo amore indomabile alla mia patria nativa, alle mie care montagne) sa
anch'essa indovinare e comprendere i tempi nuovi, uscire dal fondo de'suoi
burroni, e mettersi a paro coi più grandi eroi della Rinascenza italiana. La
Calabria sa anch'essa combattere con la sua selvaggia vigoria lo impero, la
scuola, ed il potere teocratico. Il calabro pensiero, che ancora si accusa di
angustia e municipalità, è, com’io dimostrai, un pensie ro, non solo nuovo ed
originale, ma eziandio italiano, europeo ed umano. Universale in
filosofia, inizid con Telesio lo studio dellanatura, sconosciuta ai padri
nostri, velata per tanto tempo dalle ombre del Medio-Evo; nel tetro carcere
della Vicaria crea col SERRA la scienza economica; con GALEAZZO usci dal
cerchio della poesia provinciale, e fuse nel calabro Sonetto la vigoria d’ALIGHIERI
e la musica di Petrarca; pre corse con Campanella a Descartes; e con GRAVINA
anticipa Vico e Montesquieu, o crea la nuova critica italiana. Fiorentino, che,
com'egli stesso canto, avea Saldo il voler ne le virili imprese, E indomita la
tempra calabrese, innamorato della vecchia Calabria, fa rivivere con magiche
tinte le belle ed eroiche figure dei padri nostri, PARRASIO, Telesio, il
Martirano, il Quattromani, il Tarsia, Cornelio, Severino, Schettini ecc.;
filologi, poeti e critici precursori, che usciti dal fondo dei nostri boschi
illustrarono le prime università, e danno un potente i m pulso al rinascimento
italiano, col fondare e promuovere quella stupenda accademia dei cosentini,
segno in tutti i tempi di odio inestinguibile e di amore indomato, la quale è
tanta parte del dramma grandioso della rinascenza; da all'Italia grandi
latinisti da emulare Poliziano, Sannazaro, Fracastoro, e sorpassarne altri con
Coriolano Martirano; porta scolpito il fatidico motto: Donec totum impleat
orbem; decrescit numquam, nec fulmine læditur; e servi di modello a tutta
Europa con Telesio per la scoverta del vero metodo naturale. Sotto questo
doppio aspetto la vide l'occhio sagace di Fiorentino, e stupendamente la
illustra, sollevandola a quel posto, che merita, e meriterà sempre, finchè le
tradizioni del pensiero laicale ed umano rimarranno vive in Calabria, e ne
trasformeranno la vita, l'arte, e la speculazione; finchè vi saranno uomini
insigni come il Presidente Scaglione,ed il Segretario Greco, che ne
accresceranno le glorie e l'importanza, continuando l'esempio dei loro illustri
a n tenati, che noi, gaudenti e borghesi, abbiamo dimenticati, sconosciuti, e
fino scherniti. Fiorentino, che il dotto canonico Scaglione avea precorso
con lo studio su Telesio, pubblicato negli atti dell'Accademia, studiando a
fondo, al lume della nuova critica, le opere del filosofo cosentino, proclama
che Telesio inaugura i tempi moderni, ritiene la natura, come il principio
universale delle cose, il ricettacolo di tutte le forme, e, come schietto
naturalista, rigetta il LIZIO d’Aristotile e la Scolastica, la Teosofia, e la
Magia. Telesio, evitando la contraddizione del Lizio aristotelica, che rompe
l'unità della natura, parte da una materia primitiva ed unica, e da una
contrarietà universalissima, il caldo ed il freddo, nature agenti, dalla cui
azione sulla materia nasce la generazione e la corruzione. Telesio, pur
ritenendo la necessità di un'opposizione universale e di un'unica materia, il
che è anche ammesso dal LIZIO d’Aristotile, ne ha profondamente modificato il
valore. La forma del LIZIO aristotelica, ch'èsempre assoluta ed estra-naturale,
non gli parve principio naturale, e la sbandì, e la rigetta dalla sua
filosofia, con la rude franchezza del calabrese. In una parola, la natura non
ha mestieri per essere spiegata di principi, che non siano naturali. E così è
vinto e sor passato il medio-evo, e la filosofia delle scuole. Il soffio fresco
delle nostre montagne spazza lo nebbie scolastiche, e Telesio, meditando gl’arcani
della natura nel suo ameno podere, sito sulle rive pittoresche del fiume
Coraci, è veramente il precursore di Bruno e di Galilei, l'uomo nuovo ed
audace, che scrolla il vecchio mondo medievale, ed inaugura l'epoca moderna.
Telesio, rigettando l'entelechia del LIZIO aristotelica, vi sostitui una
sostanza sottile, mobile, lucida, che per lui costituisce il principio della
vita; semplifica inoltre il sistema del naturalismo, tolge il dissidio immenso,
che è nel medio-evo tra la natura esterna e l'organismo vitale, e fuse insieme
nel suo novello sistema la fisica e la biologia. Fiero ed inesorabilo
calabrsse, rovescio tutto, non diè quartiere al LIZIO d’Aristotile ed alla scolastica,
o combattė senza ipocrisia, ed a fronte scoverta; da una nuova teorica
dell'anima, sorpassando il Fedone dell’Accademia, e l'intelletto universale del
Lizio d’Aristotile; FONDA SUL SENSO LA CONOSCENZA, ed ammise il mondo etico
come un effetto e risultato naturale. Nel vasto dramma telesiano, che
Fiorentino stupendamente tratteggia, brilla di nuova luce il martire di Nola,
il quale, ebbro del nuovo divino, dell'Infinito generante, e della Natura, allarga
e feconda i concetti del filosofo cosentino, ed accetta pienamente il
naturalismo. Il vero assoluto rimane però in lui un punto oscuro, dove i
contrarii si affondano e spariscono; il nolano, più che cogliere con l'atto
intellettivo l'assoluto, vuole trasformarsi in lui, e divenire il divino. E l’eroico
furore, che lo trasporta in grembo dell'infinito, non il sillogismo
speculativo, e la serena meditazione; l'ebbrezza dell'amante, che lo trasfigura
in grembo alla divina Anfitrite. Bruno, uomo del Mezzogiorno, nato presso il
Vesuvio, ha scosso in ogni tempo la mente dei pensatori, ed il cuore dei poeti.
Eroe leggendario del pensiere, cavaliere errante della scienza, mistico o
ribelle, inesorabile flagellatore dei cucullati pedanti, egli che veste la
bianca tunica di Domenico, Bruno percorse, si può dire, da un capo all'altro
l'Europa disputando, combattendo, affrontando il vecchio LIZIO d’Aristotile, la
ciarlataneria delle scuole, e l'infallibilità dei dottori. Vilipeso e adorato,
schernito glorificato, ora debole innanzi a'suoi carnefici, ed ora sublime; il
tutore tradito a Venezia da Mocenigo, suo pupilo discepolo ed ospite, è
consegnato al Sant'Uffizio, dissacrato e condannato a morte. Quando in Roma gli
è letta la sentenza, Bruno, con calma eroica e tremenda ironia, ha il coraggio
di profferire innanzi ai giudici queste memorande parole. Maggior timore
provate voi nel pronunciar la sentenza contro di me, che non io nel riceverla. L’eroe
della verità, e del pensiero laico è legato come un volgare malfattore ad
un'antenna, e, bruciato vivo in Campo di Fiore, imperterrito Bruno non manda nè
un sospiro, nè un lamento. Le fiamme sono la sua apoteosi; e benchè le
sue ceneri fossero state disperse al vento, correno l'Europa come polline
fecondatore, e vi propagarono i semi del libero pensiero, e della filosofia
moderna. Fiorentino, pensatore e poeta, che dopo più maturi studî avea
accettata in tutta la sua pienezza la Rinascenza, ritorna su Bruno, e lo vede
nel Telesio sotto un nuovo punto di vista; e se lo avea rigettato come pan-teista
ed anti-mistico, ora lo guarda, e lo ammira come il vero eroe del pensiero, l'araldo
e il martire della nuova e libera filosofia; degno, come dice Spaventa, di
avere un posto accanto a Prometeo ed a Socrate. Quel che FIORENTINO scrive di
SPAVENTA, permettete, o signori, che io lo riferisca al nostro fiero
concittadino. Il grande ideale del filosofo per Fiorentino è Bruno; pari forse
avrebbero avuto il fato, se fossero vissuti nella stessa età. FIORENTINO guarda
il rogo con lo stesso coraggio; BRUNO avrebbe disprezzato con la stessa
serenità, non il rogo, ma qualcosa di peggio, quella rete sottilissi. ma di
cabale, onde la turba ignara circonda gli animi alteri; che tentano slacciarsi
da maltesi agguati: non il rogo, ma la calunnia divota: dopo il Torquemada
ilTartufo: siamo ben progrediti noi. Il vecchio divino della Scolastica si
assottiglia in Bruno. In lui si fondono il divino e l'Universo; la creazione è
sviluppo del divino stesso, processo necessario, che rende cono scibile e reale
l'attività del divino. In una parola, il divino del Nolano non vive se non per
la natura, e nella natura. Fuori e senza di lei sarebbe un'astrazione ed un
fossile. La necessità della creazione, che BRUNO insegna a viso aperto, lo
mette di accordo col futuro naturalismo spinoziano, e lo fa precursore della
moderna filosofia alemanna. La filosofia del rinascimento, incarnata in TELESIO
ed in Bruno, per avere considerato l'assoluto, come natura, ha preparato il
grande avvenimento dello spirito, la cui speculaziane incomincia con la
coscienza cartesiana. L'infinita natura, iniziata da un sofo di Calabria, è la
gran parola della rinascenza e dei tempi moderni! Telesio e Bruno preparano
inoltre la vasta speculazione di Campanella, indomito frate, che sopporta, con
la fiera costanza del calabrese anni di carcere, ed un giorno intero di
torture. Permettete, o Signori, ch'io m’inchini al martirio di Campanella, ed
al rogo di Bruno; martirio e rogo, che sono LA GLORIA DEL MEZZO GIORNO, e del
libero pensiero; la condanna più eloquente dei feroci persecutori dell'umana
ragione. CAMPANELLA, che sublima alla dignità di principio speculativo la
divinità latente di Bruno, è il vero tipo dell'uomo calabro, ricco d'ingegno e
di cuore, intemperante, battagliero, audace, iniziatore. È uomo originale e
contraddittorio; fa l'apoteosi della teocrazia e della Spagna, della
scolastica, del Medio-Evo, e poi scrive la Città del Sole, e vagheggia la
democrazia ed il socialismo, la sovranità del libero pensiero, e lo stato laico
moderno. Ei fonde in sè due età di verso, la età della fede, e l'età della
ragione; Platone ed Aristotile, Telesio ed il Cusano; l'austero sillogismo del
pensatore, e le vaporosità dell’astrologo; le apocalittiche visioni dell’abate
Gioacchino FIORE (si veda), o la fredda sottigliezza di Machiavelli; l'ossequio
alle somme chiavi, e l'audace ribellione di Lutero. Campanella, stupendamente
tratteggiato da FIORENTINO, ritorna, come metafisico, a Platone, ed al Medio-Evo.
Come sensista e psicologo, anticipa, nella teorica del senso e della
cognizione, Cartesio, ed il mondo moderno. Ei proclama la identità del pensiero
e dell'essere. Se non che sì fatta unità non acquista la forza di vero
principio, e Campanella, ad onta delle sue stupende divinazioni, ondeggia
ancora tra lo schietto naturalismo ed il sistema delle cause finali. Alla
filosofia naturale, che tolse in prestito ed usufruttua dal nostro Telesio,
CAMPANELLA aggiunge una metafisica, che ne rimane staccata; mettendo ogni
sforzo per levarsi alle categorie supreme della natura e dell'essere, non seppe
applicarle alla natura, e con tutta l'energia poderosa d’assurgere all'unità,
resta nella opposizione, ch'è il carattere principale del naturalismo. Il solo
naturalismo, chiarendosi con Campanella impotente a spiegare la genesi della natura,
non potė, esso solo, sciogliere il gran problema del mondo moderno, e
conciliare l'universale col particolar; ricomprendere il senso in una forma di
pensiero più larga, dove l'opposizione riapparisse trasformata ed unificata in
una sintesi suprema e dialettica. Tale è il progresso apportato nel
naturalismo, o nella filosofia moderna da GALILEI (si veda) e Descartes. Tali
sono le glorie del nuovo pensiero, anti-mistico e laicale, iniziato da due
filosofi, nati tra i selvaggi burroni delle nostre Calabrie. Fiorentino, dopo
aver richiamato alla memoria degl’taliani. Cornelio, e Severino, glorie dell'università
napoletana, e filosofi telesiani. Dopo aver valutato la importanza di Galilei e
di Bacone, si arresta con Descartes alla soglia della filosofia moderna, lieto
che la speculazione filosofica si stacchi dalle scienze naturali, preliminare, per
altro, necessario nella evoluzione del pensiero moderno, e si posi nel cogito
cartesiano. La natura si emancipa, il pensiero si scioglie, e diviene più
libero e più snello; lo spirito, che tutto ringiovanisce e trasforma, fondo ed
armonizza Telesio e Bruno, Campanella e Galilei, Bacone e Descartes, e la
silvosa Calabria entra co'suoi filosofi, e coi suoi profeti, co’suoi martiri, e
co'suoi precursori nel dramma glorioso del mondo moderno. Vi rientra sotto
l'impulso di Fiorentino, che, nato presso Stilo, tocca di nuovo la squilla
dimenticata di Campanella, annunzia ai calabresi l'aurora di nuovi giorni, la
completa emancipazione dalla scolastica e dal medio-evo; la risurrezione del
pensiero della magna Grecia, fuso, ingrandito, trasformato nel pensiero
moderno. La Calabria e l'Accademia Cosentina non potranno dimenticarlo. Non
potranno disconoscere l'austero filosofo, che ne illustra stupendamente le
glorie, e con magico pennello ne ritrasse gl’apostoli, e gl’eroi,
rivendicando i padri nostri al cospetto di un secolo banchiere e borghese. La
morte lo colge sulla soglia del tempio del Rinascimento; gloria al virile
sacerdote della scienza, che muore, adempiendo il suo dovere, mentre si
folleggia, deridendo gl’eroi del pensiero, i modesti operai del mondo moderno, e
sigitta lo scherno sulle ossa dei grandi precursori della nuova filosofia e
della nuova critica. Io ho fede che i calabresi, così ricci d'ingegno e di
cuore, cosi amanti delle patrie glorie, hanno un culto per gl’uomini, che
muoiono sulla breccia, martiri della scienza e della patria; per le anime
generose, che non curano le amarezze della vita, l'esilio, la povertà, la
carcere, ed accettano, fino le torture di Campanella, fino il rogo di Bruno. Ho
fede che la Calabria si rinnovi nel lavacro della rinascenza e negli studii
virili del passato, e la gentile e dotta Cosenza, riccaperme di care e dolorose
memorie, prodiga di tanto sangue alla patria, di tanto contributo d'ingegno
alla storia del pensiero italiano, s'ispiri nell'austera figura del più grande
dei suoi figli, il cui busto parla tra il verde degli alberi la gran parola del
risorgimento ai calabresi. Ho fede che l'austera parola del filosofo di
Sambiase non suoni più nel deserto, e la sua tomba, su cui piansero amici e
nemici, è un'ara dove le novelle generazioni attingano i forti propositi, e,
quel che più ci preme, la serietà della vita, l'abnegazione, il sacrifizio, ed
il libero pensiero. Così,o gio vani, non sarò costretto a ripetere gli amari
versi dell’austero poeta di Recanati. Oggi è nefando stile Di schiatta ignava e
finta Virtù viva sprezzar lodare estinta. Vincenzo Julia. Julia. Keywords:
implicatura, filosofia calabrese, Campanella, Telesio, Sanctis, Leopardi,
Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Spaventa, Hegel, Aligheri, Serra, Bruno. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giulia” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Giuliano: la ragione
conversazionale e la filosofia di Giove -- Roma -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “When I
think Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio Claudio
Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo
sovrano dichiaratamente pagano, che tenta, senza successo, di riformare e di
restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte
alla diffusione del cristianesimo. Sometimes known as ‘the Apostate,’ Giuliano was a
Roman emperor, who died in battle at the early age of 32 exclaiming the
infamous “Galileans, ye won!” as the arrow penetrated in his breast. A
naturally gifted scholar, Giuliano stuied philosophy under Massimo di Efeso and
had many philosophical friends and acquaintances, including Saturnino Secondo
Salutio, Prisco, and Imerio. Although his philosophical outlook was what he
described as ‘generally eclectic,’ he had a special fondness for the Accademia,
and a particular hostily to the Cinargo. Keen to eliminate the Galileans, as he
called the sect originated after the death of Gesu di Nazareth, in fact he left
them rather ‘to their own devices,’ although removing some of their privileges.
His letters and speeches survive – many on deep philosophical issues (‘What is
universal about worshipping a man born in Galilee who claimed to be the son of
God – and born of a virgin?’). Grice: “There are various Griceian problems when
approaching Giuliano from a Griceian perspective. It all reminds me of my
father, a non-Conformist, in a household comprised of my High-Church mother and
Catholic convert aunt! At Oxford, and in fact, before then, at Clifton, I
learned that religion has nothing to do with i. Nobody believes that Giove
raped Ganymede – it’s a tale! Giuliano has been unjustly treated
counterfactually. Historians, seeing that Giuliano’s fight was useless, dismiss
it. But this is a weak argument. I might just as well dismiss Mussolini’s plans
because we English bombed Milano! Giuliano read too much of what the Hebrews
call ‘the Holy Writ’ – but his propositions should be taken separately, one by
one. In a way reminiscent of Arnold (in his Ebraism and Ellenismo), Giuliano
proposes to us an examination of things like ‘Jesus was the son of God,
therefore he was God.’ Aeneas was divinized by Virgil, so the Romans shouldn’t
count as good critics here. A nice story involves Giuliano and Arete, a
philosopher to whom Giamblico di Calcide dedicated one of his books. It seems likely
that she was one of his pupils. Her neighbours (presumably Christians) tried to
get her thrown out of her home, but the emperor Giuliano himself went to
Phrygia to help her. Giuliano. Keywords:
pagano, ennico, prima Roma, terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Giuliano” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speraza -- Grice
e Giuliano: la ragione conversazionale e
la gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Eclano). Filosofo italiano. A follower of (of all people)
Pelagio. As a result he was prompty
deposed from his position as ‘vescovo’ of Eclanum. He appears to have led an
unsettled life thereafter. His works survive in the use made by them by Agostino
in “Against Giuliano, the defender of the Pelgagian heresy, and the so-called
‘Incomplete work against Giuliano’ – left unfinished by Agostino. Giuliano
strongly opposed Agostino’s convoluted doctrine of the original sins (he said
there were many). By contrast, Giuliano entertained a totally positive
conception of human nature. Giuliano.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Giulio: la ragione conversazionale e la filosofia sotto
Giulio Cesare – Roma – filosofia italiana
– l’anima di Cesare – il discorso contro la penna di morte a Catilina -- Luigi
Speranza. (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio.
Filosofo italiano. Roma, Lazio. Si lo è voluto collocare G. Nel GIARDINO ROMANO
perchè, nell’orazione che, secondo SALLUSTIO (si veda), tenne in senato per
opporsi alla condanna a morte dei complici di Catilina, NEGA l'immortalità
dell’anima -- e le pene dell’oltre-tomba. Però non sappiamo se e fino a
qual punto rispecchi la sua filosofia quell’orazione, che, in ogni modo, mira a
impedire l'uccisione dei catiliniani. La divinazzione di G. La stella
raccontata di OVIDIO (si veda). OTTAVIANO (si veda) interpreta la stella di
altro modo. Allorche nella congiura di CATILINA (si veda) il
console pronunzia il primo contro i congiurati l’opinione sua per la pena
di morte, G., il quale desidera ne’ suoi fini di salvare loro la vita, nell’orazione
che recita in senato, riferita estesamente da SALLUSTIO (si veda), non tratta
gia come ingiusta o crudele la pena di morte, ma disse anzi che per coloro, che
condur devono una vita misera ed infelice, la morte NON È UNA PENA, MA UN
BENEFIZIO, che li libera avventurosomente dai mali che sofirone. Ne CICERONE
(si veda), ne CATONE (si veda), ne alcun altro de' senatori contraddissero
punto in questa parte al sentimento di G.. Anzi, Cicerone ne parla come d'un
sentimento vero e giusto. G., dic’egli, considera che la morte non e stata
dagl’iddi immortali stabilita come una pena, ma come il fine de’ dolori e delle
miserie. Le catene, massimamente le catene perpetue, sono, a parere di lui, la
pena che merita l'orrendo attentato, di qui si tratta. Egli lascia a questi
empil uomini la vita, la quale, se venisse loro tolta, liberati verrebbero ad
un tratto da tutte le pene dell'animo e del corpo. Omnis homines, patres
conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitia, ira atque
misericordia vacuos esse decet. Haud facile animus verum providet, ubi
illa officiunt, neque quisquam omnium lubidini simul et usui paruit. Ubi
intenderis ingenium, valet. Si lubido possidet, ea dominatur, animus
nihil valet. Magna mihi copia est memorandi, patres conscripti, quæ reges
atque populi ira aut misericordia inpulsi male consuluerint. Sed ea malo dicere, quæ maiores nostri contra
lubidinem animi sui recte atque ordine fecere. Bello Macedonico, quod cum
rege Perse gessimus, Rhodiorum civitas magna atque magnifica, quæ POPVLI ROMANI
opibus creverat, infida et advorsa nobis fuit. Sed postquam bello confecto
de Rhodiis consultum est, maiores nostri, ne quis divitiarum magis quam
iniuriæ causa bellum inceptum diceret, inpunitos eos dimisere. Item
bellis Punicis omnibus, quom saepe Carthaginienses et in pace et per
indutias multa nefaria facinora fecissent, numquam ipsi per occasionem
talia fecere: magis quid se dignum foret, quam quid in illos iure fieri
posset, quærebant. Hoc item vobis providendum est, patres conscripti, ne plus apud vos
valeat P. Lentuli et ceterorum scelus quam vostra dignitas, neu magis iræ
vostræ quam famæ consulatis. Nam
si digna poena pro factis eorum reperitur, novom consilium adprobo. Sin
magnitudo sceleris omnium ingenia exsuperat, his utendum censeo, quæ
legibus conparata sunt. Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt,
conposite atque magnifice casum rei publicæ miserati sunt. Quæ belli
saevitia esset, quae victis adciderent, enumeravere: rapi virgines,
pueros; divelli liberos a parentum conplexu; matres familiarum pati quæ
victoribus conlubuissent. Fana atque domos spoliari. Cædem, incendia fieri.
Postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omnia conpleri. Sed, per
deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos infestos
coniurationi faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non permovit,
eum oratio adcendet. Non ita est, neque quoiquam mortalium iniuriæ suæ
parvæ videntur, multi eas gravius æquo habuere. Sed alia aliis licentia
est, patres conscripti. Qui demissi in obscuro vitam habent, si quid
iracundia deliquere, pauci sciunt, fama atque fortuna eorum pares sunt. Qui
magno imperio præditi in excelso aetatem agunt, eorum facta cuncti
mortales novere. Ita in maxuma fortuna minuma licentia est; neque studere
neque odisse, sed minume irasci decet; quæ apud alios iracundia dicitur,
ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur. Equidem ego sic
existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam facinora illorum
esse. Sed plerique mortales postrema meminere et in hominibus inpiis
sceleris eorum obliti de pœna disserunt, si ea paulo severior fuit. D.
Silanum, virum fortem atque strenuom, certo scio quæ dixerit studio rei
publicæ dixisse, neque illum in tanta re gratiam aut inimicitias exercere.
Eos mores eamque modestiam viri cognovi. Verum sententia eius mihi non
crudelis – quid enim in talis homines crudele fieri potest? Sed aliena a
re publica nostra videtur. Nam profecto aut metus aut iniuria te subegit,
Silane, consulem designatum genus pœnæ novom decernere. De timore
supervacuaneum est disserere, quom præsertim diligentia clarissumi viri
consulis tanta præsidia sint in armis. De pœna possum equidem dicere,
id quod res habet, in luctu atque miseriis mortem ærumnarum requiem,
non cruciatum esse; eam cuncta mortalium mala dissolvere; ultra neque curæ
neque gaudio locum esse. Sed, per deos inmortalis, quam ob rem in
sententiam non addidisti, uti prius verberibus in eos animadvorteretur? An quia lex Porcia vetat? At
aliæ leges item condemnatis civibus non animam eripi, sed exilium permitti
iubent. An quia gravius est
verberari quam necari? Quid autem acerbum aut nimis grave est in homines
tanti facinoris convictos? Sin
quia levius est, qui convenit in minore negotio legem timere, quom eam in
maiore neglegeris? Maiores nostri, patres conscripti, neque consili neque
audaciæ umquam eguere; neque illis superbia obstabat quo minus aliena
instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atque tela militaria ab
Samnitibus, insignia magistratuum ab Tuscis pleraque sumpserunt.
Postremo, quod ubique apud socios aut hostis idoneum videbatur, cum summo
studio domi exsequebantur: imitari quam invidere bonis malebant. Sed
eodem illo tempore Græciæ morem imitati verberibus animadvortebant in
civis, de condemnatis summum supplicium sumebant. Postquam res publica
adolevit et multitudine civium factiones valuere, circumveniri
innocentes, alia huiusce modi fieri cœpere, tum lex Porcia aliæque leges
paratæ sunt, quibus legibus exilium damnatis permissum est. Hanc ego
causam, patres conscripti, quo minus novom consilium capiamus, in primis
magnam puto. Profecto virtus atque sapientia maior illis fuit, qui ex
parvis opibus tantum imperium fecere, quam in nobis, qui ea bene parta
vix retinemus. Placet igitur eos dimitti et augeri exercitum Catilinae? Minume.
Sed ita censeo: publicandas eorum pecunias, ipsos in vinculis habendos
per municipia, quæ maxume opibus valent. Neu quis de iis postea ad senatum referat neve cum
populo agat. Qui aliter
fecerit, senatum existumare eum contra rem publicam et salutem omnium
facturum. Tutti gli uomini, o senatori, che
deliberano intorno a fatti dubbi, debbono essere liberi da odio e da
amicizia, da ira e da misericordia. L’intelletto non può discernere
facilmente il vero, se quei sentimenti 1’offuscano, e nessuno mai può
obbedire contemporaneamente alla passione e al proprio interesse. Se
tendi l’arco dell’intelletto, questo ha forza; se sei preda della
passione1, questa domina e la mente non ha più vigore. Potrei, o
senatori, ricordare molti e molti esempi di re e di popoli che spinti
dall’ira o dalla pietà presero funeste deliberazioni; ma io preferisco
dire ciò che i nostri antenati, trattenendo l’impeto delle loro passioni,
fecero con senso di rettitudine e di giustizia. Nella guerra Macedonica, che
noi combattemmo contro il re Perseo, la città di Rodi, grande e magnifi
ca, che aveva accresciuto la sua potenza con l’aiuto del popolo romano,
ci fu infedele e nemica; ma quando, terminata la guerra, si dovette
deliberare intrno alla sorte dei Rodiesi, i nostri antenati li lasciarono
impuniti3, affi nché non si dicessse che si era intrapresa la guerra per
impadronirsi delle loro ricchezze piuttosto che per l’offesa ricevuta. Allo
stesso modo in tutte le guerre puniche, benché i Cartaginesi, durante gli
intervalli di pace e le tregue, avessero commesso molte azioni crudeli, i
nostri non approfi ttarono mai dell’occasione per fare delle
rappresaglie; cercavano di agire sempre secondo la loro dignità piuttosto
che, infi erire contro di quelli, anche se a buon diritto. Così pure voi,
o senatori, dovete tener conto di voi stessi, affi nché presso di voi non
possa di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che la
vostra dignità, e non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla vostra
buona reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata al male
da loro compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se la
grandezza del misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano
applicare quelle pene che siano stabilite dalle leggi. La maggior parte
di coloro che hanno espresso il loro parere prima di me, con un
linguaggio forbito e brillante, hanno commiserato la sventura dello
Stato. Hanno enumerato le crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti,
vergini e fanciulli rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori,
madri di famiglia costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi
spogliati, stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e
lutto Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie
la morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve
tutti i mali umani e non schiude né angosce né gioie. Ma, per gli dèi
immortali, perché non hai aggiunto alla tua proposta che i congiurati
fossero sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la legge
Porcia? Ma ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già condannati a
morte non si tolga la vita, ma si conceda l’esilio. O forse perché è più
duro essere fustigato che ucciso? Quale pena è grave o troppo aspra per
chi risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una pena troppo
leggera fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti
poco importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero,
chi potrà criticare una sentenza di morte contro traditori della patria?
L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti.
Qualunque cosa accada, essi l’avranno ben meritata; però, voi, o
senatori, rifl ettete bene6 che ciò che deliberate non ricada su
altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità
fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno
onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben
meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la
repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la forza dei
partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere arbìtri
di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa altre leggi con
cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. Io, o senatori, ritengo che
questo motivo sia di grandissima importanza perché non si approvi
l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e saggezza coloro
che costruirono con forze modeste un così vasto impero che non noi, che a
malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno creato. Allora si debbono
mettere in libertà costoro e mandarli ad accrescere l’esercito di
Catilina? Niente affatto. Ma ecco il mio parere: si confi schino i loro
beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai municipi che posseggono i
migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro non si facciano più
proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno trasgredisse, il
Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della salvezza pubblica.Giulio
Cesare. Tutti gli uomini, o senatori, che deliberano intorno a fatti dubbi,
debbono essere liberi da odio e da amicizia, da ira e da misericordia. 2.
L’intelletto non può discernere facilmente il vero, se quei sentimenti
1’offuscano, e nessuno mai può obbedire contemporaneamente alla passione
e al proprio interesse. 3. Se tendi l’arco dell’intelletto, questo ha
forza; se sei preda della passione1, questa domina e la mente non ha più
vigore. 4. Potrei, o senatori, ricordare molti e molti esempi di re e di
popoli che spinti dall’ira o dalla pietà presero funeste deliberazioni; ma
io preferisco dire ciò che i nostri antenati, trattenendo l’impeto delle
loro passioni, fecero con senso di rettitudine e di giustizia. Nella
guerra Macedonica, che noi combattemmo contro il re Perseo, la città di
Rodi, grande e magnifi ca, che aveva accresciuto la sua potenza con
l’aiuto del popolo romano, ci fu infedele e nemica; ma quando, terminata
la guerra, si dovette deliberare intrno alla sorte dei Rodiesi, i nostri
antenati li lasciarono impuniti, affi nché non si dicessse che si era intrapresa
la guerra per impadronirsi delle loro ricchezze piuttosto che per l’offesa
ricevuta. Allo stesso modo in tutte le guerre puniche, benché i Cartaginesi,
durante gli intervalli di pace e le tregue, avessero commesso molte
azioni crudeli, i nostri non approfi ttarono mai dell’occasione per fare
delle rappresaglie; cercavano di agire sempre secondo la loro dignità
piuttosto che, infi erire contro di quelli, anche se a buon diritto. Così
pure voi, o senatori, dovete tener conto di voi stessi, affi nché presso
di voi non possa di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri che
la vostra dignità, e non pensiate maggiormente alla vostra ira che alla
vostra buona reputazione. 8. Infatti se si può trovare una pena adeguata
al male da loro compiuto, io approvo anche un provvedimento eccezionale; ma se
la grandezza del misfatto supera ogni umana credenza, io penso che si debbano
applicare quelle pene che siano stabilite dalle leggi. La maggior parte
di coloro che hanno espresso il loro parere prima di me, con un
linguaggio forbito e brillante, hanno commiserato la sventura dello
Stato. Hanno enumerato le crudeltà della guerra e i mali che toccano ai vinti,
vergini e fanciulli rapiti, fi gli strappati dalle braccia dei genitori,
madri di famiglia costrette a subire le voglie dei vincitori, case e templi
spogliati, stragi, incendi, infi ne in ogni luogo armi, cadaveri sangue e
lutto. Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle
miserie la morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi
dissolve tutti i mali umani e non schiude né angosce né gioie. Ma, per
gli dèi immortali, perché non hai aggiunto alla tua proposta che i
congiurati fossero sottoposti prima alla fustigazione? Forse perché lo vieta la
legge Porcia? Ma ugualmente altre leggi dispongono che ai cittadini già
condannati a morte non si tolga la vita, ma si conceda l’esilio. O forse
perché è più duro essere fustigato che ucciso? Quale pena è grave o
troppo aspra per chi risulta colpevole di un tanto delitto? Se poi è una
pena troppo leggera fustigarli, come può darsi che si tema la legge per fatti
poco importanti, quando è stata violata per più gravi? Ma invero,
chi potrà criticare una sentenza di morte contro traditori della patria?
L’occasione, il tempo, la fortuna, che dominano a loro volontà tutte le genti.
Qualunque cosa accada, essi l’avranno ben meritata; però, voi, o
senatori, rifl ettete bene6 che ciò che deliberate non ricada su
altri. Tutti gli esempi di illegalità nascono da casi in cui quell’illegalità
fu giusta; ma quando il potere passa nelle mani di cittadini incapaci o meno
onesti, quel nuovo esempio di illegalità, applicata contro chi l’aveva ben
meritato, viene rivolto contro cittadini incolpevoli e innocenti. Quando la
repubblica s’ingrandì e la moltitudine dei cittadini accrebbe la forza
dei partiti, si cominciarono a opprimere gli innocenti e a commettere
arbìtri di tal fatta; allora fu approvata la legge Porcia e con essa
altre leggi con cui si concedeva l’esilio ai rei di pena capitale. 41. Io, o
senatori, ritengo che questo motivo sia di grandissima importanza perché
non si approvi l’innovazione che ora si propone. Certamente ebbero più virtù e
saggezza coloro che costruirono con forze modeste un così vasto impero
che non noi, che a malapena sappiamo mantenere ciò che così bene essi hanno
creato. Allora si debbono mettere in libertà costoro e mandarli ad
accrescere l’esercito di Catilina? Niente affatto. Ma ecco il mio parere:
si confi schino i loro beni, si tengano i rei in prigione affi dandoli ai
municipi che posseggono i migliori presìdi; per l’avvenire intorno a costoro
non si facciano più proposte in Senato né discorsi al popolo; se qualcuno
trasgredisse, il Senato deve dichiararlo nemico dello Stato e della
salvezza pubblica. Giulio Cesare. Keywords: l’immortalita dell’anima –
Shropshire e Giulio – Giulio’s intenzione al crosare il Rubicon -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giulio” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giulio: la ragione conversazionale e l’attaco a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma) Filosofo
italiano. A philosopher who
was killed during an attack on the city. Giulio
Giuliano.
Luigi Speranza --
Grice e Giunco: la ragione conversazionale dell’andreia -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. The author of a philosophical dialogue about the three ages of man. The
son-in-law of Tito Vario Ciliano. The models for the three ages of man are his
father in law, himself, and his own son, as models. He argues that the middle
age is the best. Grice: “But he was biased. In fact, in my lectures on
reasoning, I give this as an example of biased reasoning!” – Giunco.
Luigi Speranza --
Grice e Giunio: la ragione conversazionale dell’accademia al portico romano -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Appartene all'Accademia -- cioè effettivamente
all’eclettismo con tendenze stoiche di Antioco d’Ascalona -- che, appunto,
accetta dottrine derivate dal portico. In Atene fa studi di filosofia, e
in questa ha maestro Aristone. Nella guerra civile parteggia per Pompeo e
combatte a Farsaglia. Ottenne di riconciliarsi con GIULIO (si veda) Cesare.
Forma stretti rapporti con CICERONE, che gli dedica varie opere: "Brutus",
"Paradoxa", "Orator", "De finibus",
"Tusculanae", "De natura Deorum." A CICERONE, dedica il
"De virtute" (Andreia). Legato pro-pretore nelle Gallie, pretore
urbano, partecipa alla congiura contro GIULIO (si veda) Cesare e e uno dei suoi
uccisori. Sconfitto a Filippi d’OTTAVIANO, si uccide. Uno dei maggiori
rappresentanti dell’atticismo è oratore insigne. Scrive lettere (VIII a
Cicerone ci restano nella corrispondenza di questo), poesie e tre opere
morali. Nel "De virtute” difende la teoria dell’auto-sufficienza
della virtù. In "Sui doveri" da precetti al fratello sulla sua
condotta. (Grice: “He never followed them!”). Nel "De patientia,"
tratta di questa. Marco Giunio Bruto il Minore. Giunio. The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Giunio: la ragione conversazionale e il portico romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A follower of the Porch, and one of the senators who opposed NERONE. Giunio Maurizio
Luigi Speranza --
Grice e Giuniore: la ragione conversazionale e la geografia filosofica -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A philosopher who wrote, or edited, a short work on geography,
comprising the whole of Rome, and some of the shoreline outskirts, including
Ostia. Giuniore.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giussani:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amicizia – il
comune, fraternità, liberazione – la
scuola di Desio -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Desio). Filosofo lombardo.. Filosofo italiano. Desio, Monza,
Lombardia. Grice: “I like Giussiani; of course at Oxford he would be a no-no,
being a Catholic; but he understands the pragmatics of conversation!” Ricevette la prima introduzione dalla madre Angelina
Gelosa, operaia tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un
socialista. Entra nel seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso
dove frequenta i primi quattro anni di ginnasio. Si trasfere a Venegono
Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequenta l'ultimo anno di
ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolge i successivi studi di filosofia.
Ha come docenti, fra gli altri, Colombo, Corti, Carlo, e Figini. In quella sede
conosce i compagni di studio Manfredini e Biffi. Si interessa di Leopardi e
delle chiese ortodosse. Riceve l'ordinazione da Schuster. Dopo
l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come insegnante e si
specializzò nello studio della teologia orientale, specie sugli slavofili,
della teologia protestante e della motivazione razionale dell'adesione alla
Chiesa. Lascia l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole
superiori. Inizia l'insegnamento della religione nelle scuole a Milano dove e
suo alunno Giorello. Le riunioni di suoi studenti si tennero con il nome di
Gioventù Studentesca, che fonda insieme a Ricci e che fa parte dell'Azione
Cattolica. Inizia anche un'attività pubblicistica volta a porre
attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce "Educazione"
per l'Enciclopedia Cattolica. Sotto Colombo continua gli studi di teologia
protestante per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Ottenne la
cattedra di Introduzione alla Teologia a Milano. Lo Spirito Santo ha suscitato
nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la
bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione
che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. G.
s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità
e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei
desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto
della nostra umanità, ma attraverso di essa. Il movimento da lui creato prese
il nome di Comunione e Liberazione; ne assunse la guida presiedendone il
consiglio generale. Il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la
Fraternità di Comunione e Liberazione e G. ne guidò la Diaconia
Centrale. Contribuì alla costituzione della Fondazione Banco Alimentare.
Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del Per Corso, redatta a partire
dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta
al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in
successive edizioni prima da Jaca e poi da Rizzoli, è composta da “Il senso
religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Propone la
concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo
attraverso la Chiesa cattolica. La fede è un «riconoscere una Presenza» ed
occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani,
l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una
critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale
strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo
di conoscenza sono le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza
religiosa. Dopo la morte, sono stati dedicati a G.: Desio: nel
paese natale di G., la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di
Cristina Mariani a Milano: parco G., in predenza parco Solari Trivolzio: il
piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa
parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri. Finale Ligure:
l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di
Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione,
che ancora si chiamava Gioventù Studentesca Castronno (VA): un largo presso la
rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi. Ascoli Piceno: la scuola
primaria e dell'infanzia "G.". Portofino: la piazzetta del faro Kampala
(Uganda): la scuola secondaria G. Pozzolengo: il parco comunale adiacente al
castello San Leo: un basso-rilievo in bronzo, opera dell'artista riminese Ceccarellia,
sulla facciata del convento di Sant'Igne Rimini: la rotonda davanti al
Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera dove si sono svolte le
prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli Chiavari: un tratto del
lungoporto Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo Trento Cinisello
Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il centro sportivo
della frazione di Redecesio Strade comunali sono state intitolate a don G. a
Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. La maggior parte delle
opere deriva dalla trascrizione di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in
pubblico durante raduni, convegni, esercizi spirituali. I suoi libri sono stati
pubblicati dall'editore milanese Jaca. Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi
di G. in nuove edizioni aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e
di nuovi contenuti editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche
pubblicato le opere inedited e volumi antologici di conversazioni
precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di
redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di testi sono poi usciti anche per altri editori,
tra i quali Marietti, San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio. Trascrizioni
di conversazioni e lezioni nel corso di incontri con i responsabili di
Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti
ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o
allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come
CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni
nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato
in volumi antologici. -- è iniziata la catalogazione sistematica dei
testi e degli scritti di Giussani. G. Scritti, curato dalla Fraternità di
Comunione e Liberazione, inizia la pubblicazione di schede riassuntive dei
testi. Ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito cristiano per la
Biblioteca Universale Rizzoli. La collana e poi sostituita da un'analoga
iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato titoli
scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di G. e di Comunione e
Liberazione. Ha diretto la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di
«introduzione alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota
introduttiva di G., una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una
guida all'ascolto. Saggi: “Il senso religioso: all'origine della pretesa
cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo. “Il senso religioso, Jaca, Reinhold
Niebuhr, Jaca Teologia protestante, La Scuola Cattolica, Jaca Marietti, “L'impegno
del cristiano nel mondo, Jaca, Tracce di esperienza e appunti di metodo
cristiano, Jaca Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca, San Paolo, Il
rischio educativo, Jaca, SEI, Rizzoli, Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Decisione
per l'esistenza, Jaca L'alleanza, Jaca Il senso della nascita, colloquio con Testori,
BUR Rizzoli, Moralità: memoria e desiderio, Jaca, Alla ricerca del volto umano,
Jaca Rizzoli, Pregare, illustrazioni di Marina
Molino, Jaca La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La
coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca, Il senso religioso, Per Corso, Jaca Rizzoli, All'origine
della pretesa Cristiana, Jaca Rizzoli, Perché la Chiesa, Jaca, Rizzoli, Un
avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato L'avvenimento cristiano,
BUR Rizzoli, Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, Si può vivere così?,
BUR Rizzoli, Rizzoli Il PerCorso, Jaca, Opere: Jaca, Il tempo e il tempio, BUR
Rizzoli, Realtà e giovinezza: la sfida, SEI; Rizzoli, Il cammino al vero è
un'esperienza, SEI, Rizzoli, Le mie letture, Rizzoli, Si può (veramente?!) vivere
così?, BUR Rizzoli, Porta la speranza, Marietti Riconoscere una presenza, San
Paolo, Lettere di fede e di amicizia a Majo, San Paolo, Generare tracce nella
storia del mondo, con Alberto e Prades, Rizzoli, L'uomo e il suo destino,
Marietti Scuola di Religione, SEI, L'io, il potere, le opere, Marietti Tutta la
terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Che cos'è l'uomo perché te ne curi?,
San Paolo, Avvenimento di libertà, Marietti L'opera del movimento. La
Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Il miracolo dell'ospitalità,
Piemme,Il Santo Rosario, San Paolo, Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, La
libertà di Dio, Marietti, Come si diventa cristiani, Marietti La familiarità
con Cristo, San Paolo, Vivere intensamente il reale, La Scuola,. Spirto gentil,
BUR Rizzoli,. Cristo compagnia di Dio all'uomo, EMessaggero Padova, Collana
Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, Vivendo nella
carne, BUR Rizzoli, L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, L'auto-coscienza del cosmo,
BUR Rizzoli, Affezione e dimora, BUR Rizzoli, Dal temperamento un metodo, BUR
Rizzoli, Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, Collana L'Equipe Dall'utopia
alla presenza BUR Rizzoli, Certi di
alcune grandi cose, BUR Rizzoli, Uomini senza patria BUR Rizzoli, Qui e ora BUR
Rizzoli, “L'io rinasce in un incontro” BUR Rizzoli, Ciò che abbiamo di più
caro, BUR Rizzoli, Un evento reale nella vita dell'uomo BUR Rizzoli, In cammino
BUR Rizzoli, Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR
Rizzoli, La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, La verità nasce dalla
carne, BUR Rizzoli, Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli, Interviste Comunione e Liberazione.
Interviste Robi Ronza, Milano, Jaca Book, Un caffè in compagnia. Conversazioni
sul presente e sul destino, colloqui con Farina, Milano, Rizzoli. Il fondatore:
Comunione e Liberazione. CamisascaC’altro Sessantotto", da
"L'Osservatore Romano" ORIGINE, in Banco Alimentare, Elemedia
S.p.A.Area Internet, Il mistero di don G.. Rivelato dai suoi scritti, su
chiesa. espresso.repubblica. Oggi l'addio a don Giussani Il Tirreno, in
Archivio Il Tirreno. Società Coop. Edit. Nuovo Mondo Via Porpora, Milano Tracce,
Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano», su tracce. Repubblica »
politica » Milano, i funerali di G., su repubblica Milano, profanata la tomba
di don G., Corriere della Sera su corriere. Chiesta l'apertura della causa di
beatificazione e canonizzazione, in Tracce, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Passo
avanti verso la beatificazione di don Giussani, in Tempi, Società Coop. Edit.
Nuovo Mondo, Savorana, Don Luigi G., fondatore di CL, nominato monsignore, in
Avvenire, Don G.: vince il premio della cultura cattolica, in Adnkronos, Mia
giovinezza, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Premio Isimbardi Città
metropolitana di Milano.Tettamanzi, La famiglia a scuola, in Tracce, Coop.
Editoriale Nuovo Mondo, La Festa dello StatutoEdizione Sigilli longobardi, su
Consiglio Regionale della Lombardia. Desio, rinasce il monumento per don
Giussani a dieci anni dalla scomparsa, in Il Cottadino, Il parco Solari sarà dedicato a G., in Il
Giornale, Tornielli, Don Giussani nel solco di San Pampuri, in La Provincia
Pavese, Finale: intitolazione strada a Giussani, in Savona News, Castronno, intitolata a Don G. la nuova
rotonda, in Varese News, Emidio Cagnucci, al musicista ascolano intitolata una
scuola, in il Quotidiano,Francesca Nacini, G. faro di Portofino, Il Giornale, Uganda.
La G. High School inaugurata a Kampala tra i canti delle donne del Meeting
Point, su AVSI, Pozzolengo, raid vandalici nei parchi, in qui Brescia, Un
bassorilievo per G. a San Leo, in Rimini
Today, Rotatoria del Palacongressi dedicata a G., in Altarimini, Chiavari,
lungoporto G. per il fondatore di Cl, in Il Secolo XIX, In Borgo Trento
giardini intitolati al fondatore di CL, in Verona Notte, Melati, Jaca Santa
editrice della rivoluzione, in Il Venerdì di Repubblica, L'Espresso SpA, Le
opere di Comunione e Liberazione. Chi
siamo, su G. Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Collana I libri dello spirito cristiano, Comunione
e Liberazione. Collana musicale Spirto gentil, di Comunione e Liberazione. Bosco,
G., Torino, Elledici, Bedouelle; Graziano Borgonovo; Clément; Olinto; Ries, Gli
uomini vivi si incontrano: scritti per G., Milanok, Camisasca, Comunione e
Liberazione: Le origini Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Massimo
Camisasca, Comunione e Liberazione: La ripresa, Cinisello Balsamo, San
Paolo,Elisa Buzzi, Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti D Perillo, Caro G..
Dieci anni di lettere a un padre, Piemme, Camisasca, Comunione e Liberazione:
Il riconoscimento, Appendice, Cinisello Balsamo, San Paolo, Farina, G.. Vita di
un amico, Piemme, Farina, Maestri.
Incontri e dialoghi sul senso della vita, Piemme, Ceglie, G.. Una religione per
l'uomo, 1ª ed., Cantagalli, Gamba, Allargare la ragione, Vita e Pensiero, Camisasca,
G.. La sua esperienza dell'uomo e di Dio, Cinisello Balsamo, San Paolo, Savorana,
Vita di G., Milano, Rizzoli Editore, Savorana, Un'attrattiva che muove, 1ª ed.,
Milano, BUR Saggi, Scholz-Zappa, G. e Guardini. Una lettura originale, Milano,
Jaca, Marta Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico
dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Studium, Massimo Camisasca,
L'avventura di Gioventù Studentesca, fotografie di Elio Ciol, Milano, Mondadori
Electa, G. Paximadi, E. Prato, R. Roux e Tombolini, Giussani. Il percorso
teologico e l'apertura ecumenica, Siena, Cantagalli Eupress FTL. Scritti
di G., su G. Scritti, Fraternità di
Comunione e Liberazione. Giussani su Comunione e Liberazione, Fraternità di
Comunione e Liberazione. Luigi Giovanni Giussani. Giussiani. Keywords:
dell’amicizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giussani” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Giusso:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’eroi –
filosofia fascista -- il mistico
dell’azione – filosofia campanese – filosfia napoletana – la scuola di Napoli
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Giusso: he has explored philosophers
from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe whole ‘tradizione ermetica
nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson – and especially “Dutch,”
i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche – All very Italian!” Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio
Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in
un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito
allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, G., uno dei fondatori
del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Si laurea in filosofia a Napoli
sotto ALIOTTA (si veda). Segue con passione l'attualismo gentiliano e proprio
il suo carattere passionale lo porta anche nel campo filosofico ad un tipo di
critica scenografica, così come fu definita. Le sue frizioni con Croce,
inizialmente orientate su temi politici, presero più tardi una forma
"sotterranea", genericamente orientata contro l'idealism. G. si
richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo
di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che
per la sua interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una
severa recensione dello stesso Croce, G. è criticato dall'ambiente crociano. G,
critico e storico delle idee s'identificava con la visione della vita di autori
che sentiva a lui vicini per temperamento ed interessi come Bruno, Vico
(dall'analisi degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Croce), Giacomo,
Bacchelli, Barilli, Papini, Soffici, Palazzeschi, Borgese, Gozzano, che molto
ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni ammalato. I suoi Tafferugli a
Montecavallo meriterebbero forse di essere più conosciuti. Tra le due guerre,
egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce,
da cui molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli difende e
mostra di apprezzare) assumendo posizioni eretiche e ispirandosi piuttosto a un
ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle
molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Spengler
e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima
di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da
Napoli portandolo ad insegnare Filosofia a Bologna, Pisa, e Cagliari, Giusso
avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi
quotidiani icome Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del
Carlino, ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di
Sicilia, La Stampa ed altri ancora.
Giornali questi dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei
più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali
esponenti, soprattutto scrittori. Nel dopoguerra, superati i miti
dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, si riavvicinò alla fede cristiana.
Era sua intenzione realizzare una revisione del pensiero italiano dal
Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e
l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico
volto a ravvicinare la filosofia della Roma antica e quello cristiano. In
chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla
figura di BRUNO (si veda). Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna muore.
A Napoli gli venne intitolata una strada.
Saggi: “Le dittature democratiche dell'Italia” (Milano, Alpes); “Leopardi”
(Napoli, Guida); “Idealismo e prospettivismo” (Napoli, Guida); “Leopardi e le
sue due ideologie” (Firenze, Sansoni); Spengler, Roma, società anonima La nuova
antologia, Cadenze di Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda); “VICO fra
l'Umanesimo e l'Occasionalismo” (Roma, Perrella); “La visione della vita” (Napoli,
R. Ricciardi); “Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano, Corbaccio); “Il
viandante e le statue: saggi sulla letteratura contemporanea, Roma, Cremonese);
“Lo storicismo, Milano, Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti, L'anima e il
cosmo, Milano, Bocca, “La tradizione
ermetica nella filosofia italiana” (Milano, Bocca); Due scritti sul
nazionalsocialismo, Roma, Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli
Studi Suor Orsola Benincasa,. Tafferugli a Montecavallo, La Finestra, Lavis, Il
fascismo e Croce, "Gerarchia", "La Critica", rist. in Nuove pagine
sparse, Panteismo e magia in Bruno (Sassari, Scienze e filosofia in Bruno,
Napoli Roma, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Corriere della sera, La Fiera letteraria, Giornale di
metafisica, F. Bruno,Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos, IE. Falqui,
Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di
oggi, Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G.
Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, R. Maran, L. G. e la ricerca d'un
sistema, in Sophia, A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero; Toffanin,
Nuova Antologia, Boni Fellini, L'Osservatore politico letterario, Diz. della
letteratura mondiale, Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiano. L’Illuminismo oscuro G., autore e studioso
multidisciplinare, ha lasciato ai posteri una sterminata produzione
intellettuale, tenuta tuttavia troppo poco in considerazione dal mondo
accademico contemporaneo. Stefano Chemelli 10 articoli G. è
studioso di filosofia. Recinto riduttivo si dirà, ma per lui invece parco
multiforme. Ispanista, germanista, francesista. Allievo d’Aliotta e BATTAGLIA
(si veda) è critico letterario, si laurea, ottiene la libera docenza in
Filosofia teoretica e morale ma insegna. “Tafferugli a Montecavallo” pubblicato
da Cappelli uno studio sul barocco romano e Bernini, “La tradizione ermetica
nella filosofia italiana”, le straordinarie conversazioni radiofoniche di
“Autoritratto spagnolo” sono appena un accenno a una sterminata produzione
redatta nel breve arco di cinquantasette anni. Sodale di Unamuno e Ortega
con i quali ha condiviso amabili conversari, G. si occupa a fondo di Goethe, LEOPARDI
(si veda), Stendhal, Nietzsche, Dostoevskij, Freud, Dilthey, Simmel, Bergson,
GIOBERTI (si veda), VICO (si veda), BRUNO (si veda). Inoltre fu di Spengler uno
dei primissimi esegeti italiani. Dotato di una conversazione che incantava
anche il grande Edoardo, complice in gustosi siparietti nei quali De Filippo si
trasformava in spettatore, basterebbero le pagine dedicate al Bernini per
intuire la rabdomantica agilità di scrittura sempre corroborata da una cultura
che poteva reggere l’impulso filologico di un Croce. Dona un’analisi storica
poderosa in “Le dittature democratiche dell’Italia”, all’ascesa del fascismo,
seguito dalla prima raccolta di scritti letterari che ne connotano le capacità
di “viandante” nei diversi giardini del sapere; “Il ritorno di Faust” è,
“Figure di Capri”, a ruota seguono le pagine sopra Freud, Ortega, Dostoevskij,
e soprattutto lo studio su Leopardi. Copia de "La tradizione
ermetica nella filosofia italiana"Copia de “La tradizione ermetica nella
filosofia italiana” Stendhal e Nietzsche non escludono l’impegno anche poetico
che troverà sfogo in tre raccolte che molto dicono del Giusso più segreto
(“Musica in piazza”, “Cadenze di Sigismondo nella torre”, “Elegie del torso
della saggezza mutilata”). “Spengler e la dottrina degli universali formali”
restituisce in forma autonoma un approfondimento più volte ripreso da Giusso
nel decennio dei trenta che costituisce la decade dell’approfondimento
filosofico più intenso (Dilthey e Ortega tra gli altri) e preparatorio al
grande volume “Filosofia e immagine cosmica” dedicato a GENTILE. Due traduzioni
spagnole coinvolgeranno gli studi di G. rivolte a Vico ma sarebbe urgente dare
attenzione alla tradizione ermetica, magari per scoprire che GARIN (si veda)
l’ha sicuramente letta e ripresa molto più tardi. Kulturkritiker
universale lo definì Buscaroli, allievo devoto a Bologna quando G. strabilia un
manipolo di arditi fuoricorso in Estetica e Letteratura spagnola, che mai
avrebbero rinunciato alle sue esibizioni in diretta presso l’Alma Mater
bolognese, fugacemente ospitati. Un grande romantico della ispecie dei
Kleist, degli Hoederlin, dei Novalis però, poeta dei talami dissacrati che
trova negli articoli, nelle corrispondenze, nei taccuini di viaggio infinite
suggestioni, il tono di un G. confidenziale e descrittivo vicino al lettore non
specialista ma disposto a calarsi nell’ambiente e nell’aria, nella luce chiara
e tersa di un respiro curioso sino al dettaglio minuto. Filosofia ed
imagine cosmica; Filosofia ed immagine cosmica; Pubblicati recentemente i
quaderni spagnoli dalla Università Benincasa, sono ancora inedite le pagine
tedesche e austriache, ma esistono anche reportage francesi, nei quali uomini e
cose sbalzano con la modestia e la versatilità del carattere e la magnificenza
della scrittura. La vita di ognuno non elide né la circostanza né l’astrazione,
G. è uno dei protagonisti del teatro del mondo che abbiamo ignorato, noi
italiani, lui, molto napoletano, ma già europeo, ben oltre l’amatissima Spagna.
Un europeo immerso nella musica delle lingue (francese, spagnolo, tedesco…), in
VICO e Spengler. Tilgher, Alvaro, Toffanin, furono amici veri, fidati, ammirati
di un uomo al quale era sconosciuta l’invidia e al contrario era profferta a
piene mani una generosa e prodiga liberalità in nome di una poetica propensione
al dialogo di un sapere trasversale, comunicativo e incantato nella magia della
parola libera, circostanziata, esatta. Una studiosa di letteratura
italiana ha affermato che il più bel libro di G. è il quaderno spagnolo, ed ha
pure aggiunto che quaderno spagnolo e autoritratto spagnolo coincidono. Spaini,
ma pure Buscaroli che con Rispoli di G. sono stati tra i conoscitori più
profondi di G., difficilmente concorderebbero. Le pagine spagnole, tedesche,
austriache servono a entrare nel mondo giussiano, consentono di accedere a una
dimensione della cultura che non conosce omologazioni di sorta, schieramenti,
posizionamenti di rendita. Permettono di sorridere a fronte di un esteta armato
solo di una generosità speciale: cogliendo l’anima dell’umanità in una minuzia
necessaria a ritrovare un sentiero precario, attraverso il quale condurre a una
visione più ampia, senza dimenticare la poesia della vita. Gioberti come uomo
del risorgimento – serie: Uomini del risorgimento. “U= IL FASCISMO di Croce”
Gerarchia – “Croce contro Croce” – da CRITICA FASCISTA – “Gentile, mistico
dell’azione, tratto da “Il lavoro d’Italia” – “Gentile, “La Nazione” .
Nacque a Napoli, in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio e da
Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno
fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo
sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, ne era
stato sindaco). Gli studi di G. a Napoli (dove è allievo, fra gli altri,
di ALIOTTA (si veda)), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si
svilupparono in molteplici direzioni. Pur destinato a diventare
prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi
interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla
filosofia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto
piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza approfondita ed
estesissima nei settori più diversi. Tra le due guerre, egli partecipò
all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui
molto presto si distaccò (come TILGHER (si veda), che egli mostra di
apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a
un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e
dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare, in una fase
iniziale, Spengler e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima di
intraprendere l'insegnamento universitario, che lo avrebbe allontanato da
Napoli, G. avvia una copiosa pubblicazione di saggi, collaborando con numerosi
quotidiani italiani come autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più
diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali
esponenti, soprattutto scrittori. L'attività giornalistica si sviluppa
particolarmente quando G. inizia a collaborare con L'Idea nazionale, Il Popolo
d'Italia e Il Secolo, quindi con Il Mattino, come critico letterario; fu poi
autore di articoli di viaggio, per il Corriere della sera, e tenne un diario
critico per Il Resto del Carlino, pubblicando sulla terza pagina di molti
quotidiani italiani (Il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di
Sicilia, La Stampa e altri ancora), anche se il lavoro propriamente
giornalistico rallentò quando prevalse quello universitario. Ottenne la
libera docenza in filosofia a Napoli, dove l'anno successivo insegnò filosofia
morale; le principali tappe del suo percorso universitario - molteplice anche
per le numerose discipline di cui si occupa - furono: Cagliari, dove insegna come
professore incaricato, ricoprendo, secondo un percorso abbastanza inconsueto e
irregolare, le cattedre di filosofia teoretica, letteratura italiana e
francese, storia delle religioni; quindi, Bologna, dove, sempre come
incaricato, insegnò lingua e letteratura spagnola, infine Pisa. La carriera
universitaria del G. non si limitò, comunque, all'Italia: insegna letteratura
italiana a Monaco, a Nizza, a Breslavia, a Debreczen in Ungheria, a Madrid,
dove è accademico d'onore, e a Barcellona. Proprio al ritorno da un
viaggio in terra spagnola venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto
alla morte. G. muore a Roma. Oltre all'attività come giornalista e
saggista, G. pubblica anche alcune raccolte di poesie: Musica in piazza
(Napoli) e Don Giovanni ammalato, una rifusione, accresciuta, del primo volume;
Cadenze di Sigismondo nella torre, Modena; e, infine, Elegie del torso della
saggezza mutilata, Milano: d'intonazione prossima ai crepuscolari le prime,
percorse dal senso di una discrepanza tra la piattezza della vita quale ci è
data e il desiderio di viverla in modo più libero e pieno; maggiormente legate
all'estetismo dannunziano, e insieme non dimentiche del clima d'avanguardia in
cui era avvenuta la prima formazione di G., le ultime due. Saggista
acuto, ottimo conversatore, spirito brillante e fortemente antiaccademico,
caratterizzato da un sapere enciclopedico, G. non si lega ad alcuna scelta
politica, non appartenne a nessuna scuola di pensiero e non ebbe maestri
diretti né discepoli. Dal suo asistematico sforzo di interpretazione della
cultura moderna non si può trarre una dottrina unitaria ma soltanto il profilo
di un cammino variegato e intenso, che trae origine dalla ricerca di una
visione totale dell'esistenza nel fondamentale intento di realizzare un ideale
di vita, problema con cui G. non smise mai di misurarsi, secondo una
prospettiva antirazionalista (e implicitamente antidealista).
Allontanatosi molto presto, come si è detto, dal crocianesimo imperante
nell'ambiente napoletano, il primo interesse di G. è per i protagonisti
dell'irrazionalismo e del vitalismo eroico, e per il pessimismo cosmico di
Leopardi (Il ritorno di Faust, Napoli; Leopardi, Stendhal, Nietzsche; Tre profili:
Dostoevskij, Freud, Ortega y Gasset; Leopardi e le sue due ideologie, Firenze);
in tempi diversi riunì in raccolte i ritratti degli autori e dei personaggi che
più lo avevano interessato (Il viandante e le statue. Saggi sulla letteratura
contemporanea, Milano). Nell'ambito di una ricerca più propriamente FILOSOFICA,
i principali autori di riferimento di G. - che costituirono anche l'oggetto dei
suoi studi – sono Dilthey (Dilthey e la filosofia come visione della vita,
Napoli; Dilthey, Simmel, Spengler, Milano); i già ricordati Nietzsche
(Nietzsche, Napoli), Spengler (Spengler e la dottrina degli universali formali,
Napoli), e Gasset. Il rapporto tra razionalismo e irrazionalismo (e il
superamento della loro opposizione) e quello tra scienza e filosofia e vita
sono il tema di fondo di quella che probabilmente rimane una delle sue opere
più significative, Filosofia ed imagine cosmica (Roma), in cui, in diretto
riferimento a Vico (si veda anche: Vico tra umanesimo e occasionalismo, Roma;
La filosofia di Vico e l'età barocca), egli delinea una genealogia della
filosofia, e in generale dell'attività razionale, a partire dalle istanze
vitali e concrete dell'uomo. In VICO (si veda), secondo G., non c'è una
filosofia intesa come ontologia e come organo di un conoscere razionale perché
i sistemi filosofici riflettono il tentativo di appropriazione verbale del
mondo in rapporto a un'originaria intuizione cosmica, così come le scienze e le
tecniche non procedono da una razionalità astratta ma dai bisogni dell'uomo
sociale, rimandando a un sentimento che è espressione del primitivo legame, non
specificamente conoscitivo, che unisce uomo e mondo. Nel dopoguerra,
approfondendo questa tematica e superati i miti dell'irrazionalismo e
dell'energia vitalistica, il G. si riavvicinò alla fede cristiana; era sua
intenzione realizzare una revisione della storia del pensiero italiano dal
Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e
l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico
volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano.
In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche
alla figura di Bruno (Scienza e filosofia in Bruno, Napoli-Roma). Tra le
opere del G., oltre a quelle già citate, si ricordano: Le dittature
democratiche d'Italia, Milano; Idealismo e prospettivismo, Napoli; Lo
storicismo tedesco: l'anima e il cosmo, Roma; Bergson, Milano; Gioberti; Spagna
e antispagna: saggisti e moralisti spagnoli, Mazara del Vallo; La tradizione
ermetica nella filosofia italiana, Trapani; Tafferugli a Montecavallo, Bologna;
Origene e il Rinascimento, Roma: Autoritratto spagnolo, a cura di A. Spaini,
Torino; Necr. in Corriere della sera, La Fiera letteraria; Giornale di
metafisica, Bruno, L. G., in Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos; Falqui,
Di noi contemporanei, Firenze, ad indicem; Villaroel, Gente di ieri e di oggi,
Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo, ad indicem; G.
Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e
la ricerca d'un sistema, in Sophia; Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero;
Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia; Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in
L'Osservatore politico letterario; Diz. della letteratura mondiale del '900,
sub voce. Panteismo tipo di teismo Lingua Segui Modifica Il panteismo
(πάν = tutto e θεός = Dio, vuol dire letteralmente "Dio è Tutto" e
"Tutto è Dio") è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata
da un divino immanente o per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio
(Deus sive Natura). Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare
l'idea che la legge naturale, l'esistenza e l'universo (la somma di tutto ciò
che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un 'dio'
astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo.
Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e
dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi panteistici,
sono in realtà per natura più panenteiste e pandeiste. Levine, nel suo
libro Panteismo, lo definisce «una concezione non-teistica della divinità». In
senso lato, con "panteismo" si intende ogni dottrina filosofica che
identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo regge. Per l'esattezza,
il concetto di Dio-Uno-Tutto si presenta in due versioni: quella
"cosmistica", la quale afferma "Dio è nel Tutto", e quella
acosmistica (il termine è di Hegel), la quale afferma "Il Tutto è in
Dio". Nel primo caso, come nello stoicismo, Dio impregna e pervade
l'universo in ogni sua parte; nel secondo caso, come nello spinozismo,
l'universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie in Dio, quale
Uno-Tutto. Storia del panteismo Modifica Il termine "panteista"
(dal quale la parola "panteismo" è derivata) è usato propriamente per
la prima volta da Toland nella sua opera Socinianism Truly Stated, by a
pantheist. Comunque, il concetto era stato discusso già al tempo dei filosofi
della Grecia antica, da Talete, Parmenide ed Eraclito. I presupposti ebraici
del panteismo possono essere ricercati nella Torah stessa, nel racconto della
Genesi e nei suoi primi materiali profetici, nei quali chiaramente gli
"atti di natura" (come inondazioni, tempeste, vulcani, etc.) sono
tutti identificati come "la mano di Dio" attraverso idiomi di
personificazione, così spiegando gli aperti riferimenti al concetto, sia nel
Nuovo Testamento, che nella letteratura cabalistica. Sorge una
consistente controversia tra Jacobi e Mendelssohn, che infine coinvolse molte
importanti persone del tempo. Jacobi affermava che il panteismo di Lessing era
materialistico, per il fatto che considerava tutta la natura e Dio come una
sola sostanza estesa. Per Jacobi, esso non era altro che il risultato della
devozione alla ragione, tipicamente illuminista, che avrebbe condotto
all'ateismo. Mendelssohn espresse il suo disaccordo, asserendo che il panteismo
era teistico. Il Panteismo di Eraclito Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Eraclito. Il panteismo è un componente della
dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è in tutte le cose
ed è identico al mondo nella sua interezza. Questa concezione porta a
identificare il divino con l'Universo, facendolo divenire quindi l'Unità di
tutti i contrari, il Fuoco generatore. Il Dio-tutto di Eraclito ha in sé
tutte le cose ed è una realtà eterna. Eraclito sembra rifarsi alla teoria della
cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà è simile a un insieme
di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo, che verrà sviluppato in
seguito dagli Stoici. Il Panteismo del PORTICO ROMANO Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: IL PORTICO ROMANO. Il panteismo
stoico è una delle più compiute espressioni di esso, dove il divino è la
ragione e l'intelligenza che lo determina e lo permea. Il divino del PORTICO
ROMANO, quindi, non si identifica con l'universo, ma lo permea come suo
fondamento e ragion d'essere. Il Panteismo di Plotino Si è parlato spesso
impropriamente di panteismo in Plotino. In realtà, secondo Plotino, Dio non è
solo immanente, ma anche trascendente. Come ha evidenziato anche Reale, l'Uno,
il Dio plotiniano, pur permeando di sé ogni realtà, ne è superiore. Plotino
dice infatti chiaramente che l'Uno, «in quanto principio di tutto, non è il
tutto. Con questa affermazione egli sembra prendere in contropiede, quasi le
prevedesse, le interpretazioni immanentistiche e panteiste del suo
pensiero. Il Panteismo di BrunoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bruno. La visione di BRUNO (si veda) può essere
considerata un panteismo del divino-Infinità ed ha alcuni caratteri del
panpsichismo. Nella filosofia di Bruno, i cinque dialoghi del De la causa,
principio et uno intendono stabilire i princìpi della realtà naturale.
Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui prima e principale
facoltà è l'intelletto universale, il quale «empie il tutto, illumina
l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie». La materia è
il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata: «come
nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesima che
persevera sotto quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco, poi di
trave, poi di tavolo, poi di sgabello, e così via discorrendo, tuttavolta
l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura, variandosi in
infinito e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una medesma la
materia». Discende da questa considerazione l'elemento fondamentale della
filosofia bruniana: tutta la vita è materia, materia infinita. Nella sua
concezione, anche la Terra è dotata di anima. Egli in De l'infinito,
universo e mondi scrive: «Io dico Dio tutto infinito, perché da sé
esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio
totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua
parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità dell'universo, la
quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi
all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in
quello. Bruno, Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni Il Panteismo di Spinoza Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Spinoza e Monismo panteistico. La tesi centrale del
pensiero di Baruch Spinoza è l'identificazione panteistica o, meglio,
immanentistica di Dio con la Natura (Deus sive Natura) ed in essa convergono i
temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate, la
teologia giudaica, la filosofia ellenistica, la filosofia
neoplatonica-naturalistica del Rinascimento, il razionalismocartesiano ed il
pensiero arabo, ed infine le sfumature di Thomas Hobbes. Spinoza
concepisce un Dio coniugato con l'unità e la necessità e perciò:
«Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei
quali esprime un'essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente. Se lo
neghi, concepisci, se è possibile, che Dio non esista. Dunque (per l'As.7) la
sua essenza non implica l'esistenza. Ma questo (per la Prop.7) è assurdo:
dunque Dio esiste necessariamente.» (Spinoza, Etica, Roma, Editori
Riuniti Ne consegue la dimostrazione di ciò che Dio è: «Tutto ciò
che è, è in Dio: Dio però non si può dire cosa contingente. Infatti esiste
necessariamente, e non in modo contingente. Inoltre, i modi della divina natura
sono seguiti da essa anche necessariamente e non in modo contingente e ciò o in
quanto si considera la divina natura assolutamente oppure in quanto la si
considera determinata ad agire in un certo modo. Inoltre, di questi modi Dio è
causa non soltanto perché semplicemente esistono in quanto li si considera
determinati a fare qualcosa. Poiché se non sono determinati da Dio, è
impossibile e non contingente che determinino se stessi; e al contrario se sono
determinati da Dio, è impossibile, e non contingente, che rendano se stessi
indeterminati. Per cui tutte le cose sono determinate dalla necessità della
divina natura non soltanto ad esistere, ma anche ad esistere e agire in un
certo modo, e non si dà nulla di contingente.» (B. Spinoza, Etica, Questa
concezione fa sì che il Dio di Spinoza (ma non meno quello del PORTICO ROMANO),
per qualche filosofo contemporaneo, risulti essenzialmente un impersonale
Dio-Necessità, contrapponibile al Dio-Volontà come persona divina tipica dei
monoteismi. Descrizione Tipi di panteismoModifica Si possono distinguere
tre gruppi di panteisti: panteismo classico, che si esprime attraverso
l'immanente Dio del Giudaismo, Induismo, Monismo, neopaganesimo e delle
dottrine New Age, generalmente considerando Dio come personificazione o
manifestazione cosmica; panteismo biblico, che è espresso negli scritti della
Bibbia; panteismo naturalistico, basato sulle, relativamente recenti, visioni
di Baruch Spinoza (che potrebbe essere stato influenzato dal panteismo biblico)
e John Toland (che coniò il termine "panteismo"), così come sulle
influenze contemporanee. La maggioranza delle persone che possono identificarsi
come "panteiste" appartengono al tipo classico (come gli Indù, i
Sufi, gli Unitaristi, i neopagani, i seguaci della New Age, etc), mentre molte
persone che identificano se stesse come panteiste (non essendo membri di
un'altra religione) appartengono al tipo naturalista. La divisione tra le tre
branche del panteismo non sono completamente chiare in tutte le situazioni,
rimanendo dei punti di controversia nei circoli panteisti. I panteisti classici
generalmente accettano la dottrina religiosa secondo cui ci sarebbe una base
spirituale per tutta la realtà; mentre i panteisti naturalisti generalmente non
concordano, piuttosto intendendo il mondo in termini più naturalistici. La
confusione tra i concetti di panteismo e ateismo è un problema antico in
linguistica. GL’ANTICHI ROMANI si rifereno ai cristiani come atei e le
spiegazioni di questo fenomeno semantico possono variare. Metodi di
spiegazione Una caratteristica spesso citata del panteismo è che ogni essere
umano, essendo parte dell'universo o della natura, è parte del divino. Uno dei
problemi discussi dai panteisti è come possa esistere il libero arbitrio in un
contesto simile. In risposta, qualche volta è data la seguente analogia
(particolarmente dai panteisti classici): "stai a Dio come una tua singola
cellula sta a te". L'analogia sostiene anche che, sebbene una
cellula possa essere cosciente del suo ambiente e abbia persino qualche scelta
(libero arbitrio) tra giusto e sbagliato (uccidere un batterio, divenire
cancerogena o non fare semplicemente niente), ha presumibilmente una
comprensione limitata dell'essere più grande, di cui fa parte. Un altro modo di
comprendere questo tipo di relazione è tramite la frase indù tat tvam asi -
"quello che sei", in cui l'anima/essenza umana o Ātmanè intesa
medesima di Dio o Brahman. Nel contesto indù, si crede che il singolo debba
essere liberato attraverso l'illuminazione (moksha), in modo da sperimentare e
capire pienamente questa relazione: la parte diventa non dissimile dal
tutto. Non tutti i panteisti accettano l'idea del libero arbitrio, dato
che il determinismo è largamente diffuso, particolarmente presso i panteisti
naturalistici. Sebbene le interpretazioni individuali del panteismo possano
suggerire certe implicazioni per la natura e l'esistenza del libero arbitrio
e/o determinismo, il panteismo non implica il requisito di credere in entrambi.
Comunque, il problema è largamente discusso ed è presente in molte altre
religioni e filosofie. Dibattito Alcuni sostengono che il panteismo è
poco più che una ridefinizione della parola il divino per definire esistenza,
vita o realtà. Molti panteisti direbbero che, se fosse così, un tale
cambiamento nel modo in cui pensiamo a queste idee servirebbe a creare una
nuova e potenzialmente più perspicace concezione sia dell'esistenza, che di
Dio. Forse il più significativo dibattito all'interno della comunità
panteistica è quello riguardante la natura di Dio. Il panteismo classico crede
in un Dio personale, cosciente e onnisciente e vede questo Dio come unificante
di tutte le vere religioni. Il panteismo naturalistico crede invece in un
Universo non cosciente e non senziente che, sebbene sacro e meraviglioso, è
visto come un Dio in senso non tradizionale e non personale. I punti di
vista compresi all'interno della comunità panteista sono necessariamente
diversi, ma l'idea centrale, che vede l'Universo come un'unità onnicomprensiva
e la sacralità sia della natura che delle sue leggi, è comune. Alcuni panteisti
sostengono, inoltre, un fine comune di natura e uomo, sebbene altri rifiutino
l'idea di un fine e vedano l'esistenza come esistente di per sé. Concetti
panteistici nella religione Induismo È
generalmente riconosciuto che i testi religiosi indù sono i più antichi
conosciuti in letteratura contenenti idee panteistiche. Nella teologia indù,
Brahman è la realtà infinita, immutabile, immanente e trascendente che è il
Divino Terreno di tutte le cose nell'Universo e che è anche la somma totale di
tutte le cose che sono, sono state e saranno. Questa idea di panteismo è
rintracciabile in alcuni testi più antichi come i Veda e gli Upanishad e nella
più tarda filosofia Advaita. Tutti i Mahāvākya degli Upanishad, in un modo o
nell'altro, sembrano indicare l'unità del modo con Brahman. Upanishad dice
Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso procede; all'interno
di lui è dissolto; in lui respira, così lasciate che ognuno lo adori
tranquillamente". Inoltre dice: "Tutto l'Universo è Brahman, da
Brahman a una zolla di terra. Brahman è la causa efficiente e materiale del
mondo. Egli è il vasaio da cui si forma il vaso; egli è la creta con il quale è
fabbricato. Tutto proviene da Lui, senza perdita o diminuzione della fonte,
come la luce irradiata dal sole. Ogni cosa è unita entro Lui ancora, come le
bolle che esplodono si uniscono all'aria, come i fiumi sfociano negli oceani.
Tutto proviene e ritorna al divino, come la tela di un ragno è fabbricata e
ritratta dal ragno stesso, Negli inni del Rig Veda, una traccia di pensiero
panteista può essere riconosciuta nel libro decimo. Questa concezione di Dio lo
vede come l'unità, con gli dei personali e individuali aspetto dell'Unico,
sebbene differenti divinità siano viste da diversi fedeli come particolarmente
adatte alle loro preghiere. Come il sole emana raggi di luce che provengono
dalla stessa fonte, lo stesso avviene dagli sfaccettati aspetti di Dio emanati
da Brahman, come più colori dallo stesso prisma. Il Vedānta, specificatamente
l'Advaita, è una branca della filosofia indù che pone grande accento su questa
materia. Molti aderente vedantici sono monistio "non-dualisti, vedendo le
molteplici manifestazioni di un solo Dio o della fonte dell'essere, una visione
che è spesso considerata dai non induisti come politeista. Il panteismo è
la componente chiave della filosofia Advaita. Altre suddivisione dei Vedanta
non sostengono in maniera peculiare le stesse istanze. Per esempio, la scuola
Dvaita di Madhvacharya ritiene che Brahman sia il Dio esterno personale Vishnu,
laddove invece le scuole Rāmānuja sposano il Panenteismo. Ebraismo Il
senso radicalmente immanente del divino nella mistica ebraica (Kabbalah) si
ritiene abbia ispirato la formulazione del panteismo da parte di Spinoza.
Nonostante ciò, la teoria di Spinoza non è stata recepita dall'Ebraismo
ortodosso. D'altro canto, Schopenhauer sosteneva che il panteismo spinoziano
fosse una conseguenza della lettura di Malebranche da parte del filosofo
olandese: Malebranche insegna che tutto ciò che osserviamo è in Dio stesso. Ciò
equivale a voler spiegare qualcosa di ignoto mediante qualcosa di ancor più
oscuro. Inoltre, secondo Malebranche noi non solo vediamo tutto in Dio, ma Dio
è anche l'unica attività, sicché le cause fisiche sono mere occasionalità
(Ricerca della verità,. E così qui rinveniamo essenzialmente il panteismo di
Spinoza che pare abbia appreso più da Malebranche che da Descartes.
(Schopenhauer, Parerga e paralipomena, "Schizzo di una storia della teoria
dell'ideale e del reale"). Inoltre, Eliezer, fondatore dello chassidismo,
aveva un senso mistico del divino che può essere definito come
Panenteismo. Secondo l'ebraismo biblico l'origine dell'Universo si è
basata sulla Torah (legge) della natura. Pertanto la Torah originale non è
rinvenibile negli scritti di Mosè, bensì nella natura stessa.
"Interpretare" la Torah della natura equivale ad
"interpretare" la Torah della rivelazione e teoricamente alla fin
fine coincideranno l'una con l'altra [come si dimostra ad esempio con la
scoperta del Big Bang. L'ortodossia rabbinica considerando questa posizione
come una discrepanza, allo scopo di porre la Torah scritta al di sopra di
quella data per prima in natura, ha sostenuto che la Torah scritta precedette
la creazione, infatti a partire dalla Torah scritta che Dio ha parlato nella
creazione. Questa posizione non è accolta dai panteisti biblici.
Maimonide, benché Ortodosso, nei suoi scritti sulla riconciliazione fra le
sacre scritture e la scienza, accolse l'opinione dell'equivalenza fra la Torah
della natura e la Torah delle scritture e trovò la sua logica come inevitabile.
Queste tesi, senza dubbio, servirono da sfondo per lo sviluppo delle teorie di
Spinoza. Cristianesimo Vi è un certo numero di tradizioni minori
nell'ambito della storia del Cristianesimo secondo le quali le origini del loro
credo panteistico sono da rintracciare nel Nuovo Testamento ed in altre
correlate tradizioni ecclesiastiche. La diversità di questo punto di vista è
rintracciabile a partire dai primi Quaccheri sino ai successivi Unitaristi e
fino ad arrivare alle stesse principali denominazioni del cattolicesimo tradizionale
e del protestantesimo liberale. Altre fonti includono la Teologia
del processo, la Spiritualità della Creazione, i Fratelli del libero spirito,
altri ancora ne sostengono la presenza fra gli Gnostici. Tale idea ha avuto,
per qualche tempo, aderenti in vari segmenti del Cristianesimo. Alcuni
Cristiani considerano la Trinità in questo significato: lo Spirito Santo tiene
insieme l'Universo e personifica se stesso come il Padre, che a sua volta
personifica se stesso come il Figlio dentro questo Universo (ciò significa che
il Padre è al di fuori dell'Universo, del Tempo e dello Spazio). Secondo altri,
lo Spirito Santo è consapevole e utilizzabile e per questo è usato da Dio per
benedire la gente con i Doni dello Spirito Santo. Tutti i poteri sovrannaturali
si ritiene che siano possibili anche dal binomio Universo/Spirito Santo. I
panteisti di religione cristiana asseriscono che l'origine del loro credo è
rintracciabile nelle Sacre Scritture, nel Vecchio Testamento come nel Nuovo ed
attenuano le difficoltà che i teologi della Chiesa Apostolica Romana hanno
sempre cercato di "risolvere" nei concili sul tema della Trinità e
della Natura di Cristo come il Verbo (solo il panteismo fornisce una
formulazione per il Cristo come verbo di Dio e per l'unità del Monoteismo.
Il parificare nella Bibbia Dio agli atti della natura e la definizione di Dio
data nello stesso Nuovo Testamento forniscono un persuasivo richiamo verso
questo sistema di credenze. I panteisti cristiani sostengono che la
definizione cattolica del divino è pesantemente influenzata da fonti non
bibliche, tra queste in particolar modo il neo-Platonismo, che considerano il
divino come qualcosa che esiste fuori dall’esistenza, pertanto la definizione del
divino si riferiva ad un qualcosa che non esiste, cioè, ad un Dio
non-esistente. È proprio questa basilare definizione neo-platonica di
non-esistenza che i panteisti cristiani ritengono biasimevole e contraria alle
scritture. Agostino rigettò il panteismo per i seguenti motivi: Ma
c'è un motivo che, al di là di ogni passione polemica, deve indurre uomini
intelligenti o comunque siano, perché all'occorrenza non si richiede un'alta
intelligenza, a fare una riflessione. Se Dio è la mente del mondo e se il mondo
è come un corpo a questa mente, sicché è un solo vivente composto di mente e di
corpo ed esso è Dio che contiene in se stesso tutte le cose come in un grembo
della natura; se inoltre dalla sua anima, da cui ha vita tutto l'universo
sensibile, vengono derivate la vita e l'anima di tutti i viventi secondo le
varie specie, non rimane nulla che non sia parte di Dio. Ma se questa è la loro
tesi, tutti possono capire l'empietà e la irreligiosità che ne conseguono.
Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una parte di Dio; nell'uccidere
qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio. Non voglio dir tutte le
cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile dirle senza vergogna.
come pure: Riguardo allo stesso animale ragionevole, cioè l'uomo, la cosa
più banale è ritenere che una parte divina prende le botte quando le prende un
fanciullo. E soltanto un pazzo può sopportare che le parti divine divengano
dissolute, ingiuste, empie e in definitiva degne di condanna. Infine perché il
dio si arrabbierebbe con coloro che non lo onorano se sono le sue parti a non onorarlo?[5]
Nel Vangelo secondo Tommaso (considerato apocrifodai Cristiani), Gesù
disse: Io sono la Luce: quella che sta sopra ogni cosa; io sono il Tutto:
il Tutto è uscito da me e il Tutto è ritornato in me. Fendi il legno, e io sono
là; solleva la pietra e là mi troverai. Tuttavia questa è un'affermazione
dell'onnipresenza di Dio, non in senso panteistico, ma in armonia con
l'insegnamento che ogni apparenza fenomenica è riflesso della luce divina.
informazioni Questa voce o sezione sull'argomento religione non cita le fonti
necessarie o quelle presenti sono insufficienti. La maggioranza dei Musulmani
condanna il concetto di panteismo e lo considera come un insegnamento
non-Islamico. Tuttavia, il Sufismo è ritenuto dai musulmani contenere
insegnamenti panteistici. Il Sufismo può essere suddiviso nelle seguenti
categorie: Sufismo originario - Sincretico: Mescola insieme dottrine e
concetti dell'Islam con credenze e pratiche religiose locali dei paesi
Orientali e Occidentali. Lo si pratica in paesi non-Islamici. Sufismo ḥadīth -
Tradizionale: è l'Islam con un'enfasi sulle forme ortodosse della spiritualità
e del misticismo Islamico. Essenzialmente ortodosso e considerato
prevalentemente come una subcultura nei paesi Islamici. Sunniti o Sciiti.
Sufismo Coranico - Coranico: Si attiene strettamente a quanto scritto nel
Corano compreso il profetismo e non accetta i più recenti ḥadīth come
altrettanto ispirati dalla tradizione. È considerato non-ortodosso o come una
forma di neo-ortodossia ed è praticato soprattutto nell'occidente islamico. Ha
subito influenze dal concetto di riforma e restaurazione del Protestantesimo.
Né il Sunnismoné il Sciismo sono da considerare come forme di ḥadīth. Il
concetto di Panteismo si può rinvenire in ciascuno dei suddetti tipi di
Sufismo, a differenza della maggioranza ortodossa dell'Islam, esso è molto
diverso ed accentua l'esperienza e la conoscenza spirituale personale ed
individuale. Le fonti dell'interpretazione panteistica differirebbero a seconda
della tradizione cui fanno capo. Il Sufismo originario risentirebbe ovviamente
dei testi orientali, il Sufismo ḥadīth sarebbe influenzato dagli studiosi
Islamici del regno del Solimano, il Sufismo Coranico vedrebbe lo stesso Corano
come la continua rivelazione e la personificazione linguistica è interpretata
in modo coerente con i profeti biblici. La maggioranza dei Musulmani Ismailiti
è panteista, o per essere più precisi, Panenteista. Gli scritti di Seth e
il PanteismoModifica Il concetto di Panteismo è parte integrante di molte delle
credenze religiose e delle filosofie della New Age; la sua differenza rispetto
al panenteismo è sostenuta in modo specifico negli scritti di Seth come
presentati dalla medium Roberts. Seth, l'"entità" cui da voce la
Roberts, diceva che Dio è formato di energia mentale, e questa energia mentale
è la sostanza che dà vita a tutti gli esseri e a tutte le cose; la coscienza di
Dio è veicolata da questa energia, per cui la coscienza di Dio è onnipresente.
Seth spesso si riferiva a Dio come a "Tutto ciò che è" e diceva che
"Tutte le facce appartengono a Dio". Seth descriveva Dio come una
forma contenente tutti gli individui al suo interno; inoltre aggiungeva che Dio
si conosce come è, ma anche si conosce come ciascun individuo. Tuttavia, questo
insegnamento ha molto in comune con il correlato concetto di panenteismo, dato
che pone in risalto la personificazione di Dio e quindi si trasforma in un
teismo. Altre religioniModifica Molti elementi panteistici sono presenti
in alcune forme di Buddismo, Neopaganesimo, e Teosofiainsieme a molte variabili
denominazioni. Si veda anche la Neopagana Gaia e la Church of All Worlds.
Molti Universalisti si considerano panteisti. Il filosofo Carus si define
un ateista che ama Dio. Egli critica ogni forma di monismo che cerca l'unità
del mondo non nell'unità della verità bensì nella unicità di una logica
supposizione di idee. Carus define tali concetti come henismo. Il Taoismo
propugna una visione panteistica. Il Tao potrebbe essere paragonato al
Deus-sive-Natura di Spinoza. Concetti connessiModifica
PanenteismoModifica Il Panteismo e il panenteismo presentano aspetti comuni ma
non coincidono: il primo vede l'universo pieno di Dio il secondo lo vede come
parte di Dio. Filosoficamente, però, i due concetti sono ben distinti. Mentre
per il panteismo Dio è sinonimo della natura, per il panenteismo, invece, Dio è
superiore alla natura e la include. È la ragione per cui Hegel definiva quello
spinoziano un panteismo acosmistico (senza mondo). Per alcuni tale
distinzione è inutile, mentre altri la considerano un significativo punto di
divisione. Molte delle maggiori fedi descritte come panteistiche potrebbero
essere descritte anche come panenteistiche, al contrario ciò non è possibile
per il panteismo naturalistico (perché non considera Dio come superiore alla
sola natura). Per esempio, elementi appartenenti al panenteismo ed al panteismo
si rinvengono nell'Induismo. Certe interpretazioni dei testi Bhagavad Gita e
Shri Rudram Chamakam sostengono questo punto di vista. CosmismoModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cosmismo e
World Brain. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento
filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Mentre
questo termine è raramente usato, e molto spesso è solo un sinonimo di
Panteismo, l'insolita filosofia da esso indicata è stata utilizzata in modo
piuttosto differente, ma in ogni caso con essa si vuole esprimere il concetto
che Dio è un qualcosa creato dalla mente umana, forse rappresenta uno stadio
finale della evoluzione dell'uomo, raggiunto attraverso la pianificazione
sociale, l'eugenetica e altre forme di ingegneria genetica. Wells diede
vita a una forma di cosmismo, che denominò World Brain (cervello mondiale),
rifacendosi a un saggio da lui in cui viene tra l'altro descritta la creazione
di una biblioteca-enciclopedia. Tale idea venne ripresa nel libro God the
Invisible King, in cui l'autore consiglia all'umanità di istituire un sistema
socialista, strutturandolo sui dati statistici sociali ed eugenetici,
sull'istruzione e l'eugenetica, in modo che un giorno idealmente possa essere
alla pari e possibilmente anche fondersi con la stessa divinità panteista, e
anche in alcuni paragrafi di Outline of History, che richiamavano tali credenze
dell'autore e le sue ricerche sull'insegnamento di Gesù e di Buddha. Queste
idee vengono riprese nel suo libro Shape of Things to Come e nel film da esso
tratto nel Things to Come; in essi viene descritta l'umanità che, sopravvivendo
ad una guerra apocalittica e a un prolungato periodo Feudale, si unisce per dar
vita ad una utopia collettivista. In Israele, il Cosmismo è stato oggetto
di studio da parte di Mordekhay Nesiyahu, uno dei primi ideologi del Movimento
Laburista Israeliano e docente presso l'Università di Beit Berl. Secondo questo
autore Dio è qualcosa che non esisteva prima dell'uomo, ma era una entità
secolare. Infatti fu la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme ad avere un
ruolo nell'"invenzione" di questa entità. Nel XX secolo, lo
statunitense Pierce, un nazionalista bianco iscritto nel Partito Nazista
Americano e, a sua volta, fondatore del movimento Alleanza Nazionale, utilizza
il termine cosmismo. Per Pierce (così come per Wells), Dio sarebbe il risultato
finale dell'eugenetica e dell'igiene razziale. Si veda: Nazismo, Galton e
Teosofia. La noosfera descritta da Vernadsky e Chardin puo essere
considerata come la descrizione di una divinità Cosmistica, come anche la
coscienza collettiva di Émile Durkheim e l'inconscio collettivo di
Jung. Clarke fa un possibile riferimento alla Noosfera Cosmista nel suo
libro Childhood's End o Le guide del tramonto, riferendosi ad essa come la
"Overmind", una mente alveare interstellare. Il Pandeismo è una
specie di Panteismo che include una forma di Deismo, sostenendo che l'Universo
è identico a Dio, ma anche che Dio precedentemente fu una forza cosciente e
senziente ovvero una entità che progettò e creò l'Universo. Diventando
l'Universo, Dio divenne inconscio e non senziente. A parte questa distinzione
(e la possibilità che l'Universo un giorno ritornerà ad essere Dio), le
credenze Pandeistiche sono identiche a quelle del Panteismo. Secondo
Schopenhauer, nel panteismo non vi è etica. Il panteismo, nel suo complesso,
naufragherebbe a fronte delle inevitabili esigenze etiche e quindi non avrebbe
risposte sul male e sulle sofferenze del mondo. Se il mondo è una teofania,
allora ogni cosa fatta dagli uomini, ed anche dagli animali, è da considerarsi
parimenti divina ed eccellente; niente può essere giudicato più censurabile e
più meritevole rispetto ad ogni altra cosa; quindi non vi è etica. (Il mondo
come volontà e rappresentazione, Tuttavia, alcuni panteisti sostengono che il
punto di vista panteista è molto più etico, evidenziando che ogni danno
arrecato all'altro è come fare male a se stessi, perché arrecare danno ad uno è
come arrecare danno a tutti. Ciò che è bene e ciò che è male non dipende da
qualcosa al di fuori di noi, ma è il risultato di come ci rapportiamo gli uni
con gli altri. Il fare bene non si deve basare sulla paura di una punizione da
parte di Dio, bensì deve scaturire da un reciproco di tutti verso tutto.
Le forme tradizionali e le varie definizioni di panteismo, comunque, rinviano
ai loro testi sacri e ai loro maestri per le definizioni di ordine etico. Levine, Pantheism: A
Non-Theistic Concept of Deity, Londra e New York, Routledge, Il Panteismo. Una concezione non-teistica della divinità, Genova,
ECIG, Constance E. Plumptre, General Sketch of the History of Pantheism,
Londra, W. W. Gibbings, Chandogya Upanishad 3-14 traduzione di Monier-Williams
^ La Città di Dio, La Città di Dio, Testo del Vangelo secondo Tommaso God the
Invisible King Voci correlateModifica Dio Monismo Monoteismo Teismo Deismo Pandeismo
Panenteismo Naturalismo (filosofia) Panpsichismo Panteismo naturalistico
Panteismo classico Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
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esterniModifica panteismo, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Panteismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Modifica su
Wikidata ( EN ) Panteismo, in Catholic Encyclopedia, Appleton Mander,
Pantheism, Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for
the Study of Language and Information, Stanford. Tanzella-Nitti, Panteismo del Dizionario
Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Portale Filosofia
Portale Mitologia Portale Religioni Monismo (religione)
Panenteismo scuola filosofica Panteismo naturalistico. Lorenzo Giusso. Giusso.
Keywords: gl’eroi, il vico di giusso, la tradizione ermetica nella filosofia
italiana, nazionalsocialismo, bruno, panteismo, leopardi, occasionalismo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giusso” – The Swimming-Pool Library. Giusso.
Luigi Speranza --
Grice e Giustino: la ragione conversazionale e la gnossi a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giustino
is cited by Ippolito di Roma as the originator of what Ippolito describes as a
pagan form of gnosticism in which a wide variety of disparate elements are
brought together.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Giustino: la ragione conversazionale e la setta di
Napoli -- Roma – filosofia campanese – filosofia napoletana – scuola di Napoli
-- filosofia italiana – scuola di Roma -- Luigi Speranza (Napoli). Filosofo campanese. Filosofo napoletano. Filosofo
italiano. Napoli, Campania, nella Palestina. Il padre e romano! He studies various schools of
philosophy with his friend Trifone, but could not decide. He shows his
scepticism in a letter to Antonino Pio. He irates Crescente, who has a mob kill
him. Or else he was beheaded! G.
filosofo filosofo e martire cristiano. Nota disambigua. Disambiguazione –
"Giustino martire" rimanda qui. Se stai cercando altri martiri con
questo nome, vedi San G.. San G. Justin filozof. jpg Icona russa di G. Padre
della chiesa e martire. Nascita Flavia Neapolis, Morte Roma Venerato da Tutte
le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principale Collegiata di
San Silvestro Papa, Fabrica di Roma VT) Ricorrenza Attributi palma, libro PATRONO
DI FILOSOFI G., conosciuto come G. martire o G. filosofo Flavia Neapolis, –
Roma), è un filosofo italiano -- martire cristiano, e apologeta di lingua
latina, autore del Dialogo con Trifone, della Prima apologia dei cristiani e
della Seconda apologia dei cristiani. A lui dobbiamo anche la più antica
descrizione del rito eucaristico. G. philosophi et martyris Opera. È uno dei
primi filosofi cristiani, e venerato come santo e padre della chiesa dai
cattolici e dagl’ortodossi. La memoria si celebra. La chiesa cattolica lo
considera anche santo PATRONO DEI FILOSOFI insieme a Caterina d'Alessandria,
pur non essendo nessuno dei due nel novero dei dottori della chiesa. G.,
che spesso si dichiara in verità samaritano, visto il suo nome e il nome di suo
padre, Bacheio, sembra piuttosto di origini latine. La sua famiglia
probabilmente si stabilisce da poco in Palestina, al seguito degl’eserciti
romani che qualche anno prima avevano sconfitto gl’ebrei e distrutto il tempio
di Gerusalemme. Come riferisce G. stesso nel Dialogo con Trifone, venne
educato nel culto romano elogiato da Cicerone ed ha un'ottima educazione che lo
porta ad approfondire i problemi che gli stanno più a cuore, quelli riguardanti
LA FILOSOFIA. Racconta che la sua smania di verità lo porta a frequentare molte
scuole filosofiche. Presso IL PORTICO non trova giovamento, in quanto il
problema del divino, per questa filosofia, non è essenziale. Poi frequenta IL
LIZIO. Ma anche presso questi filosofi non trova quanto cerca. Si reca presso
un filosofo CROTONESE che lo sollecita dunque ad approfondire le arti della
musica, dell'astronomia, e della geometria. Ma G., troppo concentrato nel voler
raggiungere la verità e la conoscenza del divino, reputa tempo sprecato il
soffermarsi su tali materie. Da ultimo frequenta L’ACCADEMIA. Un maestro
di questa filosofia è da poco giunto nel suo paese. Presso questa corrente
filosofica G. trova quanto crede di cercare. Le conoscenze delle realtà
incorporee e la contemplazione dell’idee eccita la mia mente, dice G. Si convince
che questo lo porta presto alla visione del divino, che considera essere lo
scopo della filosofia. Decide di ritirarsi in solitudine lontano dalla città. Ma
in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del Dialogo con
Trifone, incontra un uomo, con cui inizia un serrato dialogo, incentrato sul
divino e su cosa fare della vita. Dopo aver dichiarato all'uomo la sua idea del
divino, ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è causa di esistenza per
tutte le altre realtà, questo è il divino, l'uomo lo porta a ragionare su d’un
aspetto che forse a G. è sfuggito. Come puo un filosofo elaborare da solo una
filosofia corretta sul divino se non l'ha né visto né udito? E porta G. a
meditare sulle persone considerate gradite al divino e dallo stesso illuminate,
i profeti, che parlano del divino e profetizzano in nome del divino, in
particolare quella venuta del figlio nel mondo e la possibilità attraverso di lui
d’avere una vera conoscenza del divino. Dopo questa esperienza, G. abbandona il
culto romano basato su Giove e si converte al Cristianesimo. Per tutto il resto
della sua vita educa i discepoli, utilizzando GLI STESSI SCHEMMII – “what at
Oxford we would call the syllabus – H. P. Grice -- usati dalle altre scuole
filosofiche. Oltre a questo incontro, che è decisivo per la sua conversione, G.
indica anche un altro fatto che lo rinfranca nella fede. Infatti io stesso, che
mi ritengo soddisfatto delle dottrine dell’ACCADEMIA, sentendo che i cristiani sono
accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti
ritenuti terribili, mi convinco che è impossibile che essi vivenno nel vizio e
nella concupiscenza. G. viaggia molto. Anda a Roma in una visita. Quando
ritorna vi apre una scuola filosofica a impronta cristiana. I suoi insegnamenti
insisteno molto sui fondamenti razionali –cf. H. P. Gricem, PHILOSOPHICAL
GROUNDS OF RATIONALITY -- della fede cristiana. Questo approccio, MOLTO DIVERSO
da quelli tradizionali – “My father, a non-conformist, would have probably
attended the seminars! – H. P. Grice -- , suscita numerose controversie sia con
gli stessi cristiani sia coll’altri filosofi, specialmente con CRESCENZIO
(vedasi) IL CINICO. La sua fede lo porta a subire una morte violenta. È condannato
a morte d’un tipico romano, Giunio Rustico (vedasi), che è prefetto di Roma e
amico dell'imperatore filosofo ANTONINO (si veda), con queste parole. Coloro
che si sono RIFIUTATI DI SACRIFICARE agli dèi e di sottomettersi all'editto
dell'imperatore, sono flagellati e condotti al supplizio della pena capitale,
secondo la vigente legge. Di questo processo esiste ancora il verbale. Martyrium
SS. G. et sociorum VI. G. venne decapitato – “the cause of his death was
decapitation, but we would hardly say Decaptiation willed his death” – H. P.
Grice -- assieme a VI dei suoi discepoli, CARITONE (vedasi) e sua sorella
Carito, EVELPISTO (non romano, ma di Cappadocia), GERACE (non di Roma ma di
Frigia, schiavo della corte imperiale), PEONE (vedasi) e LIBERIANO (vedasi). Le
sue reliquie sono traslate da Roma, e si trovano attualmente sotto l'altare
maggiore della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia
di Viterbo. G. è il primo di una serie di filosofi che intravide in Eraclito, Socrate,
Platone e nel PORTICO dei filosofi precursori del Cristo e d’esso ispirati.
Anche lo spirito santo è identificato col divino stesso. A suo avviso, la
nozione trinitaria è introdotta già dall’ACCADEMIA. A G. si deve la più antica
descrizione della liturgia eucaristica. Egli è il primo ad utilizzare la TERMINOLOGIA
(o GERGA) FILOSOFICA nel pensiero cristiano, ed a tentare di conciliare RAGIONE
fede. Si schiera duramente contro la religione ‘pagana’ di GIOVE, ed i suoi
miti, mentre privilegia l'incontro colla filosofia. La figura di G. attrasce
l'attenzione di Tolstojil quale dedica al santo cristiano una breve agiografia,
Vita e passione di G. filosofo martire. Saggi: Dialogo con Trifone,
Paoline, Milano Le due apologie, Paoline, Milano Opere Parisiis, apud Morellum
typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis Il Dialogo con Trifone, la
Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei cristiani, ci sono
pervenute in un manoscritto conservato a Parigi. La Prima apologia dei
cristianinIo, G., di PRISCO, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli,
città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica,
in difesa degl’uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che
sono uno di loro. (Apologia Prima) La Prima apologia dei cristiani è INDIRIZZATA
all'imperatore ANTONINO PIO (vedasi) e al SENATO romano. In essa compare un
tema che è ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica
della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di
appartenere alla religione cristiana è motivo sufficiente di condanna. G.
inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni interne alla
società romana. Per esempio, fa notare come, mentre i cristiani sono condannati
a morte perché ritenuti atei, VARI FILOSOFI latini sostengono apertamente l'a-teismo
senza conseguenze. Interessante, poi, è il fatto che G. citi
abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici per esporre le dottrine
cristiane. Ancor più notevoli sono i tentativi dell'apologeta per convincere i
pagani della verità del Cristianesimo ATTRAVERSO LE CITAZIONE DI FILOSOFI
CLASSICI sia di professionali della filosofia come Socrate e Platone che di
mitologia, come Omero e la Sibilla. che vengono accostati a brani dei vangeli o
dell'Antico Testamento. Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la
distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile. I filosofi
chiamati del PORTICO insegnano che anche il divino stesso si dissolve nel
fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorge. Se dunque
noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati, perché
siamo ingiustamente odiati più di tutti? Quando diciamo che tutto è stato
ordinato e prodotto dal divino, sembreremo sostenere una dottrina dell’ACCADEMIA.
Quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella del PORTICO. Quando diciamo
che le anime degli iniqui sono punite mantenendo la sensibilità anche dopo la
morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo
sostenere LE STESSE TEORIE di poeti e di filosofi. Quando noi diciamo che il
Logos, che è il primogenito del divino, Gesù cristo il nostro maestro, è stato
generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è
salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di
voi, sono chiamati FIGLIO DI GIOVE. Voi sapete infatti di quanti FIGLI DI GIOVE
(IVS-PITER – cf. TUES-DAY) parlino gli scrittori onorati da voi: ERMETE – cf.
ERMENEIA --, il Logos; Asclepio – dell’isola TIBERINA --, che ascende al cielo;
BACCHO, che è dilaniato; ERCOLE, che si getta nel fuoco, e BELLEROFONTE –
citato da H. P. Grice: “He rode Pegasus” (‘Vacuous Names’ --, che di tra gl’uomini
ascende con il cavallo Pegaso. Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi
affermiamo che egli è stato generato dal divino come Logos del divino stesso,
in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune
alla vostra, quando dite che ERMETE (cfr. ERMENEIA) è il logos messaggero di GIOVE. Se
poi qualcuno ci rimprovera il fatto che egli è crocifisso anche questo è comune
ai FIGLI DI GIOVE annoverati prima, i quali, secondo voi, sono soggetti a
sofferenze. Se poi diciamo che è stato GENERATO D’UNA VERGINE, anche questo è
per voi un elemento comune con PERSEO. Quando affermiamo che egli ha ri-sanato
zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che re-suscita dei morti, anche
in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione
attribuisce ad Asclepio, nell’ISOLA TIBERINA (Apologia Prima). Il saggio si
conclude con una petizione che contiene una lettera dell'imperatore ADRIANO
(vedasi), la quale serve a G. per mostrare come anche un'autorità imperiale è
del parere di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a
dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore ANTONINO (vedasi) e del miracolo
della pioggia durante le guerre marcomanniche. La filosofia in effetti è il più
grande dei beni e il più prezioso agl’occhi del divino, l'unico che a lui ci
conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini del divino coloro che han
volto l'animo alla filosofia. Dialogo con Trifone/ Oltre alle già citate Prima
apologia dei cristiani (Ἀπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ;
Apologia prima pro Christianis AD ANTONINVM PIVM) e Seconda apologia dei
cristiani (Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον, Apologia
secunda pro Christianis AD SENATVM ROMANVM), G. scrive il Dialogo con Trifone
(Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος, Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera dedicata
a Marco POMPEO (vedasi). Il tema è il confronto con il giudaismo, con il quale
i galilei hanno in comune l'antico testamento in lingua ebrea antica, un
terreno utile per un dialogo. Si tratta di un dibattito che si svolge ad Efeso
nell'arco di due giorni e vede protagonisti G. e Trifone, nel quale è stata
individuata da alcuni storici la personalità di un rabbino realmente esistito.
Lo scopo di questo dialogo è mostrare la verità del cristianesimo, rispondendo
alle principali obiezioni mosse dagl’ambienti giudaici. In particolare, G.
vuole dimostrare che il culto di Gesù da Nazareth il gaileleo nella Galilea il
cristo non mette in discussione il mono-teismo. Le profezie descritte
nell'Antico Testamento si sono avverate con l'avvento del cristo. Il dialogo
assume toni sempre rispettosi e amichevoli e NON SI CONCLUDE – H. P. Grice:
“Therefore, as we would say at Oxford, it’s not a PIECE of reasoning!” -- ,
com'è consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da parte del
giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono chiesti se
effettivamente le motivazioni portate avanti da G. in questo dialogo sono
VALIDE a CONVERTIRE no un romano, ma un giudeo. Sembra piuttosto verosimile,
invece, che questo saggio è una risposta di G. ai dubbi che i galilei stessi –
o i simpatizzanti romani -- nutrino verso la loro fede. Il saggio presenta
anche un prologo, in cui G. racconta d’un suo incontro con un saggio che lo
introduce alla teoria galileiana. G., ancora ‘pagano,’ lo interroga tra l'altro
sulla dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime (metempsicosi,
alla CROTONE) anche dentro corpi animali, esposta nel “Timeo,”, testo di
lettura nell’ACCADEMIA, venerato da CICERONE – il sogno di SCIPIIONE.
L'interlocutore gli risponde che una tale possibilità non ha senso, perché non
da nessuna reminiscenza delle colpe passate e quindi neppure la capacità di
pentirsi. In secondo luogo, il saggio passa a CONFUTARE – alla POMPONAZZI
(vedasi) -- la dottrina dell'immortalità dell'anima. Bobichon, Filiation divine du
Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de G. Martyr" P.
de Navascués Benlloch, Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez, Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del
cristianismo, Madrid La reliquia di San G. Martire, su parrocchiafabrica.
Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR saggi, G. G. Martire: il primo cristiano
dell’ACCADEMIA: con in appendice "Atti del martirio di San G.",
Pubblicazioni del Centro di Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia
patristica, Milano, Vita e pensiero Tolstoj, Vita e passione di G. filosofo
martire. In Tolstòj, Tutti i racconti, cur. di Sibaldi, Milano: Mondadori,
Collana I Meridiani Bobichon, Œuvres de G. Martyr: Le manuscrit de Londres
(Musei Britannici) apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus),
Scriptorium Barbaro, Apologia seconda di S. G. filosofo e martire in favor de’cristiani
al Senato romano traduzione dal greco nell'ITALIANO pubblicata in occasione che
mette fine alla sua quaresimale predicazione Treviso, Tipografia Trento Essendo
manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben sapeva e confessava
l'equalità del Verbo col Padre. Lettera di Adriano. Lettera di Marco Aurelio al
Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione
generale allo studio dei Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia Visonà, introduzione
a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline Gilson, La filosofia nel Medioevo,
BUR Rizzoli. Saggi, Milano, BUR Rizzoli G., G. Martire: il primo cristiano dell’ACCADEMIA,
Vita e Pensiero, Niccoli, GIUSTINO Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings of G. Martyr, Leiden,
Brill, Bobichon, Dialogue avec Tryphon, édition critique. Editions universitaires de
Fribourg, Introduction, Texte grec, Traduction Commentaires, Appendices,
Indices Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines patristiques a la fin
du XIV siècle, Payot, Paris La filosofia nel Medioevo. La Nuova Italia, Scandicci Quasten. Patrologia,
Marietti, G., santo, su Treccani, Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
G.,Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G., su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di G. G. su open
MLOL, Horizons Unlimited Opere di G., su Open Library, Internet Archive. Audiolibri
di G. G. G. su LibriVox. G., su Goodreads. Giustino, in Catholic Encyclopedia
Appleton G., su Santi, beati e testimoni, santiebeati Apologia Prima, su
monastero virtuale Apologia Seconda, su monasterovirtuale Santi Caritone e
compagni, discepoli di san G., in Santi, beati e testimoni Enciclopedia dei
santi, santie beati. Catechesi su vatican di papa Benedetto su G. tenuta
durante l'udienza generale Opera Omnia dal Migne Patrologia Græeca con indici
analitici e traduzioni su documenta catholica omnia. eu.
Biografie Cristianesimo Portale Filosofia Patristica studio dei
Padri della Chiesa Taziano il Siro teologo e filosofo siro
Filosofia cristiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giustino.” Giustino.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Givone:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei fanes – la
scuola di Buronzo -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza -- Givone (Buronzo). Filosofo piemontese. Filosofo
italiano. Buronzo, Vercelli, Piemonte. Grice: “I like Givone, especially his
two essays on ‘eros’: ‘eros and ethos’ and the more controversial, ‘eros and
knowledge.’ Si laurea Torino sotto Pareyson. Insegnato
a Perugia, Torino e Firenze. Alcuni suoi lavori riguardano la poetica e
l’estetica all’ombra del nichilismo. Da questa riflessione nasce anche la sua
ricerca sulla “Storia naturale del nulla” -- e sulle implicazioni sullo tragico. In sua
estetica e forte è ancora il richiamo filosofico. Il malinconico, ‘l’ibrido – Saggi:
“La storia della filosofia secondo Kant” (Milano, Mursia); “Hybris e malinconia:
Studi sulle poetiche del Novecento” (Milano, Mursia); “William Blake. Arte e religione,
Milano, Mursia, “Ermeneutica e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la
filosofia, Roma, Laterza, Storia dell'estetica, Roma, Laterza, Disincanto del
mondo e il tragico, Milano, Il Saggiatore, La questione romantica, Roma, Laterza, Storia
del nulla, Roma, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos,
Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaudi, Prima lezione di estetica, Roma, Laterza, Il
bibliotecario di Leibniz. Torino, Einaudi, Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Metafisica
della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, Luce d'addio. Dialoghi
dell'amore ferito, Firenze, Olschki, Sull'infinito,
il Mulino, Pantragismo. Treccani. Grice:
“I like Givone; he philosophises on ‘eros,’ but fails to notice that for Butler
there’s self-love and other love; instead, Givone prefers to contrast ‘eros’
with ‘ethos’!” “His ramblings on Phanes are fun, though!” – Grice: “Not
satisfied with metaphysics, Givone goes to criticize Marinetti’s hybris, or
superbia, i. e. lack of moderation. His ottimismo notably contrasts with the
decadentismo of the croposcolaristi. Futurismo movimento artistico, culturale, musicale e
letterario italiano Lingua Segui Modifica Nota disambigua. svg Disambiguazione
– Se stai cercando altri significati, vedi Futurismo (disambigua). Ulteriori
informazioni Questa voce o sezione sull'argomento arte è priva o carente di
note e riferimenti bibliografici puntuali. Il Futurismo è stato un movimento
letterario, culturale, artistico e musicale italiano dell'inizio del XX secolo,
nonché una delle prime avanguardieeuropee. Ebbe influenza su movimenti affini
che si svilupparono in altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati
Uniti d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione:
la pittura, la scultura, la letteratura (poesia) al teatro, la musica,
l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La
denominazione del movimento si deve al poeta italiano Marinetti. Boccioni
La città che sale, bozzetto, Museum of Modern Art, New York OriginiIl manifesto
del Futurismo pubblicato su Le Figaro (qui evidenziato in giallo) Il Futurismo
nasce in Italia, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo
dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le
guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e
le nuove scoperte tecnologichee di comunicazione, come il telegrafo senza fili,
la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a
cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo,
"avvicinando" fra loro i continenti, creando nuove connessioni.
Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà:
la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le
biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato per
concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso
ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le
automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci
artificiali, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel
tempo impiegato per produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi
che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Severini
racconta che quando venne in contatto con Marinetti per decidere se aderire o
meno al Futurismo parlò anche con MODIGLIANI (si veda), che egli avrebbe voluto
nel gruppo, ma il pittore declinò l'offerta perché come scrisse:
«Queste manifestazioni non gli andavano, il complementarismo congenito lo
fece ridere, e con ragione, perciò invece di aderire mi sconsigliò di mettermi
in quelle storie; ma io avevo troppa affezione fraterna per Boccioni, inoltre
ero, e sono sempre stato pronto ad accettare l'avventura. Severini, Vita di un
pittore Primo Futurismo «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante
progresso delle scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto profondi,
da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri
della radiosa magnificenza del futuro…» (dal Manifesto dei pittori
futuristi) Una scazzottata futurista A seguito di una serie di articoli critici
di Ardengo Sofficisu La Voce vi fu una reazione violenta dei futuristi:
Marinetti, Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a Firenze e lo aggredirono
mentre sedeva al caffè delle "Giubbe Rosse" in compagnia dell'amico
Medardo Rosso. Ne nacque una grande pubblicità e un grande tumulto rinnovatosi
alla sera, alla stazione di Santa Maria Novella, quando Soffici, accompagnato
dagli amici Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e Alberto Spaini, volle
rendere la contropartita. «Fu una vera spedizione punitiva, che mi
fu raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici. I futuristi appena arrivati
a Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevano di trovare Soffici,
Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori della Voce. Boccioni domanda ad
un cameriere: «Chi è Soffici?»; sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e
senza spiegazioni gli appioppa un paio di schiaffoni; Soffici per niente
smontato si alza risponde con una scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole
seggiole per terra, bicchieri rotti e questurini che portano tutti al
commissariato. Per fortuna caddero in un commissario intelligente che capisce
con chi aveva a che fare; visto che Soffici e quelli della Voce non volevano
far querela d'aggressione, li rimandò tutti fuori come se niente fosse stato. I
futuristi, vendicate le ingiurie, andarono alla stazione dove un treno, pressappoco
a quell'ora, doveva riportarli a Milano. Ma quelli della Voce, malgrado si
fossero ben difesi, non erano contenti affatto, perciò si recarono in fretta
anch'essi alla stazione. Mentre il treno stava per arrivare ebbe luogo un altro
incontro, e un altro violento pugilato, che, per poco, faceva restare a piedi
futuristi. Ma fecero in tempo a prendere il treno, un po' ammaccati, ma
soddisfatti. Severini, Vita di un pittore Nel Manifesto Futurista, pubblicato
inizialmente in vari giornali italiani (la Tavola Rotonda di Napoli, la
Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantovae L'Arena di Verona) e,
definitivamente, due settimane dopo sul quotidiano francese Le Figaro,
Marinetti espose i principi-base del movimento. Poco tempo dopo a Milano i pittori
Boccioni, Carrà, Balla, Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto dei
pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della
pittura futurista. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava una
fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie ideologie
(bollate con l'etichetta di passatismo, tra cui figura anche il Parsifal di
Wagner, che cominciò a essere rappresentato nei teatri d'Europa). Si esaltavano
inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria, il militarismo, il nazionalismo
e la guerra, che veniva definita come "sola igiene del
mondo. Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per
l'inaugurazione della prima mostra. La prima importante esposizione futurista
si tenne a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune. All'inaugurazione della
mostra erano presenti Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo.
L'accoglienza iniziale fu fredda, ma nelle settimane successive il movimento
suscitò un certo interesse divenendo presto oggetto di attenzioni
internazionali tanto da favorire la riproposizione della mostra anche in altre
città europee come Berlino. La riconciliazione con i futuristi avvenne in
seguito, grazie alla mediazione dell'amico Palazzeschi. Infatti, Soffici e
Papini uscendo da La Vocedecisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando
così il movimento futurista. Alla morte di Umberto Boccioni, Carrà e
Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di
conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da
Milano a Roma, con la conseguente nascita del secondo Futurismo. In prima
fila Depero, Marinetti e Cangiullo con panciotti "futuristi" Il
secondo Futurismo fu sostanzialmente diviso in due fasi. La prima andava due
anni dopo la morte di Boccioni, e fu caratterizzata da un forte legame con la
cultura post-cubista e costruttivista; la seconda invece, fu molto più legata alle idee del
surrealismo. Di questa corrente - che si concluse attraverso il cosiddetto
"terzo Futurismo", portando anche all'epilogo del futurismo stesso -
fecero parte molti pittori fra cui Colombo, Prampolini, Sbardella, Diulgheroff,
Tulli ma anche Sironi, Soffici, Rosai, Testi e la moglie Stagni. Se la prima
fase del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica
(in pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la
seconda stagione ebbe un effettivo legame con IL REGIME FASCISTA, nel senso che
abbraccia gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di
speciali favori. I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel
panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del
futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al
bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi
ritenuti principali è fagocitato dal FASCISMO. Anche se la gerarchia
fascista riserva ai futuristi coevi una sotto-valutazione talvolta sprezzante,
l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del
Futurismo sono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che
alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze
dall'ideologia fascista (Carrà, ad esempio, abbraccia la metafisica). Altri
ancora, come il giovane pittore maceratese Tulli, mantennero costantemente un
approccio giocoso e libertario, che poco aveva a che fare con L’ESTETICA
FASCISTA, anche nelle successive esperienze di pittura informale. Goncharova Il
ciclista, Museo russo, San Pietroburgo Manifesto futurista di Marinetti era
stato pubblicato a San Pietroburgo appena un mese dopo l'uscita su Le Figaro, e
Gončarova e Larionov, che in patria verrà definito il padre del Futurismo
russo, furono i concreti iniziatori del movimento in Russia. Il pittore Malevič,
il compositore Matjušin e lo scrittore Kručënych redassero il manifesto del
Primo congresso Futurista russo. Al movimento, conosciuto anche come
Cubofuturismo o Raggismo, aderirono personalità come il poeta e drammaturgo
Majakovskij. Marinetti stesso si recò a Mosca. Dal movimento
d'avanguardia futurista nacquero negli anni immediatamente precedenti la
rivoluzione due importanti avanguardie artistiche, il Costruttivismo e il
Suprematismo. L'attenzione che i giornali e il pubblico dedicarono a Marinetti
fu enorme, ma non ci fu la stessa attenzione da parte dei futuristi russi,
alcuni dei quali tentarono anche di ostacolare la visita di Marinetti. Altri
invece, come Sersenevič, furono più ospitali e cordiali. Il temperamento e le
declamazioni di Marinetti riscossero successo ovunque; ma Marinetti tentò
invano di chiamare i futuristi russi ad unire le forze con i futuristi
italiani, perché i maggiori poeti russi, Chlebnikov, Livsič, Majakovskij e
anche il regista Larionov criticarono Marinetti. L'ultima "mostra
futurista" si tenne a Pietrogrado. In Russia il movimento non fu
caratterizzato dal bellicismo come quello dei futuristi italiani, criticato da
Majakovskij, ma fu accompagnato da un'utopica idea di pace e libertà, sia
individuale dell'artista, sia collettiva del mondo, che si sarebbe concluso con
l'adesione di una parte del gruppo al bolscevismo. Dopo la rivoluzione
d'ottobre molti futuristi confluirono nel cubismo e nell'astrattismo.
Futurismo francese In Francia il Futurismo non si organizzò mai come movimento,
ma ebbe almeno due nomi degni di nota: Apollinaire e Saint-Point.
Apollinaire scrive il manifesto L'antitradition futuriste, pubblicato su
Lacerba solo dopo le aggiunte e le correzioni di Marinetti. I successivi
Calligrammes rivelano la chiara influenza del paroliberismo futurista sul poeta
francese. Valentine de Saint Point, nipote di Lamartine, scrisse il
Manifesto della donna futurista, con il sottotitolo “Risposta a Marinetti”, in
un volantino pubblicato simultaneamente a Parigi e a Milano. è il Manifesto
futurista della lussuria. Orientamenti artistici Nelle opere futuriste è
quasi sempre costante la ricerca del dinamismo; cioè il soggetto non appare mai
fermo, ma in movimento: ad esempio, per loro un cavallo in movimento non ha
quattro gambe, ne ha venti. Così la simultaneità della visione diventa il
tratto principale dei quadri futuristi; lo spettatore non guarda passivamente
l'oggetto statico, ma ne è come avvolto, testimone di un'azione rappresentata
durante il suo svolgimento. Per rendere l'idea del moto nelle arti visive
tradizionali, immobili per costituzione, il Futurismo si serve, nella pittura e
nella scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce
psicologicamente sull'osservatore con significato direzionale, essa,
collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di semplice segmento e
diventa forza centrifuga e centripeta, mentre oggetti, colori e piani si
sospingono in una catena di contrasti simultanei, determinando la resa del
“dinamismo universale”. PitturaJoseph Stella Battle of Lights, Coney Island, Mardi Gras, Yale. A Milano gl’artisti d'Italia avevano pubblicato i
manifesti sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del
dinamismo plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla
passò dallo studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) alla
rappresentazione sintetica del moto. Boccioni, Carrà e Russolo esposero a
Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella
fabbrica Ricordi. Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni
artistiche legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere
letterarie e teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata
capacità espressiva. Le radici del fermento che portò alla declinazione
del Futurismo nell'arte si possono riconoscere, artisticamente parlando, già
nella Scapigliatura - corrente tipicamente milanese e borghese della seconda
metà dell'Ottocento - laddove il Futurismo distoglie con disprezzo l'attenzione
dalla raffinata borghesia per concentrarsi sulla rivoluzione industriale, sulle
fabbriche. Dal punto di vista stilistico il Futurismo - in particolare
quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad
adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di
simultaneità: è grazie ad artisti come Segantini e PELLIZZA da Volpedo che,
pochi anni dopo, il futurista Umberto Boccioni poté realizzare dipinti come La
città che sale. Opera futurista di Emma Marpillero Corradi Dal
punto di vista concettuale, il Futurismo naturalmente non ignora i principi
cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di
essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la
superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa
prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende
possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione
esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone
ogni aspetto), il Futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione
temporale, il movimento. Altrettanto interessanti sono i rapporti
stilistici tra il Futurismo boccioniano e il cubismo orfico di Delaunay.
Non mancarono relazioni complesse tra i futuristi italiani e i più importanti
esponenti delle avanguardie russe e tedesche. Equiparare, infine, la ricerca
futurista dell'attimo con quella impressionista, come è stato fatto in passato,
è ormai considerato profondamente errato. Se è vero infatti che gli
impressionisti fecero dell'"attimalità" il nucleo della loro ricerca
- loro scopo era fermare sulla tela un istante luminoso, unico e irripetibile -
la ricerca futurista si muoveva in senso quasi opposto: suo scopo era
rappresentare sulla tela non un istante di movimento ma il movimento stesso,
nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto emozionale. Come
conseguenza dell'"estetica della velocità", nelle opere futuriste a
prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge infatti l'oggetto e lo
spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni, degli aeroplani
(Aeropittura), delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane
(del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona, della bimba che corre
sul terrazzo, delle ballerine) è sottolineato da colori e pennellate che
mettano in evidenza le spinte propulsive delle forme. La costruzione può essere
composta da linee spezzate, spigolose e veloci, ma anche da pennellate lineari,
intense e fluide se il moto è più armonioso. Tra gli epigoni più
interessanti del Futurismo, l'avanguardia russa del raggismo e del
costruttivismo. Le tecniche pittoriche futuriste sono state riassunte nei due
manifesti sulla pittura. Due tra i principali esponenti del movimento
pittorico, Boccioni e Balla, furono presenti anche nella scultura. La pittura
di Boccioni è stata definita "simbolica": il dipinto La città che
sale, per esempio, è una chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e dalle
scene di cantiere edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa
crescita dalla potenza del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si
scompone per piani. Se Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico.
Ancora legato a principi cubisti, non è raro che realizzi sequenze
fotogrammetriche di una scena, per rendere il movimento, piuttosto che
affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è il caso del posato Bambina che
corre al balcone. Scultura Boccioni Forme uniche della continuità nello
spazio, New York, Museum of Modern Art L'artista futurista più attivo nel campo
della scultura è Umberto Boccioni, la cui ricerca pittorica corre sempre
parallela a quella plastica. Lo stesso Boccioni pubblica il Manifesto
tecnico della scultura futurista. Punto di arrivo di questa ricerca può essere
considerato Forme uniche della continuità nello spazio: l'immagine, applicando
le dichiarazioni poetiche di Boccioni stesso, è tutt'uno con lo spazio
circostante, dilatandosi, contraendosi, frammentandosi e accogliendolo in sé
stessa. Anche in L'Antigrazioso o La madre, immediatamente precedente,
sono presenti parametri scultorei simili a Forme uniche nella continuità dello
spazio, ma con ancora non risolti alcuni problemi di plasticità derivanti da
influssi naturalistici. MosaicLa tecnica del mosaico, basata
sull'utilizzo di tessere ceramiche e vitree, si è prestata molto bene a
esprimere i modi e il dinamismo intesi dall'arte futurista. Enrico
Prampolini e Fillia eseguono l'importante mosaico dedicato al tema delle
Comunicazioniall'interno della torre del Palazzo delle Poste di La
Spezia. Alcuni anni più tardi Gino Severini esegue altri mosaici per le
Poste di Alessandria. La tradizione musiva di Ravenna continua con mosaici
futuristi di autori vari (Palazzo del Mutilato,. ArchitetturaMagnifying
glass icon mgx2.svg. Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura futurista.
«Il problema dell'architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento
lineare. Non si tratta di dover trovare nuove sagome, nuove marginature di
finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi,
mosconi, rane: ma di creare di sana pianta la casanuova, costruita
tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della tecnica…» (Antonio
Sant'Elia, dal Messaggio posto a prefazione della mostra del gruppo Nuove
Tendenze) Antonio Sant'Elia, una veduta prospettica della Città Nuova.
Sant'Elia, Casa a Gradinate la Città Nuova. Arnaldo Dell'Ira lampada "a
grattacielo Pettazzi Stazione di servizio "Fiat Tagliero",
Asmara. Sant'Elia, che divenne l'architetto più rappresentativo del movimento,
era ancora distante dai futuristi ed era piuttosto legato nel movimento del
cosiddetto Stile floreale. In quegli stessi anni a Milanoera attivo Giuseppe
Sommaruga e questi sembra che avesse esercitato una grande influenza sulla
formazione del Sant'Elia, infatti, per esempio, molti elementi dinamici del
futurista furono anticipati nel Grand Hotel Campo dei Fiori di
Varese. Sant'Elia pubblica il Manifesto dell'Architettura futurista, dove
esponeva i principi di questa corrente. Al centro dell'attenzione c'è la città,
vista come simbolo della dinamicità e della modernità. Tutti i progetti creati
da Sant'Elia si riferiscono a città del futuro: in contrapposizione
all'architettura tradizionale, vista come inadeguata, le città idealizzatedagli
architetti futuristi hanno come caratteristica fondamentale il movimento, i
trasporti e le grandi strutture. I futuristi, infatti, compresero
immediatamente il ruolo centrale che i trasporti avrebbero assunto
successivamente nella vita delle città. Nei progetti di questo periodo si
cercavano sviluppi e scopi di questa novità. L'utopia futurista è una città in
perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in
costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è impregnata di
dinamicità. Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique simboleggia
questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei progetti
futuristi, privi di una simmetriaclassicamente intesa. Le teorie
futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano
espressione di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a
metodi formali e tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni
dell'architettura e della città che saranno proprie del Movimento
Moderno. A causa della guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il
movimento futurista in Italia perse il suo slancio. L’originaria proposta
futurista dei primi tempi è raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il
movimento razionalista italiano cercherà di proporre gli scenari della Città
Nuova delle utopie futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi
privilegiando un monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso
avvenne in Unione Sovietica con il sopravvento del regime totalitario.
Tra i grandi esponenti dell'architettura da ricordare Chiattone, che visse con
Sant'Elia a Milano, condividendone le linee teoriche e sviluppando
straordinarie visioni di città del futuro, prima di trasferirsi in Svizzera e
abbandonare la militanza. E infine Marchi, che operò anche come
scenografo. Al Secondo Futurismo appartengono le architetture di Mazzoni,
autore di notevoli edifici postali e ferroviari, ancora oggi validamente in
funzione in diverse città italiane. CeramicaPer le sue possibilità
espressive, anche la ceramica interessa il movimento futurista. In particolare
i ceramisti dell'ISIA espressero lavori in sintonia con il nuovo movimento. Sulla
Gazzetta del Popolo a firma Marinetti ed Albisola viene pubblicato il Manifesto
futurista della Ceramica e Aereoceramica. Il centro propulsore della ceramica
futurista italiana fu Albissola Marina. Musica Modifica In campo musicale
gli unici rappresentanti di rilievo sono Pratella e Russolo, pittore, musicista
e scrittore, autore del saggio L'arte dei rumori. L'arte dei rumori è
considerata da alcuni autori uno dei testi più importanti e influenti
nell'estetica musicale del XX secolo. A Russolo si deve l'invenzione
dell'Intonarumori, uno strumento che usava per mettere in pratica la sua teoria
del rumorismo, ovvero di una musica nella quale ai suoni dovevano essere
sostituiti i rumori. Essi erano formati da generatori di suoni acustici che
permettevano di controllare la dinamica e il volume. Letteratura Modifica
Da sinistra: Palazzeschi, Carrà, Papini, Boccioni, Marinetti, Magnifying glass
icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura futurista e Filippo
Tommaso Marinetti. Marinetti invia il Manifesto del Futurismo ai principali
giornali italiani, ma è la pubblicazione su Le Figaro a garantirgli risonanza
europea. Sulla rivista fiorentina Lacerba, comparve il "Manifesto tecnico
della letteratura futurista. è il volume Zang Tumb Tumb, miglior esempio delle
futuriste Parole in libertà. Poesia. I poeti futuristi si riuniranno
attorno alla rivista Poesiafondata da Marinetti qualche anno prima. Nei
componimenti si trova generalmente l'esaltazione del futuro e delle sensazioni
forti associate alla velocità e alla guerra. Gli esponenti più noti, oltre al
Marinetti, sono: Palazzeschi, autore della raccolta poetica L'incendiario (che
include "La fontana malata", "E lasciatemi divertire" e
"La passeggiata"); Soffici, autore di Bif& ZF + 18 = Simultaneità
– Chimismi lirici; Paolo Buzzi, autore di Aeroplani. Canti alati. Anche
Quasimodo aderì, in gioventù, al Futurismo (ricordiamo la sua poesia "Sera
d'estate. A un successivo momento del Futurismo marinettiano appartiene
l'Aeropoesia. Teatro Modifica Magnifying glass icon mgx2. svLo stesso
argomento in dettaglio: Teatro futurista. I futuristi perseguirono la
rifondazione del concetto stesso di comunicazione teatrale. Promossero un
teatro «sintetico, atecnico, dinamico, simultaneo, autonomo, alogico e
irreale», dove « è stupido» non ribellarsi al pregiudizio della teatralità,
soddisfare la primitività delle folle, curarsi della verosimiglianza, voler
spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, sottostare alle
imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine,
lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti
possono acquisire, rinunciare «al dinamico salto nel vuoto della creazione
totale». I futuristi, infatti, possedettero una «invincibile ripugnanza»
per il lavoro studiato a tavolino, a priori, sostenendo l'improvvisazione, il
teatro come «serbatoio inesauribile di ispirazioni». «Tutto è teatrale
quando ha valore» (Il teatro futurista sintetico di Marinetti, Settimelli
e Corra) Il teatro futurista promosse anche la commedia e la farsa, anziché la
tragedia, o il dramma borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste, non era
inusuale vedere il pubblico adirato a causa di spettacoli fatti di azioni
deliranti. Le cronache dell'epoca riportano notizie relative agli attori
futuristi che sfuggono all'ira degli spettatori, spesso provocata ad arte
secondo gli intenti espressi nel Manifesto futurista del teatro di
varietà. Cinema Magnifying glass icon mgx2. svg Lo stesso argomento in
dettaglio: Cinema futurista. Venne pubblicato il Manifesto della Cinematografia
futurista, firmato da Marinetti, Corra, Ginna, Balla, Chiti ed Settimelli, che
sosteneva come il cinema fosse "per natura" arte futurista, grazie
alla mancanza di un passato e di tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema
narrativo "passatissimo", cercando invece un cinema fatto di
"viaggi, cacce e guerre", all'insegna di uno spettacolo
"antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico,
parolibero". Nelle loro parole c'è tutto un entusiasmo verso la ricerca di
un linguaggio nuovo slegato dall'estetica tradizionale, che era percepita come
un retaggio vecchio. I futuristi, per allontanare il cinema dal passato,
ripudiavano tutto ciò che era convenzionalmente accettato come affascinante e
bellissimo dalla borghesia, usando quindi come soggetti figure distorte (che
verranno riprese anche dall'espressionismo tedesco come manifestazione della
perdita di speranza della popolazione dopo la prima guerra mondiale), colori
forti ecc. Molte opere cinematografiche futuriste sono andate perdute durante
la guerra, tra cui Vita futurista, pellicola nella quale alcuni uomini
disturbavano e poi scappavano velocemente alcuni turisti nei bar di
Firenze. Tra le opere rinvenute di questo movimento, ci è pervenuta la
tragedia Tahïs di Bargaglia e la romantica Amor pedestre del 1914 del comico
Marcel Fabre, nel quale viene proposta una relazione non corrisposta tutta
raccontata inquadrando i protagonisti dal ginocchio in giù (cortometraggi
rintracciabili su YouTube). Gastronomia Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Cucina futurista. Grazie alla completezza di
questo movimento, ne venne influenzata anche la gastronomia. Il cuoco francese
Maincave adere al Futurismo, proponendo quindi l'accostamento di nuovi sapori
ed elementi fino ad allora separati senza serio fondamento. Questo comprende
accostamenti come filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e
assenzio, banana e groviera, aringa e gelatinadi fragola. Marinetti
pubblica il Manifesto della cucina futurista sulla rivista Comoedia. Secondo
Marinetti bisognava eliminare la pastasciutta, così come forchetta e coltello e
condimenti tradizionali, e incoraggiare l'accostamento ai piatti di musiche,
poesie e profumi. Scrive Marinetti: vi annuncio il prossimo
lanciamento della cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema
alimentare italiano, da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi
sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza. La cucina futurista sarà liberata
dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi
principi, l'abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita
al palato, è una vivanda passatista perché appesantisce, abbrutisce, illude
sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d'altra
parte patriottico favorire in sostituzione il riso.» Nel suo tempo È
normale che il Futurismo, nascendo in un'epoca di transizione, abbia avuto
molteplici contraddizioni. All'immobilismo scolastico e accademico ereditato
dalle "tre corone" della poesia decadente (Carducci, Pascoli ed Annunzio)
i futuristi oppongono la dinamicità, la demolizione all'armonia, e alla
raffinatezza contrappongono il disordine delle parole. Gli elementi suddetti
richiamano alle caratteristiche del Futurismo più importanti: esse rientrano
appieno nello spirito culturale della belle époque che precedette lo scoppio
della Prima Guerra Mondiale. Secondo i futuristi, questi poeti devono
essere completamente rinnegati perché incarnano esattamente i quattro ingredienti
intellettuali che il Futurismo vuole abolire: la poesia morbosa e
nostalgica; il sentimento romantico; l'ossessione della lussuria; la passione
per il passato. In contraddizione con il Futurismo è stata anche la corrente
crepuscolare. Infatti il crepuscolarismo, nonostante condivida con il Futurismo
l'idea di interartisticità, ha però una concezione della vita completamente
diversa: i futuristi inneggiano alle innovazioni, i crepuscolari sono
avversi a una modernità che aliena l'individuo i futuristi sono prepotenti,
dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni dimessi, pacifici e
malinconici i futuristi esaltano il caos e le attività delle grandi città, i
crepuscolari amano l'intimità, le "piccole cose di pessimo gusto",
gli affetti familiari e una vita tranquilla i futuristi sono sempre protesi
verso un domani esaltante, i crepuscolari guardano al passato e alle piccole
cose quotidiane. Scultura futurista esposta a Milano in Piazzetta
Reale per il centenario del movimento Nelle arti figurative invece si presenta
il confronto con le altre avanguardie, Cubismo, Astrattismo, Dada, Surrealismo,
Metafisica, ognuna delle quali caratterizzata da propri temi e propri linguaggi
espressivi. L'opera futurista è in evidente contrasto per alcuni temi con molte
delle altre avanguardie sebbene condividano tutte l'intuizione di trasmettere
attraverso l'arte un impulso di trasformazione della società e di rinnovamento.
Aspetto specifico del Futurismo è quello di non limitare la propria azione alle
espressioni artistiche (come il Cubismo o la Metafisica), ma di prospettare la
re-invenzione dell'intera vita, in ogni suo aspetto (e uno dei manifesti
maggiormente rilevanti fu infatti "Ricostruzione futurista
dell'universo" di Balla e Depero). Tra i contemporanei dei futuristi
che criticarono il movimento ricordiamo Giandante X, che a Milano, all'apertura
dei festeggiamenti per il ventennale del Futurismo, contestò apertamente
Filippo Tommaso Marinetti, sostenendo che "l’uomo si deve affrancare dalla
macchina ed è un errore lasciare sussistere lo scombinato movimento
artistico"[20]. Nella critica del dopoguerra Il Futurismo ha
influenzato tutta l'arte d'avanguardia del Novecento. Gli artisti futuristi che
sopravvissero alla morte di Marinetti e alla seconda guerra mondiale caddero in
disgrazia come tutto il Futurismo, con l'accusa di aver fiancheggiato il
fascismo. Nel secondo Novecento nuovi studi di Luciano De Maria, Mario
Verdone, Enrico Crispolti, Maurizio Calvesi, Claudia Salaris, Giordano Bruno
Guerri hanno parzialmente corretto l'accusa di collusione fascista, rilanciando
l'interesse artistico-sociale verso il futurismo. Studi sul futurismo di
sinistra (i contatti con gli ambienti anarchici, e persino comunisti)
mostravano contemporaneamente che l'avanguardia futurista italiana era stata
troppo sommariamente giudicata. Nel corso del tempo diverse sono state le
esposizioni riguardanti il Futurismo. Di indubbia rilevanza è stata quella del
2009 presso il Palazzo Reale di Milano per il centenario del movimento. La
mostra si intitolava Futurismo Velocità+Arte+Azione. Il Futurismo italiano, con
una grande esposizione retrospettiva fino al 1944 al Guggenheim Museum di New
York a cura di Greene, è tornato alla ribalta internazionale. Il centenario del
Futurismo ha anche contribuito al rilancio internazionale degli studi sulle
artiste del Futurismo e sulla visione della donna nel Movimento. è stato
pubblicato il Manifesto del Fumetto Futurista redatto da Bonura e uno dei
primi, se non il primo, fumetti futuristi programmatici, cioè seguente
esplicitamente uno schema scritto e definito, dal titolo "Il brutto
anatroccolo. Ma che Wow!!" di Gnoffo, a significare l'importanza che il
movimento futurista ha avuto come influenza nel delineare nuovi stili d'arte di
rottura e sperimentali. Principali esponenti del futurismo Futuristi italiani
Marinetti Allimandi Asinari Asinari Antonio Asturi Azari Baldessari Balla
Benedetto Boccioni Bodini Bonetti Bot, pseudonimo di Barbieri Bragaglia
Bruschetti Buzzi Cangiullo Cappa Carli Carmassi Carta Carrà Carramusa Caselli
Castagnedi Cavacchioli Ciacelli Chiti
Conti Corona Corra, pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini Tullio Crali D'Alba,
pseudonimo di Umberto Bottone Giulio D'Anna Luigi De Giudici Mino Delle Site
Depero Gerardo Dottori Leonardo Dudreville Carlo Erba EVOLA (si veda), Farfa,
pseudonimo di Tommasini Fillia, pseudonimo Colombo Folgore Gesualdo Frontini
Funi Gambini Giardina Ginna, pseudonimo di Ginanni Corradini Governato Govoni
Jannelli Korompay Krimer Mimì Maria Lazzaro Escodamè, pseudonimo di Michele
Leskovic Licini Lucini Magnelli Mai Mainardi Michetti Marasco Marchesi Emma
Marpillero Masnata Mix Sante Monachesi Marisa Mori Munari MUSSOLINI (si veda)
Mussolini (si veda) Notte Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari Nello
Voltolina Pippo Oriani Nino Oxilia Ivo Pannaggi Papini Pepe Diaz Peruzzi
Piscopo Prampolini Pratella Preziosi Quasimodo Righetti Romani Rosai Rizzo
Rognoni Ronco Rosso Russolo Sanzin Sartoris Sant'Elia Sbardella Severini
Ardengo Soffici Fides Stagni Tato (Guglielmo Sansoni) Mario Sironi Fides Stagni
Stella Sturani Tavolato Tedeschi Thayaht, pseudonimo di Ernesto Michahelles
Tulli Ungaretti Vann'Antò Ruggero Vasari Lucio Venna, pseudonimo di Landsmann
Vucetich; Futuristi russi Makov Černichov Velimir Chlebnikov Natal'ja Sergeevna
Gončarova Michail Larionov Vladimir Majakovskij Kazimir Severinovič Malevič
Aleksandr Rodčenko Aleksej Kručënych Futuristi ucraini Davyd, Mykola, Volodymyr
Burljuk Futuristi francesi Robert Delaunay Marcel Duchamp Paul Fort Léger Jules
Maincave Georges Bernanos Guillaume Apollinaire Futuristi cechi Růžena Zátková
Futuristi ungheresi Béla Kádár Lajos
Kassák Hugó Scheiber Futuristi portoghesi Fernando Pessoa, divulgò aspetti del
movimento attraverso le riviste Orpheu e Portugal Futurista Guilherme de
Santa-Rita, pittore, ideatore della rivista Portugal Futurista Futuristi
spagnoli Joan Salvat-Papasseit Futuristi brasiliani Oswald de Andrade Futuristi
argentini Alberto Hidalgo Emilio Pettoruti Principali manifesti Manifesto del
futurismo, (Pubblicato da "Le Figaro" Marinetti Uccidiamo il Chiaro
di luna, Marinetti Manifesto dei Pittori futuristi, (11 febbraio 1910),
Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini La pittura futurista - Manifesto
tecnico, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini Contro Venezia passatista,
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo Manifesto dei drammaturghi futuristi,
Marinetti Manifesto dei Musicisti futuristi, Pratella La musica
futurista-Manifesto tecnico, Pratella Manifesto della Donna futurista,,
Valentine de Saint-Point Manifesto della Scultura futurista, Boccioni Manifesto
tecnico della letteratura futurista, Marinetti L'arte dei Rumori, Russolo
Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà,,
Marinetti L'Antitradizione futurista, Apollinaire La pittura dei suoni, rumori
e odori, Carrà Il Teatro di Varietà, Marinetti Il controdolore, Palazzeschi
Pittura e scultura futuriste, Boccioni Manifesto dell'Architettura futurista,
Sant'Elia Il teatro futurista sintetico, (1915), Corra, Settimelli, Marinetti
La ricostruzione futurista dell'universo,, Balla, Depero La Scenografia
futurista, Prampolini Manifesto del cinema futurista, Marinetti, Corra,
Settimelli Manifesto della danza futurista, Marinetti Manifesto
dell'Aeropittura futurista, Manifesto della Fotografia futurista, Tato
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La risata Boccioni, Stati d'animo, gli addii Carrà, I funerali dell'anarchico
Galli; Umberto Boccioni, Materia; Balla, Ragazza che corre al balcone Balla,
Dinamismo di un cane al guinzaglio Balla, Lampada ad arco; Umberto Boccioni,
Elasticità Severini, La chahuteause Russolo, Dinamismo di un'automobile Carrà,
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Architettura Futurista Italiana, su architettura futurista.it. Il futurismo e
le arti applicate, sul portale RAI Arte, su arte.rai.it. Portale Arte
Portale Italia PAGINE CORRELATE Carlo Carrà Pittore e docente
italiano Manifesto dei pittori futuristi Manifesto futurista pagina di
disambiguazione di un progetto, Esaminerò i temi principali del mio saggio,
intitolato “Eros ethos”: la contraddizione, la violenza, la domanda di
salvezza, che è poi la domanda di senso, il silenzio di Dio. Ma,
effettivamente, questi temi fanno da sfondo, perché “ Eros ethos”, questo nesso
su cui dobbiamo riflettere, riguarda piuttosto le cose prossime che non le cose
ultime come la domanda di senso, la domanda che appunto ruota interamente
intorno a ciò che era al principio. Che cos’era il principio? Era il senso, era
il logos, o non era piuttosto come Nice, in modo sprezzante, ma anche polemico
e profondo, ebbe a dire: “ in principio era il non senso”? Ecco, cos’ hanno a
che fare queste domande sulle cose ultime con le cose prossime? Eros ethos: che
cosa c’è di più prossimo alle esperienze che noi facciamo, che questa?
Esperienza erotica ed esperienza etica. Questo è il quadro, questo è
l’orizzonte problematico dentro il quale vorrei insieme con voi procedere per
alcuni passi, e allora incomincerei col dire che, davvero, la domanda da cui partire
è la domanda sull’origine: una domanda che ai non filosofi può sembrare di
scarsa rilevanza. Perché la domanda sull’origine? E che cosa vuol dire domanda
sull’origine? Vuol dire, se la vogliamo tradurre, interrogarsi sul da dove
veniamo, da dove il male, la violenza che patiamo. “Unde malum?” questa è la
domanda sull’origine. Ma a questa domanda sull’origine, così perentoria e così
grave di implicazioni, come risponde il pensiero contemporaneo? Il pensiero
contemporaneo risponde rimovendola, come se non esistesse, meglio come se non
la potessimo, né la dovessimo porre. E questo perché? Perché alla domanda ha
già risposto la scienza. Sappiamo da dove veniamo, di chi siamo figli: siamo
figli del caos, e se è vero che leggi che possono essere accertate scientificamente
governano questo caos, del caos noi siamo figli, o, se non del caos, di quel
suo riflesso che è il caso. Siamo figli del caso. La violenza è un fatto. Certo
che c’è violenza nel mondo, ma c’è come c’è quell’ultimo orizzonte che non
possiamo trascendere. Ci appartiene la violenza, è in noi, sempre di nuovo la
evochiamo, basta un niente ed ecco esplode, come se un fondo sub umano ci
abitasse, come se da questa brutalità naturale noi provenissimo, come se
appunto questo fondo sub umano, questa brutalità naturale, sempre pronta ad
esplodere, costituisse un orizzonte intrascendibile. Non è forse vero che
veniamo di lì, non ci dice la scienza che veniamo dalla “selva antiqua?” Dallo
stato di natura? E che cos’è lo stato di natura se non lo stato in cui la
violenza ci fa simili, anzi identici, a quegli esseri che abitano la natura e
l’abitano inconsapevolmente, producendo la violenza appunto come produzione
inconsapevole di quella volontà di vivere che abita tutti gli esseri naturali?
Sembra essere questa la grande parola della filosofia moderna e poi
contemporanea, perchè troviamo in essa quasi un vero e proprio ritornello: il
risalimento all’origine è precluso, la filosofia pensa a partire da una
situazione, da un trovarsi ad essere in un certo modo, a partire da cui
soltanto il pensiero è pensiero. Che cosa significa risalire alle origini,
ipotizzare fondamenti ultimi? Tutto questo appartiene all’ontoteologia cioè
alla pretesa appunto di ragionare ricostruendo il fondamento, la ragione ultima
di tutte le cose, in una parola l’origine, quell’origine che non è, o meglio
non è se non nella forma che ci è data, e di cui noi facciamo esperienza
sapendo di essere quello che siamo, ossia esseri naturali che dallo stato di
natura provengono e che nello stato di natura trovano una sorta di ultimo
orizzonte, di estremo confine intrascendibile, assolutamente intrascendibile.
Da questo punto di vista abbiamo la parola di Hobbes da una parte( lo stato di
natura), e la parola di Rousseau dall’altra( lo stato di natura come 1
stato di pura violenza che si tratta di controllare attraverso un patto,
i cui contraenti autolimitano la propria libertà in nome del controllo di ciò
che è dato: lo stato di natura). Da una parte Hobbes( il Leviatano), e
dall’altra Rousseau dicono la stessa cosa anche se sembrerebbero dire due cose
completamente diverse. Che cosa dice Rousseau? Dice che lo stato di natura non
è il regno del Leviatano, il regno della violenza, è il regno della gioia, è il
regno della libertà, è il regno della giustizia. Eppure dicono la stessa cosa.
Che cosa? Dicono che quello, lo stato di natura, è un orizzonte che non
possiamo trascendere. Lì ci troviamo a vivere. Che questo stato di natura sia
uno stato di violenza, o che questo stato di natura sia uno stato tornando nel
quale noi ci liberiamo dalla violenza stessa, in definitiva è la stessa cosa,
perché è questo stato, questa condizione intrascendibile, e non possiamo
affacciarci, per così dire, sulla soglia, su questo stesso orizzonte, e
guardare al di là e chiederci: “ Ma noi da dove veniamo? Chi ci ha gettati
qui?” O nella lotta o nella gioia edenica: domanda senza senso. Risalire non è
possibile. L’orizzonte è chiuso. La violenza non è nient’altro che questo,
quella violenza di cui ci parlano anche le cronache, ma che noi conosciamo
anzitutto in noi stessi, perciò della violenza non resta che prendere atto come
qualche cosa che è connaturato, stato di natura appunto, e che non ci resta che
controllare. Sempre di nuovo l’uomo ricade nella violenza, sempre di nuovo
l’uomo deve, se non liberarsene totalmente, elaborare delle strategie di
controllo. Auschwitz non deve più accadere e invece è accaduto e probabilmente
sempre di nuovo accadrà. Questo lo sappiamo, lo sappiamo nei nostri giorni
violentissimi, crudelissimi. Su questo non possiamo chiudere gli occhi: sul
fatto che Auschwitz sempre di nuovo accade, che sempre di nuovo l’uomo cade
dentro quello stato di natura dal quale proviene e dal quale non può evadere.
E’ la parola più dura della filosofia contemporanea, nascosta spesso dentro
strategie di pensiero molto sofisticate, molto raffinate, ma che questo dicono:
l’intrascendibilità della nostra provenienza, dell’orizzonte dal quale
proveniamo, tanto è vero che sempre di nuovo cadiamo dentro a questo orizzonte.
Difficile immaginare, appunto, una risposta più cupamente ateistica e
nichilistica di questa, ma anche più vera, con una sua verità che sembrerebbe
difficilmente controvertibile. Non è forse vero che la violenza è in noi, che
veniamo di lì? Non ci dice la scienza che in noi ci sono forze che se non
teniamo sotto controllo fanno di noi, di chiunque di noi, il peggiore dei
delinquenti, e che ciascuno ha in sé questa virtualità negativa e terribile?
Ciascuno di noi. Lo vediamo, non solo per le guerre, ma per i casi che la vita
ci mette sotto gli occhi: gli adolescenti che uccidono i genitori, il mobbing
tra le persone, questo bisogno di farsi reciprocamente male, che cos’è questo
se non una radice? Maligna, ma nello stesso tempo naturale, maligna, ma in
questa prospettiva senza nessuna ascendenza teologica, perché appunto è lo
stato di natura dal quale proveniamo, dentro il quale sempre di nuovo ricadiamo
in quanto l’orizzonte è intrascendibile. Che questo sia detto nei termini di
Hobbes, o sia detto nei termini di Rousseau, che a partire da Hobbes si
elaborino teorie dello stato come strumento, il solo che l’uomo ha per tenere
sotto controllo la violenza, che a partire da Rousseau si elaborino invece
teorie della emancipazione, della liberazione, del ritorno alla natura, però
questo ci dice l’intrascendibilità dello stato di natura. E’ una tesi che ha
mille sfaccettature naturalmente, ma molto forte. A questa tesi della
intrascendibilità radicale dello stato di natura io credo ci sia una sola
obiezione, ma forte, altrettanto forte che la tesi stessa. E questa obiezione è
che la violenza dell’uomo sull’uomo, quella violenza che fa dell’uomo un bruto,
che lo ricaccia sempre di nuovo nella brutalità dello stato di natura, questa
violenza è sempre qualche cosa di più, è sempre qualche cosa di meno che
espressione dello stato di natura. Questa è la vera obiezione. E cioè, che
cos’è? E’ cosa umana. La violenza fatta dall’uomo non è infatti assolutamente
assimilabile alla violenza fatta dall’animale, da una tigre, da un leone
feroce. La ferocia che emerge, che affiora, e che trasforma un essere umano in
un animale 2 è altra cosa, non è vero che trasforma l’essere umano
in animale ( questo è un modo di dire assolutamente sviante, falsificante,
anche se sembra corrispondere all’esperienza che ciascuno di noi fa ), questa
violenza è altra cosa, perché la violenza dell’uomo ha, per così dire, un
segno, una segnatura, quella signatura rerum di cui parlavano gli alchimisti
che la vedevano nelle cose stesse, quasi le cose fossero portatrici di simboli
entrando in contatto con l’uomo. Ecco, la stessa cosa vale per la violenza
umana: essa ha una segnatura che ne fa qualcosa di altro rispetto alla violenza
dell’animale, di radicalmente altro, di ontologicamente altro. Perché la violenza
dell’uomo non è assimilabile a quella dell’animale? Perché la violenza
dell’uomo ha qualcosa come un valore aggiunto, e il valore aggiunto è quello
che ci mette l’uomo stesso. Pensate all’uomo, al soldato che uccide, deve
farlo, lo fa per difendersi, pensate alla violenza che esplode in una
situazione apparentemente normale: sempre c’è qualche cosa di più e di diverso
che l’espressione di una aggressività volta a raggiungere uno scopo, raggiunto
il quale la stessa violenza, per così dire, ritorna in una quiete, in una pace,
la pace del leone che ha divorato la gazzella e si ritrova in pace con sé
stesso e con la natura. La violenza dell’uomo, quale che sia, giustificata o
non giustificata, ( ma appunto la parola giustificazione è povera), sempre ha
questo valore aggiunto: e il soldato sente il bisogno, ahimè, spesso di
sottolineare questo valore aggiunto, irridendo il nemico. Questo è nell’Iliade,
come nella cronaca di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Nell’Iliade, quando
Achille strazia il cadavere di Ettore, sente il bisogno di straziarlo sotto le
mura di Ilio, sotto gli occhi delle persone care: ecco quel di più, ecco ciò
che fa della violenza umana qualche cosa di radicalmente umano. Nel soldato che
aggredisce e umilia l’aggredito, il vinto, il nemico vinto, stuprando la sua
donna, per esempio, non c’è mai una pura e semplice espressione pulsionale di
qualche cosa, come un bisogno bestiale o animalesco, c’è invece il desiderio di
segnare ( parlavo prima di segnatura, di valore simbolico), c’è il bisogno di
umiliare, c’è, in altre parole, l’impossibilità di ricadere nella quiete della
violenza che ha raggiunto il suo scopo. Allora, se la violenza dell’uomo non è
assimilabile alla violenza della natura, se questo valore aggiunto fa sì che la
violenza dell’uomo riveli una sua irriducibilità all’ordine naturale delle
cose, allora non è vero che lo stato di natura non può essere trasceso, non è
vero che non è possibile affacciarsi sull’ultimo orizzonte e chiedersi: “ Ma da
dove vengo io?” Allora non basta dire: “ Io vengo da lì, cioè dalla natura e
dalla sua brutalità, io vengo da un altrove”. E’ una contraddizione, perché, se
vogliamo dirla con una formula filosofica, la intrascendibilità dello stato di
natura chiede di essere trascesa. Il riconoscimento che di lì vengo, che sono
impastato di quella pasta, che sono fatto di quel fango, che in me agiscono
forze brutali, bestiali, non basta. Non basta perché quelle forze dicono non
soltanto la mia provenienza dallo stato di natura, ma da un al di là, che non
so che cosa sia, che la filosofia non può dire naturalmente, ma deve cercare.
Non mi basta riconoscermi parte della natura, perché questo mio riconoscimento
fa cenno, sia pure nella forma della contraddizione, ad un altrove, come se io
fossi caduto, come se io di là venissi, e come se soltanto questo movimento
potesse spiegare il valore aggiunto che è nella violenza. Ho fatto due esempi,
di due grandi filosofi della modernità, Hobbes e Rousseau, i teorici della
intrascendibilità dello stato di natura. Farò altri due esempi di grandi
filosofi della modernità i quali sostengono quello verso cui sto cercando di
condurvi e cioè che l’intrascendibilità dello stato di natura è
contraddittoria. Certo l’uomo, con le sue categorie, con i suoi concetti, con
ciò di cui dispone, non può uscire dall’orizzonte in cui è venuto a trovarsi,
ma patisce, soffre, vive questo suo trovarsi in un orizzonte che è come un
carcere per lui, appunto come un essere cacciato lì dentro. Diceva Pascal: “ Io
mi guardo intorno, e tutto è confusione, un orribile caos, cerco Dio, ma Dio
tace ( il silenzio di Dio), e non solo Dio tace, ma tutto è terribilmente
silenzioso, e il silenzio degli spazi infiniti è eterno. Che cosa mi resta, se
voglio in questo orribile 3 caos muovermi e sopravvivere? Che cosa
mi resta da fare? Prendere atto che le cose stanno così, seguire le leggi del
mio paese. Già, ma le leggi del tuo paese sono esattamente l’opposto delle
leggi del paese accanto. Che fare? Questa è appunto la prova del caos in cui
versiamo. Ma il mio sovrano mi ha ordinato di uccidere quello che sta al di là
del fiume. E perché? Perché sta al di là del fiume. Ma è una ragione questa?
Eppure lo devo fare, perché, se non mi attenessi alle leggi del mio paese,
cadrei in un disordine ancora più grande, non vivrei più”. L’abbiamo visto:
l’unica forma di sopravvivenza è quella garantita dall’accettazione dello
status quo. Dice: “ Ma io mi guardo intorno. Questo è giusto, che cosa è
sbagliato? Nulla è giusto, nulla è sbagliato, tutto lo è. E infatti non c’è atto,
non c’è gesto, non c’è comportamento umano, anche il più abietto, che non abbia
trovato il suo altare. Sull’altare è stato messo l’incesto, sull’altare è stato
messo l’omicidio, sull’altare è stato messo il furto, e così via. Un orribile
caos, è quello nel quale l’uomo naturaliter viene a trovarsi: intrascendibilità
dello stato di natura”. Ecco allora la contraddizione, ecco il passo in più che
fa Pascal: l’intrascendibilità dello stato di natura è inaccettabile,
l’intrascendibilità dello stato di natura non può essere vissuta se non come
una condanna, e quale maggiore condanna che quella di chi vede che ogni atto,
anche il più nefasto, il più delittuoso, ha trovato il suo altare? Quale
condanna peggiore di chi constata che è costretto a compiere atti profondamente
ingiusti e tuttavia giustificati? “ Vai, uccidi”. “ Perché?” “Perché il tuo
sovrano te lo ordina”. Ed è giusto così, o meglio giustificato così, pena un
disordine ancora maggiore. Questa è una realtà che non si può non accettare,
una realtà che ci dice il nostro essere vincolati ad essa, l’intrascendibilità
dello stato di natura, ma una realtà nello stesso tempo vissuta come iniqua,
come inaccettabile: non la posso che accettare, ma è inaccettabile. Ecco la
contraddizione, e se volessimo dirla filosoficamente, dovremmo dire:
“l’intrascendibilità dello stato di natura impone il suo trascendimento”. Da
dove vengo io? Da quale paradiso perduto, se soffro così tanto all’interno di
una situazione per la quale non vedo via d’uscita? L’intrascendibilità chiede
di essere trascesa. Qui la filosofia deve tacere, la filosofia non può che
aprirsi ad una dimensione altra. E’ una risposta, come vedete, ben diversa da
quella di Hobbes, ed anche da quella di Rousseau. Nasce da Pascal una filosofia
religiosa, laddove da Hobbes e da Rousseau nasce una filosofia irreligiosa. Le
fedi private dell’uno e dell’altro non sono più in questione, ma è
profondamente irreligiosa una filosofia che dice: “ La violenza c’è e non resta
che tenerla sotto controllo. Noi non possiamo guardare al di là”. E’ una
filosofia profondamente irreligiosa quella che dice che la violenza c’è perché
c’è la società. Togliamo questo elemento storico sociale, che inquina, con gli
apparati repressivi che la società mette in atto, liberiamoci da tutto ciò, e
ritroviamo quella gioia che è lo stato originario dell’uomo: filosofia, in
entrambi i casi, con tutte le loro propaggini, da Rousseau a Marcuse, oppure da
Hobbes a Smith, filosofia profondamente irreligiosa quella
dell’intrascendibilità dello stato di natura, laddove è filosofia profondamente
religiosa quella di un Pascal che dalla stessa intrascendibilità ricava,
attraverso la contraddizione, l’idea di non poter non trascendere. Anche Vico,
che viene spesso interpretato, e giustamente, come il padre dello storicismo,
ma è anzitutto teologo cristiano, dice la stessa cosa, cent’anni dopo Pascal, e
la dice attraverso l’idea che la menzogna in cui l’uomo si trova a vivere sia
l’illusione che “ omnia Iovis plena”, che gli alberi siano dei, che tutto gli
parli, che l’universo sia animato da presenze. Se un fulmine cade nella selva
antiqua e apre la radura e l’ uomo si illude che un dio gli abbia parlato, non
è vero, è un’illusione, è pura idolatria credere che lì si sia avuta una
epifania, e tuttavia questa che è la condizione idolatrica che l’uomo non può
trascendere. Vico dice: “ Cos’è più vero? Lo stato di natura, dove l’uomo è e
non è se non cacciatore e preda? Oppure lo stato di cultura?” Quello stato di
cultura che l’uomo costruisce in base ad una simulazione, cioè in base ad una
menzogna, illudendosi che gli dei gli abbiano parlato e 4 sulla
base di questo messaggio, di questa rivelazione, costruisce appunto le
istituzioni, le famiglie, gli stati, la cultura, insomma. Che cos’è più vero?
E’ il puro e semplice abitare la natura come l’abitano i bruti, brutalità dello
stato di natura, oppure è, attraverso la finzione, diventare uomini? Accedere
ad una verità propriamente umana? Anche lì, attraverso la contraddizione,
l’uomo è costretto a vedere nella natura una sorta di deiezione, di caduta. Da
dove? La filosofia non lo dice, lo dice la rivelazione. Come vedete queste sono
ipotesi molto diverse, opzioni filosofiche che sono alla radice del mondo
moderno. Voi vi chiederete: “ Tutto questo che cosa c’entra con Eros ethos?”
C’entra perché c’entra la contraddizione. E’ la contraddizione che dobbiamo
cercare, che dobbiamo interrogare, per capire appunto se noi siamo consegnati
ad un destino umano e soltanto umano o se invece questa stessa umanità del
nostro destino impone un trascendimento della condizione nella quale ci
troviamo: dobbiamo cercare l’origine, ciò che è in principio ma anche ciò che
è, per dirla con sant’Agostino, “intimior intimo meo”, più intimo a me stesso
di quanto non lo sia io a me. Come sappiamo, Agostino identificava Dio con
questo movimento, con l’intimior intimo meo: è Dio che è più intimo a me di
quanto io non lo sia a me stesso. Potremmo, parafrasando Agostino, vedere
precisamente nel nodo di contraddizione che nello stesso tempo lega e separa
eros ethos qualche cosa che può essere definito negli stessi termini. Che eros
ed ethos si contraddicano, o meglio si oppongano( l’opposizione e la
contraddizione sono due cose diverse) lo so bene, che eros ed ethos si
oppongano è cosa abbastanza ovvia. Che cosa indica eros se non l’immediatezza,
diciamo pure la gioia di vivere, quella gioia di vivere che non ammette
ostacoli di nessun tipo, che chiede soltanto di essere espressa? Eros i Greci,
e non soltanto i Greci, lo presentavano come un fanciullo, la divina innocenza,
eros come espansione vitale, o per dirla con Kierkegaard come vita immediata,
vita che non dà ragione di sé, e noi diremmo oggi ( figli volenti o nolenti,
tutti figli di Freud ) “vita pulsionale”, e le pulsioni sono le pulsioni, il
bene e il male appartengono ad un altro ordine, ad un’altra dimensione. Ethos è
il contrario. Ethos è il “Tu devi”. Ethos è la serietà della vita. Ethos è il
dover rispondere di tutto nei confronti di tutti, o quanto meno di sé nei
confronti di coloro coi quali si è stretto un patto. Quale opposizione maggiore
che quella tra eros ed ethos? Tra l’immediatezza e la mediazione? Tra la libera
e gioiosa espansione di sé che non dà ragione, perché è quello che è, è vita
immediata, tra la gioia, se vogliamo dire così, e la serietà della vita, ossia
il “Tu devi”, questo sì e questo no, perché tu devi rispondere di te nei
confronti di tutti gli altri? Ma appunto siamo ancora sul piano
dell’opposizione, non ancora della contraddizione. Per scorgere la
contraddizione dobbiamo renderci conto che c’è dissidio, cioè c’è intima
opposizione sia in eros, sia in ethos. Ed è solo a partire da un’analisi
separata delle due forme di esperienza, esperienza erotica ed esperienza etica,
che capiremo come l’opposizione diventi una vera e propria contraddizione e
capiremo come la contraddizione che abita in ciò che è “intimior intimo meo”,
così prossimo a noi da costituire davvero la nostra anima, la nostra carne ( e
che cosa se non eros ed ethos? ), come la contraddizione sia proprio in questa
prossimità. Ma lo scopriremo appunto esaminando separatamente le due forme.
Perché c’è opposizione in eros? L’abbiamo definito come gioioso, libero, come
espressione di una vitalità che non conosce ostacoli. Non è forse vero che eros
è trasgressione? Ma non carichiamo subito questa parola di un significato
morale: no, siamo prima, siamo al di qua della morale. Parliamo dunque di
trasgressione nel senso letterale del termine, nel senso di una spinta, di un
movimento teso a rompere tutti i vincoli. Quindi siamo ancora sul piano di una
fenomenologia che non chiama in causa la morale. Eros è questo transgredior,
questo superare il limite che eros stesso pone a sé stesso per essere quello
che è. Cosa c’entra la morale con eros, se eros è questo? Come è pensabile un
intimo dissidio di eros con eros? I Greci lo hanno pensato. Quando ci troviamo
di fronte a queste difficoltà, definita filosoficamente la categoria, 5
sembrerebbe non si dovesse più procedere oltre, invece sappiamo che
l’esperienza erotica è molto più complessa, che non è questa pura e semplice,
come qualcuno vorrebbe, espressione pulsionale di sé che non dà ragione di sé,
bensì un’esperienza terribilmente complessa. E allora come la mettiamo? La
filosofia ci dice che è trasgressione, movimento libero verso la liberazione da
tutti i vincoli. Il mito, e di nuovo la religione, ci dice che è cosa molto,
molto più complessa. E come avevano rappresentato questa complessità i Greci?
Attraverso i miti, come sappiamo. I miti sono questo: servono a dire delle cose
che la filosofia non riesce a dire, o che il linguaggio comune non riesce a
dire. Ci sono tanti miti nella cultura greca che parlano di eros, infiniti, ma
non soltanto nella cultura greca, anche in quella indiana, anche in tante
altre. Ma alcuni in particolare: intanto quello che identifica eros con Fanes
Protogono. Chi è Fanes Protogono? Fanes Protogono è qualcuno, qualche cosa che
viene prima della stessa formazione del mondo, e quindi del costituirsi di
figure archetipiche nel mondo che sono gli dei; Fanes ( “ fainetai”) è questa
accensione originale che fa sì che il mondo, che era, secondo il mito di Fanes
Protogono, tutto raccolto in un nucleo simile ad un punto ( pensate a quale
profondità di intuizione erano arrivati i Greci), per questa improvvisa
accensione si spacchi, si scinda come sotto una spinta, una forza assolutamente
sorgiva, che non è governata da figure archetipiche, dagli dei, ma che è
assolutamente iniziale. Questa realtà tutta compressa, tutta compresa in un
unico punto, per così dire a seguito di questa cosiddetta accensione, esplode,
e questa esplosione dà luogo alla terra e al cielo, perciò la terra e il cielo,
a partire da questa esplosione, non potranno che sempre di nuovo cercare di
ricongiungersi. Urano e Gea, il cielo e la terra, originariamente uniti, a
seguito della esplosione cercano di ricongiungersi, grazie a eros, Fanes
Protogono, cioè il principio primo, il principio originariamente generatore,
che è la luce. Eros è questa accensione, questa forza ricongiungente dei due.
Dentro questo mito che cosa scopriamo? Il carattere assolutamente non morale di
eros. Eros è quello che è, non è neppure un dio, è luce, è manifestazione, è
pura forza esondante, quella pura forza esondante che ciascuno di noi prova in
sé, nelle varie forme in cui eros si manifesta, che, come sapevano i Greci,
sono infinite. Basta leggere il Simposio per capire come Platone sapesse delle
varie forme di eros. Ma che cosa accade? Accade qualche cosa di tremendo, il
tremendo che è in eros: accade che nel momento in cui la terra e il cielo si
scindono in due, in una sorta di mattino del mondo nasce Afrodite che è la dea
dell’amore, che è la dea, a seguito di questa vicenda, chiamata a incarnare, a
personificare, la forza originariamente creatrice. Ma chi è Afrodite? E’ la dea
della doppiezza, e i poeti greci così l’ hanno descritta: è la dea della
felicità, della gioia, della gioia di vivere che non dà ragioni di sé, è la dea
al di là del bene e del male, è la dea al di qua del bene e del male. Ma Afrodite
è anche la dea che nasconde il tremendo da cui proviene, tanto è vero che lo
stesso mito greco ci parla di questo mattino del mondo: e cosa c’è di più bello
che il sorgere di Afrodite dalla spuma del mare, che cosa c’è di più innocente,
di più incantevole? E tuttavia quella spuma del mare è memoria di un atto di
sangue: la spuma del mare è il sangue stilato, e anzi sangue- liquido seminale,
stilato dal sesso di Urano, castrato dal suo stesso figlio. Capite che cosa
dicono i Greci? Che cosa tiene insieme nell’idea di eros l’uomo greco? Gli
opposti: l’innocenza, la perfezione in quanto è l’emergere della vita da sé
stessa, la vita che non dà ragione di sé, la vita che è quello che è, al di là
del bene e del male, tuttavia su uno sfondo cupo di sangue. Il fanciullo
innocente è nello stesso tempo colui che ha memoria del tremendum, con buona
pace dei teorici, quanti sono oggi, delle emancipazioni a buon mercato:
“Liberatevi dai tabù, abbandonatevi!” Tutte cose belle, per carità, non voglio
dire che non ci si debba anche liberare dai tabù, però le cose sono un po’ più
complicate: la liberazione( tesi) è necessaria, e tuttavia sta a fronte(
antitesi) di qualche cosa come gli orrori delle origini. Quando ci si interroga
sul fatto, sul rapporto eros e violenza, per esempio, perché chiudere gli occhi
di fronte a 6 questa che è realtà umana, più che umana? Bisogna
pensare come hanno pensato i Greci, o come hanno pensato gli Indiani in modo
forse meno cupo, in modo meno metafisico, ma altrettanto espressivo, con la
figura della donna che volge lo sguardo, dell’amante che raggiunge l’amato (
che è un tema iconografico di molta arte indiana, di molta arte erotica
dell’India ), della donna che si butta nel fiume per raggiungere l’amato, ma
volge lo sguardo, e questo sguardo è pieno di malinconia per tutto ciò che
lascia: siamo fatti di una irriducibile doppiezza, ci dice il mito. Certo che è
necessario gettarsi, raggiungere l’amato, ma non ci è dato di farlo ( è la
dinamica della trasgressione ), se non volgendo lo sguardo verso tutto ciò che
abbiamo perso, che stiamo perdendo, che potrebbe essere la rottura del patto. E
questo che cosa vuol dire? Vuol dire che eros, l’innocenza stessa, in modo del
tutto contraddittorio, si lega al suo contrario, a qualcosa come la colpa: ecco
come eros è portatore di una contraddizione. Ma lo stesso vale per ethos. Ethos
è in sé stesso contraddittorio, e sono ancora una volta i Greci che ci dicono
questo. Della profondità del mito greco si era accorto Aristotele, per primo,
che io sappia, quando, guardando al mito, ha scoperto che la parola greca ethos
(da cui etica, naturalmente, ) si dice in due modi, o meglio si dice in un modo
solo ma si scrive in due ( è una anomalia del Greco che forse non ha altri
esempi così clamorosi ): ethos in greco si scrive con la ipsilon, e con la eta,
e se scritta con la ipsilon vuol dire una cosa, se scritta con la eta vuol dire
un’altra cosa, o meglio, vuol dire la stessa cosa, ma un po’ diversa . Se
scritta con la eta, ethos fa riferimento alla dimora, alla casa. E allora che
cos’è ethos? Ethos è la convenzione, sono gli usi, i costumi, le abitudini, da
cui abitus, le virtù, come abiti che indossiamo che ci portano a compiere certe
cose, a comportarci in un certo modo. Ma perché ci comportiamo in un certo modo?
Perché siamo stati educati, perché abbiamo accolto in noi, essendo stati
accolti da una comunità e cioè dalla casa anzitutto, quelle leggi, quei
comportamenti, quel modo di vedere, che è proprio di ethos con la eta. Qui a
essere privilegiato è il riferimento al sentire comune, alla comunità: ethos
come appartenenza ad una comunità, che mi impone di non pensare tanto a me
stesso quanto agli altri, di riconoscermi all’interno di una tradizione e così
via. Ma se io lo scrivo con la ipsilon, allora vuol dire carattere, che
appartiene a me, è solo mio : l’ethos è il mio demone, è qualche cosa che mi
dice: “ Tu devi fare questo”. “No”. “ Ma sei contraddetto da tutti, non è
accettabile che tu non faccia questo, la società ti condanna”. “ Che mi
importa, lo devo fare, perché so, ma in base a quale sapere?” “In base ad un
sapere demonico, cioè che non dà ragioni di sé. Sapere di cui io mi faccio
carico, costi quello che costi”. Guai se ethos fosse solo sapere demonico, se
fosse solo carattere, perché allora l’etica sarebbe una cosa terribile, sarebbe
cosa tragica, darebbe luogo a scontri senza fine, senza un terzo che faccia da
medio, se è giusto quello che io sento giusto. L’io, la coscienza: se ethos
fosse solo questo sarebbe terribile. Ma guai se ethos fosse soltanto
quell’altro: abitudine, tradizione, leggi e così via. Facciamo il caso che la
società alla quale appartengo, nella quale mi riconosco, mi condanni legalmente
e in base a dei principi riconosciuti come giusti, mi condanni per esempio a
essere deportato. Immaginate un’ etica che sia soltanto etica pubblica, un’
etica della tradizione condivisa, immaginate di togliere a me o a chi per me il
diritto di dire no, anche se la società alla quale appartengo mi condanna, di
rivolgermi al mio Dio, per invocarlo, o per bestemmiarlo, dicendo:” Non è
giusto”. Non dimentichiamo mai Auschwitz, ma non dimentichiamo mai che tutto
quello che è accaduto in quegli anni è accaduto legalmente: le deportazioni
erano leggi dello stato tedesco, non si tratta di qualcosa avvenuto
nascostamente, bensì di leggi dello stato tedesco. L’etica che fosse soltanto
l’etica, la casa della comunità di appartenenza, della polis, dello stato,
potrebbe non essere un’etica a sua volta monca, terribilmente manchevole? Già,
ma come fanno a stare insieme ethos ed ethos, ethos con la eta e ethos con la
ipsilon? Come far stare insieme le leggi della pietà, per esempio, come sa bene
Antigone, e le leggi della città? Le leggi di coloro che stanno sotto la luce
del sole e le leggi sotterranee, degli dei, che stanno sotto? Contraddizione,
la contraddizione di ethos. Voi direte, ma che cosa c’entra questo discorso con
la violenza? E’ lo stesso discorso. In che senso? Abbiamo visto, e mi avvio
alla conclusione, come la violenza sia un dato di natura, anzi, è la natura che
è in noi, è uno stato, tanto è vero che si parla di stato di natura: è
quell’emergere di forze oscure, che ci riportano al luogo da cui proveniamo,
che è la selva. E’ la linea maestra del pensiero moderno e contemporaneo, e
abbiamo visto che non basta dire questo. Le cose non stanno così, perché qui
c’è una contraddizione . La contraddizione è sollevata dalla affermazione che
la violenza dell’uomo sull’uomo è sì qualche cosa che lo accomuna alla bestia
feroce, ma nello stesso tempo è qualche cosa che lo rende irriducibilmente
diverso dalla bestia feroce. La violenza è sì cosa che implica la non
trascendibilità dello stato di natura, ma questa non può che essere vissuta
come condanna che implica il trascendimento. Lo stato di natura è uno stato che
io posso pensare solo come stato di gettatezza, avrebbe detto Heidegger.
Senonché per Heidegger la gettatezza, la deiezione, il mio trovarmi come
gettato in questo mondo, non ha più né capo né coda, non ha più un da dove sono
gettato e un verso dove vado. E in questo senso Heidegger in fondo resta
all’interno della tradizione tipicamente moderna che ritiene intrascendibile
questo stato. Non così là dove questo stato venga vissuto, venga letto, nel suo
valore simbolico. Lo dice bene Pascal. Tutto è simbolo, quella natura caotica,
così confusa, non fa che ricordarmi che questo non può essere il mio mondo, è
il mio mondo e per viverci lo devo accettare, e tra questo mondo, e l’infinito,
e l’assoluto, un abisso mi separa: non c’è verso, filosoficamente, di costruire
un ponte tra il qui e ora, il qui di leggi contraddittorie, e l’origine.
Tuttavia, in questo mondo io vivo come uno straniero, come uno che è stato
gettato da un altrove, la cui chiave la possiede non la filosofia ma la
religione: la caduta, il peccato originale.” Lo stesso discorso vale per la
contraddizione, il rapporto contraddittorio di eros ed ethos. Noi vorremmo
potere riferirci, così come nel caso della violenza ci siamo riferiti, a
qualche cosa di ultimo, qui riferirci a qualche cosa di primo, eros ethos, di
prossimo, di propriamente nostro a cui ancorarci, vorremmo poterlo fare. E che
cosa se non ancorarci a eros, se non ancorarci a ethos? E’ esperienza che tutti
fanno, se pure in forme molto diverse: l’esperienza che vorremmo gioiosa di
eros e seria di ethos, e lì restare, restare in questa prossimità, in questa
intimità di noi con noi stessi, in definitiva rassicurante. Eros è la gioia:
Abbandonati; ethos è il dovere: “ Rispetta”. Già, ma questa intimità, di noi
con noi stessi, è contraddittoria, ovvero “intimior intimo meo”. Nel punto in
cui noi ci troviamo più intimi con noi stessi, noi siamo per così dire
scavalcati, trascesi da un movimento che fa cenno a qualche cosa che è
assolutamente altro rispetto a questa pretesa di raccoglierci in una certezza,
la certezza di eros e la certezza di ethos. Tanto è vero che non solo eros ed
ethos stanno tra loro in opposizione, ma è una opposizione contraddittoria
perché il dissidio è sia nella forma dell’esperienza erotica, sia nella forma
dell’esperienza etica. “Intimior intimo meo”: qui davvero varrebbe la pena di
parafrasare Agostino, e ricordare che nel momento in cui io sono più prossimo a
me stesso in realtà sono infinitamente lontano, sono per così dire costretto a
trascendere, trascendere me stesso. Sergio Givone. Givone. Keywords: phanes, eros/ethos;
phanes protogono, convito di platone, pareyson. storia naturale dell nulla,
unelongated history of negation; Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Givone” – The Swimming-Pool Library.


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