Luigi
Speranza -- Grice ed Albani: la razione conversazionale del
proto-pirotese e del deutero-esperanto – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Paolo Albani LINGUE IMMAGINARIE E FOLLI LETTERARI:
ALCUNI CASI ITALIANI Nelle ricerche sui «folli letterari», Raymond
Queneau e André Blavier limitarono il loro campo di osservazione ai testi
francesi e belgi. Un’indagine analoga non è mai stata condotta sui «folli
letterari» italiani, sebbene esista in Italia una quantità considerevole di
materiale interessante sull’argomento, ancora in parte sconosciuto.
A cominciare da quello archiviato dal medico alienista e antropologo italiano
Giuseppe Amadei (1854-1919), in un certo senso un precursore di Queneau.
Infatti verso la fine del secolo XIX (quindi molto tempo prima della ricerca
sui «folli letterari» di Queneau iniziata a partire dal 1930) Amadei studia da
psichiatra la “letteratura dei pazzi” e raccoglie, con un lavoro durato
parecchi anni, grazie all’aiuto di egregi amici e specialmente per il “generoso
e copioso contributo” di Cesare Lombroso, una collezione preziosa e unica di
opere stampate di mattoidi e paranoici che affrontano argomenti scientifici,
che Amadei chiama «mattoidi scientifici». Queste opere trattano «di filosofia e
cosmologia, di teologia e questioni religiose, di scienze politiche e sociali,
di scienze giuridiche, di scienze mediche, di psicologia, psichiatria,
educazione, di filologia, di storia naturale, di fisica, di astronomia, di
meteorologia, fisica terrestre, agricoltura, di matematica, di
meccanica». «Io mi occupo di tutto questo materiale,» scrive Amadei,
«cercandovi un contributo allo studio del Delirio. L’argomento del Delirio
considerato in sé stesso è molto trascurato e, secondo me, a torto, poiché
merita invece, nel momento attuale dell’evoluzione della psichiatria la
maggiore attenzione. Mi è parso poi, che importanza anche maggiore tale ricerca
dovrebbe assumere, se rivolta a quella forma del Delirio paranoico, che è il
Delirio scientifico, quasi punto studiato, e di cui pure tanto ricche, e
significanti, e caratteristiche sono le manifestazioni» (Giuseppe Amadei, “I
Mattoidi Scienziati. Studi bibliografici”, Bullettino Medico Cremonese. Organo
del Comitato locale dell’Associazione Medica Italiana). La “collezione
Amadei” è oggi consultabile presso la Biblioteca Classense di Ravenna.
Limitando il nostro sguardo ai «folli letterari» italiani che, nel
secolo XX, si sono occupati di lingue artificiali, ovvero agli inventori di «lingue
immaginarie», iniziamo con il caso forse più significativo e cioè l’Antibabele,
un progetto di lingua internazionale «basata su quell’elemento universale ed
eterno ch’è il numero», elaborato dall’avvocato bolognese Gaj Magli, autore
dell’Antibabele - Lingua nuova: mondo nuovo (Zuffi, Bologna 1950), Antibabele,
la vera lingua universale (Tipografia A.G.I., Roma) eL'Antibabele. Dizionario
simultaneo di 11 lingue (Gabrielli, Roma 1989). Magli ha scritto inoltre
romanzi, sceneggiature e opere teatrali, «segnalate in concorsi nazionali e
rappresentate con successo». Un articolo di Magli intitolato «Per una lingua internazionale»
appare il 16 novembre 1952 su Il Popolo, organo della Democrazia Cristiana,
partito che, a giudizio dello stesso Magli, comprese subito «la grande
importanza che l’Antibabele poteva avere per il mondo intero». I vocaboli
dell'Antibabele, presi da 85 lingue di tutto il mondo (compreso l’atzeco,
l’ometo, l’uallamo e lo zingaro), sono trascritti in cifre arabe (1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 0 cui corrispondono le lettere A, B, C, D, E, F, G, H, I, J).
Alcuni numeri hanno un punto sopra (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 0 e indicano le
lettere K, L, M, N, O, P, Q, R, S, T), mentre altri numeri hanno un punto sotto
(1, 2, 3, 4, 5, 6 e indicano le lettere U, V, W, X, Y, Z). Ai dieci
numeri, per fare in modo che la lingua numerica sia pronunciabile,
corrispondono i seguenti suoni vocalici e consonantici:1 2 3 4 5 6 7
8 9 0 p b c (h) d t
f g (h) m v z a al o
ò e è u ul i j Nel formare
le parole questi suoni devono regolarmente alternarsi, tenendo conto che le
parole iniziano per consonante e i numeri per vocale. Così, il concetto di
«Dio», espresso con la parola latina «Deus», si scriverà: 451(con punto
sotto)9(con punto sopra), cui corrisponde la parola: «Depi» (la parola inizia
con consonante). Il semplice numero 4519 si pronuncerà invece: «òtav» (il
numero inizia con vocale). L’accentazione è sempre sull’ultima
sillaba, alla francese. La grammatica è semplice e regolare: vi sono 31
suffissi indicati da certi numeri. Ad esempio: 2 indica il nome comune, 5 il
sesso femminile, 6 il plurale, 18 il tempo presente, 49 l'infinito, 69 il
dispregiativo, ecc. Per applicare tale grammatica c’è un’unica facilissima
regola: «Se la parola deve avere più d’un suffisso, le si aggiunge prima quello
che corrisponde al numero minore, poi gli altri in ordine progressivo». Così ad
esempio la desinenza di un "nome comune femminile plurale" sarà:
256. Per quanto riguarda gli sviluppi dell'Antibabele, Magli
sostiene che essa «può divenire sintesi di tutti i mezzi espressivi, mediante
apposita corrispondenza fra i numeri, le linee fondamentali delle arti
figurative, i colori, le note musicali, nonché le sensazioni acustiche,
rinotiche, gustative, tattili, ecc. Un segno può assumere il valore d'un altro,
se si è nel colore, ad esempio, di quest'altro. Un numero può derivare, anche
per semplice addizione o sottrazione, da infiniti altri e indicare quindi col
risultato che esprime, il nome, ad esempio, del personaggio raffigurato in un
ritratto, o di un monumento, le cui linee compositive, del resto, potranno
esprimere tante cose, anche con altri mezzi espressivi, come appunto la musica,
ecc. Questo significa, in sostanza, che, con l'Antibabele si può dunque tendere
a nuove forme di linguaggio e d'arte, di così profonda ed ampia portata che
oggi si possono appena concepire. È evidente pure che una lingua a base di
numeri sarebbe assai più facile anche per i ciechi, essendo nota, fra l'altro,
la complessità degli attuali caratteri Braille, nonché per i sordi ed i muti,
per i quali risulterebbe semplificato l'alfabeto a segni, come la
comprensibilità dei movimenti della bocca e l'apprendimento stesso a parlare,
nella forma ad essi consentita. Il fatto poi che l'alfabeto si riduce a dieci
numeri primi consente una forma nuova di stenografia». L'Antibabele
è considerata dal suo autore utile per la comunicazione con eventuali abitanti
di altri mondi dato che «solo il numero è universale e, tra l'altro, solo la
sua ferrea consequenzialità consente di decifrare i più diversi sistemi, per
cui, se anche, ad esempio, i Marziani si servissero della base "5" o
"due", anziché di base decimale, potremmo sempre tradurla nella
nostra e viceversa». Magli è autore inoltre di un progetto
denominato Inglese integrato, basato su vocaboli inglesi per i concetti
astratti e generici del parlare comune e su vocaboli di altre lingue preminenti
(l'italiano nell'arte ecc.) per le varie categorie dello scibile. Esce a
Villafranca di Verona presso l’Editrice «L’Estremo Oriente» un opuscolo
intitolato Lingua universale di Angelo Faccioli (1888-?), dove viene esposto un
progetto di lingua universale basato sul dialetto veneto chiamato Italiano
moderno. Secondo la «teoria scientifica della parola» del Faccioli la
parola vera è quella che meglio ritrae l’armonia imitativa e il senso interno
delle cose ed è più in accordo con le leggi dell’arte e del pensiero. La lingua
universale dev’essere la lingua più logicamente autentica, la più adatta
all’arte oratoria e letteraria; dev’essere semplice e viva. Il dialetto veneto
- ben parlato, pulito, ingentilito, senza doppie, con troncamento delle parole
che rende poetico, vivace e robusto un idioma, oltre che telegrafico per la
soppressione quasi completa dell’articolo - si presta perfettamente al compito
di lingua universale. Il dialetto veneto, osserva Faccioli, non ha «alcun
suono aspirato come in Toscana e altrove», ma solo suoni «chiari, precisi, ben
definiti, inconfondibili». È breve e armonioso come si deduce da questo piccolo
esempio: la frase «Sono andato al mercato e ho comperato un paio di buoi»
(lettere 43) assume la forma abbreviata: Son andà al mercà e ò conprà un par de
bo (lettere 31). Faccioli scrive poesie, lettere e traduzioni di
passi biblici in Italiano moderno. Il dialetto veneto, conclude Faccioli, una
volta affermatosi come lingua ufficiale delle nazioni, cioè fra 400-500 anni,
diffonderà nel mondo dei dotti una nuova filosofia, l’Universalismo, dalla quale
discenderà il governo universale dell’avvenire. Sempre negli anni
cinquanta il senese Ilio Calabresi (1931), dipendente del C.N.R., inventa una
lingua ausiliaria internazionale che chiama Omnlingua, caratterizzata sul piano
morfologico dal recupero della declinazione, con sette casi nella declinazione
primaria (nominativo, genitivo, dativo, relativo statico, relativo dinamico o
accusativo, vocativo, locativo statico) e sei in quella secondaria (derivativo,
fautivo, strumentale, locativo dinamico, invocativo, locativo stabile),
dall’adozione di cinque generi grammaticali, di dieci coniugazioni, di tre tipi
di preposizioni semplici e di prefissi ottenuti con tre diverse vocali finali,
ecc., e dall’uso di alcuni segni particolari, come il segno «"» che indica
aspirazione; «¯» rafforzamento o raddoppiamento non enfatico sulle consonanti e
allungamento sulle vocali; «^» addolcimento di certe consonanti, ecc.
La molla che spinge Calabresi a creare l’Omnilingua è, da un lato, la
constatazione del fallimento del Volapük e dell’Esperanto, dall’altro il
desiderio di «affratellare i popoli di tutto il mondo», dopo le orrende
devastazioni della seconda guerra mondiale, in cui per altro Calabresi ha perso
il padre. Negli anni novanta l’ingegnere milanese Francesco Pietro
Cazzulani crea e brevetta una lingua universale «semplice, logica, accessibile
per tutte le genti», senza che abbia nulla in comune o di affine con nessuna
delle lingue esistenti, adottando questa impostazione: «ad ogni singola parola
avente in ogni singola lingua il medesimo significato corrisponde un unico ed
identico numero formato da una o più cifre, quindi tante parole di tante lingue
aventi un unico significato nella LINGUA UNIVERSALE un unico numero».
La trasformazione da lingua numerica in lingua alfabetica avviene sulle
seguenti basi: (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (0) ba ca da fe le mo no po
ru tu Così la parola «madre», «mother», «mère», «Mutter»,
«mamà», ecc. come pure ogni ideogramma o altra scrittura che significano
«madre», è per la lingua universale di Cazzulani equivalente al numero 81, che
si pronuncia: «poba». Il termine «lingua universale», corrispondente ai numeri
214 736, si pronunciano: cabafe nodamo. Oltre ai dieci accoppiamenti
sopraindicati e al vocabolario base (composto da circa 1.500 parole), nella
lingua universale di Cazzulani esistono 12 prefissi come «ve», prefisso di
infinito verbale che indica il sostantivo di riferimento del verbo; ad esempio:
amare = badatu e amore = vebadatu, oppure come «gi», prefisso che trasforma il
singolare maschile in singolare femmine: questo cavallo = cale lefemo, mentre
questa cavalla = gicale lefemo. «Questa lingua universale che è
senza grammatica e senza coniugazioni verbali», precisa Cazzulani, «non serve
certo a tradurre la Divina Commedia od a fare poesie in quanto la cosa non
avrebbe senso, è una lingua essenziale di concetti che al di fuori dalle
elaborazioni lessicali, non indispensabili, vuole fare in modo che finalmente
l’umanità tutta possa comprendersi», e poiché non richiede l’intervento di
terzi per l’apprendimento consente a tutti di essere autodidatti. Ancora
negli anni novanta nascono altri progetti di lingua universale di autori
italiani, fra questi il Raubser (da raub = universo e ser = lingua), elaborato
nell’arco di quasi vent’anni dal varesino Orabona, insegnante elementare. Fra
le altre cose, i vocaboli del Raubser esprimenti concetti opposti o che hanno
una certa analogia vengono rappresentati con inversi grafici; così abbiamo: met
= amore e tem = odio; doraf = arteria e farod = vena; favet = bianco e tevaf =
nero; kabon = testa e nobak = coda. Il Devessiano è una lingua inventata
da Mario Pollini di Grosseto intorno al 1971, ma completata solo negli anni
novanta. Il nome deriva da Devessia, una repubblica immaginaria situata
nell’estremo occidente d’Europa, fra la Spagna e l’Irlandia, e significa
letteralmente «il paese delle cose come devono essere». In sintesi, il
Devessiano è una lingua ispano-amiatina, in quanto la sua base lessicale, da un
lato, riprende molto della parlata della terra d’origine dell’autore, e cioè il
monte Amiata, situato in Toscana, e dall’altro guarda al mondo iberico: le
preposizioni articolate ad esempio sono prese dal portoghese (do, da, dos,
das), il dittongo spagnolo «ue» trasformato in «ui» (puirto, suirte, puinte) e
anche il suffisso «-con» che corrisponde a un’errata pronuncia infantile dello
spagnolo, e l’altro suffisso «-èira» preso dal portoghese. Il lessico amiatino
si ritrova particolarmente nelle parole che indicano la frutta, come bahoha
(albicocca), sarac[c con pipetta]a (ciliegia), pornela(susina).
Oltre che alla parlata amiatina e allo spagnolo e al portoghese, il
lessico del Devessiano attinge parole dal francese (pandon = «mentre», da
«pendant»), dal genovese (umàa = «onda» deriva dal genovese «u mâ», cioè «il
mare»), da linguaggi infantili, da espressioni scherzose, da interpretazioni
arbitrarie (manc[c con pipetta]urà = «masticare» deriva da come l’autore sente
il suono della parola Manciuria) e anche da parole tratte dai sogni dell’autore
(ad esempio baltac[c con pipetta]à = «colpire forte, rovesciare»). «Se,
come sosteneva un interprete che lavorava nel mio ufficio, “le lingue sono
l’anima dei popoli”», scrive Pollini in un dattiloscritto dove sono esposti I
lineamenti di grammatica della lingua devessiana(1995), «questa lingua è
l’anima di un popolo immaginario che sono io fatto nazione e quindi dovrebbe
esprimere intimamente il mio modo di pensare» Les Cahiers de l'Institut,
rivista dell'Institut International de Recherches et d'Exploration sur les Fous
Littéraires, traduzione in francese di Tanka G. Tremblay. Per leggere la
traduzione di Tremblay cliccate qui. Per andare al menu delle mie
collaborazioni a Les Cahiers de l'Institut. Albani. Keywords: Grice’s
Deutero-Esperanto, Deutero-Pirotese. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, “Grice ed Albani,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice ed Albergamo: all’isola -- Crotone– filosofia italiana – la
scuola di Girgenti -- filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Favara,
Girgenti, Sicilia). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Girenti,
Sicilia. Grice: “Albergamo is a fascinating author – a very Italian philosopher
who can teach Lucrezio and the classics at the ‘gym,’ as they call it, and yet
survey the ‘storia delle scienze essate’ and the ‘storia delle scienze
empiriche.’ Alla Bridgman, he is into ‘the logic of the science.’ But he can
also define the ‘spirit’ in terms of ‘freedom.’ He has also analysed,
vis-à-vis- his interest in Galieleo and science, the very Italian idea (already
in Cicerone) of ‘super-stitio’ and magic – his approach to these matters is
phenomenological, which coming from Favara as he does, is understandable!”
-- Filosofo. e un pioniere della
filosofia della scienza in Italia. Nato a Favara, in provincia di
Agrigento, da Giacomo e Giuseppina Butticé. Suo nonno era un ricco proprietario
di una rinomata pasticceria di Favara. Il padre, ferroviere, fu trasferito
prima a Messina e poi a Palermo, portando con sé la famiglia. A causa di questi
trasferimenti, svolge gli studi liceali da autodidatta, conseguendo poi la
laurea in filosofia presso l'Palermo. Nel 1931, vinto il concorso a
cattedra di storia e filosofia, si trasferisce a Trapani, dove insegna al liceo
classico Ximenes, e dove sposa Maria Carmela Rizzo, da cui avrà quattro figli.
Insegna poi a Benevento ed infine a Napoli presso il Liceo classico statale
Vittorio Emanuele II. Pressoché tutta l'attività filosofica e didattica di
Francesco Albergamo si svolge a Napoli, ed è caratterizzata dal clima culturale
molto vivo nella città di Benedetto Croce. Come filosofo, si dedica a due
principali linee di attività. La prima è dedicata all'insegnamento ed alla
didattica della filosofia, l'altra allo studio del rapporto tra filosofia e
scienza. In entrambe le linee, il suo lavoro ha avuto una grande caratura
culturale, e la sua personalità fu considerata, nella città di Napoli, di
grande spessore etico, per la generosità e l'impegno che hanno contraddistinto
la sua vita. Circa la prima linea, il ricordo della sua attività
didattica è rimasto a lungo nei tantissimi giovani che hanno ricevuto una
solida formazione filosofica di cultura laica, razionale, liberale. Vero è che
a Benevento, dove aveva insegnato per soli due anni, gli è stata dedicata una
strada che, significativamente, parte da Piazzale Benedetto Croce per poi
ricollegarsi a Via Francesco de Sanctis. Al Liceo Classico Vittorio
Emanuele tra i diversi allievi che si sono distinti nel campo della filosofia e
della cultura ricordiamo in particolare due delle figlie di Benedetto Croce. Il
suo nome è ricordato in una lapide dedicata alle più illustri personalità che
vi hanno insegnato, tra cui Giovanni Gentile. Oltre all'insegnamento nei licei,
è stato libero docente di filosofia teoretica presso l'Napoli, dove ha svolto
una intensa attività di corsi e conferenze. Con i suoi manuali di storia
della filosofia, e con numerose pubblicazioni dedicate ai licei, FA costituisce
un importante punto di riferimento nella didattica della filosofia a livello
nazionale, prima per il classico e poi anche per lo scientifico. Una notevole
attività è anche dedicata alla formazione dei docenti di filosofia, con
numerosi articoli, pubblicazioni, corsi e conferenze. L'altra linea di
attività, quella dedicata allo studio del rapporto tra filosofia e scienza, si
snoda lungo un arco di tempo molto vasto, che va dall'inizio degli anni '30 fino
alla sua scomparsa. I risultati sono confluiti nella pubblicazione di importanti
saggi filosofici. Di formazione idealistica e kantiana, appena trasferitosi a
Napoli, nel 1936, instaura un rapporto stretto con Croce, con frequenti visite
e colloqui nella sua abitazione a Palazzo Filomarino, guardata a vista dalla
polizia. Dalle sue lettere a Croce si evince un chiaro riconoscimento di
Croce come suo Maestro, oltre a forti sentimenti di devozione e di sincera
amicizia. In particolare, alla caduta del fascismo, esprime al Maestro la
sua "profonda gioia" perché "finalmente l'Italia comincia a
incamminarsi per la via maestra che le avevate additato", e prosegue poi:
"Gioiamo della gioia vostra e dei vostri cari: della gioia che ora, dopo
tutto quello che voi, giusto, avete sofferto, aleggia sulla vostra casa. Questo
rapporto si affievolisce a partire di quando più che la filosofia fu la
politica a provocare un allontanamento d’A. dall'ambito crociano, per aderire
progressivamente agli orientamenti ed alle ideologie della sinistra e del
marxismo. Aderisce al movimento dei "Partigiani della Pace",
nato a Parigi sotto il simbolo della colomba della pace, appositamente dipinta
da Picasso,stringendo una forte amicizia con Radice, Valenzi, Caccioppoli,
Donini e altri. Partecipa ad una delegazione in visita alla
repubblica democratica tedesca, assieme a Pajetta, Guttuso, Flora. La visita
era, naturalmente, finalizzata a diffondere ed esaltare le "conquiste del
socialismo". Di ritorno dal viaggio, il Ministero dell'Interno dispose il
ritiro del passaporto, e quello della Pubblica Istruzione gli comminò una
ammonizione, come se avesse abbandonato il servizio senza autorizzazione,
mentre il viaggio era stato fatto nel periodo di chiusura estiva delle scuole.
Fu forse questo episodio, che Francesco Albergamo considerò una manifesta
soperchieria di stampo scelbiano, che lo indusse l'anno successivo ad
iscriversi al PCI, salutato da Togliatti con un cordiale telegramma di
benvenuto. Partecipa attivamente alla vita culturale e politica della
città di Napoli, che in quel periodo era in grande effervescenza. Il movimento
culturale della sinistra napoletana non si riconosceva pienamente in una
ideologia, come afferma Gerardo Marotta, "ma si fondava su un dibattito
filosofico che traeva i suoi succhi da un corale sforzo di comprensione del
proprio tempo. Il dibattito raccoglieva e valorizzava l'eredità culturale degli
illuministi e degli hegeliani napoletani del secolo precedente, attingendo alla
lezione storicistica meridionale che va da Vico a Croce, passando per F. De
Sanctis e G. Salvemini, e collegandosi poi al pensiero di Antonio
Gramsci. A. partecipa con conferenze che venivano organizzate dalle
associazioni culturali napoletane tra cui "Cultura Nuova" ed il
"Gruppo Gramsci", ed accetta, sia pure a malincuore, una candidatura
del PCI alle elezioni comunali di Napoli. Il problema del rapporto tra
filosofia e scienza viene visto in termini di nuovi modi e nuovi contenuti per
la didattica delle scienze e della filosofia. Tra i primi in Italia, ed in
aperta polemica con la scuola crociana ed il clima dominante, Francesco
Albergamo avverte i rischi, per lo sviluppo della società italiana, di una
cultura prevalentemente classica: Con la seconda rivoluzione industriale che è
in atto in tutto il mondo, noi italiani non ci possiamo permettere il lusso di
rimanercene ancorati ad una cultura prevalentemente classica ed
umanistica." A. lavorò con la passione di una intera vita, fino a
pochi giorni dalla sua morte. L'ultimo suo scritto uscì postumo su
"Critica" marxista. In seguito alla sua scomparsa il quotidiano
comunista L'Unità dette notizia della sua scomparsa con un lungo saggio. Possiamo,
per semplicità di esposizione, dividere l'opera dell'A in tre periodi. Nel
primo periodo, il pensiero dell'Albergamo si muove nel quadro di una concezione
filosofica di tipo idealistica, dominata in Italia da Croce e Gentile. Tuttavia,
più che alle tematiche tipiche dell'idealismo, è interessato ai problemi nuovi
che si pongono al pensiero filosofico a causa dello sviluppo impetuoso della
scienza nel novecento, in particolare nei settori della fisica relativistica e
quantistica, della matematica, e della biologia. Albergamo precorre, in una
prospettiva idealistica, la necessità di un dialogo costruttivo, osmotico,
della filosofia con le particolari discipline scientifiche ed empiriche.
Nel primo lavoro scientifico, richiamandosi all'insegnamento di Kant, sostiene
che la scienza, come esperienza dell'attività dello spirito, è resa possibile
dalle forme trascendentali. Tuttavia, sostiene A., gli sviluppi più recenti
della matematica (geometrie non euclidee, matematiche non archimedee, gli iperspazi,
ecc.) e della fisica (teoria della relatività di Einstein, meccanica
quantistica, principio di indeterminazione di Heisenberg) provano la
contingenza di tali forme trascendentali,. Affronta anche il problema,
fortemente dibattuto, dell'alternativa tra determinismo ed indeterminismo, e
perviene alla conclusione che anche l'alternativa indeterministica sia
egualmente legittima: la conoscenza scientifica può essere costruita anche se
si ignora il principio di casualità e si finge che i fenomeni si succedano a
caso, secondo le leggi matematiche della probabilità. Queste tesi originali
furono apprezzate e commentate, all'epoca, da diversi filosofi italiani, tra
cui Ottaviano, Aliotta, ed altri, fino a pervenire ad una ampia esposizione
della problematica filosofica connessa alla scienza del novecento. Il saggio La
critica della scienza nel novecento" è giudicato "assai
pregevole" da CROCE. Di questa opera, RUGGERO (si veda) scrive che essa
"offre una delle più efficaci sistemazioni speculative che io conosca
delle vedute pragmatistiche della scienza, compresa quella del Croce alla quale
più strettamente si connette. L'ambizione d’A, che traspare chiaramente nei
diversi spunti critici nei confronti dei limiti dell'idealismo nell'affrontare
il problema della logica della scienza, è quella di "costituire una
confutazione dell'idealismo per via dell'idealismo stesso. In altre parole,
vuole in qualche modo superare la concezione che relegava la scienza nel limbo
degli "pseudoconcetti", per dare piena legittimità ai processi
conoscitivi, sia delle scienze esatte che delle scienze empiriche, restando
comunque ancorato all'idealismo. Croce in qualche modo accetta e
favorisce la ricerca di A, giudica "assai ben pensato e ragionato" il
suo lavoro, ma rimane rigido nell'accogliere la storia della scienza come parte
integrante della storia della filosofia. Finito il periodo bellico, l'attività
dell'A si sviluppa poi in una serie di opere in cui sistematicamente, ed in un
quadro storico, vengono trattati i problemi della logica delle scienze esatte e
della scienze empiriche. In questo periodo A, dirigendo per l'editore Laterza
una collana di scrittori di teoria delle scienze, propone alla cultura
italiana la conoscenza di importanti pensatori d'oltralpe, come Poincarè,
Bergson, Bachelard, ed altri. Il secondo periodo dell'attività d’A. è
caratterizzato da un progressivo allontanamento da CROCE (si veda) e dalla sua
scuola, dovute alle difficoltà d’A. a trovare un pieno accoglimento delle sue
tesi sulla scienza, ed anche, in qualche misura, a diverse valutazioni
politiche. L'esigenza di Francesco Albergamo era quella di dare piena
legittimità filosofica alla logica del pensiero scientifico. Per raggiungere
questo obiettivo, era necessario operare un "capovolgimento"
dialettico nel rapporto Natura-Spirito della filosofia crociana, allo stesso
modo in cui Marx aveva operato nei confronti di Hegel. Per A. infatti
"spiritualismo e materialismo costituiscono in realtà una opposizione
dialettica, nella quale di continuo ognuno dei due deve vincere la resistenza
opposta dall'altro... come già nella dottrina hegeliana, così anche quella del
Croce esige… un "capovolgimento", in maniera che il suo oggetto…trovi
proprio nel suo opposto la condizione per vivere e svolgersi. Nel terzo periodo
di attività, quello della massima maturità ed originalità, affronta una analisi
sistematica delle forme di "pensiero prelogico", inteso come
"pensiero che, spontaneamente, senza alcuna riflessione logica, veniamo
indotti a formulare per una suggestione tanto irresistibile quanto inconscia
che inibisce la nostra intelligenza. Analizza con grande attenzione tali forme
di pensiero, sulla base dei risultati e delle osservazioni di etnologi ed
antropologi (da Frazer a Levy-Bruhl, Levy-Strauss, Kelsen, ed altri), oltre che
dei risultati della scuola psico-analitica, da Freud a Cesare Musatti.
Analizzando questa poderosa base di osservazioni sperimentali, perviene ad
individuare i principali meccanismi della prelogica: automatismo associativo,
intuizione animistica, inibizione dell'intelligenza ad opera del sentimento.
Vengono così portati alla luce della consapevolezza quei processi inconsci ove
si generano mito e magia. Le molteplici e diverse credenze mitiche e
magiche, con la loro uniformità di struttura e le loro coincidenze spesso
sorprendenti, sono interpretate come il risultato di un automatismo psichico
inconscio, che persiste pur attraverso le situazioni storiche più
diverse. La tesi dell'Albergamo è che tali forme prelogiche, che sono
alla base dei miti, dei riti, e delle pratiche magiche dei popoli primitivi,
lungi dall'essersi esaurite con il progredire del pensiero scientifico e
filosofico, sono presenti in maniera diversa, non solo in età infantile ed in
alcuni soggetti psicopatici, ma anche nelle stesse persone colte, nonché in
alcuni ambiti dello stesso pensiero scientifico e filosofico. Accanto a questo
nuovo ed affascinante filone di ricerca, si intensifica l'opera di educatore,
con decine di opere destinate alla scuola, manuali, antologie, trattati, nonché
da studi e pubblicazioni sulla didattica delle scienze e della filosofia degli
scritti di A. Saggi: “Saggio di una
concezione filosofica della scienza” (Napoli, Loffredo); “Disegno storico della
filosofia ad uso dei licei classici e degli istituti magistrali” (Milano,
Sig.); “La tesi finitista contro l'infinito attuale e potenziale” in Atti della
Società Italiana per il Progresso delle Scienze; “La filosofia di Spir”, in
Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli); “Critica del concetto di
infinito”, in Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, “L'Italia di Augusto
e l'Italia oggi” in Augusto. Celebrazione nel bimillenario augusteo, a cura del
R. Provveditorato agli studi di Trapani, Trapani); Cura di I. Kant, Prolegomeni
ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza” (Bari, Laterza);
“Il criticismo kantiano e la scienza moderna” (in Atti della Società Italiana
per il Progresso delle Scienze); “Kant e la scienza moderna, in Archivio della
Cultura Italiana, “Le basi teoretiche della fisica nuova” (Padova, Milani); “Filosofia
e biologia, in Sophìa; Recensione di A.V. Geremicca, Spiritualità della natura,
Bari, Laterza, «Sophia», “La critica
della scienza del Novecento” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Lo spirito
come attività creatrice” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Il concetto di
realtà e le scienze empiriche”, in Ricerche filosofiche. Rivista di filosofia,
storia e letteratura, n. unico; “Vitalismo e meccanicismo nel secolo XX”; in
Rivista di Fisica, Matematica e Scienze naturali; Versione, studio introduttivo
e note di G. Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana” (Verona,
La Scaligera); “La matematica nella critica della scienza contemporanea, in
Sophia, L'ordine nel mondo degli oggetti, in Logos, Recensione di A. Marzorati,
Spiritualismo, Milano, Bocca, Sophia», La natura: Saggi filosofici, Verona, La
Scaligera); “Croce critico della matematica, in Rassegna d'Italia; “Storia della
logica delle scienze estate” (Bari. Laterza); “Traduzione, studio introduttivo
e note di H. Poincaré, Il valore della scienza” (Firenze, La Nuova Italia); “La
scienza nell'antichità classica, in A. Padovani (a c. di), Antologia filosofica,
Milano, Marzorati); “Traduzione, introduzione e note di H. Poincaré, La scienza
e l'ipotesi, Firenze, La Nuova Italia, Cura di La scienza nell'antichità
classica. Antologia filosofica, Como, Marzorati); “La scienza nel Rinascimento,
in Grande antologia filosofica, XI Scienza, natura e storia in Gramsci, in Società;
Introduzione a S. Laplace, Saggio filosofico sulla probabilità, Bari); “Cura e
introduzione di G. Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, Bari, Laterza (Nuova
ed. riv, L. Geimonat eRedondi, Bari, Laterza). Storia della logica delle
scienze empiriche, Bari, Laterza); Le scienze naturali nella filosofia di
Croce, Bari, Laterza Il pensiero scientifico contemporaneo. Antologia storica; Le
scienze esatte e le scienze fisiche; Le scienze naturali, Firenze, La Nuova
Italia); Il pensiero scientifico nell' 800 e nel Questioni di storia contemporanea);
“Il millesimo anniversario della morte di Avicenna, in Rinascita, Il valore
teoretico della matematica, in Atti del Congresso di studi metodologici, Torino,
Torino, Introduzione a J. W. Goethe, Scienza e natura. Scritti vari, Bari,
Laterza); “presentazione di A.V. Geremicca. Prefazione a Frankel, Le scienze
naturali nella filosofia di Benedetto Croce, Bari, Laterza); “Cura di Bergson,
L'evoluzione creatrice, s. i. t., Mazara (Trapani) Le scienze nella dottrina crociana delle
categorie, in E FLORA (a c. di), Croce, Milano, Malfasi Editore, La critica
della scienza oggi in Italia, Roma, Perrella); “Il dogmatismo religioso contro
la libertà e l'autonomia della scienza, in Il Calendario del popolo, La vita
nella dialettica della natura, in Società,
Recensione di S. Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza,
con una avvertenza di Sebastiano Timpanaro jr. (Firenze, Sansoni «Belfagor»); Recensione di C. Luporini, La mente
di Leonardo, «Belfagor», La geometria di Euclide non è la sola possibile, in Il
Calendario del popolo, Scienza e filosofia di Einstein, in Rinascita, Recensione
di H. Reichenbach, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica,
«Società», Introduzione alla logica della scienza” (Firenze, La Nuova Italia);
“I rapporti tra la filosofia e le scienze nel liceo scientifico, in Convegno
nazionale di studio sulla didattica della filosofia I Licei e i loro problemi, Intuizione
e ragionamento nella matematica, in Atti del Convegno Nazionale "La
didattica della matematica nella scuola primaria", Roma, Matematica e realtà, in Società, “La teoria dei quanti nelle interpretazioni fenomenistica:
del Reichenbach”; in VIII Congrès International d'histoire des sciences, Florence
Milan, I, Paris, Direzione della sezione ‘Scienze’ del Dizionario Bompiani
degli autori di tutti i tempi e di tutte le letterature e redazione delle voci:
Einstein, Galvani, Lorentz, Mariotte, Matteucci, Meyerson, Nernst, Mayer Storia
della filosofia per i licei scientifici, Padova, Milani, Sopravvivenza della
prelogica nel pensiero scientifico e filosofico, Stabilimento Tipografico G.
Genovese, Napoli, estr. da «Atti dell'Accademia di Scienze morali e politiche
della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli», Cura di Einstein, Filosofia e relatività,
Palermo, Palumbo, Pensiero e attività educativa nel loro corso storico, va.
Palermo. Palumbo; La natura: Saggi filosofici, Bologna, Patron); Fenomenologia
della superstizione, Roma, Editori Riuniti); Mito e magia, Napoli, Guida); L'educazione
scientifica, Milano, Vallardi, estr. da La pedagogia. Storia e problemi,
maestri e metodi, sociologia e psicologia dell'educazione e dell'insegnamento,
diretta dal Prof. Luigi Volpicelli, La ricerca umana. Storia della filosofia,
Palermo, Palumbo Problemi del pensiero.
Guida interdisciplinare per lo studio della storia della filosofia, Palermo,
Palumbo, La teoria dello sviluppo in Marx ed Engels, Napoli, Guida, Lo
strutturalismo di Claude Lévi-Strauss, in Critica marxista; Lo sviluppo
dell'Antropologia culturale, in Genus, La "Storia del pensiero filosofico
e scientifico" di Geymonat, in Critica marxista, Il pensiero filosofico e
scientifico nell'antichità e nel medioevo, Napoli, La Città del Sole (rist. del
testo, con aggiunte di A. Gargano). Il pensiero filosofico e scientifico in età
moderna, Napoli, La Città del Sole (rist. A. Gargano). Il pensiero filosofico e
scientifico nell'età contemporanea, Napoli, La Città del Sole (rist. A.
Gargano). Fonti Fondazione Croce, Napoli Lettere tra Croce e Francesco
Albergamo e di Albergamo a Codignola, Gentile, Ottaviano e Sciacca, In Giornale
critico della filosofia Italiana, gen. Apr.
Due lettere inedite di Croce a Francesco Albergamo,in Rassegna
Storica Salentina, La Veglia ed. Carmelo Ottaviano, Recensione al Saggio di una
concezione filosofica della scienza, in Sophia, Aliotta, Recensione al Saggio
di una concezione filosofica della scienza, in Logos, R. Mck, Recensione al
Saggio di una concezione filosofica della scienza, in Journal of
Philosophy, 3Profondo cordoglio per la
scomparsa del compagno Albergamo, L'Unità, G. Marotta, Renato Caccioppoli, la
Napoli del suo tempo e la matematica del XX secolo, Napoli, la città del sole, Lettera
d’A. a Sciacca, 2 Centro Internazionale i Studi Rosminiani, Stresa, citat. Nome
compiuto: Francesco Albergamo. Albergamo. Keywords: Crotone, il finito e l’infinito,
idea de la scienza, scientia, la scienza italica, la scuola di Velia, la scuola
di Crotone – la scuola di Girgentu – scienza naturale – scienza fisica – fisica
– fisica filosofica – scienza umana – scienza esatta – scienza empirica – anti-finalismo
– meccanicismo, galelei, il liceo classico, parmenide, zenone – la scuola di
crotone – girgentu – empedocle e i fenomeni – l’entita matematica alla scuola
di Crotone, disegno della storia della filosofia ad uso dei licei classici –
liceo classico – liceo scientifico – Benedetto Croce – carteggio
Croce/Albergamo – la logica della scienza – la non-sicenza, mito –
superstizione – animismo – l’italia nei tempi di Augusto ed oggi – la critica
della scienza in Italia oggi – lo spirito – lo spirito come liberta creatrice –
meccanicismo e vitalismo – il kantismo – la filosofia della scienza – la
metafisica – la filosofia nell’eta fascista – saggio filosofico sulla scienza –
la natura – saggi filosofici -- saggio
su una concezione filosofica della scienza – scienza della natura – pitagora e
la scienza della natura – fisicismo – naturalismo -- Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albergamo,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice ed Alberti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la scuola di Bologna – filosofia bolognese – filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano.
Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like [Leandro] Alberti; his “Tutta Italia”
is a must; his claim to fame is to translate from Roman to Tuscan (no big deal
there) what is deemed the first ‘daemonological’ tract – Mirandola used
‘ludificatio,’ which was vastly translated as ‘inganno’ or by Leandro as ‘illusioni’
– which has echoes with Descartes’s malignant demon hypothesis and my “Some
remarks about the senses”!” – ‘Filosofo. Nato da Francesco Alberti, di origine fiorentina, è
condotto agli studi umanistici dal noto umanista Garzoni. Studia filosofia con Prierio
continuando tuttavia a coltivare con Garzoni i propri interessi umanistici e
storici. “De viris illustribus”, Bologna. Il primo risultato dei
suoi studi fu il contributo che egli diede, in soli 18 giorni, alla stesura dei
De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti, opera
collettiva con Garzoni, il Castiglioni, il Flaminio e altridi biografie di
domenicani, stampata a Bologna. Traduce dal latino in volgare la Vita della
Beata Colomba da Rieto Tenuto al dovere della predicazione, è provinciale
di Terra Santa cioè compagno nelle predicazioni itinerantidel maestro generale
dell'Ordine, Vio e del successivo maestro
Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta l'Italia era a Palermo e la
Francia dove, a Rennes, morì il Silvestri. È poi attestato, a Roma, prendere
parte al capitolo generale. Negli immediati anni successivi rimase nel
convento di Bologna, dove commissiona a Zambelli le decorazioni da eseguirsi
nella cappella dell'Arca di san Domenico e i bassorilievi eseguiti da Lombardi,
questi ultimi pagati dalla città dopo la richiesta in tal senso avanzata d’A..
In quest'occasione scrive un opuscolo sulla morte e la sepoltura del Santo, il
De divi Dominici Calaguritani obitu et sepultura, pubblicata. Un'altra sua
operetta, la Chronichetta della gloriosa Madonna di San Luca, fu pubblicata ed
ebbe altre edizioni accresciute dal contributo di altri autori anonimi. Nominato
vicario del convento romano di Santa Sabina, un incarico che non dovette
prorogarsi per più di due anni, giacché è sempre documentato a Bologna. È anche
inquisitore di Bologna. L'opera più importante d’A., dedicata ai sovrani
francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è senz'altro la Descrittione di tutta
Italia, pubblicata a Bologna. Ad essa seguirono in ottanta anni altre X
edizioni a Venezia e due traduzioni latine a Colonia: nell'edizione veneziana
si aggiungono per la prima volta le Isole pertinenti ad essa, mentre quella è
arricchita dalle incisioni di sette carte geografiche. Opera di geografia e di
storia, ricalca in gran parte la Italia illustrata dBiondo, ampliandola e
migliorandola nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando
scarso spirito critico, attenendosi egli ai dati dei geografi antichi o, per la
parte storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come
Volterrano o Annio: e solo quando vengono a mancare testi precedenti ricorre a
elementi di più diretta esperienza parimenti nella critica storica preferisce
riferire insieme le differenti versioni, anche di tempi e di valore molto
diversi, senza prendere posizione». Altre saggi: “De viris illustribus ordinis praedicatorum
libri sex in unum congesti” (Bologna); “De divi dominici calaguritani obitu et
sepulture” (Bologna); “Historie di Bologna”; “Libro detto Strega o delle
illusioni del demonio”; “Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene
il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella” (Bologna);
“De incrementis dominii veneti et ducibus eiusdem” (Lugano); “De claris viris reipublicae
venetae” (Lugano). Universal Short Title Catalogue, Scheda delle opere d’A.. Così
scrive egli stesso: De viris, c. Redigonda, “Liber consiliorum conventus
Bononiensis, Archivio del convento di San Domenico, Bologna. Battistella, Il
Santo Officio e la Riforma religiosa in Bologna, Bologna, G. Roletto, Le
cognizioni geografiche di A., in Bollettino della Reale Società geografica
italiana, Abele L. Redigonda,Dizionario biografico degli italiani, 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Descrittione di tutta Italia in Il Genio Vagante, Bergamo, Leading Edizioni, Donattini, Il territorio emiliano e romagnolo
nella descrittione d’A., Bergamo, Leading Edizioni, Orlando, La Puglia
nell'odeporica domenicana d’A., in Rivista di Studi italiani, ora al sito
rivistadistudiitaliani La Puglia, introduzione e note al testo dalla
Descrittione di tutta Italia, Orlando, UNI Service, Trento, Liber Liber. Opere d’A., su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di A., A., in Catholic Encyclopedia, Appleton. Descrittione di tutta l'Italia su culturitalia.uibk. ac.at.
DELL’ILLVSIONI DEL DEMONIO: dialogo composto dall’illustre e molto dotco Prencipe
Segnore Pico (si veda) della Miradola, conte della Concordia. LE PERSONE
PARLANO. APISTIO. FRONIMO. DICASTO. Dimmi do juevacola cosi infreta caminando per
la piazza ove vendon sil herbe tanta moltitudine di popolo. FRONIMO. No loro, ma
andiamo anche noi un puoco, accio intedia mola cagione di tanto concorso, conciolia
che puoco di no potra esserela perduta di puochi passi. APISTIO. Noi
in ver un luogo. FRONIMO. Di quale augello ragioni tu en. APISTIO. Della
strega. FRONIMO. Tu giuoghi he Apistio. APISTIO. Pensa purche quello ho detto i
ho detto no pergivo con e periscrizzo, ma da dovero Conciosia che debbia esser molto aggrado a
ciascun huomo, ma maggiormete alli gentili e curiosi spiriti, di conoscere quello,
loquale no hamaicon osciutola antiquita. FRONIMO. Dunque tu te affastichi
diuuoler intendere quello che non ha inteseuerunos APISTIO. Dunque il timita che
io vogliammi persuadere di conoscere quello che non mai hanno volute
conseffarede havere intero li huom n i gradi e molto litterati, e pur se l’ha a
veranno inteso non appare in verun luogo. FRONIM. Chi co far. APISTIO. L’oaugello
Strega. Béche gia habbia letto t Collali infame la notturna Strega. E cofi confessa
di no sapere, di quale gerneratione de uccegli sta la stregha. FRONIMO. Affaimi
meraveglio che sendo tu molto dotto nelli poeti, sicomea me pare cu non hai letto
come era consuetudine nelli tempi antichi di essers cacciato fuori delle porte et
usci le streghe cosa che sera a noi aggradevole, perche se puo tra
computtare in vece di uiuandenel pranso, quando ritornaremo. E forsi anchora ser
amolto piu utile cosa chenon sapiamo, intendendo qualche nuouo secreto.
Conciolia che am e pate, et ragione uolmére istimo, fiapresa una strega etiui esser
doue corre per vuederla tanta moltitudine di popolo mesco tato con li fanciulli.
APISTIO. Habitano in questi luoghi le streghe? O cercamente non mi serebbe grave
di caminare diece miglia per vederle. FRONIMO. Hor su, sea dunque non mai
uedefti ueruna, forsi hora fara satisfacco alla tua curiosa voglia. APISTO. Sepur
accadesse che io potessi ci trovare cotesto augello dame con tanto desiderio
cerco, eno giamai ci trovato Mestitia augurio infausto e danno espresso peggio
chel bubo annontia porge, et lega. Anchor pur houeduto nell’antiche maledittioni
fusknomi nala la Strega. Ma che cosa sia quella e di qual natura non si couiene.
Et iftima PLINIO (si veda) che sia una fauola, quello che ers scritto delte litre
ghecioe che asciuccaueno colle labbra le pope delli fanciulli Da
uiciati corpi a forza e greffo. Er egli ecotestoluto osservato pinsino dall’eroici
tempi. Quelle cose mi moveno che sono venuti nelli thalami e camere delli proci,
o siano delli lascivi e molto libidino si buomeni cosi dicendo OVIDIO (si veda).
Procà il dimostra quale sia quefto angue che re-lacerato da questo animale,
Aforbe il sangue la strega in felice, delle Streghe gia preda forte langue,
puoco il uagito fanciulle scovale, et chi ed erspello agiuto alla nodrice. bb
ii con una uerga dispino bianco, e come hanno queda natura che sonobraminosi uccegli
con il capo grande li occhi fermi, il becco torvo, e parte delle penne canute colunghie
rampinate, e percio colisuoleno essere chiamate per che hano consuetudine di atridere
nella spauentevole norte. Hor tu vedi il nome la cagione di ello, la natura di quella
et anchota la figura come egli estara iscritta dalli antichi. APISTIO. Ben
intendo quello tu raccoli ma forsi sono di diverse maniere e generationi coteste
streghe, e di differente natura, con cioliache se dice, come non fucciano colle
labra le pope di fanciullini, ma ch beueno il sangue. Ilp che cosi dice OVIDIO
(si veda). Di notte ai fanciullini vola spesso empiendo il petto delli onoffio sangue
Si presto con la lingua insatiabile, chel soccorso opportuno esser non lice. No
paiono ate cotesti officii fra se del lestreghe, tanto diverse non ti dimo ftra
novaria et anchor contraria naturae conditione r Erano ragione uolmente da
effer istimati quelli aus gel li misericordiosi, li quali faceuano Ifficio della
nudrice, ma questi sono da esser reputati grandemente nocevoliema kegni dalli
quali sono occisi li fanciullini havendoli bevuto il sangue. FRONIMO. Io te diro'il
vero aniipaionopiu pre fto ciascuna di queste cose fauolė,che altro. Ma pur seuisiri
trova qualchecosa diuero nella fauola io penso che no sias nonati quelli augelline
anchor che se ritrovano nell’inerf. Chal quinto giorno de puo suo natale perche
quelli fallititolie uersi figura no la uecchia nelli uccelli. Ma ben penso fuflifatto
questo con lo agiuto delli de. moniiiniquie malederti cio e cheliancidenti augelli
hora appareuono in una forma della nodrice et hora della inlidia trice E.
questo maggiormente am e lofa credere perche IL DEMONIO insegno il gioue uoleri
medio contro delle incantastioni e maleficii, per li quali erano ligatelementi
delli huo. mincio n inganni, e con bugie, dicendofe effer Giano, uuole uache tre
uolte toccassi lio con larbura fro da le porte et uscii cioe con la fronda de uno
albero simile al citrono et tre uolte segnando con detta fronda le pietre che sono
sotto la intrata dell’uscio, bagoando la intrata con l’acqua, e com i m a d a
ga anchor sefaceslino dell’altre cose che non erano sagre, ma anzi a b omine
uoli sacrileg i i e portéri, Bé che anchor de quelle confe dica. Se poil infanti
per la nocte oscura Vesla ecilsangue elucca con l’esperti Labrila Strega,
et in tal modo le indura. Cosine tempi noftri hanno consuetudine di fare le streghe,
quando se narra che sono portare al giuoco di Diana. Guastas no nelle cune li fanciullini
nuouamente natiche piangono, di poi incontinenti le dano li gioueuo li rimedi. Liquali,
come ainepare, sono in loro arbitrio e possianza di doucrlida re. Imperho meritamente
egli e deriuato questo nome. Ca cio sia che queste crudeli e bestiali femine le
quali cometter no tanta scelerita, anchor da noi cosi come dalli antichi convenientemente
sono chiamate streghe. APISTIO. Hammi parccute inganni Fronimo pariméte in lieme
con molti altri, cte dendo effer uero, quello che scioccamente dice il volgo, cio
e che sono no lo che feminuzze, le quali uolano nella mezza notte alli conuiti,
et alli delette uoli piaceri carnali delle L e murio siano delli spiriti della oscura
nottee che coteft efer minuzze guastino con incantili fanciulli. FRONIMO. Meglio
potreste parlare Apiftio. Conciosia che non mai fe debbe di re che coloro errano,
li quali apertamente racontano quello che hanno con locchio della ragione chiaro
e manifesto no puo chi huomeni ben docci, et amaeftrati cóla continua pratica et
sa et anchor fono omatidebuoni coftumi euertuti. APISTIO. Io ti prometto
cheno'e mai stato possibile di effermi persuaso questo che tu di per coral modo
che l habbia creduto. FRONTIMO. Per qle ragione, no teha poffuropsuadei uecuno
APISTIO. Per questca, i ne che pare una cosa da ridere, come fia poffibicl eh e
fattoun cerchio et unto il corpo conno fo che unguento, in un'certo modo er dette
poicecce parole coun no foche mormorio fe cógiúgano dette femenuzze incontinente
colli demonii infernali e che cavalcano di notte soura di uno legno detto Gramita
con il quale si fuolecal fecrareillino, ela canoua oyero saliscanosoura di una caura
o diuno beccoo diuno moncone, esiano portateper aria, eche trapallino li Spatji
delli'uenti e ricrouanfe alli cantie balli di Diana ed i Herodiade, e cheiui
giocano, mangio no beueno, epiglianolasciui piaceri Puruoglio anchorago
giungere un altra cosa cioe che non seaccozzano nel parlare, fi comeho inteso
conciofia che alcune dicono effer pors tate molto in alcoperaria, er altre dicono
appo diterra alcune confeffano di andarui solamente con la imaginatione e non con
il corpo, epoi fermarsi soura dellago di Benacoo Hadi Garda, nelli altiffimi monti,
vero e chemolto m i meraueglio che non dicano di effere fermate foura della cima
del monte Micalainsieme con Thalete overo sula cima del Mimante siano poste a caminare
con Anassagora, Il quale c un non t e non guari discosto da Colophon e da
continue neui affediato, dacuife conosce la tempefta debbe venire. Altre cacontano
de esser portate allo albero di Benevento det tolanuce, rebême arricordo. Ma
quale e la cagione no si fermano piu presto nel territorio di Arpino piu vicino
sicome io penso alla nostra regione co uero portate alla Quer zadi Mario, et anchor
seno le pare fatica di andare piu diß costo perche non sono portate per infino nella
Cheronea alla Querza di Alessandro Dicesi anchora che hanno amorosi piacere colli
demonii che non sono congiunti colli corpi rei on oerro. Ma dimmi un puoco
Apistio, che toccame ci possono esser cotefti? Che piaceri souerinche modo posso
no hauece amorosi solazzi conquesta uana, efinta imagine, efemine dicarne.
Ho letto come le larve oʻsianolenuo's ceuo li ombre dellanorię e dell’inferno
pigliano piaceri colli' morti et che combatteno con essi, e no con li vivi. FRONIMO.
Dimmi Apistio, seiosci orco tutte le tue ragioni, sicome spero consentirai. APISTIO.
Io ti prometto di cosentire. FRONIMO. Egli e certamente cosa da huomo ragioneuole,
e di sano intelletto, dilassarsi muovere e guidare dalle ragioni effcnipij, et dalleauthoritati
delli antichi, le quali gia sono con cómun sentimento confermate, e di poi
quiui fermarsi ma molto maggiornente er opera di colui che edi grade inna
gegno, e che ha longo tempori uolto li libri delli docti huome ni. Donque seiocolletueragioniti
conduceroa cosentirea quello de cui hora tenemenibeffe, chefaraipoi? APISTIO.
Che faro: Vimetterolemani. FRONTIMO. Pensocheancho, sauiinetteraiipiedi. APISTIO.
Ma nongianelliceppi. FRONIMO. Deh non hogiamaicercaměte pensato co testo. Vero-e.
chebengrandemece desiderocuintédique. fto,accione uenghinella mia oppenione, collipiedi,
e cole mani, ficomedire sisuole. APISTIO.lononfifiutoquello chesperi, e desideri,
sefaraiquelloche tudietprometti. FRONTIMO A me pare perilragionarehauemofattocaminan
do, che tu sei molto dotto nelli poeti delli Gentili,etanchora affai siaornato
de Philofophia. APISTIO. Il mio Fronimo diquestohoranomiuogliodareiluanto
cioeche beninte dali Poeti et fia dotto nelli parlari. Con c i o fia che egli e
molto maggiore lacognitioneadouereintéderequelliper co ialmodo chesouerchia le forze
decoluiloqualearrogáte? mente alcunauoltaselauoglia attribuire, hauendopuoco
ftudiatoinesli, ethauédolipuocapratica. Ilpercheegliegra demente necessarioa
coluiauoleintendereefli poeti e philosophi, diconoscereetintenderenon
triuialmenree grossa, mente la lingua greca e latina. Et anchore gli e bisogno
d i hauere ben intese lifecreti,esentimenti extratti fuori delle crerario della
philosophia. Delliqualisonoornatiebenue ftitili poeti emaggiormente Homero. De
cui,ho udito che fui llustratoetaddobbato con grandi Cómétariida ARISTOTELE et anchora
dalli altri PHILOSOPHI della dotta schuola. Anchor c horho inteso
che se sforzo il Plutarcho con uno molto grande libro di attribuire ogni scientia,
ogni arte, e finalmente ognicosadiuinaethumana, aquellocieco OMERO. Ilperá
cheionego effereinme quellacognitione perfetta, sicome tudi,m a no nego
pechoesfermiessercitatoalcuna'uolta per piacere dellanimo mio inleggere
quelli,licomeiocercaffi lacognitionedellelingue e conquasilegger mentebeuendo
qualchi amaeftra métigioue uoliallicostumi,etanchora accionon fufli riputato
ignorante, fra li amici e compagni, occurendola occafione.Cosi senóho
beutalargaméte la philosophia, de cui se dice che -e nascosta in detti author i
a l mac o li come di r e si suole. I h o toccata e gustat a con la lomita delle
labra. FRONIMO. Io credo che tu sia condutto non dalla arrogantia ne anchor
dalla fimulatione,m a solamen tedallauerita.Laqualeuertu e collocata d’ARISTOTELE
nel mezzo fra ğiti uitii. Imphoche dimostri di n ó effer ignorare ne anchor tuti
uátidisa pereognicosa. Ecosiquellecosehaj dettodella notitia
ecognitióedellipoeti nó fon discoftodal lauerita. Cóciosiache PLATONE e ARISTOTELE
sono pieniditer ftimoniidi Homero, d’ESIODO di Simonide, Pindaro,E u ripide, ed
elli altri Poeti .Il perche io dubbiro affaichetu lia molto dottonella
philosophia decui pare non molto inte diedimoftridinon sapere. E cosiho
istimationeche dis mostrarai molte cose chesonodategiamolto tempo con gregate infiemenel
fine de noftri ragionamenti, le qualidi. mostrihoradino sapere. APISTIO. Io te diro,
come sono alcune cose che qualche uolraci sonofuto donare dalla natura leaza uer
uno studio o fiano uertuti, ouero altre cose,fi come prencipiidelleuertude.
FRONIMO. Non per que, Atosonomacatodallamia oppenionem a anzi hai tu posto inme
maggiore dubitatione con corefta tua risposta.APII STIO. Chehaicudetcos FRONIMO.
Io ho detto,e dir Co cbe ragionocon uno FILOSOFO.Vero eiche meglio
allhoramicauaro questafantafia,pigliando prencipio imi perho da quiui, cioe se
uuoi promettere di responde -- re a quellecose,dellęqualiho desideriode
interrogarti, per lequalihauemo comenciatodiparlare. ĄPISTIO.Io DELLE
STREGHE to matrimonio prometto de responderti liberamente. Horlu
addimanda. FRONIMO. Dimm i il mio Apistio, hai tu giamai letto in Omero che
anda li e Vlyffe alli Cimeriis. APISTIO. Si. Et anchora ho letto in chemodo
andodaquella gére chefa ua nella ariacaliginofa.cioe che erasenzauiada
poceruien trarei raggi del sole. FRON.Dimmeseltepiace,checol lafeces. APISTIO. Hoaffaicole.FRONIMO.
Nó leggiamo quel le parolediessoingreco, le quali horaledicoinnoftrouolga' re
cosi.lo fu quello che cauai fuora allhora allhora il coltello dellacosciase cominciai
dicauare con il scarpello unafofla, allamisuradiun
gomito,indiequindiincerchioetancho rainfundeililibamini, cioelifacrificii,colleumbres
APIS. Tu hai molto egreggianiéte dechiarato il sentimento,eno manco ageuolmente
isposteleparole. FRONIMO. Credo habe bilettono una uoltam a louéte ligiuochidi Diana,eliballi
collecompagne Nymphe. APISTIO. Egli euero,
etu non re inganniapunto. FRONIMO. Anchor io pensochetuhabbiri, uoltoquelli
libri douesonoscrittiliamorosi ragionamenti, erlafciuisembiatide Anchi seconlaimpudica
Venere eco 1 ·me fufferogenerati molti Baroninelli tempi antichidicote
Atifallacietingánatori Dei. APISTIO. Et anchora questosper seuolueholetto.
FRONIMO. Tu debbisapercome queftimal uagi Dimonii ingannaueno con merauigliosi
huominicheerano deditialle operer ufticalie pastoralisico me eracommunamente
lauitadi quelliliqualifurono rie trouati nelli tempi Heroici. Cosianchorainganno
il Demonio Peleo pastore padre de Anchise, conciolia che effo fico me diffe coluilaffo
la gregge delli porcielarmentonógus cidiscosto dallemura inuna ombrosa ualle
forto laimagin ne della Thetide dea marina.cosiiftimatadalle genti. Et ac
ciomancoseaccorgessedelfrodo glifuin SEGNATO dauno altro frodulento demonio uno
delli Capitanii Grecichiama to Proteo con il qualepigliarebbe There madre de
Achille la quale dimostrauafiincentofigure.Ma benuedieconfi dera uno
altrofrodo, con loquale grandemente inganno, cioeche non dimostra di uuolere
commettere iltupro, n e anche lo adutlero, ma fi n sed i ugolere contra her e
ille ci. di quelli to matrimonio, Loquale
con suoiuersiegreggiamere carito Hesiodo, ficomeseuede nelle scritture de Greci.
Ilpchepra babilméte dicemo effer da quiui deducto,cioedallo effem. pio
diHefiodo, loEpithalamiodi Catullo. Ilche anchorr dimoftra il tenore del verso,
chiaramente demostrado quella ancica facilitate questodechiarailcontinuo e
sollecito ftu diodi CATULLO I seguitare li Greci, pcotalmodo che ispreffe
leintegre Elegiedi Callimacho, alcuna uolta rendedoilsen timentoetaltreuolteisprimendoleparole.
Anchora inganno per co tal via il demonio facilmente Paride, focto figura di quelle
ore Dec. Il quale fi come scriffe Colutho Thebano nellibrodellapresa di Helena,
nosolamentepafceualeper corelle del suo padre, ma anchorli Tori, eptal modo feue
ftiua delleueftimente che pareuàun rozzopaftore etigno fantebifolco. Le quali cose,
ampiamente con sue scritture quellolerecita. In questo modo fece inuisibile il Demonio
quello Lidio paftore regale,con lainuersapaladelloanel lo cioecon quella partegiacesottola
gemma,epretiofapic tra,ma ciuolta,conlaquale Atupro ecomesseilpeccato con la
Řeina. Il perche pigliauono li Demonii uariee diuerfe fi gure alcunauoltadelle
Dee,che erano uolgate, altreuokic leformaucnoin effigia delle terrestre Nymphe
efouerere presentauenolefiguredelle Dee marine. Epercheeracredu co che se
nascondessino, con il suo ingegno sotto le unde del e tacqua accio puotessino
effer ucdure etpiu fortemente abr bruggiare licuoridellimiserie ciechj huomeni,
ftauanoa p po delli profondi luoghi dellacqua doue dicontinuoper dri uoltare di
quella cui si ritroua la candida fpuma et iuipa teuafussero appodellenodrici, doue
eranonudrigateda güellet Anchora appareuanocolleimaginifintedi nuvoli, fi c ome
fauole fcaméte raccontano appareffe Giunone ad Tinone, De
cuifingononascelliilsuppositi Coéraur. Cofifin gono dico st cu i i occħIffio
neppieta di Giove fu f f i trasferito ne cieli, e fussi fatto secretariodiqllo,etpõstoufficio
hauefli ardireditécare Giunone delftupro la qualela mentadosicon Giove uimando ad
Ilione una nuuolaafimilitudinedi Giu donc. cn la quale giacedoIrionc, ecredendosi
dipigliare co amorosi piaceri con Giunione, ne ebbe li centauri. Aleri demonii
apparecchiaueno prestigiicioefalsedemoftrationi, illusionie
incantarioni,collequaliiogannauenolegenci, popoli, etinescaueriocon doppia frodeil
Cozzo uolgo, ecan choralidorci huomeni. Ecosinonlaflauauerunocoloreet imagine
della diuinita (la quale con diuerse menzogne e bugie sifforciava di usurparlaetafeattribuirla)
conlaquas le'noncostringeffe ilcozzoet ignorante secolo, afarsiadora re, et anchora
leciïauaconlalasciuia. Cóciosiacheeglie. cee to che anchora eglivergognasse Diana,
laquale fugeuadi amare lauerginita accio forfitirassiaseslli haue anoiodio la
fozza libidine. I dl e cui gioco, havemo scoperto in di forccio del demonio. Ecosi
sotto il nome della Luna laquale senza uetun dubbio chiamauefli Diana
raccótaueno fuffi fuergognata da Endimione, eda Hippolyto licome dimot Atra Firmiano,
fotto il nome di Diana il quale pensava per srene sea quel luogo. E il nome di
Virb io cio e di tre volte huomo elaleggemolto diligétemente cercata,doue fedo
ueffe ponere,elemani medicheuolidi Esculapiocheporr Sino agiuto alle piaghe
debbost credere fuffero tutte queke lecose fauole etillusioni delli Demonii, epurfeuifuffe
qual che cosache pareffeinuero fuffiftara iltuttofedebbe pene
Sareesserefattoperarte magica del Demonio.Vero-e-che Efculapio al fine fupo ipremiato
con la mercede e premia delliincantadoriche ela miserabile morte. Concioliache
eglienarrato da tuttiliantichiauthori,qualmente fuoce ciso dal fulguro, benche fia
no uarie oppenioni perqualecat. gione,e per quale sacrilegio, fufficosi
crudelmente Occio. I APISTIO. Dice Vergilio che cosifufliocciso, percherefufciso
Hippolyco dalla morte.Nonfajcu cheduolendo Hippolyco fugire dauanti da Theseo
suopadre infuriaro loquale cerca uadeucciderlosendelifalsameceaccusatodalla madregna
Phedra etsendofalitosouradellacarretta e(pauêtatilicat ualliperlimoftrimarini,f
icomenarra Seneca, cadėdofuoci delcarroploimpito, etracciatoemorto, sendoitoneline
ferno fu resuscitato, efanato da Esculapio Veroie-chedice Plinioche
cosifuflipercoffo dalfulgure Efculapioe r cagio nedi CastoreedipolucefigliuolidiTjidare
Re di Oebalia quello che scrive
Tertulliano, cioechefur et arfo dal cielo Esculapio, perche biasimeuolmente
hauea effercitatolamedicina.E cosiritrouiamomolto maggior us
dietanellanarrationedi cotefta cosa chenellamorte di Romolo. Maegliebenvero
checiascunodiloro,e-ftatoreferi, 20c computato fra gli Dei, benche coftui fuffe
uno ladrone, e quellaltroun mago erincantatore.Vero -e-chemoltopiu mimaraueglio
digildo, e cuihora uoglio raccotare, cioe che nó ben péfaflılifattisuoi quelgradehuomo,
ilğleerasoftēta toetenato córâre ifpere daun certo grăprencipene giorni d e
noftri agoli che le ubrigaua di far. FRONIMO. I n altro modo scriffero
Panaiaso, Poliantho, Phylaccho, e Thelefarcho Anchora ltci dicono p altrecagio
nifuffeoccifodal celeftiale fulgure Esculapio. APISTIO. Deh no ti siagra ue di ramentare
il cutto, i m per ho felti piace e tu ti ricordi. FRONIMO. Io son côtéro.Furono
alcuni, liqualilcriffe tochecofifpauêteuolmétefuffeucciso percheresuscito Tyndaro
eno lifigliuoli,Vero:e-cheStaphylodiceno fuflire fufcitaroueruno da Esculapiom
a ben -e-uerochefusanato Hippolypo chefugiuada Troezeneecofip qua caufa, fufli
percoffo emorto dalfulgure. Ma Polyantho scriue che cosi fuffiuccisopche libero
lifigliolidi Preto dalla sciochezza. E puo le Philarcho esser li cio iter venuto
p che agiuro li figlio bdi Phineo. Ma fraquelli cħ háno voluto
refufcitaffeimorci alcuni di loro dicono cheresuscitomoltidi quelliche furo
noucefinella battaglia e guerra di Troia. Et altri scriveno che resuscitaffede
qlli chemancarono nella guerra de Tebani. Egliebenuerochenó cimanca Telefarcho,
che dice come fusse in tal modo percoflo, perche se fforzaua di riuo
careallauita Orione nolorefuscito imperho.Anchoreglie moltomanifefto uedere la
guerra etan chor la battagliade Ilio, e di Troia, e tuttilimodi delcome batrer
ioisefece.E cosi designado ilcerchio,accio demostra Bidouiandarono, ecobarteronoThelamone
e Peleo figlioli di Eaco.c doue Olyffe,collialtri Troiani,fu portato dal De:
monio, egiapiunó cóparfe inuerun luogo. APISTIO.Turac contimarauigliose cose. FRONIMO.
Sono certaméte marauia gliose etanchor vere. Dipoiquelloprenicemádo indiuerfi:
CC cuaniluoghie paeli, etanchora'per infino nellaGermania
etanchoradiroequefto etdouenonmando épercercare guelhuomo: Horlendopericolatocostui,uêneincoteftono
Aroeccellete Caftello uno dellsiuoi discepoli, chelaffoliues ftigiidelle sue
malgradeuoli e diabolice opere perinfinoallo noftrigiorni. Concioli ache designaua
laimaginediquella chehaueafattoilfurto,etdimostrauelaa colui,a cuierano
Aatorobbare lesuerobbe, nellaincheftaradiacqua,osianel kaamola, cocertifacrilegii.
e fuperftitioni, etiujlefaceuauc dere la figura iueftimenti con tuttiim o di
erano fucoserua. Tiinrobbare quella cosa. Joconobbiunodalui manifeftato,
ilquale haue arobbatoleámolette ciocalcuniremediicon troliueneficii, e contro dealorimali
etoccultamere Shauca portatoa casa,efecretamenteferratinelcophinonon lofa
pendouerana persona. Emi ricordodel tempo pelquale la fciodetteso perftitionierinego
larte magicaS. e caminaffis mo insieme diecegiorni, pareamenonsarebbonobafteuo
bidaisprimeree ramentare quellecose,lequaliho osferuar to enotato delle manifefteinfidic
del Demonio neanchor ferebbono sufficienti dipuorerenarrarelimodi, cheofferus
ello per ingannare lhuomo. Il perche mericamenteie chiar mato
Saranaffo.Conciofia che sempre fu,e,et fara nemica dellhumana generatione, cosiincuttelealtre
cose,come in quefta, decuihoggi hauemo determinate di ragionare Quanto al modo
che dimostra dipigliare carnali piaceriio le dico che quello lo vuole negare
(si com e contrario atanu vidottiefauiihuomeni Jiquai diconobauerloconosciutoda
quellichelhanno isprimentato,etanimosamente teftifica no dihauerloudito) e-riputato
ftoltoe pazzodafanto. Agostino il quale scrise con ieftimoniidi coinufa a m a
nel quintodecimo libro della Citta di Dio, qualméresonostatoritro.
HatifouentedelliSelaaniepergersiFauni faftidiofialledon De, chiamati daluolgo Incucbbiioe
chesefforcianodico metterelafozzalibidineinfiemecolledonne etchesonori trouati di
quelli che hannohauutoilsuodesiderio,pigliado. ne amorosi piaceri con effe. Et
anchor diceche sono alcuni alori demonii chiamati da Galli Dusiili quali di
continuoco grande importunita tentano le donne per avere l a f c i u i p i
š ceri, efouêtenedcuenenoalcocento dellilorobrimatid e fiderij, ecotetidanoifonoderij
Folleti. APISTIO. Ti priegoo, feguitapur olera, FRONIMO. Horquantopettenne
aluiaggiofannoper aria credocheanchor habbia udito cc c e t o se tu non l’hauer
a j letro come ne vemn e Abb a re nell’Italia foura diunavolátefaecada
Pythagora, perinlinodal lo HyperboreoTempiodiPhebo. APISTIO. Ne ancheque fto-e
dame narcofto cóciosiachel horitrovato scrittodaun certo Philosopho Platonico.
FRONIMO Se bentutiramenta taiqueftecole, facilmerecrederaile altri.Ilperchetu
debbi Sapere qualmente comenciaffe cutiaquella Necyomátia di Olyffe, dalcerchio,
cioequellaartedi diuina remediã telicor pi morti. E cosifacilmentepuo
conoscerenon efferecosa nuoua queftifigmenticfittionidifareli cerchi,m a
anzifos no antichipreftigii,cfalse delusionilequalianchora hanno cercato di seguitare
li POETI LATINI. Có ciosiachese finga Scipion c c avare con il ferro la cavata
terra altre,etutte qucile cose che seguitano, ad effempio di Olyffe. Quanto
alliragio namenticolle ombreo sianocollispiritiiotedico chesono molto
piuantichi che fufferoritrouatida Homero. Ilchef a cilmente quelli il poffon
sapere, liquali conoscono fufferorj trouatili uersi di Orpheop queftacagione,econosconoco
m e Omero ha seguita qt ouello non solamente in nominare Tyresia ma anchora ha imparato
essi nomi congranfole lecitudine econnon menore offeruatione.Ilpercheferiue
Giustino Martyre, come furon composti escrigriliprimiuer fidella Iliade ad
esempio delli primi uersi di Orpheo, liqua Jiera noi ntitulaci di Cerere. E
coliconuarü riti, costumiciof feruationiogniuno desiderayaecercauadihauer compagnia
familiarita e ragionamenticollimorti, per cotalmodo, che dipojera detto come
quelli scende vanto giu nellinferno. che narrafi interaenefia Pythagora, poilògotempo
dopo Orpheo etHomero, edicesicome uedessejuinelloinferno JanimadiHefiodo, edi Homero,
che eran tormentateper quellecose haueano scritto delli Dei.E pquefto fediceche
fu grădemete honoratoe reueritodalli Croroniati, etancho sa molto piuperche
racconto dihauere ueduto efferui grandemente cruciati, e martoriati quelli,che
refiutaueno di pigliare amorosi piacericolle sue dolcimogliere. Ma quanto
atrapassare per ilfpatio dellaria,ionon fo in che cosa dubiti, ouero pecche tu
li maravegli. Concio lia chea m e parc non importa, febene misuri lepenne
delliuenti con una laeta o con uno scanno,ouero con una caura. Non fe dice in
qual modo fuffi portato Pythagora, o Empedocle, neinluuno carro daduerote, oda
quatro,o dauno alatoPegaflo oda Dragoni,oda Olori, accio seguicaffeVes
nere,Medea ouerofulfi condottoconduiserpentisottoil giouo come còduceuano
Circe,ocollilioniamodo diCya bele, o.colli Lynciad essempio diBaccho,ouerofuflitcapor
tato in altosoura Europeelaterra Asidafecondo lacoluetų dinedi Triptolemeo, acciochequellofusliportato
lauorato redelle fructa, e questo coltore della philofophia, m a inueco furono
amenduoiingannati da Pallade cioe dalla astutia e melitia del demonio. APISTIO E
cio mi ricordo d’avere udito narrare feno me inganno, di Simonemago, ilqualeebbe
are diméto diuuolereandareperaria imperho in sua malhora. Conciofiache desidetandodi
vuolersaliresouralaria.c fina gēdo diuuolere ascedere nellaltocielo, ecosisendo
giapore catomolto inalto dalli Demonii, percomandamétodiSan toPietroapoftolfou
laffato uenireconrátaftetagiu interra d a dettimalegni fpiriti, chrópedofi
tutte loffa,fu Ioétedella, uita. FRONIMO. Ě forlianchehai udito dinon so che Ethiopili
quali haueano inusanzadiimporeilfrenoe labrigliaalla Dragoni, edipoiseggédosouradellaloro
fchinaueneuano in Europa. Cosise dice effernarratoda Ruggeri Bacchone. Ma
purcrcdaquellouipareilprudente edotrolettoredi questa cosa accio tu no pens
voglia ramétare liuoli di Dedalo, liquali se n o sono semplice menzogne, sono
al m a c ocre duticomefrodiet inganni del demonio eta nchorajotaci in che modo
sparue Apollonio Tyaneo, dalla presentia di Domitiano Cesare. Oltro dicio fetu
confeffi fuffero appo, delli antichi lispiritiincubi e succubi,cioe che si
dimoftra peno informa e FIGURA DI MASCHI e di femine donand o amor
tofielafciuipiaceriimodo diciascuno feflo allimiseri mor Y tali c o n certiunguéti, accio
appareffe a led vero alli altri che fuffero traffigurate e c o n
uerfeinunaaltra figura diffimile dalla prima. Ebenche, co teftohuomo
dotto,fingeffediessere trafinutato, non perho dicefufficóuersoinuno uccello
benchehau effeufato quel lamędeme medicina. Ma bugiardamente narrafufftramu
tatoi uno asino. Anchor dicecheebbe gran cordoglioquel Ja femina, dubitando per
lo errore hauea fattoinpiglia: relabuffolettache fufficangiato Luciano inuno Alino.Il
perche dimoftroe non effereuaria la effentiadella cosa,m a lilaimagine. Etello con
questo chiaramente il confermo, econfettoche fendodiuenuto Asino, hauearetenutolame
te,elintellettodi Lucio. Et ancho tanó edaistimarechegli ueneffeinfantasiatales
opinio cioeditrasmurare la forma f e l non fuffi f u r achiara fama come coteste
cose erano molto inufanzaappodiquelledonnedi Theffalia,ecome elle molio fe
delectaueno letefsercitauenoineffe. Non lo con fermoanchora quefto, quello
Platonico Apulegio, chepoi boseguito:fingendo diessereprimaitoin
Theffaliaauanti tali perquale cagione non uoi credere chesiano anchora fimilif
piricipe noftri tempi scóciosiachecotestose côferma có tálietátitefti moniicli qualiioglicamétaro,
feltipiaceras Quanto allunguento, iocredolosappi,perchediffusamen
tenehascrittoil Syro Luciano el africano Apulegio, uno in greco e l’altro in
latino, Eco si se ha queste cose i scritte da l u i. Dunque
cheuuoledirecofiquello cophinetto,e quelletan te buffelette
equellooliodiquelladoma puoca istima nella sua CONVERSAZIONE. Di poi esfo me
deme authoreledichiara dicendo. Incontanentefuunta delluny
guento,fufattaageuole dauolare. Edipoifoggionge. Dop po puoco spario di tempo
non douento altro cheuno cor, u o da norte.E cosi pareua aquelli,liquali
guardaueno, 00€ tofingeuano diguardare fuflidiuenutouncoruodinotte. Io non mai
crederei, che ver uno se potesse trafforma cedi una specie dicreatura in una
altra osiaper uirtu de alcuno unguento overo per incanto magico. No dimenoy voleuano
quelle sreghe effecuedute ungersi decuine fatto fingeffe diefferueftito diuna
nuoua forma sendo priuo del laprimar Sedricamenteio referisco le parole diquello
cosi diče. Piglia anchora un puo co piu dellunguentoe fatte et c. Et assai alcrecosescrissenelle
quali parecotuttiimodiquafi habbia uoluto seguitare il Samosateno. Cóciosia
cheha fato tomentionedello Thebalicomormorio dellolio trasforma uadiuna formanellalera
edelli remedii dellecosecontrodi quegli incatil i quali faceuanoritornare
lhuomo alla prima figura. APIST. Per qual cagione creditusiafattomentione
diquellemedicinedi cose lequalieranoinagiucorio,econ. traquelliincanti, efrodimagiced
FRONIMO. Segliepurcosa uera egioueuolein queste medicine, penso siapreso d’Arisotele.
Nelle opere de cuiholettcohe e ripostofralemera uigliose cose comee cosuetudine
che muoiono facilmeteli Aliniperlo odore delle rose. Il che sapendo Luciano e Lucio
finseno di mancare dalla forma dellalino, de cuiprimaha? ueano fintiesserne figurati.
Oueroforse egliequiui nascosta unalcracofa magica. Eglieda saperecome gia
grandemente eran o infamate le donne di Thessalia e di Thressa, che fa ceflino delliueneficii
e dell’incanti, et anchora era detto che fussi condutta la luna e m e nata
secondo le piace u a colli u e r sida quelle, e chiamate lefiffeftelledel cieloilche
anchora cracoftume delli Sabini ficomescriuc Oratio, etokro di cio
diceuasifuffero inspirate da Baccho eteranochiamateMis mallonecioe seguacidi Baccho
porradolecornasicomefa ceua ello, et anchoraeranodecre Adoni dee furiauanocollo
complicate ferpefrali Thyrliconillusioni magice, etincáti, prestigii Et erano tenute
in tanto honore e veneratione che uuolsiintrare nella compagnia di quelle la Reina
Olympia madre delgrade Alessandro loistimo forseche quelle cose paionobugie
Quotrebbeno hauer preso prencipio daquale che fimilitudinee colore deluero.Pare
anchor cosa piu pro babileche haueffono qualche accrescimento dadertiprodi
güemerauiglioseopere de demonii non senza qualcheue rofondaméto dellauera historiacoloratoer
adombratoco molteuanitatie fitrionichedallifonniilicomee scrittoda. Synelio il qualeuugleua
haueffono hauuto lefauoleantedit 1 tecCOG m i ricordo il
qualesefforzodidimostrarecon grade ingegno inchemo do haueffonola maggiore
partedellefauolefermo fonda mentodallahistoria et anchora fforzofididimoftrare come
dipoi fufferofuco fouente ampiate in maggiore cose effe fauolefondarefouta
diefla verita dalla falra fama del cozzo vuolgo. E coscredo iofcriuefleVergilioquelperso.
La dotca carta teftese di Palephato. 1 il Sole confinte paroleeconaflạipersuafioni,dauaad
inte.. derealledonne di Thessalia, l equalinointē deuano simileco. Sfimilifinte
opere,ouero dagrande aftutiae faggacita. Ilper che fu uno greco chiamato
Palepharo fe beu teecofilialtii, daeflisonnü. Ecertamentenon sarebbe itaa to
alcunäcánto brammoso di uolgare e manifeftare quello cose, chefufsero hauute e
uedutenefonnii,licome ueduce fuoridel somnio collequali fuffero tanto tirauefforzatilhuo
minidimerauigliarsi. O quátofonoliueneficii,maleficiiec incantationiramércate, iscritte,
enátrate coli DALLI LATINI. Percia da VIRGILIO e detto di quella antifti tee sacerdotessa
della stirpe de Mafsilli, la quale prometteua disciore le mentidellihuomenicolliuerfi,cioedifarlifarefi
come lepiaceua, etdifarefermare lacquane fiumi, difareci tornarea dietro li pianeti
e dichiamare, etfareuenireafelc notturnemani cioelispiritidella notte. Anchora perquesto
senarranolemedicineer in canti di Circe, diMedea diCar
nidia,equellealtregenerationidiueleni,lequaliconduco. no
lhuomenialpazzescoamore chiamate da Theocrito Si ciliano Philtre di Simetha
ecofida luiscritte,loquale regui, to Marone ne fuoiuersi. Puo efferche douiamo
pensare che fianotuttequestecose finte senza uerun fondamentos Ver
toechemiramento dhauerlettonel Plutarcho, quella fauola con gradeingenoe
segacicaritrouaradiAganice di Thef falia, laqualenarracome conduceuaasuauoglia
la Luna. Ma cosi era la verita, chequella conoscendo la cagione che la Luna horaeraritondahoracornuta,
ethora piu no seue deua, perlainterpositionedellaonibradellaterrafraeflaet fa come
le coduceuain quel tempo la Luna interra ficome: lepiaceua. Eco sidiconohaueffero
principio lalorifauoleda Veramente eglie molto chiaro qual menteo chelhuomeni
eranotramutatico lliincaptieueneficiiindiuerse figure sig come bugiardamente et
anchora scioccamente parlaueno alcuniouerocheappareuonocosi. Ilpercheparenonsepose
finegare senzaqualche Atoltiti ache almancoquellinonpa refsonoaleoad altri efferefimilecofa.
Non tiraccordidi quello che tanto chiaramente se dice delle figliuole di Prei t
o cioe che impieno con falli mugiti e voci di animali li c a m pifet hauer havuto
paura dello aratro, eta nchora hauer, cer cole
cornanellaleggierefronterCofice-narratacorestafas uola; Come furonotre figliuole
di Preto, le quali sendogia. Nel fiore della giouentu e conoscendo seefter bellissimeintras.o
nel Tempio di Giunone, spreggiarno la Dea Giunone, cipucandosieffer piu belle
diquella perilcheadiratala Dea ai miffe tale folia inesse che le pareua fulsero
diuenute in formadiuaccheilperche hauendopauradiportaree con ducereloaratro
fuggirononelleselue.CosinarraVergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio
dice in altro modo cioechecosi diuennene nel furore e pazzia,che glipareus
dieffer douentate uacche nella Isola di Chea, perche haues no consentitoaquelli
haueanofurato alcuni animali dellar) mento d’Ercole. Le qualidi poifuronoreduttease,
etui suilluminatalafantasiada Melampo, ficomefu Lucio con la rosa,m a dicono
alcuni altri che furono fanatee ritornare allaprimafiguradaEsculapio, siacomesi
uoglia, cosiegtie narrato uariamente.Vero e-oche intraffinoin fimilifurie
pazzie, o fufli per ira opera del demonio, overo pe t qualche corporale
infirmita ritrouolantichita a quelle gios ucuolie diuerfici medii. Ma tu debbe
faperecome bebbero li Demonii uariie'diuersi modi, eranchoracótinuideingan
nareli uomini, in quelli tempi, nelli quali teneuano loim perio quali ditutto
il mondo, e non solamente per lifacerdo diet Antiftiti delli Tempii, cperlioracolierefpoftededi
Ido lictimagini,m a anchora ingannauenoper mezzodeals çunedonniciuole
inspiratedalfalsoPichia,et fraudolente Apollinc.E
cosipercotcftimcoodinduceuanoglihuomen afare
ftupefattiemaraueglioldellelorooperationi et ins. uiluppauono
YA ma non gia con quello il quale seguito VARRONE nelle Satire. Conciosiache
quello Litio e-molto piu antico dicoteftoálcro Menippo. Ben che so che tu
intendi quello SIGNIFICA (SEGNA) Larva
pur anche io i uoglio ramentare, per parere disaperlo, etanchora per raj
zentarlo lecosihora horanon te occorrefi:Sono Larue mooceuoliombre dello
inferno,ouero ispauenteuole scon bodellanoue ele Lamieeranochiamarealcuneimagini
efpiripi moltibrammosidelafciuiamorie fozzipiaceri, es mche grandemente
desideraueno dimangiarelhumana arneV.edimo chefauoleeranocotefte.PurdimmiApi
non paionoateco testecoseche hauemo narrato s o p r a molto similia quelle
delliquali longamente dicesi dellemaluagie Streghe dellanoftra etades APISTIO J
n neticaame paionoquasisimili.Iiperchehoraoccorrono a me quelle parole dell’antica
fauvola cioe Larva Lamia etIn cubicongutellodierso di Ausonio. alappadono
quelli nelle precipitanti rouine delle scclerita, defotto colore della sagrata religione.
E perciopigliauono Qaric formeediuersefigure.Colisepuouedere e consider rue
Protheo figliuolo dell’Oceano appo de quasituttiipoet p.loquale ledemoftro in
formadiuariifimulacri efigure, ficomedice VIRGILIO conloteftinioniodiHomero,cioeche
fubitosufatrohorrendoporco efuriosa Tigre, squammolo dragone, et una Lioneffa
con lafuluante egialda ceruice molte altre coseramentanodilui,che
lafloperbrcuita'. mente appareueno quellieccellentiBaroniche furono oce siliad
Ilio alVinicore.Coli anche liramenia in che modo agparessead Apollonio Tlaneouna
fantasmaouetoappal tente figuradellaEmpusa,cioediunacerta generationedi Larue o
fiaspauenteuoleimagine auuotara a Diana,cheua no, licomesefinge,conunopiedee
conuertonseinuariefi gure et alcuna uolca incontinéte che si sono rappreferiate
fpareno,epiunon feuedeno. Anchora dicesicome hauesse conuerfácioneuna
Larua,ofiaLamia, forrocoloredị hono. Kuolematrimonio,conMenippo Cinico dd
Dimofte bomio, Nora e-la stregain cunede fanciulli, con
quelladonnescasceleragine. FRONIMO. Hor piuolcre, ramentiamo pur del altre cose,
accio fe possa donare egual giudicio e gi uito senz pa u n t o di menzogna. Credo
chetu fappi,qualmente sonoscrittiiu finitiuersi delliueneficii,et
incanci,dellilicquorie beuande delli Pharmachie medicine,etanchorsonocantate
fauole fchedociele Nenie Marsice cioelefauolede Marfi. Matu debbe sapere come
sono iscritte e cantar ce o n una certame Laphora e similitudine quelle cose
che cosi leleggono,cioè che lhuomeni, liquali remigaueno gcupisceno colliporci,
perledonneche lusinghe e chebruggiasseHercole lendo unto con il sangue di Nesa
eche fuffero instillasili amori col li veleni di Colcho, cócio fiachechiaramentese
conosceful; seco significate e manifeftate lescelerate compagnie epros
phanimodidellasozza enefanda libidine, collanridetteor
seruationiecanti.Vero-e-cheuoglio tuintenda, come non erano imperhodetci
incantine anchora detre representatio nifofficientidispauentare ueruno,m a
folamente pigliauei no, epauentaueno quelliche uuoleuano il perche narra Homero
qualmente OliffeasfaltoCirce incantatrice non con ildolcebaso,m a
siconlagutocoltello.Jlqualecosi comená fu presodal ciecoamore,cosianchor nó fu
inuiluppato dalli incantamenti: Li quali non nuocenosenza malegna sottilita delli
demonii. Legano quelli cheugoleno et acciocheuuoi leno ufano uariearti, e diuersimodi.Pigliano
il rozzo volgo con lafozza libidine,ecolli deletreuoli,etlafciuipiacerie
giranoase quellichesonodeditialla uita ciuilecollericchez ze, econladouicia
epuranchoraltrinecoduconoasuoiuo“ tibenche puochi con lepromiffioni,econ laesca
dellaglo ria; ed ellhonori,cioe quelli chese sono dati allistudi della
philofophia. Ma quátopertenealliconuitiattédiben. Sedito, come quelli in parte fono
yeri et in parte imaginationi et ilusioni, non
perhofarodiscoftonedisconueneuole dalli antichi scrittori. ConcioGache
ritrouiamoiscrittoda Herodor." todellamenfa del Sole eda Solino
essere-istimata quella unacosadiuina. Cosiritrouiamonellauita di Apollonio Tia
teo neo, il convito della spora di quello, la quale era riputata una dell’antidette
Lamie o delle Larve, o delle Lemire, eLeg. giamoiui, coine' sparbinoliy asipareuanodi
oro, ediariento cheeranofulamenfa. Etincoralmodo appareuanoiDes monii all’huomeni
sottouarieimagini e figure chiamate da Philoftraro Empuse e Lamie
eMormolichie,ofianoLate ue.Gia puocoavantihauemodechiarato checosasianocos
teftifpiriti,etombre.Ma quanto alleLamieritroviamoin Esaia dicono.co m e
raprefentanouna certa beftialefigura: AlcuniHebreial trimentescriueno, dicendo
come seintendeper leLamie alcune ombre e fpiriti furiosi,benche siafattamêtione
nelli Treni di Geremia propheca dellem a m m e ouero p o p e della Lamia. Ma altriistimano
fia derivato cotefto nome dal lapiaree spaccare etalquantidallaLama
cheuuoldirenok sagine,oispauenteuole pronfondita.E dequindicredono sia derivato
quel detto di Horatio. Ne traggiil fanciuluiuodepasciuta, Lamia deluentre.
Anchor narra fifusserogiaconduttinelspettacolodaProbo Cesare molte Lamie.lu
qual modo e figurafufli quella che inganno Menippo,non
lipuofacilmentecofidaaltroluogo conoscere quanto da Philostrato. Ilqualenarracomefu
ingamnatoeffo Cinicoda quellaLamia,quandoellafinger ua dipigliarloper marito, edipigliare
amorosi piaceri con quello. Parimente i oistim o fulfi uccellato e s che r n i
ro Apollonio, quando era pregaro da quella
non se incrodeliffenelli tormenti. Cofiera ingannato, perche iftimaua efferele
Lal miemoltofacileadouereamare Hhuomeni, edipoipensaus che grandemente
brammasino dehauere amorofi piaceri coneffi, enonmanicodi poi credeuache mangiassimolecat
ni humane. Ma il mio Apistioio techiariscoqualmentenon fonotiratii demonii dalle
brammofe voglie d eamorosi pia propheta il luogo delle Lamie, doue
famentione del fcontrodelli Demonii incubicioede quellichefedimostra no
allhuomeni in figura difemine, ecolidanolafciuipiace riallimaschi eriftimano
coftoroche siano leLamie dihur mana effigia dal mezzoin fue dal mezzoin giuc
eri ne condutti da desiderii libidinosi, ma sono codutti dalla malgradeuole invidia
adimostrarecoreste cose accio ro uiniiso emandano nelprecipitiodelli
peccatilhumanagę ne ratione et al fine la conducano nella infernale dannatio ne
doue efli sonoconfinatiinperpetuo. Etacciobenintens di infiamniano
cotestisceleraci spiriti,limiferi mortali, cioc
quelliimperhochefilaflinoingannare conunacerrafiam m a occoltam a non sono
efiinfiammarida quelli ilche ini teseilpoeta
Vergiloquandodiffe.Inspirainelliunooccolto fuogo. Conciosiachemi
arricordochefunariatodallaStrega che quando se appresentata il demonio allisentimenti
suoi in diuerse e uarie forme haueainu sanza diconoscerlo e
didiscernerlodalliueri animali delliqualiello hauea pigli ato la forma in questomodo.Lepareua
che uiintraffenel pettouncertocalore,etuna certafiamma,per laquale era
certificatacome quelloerailDemonio.Anchoranarraua qualmenteera apparechiata alla
fpreuedura una fiamma đı fuoco, ficomele pareua nelgiuoco, douc conueniuano
tuttiauantila Donina, olaaukti del Demonio che seprefen cain formadiornatiffimaReina
con la quale fiammadice uache incontinentesecocceuanolecarni femagnono ren
dolemoftrateadeflafiamma. NonbrammanoliDemoni ilsanguehumano,neanchordesideranolecarniper
managiare, ma il tutto opera do e p rocacciano, accio conduchin o lanimee corpi
delli miseri mortali nelli sempiterni tormenti. La qual cosa iofocheegreggiamente
inrenderai,quando udiraiparlareDicafto.Ilqualefebenuedoenonme ingan
palocchioperillongospatio,ame pare gia fiaallemani,a combattere con la strega. APISTIO.
Benben Fronimo. Tume haigiunto. Bêcheame paressedidisputarecoliuno degnoe
nobile caualiere,percheioteuedo vestito coriquel le ciuiliet
egreggieueftimente, ecintodiuna moltoornata {pata manon
credeuogiadidifputareconuno cheintens deffe tanto eccellentemente linascoffi
sentimenti delli P o c tihiftorici,Philofophi etanchora delli Chriftiani Theologi.
Ilpercheconoscendoiolatuasufficientia,tipriegouoglitu per talm o d o adaptare
in cotefta parte che ciretta deluia, gio, gio,chepuoffi
seguitareitgia comenciato ragionamento, et anchor puoffi dimostrare dellaltre
cose,con ilsecondo dit to,sicomegia hai fattoquelle prime con il prino,ficomese
fuoledire.cioe coli tanra facondia fortilica,e dechiaratione
chepossonointrareinme bendigefteedechiarateficome f avesse io ben poi mastigare
Horno perdiamo tempo, ma te priego seguita lagia comeciara disputatione. FRONIMO.
Se rebbe bisogno dimolto piu dotro dim e,et anchor sarebbe necessariodino
puoco,ebreue viaggio,m ad i longo tiposo in douere fatiffarealletue humaniffime
petitioni No dimen o pur mifforzaro disatisfare a tequáto porro .Cerraméte
farebbeuilan, eprivodiogniciuilita, feionon efsaudillele gratioseetanchor
honefte addimandedicoluide cuihogia conosciutoperlesueresposte che grandemete desideraebrå
ma deintéderelauerita. Dunque seguiro lagiacomenciata difputatione, eramétaro
quelle cose paionosianoaccómo date aquelloauãtidiceuamo,quáto
imperhociconcedera ilbreue spatiodel uiaggio. Giahauemo detto molte coseet hora
uoglio rispóderea quello tu dicesti cioe che pare nale accozzanole Stregheisiemenelnarrarelecosefatteadeffe
dal Demonio, eparenó fecóuieneno inreferire quelle cose delloro
sceleratogiuoco,ma cheunadiceinunmodo elal t ra in altro modo.I o ti rispondo
che cotesto puo intervenire o dalla
paura o da mancamento di memoria, perche comuna mente fonogroffe de
ingegno,ecôradinedella uilla.Anchor Sepuo cagionare et in col parlea malitia
del demonio il qual inganamano tutto iunmedemo
modo. E questofacilme. te lepuo conoscere nellantichi prestigii, et illusioni.
Concio Siacheeglie altrageneratione dejucătationinello Euflino altra nella
regione Taurica etaltra maniera nella Italia E fében consideraraj conoscerainon
esser fimile totalmen re quella Pharmaceutria di Theocrito aquelladecuipar la VIRGILIO
cioenoii.e-fimilelartede ueneficii et incanta, menti unacon altra. Anchor pareinteruenisseilfimilenel
li oracoli e responsioni. Perche altre erano le resposte date per le femine inspirate
dalli malegni demonij,etaltre erat n o quelle hauute per le aperture e coragini
della terra, et altreanchoraquellecheeranopigliate dallhuomeniper
lifonnii nelli Tempii. HperchealcunidormiuanonelTem piadi Paliphea, elmiedici
Calabresi anchora essihaucano confuetudine, con& Dauni,diriposarsiappodelsepolcrodi
Podalicio, ilquale Podalicio fufigliuolodi Esculapio efueca
cellentejnedico.Anchora emanifefto comesoleuanogia Gece affaipersoneneltempio
diEsculapio. Ilchenon solas mene fuofferuatonellitenipi Heroicim a anchora perinsie
no allaeta di Antonino. De cuiraccontaHerodiano chean doa Pergamo perlanti decta
cagione.Anchoraleggiamo qual mente haueuano consuetudine li oracoli di dare responsioni
per il mezzo di intier estar ue, et anchora per meze zestatue,emediante
anchoralecolombe,ofufferoquelle neriaugellio fussero femine disimile nome non
loro, m a benfoperdetci modireuelaueno lecoseocculte etannon tiaueno quelle
doueano uenire. Anchora assai auttori narrano come erano farte simili cose nella
India per il mezzo del Jalberi, et in Dodone,ficomeracconto Aleffandro Magno,
Erano anchoraaliriliqualisubicamenteintcandolisopraun certo furore narrauano
marauigliore cose. Ecosi ritrouauoni ficoteitietaltrimillimodi, ediuerfiJunodallaltroda
reuela re lisecret, etannonciare le coseda uenire.E come erano di uersespecie
egeneracionidellaugurii,ediuersilimodi del fceleratorico, da manifestare le coseoccoltee
da aluontias rele cosedouéano uenire,cosieranodiuerfi i sacrificiicollir quali
sagrificaueno,eanchora diuerfi'imodi dieffofcelefto prophano,eteffecrando
sagrificio. Anchora erano diuersili incantamenti delli antichi enon manco
sonouarii nella10 ftra eta enon manco sonofatticon altri scelerati coftumie
modi chesoleuanofarequelliantichi Romani. Sononarra tealcunecose dallantico Cacone
nellilibridella agricoltu raditátasciocchezzache retrouansipuochile poffonoleg
gere senza gran riso etischerno.Nondimeno furono imper r hoi scritte DA UNO
UOMO ROMANO, il quale fu censore e triomphatore.
Ma quanto al moto.cioeinchemodo fiano portatedalDemonio,equanto alluogodoue
fono ferma te tunon tidebbi merauegliare. Conciolia che quella cosa che e
conåfuoingegno. bugiardafallace, et inganna terig celi e quella fouentdee
piumodi, ediuatianaturainaquellache c-ueracefeaccostaalla semplicita. E corefto
efaciledauc derein quelle coseche hauemo ramentare,enon manco anchora se puo
conoscerepellifigmenti,e fauole de poeti, comefonola fedariietanchorcótrarii. Etanchefpeffeuol
tequelloferitrovanellenarrate historie. Ilperche fouente seritrovauna
cosascriccainduoietremodi, eta nchorqual che uoltaipiuan o cótrarioallalto, esepurno
seranocorra tii alm a n c o seranno diuerse uarii.lisimile intecujene anche
nelleoppenionide philofophi, enellerefponfionidelli(auii (ureconfolti, e doctoridelleleggicosipontificalicome
imps riali conciolia che se citrouano varieoppenioni circauna medema cosa, Manon
maiimperhoseritrouaquea cofa, nelle (criteurede Theologgi, eccettoche inquelle
cosel e quali sono communi coli alliPocci comealli Philofophi. M a inquelle
cose, le quali propriamente pertengono adeffs
TheologgiciocnellicomandamentideIddio ecosinella! He cose, che pertengono alla fedecatholica,
etaliicoftumi, chefononeceffariiallafalurenoftranon uifaricrouaucig. na
diffenfionem a fono da tutti:narráciedęchiaraticongran deconcordiae consonantia
etinunomedesimomodo.Ve to-e- chel Demonio malegno amicodelladiffenfione, con
come e bugiardo et ingamatore cufi-e.uario,e uerfipelle. accio dicameglio. Ilquale
uocabolo segondoliftudiolid e l la lingua latina e-cauaro kuorida quelle favole
delle quali gia auantipädladimo,per ilcuiinganno diceuanli effertraf murai
Thuomeni nellilupitcoicomeingamaha Pithagora, Empedocle di GIRGENTI, Apollonio
ellaleriantichiPhilofophi disi mile generatione con ilcolore della dottrina, (üpercheula
"Ha coteftilaciuoli,ecotefti modi,colliqualifacilmenteuili quoreua
tenereligari) ecosicomeanchoragia tirauaafe de donneci uole con il mangiar e beuere,
imbriagaree con lila sciui e carnalii piaceri.cosi anche hora tira similmente a
fe, Thuomiciuoli e donniciuole con simili piaceri,liquai c o m e chiaramente
sevede furono sprezzati da moltiPhilofophi. M a quelli Philosophi conduceua conmoldi
modi afarliado es tare cioeoconilcolore della capientia oucto
con lasuperti cionedellafallareligione.Concioliache perhauere e gra. di della
cognitione,e per ottenere la doutrina faceuano esto OrationielaudeuoliHinnialli
Oracoliq uero all Tempo dellifall Dei Per lequali cose gli pareuade impetrare la
cognitione dellecose che doucano uenire,etanchor pareuali
diotteniredicflereportatiperariaindiuersi luoghi.E coj fendofatięquestecose con
loagiuto del Demonio,quellilo attribuuano ad una certa cosa diuua,che pareua
fufli 11€ dettihuomeni.Inchemodo altramente hauerebbonopor furouedeteli discepolidiPichagoraestofuo
precettoredif. putarehoranelTaucominiodi Sicilia erhoranel Metaponto in cosi
puoco spacio di tempo. Per quale via ferebbe camminato per aria Empedocle di
GIRGENTI et anchora in che modo cofi
prestosouradellafactaferebbecorsoAbarc,perilchefuchia maco Acrobares Coluigrandementese
inganna, chicrede, che Apollonio conosce ffeaffai delle cose doueano uenireet
icheluicomidaflealliDemonijetquellilubbedisceno,per paurahauciserodilui Fengeuai
Demonio aftutoemalus gio diessere martoriato da luietanchoradiesseresforzata
accioche sendo quello inescato fottocolore della finta diyi nita, dipoipiu forcemente
seaccoftafse alalere cose etotal mente rouinalenelli peccati. Ilche facilmente,
fel apiace. i puotrai conoscere dal fine che seguicaua.Sforzosi difare
uccidereprimicraméte Pithagora nella seditione,e dipoidi
farlotagliareipezzi.Amazzo Empedocle neluergognolo Iceco lo quale hanea codutto
atantasciocchezza checrede ua dihauereortenuto ladiuinita.Ilperchecidiceuaallícom
pagni qualmente fcdoucuanoalegrare,concioliachenon farebbe piu uomo mortale m a
douentar ebbe Dio immortale. Im per hoc ofifcci ffe quello in greco, maiolo
voglio e mentareinuolgare.Remanetiuiinpace,conciolia che io fono auo i Dio
immortale, e non piu mortale. O che morir con questa morte, quero di quella
decuiscriffe Democrito Troegenio, quando diceva, qualmenteello pendeouaucto
Seeta attaccato ad uno cornale con uno lacciuolo al collo églieda pensare che lipaffali
dicoteftauicaperin&igatio ne super persuasionedel Demonio. Anchora non l
contenu focdiquello inganno, et illusionem, a anche diceua come gia
erapassatalanima fuaperdiuer ficorpicon questepar role grecelequale uolgarmente
lediro cofi.Gia tofuuna Lanciula etun fanciullo. Ecolia lfinefuconduco allamor
le colleuocidelli Demonii,econilfpiandore dellefiaccole ficomeracconta Heraclide.
Forsianchorane conduffiApof lonionelTempiternosupplicio con tanima
insiemecoilcom p o. La quale morte no parech e ha indegni a alli n j aghiet
incantatori. Con cio la che variamente egli e narrata la morte di esso, perche sono
alcuni che dicono come mori in Efeso ultriscriuenochemoriin Creta, et alquanti
alttiuuolero mancale inR hodo.Vero-e-chenon erainpiediilgodose
polcrodiquellonerempidi Philoftraco.Benchefuffyadors toereueritaper Dio daalcuni
stolti e pazzi.ilquale scelera to costume ficomelaltri frodidelDemonio manico
etheb befinefrapuoco spatio di tempo. Cofianchoraporloayenimento di messer
Giesu Christo pero Imperadore di tutto il modo mancarono tutti li oracoli
respofte, edomesticiragio namétideliidolierdelifalfi Dei. Nelliqualierainus luppa.
toe strettamente legato quasi tutto ilmodo.E cofiquello, dquale apercaméte, e publicamente
dauaresposte perliora coli per liIdoli, e per lialtrim o d i hora fcioccamente
parla per le oscure cauerne desiderando lilasciyiecarnalipiaceri, fi quali hora
sono uergognofi cheallhoraallegentierano gloriosi.ltperche fa scritto
quelparlares Dignate Anchisa del Paphio coniugio. Ino solamétefuronoquellilasciin
piaceri gloriofredigrar de reputatione ne tempi eroici, ma anchor nella era di
Alessandro e di Scipione. Alliquali fu attribuito cotefta gloria, che
eranoistimatida molti figlioli di Gioue.E questomolto
maggiormenteemanifeftoperlehistorieche iopossacon Ognidiligentia raccontare
cioe cheera credutoche il Demonjo che sefaceuachiamareGiouein figuradiferpente
hauessehaguto amorosi piaceri con la madre di SCIPIONE, e con Olympiamogliere
delRe Philippo. Et eranoin tantaoscuricadiméte che credeuono fulliGioueDio.Eco
Gin coteftie fimilimoditicauane peccatiquelli che erano la f c i u i libidinosi
e carnali, meschiando li impe r h o anchora ce ii qualche colore di
supexftnione. Anchor cofiineleng aquelli, liqualidefiderauenoebrammauenola
gloria, et eccellencia dellihonori mondani, li qualitendo fralimortali jeshauédo
proirontiatilecosedauenireper la conuerfaçione, familia cicacontinuahaueano
hauuto colli Demoni anchora fimile méte dopo lamorce
pronosticaueno.Ilperchefauolefcame tenarraflidiOrpheo comesendouiuofu riputaco
profeta. et dipoisendo morto fedice comedaua anchor resposte. È dicefle anchor qual
mentesendolitagliatoilcapo,dalledon ne Theeffe,ando effocapone lLelbono;etiuihabito
in una spauente uole ruppe uaticinando edandarefpoufioni
perliIpiracolietaperturedella terra .Portauanoanchora in yoltali oracoli di Amphiarale
diAmphilochouanie diuina torifendo anchee gliuiuietil simile fecero doppo la morte,
Ilche forsi grandemente defidero Empedocle quidouuol. Fiefferciputato Dio
immortale.Fauolosamente anchorrac contano
comeeffercitayanolamiliciaelaguerraliReggi doppolamorte efaceuano battaglia, ecombatteuanoa
cheandauanoacacciarelianimali,e luccellietcayalcauay
poficomenarrauanodiRhefoRedi Traciachecaualca, uain Rhodope. Oltradiciodiceuano
comenosolamente fc eccicauano,etferappresentauenoleanimede quelli con lopra delli
cerchii,edellisagrificiiramétatida Homero,m a anchora
spontaneamente,econalcunipattiinquelmodo, ficomeseriue Philoftrato,leappresentarsiAchillealTianeo,
etal Vinicore Protesilao,collaltri Capicanii fecero baccaglia co Priamo.Vero eche
lafaccia juoltiicoftumi,eliatti,ege Aidequelli, perchefonodialtra maniera
emolto diuerfi,e Yariida quelli chesonoiscrittida Homero eperchesonoan chor
diffimilidaquellichenarrano lhistoriedi Darete Phri gio edi Ditto Cretese teinsegnanoquantosianolijnganoi
delli Demoni elebugie che hanno poftonella cognitione etanchorti dimostrano li noceuoli
deliramenitie pazziem e fchiatecollibuonicoftumi. Perilcheseil Demonio hauccel
laioebeffato, etingannato perquestimodi quegliliqualise iftimauerosauiiedotti
credendo lecose contrarie e totalmente da l ragione discoste quale ci la cagion
ce h e t anto grandemente tuti marauegli diudi teze diuedere molte co feuarie, diuerfe
collipiedilaconfegratahoftia.E cosiinquestomodo comanda quello fceleratonemico
deIddioachiunqueuuo leentrarenellasua profana, maledetta, eperfidecópagnia, che
abbandonino, preggino,etischetniscanolanoftra fan: ciffimareligione Chriftiana.
Imperho non si puoaccozzare ne conuenire insiemelabugiaefalsitacon
laueritanellete n e bre et oscurisa con la luce ne anchor la fuperftitione con
la religione. Io credo ilmio Apistio, che hormaitutifiaaffaj certificato e
chiarico cosipian pian caminando di quello decuihauemocóferitoe disputato et anchordi
quellodel qualemi addmandasti. Deh pertuafedeuediuedicola la Strega, che e agrandi
ragionaméti con il dotto Dicafto, nel portico avanti del sagrato tempio.
APISTIO. Diovi fa lui. DICASTO. Siatie benuenuti checosa ci e dinuouoil
no sciocchee pazze econtrarielunadellakira nelle Streghe denoftritempirM
a anzi maggiormente cu tidebbi merauigliarediquella eccellentesapientiaepoffan
za di Chrifto, laqualetalmérehaoperato che quello hauca persuaduto il Demonio
malegno eperuerfo inanti lo auek nimento di esso a tantiReggi,Oratorie
Philofophi delle genti,ficomecosaeccellente emolto meracigliosa edegna dogni
sapientia hora a pena ilpoffa perfuadere ad alcuni huomiciuoli e
donniciuolecioeche lo adorano loreuerisco Do Ihonorano, efacjono quellecosecheglicomandae
cos fiperqueftomodotu odebbe macauegliare che quello che giaerafatropublicamenteintuttoilmondo,etfratutte
le generationi sicomecosa honoreuole e gloriosa che hora H a fatta nelli
picciolie Atretti canto n i da puochi secretamente, e con ignominia e vergogna.
Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria frale altricioeche
glie, tanto fodo, fermo, eftabil e il fondaniento della triomphante fede de
Chrifto chenon uvole ilDemonio peruerfo emalegno niuadino alle sue fcelerate
congregarioni, eradunamenti, neanchorauuole che conuersino con luile
Streghe,fepris manop renegano la santiffima fede diChrifto,e Spreggiar
nolisagramemidellasagrosantaRomana Chiesa,econcul cano Kro Apiftio
APISTIO. Loaddimandamo ate. Conciolig che Fronimo noftro erio ftamo venuti quiaccio
udiama imperhosettipiace. Heime doue fon giuntai DICASTO.Non hauer paura M a
ftapurdibaona uoglia e parla senz auerunpauéto. E nodubitaredi meconiciofia che
iotiseruaroquátotihopromeffo ciocche'nóseraimar toriata feliberamente
manifeftarai iurre letue maluagic opere lequalinonpoffonopioefferpalcofte, perchegia
ho liteftimonij cometuseiindettoerroreepeccato etanchot fulhai cófeffato fi comeiográdemenre
desiderauo.. Deh heime. Gia lho detto. Per qualecagionedonque m
itormentatidiuolerloanchoraunaltrauolrahora inten; dere? DICASTO,Perche e
bisogno diritornarlo a confef faren o n solamente inantidi duoiu e r ditre
teftimoniim s anchoraauantidipiu etalfineanchedavantidituttoilpo polo
fedesideridiIchifare la pena tassata dalle leggi e a voi che setidi
questa'maledetta compagnia,per tantifacrilegii, et ā refc e le ra te opere che
uoi facte. Vero e che gia hiame promessodi faretutto quellocheticomandaro,et10teho
promesso seruando tu le promiffio niantidectedinon confo gnartinellemani
delGiudice il quale in contanentetifareb b e brugiare cosi sendoli c o m a
ndato dalle leggie. Hor a noir tic o m a n d o altro eccetro che tu ramêti
unálıca uolta quelle cose che tu hai fat rco o l i demonii nel giuoco o s t a
nel corso come fedice uolgarmente.O maladerco giuo co, O giuocoin felicepme,
mala fortemia. DICASTO. Nonbisognanohoralagrime,non piantine anche gridi. Deh
perquellahumanitaetgentilezzachein uoi leritroua,priegouinon mi uogliateperhora
piu darmi faftidio.M a fiaticontentidi concedermiun puoco fpatio di tempo,etun
puoco diriposo narta tanto chemiramentiiltutto
ecolidipoiuinarraroognicosa chehofatto: DICASTO. Piacédouigli
cöcedero,quellochele piace,etaddimanda. Conciosia chepoiraccotarajl
tuttoconmegliore animo, conpiuageuoleuoce, seespettaremoadintrarenelliragia
namenti perinfinoadomanc.Doue haueromolto ápiace re,felno uifera graue
uiritrouiaci presenti. APISTIO.NO parui Pauigraueaquellihuomeni
desiderosididottrinadiparz cicledesuoipaesia andarperinfinoaGnosocittadiCreta
allaspeluncae tempio di Gioue perudire le leggi ualiee di Puiocomomento di
Minoffe,ediLicurgo,etferaame dun que faftiddioi caminareunmiglio,accioimparqiuellecose
lequalinfeo sonovere, almancopaionouerifimilipladispu tatione di Fronimor
FRONIMO. Hora mi callegromolto perchetiucdotantoiftimareiionm e nialauerita,
puran choraseben nolhai certa cu faialmaco contodellafupility dinediefi. IIperchenoseraanchorame
grauedicitornare quidalnostroCaftelloperessercitiodelcorpo. DICASTO
Cofi.dunqucretornareridanoi,etioue aspettaro con gran difio, Andatidunqueinpace,E
tu guardianodellacarcere ritorna colala Strega,etu Strega pensa benil turco,
accio il polli ordinatamente, efenzauerusiabugianarrare. &c DICASTO. O
fiatreeben uenuti.Atempo fecigiúti,con Icioliachehorahoraseracondutto
fuoridella pregione laStrega esecamenataauktidinoi. APISTIO. martoriare quel
lachegiahacófeffatorAPIST.Deh buonadónano-e-ita to portato quiuerunacosa da
sormérarti Vero e cheFroni moetio Gamouenutiquiso lamétcp uedertietudirtietan
chor p aiutarti quáto potremo. FRON.In Heritacosi-e c o m e ha detto Apifio.STR,Deh
quäto grauemetemi mars torianocotestemanettediferro, ecotefinodiegroppidelle
legatureDeh cheioho pauran o mi siendatimaggiori tor menti. FRON. TipriegoDicafto,comanda
chelasciolta. DICAST O. I o son cöteto.O caualiere supresto sciogliela. Hormai
cominciaro'un Ecco coco che e-menata legata. Eime,cime.Inquestomodo ferua
sile promissioni Pe r qual cagione u uoleti poco diripigliar lispiriti
DICASTO. Sta purdibuonauogliaperchetipromettodi non mancare in ueruna
cosa di quello ti ho promesso o u t chetuserualepromiffionididireiluero
senzabugia edi narrareognicosaa punto diquelloferaiinterrogara.Siche racconta
iltuttointeramente. Vi prometta di feruarequello cheajho promesso liberamétefenzaalcuna
menzogna.DICASTO.Dunque comeciadinarrarequel lecoselequalilaltro giorno,etalichorahierifuiltardoam
e folo cöfeffaftiscriuendoleilNotaio.Seuoilerar mencarete,elereducerete
amemoria, colleuoftré intercon gationirefponderocon quelordine, cheuoreti.DICASTO
AddimadatiuoiApiftioe Fronimo, concótentolepofsetiin terrogare cóciolia che hoggi
farauoltroquestospettacolo, cotesta impresa.Ma eglie be uero che
uoglio'effecuipresente acciola ammonisca leusciffefuoridellacarreggiataçlıcome
fifuole dire cheritorniallauiadrita. APISTIO.Hor luStrega dimmi anda ftima i al
giuoco di Diana o u crodi Herodiade r Si
sono bene andata al giuoco m a chel fia o diDianao diHerodiadenon
il-fo.Conciosia chepia non houditoramentare quelligiuochi. FRONIMO.Gia tedif
Sibieri Apistio come il Demonio ingannava i uomini in diversi modi. Il perche
in queltempo, nelquale era adorata Diana dalle genti, et era molto honorato e
glorioso iln o medi quella pe r ilmondo, pare ua una eccellente cosa di poter
uiessere annouerato fra le compagne di effa Diana. Benche
inpechofufferodetteuergininondimento eranochiamare Nimphe cioespore, eco filepiaceuadieffere
addimandate fpose, ma maggiormemte le aggradi valo effetto et opra, ben che non
fuffecercatacon legitimorito,ecostume.Concia. siache erano iui continuiftupriet
adulterii. Perilche serie ue Homero nellisuoiuerfifouentequella colgata sentens
tia, Nella mefchiaraamicitia. Imperho fauolescamentedi cano comely Dei
falsioueroquelli antichi Baconi ebbero
amorosipiacericonlacompagniadiDiana,ouero diunal traNimpha, odiNapea
odiOreade,odiDriadeFengrua noefferleNapeeleDee dellefelue, dellicolliemonticelli,
dellifiori, ficomediceuano esserele Orcade Nimphe delli monici I
monni,ele Driade Nimphedelli alberi, Anchora credeuang li
Gentili,etilgozzouolgo,chefufferoinamoracęleN i m phe Marineedellifiumi E.
Colifouenceleggerai di Cirene Leucotheafintadallantichieffecla Dea
Matutacioelauro ta chiamata Dea marina p che era so u r astā r cakc e m po
maismino Et anchor ritrouacaiscrittodiCimgdecene cioediquel laDea,laquale
faceua acque care le onde marinesche, secondo le loro fauole, nomanco uederai
iscritto molte cose del laltrefinte Dee odelmare,odellifiumi.E percheglipareua
efleremolto piu sicuro diconuersareperlim o n i,che som mergersi nellonde
delacque etanchorpareuaeffercosa pia aggradeuole.dimitromettersinelle
cacciagionidiDiana,che inuilupparfinelliprocellosiflutidi Tritono enelleondema
rinesche, in per ho maggiormente se deleitarono nel giuoco di Diana, ene
balliesalci di quella ficome cosepiuaggrade uoli, gioconde,e piaceuoli.Anchora
tico dapoi molti altri conlusin ghe uoli modi sottolafiguradi HerodiadeIdumea
la quale grandementesedeletrauanelli Colazzeuoliecraftu. Fattamentionedicotefto
giuoco di Diana, ouerdiHerodia de belle leggi e decreti de Ponteficidouifiramécanoleleg.
gifuronocófermateper ilConcilio.Nelqualfu fatto quello ftatuto, che si dove f
feros cacciare le maghe et incantatrici. FRONIMO.Deh
ptoafededimmiDicafto,iltimitueffere cotefto quel medemo giuocode
cuinefattomemoria juic DICASTO. lote dito ilmio Fronimo.Sono uarieoppenio
nidiquestacosa, conciosiachesonoalcuni,chedicodnoe 6, etsonoaltriche uuoleno
siauna noua heresia. FRONIMO Dirolamiafancasia. Iocredo che quelloinparcefiaantico
etinpartenuouo, cioenuouo quantoalle nuouefuperftitio niceerimonie
iuihorsaesatino, ficometudicefti,parlando da Philosopho, chelfüfliantico quáto
allaesseruia,etsiuouq quanto alliaccidenti. DICASTO.Ben ben Fronimo, cerca
mente tuhaiiniaginatouna eccelletedistintione;conlaqua keaffaicofefescioråno che
hanno dependentiada quelluo 8o, dacuihannopigliaioalcunigrande occasione
dierrore Iftimadochecotestedonnuzzesianosempreportatealgiuo . RAZO.
BIBLIOTECA EMANUELE LOORIO ) ff co solamente con la fantasia enoni con
ilcorpo. APISTIO. I Dunque ruistimiche le Streghe F a n o sempre strafferrite e
portatealgiuococon ilcorpo DICASTO. Nonfongiadi quefta oppenione che sempre
fano portate cola al giuoco con il corpo, perche alcuna volta fono fus eri
trouate pc oca le modo accostato foura di un travo cn tanto profondo sono
chenofemiuanocosaalcuna benchefufferofortemērebuf sate, etelle di poi crede uono
di effer state portatealgiuoco, é nondimenoeranojui. Anchora
altreuoltesonostateuedo tefralegambe de aleurie,efra lecoscie,esserui delle
feope feratecon tanta fermezza chen o sepuoreuano cauare fuori rida che fouente
sono portare al giuoco e con ilcorpo e con lanima,et altre uolte pur credendo
di efferportateinquelmodo,folamentesono iuipresentecon
lafaritafiaetimaginatione: DICASTO. Eglie alcunauolr ta preftigiodelDemonio
ouerofalsademostrationeetuna aftura delusione etaltreuolte efecondo che uoglionolestre
ghe.Imiricordodihauerelettonellilibridifrate Artigo,e difrate Giacobo ThodeschiMaeftriinTheologia
dellordia ne de frati Predicatori,qualmenteeglienarraro diunaftee, ga
laquale pensitu occorca questo
quellechedormiuano,collequalecofe credeuanoeffe dieffereportate al
giuoco. APISTIO.Per qualcagione pafsaua quellispatiiintuttiduoi e modi fecon.
do che le piaceua,cioe con ilcorpo uigilando etanchor (per fe uolte folamēre
con lafantasiacioe quâdo le rincresceua i uiaggio. Il perche allhora fedendonelletto
ethauedodetto alcune diaboliche parole, regli rappresentavano tutte le com e!
del giuocoi una uerdanuvola etoscuracome lacqua det mare ficomeuifufferorealmentestatepresente.
FRONTIMO. Che cosa responderefti alliaduerfarii. DICASTO. Primieramente
cosiglirispondereicheiomi maraueglio come uoglia nomisurare tuttilimodidellisacrileggidelle
fuperftitioni edelle magiche uanitadi,con uno folom o d o delviaggio
alcunauoltaferuatoinunaregioneepaesedel mondo dauna certafcelefte compagnia didonne
profane e rubelle dinostrafede ecosivoglianoiftéderequestacosa.
atuttelepartidelmodo.Et anchordireiche pěsanoforfidi Capere scrittore di
maggio te autorita dicoluilo racconta.Conciosa che fano aflaicore da Gratiano altrimente
iscritteeri volte, enarraremolto di nerfeda quelle chefuronopublicate
nellicöcilii,edallion teficiIperche credoche coteftafussiuna cagione fralaltre
perlaqualeironfußlipercoralmodo approuatalacompilaa tione del Decreto daluifatta,
dalliVenerabiliPadri della cose cheseucdeano in quella regione,lequale sonod a
n nate peril Concilio. Non dimeno se fanno imperho affat core
dellequalinonseleggefufferofattejui I fapere táto che glipäre di potere
coftrēģere tampiao fánza del Demono, laqualehebbedalprincipiodellasuacrea
tioneinunomoriario. Dipoianchoradireichecostoronon polionopatire che siaispofto
quelcestodellalegge co ilgiu diciode altrui, liqualicertameresonodi maggiore
dottrina acciachecauano fuoriquelle egiudicio,dieffi, coselequali pertegono
allanatura,da quellechesonopertinentiallafe de catholica.Anchorfefforzatiodi
dimoftrarelaperiamente cfenza uergogna chenon siaquellacosa,laqualenó poffor n
o negare chenon sipossa fare etanchorache non siafatta qualcheuolta,eccetto
senonlauuolenonegarecon suagiá de profomprione,etignominiacioe negando le
migliara deteftimonii. Mafotlianchoruno dimaggioranimodime direbbediuuoler
uedereun piufedele effempio delle leggi del Concilioche fuffiramentato da un
Chiefa, che fullofferuatainuece di leggi e dalla quale non fuffilicitoauerunodi
appellare.Horlupuranchoragliuud côcederequelloche diconom a consideraben
cheglisiaan choraferratolaboccaad effraduerfarii con la tua ottima di Aintione,
ficomeam e pare erinueroegliecos. Perlaquale facilmentefepuo
conoscere,qualmente ilcorso ofiailgiuo co dicotefte donniciuole ethuomiciuoline
conuiene in parte con quello giuoco, etinparte euarioe diuerfo da quello.Conciosiache
nonse dice quichese creda Diana effere Deadelli Pagni,neanchoraseuedonoquiui
quelle che sono pur impercio communi colle altri fuperftitionidelliGentili
Pagani, etanchorafansiaffai schernieuituperiode Dio,c 2 et ola i bialimeuoliofferuationqi,
uariiritiemaladettichefonofino insegnatidallimalignifpiritie Demonii a
questimiferih u o miciuolie donniciuole licomenellidannariunguéti da un
gerfi,nella deletratione difpargere ilsangue innocente del lifanciullininella
offeruationedelcerchio, nellimagichijn cantamenti nellaltri molti diabolici maleficii,
eneluiaggio) e discorso grande per lari a con il corpo. Colui che e galse, che il Demonio non puotesse maggiormente
mouere licor, pi, chenó poffono ruicilhuomeniinsieme, parládoimperho,
naturalmente, equanto alli prencipii naturalidiciascunodia
effiiopenso,cheferebbedaefferreprouatoedánatocome Heretico, perchediceilfan&iffimolobbo
chenonepoffan, zafouradellaterrada egualare a quella del Demonio. Ants
choraritrouianoneluangelioqualmente fu portato Miffera Giesu Christo noftrosignordalDomoniosouradelMonte
eranche foura delpinnacolodel Tempio.E tenuto indubin tabilmėteuero dalli
Theologgi c o m efonoubbedienti cugi licorpi allefortarize separate o fiano
alli spiriti ispogliati del corpo, quáto perteneimperhoalmouereda luogoaluogo,
ecoli effifpiritinaturalmentelepuonomouere afuopiacess te purnon sianoimpediti
daIddio prima causa di tuttele creature ecosi quefta euna
disputationedellalegge natu rale cioefe poffonolispiritiignudie
priuidimatermiao u e te licorpilo no,m a chesianoportatida luogoa luogo
questihuomenicdonne inucritae senza menzogta,eglie, dispurationedel fatto cioe
fecost-e-ueramenteIlperchetu debbisapere chgeuadore-certo che le possa fare una
cola e chetuuuoiintéderedapoieconoscerelee -fattaofefaci, i nólefacialtrimëreno
lopuotraiintendereeccettocheper
boccadelliteftimonii,ochelhauerannoeffifatto,oueroIba ueranno veduto coli
essere; overo l h ayerano udito d aquelli che l’averano fatto che feranostatoueriet
certie fidelihuo meni.E cosihora quanto apertene a noi cioeche siano por:
tatialmaledetto giuoco, queftirebelliidnoftra fantiflima fede, Ma ve m o
fermoechiaro eper cofa indubitabile peril mezzo de gran numero di testimonii,
liqualilhannomolto largamente narrato. FRONIMO. Non /ermaraueglia se
quelli ghellisciocchezzanoinan tefto, cociofiachecoficompren dono
laueritacollialtri. I]perche ficomeilgloriosoIddione wahe ilben dalmale
cofilhuomenidimalo animo,edima laopeniojie, sefforzanodicauareilmale
dalbene.Écolipa rimente perla malignita dellicatriui huomeni sonoftateca uate
tuttele Hereniedallesagre litterenonperdifettoecol pa dieflifa gratissimilibri,
efantissime littere, ma per la per uerfamalitiadellhuomeni.APISTIO.Deh peramore
de Iddio aipriegononuogliateinterromperelemie interrogazioni. Benche gia abbia
deliberato de interrogar u i poi de dettecore purnon parehorailtempo,fiche ui
priegonon m i datiadeffo noglia m a laffatimi seguitare. DICASTO. Tu hai
ragioneilnostroApiftio,Seguitapur oltreer addis manda aleiquellochetipiace.
APISTIO.Su Stregadimy m i, Andavi tua l giuoco con l anima insieme con il corpo,
o s pur con uno senza laleros Viandaga e con lanimae con ilcorpoinsieme.
APISTIO. Come e chiamato quefto. uoftrogiuocor'Eglie chiamato dallinoftriCom,
pagni il giuoco della Donna. APISTI. Inchemodoane d a ui tu col a r Deh c
h e nogli andava, ma ben gli era portata. APISTIO. Conchecofa: Con una
Gramicadacascetareil Lino. APISTIO. Comefiapoffibi lequesto
chesiaportataquella, non la portandoueruno Má beneraportatadalmio amoroso.
APISTIO. Chi-e-coftui Ludovigo. APISTIO. Eglieforsiunoqualchehuomocosichiamato
Nonhuomono,ma il Demonio, che se presencaua in for ma dihuomo,loqualecredeuofuffiDia
ĀPISTIO. Mima raueglio assai certamenteche il demonio ingannatore del
Ihuominihabbipigliato questo nome de Chriftiani. FRONIMO.T u si marauegli che
colui habbia pigliato quelto nome
deriuatodalliGentiliePagani,ilqualefefuoletraffi, gurare nello Angiolo della
luce. APISTIO. Tudici molto gagliardamente cheegliederiuatodalliGentili.
FRONIMO. Anchoraildicoche ederiuatodalliGentili.Concio
wachenonmairetrouaraiinueruno luogone inGrecone ipLatino osiacon efsempio, ocon
origine (senonme ingå noimperho)dondefiaderiuato.Vero e che mi ricordo di
avere letto solamente ne Commentarii di GIULIO CESARE r Litavico, da cuidipoiun
puoco-e.ftatopiegatoerecorto nella lengua franciefaer-e-detto Luilo
eriuoltatoanchor poi nella lingua del Lazio, e scritto Lodovico dovi quello se
referrisée. APISTIO. Nonuogliopiuoltrediqueftacofadisputare,
maggiormeieperhora,percheho deliberatoinqucho tempo divuolerragionare con
questanoftra Strega. FRONIMO.IlmioApiftio, hodettoquelloame pare, sempreim) per
hoapparecchiatodiudireleoppenionidepiudottiepia prudentidime. APISTIO.Non
piu.HorfSutrega.dehnó cisia molesdto i scoprire ameinteramentelicuoilasciui pia
ceti. STREGA. Dimmi de checosahaitudelideriode ing. Tédereç. APISTIO.
Pareuaateunohuomo queftoruoamor roso: STREGA.Sipareuahuomoi tuttelemembrá cecet
tochenepiedi.Liqualisemprepareuano piedidiOcchari uoltati a dietro e riuerfatip
e r cotal modo ch e era riuolto'm dietro quellosuoleesseredauanti. APISTIO.Per
quale ca gionecredituDicafto chefinga,ilDemonio tuttelaltrem e bra dahuomo
elipiedidaOcchasDICASTO. Setulegt geraituttiliproceflidicotefte Streghefatti
dalliInquisito titu ritrouaraiinefliqualmente il Diavolo osia il Demo nio,o
periluoglichiamare Saranaqffuo,a n d o secangiain cffigiadi huomo, sempre
apparecontuttele membrada huomo, eccetto checollipiedi. Dilche inueritatidico
cheso uentemenesonomoltomarauigliato ecoliframe hopen fato che forfi q u e f t
a e la ragione. C i o e che Iddio nó per mes techeelloisprima, e
fingatuttalauerafimilitudinedellbuo mo, acciononingannieslohuomo conlaeffigia humana.
E la ragione per che nó hafimiliipiediallaltriniembradel ta finta EFFIGIA de
llhuomo credo possaessereperche-e-con fueto
diefferelignificatoperipiedinellimisticiparlaridella fcrittura leaffertionie
desiderose uoglieet imperho gli pore tariuoltiadietro.cioe cheha
lisuoidefideriisemprecontra de Iddio eriuoluicontro delbenfare. Ma
perchecagione piu prefto ha u voluto fingere li piedi de Occa che daltro animale io confesso
chiaramente di non sapere,ccettofelnoix 1 ui
fuffi ulfuflequalchenascostaproprietanelloccha,la qualsee poi feffe
ageuolmente adaptareallamalitia.Ve r o -e-che hora nonm i arricordodihauereuedutoin
Ariftotele che siaftai M offeruatafimile cofa da quello,m a anzipiu presto
dice; che-e-quella generatione di uccelli molto uergognosa,fe ben miramento.
FRONIMO. Diro dua parole Dicafto. Puorrebbeessere anchorachelnoftronimico
hauelliuolu to anchoraspargerealcune occolte reliquie della antiqua
Superftitione delli Genrili.A cuieranogiafagcificateleocche
fotroilfallofimulacroe fintaimaginede Inacho ede Ina chide. Jlperchecosileggiamoin
Ovidio. se Ne giova il Capiroglio per 'w a Occa - exftat o,
$11.Turo,chelfeganon dia Inacho in lance Ma sicomeuuoleno altricofifedebbe dire
Inachide ioilfeganon traggiin piattor Dice PLINIO come
eraconsuetudinedipresentareilfigato dellocchaadInachoDiodelloArgiuo fiume. Ilqualeuccel
bo dilettaflimolto di praticare perleacque. Ma che fuflifa. grisicatoad
Inachide parqueltofacilmenteseproua, cong cioliachefeuedeperlebiftorie di
Herodoto comehauea. nouranzaliSacerdotidelliEgipriidimangiarelecarnidel le
ocche, et era i ui rece r i ca et adorata con grande superstiztione Isia cioe
Diana.Anchora-emoltopiufaggiala Occa. chenon-e il Caneri comediceello et
chefacilmentecomo pe c o n meravigliosi modi il silentio della n o t t e e
conturba il teporo. AllaqualenottecredeuantoefferefourastanteDia
na.IlpercheforsipigliailDemonio la figura delli piedidi
coreftouccello,peruuoler dareadintenderallisuoiprofani escelerati seruitori di questa
riaemaluagiacompagniache debbiano seguitarequellouccelloin ftareuigilanti,enon
dormirecome quellofa ilquale eruigilanteedipuocofone no, e quando,etpigliare
piaceri,equel tempo cósumarlo nellisceleratiediabolicigiuochi.Anchor racconta sappodalcuniscrittoricome
egliequalcheparte di detto aagello bisogna farelaguardaemoltopreuifta
enon dorme etcofidebbono efferquelliche uanoalgiuococioe essereuigilanti et
ftarefuegliati che prouocaeteccitalefeminea libidines Puo essere
anchesegnodequalche occolto,epazzescoamo te,conciosia che fernroga iscritto
qualnienceb rammaro n g leOcche dipigliarelasciui piaceri con
altragenerationede animali.IlpercheritrouiamoscrittodaPlinio,comeseina?
morarono le ocche di Oleno fanciullo di Argo, e di Glauco sonatore di Cetra del
Re Ptolomeo.Ma egliebenueroche credo chemalefeacicor daffePlinioinquestoluogo,Cócio
fia che quello fanciullon ó b ebb e nome Oleno, ma Amphi loco della patria Oleno
ficomeramienta Theophraftonelli broamatorio.E non
fuquellacosacoralmentefuoridiragio ne, perchegiafurono annoueratele
palmedellipiedi delle Ocche fra le delette uolietaggradeuoliuiuandedellameo
fa.E penso per quefte de efferesignificatole pretiofiflime ui uáde
elaggradeuolicibidella Delia mensa,cioedellamen sadel Sole, cheeranoperlaloroeccellentiadamettere
auã tiruttiquellicibicheerano dellamensa del Sole di Ethio pia.Nellaquale non
se legge;ui fuffero posti soura de effa. Auanti li conuitati, lipiedidelleOcche,conciosiacheanchor
nonhauea penfato Meffalino Cocta,didoverliarrostire.Par ionoa m e
cotestecosemolto piua proposto che quello dicono alcum i, cio e che le ocche
abbiano prudenza perche se narra che domesticamente conversaveno nelli bagnic
on Lascido Philosopho, Il perche io istimo chequestomodo dicon
uerfationcedibeneuolentia, piupreftofuffifimilea quello, con il quale
conuersaua Aiace L o cres e con il dragone. E cosi anchora penso non fuffi molto
discosto daquesta cosa, quel la familiare uoce, la quale udiua
Socrate,etanchora iftimo fuflimolto similequellaltrauoceper laquale diuinaua
leca seoccolteetannotiaua quelledauenire Atridea Laomea
dontiade,sicomenarranoquelli Versi, fccitcida Orpheo con iltitolo
dellepietre,ficome sedice. Non -e-anche total 'mente
discostodaogniragioneloproprietadellanaturadi questo uccello,quäto alla
uelocita del caminare che fanno nel uiaggio,laquale uelocita e'molto fimile a
quella del giuocodelleStreghe.Ilperchenonretrouiamochefulsigia maiuerunoaugello
ilquale faceffeapieditantolongouiag gio, quantoleOccheLequali uenerodalli Morini
lipopoli ( cioedal etancho fa da CICERONE il quale non era ueduto daalcroeccettoche
dalai. DICASTO.Nonsolamente qucftointeruieneinuc de relispetta colietfinte imagini
del Demonio m a anchors nelliprodigiietapparitionidiuine,cioeche quellecosesono
alcunauoltadapupchịuedute.Et dimoftrate siano acciolas Gli altri solamente
ioramentato di quell u m e che era soura delcapodifantoMartinozilquale fuueduto
dapuochifico me narraSeueroSulpitio et anchorpurdirbediquelaltro
lumecheilluminaua Ambrogio chi padaua, loqualso Jamérévedeua Paulino. Ma che queltaimaginedel
Demonio, solamente liqueduta dalla strega, i o diro la mia oppe li popoli
Belgiciche sonoliultimidellhuomeni,licomedice Plinio,etcaminarono
colliproprijpiediperinfinoaR o m a APISTIO.Dimini Strega, Dimoftrauelo mai
altrafornia delli piedi,quando ueniua da te,eccetto chedi Occa. NO
maidiniostroe alıcamente. APISTIQ. In chemodo ueniualodates Alcunauoltaaddima
datodame etanchefouentedaseisteffo.APISTIO.Neue ni y amo sempre in FORMA DI
UOMO. Si sempre fedimostrayain effigiadi uomo quando pigliauaamorosi
piacecimeco, APISTIO. Q quegliconuna rugosa egia grinzafemina Eie me Eime, Oime
Oime. DICASTO. Di che hai tu paura Chi e quello che cifpaventa Vedetile, uedetile
DIGAS. Doui,douir. Colti, cofti,almuro alm u to.DICASTO. Informadecui?Di
Passece. DICASTO. Dehbémicati comehorahapigliatolaeffigia diun molto libidinoso
aụgello non contrasio alcagioname codellamiala femina,laquale fouerchja
conlasua infaçiabir lecifrenatauogliaturcisimoftridellafozza libidite. APIE
STIO. Hoquantomimaraueglio chenonsiaverundinoi, cheuediquestafintaPafferă
eccecto,chiella.DICASTO. Ben iopoffomirare,m a gianonlapoffo yedete,e cosipara
menon siauérundiuoichelaueda.APISTIO.O certame marauigliolacosa. FRONIMO.Deh
uedetiinchemodo semarauegliailnostro Apistio.Matunonsimaraueglidello anellodi GigeLidiopaftore,ramétato
daPlatone, che piaceri yuoreuano eßerç gg 0 el 70CO21 el al di no del Tagnione,
lo penso posla interuenire questofacilmereperlami citia,egrande
familiaritahacon quello. E cosioccorre per janridettafamiliaritache-e portata efanellamantocioein
quellocherätoamanonsolamente conliocchima anchor confla poffanıza imaginaria. E
t anchora ilconosce e distize guedallialtci uccellietanimali, quandoseglirappresenta,
ineffigiadiquegli, sicomehoudicoda effa,percheleparë una fiammaardente
glijmpinganelpetro,ilcheno leinter nienenelscontrodellialtrianimali. Giafolio
tregiorniche raccontotuttaspauentata dihauere uedutolantidettofuo amoroso
informadiunatortuofaserpecjuolainmododi un cerchio. FRONIMO.Cosi haitu letto
Apiftio,qualmen te apparelli il Demoni o alliGentilii n effigia diserpe,et ant
chorainfimilitudinediaugelli.Nontiricordidihauerueda tonellilibricome
guidarcizoli Corui Alessandroallo Orae culo e Tempio di Hamone, doui,egliandauas
APISTIO. Siholetto etanchorahorixouato,(febenmiricordo)com me
fecerolimileufficiopur ancheli Dragoni.FRONIMO, Chenedicudiquestecosemarauigliore?
Non istimie f u c h e f uffero quel l i li demonii im a l u a g i i, in forma di
Corui t Etanchor non creditu fuffero fimilmente liDemonii quel l i d uoi
Coruianno vera t i fra le grandi marayeglie da Ariftotele, chestavanoin
CariacircailTempio di Gioues D u n g perchetantonimarauegli conciolia
cheritrouiamoinPli nio come fufle usanza diuscire fuoridella bocca diAci ftea Proconesiolauaga
anima di Hermolimo Glazomeno in fimileeffigiade Corui. De cuisediceua
fauolofamence chiquellafullanimadieffo,non datuttiuedutam a Sola: mente
daalcunihuomeni. Mamancotutimarauegliaretti se tu fapefliquello
che-e-raccontato da Ariftotele et anchor dapiualtriscrittori,diquellohuomo
Thalio.APIST.Deb pertu a cortesi a ra conta quello g l i i nterueniffe. FROGN
l. i interueneuache gliandauainantie dietro laboccaunalimi le figura, laqualenon
era ueduta dalla leci huomeni. APIST. Dunqu e senza leggerezzadianimofepuo
crederéaleuna uolta che quelli muoiono, fi comedi conoalcupniorkojjoue
derelibuoniereifpiritinelliassumpticorpiliqualinon fon ueduci geduti dallaltri&
FRONIMO. Ofi fi,questa-e-cosacerta. Conciofia che e creduto questo a tanti
prodi,et eccellenti huomeni,liqualinarranocotefto etanchoraeglieda molti dotti
authori suco scritto. APISTIO. D i m m i buona donna, feļanchora parritala
paura,che haueuis . Si ben feparte.coliperiluoftroragionare,come anchoraperlauo
ftraprefentia. APISTIO. pEoflibile chetuhaggicançapau ra del tuo amorosos Qime.
Gia non lo temeus, M a dipoiche sono condutta nella prigione,et haggio con: tra
suauogliaconfeffato linoftrilasciuipiaceri,grandemen te, etoltrodiquellofiapoffibilediraccontaremi
spauéta. E qualche uolca se fermaaquellousciuolodellaprigione,eta quella
feneftrella, reprehendomiedimoftrandosi molto for teturbatocomeco. Edipoimiprometteogniagiutorioper
cauarmifuoridi quiui,purche ioftiaquerae tacciperloaue
nire,epianoconfeffiuerunacosama anzinieghiquelloche gia ho confeffato.APISTIO.
T e spauentauelom a i quando tuandauialgiuocor
No certamente.APIŞTIO Andauicu quiui ogni giorno,o pur inqualche tempo
deteira minato:.Viandauanella secondanotre dopod giorno dal Sabbato, edipoida
quindi nellaquarta notte, cioe'nellanottedel Lune e della Zobia. APISTIO.Glian
daftimaidigiorno: Nomai.FRONIMO. De quindi sipuo anchorconoscere lereliquie
dellamica super Aicione,fetutiramentarailj ululatiuoci.egrida,fattiad He
cate,altrimentechiamata Diana, e Luna,nellinotturni Teja uiper le Citta de.
Acui f o l e uano fare oratione le donne ficome scriue Pindaro, quando li maschi
separati, secondo la lo to usanza soleua no anche egli fare oratione al Sole, per
con ikeguire liloroamorosi piaceri. Ijpercheeradedicatolanoki " re acor e
fti ragionamenti et appacendo il giorno, in conta. nientierano terminati
esiparlamenti.E percio leggiamo quel uerfo. M i h a fiato laspro oriente
collieqai anheli. APIS. Forhgiacesottodiquesuton a cosamoltopiuascoffa
FRON.Chicosa APIST. QuellochediceilgrecoPoeta Menandro.M a iolodicoinuolgare
quelloieringreco cofi. Com O
nortererbisogno a tedi affaicaénalipiaceri. DICASTO. Cerraméte ciascun di
uoidotcaméte,m a humanaméte par l a. Ma io uoglio raccontare una diuina fetentia
e non cosa di paocomomento neanchoraproceduradalloinganneuole oracolo di
Apolline,ma da quella soprani a uerita d e Iddio. APISTIO.N o n bisognatanto
proemio,fu di presto,selti piace. DICASTO. Ioildiro,nonhauerepauca. Cofidice
Chrifto ne luängelio. Colui chi male opera hain o dio la luce. FRONIMO.
Certamente tuhairamentato quello chi e veriffimo. APISTIO.Horlu dimmio bona
Strega chivuol direche non andauati a questi balli e giuochidi Diana,odi
Herodiade ouero ficome le chiamatia quellidella D o n n a, nellaltrinortif
Maaccio iodica piu chiaraméte, perche non erauativoipresentelealtrinottiallimal
gradevoli prestigii, e b j a r mego l i i l l afioni del Demonio roue r perche
nó pareua a teuifuffipresentes STREGA. I nollo fo. APIST.Te appa
recchiauicu,ouero loafpetrauicheteportaffe : Cosi faceua f atto il cerchio
miungeua, e faliua a cauallo d i un fcanno, etincontanenteeraportataperariaper
insinoak giuoco. Anchota alcuna uolaconculcauacolli piedilah o Atia
fagratanelcircolo,conmoki ischerni,etallhoraallhora
sepresentavailmioLudouico,con ilqualepigliauaamorosi
piacerifecondochemipiaceua. APISTIO. Dichecofare. composto quefto uoftro
maladetto unguento: Fra laltticose, epermaggiorparte fattodifanguedefanciul
kini.APISTIO Incheparteteungeuitis. Eime Mivergognodiraccontarlo. APISTIO. Dsefacciataetim
pudica meretrice,tutiuergognidinarrare quellocheto nonseivergognatodifare? E
coreftamocofi gran merauigliar APISTIO.Sutielenara ferpe gera fuori I u e leno.
Via uia di fu in chi luogo un geuitur Gia chefiabisognolodicahor
fuildiro.Vngenammiquel lifuoghicolliqualimi pongo asedere. APISTIO. Dehuer
deticonquantahoneftaibadetto.M ahograndesideriode intendere
inquantofpatioditempoeri túportatada cafa tuaperinfinoalgiuoco. .In
puocospatio.API STIO.Quátomo puocor .Inmanco dimezza: 1 hora.
APISTIO. Quanto eritu discostoda terraquando te
eriportata?Tátoquanco-e-laltezzadiuna gius ftaforre.APIST.Ho pur gran
defideriode intendere quello che sifain questo uostro sceleratogiuoco.Iperche o
buona Strega se desideriche fa quiuenuro per douertiagiutare, de no
tirecrescadi narrare currequelle cose che iuisefanno per cotal modo
ficomelerappresentaffitotalmentea noi.Il faro sendo dunque giuntaal fiume
Giordano. APISTIO.Aspettaun puocoluSiregama dimme Fronimo;Che cola odiť
llfiumeGiordanos FRONIMO, Credo que ftaefferuna bugia del demonio cioechesefacci
tanto uiaggioperiosmoalfiume Giordaso in cofipuocofra tjoditempos
Perilchepensocheellodica queftinocabuli eccellenti luoghi aquestedonnuzze
acciomaggiormente leucceglie leinganniemoltopiu'letegalegalecollilega m i delin
o m i d eprimi e magnifici luoghi.. nore da creder t e c h e sia portato uno
huomo in mezza hora della Italiane l la Alia. Ma forfihapigliato Sathanafloda
quindiilcolore della fauolapchehabitauacola Herodiade.Veroc chemol tomimara ueglio
non finga chesianporcate nellaScithia al Tempio di Diana. Ilcheforsfiengerebbe
quello fraudu tente nemico dellhuomo, fefufficoli domestico e familiare il n o
m e della Scithia, quanto quello del Giordano: Logua leconosce ciascunchi ha
udito recitareiluangelio nellia grati Tempii. Dipoinon -e-molto conueneuole
quefto fute m e a quello fcelerato giuoco,m a fiben ferebbe a propofto quello
Taurico,non sagro m a facrilego perle crudeliffime accifion i e f pargime te d
isangue. Ma forse le conduce a d u n altro fiuineiui uicino,efa parere alloro,
che siano altroui. Benchesianodella trilequaliconfeffanodinon esserepor tate
allacqua ouero alfiumem a fiben foura delle fomitati dellimonti,etiuifermate. DICASTO.
Non pareameim possibileche possonoefferportate alGiordanealmanco per fpatiodi
due hore,ficome quasituttele streghe fra fecouie neno, edicono. FRONIMO.Iftimitu
chequellepoffong misuraretantospatio,quanto/e-fraquestanostra patria ela
Siria,elaPheniciaincofipuocotempor DICASTO. Dimmi Fronimo. Non puo il Demonio
mouere li corpi afuopia cece FRONIMO. Si. Manon seguita pecho cheglimuor
uaincofipuocotempo cioecheleconducaosiasouradella terra,uerloloIlluciohora
chiamata SchiauoniaOuero alla finestrauersola Ibracia,quero alladestraper
lAfrica odero passandoilmare lonio eloEgeof,ouradiCorcitadelPelo ponesfloo,u r
a leCiclade,guardando Rhodo e Cipro, ecosi leggendofiano porte foura della
rippa del Giordano. D E CASTO. Chi prohibiffecoteita cufarFRONIMO.Lituoj
dottori. DICASTO. I n che m o d o ilprohibisconos FRONIMO In quelmodo cheuiera AQUINO
(vedasi) come nonpuo effermoffatuttala grandezzadel laterradal Demonio da luogo
a luogo, facendoliresistentialagranma e Atranatura. Laqualeuierachefiarouinatoetotalmentegua
ftoloimegroordine delle creature e delli elementi.Eglic contro la natura del corpo
humano d i e f f e r portato c o n canta celerisa con laquale insiensefe
conferui et fi guasti.Ilper che uiueno quellecose cheferebbe neceffario
perloimpi todellaria chemancallino, perchenon effendo in ueruna cosamutata
lanaturadiquello gliferebbe grandeoftacolo e grande contrariera.M a
lepurfimuralie diuentaffipiura do facilmenteseabbruggiar ebbeedouentarebbe
fuogo,er anchora sedouentaffepiuspeffoefodo,maggiormentei m pedirebbe la
uelocita,etageuolozza delcorso.Anchoraiosi uogliodire piu che lecumoueflituttalariacon
latuafantam Sia ficomefermoilcielo Ariftotele conla sua etappodelki Greci
feceancheilsimulePhilopono,efimilmenteScotoap podelli fuoiseguaci anchora
serebbe cotto dite,sendouiin oppositol a intrinsecanatura fiado, e delli učci,
o dell aria le cósumarebbe piu tempo assai diquellochediconointerporui. APISTIO
Vipriego, lagi cötenti,dilasare a dechiararequefte sottilitadead uno altro
giorno.HorsuStregaseguitaparoleo. STREGA. Sendo dunque cola giuntivediamo
federelaDonnadel giuoco 1 della quätita.Perlaquale bife
gnachesiaportatounapartedopo laleradieffo corpoper quelgrandeuacuo
dinullaariariempiuto.Iperchedaqui uiin Afiatoleo uiaogni impedimento della
resistencia del insieme 12 20.Eglie staro Berno molto conos al la 10 OL ud
NI 10 Hal insiemeconilsuoamoroso:APISTIO Chie/coluie . Non lo so. M a soben
questo che è uno belliffie m o huono di una ricca uefte di oro molto ben a d d
o b a t o. APISTIO. Seguita pur. STREGA. Quiuiporrauamoal. sembianti
receuendole, lecomanda chesiano pofte
rouradiunoscanno,edipoicicomandalidiamoindi sprégiodeIddio
dellipiedifoura,edipoianchoracúole che gliurinamo foura eche lifacia
motuttiliuituperii poffemo. APISTIO. O Diobuono,oimeche odidire?Chifu quele
Jotantomaluaggio huomo chetidequestesagradehoftie daportarea coteftomaledetto, etiscommunicatogiuocot
sciutoinquesto Caftello DICASTO.O scelerato.O inico operuerfohuomo:fouidicoche
credosiastatouno delj p i u scele rati huome ni che ma i fi r i e o u affin o al mondo. Il petche hauendolo
ritrouatoimbratato in mille sceleritadelo giudicai fulli primieramente
degradato,cioe priuato della compagnia delli miniftri di Chrifto e dipoi
ilconsegnai al Podefta,etello incontenente,segondola ordinatione delle
leggi,lofecebrugiare.APISTIO.Deh Streganon laffareil comenciato ragionamente.
Poimangiamo, be temo,ecidiamo amorofipiaceri. Hormaicheuvoletipia
intendere?APISTIO.Voglioche raccontiaparteper par teiltutto.Ma
primadimmichecosamangiatic Dellacarne edellialtricibi,chefifuolenousarenellicon
uiti. APISTIO.Dondebaueticotefteuiuande:Vecidemo dellibuoim a eglieben uero,che
dipoi resusciz Tano. APISTIO. De chisono& Sono dellinor ftrinemici
etanchora cauamo deluino fuoridelle uegge e delliuaffelliacciopossiamobere.Et
dipoichehauemomant giatoe benbeuutcoiascun addimanda ilsuoamoroso, cioe Demonio
informadihuomo'perfatiffareallasualibidino fa uogliae con huomenichiedeno lesuc
amorose, anche el 3 Dimoni i i n effigia di bellissime polcelle, e giovane e in
tal modo ciascunpiglia amorosi piaceri efatiffaallefireffrena, an del Tai pi na
5ell ap Tin adi 60 la Donna delle hostieconsagrate.E quellaconallegrafaca oli
cia e gratiofi 36 teuoglie.DICAS.Paiono am e illusioni efauole quelle che
diconio dellibuoi.FRO. Sonosimiliaquellecosedellequali
narrafauolescamente colui. APISTIO.Chicola: FRONIMO .Conosco
chetuvuoilodicainuolgare,quello che e scriccoin greco,Hor fucosidice. Vápoje
caminano e cuoi,ç muggislenolecainidellibuoi. APISTIO. Vetaméte fono simili. Chedifferentiaechicaminafouradellaterrailcuoio
del buc,e che moto libra mugg iffe no e ftridano le carni mezze cotte, da
quefto prestigio efincaimaginatione,cioechepiegatala p e l i e del bue g i a
mangia ca, f a l i l cafou ra li piedi: FRONIKMO. Gócederonoli
antichichemandaffelauocelanauedi taggio di Argo,etanchor diflenoche diuinosu
cauallo di Achille. MacoluichinonnjegaparlafsıXanho cioeilca. Hallodi Hettore, iltimamochenegara
ilPegaffo, cioeilca uallocollealidePerfeo oilDedalo,ouero coluiloquale ci porto
marauigliose fpogliedelmoftrodi Libia,ilqualeAtrac ciaualatenerellaariacolle
ftridentialit APISTIO. Masetu credi che uoli effa Strega, Per che forrid j e tu
n e s a i b effe qua do c uleggi, qualmente le Parcha li e peine portarono
Perseo: FRONIMO. No mirido fe tu ftimichesiano facceque Itecoseconacte del Demonio,mafibenmi
rido,etmene fobe ffefecucte di che siano facte per opera etingegno del thuomo
lopensochenone /similemoftro,cioe difingere che l’huomo o ilcauallohabbia lepenne
peruolare, odifins gerecheilcauallo habbiaintalmodo lalenguachelapossa
tiuolarlae piegarlaperproferireleparole.cócioliachemol siaugelletri senza alcunomira
coloperopera egradeactifs, ciodellhuominiapuocoapocoimparanodiprofericemol
teparole e cofi fendouiulaiile proferiscono. Se dunquese inlegna dirivolgerela
lengua acoteftiaugеlletiper cotale m r t che proferisconol humane parole,quanto
maggiore menteseporradire chelopossanofarelefoftantieseparate osjano buoni
oreifpiritiecioe di poter riuolgere la lengua per labocca
dellianimalipercotalmodo che proferiscano dritamenteleparoles APISTIO.Tu
dichequestofępuo fare. FRONIMO. Anche ilconfermo conciolia che solo
ciascundeeffifpiritidinaturaeguale.APISTIO Ilpuoise ftiprouarecon
qualcheeffempio: FRONIMO. Molto ben i pollo prouare, M a h o t a ne baftiano
raccontato nel fagta libro dei Numer i,cioeche la Afina di Balaam
parloe.E dit conoe Theologgicheparloeperoperadellangiolo concio fiache effanon
fapeua c o s i lendoli quelloche dicesse, rivol tae conduta lalenguaadire
quello cheera commodo er ageuole per loeffercito delli Hebrei.D e cuine hauea gouee
noe curailbuon Angiolo; sicomeraccontalascritturaecosi b o narrato quefto
effempio solamente accio io tacci quelle historiegia'narratede quellibuoi delli
Gentili,che parlaro 00, APISTIO.DedimmiStrega.Noisapiamocomenon hranno
liDemonii carne neoffadunque come mangiano, b e u e n o, eluffuria nor S a respond
i prefto. i c o n. me ame pare,
fonosimiliq,uantoallepartiuergognosealla carne,APISTIO. Patreftidarciuneffempio
diqualcheco fa c h e sia fimile a quelli suoi corpi. N o lo so ben Ma purpaionoaffaisimilialla
ftoppaouecoalbambagio, quando e-coffrettoinsiemee condeniaio.Cosipaionoquel
lineltoccare,miasempre sonoimperho freddi. APISTIO. H o r seguica piu auanti. Poi era ua mosatiatidelli carnali piaceri
erauamo portatiallenoftrecase.APISTIO. Non tiueneuam a i quiuiaúisitare: E
fpeffeuola te. Anchor qualche uoltaquando andaua almercato,eritor naua
accompagniauammi.E ricordammicome ritornando acasaungiornofuiltardodal Caftello
effendoegliinmia compagnia,tre uolte pigliaffimoinsieme amorosi piaceri
auantigiongeflia casa. APIS TIO. Quanto -e-discottola tua casadallemura del Castellor
STREGA. Circadiun mi gliaro. APISTIO. Danque non emarauegliafelfimoftro
effomaluagio Demonio informa dellamolto libidinofa paf feratM a pur
Fronimo,iotedicoiluero,anchora non posso capirceon ilmio ingengno
cheuoglionosignificarecoretti tantosozzipiacericarnali. FRONIMO. Tidirolamiaopi
pênione Iopenso chefaccico testoeslo ingánatoredellhuor
menipersatisfacealleffrenateuoglie diqueste facciate et
impudichemeretricilequalinonhannoiltimore'de Iddio, Chi e quello fienochefa caminare
lhuomosecondoilraa gioneuole appetito egiustodifio. Ilperché remofio tantideta
t o f r e no della ragion re i m a nel huom o come uno anima l e hh LIO 10 Eté
11 1 TO xrationale, efi comeunabeftia, ecosidipoidesidebraram. ma et
anchora cerca le cose da bestia,etineffefedeletra. APISTIO. Ne
anchepercioeglieposibilechepoffacapite con lanimo donde poffono hauere tanti
lasciui piaceri DICASTO: Che habbiano grandipiacericredochelpoffa
interuenireperpiu cagioni,dellequalialcuneneraccontato
Jarrelaffaropermaggiorehonefta. Conciosiachehauemo a parlare sempre in cotalm o
d o,eprencipalmente incolga k cheanchorlapudica orecchiauipoffaftare.Puodunque
guestointeruenire, almiogiudiciopercheseglidimostrail Demonio
maladettoinunamolto aggradeuole figura,cioc belladifaccia colliladrjocchiecon
ilgiocondo uolto con ciofiachepuocoimportaalDemonio difingeree difigura. Re una
formadiariaofozzao veramente bella, ecosifigura te formeficomeparepoffonpiacereaquellicheuuoleinga
nare Ilperchecofilosinghaetiraquellemeschinelledonni ciuolea fecon effa
fintabellezzaecolliocchicosifigurati, et conlafciuifembianti. Et anchora acciochemaggiorment
tele ingannano fingonodieffereinamotati di loro.11fimile fannouerfodiquelli
sciagurati huomeni,diinoftrandosi in forma di belle damiselle,ecosi uifanno
apparerecuttele proporcionidellemembra,etuttelebellezze,etuttililasci.
uisembianti che desidarano accio che meglio glipoffono ingannare. Dipoianchorgli
fannoparerequellipiaceriche hanno conqueftefinteimaginisiano molto maggiori che
poffonohanerecolli'uerihuomeni, econ leueredonne: Hor pensacome sono
inganriati,etuccellati dal Demonio.Ecoh narcaua quello scelerato, e (maledetto
incantatore di Don Benedetto auantinominato.IIqualeraccontauaqualmeno
tegliparcuadihauerehauuto maggiore delectatione con il Demonjo iqueftafintaimagine
chiamatadase Armelina checon tutte lalai femine, collequali hauea mai hauutolara
uipiaceri. Etaccionon pensaftiche con puochefefuffii m pazzatio o
tiuogliodireche questafozza bestia,piu presto cofilo chiamaro che huomo anchora
hauea hauuto uno fie gliuolodella propria sorella.Ionon dicocosache sia secreta
cóciosiachetuttequeftecosecheraccoratosonoiscrittenel ljgrocelli Uprote f l i fatti di lui. Era tan t o i m
paz zito de t mtoisero h uomo in queftodiabolico amore, epercotalmodo beftialme
t e brugiaua di cotefta fua Armelina. cioe del Demonio in do
ficomefannoduoicompagni insieme benchenonfuffo ucduta dalcunoaltro.
Ilperchefendouditocosi ragionare, n o n sendo ueduta quella pensaua chiunque
ludiua chefufti doucntatopazzo. Debuditelescelerateopete checostuifa
ceuaperamoredicotestasua Armelina nonbattiggjaua fanciullini quando glierano
portati fecondo la conluetudi medeChristianiperdouerebattiggiare, ma hauendo
fino de battiggiarliconliremidadaacasasenza battesmno, o n consacrauale hoftic
quádo diceualam e s a benche fengeffe diconsegrarleecolligefti,econ un
certomormorio,perna fcondere lisuoifrodi, ecosifaceualeadorare alpopolo,non
fondoconsegrate.Veco-e-chesepur qualcheuolcadritame t e haueffe consegrate,
alzando la sagrada hostia in alto per dimostrarla al popolo ci o e
ilcrocifissooaltrafu gura collipiedi riuoltiinsuinuituperioetiscerno de Iddio
edallasuafantiffimafede.Dipoileconseruauaperdarlealle
fccleratefemine,etallimaluaggihuomeni,accioleportaffe
toalmaledettoetiscómunicato giuoco.E coliquellodiabo tico ebeftialeamore era
causa dicantipeccati. Anchora -e nellam e d e m epazzia unaltroftoltoe
pazzo,chiamato ilPi heao ilqualetantopazzescamente amaunodiauolodetta dalui
Fiorinache seglidimoftraiu forma de femina,che fouente hămidettoiftaminandolo
piupreftodiuuolerepa. siteognimartorio,che abbandonaretantabelligimafer mina
conlaqualehahauutotantiamorosipiaceriquarant taanni. Eper cotalmodo-erdivenuto a
tanta pazzia chenå eredeefferaltroIddicohe quella.Vedetiquantosonoinui, luppati
costi meschinelli h u o m e n i nelle reti del dem o n i o. Etanchor non
pensati chesolamente commettano cotefti fceleratispreciatori dellafantiffima c
triomphacifima fede 1 formdai femina,chesouentelhaueainsuacompagniaspas
leggiandoper lapiazza,ecosiandauanoinsiemeragionan ficom e sisuolela alząua con
lafigura luie-figurataridottaalcontrario 111hh ii f el di Christo,dellipeccaticircalasagrahoftiaereffagloriofiff
ma fede fendlo e gati da questo pazze scoa more, ma ancho comm et ceno
dellaltri male opere senza numero. Concio Siache cobbano lecose
dealiruiimbrattano ogniluogo col lisuoimaleficii esouradelcurto sonosommerli
coralmente nelli adulterii, ne stu priincestie fornicationi. Non hanno co
spettodicommettere lipeccati con pacenti,sorelle,fratelli et
altrepersone.Vccidenoli fanciulliasciugano ilsangue di
quellifannouenireedescendece dalcieloacerbiflimetemi p este guastino li campi e
le frutta con l a grádine, e gragnuos la con tanta ruina, che pare se ferebbono
portati piu model Atamente quelliche anticamente incantauano le feutta contro delliqualidipoifufattalalegge
escrittanelledodeci tauole. APISTIO. Dunquenon folamente sefforzano di
daredannoallefrutta,etallealtrecose cheproducelaterra ma
ancheracercanoperogniuiadinuocereanoicon ilcic loe con laria checi copri:
Caccio so. DICASTO. Addimandalotua dei, APISTIO. Haigiamaicu Stregacommoffolituonice,
Catto balenare laria? Sifpeffeuolte. APISTIQ. Hai tu guaftele biade con la
grandineouerotempeftas Nouna voltamalouentefi. APISTIO. Inchi modorSTREGA,
Fatto chehauea ilcerchioeccocheinco t i n e un u ei n iua i l mio Ludovigo, ma
non informa di buomo mainfigura di fuoco. Allhora començiquenodiscedere del
lariafulgore,efenteuasituoni,ebalenaua il cielo edipoicas Scauala
grandineetempeftasouradellicampie prencipal mentesourade quelli che eranonoftrinemici,
delliqualide fiderauafufferotouinatie.guafti. APISTIO. Deh dimmi,
peramore:decuifaciuicucantarouina: llface uaperodio, enon peramore. FRONIMO. Miricordodi
hauerlettoneuersi comee Demoniifaceuanoli ftrepiti,co
fidicendoloingegnosopoetaOuidioinquestomodo nos minádolisottoilnome delli Dei, oueroquellimaleficiiicuc..
cedella persona dieffo. Perqual agiuto quandouolfaftrenfor:
Ifiumiinfoncisuoitornare e mosh Inftabelcofe, ftabelfompreuenfi,
Regietto,euenci echiamo quandopiacemmi. Ma
questanoftraSirega,piupotentech Meedeaeccitoan thoralatempeftae grandine
elaconduffefouradellebia de. Anchora tirano gli animi dellbuomeni'ne peccati
colli fuoilafciuipiaceri,perchelosinghanolisentimenticon effi.
Ilperchehomai-e-qualirinouatoquel detto diLucano in queftonoftro Castello
cosidicendo, Ārfenoiuecchi dillicitafiamma Netantola bevanda nofsia uale 1.
Quanto la modella caua l l a eretto Ri fato in fucco, l a mente fe infiamma: E
perisce incantata,né piu fale Deluelen haufto pura del defetto.
Eraquelmaluaggio Don Benedetto,decuihauemo ragio nato de annisettanta
duoi,quando gliscacciaflimolafiami niadelfceleratoamore con laqualetanto ama
quella sua Armelina,o quellofuoDiavolo,informadifemincaon una altra
grandiffimafiamma uscitadiuna granftipadi legoed E cosiromaseturcoincenere.E
questo-e-ilmodo dascaccia re u n fuogo con laltro.Vine-unalcroin quefto fcelera
s a m o te rommerfochibaoltro disettanciqueanni,etanchoruno altrocheha
vedutooccanta folfitü,Liqual andauano aldet toprofanoetifcommunicatogiuoco
delDiauoloottouolre mese l e cost -e f tat o conosciuto per te ftimonio e
confeffion fiede molti dieffriniquiemaluaggihuomeni,chenon sono folamenteunao
due puero treStreghe,m a sonoingrande moltitudine, ecofiche non sono solamente
ute o quatro stre gonierscelecacimaschi,liqualiuannoa questo indiauolato
giuoco,ethannoquestiprofanipiaceri colli Demoniiinefli gia difemine,m a
egliesutotitrouatopercerto comeuiuar noingrannumero ecin
granmoltitudinpeercotalmodo che credono secondo la loro iftimatione che ui si
ritroua a quefta maledetta congregatione oltro di due migliaradi persone
APISTIO. Oh chefenteio diceslaantiquitasola, mentebalaffatoinscrittoditreouetquarto
Maghe digrå Caccio conlamiavoceilmalfe fpiacemmi Carco
dinebbie,enebbiealseren genero m a ame parechenenoftri fama,
giorniseritrouanomolte Medee,no puoche Candie, nó una sola Ericho. FRONIMO. Tu
cinaraucgliiche se ritrouano-secento Medee con cijoria chetusaibecn he son
inuna Citra della lialiadodece
migliaradiCircecioedimeretrici,lequalisonotenuefora lenondimenotunon
timeraueglidieffe. APISTIO. Ben bente intendo.I percheperbuon rispetto,no
bisognaalati mente cercareouero inueftigareil sentiment dellpaarabo la
perlinascostiluogbj. FRONIMO. Diroe anche due pa role.loistimo chehabbiaIddio
con sua gran prudemtia uos lutofermareestabilirelasuafanciffimafedenelliapimi
del lifideliindiuersimodiperfarecrescerepiu ampiamentein ogni canto la christia
n a religione in questo infelice tempo, Helquale pareua diognicoladimale in
peggio. APISTIO, Inchemodo FRONIMO.
Prencipalmėteincemodi.E primaperilfucceffo dellecose giapredetteetannunciate,
de poiper limviracolifattidiuinamente epoianchoraperillco prireche ha
fattoladiuinaprouidentiadellescelerirade de de corefti indiauolari riti,e
maledetteopere dellantidecco molto bialme uole giuoco.
Giahauemouedutouenireapun tole sanguinolenti guerre la crudele fame e carifteia
lahore tenda peftilentia licomegia auantjerano state annontiate diuinamente
permoltjarniHauerebbono forsipoffutocre derealcunifacilimenteper cotalmodo
oppreflidallagrans dezza di queste tribulationi che fusseroproceduteo casual
menico fatalmentedate calamita di etribulationifelnon fuffisutonuouamente
fuegliaraeteccitatalafedeinquesto noftro Castellocontantimiracolifattidallagloriosa
Vecgie ne Mariamadre deIddio.Lequalicofeficomedaseconfer mano, efortificanolafede
Chriftiana,cosianchora per acq denslaconfeffionedicotesteAtregheglida uigoria
eforza Per la quale confeffionee per il gran numero delli'teftimos nud i amen
duo i li f efficio e cosi delli maschi com e delle fe y
mine,cognoscemoapettamentequalmente liDemonijco donemicietaduerfariidella fede Chriftiana
Laquale e di tanta forza chequanto maggiormente e con ognisuafor
za,aftutia p e r fare di poi dello unguentod a ungere di
luoghiuergognofiquando uogliameoffereporcati algiuos co. DICASTO.
Acciononiftimatieffercotefte favole eche fano sonniio
imaginationiechefianosolamenteillusioni, e non
siainverita,erealmentecioèdiandareper lecase di quefto e di quello aducci de re
li bambini, uidico qual men t tefono ftatoritrovatidellifanciullini,ben
certamenteinfen ci,cheanchorpigliauanolapopa, etillatte,liqualihaueano ledita
forate, elepiagheebucchi sottoleunghini. APISTIO.
RefpondiStrega.Aflaimimaraueglio chenon greffino,eche cridaslinodetti
fanciullini,quando uoili trag tauatitantomale,echelipungeuati Sonoal Ihora per
coralm o d o indormentatic h e non feiitino. Ma dipoiquando sono
fuegliaticridanoad alta uoce e piango no e Aridono, efeinfermano,etanchoraalcunauoltamon
teno. APISTIO. Perche non muoiono tutti. Perchelifanamo. Conciosiacheglidia modelli
gioueuo lireniedi,ecofilikberemo.Hiperchenetiramograndiguza dagni. APESTIO. Chi
uiha infignato questi cemedii E demonii. APISTIO. Questo a meno n p a s
teverifimile. FRONIMO. Eperche.Non faitucomeit Demonio
conosceleuirtudedelleherbe,lequalianchora za aftucia,etingannilacercato
di rouijare e di ofcurare, tantomaggiormente se alza erefpiandeperognilato.
APISTIO. O quáto ben lhai codutto questo tuoragionaméto. M a horfu
dimmiobuonaStrega.Vccideftigiamaiuerun fanciullorNon un folo,m a simolti. APISTIO.
Conilcoltello oueroconlamazza. Con laagus gliaecollelabra.APISTIO fucbimodor Ine trauamodinottenellecase
denoittinemici,perle porteet usci cheeranoapertia noi,dormeudo e loro
padriemadei cpigliauamoi fanciullini,econducendoli appo delfuogo,
forauamoconlaaguglialortoleunghi,dipoiponendowic fabraasciugauamo tanto
sangue,quantone puo tevamote n i r e nella bocca. E parte d i quello ne
deglutiuo, cio e ilm a n dayagiùnel Romaco epartene riseruauoinunabuffua o
inuno uafetto piaa comeptatitis hanno conosciuto
lhuomenisanchortudebbifaperecome giafuconoscrittemolteregoledamedicare nel
Tempioda Esculapio, lequalidipoilecolse Hippocrate,ele Scriffenelli suoi
libcisicome citrouiamo.Anchor sono fccicci molti g i o ueuolireinediciosialle
piaghe,efedice,come contro delli geleni,nellehistorie che
furonoritrouatiperlifonnii. E puf anche leggiamo qualmente soleuano dormire nel
tempia diPasipheaenelláltri Tempii delliifimati Deidalli Gentils ficomegiapiu
auanti diceflimo,quellichi cercauauo li res mediicontro
delliinfirmitade,sapendo chegliserebbono reuelatiperilsonnio.Ilperehetunon
tidebbimarauegliaro seanchora nerempipresenti gli reuela ilDemonjoliremes
diiaquestariaemaluaggia generationedihuomeni,edifc mine
lequalifrequêteméreconuerfano con lui,APIS TIO Diche cosauidannospecáza,douiatihauerdaloro:Longa
uita,Grandedoujtiaericchezze,econtinui pia cericarnalilequalihauemo,ene
pigliamo delettatione. APISTIO. Deh dimmiperquella fede chenonhai.Ti dok
nologia maidelli danaris Gia menc donoe ale quanti ucro'e che disparfono.Pur
seruai alquanti puochi quatrini. APASTIO. Veramente sonograndiricchezzeco
tefte.Dehpensachecosapoi serebbe felteprometteffeli T h e sori di Creso quero
ci promett e s s e maggiore douiria di quella di Alessandro Magno,cóciosia che
era portato lo ora. diquellodaquarantamigliara denuli,five-uero quello che
scriueCurtio,quero ficomedice il Plutarchoin Greco,ilqua
lecosidicoinuolgarepersatisfarea ciascuno eraportatolo
orodieffodadiecemigliaradigiogatiOrichiisulecarrette erdacinquemigliarade
Cameli. FRONIMO.Paredicon tentarsicoteftauilee fozza fecedihuomenie di
donnesele donata nti piaceri quanto nó haue a Sardan ap allo,ne Smin dre,ne
Stratone.E cosipiuolicanon cercanopurhabbiano, quefti piaceri diabolici. APISTIO.
Almáncoquelleerano humane e uere, benche uergognose ebias me uoli, m a q u e
ftedelle Streghesono coseda ridere,eda fars-beffe,esono: menzogne finteeuane. FRONIMO.
Tunondirai che quellesianowane,setu ben considerarai questo uocabulo pi 10 nie lo comentátitieecimaginarie cioe
parte finte,epartenuoue. DICASTO.Iftimo chequelle siano inparteuere cioe fon
dareinquellacosache-e-erinparcesianofallaciefinte, enó firmate
inuerunuerofondamento, emaggiormente circa diquelle
coke,dellequalenarranoalcunicomesecangiano in forma diGatteetinaltre figure di
animali,Ihuomenic d o n n e di questo maledetto giuoco,etche resuscitano libuci
che hånomágiato,sendolipoidatodellauerga dalladonna o dal Signore del giuoco,
foura dellapelledouiuisonoposto drento Toffa di detto buomangiato. I perche
fiati certi come tutte quefte cose sono imaginacioni illufioni,etcose che
cosifaapparere ilDemonio Icelerato,et aftuto chesiano,
mainueritanonsononeanchoraessolepuofare.Ma che fiano alcuna uokaporcatiper ariaetchefouentemangiano
beueno,etdianslibidinofipiacericolliDemoniicofiin for madimarchi come informa di
femine non e-danegare, neanchordariputarecosa falsanecontrariaallauerita. Puo
trebbi narrare afraicose confermate da digniffimi testimo nii fevon hauefli
paura che poi ui lamencafti di m e, dicendo
cheuihauefliingannatorobbandouiiltempoconcefloa uoi da douer udire la
Strega.APISTIO. Ti priego,fiacona tento di riferuare cotefta curiora
disputacione per infino a domane. DICASTO. Gia -e-diputato quello ad altriragio.namenti,purmolticuriosi.Vero.e-fetu
purtanto brammi deintendere questo, fiaticontétodidisinarehoggiconmieco, benche
fiamonella uilla non mancarano imperhotandi cibiquantoseránoneceffariida
iftinguerelafame. FRONIMO.Non -e-darifutareilconuitodelloamico,douisiritroj u a
n o affa i dotti ragionamenti benche puo chi cibi. Con cio
fiachere-moltopiuaggradeuoleallifpiritigentili,etaquel l i che se delettano
della dottrina il conuito ornato di curioli parlamenti chede uariera edi
moltitudine di uigande. APISTIO. Piacémmi assaiciascunadicorefte cose.Perche
con una si pasce il corpo e con laltra Janimo. DICASTO, Horchiederipuruoi dalla
Stregaquelloche vipiace, laffal. to coftuiqui Vicarioetinmioluogo, perinsinoritornaroda
noi.Perche uoglio impore alsopraftäte della mensa, quello che debbi
afare. APISTIO. Su Strega di. Ha ue ail tuo amor roso'uerunsegno,con il quale addimandatodateuenesse
n e l c e rchio: S i hauea in questo modo. che ogni uolta chemi
fuffidiscostatadalli altri,ecosi sola due uole Ihauesichiamato
incontanenteuiueniua. APISTIO. M a per quale cagione non treouero quatro uolte.
Non loso.Coferaammaestratadalui. Maanzimolto for teme ammoniua
nólochiamassetreuolte. APISTIO.Chi ne pensitu di questa cosa Fronimos FRONIMO.
Questi pattidel demonio daluipendeno,esonoin fua dispositio ne,enon
solamentequestipattimanifefti,m a anchor li occulti. Del li quali il n ostro
fanto Dottore Agostino insieme cóal cuni altri Dottori ne hanno scritto. Non
dimeno pur io c t e do chenon sianaturalecaufainquesto numerodi duoine anche
penso che uoglia dimostra recotesto il misterio della
Diadeosadelladualita,dimostrato da Zarera Caldeo,per Pithagora alli Platonici. O liacoftuida
chiamare Zareia, frcome dice Origene nellibrodelliPhilofophimenoni, o fa da
scriuereZarata ilcheula PlutarchoCheroneodesignano doil Maestro di Pithagora, dechiarando
una parricoladel Dialogodi Timeo oueroanzisiada dire Zaradaconciosia
chenellibrodelleleggi,lanominatodaTheodorito Theo logo Zaradon M.ache
cosaimportaal Demoniodidisputa rediquestacosaediquestonome loistimochequiuigia
ce nascosto qualche inganno,equalche aftuta frode delD e m onio maluagio. Oue r
anchor i ope n s o che il faccia c cio nó se accordi con lavoce della
santiffima Trinita,e cosi uuole pareredinonapprouarequella.LaqualeeDio
uiuentein sempiterno.O forsi anchora il faacciotiraetauertiscamag. Giormente Thuomodallaconsuetudine
delle cerimonie del la nostra religion e Christiana, Anchora il puo fare per
quale che altro ingannoetfro de il quale noi non sapiamo ritrovato dalli
antichi Gentilie Pagani sottoilnumero pare.Loqua
leuuoleuanofufficonsegratoalliinfericioeallispiritierano giu nel profondo elo
dispare allisuperi,cioe allispiritihabir tauano Touradellicieli.APISTIO.Aftaisonfatiffatto.M
e dimmi Strega.Conosceuitudiesser ingánatada questotuo amoroso Non mai. APISTIO.
Come-e-posli! b i le cotesto:
Quando tu vede u i d e s pariceli danari, che cosa ittimauitur In chemodo de
parefsinonon con, Sideraua,Vero-e-cheeglidame ritornaua, etmicompara
uaconmolciamorofi piaceri, epercotalmodomi legaua, chenon pensauaaltcochedela. APISTIO.
Che cosaaddi mandaua che uuoleflida tequando tiprometteua ianitecol
se,quandocidayatantipiacericarnali,echefingeuadiesser tanto grande mente
inamorato di tes Non adi. Mandaua altrodameeccetto cherenegasselafededi Chri/Sto
enon uuoleffehauersperanzapiuinello,ma cheme ilu genocchjassealuieloadorasse
eloteneffeper Div. FRONIMO. O iniquiilimo,o fpurcissimo,o fceleratiffimofpiri
to detto ueramente dalliHebrei Sathanaflo ouero aduerfä rio,edalligreci
Diauolo,edalliLatiniCalunniatore.Se puo pensare maggiore calunnia,emaggiore
ingiuriacontrade iddio quáto eche faccicanta forza questo fcelefto colle fue
maluagie parole diuuolerlirobbareladiuinita,echelauor gliaattribuireasecontantaatroganza,econ
tante bugies Il perche forsihaamatoquestonomediDemonio osiaper
dimostrarechehabbiala scientia ouerper daretimorealle creature.Eglie uero
cheecosasupremante aluipropria efa miliare ditessere ordinaree comporre le
isisidie et ingani, Coliparimente inganno il primo huomo, sotto il nome delli
Dei donde-e-uscitoiluocabulo del Calumniatore, ficomedi ce Giuftinophilosophoemartire.
APISTIO. Sa Stregadi, Inchemodo erasu discernurae conosciutafralialuribuoni
Christiani. Non uierauerunadifferentiaframe elialtri. Andauaalla Chiesa, mi confessaua
nel tempo della QuaresimaauantidelSacerdote decurtiemia peccatieco cerco che
diquefto Dipoi andauá collalori a comunicarmi alloálcare. E cosinon
eradifferenciaalcunaframe elaltre donne.Non uierauaane coteftecoreilmio
amoroso.Sola. mente eglimi comádaua che douessedirealcune cosepian pian, enafcoftamentefacessealcuni
arcilequalicosedetree faite altro da nienon uuoleua. APISTIO: Racconta iltur to
aparteperparte. Sendo nella Chiesane giorni delle feste,comandauaame che leggendo
il Sacerdote lamessa adaltauoce(sicome;Tesuole) diceffeiopianpian ii ii
Hon euero,tunenientpierlagolaequandoleuauaquel lola hostia consagrara
soura del suo Capo per dimostrarla atuttoilpopolo acciochesiaadoracae
reuericamoleus cheioriuoltafi liocchialtrowe,enon laguadasse, etanchor micomandauarivoltafsilemani
dopo lespallee piegaffele deta sottoleueftimente incotesto modo, sicome uoi
uedeti io facio.cioecheglifaceffele ficca.Dipoianchoramidiceua. non douesliscoprire
uer una cosadellinoftriamorofipiaceri, al Confeffore n e anchora di quelle cose
che pertengono al giuoco.Egli iftimaua poiche non importafle cosa alcuna se ben
uuoleffedirealConfefforelealtrecoseoueronon ledi
ceffe.Voleuaanchora,chesendoandataa communicarmi, fecondolausanza
incontinentisendonimipoftal hoftia consagrata nella bocca, la giraffi fuora
fingendo di asciuca r mi la bocca e la conferuaffenel facciuoloper portarla al giuoco,
accioilbeffalimo, etischernissimoconquelli fceleratim o di,sicome disopra
disse,etanchora perche il conculcassimo collipiedicon
quelliuituperiigiaauantiraccontati.Dipoi portauadicontinuo due
hoftieconsagratenella miaueste culite, percheellome diceuache
uieratālauectuineffefen dole portate in quel modo senza riuerentia,m a anzicon
uie tuperio,chemainonpuotrebbe confeffarelinoftripiaceri, neanchoraaltracosa
delgiaoco,benchefußiancheinterro gata dallo Inquisitore n e con tormenti,ne con
altrimodi. No di meno aftreggendommi imperholo Inquisitore em e pacciando mmidiu
uolermgirauemente martociarefenon confefauaquestenostrescclerate operemi
commando quel demonio maluaggio, legetraßein queluafo,loqualehai uea portato
ame il Guardiano della pregione per farele mie necesitati.APISTIO. Facefti
questoiscómunicato.com mandamentos . O me mischinella, et infelice's bubbidi.Ma
non ui rencresca diudire una cosamolto hori rendae pauentosa
cheoccorse.Rompendoioinfeliceescia gurata quellesagratissimehoftienelfterco,con
unuaerga, vide uscire da quelle il vivo sangu e. FRONIMO. Che odi dire hoggi:
Puoesserequesto Credocercamentechemai piuno udiranolemie orecchie
finilioperefcelerate etis communicate. DICASTO. Andiamo un puoco nel giardino
ecosiforsicaminandoefpasseggiandouiritornara lo a ppetito. Horfur a men a la
strega nella pregione. APISTIO. Inueritauidicochenómaihauerebbecreduto che fe
poteffino,non dico fare,m a pur penfare tante fceleritade, tantemaluagioperee
tante ifcomunicate cose,quante ho udito hoggidalla Strega.Ilperche avanti
facilmenre haverebbe perdonato acoteftagenerationedihuominie didon ne credendo
chefufferocondurrida qualche leggierezza o ueroda qualchemancamento diceruello
adintrareinque fto errore etanchora iftimaua che fusserocotefteStreghe e
Stregoniingannati dalle apparentiuisioni e illusion e fittio nidelDemonio
etanchora(iodirolamiaoppenione)non giurarebbichenon sianoingannati, ma
hora11comebuono e fedele Chriftiano come sono itato eth o creduto quello, che
debbe credereciascunuero Chriftiano, non mai con fentirebbifedouessedare uenia,
neperdonareacoresti ini. quifcelerati emaluagginiolatori,efpreciatoridella
nostra fantiflimafede. DICASTO. Se tidimostraroche cotestoap pertenne alla
Religione Christiana di douer credere che sia noinuerirafattedaqueftifcelerari huominialcunemaluag
gie opere etseiɔti conducero tantiteftimonii, ilperchne o n puottaifaredinon
credere efferemolte cosenellantidetro giuoco chesonouere, enonfintene ancho
imaginate,m a Li come siamo consue t i d i parlare che siano reali io penso che
dipoinon farajostinaraméter efiftentia. APISTIÓ. Ancho ranon sepiegailmio
animopiuinunaparte che nellaltra. DICASTO. Dimmifettepiace, Vedeftimai refuscitare
municate.APISTIO.Anchora iosondicoteftaoppenione dinonu dire maipiufimili sacrilegginesimilihorrendeope
te. FRONIMO. Dehperamore deIddiopartiamocidi quietandiamoincontrodi Dicafto,
feltipiace,cheritorna danoi. APISTIO. Moltomipiace Andianio. DICASTO Hoben comeuafecifatiffattir
Vi-e-anchorarimastaalcuna cosa da dovere intendere. FRONIMO. D e h il noftro D
i cafto,iotedico chepercotalmodo siamostomacati cheno hauemopiubisognodipranso.
Iotesoben direchesiamo per una uolta sariati uerunmorto. APISTIO.
Non maihoueduto tantomira, colo. DICASTO. Creditu che possono resuscitare e
mortis FRONIMO. Non lonegara no. Conciosache-e-quefta cofamoltocancataefouente
ramentaca dalli Poetietand chora-e-scrittadalli Philosophi, e maggiormente da
Platone. Liqualinarrano come resuscitarono limorti, etusciros no dell’inferno.
APISTIO. Ne ancho per queste cose m i
acqueto,incoteftaoperachi-e-ditantomomento. Ecolino credoalli Poetinealli Philofophidicioma
libenaluange lio. DICASTO. Io tiuoglioproporreanchordelliefsempii dialtracosade
cuinonlefamentionenella fagrascrittura, Dimmi credi tu siano uscite le naui
dalle Gad i cioe da quelle due Isolecheso non elfinedella Bethicanellaetremita
della terra noftrauersolooccideniedouife diuide la Euro padalla A
fricaretanchorchesianouscirefuoridelportode Vlissiponadi Lusitania osia Portugall
jareche quelleriuolte versiol Zephiro siano stato portate da circauentimigliara
di ftaggi,o piuomanco fiacome silioglia,perinsinoa quel larantoampia terra(lagrandezzadecuianchornon
fecor nof c e) e cosi portando le hora il
Zephiro per il mare atlantico siano giunte allo Indico feno. APISTIO. Si
lo credo. DIGASTO.Tu locredi. Madimmiacuilocredit APIST. A tantimercatapti
liqualiraccontanoin che modo hanno fattotaluiaggio souradellelarghespaledelmare
colle 11o dantinaui. DICASTO. Haicu maiparlatocon quellis. APISTIO. Non ho gia
ragionato con quelli ma pur alcunayol ia ragionando di cotesta cosa curiosacon
quelli liquali h a uerano udito daquelliche hannonauigato per detti luoghi lo
diceuano,etconfermauano che coli era. DICASTO. Il mio Apistio dimmi non ti hauerebbono
poffuto ingannare quegli. APISTIO. Deh, no chi serebbecoluichi dubi tal, che
l’huo m e n i gravi e gia maturi di conseglio si de le trassino di favole e di
menzogn e s DICASTO. e dunque io producero quiuinelmezzo non menore numero
ditestimonii dinon manco grauica: edinon manco.oppenioneet istina tione,de
quellituoi liqualihanno cófermato con giuramer to come. Sono portate algiuo
cole streghe e li stregoni, come li demonii danno amorosipiaceriállhuomini
in effi g i a d i donne et alle donne in figura di huomini, e cotesto Thanno
havuto dalla bocca dies li stregoni e streghe conil 20 line old od
sagramento costretti chene dirai esera tu poi fatiffatto. FRONIMO. Se
potrebbedire ueramenteche coluinon fussiin talmodo satisfatto,fuffioscioccoo
pazzoouero oftinato. APISTIO. Deh pertuafede di'per quale cagione. FRONIMO.
Percio chequando sono moltidiunamedeme voce, 11on pare conueniente che sia
uerun la debbia negare eccettosilnofussida qualchebuonaragioneper cotalm o po
costretto laqualehabbiatåraforza cheportagettareal baffo
quellaoppenionecosiconfermata ditantihuomeni. Jlchecredotunon habbi. APISTIO. Questatuaragionc
h a puoca forza in quelle cose che paiono louerchiare lefors ze dellanatura,m a
ben affaine ha in quelle cose ne ueneno nellulodellhyomo.Ilperche non ho fattodifficultadi
crede requel viaggiodellenauidi Spagna nella Indiaeta quella
terranuouaecofiaquellialtriluoghima benfogran diffisculta in credere il giuoco
di Diana. FRONIMO. Puo' esserre uno molto maggiormente contrario a quelli che
raccontano il viaggio della India che aquelli che narrano I givo;
codellanotturneHecare cioedi Diana.Concioliache dets.
touiaggiononfugiamaipiùperuerun modo conosciuto dalla antichita,m a solamente
furono ritrovati alcunipuochi segnali con liqualidicono gia giongeffe non soche
naui dal JaIndiaal litto di Spagna. M a hora senauigadella Europa per il mare
di Ethiopia nella India. Eco si hora gia forosro gnatiiporti, etilittinellecauoledepinte.Anchoraalpresen
Refono ftato ritrouatealcune Isoledi marauigliosa grandez za chemai non furono
conosciute dalli antichi.Et anche nonfumai ramentata
nescrittaquellaampiaterra,emol to marauigliosa per lasua grandezza retrouaraquesti
anie ni paffatiLaquale, fefusiAtataconosciutadalliPhilofophi, li quali se imaginauano
essere piu Mondi nellordinedella natura,forsicon maggiore ragione hauerebbono
dimo, Atratolaloro pazzia.Delle qualicofeinouamétecontantefa ticheritrouare'non
hanno fattopur uno puoco dimentione o Strabone,o Ptolomeo,quero
anchora quellialtri;che for no suco reputatipiufauolatoridiefli. M a delle
Streghe ne fattochiaramentione nellilibridelliantichietanchor delli moderni. APISTIO.
Io lento, m a nó foimpechoin chem o do,apuocoapuocomouersilanimomio
accioconsentialla quaoppenione.Vero-e-cheuolétieriudireieteftimoniipro mellida
Dicasto diconducerliauantidinoinelmezzo, e c a nchora disidero de intendere
delle ragioni se ne ha della l e tri, olcro di quelle che ha detto. FRONIMO.
Deh il mio Apiftio tu debbefaperecome-e-fegnodipuoca Atabilicadi
animodiuacillare,erdipiegarsimoquiidimo riuolgerli indimo
fermarsiedipoimouersidalluogodouieraferma, to. Conciosia che quelle
cose,dellequaliauanti diceuamo. Senonpareuanoateuerepurpareuano imperhomolte fi
milialuero dapoianchoracontradiceuie dicenichemeri tamente era da
esserecontradetroda tea similicose, ma ho tacon una certa inclinatione di anim
o confeffi dieffere tirar toesforzatodidouercósentireallanostrafentétiaetoppeni
one. llpercheame pare(perdonamiperho)chemeritame tepuotreffi effernuotato
diinstabilita eccetto,setunon ha) ueffiusato iconia,ouero simulatione,e
ficcione. E cotefto no serebbe meraueglia, perchetuseiusatonellifintigiuochide
gli Poeti et anchora seitu molto effercitatonelli Dialoggi di Socrate. Perilche
interujene che lepersone sono usate in der tilibri, onon maio uero con gran
difficulta sepossono rimo ueredallidettimodi.APISTTO. Fronimo mio io non fingo
in cosa alcunane anche giudico che fiabi sognofra teem e de Ironia ouero
simulatione, ma io te dico il vero, che non quorejcofi prorontuosamente credere
una cosaditantomomento. Il perche paream echeda meglio di dubitare pur che
modestamente sefaccietanchoradiscoprireetidi e
quindiledubbitationidellanimomio,cioemoa temoa Di cafto, ficomescopreloinfermolesue
infiaggionie piaghe. Al Chirurgico, che crederefacilmente senzaragione.Cone
ciofacheiersententiadiun grande huomo (fiben miricordo ) come sedebbe
andarepian pian,edipaffoin passo in quellecoselequalipaionoche Couerchiano
lepoftre forze accioche se inconcanéti fufferosprezzate n o s a m o da nasco
ftoinuiluppatinelli frodi, epelcontrario,seincontanétefuf ferocredutedanoi
1100siamopresinelleceticollesuspicior ni delle fcioccheuecchiarelle.In
uero'fisonftato dubbioso nell’animo mio, cos imi pareua di doue r dubitare Nóh
oi m perhomai contraftato conlaninoostinaco.FRONIMO.
Secolie-echetusiadiquestobuonanimo cioeche uogli in coresta cosa usarelintellettoenonla
uolonta,certaniente possemo havere buona speranza dite. Ma ti uoglio dare un
buon ricordocosiinquesta cosa decuihoradisputiamo.co m e nellaltriche portano
pericolo, e sono de importanza (si ome
si suole dire) cioeche per cotalmodo facci che non ua
diauantilauolontaallointelletto cosiuogliodire chenon uogliuna cosa seprimanon
hauetaibenintesa econosciu ta. Ma sono alcunichecaminano pel contrario
nellordine delliftudiidelladottrinacioeprima diffiniendo,e concludendo con la sua uolonta, ouero secondo il suo u
uolere che cosasiailuero auanriben consideranoconlointelletroeffo vero. APISTIO.
Hogran seredintendere che cosa ha da direinqueftonoftro caso Dicasto, Joqualeuedo
ritornare d a noi. Certamente non puotrano essere(almio giudicio )
eccettechedegneeteccellenticose,purcheluuoglia ferua tele promisfioni. FRONIMO.
Bisogna primeraméte iftin guere lanostra fame edipoisifatiffaraallacuasete.
DICASTO. Andiamo perche-e-apparecchiatoilpranso.Dehpec noftrafedenon tardiamo
piu conciosia che affailongamen tehqucmohoggidisputatofichenonbisognapiu dimota
re.Equando poihaueremoinkaurato ilfarigatocorpo di quelloeglieneceffarioperla
continuarouinadelnaturale caloreintraremo poi nel giardino della disputationec
h e cirimane.fando fram e fe-e-uero imperho quel lo che ha narrato la strega.
DICASTO. Piacimmi, addomanda lantis dettiuitiiesceleritade, cioeche
spesieuoltefacionola penin tentiapelliufernodopo lamorte
etiuisianomartoriatigrai uemente.Non ferebbemegliocheleprohibiffeIddio non si
faceffino,che dipoi lhauerano fatte didarli la penitentias DIÇASTO.Meglio
certainére ferebbe felsereferisceque, Hoa
coluichihafattolemaluagieoperepercheselnonhain uefleoperatomale hauerebbe
fattoben per fo. APISTIO. DunqueperchenonleprohibiffeIddio.Non ferebbemag giore
cosa epiudiuina, lefusserodiuinamente 'uietare& DICASTO. Sono ben uietate
con la legge ma non con lo petera CioeIddioļeprohibiscemediantelalegge,m a
nowole per forzateniceIhuomo non operia suo piacere.APLSTIO Perche épermeņa da
Iddiolamalgradeuole operatione, et il peccato cioeperchepermettechelhuomo
facciopecca to DICASTO.Perchere liberolhuomo,er-e-infuoarbi. trioe volunta
elibertadioperare ficome alai piace,oilben oilmale.APISTIO.Nóferebbestatomeglio
chenófufli mainatocoluilo qualeconosceuaIddio, chedouea fouina rcin. APISTIO.
JIP OICHE HAVEMO SCACCI a to la fame colli cibi e uiuande ti priet.go Dicafto
Inquisitore delliHeretici uoglieffer concento,chepossachiede
reinantidituttelaltrecele, una certa m i a dubitatione Laquale ha granden mente
feditolanimomio,no con uno scrupulo niacon una agura láza,pen pur quelloche tu
uuoi.APISTIO. Non guarimi sa tiffanoquellecosechediconoalcuni della
pena,chi-edata da Iddioacoteftibiafimeuolihuoineni e donne, 3 e,per
teinquefe grandisceleritadeetiniquitade&DICASTO. Si Terebbestato certamentemeglio
chenon fuffimai apo paruto almondo coluichiperfeuerane peccatiper infinoalfine
disu auita, ma che fuffim orto nel uentre d i sua madre. APISTIO.
Maremainonfuffeftatoperuerunmodo peii fituchelfuffemeglioperquello
DICASTO.Perchi: APISTIO.Per luj.DICASTO. Perdonamiilmio Apistio Tu parli
moltoscioccamente. E poffibiletunoucoulideri che questaje, unapazzescaquestiones
Conciofiachetanto ifrasesonocorrarij, elloreniente cheuno-e-rouinatodallalttro:
Non fai tü che non puo interuenire ueruna cosa o sia pro fperaouerfineftraa
niente chediinaginamorAPISTFO. PerqualcagionedunquehacreatoDio coluiloqualecono
fceua douefte andare allieterni fupplitii DICASTO. Per sua
fommaetinfinitabönta.APISTIO.Come fiapoffibi. de coteftor DICASTO.
Cofve-poffibile. Perche non sia for uerchiata lainfinitabonra di Iddio
dellaperuersa malitia dellhuomeni.E cosisenarra cherespondeflesamo Pietro
Apoftolo a Simon Mago, rendointerrogato da quello quali di fimile cofa feben
referisceClemente ladisputationefatta fra efi. Dimmi un puoco Apistio ti par
erebbe fuffi benche ceffafliIddiodacantogranbeneficio cioedicreareleante m e
pedrespettodellhuomo chel doueffe dapoimale ufarec conciosia
chereioperadifomina bontae de infinita poteny tia Anchorasebenc onsideraraiconlameitėtuatuttele
uercudeetopere dilddiodimostratealmondo tu uederái che secauafuorila Giustitia
dasemedeme,folamenteftren gédo quelli li quali piu presto hanno puolutofuggire
fabori t e la benignita di quello che receuerla.N e anchora per
questoseiftingue ouero se diminuisce lamisericordia cory cioliachemanco punisce
quellicherechiederebbeilrigo redellagiustitia.Efouenteuseissequalche cosa
daeflafcelel tagine perpetratapfreie carciuiliuomeni edonne cauata da Iddio per
qualc he megliore fine. De cui dice farito Agosttino, che etantobuono,chenon
permetterebbeueniffe ueruntmale fenonvuoletteda quello trarne maggior ben.
Ilche spefeuolte, li1100fempre,elftátoüeduto uscirnede kk ii la
cariftiadellauixuaglia.Etanchot conoscono
qualmėteseguicaronoperdettaingiustauendu ta
moltiegrandimisterilliqualiramentano con gran ciuerentia. Anchor per i tormenti
et occisioni, e crudelta de che feceroi Tiranni contro delli secui de Iddio,
cispiandelauercia egloriadicflimartiri.MachepiudirorPerlacrudelemotste e
durissimapaflione etuituperofamorte dimiffer Giefu Christouero Dioethuomo,apparuilainfissigabuontadeId
dio riscuotando, eredimendo tutta lhumana generatione dalla eternal morte,
etaprendo laportadellamilericordia ec anchordellaGiufticia.APISTIO.Dob
quantoben hanno fatiffactoa me core fte tue ragioni. Cosi anche parea mechi
fiailueroquellochituhadetto. Ma horasendoiofatiffatre da re quanto
aquestedubbitationi pregoriuoglifeguicart il giacomenciato ragionamento auanti
delpranso,ciodi narrarecomeegliecoreftogiuoco cosavera enon finta ti
Titrouatnaelle fauole, sicomeprometteftįdidouer dimotta
re.FRONIMO.Vuotucredereatuttelhistorie APG STIO. No. Percheseritrouano delle fauole
narrate con co lorede historia,licome equellafauola Samofatenacioe di Luciano. Anchora
sonomoltealtrehistoriepercoralmodo incertee
scritreinduoimodi,efouenteancheinpiu,tanto uarieediscopueneuolifrafediuna
medeme cosache paio n o ellernon guari discosto dallesemplicifauole. FRONIM O.
Certamente tu respondibenenonmancobeninten di.Ilperche ficome alcuna uolta
rispiande fralletenebreet maliilben, dallidottihuomeni, feben
forsinofiafutócon fiderato dalrozzo uolgo. E per dimostrare che colisia ftato
uoglio narrare alcunipuochi effempii,benche sepuotrebi
boiioramentareintiniti.Leggiamo qualnientefuflivendu -to ilgiusto Giosepho da
frategli,con graue loro peccato.Il rozzo uolgo non pensa piuolaa,m a solamente
eglieag, gradevoleihistoriam a lhuomeni dotti e digranfpicito,pici tofamente considerando
auertiscono qualmente perdetta iniqua emaluagiamercantia, interuienechedipoifufatto
Iosephoquasisignore,eRe dituttoloEgittoecheliberoil padre efiategli
etuccalafameglia dallamorte,che glifey rebibneteruenura per
ofcurita dellefauoleun puoco ditumedellauerita colifral
denarrationidellehistorieche sonofra le contrarie,forfaucie ritroueraiunauera, ecosisendo
Jaltce false, eneceffario dian nouerarlefrallefauole.Conciofia chenon fie
poflibile,che combarrijlaueritaconlauerita. Mao Dicafto,amepare dintendere
quello chiuorebbe Apiitio. DICASTO. Chi cosa s. FRONIMO. Vna historia da molti
teftimoniirappro uataa cuinoferi trouaffe altranarrationecontrariadimag
gioreouerodiegualeauttorira. APISTIO. Jaueritatuhai dettoquello chedesiderauo. DICASTO.Iuiprometiodi
dimostrareche ficomepertenealli Chriftiani didouercrede reche
fifacciquestomaladetto e iscómunicatogiuoco.com fianchegliapertene didouerlo
iftirpare esuelgere, erouina re. Eco fruipramettodiparcareaffaihiftorienon
contrarie frafe, mafjben moltoconcordeuolie fimili.Anchor uoglio farecodacui
qui auanti la Strega, elacostregnerocon ilgiu ramentoaccioconfeffiiluero. Suoguardiano
della carces tepreftoconducequivi la Strega.Efapiatiqualmére testi monii,che
uiproducersoo n o molti, esonopigliatidaquel di che fono ha uuwi dall’huomeni
costretti colli giuramenti et anchora sono iscritti per memoria de quelli seguicaranodie
tro anoiet anche per approuarelauerita:APISTIO.Core ifto ho a piacere
deintendere. Horfu dunque comenza. DICASTO. Benche uipotrebbimádare a leggere
li-libriferic tidiqueste cose congransollecitudineefochecotestonon fpiacerebbe
a Fronimo, ilqualemoftra dihatere ftudiatoin tuttelegeneracionide scrittoriperquelladegnadifpurcacio
ne che hafacto,purno mi parephoradi farlo perche cono fcoche Apiftio non
remanerebbe contento,ilquale dechias facon il suo parlare tanto elegante di
hauer gran pracicanel lilibriscritticon
ilpolitoetersoftilo,etanchorpacedilettat fi grandemente
dequelliscrittoripolitietben accommoda tinelparlare etornatidiun
certofaufto,epompadieloqué tia,ecosiparechenonli piacere bbono quellialtri libripriui
dedetta policita,edidettaelegátiadidire.APISTIO.Puo effer Dicasto che tu
condanni quesse figure di rhetorica hi uit Ea nico Zio U ouero cheforecilornato
parlare cofidellidersi come della prosa o fia sciolta oratione
DICASTO. No. Non maillofatto ne anchorfonperfarlo. APISTIO.E pur imperho usanza
de alcuni li quali quandoharannointeleladoctrina dePaci
secioequellachire-scrittaperquestjúcellediuuolerilehet nire,ebeffate
lacontinuata oratione,ben ordinata ediftit tamentecomposta
collicoloriefigurerechorice, benichean chotapurhoueggiutodellilibriiscrittia PacifedaeflıBarn
bacielegantemente etornatamere compofi. DIGASTO. Vuoreftimai
cuchefufliunodiquelliche sono amouerati
frallirozzietinelegatirconciosiachefocome colielegante
mentefecissecoSanGiovanniGrisostomo,ilmagno Baglio, Tee Gregorii in Greco, et
in Latino san Geronimo, Agoftino Ambrogio, Cipriano conmoltialcis APISTIO
cioefodaefenzaerroree senza fauple, laela quentia non solamente debbe
efferecondemnata eciproua. ta,ma anzidebbeefferdacuctilodataficomeeccelétebud
non fralliinortali,chi-e-approvatoconlaragione etauttori
tadelliantichiefapientidoctori. APISTIO. Chelibrifono coteftisetinche tempo furonofcrircis.
DIGASTO.Sono molti.Veto echealcunidieffifuronoscrittigiafesantaany
nifactunoui-e-chifucópoftonellanoftraeta. APISTIO. Chi furonoliauttoride
dictilibri. DICASTO. Credo chi f u f f ero Belgici o e Galli, over Germani e
Thodeschi. Ma di que h o ultimo de cui h o det o Furono li scrittori duo i
Thodeschi. Liqualilif forzaron odispaccaree rompere limaghi incantatori, e le
Siregheconunmaltello, emolto piu'forter menteeconmaggiore giustitia,chenonfece Nicocreonc
ciránodi Cipro ad occidere collimaltelli Anaffarco Abdeci de philofopho. APISTIO.
De chiftillosono. DICASTO. Di quello chiuolgarmétesechiamaPacifinocioeperque
ftiuncelle Dimmi Scrifferoanche egliikerli: DICASTO. Sialquátidiloco,ac
ciolaffanoalcunididire comeeraconuenièrenellantidetti sempi discriuere in quel modo,
conciosi ache anchoracom batteuanocollinemicidellafededi Cbrifto colliuerft.Non
mancano anchoranenoftritempidi quelli liqualifacilme tesonoriratiallefagre cose
della santiffima fede di Chrifto, conloelegåteftilo econ loaccomodato
parlare.Purchesia calta,e fobria EN 00112 lo Y li libri. Et anchor la
strega la quale gire appropinqua anici condutra dal Guardiano della prigione
forsiramentaradel laltrecofe altro diquellecha racco:ato che nófono anche
elleiscritrein uer un libro.DICASTO. Son contéto difare horacome
uuojparimpechochiedédoniperdouăzs, ledi toequalche cosa chenon fiaticonfueri
diudire. Cosiciofia fiqhcelle,m a fono (crittecon molta sottilira,quanto fiapof
fibileascriverediessamateria,decui parlano, ficomeimpe sho h a m m ipareet
anchorsonofermati con la verita delle teftimoniide fantihuomeni.E non
folamentepareame co teftoma anchoraamolijeccellentiTheologgi.Ilprencipio
diquefto ultimo uolume comencia dal Pontefice Maximo, ecil fin-erapprouato con
la auttorica di Cesare.Gia ho chiai ramenteefermamenteintefecome
landdettolibrofu publicamente approvato dalli dottori di sagra Theologia del
Juniuerfita di Colonia Agrippina. APIST10.Vuorej Dicaa
ftochetuminarraffiquellecose lequalituhaipromeffodi narrare al propofito noftro
ofiano di quelle da quei luoghi cavate, overo de altri luoghi accio le possam o
meglio intendere con il cuo parlare concio sia ch e meglio le dechiarara i
narrandole tu.Tlperchefendo anchorquiuipresentealladi fputationeilnoftroFronimo
credocheanchealuinófera grauediramentare dellalırecosecheforfinonfiritrouano
Icricce,ficome p suagétilezza hieriethoggi non liparuigra medinatraremoltecose
degue,chenon fonoscritteinquel che de ben h o apparato le littere Grece e
Latine, non di meno imperhonionm i fono con menore Audio effercitato fralli
Theologgi. Li quali łassano lapolitiaerornamento dellino caboli etanchora
tantatersitudinedi parlare folamente se fforzano diconoscerelecosecome
inueritafono. FRONIMO. Eglie menoredanno quello delleparole che quello delia
cognitizione delle cose. Mare-ben neto cheioiftimo,
chccoluidebbeellereffaltatoelodato fouradellaltriilqua
Jehalornarodelparlarecongiuntocon la cognitionedelle cofe cioefoura di quelli
chi hanno solaméte o lungoialtro. Vero e che sepurnonliposlovio hauereamenduoi,
iftima shec'megliodịhauere lacognitionedellecose chelparla re polito,et
ornato,dieloquentia.Benche ficome ho poflur coconoleereperiltuoragionare,pofseuilafare
ftacediad. domandare questa uenia eperdono. DICASTO. Io diro latinamente al
meglio puoco. Hor sucomenciaro. Auanti diognicosauoi doueresaperecome
egliechiaroemanife. fto, chicolui,chinegaffeesserelaDemonii,meritarebbedi
eserschacciato fuoridellacatholicaChiefia,licome grádea.
meiitecontrarioallasagra scrittura,e maggiormetre aluanı: gelio.APISTIO.Concedo
cotefto effer uerissimo sanza ver un dubbio. FRONIMO. Anche meritarebbe di
essere Scacciato coftuidisinileoppenione cioeche diceffenó effer iDemonii,fuoridella
Accademia edalLiceo.cioe fuoridel Jaschuoladi Ariftotele.Concioliacheappo
diPlatone e di tutiie Platonicie fationon puoca memoria delli Demonii,
acuinone-contrario Aristotele,m a anzifouentenefamen tione non solamente nella
Ethica, Politica e Rethorica ma anchor nell’altri luoghili qualihoranóscrivo.
DICASTO. E ben vero che ne faniioricordo, ma sonoimperhoinques Sto
differentiate dalli nostri dottori cioechequelliistimano aisianodelliDemonü
buoniedellimaluagieperuersi.Ma noi diceno che cutri i demonii sono perversi,
iniqui, e malegni. Liquali benche li nominamo sotto dicotetto nome Sat canasio
e di diavoli pur piu chiaramente anchora sono SIGNIFICATI per questo nome “demonio”.
Il perche dice il Propheta David, tutti li dei delle genti sono demonii e lo
Apostolo Paulo anche egli scrive. Non uuoreidouentafticompagni del i demonii e
in uno altro luogo dice, Credono e demonii, e tremanodi paura. Non fugia
maiuerun huonofa uioche dubitaffe,chequandolimalificiincantadori,eStre ghee Stregonirouinanolefruttacollisuoimaluagiincana
elegano edipoisciolgono a suopiacerelibeni del cagioni ? matrima
nio,cioeche fannopermodo che licôgiugatinel matrimo nionon
poffoliohauerehonefti piaceriinsieme, edipoiqui dolepiaceglidanno
facultadipuoterli hauere,etche an. chora tormentano lecreature fuoridelconsuetomodo
del lanatura chenonsiano fattedettecoseconpattieconuen tionidell Demonii. Boperqueftoetanche
permoltealtre cagionisonofateordinatemolte altrecosecontradicotefti
teretiniquihuomenje donine dalli Theologgi cosi antichi c o m e moderni
etanchora dalla facra scrittura, edalleleggi Canonice della santa Romana Chiesa
etanchordalleleg giImperialt.Imperbo cheritroviamoilcomandamentode Iddio nel Deuteronomiocome
fedebbono ucciderelima. Leficietincantatori ilfimilecomanda nellLeutico,cioeche
Sranolapidatili Ariolie, quellichihanno ilfpitico Phitonico, dioe lidiuinatori.
E Gratiano radunaaffaicosenella vigesima festa causa de decreti contro
dicoteftifcelerati malefici. Anchora sepoffonouederequelle cose chescriue
SantoAgostione libridella CittadiDio;edelladottrina Chriftiana
diqueftamaladetragenerationed /perchefepor fon piu puoche cose raccontare oltra
di quello, che h a esso fantiffimoe doctissimo huomo scritto in quejluoghi.
Iocacı giolimoderni Theologgi liqualinon puoco hanno scritto contra
dellimaleficietincantatori,eparimente anche con trodellimaleficiter
incantamenti sono anchora constituce leggi contradieffu maleficiemathematicinelle
Ciuilileg.: gicioenel Codigo di Giustiniano Imperadore: FRONIMO. Anchor se
vedono affaicolene libride moderni philosophi.colide Platonici come de
Peripatetici, cioedilambli co di Proclo, e di Porphinio, lequali
poffoneffer'moltoapro pofito. APISTIO. Sicomeiononnegoche siano e demonii e
chepoffonfareaffaicofeconlafuaperfidamalicia cosián theio defidecochemifano
dechiarate quellecose, chipro, priamentepentengonoa quefte Streghe,
cioesedannoal giuoco ouero uisiano portate con ilcorpo enonfolamente con la
uolontao con una imaginatione, e finta reprefenta tione. DICASTO.Suole dare
gran faftidioquefta queftio. ne ecagionaregrandubioinmoltepersonetragendoneof
calionedalleparole del Concilio dell equaline faicoquanti mētione. Lequaliparoleleggonfinellaquintaquestiondel
Laurigesimafefa Causa.Ilperchecredonoalcuni noefferui presentialli
dettigiuochiqueftedonnuzze ehyomuzzicon il corpo,una solamente con
lainagniatione. M a alcuni altri diconoeffercocefto giuocounanuoua fpeciediHereliadi
versa da quella antica superftitione. Anchorà altrinuoletto chelafiatotalmente
quellamedememacheiuifiafatiofo lamételaquerellaetimpoftalaperda
quellicheistimano essere Diana Dea overo Herodia, ferebbediuerfanaturadelcapro
dadiuerfopeco cipiouscita.Vero echesonoportatialliballieconuiti,etal lila fciu i
piaceri della norte uuolendo euigilando. Il perchie Fronimo e dame approuata la
tua diftin&ione della disputa rionedihieticon laqualeconchiudefticontecoteftogiud
codelle streghee malefiche e antico quanto alla essential e oftantiamare nuouo
quanto alliaccidenticide quanto - lecerimonie. FRONIMO.Sehoritrouatonellantichefu,
pecftilionidej Demonio ilcerchio,lounguento !, lincanto, il caminare de lcl
iorpi humani per il spacio dell arta, li conviti apparecchiati di piaceri
carnali donati all’huomeni e donne dalli demonii in figura de maschi e di
femine chi cosa ci manca piu accionoiftimamoessereantico ilcommertiot
familiarita dellis piritimaluagie scelerati colliperuerfiet in quihuomini?M a
percheseritrovano alcunecofe in questo vituperoso etis communicato spettacolo
di demonii hora da moltinarrate; lequalinon fileggono fussero anticamente
dimostrate ho detto lacagione, cioecheiltuttoseattribuiffe allagrandiffima
afturia emalignita, delsceleratoeperuerfo nemico dellhuomo.ilquale in
diuersitempi a diuerfiordim e gradidi huomini haue apparecchia tomoke aru, e
modi dingannardi accio che cosicondettiuarii coftumiecondi uecli ingannie
piaceritrageffe efli huomeni delle precipito ferovine delli peccati. DICASTO.
Per cotefta ragione assai ouerochicredonochi.fi cangianoe trasformanoe
corpi humaninęlicotpidi Gatge ode alorianimali, per opera del demonio e
anchoraquel liche affermaucnodiefferforfipentalmodo difcetuto il rapto della
mente quando sefachefeipuo bên conoscereic reconoscerepereffofel fia portato il
corpoinquelluogodo Disalisselamente consciosiachedicaSanpauloapoftolodi non
sapere cotesto:M a quefte Streghe q u a n d o sono portál te con ilcorponon
sonorapitecom låninocioe ficome G fuoledirenon sono in fpirito, ma purse.
Fussero rapite in questo modo ami al 01 tel do od th que Ich til che ON
efto ad LO me ol fal ad cit ced era din hadi ad 20 il a m i e piaciuto quello
chehaidetto APISTIO. D u g uoi cerdetechesianoportaticolaconilcorpo DICAS Sicre
dochesiano portatialcunauolraconilcorpo etalcuirauol ta che cosi facilmenre
posson esser ingannati cioe che rendo naadamente illurae schernitala imaginaria
potemiase pene fano, e gli parediessere portati corporalmente oltro di Carr
gatacheier nodelli colli del Morite idea, et anchorglipa
reditraparfareloAscaniolagodi Frigia, etancho di andare oltro dello
ululatodelloaltiffimoMonte Caucaso dellai n diacollarmi delle Amazoni. E
péfano,diuolare colle penne di Dedalo sicome lepare nel sonno. Ma per queste
coseno fono perseguitatineprelidalli Inquisitori neanchorefsami nati, ne
tormentacinecondentatiouero giudicati.MAPer Questonoicerchiamoconogni
diligentiacocesti STREGONI E e Malefic iperche hanno renegato lafede di Chrifto
chipigliatononiel fantiffimo battesimo,e
promiTonodiferuaria.eranchorperchehanno ischernicoc beffaro Wlagraniéti della
santa Chiesa, et hanno sprezzato Christouero dioeuerohuomoredétoredelmodo
ethino adorato il nefandissimo e spur i f li mo demonio invece de Iddio,et
anchora permoliialtrimaleficii che hannofarro liquali serebbono troppo longhida
douerliraccărare. PER Quelle cose Et Altre fimilifatte contro de Iddioe
dellasua trionphantillima fede noili perseguitamo,elieffaminamo e facciamo
liprocessi e cosidipoiretrouati e conuinri nelle lorofceleritadepertal modo che
non lopofson negare, dia moli nelle mani delli Reggi, Signori, PrencipieBaronio
gerodelliloro ufficialiaccioli puniscano egli diano la penitentia secondo che
comandano non solamente le leggi an. sichedella Chiesa ma anchoralenuoue
etanchorane no. ftrigiornirinunuate,primeramenteda Papa Innocencio Otrauo, ed a
Papa Giulio secondo.Vero-echetiammonia sco che ben auerufle da iftimare,che non
sianoporrato al giuoco corporalmente la maggiore parte di coreftirei huomini.
FRONIMO. Il nostro Dicasto hieriammoni Apistio egli feci intédere.comne n o
doueffe fprezzare e farfi beffe di I. quellochịe creduto da tutti o
uedr’alla maggior parte probabile cioechelepoffa fareintaleeralmodo.
Concioliachg ersententiadi Aristotele, come non erin tutto falsoquello chi-e
decto da tutti. Il che intendendo quel Glorioso Thomaso Acquistato annouerato
frallisanciper lasua bonta e piet ta,&anchor p lasuaegreggia
dottrinarepucato frallieccel lenriffimidottoriiftimoefferedelli Demonii,liqualidaua
nocarnalipiaceriallhuomeni& alledonne ineffigiadima.
fchiedifemine:dertiIncubi esucubi equestomaggiormés teconfermonelsecondo libro
delle sententie, percheuiera. No molti saggi, prodi, et anchordorti
huomenidicotefta oppenione. I perche o Apiftio,non vuole contradirea quello
chive-statorenuroueroconiantapublica fama, et anchorap prouato con
ilcosentimientodicanti eccellenidottori. DICASTO.Ben etottimamentelhaiammonito.M
a anchor accio se posta haver maggior certezzadicotefta cosa,uien qui dame
stregae giura allisantiu angelii de Dio, liq uali ho posto fo r coler ua mani
come tu vedi, di racontare, e di respondere il vero di quello ferai
interrogata. Esappiqualme tefeiubbrigara atalegiuramento chesetune mentiraiedi
raipur unam e n o m a bugia,no ritrouaraiperdono,ne remis fione; appo
dinoi,& anchorpurpensa dinonritrouarlanel Jaltromodo appo de Iddio. Ho
giarato, E cosisia ricerticheno uiingānaco;neanchorm i. DICASTO Dunn que
dimmieratuportara'algiuococonilcorpo, ouerofajn lamente con lanima o sia con la
imagination. Con ilcorpoinsiemecon lanima.DIGASTO.Come puotu
saperedieffereftata portata perariacola con il corpo congiunto con l’anima
Perchejo toccava con que mani il demonio detto Ludovico. DICASTO. Deh, chi cosa
toccauitur Il corpo di quello. DICASTO.
E m o quel tale, quale e ciascun delli nostri. E porpiumolle. DICASTO.Vieranoquiuidellialtri
colli corpi r O l i fi in gra n moltitudine. DICASTO. E cosi
diconotuttilaloricheho giamai essaminato, anchor sanza darlinerunmartorio et il
simile anche diconodi Inquisioridelaleriluoghi,cioechieframinando
quellidi questamaladetra compagnia comesimilmente hanno di [posti,vo
discostandosi da quello cheh a mconfessatoquel liinquesto medememodo. BENCHE
SAPÍAMO checo teftanone la cagioneperlaqualedebbianoeffermartoriati e puniti,
ma anci per havervi ola ta e total a fede promessa nel facto battesimo non
dimeno imperho tuttie maschi e le femine di quefta fceleratiffimar adunanzae
compagnia.co fidiquestoCaftellocomedellaltriluoghidelmondo,coli dellicaliacome
fuori di essa dicono inqueftomodo etcone fermano esser il vero di esservi
portati corporalmente con quell’altre cose, delle quale ne ha detto la strega.
Et accio maggiormente lo poffeti crederevi voglio narrare unahifto siachenó fu
favola ne anchorae cosaancicamangoua,Gia puochi mesi paffari eta porcato nelle
brazza della madre un faciulito maschio, fi comesifuole aquella fortiffimaroc
ca diquesto nostro castello chi'c circodata di larghiffime fosseet incorniata
di fortiffimeetanchoraaltiffimemura, hora vedendo detto fanciullinoquello
fceleratiflimo Bernio, ilqualefudipoibrugiaroperle suemale magieopereficomeauanti
diceflimo) che parlava all’hora copil Castellano della coccafuo parente,
gliuieneincontinente una brammosa e bestiale voglia di asciucarli il sangue. Al
perche moltogliparuipiulongoquelgiorno che non pa reaquelliJigualidebbono
receuere lamercededellesue Atentarefatichepertantobeftialeappetitoe
desiderioham uça diguftare dellinnocente sangue del desto fanciullino. Hor
sendo pur alfinegiunto laoscura notte dellescelerira. de madref,
efeceportarperaria al demonio efermarfinel Ja casa doue giaceua ilmischinello
fanciullo nella cuna.Et asciugotantsoangue daquello infelice bambino,cheroma
Sefi comeunatrasparente ombra,che preko preftopalla, non
hauendoeffigiahumana.Ma nomaiimpo faconosciu itala cagione
dellinfirmitadieffone della pallidezza perin finochenon
fugiudicatoecondannatoeffomaluagiohuo. m o al fuogo. Perche
allhoraelloaddimaudo perdonanza al padre del fanciullino, per il male havea
farco. Ecosiandoe ri cornoperariapassandofouradiquellealtemura
dellanuje detta rocca
laqualeuedericola. Vadimo auantarfilantiqui cadelli antropophaggicive de quelli
popoli di Scithia chi magnaveno le carni dell’huomini, et anchora purmaraue
gliatlilanottraetadi quellihuomin įhoraritrouatinelle110 de detmare Eoicide
orientale che ancheessisecibano colle carnihumaineconcioliache nel mezzo
dellaItalia in una regiunemolto habitataefrequeritatadalli mortali, discolo da
ogniferitae bestialica, fi-e ritrovata una gradiliima c o m pagtira d’huomim
cosi maschi come femine laquale/e-par sciucapinftigatione del demonio
disanguehuinano. M a ritorijateStrega.Che piacerihaueuitunclloprelafciuccó un
corpodiaria STREGA. Non soc on chi corpo. Malo ben questo che havea molto
maggiori piaceri con lui che con il mio marito: DIGASTO Non faueuiumai paura,et
horrore efpauonto conoscendochi quello era il demonio, icon ilquale cu haueui
questi iscommunicati e sceleracipira ceri: No. Cocio sia che no uede altroche
una figura di huono. cccettochenepiedi,liqualinon pareuano am
eficonelafacciailperco, el altre membra. APISTIO. O chi figura o chi aspetto o
chi effiggia di finuto animale, er di finta bestia. FRONIMO. Eglie imperho
taleche nascon de lacrudeleaetasprezza edimostraunagentileforma,et fuauemolilia
con altribeltadedallequalif.noquellidol cemente tiratielusengati.Fingono
lantichiche essercitarse Venere lufficio dicacciatrice cercando per le Selve li
lasci uti piaceri di Adono, accione tragge ffe à fe il cacciatore. H perche
dicelo ingenioso poeta. Noda il gignocchio al modo di Diana
Cintralauefte,ecaniellanimali. Della predafecuraadhorta, e inganna. Et anchora
non alorimére inganno ilpaftore Anchise,eccet t o che in quel modo, che
e’aggradevole ad un huomo che habitasse nella villa. Cohanchorcalitafsiinun
cerco Hii Hio da Homero inchemodoferapresentopuressaVenereaus tididetto
Anchiseineffiggia egrandezzadi Admeta uergi nie.llpcheiuisiritrouano
quelleparole greche lequali hora Jetaccio. DICAS. Dehpertuafedeegentilezza,fiacontéto
di Simile a Adameta fanciulla pura. DICASTO. Chicora pensi tu
uuolefli SIGNIFICARE quellasimi Jitudine del Poeta: FRON.Non puo
coildimoftranoquel le coseavanti precedono,& anche quelle che seguitano.
Conciofiache addomando coluichi caminaua solo disco Ato dallisuoi buoi
eloeccito efuegliocon ilsplendore e con Na gratiae lotiro a douerfi
inarauigliare, fingendoff mors ditrafferricleinbolgaré. APISTIO.
Horfudilleinquel modo che face f t i h ieri, quando tu dice f t i quell’altri p
ut greche nel nostro volgare. FRONIMO. Non semprese accorda
talacerra,ficomefisuoledireperdouerefuonarene anche
Temipresuccedennapiacevolmenteesecondoildifioleco Yefatte allaf provedurae
prefontyofainéte, Cojneltrasferim të i patlare greco in latino et in volgare
non sid ebbe face enza buon penserb esageublezzadi tempo. DICASTO. Priegoti
cheluoglihoratrafferiregiustamente fepuoi,feair choranonpuoifarecome uuoi, faalmegliotifia
poffibile. FRONIMO.Io son contento,pernonparere diefferofti. nato.
Cofiuuoledire. Dar Sre Venere nata delconante Gioue. Avanti di Anchifein forma
e figura, taleecosidipoihauendolira ccontarola generatione, esuc ceffionedelli
fuoi antichi con longhe fauole, lo conduffe alfineallilasciuipiaceri. APISTIO.
Holettocome feciA n chise la meriteuole penitentia per dette cose,conciosia che
fuper cof f o d al fulgure e cosi ritro o che gli fu a nnonciato qualmente
cofiglidouea interuenite.Ilperche ritrouiamo queluerso scritto in greco,
loquale hora hora cofi lo dico it? nolgare perchefo uiferamoltoaggrado. Loadicato
Gioue fediffecon lardente fulgure.E benche dimostra chiello d o
ideaefferpercoffo con talepena epunitione perrefpettodel peccato chi era
manifeatato, non dimenoanchora inanji fignifica come colui ferebbe punito dalli
dei, il quale d e fideratebbe diuuolerehauere amorofi piaceri elibidinofe
deleteationicoeffiDei:Penichecôigegnofee maravigliose fauole
fingonolantichiqualmėte per simili cofe fuffjuccisa Semele figliuoladi Cadmodallo
fulgure.N e anchorasong cótrarioa Callimacho,inquella cosa che se narra di
Tiresia at. ce che 710 qui Erg hon havuto figliuoli, conciofiache foué
tefe leggi delli figliuoli delli Dei. Anchemi ricordoqual méte giadoidifa dicellicomeerapurqualche
fondamento delle favole. Pe č i l che se gli c qualche fondamento dechi
Cortijslono. Thebano cioechisupriuatodesuederedalla Dea Giunone
perchehaueahauutoamorofipiacericon Pallade,oalman cohauea
cercatodihauerlibenchealtramenteloracconi taCuidio.Vero-e-chi Callimacho,finge
questa cosacon 'piuhoneftoparlaredicêdochecofigli interueneffe, perche uide
Pallade ignuda. FRONIMO. Chicosa ne hauemp per queata facola? APIS IO. Io te lo
dico. Havemo questo al mio parere chejopensoo al manco dubitochehanocge te
quefte cose efimulateefinite. FRONIMO. Ifimatuche apparefseno li Demonii in
quelliantichitempidiquelliB a Toni di Troia e di Grecia Li quali demoniic
redoche tufen do Chriftiano sianofermamenteda tetenuti effere una ria
emaluagiaschiattae generatione de spiritie APISTIO. O si. fi fermamente lo
credo. FRONIMO. De b non ti r i n f cresca di rispondere. Da chi procede che
pare tu non uogliccedere, chequellimaluagiTpiritidefideraffino,etanchecers
cassino di dare la fciuipiacerialle donne informa dihuomi ni et allhuominiineffigia
didonnecAPISTI0.Doh cbi e'beni gran cosa questa da doverti rispondere. Io te lo
dico. Per ciono locredo, perche non sapiamo qual menrenolonjo i demonii di
carnenedioffa, comenoi.Ilperchenon sipossono delentareincoresticarnalipiaceri. FRONIMO.
Egliepur una gran cosa Api f t i o che tu non tiuuo ira mentare di quello che
fouente hauemo de ciall perche se tute lo ricordafi, noti maraueglia restine
anchor direfti, quello che horadi. Gia fpeffeuokre-e-ftatodetto,
comedannoeflimaladeeti nemici de Iddio erdellihuomini
coteftifceleratipiacericar naliallihuomeni,er alle donne non per delectatione, chi
habbiano eflirei spiriti ma solamenteperingannaregli huomeni e
conducerlinepeccati eralfinehell inferno dove efli sono confinatii n perpetuo.
APISTIO. Il mio Frenimo ti pregono ti turbare, Pur anche io ho un dubio, Se l n
o fussiperaltroeccettochep qirarelhuomeninellipeccatino se ditebbe che
haueffero. l fono dong figliuoli quelli detti figliuoli delli Dei,
pche lispi ricisenza carne &oftanópoffono generare: FRON. Core Atanó epuoca
dubitatione, cociolia che facendo Moises, mer moria nel Genesisdelli figlioli
didioedellifigliolidell’homi ni furono alcuni che istimarono fuffero
SIGNIFICATI peili alli piaceri carnali hauutifralli demoniie le donne, et altci,uno
Jenofianosignificatililibidinosipiacerichehaueano lhomj.
Nidellagiustagenerationeeftirpedi Sech:collefeminedel
laingiuitagenerationedellaschiatadiÇainIlperche seale cunauoltafeleggedi qualchuno,chefulle
decto figliuoloo di Gioue o di Apolline non perhosedebbecrederechecoftui
ueraméte fianato delsangue delliDemonii,cóciohache nó hanno sangue,m a sedebbe
iftimare chelsia nato del semç di qualche huomo, dacuilhaueranpigliaro.
Serebbonoass Saicosedar accontare delmodo de cuipaiono esse regenerati gli
figliuoli dalli demonii che hanno libidinosi piaceri colle donne:m ape c non
aggravare le orecchi e del pudico lettore paream etitacerlene parlar volgare.
Anchorpuo effe rche qualcheuoltaquellichesono ftaroreputatifigliolidellidei
odelle Dee:ssanoftatocubbati fendofanciullioidalle loro madre,peri
Demonii,sendoanchoressenelparto, etoccul, taméte postisottodiquelledóne.che
ingánauano etledaua n o libidinosi piaceri facédole parere cħefli lhaueffono
gene ratidiquellee cosico doppia le st mm De 70 li al frode leingånauano,cioe
pri mieramenre facendole parere che glicócepiffeno e parcuri
scenoedipoifacendolinudrigareinuecede suoifendo de altrui. Ma se pr fuffi
qualchuno che vuolesse dice che in verita fuffero faci generaci quelli chiamati
dalla antichita fi gliuolie figliuoledelli Dei,edelle Dee,enon efferstarafro
deinportarli,ma checosifufferogeneratidalli Dei e dee (ben che credo che sia il
falso conciosia che conosco come sono alfaicose fauole)direicome
furonogeneratidelseme del Jiuerihuomini portatodalli Demonii nel tempo della
concettione, quando dauano lasciui piaceri aquelle,E cosi in questomodo
sedefenderebbedaefliil nascimentodiEnea nellAsia e quello diAchillenella
Grecia, li quali furono digniffimi huominine tempi heroici, o siadiquelli
eccellenti Baroni,cosidiTroiacome dellaGrecia: Alichorfepúotreb:
bedirequalmentein questo modoconcepilaReina Olimpia moglie d i Philippo,
Alessandro Magno, nella Macedonia e nella Italia lainadre del grande Scipione
Africano. DICASTO. Il nostro Fronimo cercamente paiono corefte cose che tu hai
raccorato molte semiglianti a quelle che narra santo Agostino. FRONIMO. Dirotti
anchor molto piu quanti come non solamente tirauano a fe li Demoni tin i qui e
fceleraci le femine collilasciuie carnali piacerim a anchor tentaueno l’huomini
del'maladetto uitio della sodomia, colli maschi. Il perche facilmente era
persuaso alli mortali cotesto sozzo e uergognoso amore de fanciulli
coll’essempio dequel lili quali erano tentati dalli demonii dicendo che
pigliaua. no il fioredies li fanciulli. Hebbe questo vergognoso e seele rato
uicio di contra natura primieramente origine dell’Asia, e' deindi nella Grecia
e nella Italia, e poi i puoco spatio dite po introperinfino nelli Celti popoli
della Gallia. Per il che non e dubbio che la captura e presa di Ganimede in
Troia non sia antica e non solamente e manifesto lo molto antico incendio e
ruina con il fuogo di Sodoma, di Gomorra,edi quelle altreCitade della āfia,
appo delli Christiani e delli Giudei,m a anchoreramentatodalliGentili.Fu primo
au thore appreffodelliThracicosidi questopuzzulentouitio, come delculto&
honoredelliDei, Orpheo sendo andato di Asia nellaThracia,Veroe che sonoalcuni
altrichiuuole no fuffiilprimo inuentoredieffofcelerarissimopeccato,np Orpheo,ma
Thamira. Fugiapercotalmodouolgatoemãe nifeftatoqueftotantofceleratiffimo
uiio,che eracredutb dallireiemaluaggihuominichelfuffilicito. E cosi'pareja
appreffo delli Celtichelfuffefatizauerun punto dipeccato, ficome dice
Ariftotele.Veroeficome crediamochesiaistin to
eruinatoinquellipaesiperilbeneficiodellafantissimafe de diChristo,
cosimaggiormente uie-ftacoinconsuetudine appodelliPerfi, perlagiaanticasceleritae
perchenon uie ftarafermalaleggedimefferGiesu Christo perlaquale fan
tiffimalegge conoscemo quellochie bono,eche sedebbese guitareeparimêreintédemo
quello chiemaloepeccato e chi fedebbe fugire.E costilDemoniorio
eperuersonon sol laniente ritrouo quelli maladetti giuochi e quelli scelerati
piacericarnalipertirarealecosimilipiaceri quellefemine erano inclinate alla
libidine et anchoriquicandole alla ge. neratione dellifigliuolilanatura,m a
anchora ritrouo questa abomizatione dellasozza esporçalibidine contra natura. E
non contento anchor di hauerla solamente ritrouatam a facciomaggiormente ne
tiraffiIhuomeni,anchorprometre? jua diuersipremii, aquellichesefussero grádemetedelletrati
et efferciratiinefa. llperchepromesse adalcunila perpetua vita, cioelaimmortalita,
sıcomefecea GANIMEDE De quira scontano liibri qualmente crederonolantichi, uonmácoim
piamente che scioccamétechelfullportatoju cielo.Ad al trianchor promesse loindiuinare,
ficomea Branco pastore, D e cuidiconocolle fue faliole che glifuinspiratoilu
perche loistimocheben sipuo suonarelarecolta,(licomecomuna mentefedice
quandosehaueratrascorsodallitempi Heroi cicioeda quelli temp iquando furono
quelli Baroni e huoi miniriputaci Dei, ecapitaniiforciflimipecinsinoa SCIPIONE,
perchecredonon hritrouanochesianopiuftatesimile cofe. DIGASTO. Chi
cosaditurTudebbe sapere comesonoin teruenuteinognitempo,& inognieta
qualchenotabilico ke.APISTIO. Ma perchenon losano DICASTO, Affaibe
fonomanifeftemanoimpho tutte.APISTIO.Da chipce de chenosianomanifeftate
DICASTO. Perhora occorce noa me duaragioni.Vnaeche sendo fcagiato ilDemonio
malegno nemico dell’huomo dalla segnoria del mondo p forza del sanguee dell
atrjófantemortedimeßer Giesu Christo non cofi importunaméte
epublicamétecollesueillusioni ingánalhuomo, Perche ficome fcacciatoe badito babitanel
Jiluoghinascostie deserti, m a anticamente era adorato sot tospeciedidiuinita. Laltraragioneeperche
giaistendeuale retidello amore lafciuoatuttele generationi
dellbuomini, Ito 1 di Appolline APISTIO. Io ti priego non parcarepiudicote
fe cofe le quale sicomefonomanifesteam e colifonomnara uigliofe, Ma
uoreiintéderedi quellechesonooccorse peral tritëp Ci,
óciofiachecredosianopocheroseoccorse Haticinio. 1 te $ mmi ma
horaforzasigrandementedipore lilaciuoli folamente perpigliaredue
generationidhuoniinicioeliottimieliper limi. lo ad domando ottimi que gli che
se sono dedicati e cosegrati ad Iddio con tutte le sue forze havendo conculcato
esprezaroturtele delectationiepiacerianchor boneftidi questo mondo. Efa
continuamente a questi aspera e crudele guerra. Ma sendofactaquesta guerra
danascostoetoccul tamente nosimanifestauerunacosadiquelle, eccettoche alcuna
volta per essempio e per salute delli altri. Poi io chiamo quell’altra
generatione pellima, cio e quella delle becer ghe edelli Seregonidelliquali
hora parlamo,Ta sai ben quanteminacie, equantitormétifienobisognoper cauatı
lifuoridella bocca quellifuoiindiauolatiamori efceleratiffi mi
piaceri.Ilperchenon parlanoliberalmentedi quelli non liraccoranocome fonio, eccettochecollisuoinefandiffi
micompagnidelgiuoco. APISTIO. Dung anchor iftéde Jarete dellascivo amore il
demonio alli fant i huomini e t a figura della ingainatrice Venereshauendosi
pinto le guancie e le labra con la ceru facio e con un bello colore, e con
il quellichitotalmentesefonoaugotatiaDior DICASTO. fetu hauefli
cognitione delle uitee dellopere di quelliiscrit tenellilibrinon
hauereftipuntodi dubitatione.M a accio tu ne conosciqualchepartesepiunó
lhauerai conosciuto,a uogliopurraccontarealcune puoche cofe diquesti ottimi
huominie fanti, cioeinchemodo sefforzasse il demonio di doverli pigliare con
lareteelaciuolodellalibidineelasciuo amore. Narra Sufpitio Seuero, come fece
ogni forza esso nemico dellhuomo per ingánare quello gloriofifsimouescouo santo
Martino in figura diGiouedi Mercurio, diPallade,e di Venere,Dimmiilmio Apistio
non iftimituche quando fefingeuade esser Giove no gli promettesse delli Reamie
dellelignoriere che quando sedimoftrauaineffigiadi Mercurio
chegliprometesselaeloquentia eladottrinaecogni tiondei tuttelescientiehumane
equandoseappresentaua in sunilitudine di Pallade che non glioffereffela
fapientia,e laprestancianellartemilitarelaqualegiahaueuasprezzato e renunciaror
Chi cosa puo tu pensare gli promettestesottola purpuriffo con lo quale tingono
le femine le maffelle con il bomagio, eccetto che diletteuoli elasciui piaceri
Non penso tuchelfingefsediesserueftirodericcherobbe eueftimétidi
diuerficolori,ethauesse anche fintoin questa imagine liua
ghielusingheuoliocchipertirarlonellasciuo amoreset an chorchel ragionale
delasciui et libidinosi piacerisTi dira Athanafiosanto,conquantiuariinodi
tentoilmalegno spi ritoquellogloriofoabbate. ANTONIO nel deserto,ilquale
Athanafio fcriffelauicae costumidiquello.Anchore buon teftimoniolafreddaneue
diquátofuogodilibidinetentaffe ilserafico Franciefco nella quale accio
iltingueffelo incendio dieffo, segligeto dentro ignudo.Te inligaara anchor il
cespugliodellepungenti spinne quanta delicatezzadiamoro fipiaceri presentaffe
auantidellocchidellamente del pudi coe cafto santo Benedetto,collequaleritrouo
ilgioueuoleri medio controditanta Cozza cosa cruciando la propria pelle
delsuodelicatocorpo. Non crediariimperhochelmanca di punco
anchehoradicicarealcunidellaturba emoltirudire nello pazze s c o amore é
volgari piaceri carnali, pur che veda di possere, ma anzi di continuo
grandemente cerca con milli modi e con mille arti percoducerlinellasuamaluagia
eriauoglia. FRONIMO.Vi voglio narrare una cosa intervenuta ne nostri giorni a
comfermatione di quelloche ha detto il nostro Dicasto. Ho conosciuto uno huomo
molto essere citato nella militia, a piedi il qualehammi dico fovente di haver
havuto piaceri libidinosi o n il demonio, *credendo che* lfuffs una vera
femina. E fu in cotesto modo sicome egli narrava, chi era huomo semplice e
senza malitia. Sendo ello nella Toscana e caminando peralcune sue occurrentie
verso Pisa e venendo da un castello pur del Pisano, dovi havea perduto nel
giuoco de dadili danari, eco si molto di mala voglia lamentandosi
dellifanti& anchor ed Iddio per la per dutadielli, ecco rivede seguitare
dopo lui dui a cavallo che parevano mercatanti, e parevano che cavalcaflino
molto infretta, doue adietro diunodjeflisedeuaingroppadelcas uallo una femina
la quale dimostrando dinon poterepiyol troftarea canalloperlagran fretra che
facevano paruiche 3 scendeffe interra. Hor costuiuedendola bella et anche
sola pigliandola per la mane caminauano insieme e la inuito allo allogiamente
seco quando serebollo a Pisa, e cofi parupi che quella gratiofamemreaccecai se
l’invito. Eco si pur oltca caminando insieme e anchor piacevolmente ragionando,
canto colui se in siammo di amore di lei, che senza ver un freno della giusta
ragione, ec iecamente chiedendola de piaceri dishonnestie quella consentendo
linediuiénea quello che tanto pazzescamence bramata. Ma' uditi cosa
meravegliosa, come hebbe havuto li suoi scelerati di sure is costi da ogni ragione di huomo, ecco che
incotenenti quasi tramortie diurene tanto manco di animockegiacque nel campo
dovi la vea comesso il fozzo peccato dalejhore come mezzo morso.Vero eche foura
giungendo e suoi compagni chi ne venevano dopo lui d a longhi e ritrovandolo in
coral modo giacere fanza forze corporali, il portarono alla citta e fusei meti
infermo, e gli cascarono tutti gli pelli dalla persona e narrava come per tal
modo vi fussero brugiate le calze nella soperficie disoura comme
selfulfiftatoil fuogo vero l’havesse brugiare. Dipoi diceva comesericor dava
che quella femina, ma piu presto quel diavolo in forma di femina l’havea molto
pregato cheldevesse getare a terra una haftateneuaiimane douiuieranel Ja cima
un ferro in forma di croce, cioe un pedo, li corne noi diciano promettendoli di
darli una molto piu bella lanza segliubidiua. APISTIO. Molto mi ritrouo
fatisfactoquae toallipiacericarnaliprocuratidalli Demonii dalprincipio
dellaniquita. FRONIMO. Hor voglio chetuintèdicome ha il Demonio questa usanza per
douerpigliare Thuomini, di ufare ogni frodo nel conuerfare collhuomirificome
iften desseuna reteperinuilupparli.Ilperchenon solamente usa queftonelli
piaceri carnalim a anchor intutte le altre fami: liaritade. Etacciotupoffi
conoscerechelfia vervooghioh o racomenzare dalle bataglie di Troia. Che penfitu
uuolefle SIGNIFICARE quell Dragone di altezza di fette gomiti canto dia mestico
chibeueuacóAiaceLocrese& andaualiauantinel liuiaggi
demoftrådoltlauiarecoliftaua tantodimefticame teconlui,
ficomefuffiftatouncagnuolo. Che cosauogliono dimostrare le penne
diDedalo:e lealidelPegafloretuttel. laltcicose,annouerate frallimoftri delle
fauole Et anche quelli tapti prodigii emiracoli delli Philosophi Che crediçu
uuoleffe dire quello tanto acelerato uiaggio che fa Pythagora andando e
ritornando per un avia molto longa da sta. Jiaperinsino nella Isola de Sicilia
in cosi puoco tempo.Cor m e pensi tu puotesse caminare tanto spario di paese
cosiuelo cementeri come uno uccello Empedocle inchemodoisti mitucheandaffecon
tanta uelocitalicomelaborea Abaro fouradiunafaetadi Appolline a vificare
Pythagora. Di che luogo creditu uscisse quella voce, che refiro Socrate, ma non
losforzor Ghi vuol dire quel genio e familiare spirito di Plotitro: Che
significaquella Occa che habitava tanto dimesticamente con Jacy de philosophore
fic ome fono puochie philosophi in comparatione dellaltci huomeni,cosianchor
questoperuerfonemico dell’huomo tirauamolto piu delli mortali nella uoragine
precipitosa della sporcha libidine che litentaffidi vanagloria. E non folamente
litencaua isteriormente e visibilmente, ma anchor fouente interiormente e
invisibilmente. E se tu pensarai che puoco importa siano tentati l’huomin idal
demonio dilasciuiaedi. Carnali piaceri o interriormenteo veco isteriormente, te
lasaperadire que itadifferentia Santo Geronimo Il quale chiaramente scrisse
ledicedi quelli fantiheremite,doujraccontale grandi ten
tationipatirononeldesertodalli Demonii,ecoteftofeceper ammonitione di quelli
doueano uenire,Atchor 11on m an
coeglifcriffequellegranditentationichelfuftene,dicendo qualmente inuna carne
quasi morta solamente bugliua. noliincendii& asperifuoghi della fozza
libidine. APISTIO. Dung feaffatico anchor Venere, cio e il demonio di u uoler
combatare con GERONIMO colli dardi del a puzzolente libidine? FRONIMO. E
bensefforzo difaretutto quello puote et anche non fece manco cru delleguerra
con ilglorioso Pontifice.SantoMartino,sotto questo n o m e di Venere ficome
racconta Severo doveder scriue li laciuoli e itele retida quello nemico in
effigia di Venere. Ma chelfe dimoftrafiea santo Geronimo vi
fibilmenteoueroiltentaffe interiormente, non Ihaveto chiaro.Vero e che credotuhabbilettonelliantiquissimiau
thoridelliGentili,come hauea consuetudine Venere dimo were lhuomini
interiormente et ancoisteriorméte.Ma eglie ben ueroche quando
serapresentaalliocchicorporali, efaci lecoladadouer conoscerem a
quandosolamentesedimo A tra nella imaginatione, et eccitc a e muoue li
sentimenti i n t e riorinonsonocosi facilmenteconosciutidaogniunolisecre
*titradimentietaftureinsidiedi quella. Il percheeglie detto pellihinnidiOrpheo
Venereuifibileet inuisibile. Et anchora e detto che li amori usciffeno di
quella fecis cono l’anime colle intellettualisaete. Imperhodice Orpheo in quell
altro himo greco coli in volgate noftrohorada me trasferito, aparente e non
aparenteo vero paiono e non paiono. E pur ancheinun altrohinnocosiscriueingreco
quello che hora diro volgarmente uuolendo dimostrare che sianopercorso lanime
colliintellecualidardi,queste fedissenolanime colle intellettualisaete. Anchor
feuedonoquelliuersi di Procolo Platoniconellhinnofatto alla licia Venere in
Greco uiauia da me co f i i n volgare tra dotti acci o si manifestano le
intellettuali nozze. Hauendo INDICIO delle intellettuali nozze edel
liincelletcualihymenei, cio e delli intellettuali Dei delle nozze. APISTIO.
Dice Apulegio che qlo spirito ilquale couet sauatato dimestica mente con
SOCRATE era dio e no il demonio. FRONIMO. Ma pel contrario scrive il Plutarco
et a n Co Massimo Tirio chiamadolo il demonio. Decujunodieffi ne hascrittoun
libro,elalcrodui. Perqualcagionefedicech unaltro demonio
pigliafféilpatrocinioegouernodiplatone o di Zenone ouer di Diogene Perche fu un
altro demonio inolto domestico di Plotino s9i veriraui dico che questo fa
ceuanope ringanarli. Sono tutte menzogne quellechedie cono alcuni
comesonouarielenature del Demonio, cioe che alcuni dieslisedeletranodigouernare
le Cittade, ele co sedomeftice, e familiarier altri uolenti erife occupanonelle
coferufticaneedella uilla,etalquantiallegramente se in tromettono nellopre
della terra,et anchora fono reputati molti che habbino cur adelle cose
marinesche. Sono tutte coteste cose et aliri ale loeffercitarsi nellarmi della
battaglia. Ilperche fauolescame tenarrauano, cheinspirasseperlifomnijlamedicina
Esculapio e Podalicio, e che fussero Tourafta ne i alle processo se ond e
etépeste delmare li Dioscuri, cioe Castore e Poluce figliuoli di Gioue, et
anchor dicevano che essercitasseno le opere della guerra dopo la morte Rheslo
et Achille, et in antichi tempi di Troia, Theseo.
ueroecheraccotauanochequelliprimi nascostamenteeffcrcitauanolarme,m a
questoultimoaper tamente enellampio campo. Racconialianchor perfama
checombatreffenellicampiepianuradi Marathono laeffi giadi Theseoper li
Atheniefi contradelli Medi, equefto anche scriffe Plurarco. Deh vedi una gran
pazzia. Credeuano foftoro che li demonii fuffero lanime separatedallicorpill.,
gerche diceuano che Asculapio medicaua, Minone e Rhal damáto
giudicaua,Scacciaua le gragnuole etépefteli Dioscurio sia Castore e Polluce,
Diuinaua Amphilocho, Mopro, Orpheo, eT rophonio,elebattaglie eguerre trattaua
Rhei fo, Achille,e Theseo.Ditutte coteste cose era authore il Demonio, E cacciolifuffero
preftatelorecchie edato fede,ecoli maggiormentefusserotiratil huominieglifaceffinolifagri
ficiilicomeallanime delli Baroni signori et eccellenti huomini con una cerca
vana speranza f, ing e vano tutte queste cose. Dalle quali superstiitioni e
inganni, non furono contrarii Platone et Aristotele, e maggiormente scrivendo
li libri delie publice leggie disputando delle institutioni et artici
uiliecittadinesche. Anchor e cosa publica,comene noftri giorni son ftato tenuti
e portati delli demonii nelle guasta, deo sianoualidiuctro enelle annelli,&
inaltrecose, et anie chorcomequellineinici dell’huomini hanno dato resposte
perilgérre,perlacosta,&altrimembri dellimortali ficomie dalspiritodi
PythiaodiApolline, acciopoffemofacilmente coteste cose elalorisimilisonnii
dellisci occhie pazzi Gecilie pagani,propriamente semilia quelli narrati
daalchunifa uolescaméte,qualmente alquanti diquellifeeffeccicauano nella
medicina,& alirihaueano cura e gouerno delli naui. Gheuolilegnie delli
gouernator idieffi, et chealquantierat no sourastantialdiuinare,enon
puochialleleggi, conoscere come il sceler a conemco de Dio e
dell'humana generatione ha pensato in diuersi tempi diverse vie e modi de
ingannare Ibuomofouo specie di familiarita. APISTIO. In uerita
cosiancheioistimo, DICASTO. Nó dubitarem a siapurdibuona uoglia, cóciosiacheapuocoa
puoco ne ue. rainella nostra ferma oppenione e vera sententia. APISTIO. Ma
nongiain questomodo. Maegliebenuero che milasto coducere dalleragionie
dalliteftimonii. DICASTO.Vieni qui Strega, esappiacome fei coffretracon
quelmedeno giurainento cheeriauanniesappia qualmente in brieuisem raipunica conilnostro
fuogo, edipoiincontinenciconquell altro che mani o n mancara: fe tu mentirai in
pun to di que k locheteinterrogarodeluoftromaladecco giuoco, I doso,enon
houerun dubbioin questa cola. DICASTO. Dimmi. Magirali e beueti cola al giuoco
uostro scele ratorVero echequantoallipiacericarnaliaffaisiamofacil fatto.E
cosipiu non bisogna diaddimandartine. Simangiauadainquelmedemomodo ebeueua
comeera cófueto dimīgiareincasaconil mio marito, econlimieifir gluoli. FRONIMO.
HieritipropofiApistio iefsempio quel lamensadelsole cotanto noininarae
iamentara da Heroi doro,edaSolino,& anchorda PomponioMela.Ilperchetu debbe
(appere qualmenteil Demonioastuto ne cira affai dellipoueri e delcozza uolgo
collipiaceri della gola olico dellasperanza lo chiariffeneanchor
dicecheufcisfenoledittecarnifuo kidellaterrane che saliscenosouradicffamesa
béchelodi caHerodoco.Veroeche Pomponio Melae, Gaio Sotivo dicono che erano diuinaméte
portate dittecarni. Machies coluidi cosicozzoingegno chinon adaerciscacome
fussero quelleuiuandeecibilusingheuoliingamida ingannareil gufto
dellaignoranteturba,Et anche chi'e-coluidicofipuo R e
promissionidelledelettationicarnali.Che cosa pođemo istimare uyolessunosignificare
quelle carni poste souradellapridettamensadel Solerde cuilefameir tione fanto
Geronimo fcriuendo a Paulino,ficomedi una cosamolto uolgata,emolto
marauegliofarMachicofa fuffe nó co discorso co discorso, il quale
veda Solino contrario ad Herodoto, et il Mela contrario di Solino chenon
coilofcacomeuariament tee dimostrata quefta fuperftitioner cóciofiache quello
fcri ua qualmente eranoiuiportelecarni nelpratoappo della
citadalmagiftratonellaoscura notte,chesemangiauano nelgiorno, echedipoiera detto
daquellidel paesfeu,ffero uscitefuoridellaterras EgliebenuerochediceSolinocome
e quellaméfainunluogodellombre,etiersempreapparec chiata abondantemente di
lauri,dolei, etaggradeuoli cibi, et uiuande,dellequaline puomágiareciascunchevuole
et atuetasuauoglia,ebenchenefianomágiatein grancopia da quellicheneuuoleno, non
dimeno imperho non mai mancano, ma sempre iuicresconodiuinamente. Ma Pomponio
non dicepurunamejionaparoladoue fifa questa mensa,o
apreffodellaCittaouernoellaoscuracarcereeca cetto che dice com e divinamente
iui nascono li cibi. E ben o che cotetti
Scrittorinon convienono insiemein ogni cosa, purimperho eglie
fermamentedacuttiquellicenuto feno za
contrarierac,omeèunamarauegliosacofa,&anzidiuis nalantidetto conuito del
sole. Il chere-molto conueneuol le conquesto di Diana, sorella di Phebo o del
Sole sicome egli dicevano. Anchora istimono essere puoco a noftro proposito
quello che racconta Pomponio Melanelladescricio, niedel Mondo cioeche
seritrovaunluogodoni continua mente tilpiandono grandi
fuoghinellaoscuranotteetpaio noefferiuiquafieffercitidi soldati chi occupano
ampiopa ose eriuifiano fermati suonandocimbalitamburini,fiauti, e trombeche
paionomoltomaggioredequelli cheusano Thuomini. Dimoftrauano anchora una
fimilitudine diC o n uito lincantamentiemagicheopere deOliffe,sendofpar
foilsangueintornointorno. Nelqualeluogo ui ueneuono li demonii, e t f i
demostravano in diverse et varie figure. In qual modo diceva il Vinitore, che
conuerfaffi l’anima di Olisse cauata da Homero collombre &imaginidi Pro
tefilaoedellialcri BaronificomedicePhiloftrato.Ma hora
lescelerateemaladetteStreghee Stregonidenoftritempi, TI ro fir Tiel TOY
MU feron ii be KTOV DIO I cavano il
sangue dalli fanciullini, epermaggiorpartelocon servano
nelliuafiperfarequelmaladettounguento, E bep che paiono
coteftecoseaffaisofficienci, per hauernarrato il detto convito, non dimeno
imperhouoglioanchorloggiun gere la mensa di Achille. APISTIO. Che cosa se
camogue. fta fiammo pucadudire. FRONIMO. Non ti marabigliare E t anchorari
pricgonon uoglisprezzare quello,che uoglio nafcare conciosiachenon
fingouerunacosa Ipera che senonmivuoicredereaddimadalotua Maflimo Tirio, Il che
fe fufa rai, te lo raccontara, ma anzi te lo dimostrara colle suecatre scritctei
o e iinarrara dimia certecosaiferittapermo lu i secoli, ci o e avant i d i mill
es anni come ac fuoi tempi fiz manifefta la Mensa di Achille che eramolto
simile a quella delle ftreghedouidicono chehocauiseggiono mangiano'e beueno
APISTIO. Il mio Fronimo io creda alle tue parole. FRONIMO. Puc quando
anchornonmiuuolesti credere, ioti moftrarebbi il libro dell’antidetro authoree
Greco e anche latino cbieapreffodim e. Nelquale anchorvie foritto di unacerta
isoladelmare Euffindouie il Tempio di Achille Nella quale Covente ef tato u c
duto da lui, esso Achil e ch e ha fatto conuiro a quellihuomini iuiandauano et che
ha cono sciutoP atroclo figluolo di Thete e altri demoni (& fico
meeglidice) lichoridelliDemonii.cio elemoltitudinidief ft& anchobaneucduto
di Dioscurichedannoagiatorioal., lenani
chepericolquotio,accioiolascidiramentarequello cheeffofcriffc.comeera
confuetudine diefferueduto nello Ili o le forze di Hertore. Ma co refte cose
non pertengono al conuito delleLemuri.APIST.Nó pareno queftecolemol. todiscosto
dalconuito diNereo edelloceano, delliqualine fannomemoria
diuerst-poeti.FRONIMO.Réfo I lmaligno Saftuto
nemicodellhuomocoreftivelenatiConuiti,accio
priuaffeIbuomodelloeccellentifmocouitodiChristo che: ha apparecchiato f o u r a
dell a mensa suna el suo Ream o. Ma hora, ur voglio raccontare, non un convito
finto e scrito dalli poeti ma w a maraveglosa cosa gia puochi anni passati ha
mi narrata da un grande huomo ornato cosi di eccellentedi gnitacome didouitiae
di ricchezze. Fuunbuonfacerdote nelle nelle Alpi Rhetie cioe di
Germania gia dodicianni fa ilqua le dovendo portareilfagrosantouiarico del
corpo di Messer Giesu Christo adunogravementeinfernio: &efTendolimola to
discosto, eaedendo dinon poterlo cosiprefto portare ca minando
apiedi,sicomeerailbisogno,falisuilcauallo e le goflralcolloinona
affaihonoreuolecaffetta dilegnos fan, tiffimosagramento, e comenzoaffaiinfreta
di caminareper facis fare al debito fuo. Horsendo al quanto caminato f egli fer
ceincontrauno che loinuitoascienderegiu del cauallo, et andare cô luiper uedere
uno marauegliofo fpetracolo.Ilche imprudentemente eglifacendo per uedere
cotefta curiosa cofacome fufcielo, ecco incontenentisentidiesserportato
perariainfiemeconcoliche Thauea inuitato, et in puoco spacio d itempo feue
diporre foura la cima diun akiflimo monte dovie rauna molto ampia et ameneuole
pianura, in/ corni arada altissimi alberi e con pavente voli ruppi se trata.
Nel mezzo de coi ui fiue devano diversi e varii balli, et an c h o tute le
maniere de giuochi colle nie n se apparecchiate dilautirdiuecficibi, et ancheseudiwanotutre
le generationi de fuoni e di deletteuoli canticono gni dolcezzaetrastullo
cbrieuemenite semteuasi et udeuafitutte quelle cose, le quali suoleno rallegrare
li anime dell huomiui. Dilchenjoliomara uegliandosiilbuonefemplicefacerdotee
purnonhauendo ardimento diparlareperlagrannjaraueghia,& sendomez zo fuoridi
feifteffo glifuchiedutodal copagno, che lhauea condotto quiuifeu voleuaadorareefarerinerentiaallaM
a donna cheera jui, et ufferitliqualcheduono,fecondo che fa
ceuanolaltriEraasederenelmezzo unabellissima Reinaricamente ueftita f, oura di
una reale fegge, a cui le prefenta ciascunaduoiaduoioaquattroaquattro
conuarioordine areuerirla et ad adorarla presentandolidiuerfi duoni. Horudendo
costuitainentare la Madonna e uedendola ornata
ditantofpiandoriedatantisergentiferuita istimochelafus filagloriofamadrediDio
eReinadelcieloedellaterra,cô ciofiachenon sapeva checotestecosefufferoinaencioniere
trouidelli Demroni ilpercheselohaveffeiftimato,novaise rebbeandato.Horafrafeben
pensandochecofaglidouelle presentareperifdoi non
puoterleoffericepiuaggradeuole presenteallamadre che ilcorpo
fagratiffimodelluounige n i c o figliuolo, e coli ando doue fede u aquella et
adoro l lia n ginocchiadoli alli piedi; edipoileuádolidalcollolacafferra doueerail-fagrauiffimo
corpodi Misser Giesu Christo, divotamente uil paofe nel gremio. O di cosa
meravigliora, ecco che incontinenti, come la hebbe poftasoura del gremio di
quellaReina, coliprestofparuilafeggedi oro elaReina erauifu con tuttaquella
moletudine,etcon ognicosa che pareuaiui,epiunonfuuedutopurun puoco diueftigiodi
quellinedelļicóukinedeli giuochi, neapparui quelloche fuffe fatrodelcompagnio.
Hor conoscendo ilfemplizzotro prete come full e stata quest caos a opera del
demonio tutto smarrito e mezz o fuoridife fteffo comentio di pregare Ido dio
che non lo abbandonasse in quellifilueftri luoghipriui dio gnihabitationedemortali.
Eco si girádohorindiequin dilocchi,eandadomo qui, noliperquelliaspriluoghiper
uedere sepuoteuaritrouare qualcheueftigiodihuomini ac cioplotesse intenderedove
fuffe, eritrouandofi sempre in maggioriruineeboschie feluealfinpurranto
caminoper quelle precipitose ruppi, che dopo molto longa fatica, edoi po longospatioditempo
con grauiaffanniritrouo unpaz Atoredacuiintese,comeeradiscostoda quelluogodoue
andaua a portare ilcorpo di Christo da circa cento miglia, Poi che fu
ritornia:o con gran strachezza alla fuahabitatio ne ando dal Magistrato di Massimiliano
Imperarore,erae coiolíiltuttoper ordineficome horaio honartaro. Ma che coteste
cose poffoireffer fatte dal Demonio telo dirano Hi Theologgiliqualimostrano
comelanatura dellicorpieub bediente alla uolonta delle foftantie separate dalla
materia quanroimpechó pertene almouere daluogo aluogo.A n chora
puotraiintêdereallaiessempiidelli corpi hamanipot tatiperaria da
luogoaluogo,seryutoraidallilibridiFras te Arrigo,etdi Frate Giacopo Thodeschi
eccellenti Theo Soggi dellordine'de Frati Predicatori chiamati il maltello,
loquale fecero,confirmandolocon affaiteftimoniodimoke cole che effi uideno
colliproprii occhi.Loquale maltello puotrai
hauere,fetulouuoraiusarecontrodiquellicheso noduri,enon uogliono credereiluero
acciochetu lipieghi à douer crederequellochesono abbrigaci ouero lilpacchi in
cento migliara de pezzi. APISTIO. Cenamentehoudij tounamarauigliosa cosa,
laqualenon puooffuscare la sera nottene anchose puo direche fusseun fomnio
nechesalu ta cófeffataper paura,ouero permatrocio,operqualche al
trafintacagione.Ma uorebbiintenderedachepuotepros cedere che sparislinotutte
quelle cosenel toccare diquella hoftia fagraca, concioliache li demonii, non
solamentete mano il toccare di quella ma ancho cercano. e comandano che siano
portate assai di quelle al giuocoe di poi le fa m o gettare in terracon grādi
scherni e lifanno dare foucadelli piedi elifan faretuttequelle uergogne
siposson fare,fico m e disouraha parrato la Strega. DICASTO. Tunáti deb biper
questomarauigliare conciofiachefapiamo come se (pauentanoeDemonii perilsegnodella
santissima Croce,e nondimeno anchora qualche uolta apparisconoinfiguradi
Chrifto crocifisso accio piu facilmére posson ingånare lhuol. mini. In uerita ti
dicochetunon timacauegliarestisetu ha. Yefli Jettoleopereelauicadi santo
Martino e di. S. Francesco di molti altri santi eseancho. tuhauefliben
effaininato come Messer Giesu Christo sendo anchor in questa mortale Carne il quale
scariauali Demonii silasciotétatead esso De monio egli pmeffechelo portafferouradel
pinnacolo del Tempio,edeindipoi'sourdael monte, et anchepermesle
maggiorcosa,cioeche fuffemalerattato da quelliperfidi Giudeiferui del demonio e
tormentato, et ultima menrecrocifico. Olcrodecio tupresupponichela Streghe narrano
che li Demoniiconculcano,ediano dellipiedisoucadelle hostie consegrare, ma non
e coli, con ci olia che non fanno corefto li Demonii m a/elbenverochelofa
questo lamay legnita dell’huomini asuggestione dieffiDemonii.Anchos
racredochecosicomefalafedeinsiemecon lariuerentia che fanno l’huomi in essa
santissima Croce,enella fagrolan (a hostia consagrata che il maladecto demonio
se ne fugge: cos ianchor uifaccifaretantiuituperii effoperla granmalistia de
essi, eper ilricuperio lifanno. Ma quanto al semplice u coprere. Credo
chefuflila semplicita diquello cagioneche sparefsinotutti quelli
apparecchiamenti, etuttequellalerico fé,emaggiormiére la forza della fede fece che
non solamente non f u ingannato in suo danno, ma anchor fece c h e fu per
eserunoaccio puotes le narrare allialorie dechiarare come quella cofa dequihocą
parlamehepareua effermoltodu biofa, cioelele streghe e STREGONI vano al giuoco
con il cor poouero solamente con la fantasia et imaginatione ouero se vi
possono andare punefleruera, et e verae non una imaginatione. Auchar permette
alcuna volta la possanza de id dio,chesiaschernitoilsagramento
elaCroce,ellaltricose diuine, &alcunavoltano:segondochealuipare.E perchela
fa,sepuosempredarequalcheragioneingenerale,mianon re puo imperhosempre
isplicarein particolare, conciolia chi e tanto rozzo e grosso l’occhiodell
intelletto poftro, a dovere INVESTIGARE li secreti della divina magiesta.
APISTIO. Hormai son satisfatto con queste ragioni, ecitrouomi conten to
rendouscitodellenere& ofcurecauernedelledubitatio pi.FRONIMO.Ben
uedisetuhaialtro dubbio,efupresto chiedelachiarezzaa Dicasto, perchegia
glimolto poffenti euelocicaualliquasi hanno tiratoilcarrodelsoleappo del suo
SEGNO, quabto al nostro hemispherio, accio non bisognali poi remanere
quicotefta notte, sendo ferate le porte del castello. Il percheftareffimomolto
maleagevoli,questanotte delfinuerno,in cotesto Monastero a pena comenzato doui
non stritrouaanchor uerun letto. APISTIO. Hamnipare. che non cifiaaltroda
chiedere eccetto che delliueneficii o fano incanti. DICASTO. Di che cosa
dubith. APISTIO. Se fouofatti veramenteo purchepaionoesserfacti solamente con
la imaginatione. Conciona che affai ha manifeftato la forza
delladiuinaGiusticiasempregiustaenon sempre co: nosciuta perche Iddio alcuna
volta permetta, fepursefallo, et alcuna volta il prohibisca. FRONIMO. Non te
ricordi di: Samofateno, e di Madautefo. APISTIO. Si ben. Et ancho mi ricordo di
hauere alcunauoltaletto dette 5 cose, et anchegiaduoigiornifaleho
uditoramentarea te. Ma egli e ben vero che dubito affainon fiano fauolee che in
ueritanó fufferofattecofiquellecoseche se narrano in quel asino greco et anche
latino. FRONIMO. Coli come iono dubito che siano assai cose finte
emoltopiudiquellochelo Et anchor sepurcoliuuoi che sianotutte quellecose che
for non e detti libri fauole et imaginationi, cosi anche credo che dett e
favole ef i t c i of niiano canate da qual che vero fondamento.Conciosia che il
nostro Divo Aurelio Agostino iftir mo chequelle trasformacioni e
tramutationiiscritteda Varrone cio edelliaugelli di Diomede, delle bestie di
Circee delli lupi di Archadia pigliaffono origine e principio da qual, che cofa
uera. Et anchor raccontanel decimo otcauo libro della citta di dio,
comeerausanzanetepi' suoi difaremol te coseaffaifimilia
quellechenarraouerofingea pulegio. Veroe che dice, come gli demonii non possono
fare ver una cora con la forza della sua natura se non la permette Iddio.
Lioccolti giudici di cui, fono infinitie non uisiritrouaimpe tho verun
dieffiingiufto. IIperchesepare che li demoni fa ciono qualche cosa similea
quelleche ha creatolomnipo. tente euero Iddio, eche pare chemutano una speciedi
uno animaleinunaltra:ouerotramutanouna creatura in unal tan,on euerochecofi, fia,maebenuerochecosifaappare
teouero imprimendo dettefpecieefigurefintenellimagi, natione e fantasia, overo
mettendo avanti li occh i corporali un altraf inta specie e figura. E
cosi io ile di 5 lui che ha conturbata la fantasia, diesser una cosa in
luogo di analera et il simile parera allaltci. non dimeno fera imperho quel
medemo, overo gli prepora una similitudine auktiloco chi la quale di
continuoglifaraparereefferecofi, ecosicre. deca dieffer veduto anchedall altri .E
coteftanon egramel raueglia,percheseun corpo puo ingannarelifeptimeci corporali
e farli parere una cosa altrimento di quello che e-fico m e vediamo che
failuietro, il quale imprime quell suocolore nellocchio percotalmodoche fa
parere tuttelaltrecosefimi leaTenelcolore, benche fianoaltrimentoinsecolorate,quá
t o maggior mete i spiriti ignudi da ogni corpo, cio e li demo qualche uolta
pareraacoi nit Quotrano conturbare la
fantasia er ingannare l’occhi elal trisentimenti delle creature inferioris E coliin
cotéfto modo iftimaraifuffero quelle operediquei Almi, e di quella specie di
quello prestance cauallo, chiporcaua li gradi pesi ladispu tatione del FILOSOFO,
chdiifpucaua senza corpo le cose di Platone le astute opere delli lupi di
Arcadia, e liuerfi di Circe che trafformaronoli compagni di Oliffe.
Ecosituttecol tefte cosefedebbono attribuire al spirito imaginario, ouero alla
fantasia. che cosi era ingannata a cui pareua essere quel la cosa che non era.
Il simile anchor diremo della cerva in uecede Iphigenia, e li augelli i uece
delli compagni di Olisse, cioe chefufferoposte simili imaginie figure dalli
demonii auktilocchidellhuomini,opur ancheforliuifuffipoftauna uera cerua, etancheueriaugellinóui
apparëdo Iphigenia nelicompagnidiOliffe,o sendoiuipresente,oueroportati in
aloriluoghi. DICASTO. O quanto ben, e quanto brieueme
tehaicuraccontatoquellecosdei santoAgoftino,enóman co uere ficomeio
iftimo.Eglie ferma cóclufione tenuta dal li theologgiqualmente sono soggietti
naturalmente i sentimenti dell’huomini e la imaginatione e fantasia alla poffanza
delli demonii, perche sono essi sentimenti e imaginatione inferiorie
manconobili di dettefoftārie separate eprine di ogni corpo eco si sendo
piunobili,glisonosoggietrequei Accosemen nobili, Iipercheanchor uoglionarrare
alcune verissime coseacoteft opposito per confermare quello che havemo detto egli
etaccotatonelleuitedesati Padri come fuacconciataunagiouenenper incanti
incoralinodo ch epareg a una sfrenar a cavalla. I perche sendo presentata
avanti di santo Machario, perle orationi dieffu fuleuato d avanti l’occhi
diciascun quel prestigio, e quella illusione del demonio, eco si pareva in quel
modo sicome era in verita. Puote il demonio commovere li interiori sentimenti a
molti, alliqua lipareuafufli altrimente quellameschinagiouine di quello che
eram a non puote mouere imperhoeffisentimentiinte tioridisanto Machario
fortificati principalmene con loadiu torio di Iddio aface parere quello che non
era Anchor non aftregnega la finta figura di quel huomo, che paceua uno asino
nella Citta di Salamina della Isola di Cipro, liocchi dicia scuncheloucdeuadaiftimarecbelfuffeun
Alino.eca cetto di quella donna m a g a el incadratrice laquale glih a. uea per
talmodo conturbato la fantasia colli suoi maleficii, che anchealuipareyadi
esser douentato uno asino, ecosi portaua le legna in vece di giumento.Vero
erchefaugiutato per prudentia dialcuni niercatanti Genoueh, liquali ue: la
Chiesa perfareriuerétiaetadorare Iddio iftimaronoche quello non fufleuna vera
bestia, eco si cercarono di agiutar. e difareportarelamerite uole pena alla
incantatrice. In verita ui dico che possono fare li m alegni demonii appare
temoltecose altrimente di quello che fono,epossonom o uere molte cose e rappresentarle
nella fantasia, efareparece u n a cosa in altro m o d o di quello chi-e-et
anchora fare i li mile nelli corporali senrimenti in un medelimo huomo. Oltro
dicio occorre che fono ingannati liocchi di quelli che vedono, et ancho e
conturbato l’occhio della mente, fendomoffa la imaginatione.
Anchorsıcome,giaauantidi ceffimo,puo esserportatoilcorpo per
diuerfiluoghi.Ilger cheinteruiene che quelliliqualinon ben e sollicitamente
ellaminano queste cosea parteaperparte facilmente sono ingannati ecosi non ben
chiaramentec onsiderando lilibri delli doreie litterati huomininon possondcitta
mente giudicare quanta differentia e fralle cose create, e quelle che uscis
seno da qualche natura delle creature efra quello chi e intiero, e quello
chiler parte, e fra il uero, e quello che er fimile al uero, e quello che dimostra
la sua imagine, e quello che dimoftra quelladaltrui.Enon ben pesanocon la
giustabio y lanza la forza di tutta la natura nelaportanza delli demonii Er
alfineanchonon confiderano ligiudiciide Iddio,liquali speffe uolte sono occultissimi
anoi,ma impho sempresono fatlicolomma giustitia. FRONIMO Hormaise appropinquala
fera egia comencia di apparere la oscura noite il oche l’hora tarda ciinuita di
ritornare a casa. Siche Apistio se non seifatis Gattopģīta nostra longa
disputatione n ó poflo piu ueder che. Chi inginocchiare e prostrare in terra aukti
la porta del coradobbian fare acciopollieffercôtéto. Cöciolia che tu hal
poffuto conoscere come queftomaladetto eriscommunica to giuoconon efictionene
fauola. coliperli libri dell’antichi, con e per l’opere fatte ne tempi nostri,
e come egli e in sostantia antichissimo e nuouo per molte conditionier che e
Atato mutaro secondo la maligna e perversa volonta delli demonii,
eforsianchorlo mutara, perche etantalaasturiaelucili tadieffoiniquo
inganrratoredell’huomini che continuamen e cerca nuovi modi daposferi ngannarenoi.
Ho dimoftrato a te li Cerchi li unguenti, le parole magiche et incanti liu i
agogi per li grandi fpati dell’aria li lascivie libidinosi piaceri delli
demonii che si sono ritrouari cosi ne tempi nostri, come ne tempi delli baroni
antichi. E tho dimostrato qualmente pen Sarono li pecaerfi demoni di douer
calonniaree uituperare l’humana generationedallaprimaantiquitacioedal primo
huomo perinfino adhora.E come haingannato I huomo
collesueresposte,colliragionamenti con lafamiliarita edi mestichezza, ecome ha
cercatoperogniuiaemodo di ingå nare ognifeffo,etognieracollifimulacri euarie
imagini,et che seesforzato diufurpareladiuinita, e farsi adorare come Dio,etche
ha fatto nuoceuoliconuitiallimortali, etcheliba portato a similitudine diun
giumento che habbia leali, eco me hadesideratodihauer lisceleratiffimi piaceri carnali
colo li huomini. Ma perche io ti ueggio hora molto Atracco per
tantouiaggiochehaifacto con lanimotuoin diuerseregio nie paesi della [calia
della Sicilia, et iolcrodel Ionio mare e dello Eulino e tan cho r perche te ho
codoico colli mei ragionamenti nell’Africa nell'Asia, e perinsino alli
Hiperborei Mode dovi non ci ho condotto. Il perch es e ra homa i tempo ne
debbicitornar emeco acasa. APISTIO. Tudiiluero, liben hormaiehora.E cositecone
uengo, e molto satisfaco. DICASTO. Se i tudung content di quello
chehauemodetto: Ec in uericaneuieninellanoftra oppenione. APISTIO. Si
certamente son contento, et inueritauidico, che credo quello che e statodetto.
DICASTO. Dicupurdado vero o pergivoco. APISTIO. Puo effer questo Dicasto, che
tu iltimiche io dica quello per iscrizo e giuoco che ha creduto tutta
l’antiquita e tutta anchor la pofterit ad Io dico quello che ancho confermano
colli isperimenti et essempii, li Poesi, Oratori, Histocici leggitti, FILOSOFI,
teologi, Ihuomini prudenti li soldati lirufticie contadini, beniche le
ritrouano alcuni Sauioli, liqualiripucandosi piu dotiefauiiditurcil altri,che
queftoniegano, DICASTO. Dung ficome io uedo tu hai mutato oppenione. APISTIO.
Che bisogna piu affirmarlo, Gia te l’ho detto, Eco si perche io ho uefito l’animo
mio di un altro habito cuesta, e pareame dihauerritrouatola verita di quello
cheprima non credeuo in questa cosa giacendo nella nera et oscura tenebradella
igriorantia e della fallita, desidero grande mete di mutare il nome e di pigliarneuna
tro conuene uolea quefto nuovo habito, de cui hora son vefito. DICASTO. Molto
mi piace, Eco li per satiffare alla tu
honesta voglia ci daro un nome conueniente si come addj mandi. Dug per lo
avenire serai chiamato. PISTICO. APISTIO. O. quanto hammi piace questo nome. Hora
coliper ogni modo voglio esser chiamato. FRONIMO. Se piu non ciresta cosa
alcuna de cui tu habbi desiderio de intendere. egli e hora che ci partiamo con
buon al i centia del reverendo padre inquisitore e che presto retorniamo al
castello, Il perche vale reverende padre. DICASTO. Ite tan in pace. Nome
compiuto: Leandro Alberti. Alberti. Keywords: diavolo, satana, mefistofele,
angelo caduto, demonio, eudemonico. Refs. Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, “Grice ed Alberti,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Alberti: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della thoscana
senz’autore – la scuola di Genova – filosofia genovese -- filosofia ligure –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Genova). Filosofo
Genovese. Filosofo ligure. Filosofo Italiano. Genova, Liguria. Grice: “I like
[Leon Battista] Alberti; of course he is from Genova – Liguaria being the heart
of my Italy, or the Italy of my heart!” – Grice: “I like Alberti’s ramblings on
love to his lawyer friend – a full page without a p.s. – and it’s none of the
Kantian conversational maxims or Ovidian tactics, but just a prohibition to
mingle with the ladies!” -- Italian philosopher, on ‘aesthetics.’ Cf. Grice on
sensation. Grice: “No one can fail to be enchanted by Lusini’s great likeness
of Alberti at the loggiato of the uffizi! Ah, if we had the same at Oxford!” --
Genova-born essential Italian philosopherGrice, “I love his “De statua”it’s
more philosophical anthropology than aesthetics!” «Ci è un uomo che
per la sua universalità parrebbe volesse abbracciarlo tutto, dico Leon Battista
Alberti, pittore, architetto, poeta, erudito, filosofo e letterato» (Francesco
de Sanctis, Storia della letteratura italiana). Filosofo. Una delle figure artistiche
più poliedriche del Rinascimento. Il suo primo nome si trova spesso,
soprattutto in testi stranieri, come Leone. A. fa parte della seconda
generazione di umanisti (quella successiva a Vergerio, Bruni, Bracciolini,
Francesco Barbaro), di cui fu una figura emblematica per il suo interesse nelle
più varie discipline. Un suo costante interesse era la ricerca delle regole,
teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue
opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel "De statua" espose le
proporzioni del corpo umano, nel "De pictura" fornì la prima
definizione della prospettiva scientifica e infine nel "De re
aedificatoria" (opera cui lavorò fino alla morte), descrisse tutta la
casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza del
progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione. Tale
opera lo renderà immortale nei secoli e motivo di studio a livello
internazionale da artisti come Eugène Viollet-le-Duc e Ruskin. Come architetto,
A. viene considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore dell'architettura
rinascimentale. L'aspetto innovativo delle sue proposte, soprattutto sia in
ambito architettonico che umanistico, consisteva nella rielaborazione moderna
dell'antico, cercato come modello da emulare e non semplicemente da replicare.
La classe sociale a cui A. faceva riferimento è comunque un'aristocrazia e alta
"borghesia" illuminata. Egli lavorò per committenti quali i Gonzaga a
Mantova e (per la tribuna della SS. Annunziata) a Firenze, i Malatesta a
Rimini, i Rucellai a Firenze. Presunto autoritratto su placchetta, (Parigi,
Cabinet des Medailles). Leon Battista nacque a Genova, figlio di Lorenzo A., di
una ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini banditi dalla città
toscana a per motivi politici, e da Bianca Fieschi, appartenente ad una delle
più nobili casate genovesi. I primi studi furono di tipo letterario, dapprima a
Venezia e poi a Padova, alla scuola dell'umanista Barzizza, dove apprese il
latino e forse anche il greco. Si trasferì poi a Bologna dove studiò diritto,
coltivando parallelamente il suo amore per molte altre discipline artistiche
quali la musica, la pittura, la scultura, la matematica, la grammatica e la
letteratura in generale. Si dedicò all'attività letteraria sin da giovane: a
Bologna, infatti, già intorno ai vent'anni scrisse una commedia autobiografica
in latino, la Philodoxeos fabula. Compose in latino il Momus, un originalissimo
e avvincente romanzo mitologico, e le Intercoenales; in volgare, compose
un'importante serie di dialoghi (De familia, Theogenius, Profugiorum ab ærumna
libri, Cena familiaris, De iciarchia, dai titoli rigorosamente in latino) e
alcuni scritti amatori, tra cui la Deiphira, ove raccoglie i precetti utili a
fuggire da un amore mal iniziato. Dopo la morte del padre, A. trascorse alcuni
anni di difficoltà, entrando in forte contrasto con i parenti che non volevano
riconoscere i suoi diritti ereditari né favorire i suoi studi. In questi anni
coltivò soprattutto gli studi scientifici, astronomici e matematici. Sembra si
sia tuttavia concretamente laureato in diritto a Bologna, o forse a Ferrara,
nonostante le difficoltà economiche e di salute. Tra Padova e Bologna intrecciò
amicizie con molti importanti intellettuali, come Paolo Dal Pozzo Toscanelli,
Parentuccelli, futuro papa Nicolò V e probabilmente Cusano. Poco si sa, benché
debba escludersi che si sia recato a Firenze dopo il ritiro del bandi contro
gli A. e sia del pari assai poco probabile che al seguito del cardinal
Albergati abbia viaggiato in Francia e nel Nord Europa. Diventò segretario del
patriarca di Grado e, trasferitosi a Roma con questi, è nominato abbreviatore
apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel redigere i brevi
apostolici). Così entrò nel prestigioso ambiente umanistico della curia di papa
Eugenio IV, che lo nominò titolare della pieve di San Martino a Gangalandi a
Lastra a Signa, nei pressi di Firenze, beneficio di cui godette fino alla
morte. Vivendo prevalentemente a Roma ma spostandosi per periodi anche lunghi e
per varie incombenze a Ferrara, Bologna, Venezia, Firenze, Mantova, Rimini e
Napoli. Scrive in pochi mesi i primi tre libri de Familia, un dialogo in
volgare completato con un quarto libro. Il dialogo è ambientato a Padova,; vi
partecipano vari componenti della famiglia Alberti, personaggi realmente
esistiti, scontrandosi su due visioni diverse: da un lato c'è la mentalità
moderna e borghese e dall'altro la tradizione, aristocratica e legata al
passato. L'analisi che il libro offre è una visione dei principali aspetti e istituzioni
della vita sociale dell'epoca, quali il matrimonio, la famiglia, l'educazione,
la gestione economica, l'amicizia e in genere i rapporti sociali: l'Alberti
esprime qui un punto di vista "filosofico" pienamente umanistico, che
ricorre in tutte le sue opere di carattere morale e che consiste nella
convinzione che gli uomini siano responsabili della propria sorte e che la
virtù sia insita nell'uomo e debba essere realizzata attraverso l'operosità, la
volontà e la ragione. A Firenze Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli
Uffizi a Firenze. A. visse prevalentemente a Firenze e Ferrara, al seguito
della curia papale che fra l'altro partecipò al Concilio, ossia alle sedute
ferrarese e fiorentina del concilio ecumenico che dovevano riappacificare la
chiesa latina e le chiese cristiano-orientali, in particolare quella greca. In
questo periodo l'A. assimila parte della cultura fiorentina, cercando (invero
con moderato successo) d'inserirsi nell'ambiente intellettuale e artistico
della città; sono verosimilmente gli anni in cui nascono i suoi interessi
artistici, che si traducono da subito nella duplice redazione (latina e
volgare) del De pictura. Nel prologo della versione in volgare, dedica l'opera
a Brunelleschi e menziona anche i grandi innovatori delle arti del tempo:
Donatello, Masaccio (morto già) e i Della Robbia. Al seguito del pontefice
Eugenio IV lasciò Firenze, ma con la città continuò ad avere intensi rapporti
legati anche ai cantieri dei suoi progetti. De pictura Magnifying glass icon
mgx2.svg Il De pictura e scritto verosimilmente dapprima in latino e tradotto
poi in volgare; se la redazione latina, senza ombra di dubbio la più importante
e ricca, sarà dedicata al Gonzaga marchese di Mantova, per quella volgare l'A.
redasse una dedica al Brunelleschi che, trasmessa da un solo codice
strettamente legato al laboratorio personale dell'Alberti, forse non fu mai
inviata. Il De pictura rappresenta la prima trattazione di una disciplina
artistica non intesa solo come tecnica manuale, ma anche come ricerca
intellettuale e culturale, e sarebbe difficile immaginarla fuori dallo
straordinario contesto fiorentino e scritta da un autore diverso d’A., grande
intellettuale umanista e artista egli stesso, anche se la sua attività nel
campo delle arti figurative—attestata (benché in modi non lusinghieri) già dal
Vasari—dovette essere ridotta. Il trattato è organizzato in tre
"libri". Il primo contiene la più antica trattazione della
prospettiva. Nel secondo libro l'Alberti tratta di “circoscrizione,
composizione, e ricezione dei lumi”, cioè dei tre principi che regolano l'arte
pittorica: la circumscriptio consiste nel tracciare il contorno dei corpi; la
compositio è il disegno delle linee che uniscono i contorni dei corpi e perciò
la disposizione narrativa della scena pittorica, la cui importanza è qui
espressa per la prima volta con piena lucidità intellettuale; la receptio
luminum tratta dei colori e della luce. Il terzo libro è relativo alla figura
del pittore di cui si rivendica il ruolo di vero artista e non, semplicemente,
di artigiano. Con questo trattato Alberti influenzerà non solo il Rinascimento
ma tutto quanto si sarebbe detto sulla pittura sino ai nostri giorni. La
questione del volgare Pur scrivendo numerosi testi in latino, lingua alla quale
riconosceva il valore culturale e le specifiche qualità espressive, l'Alberti
fu un fervente sostenitore del volgare. La duplice redazione in latino e in
volgare del De pictura manifesta il suo interesse per il dibattito allora in
corso tra gli umanisti sulla possibilità di usare il volgare nella trattazione
di ogni materia. In un dibattito avvenuto a Firenze tra gli umanisti della
curia, Flavio Biondo aveva affermato la diretta discendenza del volgare dal
latino e A., ne dimostra genialmente la tesi componendo la prima grammatica del
volgare, e ne riprende gli argomenti difendendo l'uso del volgare nella
dedicatoria del libro III de Familia a Francesco d'Altobianco A. Da qui deriva
la significativa esperienza del Certame coronario, una gara di poesia sul tema
dell'amicizia, organizzata a Firenze dall'A. con il più o meno tacito concorso
di Piero de' Medici, una gara che doveva servire all'affermazione del volgare,
soprattutto in poesia, e alla quale va associata la composizione dei sedici
Esametri sull'amicizia da parte dell'AlbertiEsametri ora pubblicati fra le sue
Rime, innovative tanto nello stile quanto nella metrica, che costituiscono uno
dei primissimi tentativi di adattare i metri greco-latini alla poesia volgare
(metrica «barbara»). Nonostante ciò, l'A.continuò a scrivere naturalmente in
latino, come fece per gli Apologi centum, una sorta di breviario della sua
filosofia di vita. Chiusosi il concilio a Firenze, ritornò con la curia papale
a Roma. continuando a ricoprire il ruolo di abbreviatore apostolico per ben 34
anni, fino al 1464, quando il collegio degli abbreviatori fu soppresso. Durante
la permanenza a Roma ebbe modo di coltivare i propri interessi propriamente
architettonici, che lo indussero a proseguire lo studio delle rovine della Roma
classica, come dimostra la stessa Descriptio urbis Romae, risalente al 1450
circa, in cui l'Alberti tentò con successo, per la prima volta nella storia,
una ricostruzione della topografia di Roma antica, mediante un sistema di
coordinate polari e radiali che permettono di ricostruire il disegno da lui
tracciato. I suoi interessi archeologici lo portarono anche a tentare il
recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi. Questi interessi per
l'architettura che diventeranno prevalenti negli ultimi due decenni della sua
vita, non impedirono una ricchissima produzione letteraria. Compone una delle
sue opere più interessanti, il Momus, un romanzo satirico in lingua latina, che
tratta in maniera abbastanza amara e disincantata della società umana e degli
stessi esseri umani. Dopo l'elezione di Niccolò V, l'A., come antico
conoscente, entrò nella cerchia ristretta del papa, dal quale ricevette anche
la carica di priore di Borgo San Lorenzo. Tuttavia i rapporti con il papa sono
considerati piuttosto controversi dagli storici, sia per quel che riguarda gli
aspetti politici che per l'adesione o la collaborazione dell'A.al vasto
programma di rinnovamento urbano voluto da Niccolò V. Forse venne impiegato
durante il restauro del palazzo papale e dell'acquedotto romano e della fontana
dell'Acqua Vergine, disegnata in maniera semplice e lineare, creando la base
sulla quale, in età Barocca, sarebbe stata costruita la Fontana di Trevi. A.
cominciò ad occuparsi più attivamente di architettura con numerosi progetti da
eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova, città in cui si recò varie
volte durante gli ultimi decenni della sua vita. In tal modo dopo la metà del
secolo l'Alberti fu la figura-guida dell'architettura. Questo riconosciuto
primato rende anche difficile distinguere, nella sua opera, l'attività di
progettazione dalle tante consulenze e dall'influenza più o meno diretta che
dovette avere, per esempio, sulle opere promosse a Roma, sotto Niccolò V, come
il restauro di Santa Maria Maggiore e Santo Stefano Rotondo o come la costruzione
di Palazzo Venezia, il rinnovamento della basilica di San Pietro, del Borgo e
del Campidoglio. Potrebbe forse essere stato il consulente che indica alcune
linee-guida o, ma ben più difficilmente, aver avuto un ruolo anche meno
indiretto. Sicuramente il prestigio della sua opera e del suo pensiero teorico
condizionarono direttamente l'opera di progettisti come Francesco del Borgo e
Rossellino, influenzando anche Giuliano da Sangallo. Morì a Roma. Il De re
aedificatoria Frontespizio Matteo de' Pasti, Medaglia di A.. Magnifying glass
icon mgx2.svg De re aedificatoria. Le sue riflessioni teoriche trovarono
espressione nel De re aedificatoria, un trattato di architettura in latino,
scritto prevalentemente a Roma, cui A. lavorò fino alla morte e che è rivolto
anche al pubblico colto di educazione umanistica. Il trattato fu concepito sul
modello del De architectura di Vitruvio. L'opera, considerata il trattato
architettonico più significativo della cultura umanistica, è divisa anch'essa
in dieci libri: nei primi tre si parla della scelta del terreno, dei materiali
da utilizzare e delle fondazioni (potrebbero corrispondere alla categoria
vitruviana della firmitas); i libri IV e V si soffermano sui vari tipi di
edifici in relazione alla loro funzione (utilitas); il libro VI tratta la
bellezza architettonica (venustas), intesa come un'armonia esprimibile
matematicamente grazie alla scienza delle proporzioni, con l'aggiunta di una
trattazione sulle macchine per costruire; i libri VII, VIII e IX parlano della
costruzione dei fabbricati, suddividendoli in chiese, edifici pubblici ed
edifici privati; il libro X tratta dell'idraulica. Nel trattato si trova anche
uno studio basato sulle misurazioni dei monumenti antichi per proporre nuovi
tipi di edifici moderni ispirati all'antico, fra i quali le prigioni, che cercò
di rendere più umane, gli ospedali e altri luoghi di pubblica utilità. Il
trattato fu stampato a Firenze, con una prefazione del Poliziano a Lorenzo il
Magnifico, e poi a Parigi e a Strasburgo. Venne in seguito tradotto in varie
lingue e diventò ben presto imprescindibile nella cultura architettonica
moderna e contemporanea. Nel De re aedificatoria, l'A.affronta anche il tema
delle architetture difensive e intuisce come le armi da fuoco rivoluzioneranno
l'aspetto delle fortificazioni. Per aumentare l'efficacia difensiva indica che
le difese dovrebbero essere "costruite lungo linee irregolari, come i
denti di una sega" anticipando così i principi della fortificazione alla
moderna. L'attività come architetto a Firenze A Firenze lavorò come architetto
soprattutto per Giovanni Rucellai, ricchissimo mercante e mecenate, intimo
amico suo e della sua famiglia. Le opere fiorentine saranno le sole dell'A. a
essere compiute prima della sua morte. Palazzo Rucellai Facciata di palazzo
Rucellai. Gli venne commissionata la costruzione del palazzo della famiglia
Rucellai, da ricavarsi da una serie di case-torri acquistate da Rucellai in via
della Vigna Nuova. Il suo intervento si concentrò sulla facciata, posta su un basamento
che imita l'opus reticulatum romano. È formata da tre piani sovrapposti,
separati orizzontalmente da cornici marcapiano e ritmati verticalmente da
lesene di ordine diverso; la sovrapposizione degli ordini è di origine classica
come nel Colosseo o nel Teatro di Marcello, ed è quella teorizzata da Vitruvio:
al piano terreno lesene doriche, ioniche al piano nobile e corinzie al secondo.
Esse inquadrano porzioni di muro bugnato a conci levigati, in cui si aprono
finestre in forma di bifora nel piano nobile e nel secondo piano. Le lesene
decrescono progressivamente verso i piani superiori, in modo da creare
nell'osservatore l'illusione che il palazzo sia più alto di quanto non sia in
realtà. Al di sopra di un forte cornicione aggettante si trova un attico,
caratteristicamente arretrato rispetto al piano della facciata. Il palazzo creò
un modello per tutte le successive dimore signorili del Rinascimento, venendo
addirittura citato pedissequamente da Bernardo Rossellino, suo collaboratore,
per il suo palazzo Piccolomini a Pienza. Attribuita all'A. è anche l'antistante
Loggia Rucellai, o per lo meno il suo disegno. Loggia e palazzo andavano così
costituendo una sorta di piazzetta celebrante la casata, che viene riconosciuta
come uno dei primi interventi urbanistici rinascimentali. Facciata di Santa
Maria Novella Facciata di Santa Maria Novella, Firenze. Su commissione del
Rucellai, progettò anche il completamento della facciata della basilica di
Santa Maria Novella, rimasta incompiuta al primo ordine di arcatelle,
caratterizzate dall'alternarsi di fasce di marmo bianco e di marmo verde,
secondo la secolare tradizione fiorentina. Si presentava il problema di
integrare, in un disegno generale e classicheggiante, i nuovi interventi con
gli elementi esistenti di epoca precedente: in basso vi erano gli avelli
inquadrati da archi a sesto acuto e i portali laterali, sempre a sesto acuto,
mentre nella parte superiore era già aperto il rosone, seppur spoglio di ogni
decorazione. A. inserì al centro della facciata inferiore un di proporzioni
classiche, inquadrato da semicolonne, in cui inserì incrostazioni in marmo
rosso per rompere la bicromia. Per terminare la fascia inferiore pose una serie
di archetti a tutto sesto a conclusione delle lesene. Poiché la parte superiore
della facciata risultava arretrata rispetto al basamento (un tema molto comune
nell'architettura albertiana, derivata dai monumenti della romanità) inserì una
fascia di separazione a tarsie marmoree che recano una teoria di vele gonfie al
vento, l'insegna personale di Giovanni Rucellai; il livello superiore, scandito
da un secondo ordine di lesene che non hanno corrispondenza in quella
inferiore, sorregge un timpano triangolare. Ai lati, due doppie volute
raccordano l'ordine inferiore, più largo, all'ordine superiore più alto e
stretto, conferendo alla facciata un moto ascendente conforme alle proporzioni;
non mascherano come spesso si è detto erroneamente gli spioventi laterali che
risultano più bassi, come si evince osservando la facciata dal lato posteriore.
La composizione con incrostazioni a tarsia marmorea ispirate al romanico
fiorentino, necessaria in questo caso per armonizzare le nuove parti al già
costruito, rimase una costante nelle opere fiorentine dell'Alberti. Secondo
Rudolf Wittkower: "L'intero edificio sta rispetto alle sue parti
principali nel rapporto di uno a due, vale a dire nella relazione musicale
dell'ottava, e questa proporzione si ripete nel rapporto tra la larghezza del
piano superiore e quella dell'inferiore". La facciata si inscrive infatti
in un quadrato avente per lato la base della facciata stessa. Dividendo in
quattro tale quadrato, si ottengono quattro quadrati minori; la zona inferiore
ha una superficie equivalente a due quadrati, quella superiore a un quadrato.
Altri rapporti si possono trovare nella facciata tanto da realizzare una
perfetta proporzione. Secondo Franco Borsi: "L'esigenza teorica
dell'Alberti di mantenere in tutto l'edificio la medesima proporzione è qui
stata osservata ed è appunto la stretta applicazione di una serie continua di
rapporti che denuncia il carattere non medievale di questa facciata
pseudo-protorinascimentale e ne fa il primo grande esempio di eurythmia
classica del Rinascimento". Altre opere Il tempietto del Santo Sepolcro.
Attribuito all'Alberti è il progetto dell'abside della pieve di San Martino a
Gangalandi presso Lastra a Signa. L'A.fu rettore di San Martino fino alla sua
morte. La chiesa, di origine medievale, ha il suo punto focale nell'abside,
chiusa in alto da un arco a tutto sesto con decorazione a motivi di candelabro
e con lesene in pietra serena sorreggenti un architrave che reca un'iscrizione
a lettere capitali dorate, ornata alle due estremità dalle arme degli A..
L'abside è ricordata incepta et quasi perfecta nel testamento di A., e fu
infatti terminata dopo la sua morte. È un'altra opera per i Rucellai, il
tempietto del Santo Sepolcro nella chiesa di San Pancrazio a Firenze, costruito
secondo un parallelepipedo spartito da paraste corinzie. La decorazione è a
tarsie marmoree, con figure geometriche in rapporto aureo; le decorazioni
geometriche, come per la facciata di Santa Maria Novella, secondo l'Alberti
inducono a meditare sui misteri della fede. Ferrara Il campanile del duomo di
Ferrara. L'A, fu a Ferrara a varie riprese, e stringendo amicizie alla corte
estense. Vi ritorna, e chiamato a giudicare la gara per un monumento equestre a
Niccolò III d'Este. In tale occasione forse dette indicazioni per il rinnovo
della facciata del Palazzo Municipale, allora residenza degli Estensi. A lui è
stato attribuito da insigni storici dell'arte, ma esclusivamente su basi
stilistiche, anche l'incompleto campanile del duomo, dai volumi nitidi e dalla
bicromia di marmi rosa e bianchi. Rimini Tempio Malatestiano, Rimini. A. venne
chiamato a Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta per trasformare la chiesa di
San Francesco in un tempio in onore e gloria sua e della sua famiglia. Alla
morte del signore il tempio fu lasciato incompiuto mancando della parte
superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna. Conosciamo
il progetto albertiano attraverso una medaglia incisa da Matteo de' Pasti,
l'architetto a cui erano stati affidati gli ampliamenti interni della chiesa e
in generale tutto il cantiere. Tempio malatestiano sulla medaglia di Matteo de'
Pasti. L'A. ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio
preesistente. L'opera prevedeva in facciata una tripartizione con archi
scanditi da semicolonne corinzie, mentre nella parte superiore era previsto una
specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste e forse due volute
curve. Punto focale era il centrale, con timpano triangolare e riccamente
ornato da lastre marmoree policrome nello stile della Roma imperiale. Ai lati
due archi minori avrebbero dovuto inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della
moglie Isotta, ma furono poi tamponati. Le fiancate invece sono composte da una
sequenza di archi su pilastri, ispirati alla serialità degli acquedotti romani,
destid accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Fianchi e
facciata sono unificati da un alto zoccolo che isola la costruzione dallo
spazio circostante. Ricorre la ghirlanda circolare, emblema dei Malatesta, qui
usata come oculo. Interessante è notare come A. traesse spunto
dall'architettura classica, ma affidandosi a spunti locali, come l'arco di
Augusto, il cui modulo è triplicato in facciata. Una particolarità di questo
intervento è che il rivestimento non tiene conto delle precedenti aperture
gotiche: infatti, il passo delle arcate laterali non è lo stesso delle finestre
ogivali, che risultano posizionate in maniera sempre diversa. Del resto Alberti
scrive a Matteo de' Pasti che «queste larghezze et altezze delle Chappelle mi
perturbano». Per l'abside era prevista una grande rotonda coperta da cupola
emisferica simile a quella del Pantheon. Se completata, la navata avrebbe
allora assunto un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare e
sarebbe stata molto più evidente la funzione celebrativa dell'edificio, anche
in rapporto allo skyline cittadino. Mantova Chiesa di San Sebastiano, Mantova.
Basilica di Sant'Andrea, Mantova. A. fu chiamato a Mantova da Ludovico III
Gonzaga, nell'ambito dei progetti di abbellimento cittadino per il Concilio di
Mantova. San Sebastiano Il primo intervento mantovano riguardò la chiesa di San
Sebastiano, cappella privata dei Gonzaga, iniziata nel 1460. L'edificio fece da
fondamento per le riflessioni rinascimentali sugli edifici a croce greca: è
infatti diviso in due piani, uno dei quali interrato, con tre bracci absidati attorno
ad un corpo cubico con volta a crociera; il braccio anteriore è preceduto da un
portico, oggi con cinque aperture. La parte superiore della facciata, spartita
da lesene di ordine gigante, è originale del progetto albertiano e ricorda
un'elaborazione del tempio classico, con architrave spezzata, timpano e un arco
siriaco, a testimonianza dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva
gli elementi. Forse l'ispirazione fu un'opera tardo-antica, come l'arco di
Orange. I due scaloni di collegamento che permettono l'accesso al portico non
fanno parte del progetto originario, ma furono aggiunte posteriori. Sant'Andrea
Il secondo intervento, sempre su commissione dei Gonzaga, fu la basilica di
Sant'Andrea, eretta in sostituzione di un precedente sacrario in cui si
venerava una reliquia del sangue di Cristo. L'A. creò il suo progetto «... più
capace più eterno più degno più lieto...» ispirandosi al modello del tempio
etrusco ripreso da Vitruvio e contrapponendosi al precedente progetto di
Antonio Manetti. Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola
all'asse viario che collegava Palazzo Ducale al Tè. La chiesa a croce latina è
a navata unica coperta a botte con lacunari, con cappelle laterali a base
rettangolare con la funzione di reggere e scaricare le spinte della volta,
inquadrate negli ingressi da un arco a tutto sesto, inquadrato da un lesene
architravate. Il tema è ripreso dall'arco trionfale classico ad un solo fornice
come l'arco di Traiano ad Ancona. La grande volta della navata e quelle del
transetto e degli atri d'ingresso si ispiravano a modelli romani, come la
Basilica di Massenzio. Per caratterizzare l'importante posizione urbana, venne
data particolare importanza alla facciata, dove ritorna il tema dell'arco:
l'alta apertura centrale è affiancata da setti murari, con archetti sovrapposti
tra lesene corinzie sopra i due portali laterali. Il tutto, coronato da un
timpano triangolare a cui si sovrappone, per non lasciare scoperta l'altezza
della volta, un nuovo arco. Questa soluzione, che enfatizza la solennità
dell'arco di trionfo e il suo moto ascensionale, permetteva anche
l'illuminazione della navata. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio,
diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno. La facciata è
inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che
in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. La tribuna e la cupola
(comunque prevista da A.) vennero completate nei secoli successivi, secondo un
disegno estraneo all'A.. I caratteri dell'architettura albertiana Le opere più
mature di Alberti evidenziano una forte evoluzione verso un classicismo
consapevole e maturo in cui, dallo studio dei monumenti antichi romani, l'A.
ricavò un senso delle masse murarie ben diverso dalla semplicità dello stile
brunelleschiano. I modi originali albertiani precorsero l'arte del Bramante. I
caratteri innovativi di A. furono: La colonna deve sostenere la trabeazione e
deve essere usata come ornamento per le fabbriche; l'arco deve essere costruito
sopra i pilastri. Il De statua Il trattato, scritto in latino, è relativo alla
teoria della scultura e risale. Nel De statua, l'A. rielaborò profondamente le
concezioni e le teorie relative alla scultura tenendo conto delle innovazioni
artistiche del Rinascimento, attingendo anche ad una rilettura critica delle
fonti classiche e riconoscendo, tra i primi dignità intellettuale alla
scultura, prima di allora sempre condizionata dal pregiudizio verso un'attività
tanto manuale. Nel trattato che si compone di 19 capitoli, l'A. parte, sulla
scorta di Plinio, dalla definizione dell'arte plastica tridimensionale
distinguendo la scultura o per via di porre o per via di levare, dividendola
secondo la tecnica utilizzata: togliere e aggiungere: sculture con materie
molli, terra e cera eseguita dai "modellatori" levare: scultura in
pietra, eseguita dagli "scultori" Tale distinzione fu determinante
nella concezione artistica di molti scultori come Michelangelo e non era mai
stata espressa con tanta chiarezza. Il definitor, lo strumento inventato da A.
Relativamente al metodo da utilizzare per raggiungere il fine ultimo della
scultura che è l'imitazione della natura, l'A. distingue: la dimensio (misura)
che definisce le proporzioni generali dell'oggetto rappresentato mediante l’exempeda,
una riga diritta modulare atta a rilevare le lunghezze e squadre mobili a forma
di compassi (normae), con cui misurare spessori, distanze e diametri. la
finitio, definizione individuale dei particolari e dei movimenti dell'oggetto
rappresentato, per la quale A. suggerisce uno strumento da lui ideato: il
definitor o finitorium, un disco circolare cui è fissata un'asta graduata
rotante, da cui pende un filo a piombo. Con esso si può determinare qualsiasi
punto sul modello mediante una combinazione di coordinate polari e assiali,
rendendo possibile un trasferimento meccanico dal modello alla scultura. A.
sembra anticipare i temi relativi alla raffigurazione 'scientifica' della
figura umana che è uno dei temi che percorre la cultura figurativa rinascimentale.
e addirittura aspetti dell'industrializzazione e addirittura della
digitalizzazione, visto che il definitor trasformava i punti rilevati sul
modello in dati alfanumerici. L'opera fu tradotta in volgare nel 1568 da Cosimo
Bartoli. Il testo latino originale fu stampato solo alla fine del XIX secolo,
mentre solo recentemente sono state pubblicate traduzioni moderne. I sistemi di
definizione meccanica dei volumi proposti dall'Alberti, appassionarono Leonardo
che approntò, come si può rilevare dai suoi disegni, dei sistemi alternativi,
sviluppati a partire dal trattato albertiano e utilizzò le "Tabulae
dimensionum hominis" del "De statua" per realizzare il
celeberrimo "Uomo vitruviano". Il Crittografo Alberti fu inoltre un geniale
crittografo e inventò un metodo per generare messaggi criptati con l'aiuto di
un apparecchio, il disco cifrante. Sua fu infatti l'idea di passare da una
crittografia con tecnica "monoalfabetica" (Cifrario di Cesare) ad una
con tecnica "polialfabetica", codificata teoricamente parecchi anni
dopo da Blaise de Vigenère. In The Codebreakers. The Story of Secret Writing,
lo storico della crittologia Kahn attribuisce all'A. il titolo di Father of
Western Cryptology (Padre della crittologia occidentale). Kahn ribadisce questa
definizione, sottolineando le ragioni che la giustificano, nella prefazione
all'edizione italiana del testo albertiano: «Questo volume elegante e sottile
riproduce il testo più importante di tutta la storia della crittologia; un
primato che il De cifris di A. ben si merita per i tre temi cruciali che
tratta: l'invenzione della sostituzione polialfabetica, l'uso della
crittanalisi, la descrizione di un codice sopracifrato.» Tra le altre attività
di A. ci fu anche la musica, per la quale fu considerato uno dei primi organisti
della sua epoca. Disegnò anche delle mappe e collaborò con il grande cartografo
Toscanelli. De iciarchia Iciarco e Iciarchia sono due termini usati
dall'Alberti nel dialogo De iciarchia composto pochi anni prima della sua morte
e ambientato nella Firenze medicea di quegli anni. Le due parole sono di
origine greca ("Pogniàngli nome tolto da' Greci, iciarco: vuol dire
supremo omo e primario principe della famiglia sua", libro III), e sono
formate da oîkos o oikía "casa, famiglia" e arkhós "capo
supremo, principe, principio". Il nome stesso di iciarco vuole esprimere
quello che secondo il parere dell'autore è il governante ideale: colui che sia
come un padre di famiglia nei confronti dello Stato. Secondo le parole dell'Alberti,
"il suo compito sarà provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta
la famiglia, fare sì che amando e benificando è suoi, tutti amino lui, e tutti
lo reputino e osservino come padre". Questo ruolo di "padre di
famiglia" del governante ideale era finalizzato, nella sua visione
politica, ad una stabilità, in definitiva "conservatrice", che
permetterebbe di governare senza discordie che, dilaniando lo Stato,
nuocerebbero a tutto il corpo sociale ("Inoltre la prima cura sua sarà che
la famiglia sia senza niuna discordia unitissima. Non esser unita la famiglia
circa le cose che giovano, nuoce sopra modo molto., ivi). Il termine iciarco,
nato coll'Alberti e strettamente legato alla sua visione
"paternalistica" del governo dello Stato, non ebbe comunque alcun
seguito e non risulta che sia mai più stato impiegato nel lessico politico.
Opere: “Apologi centum”; “Cena familiaris”; “De amore”; “De equo animante (Il
cavallo vivo); “De Iciarchia”; “De componendis cifris”; “Deiphira”; “De
picture”; “Porcaria coniuratio”; “De re aedificatoria”; “De statua”;
“Descriptio urbis Romae”; “Ecatomphile”; “Elementa picturae”; “Epistola
consolatoria”; “Grammatica della lingua toscana” (meglio nota come
Grammatichetta vaticana); “Intercoenales”; “De familia libri IV”; “Ex ludis
rerum mathematicorum”; “Momus”; “Philodoxeos fabula”; “Profugiorum ab ærumna
libri III”; “Sentenze pitagoriche”; “Sophrona”; “Theogenius Villa” -- Opere
architettoniche Palazzo Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Loggia
Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Facciata di Santa Maria Novella,
Firenze, Santa Maria Novella Abside di San Martino, Lastra a Signa, Pieve di
San Martino a Gangalandi Tempietto del Santo Sepolcro, Firenze, Chiesa di San
Pancrazio Tempio Malatestiano (incompiuto), Rimini, Tempio Malatestiano Chiesa
di San Sebastiano, Mantova, Chiesa di San Sebastiano Basilica di
Sant'Andrea,Mantova, Basilica di Sant'Andrea (Mantova) Palazzo Romei, Vibo
Valentia Manoscritti Liber de iure, scriptus Bononiae, XV secolo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti, Trivia senatoria, Milano, Biblioteca
Ambrosiana, Fondo manoscritti. Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti,
Firenze, Olschki, A., De pictura, C. Grayson, Laterza: versione on line Copia
archiviata, su liberliber. Christoph L. Frommel, Architettura e committenza da
Alberti a Bramante, Olschki, Rucellai, De bello italico, Coppini, Firenze
University Press, De re Aedificatoria In tale occasione manifestò il suo
interesse per la morfologia e l'allevamento dei cavalli con il breve trattato
De equo animante dedicato a Leonello d'Este. De Vecchi-Cerchiari, De
Vecchi-Cerchiari, Wittkower, op. cit. Leon Battista Alberti, De statua, M.
Collareta, 1998 Mario Carpo, L'architettura dell'età della stampa: oralità,
scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell'immagine nella storia
delle teorie architettoniche, Simon Singh, Codici e Segreti45 Kahn, The
Codebreakers, Scribner. Il nome deriva dal fatto che il libello, di appena 16
carte, è conservato in una copia del 1508 in un codice in ottavo della
Biblioteca vaticana. Lo scritto non ha epigrafe, pertanto il titolo è stato
assegnato in seguito: fu riscoperto infatti nel 1850 e dato alle stampe.
Viviamola calabria. blogspot.com, viviamolacalabria. blogspot.com //09/
esempio- tangibile-di-palazzo- nobiliare.html?m=1. A., De re aedificatoria,
Argentorati, excudebat M. Iacobus Cammerlander Moguntinus, A., De re
aedificatoria, Florentiae, accuratissime impressum opera magistri Nicolai
Laurentii Alamani. A., Opere volgari. 1, Firenze, Tipografia Galileiana, A.,
Opere volgari, Firenze, Tipografia Galileiana, A., Opere volgari. 4, Firenze,
Galileiana, Alberti, Opere volgari. 5, Firenze, Tipografia Galileiana, A.,
Opere, Florentiae, J. C. Sansoni, A., Trattati d'arte, Bari, Laterza, Leon
Battista Alberti, Ippolito e Leonora, Firenze, Bartolomeo de' Libri, prima. A.,
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completa, Electa, Milano, Ponte, A.: Umanista e scrittore, TILGHER (si veda),
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moralista, presentazione di Francesco Tateo, S. Sciascia, Caltanissetta;
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Panza, “Alberti e il mondo naturale”, in Lettere e arti nel Rinascimento, Atti
del X Convegno internazionale Chianciano-Pienza, Luisa Secchi Tarugi, Franco
Cesati editore, Firenze, Elisabetta Di Stefano, L'altro sapere: Bello, arte,
immagine in Leon Battista Alberti, Centro internazionale studi di estetica,
Palermo, Rinaldo Rinaldi, Melancholia Christiana. Studi sulle fonti di Leon
Battista Alberti, Firenze, Olschki, Francesco Furlan, Studia albertiana:
Lectures et lecteurs de A., N. Aragno-J. Vrin, Torino-Parigi, Grafton, A.: Un
genio universale, Laterza, Roma-Bari; Mazzini, Martini. Villa Medici a Fiesole.
A. e il prototipo di villa rinascimentale, Centro Di, Firenze, Michel Paoli,
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A., Bollati Boringhieri, Torino, Siekiera, linguistica albertiana, Firenze,
Edizioni Polistampa (Edizione Nazionale delle Opere di A., Serie «Strumenti»);
Francesco Fiore: La Roma di A. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta
dell'antico nella città del Quattrocento, Skira, Milano, A. architetto, Grassi
e Patetta, testi di Grassi et alii, Banca CR, Firenze; Restaurare A.: il caso
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Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, Stefano Borsi, A. e Napoli, Polistampa,
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Muscolino, Firenze, F. Canali, La facciata del Tempio Malatestiano, in Il
Tempio della Meraviglia, F. Canali, C. Muscolino, Firenze, V. C. Galati,
"Ossa" e "illigamenta" nel De Re aedificatoria. Caratteri
costruttivi e ipotesi strutturali nella lettura della tecnologia antiquaria del
cantiere del Tempio Malatestiano, in Il Tempio della Meraviglia, F. Canali, C.
Muscolino, Firenze, “Il mito dell’Egitto in A.”, in A. teorico delle arti e gli
impegni civili del “De re aedificatoria”, Atti dei Convegni internazionali di
studi del Comitato Nazionale per le celebrazioni albertiane, Mantova, Calzona,
Fiore, Tenenti, Vasoli, Firenze, Olschki, A. e la cultura del Quattrocento,
Atti del Convegno internazionale di Studi, (Firenze, Palazzo Vecchio, Salone
dei Dugento), R. Cardini e M. Regoliosi, Firenze, Edizioni Polistampa,
Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di Studi
Fiorentini», F. Canali, R Tracce albertiane nella Romagna umanistica tra Rimini
e Faenza, in Brunelleschi, A. e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di
Studi Fiorentini», Galati, Riflessioni sulla Reggia di Castelnuovo a Napoli:
morfologie architettoniche e tecniche costruttive. Un univoco cantiere
antiquario tra Donatello e A.?, in Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali,
«Bollettino della Società di Studi Fiorentini», 1F. Canali, V. C. Galati, Alberti,
gli 'Albertiani' e la Puglia umanistica, in Brunelleschi, A. e oltre, F.
Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», G. Morolli, Alberti: la
triiplice luce della pulcritudo, in Brunelleschi, A. e oltre, Canali,
«Bollettino della Società di Studi Fiorentini», G. Morolli, Pienza e Alberti,
in Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di Studi
Fiorentini», Christoph Luitpold Frommel, A. e la porta trionfale di Castel
Nuovo a Napoli, in «Annali di architettura Vicenza leggere l'articolo; Massimo
Bulgarelli, A., Architettura e storia, Electa, Milano; Caterina Marrone, I
segni dell'inganno. Semiotica della crittografia, Stampa Alternativa &a
mp;Graffiti, Viterbo; Pierluigi Panza, “Animalia: La zoologia nel De Re Aedificatoria",
Convegno Facoltà di Architettura Civile, Milano, in Albertiana, S. Borsi, Leon
Battista Alberti e Napoli, Firenze,. V. Galati, Il Torrione quattrocentesco di
Bitonto dalla committenza di Giovanni Ventimiglia e Marino Curiale; dagli adeguamenti
ai dettami del De Re aedificatoria di A. alle proposte di Francesco di Martini
in Defensive Architecture of the Mediterranean XV to XVIII centuries, G.
Verdiani,, Firenze,, III. V. Galati, Tipologie di Saloni per le udienze nel
Quattrocento tra Ferrara e Mantova. Oeci, Basiliche, Curie e "Logge
all'antica" tra Vitruvio e A. nel "Salone dei Mesi di Schifanoia a
Ferrara e nella "Camera Picta" di Palazzo Ducale a Mantova, in Per
amor di Classicismo, F. Canali «Bollettino della Società di Studi Fiorentini»,
S. Borsi, Leon Battista, Firenze,. Rossellini gli ha dedicato un film-
documentario per la TV nintitolato "L'età di Cosimo dei Medici"
Architettura rinascimentale Rinascimento fiorentino Rinascimento riminese
Rinascimento mantovano Medaglia di Alberti.TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. A., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. A., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. A., su MacTutor, University of St Andrews, Scotland.
Opere d’A., su Liber Liber. Opere di A., su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere di A.,. su Leon Battista Alberti, su Les Archives de littérature du Moyen
Âge. A., in Catholic Encyclopedia, Appleton Company. La aggiornata degli
studi albertiani in poi, e le informazioni più recenti sulla ricerca
albertiana, su alberti.wordpress.com. Il sito della Société Internationale Leon
Battista Alberti, su silba- online.eu. Biografia breve, su imss. fi. Fondazione
Centro Studi A. Mantova, su fondazione leonbattista alberti. Momus, (testo in
latino, Roma), facsimile, progetto Europeana agent /base/ Identitieslccn. Que’
che affermano LA LINGUA LATINA non essere stata comune a tutti e’ populi latini
ma solo propria di certi dotti scolastici come oggi la vediamo in pochi credo
deporranno quell’errore vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi
l'uso di LA LINGUA NOSTRA in brevissime annotazioni. È la mia grammatica
filosofica. Qual cosa simile fanno gl’ingegni grandi e studiosi come VARRONE
presso de e’ Latini, e chiamorno queste simili ammonizioni, atte a favellare
senza corruttela, suo nome, “grammatica”. Questa arte, quale ella sia in la
lingua nostra, leggetemi e intenderetela. L’ordine delle lettere è: a b c d e f
g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. Ogni parola e dizione in lingua
italiana dove finire IN VOCALE. Solo alcun’articoli de’ nomiini e alcune
preposizioni finiscono in “d,” “n,” o “r.” Le cose in molta parte hanno in
lingua italiana que’ MEDESIMI NOMI CHE IN LATINO. Non hanno e’ italiani fra e'
nomi altro che MASCULINO e femminino. E’ NEUTRI LATINI SI FANNO MASCULINI.
Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo singulare, e questo s'usa in ogni caso
singulare, così al masculino come al femminino. A e' nomi masculini l'ultima
vocale si converte in “i”, e questo s’usa in tutti e' casi plurali. A e' nomi
femminini l'ultima vocale si converte in “e”, e questo s’usa in ogni caso
plurale per e' femminini. Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e. LA
mano fa “le manI”. E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in “e”, fa
in plurale in “i”. Come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni;
confusione, confusioni -- e simili. E' casi de' nomi si notano co' suoi
articoli, dei quali sono vari e' masculini da e' femminini. Item e' masculini,
che cominciano da consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e'
cominciano da vocale. Item e’ nomi propri sono vari dagli appellativi.
Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo. EL
cielo, DEL cielo, AL cielo, EL cielo, O cielo, DAL cielo. E' cieli; DE' cieli;
A' cieli; E' cieli; O cieli; DA' cieli. Masculini che cominciano da vocale
fanno in singulare simile a questo. LO orizzonte; DELLO orizonte; ALLO orizonte;
LO orizonte; O orizonte; DALLO orizonte; GLI orizonti; DEGLI orizonti; AGLI
orizonti; GLI orizonti; O orizonti; DAGLI orizonti. E' nomi masculini che
cominciano da “s” pre-posta a una consonante hanno articoli simili a quei che
cominciano da vocale. LO spedo; LO stocco; GLI spedi -- e simile. Questi
vedesti che sono vari da quei di sopra nel singulare, el primo articolo e anche
el quarto. El plurale variorono tutti gli articoli. Nomi propri masculini non
hanno el primo articolo, né anche el quarto, e fanno simili a questi: Propri
masculini, che cominciano da consonante, in singulare. “Cesare”; “DI Cesare”;
“A Cesare” “Cesare”; “O Cesare”; “DA Cesare”. Nomi propri, che cominciano da
vocale, nulla variano da' consonanti, eccetto che al terzo vi si aggiugne “d”.
“Agrippa”; “DI Agrippa”; “AD Agrippa”, ecc. In plurale non s'adoperano e' nomi
propri, e se pur s'adoperassero, tutti fanno come appellativi. E' nomi
femminini, o propri o appellativi, o in vocale o in consonante che e'
cominciano, tutti fanno simile a questo. “LA stella”; “DELLA stella”; “ALLA
stella”; “LA stella”; “O stella”; “DALLA stella.” “LA aura”; “DELLA aura” ALLA
aura LA aura O aura DALLA aura. PLURALE. LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE
stelle O stelle DALLE stelle. LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aure DALLE
aure. E' nomi delle terre s'usano come propri. “Roma supera Cartagine”. E
simili a’ nomi propri s'usano e' nomi de' numeri: uno, due, tre, e cento e
mille, e simili. “tre persone”, “uno Dio”, “nove cieli”, e simili. E quei nomi
che si referiscono a’ numeri non determinati come “ogni” – ogni uomo è mortale
-- “ciascuno”, “qualunque”, “niuno”, e simili, e come tutti, parecchi, pochi,
molti, e simili, tutti si pronunziano simili a e’ nomi propri senza primo e
quarto articolo. E' nomi che importano seco interrogazione come “chi” e “che” e
“quale” e “quanto” -- e simili, quei nomi che si riferiscono a questi
interrogatori, come “tale” e “tanto” e “co-tale” e “co-tanto”, si pronunciano
simili a e' propri nomi, pur senza primo e quarto articolo. “Io sono TALE QUALE
voresti essere tu; e amai TALE che odiava me. “Chi” s'usa circa alle persone.
“Chi scrisse?” “Che” significa quanto presso a e' Latini “QVI” e “QVID” --
Significando “QVID” s'usa circa alle cose. “Che leggi?”. Significando “QVI”
s'usa circa alle persone. “Io sono colui che scrissi”. “Chi” di sua natura
serve al MASCULINO. Ma aggiunto a questo verbo sono, sei, è, serve al masculino
E AL FEMMININO. “Chi sarà tua sposa?” Chi fu el maestro? “Chi” sempre si
pre-pone al verbo. “Che” si pre-pone e pos-pone. “Che”, preposto al verbo,
significa quanto presso a e' Latini “QVID” e “QVANTVM” e “QVALE”. “Che dice?”
Che leggi? “Che uomo ti paio?” Che ti costa? “Che,” *pos*-posto al verbo,
significa quanto apresso e' Latini “VT” e “QVOD. “I' voglio CHE tu mi legga.”
Scio che tu me amerai. E’ nomi, quando e' dimostrano cosa non certa e
diterminata, si pronunziano senza primo e quarto articolo. “Io sono studioso.”
“Invidia lo move.” “Tu mi porti amore.” Ma quando egli importano dimostrazione
certa e diterminata – O DEFINITA [l’articolo definito], allora si pronunziano
coll'articolo. “Io sono LO studioso.” “Tu el dotto.” E’ nomi simili a questo:
primo, secondo, vigesimo, posti dietro a questo verbo sono, sei, è, non raro si
pronunziano *senza* el primo articolo. “Tu fusti terzo.” “Io secondo.” “Costui
fu EL quarto”, “el primo”, “el secondo”, ecc. – “i dodici apostoli” -- Uno,
due, tre, e simili, quando e' significano *ordine*, vi si pone l'articolo. “Tu
fusti el tre.” Io l'uno. “Il dua è numero paro.”, ecc. Fra tutti gl’altri nomi
appellativi, questo nome, “Dio” s'usa come *proprio*. “Lodato Dio”. “Io adoro
Dio”. Gl’articoli hanno molta convenienza co’ pronomi, e ancora e' pronomi
hanno grande similitudine con questi nomi relativi qui recitati. Adonque
suggiungere mogli. De' pronomi, e' primitivi sono questi: “io”; “tu”; esso
questo quello costui lui colui. Mutasi l'ultima vocale in “a” e fassi il
femminino: questa, quella, essa. Solo “io” e “tu”, in una voce, serve al
masculino e al femminino. E’ plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e
anche e' singulari. Declinansi così: Io e i': “di me”; “a me”; e “mi”; “me” e
“mi”, “da me”. Noi: di noi: a noi e ci: noi e ci: da noi. Tu: di te: a te e ti:
te e ti: o tu: da te. Voi: di voi: a voi e vi: voi e vi: o voi: da voi. Esso ed
e': di se e si: se e si: da se; ed Egli. Non troverrai in tutta la lingua
italiana casi mutati in voce altrove che in questi tre pronomi: io, tu, esso.
Gl’altri primitivi se declinano. Questo: di questo: a questo: questo: da questo.
Quello: di quello: a quello: quello: da quello. Muta “o” in “i” e arai el
plurale. Questi: di questi: a questi: questi: da questi. E il somigliante fa
quelli. E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli in singulare. Ma in
plurale costui fa “costoro”, lui fa “loro”, colui fa “co-loro”, di coloro, a
coloro, coloro, da coloro. Questo e quello mutano o in a e fassi el femminino
singulare: questa e quella; e fassi il suo plurale: queste, di quelle, a
quelle. Lui, costui, colui, mutano u in e e fassi el singulare femminino, e
dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In plurale hanno quella voce che e'
masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro, ecc. Vedesti
come, simile a' nomi propri, questi pronomi primitivi non hanno el primo articolo
né anche el quarto. A questa similitudine fanno e' pronomi derivativi, quando
e' sono subiunti a e' propri nomi. Ma quando si giungono agl’appellativi, si
pronunziano co' suoi articoli. Derivativi pronomi sono questi. “El mio”, “del
mio”, ecc., e plurale: e' miei, de' miei, ecc. El nostro, del nostro, ecc. E
plurale: e' nostri, de' nostri, ecc. El tuo. Plurale: e' tuoi. El vostro.
Plurale: e' vostri. El suo. E pluraliter: e' suoi, ecc. Mutasi, come a e' nomi,
l'ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso in e, fassi el
plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue. In uso s'adropano
questi pronomi non tutti a un modo. E' derivativi, giunti a questi nomi, padre,
madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano *senza* articolo, e dicesi: “mio
padre”, nostra madre, e tuo zio, ecc. Mi e me, ti e te, ci e noi, vi e voi, si
e sé sono dativi insieme e accusativi, come di sopra gli vedesti notati. Ma
hanno questo uso che, preposti al verbo, si dice mi, ti, ci, ecc. “E’ mi
chiama” -- e' ti vuole; que' vi chieggono; io mi sto; e' si crede. Pos-posti al
verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro pronome o nome, si dirà. “Io amo te”,
e voglio voi. Si al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome si
dirà: -i, come qui. “Aspettaci.” restaci, scrivetemi. Lui e colui dimostrano
persone. “Lui andò.” colei venne. Questo e quello serve a ogni dimostrazione, e
dicesi: “Questo essercito predò quella provincia.” “QUESTO SCIPIONE –
l’affricano minore -- supera quello Annibale.” E' ed el, lo e la, le e gli,
quali, giunti a' nomi, sono articoli, quando si giungono a e' verbi, diventano
pronomi e significano quello, quella, quelle, ecc. “Io la amai.” Tu le biasimi:
Chi gli vuole? Ma di questi, egli ed e' hanno significato singulare e plurale;
e, pre-posti alla consonante, diremo e', come qui: e' fa bene; e' sono. E,
pre-posti alla vocale, si giugne e' e gli. “Egli andò”. egli udivano. E quando
segue loro s preposta a una consonante, ancora diremo: egli spiega; egli
stavano. Potrei in questi pronomi essere prolisso, investigando più cose quali
s'osservano, simili a queste: Vi preposto a' presenti singulari indicativi,
d’una sillaba, si scrive in la prima e terza persona per due v, e simile in la
seconda persona presenteimperativa. “stavvi” e “vavvi”; e ne' verbi, d'una e di
più sillabe, la prima singulare indicativa del futuro. “Amerovvi”. leggerovvi,
darotti, adoperrocci, e simile. Seguitano e’ verbi. Non ha la lingua toscana
verbi passivi, in voce. Per esprimere el passivo, compone con questo verbo “sono”,
“sei”, “è”, el participio preterito passivo tolto da e' Latini, in questo modo.
“Io sono amato.” ; Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si giugne a tutti
e' numeri e tempi e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui distinto.
INDICATIVO. Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete, sono. IMPERFETTO: Ero, eri,
era. Pl.: eravamo e savamo, eravate e savate, erano. PERFETTO: Fui, fusti, fu.
Pl.: fumo, fusti, furono. Ero, eri, era stato. Plurale: eravamo e savamo,
eravate e savate, erano stati. FUTURO: Sarò, sarai, sarà. Pl.: saremo, sarete,
saranno. Hanno e' italiani, in voce, uno preterito quasi testé, quale, in
questo verbo, si dice così: Sono, sei, è stato. Plurale: siamo, sete, sono
stati. “Ieri FUI ad Ostia.”; oggi sono stato a Tibuli. ndere i link alle
concordanze IMPERATIVO. Sie tu, sia lui. Pl.: siamo, siate, siano. Sarai tu,
sarà lui. Plurale: saremo, ecc. OTTATIVO. Dio ch ‘io fussi, tu fussi, lui
FUSSE. Pl.: fussimo, fussi, fussero. Dio ch'io sia, sii, sia stato. Pl.: siamo,
siate, siano stati. Dio ch'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo,
fussi, fussero stati. Dio ch'io sia, sii, sia. Pl.: siamo, siate, siano.
SUBIENTIVO. Bench'io, tu, lui sia. Pl.: siamo, siate, siano. Bench'io fussi, tu
fussi, lui fusse. Pl.: fussimo, fussi, fussero. Bench'io sia, sii, sia stato.
Plurale: siamo, siate, siano stati. Bench'io fussi, fussi, fusse stato.
Plurale: fussimo, fussi, fussero stati. Bench'io sarò, sarai, sarà stato. Pl.:
saremo, sarete, saranno stati. E usasi tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro
verbo, quasi come subientivo, prepostovi qualche una di queste dizioni: “se” –
Grice, “Indicative conditional,” “Subjunctive conditionaal” --; “quando”,
“benché” -- e simili. E dicesi: bench'io fui. “Se e' sono”; quando e' saranno.
INFINITO. Essere, essere stato. GERUNDIO. Essendo PARTICIPIO. “Essente” Dirassi
adonque, per dimostrare el passivo: Io sono stato amato; fui pregiato; e sarò
lodato; tu sei reverito. Hanno e' italiani certo modo subientivo, in voce, NON
NOTATO DA E’ LATINI. E parmi da nominarlo “asseverativo”, come questo: Sarei,
saresti, sarebbe. Pl.: saremo, saresti, sarebbero. “Tu fussi dotto, SARESTI
pregiato” – “SE FUSSERO amatori dellapatria, e' SAREBBERO più felici. Seguitano
e’ verbi attivi. Le coniugazioni de' verbi attivi in lingua italiana si formano
dal GERUNDIO LATINO, levatone le ultime tre lettere “-ndo”, e quel che resta si
fa terza persona singulare indicativa e presente. “Ama-ndo”. “levane-ndo”,
resta ama; scrivendo resta scrive. Sono adonque II coniugazioni. Una che finisce
in -a. L’altra finisce in -e. Alla coniugazione in -a, quello a si muta in o, e
fassi la prima persona singulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi
la seconda. E così si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in
questo esposto: INDICATIVO. Amo, ami, ama. Pl.: amiamo, amate, amano.
IMPERFETTO: Amavo, amavi, amava. Pl.: amavamo, amavate, amavano. PERFETTO:
Amai, amasti, amò. Pl.: amamo, amasti, amarono. {Ho, hai, ha} + amato. Pl.:
abbiamo, avete, hanno amato. FUTURO: Amerò, amerai, amerà. Pl.: ameremo,
amerete, ameranno. In questa lingua, ogni verbo finisce in -o la prima
indicativa presente, e in questa coniugazione prima, finisce ancora in o la
terza singulare indicativa del preterito. Ma ècci differenza, ché quella del
preterito fa el suo o LONGO, e quella del presente lo fa o BREVE. IMPERATIVO.
Ama tu, ami lui. Pl.: amiamo, amate, amino. Amerai tu, amerà colui. Pl.:
ameremo, ecc. OTTATIVO. Dio ch'io amassi, tu amassi, lui amasse. Pl.: Dio che
noi amassimo, voi amassi, loro amassero. Dio ch'io abbia, tu abbi, lui abbia
amato. Pl.: Dio che noi abbiamo, abbiate, abbino amato. Dio ch'io avessi, tu
avessi, lui avesse amato. Pl.: Dio che noi avessimo, avessi, avessero amato.
Dio ch'io, tu, lui ami. Pl.: amiamo, amiate, amino. SUBIENTIVO. Bench'io, tu,
lui ami. Pl.: amiamo, amiate, amino. Bench'io, tu amassi, lui amasse. Pl.:
amassimo, amassi, amassero. Bench'io abbia, abbi, abbia amato. Pl.: abbiamo,
abbiate, abbino amato. Bench'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Pl.:
avessimo, avessi, avessero amato. Bench'io arò, arai, arà amato. Pl.: aremo,
arete, aranno amato. “ASSERTIVO”. Amerei, ameresti, amerebbe. Pl.: ameremo,
ameresti, amerebbero. INFINITO. Amare, avere amato. GERUNDIO. Amando.
PARTICIPIO. Amante. Vedi come a e' tempi testé perfetti e al futuro del
subientivo mancano sue proprie voci, e per questo si composero simile a' verbi
passivi: el suo participio co' tempi e voci di questo verbo ho, hai, ha. Qual
verbo, benché e’ sia della coniugazione in a, pur non sequita la regola esimilitudine
degl’altri, però che egli è verbo d'una sillaba, e così tutti e’ monosillabi
sono anormali. Né troverrai in tutta la lingua italiana verbi mono-sillabi
altri che questi VI: “do”; “fo”, “ho”; “vo”; “sto”; e “tro”. Porremogli adonque
qui sotto distinti. Ma, per esser breve, notiamo che e' sono insieme dissimili
ne e' preteriti-perfetti indicativi, e ne' singulari degl’imperativi, e nel
singulare del futuro-ottativo, ne' quali e' fanno così: DO: diedi, desti,
dette. Pl.: demo, desti, dettero. FO: feci, facesti, fece. Pl.: facemo,
facesti, fecero. HO: ebbi, avesti, ebbe. Pl.: avemo, avesti, ebbero. VO: andai,
andasti, andò. Pl.: andamo, andasti, andarono. STO: stetti, stesti, stette.
Pl.: stemo, stesti, stettero. TRO: tretti, traesti, trette. Pl.: traemo,
traesti, trettero. In tutti e' verbi, come fa la seconda persona singulare del
preterito, così fa la seconda sua plurale: amasti, desti, leggesti. DO: da tu,
dia lui. FO: fa tu, faccia lui. HO: abbi tu, abbia lui. VO: va tu, vada lui.
STO: sta tu, stia lui. TRO: tra tu, tria lui. DO: Dio ch'io dia, tu dia, lui
dia. FO: faccia, facci, faccia. HO: abbia, abbi, abbia. VO: vada, vadi, vada.
STO: stia, stii, stia. TRO: tragga, tragghi, tragga. Seguita la coniugazione in
e. Questa si forma simile alla coniugazione in a. Mutasi quello e in o, e fassi
la prima presente indicativa. Mutasi in i, e fassi la seconda. “Leggente” e
scrivente, levatonente, resta legge, scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva,
leggerò, ecc. Solo varia dalla coniugazione in a in que' luoghi dove variano e'
monosillabi. Ma questa coniugazione in e varia in più modi, benché comune
faccia e' preteriti perfetti indicativiin -ssi, per due s, come: leggo, lessi;
scrivo, scrissi. Ma que' verbi che finiscono in “-sco” fanno e' preteriti in -ii
per due i, come esco, uscii; ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per
più suavità, nella lingua italiana non si pronunziano due iunte vocali. Da
questi verbi si eccettuano cresco ed e' suoi compositi, rincresco, accresco, e
simili, quali finiscono, a' preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi,
rincrebbi. Item, nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que' verbi che
finiscono in mo fanno e' preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che
finiscono in do fanno e' preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo,
sparsi; ECCETTO “vedo” fa “vidi”; odo, udi'; cado, caddi; godo, godei e
godetti. E quegli che finiscono in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo,
presi; rispondo, risposi; eccetto vendo fa vendei e vendetti. Sonci di queste regole
forse altr’eccezioni. Ma per ora basti questo principio di tanta cosa. Chi che
sia, a cui diletterà ornare la patria nostra, aggiugnerà qui quello che ci
manchi. Dicemo de’ preteriti, resta a dire degl’altri. IMPERATIVO. Leggi tu,
legga colui. OTTATIVO. Futuro singulare: Dio ch'io scriva, tu scriva, lui
scriva. E così fanno tutti. Verbi impersonali si formano della terza persona
del verbo attivo in tutti e' modi e tempi, giuntovi “si”, come: amasi,
leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole trasporlo *innanzi* al verbo, giuntovi
e': “Si legge.” e' si corre; e massime nell'ottativo e subientivo *sempre* si
pre-pone, e dicesi. “Dio che e' s'ami.” Quando e' si leggera', e simile.
Seguitano le preposizioni (Grice on “to”). Di queste alcune non caggiono in
composizione, e sono queste. oltre, sino, dietro, doppo, presso, verso, ‘nanzi,
fuori, circa. Preposizioni che caggiono in composizione e ancora s'adoperano
seiunte, sono di una sillaba o di più. D'una sillaba sono queste: DE. de'
nostri; detrattori. AD: ad altri; admiratori. CON: con certi; conservatori.
PER. per tutti; pertinace. DI: di tanti; diminuti. IN: in casa; importati.
“Di”, pre-posto allo infinito, ha significato quasi come a' Latini “VT”. “Io mi
sforzo d'essere amato.” Quelle de più sillabe sono queste: SOTTO sotto-posto
SOPRA sopra-posto e dicesi ENTRO entro-messo CONTRO contra-posto Preposizioni
quali s'adoperano SOLO in composizione. re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex,
pre, circum; onde si dice: trasposi e circumspetto. Seguitano gli avverbi. Per
e' TEMPO, si dice: oggi, testé, ora, ieri, crai, tardi, omai, già, allora,
prima, poi, mai, sempre, presto, subito. Per e' LUOGO, si dice: costì, colà,
altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi.
“Io voglio starci.” io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro ivi.
Pelle cose, si dice: assai, molto, poco, più, meno. NEGANDO, si dice: nulla,
“no” – Latino: “non” --, niente, né. Affirmando, si dice: sì, anzi, certo, alla
fe'. Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto. Dubitando: forse.
Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così, bene, male, peggio,
meglio, ottime, pessime, tale, tanto. Usa la lingua italiana questi avverbi, in
luogo di nomi, giuntovi l'articolo, e dice: el bene, del bene, ecc.; qual cosa
ella ancora fa degl’infiniti, e dicono: el leggere, del leggere. Ma a più nomi,
pronomi e infiniti giunti insieme, solo in principio della loro coniunzione usa
preporre non più che uno articolo, e dicesi: el tuo buono amare mi piace. Item,
a similitudine della lingua gallica, piglia l’italiano e' nomisingulari
femminini adiettivi e aggiungevi -mente, e usagli per avverbi, come saviamente,
bellamente, magramente. Interiezioni. Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma,
do. Coniunzioni. Sono queste: mentre, perché, senza, “se” – condizionale --,
però, benché, certo, adonque, ancora, “ma” – cf. Frege --, come, e, né, o, segi
(sic). “e” congiunge; né disiunge. “o” divide; senza si lega solo a' nomi e
agli’infiniti. E dicesi: senza più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né
lei siano indotti. “O piaccia O dispiaccia questa mia invenzione.” E questo ne
ha vario significato e vario uso. Se si pre-pone simplice a' nomi, a' verbi, a'
pronomi, significa negazione. “Né tu né io meritiamo invidia.” E significa in;
ma, aggiuntovi l, serve a' singulari masculini e femminini; e senza l, serve a'
plurali quali comincino da consonante. A tutti gl’altri plurali, masculini e
femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla consonante, pur si dice:
nello spazzo, nelle camere, ne' letti, nello essercito di Dario, negli orti. E
questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome, significa di qui, di questo,
di quello, secondo che l'altre dizioni vi si adatteranno. “Cesare ne va.”
Pompeio ne viene. E questo ne, pos-posto al verbo, sarà o doppo a monosillabi o
doppo a quei di più sillabe; e più, o significa interrogazione o affirmazione o
precetto. Adonque, doppo l'indicativo mono-sillabo, la interrogazione si
scrive, in la prima e terza persona, per due n, la seconda per uno n, come,
interrogando, si dice: vonne io? va' ne tu? vanne colui? Nello imperativo si
scrive la seconda per due n, e dicesi: vanne, danne. La terza si scrive per
uno, e dicesi: diane lui, traggane. E questi monosillabi, la prima indicativa
presente, affirmando, si scrive per due n, e dicono: fonne, vonne, honne. Se
sarà el verbo di più sillabe, la interrogazione e affirmazione si scrive per
uno n in tutti e' tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro, quale si scrive
per due n. portera' ne tu? porteronne. E questo sino qui detto s'intenda per e'
singulari, però che a' plurali si scrive quello ne sempre per uno n, come
andiamone. Non mi stendo negl’altri simili usi a questi. Basti quinci intendere
e' principi d'investigare lo avanzo. E' vizi del favellare in ogni lingua sono
o quando s'introducono alle cose nuovi nomi, o quando gl’usitati si adoperano
male. Adoperano si male, discordando persone e tempi, come chi dicesse. “Tu
ieri andaremo alla mercati.” E adoperanosi male usandogli in ALTRO significato
alieno, come chi dice: “processione” pro possessione. Introduconsi nuovi nomi o
in tutto alieni e incogniti o in qualunque parte mutati. Alieni sono in ITALIA
più nomi barberi, lasciativi da gente germana, quale più tempo militò in
Italia, come elm, vulasc, sacoman, bandier -- e simili. In qualche parte mutati
saranno quando alle dizionis' aggiungerà o minuirà qualche lettera, come chi
dicesse: paire pro patre, e maire pro matre. E mutati saranno come chi dicesse:
replubica pro republica, e occusfato pro offuscato; e quando si ponesse una
lettera per un'altra, come chi dicesse: aldisco pro ardisco, inimisi pro
inimici. Molto studia la lingua italiana d'essere breve ed espedita, e per
questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vizio. Ma questi
vizi in alcune dizioni e prolazioni rendono la lingua più atta, come chi,
diminuendo, dice “spirto” pro spirito; e massime l'ultima vocale, e dice papi,
e Zanobi pro Zanobio; credon far quel bene. Onde s'usa che a tutti gl'infiniti,
quando loro segue alcuno pronome in i, allora si gettal'ultima vocale e dicesi:
farti, amarvi, starci, ecc. E, mutando lettere, dicono mie pro mio e mia,
chieggo pro chiedo, paio pro paro, inchiuso pro incluso, chiave pro clave. E,
aggiugnendo, dice vuole pro vole, scuola pro scola, cielo pro celo. E, in tutto
troncando le dizioni, dice vi pro quivi, e similiter, stievi pro stia ivi. Si
questo nostro opuscolo sarà tanto grato a chi mi leggerà, quanto fu laborioso a
me el congettarlo, certo mi diletterà averlo promulgato, tanto quanto mi
dilettava investigare e raccorre queste cose, a mio iudizio, degne e da
pregiarle. Laudo Dio che in la nostra lingua abbiamo omai e' primi principi: di
quello ch'io al tutto mi disfidava potere assequire. Cittadini miei, pregovi,
se presso di voi hanno luogo le mie fatighe, abbiate a grado questo animo mio,
cupido di onorare la patria nostra. E insieme, piacciavi emendarmi più che
biasimarmi, se in parte alcuna ci vedete errore. Della Thoscana senza auttore.
Firenze Biblioteca Riccardiana. Cod. Moreni 2. Cod. cart. sec. XV, contenente
tre opere dell’A. precedute da un foglio di guardia in pergamena, ora num. I,
al cui verso:figura l’abbozzo autografo dell’Ordine delle Lettere,
corrispondente con alcune varianti all’inizio della grammatica nel cod.
Vaticano. Colombo, A. e la prima grammatica italiana, “Studi Linguistici
Italiani”. C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Firenze; La prima
grammatica della lingua volgare, cur. Grayson, Bologna, Commissione per i Testi
di Lingua. Il testo della presente edizione è in sostanza quello medesimo da
noi pubblicato nel 1964. Ci siamo limitati a correggere alcune sviste ed errori
tipografici e ad introdurre qualche lieve emendamento in seguito alle
osservazioni fatte in recensioni a quella edizione, tra cui l’attento esame
particolareggiato di Ghinassi in «Lingua Nostra». Quanto scrivemmo allora
intorno alla data del cod. Vaticano andrebbe ora qualificato seguendo il
giudizio del compianto Weiss, cioè che si tratta di copia fatta più tardi di un
manoscritto, ora perduto, copiato. Tale precisazione però non incide sulla
costituzione del testo né cambia i criteri adottati nella presentazione della
grammatica quale figura nel cod. Vaticano. A parte qualche correzione e
integrazione, di cui diamo ragione nell’apparato, abbiamo seguito fedelmente il
manoscritto, ritoccando soltanto la grafia nei casi seguenti. Distinguendo “u”
da “v”, togliendo e aggiungendo h secondo i casi, livellando in doppia qualche
scempia inerte smentita da doppia corretta e viceversa. Abbiamo pure
rammodernato la punteggiatura irregolare del codice, e modificato gli accenti
salvo nello specchio delle vocali, dove è indispensabile rispettare
l’originale. Riguardo a questo specchio, perché il lettore possa apprezzare
pienamente le varianti col frammento del cod. Mor. 2, riproduciamo il facsimile
dell’Ordine delle lettere pella lingua toschana, che dovette rappresentare una
prima stesura dell’inizio della grammatica quale appare nel cod. Vaticano. La
scoperta di questo frammento autografo, aggiunta alle prove interne,
soprattutto di carattere linguistico, da noi esposte minutamente nella edizione
citata, hanno reso oramai certa l’attribuzione di questa grammatica ad A.. Non
occorre qui insistere su un problema già risolto definitivamente. Basti
rimandare per ogni ulteriore informazione alla introduzione a quella edizione.
Né avremmo altri elementi da aggiungere alla ipotesi ivi formulata che A. abbia
steso questa grammatica quand scrivendo a Pasti adopera lo spirito aspro greco
per distinguere “è” verbo da “e” articolo. L’opera è priva di titolo nei
codici. Le diamo qui quello di Grammatica della lingua toscana, fondandoci
suglì accenni interni, nel 1° paragrafo per la grammatica e passim per la
lingua toscana. Alla forma particolare del “g” per significare il suono
gutturale sostituiamo, sull’analogia di ch, gh (cfr. facsimile Cod. Mor.) rg.
Cod. giro giro alcio (ma cfr. Cod. Mor.). Il copista salta per sbaglio il
vocativo. Cod. sono e sei e serve. firenze, Bibl. Riccardiana, Cod. Moreni 2. Foglio
grammaticale autografo di A. Cod. similitudini com. L'analogia delle altre
serie consiglia le integrazioni. p. 183. 2. Cod. aspettoci, che potrebbe anche
correggersi in aspettati (come propone il Ghinassi) Accogliamo l'integrazione
già proposta dal Trabalza. Cod. quasi s'osservano. Cod. si giugni. Cod. fussimo
fussir fussero stati. p. 183. 3. Cod. saremo, sarete, sareste stati 6. Cod.
questi. p. 186. 9. Cod. amàvamo, con l'accento sulla terzultima, dopo aver
cancel- lato l'accento sulla penultima (sono d'accordo ora col Ghinassi che
sarebbe difficile sostenere che l'accento sulla terzultima risalga senza dubbio
all'originaleIntroduco le forme del preterito, sal- tato dal copista (ma se ne
parla subito) Cod. Dio ch'io ami tu lui ami Cod. amerai. Nel marg. del cod. il
copista ha scritto So, per indicare l'omissione di questo verbo nella serie di
verbi monosillabi. Cod. notamo, che non può valere come perfetto qui, e perciò
va corretto in notiamo Cod. tragga traggi tragga. Cod. anigittisco anigittii
Cod. forsi. p. 190. s. Cod. sine 23. Cod. Quale Cod. verrovi (ma sarebbe contro
la regola già stabilita a p. 183) 6. Cod. affirimando 24. Cod. ne osegi, da cui
si deve staccar l’o per quel che si dice subito appresso, lasciando un segi
problematico (forse errore di trascrizione per e.g. o per etc.? Cod. camemere
10. Cod. preposto, ma, come osserva il Ghinassi, deve essere un errore. Cod.
lezione incerta tra siane, diane 36. Cod. Vulase saceman; correggiamo il primo
in “vulasc” per conformità con la serie di 'nomi barberi' tutti terminanti in
consonante, senza però poterne spiegare il significato. Il secondo in sacoman
anziché supporre una forma sacheman altrimenti non attestata. La lezione papi è
chiara nel cod. ma difficile a spiegare (si è pensato a pabbio, papeo, papiro).
«Italian Studies». Per la discussione e illustrazione del foglio autografo del
cod. Mor. vedi l’art. cit. sopra di C. Colombo. In Firenze, tragli uomini di
studio, educati cio è agli studi umani, si distinseroa questo proposito
gl'ingegni liberida ogni abito di pedantería, che non s'erano allontantanati
con superbo fastidio dalla fonte di quelle vene, soprattutto gli artisti e
gliuomini d'azione.E tra questi, chi meglio conobbe il valore di questo
luminoso mezzo che il suo popolo gli offriva, e insieme intravide il lavoro che
la mente e la volontà fanno nella formazione e nell'uso della parola, fu
l'antico grande cittadino nato in esilio, l'umanista architetto, l'abbreviatore
moralista della famiglia, il raccoglitore e innovatore della ·TORBACA, Rimatori
napoletani del secolo X V,in Discussioni e ricerche letterarie, Livorno, Vigo,
tradizione formatasi a Santa Maria Novella?,cioè A.. Egli primo, o più
preparato e franco di tutti, si mosse a difesa del « volgare idioma », che
sente « degno d'onore » con « vere ragioni », « in diverse maniere » pro vando
2: e una di queste maniere fu probabilmente quella di far riconoscere nella
lingua che per lui era paterna, l'ordine grammaticale; che cioè l'uso di quella
lingua è ordinato e legittimo non meno del latino, e che si può raccogliere in
« ammonizioni atte a scrivere e favellare senza corruttela »; che insomma in
quest'uso comune e stabile sono applicate leggi di ragione. Intendo che
probabilmente a lui si devono quei Primi principij della grammatica o della
lingua toscana, cioè quel geniale saggio ... d'una grammatica dell'uso vivo di
Firenze che i Medici conservarono a noi, e che ora le prime linee del suo
trattato della famiglia l'A le tolse dall'opuscolo di Dominici a Bartolomea
Obizzi negli Alberti, noto col titolo Regola del governo di cura famigliare. V.
lo nell'ediz. SALVI, Firenze, Garinei, Queste parole sono di Michele del
Giogante.V. FR. FLAMINI, La lirica toscana del Rinasciniento anteriore ai tempi
del Magni. fico, Pisa, Nistri, Cfr. O. Bacci, MORANDI. Lorenzo il Magnifico,
Leonardo da Vinci e la prima grammatica italiana; Leonardo e i primi
vocabolari: ricerche: Città di Castello, Lapi. Ma cfr. F. SENSI, Ancora di A.
grammatico, in Rendiconti del R. Ist. lombardo, L'opuscolo è pubblicato in appendice
alla Storia della grammatica italiana di TRABALZA, Milano, Hoepli. Propongo qui
l'opinione che mi par più probabile, anche dopo che Morandi ha difeso la sua
nell'articolo Per Leonardo da Vinci e per la «Gramatica di Lorenzo de' Medici
», nella Nuova Antologia. Il titolo, che la copia vaticana dell'opuscolo ha,
non esemplato dall'originale, e nel foglio di guardia da altra mano che quella
dell’amanuense segnato, DELLA THOSCANA SENZA AUTTORE, mi pare si possa desumere
qual era nella mente di questo autore dal ringraziamento finale (c.16a): «Laudo
Dio che in la nostra lingua habbiamo homai e' primi principij; di 218 1
dimostra in chi l'ha dato l'antico cittadino italiano e il filologo moderno.
Così A. dette primo alla patria sua, fuori della quale era nato, la corona
della lingua. E da lui n'ereditò la difesa il giovanetto figlio di Piero dei
Medici (cioè del fautore di lui in quest'opera) e di Tornabuoni: il quale,
seguendo il suo genio nativo, che lo conduceva all'acquisto della grandezza,
cercò esser popolare 1 »; e de'suoi grandi intendimenti, e delle cure che
gl'imponeva ilprincipato nella sua città, voluto e mantenuto ad ogni costo, non
credeva nu trito », « aggiungendosi... prospero successo ed augumento al
fiorentino imperio 2 » si estendesse e diventasse comune ad altre città e
province, come Roma avea fatto della quello ch'io al tutto mi disfidaua potere
assequire ». Ch'egli poi le ammonitioni » di quest' a arte » anche « in la
lingua nostra chiamasse «suo nome, Grammatica » lo dice espressamente nel
proemio; e quest'esempio ci dà facoltà d'argomentare per analogia, che anche A.
indicando un suo lavoro con le parole De litteris atque coeteris principiis
grammaticae abbia potuto intendere aquesta arte... in la lingua nostra ». Del
resto, una annotazione assai simile ad altra della Grammatichetta, traquelle
del Colocci, nel vatic. (sotto il titolo aLingue de varii barbari), mi fa
supporre ch'egli conoscesse quell'opuscolo, per lui prezioso, che era nella
Libreria de Medici «senza auttore»; egli che, in Roma, quella libreria
frequentava, come prova, se non altro,l'indicazione che sitrova nell'altro suo
ms., il vat.: a Bapta Alberto in libreria de medici de Rythmis ». A proposito
della quale opera, altrove, dice che stima facesse dell'autore: «Leon Alberto
huomo alli tempi nostri di dottrina et d'ingegno a nullo inferiore ». Questo
sia detto col rispetto dovuto all'autorità di Morandi, nel comune amore del
vero. 1 GINO CAPPONI, Storia della repubblica fiorentina, Firenze, Barbèra,
Cfr. 0. BACCI, Op.cit.,pag.69. 2 Commento del Mco L. DE M. sopra alcuni de'suoi
sonetti, nelle sue Opere, Firenze, Molini] ultima questa, che la lingua « nella
quale era nato e latina. Allo stesso modo poi il figliuolo suo Giovanni, che
venne veramente, come allora si diceva, a capo delle cose del mondo col nome di
Leon X, voleva tenuta in onore diffusa la lingua latina serbata nella
ecclesiastica e allora restaurata secondo l'esemplare augustèo 1: inter
caeteras curas, quas in hac humanarum rerum curatione divinitus nobis concessa,
subimus, non in postremis hanc quoque habendam ducimus, ut latina lingua nostro
Pontificatu dicatur facta auctior. Così dunque Lorenzo raccolse l'eredità
dell'antica lingua fiorentina da Leon Battista e dagli altri generosi custodi e
difensori di essa della generazione anteriore, e ne fece la lingua dotta della
sua corte popolana, uno strumento di regno. Quanto il suo esempio fosse
efficace sui prìncipi con temporanei, lo dice un cortigiano della generazione a
lui seguente, Colli oda ColledettoilCalmeta,chedisegnò e difese l'ideale della
lingua cortigiana: « La vulgar poesia et arte oratoria, dal Petrarca e
Boccaccio in qua quasi adulte. rata, prima da Laurentio Medice e suoi coetanei,
poi m e diante la emulatione di questa et altre singularissime donne di nostra
etade, su la pristina dignitade essere ritornata se comprehende. E questa donna
era Beatriced’Este, la posa di Ludovico il Moro, e le principali tra le altre
erano la sorella maggiore di lei sposa del marchese Francesco Gonzaga,
Isabella, ed Elisabetta Gonzaga sposa di Guidubaldo da Montefeltro duca
d'Urbino. Breve a Franc. De Rosis scritto dal Sadoleto, citato dal PASTOR,
Storia dei Papi dalla fine del M. evo,vol. IV,p. Nella Vita di Serafino
Aquilano in fronte alle Rime di lui, ediz. cit., (Leon X), trad. Mercati, Roma,
Lefebvre. Alberti. DELLA THOSCANA SENZA AUTORE Guardia (Dal Cod. Vat. Reg. 1370
ce. 1-161 [QjVe che affermano la lingua latina non essere stata comune a e. 1 A
tutti é populi latini, ma solo propria di certi docti scolastici, come hoggi la
vediamo in pochi; credo deporanno quello errore: vedendo questo nostro
opuscholo in quale io racolsi l'uso della lingua nostra in brevissime
annotationi: qual cosa simile fecero gl'ingegni grandi e studiosi presso a
Grseci prima, e pò presso de é latinj : et chiamorno queste simili ammonitioni
apte a scrivere e favellare, senza corruptela, suo nome Grammatica. Questa arte
quale élla sia in la lingua nostra leggietemi e intenderetela. Ordine delle
lettere i r t d b v e e o 1 s f è e e Coniunctio el giro girò aldo el zembo et
volse pòrci à porci quello che è pélla pelle. p q a x Z e eh g I) ó u e e
Verbum Articulus YOCHALI e. I B io. Cod. d'tlle. V. facsimile (Tav. I). 11. L'z
nel cod. è senza puntino. 14. Quest'ultima lettera sarebbe una g gutturale da
distinguere dalla g della linea 12 che ne rappresenterebbe il suono palatale?
Nel testo, in ogni modo, il g non ricorre in nessuna di queste due forme, ma
nell'altra che si può com'esse vedere nel facsimile (Tav. I). 16. LV e Vó
chiusi nel cod. sono distinti da^eo aperti, il primo con un apostrofo so-
prastante e il secondo con un circonflesso. 17-18. L'è congiunzione è distinto
con due puntini ; I* verbo con tre puntini a triangolo preceduti da un'asta
perpendicolare su cui ne cade perpendicolarmente un'altra; Ve articolo e
pronome \ei, i) con tre puntini l'uno sull'altro obliquamente posti, preceduti
dal segno dell'angolo o di un sette. Ma vedi meglio nel facsimile Tav. II).
Regole della lingua fiorentina [OJgni parola e dictione Toscana finisce in vocale:
solo alenimi articholi de nomi in .1. et alchune prepositioni finiscono in .d.
.n. .r. Le chose in molta parte hanno in lingua toscana que medesimi nomi, che
in latino. Non hanno é toscani fra é nomi altro che masculino, e, feminino. 5 é
neutri latini si fanno masculini. Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo
singulare, e questo s'usa e. 2 A in ogni caso singulare; cosi al majsculino
come al femminino. A é nomi masculini l'ultima vocale si converte in .1. e
questo s'usa in tutti é casi plurali. io A é nomi femminini l'ultima vocale si
converte in .E. e questo s'usa in ogni caso plurale per é femminini. Alchuni
nomi femminini in plurale non fanno in .E. come la mano, fa le mani. Et ogni
nome feminino quale in singulare finisca in .e. fa in piùrale in .1. come la
oratione, le orationi, stagione, stagioni, confusioni e simili. É casi de nomi
si notano co suoi articoli: de i quali sono varii é masculini da é feminini.
Item é masculini, che cominciano da consonante hanno certi articoli non fatti
come quando é cominciano da vocale. Item é nomi proprij sono varij da gli
appellativi. Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a
questo. SlNGI'LARE 25 c- 2 B EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo Ó cielo DAL
cielo Plurale É cieli DE cieli A cieli É cieli Ó cieli DA cieli Masculini che
cominciano da vocale: fanno in singulare simile a questo. LO òrizonte DELLO
òrizonte ALLO órizonte LO órizonte. O. òrizonte Dallo òrizonte. Plurale Gli
orizonti Degli orizonti Agli orizonti Gli orizonti Dagli orizonti. É nomi
masculini che cominciano da .s. prceposta a una consonante hanno articoli
simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi Lo spedo, Lo stocco, Gli
spedi, e simile. Regole della lingua fiorentina Questi vedesti die sono vani da
quei di sopra nel singulare él primo articolo et anque él quarto; ma nel
plurale variorono tutti gii articoli. Nomi proprii masculini non hanno él primo
articolo, ne anque él 5 quarto; e fanno simili a questi. Proprii masculini che
cominciano da consonante in singulare e. 3 A fanno cosi. Cesare DI Cesare A
Cesare Cesare. O Cesare Da Cesare. Nomi proprii che cominciano da vocale nulla
variano da consonanti, excetto che al terzo vi si aggiugne .D. e dìcesi.
Agrippa DI Agrippa AD Agrippa etc. In plurale non s'adoperano é nomi proprii, e
se pur s'adoperassero; tutti fanno come appellativi. E nomi feminini ó proprij
o appellativi o in vocale, o in consonante che é cominciano; tutti fanno simile
à questo. Singulare La stella Della stella Alla stella La stella Ó stella Dalla
stella. La aura Della aura Alla aura La aura O aura Dalla aura. Plurale Le
stelle Delle stelle Alle stelle Le stelle O stelle Dalle stelle, e. 3 B Le aure
Delle aure Alle aure Le aure Ó aure Dalle aure. E nomi delle Terre s'usano come
proprij e dicesi. Roma superò Cartilagine. Et similj a nomi proprii s'usano é
nomi de numeri uno, due, tre e cento e mille e simili e dicesi Tre persone, Vno
dio, Nove cieli e simili. Et quei nomi che si riferiscono a numeri non
determinati come, OGNI, CIASCVNO, QUALVNQUE, N1VNO e simili; e COme TVTTI,
PARECCHI, pochi, molti, e similj tutti si pronuntiano simili à é nomi proprij
senza primo e quarto articolo. E nomi che importano seco interrogatione, come
chi, e che e ovale e qvanto e simili, quej nomi che si rifferiscono a questi
interrogatorij come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronuntiano. La C di
Cesare nei casi obliqui è incerto se sia maiuscola o minuscola. 11. Cod. DA con
un'/ sopra VA, preceduta da crocetta. Dopo similj il cod. teca un att coti
un'abbreviatura, e cosi a 541,22, dopo /ussero. Regole della lìngua fiorentina
e. 4 A simili à é propri; nomi, pur senza j primo e quarto articolo, e dicesi:
Io sono tale, quale voresti esser tu: et, amai tale, che odiava me. chi s'usa
circa alle persone e dicesi, chi scrisse? che, significa quanto presso a é
latini qui et quid; significando quid, s'usa circa a le cose e dicesi, che
leggi? significando qui 5 s'usa circa alle persone e dicesi: Io sono cholui,
che scrissi. chi. di sua natura serve al masculino ma aggiunto à questo verbo
sono e sei, é serve al masculino e al feminino e dicesi chi sarà tua sposa: chi
fu el maestro? Chi sempre si prepone al verbo: che. si prepone, e postpone. 10
Che, preposto al verbo significa quanto presso a é latini quid et quantum, e
quale, come che dice? che leggi? che huomo ti paio? che ti costa? e. 4 B Che
postposto al verbo significa quanto àpresso é la|tini VT. et Quod. come dicendo
i voglio che tu mi legga: scio che tu me amerai. 15 É nomi quando é dimostrano
cosa non certa e determinata si pronuntiano senza primo e quarto articolo, come
dicendo, Io sono studioso. Invidia lo move. Tu mi porti amore. Ma quando egli
importano dimostratione certa e determinata allhora si pronuntiano
coll'articolo, come qui. Io sono lo studioso e tu el docto. 20 É nomi simili a
questo Primo, secondo, vigesimo. posti dietro à questo verbo sono, sei, è non
raro si pronuntiano senza el primo articolo, e dicesi. Tu fusti terzo et io
secondo, e anchora si dice chostui fu el quarto el primo el secondo etc. Vno,
due, tre, e simili quando é significano ordine; vi si pone l'articolo: e dicesi
tu fusti el tre, et io l'uno. Il due è numero paro etc. e. 5 A Fra tutti gli
altri nomi appellativi, questo nome| Dio s'usa come proprio: e dicesi lodato
dio. Io adoro Dio. Gli articoli hanno molta convenientia co pronomi: e anchora
é pronomi hanno grande similitudin, coni questi nomi relativi qui recitati:
Adunque suggiungeremogli De pronomi: é primitivi sono questi. Io Tu Esso,
questo, quello, chostui lui cholui. Mutasi l'ultima vocale in .A. e fassi il
femminino e dicesi questa, quella, essa: solo io et tu in una voce serve al
masculino e al feminino. 35 B. Il cod. avanti il serve legge e, che
evidentemente qui è pronome. 10-20. Cod. coli articolo. El secondo è abbreviato
con un do soprastante a una lettera che forse è un 2. 30. Il cod. legge
similitudin, come altrove esser, favellar con un apostrofo o accento sopra
l'ultima consonante. Regole della lìngua fiorentina É plurali di questi
primitivi pronomi sono vani, e, anque, é singulari, Declinansi cosi. Io et i.
di me A me e mi: Me e mi. Da me. Noi, di noi. A noi et ci. noi et ci da noi. 5
Tu di te e ti. Te e Ti. O tu. da Te. Voi di voi, a voi e vi, ó voi, da voi.
Esso et é, di se e si, se e si, da se, et egli. Non troverrai in tutta la
lingua toscana casi mutati in voce, al- c- 5 B trove che in questi tre pronomi.
Io.Tu. esso. 10 Gli altri primitivi se declinano cosi. Questo, di questo, a
questo, questo, da questo. Quello, di quello, à quello, quello, da quello. Muta
.0. in .i. e barai el plurale: e dirai. Questi, di questi, a questi, questi da
questi, e il somigliante fa quelli. 15 Et cosi sarà costui, e lui, e cholui
simili a quegli in singulare: ma in plurale chostui fa costoro, lui fa loro,
colui fa coloro, di coloro, a choloro. coloro, da choloro. Questo e quello
mutano .0. in .a. e fassi él femminino singulare e dicesi questa e quella, et
fassi il suo plurale queste, di quelle, a quelle. 20 Lui chostui. cholui.
mutano .v. in .e. e fassi él singulare femminino, e dicesi Costei. Lei. cholei.
di colei etc. In plurale hanno quella voce che é masculini. cioè. Loro, coloro,
costoro, di costoro, a costoro etc.| Vedesti come simile à nomi propri questi
pronomi primitivi non e. 6 A 25 hanno el primo articolo, né anque él quarto. A
questa similitudine fanno é pronomi derivativi; quando é sono subiuncti a é
proprij nomi; Ma quando si giungono a gli appellativi si pronuntiano co suoi
articoli. Derivativi pronomi sono questi e declinansi cosi. El mio. del mio
etc. et plr. é miei, de miei etc. 30 El nostro del nostro etc. et plr. é nostri
de nostri etc. El tuo. plr. é tuoi. El vostro plr. é vostri. El suo. et
pluraliter é suoi etc. Mutasi come à é nomi l'ultima in .A. e fassi el
singulare femminino: qual .a. converso in .e. fassi el plurale e dicesi mia e
mie: 35 vostra vostre, sua e sue. In uso s'adoprano questi pronomi non tutti a
un modo. 8. Cod. troverai. 33. Cod. / ultima. Di qualche altro apostrofo
tralasciato non s'è tenuto qui conto. Regole della lingua fiorentina É
derivativi giunti à questi nomi, padre madre fratello, zio, e simili se
pronuntiano senza articolo: e dicesi mio padre: vostra madre, e tuo zio etc.j
e. 6 B Mi e me, ti e te, ci e noi, Vi e voi, si e se, sono dativi insieme et
accusativi come di sopra gli vedesti notati: ma hanno questo uso, 5 che
preposti al verbo si dice mi. ti, ci, etc. come qui é mi chiama, é ti vuole;
que vi chiegono: io mi sto: é si crede. Postposti al verbo, se a quel verbo
saia inanzi altro pronome, o nome si dira, come qui, Io amo te, e voglio voi.
Se al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome, o pronome io si dirà .1. come
qui aspettoci, restaci, scrivetemi. Lui e cholui dimostrano persone come
dicendo lui andò: cholei venne. Questo e quello serve a ogni dimostratione, e
dicesi, questo exercito predò quella provincia: e questo Scipione suppero
quello Hannibale. É et él, lo e la, le e gli, quali giunti a nomi, sono
articoli: quando e. 7 A si giungono à verbi diventano | pronomi e significano
quello, quella, quelle etc. et dicesi. Io la amai. tu le biasimi. chi gli vuole?
Ma di questi egli et é hanno significato singulare e plurale, e preposti à la
consonante diremo é, come qui: e' fa bene, e'corsono: 20 e preposti alla vocale
si giugne e et gli e dicesi, egli andò: egli udivano. Et quando segue loro .s.
preposta ;i una consonante, ancora diremo, egli spiega: egli stavano. Potrei in
questi pronomi esser prolixo investigando più chose quali s'osservano simili à
queste. Vi preposto à presenti singulari indicativi d'una syllaba, si scrive in
la prima e terza persona per due v-v. e simile in la seconda persona presente
imperativa, come stavvi e vavvi. e ne verbi d'una e di più syllabe, la prima
singulare indicativa al futuro come- amerovvi, leggerovvi, darotti, adoperrocci
e simile. Ma forse di queste cose più particulari diremo altrove. | c _ B
Sequitano k verbi. Non ha la lingua Toscana verbi passivi in voce, ma per
exprimere él passivo compone co questo verbo, sono sei, è . él participio
preterito passivo tolto da é latini in questo modo. Io sono amato. Tu sei
pregiato, cholei è odiata, e simile. si giugni a tutti é numeri et tempi é modi
di questo verbo: adonqut- lo poremo qui distinto. Cod. quasi. Regole della
lingua fiorentina Indicativo Sono, sei. è. plurale, siamo, sete, sono Ero, eri,
era, plr. eravamo e savamo. eravate e sa va te, erano Fui, fusti. fu. plr.
fumo, fusti, furono Ero. eri. era stato. plr. eravamo e savamo, eravate et
savate, erano stati Sarò. sarai. sarà. plr. saremo. sarete. saranno. Hanno é
Toscani in voce uno preterito quasi testé, quale in questo verbo si dice rosi
Sono sei è stato plr. siamo, sete, sono stati e dicesi hieri fui ad Hostia.
hoggi.sono stato a Tibuli. Imperativo Sie tu. sia lui. plurale siamo, siate,
siano. Sarai tu. sarà lui. plr. saremo etc. Optativo Dio chio fussi. tu fussi.
lui fusse. plr. fussimo. fussi. fussero Dio chio sia. sij. sia stato. plr.
siamo, siate, siano stati Dio chio fussi. fussi. fusse stato. plr. fussimo,
fussi fussero stati Dio chio sia. sij. sia. plr siamo. siate. siano.
SVBIENCTIVO Benchio. tu. lui sia. plr. siamo. siate. siano Benchio fussi. tu
fussi. lui fusse. plr. fussimo, fussi. fussero Benchio sia. sij. sia stato.
plr. siamo, siate, siano stati Benchio fussi. fussi. fusse stato. plr. fussimo.
fussi. fussero stati. Benchio sarò. sarai. sarà stato. plr. saremo, sarete,
sareste stati. Et usasi tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro verbo,
quasi come subienctivo prepostovi qualche una di queste dictioni. se. quando.
benché e simili. e dicesi. benchio fui. se é sono. quando é saranno. Infinito
Essere. essere stato Gervndio. Essendo. Participio. Essente Dirassi adonque per
dimostrare él passivo. Io sono stato amato. fui pregiato. e sarò lodato. tu sei
reverito. Hanno é Toscani certo modo subienctivo in voce, non notato da é
Latini. e panni da nominarlo. asseverativo come questo. Regole della lingua
fiorentina Sarei. saresti. sarebbe. plr. saremo. saresti. sarebbero. e dirassi
cosi. stu fussi docto, saresti pregiato: se fussero amatori de la patria;
e'sarebbero più felici. Seqvitano é verbi activi Le congiugationi de'verbi
activi in lingua della Toscana si formano *c. 9 A dal Gerundio latino, levatone
le tre ultime | lettere n.d.o.e quel che 5 resta si fa terza persona singulare
indicativa e presente: ecco l'exemplo. amando. levare n.d.o. resta ama.
scrivendo resta scrive. Sono adonque due congiugationi, una che finisce in .A.
Grice: MENTARE – a back formation from mens, mente -- l'altra finisce in. E.
Grice: MENTIRE Alla congiugatione in. a. quello. a. si muta in. o. et fassi la
io prima persona singulare indicativa e presente, et mutasi in. I. e fassi la
seconda: e cosi, si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui in
questo exposto. Indicativo Amo. ami. ama. plr. amiamo. amate. amanu Amavo.
amavi. amava plr. amavamo. amavate. amavano Ho. hai. ha amato. plr. habbiamo,
havete, hanno amato. Amerò. amerai. amerà: plr. ameremo amerete ameranno. In
questa lingua ogni verbo finisce in. 0. la prima indicativa presente: et in
questa coniugatione prima, fijnisce anchora in .0. la terza singulare
indicativa del preterito. Ma ecci differentia, che quella del preterito fa él
suo. 0. longo: e quella del presente lo fa .<". brieve. Imperativo Ama
tu. ami luj. plr. amiamo, amate, amino ss Amerai tu. amerà cholui. plr. ameremo
etc. Optativo Dio ch'io amassi. tu amassi. lui amasse. plr. dio che noi
amassimo. voi amassi. loro amassero. Dio ch'io habbia. tu babbi. lui habbia
amato. plr. dio che noi habbiamo. habbiate. habbino amato. Dio ch'io havessi.
tu havessi lui havesse amato. plr. dio che noi havessimo, havessi. riavessero
amato. Dio ch'io ami, tu, lui ami. plr. amiamo, amiate, amino. 2. Cod. brieve
col puntino sotto 1'/. Regole della lingua di FIRENZE fiorentina SVBIENCTIVO
Bench'io, tu, lui ami. plr. amiamo amiate amino Bench'io, tu amassi, lui
amasse; plr. amassimo, amassi, -ro. Bench'io habbia, habbi, habbia amato. plr.
habbiamo habbiate e. io A 5 habbino amato. Bench'io havessi, tu havessi, lui
havesse amato. plr. havessimo, havessi, havessero amato. Bench'io harò, harai,
harà amato. plr. haremo, harete haranno amato, io Assertivo Amerei, ameresti,
amerebbe. plr. ameremo, ameresti, amerebbero Infinito Amare, havere amato.
Gekvndio. Amando. Participio Amante. Vedi come à é tempi testé perfetti et al
futuro del subienctivo, J5 manchano sue proprie voci: e per questo si composero
simile à verbi passivi: él suo participio cho tempi e voci di questo verbo ho,
hai, ha. Qual verbo benché é sia della coniugatone in .A. pur non sequita la
regola e similitudine degli altri: pero che egli è verbo d'una sillaba e cosi
tutti gli altri monosyllabi sono anormali. Ne troverrai in tutta la lingua
Toscana verbi monosyllabi, altri c. ioB che questi sei. Do. Fo. Ho. Vo. Sto.
Tro. Porremogli adonque qui sotto distincti. Ma per esser breve, notamo che é
sono insieme dissimili né é preteriti perfecti indicativi, et né singulari
degli imperativi: e nel singular del futuro optativo. Né quali é fanno cosi.
Do. diedi. desti. dette. plr. Demo. desti. dettero. Fo. feci. facesti. fecie.
plr. facemo. facesti. fecero. Ho. hebbi. havesti. hebbe. plr. havemo. havesti.
hebbero. Yo. andai. andasti. andò. plr. andamo. andasti. andarono. 3° Sto.
stetti. stesti. stette. plr. stemo. stesti. stettero. Tro. tretti. traesti.
trette. plr. traémo. traesti. trettero. In tutti é verbi come fa la seconda
persona singulare del preterito, cosi fa la seconda sua plurale come amasti.
desti. legesti. Do, da tu, dia luj. Fo. fa tu. faccia luj io. Cod. Amerai.Cod.
fecie col puntino sotto l'i. Regole della lingua fiorentina e. 12 A Ho. habbi
tu. habbia luj. \"o. va tu. vada lui. Sto. sta tu. stia lui. Tro. tra tu.
tria lui. Do, dio eh'io dia, tu dia, lui dia. 5 Fo. faccia. facci. faccia. Ho.
habbia. habbi. habbia. Vo. vada. vadi. vada. Sto. stia. stij. stia. Tro.
tragga. traggi. tragga. io Sequita la coniugatione in .E. Questa si forma
simile alla coniugatione in .A. mutasi quello .e. in .o. e fassi la prima
presente indicativa: mutasi in .1. e fassi la seconda come qui legente et
scrivente. levatone n.t.e. resta legge, scrive: onde si fa leggo, leggi,
leggeva, legerò. etc. Solo varia dalla coniugatione in .A. in que luogi dove
variano i monosyllabi. Ma questa e 12 B coniugatione in .e.i varia in più modi,
benché comune faccia é preteriti perfetti indicativi in .ssi. per due .ss. come
leggo lessi. scrivo scrissi. ma que verbi che finischono in sco, fanno é
preteriti in .ij. per due .ii. come esco usci): ardisco ardij. anigittisco
anigittij. Ma per più suavità nella lingua toscana non si pronuntiano due
iuncte vocali. Da questi verbi si exceptuano cresco e é suoi compositi Rincresco,
accresco, e simili, quali finiscono a preteriti perfetti in .bbi. come crebbi,
rincrebbi. Item nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. Et que verbi che
finiscono in mo, fanno é preteriti in .etti, come premo. premetti. e quei che
finiscono in .do. fanno é preteriti in .si. per uno .s. come ardo. arsi.
spargo. sparsi. excetto vedo fa vidi, odo, udì, cado, caddi, godo godei e
godetti. Et quegli che finiscono in N.D.O. fanno preteriti .si. per uno .s.
prendo presi, rispondo risposi, excetto vendo fa 30 e 13 A vendei e vendetti.
Sonci di queste regole forsi altre excettioni. ma per bora basti questo
principio di tanta cosa chi che sia. a cui diletterà ornare la patria nostra
aggiugnera qui quello che ci manchi. Dicemo de'preteriti, resta a dire degli
altri. Imperativo Leggi tu. legga ebollii Optativo Futuro singulare Dio chio
scriva. tu scriva. lui scriva. e chosi fanno tutti. 1. Per la trasposizione di
e. 11 A e e. 1 1 B, v. prefazione. Dopo seconda forse si ha una lacuna:
dovevasi indicare come dal part. pres. si fornii la 3a ps. dell'ind. Regoli
della lingua fiorentina Verbi impersonali si formano della terza persona del
verbo activo in tutti é modi e tempi giuntovi .si. come amasi. leggevasi.
scrivasi. Ma questo si suole transporlo in anzi al verbo, giuntovi .e. e
dicesi. 5 é si legge, é si corre: et maxime ne l'optativo e subienctivo sempre
si prepone, e dicesi. Dio che é s'ami. quando é si leggerà, e simile. Seguitano
le Prepositioni Di queste alchune non caggiono in compositione e sono queste:
oltre, sine. dietro. doppo. presso. verso. nanzi, fuori, circa. e. 13 B
Prepositioni che caggiono in compositione et anchora s'adoperano seiuncte sono
di una syllaba o di più. D'una syllaba sono queste. De. De nostri. Detractori.
Ad. ad altri. Admiratori. Con. con certi. Conservatori Per. per tutti.
Pertinace. Di. di tanti. Diminuti. In. in casa. Importanti. Di preposto allo
infinito ha significato quasi come a Latini.Vt. e 20 dicono Io mi sforzo
d'esser amato. Quelle de più syllabe sono queste. Sotto. Sottoposto. Sopra e
dicesi Sopraposto. Entro. Entromesso. Contro. Contraposto. Prepositioni quale
s'adoperano solo in compositione. | Re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex,
pre, circum, onde si dice e. 14 A trasposi e circumspetto. Sequitano gli
Adverbii Per é tempi si dice hoggi, testé, hora, hieri, crai, tardi, nomai,
già, alhora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito. Per é luoghi si dice
costi, cola, altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci e
ivi e vi. onde si dice io voglio starci, io ci starò, prò qui et verrovi e io
vi starò prò ivi. Pelle chose si dice assai, molto, poco, più, meno. Negando si
dice, nulla, no, niente, ne. 5. Cod. ne loptativo. 6. Cod. è s.imi. C.
Trabalza. Regole della lingua fiorentina Affirmando, si dice, si, anzi, certo,
alla fé. Domandando si dice, perche, onde, quando, come, quanto. Dubitando.
forse. Narrando si dice, insieme, pari, come, quasi, cosi, bene, male, peggio,
meglio, optime, pexime, tale, tanto). 5 e. 14 B Usa la lingua Toscana questi
adverbij in luogo di nomi giuntovi l'articolo, e dice él bene. del bene etc.
qual cosa ella anchora fa degli imfiniti e dicono él legere del legere. Ma a
più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme solo in principio della loro
coniunctione usa preporre non più che uno articolo, e dicesi io él tuo buono
amare, mi piace. Item a similitudine della lingua Gallica piglia el Toscano é
nomi singulari feminini adiectivi et agiungevi. mente. e usagli per adverbij.
come saviamente bellamente magramente. Interiectioni I5 Sono. queste. heu. hei.
ha. o. bau. ma. do. CONIVNCTIONI Sono queste. Mentre, perche, senza, sé, però,
benché, certo, adonque, anchora, ma, come, et, ne, osegi [sic]. e 15A Et
congiunge: Ne disiunge. O divide. senza si lega| solo à nomi et a gli imfiniti,
e dicesi senza più scrivere . tu et io studieremo : che ne lui ne lei siano
indocti: ó piaccia ó dispiaccia questa mia inventione. Et questo Ne ha vario
significato e vario uso . se si prepone sim- plice à nomi a verbi a pronomi
significa negatione, come qui, ne tu «5 ne io meritiamo invidia. Et significa.
in. ma agiuntovi. 1. serve à singulari masculini e femminini, e senza. 1. serve
a plurali, quali comincino da consonante, à tutti gli altri pluralj masculini e
femminini si dice. nel. et quando. s. sarà preposta alla consonante pur si
dice. nello spazio. nelle camere, ne letti. nel lo exercito di Dario. negli
horti. Et questo Ne se sarà subiuncto a nome o al pronome significa. di qui. di
questo. di quello. secondo che l'altre dictioni vi si adatteranno come chi dice
Cesare ne va. Pompeio ne viene. e. iSB Et questo Ne preposto al verbo sarà o
doppo à mono|syl1abi o 35 30. Cod. camemere. 33. Cod. làltre. Regole della
lingua fiorentina doppo a quei di più syllabe, et più i> dellV e dell' in
(tinaie ut racwi [ufi id [a unntA rwjVto tn unnwmc- (lunata-turni ; omì cof*
#mU' -futre otiti* 1W (rU S{& rn ia .tnoiiA y^Avi Ufticr ttm e' intende
mv.fr ' Ovài ne ae'.ie it*Hrc' . i r t d b n H m e r* 0 et / /V C crj M Tav. I.
\roc^M * e' e i o 0 h e' e e" r7 - -» / CónmniTte vermi* Arftculns c't
(," ' w KoCfi*c .- scis fiixyhM ArHchoa acromi L C c\)c(c ' iti molH
pnrtt' \)WHq in mmis. tifimi, 4%c' mzwhni nomi, v/m Utmo - tfen^tuj e-tvjmujrci
e rum attrfi cf majiuliiict c'i&mwitut; t nSHtri Ufim fi -fmo wdcww. f
iflfa/l 'in orni nmf ' (rtino l* Mnm* shmltret ffitfto /tifi iti cgr> cdf
S^^ SIGNIFICA interrogatione, o affirmatione, o precepto. Adonque doppo
l’indicativo monosyllabo, la interrogatione si scrive nella prima persona e
nella terza persona per due n.n . la seconda persona per uno .11. come
interrogando si dice . Vonne io . vane tu? 5 Vanne colui? Nello Imperativo si
scrive la seconda per due .n.n. e dicesi . Vanne . danne. La terza si scrive
per uno, e dicesi . siane lui, traggane. Et questi monosyllabi la prima
indicativa presente affirmando si scrive per due .n.n. e dicono. fonne. vonne.
nonne. Se sarà el verbo di più syllabe, la interrogatione- et affirmatione io
si scrive per uno.11. in tutti e tempi, excetto la affirmatione in lo futuro,
quale si scrive per due .n.n. come dicendo . porterane tu? porteronne . e
questo sino qui detto s'intenda per é singulari però che plurali si scrive
quello. ne. sempre per uno. n. come andiamone. Non mi stendo negl’altri simili
usi a questi. Basta quinci intendere é principij d'investigar lo avanzo. E
vitij del favellar in ogni lingua sono o quando s’introducono alle cose nuovi
nomi: o, quando gl’usitati si adoperano male. Adoperanosi male DISCORDANDO
persone e tempi, come chi dice, “Tu hieri andaremo alla mercati”. E si
adoperano male usando i nomi in altro SIGNIFICATO alieno, come chi dice
‘processione’ pro ‘possessione’. Introduconsi nuovi nomi, o in tutto alieni et
incogniti, o in qualunque parte mutati. Alieni sono in Toscana più nomi
barberi, lasciativi da gente germana, quale più tempo milito in Italia, come
helm, vulase, faceman, bandier, e simili. In qualche parte mutati, sono quando
alle dictioni s’agiugnera o minuira qualche lettera, come chi dice, “paire” pro
“patre”, e “maire” prò “matre”. Et mutati sono come chi dice “Rej plubica” prò
“Republica”, e occusfato prò offuscato. e quando si pò- e. 12 b nesse una
lettera per un'altra. come chi dicesse, aldisco prò ardisco, inimisi prò
inimici. 30 Molto studia la lingua Toscana d'essere breve et expedita; e per
questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vitio, ma questi
vitij in alcune ditioni e prolationi rendono la lingua più apta, come chi
diminuendo dice, “spirto” prò spinto, e maxime l'ultima vocale, e dice papi e
“Zanobi” pro “Zanobio.” Credon far quel breve onde s'usa che a tutti
gl'infiniti quando loro segue alchuno pronome in .i. allhora si getta l'ultima
vocale, e si dice “farti”, “amarvi”, “starci,” etc. E, mutando lettere, dicono
“mie” prò “mio” e “mia;” “chieggo” prò “chiedo”, Breve: cod. bv, opp. bu.
Regole della lingua fiorentina, “paio” prò paro; “inchiuso” pro “incluso,”
“chiave” prò “clave” e aggiugnendo dice “Vuole” prò “vole,” “schuola” prò
“scola,” “cielo” prò “celo,” e, in tutto troncando le dictioni dice “vi” prò
“quivi” e similiter “stievi” prò “stia ivi.” Se questo nostro opuscolo è tanto
grato a chi mi legge, quanto è laborioso a me el congettarlo, certo mi dilecta
averlo pròmulgato, tanto quanto mi diletta investigare e raccorre queste cose a
mio iuditio degne e da pregiarle. Laudo Dio che in la nostra lingua habbiamo
nomai é primi principij; di quello ch'io al tutto mi disfidava potere
assequire. Cittadini miei, pregovi, se presso di voj hanno luogo le mie
fatighe, habbiate a grado questo animo mio, cupido di honorare la patria
nostra: Et insieme piacciavi emendarmi più che biasimarmi se in parte alchuna
ci vedete errore. Finis Sumptum ex Bibliotheca .L. medices . Romée anno
humanatj Dei . ultima exactum. Keywords: della thoscana senza autore is by
LEONARDO Alberti, no LEONE Alberti. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, "Grice ed Alberti," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Spreanza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Albertini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della confederazione
di Romolo – scuola di Pavia – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pavia). Filosofo pavese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano.
Pavia, Lombardia. Grice: “H. L. A. Hart calls Albertini a Proudhonian!” -- Grice:
“I like Albertini; like me, he has dedicated his life to ‘fides,’ or ‘una
federazione di due,’ “a garden of Eden just meant for two” – fiducia, fedes –
what Remo asked from Romolo, but failed!” Insegna a Pavia. Sostene un progetto di unione
federalista per l'Europa alla guida del movimento federalista europeo e della uunione
dei federalisti europei. Adiere al movimento federalista europeo. Di idee
liberali, lascia tuttavia il partito liberale dopo la decisione di quest'ultimo
di appoggiare la monarchia nel referendum. Dopo la laurea in filosofia divenne
docente di filosofia a Pavia. In seguito alla sconfitta sul progetto di esercito
europeo, la CED, e alle dimissioni di Spinelli, lo sostitue alla guida del movimento
federalista europeo. A Milano con un gruppo di militanti del movimento
federalista europeo fonda “Il federalista” che si occupa del dibattito sui temi
di fondo del federalismo. Diresse il Mfe
italiano. Presidente dell'unione dei federalisti europei. È poi rimasto come
figura di riferimento e d'indirizzo all'interno del Mfe. A livello teorico, fin
dalle pagine taglienti e polemiche su lo stato romano, sostene, sulla scia di
Einaudi, che a furia di voler custodire una sterile sovranità, lo stato romano è
ridotto a polvere senza sostanza. Da lì l'esigenza di guardare all'unificazione
europea come alla medicina d'urto indispensabile. Maestro di federalismo,
articolo di Colombo, Corriere della Sera, Archivio storico. Lo Stato romano, La politica, Giuffré, Il
federalismo e lo stato federale, Giuffré, Che cos'è il federalismo, L'integrazione
europea, Proudhon, Vallecchi, Tutti gli scritti, Mosconi, Il Mulino, Movimento
Federalista Europeo Unione dei Federalisti Europei Centro studi sul federalismo: perspectives on
federalism, su on-federalism.eu. Il Federalista: "A. teorico e
militante" di Mosconi su thefederalist.eu. Centro studi sul federalismo:
Opere di A., su csfederalismo. youtube: A. commenta la manifestazione
federalista di Piazza Duomo, su youtube V D M Logo MFE Federalismo europeo Flag of Europe. E’ per me un grande onore essere stato invitato a
fare una relazione a questo convegno per ricordare A., un FILOSOF che ha fatto
tanto per noi federalisti, per l’Europa e per l’umanità intera. Questo onore è
particolarmente significativo per me perché egli, come Spinelli, ha fatto del
pensiero della scuola inglese, insieme a quello dei Padri fondatori americani,
la base del suo pensiero federalista. A. spiega che mentre LA FILOSOFIA fondata
sulla fonte inglese da una risposta alla domanda “perché creare la Federazione
europea?”, quello fondato sulla fonte del nuovo mondo da una risposta alla
domanda “come crearla?”. Quanto alla domanda “quale forma di federazione?”, la
risposta, per A. come per gli inglesi, è contenuta nella Costituzione degli
Stati Uniti d’America. Il problema che oggi voglio affrontare riguarda il
modo in cui LA FILOSOFIA di A. sviluppa queste due tradizioni federaliste. In
generale si può dire che egli è il massimo esponente del pensiero hamiltoniano,
oltre che il creatore della scuola federalista italiana. Egli è non solo un
esponente, ma anche un innovatore, spesso illuminando la filosofia di altre
scuole, in altri casi differenziandosi con contributi originali. Per A.,
come per Spinelli e per la scuola inglese, la questione centrale era la
trasformazione del stato romano a sovranità assoluta in uno stato FEDERATO in
uno stato FEDERALE. Per loro il federalismo di Althusius o di Proudhon –
considerato da A. come una tecnica per il decentramento del potere politico –
non è di grande rilievo. A. sostene che Proudhon rimane, quanto alla concezione
dello stato romano, un anarchico, benché egli lo define anche un grande
presbite che prevede quale è il limite tragico di una democrazia nazionale
qualora non avesse trovato i suoi correttivi nella democrazia locale e nella
democrazia europea. A. afferma inoltre che il federalismo richiede la creazione
di orbite di governo democratico locale ad ogni livello di manifestazione
concreta delle relazioni umane. Ma egli concentra la sua filosofia sulla
creazione di una FEDERAZIONE di al meno due stati. Mentre i filosofi della
scuola inglese si sono attenuti ad un’esposizione classica della forma di una
tale federazione, A. ne fece la migliore ri-elaborazione. Sia la scuola
inglese, sia A., condividevano la preferenza per il sistema europeo basato su UN
ESECUTIVO PARLAMENTARE piuttosto che quello presidenziale americano, pur
accettando per il resto gl’elementi principali della Costituzione americana. A.
ritenne cioè più valido un governo responsabile di fronte a un parlamento come
istanza di controllo democratico dell’attività dell’ unione o FEDERAZIONE. Egli
arricchì la filosofia federalista anche con la sua analisi della relazione tra il
concetto di “nazione” e quello di lo “sato.” Secondo A., un “stato nazionale’,
con il suo dispotismo, danneggia la vita dei cittadini, ponendo restrizioni
allo sviluppo economico I suoi limiti si manifestano anche in una contraddizione
tra l’affermazione della democrazia nel quadro nazionale e la sua negazione nel
quadro trasnazionale, che pregiudica anche l’affermazione del liberalismo e del
socialismo a livello nazionale. Uno stato nazionale dove essere sostituito con
uno stato federale “pluri-nazionale.” La Federazione o Unione Europea è un
popolo di nazioni, un popolo federale, e non un popolo nazionale. Il
federalismo prevede una struttura di stati democratici pluri-nazionali fino al
livello mondiale. Il pensiero della scuola inglese su questo tema non è
diverso, ma l’analisi di A. è più approfondita. La scuola inglese indica
nel federalismo la soluzione alproblema della guerra. Dal punto di vista
logico, l'obiettivo finale non può che essere una federazione mondiale, ma essa
è realizzabile solo nel lungo periodo. Parecchi, quindi, sostenevano la
proposta di Streit per una federazione di XV democrazie, Stati Uniti inclusi,
per impedire la guerra provocata dall’Asse di Germania e ITALIA. Ma l’America
isolazionista non è disponibile e i leader della scuola inglese si
indirizzarono verso l’ipotesi di una federazione delle democrazie europee, in
attesa dell’adesione degli stati allora FASCISTI dopo il loro ritorno alla
democrazia. Questo è naturalmente il punto di partenza per A. che, dopo
il rifiuto del Regno Unito di partecipare alla Comunità europea, prefigura, per
cominciare, una federazione europea comprendente almeno i sei paesi che hanno
preso la testa del processo di unificazione, e poi la sua “estensione graduale
a tutta l’Europa. Quando il Regno Unito entra nella Comunità, egli aggiunse che
bisogna attendere che l’adesione alla Comunità dia i suoi frutti. Attendiamo
ancora questi frutti – e speriamo bene! Wheare indica la somiglianza di
istituzioni politiche fra gli stati membri come una condizione della formazione
di una federazione. A. è più preciso, affermando che è necessaria, sia nella
federazione che negli stati membri, l’attribuzione della sovranità al popolo
nel quadro del regime rappresentativo, con la possibilità di sdoppiare la
rappresentanza mediante la doppia cittadinanza di ogni elettore. Questa
condizione è divenuta particolarmente rilevante per quanto riguarda le nuove
democrazie candidate all’adesione all’unione, e rimane un problema cruciale per
la creazione di una federazione mondiale. Robbins pubblica “Economic
Planning and International Order”, analizzando le ragioni per le quali il
quadro di una federazione internazionale era essenziale per il buon governo di
un’economia internazionale. In “The Economic Causes of War”, Robbins spiega
perché la causa della guerra non è il capitalismo, bensì la sovranità
nazionale, e conclude con un appello appassionato per una federazione europea.
A. ricorda che questi due saggi sono le più importanti fonti federalistiche per
Spinelli, quando è al confino sull’isola di Ventotene. Per la scuola
inglese del dopoguerra, come per Robbins, la pace è lo scopo del federalismo.
La pace – PAX ROMANA -- è il valore centrale e l’obiettivo supremo del
federalismo anche per A., la complessità del cui pensiero è talvolta nascosta
dalla semplicità delle sue formulazioni. Egli ha ricalcato il pensiero di Lothian
definendo la pace non come il semplice fatto che la guerra non è in atto, ma
come l’organizzazione di potere che trasforma i rapporti di forza fra gli Stati
in rapporti giuridici veri e propri. A. riconosce che con la lotta per
l’unificazione europea si sono ottenute le prime forme di politica europea e la
fine della rivalità militare fra i vecchi Stati nazionali dell’Europa. Cioè,
per quanto riguarda i rapporti reciproci fra questi ultimi, l’obiettivo della
pace era già stato raggiunto, mentre per alcuni Stati dell’Europa orientale, e
soprattutto per il mondo intero, esso rimaneva l’obiettivo supremo. Per i
cittadini dell’attuale Unione, dunque, altri obiettivi sono diventati più
importanti. A. ha citato dal Manifesto di Ventotene l’affermazione che la
questione di chi controlla la pianificazione economica è la questione centrale
(lo stesso quesito che Robbins aveva proposto), ma ha anche individuato altri
valori essenziali del federalismo contemporaneo: la sicurezza ecologica, il
rifiuto dell’egemonia (vedi le preoccupazioni di CATTANEO (si veda) e dei Padri
fondatori americani) e la democrazia negli Stati nazionali, che la loro
interdipendenza sta indebolendo sempre più. Mi pare che questi costituiscano
gli elementi per spiegare i valori federalisti ai cittadini dell’Unione europea
di oggi. Per quanto riguarda alcuni Stati dell’Europa centrale e orientale,
invece, e soprattutto per il federalismo mondiale, la pace rimane l’obiettivo
di maggiore rilievo. In The Price of Peace, Beveridge spiegò che la
sovranità nazionale è la causa della guerra, e la rinuncia ad essa in una
federazione mondiale il metodo per abolirla. Benché egli riconoscesse che
questo obiettivo era lontano e che nel frattempo solo una confederazione
sarebbe stata realizzabile, questo libro mi fece avvicinare al federalismo come
risposta alla terribile esperienza della guerra. Dopo Hiroshima e Nagasaki, la
federazione mondiale sembrava una necessità urgente a milioni di persone, di
cui circa mezzo milione comprò Anatomy of Peace di Reves. Nacquero
movimenti per la federazione mondiale, soprattutto nei paesi anglosassoni e in
Giappone, leader politici come l’ex-primo ministro Attlee ne diventarono
sostenitori, e si sviluppò una letteratura mondialista. Ma il clima della
Guerra fredda scoraggiò la maggior parte di coloro che caldeggiavano
quell’obiettivo e il pensiero federalistico quasi lo abbandonò. A. fu
un’eccezione. Egli era più coerente, più tenace, più risoluto di altri nel
confrontarsi con i fatti del potere e con le sue conseguenze. Per lui, “il
rischio della distruzione del genere umano” legato alla bomba atomica era “assolutamente
inaccettabile”. Ma egli riconobbe, come Beveridge, che le condizioni per creare
la Federazione mondiale non erano presenti e che la lotta per un’Assemblea
costituente, fondamentale per la sua dottrina per quanto riguarda la
Federazione europea, non era ancora praticabile. La sua strategia per il
federalismo mondiale era dunque simile a quella dei federalisti anglosassoni:
“il rafforzamento dell’ONU”, insieme ad altri “obiettivi intermedi” nel
“processo di superamento degli Stati nazionali esclusivi”, processo che aveva
“già raggiunto uno stadio molto avanzato” nella Comunità europea. Tipica del
suo pensiero federalistico era l’enfasi sui militanti federalisti, sulla
necessità “di costruire… un’avanguardia politica mondiale” per la creazione di
una Federazione mondiale. Come creare la Federazione. Albertini e la
scuola inglese erano generalmente d’accordo sulla forma e sul perché della
Federazione. Ma le loro idee erano diverse sul come crearla. Gli inglesi
cercavano di influenzare il loro governo, negli anni Trenta e Quaranta, perché
adottasse una politica federalista per dare l’avvio ad una federazione, e in
seguito per costruire elementi pre-federali nelle istituzioni e nelle
competenze della Comunità. I principi fondamentali di Albertini erano invece
l’Assemblea costituente e il fatto che i federalisti dovevano rimanere estranei
alla lotta per il potere nazionale. Spinelli ha scritto che egli aveva
“lavorato sull’ipotesi che i principali ministri moderati si sarebbero accinti
alla costruzione federale”: un metodo assai simile a quello dei federalisti
inglesi. Poi, dopo il fallimento del progetto per una Comunità politica
europea, egli avviò il Congresso del popolo europeo e lanciò la campagna per
dar vita a un’Assemblea costituente attraverso “una protesta popolare
crescente… diretta contro la legittimità stessa degli Stati nazionali”. Quando
diventò evidente a Spinelli che la campagna non aveva il successo da lui
sperato, concepì la proposta che i federalisti acquisissero il potere in un
numero crescente di municipi importanti, come base per una successiva campagna.
Albertini non poteva accettare questa idea, che contraddiceva tutti i
fondamentali principi federalisti, e il Movimento federalista europeo fu
d’accordo con lui. Spinelli, infastidito, scrisse nel suo diario che per A.,
“tentare di preparare l’evento (della lotta finale) era sporco opportunismo,
occorreva preparare sé stessi all’evento”. Spinelli era un politico geniale,
capace di concepire e condurre campagne d’azione culminate nello straordinario
successo della sua ultima battaglia, quella per il Progetto di Trattato per
l’Unione europea al Parlamento europeo. Ma egli non restava all’interno di
regole stabilite, e la sua tendenza ad iniziare successivi “nuovi corsi” e a
impostare nuove strategie presentava troppe difficoltà per un Movimento come il
MFE. Albertini era assolutamente convinto che bisogna rispettare certi principi
fondamentali, che egli seguiva con una coerenza e una tenacia eccezionali.
Queste caratteristiche furono cruciali per la sua posizione nella storia del
pensiero federalistico, mettendolo in grado non solo di sviluppare la propria
opera intellettuale, ma anche di fondare la scuola italiana del federalismo
hamiltoniano. Una differenza fra A. e gli inglesi era legata alla sua
concezione del pensiero storico, basata sul metodo weberiano secondo il quale,
nelle sue parole, “non ci sono conoscenze storiche senza quadri teorici di
riferimento specifico per ordinare i fatti e completarne il significato (‘tipi
ideali’)”, anche se “l’elaborazione teorica deve esser condotta solo sino al
punto nel quale essa rende possibile la conoscenza storica e non oltre, perché
al di là di questo punto essa si convertirebbe nella pretesa di sostituire la
conoscenza storica… con la conoscenza teorica”. Alla tradizione empirica
inglese non manca la capacità di sviluppare teorie. L’evoluzione darwiniana e
il liberalismo sono testimonianze di questo. Ma mi pare che nella tradizione
weberiana lo sviluppo della teoria precede il suo adattamento ai fatti, e forse
questo approccio fu una causa delle differenze fra A. e gli
inglesi. Benché gli inglesi abbiano sviluppato la loro democrazia
attraverso un processo riformista, senza un’Assemblea costituente, l’idea di
una tale Assemblea era ritenuta accettabile da molti. Mackay, un importante
federalista membro del Parlamento inglese, ottenne il sostegno di un terzo dei
membri del Parlamento per una risoluzione che chiedeva un’Assemblea costituente
europea. Ma mentre per gli inglesi un processo riformista, a iniziare dalla
CECA, sarebbe stato utile, il punto di partenza per A. era soltanto “il
conferimento del potere costituente al popolo europeo… o tutto o niente”;
bisognava rifiutare “pseudostazioni intermedie… sino a che non si riusciva ad
ottenere tutto il potere (ossia quello costituente)”; la soluzione della
Comunità “ispirata dal cosiddetto ‘funzionalismo’ (la geniale idea di fare
l’Europa a pezzettini…) era sbagliata” e le Comunità economiche erano “parole
vuote”. Ma da buon weberiano egli era disposto ad adattare la teoria ai fatti,
e scrisse che la CECA aveva stabilito una unità di fatto… così solida da poter
sorreggere l’inizio di un processo vero e proprio di integrazione economica”,
la quale “fu un fatto capitale per la vita dell’Europa”. E un anno dopo scrisse
che “l’integrazione europea è il processo di superamento della contraddizione
tra la dimensione dei problemi e quella degli Stati nazionali”, cioè “i fatti
dell’integrazione europea” minano i poteri nazionali esclusivi, “creando nel contempo,
con l’unità di fatto, un potere europeo di fatto”, che i federalisti possono
sfruttare politicamente. Nello stesso saggio egli individuò il trasferimento
del controllo dell’esercito, della moneta e di parte delle entrate dai governi
nazionali a un governo europeo come elementi cruciali del trasferimento della
sovranità; e considerando la prospettiva delle elezioni dirette del Parlamento
europeo, egli scrisse che una tale situazione “può essere considerata
pre-costituzionale perché dove si manifesta l’intervento diretto dei partiti e
dei cittadini si manifesta anche la tendenza alla formazione di un assetto
costituzionale”. E’ interessante, perfino commovente, osservare come, mentre
gli inglesi, nella loro situazione diversa, trascuravano l’idea della Costituente,
A. stava modificando la sua teoria alla luce dei fatti, cioè del successo
crescente della Comunità europea. Questo lo ha condotto verso un contributo
molto importante al pensiero federalistico: una sintesi dell’approccio di
Spinelli e di quello di Monnet. Verso una sintesi di spinellismo e
monnetismo. Le sue idee sulla moneta forniscono un altro esempio dello
sviluppo del suo pensiero. Egli scrisse che “non c’è mercato comune senza
moneta comune, e moneta comune senza governo comune, dunque il punto di partenza
è il governo comune. Ma quattro anni più tardi egli affermò che l’Unione
monetaria avrebbe potuto “spingere le forze politiche su un piano inclinato”
perché, impegnando qualcuno per qualcosa che implica il potere politico, può
accadere che finisca “per trovarsi, suo malgrado, nella necessità di crearlo”.
Sul terreno monetario, sarebbero stati possibili “dei passi avanti di natura
istituzionale, tangibile, europea, ad esempio nella direzione indicata da
Triffin”, cioè un sistema europeo di riserve, che sarebbe stato scambiato dalla
classe politica “per una tappa sulla via della creazione di una moneta
europea”; e si poteva prevedere, dunque, “un punto scivoloso verso una
situazione che si potrebbe chiamare di ‘Costituente strisciante’. A. stava
“preparando l’evento”, anche se non nel modo approvato da Spinelli, il cui
progetto era allora diverso e che scrisse nel suo diario che A. aveva ridotto
il MFE in “sciocchi seguaci di Werner”, nel cui Rapporto erano indicate le
tappe verso l’Unione economico-monetaria. Ma la riconciliazione fra i due non
era lontana, grazie alle imminenti elezioni dirette del Parlamento europeo e al
grande Progetto di Trattato per l’Unione europea elaborato da Spinelli. A.,
nella sua analisi dell’Unione monetaria, aveva individuato le elezioni dirette
come punto decisivo “perché riguarda la fonte stessa della formazione della
volontà pubblica democratica”. Le elezioni del Parlamento europeo sarebbero
state una delle chiavi, dunque, insieme alla moneta e all’esercito, per il
trasferimento della sovranità. Il Consiglio europeo decise le elezioni e
Spinelli si imbarcò nel suo quinto e ultimo nuovo corso. A. osservò che era
“iniziata la fase politica – per definizione costituente – del processo di
integrazione europea”, e concluse che la Comunità sarebbe stata la base della
Federazione europea, attraverso “singoli atti costituenti che rafforzano il
grado costituente del processo rendendo possibili ulteriori atti costituenti e
così via”, e che “solo con una prima forma di Stato europeo (da istituire con
un atto costituente ad hoc) si può avviare il processo di formazione dello
Stato europeo per così dire definitivo”: cioè bisogna accettare “il paradosso
di ‘fare uno Stato per fare lo Stato’”. Egli rese esplicito il ruolo della
Comunità in questo processo, nella “costruzione graduale, e via via pari al
grado di unione raggiunto, di un apparato politico e amministrativo europeo”:
un processo che “si può in teoria considerare finito solo quando lo Stato
iniziale europeo (con sovranità monetaria, ma non in materia di difesa), si sia
trasformato nello Stato europeo definitivo, con tutte le competenze necessarie
per l’azione di un governo federale normale. Il cammino weberiano di A.
conduceva, dunque, verso una sintesi feconda fra lo spinellismo e il monnetismo
attraverso “l’idea di sfruttare le possibilità del funzionalismo per giungere
al costituzionalismo”, perché “l’unificazione europea è un processo di
integrazione… strettamente collegato con un processo di costruzione degli
elementi istituzionali a volta a volta indispensabili…” Egli era pronto per
spiegare in termini teorici l’ultima opera di Spinelli, cioè il Progetto di
Trattato per l’Unione europea del Parlamento europeo. Dal progetto di
Trattato alla Convenzione di Laeken. A. riteneva che il progetto fosse
realistico, perché proponeva “il minimo istituzionale indispensabile per
fondare le decisioni europee sul consenso dei cittadini”. Il “pregio maggiore
del progetto” stava nel fatto che “affidava al Parlamento a) il potere legislativo”,
detto oggi codecisione, in modo che “l’attuale Consiglio dei Ministri… per
questo rispetto, funzionerebbe come un Senato federale”, e “b) il potere che
risulta dal controllo parlamentare della Commissione, che comincerebbe ad
assumere la forma di un governo europeo”. Il progetto era “ragionevole”, perché
“solo quando l’Unione avrà dimostrato di saper funzionare bene, sarà possibile
disporre della grande maggioranza necessaria per attribuire all’Unione la
sovranità anche in materia di politica estera e di difesa. Esso conteneva,
dunque, l’idea accennata prima di “fare uno Stato per fare lo Stato”. Il
genio politico di Spinelli, manifestato nel progetto di Trattato, non solo ha
favorito la riconciliazione fra lui e A., ma ha anche portato a un esito
concreto un elemento molto importante del pensiero federalistico di Albertini,
cioè la relazione fra l’azione politica e la filosofia di Monnet e di Spinelli.
E’ tragico che Spinelli sia morto credendo che il progetto fosse fallito perché
l’Atto unico era un “topolino morto”. A. è invece sopravvissuto finché si sono
manifestate conseguenze veramente significative. In un documento pubblicato
sull’Unità europea, egli ha potuto affermare che, “salvo catastrofi”, il potere
di fare la politica monetaria sarebbe stato trasferito al livello europeo, e
che dunque bisognava adeguare il meccanismo decisionale, “facendo funzionare la
Comunità come una federazione nella sfera dove un potere europeo, in
prospettiva, c’è già (quello economico-monetario con le sue implicazioni
internazionali); e come una confederazione nella sfera nella quale un potere di
questo genere non c’è e non ci sarà per un tempo indefinito (difesa)”. Il
“Trattato-costituzione” del Parlamento – prosegue il documento – porterà ad una
“evoluzione naturale delle istituzioni (il Consiglio europeo come presidente
collegiale della Comunità o Unione, il Consiglio dei Ministri come Camera degli
Stati, la Commissione come governo responsabile di fronte al Parlamento
europeo, il Parlamento europeo come istanza di controllo democratico
dell’attività dell’Unione e come detentore, insieme al Consiglio, del potere
legislativo)”. Si può registrare un progresso significativo di questa
“evoluzione naturale” negli anni Novanta. Il voto a maggioranza qualificata è
già applicabile nel Consiglio all’80% degli atti legislativi; il Parlamento ha
un diritto di codecisione per più della metà degli atti legislativi e per il
bilancio; la responsabilità della Commissione di fronte al Parlamento è stata
clamorosamente dimostrata. La Comunità non funziona ancora “come una
federazione nella sfera dove un potere europeo c’è già”, cioè in quella
economica e monetaria; ma la Convenzione di Laeken apre la porta al compimento
del processo. La questione non è più se ci sarà un documento chiamato
costituzione. Questo ora appare accettabile, oltre che per gli altri governi,
anche per quello britannico. La questione cruciale è se le istituzioni saranno
veramente federali, completando l’evoluzione prevista da A., compresa la
codecisione e il voto a maggioranza per tutte le decisioni legislative, insieme
alla piena responsabilità della Commissione come governo di fronte al
Parlamento. La lotta federalista non è divenuta meno ardua, perché i
sostenitori della dottrina intergovernativa includono, a quanto pare, non solo
i governi britannico, danese e svedese, ma anche quello francese, e persino
quello italiano. Bisogna persuadere i cittadini, le classi politiche, e infine
i governi, che una costituzione basata sul principio della cooperazione
intergovernativa sarebbe sia inefficace che antidemocratica. Grazie all’opera
di Spinelli e di A., e ai contributi di tanti altri, il MFE è senz’altro pronto
a far fronte a questa sfida, in particolare per quanto riguarda i cittadini, la
classe politica e soprattutto il governo italiano. Spero di avere dato
qualche indicazione del ricco, ampio, profondo e colto contributo di A. al
pensiero federalista della sua epoca. Forse è stata la scelta soggettiva
di un federalista britannico l’aver sottolineato l’importanza particolare, per
la storia di questo pensiero, della sintesi fatta da A. degli approcci dei due
geniali federalisti della seconda metà del Novecento: Monnet e Spinelli.
Oltre che con le sue opere, egli ha dato un contributo al pensiero federalista
come fondatore della scuola moderna italiana. Al tempo stesso, dopo che Spinelli
ha fondato, ispirato e guidato il MFE con un carisma eccezionale, A. ha creato
e sostenuto il Movimento che è stato capace di organizzare la grande
manifestazione di Milano, con la partecipazione di circa mezzo milione di
persone, nel giugno del 1984, per chiedere al Consiglio europeo di sostenere il
Progetto di Trattato di Spinelli; e, cinque anni dopo, di ottenere il consenso
dell’88% dei votanti nel referendum italiano su un mandato costituente per il
Parlamento europeo. Come e perché un solo uomo ha fatto tutte queste cose
diverse? Forse l’impressione di un osservatore esterno potrebbe
interessarvi. A. nei suoi scritti ha messo in evidenza sia la ragione,
sia la volontà. Egli era orientato da entrambe e operava sulla base di
entrambe, con enfasi sulla ragione per la sua opera intellettuale, e sulla
volontà come Presidente del Movimento; e metteva entrambe al servizio della sua
fede profonda nel federalismo come priorità essenziale per il benessere e per
la sopravvivenza stessa del genere umano. Egli espresse questo atteggiamento in
un modo non molto conosciuto fuori del MFE, sottolineando che servono “delle
persone che fanno della contraddizione tra i fatti e i valori una questione
personale”, in un contesto nel quale “il distacco tra ciò che è, e ciò che deve
essere, è enorme” A. dedicò la sua filosofia all’impegno per risolvere
questa contraddizione e aveva la capacità di persuadere altri a fare lo stesso.
Egli era un oratore ispirato e, benché i suoi scritti fossero talvolta
complicati, era anche capace di formulare concetti in modo semplice e appassionato,
come quando ha scritto che “la federazione… ha realizzato istituzioni molto
sagge, capaci di trasmettere a molte generazioni una forte esperienza di
diversità nell’unità, di libertà, di pace”; che “soltanto la politica e solo
nel massimo della sua espressione, può risolvere i problemi delle relazioni
internazionali”; e inoltre che serve l’avanguardia mondiale “per il grande
compito mondiale della costruzione della pace”. La sua capacità di
ispirare gli altri era basata sulla sua fede nel valore di ciascuno, nella
fiducia che ogni persona avesse sia la capacità che la responsabilità di dare
il proprio contributo. Le sue idee sugli apporti di diverse persone e
organizzazioni sono state una parte del suo contributo al pensiero federalista.
C’era posto per quelli che accettavano passivamente il federalismo e per i
leader occasionali. Ma la sua predilezione era per il nucleo duro dei militanti,
la cui opera in particolare era basata sulla percezione della contraddizione
tra fatti e valori. Egli trasmise un messaggio speciale agli intellettuali, ai
quali ricordò la necessità dell’ “uscita nel campo aperto degli uomini di
cultura per completare la politica come arte del possibile – la politica in
senso stretto – con la politica in senso largo, cioè l’arte di far diventare
possibile ciò che non lo è ancora. Per questi – per voi – l’enfasi era sulla
volontà come sulla ragione. Spinelli scrive nel suo diario: “Ho lanciato
ad A. l’idea di costituire un ‘ordine federalista europeo’. Che sia questa una
buona idea?. Spinelli era un grande innovatore, con notevole capacità di
intuizione. Albertini aveva le caratteristiche per realizzare quell’idea:
sincerità, integrità, coraggio, coerenza, devozione. Mi pare che egli abbia
davvero creato una specie di ordine federalista. La sua opera era un
processo continuo di costruzione; e ora voi, i suoi colleghi e amici, avete la
responsabilità di proseguirla senza di lui, considerandolo non come un
monumento di erudizione e di impegno eccezionale ma come una tradizione vivente
che voi dovete continuare a sviluppare. Quanto a me, benché non sia
d’accordo con tutte le sue idee, ho un tale apprezzamento per la sua opera e
una tale convinzione della sua importanza che sto lavorando, con l’aiuto
dell’Istituto Spinelli, su un’antologia in lingua inglese dei suoi saggi,
perché queste idee siano meglio conosciute dal pubblico dei lettori che
leggono, non l’italiano, ma la lingua che Albertini designò, nel primo numero
del Federalistapubblicato anche in inglese, come la lingua universale
necessaria nella sfera politica. Spero che questa antologia non solo sarà utile
per i federalisti non italiani, ma favorirà anche un giusto riconoscimento del
contributo di Albertini nella storia del pensiero federalista. E’ con grande
piacere, in conclusione, che esprimo la mia ammirazione e gratitudine per la
vita di A., e per la sua devozione esemplare alla nostra causa suprema del
federalismo. Nelle parole
incomparabili di Shakespeare: “He was a man, take him for all in all, we shall
not look upon his like again. Si
tratta dell’intervento al convegno di studi organizzato dalle Università di
Milano e di Pavia e dal Movimento federalista europeo sulla figura di studioso
e di militante di A.. A., L’unificazione europea e il potere costituente,
in Nazionalismo e Federalismo, Bologna, Il Mulino (Molti degli scritti di
Albertini sono stati ripubblicati, con l’indicazione delle rispettive fonti, in
due antologie: Nazionalismo e Federalismo e Una rivoluzione pacifica. Dalle
nazioni all’Europa, da cui sono state tratte le citazioni. Si è posta tra
parentesi, dopo il titolo, la data del saggio originale per aiutare i lettori a
valutare il contesto e tracciare cronologicamente lo sviluppo del suo
pensiero). A., Il Risorgimento e l’unità europea, in Lo Stato nazionale,
Bologna, Il Mulino, A., La Federazione e Le radici storiche e culturali del
federalismo europeo, in Nazionalismo e Federalismo; A., La Federazione; A.,
Moneta europea e unione politica; Una rivoluzione pacifica. Dalle Nazioni
all’Europa, Bologna, Il Mulino, Mario A., Lo Stato nazionale, Bologna, Il
Mulino. [A., La nazione, il feticcio ideologico del nostro tempo in Id.,
Nazionalismo e Federalismo, cAlbertini, Le radici storiche, L’integrazione
europea, elementi per un inquadramento storico, in Id., Nazionalismo e
Federalismo; Qu’est-ce que le fédéralisme? Recueil des textes choisis et
annotés, Parigi, Société Européenne d’Etudes et d’Informations; A., Per un uso
controllato della terminologia nazionale e supernazionale, in Id., Nazionalismo
e Federalismo, Mario A., La strategia della lotta per l’Europa, in Id., Una
rivoluzione pacifica; A., Il problema monetario e il problema politico europeo,
in Id., Una rivoluzione pacifica; Wheare, Federal Government, Londra, Oxford,
in italiano inWheare, Del governo federale, Bologna, Il Mulino, A.,
L’unificazione europea e il potere costituente, in Id., Nazionalismo e
Federalismo, Lionel Robbins, Economic
Planning and International Order, Londra, Macmillan, The Economic Causes of
War, Londra, Cape; alcuni capitoli di ambedue in italiano in Lionel Robbins, Il
federalismo e l’ordine economico internazionale, Bologna, Il Mulino; Cfr. A.,
L’unificazione europea. Cfr. anche John
Pinder, Spinelli and the British Federalists: Writings by Beveridge, Robbins
and Spinelli, Londra, Federal Trust, Mario Albertini, Qu’est-ce que le
fédéralisme? Cultura della pace e cultura della
guerra, in Id., Nazionalismo e Federalismo, A., Le radici storiche; Lord
Lothian, Pacifism is not Enough, in Pinder e Bosco, Pacifism is not Enough:
Collected Lectures and Speeches of Lothian (Kerr), Londra, Lothian Foundation
Press, In italiano: Lord Lothian, Il pacifismo non basta, Bologna, Mulino; A.,
La pace come obiettivo supremo della lotta politica, in Id. Nazionalismo e
Federalismo; A., L’unificazione europea, Albertini, Cultura della pace e
cultura della guerra, Albertini, Le radici storiche, A., La strategia, William
Beveridge, The Price of Peace, Londra, Pilot. Emery Reves, The Anatomy of Peace, New York, Harper,
Anatomia della pace, Bologna, Il Mulino. A.,
La pace come obiettivo supremo. Mario Albertini, Verso un governo mondiale, in
Id., Nazionalismo e Federalismo, Mario Albertini, Verso un governo mondiale, Spinelli,
Come ho tentato di diventare saggio. La goccia e la roccia, a cura di Edmondo
Paolini, Bologna, Il Mulino, Spinelli, Diario europeo, Paolini, Bologna, Il
Mulino, Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere costituente, Cfr.
Pinder, “Manifesta la verità ai potenti”: i federalisti britannici e
l’establishment, in AA.VV., I movimenti per l’unità europea 1945-1954, a cura
di Sergio Pistone, Milano, Jaca, Mario Albertini, Quattro banalità e una
conclusione sul Vertice europeo in Id., Nazionalismo e federalismo, Mario
Albertini, L’integrazione europea, Mario Albertini, La strategia Mario
Albertini, Il Parlamento europeo. Profilo storico, giuridico e politico (1971),
in Id., Una rivoluzione pacifica, A., L’aspetto di potere della programmazione
europea, Id., in Nazionalismo e Federalismo, A., Il problema monetario,
Spinelli, Diario europeo, Mario Albertini, Il problema monetario; Spinelli, La
goccia e la roccia, op. cit., p. 18. [43] Mario Albertini, Elezione
europea, governo europeo e Stato europeo (1976), in Id., Una rivoluzione
pacifica, Mario Albertini, L’Europa sulla soglia dell’unione, in Id.,
Nazionalismo e Federalismo, Moneta europea e unione politica. Un documento del
Presidente Albertini in vista del Consiglio europeo di dicembre, in L’Unità
europea, Per esempio in Mario Albertini, Verso un governo mondiale, Albertini,
La strategia. Le radici storiche Mario Albertini, La federazione, L’integrazione
europea, Verso un governo mondiale, Mario Albertini, La strategia, Albertini,
Il Parlamento europeo, Spinelli, Diario europeo, Mario Albertini, un governo
mondiale. Non ho menzionato finora nessuno fra i federalisti italiani viventi,
perché non sarebbe giusto individuare alcuni fra i tanti che hanno fatto cose
importanti per il federalismo contemporaneo. Ma in questo contesto sarebbe del
tutto ingiusto non menzionare il mio debito nei confronti di un federalista
della nuova generazione che ha avanzato la proposta dell’antologia, per cui ha
fatto una selezione di saggi (materiale eccellente anche per la preparazione di
questo mio articolo), cioè Roberto Castaldi, che ha preso questa iniziativa
quando studiava per la sua tesi di master sull’opera di Albertini
all’Università di Reading. Grice: “At Oxford, we never analysed the concept of the ‘state’ – but
Romolo did: he thought that HE was the state, and his brother was not!: -Nome
compiuto: Mario Albertini. Albertini. Keywords: la
confederazione di Romolo, federale, italia federale, politica federalista,
filosofia federalista, stato italiano, gli stati uniti d’America sono una
repubblica federale. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
“Grice ed Albertini,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Albino: l’implicatura
conversazionale della “Dialettica” – citata da Boezio. Luigi Speranza (console). Filosofo italiano. Console del regno degl’ostro-goti.
Contitolare: Flavio Eusebio/ Capo di Stato: Teodorico il Grande; Prefetto del
pretorio d'Italia del Regno Ostrogoto. Capo di Stato Teodorico il Grande. Professione:
FILOSOFO. Fausto A. iunior è un filosofo romano. Il nome “Fausto” è ma non
certo. L’appellativo «iunior» è attestato in un'iscrizione. Appartene alla gens
“Caecina” ed è fratello di Flavio AVIENO iunior, console, di Teodoro, console e
di Flavio Importuno, console. Loro padre è Cecina Decio Massimo Basilio,
console, ed è imparentato con Anicio Probo Fausto, console. Console in
Occidente assieme a Flavio Eusebio in Oriente. Prefetto del pretorio d'Italiaa,
costruì una basilica intitolata a Pietro al 27º miglio da Roma della via
Tiburtina, dove ha delle proprietà, e ottenne che Simmaco la dedica. Onorato
del titolo di “patricius”. Si trova a corte a Ravenna; quando il padre muore,
assieme al fratello si incarica del patronato dei Verdi, una delle fazioni
dell'ippodromo di Roma e scelge un danzatore come pantomimo dei Verdi. Entra
anche nella disputa per la ricomposizione dello scisma tra Roma e
Costantinopoli. Vicino alle posizioni d’Ormisda, cerca di far emergere una
distinzione tra coloro che avevano condannato la dottrina calcedonica tramite
scritti e quelli che l'avevano fatto solo oralmente. Gli venne mossa
l'accusa di aver intrattenuto rapporti configuranti il tradimento nei confronti
di Teodorico con la corte dell'impero romano d'Oriente, avendo inviato delle
lettere all'imperatore Giustino. In difesa d’A. intervenne BOEZIO, il quale,
però, venne a sua volta accusato di tradimento e poi messo a morte. Il destino
di A. non è noto. Ha degli scambi epistolari con Ennodio. Se uno dei
sedili del colosseo riservati ai senatori di cui è rimasta l'incisione è il
suo, si chiama A. CIL; Cassiodoro, Variae; Cassiodoro, Variae; PLRE II,
Cambridge. Lamma, A., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Predecessore Console romano Successore Imperatore
Cesare Flavio Anastasio Augusto, Flavio Rufo; Flavio Turcio Rufio Aproniano
Asterio Iunior, Flavio Presidio con Flavio Eusebio Antica Roma; Biografie
Categorie: Politici romani; Consoli romani Decii Patricii. Grice: “If you ever wondered
if Albino ever read Boezio’s commentary on the commentary of the commentary of
De Interpretatione, so did I!” Keywords:
dialettica. Cecina Decio Acinazio Albino. Albino. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albino,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice ed Albino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to an inscription found
in Rome, A. holds high public office, and is also a philosopher – “which should
surprse some” (Grice). Strawson: “More than my obituary of Grice for the Times
as ‘professional philosopher and amateur cricketer” surprised its readershiip!”
– Nome compiuito: Cionio Rufo Albino. Albino. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice ed Albino,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza –
GRICE ITALO: Grice ed Alboini –
(Mantova). Abstract. Keywords:
logica. Cited by Read. Imposition is
meaning. Position, thesei. Nicoletti.
Nasce da Giovanni, con ogni probabilità a Mantova. È noto che il padre è
titolare d’un beneficio ecclesiastico nella cattedrale della città natale, ma
sulla sua famiglia le notizie sono scarse, tanto che si ritiene preferibile
privilegiare le denominazioni Pietro da Mantova o Petrus Mantuanus con le quali
è prevalentemente indicato nelle fonti e pure nella letteratura critica. Studia
quasi sicuramente a Padova: nella documentazione universitaria è con certezza
attestato. Gloria. Qui poté studiare le opere logiche dei docenti di Oxford e
soprattutto quelle della tradizione parigina. Padova si distingue allora per
tali studi; vi insegnavano PELACANI (vedasi), Angelo da Fossombrone, Jacopo da
Forlì, Bartolomeo da Mantova, tutti conoscitori della filosofia e logica sia
parigina che oxoniense. A questi anni patavini risale la stesura di una delle
sue opere principali, la Logica. Il testo non si distingue né per la
proposizione di idee nuove né per il suo distaccarsi dal formalismo del
nominalismo, ma si caratterizza piuttosto pell’autonomia di interpretazione e
di discussione che l’autore dimostra gettando luce, fra l’altro, sui rapporti
fra logica e studia humanitatis, tanto da essere raffinata architettura
terministica. Vasoli. Ben presto, tuttavia, si trasferì a BOLOGNA, dove si
coltiva in particolare lo studio della logica inglese: qui è documentato come
lettore di filosofia naturale –Dallari --, avendo come colleghi Francesco da
Camerino e Giacomo di Armi. A quell’anno risale una sua lettera diretta a
Tomasi di Padova in cui si evidenziano i suoi legami ancora forti con
l’ambiente padovano e i legami con un Petrus Paulus nel quale s’è voluto
identificare Pietro Paolo Vergerio. A Bologna, dove svolge la sua attività di
docente, insegna anche filosofia morale. Tale insegnamento gli valge una certa
notorietà, tanto che proprio di tale sua attività SALUTATI (vedasi) si
congratula in una lettera, paragonandola a quella dei più illustri filosofi
inglesi contemporanei, ed esaltandone l’erudizione e le ricerche. ALT. A
tematiche di filosofia naturale è dedicata l’altra sua simportante opera,
attribuibile forse proprio al periodo bolognese: il Tractatus de primo et
ultimo instanti, secondo Vasoli un esempio importante del tentativo di
utilizzare nell’ambito dei problemi fisici i procedimenti dei calculatore. In
essa si affronta la possibilità di dare dei limiti temporali agli oggetti.
Nella sua analisi l’autore, pur muovendosi sul piano della fisica escludendo
ogni considerazione sia logica che teologica, parte da termini astratti della
logica per tornare alle cose concrete della natura. Sono affrontati
rispettivamente l’iniziare a essere e il cessare di essere. Quanto al suo
insegnamento di filosofia morale, se ne è spesso discusso. Certo è che Pietro
si occupa di Seneca, le cui epistolae sono tra le fonti principali dei seguaci
della filosofia del portico e in special modo per coloro che si interessano di
etica e di filosofia morale. Lo testimonia l’importante e unico frammento
pervenuto di una sua esposizione della lettera a Lucilio -- l’expositio primae
epistolae Senecae ad Lucillum, nel cod. Vat. Lat. -- che dove costituire
l’incipit del corso di filosofia morale. Si tratta della lettera in cui Seneca
tratta del buono e cattivo uso del tempo nella vita degli uomini, tema che al
filosofo mantovano interessa in modo particolare. Lo scritto denota una grande
sensibilità e accuratezza filologica da parte dell’autore, che analizza in modo
minuto ogni passo del testo. Nonostante M. -- che è anche un profondo conoscitore
della fisica del LIZIO, come evidenziano i numerosi lavori di Vasoli e
l’indagini di Sgarbi cui si rimanda -- sia stato attivo per un periodo di tempo
piuttosto breve – un solo decennio – la sua filosofia godette di larga
notorietà ed è accolta con favore negli ambienti scolastici italiani. La sua
Logica ha larga diffusione e continua ad essere letta e discussa tanto a Padova
quanto a Bologna e Pavia sino alla sua prima pubblicazione a stampa, avvenuta a
Padova: il testo non è stato, dunque, dimenticato nemmeno a decenni di distanza
dalla morte del suo autore e anzi le sue opere continuano a essere impiegate in
ambito scolastico. Anche il Tractatus de primo et ultimo instanti è considerato
dalla critica non un manuale compilativo, ma il frutto di riflessioni
originali. Non per nulla a M. fanno esplicito riferimento Gaetano da Thiene,
Simone da Lendinara, Achillini. Secondo Pomponazzi il filosofo mantovano fu
acutissimo, e l’unico fra i calculatores a meritare d’essere ricordato e
studiato. La sua ‘fortuna’ si sarebbe protratta almeno sino a quando la logica
dei calculatores declina colla lettura delle opere in greco di Aristotele e dei
commentatori. La morte di M. va
collocata fra quando appare menzionato per l’ultima volta nel registro delle
lezioni, e l’anno cui risale una lettera di Arcangelo della Pergola a Turchi,
dalla quale si ricava per l’appunto che la sua morte sarebbe avvenuta l’anno
precedente. Fonti e Bibl.: Gloria,
Monumenti della Università di Padova, Padova; Dallari, I rotuli dei lettori legisti
e artisti dello Studio bolognese. Aggiunte e indice, Bologna; Cessi, Tomasi
erudito , in Athenaeum; Epistolario di Salutati, a cura di Novati, Roma;
NICOLETTI (vedasi) Veneto, Logica Magna, a cura di Adams, Oxford. Dictionnaire
des Sciences Philosophiques, a cura di Franck, Paris; Dionisotti, Barbaro e la
fortuna di Suiseth, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Nardi,
Firenze; Wilson, Heytesbury, Medieval Logic and the Rise of Mathematical
Physics, Madison; Faccioli, Mantova. Le lettere, La cultura nel Medioevo,
Mantova; Garin, La cultura fiorentina e i barbari britanni, in La rassegna
della letteratura italiana; Vasoli, A. da Mantova. «Scolastico» e un’epistola
di Coluccio Salutati, in Rinascimento (anche in Arte, pensiero e cultura a Mantova
nel primo Rinascimento in rapporto con la Toscana e con il Veneto, Firenze, e
in Id. Studi sulla cultura del Rinascimento, Manduria; James, De primo et
ultimo instanti Petri A. Mantuani, Columbia, Berlin-New York; Garin, Medioevo e
Rinascimento, Roma-Bari; T.E. James, Peter A, of Mantua: Philosopher-Humanist,
in Journal of the history of philosophy; Maierù, Il problema del SIGNIFICATO
nella logica di P. da Mantova, in Antiqui und Moderni. Traditionsbewußtsein und
Fortschritts-bewußtsein im späten Mittelalter, a cura di Zimmermann, Berlin-New
York; James, A fragment of an exposition of the First Letter of Seneca to
Lucilius attributed to Peter of Mantua, in Philosophy and humanism. Renaissanxe
essays in honor of Kristeller, a cura di Mahoney, Leiden; Libera, Apollinaire
Offredi critique de Pierre de Mantoue: le Tractatus de Instanti et la logique
du changement, in English logic in Italy in the 14th and 15th Centuries. Acts
of the European Symposium on Medieval logic and semantics, a cura di Maierù,
Napoli; Courtenay, The early stages in the introduction of Oxford logic into
Italy; Bos, Peter of Mantua’s Tract on Appellatio and his interpretation of
immanent forms; Peter of Mantua and his rejection of ampliatio and restrictio,
in The rise of British logic. Acts of the European Symposium on Medieval logic
and semantics, a cura di O. Lewry, Toronto; Id., Peter of Mantua’s treatise De
veritate et falsitate, sive de taliter et qualiter, in Medieval semantics and
metaphysics. Studies dedicated to Rijk, Professor of
ancient and Medieval philosophy at the University of Leiden, a cura di Bos,
Nijmegen; Bertagna, La dottrina delle conseguenze nella logica di P. da
Mantova, in Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale; Vasoli, La
tradizione scolastica e le novità filosofiche umanistiche, in Le filosofie del
Rinascimento, a cura di Pissavino, Milano; Bianchi, Le scienze. La continuità
della scienza scolastica, gli apporti della filologia, i nuovi ideali di
sapere; Occaso, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e
Rinascimento, Mantova; Sgarbi, Pietro A. da Mantova. Logico, fisico e umanista,
in Atti e Memorie della Accademia nazionale virgiliana di scienze lettere e
arti. Truth and Paradox
in Late XIVth Century Logic : Peter of Mantua’s Treatise on Insoluble
Propositions* 1. IntroductIon the purpose of this paper is to
present the views of the late XiVth century italian logician Peter of
Mantua (d. 1399/1400)1 on semantic paradoxes. in the Middle ages, the
topic usually falls within the broader category of the so-called
insolubilia-litera ture, a genre that covers a variety of logical puzzles whose
focus is not necessarily — albeit prominently — on semantic issues. i
shall offer a preliminary assessment of the contents of a treatise that
Peter wrote in the early 1390s as part of his Logica, and analyse it on
the background of some late medieval discussions concerning the
relationship between truth and paradox. the text has never been edited or
studied so far, and its contents are presented here in detail for the
first time . Medieval analyses and solutions to semantic paradoxes, i.e.
such self-referential propositions involving truth and falsehood that,
combined with appropriate contextual conditions, give rise to
contradictions, are often connected to, if not entirely depending upon,
some specific characterisation of those two fundamental semantic notions.
This * � this contribution was
originally conceived as a paper to be presented at the 14th Moody �orkshop this contribution was originally conceived as a paper to
be presented at the 14th Moody �orkshop on Medieval
Philosophy and Logic, held at the University of california at Los angeles in
april 011. i wish to thank calvin normore, christopher Martin and claude
Panaccio for their remarks and criticisms on that occasion. i am also
grateful to christopher Martin and Stephen Read for their comments on an
earlier draft of the paper. all shortcomings are mine. 1A
reconstruction of Peter of Mantua’s profile is found in t. E. JamEs, Peter
Alboini of Mantua : Phi losopher-Humanist, « Journal of the History of
Philosophy », 1 , , 1974, pp.161-170. after quite a lot of invaluable
editorial and interpretive work, owed primarily to the efforts of P. V.
Spade in the 1970s and 1980s (P. V. sPadE, The Medieval Liar : A
Catalogue of the insolubilia-Literature, Pontifical institute of
Mediaeval Studies, toronto 1975 remains, to date, the only comprehensive source
book), there has been for some time a relatively quiet phase in the
studies on insolubilia. in the last few years, however, the topic was the
object of a revival of interest, after a number of articles by S. Read that
culminated with his own edition of Thomas Bradwardine’s treatise, one of
the most relevant medieval texts in the field, see t. BradwardInE,
Insolubilia, ed. s. rEad, Peeters, Leuven 008 (dallas Medieval texts and
translations, 10). i am currently preparing the critical edition of Peter
of Mantua’s text. this is meant to provide new materials for investigation
and inject them into a debate that has a long and well-established history, but
in which considerable work is still to be done in terms of the editing of
texts and the understanding of their contents ; the same being true of
the complex geography of their transmission and mutual influence. «
Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale » XXiii ( 01 )
476 rIccardo stroBIno claim may not universally hold of all
medieval accounts, but it certainly does of a significant number of them,
especially from the second quarter of the XiVth century onwards. in this
respect, some of the problems raised within the debate on insolubles turn out
to be relevant also in connection with the development of medieval
theories of truth3. in Peter’s case, truth plays an important role
(although not the definition of truth to be found elsewhere in his
logical writings, namely in the treatise De taliter et qualiter seu De
veritate et falsitate propositionis) for his own solution to the Liar, and a
reconstruction of his approach — particularly of the criticisms he raises
against his restricted list of opponents — offers a chance to discuss
what is going on in his background. To set the stage, I will first sketch
the development of the insolubilia tradition, focus ing in particular on the
XIVth century (§2). In doing so, I will briefly introduce two lists of
solutions (bradwardine’s and Paul of Venice’s) that are separated by a span of
about seventy years from each other and represent two important
chronological boundaries for the identification of the main theoretical
strands. This will give a general idea of the evolution of the most
mature phase of the medieval interest in the topic. then i will turn to
Peter of Mantua (§3). i shall present an outline of his treatise by describing
the three accounts that he discusses and rejects as well as a sketch of
his own solution (§3.1). the latter will be then analysed and discussed
in detail (§3. ) and put into connection with earlier and later sources
(§3.3). despite its apparent appeal, it will be shown (§3.4) that the
solution cannot count as a general way to get rid of the paradox because of
the so-called revenge problem. Finally, (§4) i shall draw some
conclusions concerning the solution from the standpoint of the contemporary
debate on semantic paradoxes. 2. dEVEloPmEnts of thE
insolubilia-lItEraturE the history of the treatment of semantic paradoxes
in the Middle ages can be divided into three main periods4. The first
phase, starting from the late XIIth century 3a case in point is the
discussion of truth and the Liar paradox found in buridan’s Sophismata
(especially in part of ch. On the Causes of Truth and Falsity of
Propositions, pp. 845-86 , and in ch. 8 On Self-referential Propositions,
pp. 95-997), see J. BurIdan, Summulae de Dialectica. An Annotated Translation
with a Philosophical Introduction by Gyula Klima, Yale University Press,
New Haven 2011. It should be noted that the difficulties raised by the
Liar are connected with buridan’s account of the validity of consequences,
which is spelled out without recourse to the notion of truth, see G.
KlIma, Logic without Truth. Buridan on the Liar, in S. rahman, t.
tulEnhEImo, E. GEnot eds., Unity, Truth and the Liar. The Modern Relevance of
Medieval Solutions to the Liar Paradox, Springer, berlin 008 (Logic,
Epistemology, and the Unity of Science, 8), pp. 86-11 . 4an early
reconstruction is found in an early reconstruction is found in P. V.
sPadE sPadE, Insolubilia, in n. KrEtzmann, a. KEnny, J. PInBorG
eds., The Cambridge History of Later Medieval Philosophy, cambridge University
Press, cambridge 198 , pp. 46- 5 . More recently, see P. V. sPadE, s.
rEad, Insolubles, in E. n. zalta ed., The Stanford Encyclopedia of
Philosophy (Winter 2009 Edition), URL = <http://plato.stanford.edu/archives/win
009/entries/insolubles/>, for up-to-date bibliography and a bird’s eye
view of the tradition. a selection of texts, with an introduction,
covering the entire chronological spectrum is found in l. PozzI, Il Mentitore e
il Medioevo. Il dibattito sui paradossi dell’autoriferimento, Zara, Parma
1987. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons 477 with
independent texts (Insolubilia Monacensia) or with reflections connected
to the early developments of the theory of obligations (Obligationes Parisienses)5,
sees a progressively more mature analysis that reaches a steady
equilibrium by the first quarter of the XiVth century. it is
characterised by a relatively contained number of solutions, which are
formulated in different types of sources : commentaries on ar istotle’s
Sophistici Elenchi or independent treatises, sometimes featuring as
chapters of more comprehensive logical works (burley, ockham). the
second phase roughly coincides with the second quarter of the XiVth
century. during this period, some crucial innovations, breaking up with
the earlier tradition, are introduced in the debate on paradoxes. this
fact is witnessed by the complexity of the logical approaches that can be
traced back to such major figures as Thomas Bradwardine, John buridan,
Roger Swyneshead, and �illiam Heytesbury, among
others6. the third phase — from the second half of the XiVth century on —
is characterised by discussions and elaborations on this set of results,
with some occasional flashes of originality. Peter of Mantua’s text, not
merely in terms of chronology, but also, so to speak, in terms of
methodology, fits perfectly in this very last period7. 5See c. martIn,
Obligations and Liars, in s. rEad ed., Sophisms in Medieval Logic and Grammar,
Klu wer, dordrecht 1993, pp. 357-381 (nijhoff international Philosophy Series,
48), repr. in m. yrIJönsuurI ed., Medieval Formal Logic. Obligations,
Insolubles and Consequences, Kluwer, dordrecht 001, pp. 63-94 (the new
Synthese Historical Library, 49) and c. martIn, The Logic of the nominales, or,
The Rise and Fall of Impossible Positio, « Vivarium », 30, 1, 199 , pp.
110-1 6. cf. also P. V. sPadE, The Origins of the Medieval
insolubilia-Literature, « Franciscan Studies », 33, 1973, pp. 9-309, repr. in
Id., Lies, Language and Logic in the Late Middle Ages, Variorum, London
1988. awareness of the problem and the existence of a debate awareness of
the problem and the existence of a debate are documented also in the
arabic tradition (see a. alwIshah, d. sanson, The Early Arabic Liar : The
Liar Paradox in the Islamic World from the Mid-Ninth to the
Mid-Thirteenth Centuries CE, « Vivarium », 47, 009, pp. 97-1 7) and in
the byzantine tradition (see s. GEroGIorGaKIs GEroGIorGaKIs, The
Byzantine Liar, «« History and Philosophy of Logic », 30, 4, 009, pp.
313-330). both possibly predate the earliest Latin accounts, which can be
traced as far back as the late Xiith century (see, for instance, the
Insolubilia Monacensia, in l. m. dE rIJK, Some Notes on the Mediaeval Tract
de insolubilibus, with the Edition of a Tract Dating from the End of the
Twelfth Century, « Vivarium », 4, 1966, pp. 83-115). 6See (1) See (1)
BradwardInE, Insolubilia cit., (cf. also m.-l. rourE, La problématique des
propositions insolu bles au XIIIe siècle et au début du XIVe, suivie de
l’édition des traités de W. Shyreswood, W. Burleigh et Th. Bradwardine, «
archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge », 37, 1970, pp. 05-3
6) ; ( ) J. BurIdan, Tractatus de Consequentiis, h. huBIEn ed.,
Publications universitaires, Louvain 1976 (Philosophes Médiévaux, 16),
and, for his later view, BurIdan, Summulae cit., pp. 95-997 ; (3) r.
swynEshEad, Insolubilia, in P. V. sPadE, Roger Swyneshed’s insolubilia :
Edition and Comments, « archives d’histoire doctrinale et littéraire du
Moyen Âge », 46, 1979, pp. 177- 0, repr. in Id., Lies cit. ; (4) w. hEytEsBury,
De insolubilibus, in Id., Regule solvendi sophismata, bonetus Locatellus,
Venetiis 1494, ff. 4va-7rb ; cf. also Id., On “Insoluble” Propositions :
Chapter One of His Rules for Solving Sophisms. Translated with an Introduction and Study by P.
V. sPadE, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1979 (Mediaeval
Sources in Translation, 21). 7As regards the last phase, I shall confine
myself to mentioning three sources that are relevant to the purpose of
this paper : (1) J. wyclIf, Logicae continuatio in, Id. Tractatus de logica, m.
h. dzIEwIcKI ed., 3 vols., trübner & co. for the �yclif Society, London 1893-1899, vol. ii, ch. 8, and J. wyclIf, Summa
insolu 478 rIccardo stroBIno in order to understand in a better way
how medievals deal with semantic para doxes, let us briefly consider a
presentation of the Liar paradox which will count for the rest of the
paper as a paradigmatic example. assume that a is the proposition « ‘a’
is not true ». the proposition refers to itself and says of itself that it is
not true. the paradox has two legs8. The first part of the argument
runs as follows : if we assume that (1) a is true, then since ( ) in
order for a to be true, a must signify something that is the case and (3)
a says of itself not to be true, we conclude that (4) a is not true.
(1) T(a) (2) T(a) → ∃p (Sig (a, p) ∧ p) (3) Sig (a,
¬T(a)) (4) ¬T(a) by assuming a to be true, we conclude it not to be
true, therefore by reductio, it turns out that a is not true. the second
part of the argument starts from this very last step. Thus, if (5) A is
not true, then — since (6) whenever A signifies something that is the
case A is true, and (7) A signifies A not to be true — it turns out that
(8) a is true. (5) ¬T(a) (6) ∃p (Sig (a, p) ∧ p) → T(a) (7)
Sig (a, ¬T(a)) (8) T(a) the effect of (1)-(4) and (5)-(8),
taken together, is that a is true if and only if a is not true. the force
of the argument depends on a number of assumptions that are implicitly or
explicitly operating in it. alternative solutions to the paradox put into
question the plausibility of such assumptions. Four elements, in particular,
need to be pointed out, as they play an essential role : (i) the set of
admitted truth values ; (ii) a transmission principle (in the above
reconstruction the conjunction of ( ) and (6) bilium, P. V. sPadE, G. a.
wIlson eds., center for Medieval and Renaissance Studies, binghamton,
n.Y. 1986 (Medieval & Renaissance texts & Studies, vol. 41,) ; (
) PEtEr of mantua, Tractatus de insolubilibus [henceforth : Insolubilia],
in Id., Logica, [Johannes Herbort, Padua 1477], sig. o rb-o4+3rb (London, brit
ish Library ib. 9939) ; (3) Paul of VEnIcE, Tractatus de insolubilibus, in Id.,
Logica Magna, Secunda pars, albertus Vercellensis, Venetiis 1499, ff. 19
rb- 00rb. 8in what follows, T(a) stands for « ‘a’ is true », while the
expression Sig (a, p) stands for « A signifies that p ». Step ( ) below
must then be read as follows : if ‘a’ is true, then there is a p such that ‘A’
signifies that p and p is the case. the same applies, conversely, to (6).
this notation is found, with minor variations, in s. rEad, The
Truth-Schema and the Liar, in rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth and
the Liar cit., pp. 3-18. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons
479 which can be formulated in various ways, as a counterpart of tarski’s
t-scheme in contemporary formulations of the paradox) ; (iii) a notion of
signification, namely an account of what it is for a proposition to say
what it says ; and finally (iv) the syntactic admissibility of
self-reference. the paradox can be addressed, for example, (ad i) by
extending the set of truth values allowing for gaps or gluts, (ad ii) by
revising the transmission principle, (ad iii) by providing a suitable
account of the signification of propositions, (ad iv) by rul ing out self-referential
propositions ; or yet again by combining some of the above. these are
indeed some of the approaches that were adopted in the medieval
tradition. bradwardine’s list of solutions to the paradox gives us an
idea of the options that were readily available around 13 0. a number of
opinions (nine in total) are presented in f ive main groups which
supposedly represent the state of the art at his time. The table offers a
summary of the opinions discussed by bradwardine : b1. F. secundum quid
et simpliciter b . F. figure of speech b3. F. non cause as a
cause b4. time b5. Potency restringentes (i)
[e.g. burley, ock ham] b6. act b7. denial of bivalence
cassantes (ii) [described in Inso lubilia Monacensia]
mediantes (iii) [Swyneshead] b8. F. of equivocation (actus
exercitus vs actus conceptus) distinguentes (iV)
[Scotus] b9. F. secundum quid et simpliciter ‘aristotelian’ approach
(V) [bradwardine] The first set of opinions is that of the
restringentes. this approach, still adopted for instance by burley and
ockham, addresses the issue by putting constraints on the admissibility
of self-referential propositions. Restrictionism solves the paradox by
preventing such propositions that self-refer to be considered well-formed.
depending on how strongly the constraints are to be understood, two
versions of restrictionism are possible : a strong version (all sort of
self-reference is prohibited, including harm less cases in which no paradox is
generated) and a weak version (only self-reference inolving semantic
predicates is prohibited). a second well-known approach is the opinion of
the cassantes, i.e. of those who ut terly reject the paradox as nonsense
(already described in the Insolubilia Monacensia). Little is known about
this solution, but it is certainly among the earliest in the Latin Middle
ages, and, as noted above, it is also found within the early developments
of the theory of obligations (the procedure by means of which a casus, in
the context of an obligational disputation, is rejected because it would
lead to a contradiction is parallel to the notion of cassatio). 480
rIccardo stroBIno a third line is taken by those who deny bivalence (the
so-called mediantes), while yet others endorse a fourth option by drawing
a distinction between the performance of a speech act and its intended
meaning (distinguentes). bradwardine gives his own alternative account as
the last one in the list. it introduces some crucial innovations into the
picture. Such new elements will have a profound influence on the late
XIVth century debate. From roughly the 1320s, a radically dif ferent way to
look at the paradox emerges : it distinctively involves a new analysis of
the truth conditions of a proposition and of its signification. With
Bradwardine, the analysis of the paradox turns out to be based on a new defi
nition of truth, according to which a proposition is true whenever all it
signifies is the case, and a more sophisticated account of the
signification of the Liar proposition. The gist of the strategy can be
summarised in two steps. First, according to bradwardine, the Liar
signifies not only itself not to be true, but also (and provably so) itself to
be true. Second, under the assumption that in order for a proposition to
be true whatever it signifies must be the case, it follows that the Liar
is false, for what it signifies cannot be the case, because nothing is
both true and not true at one and the same time, and the Liar precisely
signifies those two things, i.e. itself not to be true and to be true9.
thus the strategy is that of provding an argument to establish the real truth
value of Liar-like propositions. the solution has been the object of some
recent controversy and it is beyond the purpose of this paper to engage
in a debate concerning its plausibility10. The difficulties, however,
have to do with some of Bradwardine’s assumptions, not with the validity
of the proof itself, once those assumptions are conceded. the key factor
— which is also the real novelty in bradwardine’s approach to the problem — is
the idea that a proposition might signify more than it is ordinarily
assumed to signify. this is a crucial aspect, because variations on such
a theme, namely whether there is more to the ordinary signification of
propositions than meets the eye, and if so, what such an additional
signification should be like and to what propositions such a standard
applies, represent a much disputed subject in late XiVth century
discussions on the Liar. along the same lines (although it is hard to
establish whether because of a direct acquaintance with bradwardine’s
work, or because the solution was in the air by that time), in the second
quarter of the XiVth century other authors started thinking that the
paradox might be solved by expanding the ordinary signification of
propositions 9note that its being false note that its being false
does not in turn entail its being true, because the former is no sufficient con
dition for the latter. the proposition is false, indeed. Moreover, it says of
itself that it is false. but according to bradwardine it also says of
itself that it is true, and these two conditions can never be met together
by one and the same proposition. in other words, bradwardine is not
committed to the revised antecedent of (6) with a universal quantifier,
and therefore, even if he accepts (5) and (7), he is not committed to
(8). 10 See, in particular, t. Parsons, Comments on Stephen Read’s “The
Truth-Schema and the Liar”, in rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity,
Truth and the Liar cit., pp. 1 9-134, and s. rEad, Further Thoughts on
Tarski’s T-Scheme and the Liar, ibid. pp. 04- 5. PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 481 so as to include — unrestrictedly or only in
specific cases — something more to the surface of their meaning. in
particular two approaches are relevant for the background of Peter of
Mantua’s treatise : the first is by Albert of Saxony, which is likely an
elaboration on John Buridan’s early view11, and the second by �illiam Heytesbury. if bradwardine claims that in soluble propositions
signify something more than what they prima facie signify, namely their
own truth, according to albert, such a view should be generalised : any
proposition signifies its own truth, beside what it signifies according
to the ordinary understanding of its propositional content. the idea is
based on a suppositional characterisation of truth, and incorporates
suppositional truth conditions (identity of the supposita of the
subject-term and the predicate-term) within the signification of a proposition.
In contrast with bradwardine’s narrower claim that only Liar propositions
signify their own truth beside signifying their own falsity, albert’s
claim is much more general and, for that matter, yields disastrous
consequences on a pandemic scale, because it fails to provide proper
truth conditions for any proposition in the language1 . Heytesbury has
yet another view on the nature a proposition’s signification. If a
proposition signifies precisely as its terms pretend (i.e. if it signifies
exactly all and only what it explicitly says), then no extra content is
given. but if we do not specify that the proposition signifies precisely
as its terms pretend, then it could signify more. This extra content may
well remain unspecified, but if it is in fact specified, this can obtain
in two ways : either disjunctively, as if we were to say that ‘every
proposition is false’ actually signifies that every proposition is false
or there is a god ; or conjunctively, as if we were to say that ‘Socrates
is saying what is false’ signifies that Socrates is say ing what is false and
you are running13. in the last two cases what happens is that we make the
signification of the initial proposition precise by conjoining it or
disjoining it with the extra signification in a new proposition.
Heytesbury casts the solution to the Liar in an obligational framework
where the respondent should refuse to admit the proposition if it is used
as a positum only under the assumption that it precisely signifies as its
terms pretend or that the extra signification, when made explicit,
fulfills 11 on buridan’s transition from the early view, according to
which every proposition on buridan’s transition from the early view,
according to which every proposition p signifies itself to be true, to
his later claim that every proposition virtually implies another proposition
that says of the former that it is true, see KlIma, Logic without Truth
cit., pp. 89-98. The first approach seems to be proble matic, because it
includes among the truth conditions of a proposition that very proposition’s
being true, which leads to an unwanted circularity. Albert of Saxony does
not seem to be aware of the difficulty and endorses buridan’s earlier
view. Peter of Mantua is unhappy with that account but does not seem to
be pointing to the fact that the definition is circular. 1 in other
words, if (1) for all in other words, if (1) for all p, ‘p’ signifies
(1.1) that p and (1. ) that ‘p’ is true, and ( ) ‘p’ is true iff
howsoever p signifies things to be, so things are, then the howsoever-clause in
( ), which is supposed to define truth for an arbitrary proposition,
picks out (1. ) and is therefore circular. 13 the examples are standard
and occur in Peter’s treatise, see the examples are standard and occur in
Peter’s treatise, see PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra-rb.
rIccardo stroBIno 48 certain criteria of compatibility or incompatibility
with the casus. in all other cases, the Liar should be admitted and the
respondent is required to follow a particular strategy according to
whether and how the additional signification of the proposition is
specified by the opponent at later steps of the disputation. The struggle
with the paradox in the light of new trends involving a reflection on the
role of the signification of propositions accounts for some of the additional
complexities that are witnessed, at the end of the XiVth century, by Paul
of Venice’s list of positions. PV1. F. figure of speech
restringentes b [+b1] PM3 PV F. non cause as a cause b3 PV3.
time b4 PV4. Potency cassantes b5 PV5. act b6 PV6. denial of
bivalence mediantes b7 PV7. F. equivocation (actus exercitus vs
actus conceptus) distinguentes b8 PV8. Non est propositio H PV9.
Verum vel falsum sed non verum et non falsum H3 PV10. F. secundum
quid et simpliciter bradwardine b9 PV11. Significat se esse verum et se
esse falsum albert of Saxony PM1 PV1 . Casus/obligations Heytesbury
H4 PM PV13. Mental language Peter of ailly, Gregory of Rimini
digression on PM PV14. Restrictio �alter Sexgrave PV15. Self-falsifying Paul of Venice Swyneshead
(H1) Paul’s record presents fifteen opinions about insolubles, most of
which are already to be found in bradwardine14. in addition to these,
however, several further views developed from the second quarter of the
XiVth century onwards introduce some complications into the picture, as I
have just briefly described (along with entirely different approaches —
like for instance the one associated with Gregory of Rimini and Peter of ailly,
seeking an explanation from the standpoint of mental language). albert of
Saxony’s and �il liam Heytesbury’s positions, as noted above, are
the most important targets for Peter of Mantua. Peter’s own position,
without being mentioned explicitly, is in fact presented as a small cameo
within the discussion of Peter of ailly’s view15. 14 adiscussionof this
list isfoundin a discussion of this list is found in c. dutIlhnoVaEs dutIlh noVaEs,
A Comparative Taxonomy of Medieval and Modern Approaches to Liar
Propositions, « History and Philosophy of Logic », 9, 008, pp. 7-61. For
all its merits, the article fails to identify Peter’s own account
(generically referred to as that of a alius magister) that Paul of Venice
discusses by way of digression in the context of his presentation of Peter of
ailly’s view. The list of opinions, therefore, contains at least fifteen
plus one items. 15 Labelsb1-9refertothepresenceoftheverysame Labels b1-9
refer to the presence of the very same opiniones in bradwardine’s list given
above (cf. also Read’s discussion in his own introduction to BradwardInE,
Insolubilia cit., pp. 10-3). H1-4 refer to the opinions recorded in
Heytesbury’s treatise on insolubles (discussed by Spade in the study appended
to hEytEsBury, On “Insoluble” Proposi tions
cit.,pp.71-95).PM1-3refertotheviewsreportedandcriticisedbyPeterofMantuainhisowntreatise.
, pp. 71-95). PM1-3 refer to the views reported and criticised by Peter of Mantua
in his own treatise. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons 483
3. PEtEr of mantua’s trEatIsE Let us now turn to Peter of Mantua. �ith the background outlined above in mind, in the following i
shall present and contextualise what Peter says about insolubles, discuss
why (i think) he thinks he is justified in saying what he says, and show
why he is wrong in saying what he says (the theory is
inconsistent). the available information about Peter’s biography covers
the last ten years of his life, between 1389 and 139916. after receiving
his education in Padua, he is known to have taught in bologna, during the
1390s, both natural and moral philosophy. His surviving works are a
treatise De primo et ultimo instanti, which was quite popular in the XVth
century (various commentaries upon it are preserved), and a huge Logica,
which includes the treatise on insolubilia along with all standard chapters of
an advanced logic treatise (which appears to be much more of a set of
advanced notes than a textbook for teaching). this work has come down to
us in its entirety in six manuscripts and four early printed editions
(the latter dating from the end of the XVth century)17. no section has
been published yet in the form of a critical edition. a general word
about Peter’s sources is in order : names seldom occur in the Logica, but
among the authors he is certainly familiar with and makes use of we should
count a few Parisian figures like Albert of Saxony, Marsilius of Inghen
and/or William Buser, and prominent representatives of the English
tradition, above all Ralph Strode and William Heytesbury, a fact that
should not be surprising, given the influence that these two figures had
on Italian logic in the late XIVth century. In addition to that, Peter
was also strongly acquainted, as i have recently argued, with Mesino de
codronchi, another master active in bologna in the 1390s18. i shall
provide new evidence (see infra § 3.3) in support of the claim that Peter
must have been familiar with John �yclif’s logical
writings as well. no mention of Peter’s treatise on insolubles is found in
recent literature on the subject19. this circumstance, probably due to
the lack of a modern edition, is rather unfortunate, since Peter seems to
be quite an interesting figure in the landscape of late XiVth century
logic, especially in connection with the transmission 16 See JamEs, Peter
Alboini of Mantua cit., and r. stroBIno, concedere, negare, dubitare, Peter of
Mantua’s treatise on obligations, Ph.d. dissertation Scuola normale
Superiore, Pisa 009, pp. 45-53. 17 the manuscripts are the
manuscripts are : (1) [o]xford, bodleian Library, Canon. misc. 19, ff. 10 va-105va ; ( ) [b]erlin,
Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 5 5, ff. 93va-95va ; (3)
[M]antova, biblioteca comunale, ms. 76 (a iii 1 ), ff. 79vb-8 rb ; (4)
Venezia, archivio dei [P]adri Redentoristi di Santa Maria della Fava, ms.
457, ff. 63va-66ra ; (5) [V]enezia, biblioteca nazionale Marciana, L.Vi.1 8 (
559), ff. 69ra-71va ; (6) città del Vaticano, biblioteca apostolica
Vaticana, Vat. [L]at. 135, ff.
75vb-77rb, 79rb-80ra. i shall also refer to the aforementioned early
modern edition as E (see (see (see supra, f. 7). 18 See r.
stroBIno, Contexts of Utterance and Evaluation in Peter of Mantua’s
obligationes, « Vivarium », 49, 011, pp. 75- 99. 19 to do it
justice, one has to go back to Spade’s 1975 catalogue of the insolubilia
literature, where Peter’s position is listed and briefly described
(although, even there, the connection with Wyclif is not identified). rIccardo
stroBIno 484 of the English logical tradition in italy. i am inclined to
think that a reconstruction of his profile might prove to be, in several
respects, even more relevant than that of Paul of Venice — who makes use
of Peter as one of his (many) sources — since the latter represents a
chronologically prior and independent step in the reception of that
tradition (and, for want of a better term, a fairly less pedantic one).
3.1 Structure of the text Peter of Mantua’s treatise on insolubles is
divided into four main sections. The first three sections deal with
alternative views that are first illustrated, and then rejected by
presenting a number of objections, in a customary fashion. the fourth section
offers Peter’s own account of the Liar — and of the truth teller —
accompanied by several objections and responses, and a discussion of a
few variations on the theme of the so-called postcard paradox (in cases
that do not involve semantic predicates) which are dismissed as impos sible
conditionals. a preliminary division of the contents is presented in the table
below 1. First section 2. Second section 3. Third section 4. Fourth
section [albert of Saxony] (PM, Insolubilia cit., sig. o rb-
o3rb) [�illiam Heytesbury] (PM, Insolubilia cit.,
sig. o3rb -o4+1rb) [Restrictionism] (PM, Insolubilia cit.,
sig. o4+1rb-vb) [Peter of Mantua] (PM, Insolubilia cit., sig.
o4+1vb- o4+3ra-rb) 1.1 thesis: every proposition signifies
its own truth (ibid., sig. o rb) 2.1 Definitions :
casus and insoluble proposition (ibid., sig. o3rb) 3.1 thesis
: self-refer ence is not admitted (ibid., sig. o4+1rb) 4.1 three
senses of ‘true’ (ibid., sig. o4+1vb o4+ ra) 1.2 Definition
of truth (ibid., sig. o va) 2.2 Rules 1-5 (obligations)
(ibid., sig. o3va-vb) 3.2 obj. 1-4 (ibid., sig. o4+1va-vb)
4.2 obj. 1-6 (ibid., sig. o4+ ra-va) 1.3 obj. 1-5 (ibid.,
sig. o va) 2.3 Against definitions : obj. 1- (ibid., sig.
o3vb-o4ra) 4.3 Reply and solution to obj. 1-6 (ibid., sig.
o4+ va) 1.4 arguments in sup port of obj. 1-5 (ibid., sig. o
va-o3ra) 2.4 against Rule : obj. 1-3 (ibid., sig.
o4ra) 4.4 obj. 7-10 and reply (ibid., sig. o4+ va-vb) 1.5
obj. 6-9 (ibid., sig. o3ra-o3rb) 2.5 arguments in support of
obj. 1-3 and obj. 4 (ibid., sig. o4ra-o4va) 4.5 obj. 11 13
(impossible conditionals) (ibid., sig. o4+ vb o4+3ra) 2.6
against Rule 3 : obj. 1-3 (ibid., sig. o4va-o4vb) 4.6 Reply
to obj. 11-13 (ibid., sig. o4+3ra-rb) 2.7 against Rules -3
(ibid., sig. o4vb-o4+1ra) 2.8 against Rule 4 : obj. 1 (ibid., sig.
o4+1ra-rb) 2.9 against Rule 5 : obj. 1 (ibid., sig. o4+1rb) PEtEr
of mantua on InsoluBlE ProPosItIons 485 3.1.1 against albert of
Saxony the treatise starts abruptly without any introductory statement or
preamble and sets out to discuss the alternative accounts that Peter
wants to target. In the first section, albert of Saxony’s position is
illustrated and rejected. the core of his view is presented in the form
of two general claims : a short proof that every proposition signifies
its own truth and a definition of a true proposition as one which is such
that howsoever it signifies so it is. « [1.1] In [discussing] the
difficulties [raised by] the so-called insoluble propositions, some
people have said that every insoluble proposition signifies itself to be true
and to be false. For every categorical proposition signifies itself to be
true, because (i) every categorical proposition signifies what the subject-term
supposits for and [what] the predicate-term [supposits for] to be or not
to be one and the same ; but (ii) what the subject-term supposits for and
[what] the predicate-term [supposits for] being or not being one and the
same is for an affirmative or negative categorical proposition to be
true, therefore (iii) every affirmative or negative categorical proposition
signifies itself to be true, as they say. and since (iv) every insoluble
proposition falsifies itself, therefore (v) every insoluble proposition
signifies itself to be true and to be false. [1.2] in addition to that,
they say that (vi) a true proposition is [any one which is such] that
howsoever it signifies, so it is. And a false [proposition] is [any one which
is such] that [it is] not [the case that] howsoever it signifies, so it
is » 0. the combined effect (v), i.e. an account of what the Liar
signifies, and the first part of (vi), i.e. a definition of truth, is
that the Liar turns out to be false. Accord ing to (v), the Liar signifies
itself to be true and to be false. According to (vi), in order for any
proposition p to be true, things should be in whatever way p signifies
them to be. But things can never be as the Liar signifies them to be, for
nothing is both true and false at the same time. therefore, the Liar
fails to meet the condition stated in the first part of (vi) — or, which
is the same, it meets the condition stated 0PEtEr of mantua, Insolubilia
cit., sig. o rb-va « [1.1] In difficultatibus autem propositionum quas inso
lubiles vocant dixerunt aliqui quod omnis propositio insolubilis significat se
esse veram et se esse falsam. Omnis
enim propositio categorica significat se esse veram : quia (i) omnis propositio
categorica significat idem esse vel non esse pro quo supponit subiectum
et predicatum ; et (ii) esse idem vel non esse idem pro quo supponit
subiectum et predicatum est propositionem affirmativam vel negativam esse veram
; igitur (iii) omnis propositio affirmativa vel negativa categorica
significat se esse veram, ut dicunt. Et quia (iv) omnis propositio
insolubilis se falsificat [O pro significat in E], ideo (v) omnis propositio
insolubilis significat se esse veram et se esse falsam. [1. ] item, addunt quod (vi)
propositio vera est que qualitercumque significat ita est. Et falsa est
que non qualitercumque significat ita est ». the numbering in the quotations
follows the numbering in the quotations follows the numbering in
the quotations follows the proposed division of the text. �herever an emendation is required, the reading is either supported
by at least one manuscript or it is a conjecture to make sense of the
argument. 486 rIccardo stroBIno in the second part of (vi) —,
and for this reason it is false. the argument can be summarised as
follows : (i) (ii) ∀q (Sig (q, Supp(Sq ) =
Supp(Pq ))) 1 Supp(Sq ) = Supp(Pq ) ↔ T(q)
(iii) ∀q (Sig (q,
T(q))) (iv) Sig (a, ¬T(a)) (v) Sig (a, ¬T(a) ∧ T(a)) two conclusions
that are not explicitly drawn in Peter’s report of albert’s position can
be derived from the above result . First, since (v) is equivalent to
(v*) Sig (a, (Supp(Sa ) ≠ Supp(Pa ) ∧ Supp(Sa ) =
Supp(Pa ))) and the revised definition of truth is (vi) T(a)
↔ ∀p (Sig (a, p) →
p) we can safely conclude that (vii) ¬T(a). this is because
the right-hand side of (vi) is not (and cannot be) satisfied by the Liar.
The failure depends on the fact that the proposition signifies itself to be
true and not to be true, and what it signifies cannot be the case.
by the same token, we can also block the inference that generates the
paradox in the second leg, for from (vii), i.e. a’s being false, its
being true cannot be inferred, because again in order for a to be true
the requirement is that whatever it signifies be the case, and A
signifies something that cannot in principle be the case. nine objections
of various length and sophistication are then raised against this view.
the main point that Peter stresses is that it leads to multiple violations of
the multiple violations of the logical relations codified in the
square of opposition, both in the categorical and in 1Supp(Sq ) and
Supp(Pq ) stand for the supposits of S and P in q, where S and P are the
subject-term and the predicate-term of that proposition. See
See alBErt of saxony, Perutilis Logica, Tractatus sextus, Prima pars, De
Insolubilibus, Venetiis 15 , ff. 43rb-46va, repr. by Georg olms,
Hildesheim - new York 1974 (documenta Semiotica, Serie 6 Philosophi ca), f.
43rb-va (first six conclusiones) ; cf. also alBErt Von sachsEn, Logik.
Übersetzt, mit einer Einleitung und Anmerkungen herausgegeben by h.
BErGEr, Felix Meiner, Hamburg 010, pp. 1100-1177, in particular pp.
1100-1106 for an expanded version of the argument. PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 487 the modal version. in particular, Peter focuses on
the role of negation as an opera tor and the way in which a truth value is
assigned to contradictory propositions in situations in which
self-reference and truth predicates are involved. an example is his
fourth objection. Suppose that only two particular propositions exist, namely
‘a negative particular proposition is true’ = p and ‘a negative
particular proposition is not true’ = q. Since q is the only existing
negative proposition, q must refer to itself ; therefore, in this
context, q is equivalent to the Liar, because it says of itself that it
is not true. according to albert, q must be false for the reasons explained
above. on the other hand, p talks about q (because q is the only negative
particular proposition p can possibly refer to) and what p says is that q
is true. but q is not true, therefore what p says is not the case, and so
p, too, is false. but p and q are subcontraries and the argument makes
them false together, which is against the standard understand ing of the
relations holding in the square of opposition (in particular, the above
case would also entail that the corresponding contraries are true
together). Peter also seems to be willing to deny the more general claim
that any proposi tion signifies its own truth (seventh objection), but he does
not address the issue of circularity that appears to be, from a modern
point of view, the most immediate problem related to this position
3. 3.1. against �illiam Heytesbury in
section two, which occupies nearly a half of the whole treatise, Peter
deals with �illiam Heytesbury’s view, which came to be very
popular in the second half of the XiVth century. again, he presents his
opponent’s opinion by enumerating the basic theoretical principles on
which it relies and by discussing separately several objections against
each of them. The definition of a proposition and of a casus of an
insoluble are laid down first. Next, Peter presents Heytesbury’s famous five
rules, ac 3a detailed analysis of the arguments supporting each objection
cannot be given here for reasons of space. I will therefore confine
myself to enumerating the objections in footnote and to providing between
parentheses the propositions that are made use of as counterexamples : (Obj. 1)
an impossible proposition contradicts a contingent proposition (‘a
proposition is true’/‘[it is] not [the case that] a proposition is true’)
; (Obj. ) every insoluble proposition entails a contradiction (‘[it is]
not [the case that] a proposition is true ; therefore [it is] not [the
case that] a proposition is true and this is true’) ; (Obj. 3) a merely
negative pro position entails a contradiction (same casus) ; (Obj. 4) two
subcontraries are false together (see example discussed above) ; (Obj. 5)
two contradictories are false together (see previous casus, with three
additional arguments) ; (Obj. 6) the following would turn out not to be
contradictories ‘every proposition is false’, ‘not every proposition is
false’ ; (Obj. 7) it is not the case that every proposition signifies itself to
be true ; (Obj. 8) against the characterisation of p as a true
proposition if and only if howsoever p signifies things to be, so they
are ; (Obj. 9) it is not the case that, if every particular proposition is
false, then some particular proposition is false (albert’s position would
invalidate the inference ‘every S is P, therefore some S is P’). 488
rIccardo stroBIno cording to which one is supposed to reply to Liar-like
propositions in the context of an obligational disputation. Finally, he
proposes a battery of objections. « [2.1] In [discussing] these matters,
other people have assumed, first, that an insoluble proposition is a
proposition, mentioned in a casus of an insoluble, which [— i.e. the
proposition — is such that], if in the same casus it signifies precisely as its
terms commonly pretend, it follows that it is true and that it is false
4. Secondly, a casus of an insoluble is a casus in which mention is made
of a proposition which [is such that], if in the same casus it signifies
precisely as [its] terms pretend, it follows that it is true and that it is
false » 5. an important feature of Heytesbury’s position is that the
whole discussion of semantic paradoxes is intentionally cast in an
obligational framework. as a result, an insoluble proposition must always
be seen against the background of a casus, i.e. an imaginary situation in
which certain conditions are assumed to hold (as if we posit, for
example, that Socrates is saying the following proposition and nothing
else : « Socrates is saying what is false »). in order to understand
better how the context of Heytesbury’s discus sion affects the treatment of the
paradox and how Peter of Mantua reacts to it, let us introduce the following
terminology borrowed from the theory of obligations 6. 4Heytesbury’s own
formulation is slightly different : « from its being true it follows that it is
false, and vice versa (ad eam esse veram sequitur eam esse falsam et
econtra) », see hEytEsBury, De insolubilibus cit., f. 6rb. the same holds
for the next definition. More generally it can be said that the vocabulary is
used with a certain amount of flexibility. This opens a delicate question
since a number of texts with a strong (Heytesburyan) family resem blance was
circulating in the second half of the XiVth century (among which the so-called
Pseudo-Heytesbury and Johannes Venator), so it is legitimate to ask
whether Peter is actually making use of Heytesbury himself or of one of
those other texts (a detailed discussion of the ‘filiation’ process is found in
f. PIronEt, William Heytesbury and the Treatment of Insolubilia in
Fourteenth-Century England Followed by a Critical Edition of Three
Anonymous Treatises de insolubilibus Inspired by Heytesbury, in rahman,
tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth and the Liar cit., pp. 54-334.
therefore there might be some room for maneuvre to argue that it is not
Heytesbury’s text but another one originating in the same family that
Peter was targeting. Further investigation into the details of the
lexicon might provide additional help, but it should not be forgotten that the
fluidity of this kind of tradition makes it very unlikely that one might
find complete consistency in the use of a certain vocabulary. Therefore,
it is hard to draw firm conclusions from the presence in a later author
(like Peter) of a particular nuance or lexical choice. the closer the
members of the family, as in the case of this set of texts inspired by
Heytesbury, the harder to produce compelling evidence of the filiation
from one of them as opposed to another. 5PEtEr of mantua, Insolubilia
cit., sig. o3va « acceperunt autem alii in ista materia primo quod
propositio insolubilis est propositio de qua fit mentio in aliquo certo
casu que, si in eodem casu precise significet sicut eius termini
communiter pretendunt, sequitur se esse veram et se esse falsam. casus autem de
insolubili est casus in quo fit mentio de aliqua propositione que, si in
eodem casu significet precise sicut termini pretendunt, sequitur se esse
veram et se esse falsam ». cf. also hEytEsBury, De insolubilibus cit., f.
6 f. 6rb ; PIronEt, William Heytesbury cit., p. 84 ., p. 84 ;
and Spade’s translation in hEytEsBury, On “Insoluble” Propositions cit., p.
46. 6theserepresentationalconventionshavebecomepartofthecommonvocabularyinrecentscholarshipon
these representational conventions have become part of the common vocabulary in
recent scholarship on the theory of obligations, see stroBIno, Concedere,
Negare, Dubitare cit., pp. -3 and 76-80. the framework that both
Heytesbury and Peter of Mantua (not only here but also, more generally, in
their account of obligations) PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 489 OA(p) =df p ought to be admitted
(only for posita that are not inconsistent) OC(p)
=df p ought to be conceded (either it follows or it is irrelevant and
true) ON(p) =df p ought to be denied (either it
is repugnant or it is irrelevant and false) OD(p)
=df p ought to be doubted (it is irrelevant, not known to
be true and not known to be false) O¬N(p) 7 =df p ought
not to be denied The solution to the Liar is justified according to
standard obligational principles, and is articulated in detail by means
of five rules that are expected to govern in a ‘predictable’ way the
respondent’s response in each conceivable situation. the thought is
handling with the signification of an insoluble proposition in various
ways according to whether it is either left undetermined, or specified
fully, or only partially, and if so in what way. « [2.2] Having given
these [definitions], they laid down some rules. [Rule 1] First, if a
casus of an insoluble is posited, and it is not posited how it should signify,
one ought to respond exactly (omnino) as one would have responded outside
the period [of the obligation]. accordingly, when it is posited that
Socrates is saying this [proposition] ‘Socrates is saying what is false’
and no other, nothing else being posited, one ought to be in doubt about
it, namely [about] ‘Socrates is saying what is false’. [Rule 2] Secondly,
if it is posited that an insoluble signifies precisely as the terms
pretend, the casus ought to be rejected and not admitted. [Rule 3]
But if it is posited that the insoluble signifies as the terms pretend, without
positing [the qualification] ‘precisely’, the insoluble ought to be
conceded as following (tamquam sequens) and it ought to be denied that it
is true, if it is proposed that it is true. the three [rules that are]
laid down [here] concern propositions that signify categorically » 8.
endorse is that of the so-called responsio antiqua. in the theory of
obligations, rules telling the respondent whether he ought to concede,
deny or doubt certain propositions are given according to a partition of
propositions in two classes : relevant and irrelevant ones. on that view,
relevance of a proposition p is defined in terms of logical dependence on
the cumulative set consisting of the propopositions that have been previously
granted and the negations of those that have been previously denied
during a disputation. according to whether that set entails p or ¬p,
respectively,, p is said to be ‘following’ (pertinens sequens) or ‘repugnant’
(pertinens repugnans). if p is logically independent from what precedes
it in the disputation, it is said to be irrelevant (impertinens) and must
be evaluated according to its own status by looking at the world outside the
disputation. 7note that the conditions of ¬ON(p) and O¬N(p) are
equivalent if we accept deterministic obligational rules (i.e. if the
respondent correctly X(p) then he ought to X(p)). both the former case — it is
not the case that p ought to be denied — and the latter case — p ought
not to be denied — are satisfied when p is neither repugnant nor
irrelevant and false. For then it is either following or irrelevant and true
(hence OC(p)), or irrelevant and doubtful (hence OD(p)). 8PEtEr of
mantua, Insolubilia cit., sig. o3va-vb « [ . ] Quibus datis posuerunt regulas.
[Rule 1] Et primo quod si ponatur casus de insolubili et non ponitur
qualiter istud debeat significare, respondendum est omnino sicut extra
tempus fuisset responsum. Ut posito quod Sor dicat istam ‘Sor dicit falsum’ et
nullam 490 rIccardo stroBIno The first three rules are
directed to cases in which the paradoxical proposition at stake is
categorical (where categorical stands for non-molecular). the idea is that
one of the following mutually alternative situations must obtain : (1)
the signification of the proposition is left entirely undetermined ; ( )
the proposition says exactly what it says ; or (3) the proposition says
what it says, but not in a strict sense, i.e. it could signify something
more than what it explicitly says. R1 if a is an insoluble and it
signifies that x (where x remains unspecified), then OA(a) and
OD(a) R2 if a is an insoluble and it signifies precisely 9 what it
signifies, then O¬A(a) R3 if a is an insoluble and it does not signify
precisely what it signifies, then OA(a), OC(a), and O¬C (T(a)) In
the first case, since it is not even clear what is being posited, the
respondent should suspend his judgment and be in doubt about the
proposition ; in the second case, he cannot admit the casus without
thereby committing himself to a contradic tion and should therefore reject it ;
in the third case there is, according to Heytesbury, some room for
maneuvre. the strategy behind the third rule is to ‘simulate’ in an
obligational environment the argument that generates the paradox, and to block
the inference that leads to contradiction on the basis of obligational
principles. Suppose the proposition « ‘a’ is not true » is posited and
admitted, provided that it does not signify precisely as its term pretend
(otherwise we would fall within the range of the second rule). if it is
proposed during the disputation, it must be conceded as follow ing, because it
is the positum. the respondent, therefore, ought to concede a (= « ‘a’ is
not true »). now, if the opponent proposes, at the second step, « “‘a’ is not
true” is true » how is the respondent supposed to reply ? Having granted
a at step one, the respondent has thereby granted « ‘a’ is not true » (=
a). thus, a contradiction would now arise only if the respondent was
committed, at step two, to conceding « ‘a’ is true » which is the
contradictory of what has been proposed and conceded at step one. but
according to Heytesbury, at step two the proposition « ‘a’ is true » (= « “‘a’
is not true” is true ») is repugnant, and consequently the respondent can
(in fact ought to) deny it. thus even if he has conceded a (= « ‘a’ is
not true ») at step one, he will aliam, non posito alio, ista est
dubitanda, scilicet ‘Sor dicit falsum’. [Rule ] Si autem ponatur quod in solubile significet
precise sicut termini pretendunt, casus est reiciendus et non admittendus.
[Rule 3] Sed si ponitur quod insolubile significet sicut termini
pretendunt, non ponendo ‘precise’, concedendum est insolubile tamquam
sequens et negandum est quod sit verum, si proponitur esse verum. Que tria posita sunt de
propositionibus categorice significantibus ». 9I.e. it signifies
that I.e. it signifies that p and nothing else. PEtEr of mantua on
InsoluBlE ProPosItIons 491 still be able to deny « ‘a’ is true »,
and thereby avoid the contradiction. the fact that what is proposed at
the second step, namely « ‘a’ is true », is repugnant to the positum and
the casus can easily be seen. �e have a casus of the form
‘p’ signifies that p and a positum p and we are seeking whether a given
proposition q is to be conceded or not. obviously if q is ¬p, as in the
present case (for « ‘a’ is true » is the negation of a, since the latter
itself is « ‘a’ is not true »), q is incompatible with p and the casus ;
therefore it ought to be denied. a Casus a = « ‘a’ is not
true » and A signifies (not precisely) that ‘A’ is not true Positum
OA(a) 1. . a ‘a’ is true
OC(a) as following (it is the positum) ON(T(a)) as repugnant the
whole discussion relies on a standard pattern of reasoning that is often em
ployed within the framework of the theory of obligation : that p ought to be
conceded according to obligational rules (either because it follows from
previous steps or because it is irrelevant and true) does not entail that
« ‘p’ is true » ought to be conceded. in fact, here the claim is even
stronger, because both answers are obtained by running the standard Liar
argument in the new obligational setting. in the following reconstruc tion it
can be seen why a (=¬T(a)) is following and must be conceded and why ¬a
(=T(a)) is repugnant and must be denied : R3 Sig (a, ¬T(a)) (not
precisely) 1st leg of the paradox (proof of ¬T(a), by reductio) 1. T(a) . T(a)
→ ∀p (Sig (a, p) → p) 3. ∀p (Sig (a, p) → p)
4. Sig (a, ¬T(a)) → ¬T(a) 5. Sig (a, ¬T(a)) 6. ¬T(a) 7.
¬T(A) hypothesis def. truth (left-hand side) 1,
and modus ponens 3 and substitution of p with ¬T(a)
hypothesis 4, 5 and modus ponens 1,6 by reductio [¬T(a) = a]
OC(A) ON(T(A)) by assuming the Liar to be true (1), we
conclude it to be not true (6), therefore, by reductio it is not true
(7). but the claim that (7) a is not true is the Liar itself ; therefore
if the Liar is proposed during a disputation, we have to concede it as following
(from the casus and rules of logic, which is all we have at steps 1 to 6
of the proof) and we have to deny that it is true, i.e. we have to deny
T(a), if it is proposed. Furthermore, 49 rIccardo stroBIno
even if ¬T(a) has been granted, this is not enough to prove, in the second leg
of the paradox, T(a), i.e. that the Liar is true : nd leg of the
paradox (inference blocked) 8. ¬T(a) 9. ∀p (Sig (a, p) → p) →
T(a) 10. Sig (a, ¬T(a)) 7 def. truth
(right-hand side) hypothesis at this point, the paradox can no
longer arise, for the inference from 8-10 to 11. T(a) is not
legitimate. the inference would be legitimate only if we could replace the an
tecedent in the antecedent of (9) with (10), and the consequent in the
antecedent of (9) with (8), so as to satisfy the antecedent of (9) itself,
because then we could detach the consequent, thereby proving T(a). �e would be entitled to make this move, how ever, only if a precisely
signified itself not to be true. But this is not the case, because by
hypothesis A signifies what it signifies not precisely. in other words, the
inference by means of which we are trying to prove T(a), i.e. that a is
true, is not valid. this is exactly what the assumption embedded in the
third rule by means of the qualifica tion ‘not precisely’ is meant to avoid.
otherwise the paradox would arise again and we would find ourselves back
in the situation covered by the second rule, whereby the casus had to be
rejected. The fourth and fifth rules are devised to deal with cases in
which the additional signification that is left undetermined when the
Liar is just said to signifiy not precisely what it signifies is made
explicit by conjoining or disjoining it to other propositions specifying
the extra signification. « [2.2 (continuation)] [Rule 4] on the other hand,
if an insoluble proposition is posited so as to [precisely] signify
conjunctively, one should see whether the contradictory of the second
conjunct is consistent with the casus. [1.1] if it is, the casus ought to be
admitted. [1. ] if it is not, the casus ought to be rejected.
accordingly, if it is posited that Socrates is saying the [proposition]
‘Socrates is saying what is false’, adequately signifying that Socrates
is saying what is false and that Socrates is speaking, since these [two proposi
tions] are not consistent with one another — namely ‘Socrates is saying what is
false’ and ‘Socrates is not speaking’ —, the casus ought not to be
admitted. but if it is posited that this [proposition] ‘Socrates is
saying what is false’ signifies precisely that Socrates is saying what is
false and that Socrates is running, the casus ought to be admitted and
this proposition ought to be conceded, while it ought to be denied that
it is true. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons 493 [Rule 5]
Last, if it is posited that an insoluble signifies disjunctively, this view
maintains that [ .1] if the opposite of [the second] disjunct is
consistent with the casus, the casus ought to be denied. accordingly, if
it is posited that the proposition ‘a falsehood exists’ is any proposition
adequately signifying that a falsehood exists or there is no god, the
casus ought not to be admitted. but [ . ] if it is posited that the
[proposition] ‘a false hood exists’ is every proposition adequately signifying
that a falsehood exists or there is a god, the casus ought to be admitted
and the [proposition] ‘a falsehood exists’ ought to be denied, when it is
proposed, and it ought to be conceded that it is true »30. Suppose we
make the signification of an insoluble proposition A explicit by forming
a new proposition in which the insoluble is conjoined or disjoined with some
other proposition q. The fourth and fifth rule pick out four possible
scenarios. The first division depends on whether the extra signification
is made explicit conjunctively or disjunctively. the second division has
to do with the logical relationships holding between ¬q and the
casus. Provided that certain conditions are met, the strategy is
analogous to the one adopted above : in certain cases we will have to
reject the casus because it still yields a contradic tory result, whereas in
certain other cases we will be able to admit the casus and respond to the
insoluble in such a way as to discharge the burden on the extra signified
content. the situation for the conjunctive case is dual with respect to
the disjunctive case, both in case of rejection and in case of admission
of the casus ; and the same holds of the evalu ations that are given to the
propositions involved. �hen an (admissible) insoluble
a that conjunctively signifies A ∧ q is at stake, the
respondent should admit a as a positum, concede it when it is proposed,
and deny that a is true. by contrast, when an (admissible) insoluble A
disjunctively signifies a ∨ q, he should
admit the proposition as a positum, deny it when it is proposed, and
concede that it is true. So what are the conditions according to which
the proposition should be admitted in one case and in the other ? if a
precisely signifies conjunctively A ∧ q, then ¬q (i.e. the
contradictory of the second conjunct q) must be consistent with the
casus. If A precisely signifies disjunctively A ∨ q, then ¬q (i.e. the
contradictory of the second disjunct q) must be inconsistent with the
casus. 30 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o3va-vb « [Rule 4] Si
autem ponatur propositio insolubilis ad significandum copulative, est videndum
si contradictorium secunde partis copulative stat cum casu. [1.1] Et si sic, est casus
admittendus. [1. ] Et si non, est reiciendus casus. Ut si ponatur quod Sor
dicat istam ‘Sor dicit falsum’ adequate significantem Sortem dicere
falsum et Sortem loqui, quia ista non stant simul ‘Sor dicit falsum’ et
‘Sor non loquitur’, ideo non est admittendus casus. Si autem ponatur quod ista
‘Sor dicit falsum’ significet precise Sortem dicere falsum et Sor
currere, admittendus est casus et ista propositio est concedenda et
negandum est quod ipsa sit vera. [Rule
5] Ultimo, si ponatur insolubile significare disiunc tive, dicit ista positio
quod [ .1] si oppositum disiuncti potest stare cum casu, negandus est casus. Ut si ponatur quod hec
propositio ‘falsum est’ sit quelibet propositio adequate significans quod
falsum est vel nullus deus est, casus non est admittendus. Sed [ . ] si
ponatur quod ista ‘falsum est’ sit omnis propositio adequate significans
quod falsum est vel quod deus est, admittendus est casus et neganda est ista
‘falsum est’ cum proponitur et concedendum est quod sit vera ». rIccardo
stroBIno 494 Let us call a casus C, a be the positum (insoluble proposition
precisely signifying either conjunctively a ∧ q, or disjunctively a ∨ q). Then, Heytesbury’s fourth and
fifth rule can be represented as follows. R4 (conjunctive case) a =
¬T(a) and Sigpr (a, ¬T(a) ∧ q)31 1.1
if C → ¬(¬q) then C should be rejected3 [¬q inconsistent with C] 1.
if ¬(C → ¬(¬q)) then C should be admitted and [¬q consistent with C]
1. .1 OA(a) 1. . OC(a) 1. .3 ON(T(a))
1. .4 [ON(q), i.e. OC(¬q)] [1. .5 OC(q) (PM’s
objection in .8)] R5 (disjunctive case) a = ¬T(a) and Sigpr (a, ¬T(a) ∨ q) .1 if C →
¬(¬q) then C should be admitted and [¬q inconsistent with C]
.1.1 OA(a) .1. ON(a) .1.3 OC(T(a)) .1.4
[OC(q)] [ .1.5 OC(a) (PM’s objection in .8)]
. if ¬(C → ¬(¬q)) then C should be rejected [¬q consistent with
C] the reason for the requirement that the negation of the second
conjunct in a ∧ q
(negation of the second disjunct in a ∨ q) — where the extra
signification is made explicit — be compatible (incompatible) with the
casus is the following. in the former case we need to be able to deny q,
while in the latter case we need to be able to concede q during the disputation.
The formal justification for these answers is as follows : R4 Sigpr (a,
¬T(a) ∧ q) 1st leg
of the paradox (proof of ¬T(a), by reductio) 1. T(a) hypothesis
31 A signifies precisely that ¬T(a) ∧ q, i.e.¬ .e. ¬¬T(a) ∧ q is all and only what A
signifies. 3 because it cannot be defended, just as the case of a
categorical insoluble proposition precisely signifying what is signifies,
covered by Rule 2. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons 495 .
T(a) → ∀p (Sig (a, p) →
p) 3. ∀p (Sig (a, p) → p)
4. Sig (a, ¬T(a) ∧ q) → (¬T(a) ∧ q) 5. Sig (a, ¬T(a)
∧ q) 6. ¬T(a) ∧ q 7.
¬T(A) 8. ¬T(a) Moreover, the following also
holds 9. ¬T(a) → ¬∀p (Sig (a, p) →
p) 10. ¬∀p (Sig (a, p) →
p) 11. ∃p (Sig (a, p) ∧ ¬p) def. truth
(left-hand side) 1, and modus
ponens 3 and substitution of p with ¬T(a) ∧ q hypothesis 4, 5
and modus ponens [¬T(a) ∧ q = a]
OC(A) 6 and simplification 1,7 by reductio ON(T(A))
def. truth (right-hand side) and contraposition
8,9 and modus ponens 10 1 . Sig (a, ¬T(a) ∧ q) ∧ ¬(¬T(a) ∧ q) 11 and
substitution of p with ¬T(a) ∧ q 13. T(a) ∨ ¬q 12, simplification
and De Morgan’s laws 14. ¬q 13, 8 and disjunctive syllogism OC(¬q)
ON(q) We have, therefore, a formal justification for both scenarios
covered by rule 4. The Liar proposition involved signifies conjunctively.
It ought to be conceded (6), but it ought to be denied that it is true
(8), just as in the case of the third rule. in addition to that, the
negation of the second disjunct q should be consistent with the casus,
because ¬q ought to be conceded (14), and if it were not compatible with the
casus we would end up again in a paradoxical situation. nor does the
second leg of the argument generate paradox, because from ¬T(a) we cannot
derive T(a) : nd leg of the paradox (inference blocked) 15.
¬T(a) 16. ∀p (Sig (a, p) → p) →
T(a) 17. Sigpr (a, ¬T(a) ∧ q) because,
again, to derive the conclusion 18. T(a) 8 def. truth
(right-hand side) hypothesis and generate the paradox the
antecedent of (16) should be satisfied. This is required to detach T(a)
in (18). the job should be done by (15) and (17). but it is immediately
clear that there is something lacking. in order to satisfy the antecedent of
(16), we 496 rIccardo stroBIno need not only ¬T(a) but also
q, because A precisely signifies ¬T(a) and q. thus, having proved ¬T(a)
is not enough to reverse the argument and prove T(a). The justification
for rule 5 is analogous but the responses are dual. R5 Sigpr (a, ¬T(a) ∨ q) 1st leg of the
paradox (now proof of T(a), again by reductio) 1. ¬T(a)
. ¬T(a) → ¬∀p (Sig (a, p) →
p) 3. ¬∀p (Sig (a, p) →
p) 4. ∃p (Sig (a, p) ∧ ¬p) 5. Sig (a,
¬T(a) ∨ q) hypothesis
def. truth (right-hand side) and contraposition 1, 3
and modus ponens hypothesis 6. Sig (a, ¬T(a) ∨ q) ∧ ¬(¬T(a) ∨ q) 4, 5 7.
T(a) ∧ ¬q 6, simplification and De Morgan’s laws 8. T(A) 9. T(a) 7,
simplification 1, 8 by reductio nd leg of the paradox
(inference blocked) [¬t(a) = a] ON(A) OC(T(A)) again,
the second leg does not generate paradox because this time from T(a) we
cannot prove ¬T(a), but rather ¬T(a) ∨ q only : 10.
T(a) 11. T(a) → ∀p (Sig (a, p) → p) 1 . ∀p (Sig (a, p) → p)
13. Sig (a, ¬T(a) ∨ q)
14. ¬T(a) ∨ q
15. q 9 def. truth (left-hand side) 10, 11 and modus
ponens hypothesis 1 , 13, substitution of p with ¬T(a) ∨ q and modus
ponens 10, 14 and disjunctive syllogism OC(q) as a result, in
the disjunctive case, we ought eventually to concede q, i.e. the second
conjunct. and this is how the requirement that ¬q be inconsistent with the
casus is to be explained. Peter criticises Heytesbury’s approach
from different angles. His general strategy is to make use of analogous
obligational principles to pay him back in the same coin. A few
objections are directed against the two definitions but the main focus is
PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons 497 much more extensively
on the rules33. Peter seems to be happy with the first rule, but
challenges the other four. the number and sophistication of his objections are
not suitable for a detailed presentation in this context, but I shall
briefly discuss at least an objection against the third rule, since it
represents Heytesbury’s way to solve the paradox, and two further
arguments against the fourth and fifth rule. « [2.6] [Against Rule 3]
against the third rule [laid down within the framework] of this opinion,
[and] according to which he responds to categorical insolubles, one argues
as follows : (Obj. 1) let it be posited that Socrates is saying this
[proposition] ‘a falsehood is being said’ and that no other proposition
except for this one, or part of it, is uttered by anyone else, [and] that
[the proposition] signifies that a falsehood is being said — not
precisely, however, just as that view likes [to stipulate]. […] next, ‘a
falsehood is being said’ is proposed and it is conceded according to this
view. in addition to that, ‘this [proposition] is false’ is proposed,
which is also conceded according to this view34. but to the contrary :
this proposition ‘a falsehood is being said’ principally signifies that
there is a god, therefore this proposition is necessary. the consequence is
valid, known to be such and so on ; and you ought to be in doubt about
the antecedent ; therefore you ought not to deny its consequent. the
consequence holds according to this view ; and one ought to be in doubt
about the antecedent along with the whole casus ; therefore you ought not
to deny the consequent »35. Peter offers the following argument against
rule 3. Let a be an insoluble signifying (not precisely) itself not to be
true, without any further specification concerning its extra content,
which might well be a necessary proposition, say r. then, Positum
1. a a OA(a) OC(a) 33 Peter gives two
arguments against the proposed definitions. The first is that it is not true to
say that Peter gives two arguments against the proposed definitions. The
first is that it is not true to say that an insoluble proposition always
needs to be understood in the setting of a casus. the second moves the
discussion to the level of mental language, where according to him certain
logical relations are problematic no matter whether a casus is set up or
not. 34 i.e. it must be denied that the proposition is true. i.e.
it must be denied that the proposition is true. 35 PEtEr of mantua,
Insolubilia cit., sig. o4va « [Against Rule 3] contra autem tertiam regulam
istius contra autem tertiam regulam istius opinionis, secundum quam
ipse respondet ad insolubilia categorica, sic arguitur : (Obj. 1) quia
ponatur quod Sor dicat istam ‘falsum dicitur’ et non proferatur ab aliquo
alia propositio nisi ista aut eius pars, que significet falsum dici — non
tamen precise, sicut illi positioni placet. […] Deinde proponitur ista
‘falsum dicitur’ et conceditur secundum istam positionem. Et ultra proponitur
ista ‘hec est falsa’, que etiam conceditur secundum istam positionem. Sed contra quia sequitur : hec propositio ‘falsum
dicitur’ principaliter significat deum esse, igitur ista propositio est
necessaria. Consequentia est
bona scita esse talem etc. ; et antecedens est a te dubitandum ; igitur
consequens eius non est a te negandum. Patet con sequentia secundum istam
positionem ; et antecendens cum toto casu est dubitandum ; igitur
consequens non est a te negandum ». 498 rIccardo stroBIno . 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
¬T(a) Sig (a, r) → □a □a → T(a)
¬T(a) → ¬□a ¬□a OD(Sig (a, r))
(p → q) → OD(p) → O¬N(q) O¬N(□a) OC(¬T(a)), i.e.
ON(T(a)) valid consequence if r is necessary necessity
entails truth falsehood entails non-necessity , 5 and modus
ponens from the characteristic condition of R3 obligational
principle 3, 7, 8 and modus ponens The first two steps are
Heytesbury’s standard answers : concede the insoluble and deny that it is
true36. Peter wants to show that the denial of T(a) is incompatible with
the assumption that the signification of the proposition is not precise,
because it could signify a necessary proposition after all. in order to
do so, he makes use of a rule which is to be found in his own treatise on
obligations. if the respondent ought to be in doubt about the antecedent
of a valid consequence, then he ought not to deny its consequent ;
otherwise, by contraposition, he ought to deny the antecedent as well.
Since Heytesbury’s third rule applies, by definition, only in cases in
which the signification of an insoluble proposition is not fully
specified, Peter claims that the respondent should be in doubt about the
signification of A, because he does not know in principle whether the
proposition signifies that there is a god or not (or any other necessary
proposition). �hy is this important ? the argument, i believe,
rests on the implicit assumption that if a is necessary then it is also
true. but under the stipulations of the casus, ¬T(a) is conceded. this
entails in turn that a is not neces sary. But as long as the respondent must be
in doubt about what A precisely signifies (he only knows that it
signifies, not precisely, itself not to be true, but nothing is said
about what it could signify in addition to that), he cannot rule out that A signifies
something necessary. thus, (9) and (6) are incompatible, and their being
incompat ible ultimately depends on the requirements of Heytesbury’s third rule
and on the plausible obligational principle expressed by (8). in other
words, on the one hand Heytesbury is committed to the view that a is not
true, and therefore not necessary, but on the other hand, he is also
committed to the view that he ought not to deny that a is necessary. and
those two claims are incompatible, in one and the same obligational
disputation. 36 the terminology in Peter’s example is somehow sloppy, but
with some adjustments the case can be the terminology in Peter’s example
is somehow sloppy, but with some adjustments the case can be reduced to
one in which all the conditions of Heytesbury’s third rule apply. PEtEr of
mantua on InsoluBlE ProPosItIons 499 as for rules 4 and 5, Peter of
Mantua’s strategy is to provide counterexamples to the scenarios
described above (leaving out only . ). against 1.1, he presents us with a
casus where, despite ¬q’s being inconsistent with C, the casus should be
admitted and the insoluble is argued to be true (i.e. the rule does not
avoid paradox). « [2.8] (Obj. ) again, let it be posited that this
proposition ‘this proposition which precisely signifies categorically is
not true’ precisely signifies that this proposition which precisely
signifies categorically is not true and that you do not differ from yourself ;
and let this proposition be B. Then B signifies conjunctively and B is
true, therefore an insoluble signifying conjunctively is true and it
ought to be conceded that it is true ; therefore and so on. the
consequence clearly holds. and the antecedent is known, because b
precisely signifies that this proposition which precisely signifies
categorically is not true and that you do not differ from yourself ; and
this proposition which precisely signifies categori cally is not true and you
do not differ from yourself ; therefore proposition b is true. and in
this case, one argues (i) that a casus of an insoluble ought to be admitted
when the insoluble is imposed to signify conjunctively, although the
opposite of [the second] conjunct is not consistent with the casus, and
(ii) that the insoluble is true »37. Let a be an insoluble signifying
precisely that a ∧ q, where ¬q is
inconsistent with the casus (suppose q is a logical truth, like the
example « you do not differ from yourself » : ¬q is trivially
incompatible with the casus because it is contradictory in itself), then
1. . 3. 4. 5. 6. 7. OA(a) OC(a) OC(¬T(a))
OC(q) Sigpr(a, ¬T(a) ∧ q) ∃p (Sig (a, p) ∧ p) → T(a)
OC(T(a)) R4 R4 hypothesis hypothesis
def. truth (right-hand side)38 3, 4, 5, 6 and modus ponens 37 PEtEr
of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra-rb « (Obj. ) item, ponatur quod hec
propositio ‘hec propositio precise categorice significans non est vera’
significet precise quod hec propositio precise categorice significans non
est vera [hec propositio3… vera ms. M] et quod tu non differs a te ; et sit B ista
propositio. Tunc B significat copulative et B est vera, igitur insolubile
significans copulative est verum et concedendum est esse verum ; igitur
etc. Patet consequentia. Et antecedens est notum : quia B precise significat
quod ista propositio precise [precise ms. M] categorice significans non
est vera et quod tu non differs a te ; et hec propositio precise
categorice significans non est vera et tu non differs a te [et hec… te
ms. o] ; igitur b propositio est vera. Et in isto casu arguitur (i) quod
casus de insolubili est admittendus quando insolubile imponitur ad
significandum copulative, quamvis oppositum copulati non possit stare cum
casu. Et arguitur (ii)
quod insolubile est verum ». 38 There is no need to use here the
right-hand side of the revised definition There is no need to use here
the right-hand side of the revised definition : ∀p (Sig (a, p) → p) →
T(A). Even if we did, however, the antecedent would be satisfied because the
insoluble precisely signifies conjunctively, i.e. all it signifies is
¬T(a) ∧ q, and both
¬T(a) and q are granted, at (3) and (4), respectively. consequently we
would be still entitled to detach T(a). 500 rIccardo stroBIno
Peter’s argument seems to be directed against Heytesbury’s claim that
whenever the contradictory of the second conjunct is inconsistent with
the casus, the latter ought not to be admitted. in fact, according to
Peter it ought to be admitted (1), in which case it can be shown that it
ought to be conceded that the insoluble is true (7), which is against one
of the rule’s prescriptions (3). However, there seems to be a problem
with this objection, for it simply asserts what it should prove and does not
count as a genuine argument to prove that one ought to admit the casus
(1) even when the contradictory of the second conjunct is inconsistent
with it. Peter simply shows that, if such a casus is admitted, one must
reply in a way other than the one suggested by Heytesbury. Heytesbury’s
argument in reply could be that it is exactly because an inconsistency would
arise that the casus ought not to be admitted in the first place. against
1. Peter argues that even if ¬q is compatible with C, Heytesbury’s solu tion
does not work because the respondent is committed to conceding q, whereas
according to the rule the success of the argument ultimately relies on the fact
that q is going to be denied (which is why its negation is required to be
compatible with the casus : otherwise it could not be denied in the first
place and the conjunctive case would collapse on to the case covered by
rule ). « [2.8] [Against Rule 4] against the fourth rule one argues [as
follows] : (Obj. 1) Let it be posited that Socrates is saying ‘Socrates
is saying what is false’ which adequately signifies that Socrates is
saying what is false and you are running, and let it be the case that he
is saying no other [proposition] that is not part of this. once this is
posited, ‘Socrates is saying what is false’ is proposed. once this is
conceded, according to this view, one argues as follows : Socrates is
saying what is false, therefore Socrates is saying what is false and you
are running. the consequence holds, because one argues from one
convertible to the other ; and the antecedent ought to be conceded ;
therefore the consequent, too, [ought to be conceded]. but then, in
addition to that, Socrates is saying what is false and you are running ;
therefore you are running. the consequence again holds ; and the
antecedent ought to be conceded ; therefore the consequent, too, [ought
to be conceded]. therefore, a conjunct ought to be conceded whose opposite
is consistent with the casus, which is repugnant to the rule, i.e. to the
view »39. 39 PE tEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra «
[Against Rule 4] contra quartam regulam arguitur : (Obj. 1) quia ponatur
quod Sor dicat istam ‘Sor dicit falsum’ adequate significantem quod Sor dicit
falsum et tu curris, et non dicat aliam que non sit pars istius. Quo
posito, proponitur ista ‘Sor dicit falsum’. Qua concessa secundum istam
positionem, arguitur sic : Sor dicit falsum, igitur Sor dicit falsum et tu
curris. consequentia patet, quia arguitur ab uno convertibili ad reliquum
; et antecedens est concedendum ; igitur et consequens. Et tunc ultra :
Sor dicit falsum et tu curris, igitur tu curris. tenet consequentia iterum ;
et antecedens est concedendum ; igitur et consequens. igitur copulatum
est concedendum cuius [cuius ms. o]
oppositum stat cum casu, quod repugnat regule sive positioni ». PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 501 Let a be an insoluble, signifying precisely that a
∧ q, where ¬q is
compatible with the casus, then 1. . 3. 4.
5. 6. 7. OA(a) OC(a) a → (a ∧ q) (p → r) →
OC(p) → OC(r) OC(a ∧ q) (a ∧ q) → q
OC(q) R4 hypothesis : a ↔ (a ∧ q) by the casus
obligational principle , 3, 4 and modus ponens simplification
4, 5, 6 and modus ponens Step (7) is inconsistent with the prescription
of Heytesbury’s rule. the contradic tory of q is compatible with the casus but
nevertheless, according to Peter’s argument, q ought to be conceded as
following. Since Heytesbury’s rule claims that q ought to be denied as
repugnant, the rule is unable to warrant consistency. Finally, against .1
Peter offers two casus that satisfy the condition of incompat ibility (if q is
necessarily true, its negation is trivially incompatible with the casus)
but argues that one should not follow rule 5 in replying to the
paradoxical propositions involved. according to Heytesbury, a (the
insoluble proposition signifying disjunc tively) ought to be denied. In his
first objection Peter offers a proof to the contrary, namely of the fact
that a ought to be conceded : « [2.9] [Against Rule 5] again, one argues
[as follows] against the last rule [laid down by] this view : (Obj. 1)
let it be posited that ‘every proposition is false’ precisely signifies that
every proposition is false or there is a god. once this is admitted,
‘every proposition is false’ is proposed. if this is denied, as this view
maintains, [one can argue] to the contrary because it follows ‘there is a
god, therefore every proposition is false or there is a god’. the
consequence clearly holds because it follows ‘there is a god, therefore
every proposition is false or there is a god’ ; and the antecedent ought
to be conceded ; therefore the consequent, too, [ought to be conceded].
and in addition to that, one [can] say that every proposition is false ([argu
ing] from one convertible to the other) ; and the antecedent ought to be
conceded ; therefore the consequent, too, [ought to be conceded]. but the
consequent is an insoluble signifying disjunctively, therefore an
insoluble signifying disjunctively ought to be conceded »40. 40 PEtEr of
mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra-rb « [Against Rule 5] item, contra
ultimam regulam istius item, contra ultimam regulam istius
positionis arguitur : (Obj. 1) quia ponatur quod hec ‘omnis propositio est
falsa’ precise significet quod omnis propositio est falsa vel deus est.
Quo admisso, proponitur ista ‘omnis propositio est falsa’. Que si
negatur, ut dicit positio, contra, quia sequitur ‘deus est, igitur omnis
propositio est falsa vel deus est’. consequentia patet quia sequitur
‘deus est, igitur omnis propositio est falsa vel deus est’ ; et antecedens est
concedendum ; igitur et consequens. Et ultra dicitur quod omnis
propositio est falsa (ab uno convertibilium ad reliquum) ; et antecedens
est concedendum ; igitur et consequens. Et consequens est insolubile
disiunctive significans, igitur insolubile disiunctive significans est concedendum
». 50 rIccardo
stroBIno the argument runs as follows : 1. . 3.
4. 5. 6. 7. 8. 9. OA(a) ON(a) q
→ (a ∨ q)
(p → r) → OC(p) → OC(r) OC(q) OC(a ∨ q) (a ∨ q) ↔ a (p ↔ r)
→ OC(p) → OC(r) OC(a) R5 disjunction
introduction obligational principle hypothesis : q is a necessary
proposition 3, 4, 5 and modus ponens hypothesis obligational
principle 6, 7, 8 and modus ponens but ( ) and (9) are inconsistent
with one another. �hat is more, (9) shows that an insoluble
precisely signifying disjunctively ought to be conceded, which is against
the rule laid down by Heytesbury. if the second conjunct is a necessary
proposition, the condition that its negation be incompatible with the
casus will always be satisfied. but the proposition itself will also
always have to be conceded during a disputation. and this leads eventually
to the conclusion that the insoluble itself ought to be con ceded. therefore,
we have a counterexample to one of the two situations covered by R5.
Peter does not address the other, i.e. he does not argue against the claim that
in the disjunctive case, when the negation of the second disjunct is
compatible with the casus, the latter ought to be rejected. in sum,
the three objections discussed here show that Peter’s approach to Heytes bury’s
rules focuses on their inability to maintain consistency. this is argued
within the same obligational framework that Heytesbury has adopted by way
of providing counterexamples such that the conditions stated by the rules
are satisfied but the answer, either to the insoluble or to the other
member of the conjunction/disjunction, can be different from the one
prescribed by the rules. 3.1.3 against restrictionism after
devoting a remarkable amount of space to the rejection of Heytesbury’s
view, Peter turns to a brief examination of his last target. in the third
section, which is by far the shortest one in the treatise, the object of
criticism is the opinion of the restringentes, in its strong
version41. 41
Restrictionism,initsvariousforms,isawidelyacceptedpositionuntilsecondquarteroftheXiVthcentury,
Restrictionism, in its various forms, is a widely accepted position until
second quarter of the XiVth century, when it is wiped off the board by
the modern approaches introduced by the likes of bradwardine, Heytesbury,
or buridan and adopted by their followers. a moderate version is
endorsed, for instance, by ockham (for a presen PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 503 « [3.1] in [discussing] these matters, some
ancients said that a part of a proposition does not supposit for the
whole proposition of which it is a part, nor for something convertible
with it, nor for [its] contradictory, nor for something convertible with
its contradictory »4 . Peter gives a very limited number of technical
objections and the general tone of this section is rather dismissive. the
main claim seems to be that the view under consideration would rule out
certain inferences that are taken to be valid, whereby a part must indeed
supposit for the whole or for something logically related to the whole of
which it is a part. First, restrictionism would fail to validate inferences
like « Every particular proposition is false ; therefore some particular
proposition is false » under the assumption that no other proposition
exists apart from the consequent. next, in the proposition « Every
proposition is false » the subject-term ‘every proposition’ stands for
and picks out each of its supposits, including the proposition itself, by the
very definition of supposition. Last, it seems that whenever a
proposition is well-formed and has a truth value its terms must supposit
for something. it must be said, however, that rather than offering
arguments to counter this alternative account, Peter seems to be
repeating in various forms the claim that the latter is inadequate. 3.1.4
Sketch of Peter of Mantua’s solution In the fourth section, Peter finally
offers his own solution. With respect to the tax onomy of solutions mentioned
above, it might be said that the approach he adopts is in terms of a
secundum quid and simpliciter distinction, but such a characterisation
would not be very informative, since solutions of very different nature
fall under this general heading. Peter’s formulation is quite uncommon
and seems to have been preceded by only one other example in the
insolubilia tradition, namely that of John �yclif. tation, discussion and defense of the latter as a
contextualist solution to the Liar see c. PanaccIo, Restrictionism : A
Medieval Approach Revisited, in rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth
and the Liar cit., pp. 9- 53). Generally speaking, the main distinctive
feature of strong restrictionism is that it rules out all kinds of
self-reference declaring ill-formed propositions that seem to be harmless
(and true) like « This is an affirmative proposition » (referring to
itself). �eak restrictionism, by contrast, circumscribes the
constraint only to problematic cases that generate paradox. the standard
criticism against these two positions is that the former is too strong, while
the latter looks ad hoc. it seems to me that Peter is targeting some
version of strong restrictionism here, because the formulation given
above seems to cover the widest variety of cases. in particular, it is worth
noting that not only is it not permitted for a proposition to self-refer,
but also indirect self-involvement is ruled out. in other words a part of
p cannot supposit for q, if q is logically related to p (because it entails or
its negation entails, either directly or indirectly, p ; or because it is
entailed or its negation is entailed, either directly or indirectly, by
p). 4 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig.
o4+1rb-vb « dixerunt antiqui in hac materia quod pars propo sitionis non
supponit pro tota propositione cuius est pars nec pro convertibili nec pro
contradictorio nec pro convertibili cum contradictorio ipsius [pro
istius] ». 504
rIccardo stroBIno in this section Peter introduces three distinct senses
in which a proposition can be said to be true. only two of them, however,
are relevant from a logical point of view insofar as they are used as
genuine semantic predicates. Liar-like propositions are then said to be
true in one sense and false in the other, so as to avoid contradiction (their
be ing true in one sense does not entail their being false in the same sense
and, conversely, their being false in one sense does not entail their
being true in the same sense). as will be shown in the next section, this
approach might seem to have a prima facie intuitive justification.
However, as has been noted already in the case of Wyclif’s solution43, it
does not provide a satisfactory account, because the paradox arises again as
soon as it is reconstructed by replacing the semantic predicate in a
suitable way. after laying down the distinction between different senses
of ‘true’, and consider ing a first block of objections, Peter also discusses a
series of additional arguments that seem to be variations on the theme of
the so-called postcard paradox. these are in particular identified as a
class of cases that must be rejected because they are equivalent to
impossible conditionals. the same view, in the very same context, is
again endorsed by �yclif among others. 3.2 Solution to semantic
paradoxes Peter of Mantua’s solution may appear, to some extent, quite
traditional in spirit. it seems to leave entirely out of the picture the
‘modern’ idea of an extra signified content of a proposition (to be found
both in albert of Saxony and �illiam Heytesbury, the
two main targets of Peter’s text). it focuses instead on the notion of
truth itself, grounding the solution on a conceptual distinction that
determines two senses (in fact three, but the first one is not relevant
for the discussion of insolubles) associated with it. His position can be
described, perhaps, as that of a weak proto-hierarchist, i.e. a theorist
that allows for a two-level hierarchy of semantic predicates that applies,
however, only to the case of self-referential propositions. Let us
examine the relevant texts. « [4.1] [T0 ] Hence, since ‘true’
signifies every being insofar as it is a term of first intention or
imposition, and in this sense every being is true and no one is false or a
fictum, and [again] in this sense every proposition is a true proposition
and not a fictional one, we shall not care about this [sense of the term]
in the present [context]. Rather we shall say that a proposition can be
said [to be] true in two senses. [T1 ] In one sense [a proposition
is said to be true] when it is verified not by the sup posits of its terms,
among which it itself or another proposition is [found as] a supposit —
i.e. [we shall say] that a proposition is made true [in this sense] neither
because a part of it supposits for that very same [proposition] nor
[because a part of it supposits] for something relevant to it, like [the
proposition] ‘there is a god’. in this sense those 43 See the
introduction to wyclIf, Summa insolubilium cit., pp. xxxI-xxxIII. PEtEr of
mantua on InsoluBlE ProPosItIons propositions that are about terms of
first intention or imposition are true or false properly and absolutely
(proprie et simpliciter). in this sense, ‘proposition’, according to its
own etimology and [taken] literally, signifies the same as ‘positing
[something] for something else’. Most [propositions] are true or false in
this sense. [T2 ] In another sense a proposition is said to be true
when it is verified with respect to itself or to something relevant. in
this sense the self-referential proposition ‘this is <not> true’ is
true not absolutely but in some respect (non simpliciter sed secundum quid).
but it is false according to the first sense [i.e. simpliciter], because
it is verified only with respect to the supposit of one of its parts, of
which [part the whole proposition] itself is the supposit44, like [in the
case of] ‘a human being is an ass or this disjunction is false’,
indicating through the subject [i.e. ‘this disjunction’] the whole disjunction
»45. According to a first general sense, namely when we take ‘true’ to be
a transcendental notion, everything is true, so we can easily drop this
from consideration in the context of a discussion concerning the Liar,
because any proposition, insofar as it exists, is a being and is
therefore true (truth being here no semantical notion). From the logical
standpoint, however, there are two other senses of ‘true’ that should be
taken into account. �e can characterise them as
follows : a proposition p is true in a first and proper sense if (Corr) a
criterion of correspondence (specified independently and depending
ultimately on one’s own theory of truth) is satisfied 44 or, perhaps in a
better wording, « and the supposit of that part is [the whole proposition]
itself ». 45 PEtEr of mantua, Insolubilia cit.,
sig. o4+1vb-o4+ ra. « [t0 ] Et ergo, cum ‘verum’ omne ens significet prout est
terminus prime intentionis vel impositionis, et hoc modo omne ens est verum et
nullum falsum seu f ictum, et hoc modo omnis propositio est vera
propositio et non ficta, ideo de hoc in presenti non curamus. Sed dicemus
quod duobus modis propositio potest dici vera. [t1 ] Uno modo quando
verificatur non propter supposita suorum terminorum quorum suppositorum
ipsa vel alia propositio est suppositum — scilicet quod propositio vera
non reddatur vera ex eo quod pars eius supponat pro ipsamet nec pro
pertinente ad ipsam, sicut hec ‘deus est’. Et isto modo ille
propositiones que sunt de terminis prime intentionis vel impositionis
sunt proprie et simpliciter vere vel false. Quo modo propositio ex sua etimologia et
sermonis Quo modo propositio ex sua etimologia et sermonis virtute
significat idem quod ‘pro alio positio’. Et hoc modo maior pars est vera vel
falsa. [T [t ] alio modo dicitur propositio esse vera quando
verificatur pro se vel pro pertinente. Et isto modo hec propositio est vera ‘hoc
<non> est verum’, seipsa demonstrata, non simpliciter, sed secundum quid.
Sed est falsa primo modo, quia non verificatur nisi pro supposito sue
partis cuius ipsa est suppositum, sicut ista ‘homo est asinus vel ista
disiunctiva est falsa’ demonstrata per subiectum tota illa disiunctiva ». — the
text is garbled the text is garbled in the manuscript tradition,
and the emendation ‘hoc <non>estverum’isnecessarybecausePeteristalking
hoc <non> est verum’isnecessarybecausePeteristalking is necessary
because Peter is talking here about the Liar, not the truth teller. the
claim is supported by the fact that further down in the text, when the
latter is mentioned, the early printed text of E (against all manuscripts)
provides a better reading. the truth teller and the Liar receive opposite
truth values, according to Peter. there is no example of a discussion of
the truth teller in the whole treatise that might suggest clearly that Peter
wants it to be true in some respect (if this were to be the case, the
choice would be arbitrary and that would be a problem for the theory). on
the other hand, the conjecture proposed here is consistent with the reading of
E against all manuscripts in the next passage, and despite the cost of
intervening twice with the support of one witness only, it appears to be
the only way to make good sense of the text. 506 rIccardo stroBIno
and (¬R) the semantic value of p does not depend on the evaluation of p itself
(or some other proposition q that is logically related to p), i.e. if the
proposition is not self-referential and, therefore, does not act as a
truth-maker for itself. on the other hand, a proposition is true in the
second sense if, again, (Corr) a criterion of correspondence is satisfied
and (R) the semantic value of p does depend on the evaluation of p itself
(or some other proposition q that is logically related to p), i.e. if the
proposition is self-referential and does act as a truth-maker for itself.
The justification for a solution in terms of the distinction secundum quid et
sim pliciter is laid down by appealing to such a twofold characterisation of
the notion of truth. all propositions — non-problematic as well as problematic
ones — receive a truth value at level 1, i.e. in the object language. the
former are evaluated by looking at the world and are said to be
absolutely true or false according to whether what they say is the case
or not. the latter receive by default the truth-value false at level 1,
simply because they are self-referential (not because what they say is not the
case), but are then also evaluated at level . at level , correspondence
again comes into play. if what they say is the case, then they are t ,
otherwise they are F . thus, on this picture, any proposition that
contains a trace of self-reference is F1 , but it can still turn
out to be t . this is precisely the case for the Liar, which, as we will
shortly see, if interpreted in a suitable manner, is said to be F1
but t . Responding to some objections according to which this approach
would lead to the claim that truth is an equivocal notion, Peter is
prepared to concede this point, as is clear from the following passage
: « [4.3] but with respect to these [issues] one should understand that
the term ‘true’ is an equivocal term and the propositions ‘this is true’,
‘not this is true’ and the like are all propositions with multiple
senses. therefore, when ‘not this is true’ [or] ‘this is false’ [i.e. the
Liar] is proposed, one should not respond according to a single response,
but rather one should respond that this is false according to the first
member of the divi sion introduced [above] and true according to the other. and
likewise as far as their contradictories ‘not this is false’, ‘this is
true’ [i.e. the truth teller] are concerned, [one should respond] by
denying that this is true according to the second sense of the division
introduced [above] and by conceding that this is false in the first sense
»46. 46 PEtEr of mantua,
Insolubilia cit., sig. o4+ va « Pro istis intelligendum est quod iste terminus
‘verum’ est terminus equivocus et iste propositiones omnes sunt
propositiones plures ‘hoc est verum’, ‘non hoc est verum’ et sic de aliis.
Et ideo, cum proponitur ‘non hoc est verum’, ‘hoc est falsum’, non est
secundum unicam responsionem respondendum, sed est respondendum quod hoc
est falsum secundum primum membrum divisionis posite et verum secundum
aliud. Et ita de suis contradictoriis ‘non hoc est falsum’, ‘hoc est
verum’, negando quod hoc est verum [verum E, against falsum bLMoPV]
secundo modo divisionis posite et concedendo quod hoc est falsum primo modo ». PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 507 Peter draws here a distinction between multiple
senses in which propositions are said to be true. or, to put it
otherwise, he ascribes different senses of ‘true’ to classes of
propositions identified on the basis of the syntactic property of being
or not-being self-referential. Propositions are usually (i.e. in most
situations in which we are just talking about the world) said to be true
only according to the first sense (T1 ) and in this sense they are
properly and absolutely (simpliciter) true or false. truth in this sense might
be labelled ‘truth in the object-language’47. Despite being false in the
first sense, some propositions can still be true in a second sense (t ),
when they act as truth-makers for themselves, and in that case they are
said to be true secundum quid, i.e. in some respect. in doing so, Peter
is looking at propositions on the basis of the two aforementioned
parameters : a criterion of correspondence (Corr) and the occurrence of
self-reflec tion (R). the logical relationships holding between the notions of
absolute truth and absolute falsehood, and truth and falsehood in some
respect can be represented as follows in function of these criteria
: T1 (p) T2 (p) ¬T1 (p) ¬T2
(p) iff iff iff iff (Corr)
∧ ¬(R)
(Corr) ∧ (R)
¬(Corr) ∨ (R)
¬(Corr) ∧ (R)48
iff iff F1 (p) F2
(p) these notions apply to the following categories of propositions
: (a) « there is a god », « Socrates is sitting », if Socrates is
actually sitting, « the proposition “there is a god” is necessary »
(t1 only) ; (b) « a human being is a donkey », « Socrates is
running », if Socrates is actually not running, « the proposition “a
human being is a donkey” is necessary » (F1 only) ; (c) « this is
not true » (Liar), « this proposition contains exactly six words » (F1
and t ) ; (d) « this is true » (truth teller), « this proposition
contains exactly twenty words » (F1 and F ). 47 note that
this is only intended to distinguish the cases in which a proposition talks
about itself from note that this is only intended to distinguish the
cases in which a proposition talks about itself from all other cases. if
a proposition is about (the truth or falsehood of) another proposition, it is
just as if it were about any other fact in the world. 48 it should
be noted that, on Peter of Mantua’s account, negation can be taken to ‘behave’
extensionally at it should be noted that, on Peter of Mantua’s account,
negation can be taken to ‘behave’ extensionally at level only
because we are restricting ourselves to the class of self-referential
propositions, and therefore, being F in fact means simply failing to
satisfy the correspondence criterion, once the proposition has already
been established to be self-referential. If we were to define F as the
dual of t we would be eventually forced to admit that t1
propositions are also, by definition, F , which would make little sense for a
semantic theory. 508 rIccardo stroBIno in the Liar case, Peter’s
claim is that we can consistently maintain that it is not true
absolutely, while still being true in some respect. in order for this to obtain
we have to assume explicitly that what the Liar says is that it itself is
not true absolutely. For in that case, (i) it is in fact not true
absolutely (because by definition all self-referential propositions are
not true absolutely), and (ii) since what it says is the case, it is true
in some respect, which means that the correspondence criterion is satisfied and
that the proposition is self-referential. in other words, even if
the Liar is strictly speaking false, it still has some amount of truth
(because what it says, namely that it is not true absolutely, satisfies the cor
respondence criterion : the proposition is not true absolutely because in order
for it to be true absolutely it should be immune from self-reference, and
it is not). thus if a is ¬T1 (a), the following holds : 1.
¬T1 (a) [=a] is ¬T1 . ¬T1 (a) [=a] is T A sufficient
condition for (1) is (R), because by definition, whatever is ¬T1 is
such because ¬(corr) ∨ (R). it is crucial here that
the reason of ¬T1 (a)’s [=a] not being T1 is (R) and not
¬(corr) : otherwise the claim of absolute falsehood would rely on a
failure of correspondence. But a failure of correspondence would then be a sufficient
condition for the absolute truth of the proposition, which exactly says of
itself that it is such that either what it says fails to obtain or it is
self-referential, and the paradox would arise again. On the other hand,
since A satisfies (R), because it is self-referential, and (corr),
because it says of itself that it is ¬T1 and it is in fact ¬T1 ,
then a is T . Once we accept these characterisations, the final move is
consequently to deny the Liar in one sense and affirm it in the other.
The solution simply amounts to clas sifying the proposition as true in one
sense (t ) and false in the other (F1 or, which is the same,
¬t1 ). at this point a contradiction no longer follows, because the sense
in which the proposition is true is not the same sense in which it is not
true. this can easily be seen if we look at the conditions that define
these notions : in order for the Liar to be not t1 it suffices that
it be self-reflexive. But it is self-reflexive, and what it says is that
it is not t1 , therefore it is t . it is noteworthy that Peter
himself recognises and explicitly aknowledges the fact that introducing
these two senses immediately leads to the conclusion that the notion of
truth is equivocal. if we rephrase the original formulation of the paradox
given above (see supra § ), we can see why Peter’s solution might be
thought to have a prima facie intuitive justification. PEtEr of
mantua on InsoluBlE ProPosItIons 509 Suppose a = ¬T1 (a) and
t = (t1 ∨ t )49, then the
following obtains : 1st leg of the paradox (1*) T(a)50
(2*) T(a) → ∃p (Sig (a, p) ∧ p) (3*) Sig (a,
¬T1 (a)) (4*) ¬T1 (a) nd leg of the paradox
(5*) ¬T1 (a) (6*) ∃p (Sig (a, p) ∧ p) → T(a) (7*)
Sig (a, ¬T1 (a)) (8*) T(a) (9) T2 (A) by (8*),
(5*), definition of T as (T1 ∨ t ) and disjunctive
syllogism the conclusion of the second leg of the argument is not
incompatible (as it used to be when we were using only one
truth-predicate in the original formulation of the paradox) with that of
the first leg. What is being said here is that one and the same
proposition, a, is (4*�) not true absolutely, but
(8*�) still true either absolutely or in some
respect. the distinction drawn above makes such a move legitimate. indeed,
it immediately turns out that a is true in some respect, and provably so
(the conclusion is derived by 5*�, 8*�, the hypothesis that t = (t1 ∨ t ) and disjunctive
syllogism). by contrast, in the original formulation of the paradox, (4)
and (8) taken together formed a contradiction. on such an account,
there is also an interesting story to be told about the truth teller. as
is well known, the truth teller is a proposition that fails to provide
proper truth conditions for its own evaluation. if it is true, it is
true, and if it is false, it is 49 �hatihavecalledearlierthe
�hat i have called earlier the transmission principle
(i.e. the proposed definition of truth) is formulated more broadly with
predicate t, which is now the disjunction of the two predicates t1 and
tt introduced above. the intent of this is to have the transmission
depend solely on (corr) : if things are as a proposition signifies them
to be, then the proposition is either true absolutely or true in some respect,
regardless of whether it is self-referential or not, and vice versa. the
revenge problem will ultimately depend on the adoption of this very same
predicate (or, possibly, even just of t ). i can only think of this broader
predicate as a plausible candidate for the definition of truth. 50
the the reductio would actually require a narrower assumption, namely
T1 (a). For (4*�) is not incompat ible with
(1*�). 510 rIccardo stroBIno false, but no
information conveyed by proposition itself can help us determine which is
the case. on Peter’s account, by contrast, the truth teller is false absolutely
— just as the Liar — simply because it is self-referential. �hen it comes to its evaluation at level , since what it says is
that it itself is t1 and this is not the case (because in order for
it to be t1 it should be non-self-referential, which it is not), then the
truth teller is not even t . the interesting thing about this approach is
that, although both the Liar and the Truth teller get the same truth
value at the first level (because they are both self-referential
irrespective of what they say), the intuitive need of providing a
different evaluation to those two propositions, which is grounded in the fact
that, being contradictories, they seem to say opposite things, can be
still preserved at level , where they in fact receive opposite truth
values. For the Liar is t , while the truth teller is not t . in sum
Peter’s approach seems to provide a viable solution, at least
intuitively, out of the paradox, and also suggests a reasonable way to look at
the truth teller. this logical project, however, is doomed to fail.
before looking at why the solu tion must eventually be rejected, let us briefly
look at the sources and the influence of Peter’s text. this will help us
introduce the content of the last section. Sources and influence
Albert of Saxony and William Heytesbury are the two most clearly identifiable
sources for Peter of Mantua’s treatise, and this fact was already
established in Spade’s catalogue, where the two names are associated with
that of Peter for the first (and last) time51. another connection is the
one that Peter has with Paul of Venice, who comes a few years later and
reports his views (anonymously). again, this fact had already been noted
by Spade, and it confirms a more general connection between the two
masters, since in other parts of Paul’s Logica Magna traces of Peter’s
doctrines are to be found5 . 51 See sPadE, The Medieval Liar cit., p. 86
(s.v. Peter of Mantua, Lii). this was, however, already obvi . this was, however,
already obvi this was, however, already obvi ous to contemporary readers : in
one of the six manuscripts that preserve the text of Peter’s Insolubilia
(Mantova, biblioteca comunale, ms. 76, f. 79va in margine), the copyist, an
arts student at Ferrara in the 14 0s, writes Heytesbury’s name in the
margin at the beginning of the passage where Peter sets out to discuss
his view. 5 See Paul of VEnIcE, Tractatus de insolubilibus cit., f. 193vb
« alius magister ideo favens huic opinioni sed non in modo
subordinationis assignate ponit quod huiusmodi termini ‘verum’ et ‘falsum’ sunt
termini equivoci deducta ipsorum transcendentia, sed solum ut de signis
complexe significantibus dicunt propositio ergo ait duobus modis potest
esse vera. Uno modo dicitur propositio esse vera quando ipsa verificatur non
propter sup posita suorum terminorum quorum ipsa <propositio est
suppositum>, scilicet quod propositio non redditur vera ex eo quod
pars eius supponat pro ipsamet nec pro pertinente ad ipsam, sicut ‘deus est’. Et isto modo propositiones
que sunt de terminis prime intentionis vel impositionis sequitur simpliciter et
proprie esse vere vel false. Quo
modo ‘propositio’ ex etimologia sermonis virtute idem significat quod pro alio
positio. Alio modo dicitur propositio vera quando verificatur pro seipsa
aut pro alio pertinente. Et illo modo hec
propositio est vera ‘hoc <non> est verum’, seipsa demonstrata, et
hec ‘hoc est falsum’ seipsa demonstrata, non simpliciter sed PEtEr of
mantua on InsoluBlE ProPosItIons 511 there are, however, a few
additional facts that — to the best of my knowledge — no one seems to
have noticed so far. The first shows the strong debt to another
representative of the tradition of English logic. the second is a more minute
considera tion that counts as an interesting historical detail. Let me deal
briefly with the latter, f irst : Spade refers in his catalogue to
the position of a certain anthony de Monte, the copyist of a number of
tracts transmitted in the oxford manuscript, Canon. misc. 19 (which is
for the most part a collection of logic treatises among which Peter’s
Logica is preserved in its entirery53). this anthony can be independently
established as an associate of Peter’s from the Padua circle where Peter
had been educated before mov ing to bologna. the oxford manuscript contains a
leaf copied by anthony with some conclusions concerning insolubles where
he discusses the positions of albert of Saxony and �illiam Heytesbury, explicitly quoting their names. the text dates from
the mid 1390s, i.e. right after Peter is assumed to have finished his
Logica (in the early 1390s54). it is likely that this very brief text
derives its selection of sources from the ‘portfolio’ that is to be found
in Peter, or that they might have had a source in common. the main point
that i want to stress here, however, is not about a ‘follower’, but about
a source. Peter’s solution in terms of the distinction of different senses of
‘true’ is already found in the logical writings of John �yclif in the very same context, a strategy which is nowhere else
to be found in the context of the insolubilia-literature. �yclif’s discussion is much longer than Peter’s and includes many
different con siderations, but when it comes to truth and the solution to the
Liar their accounts are very close to one another : « if we
restrict our discourse to signs, three better known degrees can be singled
out according to which a proposition can be true or false.
[T0 ] In the first broadest sense, a proposition is true because it is a
being, for being and true are convertible according to the
philosophers. [T2 *] [...] in a second, slightly narrower sense, a
proposition is said to be true, because of the truth that it primarily
signifies ; no matter whether that truth consists in [the proposition]
itself, or something that depends on it, or [again] an entirely distinct being
; secundum quid. Sed est falsa primo modo, quia ipsa non verificatur nisi
pro supposito sue partis cuius ipsa est suppositum. concludit ergo quod
ille propositiones sunt plures ‘hoc est falsum’, ‘hoc est verum’ et sic de
aliis. Quare, cum proponitur aliqua illarum, non est secundum unam
responsionem respondendum sed dicendum quod hoc est falsum secundum
primum membrum <divisionis> posite, et verum secundum aliud ». cf.
also also sPadE, The Medieval Liar cit., pp. 8-84 (s.v. Paul of
Venice, L). 53 See sPadE, The Medieval Liar cit., pp. 5 (s.v. anthony de
Monte, XXVi). For a description and analysis of the content of the manuscript,
see a. maIErù, Le ms. Oxford canonici misc. 19 et la Logica de Strode, in
Id. ed., English Logic in Italy in the 14th and 15th Centuries. Acts of the 5th
European Symposium on Medieval Logic and Semantics, Rome 10-14 November
1980, bibliopolis, napoli 198 , pp. 87-110. 54 See See JamEs, Peter
Alboini of Mantua cit., p. 163. 51 rIccardo stroBIno and in this
sense the following propositions are true : ‘this proposition exists’,
‘this proposition signifies’, ‘this proposition Socrates sees’, ‘there is
a god’ and the like. [T1 ] [...] Third, in a specific sense a
proposition is said to be true when it primarily has a significatum that
is independent of the proposition itself, like the following : ‘there is
a god’, ‘the sun is moved’. and aristotle spoke according to this sense when
he said : “a proposition is true or false because the thing that the
proposition primarily signifies is or is not, and not by virtue of a
change occurring in the proposition”. And the etimology agrees with this
common way of understanding a proposition, because according to the
former ‘proposition’ derives [its name] from ‘positing [something] for
something else’. […] it is clear from the above that something false in
this sense [i.e. F1 = ¬T1 ] is true both in the first [i.e.
T0 , which is not relevant here] and in the second sense [i.e. T *]. it
is also clear that if something is true in the third sense [T1 ],
then it is true also in the second sense [T *], but not the other way
around. on the basis of such premises, i say that all [propositions] that
are commonly called insolubles are true as well as false »55. it should
be noted that �yclif understands the relationship between T1
and T *� to be one of extensional inclusion, i.e. all
T1 propositions are T *� propositions, because
T *� propositions include all T1 propositions, plus
all propositions that are (i) self-ref erential and (ii) satisfy
(corr)56. in other words, the conditions for T1 are the same as in
Peter’s case : T1 (p) iff (Corr) ∧ ¬(R) but those for T
are weaker, because in the end the only requirement is that the cor respondence
criterion be met. This is because, by definition, 55 wyclIf, Logicae
continuatio cit., vol. ii, ch. Viii, pp. 04- 05 « Sed restringendo sermonem ad
signa notantur tres gradus famosiores quibus contingit proposicionem esse
veram vel falsam. [t0 ] Primo modo largissime est proposicio vera,
quia ens ; nam ens et verum secundum philosophos convertuntur. Et cum isto famoso modo intelligendi
proposicionem concordat etymologia, qua ‘proposicio’ dicitur a ‘pro alio
posicio’. [t *] Secundo modo, paulo contraccius dicitur proposicio vera,
propter veritatem quam primarie significat ; sive ipsa veritas sit
ipsamet, vel ab ipsa dependens, sive ens omnino distinctum ; et isto modo
sunt tales vere : ‘hec proposicio est’, ‘hec proposicio significat’, ‘hanc
proposicionem videt Sor’ [assuming at least one of them to be
self-referential], ‘deus est’, et similia. [t1 ] […] Sed tertio
specialiter dicitur proposi cio vera, quando habet primarie significatum
independens ab ipsa, ut sunt tales : ‘deus est’, ‘sol movetur’, etc. Et
isto modo locutus est aristoteles de proposicione, dicens : “in eo quod res est
vel non est, quam proposicio primarie significat, est ipsa vera vel
falsa, et non propter mutationem factam in proposicione”. Et ex istis
patet quod falsum isto modo est verum tam primo modo quam secundo. Patet eciam
quod si quicquam est verum tertio modo, tunc est verum secundo modo ; sed
non econtra. istis premissis, dico quod omnia vocata communiter
insolubilia sunt tam vera quam falsa ». cf. also Id., Summa insolubilium
cit., pp. 5-8, for a parallel discussion. 56 obviously (corr) ultimately depends on one’s
favourite theory of truth. obviously (corr) ultimately depends on one’s
favourite theory of truth. PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 513 T2 * (p) iff
iff iff iff (T1 (p) ((Corr ∧ ¬R) ((Corr)
(Corr) ∨ ∨ ∧ (Corr ∧ R)) (Corr ∧ R)) (¬R ∨ R)) i.e., no matter
whether p is self-referential or not, p will be T *� if and only if p meets the correspondence criterion, i.e. if and
only if what it says is the case. as for false hood, on Wyclif’s account, it is
the same notion that we find in Peter, when it is the negation of
T1 ¬T1 (p) iff ¬(Corr) ∨ (R) iff
F1 (p) but it must be understood in terms of a weaker
condition when it comes to the nega tion of T *� ¬T2 * (p) iff ¬(Corr)57
iff F2 * (p). the solution to the paradox
is, just as on �yclif’s account, to declare the Liar to be true
and false, but according to different senses. now, before looking at how
both accounts fail to do what they are supposed to, as they turn out to
be inconsistent, it is worth considering the main logical difference that
distinguishes them. both can argue that the Liar is ¬T1 but T (or T
*�) ; moreover, they can also both provide a
justification for the claim that the Truth teller is ¬T1 and ¬T (
or ¬T *�). they only depart from one another in their
respective account of negation. Wyclif has only one type of negation,
Peter must have two. By definition, according to �yclif the following relations hold : J�1. ¬(T *� (p) → T1 (p))
i.e. it is not the case that if p is true in some respect, it is also true
absolutely, because ¬ (corr → (corr ∧ R)). 57 �hich means that in �yclif’s case, negation
behaves in the same way on both levels, the difference �hich means that in �yclif’s case, negation
behaves in the same way on both levels, the difference being that at
level the only parameter under consideration is whether the
correspondence criterion is or is not satisfied. 514 rIccardo
stroBIno J� . T1 (p) → T *� (p) i.e. if p is true absolutely, then it is also true in some
respect, because (corr ∧ R) →
corr. by contraposition, from J� we can obtain J�3. ¬T *� (p) → ¬T1 (p)
i.e. if p is not true in some respect, then it is not true absolutely, because
¬corr → (¬corr ∨ R). theses J� and J�3, on �yclif’s account are equivalent.
by contrast, on Peter’s account the following relations hold : PM1.
¬(T (p) → T1 (p)) as for �yclif, it is not the case that if p is true in some respect, then it is
true absolutely, because ¬ ((corr ∧ R) → (corr ∧ ¬R)). PM . ¬(T1
(p) → T (p)) but on the other hand, nor is it the case that, if p is true
absolutely, then it is also true in some respect, because ¬ ((corr ∧ ¬R) → (corr ∧ R)). PM3. ¬T (p)
→ ¬T1 (p) if it is not the case that p is true in some
respect, must it be false absolutely ? ac cording to Peter it must, because by
definition, being not true in some respect means satisfying both
conditions required for being ¬T1 , i.e. (¬corr ∧ R) → ¬(corr ∧ ¬R)
→ (¬ corr ∨ R) but then, one might
argue that after all from PM3 by contraposition we can derive PM4.
T1 (p) → T (p) which is not compatible with Peter’s account.
i believe the point at stake here is pre cisely that two different kinds of
negation are operating on Peter’s view. Standard PEtEr of mantua on
InsoluBlE ProPosItIons 515 negation would require us to apply de
Morgan’s laws to the conditions of ¬T (p) and ¬T1 (p)
in PM3. ¬T (p) → ¬T1 (p) and obtain PM4. T1
(p) → T (p) only the move from the consequent of PM3 to the
antecedent of PM4, however, is legitimate, because standard negation
applied to ¬T1 (p) in fact yields T1 (p). as for the other
transformation, one cannot simply deny ¬T (p) to obtain T (p)
because the two share a condition, namely that the proposition be
self-referential. in which case, by restricting ourselves to the domain
of self-referential propositions, we would restore perfect duality, but
at the cost of going back to �yclif’s framework. it
remains therefore unclear what progress Peter’s approach is supposed to
achieve. be this as it may, as i have already said, both projects are
inevitably destined to fail. the fact has been noted already in �yclif’s case, and the argument applies also to Peter’s approach,
and it does not seem that their divergence on negation might be of any
help in working out an alternative solution to save either of them. 3.4
Revenge Peter of Mantua’s solution is to claim that a, the Liar, says of
itself that it is not true absolutely, and since it is in fact not true
absolutely (because it is a self-referential proposition), what it says
is the case, which makes it therefore true in some respect, according to
the definitions of the two notions given above. If this solution might
have a superficial appeal, because it establishes the truth value of the
Liar without thereby committing itself to the paradox, it soon becomes
clear that its success is not much of an advance. For it is not immune
from the so-called revenge problem. Let us assume that T stands for T1
∨ T2 . T(p)
means that p is either true absolutely (correspondence criterion met
without self-reference) or true in some respect (corre spondence criterion met
with self-reference). �hat happens if the paradox is
proposed anew in the form ¬T(a) ? it arises again, and leads us back to
the original formulation. at this stage, however, there does not seem to
be a way around it. 1st leg of the paradox (1**) (2**)
T(a) T(a) → ∃p (Sig (a, p) ∧ p) 516 rIccardo
stroBIno (3**) (4**) Sig (a, ¬T(a)) ¬T(a) nd leg
of the paradox (5**) (6**) (7**)
(8**) ¬T(a) ∃p (Sig (a, p) ∧ p) → T(a) Sig (a,
¬T(a)) T(a) From a logical point of view, what is going on here (as
well as in �yclif’s case, which is open to the same kind of
criticism) is that we are entitled to consider the two distinct
definitions modulo self-reflection. Thus, rephrasing the paradox as above
is equivalent to asking of a given proposition a = « = « ‘a’ fails
to meet its own correspon dence criterion » whether a fails to meet its own
correspondence criterion. but then whether a fails to meet its own
correspondence criterion. but then of course, if it does, it does not ;
and if it does not, it does. the paradox rises like a phoenix from the
ashes. one might be tempted to think that revenge occurs even if we
confine ourselves to rephrasing the paradox in terms of the new truth
predicate T2 (or T2 *�), i.e. by asking whether a =
¬T2 (a) is true or false58 1st leg of the paradox
(1***) (2***) (3***) (4***) T2
(a) T2 (a) → ∃p (Sig (a, p) ∧ p) Sig (a, ¬T2
(a)) ¬T2 (a) nd leg of the paradox (5***)
(6***) ¬T2 (a) ∃p (Sig (a, p) ∧ p) → T(a) 58 this
seems to be, in particular, Paul of Venice’s approach. although awareness of
the revenge pro this seems to be, in particular, Paul of Venice’s approach.
although awareness of the revenge pro blem dates at least as far back as bradwardine
(part of a section of his treatise is devoted to this family of problems,
see BradwardInE, Insolubilia cit., ch. 7), Paul of Venice addresses this
particular version proposed by Peter of Mantua, see Paul of VEnIcE,
Tractatus de insolubilibus cit., ff. 193 ff. 193vb-194ra « Sed hec
declaratio non solvit insolubilia sed potius se involvit. nam capio
‘verum’ et ‘falsum’ secundo modo et probo quod sic sumendo hec est falsa
‘hoc est falsum’, se demonstrato. Nam si ipsa sit vera et significet adequate
hoc esse falsum, igitur verum est hoc esse falsum. consequentia tenet apud
eum ; et ultra verum est hoc esse falsum ; igitur hoc est falsum, sic
sumendo. Et sic habeo quod idem est verum et falsum secundo modo dicto
[pro dictis], quod ipse negat ». PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 517 (7***) (8***) Sig (a,
¬T2 (a)) T(a) in order to generate the paradox, what is
needed here is in fact a much more re stricted (and false) principle, i.e. that
whenever p signifies something that is the case, p is true in some
respect. this is obviously not the case, because in most ordinary
situations — i.e. when it is not self-referential —, whenever p signifies
something that is the case, p is true absolutely. Yet, since here a is
indeed self-referential, it cannot be true absolutely. therefore, we
would still have a contradiction, because from (8*�*�*�), (5*�*�*�) and disjunctive syllogism,
we could prove T1 (a). but a is self-referential and cannot in
principle be true absolutely59. the two revenge arguments both apply in �yclif’s case because his notion of truth in some respect in fact
coincides with cor respondence. Peter might have a little advantage over the
second formulation, but he would still have to find a way out of the
first. 4. conclusIon Paradoxes are a rather natural context for the
development of discussions concern ing truth, already in the framework of
medieval logic. it is probably no coincidence that a rigorous
characterisation — or at least the strive for a rigorous characterisation
— of the notion of truth, and the systematic development of formal theories of
truth in post-Fregean logic, is closely connected to the discovery or
re-discovery of a variety of paradoxes between the end of the XIXth and
the first half of the XXth century. In this respect, even if trying to
find anything comparable to such a systematic modern attempt in medieval
logic would be probably a slightly optimistic endeavour, the conceptual
analysis of logical paradoxes, already in that context, prompted consid erable
efforts and the development of a remarkable number of different
solutions. then, more or less as nowadays, there were theorists who
believed the actual truth value of Liar-like propositions could be
determined and yet paradox could be avoided ; others who sought a
compromise (true in one sense, but not in another, or accord ing to contextual
parameters) ; people who tried to push the problem a level further (rule
out certain types of propositions, refuse to acknowledge meaningfulness to
the proposition), people who claimed the paradox is semantically overdetermined
(both 59 the reason of this complication, which might be even regarded as
an advantage of Peter’s view over the reason of this complication, which
might be even regarded as an advantage of Peter’s view over �yclif’s, lies in their different criteria for ¬T2 and ¬T2 *.
on �yclif’s account, rephrasing the paradox in the
way presented in this section (a fails to meet its own correspondence
criterion) or in terms of the second sense of ‘true’ (a is not true in
some respect) has the same result, because T2 * and ¬T2 * are
symmetrically defined in terms of correspondence vs non-correspondence. I
wonder whether on this basis Peter might defend himself in a better way
at least against a formulation of the revenge problem that makes use of
¬T2 (as opposed to �yclif’s ¬T2 *) only.
518 rIccardo stroBIno true and false) or underdetermined (neither
true nor false). in this paper i have tried to show how some of these
approaches interact with one another, by putting them into perspective
from the standpoint of a late XiVth century logician. it turned out that
a particularly relevant theoretical position is taken (albeit in
significantly different ways and, for that matter, with varying degrees
of success) by a number of logicians such as bradwardine, buridan, albert
of Saxony and �illiam Heytesbury. all of them try to solve the
paradox with similar tools : in particular by adopting certain
assumptions — in a restricted or unrestricted manner — on the
signification of propositions, and by suitably refining their definition
of truth. The last two are especially important for understanding the
context of Peter of Mantua’s treatise. His work on insolubilia puts
forward a solution that is strongly reminiscent of the traditional
secundum quid and simpliciter approach, although such a characterisation
embraces a broad variety of alternative accounts. the distinction between two
senses of ‘true’, which applies to propositions according to their
syntactic structure and what ultimately determines their semantic value,
seems to foreshadow, as it were, a remote distinction between grounded
and ungrounded propositions. it does, however, not reach much further
than that. as noted above, it is understandable as a weak (proto-) hierarchical
solution. Hierarchical because it attempts to solve the paradox by intro ducing
a new sense of ‘true’ intended to provide a further semantic discrimination
for propositions that would otherwise simply be regarded as false (some
of these are still false even in the second sense, when they fail to
signify things as they are ; but if they do signify things as they are,
they are true at least in the second sense). �eak because it introduces a new truth predicate only for a
restricted class of propositions, namely self-referential ones. Most
propositions talk about the world and are unproblematic. they are either
true or false in absolute terms. Some other propositions self-refer, in
which case they are strictly speaking always false. Yet, according to whether
what they say is the case or not, they receive an additional truth value
one level up and are either said to be true in some respect or false in
some respect. this allows to solve a very basic version of the paradox,
but as long as the new truth predicates are rear ranged in a suitable way, the
contradiction resurfaces immediately. i am doubtful about whether Peter’s
own version of the secundum quid and sim pliciter solution can be saved. a way
out could be to open the hierarchy upwards, by dropping the intuitive
syntactic justification that led to the introduction of the second truth
predicate. One would have to adjust the definition of truth and the introduc
tion of each additional predicate would no longer have an intuitive
justification : all propositions that have a truth value at level 1,
retain that truth value throughout. Some propositions that are false at
level 1, can be true at level , like for example, in the Liar case, a,
which is ¬T1 and T2 . as we have seen, if we ask of a = ¬T2
(a) whether it is true or not, we might run into difficulties, if the set
of truth values includes only T1 and T2 . �hat if we did not have such a limit ? �e might tentatively want to claim PEtEr of mantua on InsoluBlE
ProPosItIons 519 that a is ¬T1 and ¬T2 but T3 and
redefine truth as T(a) ↔ ∃p (Sig (a, p) ∧ p), where T is
(T1 ∨ T2 ∨ T3 ). the only
condition that all truth predicates would have to have in common is
correspondence. this would leave open the most general formulation of the
paradox once we deny T of a, but it might avoid each singular instance.
thus, for example, a = ¬T2 (a) is ¬T1 and also ¬T2 ,
stipulating that whenever a proposition denies of itself the n-th truth
predicate at level n it is ¬Tn (for any n greater than 1). but this
would mean, generally, that since this is what the proposition says, at
the next n+1-th level, the proposition is Tn+1 , and the definition
of truth at n is T(a) ↔ ∃p (Sig (a,
p) ∧ p), where T is
(T1 ∨ … ∨ Tn-1 ∨ Tn ). be this as
it may, two further questions, more closely related to Peter’s immediate
theoretical concerns, deserve to be raised. First, in what way, if any, does
the treatment of the Liar affect the notion of logical consequence
(validity) that Peter endorses in his Logica. Secondly, how does the
solution proposed here interact with his general account of truth ? these
questions will have to remain open for the time being, but i believe that
Peter’s effort in rejecting both albert of Saxony’s and �illiam Heytesbury’s views on insolubles goes far beyond the mere
fact that these two authors happen to be relevant sources for Peter’s
work. the ultimate target seems to be, in both cases, the
characterisation of truth in terms of different howsoever-clauses. it will be
interesting to explore how this notion is employed in the account of
consequences and in the account of truth. this, however, will have to
wait for next round. abStRact this paper offers an analysis of a
hitherto neglected text on insoluble propositions dating from the late
XiVth century and puts it into perspective within the context of the
contemporary debate concerning semantic paradoxes. the author of the text
is the italian logician Peter of Mantua. the treatise is relevant both
from a theoretical and from a historical standpoint. by appealing to a
distinction between two senses in which propositions are said to be true,
it offers an unusual solution to the paradox, but in a traditional spirit that
contrasts a number of trends prevailing in the XiVth century. it also
counts as a remarkable piece of evidence for the reconstruction of the
reception of English logic in italy, as it is inspired by the views of
John �yclif. three approaches addressing the Liar paradox
(albert of Saxony, William Heytesbury and a version of strong
restrictionism) are first criticised by Peter of Mantua, before he
presents his own alternative solution. the latter seems to have a prima
facie intuitive justification, but is in fact acceptable only on a very
restricted understanding, since its generalisation is subject to the
so-called revenge problem. Nome compiuto: Petrus de Mantua. Petrus Mantuanus. Petrus Alboinis de Mantua. Petrus
Alboini Mantuanus. Pietro di Mantova. Keywords: logica. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Alboini,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice ed Albucio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An orator and a pupil of Papirio
Fabiano (si veda). He appears to include regularly philosophical arguments and
allusions in the speeches he makes on behalf of clients. Nome compiuto: Albucio Silo. Albucio. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice d Albucio,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Albucio: l’orto a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). FIlosofo italiano. Termina i suoi
studi ‘classici’ ad Atene. Dell’orto. Familiarizza bene con la letteratura, anzi,
secondo CICERONE, con sarcasmo, è ormai un “greco.” A causa della sua passione
per la lingua e la filosofia greche, venne preso in giro dal poeta satirico
Gaio Lucilio (si veda), i cui versi su di lui sono giunti a noi grazie a CICERONE.
Cicerone stesso lo descrive come un uomo frivolo. A. accusa, senza successo,
Quinto Mucio SCEVOLA (si veda) l'Augure di malamministrazione – “repetundae” --
della sua provincia. E propretore nella Sardegna, e grazie ad alcuni
insignificanti successi che ottene contro i predoni, celebra un trionfo nella
provincia. Quando ritorna a Roma, chiede al senato romano di ottenere l'onore
di una supplicatio, ma la sua richiesta venne respinta, e venne accusato di
concussione da Gaio Giulio Cesare Strabone, zio di Giulio CESARE (si veda), e
condannato all'esilio ad Atene. Gneo Pompeo Strabone si è offerto come
accusatore, ma la sua richiesta venne respinta, perché era stato questore di A.. In seguito alla sua condanna, si dedica agli
studi filosofici. Scrive alcune orazioni, che vennero lette da Cicerone. Cicerone,
Brutus; Cicerone, de finibus bonorum et malorum; Orator; Cicerone, de
provinciis consularibus; in Pisonem; Divinatio in Q. Caecilium; de officiis; Cicerone,
Tusculanae disputationes. Smith, Dictionary of Roman Biography and Mythology. A.
Treccani; Istituto dell'Enciclopedia Italiana; V · D · M Epicureismo, Antica
Roma; Biografie; Filosofia; Politici romani; Filosofi romani Retori romani Filosofi;
Pretori romani Epicurei. Grice
ed Albucio – Roma – filosofia italiana—Luigi Speranza (Roma). Tito Albucio was
a philosopher of what the Italians call ‘L’Orto,’ The Garden. He pursued a political
career, but was sent into exile after being found guilty of extortion. Cicerone
suggests that Albucio was not a particular good follower of the Garden, and
‘something of a poser.’ Nome compiuto: Tito
Albucio. Albucio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
ed Albucio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Alcia: la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Lugi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), A. was a
Pythagorian. Alcia. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
ed Alcia,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.


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