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Monday, August 4, 2025

GRICE ITALO A-Z A AL

 

Luigi Speranza -- Grice ed Albani: la razione conversazionale del proto-pirotese e del deutero-esperanto – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Paolo Albani  LINGUE IMMAGINARIE  E FOLLI LETTERARI: ALCUNI CASI ITALIANI  Nelle ricerche sui «folli letterari», Raymond Queneau e André Blavier limitarono il loro campo di osservazione ai testi francesi e belgi. Un’indagine analoga non è mai stata condotta sui «folli letterari» italiani, sebbene esista in Italia una quantità considerevole di materiale interessante sull’argomento, ancora in parte sconosciuto.   A cominciare da quello archiviato dal medico alienista e antropologo italiano Giuseppe Amadei (1854-1919), in un certo senso un precursore di Queneau. Infatti verso la fine del secolo XIX (quindi molto tempo prima della ricerca sui «folli letterari» di Queneau iniziata a partire dal 1930) Amadei studia da psichiatra la “letteratura dei pazzi” e raccoglie, con un lavoro durato parecchi anni, grazie all’aiuto di egregi amici e specialmente per il “generoso e copioso contributo” di Cesare Lombroso, una collezione preziosa e unica di opere stampate di mattoidi e paranoici che affrontano argomenti scientifici, che Amadei chiama «mattoidi scientifici». Queste opere trattano «di filosofia e cosmologia, di teologia e questioni religiose, di scienze politiche e sociali, di scienze giuridiche, di scienze mediche, di psicologia, psichiatria, educazione, di filologia, di storia naturale, di fisica, di astronomia, di meteorologia, fisica terrestre, agricoltura, di matematica, di meccanica».  «Io mi occupo di tutto questo materiale,» scrive Amadei, «cercandovi un contributo allo studio del Delirio. L’argomento del Delirio considerato in sé stesso è molto trascurato e, secondo me, a torto, poiché merita invece, nel momento attuale dell’evoluzione della psichiatria la maggiore attenzione. Mi è parso poi, che importanza anche maggiore tale ricerca dovrebbe assumere, se rivolta a quella forma del Delirio paranoico, che è il Delirio scientifico, quasi punto studiato, e di cui pure tanto ricche, e significanti, e caratteristiche sono le manifestazioni» (Giuseppe Amadei, “I Mattoidi Scienziati. Studi bibliografici”, Bullettino Medico Cremonese. Organo del Comitato locale dell’Associazione Medica Italiana).  La “collezione Amadei” è oggi consultabile presso la Biblioteca Classense di Ravenna.    Limitando il nostro sguardo ai «folli letterari» italiani che, nel secolo XX, si sono occupati di lingue artificiali, ovvero agli inventori di «lingue immaginarie», iniziamo con il caso forse più significativo e cioè l’Antibabele, un progetto di lingua internazionale «basata su quell’elemento universale ed eterno ch’è il numero», elaborato dall’avvocato bolognese Gaj Magli, autore dell’Antibabele - Lingua nuova: mondo nuovo (Zuffi, Bologna 1950), Antibabele, la vera lingua universale (Tipografia A.G.I., Roma) eL'Antibabele. Dizionario simultaneo di 11 lingue (Gabrielli, Roma 1989). Magli ha scritto inoltre romanzi, sceneggiature e opere teatrali, «segnalate in concorsi nazionali e rappresentate con successo». Un articolo di Magli intitolato «Per una lingua internazionale» appare il 16 novembre 1952 su Il Popolo, organo della Democrazia Cristiana, partito che, a giudizio dello stesso Magli, comprese subito «la grande importanza che l’Antibabele poteva avere per il mondo intero».  I vocaboli dell'Antibabele, presi da 85 lingue di tutto il mondo (compreso l’atzeco, l’ometo, l’uallamo e lo zingaro), sono trascritti in cifre arabe (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 0 cui corrispondono le lettere A, B, C, D, E, F, G, H, I, J). Alcuni numeri hanno un punto sopra (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 0 e indicano le lettere K, L, M, N, O, P, Q, R, S, T), mentre altri numeri hanno un punto sotto (1, 2, 3, 4, 5, 6 e indicano le lettere U, V, W, X, Y, Z).   Ai dieci numeri, per fare in modo che la lingua numerica sia pronunciabile, corrispondono i seguenti suoni vocalici e consonantici:1 2 3 4 5 6 7  8  9    0  p b  c (h)  d t  f  g (h)  m  v  z  a  al  o  ò  e  è  u  ul  i  j   Nel formare le parole questi suoni devono regolarmente alternarsi, tenendo conto che le parole iniziano per consonante e i numeri per vocale. Così, il concetto di «Dio», espresso con la parola latina «Deus», si scriverà: 451(con punto sotto)9(con punto sopra), cui corrisponde la parola: «Depi» (la parola inizia con consonante). Il semplice numero 4519 si pronuncerà invece: «òtav» (il numero inizia con vocale).   L’accentazione è sempre sull’ultima sillaba, alla francese.  La grammatica è semplice e regolare: vi sono 31 suffissi indicati da certi numeri. Ad esempio: 2 indica il nome comune, 5 il sesso femminile, 6 il plurale, 18 il tempo presente, 49 l'infinito, 69 il dispregiativo, ecc. Per applicare tale grammatica c’è un’unica facilissima regola: «Se la parola deve avere più d’un suffisso, le si aggiunge prima quello che corrisponde al numero minore, poi gli altri in ordine progressivo». Così ad esempio la desinenza di un "nome comune femminile plurale" sarà: 256.   Per quanto riguarda gli sviluppi dell'Antibabele, Magli sostiene che essa «può divenire sintesi di tutti i mezzi espressivi, mediante apposita corrispondenza fra i numeri, le linee fondamentali delle arti figurative, i colori, le note musicali, nonché le sensazioni acustiche, rinotiche, gustative, tattili, ecc. Un segno può assumere il valore d'un altro, se si è nel colore, ad esempio, di quest'altro. Un numero può derivare, anche per semplice addizione o sottrazione, da infiniti altri e indicare quindi col risultato che esprime, il nome, ad esempio, del personaggio raffigurato in un ritratto, o di un monumento, le cui linee compositive, del resto, potranno esprimere tante cose, anche con altri mezzi espressivi, come appunto la musica, ecc. Questo significa, in sostanza, che, con l'Antibabele si può dunque tendere a nuove forme di linguaggio e d'arte, di così profonda ed ampia portata che oggi si possono appena concepire. È evidente pure che una lingua a base di numeri sarebbe assai più facile anche per i ciechi, essendo nota, fra l'altro, la complessità degli attuali caratteri Braille, nonché per i sordi ed i muti, per i quali risulterebbe semplificato l'alfabeto a segni, come la comprensibilità dei movimenti della bocca e l'apprendimento stesso a parlare, nella forma ad essi consentita. Il fatto poi che l'alfabeto si riduce a dieci numeri primi consente una forma nuova di stenografia».   L'Antibabele è considerata dal suo autore utile per la comunicazione con eventuali abitanti di altri mondi dato che «solo il numero è universale e, tra l'altro, solo la sua ferrea consequenzialità consente di decifrare i più diversi sistemi, per cui, se anche, ad esempio, i Marziani si servissero della base "5" o "due", anziché di base decimale, potremmo sempre tradurla nella nostra e viceversa».   Magli è autore inoltre di un progetto denominato Inglese integrato, basato su vocaboli inglesi per i concetti astratti e generici del parlare comune e su vocaboli di altre lingue preminenti (l'italiano nell'arte ecc.) per le varie categorie dello scibile. Esce a Villafranca di Verona presso l’Editrice «L’Estremo Oriente» un opuscolo intitolato Lingua universale di Angelo Faccioli (1888-?), dove viene esposto un progetto di lingua universale basato sul dialetto veneto chiamato Italiano moderno.  Secondo la «teoria scientifica della parola» del Faccioli la parola vera è quella che meglio ritrae l’armonia imitativa e il senso interno delle cose ed è più in accordo con le leggi dell’arte e del pensiero. La lingua universale dev’essere la lingua più logicamente autentica, la più adatta all’arte oratoria e letteraria; dev’essere semplice e viva. Il dialetto veneto - ben parlato, pulito, ingentilito, senza doppie, con troncamento delle parole che rende poetico, vivace e robusto un idioma, oltre che telegrafico per la soppressione quasi completa dell’articolo - si presta perfettamente al compito di lingua universale.  Il dialetto veneto, osserva Faccioli, non ha «alcun suono aspirato come in Toscana e altrove», ma solo suoni «chiari, precisi, ben definiti, inconfondibili». È breve e armonioso come si deduce da questo piccolo esempio: la frase «Sono andato al mercato e ho comperato un paio di buoi» (lettere 43) assume la forma abbreviata: Son andà al mercà e ò conprà un par de bo (lettere 31).   Faccioli scrive poesie, lettere e traduzioni di passi biblici in Italiano moderno. Il dialetto veneto, conclude Faccioli, una volta affermatosi come lingua ufficiale delle nazioni, cioè fra 400-500 anni, diffonderà nel mondo dei dotti una nuova filosofia, l’Universalismo, dalla quale discenderà il governo universale dell’avvenire. Sempre negli anni cinquanta il senese Ilio Calabresi (1931), dipendente del C.N.R., inventa una lingua ausiliaria internazionale che chiama Omnlingua, caratterizzata sul piano morfologico dal recupero della declinazione, con sette casi nella declinazione primaria (nominativo, genitivo, dativo, relativo statico, relativo dinamico o accusativo, vocativo, locativo statico) e sei in quella secondaria (derivativo, fautivo, strumentale, locativo dinamico, invocativo, locativo stabile), dall’adozione di cinque generi grammaticali, di dieci coniugazioni, di tre tipi di preposizioni semplici e di prefissi ottenuti con tre diverse vocali finali, ecc., e dall’uso di alcuni segni particolari, come il segno «"» che indica aspirazione; «¯» rafforzamento o raddoppiamento non enfatico sulle consonanti e allungamento sulle vocali; «^» addolcimento di certe consonanti, ecc.   La molla che spinge Calabresi a creare l’Omnilingua è, da un lato, la constatazione del fallimento del Volapük e dell’Esperanto, dall’altro il desiderio di «affratellare i popoli di tutto il mondo», dopo le orrende devastazioni della seconda guerra mondiale, in cui per altro Calabresi ha perso il padre.    Negli anni novanta l’ingegnere milanese Francesco Pietro Cazzulani crea e brevetta una lingua universale «semplice, logica, accessibile per tutte le genti», senza che abbia nulla in comune o di affine con nessuna delle lingue esistenti, adottando questa impostazione: «ad ogni singola parola avente in ogni singola lingua il medesimo significato corrisponde un unico ed identico numero formato da una o più cifre, quindi tante parole di tante lingue aventi un unico significato nella LINGUA UNIVERSALE un unico numero».   La trasformazione da lingua numerica in lingua alfabetica avviene sulle seguenti basi: (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (0) ba ca da fe le mo no po ru tu    Così la parola «madre», «mother», «mère», «Mutter», «mamà», ecc. come pure ogni ideogramma o altra scrittura che significano «madre», è per la lingua universale di Cazzulani equivalente al numero 81, che si pronuncia: «poba». Il termine «lingua universale», corrispondente ai numeri 214 736, si pronunciano: cabafe nodamo. Oltre ai dieci accoppiamenti sopraindicati e al vocabolario base (composto da circa 1.500 parole), nella lingua universale di Cazzulani esistono 12 prefissi come «ve», prefisso di infinito verbale che indica il sostantivo di riferimento del verbo; ad esempio: amare = badatu e amore = vebadatu, oppure come «gi», prefisso che trasforma il singolare maschile in singolare femmine: questo cavallo = cale lefemo, mentre questa cavalla = gicale lefemo.   «Questa lingua universale che è senza grammatica e senza coniugazioni verbali», precisa Cazzulani, «non serve certo a tradurre la Divina Commedia od a fare poesie in quanto la cosa non avrebbe senso, è una lingua essenziale di concetti che al di fuori dalle elaborazioni lessicali, non indispensabili, vuole fare in modo che finalmente l’umanità tutta possa comprendersi», e poiché non richiede l’intervento di terzi per l’apprendimento consente a tutti di essere autodidatti. Ancora negli anni novanta nascono altri progetti di lingua universale di autori italiani, fra questi il Raubser (da raub = universo e ser = lingua), elaborato nell’arco di quasi vent’anni dal varesino Orabona, insegnante elementare. Fra le altre cose, i vocaboli del Raubser esprimenti concetti opposti o che hanno una certa analogia vengono rappresentati con inversi grafici; così abbiamo: met = amore e tem = odio; doraf = arteria e farod = vena; favet = bianco e tevaf = nero; kabon = testa e nobak = coda. Il Devessiano è una lingua inventata da Mario Pollini di Grosseto intorno al 1971, ma completata solo negli anni novanta. Il nome deriva da Devessia, una repubblica immaginaria situata nell’estremo occidente d’Europa, fra la Spagna e l’Irlandia, e significa letteralmente «il paese delle cose come devono essere». In sintesi, il Devessiano è una lingua ispano-amiatina, in quanto la sua base lessicale, da un lato, riprende molto della parlata della terra d’origine dell’autore, e cioè il monte Amiata, situato in Toscana, e dall’altro guarda al mondo iberico: le preposizioni articolate ad esempio sono prese dal portoghese (do, da, dos, das), il dittongo spagnolo «ue» trasformato in «ui» (puirto, suirte, puinte) e anche il suffisso «-con» che corrisponde a un’errata pronuncia infantile dello spagnolo, e l’altro suffisso «-èira» preso dal portoghese. Il lessico amiatino si ritrova particolarmente nelle parole che indicano la frutta, come bahoha (albicocca), sarac[c con pipetta]a (ciliegia), pornela(susina).   Oltre che alla parlata amiatina e allo spagnolo e al portoghese, il lessico del Devessiano attinge parole dal francese (pandon = «mentre», da «pendant»), dal genovese (umàa = «onda» deriva dal genovese «u mâ», cioè «il mare»), da linguaggi infantili, da espressioni scherzose, da interpretazioni arbitrarie (manc[c con pipetta]urà = «masticare» deriva da come l’autore sente il suono della parola Manciuria) e anche da parole tratte dai sogni dell’autore (ad esempio baltac[c con pipetta]à = «colpire forte, rovesciare»). «Se, come sosteneva un interprete che lavorava nel mio ufficio, “le lingue sono l’anima dei popoli”», scrive Pollini in un dattiloscritto dove sono esposti I lineamenti di grammatica della lingua devessiana(1995), «questa lingua è l’anima di un popolo immaginario che sono io fatto nazione e quindi dovrebbe esprimere intimamente il mio modo di pensare» Les Cahiers de l'Institut, rivista dell'Institut International de Recherches et d'Exploration sur les Fous Littéraires, traduzione in francese di Tanka G. Tremblay. Per leggere la traduzione di Tremblay cliccate qui. Per andare al menu delle mie collaborazioni a Les Cahiers de l'Institut. Albani. Keywords: Grice’s Deutero-Esperanto, Deutero-Pirotese. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albani,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Albergamo: all’isola -- Crotone– filosofia italiana – la scuola di Girgenti -- filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Favara, Girgenti, Sicilia). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Girenti, Sicilia. Grice: “Albergamo is a fascinating author – a very Italian philosopher who can teach Lucrezio and the classics at the ‘gym,’ as they call it, and yet survey the ‘storia delle scienze essate’ and the ‘storia delle scienze empiriche.’ Alla Bridgman, he is into ‘the logic of the science.’ But he can also define the ‘spirit’ in terms of ‘freedom.’ He has also analysed, vis-à-vis- his interest in Galieleo and science, the very Italian idea (already in Cicerone) of ‘super-stitio’ and magic – his approach to these matters is phenomenological, which coming from Favara as he does, is understandable!” --  Filosofo. e un pioniere della filosofia della scienza in Italia. Nato a Favara, in provincia di Agrigento, da Giacomo e Giuseppina Butticé. Suo nonno era un ricco proprietario di una rinomata pasticceria di Favara. Il padre, ferroviere, fu trasferito prima a Messina e poi a Palermo, portando con sé la famiglia. A causa di questi trasferimenti, svolge gli studi liceali da autodidatta, conseguendo poi la laurea in filosofia presso l'Palermo.  Nel 1931, vinto il concorso a cattedra di storia e filosofia, si trasferisce a Trapani, dove insegna al liceo classico Ximenes, e dove sposa Maria Carmela Rizzo, da cui avrà quattro figli. Insegna poi a Benevento ed infine a Napoli presso il Liceo classico statale Vittorio Emanuele II. Pressoché tutta l'attività filosofica e didattica di Francesco Albergamo si svolge a Napoli, ed è caratterizzata dal clima culturale molto vivo nella città di Benedetto Croce. Come filosofo, si dedica a due principali linee di attività. La prima è dedicata all'insegnamento ed alla didattica della filosofia, l'altra allo studio del rapporto tra filosofia e scienza. In entrambe le linee, il suo lavoro ha avuto una grande caratura culturale, e la sua personalità fu considerata, nella città di Napoli, di grande spessore etico, per la generosità e l'impegno che hanno contraddistinto la sua vita.  Circa la prima linea, il ricordo della sua attività didattica è rimasto a lungo nei tantissimi giovani che hanno ricevuto una solida formazione filosofica di cultura laica, razionale, liberale. Vero è che a Benevento, dove aveva insegnato per soli due anni, gli è stata dedicata una strada che, significativamente, parte da Piazzale Benedetto Croce per poi ricollegarsi a Via Francesco de Sanctis.  Al Liceo Classico Vittorio Emanuele tra i diversi allievi che si sono distinti nel campo della filosofia e della cultura ricordiamo in particolare due delle figlie di Benedetto Croce. Il suo nome è ricordato in una lapide dedicata alle più illustri personalità che vi hanno insegnato, tra cui Giovanni Gentile. Oltre all'insegnamento nei licei, è stato libero docente di filosofia teoretica presso l'Napoli, dove ha svolto una intensa attività di corsi e conferenze.  Con i suoi manuali di storia della filosofia, e con numerose pubblicazioni dedicate ai licei, FA costituisce un importante punto di riferimento nella didattica della filosofia a livello nazionale, prima per il classico e poi anche per lo scientifico. Una notevole attività è anche dedicata alla formazione dei docenti di filosofia, con numerosi articoli, pubblicazioni, corsi e conferenze.  L'altra linea di attività, quella dedicata allo studio del rapporto tra filosofia e scienza, si snoda lungo un arco di tempo molto vasto, che va dall'inizio degli anni '30 fino alla sua scomparsa. I risultati sono confluiti nella pubblicazione di importanti saggi filosofici. Di formazione idealistica e kantiana, appena trasferitosi a Napoli, nel 1936, instaura un rapporto stretto con Croce, con frequenti visite e colloqui nella sua abitazione a Palazzo Filomarino, guardata a vista dalla polizia.  Dalle sue lettere a Croce si evince un chiaro riconoscimento di Croce come suo Maestro, oltre a forti sentimenti di devozione e di sincera amicizia.  In particolare, alla caduta del fascismo, esprime al Maestro la sua "profonda gioia" perché "finalmente l'Italia comincia a incamminarsi per la via maestra che le avevate additato", e prosegue poi: "Gioiamo della gioia vostra e dei vostri cari: della gioia che ora, dopo tutto quello che voi, giusto, avete sofferto, aleggia sulla vostra casa. Questo rapporto si affievolisce a partire di quando più che la filosofia fu la politica a provocare un allontanamento d’A. dall'ambito crociano, per aderire progressivamente agli orientamenti ed alle ideologie della sinistra e del marxismo. Aderisce al movimento dei "Partigiani della Pace", nato a Parigi sotto il simbolo della colomba della pace, appositamente dipinta da Picasso,stringendo una forte amicizia con Radice, Valenzi, Caccioppoli, Donini e altri.  Partecipa ad una delegazione in visita alla repubblica democratica tedesca, assieme a Pajetta, Guttuso, Flora. La visita era, naturalmente, finalizzata a diffondere ed esaltare le "conquiste del socialismo". Di ritorno dal viaggio, il Ministero dell'Interno dispose il ritiro del passaporto, e quello della Pubblica Istruzione gli comminò una ammonizione, come se avesse abbandonato il servizio senza autorizzazione, mentre il viaggio era stato fatto nel periodo di chiusura estiva delle scuole. Fu forse questo episodio, che Francesco Albergamo considerò una manifesta soperchieria di stampo scelbiano, che lo indusse l'anno successivo ad iscriversi al PCI, salutato da Togliatti con un cordiale telegramma di benvenuto.  Partecipa attivamente alla vita culturale e politica della città di Napoli, che in quel periodo era in grande effervescenza. Il movimento culturale della sinistra napoletana non si riconosceva pienamente in una ideologia, come afferma Gerardo Marotta, "ma si fondava su un dibattito filosofico che traeva i suoi succhi da un corale sforzo di comprensione del proprio tempo. Il dibattito raccoglieva e valorizzava l'eredità culturale degli illuministi e degli hegeliani napoletani del secolo precedente, attingendo alla lezione storicistica meridionale che va da Vico a Croce, passando per F. De Sanctis e G. Salvemini, e collegandosi poi al pensiero di Antonio Gramsci. A. partecipa con conferenze che venivano organizzate dalle associazioni culturali napoletane tra cui "Cultura Nuova" ed il "Gruppo Gramsci", ed accetta, sia pure a malincuore, una candidatura del PCI alle elezioni comunali di Napoli.  Il problema del rapporto tra filosofia e scienza viene visto in termini di nuovi modi e nuovi contenuti per la didattica delle scienze e della filosofia. Tra i primi in Italia, ed in aperta polemica con la scuola crociana ed il clima dominante, Francesco Albergamo avverte i rischi, per lo sviluppo della società italiana, di una cultura prevalentemente classica: Con la seconda rivoluzione industriale che è in atto in tutto il mondo, noi italiani non ci possiamo permettere il lusso di rimanercene ancorati ad una cultura prevalentemente classica ed umanistica."  A. lavorò con la passione di una intera vita, fino a pochi giorni dalla sua morte. L'ultimo suo scritto uscì postumo su "Critica" marxista. In seguito alla sua scomparsa il quotidiano comunista L'Unità dette notizia della sua scomparsa con un lungo saggio. Possiamo, per semplicità di esposizione, dividere l'opera dell'A in tre periodi. Nel primo periodo, il pensiero dell'Albergamo si muove nel quadro di una concezione filosofica di tipo idealistica, dominata in Italia da Croce e Gentile. Tuttavia, più che alle tematiche tipiche dell'idealismo, è interessato ai problemi nuovi che si pongono al pensiero filosofico a causa dello sviluppo impetuoso della scienza nel novecento, in particolare nei settori della fisica relativistica e quantistica, della matematica, e della biologia. Albergamo precorre, in una prospettiva idealistica, la necessità di un dialogo costruttivo, osmotico, della filosofia con le particolari discipline scientifiche ed empiriche.  Nel primo lavoro scientifico, richiamandosi all'insegnamento di Kant, sostiene che la scienza, come esperienza dell'attività dello spirito, è resa possibile dalle forme trascendentali. Tuttavia, sostiene A., gli sviluppi più recenti della matematica (geometrie non euclidee, matematiche non archimedee, gli iperspazi, ecc.) e della fisica (teoria della relatività di Einstein, meccanica quantistica, principio di indeterminazione di Heisenberg) provano la contingenza di tali forme trascendentali,. Affronta anche il problema, fortemente dibattuto, dell'alternativa tra determinismo ed indeterminismo, e perviene alla conclusione che anche l'alternativa indeterministica sia egualmente legittima: la conoscenza scientifica può essere costruita anche se si ignora il principio di casualità e si finge che i fenomeni si succedano a caso, secondo le leggi matematiche della probabilità. Queste tesi originali furono apprezzate e commentate, all'epoca, da diversi filosofi italiani, tra cui Ottaviano, Aliotta, ed altri, fino a pervenire ad una ampia esposizione della problematica filosofica connessa alla scienza del novecento. Il saggio La critica della scienza nel novecento" è giudicato "assai pregevole" da CROCE. Di questa opera, RUGGERO (si veda) scrive che essa "offre una delle più efficaci sistemazioni speculative che io conosca delle vedute pragmatistiche della scienza, compresa quella del Croce alla quale più strettamente si connette. L'ambizione d’A, che traspare chiaramente nei diversi spunti critici nei confronti dei limiti dell'idealismo nell'affrontare il problema della logica della scienza, è quella di "costituire una confutazione dell'idealismo per via dell'idealismo stesso. In altre parole, vuole in qualche modo superare la concezione che relegava la scienza nel limbo degli "pseudoconcetti", per dare piena legittimità ai processi conoscitivi, sia delle scienze esatte che delle scienze empiriche, restando comunque ancorato all'idealismo.  Croce in qualche modo accetta e favorisce la ricerca di A, giudica "assai ben pensato e ragionato" il suo lavoro, ma rimane rigido nell'accogliere la storia della scienza come parte integrante della storia della filosofia. Finito il periodo bellico, l'attività dell'A si sviluppa poi in una serie di opere in cui sistematicamente, ed in un quadro storico, vengono trattati i problemi della logica delle scienze esatte e della scienze empiriche. In questo periodo A, dirigendo per l'editore Laterza una collana di scrittori di teoria delle scienze, propone alla cultura italiana la conoscenza di importanti pensatori d'oltralpe, come Poincarè, Bergson, Bachelard, ed altri.  Il secondo periodo dell'attività d’A. è caratterizzato da un progressivo allontanamento da CROCE (si veda) e dalla sua scuola, dovute alle difficoltà d’A. a trovare un pieno accoglimento delle sue tesi sulla scienza, ed anche, in qualche misura, a diverse valutazioni politiche.  L'esigenza di Francesco Albergamo era quella di dare piena legittimità filosofica alla logica del pensiero scientifico. Per raggiungere questo obiettivo, era necessario operare un "capovolgimento" dialettico nel rapporto Natura-Spirito della filosofia crociana, allo stesso modo in cui Marx aveva operato nei confronti di Hegel. Per A. infatti "spiritualismo e materialismo costituiscono in realtà una opposizione dialettica, nella quale di continuo ognuno dei due deve vincere la resistenza opposta dall'altro... come già nella dottrina hegeliana, così anche quella del Croce esige… un "capovolgimento", in maniera che il suo oggetto…trovi proprio nel suo opposto la condizione per vivere e svolgersi. Nel terzo periodo di attività, quello della massima maturità ed originalità, affronta una analisi sistematica delle forme di "pensiero prelogico", inteso come "pensiero che, spontaneamente, senza alcuna riflessione logica, veniamo indotti a formulare per una suggestione tanto irresistibile quanto inconscia che inibisce la nostra intelligenza. Analizza con grande attenzione tali forme di pensiero, sulla base dei risultati e delle osservazioni di etnologi ed antropologi (da Frazer a Levy-Bruhl, Levy-Strauss, Kelsen, ed altri), oltre che dei risultati della scuola psico-analitica, da Freud a Cesare Musatti.  Analizzando questa poderosa base di osservazioni sperimentali, perviene ad individuare i principali meccanismi della prelogica: automatismo associativo, intuizione animistica, inibizione dell'intelligenza ad opera del sentimento.  Vengono così portati alla luce della consapevolezza quei processi inconsci ove si generano mito e magia.  Le molteplici e diverse credenze mitiche e magiche, con la loro uniformità di struttura e le loro coincidenze spesso sorprendenti, sono interpretate come il risultato di un automatismo psichico inconscio, che persiste pur attraverso le situazioni storiche più diverse.  La tesi dell'Albergamo è che tali forme prelogiche, che sono alla base dei miti, dei riti, e delle pratiche magiche dei popoli primitivi, lungi dall'essersi esaurite con il progredire del pensiero scientifico e filosofico, sono presenti in maniera diversa, non solo in età infantile ed in alcuni soggetti psicopatici, ma anche nelle stesse persone colte, nonché in alcuni ambiti dello stesso pensiero scientifico e filosofico. Accanto a questo nuovo ed affascinante filone di ricerca, si intensifica l'opera di educatore, con decine di opere destinate alla scuola, manuali, antologie, trattati, nonché da studi e pubblicazioni sulla didattica delle scienze e della filosofia degli scritti di A. Saggi:  “Saggio di una concezione filosofica della scienza” (Napoli, Loffredo); “Disegno storico della filosofia ad uso dei licei classici e degli istituti magistrali” (Milano, Sig.); “La tesi finitista contro l'infinito attuale e potenziale” in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze; “La filosofia di Spir”, in Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli); “Critica del concetto di infinito”, in Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, “L'Italia di Augusto e l'Italia oggi” in Augusto. Celebrazione nel bimillenario augusteo, a cura del R. Provveditorato agli studi di Trapani, Trapani); Cura di I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza” (Bari, Laterza); “Il criticismo kantiano e la scienza moderna” (in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze); “Kant e la scienza moderna, in Archivio della Cultura Italiana, “Le basi teoretiche della fisica nuova” (Padova, Milani); “Filosofia e biologia, in Sophìa; Recensione di A.V. Geremicca, Spiritualità della natura, Bari, Laterza, «Sophia»,  “La critica della scienza del Novecento” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Lo spirito come attività creatrice” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Il concetto di realtà e le scienze empiriche”, in Ricerche filosofiche. Rivista di filosofia, storia e letteratura, n. unico; “Vitalismo e meccanicismo nel secolo XX”; in Rivista di Fisica, Matematica e Scienze naturali; Versione, studio introduttivo e note di G. Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana” (Verona, La Scaligera); “La matematica nella critica della scienza contemporanea, in Sophia, L'ordine nel mondo degli oggetti, in Logos, Recensione di A. Marzorati, Spiritualismo, Milano, Bocca, Sophia», La natura: Saggi filosofici, Verona, La Scaligera); “Croce critico della matematica, in Rassegna d'Italia; “Storia della logica delle scienze estate” (Bari. Laterza); “Traduzione, studio introduttivo e note di H. Poincaré, Il valore della scienza” (Firenze, La Nuova Italia); “La scienza nell'antichità classica, in A. Padovani (a c. di), Antologia filosofica, Milano, Marzorati); “Traduzione, introduzione e note di H. Poincaré, La scienza e l'ipotesi, Firenze, La Nuova Italia, Cura di La scienza nell'antichità classica. Antologia filosofica, Como, Marzorati); “La scienza nel Rinascimento, in Grande antologia filosofica, XI Scienza, natura e storia in Gramsci, in Società; Introduzione a S. Laplace, Saggio filosofico sulla probabilità, Bari); “Cura e introduzione di G. Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, Bari, Laterza (Nuova ed. riv, L. Geimonat eRedondi, Bari, Laterza). Storia della logica delle scienze empiriche, Bari, Laterza); Le scienze naturali nella filosofia di Croce, Bari, Laterza Il pensiero scientifico contemporaneo. Antologia storica; Le scienze esatte e le scienze fisiche; Le scienze naturali, Firenze, La Nuova Italia); Il pensiero scientifico nell' 800 e nel Questioni di storia contemporanea); “Il millesimo anniversario della morte di Avicenna, in Rinascita, Il valore teoretico della matematica, in Atti del Congresso di studi metodologici, Torino, Torino, Introduzione a J. W. Goethe, Scienza e natura. Scritti vari, Bari, Laterza); “presentazione di A.V. Geremicca. Prefazione a Frankel, Le scienze naturali nella filosofia di Benedetto Croce, Bari, Laterza); “Cura di Bergson, L'evoluzione creatrice, s. i. t., Mazara (Trapani)  Le scienze nella dottrina crociana delle categorie, in E FLORA (a c. di), Croce, Milano, Malfasi Editore, La critica della scienza oggi in Italia, Roma, Perrella); “Il dogmatismo religioso contro la libertà e l'autonomia della scienza, in Il Calendario del popolo, La vita nella dialettica della natura, in Società,  Recensione di S. Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza, con una avvertenza di Sebastiano Timpanaro jr. (Firenze, Sansoni  «Belfagor»); Recensione di C. Luporini, La mente di Leonardo, «Belfagor», La geometria di Euclide non è la sola possibile, in Il Calendario del popolo, Scienza e filosofia di Einstein, in Rinascita, Recensione di H. Reichenbach, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica, «Società», Introduzione alla logica della scienza” (Firenze, La Nuova Italia); “I rapporti tra la filosofia e le scienze nel liceo scientifico, in Convegno nazionale di studio sulla didattica della filosofia I Licei e i loro problemi, Intuizione e ragionamento nella matematica, in Atti del Convegno Nazionale "La didattica della matematica nella scuola primaria", Roma,  Matematica e realtà, in Società,  “La teoria dei quanti nelle interpretazioni fenomenistica: del Reichenbach”; in VIII Congrès International d'histoire des sciences, Florence Milan, I, Paris, Direzione della sezione ‘Scienze’ del Dizionario Bompiani degli autori di tutti i tempi e di tutte le letterature e redazione delle voci: Einstein, Galvani, Lorentz, Mariotte, Matteucci, Meyerson, Nernst, Mayer Storia della filosofia per i licei scientifici, Padova, Milani, Sopravvivenza della prelogica nel pensiero scientifico e filosofico, Stabilimento Tipografico G. Genovese, Napoli, estr. da «Atti dell'Accademia di Scienze morali e politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli»,  Cura di Einstein, Filosofia e relatività, Palermo, Palumbo, Pensiero e attività educativa nel loro corso storico, va. Palermo. Palumbo; La natura: Saggi filosofici, Bologna, Patron); Fenomenologia della superstizione, Roma, Editori Riuniti); Mito e magia, Napoli, Guida); L'educazione scientifica, Milano, Vallardi, estr. da La pedagogia. Storia e problemi, maestri e metodi, sociologia e psicologia dell'educazione e dell'insegnamento, diretta dal Prof. Luigi Volpicelli, La ricerca umana. Storia della filosofia, Palermo, Palumbo  Problemi del pensiero. Guida interdisciplinare per lo studio della storia della filosofia, Palermo, Palumbo, La teoria dello sviluppo in Marx ed Engels, Napoli, Guida, Lo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss, in Critica marxista; Lo sviluppo dell'Antropologia culturale, in Genus, La "Storia del pensiero filosofico e scientifico" di Geymonat, in Critica marxista, Il pensiero filosofico e scientifico nell'antichità e nel medioevo, Napoli, La Città del Sole (rist. del testo, con aggiunte di A. Gargano). Il pensiero filosofico e scientifico in età moderna, Napoli, La Città del Sole (rist. A. Gargano). Il pensiero filosofico e scientifico nell'età contemporanea, Napoli, La Città del Sole (rist. A. Gargano). Fonti Fondazione Croce, Napoli Lettere tra Croce e Francesco Albergamo e di Albergamo a Codignola, Gentile, Ottaviano e Sciacca, In Giornale critico della filosofia Italiana, gen. Apr.  Due lettere inedite di Croce a Francesco Albergamo,in Rassegna Storica Salentina, La Veglia ed. Carmelo Ottaviano, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza, in Sophia, Aliotta, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza, in Logos, R. Mck, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza, in Journal of Philosophy,  3Profondo cordoglio per la scomparsa del compagno Albergamo, L'Unità, G. Marotta, Renato Caccioppoli, la Napoli del suo tempo e la matematica del XX secolo, Napoli, la città del sole, Lettera d’A. a Sciacca, 2 Centro Internazionale i Studi Rosminiani, Stresa, citat. Nome compiuto: Francesco Albergamo. Albergamo. Keywords: Crotone, il finito e l’infinito, idea de la scienza, scientia, la scienza italica, la scuola di Velia, la scuola di Crotone – la scuola di Girgentu – scienza naturale – scienza fisica – fisica – fisica filosofica – scienza umana – scienza esatta – scienza empirica – anti-finalismo – meccanicismo, galelei, il liceo classico, parmenide, zenone – la scuola di crotone – girgentu – empedocle e i fenomeni – l’entita matematica alla scuola di Crotone, disegno della storia della filosofia ad uso dei licei classici – liceo classico – liceo scientifico – Benedetto Croce – carteggio Croce/Albergamo – la logica della scienza – la non-sicenza, mito – superstizione – animismo – l’italia nei tempi di Augusto ed oggi – la critica della scienza in Italia oggi – lo spirito – lo spirito come liberta creatrice – meccanicismo e vitalismo – il kantismo – la filosofia della scienza – la metafisica – la filosofia nell’eta fascista – saggio filosofico sulla scienza – la natura – saggi filosofici  -- saggio su una concezione filosofica della scienza – scienza della natura – pitagora e la scienza della natura – fisicismo – naturalismo -- Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albergamo,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Alberti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Bologna – filosofia bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like [Leandro] Alberti; his “Tutta Italia” is a must; his claim to fame is to translate from Roman to Tuscan (no big deal there) what is deemed the first ‘daemonological’ tract – Mirandola used ‘ludificatio,’ which was vastly translated as ‘inganno’ or by Leandro as ‘illusioni’ – which has echoes with Descartes’s malignant demon hypothesis and my “Some remarks about the senses”!” – ‘Filosofo. Nato da Francesco Alberti, di origine fiorentina, è condotto agli studi umanistici dal noto umanista Garzoni. Studia filosofia con Prierio continuando tuttavia a coltivare con Garzoni i propri interessi umanistici e storici.   “De viris illustribus”, Bologna. Il primo risultato dei suoi studi fu il contributo che egli diede, in soli 18 giorni, alla stesura dei De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti, opera collettiva con Garzoni, il Castiglioni, il Flaminio e altridi biografie di domenicani, stampata a Bologna. Traduce dal latino in volgare la Vita della Beata Colomba da Rieto  Tenuto al dovere della predicazione, è provinciale di Terra Santa cioè compagno nelle predicazioni itinerantidel maestro generale dell'Ordine, Vio e del successivo maestro  Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta l'Italia era a Palermo e la Francia dove, a Rennes, morì il Silvestri. È poi attestato, a Roma, prendere parte al capitolo generale.  Negli immediati anni successivi rimase nel convento di Bologna, dove commissiona a Zambelli le decorazioni da eseguirsi nella cappella dell'Arca di san Domenico e i bassorilievi eseguiti da Lombardi, questi ultimi pagati dalla città dopo la richiesta in tal senso avanzata d’A.. In quest'occasione scrive un opuscolo sulla morte e la sepoltura del Santo, il De divi Dominici Calaguritani obitu et sepultura, pubblicata. Un'altra sua operetta, la Chronichetta della gloriosa Madonna di San Luca, fu pubblicata ed ebbe altre edizioni accresciute dal contributo di altri autori anonimi.  Nominato vicario del convento romano di Santa Sabina, un incarico che non dovette prorogarsi per più di due anni, giacché è sempre documentato a Bologna. È anche inquisitore di Bologna.  L'opera più importante d’A., dedicata ai sovrani francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è senz'altro la Descrittione di tutta Italia, pubblicata a Bologna. Ad essa seguirono in ottanta anni altre X edizioni a Venezia e due traduzioni latine a Colonia: nell'edizione veneziana si aggiungono per la prima volta le Isole pertinenti ad essa, mentre quella è arricchita dalle incisioni di sette carte geografiche. Opera di geografia e di storia, ricalca in gran parte la Italia illustrata dBiondo, ampliandola e migliorandola nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando scarso spirito critico, attenendosi egli ai dati dei geografi antichi o, per la parte storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come Volterrano o Annio: e solo quando vengono a mancare testi precedenti ricorre a elementi di più diretta esperienza parimenti nella critica storica preferisce riferire insieme le differenti versioni, anche di tempi e di valore molto diversi, senza prendere posizione».  Altre saggi:  “De viris illustribus ordinis praedicatorum libri sex in unum congesti” (Bologna); “De divi dominici calaguritani obitu et sepulture” (Bologna); “Historie di Bologna”; “Libro detto Strega o delle illusioni del demonio”; “Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella” (Bologna); “De incrementis dominii veneti et ducibus eiusdem” (Lugano); “De claris viris reipublicae venetae” (Lugano). Universal Short Title Catalogue, Scheda delle opere d’A.. Così scrive egli stesso: De viris, c. Redigonda, “Liber consiliorum conventus Bononiensis, Archivio del convento di San Domenico, Bologna. Battistella, Il Santo Officio e la Riforma religiosa in Bologna, Bologna, G. Roletto, Le cognizioni geografiche di A., in Bollettino della Reale Società geografica italiana, Abele L. Redigonda,Dizionario biografico degli italiani,  1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Descrittione di tutta Italia in Il Genio Vagante, Bergamo, Leading Edizioni,  Donattini, Il territorio emiliano e romagnolo nella descrittione d’A., Bergamo, Leading Edizioni, Orlando, La Puglia nell'odeporica domenicana d’A., in Rivista di Studi italiani, ora al sito rivistadistudiitaliani La Puglia, introduzione e note al testo dalla Descrittione di tutta Italia, Orlando, UNI Service, Trento, Liber Liber. Opere d’A., su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di A., A., in Catholic Encyclopedia, Appleton. Descrittione di tutta l'Italia su culturitalia.uibk. ac.at. DELL’ILLVSIONI DEL DEMONIO: dialogo composto dall’illustre e molto dotco Prencipe Segnore Pico (si veda) della Miradola, conte della Concordia. LE PERSONE PARLANO. APISTIO. FRONIMO. DICASTO. Dimmi do juevacola cosi infreta caminando per la piazza ove vendon sil herbe tanta moltitudine di popolo. FRONIMO. No loro, ma andiamo anche noi un puoco, accio intedia mola cagione di tanto concorso, conciolia che puoco di no potra esserela perduta di puochi passi. APISTIO. Noi   in ver un luogo. FRONIMO. Di quale augello ragioni tu en. APISTIO. Della strega. FRONIMO. Tu giuoghi he Apistio. APISTIO. Pensa purche quello ho detto i ho detto no pergivo con e periscrizzo, ma da dovero  Conciosia che debbia esser molto aggrado a ciascun huomo, ma maggiormete alli gentili e curiosi spiriti, di conoscere quello, loquale no hamaicon osciutola antiquita. FRONIMO. Dunque tu te affastichi diuuoler intendere quello che non ha inteseuerunos APISTIO. Dunque il timita che io vogliammi persuadere di conoscere quello che non mai hanno volute conseffarede havere intero li huom n i gradi e molto litterati, e pur se l’ha a veranno inteso non appare in verun luogo. FRONIM. Chi co far. APISTIO. L’oaugello Strega. Béche gia habbia letto t Collali infame la notturna Strega. E cofi confessa di no sapere, di quale gerneratione de uccegli sta la stregha. FRONIMO. Affaimi meraveglio che sendo tu molto dotto nelli poeti, sicomea me pare cu non hai letto come era consuetudine nelli tempi antichi di essers cacciato fuori delle porte et usci le streghe cosa che sera a noi aggradevole, perche se puo tra computtare in vece di uiuandenel pranso, quando ritornaremo. E forsi anchora ser amolto piu utile cosa chenon sapiamo, intendendo qualche nuouo secreto. Conciolia che am e pate, et ragione uolmére istimo, fiapresa una strega etiui esser doue corre per vuederla tanta moltitudine di popolo mesco tato con li fanciulli. APISTIO. Habitano in questi luoghi le streghe? O cercamente non mi serebbe grave di caminare diece miglia per vederle. FRONIMO. Hor su, sea dunque non mai uedefti ueruna, forsi hora fara satisfacco alla tua curiosa voglia. APISTO. Sepur accadesse che io potessi ci trovare cotesto augello dame con tanto desiderio cerco, eno giamai ci trovato Mestitia augurio infausto e danno espresso peggio chel bubo annontia porge, et lega. Anchor pur houeduto nell’antiche maledittioni fusknomi nala la Strega. Ma che cosa sia quella e di qual natura non si couiene. Et iftima PLINIO (si veda) che sia una fauola, quello che ers scritto delte litre ghecioe che asciuccaueno colle labbra le pope delli fanciulli   Da uiciati corpi a forza e greffo. Er egli ecotestoluto osservato pinsino dall’eroici tempi. Quelle cose mi moveno che sono venuti nelli thalami e camere delli proci, o siano delli lascivi e molto libidino si buomeni cosi dicendo OVIDIO (si veda). Procà il dimostra quale sia quefto angue che re-lacerato da questo animale, Aforbe il sangue la strega in felice, delle Streghe gia preda forte langue, puoco il uagito fanciulle scovale, et chi ed erspello agiuto alla nodrice. bb ii con una uerga dispino bianco, e come hanno queda natura che sonobraminosi uccegli con il capo grande li occhi fermi, il becco torvo, e parte delle penne canute colunghie rampinate, e percio colisuoleno essere chiamate per che hano consuetudine di atridere nella spauentevole norte. Hor tu vedi il nome la cagione di ello, la natura di quella et anchota la figura come egli estara iscritta dalli antichi. APISTIO. Ben intendo quello tu raccoli ma forsi sono di diverse maniere e generationi coteste streghe, e di differente natura, con cioliache se dice, come non fucciano colle labra le pope di fanciullini, ma ch beueno il sangue. Ilp che cosi dice OVIDIO (si veda). Di notte ai fanciullini vola spesso empiendo il petto delli onoffio sangue Si presto con la lingua insatiabile, chel soccorso opportuno esser non lice. No paiono ate cotesti officii fra se del lestreghe, tanto diverse non ti dimo ftra novaria et anchor contraria naturae conditione r Erano ragione uolmente da effer istimati quelli aus gel li misericordiosi, li quali faceuano Ifficio della nudrice, ma questi sono da esser reputati grandemente nocevoliema kegni dalli quali sono occisi li fanciullini havendoli bevuto il sangue. FRONIMO. Io te diro'il vero aniipaionopiu pre fto ciascuna di queste cose fauolė,che altro. Ma pur seuisiri trova qualchecosa diuero nella fauola io penso che no sias nonati quelli augelline anchor che se ritrovano nell’inerf. Chal quinto giorno de puo suo natale perche quelli fallititolie uersi figura no la uecchia nelli uccelli. Ma ben penso fuflifatto questo con lo agiuto delli de. moniiiniquie malederti cio e cheliancidenti augelli hora appareuono in una forma della nodrice et hora della inlidia trice E. questo maggiormente am e lofa credere perche IL DEMONIO insegno il gioue uoleri medio contro delle incantastioni e maleficii, per li quali erano ligatelementi delli huo. mincio n inganni, e con bugie, dicendofe effer Giano, uuole uache tre uolte toccassi lio con larbura fro da le porte et uscii cioe con la fronda de uno albero simile al citrono et tre uolte segnando con detta fronda le pietre che sono sotto la intrata dell’uscio, bagoando la intrata con l’acqua, e com i m a d a ga anchor sefaceslino dell’altre cose che non erano sagre, ma anzi a b omine uoli sacrileg i i e portéri, Bé che anchor de quelle confe dica. Se poil infanti per la nocte oscura Vesla ecilsangue elucca con l’esperti  Labrila Strega, et in tal modo le indura. Cosine tempi noftri hanno consuetudine di fare le streghe, quando se narra che sono portare al giuoco di Diana. Guastas no nelle cune li fanciullini nuouamente natiche piangono, di poi incontinenti le dano li gioueuo li rimedi. Liquali, come ainepare, sono in loro arbitrio e possianza di doucrlida re. Imperho meritamente egli e deriuato questo nome. Ca cio sia che queste crudeli e bestiali femine le quali cometter no tanta scelerita, anchor da noi cosi come dalli antichi convenientemente sono chiamate streghe. APISTIO. Hammi parccute inganni Fronimo pariméte in lieme con molti altri, cte dendo effer uero, quello che scioccamente dice il volgo, cio e che sono no lo che feminuzze, le quali uolano nella mezza notte alli conuiti, et alli delette uoli piaceri carnali delle L e murio siano delli spiriti della oscura nottee che coteft efer minuzze guastino con incantili fanciulli. FRONIMO. Meglio potreste parlare Apiftio. Conciosia che non mai fe debbe di re che coloro errano, li quali apertamente racontano quello che hanno con locchio della ragione chiaro e manifesto no puo chi huomeni ben docci, et amaeftrati cóla continua pratica et   sa et anchor fono omatidebuoni coftumi euertuti. APISTIO. Io ti prometto cheno'e mai stato possibile di effermi persuaso questo che tu di per coral modo che l habbia creduto. FRONTIMO. Per qle ragione, no teha poffuropsuadei uecuno APISTIO. Per questca, i ne che pare una cosa da ridere, come fia poffibicl eh e fattoun cerchio et unto il corpo conno fo che unguento, in un'certo modo er dette poicecce parole coun no foche mormorio fe cógiúgano dette femenuzze incontinente colli demonii infernali e che cavalcano di notte soura di uno legno detto Gramita con il quale si fuolecal fecrareillino, ela canoua oyero saliscanosoura di una caura o diuno beccoo diuno moncone, esiano portateper aria, eche trapallino li Spatji delli'uenti e ricrouanfe alli cantie balli di Diana ed i Herodiade, e cheiui giocano, mangio no beueno, epiglianolasciui piaceri Puruoglio anchorago giungere un altra cosa cioe che non seaccozzano nel parlare, fi comeho inteso conciofia che alcune dicono effer pors tate molto in alcoperaria, er altre dicono appo diterra alcune confeffano di andarui solamente con la imaginatione e non con il corpo, epoi fermarsi soura dellago di Benacoo Hadi Garda, nelli altiffimi monti, vero e chemolto m i meraueglio che non dicano di effere fermate foura della cima del monte Micalainsieme con Thalete overo sula cima del Mimante siano poste a caminare con Anassagora, Il quale c un non t e non guari discosto da Colophon e da continue neui affediato, dacuife conosce la tempefta debbe venire. Altre cacontano de esser portate allo albero di Benevento det tolanuce, rebême arricordo. Ma quale e la cagione no si fermano piu presto nel territorio di Arpino piu vicino sicome io penso alla nostra regione co uero portate alla Quer zadi Mario, et anchor seno le pare fatica di andare piu diß costo perche non sono portate per infino nella Cheronea alla Querza di Alessandro Dicesi anchora che hanno amorosi piacere colli demonii che non sono congiunti colli corpi rei on oerro. Ma dimmi un puoco Apistio, che toccame ci possono esser cotefti? Che piaceri souerinche modo posso no hauece amorosi solazzi conquesta uana, efinta imagine, efemine dicarne. Ho letto come le larve oʻsianolenuo's ceuo li ombre dellanorię e dell’inferno pigliano piaceri colli' morti et che combatteno con essi, e no con li vivi. FRONIMO. Dimmi Apistio, seiosci orco tutte le tue ragioni, sicome spero consentirai. APISTIO. Io ti prometto di cosentire. FRONIMO. Egli e certamente cosa da huomo ragioneuole, e di sano intelletto, dilassarsi muovere e guidare dalle ragioni effcnipij, et dalleauthoritati delli antichi, le quali gia sono con cómun sentimento confermate, e di poi quiui fermarsi ma molto maggiornente er opera di colui che edi grade inna gegno, e che ha longo tempori uolto li libri delli docti huome ni. Donque seiocolletueragioniti conduceroa cosentirea quello de cui hora tenemenibeffe, chefaraipoi? APISTIO. Che faro: Vimetterolemani. FRONTIMO. Pensocheancho, sauiinetteraiipiedi. APISTIO. Ma nongianelliceppi. FRONIMO. Deh non hogiamaicercaměte pensato co testo. Vero-e. chebengrandemece desiderocuintédique. fto,accione uenghinella mia oppenione, collipiedi, e cole mani, ficomedire sisuole. APISTIO.lononfifiutoquello chesperi, e desideri, sefaraiquelloche tudietprometti. FRONTIMO A me pare perilragionarehauemofattocaminan do, che tu sei molto dotto nelli poeti delli Gentili,etanchora affai siaornato de Philofophia. APISTIO. Il mio Fronimo diquestohoranomiuogliodareiluanto cioeche beninte dali Poeti et fia dotto nelli parlari. Con c i o fia che egli e molto maggiore lacognitioneadouereintéderequelliper co ialmodo chesouerchia le forze decoluiloqualearrogáte? mente alcunauoltaselauoglia attribuire, hauendopuoco ftudiatoinesli, ethauédolipuocapratica. Ilpercheegliegra demente necessarioa coluiauoleintendereefli poeti e philosophi, diconoscereetintenderenon triuialmenree grossa, mente la lingua greca e latina. Et anchore gli e bisogno d i hauere ben intese lifecreti,esentimenti extratti fuori delle crerario della philosophia. Delliqualisonoornatiebenue ftitili poeti emaggiormente Homero. De cui,ho udito che fui llustratoetaddobbato con grandi Cómétariida ARISTOTELE et anchora dalli altri PHILOSOPHI della dotta schuola. Anchor   c horho inteso che se sforzo il Plutarcho con uno molto grande libro di attribuire ogni scientia, ogni arte, e finalmente ognicosadiuinaethumana, aquellocieco OMERO. Ilperá cheionego effereinme quellacognitione perfetta, sicome tudi,m a no nego pechoesfermiessercitatoalcuna'uolta per piacere dellanimo mio inleggere quelli,licomeiocercaffi lacognitionedellelingue e conquasilegger mentebeuendo qualchi amaeftra métigioue uoliallicostumi,etanchora accionon fufli riputato ignorante, fra li amici e compagni, occurendola occafione.Cosi senóho beutalargaméte la philosophia, de cui se dice che -e nascosta in detti author i a l mac o li come di r e si suole. I h o toccata e gustat a con la lomita delle labra. FRONIMO. Io credo che tu sia condutto non dalla arrogantia ne anchor dalla fimulatione,m a solamen tedallauerita.Laqualeuertu e collocata d’ARISTOTELE nel mezzo fra ğiti uitii. Imphoche dimostri di n ó effer ignorare ne anchor tuti uátidisa pereognicosa. Ecosiquellecosehaj dettodella notitia ecognitióedellipoeti nó fon discoftodal lauerita. Cóciosiache PLATONE e ARISTOTELE sono pieniditer ftimoniidi Homero, d’ESIODO di Simonide, Pindaro,E u ripide, ed elli altri Poeti .Il perche io dubbiro affaichetu lia molto dottonella philosophia decui pare non molto inte diedimoftridinon sapere. E cosiho istimationeche dis mostrarai molte cose chesonodategiamolto tempo con gregate infiemenel fine de noftri ragionamenti, le qualidi. mostrihoradino sapere. APISTIO. Io te diro, come sono alcune cose che qualche uolraci sonofuto donare dalla natura leaza uer uno studio o fiano uertuti, ouero altre cose,fi come prencipiidelleuertude. FRONIMO. Non per que, Atosonomacatodallamia oppenionem a anzi hai tu posto inme maggiore dubitatione con corefta tua risposta.APII STIO. Chehaicudetcos FRONIMO. Io ho detto,e dir Co cbe ragionocon uno FILOSOFO.Vero eiche meglio allhoramicauaro questafantafia,pigliando prencipio imi perho da quiui, cioe se uuoi promettere di responde -- re a quellecose,dellęqualiho desideriode interrogarti, per lequalihauemo comenciatodiparlare. ĄPISTIO.Io  DELLE STREGHE  to matrimonio  prometto de responderti liberamente. Horlu addimanda. FRONIMO. Dimm i il mio Apistio, hai tu giamai letto in Omero che anda li e Vlyffe alli Cimeriis. APISTIO. Si. Et anchora ho letto in chemodo andodaquella gére chefa ua nella ariacaliginofa.cioe che erasenzauiada poceruien trarei raggi del sole. FRON.Dimmeseltepiace,checol lafeces. APISTIO. Hoaffaicole.FRONIMO. Nó leggiamo quel le parolediessoingreco, le quali horaledicoinnoftrouolga' re cosi.lo fu quello che cauai fuora allhora allhora il coltello dellacosciase cominciai dicauare con il scarpello unafofla, allamisuradiun gomito,indiequindiincerchioetancho rainfundeililibamini, cioelifacrificii,colleumbres APIS. Tu hai molto egreggianiéte dechiarato il sentimento,eno manco ageuolmente isposteleparole. FRONIMO. Credo habe bilettono una uoltam a louéte ligiuochidi Diana,eliballi collecompagne Nymphe. APISTIO.  Egli euero, etu non re inganniapunto. FRONIMO. Anchor io pensochetuhabbiri, uoltoquelli libri douesonoscrittiliamorosi ragionamenti, erlafciuisembiatide Anchi seconlaimpudica Venere eco 1 ·me fufferogenerati molti Baroninelli tempi antichidicote Atifallacietingánatori Dei. APISTIO. Et anchora questosper seuolueholetto. FRONIMO. Tu debbisapercome queftimal uagi Dimonii ingannaueno con merauigliosi huominicheerano deditialle operer ufticalie pastoralisico me eracommunamente lauitadi quelliliqualifurono rie trouati nelli tempi Heroici. Cosianchorainganno il Demonio Peleo pastore padre de Anchise, conciolia che effo fico me diffe coluilaffo la gregge delli porcielarmentonógus cidiscosto dallemura inuna ombrosa ualle forto laimagin ne della Thetide dea marina.cosiiftimatadalle genti. Et ac ciomancoseaccorgessedelfrodo glifuin SEGNATO dauno altro frodulento demonio uno delli Capitanii Grecichiama to Proteo con il qualepigliarebbe There madre de Achille la quale dimostrauafiincentofigure.Ma benuedieconfi dera uno altrofrodo, con loquale grandemente inganno, cioeche non dimostra di uuolere commettere iltupro, n e anche lo adutlero, ma fi n sed i ugolere contra her e ille ci. di quelli  to matrimonio, Loquale con suoiuersiegreggiamere carito Hesiodo, ficomeseuede nelle scritture de Greci. Ilpchepra babilméte dicemo effer da quiui deducto,cioedallo effem. pio diHefiodo, loEpithalamiodi Catullo. Ilche anchorr dimoftra il tenore del verso, chiaramente demostrado quella ancica facilitate questodechiarailcontinuo e sollecito ftu diodi CATULLO I seguitare li Greci, pcotalmodo che ispreffe leintegre Elegiedi Callimacho, alcuna uolta rendedoilsen timentoetaltreuolteisprimendoleparole. Anchora inganno per co tal via il demonio facilmente Paride, focto figura di quelle ore Dec. Il quale fi come scriffe Colutho Thebano nellibrodellapresa di Helena, nosolamentepafceualeper corelle del suo padre, ma anchorli Tori, eptal modo feue ftiua delleueftimente che pareuàun rozzopaftore etigno fantebifolco. Le quali cose, ampiamente con sue scritture quellolerecita. In questo modo fece inuisibile il Demonio quello Lidio paftore regale,con lainuersapaladelloanel lo cioecon quella partegiacesottola gemma,epretiofapic tra,ma ciuolta,conlaquale Atupro ecomesseilpeccato con la Řeina. Il perche pigliauono li Demonii uariee diuerfe fi gure alcunauoltadelle Dee,che erano uolgate, altreuokic leformaucnoin effigia delle terrestre Nymphe efouerere presentauenolefiguredelle Dee marine. Epercheeracredu co che se nascondessino, con il suo ingegno sotto le unde del e tacqua accio puotessino effer ucdure etpiu fortemente abr bruggiare licuoridellimiserie ciechj huomeni, ftauanoa p po delli profondi luoghi dellacqua doue dicontinuoper dri uoltare di quella cui si ritroua la candida fpuma et iuipa teuafussero appodellenodrici, doue eranonudrigateda güellet Anchora appareuanocolleimaginifintedi nuvoli, fi c ome fauole fcaméte raccontano appareffe Giunone ad Tinone, De cuifingononascelliilsuppositi Coéraur. Cofifin gono dico st cu i i occħIffio neppieta di Giove fu f f i trasferito ne cieli, e fussi fatto secretariodiqllo,etpõstoufficio hauefli ardireditécare Giunone delftupro la qualela mentadosicon Giove uimando ad Ilione una nuuolaafimilitudinedi Giu donc. cn la quale giacedoIrionc, ecredendosi dipigliare co amorosi piaceri con Giunione, ne ebbe li centauri. Aleri demonii apparecchiaueno prestigiicioefalsedemoftrationi, illusionie incantarioni,collequaliiogannauenolegenci, popoli, etinescaueriocon doppia frodeil Cozzo uolgo, ecan choralidorci huomeni. Ecosinonlaflauauerunocoloreet imagine della diuinita (la quale con diuerse menzogne e bugie sifforciava di usurparlaetafeattribuirla) conlaquas le'noncostringeffe ilcozzoet ignorante secolo, afarsiadora re, et anchora leciïauaconlalasciuia. Cóciosiacheeglie. cee to che anchora eglivergognasse Diana, laquale fugeuadi amare lauerginita accio forfitirassiaseslli haue anoiodio la fozza libidine. I dl e cui gioco, havemo scoperto in di forccio del demonio. Ecosi sotto il nome della Luna laquale senza uetun dubbio chiamauefli Diana raccótaueno fuffi fuergognata da Endimione, eda Hippolyto licome dimot Atra Firmiano, fotto il nome di Diana il quale pensava per srene sea quel luogo. E il nome di Virb io cio e di tre volte huomo elaleggemolto diligétemente cercata,doue fedo ueffe ponere,elemani medicheuolidi Esculapiocheporr Sino agiuto alle piaghe debbost credere fuffero tutte queke lecose fauole etillusioni delli Demonii, epurfeuifuffe qual che cosache pareffeinuero fuffiftara iltuttofedebbe pene Sareesserefattoperarte magica del Demonio.Vero-e-che Efculapio al fine fupo ipremiato con la mercede e premia delliincantadoriche ela miserabile morte. Concioliache eglienarrato da tuttiliantichiauthori,qualmente fuoce ciso dal fulguro, benche fia no uarie oppenioni perqualecat. gione,e per quale sacrilegio, fufficosi crudelmente Occio. I APISTIO. Dice Vergilio che cosifufliocciso, percherefufciso Hippolyco dalla morte.Nonfajcu cheduolendo Hippolyco fugire dauanti da Theseo suopadre infuriaro loquale cerca uadeucciderlosendelifalsameceaccusatodalla madregna Phedra etsendofalitosouradellacarretta e(pauêtatilicat ualliperlimoftrimarini,f icomenarra Seneca, cadėdofuoci delcarroploimpito, etracciatoemorto, sendoitoneline ferno fu resuscitato, efanato da Esculapio Veroie-chedice Plinioche cosifuflipercoffo dalfulgure Efculapioe r cagio nedi CastoreedipolucefigliuolidiTjidare Re di Oebalia   quello che scrive Tertulliano, cioechefur et arfo dal cielo Esculapio, perche biasimeuolmente hauea effercitatolamedicina.E cosiritrouiamomolto maggior us dietanellanarrationedi cotefta cosa chenellamorte di Romolo. Maegliebenvero checiascunodiloro,e-ftatoreferi, 20c computato fra gli Dei, benche coftui fuffe uno ladrone, e quellaltroun mago erincantatore.Vero -e-chemoltopiu mimaraueglio digildo, e cuihora uoglio raccotare, cioe che nó ben péfaflılifattisuoi quelgradehuomo, ilğleerasoftēta toetenato córâre ifpere daun certo grăprencipene giorni d e noftri agoli che le ubrigaua di far. FRONIMO. I n altro modo scriffero Panaiaso, Poliantho, Phylaccho, e Thelefarcho Anchora ltci dicono p altrecagio nifuffeoccifodal celeftiale fulgure Esculapio. APISTIO. Deh no ti siagra ue di ramentare il cutto, i m per ho felti piace e tu ti ricordi. FRONIMO. Io son côtéro.Furono alcuni, liqualilcriffe tochecofifpauêteuolmétefuffeucciso percheresuscito Tyndaro eno lifigliuoli,Vero:e-cheStaphylodiceno fuflire fufcitaroueruno da Esculapiom a ben -e-uerochefusanato Hippolypo chefugiuada Troezeneecofip qua caufa, fufli percoffo emorto dalfulgure. Ma Polyantho scriue che cosi fuffiuccisopche libero lifigliolidi Preto dalla sciochezza. E puo le Philarcho esser li cio iter venuto p che agiuro li figlio bdi Phineo. Ma fraquelli cħ háno voluto refufcitaffeimorci alcuni di loro dicono cheresuscitomoltidi quelliche furo noucefinella battaglia e guerra di Troia. Et altri scriveno che resuscitaffede qlli chemancarono nella guerra de Tebani. Egliebenuerochenó cimanca Telefarcho, che dice come fusse in tal modo percoflo, perche se fforzaua di riuo careallauita Orione nolorefuscito imperho.Anchoreglie moltomanifefto uedere la guerra etan chor la battagliade Ilio, e di Troia, e tuttilimodi delcome batrer ioisefece.E cosi designado ilcerchio,accio demostra Bidouiandarono, ecobarteronoThelamone e Peleo figlioli di Eaco.c doue Olyffe,collialtri Troiani,fu portato dal De: monio, egiapiunó cóparfe inuerun luogo. APISTIO.Turac contimarauigliose cose. FRONIMO. Sono certaméte marauia gliose etanchor vere. Dipoiquelloprenicemádo indiuerfi: CC  cuaniluoghie paeli, etanchora'per infino nellaGermania etanchoradiroequefto etdouenonmando épercercare guelhuomo: Horlendopericolatocostui,uêneincoteftono Aroeccellete Caftello uno dellsiuoi discepoli, chelaffoliues ftigiidelle sue malgradeuoli e diabolice opere perinfinoallo noftrigiorni. Concioli ache designaua laimaginediquella chehaueafattoilfurto,etdimostrauelaa colui,a cuierano Aatorobbare lesuerobbe, nellaincheftaradiacqua,osianel kaamola, cocertifacrilegii. e fuperftitioni, etiujlefaceuauc dere la figura iueftimenti con tuttiim o di erano fucoserua. Tiinrobbare quella cosa. Joconobbiunodalui manifeftato, ilquale haue arobbatoleámolette ciocalcuniremediicon troliueneficii, e contro dealorimali etoccultamere Shauca portatoa casa,efecretamenteferratinelcophinonon lofa pendouerana persona. Emi ricordodel tempo pelquale la fciodetteso perftitionierinego larte magicaS. e caminaffis mo insieme diecegiorni, pareamenonsarebbonobafteuo bidaisprimeree ramentare quellecose,lequaliho osferuar to enotato delle manifefteinfidic del Demonio neanchor ferebbono sufficienti dipuorerenarrarelimodi, cheofferus ello per ingannare lhuomo. Il perche mericamenteie chiar mato Saranaffo.Conciofia che sempre fu,e,et fara nemica dellhumana generatione, cosiincuttelealtre cose,come in quefta, decuihoggi hauemo determinate di ragionare Quanto al modo che dimostra dipigliare carnali piaceriio le dico che quello lo vuole negare (si com e contrario atanu vidottiefauiihuomeni Jiquai diconobauerloconosciutoda quellichelhanno isprimentato,etanimosamente teftifica no dihauerloudito) e-riputato ftoltoe pazzodafanto. Agostino il quale scrise con ieftimoniidi coinufa a m a nel quintodecimo libro della Citta di Dio, qualméresonostatoritro. HatifouentedelliSelaaniepergersiFauni faftidiofialledon De, chiamati daluolgo Incucbbiioe chesefforcianodico metterelafozzalibidineinfiemecolledonne etchesonori trouati di quelli che hannohauutoilsuodesiderio,pigliado. ne amorosi piaceri con effe. Et anchor diceche sono alcuni alori demonii chiamati da Galli Dusiili quali di continuoco grande importunita tentano le donne per avere l a f c i u i p i š  ceri, efouêtenedcuenenoalcocento dellilorobrimatid e fiderij, ecotetidanoifonoderij Folleti. APISTIO. Ti priegoo, feguitapur olera, FRONIMO. Horquantopettenne aluiaggiofannoper aria credocheanchor habbia udito cc c e t o se tu non l’hauer a j letro come ne vemn e Abb a re nell’Italia foura diunavolátefaecada Pythagora, perinlinodal lo HyperboreoTempiodiPhebo. APISTIO. Ne ancheque fto-e dame narcofto cóciosiachel horitrovato scrittodaun certo Philosopho Platonico. FRONIMO Se bentutiramenta taiqueftecole, facilmerecrederaile altri.Ilperchetu debbi Sapere qualmente comenciaffe cutiaquella Necyomátia di Olyffe, dalcerchio, cioequellaartedi diuina remediã telicor pi morti. E cosifacilmentepuo conoscerenon efferecosa nuoua queftifigmenticfittionidifareli cerchi,m a anzifos no antichipreftigii,cfalse delusionilequalianchora hanno cercato di seguitare li POETI LATINI. Có ciosiachese finga Scipion c c avare con il ferro la cavata terra altre,etutte qucile cose che seguitano, ad effempio di Olyffe. Quanto alliragio namenticolle ombreo sianocollispiritiiotedico chesono molto piuantichi che fufferoritrouatida Homero. Ilchef a cilmente quelli il poffon sapere, liquali conoscono fufferorj trouatili uersi di Orpheop queftacagione,econosconoco m e Omero ha seguita qt ouello non solamente in nominare Tyresia ma anchora ha imparato essi nomi congranfole lecitudine econnon menore offeruatione.Ilpercheferiue Giustino Martyre, come furon composti escrigriliprimiuer fidella Iliade ad esempio delli primi uersi di Orpheo, liqua Jiera noi ntitulaci di Cerere. E coliconuarü riti, costumiciof feruationiogniuno desiderayaecercauadihauer compagnia familiarita e ragionamenticollimorti, per cotalmodo, che dipojera detto come quelli scende vanto giu nellinferno. che narrafi interaenefia Pythagora, poilògotempo dopo Orpheo etHomero, edicesicome uedessejuinelloinferno JanimadiHefiodo, edi Homero, che eran tormentateper quellecose haueano scritto delli Dei.E pquefto fediceche fu grădemete honoratoe reueritodalli Croroniati, etancho sa molto piuperche racconto dihauere ueduto efferui grandemente cruciati, e martoriati quelli,che refiutaueno di pigliare amorosi piacericolle sue dolcimogliere. Ma quanto atrapassare per ilfpatio dellaria,ionon fo in che cosa dubiti, ouero pecche tu li maravegli. Concio lia chea m e parc non importa, febene misuri lepenne delliuenti con una laeta o con uno scanno,ouero con una caura. Non fe dice in qual modo fuffi portato Pythagora, o Empedocle, neinluuno carro daduerote, oda quatro,o dauno alatoPegaflo oda Dragoni,oda Olori, accio seguicaffeVes nere,Medea ouerofulfi condottoconduiserpentisottoil giouo come còduceuano Circe,ocollilioniamodo diCya bele, o.colli Lynciad essempio diBaccho,ouerofuflitcapor tato in altosoura Europeelaterra Asidafecondo lacoluetų dinedi Triptolemeo, acciochequellofusliportato lauorato redelle fructa, e questo coltore della philofophia, m a inueco furono amenduoiingannati da Pallade cioe dalla astutia e melitia del demonio. APISTIO E cio mi ricordo d’avere udito narrare feno me inganno, di Simonemago, ilqualeebbe are diméto diuuolereandareperaria imperho in sua malhora. Conciofiache desidetandodi vuolersaliresouralaria.c fina gēdo diuuolere ascedere nellaltocielo, ecosisendo giapore catomolto inalto dalli Demonii, percomandamétodiSan toPietroapoftolfou laffato uenireconrátaftetagiu interra d a dettimalegni fpiriti, chrópedofi tutte loffa,fu Ioétedella, uita. FRONIMO. Ě forlianchehai udito dinon so che Ethiopili quali haueano inusanzadiimporeilfrenoe labrigliaalla Dragoni, edipoiseggédosouradellaloro fchinaueneuano in Europa. Cosise dice effernarratoda Ruggeri Bacchone. Ma purcrcdaquellouipareilprudente edotrolettoredi questa cosa accio tu no pens voglia ramétare liuoli di Dedalo, liquali se n o sono semplice menzogne, sono al m a c ocre duticomefrodiet inganni del demonio eta nchorajotaci in che modo sparue Apollonio Tyaneo, dalla presentia di Domitiano Cesare. Oltro dicio fetu confeffi fuffero appo, delli antichi lispiritiincubi e succubi,cioe che si dimoftra peno informa e FIGURA DI MASCHI e di femine donand o amor tofielafciuipiaceriimodo diciascuno feflo allimiseri mor   Y tali    c o n certiunguéti, accio appareffe a led vero alli altri che fuffero traffigurate e c o n uerfeinunaaltra figura diffimile dalla prima. Ebenche, co teftohuomo dotto,fingeffediessere trafinutato, non perho dicefufficóuersoinuno uccello benchehau effeufato quel lamędeme medicina. Ma bugiardamente narrafufftramu tatoi uno asino. Anchor dicecheebbe gran cordoglioquel Ja femina, dubitando per lo errore hauea fattoinpiglia: relabuffolettache fufficangiato Luciano inuno Alino.Il perche dimoftroe non effereuaria la effentiadella cosa,m a lilaimagine. Etello con questo chiaramente il confermo, econfettoche fendodiuenuto Asino, hauearetenutolame te,elintellettodi Lucio. Et ancho tanó edaistimarechegli ueneffeinfantasiatales opinio cioeditrasmurare la forma f e l non fuffi f u r achiara fama come coteste cose erano molto inufanzaappodiquelledonnedi Theffalia,ecome elle molio fe delectaueno letefsercitauenoineffe. Non lo con fermoanchora quefto, quello Platonico Apulegio, chepoi boseguito:fingendo diessereprimaitoin Theffaliaauanti  tali perquale cagione non uoi credere chesiano anchora fimilif piricipe noftri tempi scóciosiachecotestose côferma có tálietátitefti moniicli qualiioglicamétaro, feltipiaceras Quanto allunguento, iocredolosappi,perchediffusamen tenehascrittoil Syro Luciano el africano Apulegio, uno in greco e l’altro in latino, Eco si se ha queste cose i scritte da l u i. Dunque cheuuoledirecofiquello cophinetto,e quelletan te buffelette equellooliodiquelladoma puoca istima nella sua CONVERSAZIONE. Di poi esfo me deme authoreledichiara dicendo. Incontanentefuunta delluny guento,fufattaageuole dauolare. Edipoifoggionge. Dop po puoco spario di tempo non douento altro cheuno cor, u o da norte.E cosi pareua aquelli,liquali guardaueno, 00€ tofingeuano diguardare fuflidiuenutouncoruodinotte. Io non mai crederei, che ver uno se potesse trafforma cedi una specie dicreatura in una altra osiaper uirtu de alcuno unguento overo per incanto magico. No dimenoy voleuano quelle sreghe effecuedute ungersi decuine fatto fingeffe diefferueftito diuna nuoua forma sendo priuo del laprimar Sedricamenteio referisco le parole diquello cosi diče. Piglia anchora un puo co piu dellunguentoe fatte et c. Et assai alcrecosescrissenelle quali parecotuttiimodiquafi habbia uoluto seguitare il Samosateno. Cóciosia cheha fato tomentionedello Thebalicomormorio dellolio trasforma uadiuna formanellalera edelli remedii dellecosecontrodi quegli incatil i quali faceuanoritornare lhuomo alla prima figura. APIST. Per qual cagione creditusiafattomentione diquellemedicinedi cose lequalieranoinagiucorio,econ. traquelliincanti, efrodimagiced FRONIMO. Segliepurcosa uera egioueuolein queste medicine, penso siapreso d’Arisotele. Nelle opere de cuiholettcohe e ripostofralemera uigliose cose comee cosuetudine che muoiono facilmeteli Aliniperlo odore delle rose. Il che sapendo Luciano e Lucio finseno di mancare dalla forma dellalino, de cuiprimaha? ueano fintiesserne figurati. Oueroforse egliequiui nascosta unalcracofa magica. Eglieda saperecome gia grandemente eran o infamate le donne di Thessalia e di Thressa, che fa ceflino delliueneficii e dell’incanti, et anchora era detto che fussi condutta la luna e m e nata secondo le piace u a colli u e r sida quelle, e chiamate lefiffeftelledel cieloilche anchora cracoftume delli Sabini ficomescriuc Oratio, etokro di cio diceuasifuffero inspirate da Baccho eteranochiamateMis mallonecioe seguacidi Baccho porradolecornasicomefa ceua ello, et anchoraeranodecre Adoni dee furiauanocollo complicate ferpefrali Thyrliconillusioni magice, etincáti, prestigii Et erano tenute in tanto honore e veneratione che uuolsiintrare nella compagnia di quelle la Reina Olympia madre delgrade Alessandro loistimo forseche quelle cose paionobugie Quotrebbeno hauer preso prencipio daquale che fimilitudinee colore deluero.Pare anchor cosa piu pro babileche haueffono qualche accrescimento dadertiprodi güemerauiglioseopere de demonii non senza qualcheue rofondaméto dellauera historiacoloratoer adombratoco molteuanitatie fitrionichedallifonniilicomee scrittoda. Synelio il qualeuugleua haueffono hauuto lefauoleantedit  1 tecCOG    m i ricordo il qualesefforzodidimostrarecon grade ingegno inchemo do haueffonola maggiore partedellefauolefermo fonda mentodallahistoria et anchora fforzofididimoftrare come dipoi fufferofuco fouente ampiate in maggiore cose effe fauolefondarefouta diefla verita dalla falra fama del cozzo vuolgo. E coscredo iofcriuefleVergilioquelperso. La dotca carta teftese di Palephato.  1 il Sole confinte paroleeconaflạipersuafioni,dauaad inte.. derealledonne di Thessalia, l equalinointē deuano simileco. Sfimilifinte opere,ouero dagrande aftutiae faggacita. Ilper che fu uno greco chiamato Palepharo fe beu teecofilialtii, daeflisonnü. Ecertamentenon sarebbe itaa to alcunäcánto brammoso di uolgare e manifeftare quello cose, chefufsero hauute e uedutenefonnii,licome ueduce fuoridel somnio collequali fuffero tanto tirauefforzatilhuo minidimerauigliarsi. O quátofonoliueneficii,maleficiiec incantationiramércate, iscritte, enátrate coli DALLI LATINI. Percia da VIRGILIO e detto di quella antifti tee sacerdotessa della stirpe de Mafsilli, la quale prometteua disciore le mentidellihuomenicolliuerfi,cioedifarlifarefi come lepiaceua, etdifarefermare lacquane fiumi, difareci tornarea dietro li pianeti e dichiamare, etfareuenireafelc notturnemani cioelispiritidella notte. Anchora perquesto senarranolemedicineer in canti di Circe, diMedea diCar nidia,equellealtregenerationidiueleni,lequaliconduco. no lhuomenialpazzescoamore chiamate da Theocrito Si ciliano Philtre di Simetha ecofida luiscritte,loquale regui, to Marone ne fuoiuersi. Puo efferche douiamo pensare che fianotuttequestecose finte senza uerun fondamentos Ver toechemiramento dhauerlettonel Plutarcho, quella fauola con gradeingenoe segacicaritrouaradiAganice di Thef falia, laqualenarracome conduceuaasuauoglia la Luna. Ma cosi era la verita, chequella conoscendo la cagione che la Luna horaeraritondahoracornuta, ethora piu no seue deua, perlainterpositionedellaonibradellaterrafraeflaet fa come le coduceuain quel tempo la Luna interra ficome: lepiaceua. Eco sidiconohaueffero principio lalorifauoleda Veramente eglie molto chiaro qual menteo chelhuomeni eranotramutatico lliincaptieueneficiiindiuerse figure sig come bugiardamente et anchora scioccamente parlaueno alcuniouerocheappareuonocosi. Ilpercheparenonsepose finegare senzaqualche Atoltiti ache almancoquellinonpa refsonoaleoad altri efferefimilecofa. Non tiraccordidi quello che tanto chiaramente se dice delle figliuole di Prei t o cioe che impieno con falli mugiti e voci di animali li c a m pifet hauer havuto paura dello aratro, eta nchora hauer, cer cole cornanellaleggierefronterCofice-narratacorestafas uola; Come furonotre figliuole di Preto, le quali sendogia. Nel fiore della giouentu e conoscendo seefter bellissimeintras.o nel Tempio di Giunone, spreggiarno la Dea Giunone, cipucandosieffer piu belle diquella perilcheadiratala Dea ai miffe tale folia inesse che le pareua fulsero diuenute in formadiuaccheilperche hauendopauradiportaree con ducereloaratro fuggirononelleselue.CosinarraVergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio dice in altro modo cioechecosi diuennene nel furore e pazzia,che glipareus dieffer douentate uacche nella Isola di Chea, perche haues no consentitoaquelli haueanofurato alcuni animali dellar) mento d’Ercole. Le qualidi poifuronoreduttease, etui suilluminatalafantasiada Melampo, ficomefu Lucio con la rosa,m a dicono alcuni altri che furono fanatee ritornare allaprimafiguradaEsculapio, siacomesi uoglia, cosiegtie narrato uariamente.Vero e-oche intraffinoin fimilifurie pazzie, o fufli per ira opera del demonio, overo pe t qualche corporale infirmita ritrouolantichita a quelle gios ucuolie diuerfici medii. Ma tu debbe faperecome bebbero li Demonii uariie'diuersi modi, eranchoracótinuideingan nareli uomini, in quelli tempi, nelli quali teneuano loim perio quali ditutto il mondo, e non solamente per lifacerdo diet Antiftiti delli Tempii, cperlioracolierefpoftededi Ido lictimagini,m a anchora ingannauenoper mezzodeals çunedonniciuole inspiratedalfalsoPichia,et fraudolente Apollinc.E cosipercotcftimcoodinduceuanoglihuomen afare ftupefattiemaraueglioldellelorooperationi et ins.  uiluppauono   YA ma non gia con quello il quale seguito VARRONE nelle Satire. Conciosiache quello Litio e-molto piu antico dicoteftoálcro Menippo. Ben che so che tu intendi quello SIGNIFICA (SEGNA)  Larva pur anche io i uoglio ramentare, per parere disaperlo, etanchora per raj zentarlo lecosihora horanon te occorrefi:Sono Larue mooceuoliombre dello inferno,ouero ispauenteuole scon bodellanoue ele Lamieeranochiamarealcuneimagini efpiripi moltibrammosidelafciuiamorie fozzipiaceri, es mche grandemente desideraueno dimangiarelhumana arneV.edimo chefauoleeranocotefte.PurdimmiApi non paionoateco testecoseche hauemo narrato s o p r a molto similia quelle delliquali longamente dicesi dellemaluagie Streghe dellanoftra etades APISTIO J n neticaame paionoquasisimili.Iiperchehoraoccorrono a me quelle parole dell’antica fauvola cioe Larva Lamia etIn cubicongutellodierso di Ausonio.  alappadono quelli nelle precipitanti rouine delle scclerita, defotto colore della sagrata religione. E perciopigliauono Qaric formeediuersefigure.Colisepuouedere e consider rue Protheo figliuolo dell’Oceano appo de quasituttiipoet p.loquale ledemoftro in formadiuariifimulacri efigure, ficomedice VIRGILIO conloteftinioniodiHomero,cioeche fubitosufatrohorrendoporco efuriosa Tigre, squammolo dragone, et una Lioneffa con lafuluante egialda ceruice molte altre coseramentanodilui,che lafloperbrcuita'. mente appareueno quellieccellentiBaroniche furono oce siliad Ilio alVinicore.Coli anche liramenia in che modo agparessead Apollonio Tlaneouna fantasmaouetoappal tente figuradellaEmpusa,cioediunacerta generationedi Larue o fiaspauenteuoleimagine auuotara a Diana,cheua no, licomesefinge,conunopiedee conuertonseinuariefi gure et alcuna uolca incontinéte che si sono rappreferiate fpareno,epiunon feuedeno. Anchora dicesicome hauesse conuerfácioneuna Larua,ofiaLamia, forrocoloredị hono. Kuolematrimonio,conMenippo Cinico dd Dimofte bomio,   Nora e-la stregain cunede fanciulli, con quelladonnescasceleragine. FRONIMO. Hor piuolcre, ramentiamo pur del altre cose, accio fe possa donare egual giudicio e gi uito senz pa u n t o di menzogna. Credo chetu fappi,qualmente sonoscrittiiu finitiuersi delliueneficii,et incanci,dellilicquorie beuande delli Pharmachie medicine,etanchorsonocantate fauole fchedociele Nenie Marsice cioelefauolede Marfi. Matu debbe sapere come sono iscritte e cantar ce o n una certame Laphora e similitudine quelle cose che cosi leleggono,cioè che lhuomeni, liquali remigaueno gcupisceno colliporci, perledonneche lusinghe e chebruggiasseHercole lendo unto con il sangue di Nesa eche fuffero instillasili amori col li veleni di Colcho, cócio fiachechiaramentese conosceful; seco significate e manifeftate lescelerate compagnie epros phanimodidellasozza enefanda libidine, collanridetteor seruationiecanti.Vero-e-cheuoglio tuintenda, come non erano  imperhodetci incantine anchora detre representatio nifofficientidispauentare ueruno,m a folamente pigliauei no, epauentaueno quelliche uuoleuano il perche narra Homero qualmente OliffeasfaltoCirce incantatrice non con ildolcebaso,m a siconlagutocoltello.Jlqualecosi comená fu presodal ciecoamore,cosianchor nó fu inuiluppato dalli incantamenti: Li quali non nuocenosenza malegna sottilita delli demonii. Legano quelli cheugoleno et acciocheuuoi leno ufano uariearti, e diuersimodi.Pigliano il rozzo volgo con lafozza libidine,ecolli deletreuoli,etlafciuipiacerie giranoase quellichesonodeditialla uita ciuilecollericchez ze, econladouicia epuranchoraltrinecoduconoasuoiuo“ tibenche puochi con lepromiffioni,econ laesca dellaglo ria; ed ellhonori,cioe quelli chese sono dati allistudi della philofophia. Ma quátopertenealliconuitiattédiben. Sedito, come quelli in parte fono yeri et in parte imaginationi et ilusioni, non perhofarodiscoftonedisconueneuole dalli antichi scrittori. ConcioGache ritrouiamoiscrittoda Herodor." todellamenfa del Sole eda Solino essere-istimata quella unacosadiuina. Cosiritrouiamonellauita di Apollonio Tia teo  neo, il convito della spora di quello, la quale era riputata una dell’antidette Lamie o delle Larve, o delle Lemire, eLeg. giamoiui, coine' sparbinoliy asipareuanodi oro, ediariento cheeranofulamenfa. Etincoralmodo appareuanoiDes monii all’huomeni sottouarieimagini e figure chiamate da Philoftraro Empuse e Lamie eMormolichie,ofianoLate ue.Gia puocoavantihauemodechiarato checosasianocos teftifpiriti,etombre.Ma quanto alleLamieritroviamoin Esaia dicono.co m e raprefentanouna certa beftialefigura: AlcuniHebreial trimentescriueno, dicendo come seintendeper leLamie alcune ombre e fpiriti furiosi,benche siafattamêtione nelli Treni di Geremia propheca dellem a m m e ouero p o p e della Lamia. Ma altriistimano fia derivato cotefto nome dal lapiaree spaccare etalquantidallaLama cheuuoldirenok sagine,oispauenteuole pronfondita.E dequindicredono sia derivato quel detto di Horatio. Ne traggiil fanciuluiuodepasciuta, Lamia deluentre. Anchor narra fifusserogiaconduttinelspettacolodaProbo Cesare molte Lamie.lu qual modo e figurafufli quella che inganno Menippo,non lipuofacilmentecofidaaltroluogo conoscere quanto da Philostrato. Ilqualenarracomefu ingamnatoeffo Cinicoda quellaLamia,quandoellafinger ua dipigliarloper marito, edipigliare amorosi piaceri con quello. Parimente i oistim o fulfi uccellato e s che r n i ro Apollonio,  quando era pregaro da quella non se incrodeliffenelli tormenti. Cofiera ingannato, perche iftimaua efferele Lal miemoltofacileadouereamare Hhuomeni, edipoipensaus che grandemente brammasino dehauere amorofi piaceri coneffi, enonmanicodi poi credeuache mangiassimolecat ni humane. Ma il mio Apistioio techiariscoqualmentenon fonotiratii demonii dalle brammofe voglie d eamorosi pia  propheta il luogo delle Lamie, doue famentione del fcontrodelli Demonii incubicioede quellichefedimostra no allhuomeni in figura difemine, ecolidanolafciuipiace riallimaschi eriftimano coftoroche siano leLamie dihur mana effigia dal mezzoin fue dal mezzoin giuc eri ne condutti da desiderii libidinosi, ma sono codutti dalla malgradeuole invidia adimostrarecoreste cose accio ro uiniiso emandano nelprecipitiodelli peccatilhumanagę ne ratione et al fine la conducano nella infernale dannatio ne doue efli sonoconfinatiinperpetuo. Etacciobenintens di infiamniano cotestisceleraci spiriti,limiferi mortali, cioc quelliimperhochefilaflinoingannare conunacerrafiam m a occoltam a non sono efiinfiammarida quelli ilche ini teseilpoeta Vergiloquandodiffe.Inspirainelliunooccolto fuogo. Conciosiachemi arricordochefunariatodallaStrega che quando se appresentata il demonio allisentimenti suoi in diuerse e uarie forme haueainu sanza diconoscerlo e didiscernerlodalliueri animali delliqualiello hauea pigli ato la forma in questomodo.Lepareua che uiintraffenel pettouncertocalore,etuna certafiamma,per laquale era certificatacome quelloerailDemonio.Anchoranarraua qualmenteera apparechiata alla fpreuedura una fiamma đı fuoco, ficomele pareua nelgiuoco, douc conueniuano tuttiauantila Donina, olaaukti del Demonio che seprefen cain formadiornatiffimaReina con la quale fiammadice uache incontinentesecocceuanolecarni femagnono ren dolemoftrateadeflafiamma. NonbrammanoliDemoni ilsanguehumano,neanchordesideranolecarniper managiare, ma il tutto opera do e p rocacciano, accio conduchin o lanimee corpi delli miseri mortali nelli sempiterni tormenti. La qual cosa iofocheegreggiamente inrenderai,quando udiraiparlareDicafto.Ilqualefebenuedoenonme ingan palocchioperillongospatio,ame pare gia fiaallemani,a combattere con la strega. APISTIO. Benben Fronimo. Tume haigiunto. Bêcheame paressedidisputarecoliuno degnoe nobile caualiere,percheioteuedo vestito coriquel le ciuiliet egreggieueftimente, ecintodiuna moltoornata {pata manon credeuogiadidifputareconuno cheintens deffe tanto eccellentemente linascoffi sentimenti delli P o c tihiftorici,Philofophi etanchora delli Chriftiani Theologi. Ilpercheconoscendoiolatuasufficientia,tipriegouoglitu per talm o d o adaptare in cotefta parte che ciretta  deluia, gio,   gio,chepuoffi seguitareitgia comenciato ragionamento, et anchor puoffi dimostrare dellaltre cose,con ilsecondo dit to,sicomegia hai fattoquelle prime con il prino,ficomese fuoledire.cioe coli tanra facondia fortilica,e dechiaratione chepossonointrareinme bendigefteedechiarateficome f avesse io ben poi mastigare Horno perdiamo tempo, ma te priego seguita lagia comeciara disputatione. FRONIMO. Se rebbe bisogno dimolto piu dotro dim e,et anchor sarebbe necessariodino puoco,ebreue viaggio,m ad i longo tiposo in douere fatiffarealletue humaniffime petitioni No dimen o pur mifforzaro disatisfare a tequáto porro .Cerraméte farebbeuilan, eprivodiogniciuilita, feionon efsaudillele gratioseetanchor honefte addimandedicoluide cuihogia conosciutoperlesueresposte che grandemete desideraebrå ma deintéderelauerita. Dunque seguiro lagiacomenciata difputatione, eramétaro quelle cose paionosianoaccómo date aquelloauãtidiceuamo,quáto imperhociconcedera ilbreue spatiodel uiaggio. Giahauemo detto molte coseet hora uoglio rispóderea quello tu dicesti cioe che pare nale accozzanole Stregheisiemenelnarrarelecosefatteadeffe dal Demonio, eparenó fecóuieneno inreferire quelle cose delloro sceleratogiuoco,ma cheunadiceinunmodo elal t ra in altro modo.I o ti rispondo che cotesto  puo intervenire o dalla paura o da mancamento di memoria, perche comuna mente fonogroffe de ingegno,ecôradinedella uilla.Anchor Sepuo cagionare et in col parlea malitia del demonio il qual inganamano tutto iunmedemo  modo. E questofacilme. te lepuo conoscere nellantichi prestigii, et illusioni. Concio Siacheeglie altrageneratione dejucătationinello Euflino altra nella regione Taurica etaltra maniera nella Italia E fében consideraraj conoscerainon esser fimile totalmen re quella Pharmaceutria di Theocrito aquelladecuipar la VIRGILIO cioenoii.e-fimilelartede ueneficii et incanta, menti unacon altra. Anchor pareinteruenisseilfimilenel li oracoli e responsioni. Perche altre erano le resposte date per le femine inspirate dalli malegni demonij,etaltre erat n o quelle hauute per le aperture e coragini della terra,    et altreanchoraquellecheeranopigliate dallhuomeniper lifonnii nelli Tempii. HperchealcunidormiuanonelTem piadi Paliphea, elmiedici Calabresi anchora essihaucano confuetudine, con& Dauni,diriposarsiappodelsepolcrodi Podalicio, ilquale Podalicio fufigliuolodi Esculapio efueca cellentejnedico.Anchora emanifefto comesoleuanogia Gece affaipersoneneltempio diEsculapio. Ilchenon solas mene fuofferuatonellitenipi Heroicim a anchora perinsie no allaeta di Antonino. De cuiraccontaHerodiano chean doa Pergamo perlanti decta cagione.Anchoraleggiamo qual mente haueuano consuetudine li oracoli di dare responsioni per il mezzo di intier estar ue, et anchora per meze zestatue,emediante anchoralecolombe,ofufferoquelle neriaugellio fussero femine disimile nome non loro, m a benfoperdetci modireuelaueno lecoseocculte etannon tiaueno quelle doueano uenire. Anchora assai auttori narrano come erano farte simili cose nella India per il mezzo del Jalberi, et in Dodone,ficomeracconto Aleffandro Magno, Erano anchoraaliriliqualisubicamenteintcandolisopraun certo furore narrauano marauigliore cose. Ecosi ritrouauoni ficoteitietaltrimillimodi, ediuerfiJunodallaltroda reuela re lisecret, etannonciare le coseda uenire.E come erano di uersespecie egeneracionidellaugurii,ediuersilimodi del fceleratorico, da manifestare le coseoccoltee da aluontias rele cosedouéano uenire,cosieranodiuerfi i sacrificiicollir quali sagrificaueno,eanchora diuerfi'imodi dieffofcelefto prophano,eteffecrando sagrificio. Anchora erano diuersili incantamenti delli antichi enon manco sonouarii nella10 ftra eta enon manco sonofatticon altri scelerati coftumie modi chesoleuanofarequelliantichi Romani. Sononarra tealcunecose dallantico Cacone nellilibridella agricoltu raditátasciocchezzache retrouansipuochile poffonoleg gere senza gran riso etischerno.Nondimeno furono imper r hoi scritte DA UNO UOMO ROMANO, il quale fu  censore e triomphatore. Ma quanto al moto.cioeinchemodo fiano portatedalDemonio,equanto alluogodoue fono ferma te tunon tidebbi merauegliare. Conciolia che quella cosa che e conåfuoingegno. bugiardafallace, et inganna terig celi e quella fouentdee piumodi, ediuatianaturainaquellache c-ueracefeaccostaalla semplicita. E corefto efaciledauc derein quelle coseche hauemo ramentare,enon manco anchora se puo conoscerepellifigmenti,e fauole de poeti, comefonola fedariietanchorcótrarii. Etanchefpeffeuol tequelloferitrovanellenarrate historie. Ilperche fouente seritrovauna cosascriccainduoietremodi, eta nchorqual che uoltaipiuan o cótrarioallalto, esepurno seranocorra tii alm a n c o seranno diuerse uarii.lisimile intecujene anche nelleoppenionide philofophi, enellerefponfionidelli(auii (ureconfolti, e doctoridelleleggicosipontificalicome imps riali conciolia che se citrouano varieoppenioni circauna medema cosa, Manon maiimperhoseritrouaquea cofa, nelle (criteurede Theologgi, eccettoche inquelle cosel e quali sono communi coli alliPocci comealli Philofophi. M a inquelle cose, le quali propriamente pertengono adeffs TheologgiciocnellicomandamentideIddio ecosinella! He cose, che pertengono alla fedecatholica, etaliicoftumi, chefononeceffariiallafalurenoftranon uifaricrouaucig. na diffenfionem a fono da tutti:narráciedęchiaraticongran deconcordiae consonantia etinunomedesimomodo.Ve to-e- chel Demonio malegno amicodelladiffenfione, con come e bugiardo et ingamatore cufi-e.uario,e uerfipelle. accio dicameglio. Ilquale uocabolo segondoliftudiolid e l la lingua latina e-cauaro kuorida quelle favole delle quali gia auantipädladimo,per ilcuiinganno diceuanli effertraf murai Thuomeni nellilupitcoicomeingamaha Pithagora, Empedocle di GIRGENTI, Apollonio ellaleriantichiPhilofophi disi mile generatione con ilcolore della dottrina, (üpercheula "Ha coteftilaciuoli,ecotefti modi,colliqualifacilmenteuili quoreua tenereligari) ecosicomeanchoragia tirauaafe de donneci uole con il mangiar e beuere, imbriagaree con lila sciui e carnalii piaceri.cosi anche hora tira similmente a fe, Thuomiciuoli e donniciuole con simili piaceri,liquai c o m e chiaramente sevede furono sprezzati da moltiPhilofophi. M a quelli Philosophi conduceua conmoldi modi afarliado es   tare cioeoconilcolore della capientia oucto con lasuperti cionedellafallareligione.Concioliache perhauere e gra. di della cognitione,e per ottenere la doutrina faceuano esto OrationielaudeuoliHinnialli Oracoliq uero all Tempo dellifall Dei Per lequali cose gli pareuade impetrare la cognitione dellecose che doucano uenire,etanchor pareuali diotteniredicflereportatiperariaindiuersi luoghi.E coj fendofatięquestecose con loagiuto del Demonio,quellilo attribuuano ad una certa cosa diuua,che pareua fufli 11€ dettihuomeni.Inchemodo altramente hauerebbonopor furouedeteli discepolidiPichagoraestofuo precettoredif. putarehoranelTaucominiodi Sicilia erhoranel Metaponto in cosi puoco spacio di tempo. Per quale via ferebbe camminato per aria Empedocle di GIRGENTI et anchora in che modo cofi prestosouradellafactaferebbecorsoAbarc,perilchefuchia maco Acrobares Coluigrandementese inganna, chicrede, che Apollonio conosce ffeaffai delle cose doueano uenireet icheluicomidaflealliDemonijetquellilubbedisceno,per paurahauciserodilui Fengeuai Demonio aftutoemalus gio diessere martoriato da luietanchoradiesseresforzata accioche sendo quello inescato fottocolore della finta diyi nita, dipoipiu forcemente seaccoftafse alalere cose etotal mente rouinalenelli peccati. Ilche facilmente, fel apiace. i puotrai conoscere dal fine che seguicaua.Sforzosi difare uccidereprimicraméte Pithagora nella seditione,e dipoidi farlotagliareipezzi.Amazzo Empedocle neluergognolo Iceco lo quale hanea codutto atantasciocchezza checrede ua dihauereortenuto ladiuinita.Ilperchecidiceuaallícom pagni qualmente fcdoucuanoalegrare,concioliachenon farebbe piu uomo mortale m a douentar ebbe Dio immortale. Im per hoc ofifcci ffe quello in greco, maiolo voglio e mentareinuolgare.Remanetiuiinpace,conciolia che io fono auo i Dio immortale, e non piu mortale. O che morir con questa morte, quero di quella decuiscriffe Democrito Troegenio, quando diceva, qualmenteello pendeouaucto Seeta attaccato ad uno cornale con uno lacciuolo al collo églieda pensare che lipaffali dicoteftauicaperin&igatio ne super persuasionedel Demonio. Anchora non l contenu focdiquello inganno, et illusionem, a anche diceua come gia erapassatalanima fuaperdiuer ficorpicon questepar role grecelequale uolgarmente lediro cofi.Gia tofuuna Lanciula etun fanciullo. Ecolia lfinefuconduco allamor le colleuocidelli Demonii,econilfpiandore dellefiaccole ficomeracconta Heraclide. Forsianchorane conduffiApof lonionelTempiternosupplicio con tanima insiemecoilcom p o. La quale morte no parech e ha indegni a alli n j aghiet incantatori. Con cio la che variamente egli e narrata la morte di esso, perche sono alcuni che dicono come mori in Efeso ultriscriuenochemoriin Creta, et alquanti alttiuuolero mancale inR hodo.Vero-e-chenon erainpiediilgodose polcrodiquellonerempidi Philoftraco.Benchefuffyadors toereueritaper Dio daalcuni stolti e pazzi.ilquale scelera to costume ficomelaltri frodidelDemonio manico etheb befinefrapuoco spatio di tempo. Cofianchoraporloayenimento di messer Giesu Christo pero Imperadore di tutto il modo mancarono tutti li oracoli respofte, edomesticiragio namétideliidolierdelifalfi Dei. Nelliqualierainus luppa. toe strettamente legato quasi tutto ilmodo.E cofiquello, dquale apercaméte, e publicamente dauaresposte perliora coli per liIdoli, e per lialtrim o d i hora fcioccamente parla per le oscure cauerne desiderando lilasciyiecarnalipiaceri, fi quali hora sono uergognofi cheallhoraallegentierano gloriosi.ltperche fa scritto quelparlares Dignate Anchisa del Paphio coniugio. Ino solamétefuronoquellilasciin piaceri gloriofredigrar de reputatione ne tempi eroici, ma anchor nella era di Alessandro e di Scipione. Alliquali fu attribuito cotefta gloria, che eranoistimatida molti figlioli di Gioue.E questomolto maggiormenteemanifeftoperlehistorieche iopossacon Ognidiligentia raccontare cioe cheera credutoche il Demonjo che sefaceuachiamareGiouein figuradiferpente hauessehaguto amorosi piaceri con la madre di SCIPIONE, e con Olympiamogliere delRe Philippo. Et eranoin tantaoscuricadiméte che credeuono fulliGioueDio.Eco Gin coteftie fimilimoditicauane peccatiquelli che erano la f c i u i libidinosi e carnali, meschiando li impe r h o anchora ce ii qualche colore di supexftnione. Anchor cofiineleng aquelli, liqualidefiderauenoebrammauenola gloria, et eccellencia dellihonori mondani, li qualitendo fralimortali jeshauédo proirontiatilecosedauenireper la conuerfaçione, familia cicacontinuahaueano hauuto colli Demoni anchora fimile méte dopo lamorce pronosticaueno.Ilperchefauolefcame tenarraflidiOrpheo comesendouiuofu riputaco profeta. et dipoisendo morto fedice comedaua anchor resposte. È dicefle anchor qual mentesendolitagliatoilcapo,dalledon ne Theeffe,ando effocapone lLelbono;etiuihabito in una spauente uole ruppe uaticinando edandarefpoufioni perliIpiracolietaperturedella terra .Portauanoanchora in yoltali oracoli di Amphiarale diAmphilochouanie diuina torifendo anchee gliuiuietil simile fecero doppo la morte, Ilche forsi grandemente defidero Empedocle quidouuol. Fiefferciputato Dio immortale.Fauolosamente anchorrac contano comeeffercitayanolamiliciaelaguerraliReggi doppolamorte efaceuano battaglia, ecombatteuanoa cheandauanoacacciarelianimali,e luccellietcayalcauay poficomenarrauanodiRhefoRedi Traciachecaualca, uain Rhodope. Oltradiciodiceuano comenosolamente fc eccicauano,etferappresentauenoleanimede quelli con lopra delli cerchii,edellisagrificiiramétatida Homero,m a anchora spontaneamente,econalcunipattiinquelmodo, ficomeseriue Philoftrato,leappresentarsiAchillealTianeo, etal Vinicore Protesilao,collaltri Capicanii fecero baccaglia co Priamo.Vero eche lafaccia juoltiicoftumi,eliatti,ege Aidequelli, perchefonodialtra maniera emolto diuerfi,e Yariida quelli chesonoiscrittida Homero eperchesonoan chor diffimilidaquellichenarrano lhistoriedi Darete Phri gio edi Ditto Cretese teinsegnanoquantosianolijnganoi delli Demoni elebugie che hanno poftonella cognitione etanchorti dimostrano li noceuoli deliramenitie pazziem e fchiatecollibuonicoftumi. Perilcheseil Demonio hauccel laioebeffato, etingannato perquestimodi quegliliqualise iftimauerosauiiedotti credendo lecose contrarie e totalmente da l ragione discoste quale ci la cagion ce h e t anto grandemente tuti marauegli diudi teze diuedere molte co feuarie, diuerfe collipiedilaconfegratahoftia.E cosiinquestomodo comanda quello fceleratonemico deIddioachiunqueuuo leentrarenellasua profana, maledetta, eperfidecópagnia, che abbandonino, preggino,etischetniscanolanoftra fan: ciffimareligione Chriftiana. Imperho non si puoaccozzare ne conuenire insiemelabugiaefalsitacon laueritanellete n e bre et oscurisa con la luce ne anchor la fuperftitione con la religione. Io credo ilmio Apistio, che hormaitutifiaaffaj certificato e chiarico cosipian pian caminando di quello decuihauemocóferitoe disputato et anchordi quellodel qualemi addmandasti. Deh pertuafedeuediuedicola la Strega, che e agrandi ragionaméti con il dotto Dicafto, nel portico avanti del sagrato tempio. APISTIO. Diovi fa lui. DICASTO. Siatie benuenuti checosa ci e dinuouoil no  sciocchee pazze econtrarielunadellakira nelle Streghe denoftritempirM a anzi maggiormente cu tidebbi merauigliarediquella eccellentesapientiaepoffan za di Chrifto, laqualetalmérehaoperato che quello hauca persuaduto il Demonio malegno eperuerfo inanti lo auek nimento di esso a tantiReggi,Oratorie Philofophi delle genti,ficomecosaeccellente emolto meracigliosa edegna dogni sapientia hora a pena ilpoffa perfuadere ad alcuni huomiciuoli e donniciuolecioeche lo adorano loreuerisco Do Ihonorano, efacjono quellecosecheglicomandae cos fiperqueftomodotu odebbe macauegliare che quello che giaerafatropublicamenteintuttoilmondo,etfratutte le generationi sicomecosa honoreuole e gloriosa che hora H a fatta nelli picciolie Atretti canto n i da puochi secretamente, e con ignominia e vergogna. Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria frale altricioeche glie, tanto fodo, fermo, eftabil e il fondaniento della triomphante fede de Chrifto chenon uvole ilDemonio peruerfo emalegno niuadino alle sue fcelerate congregarioni, eradunamenti, neanchorauuole che conuersino con luile Streghe,fepris manop renegano la santiffima fede diChrifto,e Spreggiar nolisagramemidellasagrosantaRomana Chiesa,econcul cano  Kro Apiftio APISTIO. Loaddimandamo ate. Conciolig che Fronimo noftro erio ftamo venuti quiaccio udiama imperhosettipiace. Heime doue fon giuntai DICASTO.Non hauer paura M a ftapurdibaona uoglia e parla senz auerunpauéto. E nodubitaredi meconiciofia che iotiseruaroquátotihopromeffo ciocche'nóseraimar toriata feliberamente manifeftarai iurre letue maluagic opere lequalinonpoffonopioefferpalcofte, perchegia ho liteftimonij cometuseiindettoerroreepeccato etanchot fulhai cófeffato fi comeiográdemenre desiderauo.. Deh heime. Gia lho detto. Per qualecagionedonque m itormentatidiuolerloanchoraunaltrauolrahora inten; dere? DICASTO,Perche e bisogno diritornarlo a confef faren o n solamente inantidi duoiu e r ditre teftimoniim s anchoraauantidipiu etalfineanchedavantidituttoilpo polo fedesideridiIchifare la pena tassata dalle leggi e a voi che setidi questa'maledetta compagnia,per tantifacrilegii, et ā refc e le ra te opere che uoi facte. Vero e che gia hiame promessodi faretutto quellocheticomandaro,et10teho promesso seruando tu le promiffio niantidectedinon confo gnartinellemani delGiudice il quale in contanentetifareb b e brugiare cosi sendoli c o m a ndato dalle leggie. Hor a noir tic o m a n d o altro eccetro che tu ramêti unálıca uolta quelle cose che tu hai fat rco o l i demonii nel giuoco o s t a nel corso come fedice uolgarmente.O maladerco giuo co, O giuocoin felicepme, mala fortemia. DICASTO. Nonbisognanohoralagrime,non piantine anche gridi. Deh perquellahumanitaetgentilezzachein uoi leritroua,priegouinon mi uogliateperhora piu darmi faftidio.M a fiaticontentidi concedermiun puoco fpatio di tempo,etun puoco diriposo  narta tanto chemiramentiiltutto ecolidipoiuinarraroognicosa chehofatto: DICASTO. Piacédouigli cöcedero,quellochele piace,etaddimanda. Conciosia chepoiraccotarajl tuttoconmegliore animo, conpiuageuoleuoce, seespettaremoadintrarenelliragia namenti perinfinoadomanc.Doue haueromolto ápiace re,felno uifera graue uiritrouiaci presenti. APISTIO.NO parui   Pauigraueaquellihuomeni desiderosididottrinadiparz cicledesuoipaesia andarperinfinoaGnosocittadiCreta allaspeluncae tempio di Gioue perudire le leggi ualiee di Puiocomomento di Minoffe,ediLicurgo,etferaame dun que faftiddioi caminareunmiglio,accioimparqiuellecose lequalinfeo sonovere, almancopaionouerifimilipladispu tatione di Fronimor FRONIMO. Hora mi callegromolto perchetiucdotantoiftimareiionm e nialauerita, puran choraseben nolhai certa cu faialmaco contodellafupility dinediefi. IIperchenoseraanchorame grauedicitornare quidalnostroCaftelloperessercitiodelcorpo. DICASTO Cofi.dunqucretornareridanoi,etioue aspettaro con gran difio, Andatidunqueinpace,E tu guardianodellacarcere ritorna colala Strega,etu Strega pensa benil turco, accio il polli ordinatamente, efenzauerusiabugianarrare. &c DICASTO. O fiatreeben uenuti.Atempo fecigiúti,con Icioliachehorahoraseracondutto fuoridella pregione laStrega esecamenataauktidinoi. APISTIO. martoriare quel lachegiahacófeffatorAPIST.Deh buonadónano-e-ita to portato quiuerunacosa da sormérarti Vero e cheFroni moetio Gamouenutiquiso lamétcp uedertietudirtietan chor p aiutarti quáto potremo. FRON.In Heritacosi-e c o m e ha detto Apifio.STR,Deh quäto grauemetemi mars torianocotestemanettediferro, ecotefinodiegroppidelle legatureDeh cheioho pauran o mi siendatimaggiori tor menti. FRON. TipriegoDicafto,comanda chelasciolta. DICAST O. I o son cöteto.O caualiere supresto sciogliela. Hormai cominciaro'un Ecco coco che e-menata legata. Eime,cime.Inquestomodo ferua sile promissioni Pe r qual cagione u uoleti poco diripigliar lispiriti   DICASTO. Sta purdibuonauogliaperchetipromettodi non mancare in ueruna cosa di quello ti ho promesso o u t chetuserualepromiffionididireiluero senzabugia edi narrareognicosaa punto diquelloferaiinterrogara.Siche racconta iltuttointeramente. Vi prometta di feruarequello cheajho promesso liberamétefenzaalcuna menzogna.DICASTO.Dunque comeciadinarrarequel lecoselequalilaltro giorno,etalichorahierifuiltardoam e folo cöfeffaftiscriuendoleilNotaio.Seuoilerar mencarete,elereducerete amemoria, colleuoftré intercon gationirefponderocon quelordine, cheuoreti.DICASTO AddimadatiuoiApiftioe Fronimo, concótentolepofsetiin terrogare cóciolia che hoggi farauoltroquestospettacolo, cotesta impresa.Ma eglie be uero che uoglio'effecuipresente acciola ammonisca leusciffefuoridellacarreggiataçlıcome fifuole dire cheritorniallauiadrita. APISTIO.Hor luStrega dimmi anda ftima i al giuoco di Diana o u crodi Herodiade r  Si sono bene andata al giuoco m a chel fia o diDianao diHerodiadenon il-fo.Conciosia chepia non houditoramentare quelligiuochi. FRONIMO.Gia tedif Sibieri Apistio come il Demonio ingannava i uomini in diversi modi. Il perche in queltempo, nelquale era adorata Diana dalle genti, et era molto honorato e glorioso iln o medi quella pe r ilmondo, pare ua una eccellente cosa di poter uiessere annouerato fra le compagne di effa Diana. Benche inpechofufferodetteuergininondimento eranochiamare Nimphe cioespore, eco filepiaceuadieffere addimandate fpose, ma maggiormemte le aggradi valo effetto et opra, ben che non fuffecercatacon legitimorito,ecostume.Concia. siache erano iui continuiftupriet adulterii. Perilche serie ue Homero nellisuoiuerfifouentequella colgata sentens tia, Nella mefchiaraamicitia. Imperho fauolescamentedi cano comely Dei falsioueroquelli antichi Baconi ebbero amorosipiacericonlacompagniadiDiana,ouero diunal traNimpha, odiNapea odiOreade,odiDriadeFengrua noefferleNapeeleDee dellefelue, dellicolliemonticelli, dellifiori, ficomediceuano esserele Orcade Nimphe delli monici  I monni,ele Driade Nimphedelli alberi, Anchora credeuang li Gentili,etilgozzouolgo,chefufferoinamoracęleN i m phe Marineedellifiumi E. Colifouenceleggerai di Cirene Leucotheafintadallantichieffecla Dea Matutacioelauro ta chiamata Dea marina p che era so u r astā r cakc e m po maismino Et anchor ritrouacaiscrittodiCimgdecene cioediquel laDea,laquale faceua acque care le onde marinesche, secondo le loro fauole, nomanco uederai iscritto molte cose del laltrefinte Dee odelmare,odellifiumi.E percheglipareua efleremolto piu sicuro diconuersareperlim o n i,che som mergersi nellonde delacque etanchorpareuaeffercosa pia aggradeuole.dimitromettersinelle cacciagionidiDiana,che inuilupparfinelliprocellosiflutidi Tritono enelleondema rinesche, in per ho maggiormente se deleitarono nel giuoco di Diana, ene balliesalci di quella ficome cosepiuaggrade uoli, gioconde,e piaceuoli.Anchora tico dapoi molti altri conlusin ghe uoli modi sottolafiguradi HerodiadeIdumea la quale grandementesedeletrauanelli Colazzeuoliecraftu. Fattamentionedicotefto giuoco di Diana, ouerdiHerodia de belle leggi e decreti de Ponteficidouifiramécanoleleg. gifuronocófermateper ilConcilio.Nelqualfu fatto quello ftatuto, che si dove f feros cacciare le maghe et incantatrici. FRONIMO.Deh ptoafededimmiDicafto,iltimitueffere cotefto quel medemo giuocode cuinefattomemoria juic DICASTO. lote dito ilmio Fronimo.Sono uarieoppenio nidiquestacosa, conciosiachesonoalcuni,chedicodnoe 6, etsonoaltriche uuoleno siauna noua heresia. FRONIMO Dirolamiafancasia. Iocredo che quelloinparcefiaantico etinpartenuouo, cioenuouo quantoalle nuouefuperftitio niceerimonie iuihorsaesatino, ficometudicefti,parlando da Philosopho, chelfüfliantico quáto allaesseruia,etsiuouq quanto alliaccidenti. DICASTO.Ben ben Fronimo, cerca mente tuhaiiniaginatouna eccelletedistintione;conlaqua keaffaicofefescioråno che hanno dependentiada quelluo 8o, dacuihannopigliaioalcunigrande occasione dierrore Iftimadochecotestedonnuzzesianosempreportatealgiuo . RAZO. BIBLIOTECA EMANUELE LOORIO ) ff  co solamente con la fantasia enoni con ilcorpo. APISTIO. I Dunque ruistimiche le Streghe F a n o sempre strafferrite e portatealgiuococon ilcorpo DICASTO. Nonfongiadi quefta oppenione che sempre fano portate cola al giuoco con il corpo, perche alcuna volta fono fus eri trouate pc oca le modo accostato foura di un travo cn tanto profondo sono chenofemiuanocosaalcuna benchefufferofortemērebuf sate, etelle di poi crede uono di effer state portatealgiuoco, é nondimenoeranojui. Anchora altreuoltesonostateuedo tefralegambe de aleurie,efra lecoscie,esserui delle feope feratecon tanta fermezza chen o sepuoreuano cauare fuori rida che fouente sono portare al giuoco e con ilcorpo e con lanima,et altre uolte pur credendo di efferportateinquelmodo,folamentesono iuipresentecon lafaritafiaetimaginatione: DICASTO. Eglie alcunauolr ta preftigiodelDemonio ouerofalsademostrationeetuna aftura delusione etaltreuolte efecondo che uoglionolestre ghe.Imiricordodihauerelettonellilibridifrate Artigo,e difrate Giacobo ThodeschiMaeftriinTheologia dellordia ne de frati Predicatori,qualmenteeglienarraro diunaftee, ga laquale  pensitu occorca questo  quellechedormiuano,collequalecofe credeuanoeffe dieffereportate al giuoco. APISTIO.Per qualcagione pafsaua quellispatiiintuttiduoi e modi fecon. do che le piaceua,cioe con ilcorpo uigilando etanchor (per fe uolte folamēre con lafantasiacioe quâdo le rincresceua i uiaggio. Il perche allhora fedendonelletto ethauedodetto alcune diaboliche parole, regli rappresentavano tutte le com e! del giuocoi una uerdanuvola etoscuracome lacqua det mare ficomeuifufferorealmentestatepresente. FRONTIMO. Che cosa responderefti alliaduerfarii. DICASTO. Primieramente cosiglirispondereicheiomi maraueglio come uoglia nomisurare tuttilimodidellisacrileggidelle fuperftitioni edelle magiche uanitadi,con uno folom o d o delviaggio alcunauoltaferuatoinunaregioneepaesedel mondo dauna certafcelefte compagnia didonne profane e rubelle dinostrafede ecosivoglianoiftéderequestacosa. atuttelepartidelmodo.Et anchordireiche pěsanoforfidi Capere  scrittore di maggio te autorita dicoluilo racconta.Conciosa che fano aflaicore da Gratiano altrimente iscritteeri volte, enarraremolto di nerfeda quelle chefuronopublicate nellicöcilii,edallion teficiIperche credoche coteftafussiuna cagione fralaltre perlaqualeironfußlipercoralmodo approuatalacompilaa tione del Decreto daluifatta, dalliVenerabiliPadri della cose cheseucdeano in quella regione,lequale sonod a n nate peril Concilio. Non dimeno se fanno imperho affat core dellequalinonseleggefufferofattejui  I fapere táto che glipäre di potere coftrēģere tampiao fánza del Demono, laqualehebbedalprincipiodellasuacrea tioneinunomoriario. Dipoianchoradireichecostoronon polionopatire che siaispofto quelcestodellalegge co ilgiu diciode altrui, liqualicertameresonodi maggiore dottrina acciachecauano fuoriquelle egiudicio,dieffi, coselequali pertegono allanatura,da quellechesonopertinentiallafe de catholica.Anchorfefforzatiodi dimoftrarelaperiamente cfenza uergogna chenon siaquellacosa,laqualenó poffor n o negare chenon sipossa fare etanchorache non siafatta qualcheuolta,eccetto senonlauuolenonegarecon suagiá de profomprione,etignominiacioe negando le migliara deteftimonii. Mafotlianchoruno dimaggioranimodime direbbediuuoler uedereun piufedele effempio delle leggi del Concilioche fuffiramentato da un Chiefa, che fullofferuatainuece di leggi e dalla quale non fuffilicitoauerunodi appellare.Horlupuranchoragliuud côcederequelloche diconom a consideraben cheglisiaan choraferratolaboccaad effraduerfarii con la tua ottima di Aintione, ficomeam e pare erinueroegliecos. Perlaquale facilmentefepuo conoscere,qualmente ilcorso ofiailgiuo co dicotefte donniciuole ethuomiciuoline conuiene in parte con quello giuoco, etinparte euarioe diuerfo da quello.Conciosiache nonse dice quichese creda Diana effere Deadelli Pagni,neanchoraseuedonoquiui quelle che sono pur impercio communi colle altri fuperftitionidelliGentili Pagani, etanchorafansiaffai schernieuituperiode Dio,c 2 et ola i bialimeuoliofferuationqi, uariiritiemaladettichefonofino insegnatidallimalignifpiritie Demonii a questimiferih u o miciuolie donniciuole licomenellidannariunguéti da un gerfi,nella deletratione difpargere ilsangue innocente del lifanciullininella offeruationedelcerchio, nellimagichijn cantamenti nellaltri molti diabolici maleficii, eneluiaggio) e discorso grande per lari a con il corpo. Colui che  e galse, che il Demonio non puotesse maggiormente mouere licor, pi, chenó poffono ruicilhuomeniinsieme, parládoimperho, naturalmente, equanto alli prencipii naturalidiciascunodia effiiopenso,cheferebbedaefferreprouatoedánatocome Heretico, perchediceilfan&iffimolobbo chenonepoffan, zafouradellaterrada egualare a quella del Demonio. Ants choraritrouianoneluangelioqualmente fu portato Miffera Giesu Christo noftrosignordalDomoniosouradelMonte eranche foura delpinnacolodel Tempio.E tenuto indubin tabilmėteuero dalli Theologgi c o m efonoubbedienti cugi licorpi allefortarize separate o fiano alli spiriti ispogliati del corpo, quáto perteneimperhoalmouereda luogoaluogo, ecoli effifpiritinaturalmentelepuonomouere afuopiacess te purnon sianoimpediti daIddio prima causa di tuttele creature ecosi quefta euna disputationedellalegge natu rale cioefe poffonolispiritiignudie priuidimatermiao u e te licorpilo no,m a chesianoportatida luogoa luogo questihuomenicdonne inucritae senza menzogta,eglie, dispurationedel fatto cioe fecost-e-ueramenteIlperchetu debbisapere chgeuadore-certo che le possa fare una cola e chetuuuoiintéderedapoieconoscerelee -fattaofefaci, i nólefacialtrimëreno lopuotraiintendereeccettocheper boccadelliteftimonii,ochelhauerannoeffifatto,oueroIba ueranno veduto coli essere; overo l h ayerano udito d aquelli che l’averano fatto che feranostatoueriet certie fidelihuo meni.E cosihora quanto apertene a noi cioeche siano por: tatialmaledetto giuoco, queftirebelliidnoftra fantiflima fede, Ma ve m o fermoechiaro eper cofa indubitabile peril mezzo de gran numero di testimonii, liqualilhannomolto largamente narrato. FRONIMO. Non /ermaraueglia se  quelli   ghellisciocchezzanoinan tefto, cociofiachecoficompren dono laueritacollialtri. I]perche ficomeilgloriosoIddione wahe ilben dalmale cofilhuomenidimalo animo,edima laopeniojie, sefforzanodicauareilmale dalbene.Écolipa rimente perla malignita dellicatriui huomeni sonoftateca uate tuttele Hereniedallesagre litterenonperdifettoecol pa dieflifa gratissimilibri, efantissime littere, ma per la per uerfamalitiadellhuomeni.APISTIO.Deh peramore de Iddio aipriegononuogliateinterromperelemie interrogazioni. Benche gia abbia deliberato de interrogar u i poi de dettecore purnon parehorailtempo,fiche ui priegonon m i datiadeffo noglia m a laffatimi seguitare. DICASTO. Tu hai ragioneilnostroApiftio,Seguitapur oltreer addis manda aleiquellochetipiace. APISTIO.Su Stregadimy m i, Andavi tua l giuoco con l anima insieme con il corpo, o s pur con uno senza laleros Viandaga e con lanimae con ilcorpoinsieme. APISTIO. Come e chiamato quefto. uoftrogiuocor'Eglie chiamato dallinoftriCom, pagni il  giuoco della Donna. APISTI. Inchemodoane d a ui tu col a r Deh c h e nogli andava, ma ben gli era portata. APISTIO. Conchecofa: Con una Gramicadacascetareil Lino. APISTIO. Comefiapoffibi lequesto chesiaportataquella, non la portandoueruno Má beneraportatadalmio amoroso. APISTIO. Chi-e-coftui Ludovigo. APISTIO. Eglieforsiunoqualchehuomocosichiamato Nonhuomono,ma il Demonio, che se presencaua in for ma dihuomo,loqualecredeuofuffiDia ĀPISTIO. Mima raueglio assai certamenteche il demonio ingannatore del Ihuominihabbipigliato questo nome de Chriftiani. FRONIMO.T u si marauegli che colui habbia pigliato quelto nome deriuatodalliGentiliePagani,ilqualefefuoletraffi, gurare nello Angiolo della luce. APISTIO. Tudici molto gagliardamente cheegliederiuatodalliGentili. FRONIMO. Anchoraildicoche ederiuatodalliGentili.Concio wachenonmairetrouaraiinueruno luogone inGrecone ipLatino osiacon efsempio, ocon origine (senonme ingå noimperho)dondefiaderiuato.Vero e che mi ricordo di avere letto solamente ne Commentarii di GIULIO CESARE r Litavico, da cuidipoiun puoco-e.ftatopiegatoerecorto nella lengua franciefaer-e-detto Luilo eriuoltatoanchor poi nella lingua del Lazio, e scritto Lodovico dovi quello se referrisée. APISTIO. Nonuogliopiuoltrediqueftacofadisputare, maggiormeieperhora,percheho deliberatoinqucho tempo divuolerragionare con questanoftra Strega. FRONIMO.IlmioApiftio, hodettoquelloame pare, sempreim) per hoapparecchiatodiudireleoppenionidepiudottiepia prudentidime. APISTIO.Non piu.HorfSutrega.dehnó cisia molesdto i scoprire ameinteramentelicuoilasciui pia ceti. STREGA. Dimmi de checosahaitudelideriode ing. Tédereç. APISTIO. Pareuaateunohuomo queftoruoamor roso: STREGA.Sipareuahuomoi tuttelemembrá cecet tochenepiedi.Liqualisemprepareuano piedidiOcchari uoltati a dietro e riuerfatip e r cotal modo ch e era riuolto'm dietro quellosuoleesseredauanti. APISTIO.Per quale ca gionecredituDicafto chefinga,ilDemonio tuttelaltrem e bra dahuomo elipiedidaOcchasDICASTO. Setulegt geraituttiliproceflidicotefte Streghefatti dalliInquisito titu ritrouaraiinefliqualmente il Diavolo osia il Demo nio,o periluoglichiamare Saranaqffuo,a n d o secangiain cffigiadi huomo, sempre apparecontuttele membrada huomo, eccetto checollipiedi. Dilche inueritatidico cheso uentemenesonomoltomarauigliato ecoliframe hopen fato che forfi q u e f t a e la ragione. C i o e che Iddio nó per mes techeelloisprima, e fingatuttalauerafimilitudinedellbuo mo, acciononingannieslohuomo conlaeffigia humana. E la ragione per che nó hafimiliipiediallaltriniembradel ta finta EFFIGIA de llhuomo credo possaessereperche-e-con fueto diefferelignificatoperipiedinellimisticiparlaridella fcrittura leaffertionie desiderose uoglieet imperho gli pore tariuoltiadietro.cioe cheha lisuoidefideriisemprecontra de Iddio eriuoluicontro delbenfare. Ma perchecagione piu prefto ha u voluto fingere li piedi  de Occa che daltro animale io confesso chiaramente di non sapere,ccettofelnoix  1 ui fuffi ulfuflequalchenascostaproprietanelloccha,la qualsee poi feffe ageuolmente adaptareallamalitia.Ve r o -e-che hora nonm i arricordodihauereuedutoin Ariftotele che siaftai M offeruatafimile cofa da quello,m a anzipiu presto dice; che-e-quella generatione di uccelli molto uergognosa,fe ben miramento. FRONIMO. Diro dua parole Dicafto. Puorrebbeessere anchorachelnoftronimico hauelliuolu to anchoraspargerealcune occolte reliquie della antiqua Superftitione delli Genrili.A cuieranogiafagcificateleocche fotroilfallofimulacroe fintaimaginede Inacho ede Ina chide. Jlperchecosileggiamoin Ovidio. se Ne giova il Capiroglio per 'w a Occa - exftat o, $11.Turo,chelfeganon dia Inacho in lance Ma sicomeuuoleno altricofifedebbe dire Inachide ioilfeganon traggiin piattor Dice PLINIO come eraconsuetudinedipresentareilfigato dellocchaadInachoDiodelloArgiuo fiume. Ilqualeuccel bo dilettaflimolto di praticare perleacque. Ma che fuflifa. grisicatoad Inachide parqueltofacilmenteseproua, cong cioliachefeuedeperlebiftorie di Herodoto comehauea. nouranzaliSacerdotidelliEgipriidimangiarelecarnidel le ocche, et era i ui rece r i ca et adorata con grande superstiztione Isia cioe Diana.Anchora-emoltopiufaggiala Occa. chenon-e il Caneri comediceello et chefacilmentecomo pe c o n meravigliosi modi il silentio della n o t t e e conturba il teporo. AllaqualenottecredeuantoefferefourastanteDia na.IlpercheforsipigliailDemonio la figura delli piedidi coreftouccello,peruuoler dareadintenderallisuoiprofani escelerati seruitori di questa riaemaluagiacompagniache debbiano seguitarequellouccelloin ftareuigilanti,enon dormirecome quellofa ilquale eruigilanteedipuocofone no, e quando,etpigliare piaceri,equel tempo cósumarlo nellisceleratiediabolicigiuochi.Anchor racconta sappodalcuniscrittoricome egliequalcheparte di detto aagello  bisogna farelaguardaemoltopreuifta enon dorme etcofidebbono efferquelliche uanoalgiuococioe essereuigilanti et ftarefuegliati che prouocaeteccitalefeminea libidines   Puo essere anchesegnodequalche occolto,epazzescoamo te,conciosia che fernroga iscritto qualnienceb rammaro n g leOcche dipigliarelasciui piaceri con altragenerationede animali.IlpercheritrouiamoscrittodaPlinio,comeseina? morarono le ocche di Oleno fanciullo di Argo, e di Glauco sonatore di Cetra del Re Ptolomeo.Ma egliebenueroche credo chemalefeacicor daffePlinioinquestoluogo,Cócio fia che quello fanciullon ó b ebb e nome Oleno, ma Amphi loco della patria Oleno ficomeramienta Theophraftonelli broamatorio.E non fuquellacosacoralmentefuoridiragio ne, perchegiafurono annoueratele palmedellipiedi delle Ocche fra le delette uolietaggradeuoliuiuandedellameo fa.E penso per quefte de efferesignificatole pretiofiflime ui uáde elaggradeuolicibidella Delia mensa,cioedellamen sadel Sole, cheeranoperlaloroeccellentiadamettere auã tiruttiquellicibicheerano dellamensa del Sole di Ethio pia.Nellaquale non se legge;ui fuffero posti soura de effa. Auanti li conuitati, lipiedidelleOcche,conciosiacheanchor nonhauea penfato Meffalino Cocta,didoverliarrostire.Par ionoa m e cotestecosemolto piua proposto che quello dicono alcum i, cio e che le ocche abbiano prudenza perche se narra che domesticamente conversaveno nelli bagnic on Lascido Philosopho, Il perche io istimo chequestomodo dicon uerfationcedibeneuolentia, piupreftofuffifimilea quello, con il quale conuersaua Aiace L o cres e con il dragone. E cosi anchora penso non fuffi molto discosto daquesta cosa, quel la familiare uoce, la quale udiua Socrate,etanchora iftimo fuflimolto similequellaltrauoceper laquale diuinaua leca seoccolteetannotiaua quelledauenire Atridea Laomea dontiade,sicomenarranoquelli Versi, fccitcida Orpheo con iltitolo dellepietre,ficome sedice. Non -e-anche total 'mente discostodaogniragioneloproprietadellanaturadi questo uccello,quäto alla uelocita del caminare che fanno nel uiaggio,laquale uelocita e'molto fimile a quella del giuocodelleStreghe.Ilperchenonretrouiamochefulsigia maiuerunoaugello ilquale faceffeapieditantolongouiag gio, quantoleOccheLequali uenerodalli Morini lipopoli ( cioedal   etancho fa da CICERONE il quale non era ueduto daalcroeccettoche dalai. DICASTO.Nonsolamente qucftointeruieneinuc de relispetta colietfinte imagini del Demonio m a anchors nelliprodigiietapparitionidiuine,cioeche quellecosesono alcunauoltadapupchịuedute.Et dimoftrate siano acciolas Gli altri solamente ioramentato di quell u m e che era soura delcapodifantoMartinozilquale fuueduto dapuochifico me narraSeueroSulpitio et anchorpurdirbediquelaltro lumecheilluminaua Ambrogio chi padaua, loqualso Jamérévedeua Paulino. Ma che queltaimaginedel Demonio, solamente liqueduta dalla strega, i o diro la mia oppe li popoli Belgiciche sonoliultimidellhuomeni,licomedice Plinio,etcaminarono colliproprijpiediperinfinoaR o m a APISTIO.Dimini Strega, Dimoftrauelo mai altrafornia delli piedi,quando ueniua da te,eccetto chedi Occa. NO maidiniostroe alıcamente. APISTIQ. In chemodo ueniualodates Alcunauoltaaddima datodame etanchefouentedaseisteffo.APISTIO.Neue ni y amo sempre in FORMA DI UOMO. Si sempre fedimostrayain effigiadi uomo quando pigliauaamorosi piacecimeco, APISTIO. Q quegliconuna rugosa egia grinzafemina Eie me Eime, Oime Oime. DICASTO. Di che hai tu paura Chi e quello che cifpaventa Vedetile, uedetile DIGAS. Doui,douir. Colti, cofti,almuro alm u to.DICASTO. Informadecui?Di Passece. DICASTO. Dehbémicati comehorahapigliatolaeffigia diun molto libidinoso aụgello non contrasio alcagioname codellamiala femina,laquale fouerchja conlasua infaçiabir lecifrenatauogliaturcisimoftridellafozza libidite. APIE STIO. Hoquantomimaraueglio chenonsiaverundinoi, cheuediquestafintaPafferă eccecto,chiella.DICASTO. Ben iopoffomirare,m a gianonlapoffo yedete,e cosipara menon siauérundiuoichelaueda.APISTIO.O certame marauigliolacosa. FRONIMO.Deh uedetiinchemodo semarauegliailnostro Apistio.Matunonsimaraueglidello anellodi GigeLidiopaftore,ramétato daPlatone, che piaceri yuoreuano eßerç gg 0 el 70CO21 el al di no del Tagnione, lo penso posla interuenire questofacilmereperlami citia,egrande familiaritahacon quello. E cosioccorre per janridettafamiliaritache-e portata efanellamantocioein quellocherätoamanonsolamente conliocchima anchor confla poffanıza imaginaria. E t anchora ilconosce e distize guedallialtci uccellietanimali, quandoseglirappresenta, ineffigiadiquegli, sicomehoudicoda effa,percheleparë una fiammaardente glijmpinganelpetro,ilcheno leinter nienenelscontrodellialtrianimali. Giafolio tregiorniche raccontotuttaspauentata dihauere uedutolantidettofuo amoroso informadiunatortuofaserpecjuolainmododi un cerchio. FRONIMO.Cosi haitu letto Apiftio,qualmen te apparelli il Demoni o alliGentilii n effigia diserpe,et ant chorainfimilitudinediaugelli.Nontiricordidihauerueda tonellilibricome guidarcizoli Corui Alessandroallo Orae culo e Tempio di Hamone, doui,egliandauas APISTIO. Siholetto etanchorahorixouato,(febenmiricordo)com me fecerolimileufficiopur ancheli Dragoni.FRONIMO, Chenedicudiquestecosemarauigliore? Non istimie f u c h e f uffero quel l i li demonii im a l u a g i i, in forma di Corui t Etanchor non creditu fuffero fimilmente liDemonii quel l i d uoi Coruianno vera t i fra le grandi marayeglie da Ariftotele, chestavanoin CariacircailTempio di Gioues D u n g perchetantonimarauegli conciolia cheritrouiamoinPli nio come fufle usanza diuscire fuoridella bocca diAci ftea Proconesiolauaga anima di Hermolimo Glazomeno in fimileeffigiade Corui. De cuisediceua fauolofamence chiquellafullanimadieffo,non datuttiuedutam a Sola: mente daalcunihuomeni. Mamancotutimarauegliaretti se tu fapefliquello che-e-raccontato da Ariftotele et anchor dapiualtriscrittori,diquellohuomo Thalio.APIST.Deb pertu a cortesi a ra conta quello g l i i nterueniffe. FROGN l. i interueneuache gliandauainantie dietro laboccaunalimi le figura, laqualenon era ueduta dalla leci huomeni. APIST. Dunqu e senza leggerezzadianimofepuo crederéaleuna uolta che quelli muoiono, fi comedi conoalcupniorkojjoue derelibuoniereifpiritinelliassumpticorpiliqualinon fon   ueduci   geduti dallaltri& FRONIMO. Ofi fi,questa-e-cosacerta. Conciofia che e creduto questo a tanti prodi,et eccellenti huomeni,liqualinarranocotefto etanchoraeglieda molti dotti authori suco scritto. APISTIO. D i m m i buona donna, feļanchora parritala paura,che haueuis . Si ben feparte.coliperiluoftroragionare,come anchoraperlauo ftraprefentia. APISTIO. pEoflibile chetuhaggicançapau ra del tuo amorosos Qime. Gia non lo temeus, M a dipoiche sono condutta nella prigione,et haggio con: tra suauogliaconfeffato linoftrilasciuipiaceri,grandemen te, etoltrodiquellofiapoffibilediraccontaremi spauéta. E qualche uolca se fermaaquellousciuolodellaprigione,eta quella feneftrella, reprehendomiedimoftrandosi molto for teturbatocomeco. Edipoimiprometteogniagiutorioper cauarmifuoridi quiui,purche ioftiaquerae tacciperloaue nire,epianoconfeffiuerunacosama anzinieghiquelloche gia ho confeffato.APISTIO. T e spauentauelom a i quando tuandauialgiuocor  No certamente.APIŞTIO Andauicu quiui ogni giorno,o pur inqualche tempo deteira minato:.Viandauanella secondanotre dopod giorno dal Sabbato, edipoida quindi nellaquarta notte, cioe'nellanottedel Lune e della Zobia. APISTIO.Glian daftimaidigiorno: Nomai.FRONIMO. De quindi sipuo anchorconoscere lereliquie dellamica super Aicione,fetutiramentarailj ululatiuoci.egrida,fattiad He cate,altrimentechiamata Diana, e Luna,nellinotturni Teja uiper le Citta de. Acui f o l e uano fare oratione le donne ficome scriue Pindaro, quando li maschi separati, secondo la lo to usanza soleua no anche egli fare oratione al Sole, per con ikeguire liloroamorosi piaceri. Ijpercheeradedicatolanoki " re acor e fti ragionamenti et appacendo il giorno, in conta. nientierano terminati esiparlamenti.E percio leggiamo quel uerfo. M i h a fiato laspro oriente collieqai anheli. APIS. Forhgiacesottodiquesuton a cosamoltopiuascoffa FRON.Chicosa APIST. QuellochediceilgrecoPoeta Menandro.M a iolodicoinuolgare quelloieringreco cofi.  Com  O nortererbisogno a tedi affaicaénalipiaceri. DICASTO. Cerraméte ciascun di uoidotcaméte,m a humanaméte par l a. Ma io uoglio raccontare una diuina fetentia e non cosa di paocomomento neanchoraproceduradalloinganneuole oracolo di Apolline,ma da quella soprani a uerita d e Iddio. APISTIO.N o n bisognatanto proemio,fu di presto,selti piace. DICASTO. Ioildiro,nonhauerepauca. Cofidice Chrifto ne luängelio. Colui chi male opera hain o dio la luce. FRONIMO. Certamente tuhairamentato quello chi e veriffimo. APISTIO.Horlu dimmio bona Strega chivuol direche non andauati a questi balli e giuochidi Diana,odi Herodiade ouero ficome le chiamatia quellidella D o n n a, nellaltrinortif Maaccio iodica piu chiaraméte, perche non erauativoipresentelealtrinottiallimal gradevoli prestigii, e b j a r mego l i i l l afioni del Demonio roue r perche nó pareua a teuifuffipresentes STREGA. I nollo fo. APIST.Te appa recchiauicu,ouero loafpetrauicheteportaffe : Cosi faceua f atto il cerchio miungeua, e faliua a cauallo d i un fcanno, etincontanenteeraportataperariaper insinoak giuoco. Anchota alcuna uolaconculcauacolli piedilah o Atia fagratanelcircolo,conmoki ischerni,etallhoraallhora sepresentavailmioLudouico,con ilqualepigliauaamorosi piacerifecondochemipiaceua. APISTIO. Dichecofare. composto quefto uoftro maladetto unguento: Fra laltticose, epermaggiorparte fattodifanguedefanciul kini.APISTIO Incheparteteungeuitis. Eime Mivergognodiraccontarlo. APISTIO. Dsefacciataetim pudica meretrice,tutiuergognidinarrare quellocheto nonseivergognatodifare? E coreftamocofi gran merauigliar APISTIO.Sutielenara ferpe gera fuori I u e leno. Via uia di fu in chi luogo un geuitur Gia chefiabisognolodicahor fuildiro.Vngenammiquel lifuoghicolliqualimi pongo asedere. APISTIO. Dehuer deticonquantahoneftaibadetto.M ahograndesideriode intendere inquantofpatioditempoeri túportatada cafa tuaperinfinoalgiuoco. .In puocospatio.API STIO.Quátomo puocor .Inmanco dimezza: 1   hora. APISTIO. Quanto eritu discostoda terraquando te eriportata?Tátoquanco-e-laltezzadiuna gius ftaforre.APIST.Ho pur gran defideriode intendere quello che sifain questo uostro sceleratogiuoco.Iperche o buona Strega se desideriche fa quiuenuro per douertiagiutare, de no tirecrescadi narrare currequelle cose che iuisefanno per cotal modo ficomelerappresentaffitotalmentea noi.Il faro sendo dunque giuntaal fiume Giordano. APISTIO.Aspettaun puocoluSiregama dimme Fronimo;Che cola odiť llfiumeGiordanos FRONIMO, Credo que ftaefferuna bugia del demonio cioechesefacci tanto uiaggioperiosmoalfiume Giordaso in cofipuocofra tjoditempos Perilchepensocheellodica queftinocabuli eccellenti luoghi aquestedonnuzze acciomaggiormente leucceglie leinganniemoltopiu'letegalegalecollilega m i delin o m i d eprimi e magnifici luoghi.. nore da creder t e c h e sia portato uno huomo in mezza hora della Italiane l la Alia. Ma forfihapigliato Sathanafloda quindiilcolore della fauolapchehabitauacola Herodiade.Veroc chemol tomimara ueglio non finga chesianporcate nellaScithia al Tempio di Diana. Ilcheforsfiengerebbe quello fraudu tente nemico dellhuomo, fefufficoli domestico e familiare il n o m e della Scithia, quanto quello del Giordano: Logua leconosce ciascunchi ha udito recitareiluangelio nellia grati Tempii. Dipoinon -e-molto conueneuole quefto fute m e a quello fcelerato giuoco,m a fiben ferebbe a propofto quello Taurico,non sagro m a facrilego perle crudeliffime accifion i e f pargime te d isangue. Ma forse le conduce a d u n altro fiuineiui uicino,efa parere alloro, che siano altroui. Benchesianodella trilequaliconfeffanodinon esserepor tate allacqua ouero alfiumem a fiben foura delle fomitati dellimonti,etiuifermate. DICASTO. Non pareameim possibileche possonoefferportate alGiordanealmanco per fpatiodi due hore,ficome quasituttele streghe fra fecouie neno, edicono. FRONIMO.Iftimitu chequellepoffong misuraretantospatio,quanto/e-fraquestanostra patria ela Siria,elaPheniciaincofipuocotempor DICASTO. Dimmi Fronimo. Non puo il Demonio mouere li corpi afuopia cece FRONIMO. Si. Manon seguita pecho cheglimuor uaincofipuocotempo cioecheleconducaosiasouradella terra,uerloloIlluciohora chiamata SchiauoniaOuero alla finestrauersola Ibracia,quero alladestraper lAfrica odero passandoilmare lonio eloEgeof,ouradiCorcitadelPelo ponesfloo,u r a leCiclade,guardando Rhodo e Cipro, ecosi leggendofiano porte foura della rippa del Giordano. D E CASTO. Chi prohibiffecoteita cufarFRONIMO.Lituoj dottori. DICASTO. I n che m o d o ilprohibisconos FRONIMO In quelmodo cheuiera AQUINO (vedasi) come nonpuo effermoffatuttala grandezzadel laterradal Demonio da luogo a luogo, facendoliresistentialagranma e Atranatura. Laqualeuierachefiarouinatoetotalmentegua ftoloimegroordine delle creature e delli elementi.Eglic contro la natura del corpo humano d i e f f e r portato c o n canta celerisa con laquale insiensefe conferui et fi guasti.Ilper che uiueno quellecose cheferebbe neceffario perloimpi todellaria chemancallino, perchenon effendo in ueruna cosamutata lanaturadiquello gliferebbe grandeoftacolo e grande contrariera.M a lepurfimuralie diuentaffipiura do facilmenteseabbruggiar ebbeedouentarebbe fuogo,er anchora sedouentaffepiuspeffoefodo,maggiormentei m pedirebbe la uelocita,etageuolozza delcorso.Anchoraiosi uogliodire piu che lecumoueflituttalariacon latuafantam Sia ficomefermoilcielo Ariftotele conla sua etappodelki Greci feceancheilsimulePhilopono,efimilmenteScotoap podelli fuoiseguaci anchora serebbe cotto dite,sendouiin oppositol a intrinsecanatura fiado, e delli učci, o dell aria le cósumarebbe piu tempo assai diquellochediconointerporui. APISTIO Vipriego, lagi cötenti,dilasare a dechiararequefte sottilitadead uno altro giorno.HorsuStregaseguitaparoleo. STREGA. Sendo dunque cola giuntivediamo federelaDonnadel giuoco  1 della quätita.Perlaquale bife gnachesiaportatounapartedopo laleradieffo corpoper quelgrandeuacuo dinullaariariempiuto.Iperchedaqui uiin Afiatoleo uiaogni impedimento della resistencia del insieme 12 20.Eglie staro Berno molto conos al la 10 OL ud NI 10 Hal insiemeconilsuoamoroso:APISTIO Chie/coluie . Non lo so. M a soben questo che è uno belliffie m o huono di una ricca uefte di oro molto ben a d d o b a t o. APISTIO. Seguita pur. STREGA. Quiuiporrauamoal. sembianti receuendole, lecomanda chesiano pofte rouradiunoscanno,edipoicicomandalidiamoindi sprégiodeIddio dellipiedifoura,edipoianchoracúole che gliurinamo foura eche lifacia motuttiliuituperii poffemo. APISTIO. O Diobuono,oimeche odidire?Chifu quele Jotantomaluaggio huomo chetidequestesagradehoftie daportarea coteftomaledetto, etiscommunicatogiuocot sciutoinquesto Caftello DICASTO.O scelerato.O inico operuerfohuomo:fouidicoche credosiastatouno delj p i u scele rati huome ni che ma i fi r i  e o u affin o al mondo. Il petche hauendolo ritrouatoimbratato in mille sceleritadelo giudicai fulli primieramente degradato,cioe priuato della compagnia delli miniftri di Chrifto e dipoi ilconsegnai al Podefta,etello incontenente,segondola ordinatione delle leggi,lofecebrugiare.APISTIO.Deh Streganon laffareil comenciato ragionamente. Poimangiamo, be temo,ecidiamo amorofipiaceri. Hormaicheuvoletipia intendere?APISTIO.Voglioche raccontiaparteper par teiltutto.Ma primadimmichecosamangiatic Dellacarne edellialtricibi,chefifuolenousarenellicon uiti. APISTIO.Dondebaueticotefteuiuande:Vecidemo dellibuoim a eglieben uero,che dipoi resusciz Tano. APISTIO. De chisono& Sono dellinor ftrinemici etanchora cauamo deluino fuoridelle uegge e delliuaffelliacciopossiamobere.Et dipoichehauemomant giatoe benbeuutcoiascun addimanda ilsuoamoroso, cioe Demonio informadihuomo'perfatiffareallasualibidino fa uogliae con huomenichiedeno lesuc amorose, anche el 3 Dimoni i i n effigia di bellissime polcelle, e giovane e in tal modo ciascunpiglia amorosi piaceri efatiffaallefireffrena, an del Tai pi na 5ell ap Tin adi 60 la Donna delle hostieconsagrate.E quellaconallegrafaca oli cia e gratiofi 36 teuoglie.DICAS.Paiono am e illusioni efauole quelle che diconio dellibuoi.FRO. Sonosimiliaquellecosedellequali  narrafauolescamente colui. APISTIO.Chicola: FRONIMO .Conosco chetuvuoilodicainuolgare,quello che e scriccoin greco,Hor fucosidice. Vápoje caminano e cuoi,ç muggislenolecainidellibuoi. APISTIO. Vetaméte fono simili. Chedifferentiaechicaminafouradellaterrailcuoio del buc,e che moto libra mugg iffe no e ftridano le carni mezze cotte, da quefto prestigio efincaimaginatione,cioechepiegatala p e l i e del bue g i a mangia ca, f a l i l cafou ra li piedi: FRONIKMO. Gócederonoli antichichemandaffelauocelanauedi taggio di Argo,etanchor diflenoche diuinosu cauallo di Achille. MacoluichinonnjegaparlafsıXanho cioeilca. Hallodi Hettore, iltimamochenegara ilPegaffo, cioeilca uallocollealidePerfeo oilDedalo,ouero coluiloquale ci porto marauigliose fpogliedelmoftrodi Libia,ilqualeAtrac ciaualatenerellaariacolle ftridentialit APISTIO. Masetu credi che uoli effa Strega, Per che forrid j e tu n e s a i b effe qua do c uleggi, qualmente le Parcha li e peine portarono Perseo: FRONIMO. No mirido fe tu ftimichesiano facceque Itecoseconacte del Demonio,mafibenmi rido,etmene fobe ffefecucte di che siano facte per opera etingegno del thuomo lopensochenone /similemoftro,cioe difingere che l’huomo o ilcauallohabbia lepenne peruolare, odifins gerecheilcauallo habbiaintalmodo lalenguachelapossa tiuolarlae piegarlaperproferireleparole.cócioliachemol siaugelletri senza alcunomira coloperopera egradeactifs, ciodellhuominiapuocoapocoimparanodiprofericemol teparole e cofi fendouiulaiile proferiscono. Se dunquese inlegna dirivolgerela lengua acoteftiaugеlletiper cotale m r t che proferisconol humane parole,quanto maggiore menteseporradire chelopossanofarelefoftantieseparate osjano buoni oreifpiritiecioe di poter riuolgere la lengua per labocca dellianimalipercotalmodo che proferiscano dritamenteleparoles APISTIO.Tu dichequestofępuo fare. FRONIMO. Anche ilconfermo conciolia che solo ciascundeeffifpiritidinaturaeguale.APISTIO Ilpuoise ftiprouarecon qualcheeffempio: FRONIMO. Molto ben i pollo prouare, M a h o t a ne baftiano raccontato nel fagta   libro dei Numer i,cioeche la Afina di Balaam parloe.E dit conoe Theologgicheparloeperoperadellangiolo concio fiache effanon fapeua c o s i lendoli quelloche dicesse, rivol tae conduta lalenguaadire quello cheera commodo er ageuole per loeffercito delli Hebrei.D e cuine hauea gouee noe curailbuon Angiolo; sicomeraccontalascritturaecosi b o narrato quefto effempio solamente accio io tacci quelle historiegia'narratede quellibuoi delli Gentili,che parlaro 00, APISTIO.DedimmiStrega.Noisapiamocomenon hranno liDemonii carne neoffadunque come mangiano, b e u e n o, eluffuria nor S a respond i prefto.  i c o n. me ame pare, fonosimiliq,uantoallepartiuergognosealla carne,APISTIO. Patreftidarciuneffempio diqualcheco fa c h e sia fimile a quelli suoi corpi.   N o lo so ben Ma purpaionoaffaisimilialla ftoppaouecoalbambagio, quando e-coffrettoinsiemee condeniaio.Cosipaionoquel lineltoccare,miasempre sonoimperho freddi. APISTIO. H o r seguica piu auanti.  Poi era ua mosatiatidelli carnali piaceri erauamo portatiallenoftrecase.APISTIO. Non tiueneuam a i quiuiaúisitare: E fpeffeuola te. Anchor qualche uoltaquando andaua almercato,eritor naua accompagniauammi.E ricordammicome ritornando acasaungiornofuiltardodal Caftello effendoegliinmia compagnia,tre uolte pigliaffimoinsieme amorosi piaceri auantigiongeflia casa. APIS TIO. Quanto -e-discottola tua casadallemura del Castellor STREGA. Circadiun mi gliaro. APISTIO. Danque non emarauegliafelfimoftro effomaluagio Demonio informa dellamolto libidinofa paf feratM a pur Fronimo,iotedicoiluero,anchora non posso capirceon ilmio ingengno cheuoglionosignificarecoretti tantosozzipiacericarnali. FRONIMO. Tidirolamiaopi pênione Iopenso chefaccico testoeslo ingánatoredellhuor menipersatisfacealleffrenateuoglie diqueste facciate et impudichemeretricilequalinonhannoiltimore'de Iddio, Chi e quello fienochefa caminare lhuomosecondoilraa gioneuole appetito egiustodifio. Ilperché remofio tantideta t o f r e no della ragion re i m a nel huom o come uno anima l e hh LIO 10 Eté 11 1 TO xrationale, efi comeunabeftia, ecosidipoidesidebraram. ma et anchora cerca le cose da bestia,etineffefedeletra. APISTIO. Ne anchepercioeglieposibilechepoffacapite con lanimo donde poffono hauere tanti lasciui piaceri DICASTO: Che habbiano grandipiacericredochelpoffa interuenireperpiu cagioni,dellequalialcuneneraccontato Jarrelaffaropermaggiorehonefta. Conciosiachehauemo a parlare sempre in cotalm o d o,eprencipalmente incolga k cheanchorlapudica orecchiauipoffaftare.Puodunque guestointeruenire, almiogiudiciopercheseglidimostrail Demonio maladettoinunamolto aggradeuole figura,cioc belladifaccia colliladrjocchiecon ilgiocondo uolto con ciofiachepuocoimportaalDemonio difingeree difigura. Re una formadiariaofozzao veramente bella, ecosifigura te formeficomeparepoffonpiacereaquellicheuuoleinga nare Ilperchecofilosinghaetiraquellemeschinelledonni ciuolea fecon effa fintabellezzaecolliocchicosifigurati, et conlafciuifembianti. Et anchora acciochemaggiorment tele ingannano fingonodieffereinamotati di loro.11fimile fannouerfodiquelli sciagurati huomeni,diinoftrandosi in forma di belle damiselle,ecosi uifanno apparerecuttele proporcionidellemembra,etuttelebellezze,etuttililasci. uisembianti che desidarano accio che meglio glipoffono ingannare. Dipoianchorgli fannoparerequellipiaceriche hanno conqueftefinteimaginisiano molto maggiori che poffonohanerecolli'uerihuomeni, econ leueredonne: Hor pensacome sono inganriati,etuccellati dal Demonio.Ecoh narcaua quello scelerato, e (maledetto incantatore di Don Benedetto auantinominato.IIqualeraccontauaqualmeno tegliparcuadihauerehauuto maggiore delectatione con il Demonjo iqueftafintaimagine chiamatadase Armelina checon tutte lalai femine, collequali hauea mai hauutolara uipiaceri. Etaccionon pensaftiche con puochefefuffii m pazzatio o tiuogliodireche questafozza bestia,piu presto cofilo chiamaro che huomo anchora hauea hauuto uno fie gliuolodella propria sorella.Ionon dicocosache sia secreta cóciosiachetuttequeftecosecheraccoratosonoiscrittenel   ljgrocelli   Uprote f l i fatti di lui. Era tan t o i m paz zito de t mtoisero h uomo in queftodiabolico amore, epercotalmodo beftialme t e brugiaua di cotefta fua Armelina. cioe del Demonio in do ficomefannoduoicompagni insieme benchenonfuffo ucduta dalcunoaltro. Ilperchefendouditocosi ragionare, n o n sendo ueduta quella pensaua chiunque ludiua chefufti doucntatopazzo. Debuditelescelerateopete checostuifa ceuaperamoredicotestasua Armelina nonbattiggjaua fanciullini quando glierano portati fecondo la conluetudi medeChristianiperdouerebattiggiare, ma hauendo fino de battiggiarliconliremidadaacasasenza battesmno, o n consacrauale hoftic quádo diceualam e s a benche fengeffe diconsegrarleecolligefti,econ un certomormorio,perna fcondere lisuoifrodi, ecosifaceualeadorare alpopolo,non fondoconsegrate.Veco-e-chesepur qualcheuolcadritame t e haueffe consegrate, alzando la sagrada hostia in alto per dimostrarla al popolo ci o e ilcrocifissooaltrafu gura collipiedi riuoltiinsuinuituperioetiscerno de Iddio edallasuafantiffimafede.Dipoileconseruauaperdarlealle fccleratefemine,etallimaluaggihuomeni,accioleportaffe toalmaledettoetiscómunicato giuoco.E coliquellodiabo tico ebeftialeamore era causa dicantipeccati. Anchora -e nellam e d e m epazzia unaltroftoltoe pazzo,chiamato ilPi heao ilqualetantopazzescamente amaunodiauolodetta dalui Fiorinache seglidimoftraiu forma de femina,che fouente hămidettoiftaminandolo piupreftodiuuolerepa. siteognimartorio,che abbandonaretantabelligimafer mina conlaqualehahauutotantiamorosipiaceriquarant taanni. Eper cotalmodo-erdivenuto a tanta pazzia chenå eredeefferaltroIddicohe quella.Vedetiquantosonoinui, luppati costi meschinelli h u o m e n i nelle reti del dem o n i o. Etanchor non pensati chesolamente commettano cotefti fceleratispreciatori dellafantiffima c triomphacifima fede  1 formdai femina,chesouentelhaueainsuacompagniaspas leggiandoper lapiazza,ecosiandauanoinsiemeragionan ficom e sisuolela alząua con lafigura luie-figurataridottaalcontrario 111hh ii f el   di Christo,dellipeccaticircalasagrahoftiaereffagloriofiff ma fede fendlo e gati da questo pazze scoa more, ma ancho comm et ceno dellaltri male opere senza numero. Concio Siache cobbano lecose dealiruiimbrattano ogniluogo col lisuoimaleficii esouradelcurto sonosommerli coralmente nelli adulterii, ne stu priincestie fornicationi. Non hanno co spettodicommettere lipeccati con pacenti,sorelle,fratelli et altrepersone.Vccidenoli fanciulliasciugano ilsangue di quellifannouenireedescendece dalcieloacerbiflimetemi p este guastino li campi e le frutta con l a grádine, e gragnuos la con tanta ruina, che pare se ferebbono portati piu model Atamente quelliche anticamente incantauano le feutta contro delliqualidipoifufattalalegge escrittanelledodeci tauole. APISTIO. Dunquenon folamente sefforzano di daredannoallefrutta,etallealtrecose cheproducelaterra ma ancheracercanoperogniuiadinuocereanoicon ilcic loe con laria checi copri: Caccio  so. DICASTO. Addimandalotua dei, APISTIO. Haigiamaicu Stregacommoffolituonice, Catto balenare laria? Sifpeffeuolte. APISTIQ. Hai tu guaftele biade con la grandineouerotempeftas Nouna voltamalouentefi. APISTIO. Inchi modorSTREGA, Fatto chehauea ilcerchioeccocheinco t i n e un u ei n iua i l mio Ludovigo, ma non informa di buomo mainfigura di fuoco. Allhora començiquenodiscedere del lariafulgore,efenteuasituoni,ebalenaua il cielo edipoicas Scauala grandineetempeftasouradellicampie prencipal mentesourade quelli che eranonoftrinemici, delliqualide fiderauafufferotouinatie.guafti. APISTIO. Deh dimmi, peramore:decuifaciuicucantarouina: llface uaperodio, enon peramore. FRONIMO. Miricordodi hauerlettoneuersi comee Demoniifaceuanoli ftrepiti,co fidicendoloingegnosopoetaOuidioinquestomodo nos minádolisottoilnome delli Dei, oueroquellimaleficiiicuc.. cedella persona dieffo. Perqual agiuto quandouolfaftrenfor: Ifiumiinfoncisuoitornare e mosh Inftabelcofe, ftabelfompreuenfi,   Regietto,euenci echiamo quandopiacemmi. Ma questanoftraSirega,piupotentech Meedeaeccitoan thoralatempeftae grandine elaconduffefouradellebia de. Anchora tirano gli animi dellbuomeni'ne peccati colli fuoilafciuipiaceri,perchelosinghanolisentimenticon effi. Ilperchehomai-e-qualirinouatoquel detto diLucano in queftonoftro Castello cosidicendo, Ārfenoiuecchi dillicitafiamma Netantola bevanda nofsia uale 1. Quanto la modella caua l l a eretto Ri fato in fucco, l a mente fe infiamma: E perisce incantata,né piu fale Deluelen haufto pura del defetto. Eraquelmaluaggio Don Benedetto,decuihauemo ragio nato de annisettanta duoi,quando gliscacciaflimolafiami niadelfceleratoamore con laqualetanto ama quella sua Armelina,o quellofuoDiavolo,informadifemincaon una altra grandiffimafiamma uscitadiuna granftipadi legoed E cosiromaseturcoincenere.E questo-e-ilmodo dascaccia re u n fuogo con laltro.Vine-unalcroin quefto fcelera s a m o te rommerfochibaoltro disettanciqueanni,etanchoruno altrocheha vedutooccanta folfitü,Liqual andauano aldet toprofanoetifcommunicatogiuoco delDiauoloottouolre mese l e cost -e f tat o conosciuto per te ftimonio e confeffion fiede molti dieffriniquiemaluaggihuomeni,chenon sono folamenteunao due puero treStreghe,m a sonoingrande moltitudine, ecofiche non sono solamente ute o quatro stre gonierscelecacimaschi,liqualiuannoa questo indiauolato giuoco,ethannoquestiprofanipiaceri colli Demoniiinefli gia difemine,m a egliesutotitrouatopercerto comeuiuar noingrannumero ecin granmoltitudinpeercotalmodo che credono secondo la loro iftimatione che ui si ritroua a quefta maledetta congregatione oltro di due migliaradi persone APISTIO. Oh chefenteio diceslaantiquitasola, mentebalaffatoinscrittoditreouetquarto Maghe digrå  Caccio conlamiavoceilmalfe fpiacemmi Carco dinebbie,enebbiealseren genero  m a ame parechenenoftri fama, giorniseritrouanomolte Medee,no puoche Candie, nó una sola Ericho. FRONIMO. Tu cinaraucgliiche se ritrouano-secento Medee con cijoria chetusaibecn he son inuna Citra della lialiadodece migliaradiCircecioedimeretrici,lequalisonotenuefora lenondimenotunon timeraueglidieffe. APISTIO. Ben bente intendo.I percheperbuon rispetto,no bisognaalati mente cercareouero inueftigareil sentiment dellpaarabo la perlinascostiluogbj. FRONIMO. Diroe anche due pa role.loistimo chehabbiaIddio con sua gran prudemtia uos lutofermareestabilirelasuafanciffimafedenelliapimi del lifideliindiuersimodiperfarecrescerepiu ampiamentein ogni canto la christia n a religione in questo infelice tempo, Helquale pareua diognicoladimale in peggio. APISTIO, Inchemodo FRONIMO.  Prencipalmėteincemodi.E primaperilfucceffo dellecose giapredetteetannunciate, de poiper limviracolifattidiuinamente epoianchoraperillco prireche ha fattoladiuinaprouidentiadellescelerirade de de corefti indiauolari riti,e maledetteopere dellantidecco molto bialme uole giuoco. Giahauemouedutouenireapun tole sanguinolenti guerre la crudele fame e carifteia lahore tenda peftilentia licomegia auantjerano state annontiate diuinamente permoltjarniHauerebbono forsipoffutocre derealcunifacilimenteper cotalmodo oppreflidallagrans dezza di queste tribulationi che fusseroproceduteo casual menico fatalmentedate calamita di etribulationifelnon fuffisutonuouamente fuegliaraeteccitatalafedeinquesto noftro Castellocontantimiracolifattidallagloriosa Vecgie ne Mariamadre deIddio.Lequalicofeficomedaseconfer mano, efortificanolafede Chriftiana,cosianchora per acq denslaconfeffionedicotesteAtregheglida uigoria eforza Per la quale confeffionee per il gran numero delli'teftimos nud i amen duo i li f efficio e cosi delli maschi com e delle fe y mine,cognoscemoapettamentequalmente liDemonijco donemicietaduerfariidella fede Chriftiana Laquale e di tanta forza chequanto maggiormente e con ognisuafor za,aftutia   p e r fare di poi dello unguentod a ungere di luoghiuergognofiquando uogliameoffereporcati algiuos co. DICASTO. Acciononiftimatieffercotefte favole eche fano sonniio imaginationiechefianosolamenteillusioni, e non siainverita,erealmentecioèdiandareper lecase di quefto e di quello aducci de re li bambini, uidico qual men t tefono ftatoritrovatidellifanciullini,ben certamenteinfen ci,cheanchorpigliauanolapopa, etillatte,liqualihaueano ledita forate, elepiagheebucchi sottoleunghini. APISTIO. RefpondiStrega.Aflaimimaraueglio chenon greffino,eche cridaslinodetti fanciullini,quando uoili trag tauatitantomale,echelipungeuati Sonoal Ihora per coralm o d o indormentatic h e non feiitino. Ma dipoiquando sono fuegliaticridanoad alta uoce e piango no e Aridono, efeinfermano,etanchoraalcunauoltamon teno. APISTIO. Perche non muoiono tutti. Perchelifanamo. Conciosiacheglidia modelli gioueuo lireniedi,ecofilikberemo.Hiperchenetiramograndiguza dagni. APESTIO. Chi uiha infignato questi cemedii E demonii. APISTIO. Questo a meno n p a s teverifimile. FRONIMO. Eperche.Non faitucomeit Demonio conosceleuirtudedelleherbe,lequalianchora  za aftucia,etingannilacercato di rouijare e di ofcurare, tantomaggiormente se alza erefpiandeperognilato. APISTIO. O quáto ben lhai codutto questo tuoragionaméto. M a horfu dimmiobuonaStrega.Vccideftigiamaiuerun fanciullorNon un folo,m a simolti. APISTIO. Conilcoltello oueroconlamazza. Con laagus gliaecollelabra.APISTIO fucbimodor  Ine trauamodinottenellecase denoittinemici,perle porteet usci cheeranoapertia noi,dormeudo e loro padriemadei cpigliauamoi fanciullini,econducendoli appo delfuogo, forauamoconlaaguglialortoleunghi,dipoiponendowic fabraasciugauamo tanto sangue,quantone puo tevamote n i r e nella bocca. E parte d i quello ne deglutiuo, cio e ilm a n dayagiùnel Romaco epartene riseruauoinunabuffua o inuno uafetto piaa   comeptatitis hanno conosciuto lhuomenisanchortudebbifaperecome giafuconoscrittemolteregoledamedicare nel Tempioda Esculapio, lequalidipoilecolse Hippocrate,ele Scriffenelli suoi libcisicome citrouiamo.Anchor sono fccicci molti g i o ueuolireinediciosialle piaghe,efedice,come contro delli geleni,nellehistorie che furonoritrouatiperlifonnii. E puf anche leggiamo qualmente soleuano dormire nel tempia diPasipheaenelláltri Tempii delliifimati Deidalli Gentils ficomegiapiu auanti diceflimo,quellichi cercauauo li res mediicontro delliinfirmitade,sapendo chegliserebbono reuelatiperilsonnio.Ilperehetunon tidebbimarauegliaro seanchora nerempipresenti gli reuela ilDemonjoliremes diiaquestariaemaluaggia generationedihuomeni,edifc mine lequalifrequêteméreconuerfano con lui,APIS TIO Diche cosauidannospecáza,douiatihauerdaloro:Longa uita,Grandedoujtiaericchezze,econtinui pia cericarnalilequalihauemo,ene pigliamo delettatione. APISTIO. Deh dimmiperquella fede chenonhai.Ti dok nologia maidelli danaris Gia menc donoe ale quanti ucro'e che disparfono.Pur seruai alquanti puochi quatrini. APASTIO. Veramente sonograndiricchezzeco tefte.Dehpensachecosapoi serebbe felteprometteffeli T h e sori di Creso quero ci promett e s s e maggiore douiria di quella di Alessandro Magno,cóciosia che era portato lo ora. diquellodaquarantamigliara denuli,five-uero quello che scriueCurtio,quero ficomedice il Plutarchoin Greco,ilqua lecosidicoinuolgarepersatisfarea ciascuno eraportatolo orodieffodadiecemigliaradigiogatiOrichiisulecarrette erdacinquemigliarade Cameli. FRONIMO.Paredicon tentarsicoteftauilee fozza fecedihuomenie di donnesele donata nti piaceri quanto nó haue a Sardan ap allo,ne Smin dre,ne Stratone.E cosipiuolicanon cercanopurhabbiano, quefti piaceri diabolici. APISTIO. Almáncoquelleerano humane e uere, benche uergognose ebias me uoli, m a q u e ftedelle Streghesono coseda ridere,eda fars-beffe,esono: menzogne finteeuane. FRONIMO. Tunondirai che quellesianowane,setu ben considerarai questo uocabulo   pi 10 nie lo comentátitieecimaginarie cioe parte finte,epartenuoue. DICASTO.Iftimo chequelle siano inparteuere cioe fon dareinquellacosache-e-erinparcesianofallaciefinte, enó firmate inuerunuerofondamento, emaggiormente circa diquelle coke,dellequalenarranoalcunicomesecangiano in forma diGatteetinaltre figure di animali,Ihuomenic d o n n e di questo maledetto giuoco,etche resuscitano libuci che hånomágiato,sendolipoidatodellauerga dalladonna o dal Signore del giuoco, foura dellapelledouiuisonoposto drento Toffa di detto buomangiato. I perche fiati certi come tutte quefte cose sono imaginacioni illufioni,etcose che cosifaapparere ilDemonio Icelerato,et aftuto chesiano, mainueritanonsononeanchoraessolepuofare.Ma che fiano alcuna uokaporcatiper ariaetchefouentemangiano beueno,etdianslibidinofipiacericolliDemoniicofiin for madimarchi come informa di femine non e-danegare, neanchordariputarecosa falsanecontrariaallauerita. Puo trebbi narrare afraicose confermate da digniffimi testimo nii fevon hauefli paura che poi ui lamencafti di m e, dicendo cheuihauefliingannatorobbandouiiltempoconcefloa uoi da douer udire la Strega.APISTIO. Ti priego,fiacona tento di riferuare cotefta curiora disputacione per infino a domane. DICASTO. Gia -e-diputato quello ad altriragio.namenti,purmolticuriosi.Vero.e-fetu purtanto brammi deintendere questo, fiaticontétodidisinarehoggiconmieco, benche fiamonella uilla non mancarano imperhotandi cibiquantoseránoneceffariida iftinguerelafame. FRONIMO.Non -e-darifutareilconuitodelloamico,douisiritroj u a n o affa i dotti ragionamenti benche puo chi cibi. Con cio fiachere-moltopiuaggradeuoleallifpiritigentili,etaquel l i che se delettano della dottrina il conuito ornato di curioli parlamenti chede uariera edi moltitudine di uigande. APISTIO. Piacémmi assaiciascunadicorefte cose.Perche con una si pasce il corpo e con laltra Janimo. DICASTO, Horchiederipuruoi dalla Stregaquelloche vipiace, laffal. to coftuiqui Vicarioetinmioluogo, perinsinoritornaroda noi.Perche uoglio impore alsopraftäte della mensa, quello   che debbi afare. APISTIO. Su Strega di. Ha ue ail tuo amor roso'uerunsegno,con il quale addimandatodateuenesse n e l c e rchio: S i hauea in questo modo. che ogni uolta chemi fuffidiscostatadalli altri,ecosi sola due uole Ihauesichiamato incontanenteuiueniua. APISTIO. M a per quale cagione non treouero quatro uolte. Non loso.Coferaammaestratadalui. Maanzimolto for teme ammoniua nólochiamassetreuolte. APISTIO.Chi ne pensitu di questa cosa Fronimos FRONIMO. Questi pattidel demonio daluipendeno,esonoin fua dispositio ne,enon solamentequestipattimanifefti,m a anchor li occulti. Del li quali il n ostro fanto Dottore Agostino insieme cóal cuni altri Dottori ne hanno scritto. Non dimeno pur io c t e do chenon sianaturalecaufainquesto numerodi duoine anche penso che uoglia dimostra recotesto il misterio della Diadeosadelladualita,dimostrato da Zarera Caldeo,per  Pithagora alli Platonici. O liacoftuida chiamare Zareia, frcome dice Origene nellibrodelliPhilofophimenoni, o fa da scriuereZarata ilcheula PlutarchoCheroneodesignano doil Maestro di Pithagora, dechiarando una parricoladel Dialogodi Timeo oueroanzisiada dire Zaradaconciosia chenellibrodelleleggi,lanominatodaTheodorito Theo logo Zaradon M.ache cosaimportaal Demoniodidisputa rediquestacosaediquestonome loistimochequiuigia ce nascosto qualche inganno,equalche aftuta frode delD e m onio maluagio. Oue r anchor i ope n s o che il faccia c cio nó se accordi con lavoce della santiffima Trinita,e cosi uuole pareredinonapprouarequella.LaqualeeDio uiuentein sempiterno.O forsi anchora il faacciotiraetauertiscamag. Giormente Thuomodallaconsuetudine delle cerimonie del la nostra religion e Christiana, Anchora il puo fare per quale che altro ingannoetfro de il quale noi non sapiamo ritrovato dalli antichi Gentilie Pagani sottoilnumero pare.Loqua leuuoleuanofufficonsegratoalliinfericioeallispiritierano giu nel profondo elo dispare allisuperi,cioe allispiritihabir tauano Touradellicieli.APISTIO.Aftaisonfatiffatto.M e dimmi Strega.Conosceuitudiesser ingánatada questotuo amoroso Non mai. APISTIO. Come-e-posli!   b i le cotesto: Quando tu vede u i d e s pariceli danari, che cosa ittimauitur In chemodo de parefsinonon con, Sideraua,Vero-e-cheeglidame ritornaua, etmicompara uaconmolciamorofi piaceri, epercotalmodomi legaua, chenon pensauaaltcochedela. APISTIO. Che cosaaddi mandaua che uuoleflida tequando tiprometteua ianitecol se,quandocidayatantipiacericarnali,echefingeuadiesser tanto grande mente inamorato di tes Non adi. Mandaua altrodameeccetto cherenegasselafededi Chri/Sto enon uuoleffehauersperanzapiuinello,ma cheme ilu genocchjassealuieloadorasse eloteneffeper Div. FRONIMO. O iniquiilimo,o fpurcissimo,o fceleratiffimofpiri to detto ueramente dalliHebrei Sathanaflo ouero aduerfä rio,edalligreci Diauolo,edalliLatiniCalunniatore.Se puo pensare maggiore calunnia,emaggiore ingiuriacontrade iddio quáto eche faccicanta forza questo fcelefto colle fue maluagie parole diuuolerlirobbareladiuinita,echelauor gliaattribuireasecontantaatroganza,econ tante bugies Il perche forsihaamatoquestonomediDemonio osiaper dimostrarechehabbiala scientia ouerper daretimorealle creature.Eglie uero cheecosasupremante aluipropria efa miliare ditessere ordinaree comporre le isisidie et ingani, Coliparimente inganno il primo huomo, sotto il nome delli Dei donde-e-uscitoiluocabulo del Calumniatore, ficomedi ce Giuftinophilosophoemartire. APISTIO. Sa Stregadi, Inchemodo erasu discernurae conosciutafralialuribuoni Christiani. Non uierauerunadifferentiaframe elialtri. Andauaalla Chiesa, mi confessaua nel tempo della QuaresimaauantidelSacerdote decurtiemia peccatieco cerco che diquefto Dipoi andauá collalori a comunicarmi alloálcare. E cosinon eradifferenciaalcunaframe elaltre donne.Non uierauaane coteftecoreilmio amoroso.Sola. mente eglimi comádaua che douessedirealcune cosepian pian, enafcoftamentefacessealcuni arcilequalicosedetree faite altro da nienon uuoleua. APISTIO: Racconta iltur to aparteperparte. Sendo nella Chiesane giorni delle feste,comandauaame che leggendo il Sacerdote lamessa adaltauoce(sicome;Tesuole) diceffeiopianpian ii ii   Hon euero,tunenientpierlagolaequandoleuauaquel lola hostia consagrara soura del suo Capo per dimostrarla atuttoilpopolo acciochesiaadoracae reuericamoleus cheioriuoltafi liocchialtrowe,enon laguadasse, etanchor micomandauarivoltafsilemani dopo lespallee piegaffele deta sottoleueftimente incotesto modo, sicome uoi uedeti io facio.cioecheglifaceffele ficca.Dipoianchoramidiceua. non douesliscoprire uer una cosadellinoftriamorofipiaceri, al Confeffore n e anchora di quelle cose che pertengono al giuoco.Egli iftimaua poiche non importafle cosa alcuna se ben uuoleffedirealConfefforelealtrecoseoueronon ledi ceffe.Voleuaanchora,chesendoandataa communicarmi, fecondolausanza incontinentisendonimipoftal hoftia consagrata nella bocca, la giraffi fuora fingendo di asciuca r mi la bocca e la conferuaffenel facciuoloper portarla al giuoco, accioilbeffalimo, etischernissimoconquelli fceleratim o di,sicome disopra disse,etanchora perche il conculcassimo collipiedicon quelliuituperiigiaauantiraccontati.Dipoi portauadicontinuo due hoftieconsagratenella miaueste culite, percheellome diceuache uieratālauectuineffefen dole portate in quel modo senza riuerentia,m a anzicon uie tuperio,chemainonpuotrebbe confeffarelinoftripiaceri, neanchoraaltracosa delgiaoco,benchefußiancheinterro gata dallo Inquisitore n e con tormenti,ne con altrimodi. No di meno aftreggendommi imperholo Inquisitore em e pacciando mmidiu uolermgirauemente martociarefenon confefauaquestenostrescclerate operemi commando quel demonio maluaggio, legetraßein queluafo,loqualehai uea portato ame il Guardiano della pregione per farele mie necesitati.APISTIO. Facefti questoiscómunicato.com mandamentos . O me mischinella, et infelice's bubbidi.Ma non ui rencresca diudire una cosamolto hori rendae pauentosa cheoccorse.Rompendoioinfeliceescia gurata quellesagratissimehoftienelfterco,con unuaerga, vide uscire da quelle il vivo sangu e. FRONIMO. Che odi dire hoggi: Puoesserequesto Credocercamentechemai piuno udiranolemie orecchie finilioperefcelerate etis communicate. DICASTO. Andiamo un puoco nel giardino ecosiforsicaminandoefpasseggiandouiritornara lo a ppetito. Horfur a men a la strega nella pregione. APISTIO. Inueritauidicochenómaihauerebbecreduto che fe poteffino,non dico fare,m a pur penfare tante fceleritade, tantemaluagioperee tante ifcomunicate cose,quante ho udito hoggidalla Strega.Ilperche avanti facilmenre haverebbe perdonato acoteftagenerationedihuominie didon ne credendo chefufferocondurrida qualche leggierezza o ueroda qualchemancamento diceruello adintrareinque fto errore etanchora iftimaua che fusserocotefteStreghe e Stregoniingannati dalle apparentiuisioni e illusion e fittio nidelDemonio etanchora(iodirolamiaoppenione)non giurarebbichenon sianoingannati, ma hora11comebuono e fedele Chriftiano come sono itato eth o creduto quello, che debbe credereciascunuero Chriftiano, non mai con fentirebbifedouessedare uenia, neperdonareacoresti ini. quifcelerati emaluagginiolatori,efpreciatoridella nostra fantiflimafede. DICASTO. Se tidimostraroche cotestoap pertenne alla Religione Christiana di douer credere che sia noinuerirafattedaqueftifcelerari huominialcunemaluag gie opere etseiɔti conducero tantiteftimonii, ilperchne o n puottaifaredinon credere efferemolte cosenellantidetro giuoco chesonouere, enonfintene ancho imaginate,m a Li come siamo consue t i d i parlare che siano reali io penso che dipoinon farajostinaraméter efiftentia. APISTIÓ. Ancho ranon sepiegailmio animopiuinunaparte che nellaltra. DICASTO. Dimmifettepiace, Vedeftimai refuscitare  municate.APISTIO.Anchora iosondicoteftaoppenione dinonu dire maipiufimili sacrilegginesimilihorrendeope te. FRONIMO. Dehperamore deIddiopartiamocidi quietandiamoincontrodi Dicafto, feltipiace,cheritorna danoi. APISTIO. Moltomipiace Andianio. DICASTO Hoben comeuafecifatiffattir Vi-e-anchorarimastaalcuna cosa da dovere intendere. FRONIMO. D e h il noftro D i cafto,iotedico chepercotalmodo siamostomacati cheno hauemopiubisognodipranso. Iotesoben direchesiamo per una uolta sariati   uerunmorto. APISTIO. Non maihoueduto tantomira, colo. DICASTO. Creditu che possono resuscitare e mortis FRONIMO. Non lonegara no. Conciosache-e-quefta cofamoltocancataefouente ramentaca dalli Poetietand chora-e-scrittadalli Philosophi, e maggiormente da Platone. Liqualinarrano come resuscitarono limorti, etusciros no dell’inferno. APISTIO. Ne ancho per queste cose m i acqueto,incoteftaoperachi-e-ditantomomento. Ecolino credoalli Poetinealli Philofophidicioma libenaluange lio. DICASTO. Io tiuoglioproporreanchordelliefsempii dialtracosade cuinonlefamentionenella fagrascrittura, Dimmi credi tu siano uscite le naui dalle Gad i cioe da quelle due Isolecheso non elfinedella Bethicanellaetremita della terra noftrauersolooccideniedouife diuide la Euro padalla A fricaretanchorchesianouscirefuoridelportode Vlissiponadi Lusitania osia Portugall jareche quelleriuolte versiol Zephiro siano stato portate da circauentimigliara di ftaggi,o piuomanco fiacome silioglia,perinsinoa quel larantoampia terra(lagrandezzadecuianchornon fecor nof c e) e cosi portando le hora il  Zephiro per il mare atlantico siano giunte allo Indico feno. APISTIO. Si lo credo. DIGASTO.Tu locredi. Madimmiacuilocredit APIST. A tantimercatapti liqualiraccontanoin che modo hanno fattotaluiaggio souradellelarghespaledelmare colle 11o dantinaui. DICASTO. Haicu maiparlatocon quellis. APISTIO. Non ho gia ragionato con quelli ma pur alcunayol ia ragionando di cotesta cosa curiosacon quelli liquali h a uerano udito daquelliche hannonauigato per detti luoghi lo diceuano,etconfermauano che coli era. DICASTO. Il mio Apistio dimmi non ti hauerebbono poffuto ingannare quegli. APISTIO. Deh, no chi serebbecoluichi dubi tal, che l’huo m e n i gravi e gia maturi di conseglio si de le trassino di favole e di menzogn e s DICASTO. e dunque io producero quiuinelmezzo non menore numero ditestimonii dinon manco grauica: edinon manco.oppenioneet istina tione,de quellituoi liqualihanno cófermato con giuramer to come. Sono portate algiuo cole streghe e li stregoni, come li demonii danno amorosipiaceriállhuomini in effi g i a d i donne et alle donne in figura di huomini, e cotesto Thanno havuto dalla bocca dies li stregoni e streghe conil  20 line old od sagramento costretti chene dirai esera tu poi fatiffatto. FRONIMO. Se potrebbedire ueramenteche coluinon fussiin talmodo satisfatto,fuffioscioccoo pazzoouero oftinato. APISTIO. Deh pertuafede di'per quale cagione. FRONIMO. Percio chequando sono moltidiunamedeme voce, 11on pare conueniente che sia uerun la debbia negare eccettosilnofussida qualchebuonaragioneper cotalm o po costretto laqualehabbiatåraforza cheportagettareal baffo quellaoppenionecosiconfermata ditantihuomeni. Jlchecredotunon habbi. APISTIO. Questatuaragionc h a puoca forza in quelle cose che paiono louerchiare lefors ze dellanatura,m a ben affaine ha in quelle cose ne ueneno nellulodellhyomo.Ilperche non ho fattodifficultadi crede requel viaggiodellenauidi Spagna nella Indiaeta quella terranuouaecofiaquellialtriluoghima benfogran diffisculta in credere il giuoco di Diana. FRONIMO. Puo' esserre uno molto maggiormente contrario a quelli che raccontano il viaggio della India che aquelli che narrano I givo; codellanotturneHecare cioedi Diana.Concioliache dets. touiaggiononfugiamaipiùperuerun modo conosciuto dalla antichita,m a solamente furono ritrovati alcunipuochi segnali con liqualidicono gia giongeffe non soche naui dal JaIndiaal litto di Spagna. M a hora senauigadella Europa per il mare di Ethiopia nella India. Eco si hora gia forosro gnatiiporti, etilittinellecauoledepinte.Anchoraalpresen Refono ftato ritrouatealcune Isoledi marauigliosa grandez za chemai non furono conosciute dalli antichi.Et anche nonfumai ramentata nescrittaquellaampiaterra,emol to marauigliosa per lasua grandezza retrouaraquesti anie ni paffatiLaquale, fefusiAtataconosciutadalliPhilofophi, li quali se imaginauano essere piu Mondi nellordinedella natura,forsicon maggiore ragione hauerebbono dimo, Atratolaloro pazzia.Delle qualicofeinouamétecontantefa ticheritrouare'non hanno fattopur uno puoco dimentione   o Strabone,o Ptolomeo,quero anchora quellialtri;che for no suco reputatipiufauolatoridiefli. M a delle Streghe ne fattochiaramentione nellilibridelliantichietanchor delli moderni. APISTIO. Io lento, m a nó foimpechoin chem o do,apuocoapuocomouersilanimomio accioconsentialla quaoppenione.Vero-e-cheuolétieriudireieteftimoniipro mellida Dicasto diconducerliauantidinoinelmezzo, e c a nchora disidero de intendere delle ragioni se ne ha della l e tri, olcro di quelle che ha detto. FRONIMO. Deh il mio Apiftio tu debbefaperecome-e-fegnodipuoca Atabilicadi animodiuacillare,erdipiegarsimoquiidimo riuolgerli indimo fermarsiedipoimouersidalluogodouieraferma, to. Conciosia che quelle cose,dellequaliauanti diceuamo. Senonpareuanoateuerepurpareuano imperhomolte fi milialuero dapoianchoracontradiceuie dicenichemeri tamente era da esserecontradetroda tea similicose, ma ho tacon una certa inclinatione di anim o confeffi dieffere tirar toesforzatodidouercósentireallanostrafentétiaetoppeni one. llpercheame pare(perdonamiperho)chemeritame tepuotreffi effernuotato diinstabilita eccetto,setunon ha) ueffiusato iconia,ouero simulatione,e ficcione. E cotefto no serebbe meraueglia, perchetuseiusatonellifintigiuochide gli Poeti et anchora seitu molto effercitatonelli Dialoggi di Socrate. Perilche interujene che lepersone sono usate in der tilibri, onon maio uero con gran difficulta sepossono rimo ueredallidettimodi.APISTTO. Fronimo mio io non fingo in cosa alcunane anche giudico che fiabi sognofra teem e de Ironia ouero simulatione, ma io te dico il vero, che non quorejcofi prorontuosamente credere una cosaditantomomento. Il perche paream echeda meglio di dubitare pur che modestamente sefaccietanchoradiscoprireetidi e quindiledubbitationidellanimomio,cioemoa temoa Di cafto, ficomescopreloinfermolesue infiaggionie piaghe. Al Chirurgico, che crederefacilmente senzaragione.Cone ciofacheiersententiadiun grande huomo (fiben miricordo ) come sedebbe andarepian pian,edipaffoin passo in quellecoselequalipaionoche Couerchiano lepoftre forze accioche se inconcanéti fufferosprezzate n o s a m o da nasco ftoinuiluppatinelli frodi, epelcontrario,seincontanétefuf ferocredutedanoi 1100siamopresinelleceticollesuspicior ni delle fcioccheuecchiarelle.In uero'fisonftato dubbioso nell’animo mio, cos imi pareua di doue r dubitare Nóh oi m perhomai contraftato conlaninoostinaco.FRONIMO. Secolie-echetusiadiquestobuonanimo cioeche uogli in coresta cosa usarelintellettoenonla uolonta,certaniente possemo havere buona speranza dite. Ma ti uoglio dare un buon ricordocosiinquesta cosa decuihoradisputiamo.co m e nellaltriche portano pericolo, e sono de importanza (si  ome si suole dire) cioeche per cotalmodo facci che non ua diauantilauolontaallointelletto cosiuogliodire chenon uogliuna cosa seprimanon hauetaibenintesa econosciu ta. Ma sono alcunichecaminano pel contrario nellordine delliftudiidelladottrinacioeprima diffiniendo,e concludendo  con la sua uolonta, ouero secondo il suo u uolere che cosasiailuero auanriben consideranoconlointelletroeffo vero. APISTIO. Hogran seredintendere che cosa ha da direinqueftonoftro caso Dicasto, Joqualeuedo ritornare d a noi. Certamente non puotrano essere(almio giudicio ) eccettechedegneeteccellenticose,purcheluuoglia ferua tele promisfioni. FRONIMO. Bisogna primeraméte iftin guere lanostra fame edipoisifatiffaraallacuasete. DICASTO. Andiamo perche-e-apparecchiatoilpranso.Dehpec noftrafedenon tardiamo piu conciosia che affailongamen tehqucmohoggidisputatofichenonbisognapiu dimota re.Equando poihaueremoinkaurato ilfarigatocorpo di quelloeglieneceffarioperla continuarouinadelnaturale caloreintraremo poi nel giardino della disputationec h e cirimane.fando fram e fe-e-uero imperho quel lo che ha narrato la strega. DICASTO. Piacimmi, addomanda lantis dettiuitiiesceleritade, cioeche spesieuoltefacionola penin tentiapelliufernodopo lamorte etiuisianomartoriatigrai uemente.Non ferebbemegliocheleprohibiffeIddio non si faceffino,che dipoi lhauerano fatte didarli la penitentias DIÇASTO.Meglio certainére ferebbe felsereferisceque, Hoa coluichihafattolemaluagieoperepercheselnonhain uefleoperatomale hauerebbe fattoben per fo. APISTIO. DunqueperchenonleprohibiffeIddio.Non ferebbemag giore cosa epiudiuina, lefusserodiuinamente 'uietare& DICASTO. Sono ben uietate con la legge ma non con lo petera CioeIddioļeprohibiscemediantelalegge,m a nowole per forzateniceIhuomo non operia suo piacere.APLSTIO Perche épermeņa da Iddiolamalgradeuole operatione, et il peccato cioeperchepermettechelhuomo facciopecca to DICASTO.Perchere liberolhuomo,er-e-infuoarbi. trioe volunta elibertadioperare ficome alai piace,oilben oilmale.APISTIO.Nóferebbestatomeglio chenófufli mainatocoluilo qualeconosceuaIddio, chedouea fouina rcin. APISTIO. JIP OICHE HAVEMO SCACCI a to la fame colli cibi e uiuande ti priet.go Dicafto Inquisitore delliHeretici uoglieffer concento,chepossachiede reinantidituttelaltrecele, una certa m i a dubitatione Laquale ha granden mente feditolanimomio,no con uno scrupulo niacon una agura láza,pen pur quelloche tu uuoi.APISTIO. Non guarimi sa tiffanoquellecosechediconoalcuni della pena,chi-edata da Iddioacoteftibiafimeuolihuoineni e donne, 3 e,per   teinquefe grandisceleritadeetiniquitade&DICASTO. Si Terebbestato certamentemeglio chenon fuffimai apo paruto almondo coluichiperfeuerane peccatiper infinoalfine disu auita, ma che fuffim orto nel uentre d i sua madre. APISTIO. Maremainonfuffeftatoperuerunmodo peii fituchelfuffemeglioperquello DICASTO.Perchi: APISTIO.Per luj.DICASTO. Perdonamiilmio Apistio Tu parli moltoscioccamente. E poffibiletunoucoulideri che questaje, unapazzescaquestiones Conciofiachetanto ifrasesonocorrarij, elloreniente cheuno-e-rouinatodallalttro: Non fai tü che non puo interuenire ueruna cosa o sia pro fperaouerfineftraa niente chediinaginamorAPISTFO. PerqualcagionedunquehacreatoDio coluiloqualecono fceua douefte andare allieterni fupplitii DICASTO. Per sua fommaetinfinitabönta.APISTIO.Come fiapoffibi. de coteftor DICASTO. Cofve-poffibile. Perche non sia for uerchiata lainfinitabonra di Iddio dellaperuersa malitia dellhuomeni.E cosisenarra cherespondeflesamo Pietro Apoftolo a Simon Mago, rendointerrogato da quello quali di fimile cofa feben referisceClemente ladisputationefatta fra efi. Dimmi un puoco Apistio ti par erebbe fuffi benche ceffafliIddiodacantogranbeneficio cioedicreareleante m e pedrespettodellhuomo chel doueffe dapoimale ufarec conciosia chereioperadifomina bontae de infinita poteny tia Anchorasebenc onsideraraiconlameitėtuatuttele uercudeetopere dilddiodimostratealmondo tu uederái che secauafuorila Giustitia dasemedeme,folamenteftren gédo quelli li quali piu presto hanno puolutofuggire fabori t e la benignita di quello che receuerla.N e anchora per questoseiftingue ouero se diminuisce lamisericordia cory cioliachemanco punisce quellicherechiederebbeilrigo redellagiustitia.Efouenteuseissequalche cosa daeflafcelel tagine perpetratapfreie carciuiliuomeni edonne cauata da Iddio per qualc he megliore fine. De cui dice farito Agosttino, che etantobuono,chenon permetterebbeueniffe ueruntmale fenonvuoletteda quello trarne maggior ben. Ilche spefeuolte, li1100fempre,elftátoüeduto uscirnede kk ii  la cariftiadellauixuaglia.Etanchot conoscono qualmėteseguicaronoperdettaingiustauendu ta moltiegrandimisterilliqualiramentano con gran ciuerentia. Anchor per i tormenti et occisioni, e crudelta de che feceroi Tiranni contro delli secui de Iddio, cispiandelauercia egloriadicflimartiri.MachepiudirorPerlacrudelemotste e durissimapaflione etuituperofamorte dimiffer Giefu Christouero Dioethuomo,apparuilainfissigabuontadeId dio riscuotando, eredimendo tutta lhumana generatione dalla eternal morte, etaprendo laportadellamilericordia ec anchordellaGiufticia.APISTIO.Dob quantoben hanno fatiffactoa me core fte tue ragioni. Cosi anche parea mechi fiailueroquellochituhadetto. Ma horasendoiofatiffatre da re quanto aquestedubbitationi pregoriuoglifeguicart il giacomenciato ragionamento auanti delpranso,ciodi narrarecomeegliecoreftogiuoco cosavera enon finta ti Titrouatnaelle fauole, sicomeprometteftįdidouer dimotta re.FRONIMO.Vuotucredereatuttelhistorie APG STIO. No. Percheseritrouano delle fauole narrate con co lorede historia,licome equellafauola Samofatenacioe di Luciano. Anchora sonomoltealtrehistoriepercoralmodo incertee scritreinduoimodi,efouenteancheinpiu,tanto uarieediscopueneuolifrafediuna medeme cosache paio n o ellernon guari discosto dallesemplicifauole. FRONIM O. Certamente tu respondibenenonmancobeninten di.Ilperche ficome alcuna uolta rispiande fralletenebreet  maliilben, dallidottihuomeni, feben forsinofiafutócon fiderato dalrozzo uolgo. E per dimostrare che colisia ftato uoglio narrare alcunipuochi effempii,benche sepuotrebi boiioramentareintiniti.Leggiamo qualnientefuflivendu -to ilgiusto Giosepho da frategli,con graue loro peccato.Il rozzo uolgo non pensa piuolaa,m a solamente eglieag, gradevoleihistoriam a lhuomeni dotti e digranfpicito,pici tofamente considerando auertiscono qualmente perdetta iniqua emaluagiamercantia, interuienechedipoifufatto Iosephoquasisignore,eRe dituttoloEgittoecheliberoil padre efiategli etuccalafameglia dallamorte,che glifey rebibneteruenura per   ofcurita dellefauoleun puoco ditumedellauerita colifral denarrationidellehistorieche sonofra le contrarie,forfaucie ritroueraiunauera, ecosisendo Jaltce false, eneceffario dian nouerarlefrallefauole.Conciofia chenon fie poflibile,che combarrijlaueritaconlauerita. Mao Dicafto,amepare dintendere quello chiuorebbe Apiitio. DICASTO. Chi cosa s. FRONIMO. Vna historia da molti teftimoniirappro uataa cuinoferi trouaffe altranarrationecontrariadimag gioreouerodiegualeauttorira. APISTIO. Jaueritatuhai dettoquello chedesiderauo. DICASTO.Iuiprometiodi dimostrareche ficomepertenealli Chriftiani didouercrede reche fifacciquestomaladetto e iscómunicatogiuoco.com fianchegliapertene didouerlo iftirpare esuelgere, erouina re. Eco fruipramettodiparcareaffaihiftorienon contrarie frafe, mafjben moltoconcordeuolie fimili.Anchor uoglio farecodacui qui auanti la Strega, elacostregnerocon ilgiu ramentoaccioconfeffiiluero. Suoguardiano della carces tepreftoconducequivi la Strega.Efapiatiqualmére testi monii,che uiproducersoo n o molti, esonopigliatidaquel di che fono ha uuwi dall’huomeni costretti colli giuramenti et anchora sono iscritti per memoria de quelli seguicaranodie tro anoiet anche per approuarelauerita:APISTIO.Core ifto ho a piacere deintendere. Horfu dunque comenza. DICASTO. Benche uipotrebbimádare a leggere li-libriferic tidiqueste cose congransollecitudineefochecotestonon fpiacerebbe a Fronimo, ilqualemoftra dihatere ftudiatoin tuttelegeneracionide scrittoriperquelladegnadifpurcacio ne che hafacto,purno mi parephoradi farlo perche cono fcoche Apiftio non remanerebbe contento,ilquale dechias facon il suo parlare tanto elegante di hauer gran pracicanel lilibriscritticon ilpolitoetersoftilo,etanchorpacedilettat fi grandemente dequelliscrittoripolitietben accommoda tinelparlare etornatidiun certofaufto,epompadieloqué tia,ecosiparechenonli piacere bbono quellialtri libripriui dedetta policita,edidettaelegátiadidire.APISTIO.Puo effer Dicasto che tu condanni quesse figure di rhetorica  hi uit Ea nico Zio U ouero cheforecilornato parlare cofidellidersi come della prosa o   fia sciolta oratione DICASTO. No. Non maillofatto ne anchorfonperfarlo. APISTIO.E pur imperho usanza de alcuni li quali quandoharannointeleladoctrina dePaci secioequellachire-scrittaperquestjúcellediuuolerilehet nire,ebeffate lacontinuata oratione,ben ordinata ediftit tamentecomposta collicoloriefigurerechorice, benichean chotapurhoueggiutodellilibriiscrittia PacifedaeflıBarn bacielegantemente etornatamere compofi. DIGASTO. Vuoreftimai cuchefufliunodiquelliche sono amouerati frallirozzietinelegatirconciosiachefocome colielegante mentefecissecoSanGiovanniGrisostomo,ilmagno Baglio, Tee Gregorii in Greco, et in Latino san Geronimo, Agoftino Ambrogio, Cipriano conmoltialcis APISTIO cioefodaefenzaerroree senza fauple, laela quentia non solamente debbe efferecondemnata eciproua. ta,ma anzidebbeefferdacuctilodataficomeeccelétebud non fralliinortali,chi-e-approvatoconlaragione etauttori tadelliantichiefapientidoctori. APISTIO. Chelibrifono coteftisetinche tempo furonofcrircis. DIGASTO.Sono molti.Veto echealcunidieffifuronoscrittigiafesantaany nifactunoui-e-chifucópoftonellanoftraeta. APISTIO. Chi furonoliauttoride dictilibri. DICASTO. Credo chi f u f f ero Belgici o e Galli, over Germani e Thodeschi. Ma di que h o ultimo de cui h o det o Furono li scrittori duo i Thodeschi. Liqualilif forzaron odispaccaree rompere limaghi incantatori, e le Siregheconunmaltello, emolto piu'forter menteeconmaggiore giustitia,chenonfece Nicocreonc ciránodi Cipro ad occidere collimaltelli Anaffarco Abdeci de philofopho. APISTIO. De chiftillosono. DICASTO. Di quello chiuolgarmétesechiamaPacifinocioeperque ftiuncelle  Dimmi Scrifferoanche egliikerli: DICASTO. Sialquátidiloco,ac ciolaffanoalcunididire comeeraconuenièrenellantidetti sempi discriuere in quel modo, conciosi ache anchoracom batteuanocollinemicidellafededi Cbrifto colliuerft.Non mancano anchoranenoftritempidi quelli liqualifacilme tesonoriratiallefagre cose della santiffima fede di Chrifto, conloelegåteftilo econ loaccomodato parlare.Purchesia calta,e fobria  EN 00112 lo Y li libri. Et anchor la strega la quale gire appropinqua anici condutra dal Guardiano della prigione forsiramentaradel laltrecofe altro diquellecha racco:ato che nófono anche elleiscritrein uer un libro.DICASTO. Son contéto difare horacome uuojparimpechochiedédoniperdouăzs, ledi toequalche cosa chenon fiaticonfueri diudire. Cosiciofia fiqhcelle,m a fono (crittecon molta sottilira,quanto fiapof fibileascriverediessamateria,decui parlano, ficomeimpe sho h a m m ipareet anchorsonofermati con la verita delle teftimoniide fantihuomeni.E non folamentepareame co teftoma anchoraamolijeccellentiTheologgi.Ilprencipio diquefto ultimo uolume comencia dal Pontefice Maximo, ecil fin-erapprouato con la auttorica di Cesare.Gia ho chiai ramenteefermamenteintefecome landdettolibrofu publicamente approvato dalli dottori di sagra Theologia del Juniuerfita di Colonia Agrippina. APIST10.Vuorej Dicaa ftochetuminarraffiquellecose lequalituhaipromeffodi narrare al propofito noftro ofiano di quelle da quei luoghi cavate, overo de altri luoghi accio le possam o meglio intendere con il cuo parlare concio sia ch e meglio le dechiarara i narrandole tu.Tlperchefendo anchorquiuipresentealladi fputationeilnoftroFronimo credocheanchealuinófera grauediramentare dellalırecosecheforfinonfiritrouano Icricce,ficome p suagétilezza hieriethoggi non liparuigra medinatraremoltecose degue,chenon fonoscritteinquel che de ben h o apparato le littere Grece e Latine, non di meno imperhonionm i fono con menore Audio effercitato fralli Theologgi. Li quali łassano lapolitiaerornamento dellino caboli etanchora tantatersitudinedi parlare folamente se fforzano diconoscerelecosecome inueritafono. FRONIMO. Eglie menoredanno quello delleparole che quello delia cognitizione delle cose. Mare-ben neto cheioiftimo, chccoluidebbeellereffaltatoelodato fouradellaltriilqua Jehalornarodelparlarecongiuntocon la cognitionedelle cofe cioefoura di quelli chi hanno solaméte o lungoialtro. Vero e che sepurnonliposlovio hauereamenduoi, iftima shec'megliodịhauere lacognitionedellecose chelparla  re polito,et ornato,dieloquentia.Benche ficome ho poflur coconoleereperiltuoragionare,pofseuilafare ftacediad. domandare questa uenia eperdono. DICASTO. Io diro latinamente al meglio puoco. Hor sucomenciaro. Auanti diognicosauoi doueresaperecome egliechiaroemanife. fto, chicolui,chinegaffeesserelaDemonii,meritarebbedi eserschacciato fuoridellacatholicaChiefia,licome grádea. meiitecontrarioallasagra scrittura,e maggiormetre aluanı: gelio.APISTIO.Concedo cotefto effer uerissimo sanza ver un dubbio. FRONIMO. Anche meritarebbe di essere Scacciato coftuidisinileoppenione cioeche diceffenó effer iDemonii,fuoridella Accademia edalLiceo.cioe fuoridel Jaschuoladi Ariftotele.Concioliacheappo diPlatone e di tutiie Platonicie fationon puoca memoria delli Demonii, acuinone-contrario Aristotele,m a anzifouentenefamen tione non solamente nella Ethica, Politica e Rethorica ma anchor nell’altri luoghili qualihoranóscrivo. DICASTO. E ben vero che ne faniioricordo, ma sonoimperhoinques Sto differentiate dalli nostri dottori cioechequelliistimano aisianodelliDemonü buoniedellimaluagieperuersi.Ma noi diceno che cutri i demonii sono perversi, iniqui, e malegni. Liquali benche li nominamo sotto dicotetto nome Sat canasio e di diavoli pur piu chiaramente anchora sono SIGNIFICATI per questo nome “demonio”. Il perche dice il Propheta David, tutti li dei delle genti sono demonii e lo Apostolo Paulo anche egli scrive. Non uuoreidouentafticompagni del i demonii e in uno altro luogo dice, Credono e demonii, e tremanodi paura. Non fugia maiuerun huonofa uioche dubitaffe,chequandolimalificiincantadori,eStre ghee Stregonirouinanolefruttacollisuoimaluagiincana elegano edipoisciolgono a suopiacerelibeni del cagioni ? matrima nio,cioeche fannopermodo che licôgiugatinel matrimo nionon poffoliohauerehonefti piaceriinsieme, edipoiqui dolepiaceglidanno facultadipuoterli hauere,etche an. chora tormentano lecreature fuoridelconsuetomodo del lanatura chenonsiano fattedettecoseconpattieconuen tionidell Demonii. Boperqueftoetanche permoltealtre cagionisonofateordinatemolte altrecosecontradicotefti teretiniquihuomenje donine dalli Theologgi cosi antichi c o m e moderni etanchora dalla facra scrittura, edalleleggi Canonice della santa Romana Chiesa etanchordalleleg giImperialt.Imperbo cheritroviamoilcomandamentode Iddio nel Deuteronomiocome fedebbono ucciderelima. Leficietincantatori ilfimilecomanda nellLeutico,cioeche Sranolapidatili Ariolie, quellichihanno ilfpitico Phitonico, dioe lidiuinatori. E Gratiano radunaaffaicosenella vigesima festa causa de decreti contro dicoteftifcelerati malefici. Anchora sepoffonouederequelle cose chescriue SantoAgostione libridella CittadiDio;edelladottrina Chriftiana diqueftamaladetragenerationed /perchefepor fon piu puoche cose raccontare oltra di quello, che h a esso fantiffimoe doctissimo huomo scritto in quejluoghi. Iocacı giolimoderni Theologgi liqualinon puoco hanno scritto contra dellimaleficietincantatori,eparimente anche con trodellimaleficiter incantamenti sono anchora constituce leggi contradieffu maleficiemathematicinelle Ciuilileg.: gicioenel Codigo di Giustiniano Imperadore: FRONIMO. Anchor se vedono affaicolene libride moderni philosophi.colide Platonici come de Peripatetici, cioedilambli co di Proclo, e di Porphinio, lequali poffoneffer'moltoapro pofito. APISTIO. Sicomeiononnegoche siano e demonii e chepoffonfareaffaicofeconlafuaperfidamalicia cosián theio defidecochemifano dechiarate quellecose, chipro, priamentepentengonoa quefte Streghe, cioesedannoal giuoco ouero uisiano portate con ilcorpo enonfolamente con la uolontao con una imaginatione, e finta reprefenta tione. DICASTO.Suole dare gran faftidioquefta queftio. ne ecagionaregrandubioinmoltepersonetragendoneof calionedalleparole del Concilio dell equaline faicoquanti mētione. Lequaliparoleleggonfinellaquintaquestiondel Laurigesimafefa Causa.Ilperchecredonoalcuni noefferui presentialli dettigiuochiqueftedonnuzze ehyomuzzicon il corpo,una solamente con lainagniatione. M a alcuni altri diconoeffercocefto giuocounanuoua fpeciediHereliadi  versa da quella antica superftitione. Anchorà altrinuoletto chelafiatotalmente quellamedememacheiuifiafatiofo lamételaquerellaetimpoftalaperda quellicheistimano essere Diana Dea overo Herodia, ferebbediuerfanaturadelcapro dadiuerfopeco cipiouscita.Vero echesonoportatialliballieconuiti,etal lila fciu i piaceri della norte uuolendo euigilando. Il perchie Fronimo e dame approuata la tua diftin&ione della disputa rionedihieticon laqualeconchiudefticontecoteftogiud codelle streghee malefiche e antico quanto alla essential e oftantiamare nuouo quanto alliaccidenticide quanto - lecerimonie. FRONIMO.Sehoritrouatonellantichefu, pecftilionidej Demonio ilcerchio,lounguento !, lincanto, il caminare de lcl iorpi humani per il spacio dell arta, li conviti apparecchiati di piaceri carnali donati all’huomeni e donne dalli demonii in figura de maschi e di femine chi cosa ci manca piu accionoiftimamoessereantico ilcommertiot familiarita dellis piritimaluagie scelerati colliperuerfiet in quihuomini?M a percheseritrovano alcunecofe in questo vituperoso etis communicato spettacolo di demonii hora da moltinarrate; lequalinon fileggono fussero anticamente dimostrate ho detto lacagione, cioecheiltuttoseattribuiffe allagrandiffima afturia emalignita, delsceleratoeperuerfo nemico dellhuomo.ilquale in diuersitempi a diuerfiordim e gradidi huomini haue apparecchia tomoke aru, e modi dingannardi accio che cosicondettiuarii coftumiecondi uecli ingannie piaceritrageffe efli huomeni delle precipito ferovine delli peccati. DICASTO. Per cotefta ragione assai  ouerochicredonochi.fi cangianoe trasformanoe corpi humaninęlicotpidi Gatge ode alorianimali, per opera del demonio e anchoraquel liche affermaucnodiefferforfipentalmodo difcetuto il rapto della mente quando sefachefeipuo bên conoscereic reconoscerepereffofel fia portato il corpoinquelluogodo Disalisselamente consciosiachedicaSanpauloapoftolodi non sapere cotesto:M a quefte Streghe q u a n d o sono portál te con ilcorponon sonorapitecom låninocioe ficome G fuoledirenon sono in fpirito, ma purse. Fussero rapite in questo modo ami  al 01 tel do od th que Ich til che ON efto ad LO me ol fal ad cit ced era din hadi ad 20 il a m i e piaciuto quello chehaidetto APISTIO. D u g uoi cerdetechesianoportaticolaconilcorpo DICAS Sicre dochesiano portatialcunauolraconilcorpo etalcuirauol ta che cosi facilmenre posson esser ingannati cioe che rendo naadamente illurae schernitala imaginaria potemiase pene fano, e gli parediessere portati corporalmente oltro di Carr gatacheier nodelli colli del Morite idea, et anchorglipa reditraparfareloAscaniolagodi Frigia, etancho di andare oltro dello ululatodelloaltiffimoMonte Caucaso dellai n diacollarmi delle Amazoni. E péfano,diuolare colle penne di Dedalo sicome lepare nel sonno. Ma per queste coseno fono perseguitatineprelidalli Inquisitori neanchorefsami nati, ne tormentacinecondentatiouero giudicati.MAPer Questonoicerchiamoconogni diligentiacocesti STREGONI E e Malefic iperche hanno renegato lafede di Chrifto chipigliatononiel fantiffimo battesimo,e promiTonodiferuaria.eranchorperchehanno ischernicoc beffaro Wlagraniéti della santa Chiesa, et hanno sprezzato Christouero dioeuerohuomoredétoredelmodo ethino adorato il nefandissimo e spur i f li mo demonio invece de Iddio,et anchora permoliialtrimaleficii che hannofarro liquali serebbono troppo longhida douerliraccărare. PER Quelle cose Et Altre fimilifatte contro de Iddioe dellasua trionphantillima fede noili perseguitamo,elieffaminamo e facciamo liprocessi e cosidipoiretrouati e conuinri nelle lorofceleritadepertal modo che non lopofson negare, dia moli nelle mani delli Reggi, Signori, PrencipieBaronio gerodelliloro ufficialiaccioli puniscano egli diano la penitentia secondo che comandano non solamente le leggi an. sichedella Chiesa ma anchoralenuoue etanchorane no. ftrigiornirinunuate,primeramenteda Papa Innocencio Otrauo, ed a Papa Giulio secondo.Vero-echetiammonia sco che ben auerufle da iftimare,che non sianoporrato al giuoco corporalmente la maggiore parte di coreftirei huomini. FRONIMO. Il nostro Dicasto hieriammoni Apistio egli feci intédere.comne n o doueffe fprezzare e farfi beffe di  I. quellochịe creduto da tutti o uedr’alla maggior parte probabile cioechelepoffa fareintaleeralmodo. Concioliachg ersententiadi Aristotele, come non erin tutto falsoquello chi-e decto da tutti. Il che intendendo quel Glorioso Thomaso Acquistato annouerato frallisanciper lasua bonta e piet ta,&anchor p lasuaegreggia dottrinarepucato frallieccel lenriffimidottoriiftimoefferedelli Demonii,liqualidaua nocarnalipiaceriallhuomeni& alledonne ineffigiadima. fchiedifemine:dertiIncubi esucubi equestomaggiormés teconfermonelsecondo libro delle sententie, percheuiera. No molti saggi, prodi, et anchordorti huomenidicotefta oppenione. I perche o Apiftio,non vuole contradirea quello chive-statorenuroueroconiantapublica fama, et anchorap prouato con ilcosentimientodicanti eccellenidottori. DICASTO.Ben etottimamentelhaiammonito.M a anchor accio se posta haver maggior certezzadicotefta cosa,uien qui dame stregae giura allisantiu angelii de Dio, liq uali ho posto fo r coler ua mani come tu vedi, di racontare, e di respondere il vero di quello ferai interrogata. Esappiqualme tefeiubbrigara atalegiuramento chesetune mentiraiedi raipur unam e n o m a bugia,no ritrouaraiperdono,ne remis fione; appo dinoi,& anchorpurpensa dinonritrouarlanel Jaltromodo appo de Iddio. Ho giarato, E cosisia ricerticheno uiingānaco;neanchorm i. DICASTO  Dunn que dimmieratuportara'algiuococonilcorpo, ouerofajn lamente con lanima o sia con la imagination. Con ilcorpoinsiemecon lanima.DIGASTO.Come puotu saperedieffereftata portata perariacola con il corpo congiunto con l’anima Perchejo toccava con que mani il demonio detto Ludovico. DICASTO. Deh, chi cosa toccauitur  Il corpo di quello. DICASTO. E m o quel tale, quale e ciascun delli nostri. E porpiumolle. DICASTO.Vieranoquiuidellialtri colli corpi r O l i fi in gra n moltitudine. DICASTO. E cosi diconotuttilaloricheho giamai essaminato, anchor sanza darlinerunmartorio et il simile anche diconodi Inquisioridelaleriluoghi,cioechieframinando quellidi questamaladetra compagnia comesimilmente hanno di [posti,vo discostandosi da quello cheh a mconfessatoquel liinquesto medememodo. BENCHE SAPÍAMO checo teftanone la cagioneperlaqualedebbianoeffermartoriati e puniti, ma anci per havervi ola ta e total a fede promessa nel facto battesimo non dimeno imperho tuttie maschi e le femine di quefta fceleratiffimar adunanzae compagnia.co fidiquestoCaftellocomedellaltriluoghidelmondo,coli dellicaliacome fuori di essa dicono inqueftomodo etcone fermano esser il vero di esservi portati corporalmente con quell’altre cose, delle quale ne ha detto la strega. Et accio maggiormente lo poffeti crederevi voglio narrare unahifto siachenó fu favola ne anchorae cosaancicamangoua,Gia puochi mesi paffari eta porcato nelle brazza della madre un faciulito maschio, fi comesifuole aquella fortiffimaroc ca diquesto nostro castello chi'c circodata di larghiffime fosseet incorniata di fortiffimeetanchoraaltiffimemura, hora vedendo detto fanciullinoquello fceleratiflimo Bernio, ilqualefudipoibrugiaroperle suemale magieopereficomeauanti diceflimo) che parlava all’hora copil Castellano della coccafuo parente, gliuieneincontinente una brammosa e bestiale voglia di asciucarli il sangue. Al perche moltogliparuipiulongoquelgiorno che non pa reaquelliJigualidebbono receuere lamercededellesue Atentarefatichepertantobeftialeappetitoe desiderioham uça diguftare dellinnocente sangue del desto fanciullino. Hor sendo pur alfinegiunto laoscura notte dellescelerira. de madref, efeceportarperaria al demonio efermarfinel Ja casa doue giaceua ilmischinello fanciullo nella cuna.Et asciugotantsoangue daquello infelice bambino,cheroma Sefi comeunatrasparente ombra,che preko preftopalla, non hauendoeffigiahumana.Ma nomaiimpo faconosciu itala cagione dellinfirmitadieffone della pallidezza perin finochenon fugiudicatoecondannatoeffomaluagiohuo. m o al fuogo. Perche allhoraelloaddimaudo perdonanza al padre del fanciullino, per il male havea farco. Ecosiandoe ri cornoperariapassandofouradiquellealtemura dellanuje   detta rocca laqualeuedericola. Vadimo auantarfilantiqui cadelli antropophaggicive de quelli popoli di Scithia chi magnaveno le carni dell’huomini, et anchora purmaraue gliatlilanottraetadi quellihuomin įhoraritrouatinelle110 de detmare Eoicide orientale che ancheessisecibano colle carnihumaineconcioliache nel mezzo dellaItalia in una regiunemolto habitataefrequeritatadalli mortali, discolo da ogniferitae bestialica, fi-e ritrovata una gradiliima c o m pagtira d’huomim cosi maschi come femine laquale/e-par sciucapinftigatione del demonio disanguehuinano. M a ritorijateStrega.Che piacerihaueuitunclloprelafciuccó un corpodiaria STREGA. Non soc on chi corpo. Malo ben questo che havea molto maggiori piaceri con lui che con il mio marito: DIGASTO Non faueuiumai paura,et horrore efpauonto conoscendochi quello era il demonio, icon ilquale cu haueui questi iscommunicati e sceleracipira ceri: No. Cocio sia che no uede altroche una figura di huono. cccettochenepiedi,liqualinon pareuano am eficonelafacciailperco, el altre membra. APISTIO. O chi figura o chi aspetto o chi effiggia di finuto animale, er di finta bestia. FRONIMO. Eglie imperho taleche nascon de lacrudeleaetasprezza edimostraunagentileforma,et fuauemolilia con altribeltadedallequalif.noquellidol cemente tiratielusengati.Fingono lantichiche essercitarse Venere lufficio dicacciatrice cercando per le Selve li lasci uti piaceri di Adono, accione tragge ffe à fe il cacciatore. H perche dicelo ingenioso poeta. Noda il gignocchio al modo di Diana Cintralauefte,ecaniellanimali. Della predafecuraadhorta, e inganna. Et anchora non alorimére inganno ilpaftore Anchise,eccet t o che in quel modo, che e’aggradevole ad un huomo che habitasse nella villa. Cohanchorcalitafsiinun cerco Hii Hio da Homero inchemodoferapresentopuressaVenereaus tididetto Anchiseineffiggia egrandezzadi Admeta uergi nie.llpcheiuisiritrouano quelleparole greche lequali hora Jetaccio. DICAS. Dehpertuafedeegentilezza,fiacontéto  di   Simile a Adameta fanciulla pura. DICASTO. Chicora pensi tu uuolefli SIGNIFICARE quellasimi Jitudine del Poeta: FRON.Non puo coildimoftranoquel le coseavanti precedono,& anche quelle che seguitano. Conciofiache addomando coluichi caminaua solo disco Ato dallisuoi buoi eloeccito efuegliocon ilsplendore e con Na gratiae lotiro a douerfi inarauigliare, fingendoff mors  ditrafferricleinbolgaré. APISTIO. Horfudilleinquel modo che face f t i h ieri, quando tu dice f t i quell’altri p ut greche nel nostro volgare. FRONIMO. Non semprese accorda talacerra,ficomefisuoledireperdouerefuonarene anche Temipresuccedennapiacevolmenteesecondoildifioleco Yefatte allaf provedurae prefontyofainéte, Cojneltrasferim të i patlare greco in latino et in volgare non sid ebbe face enza buon penserb esageublezzadi tempo. DICASTO. Priegoti cheluoglihoratrafferiregiustamente fepuoi,feair choranonpuoifarecome uuoi, faalmegliotifia poffibile. FRONIMO.Io son contento,pernonparere diefferofti. nato. Cofiuuoledire. Dar Sre Venere nata delconante Gioue. Avanti di Anchifein forma e figura, taleecosidipoihauendolira ccontarola generatione, esuc ceffionedelli fuoi antichi con longhe fauole, lo conduffe alfineallilasciuipiaceri. APISTIO. Holettocome feciA n chise la meriteuole penitentia per dette cose,conciosia che fuper cof f o d al fulgure e cosi ritro o che gli fu a nnonciato qualmente cofiglidouea interuenite.Ilperche ritrouiamo queluerso scritto in greco, loquale hora hora cofi lo dico it? nolgare perchefo uiferamoltoaggrado. Loadicato Gioue fediffecon lardente fulgure.E benche dimostra chiello d o ideaefferpercoffo con talepena epunitione perrefpettodel peccato chi era manifeatato, non dimenoanchora inanji fignifica come colui ferebbe punito dalli dei, il quale d e fideratebbe diuuolerehauere amorofi piaceri elibidinofe deleteationicoeffiDei:Penichecôigegnofee maravigliose fauole fingonolantichiqualmėte per simili cofe fuffjuccisa Semele figliuoladi Cadmodallo fulgure.N e anchorasong cótrarioa Callimacho,inquella cosa che se narra di Tiresia at. ce che 710 qui Erg hon havuto figliuoli, conciofiache foué tefe leggi delli figliuoli delli Dei. Anchemi ricordoqual méte giadoidifa dicellicomeerapurqualche fondamento delle favole. Pe č i l che se gli c qualche fondamento dechi Cortijslono.  Thebano cioechisupriuatodesuederedalla Dea Giunone perchehaueahauutoamorofipiacericon Pallade,oalman cohauea cercatodihauerlibenchealtramenteloracconi taCuidio.Vero-e-chi Callimacho,finge questa cosacon 'piuhoneftoparlaredicêdochecofigli interueneffe, perche uide Pallade ignuda. FRONIMO. Chicosa ne hauemp per queata facola? APIS IO. Io te lo dico. Havemo questo al mio parere chejopensoo al manco dubitochehanocge te quefte cose efimulateefinite. FRONIMO. Ifimatuche apparefseno li Demonii in quelliantichitempidiquelliB a Toni di Troia e di Grecia Li quali demoniic redoche tufen do Chriftiano sianofermamenteda tetenuti effere una ria emaluagiaschiattae generatione de spiritie APISTIO. O si. fi fermamente lo credo. FRONIMO. De b non ti r i n f cresca di rispondere. Da chi procede che pare tu non uogliccedere, chequellimaluagiTpiritidefideraffino,etanchecers cassino di dare la fciuipiacerialle donne informa dihuomi ni et allhuominiineffigia didonnecAPISTI0.Doh cbi e'beni gran cosa questa da doverti rispondere. Io te lo dico. Per ciono locredo, perche non sapiamo qual menrenolonjo i demonii di carnenedioffa, comenoi.Ilperchenon sipossono delentareincoresticarnalipiaceri. FRONIMO. Egliepur una gran cosa Api f t i o che tu non tiuuo ira mentare di quello che fouente hauemo de ciall perche se tute lo ricordafi, noti maraueglia restine anchor direfti, quello che horadi. Gia fpeffeuokre-e-ftatodetto, comedannoeflimaladeeti nemici de Iddio erdellihuomini coteftifceleratipiacericar naliallihuomeni,er alle donne non per delectatione, chi habbiano eflirei spiriti ma solamenteperingannaregli huomeni e conducerlinepeccati eralfinehell inferno dove efli sono confinatii n perpetuo. APISTIO. Il mio Frenimo ti pregono ti turbare, Pur anche io ho un dubio, Se l n o fussiperaltroeccettochep qirarelhuomeninellipeccatino se ditebbe che haueffero.   l fono dong figliuoli quelli detti figliuoli delli Dei, pche lispi ricisenza carne &oftanópoffono generare: FRON. Core Atanó epuoca dubitatione, cociolia che facendo Moises, mer moria nel Genesisdelli figlioli didioedellifigliolidell’homi ni furono alcuni che istimarono fuffero SIGNIFICATI peili alli piaceri carnali hauutifralli demoniie le donne, et altci,uno Jenofianosignificatililibidinosipiacerichehaueano lhomj. Nidellagiustagenerationeeftirpedi Sech:collefeminedel laingiuitagenerationedellaschiatadiÇainIlperche seale cunauoltafeleggedi qualchuno,chefulle decto figliuoloo di Gioue o di Apolline non perhosedebbecrederechecoftui ueraméte fianato delsangue delliDemonii,cóciohache nó hanno sangue,m a sedebbe iftimare chelsia nato del semç di qualche huomo, dacuilhaueranpigliaro. Serebbonoass Saicosedar accontare delmodo de cuipaiono esse regenerati gli figliuoli dalli demonii che hanno libidinosi piaceri colle donne:m ape c non aggravare le orecchi e del pudico lettore paream etitacerlene parlar volgare. Anchorpuo effe rche qualcheuoltaquellichesono ftaroreputatifigliolidellidei odelle Dee:ssanoftatocubbati fendofanciullioidalle loro madre,peri Demonii,sendoanchoressenelparto, etoccul, taméte postisottodiquelledóne.che ingánauano etledaua n o libidinosi piaceri facédole parere cħefli lhaueffono gene ratidiquellee cosico doppia le st mm De 70 li al frode leingånauano,cioe pri mieramenre facendole parere che glicócepiffeno e parcuri scenoedipoifacendolinudrigareinuecede suoifendo de altrui. Ma se pr fuffi qualchuno che vuolesse dice che in verita fuffero faci generaci quelli chiamati dalla antichita fi gliuolie figliuoledelli Dei,edelle Dee,enon efferstarafro deinportarli,ma checosifufferogeneratidalli Dei e dee (ben che credo che sia il falso conciosia che conosco come sono alfaicose fauole)direicome furonogeneratidelseme del Jiuerihuomini portatodalli Demonii nel tempo della concettione, quando dauano lasciui piaceri aquelle,E cosi in questomodo sedefenderebbedaefliil nascimentodiEnea nellAsia e quello diAchillenella Grecia, li quali furono digniffimi huominine tempi heroici, o siadiquelli eccellenti   Baroni,cosidiTroiacome dellaGrecia: Alichorfepúotreb: bedirequalmentein questo modoconcepilaReina Olimpia moglie d i Philippo, Alessandro Magno, nella Macedonia e nella Italia lainadre del grande Scipione Africano. DICASTO. Il nostro Fronimo cercamente paiono corefte cose che tu hai raccorato molte semiglianti a quelle che narra santo Agostino. FRONIMO. Dirotti anchor molto piu quanti come non solamente tirauano a fe li Demoni tin i qui e fceleraci le femine collilasciuie carnali piacerim a anchor tentaueno l’huomini del'maladetto uitio della sodomia, colli maschi. Il perche facilmente era persuaso alli mortali cotesto sozzo e uergognoso amore de fanciulli coll’essempio dequel lili quali erano tentati dalli demonii dicendo che pigliaua. no il fioredies li fanciulli. Hebbe questo vergognoso e seele rato uicio di contra natura primieramente origine dell’Asia, e' deindi nella Grecia e nella Italia, e poi i puoco spatio dite po introperinfino nelli Celti popoli della Gallia. Per il che non e dubbio che la captura e presa di Ganimede in Troia non sia antica e non solamente e manifesto lo molto antico incendio e ruina con il fuogo di Sodoma, di Gomorra,edi quelle altreCitade della āfia, appo delli Christiani e delli Giudei,m a anchoreramentatodalliGentili.Fu primo au thore appreffodelliThracicosidi questopuzzulentouitio, come delculto& honoredelliDei, Orpheo sendo andato di Asia nellaThracia,Veroe che sonoalcuni altrichiuuole no fuffiilprimo inuentoredieffofcelerarissimopeccato,np Orpheo,ma Thamira. Fugiapercotalmodouolgatoemãe nifeftatoqueftotantofceleratiffimo uiio,che eracredutb dallireiemaluaggihuominichelfuffilicito. E cosi'pareja appreffo delli Celtichelfuffefatizauerun punto dipeccato, ficome dice Ariftotele.Veroeficome crediamochesiaistin to eruinatoinquellipaesiperilbeneficiodellafantissimafe de diChristo, cosimaggiormente uie-ftacoinconsuetudine appodelliPerfi, perlagiaanticasceleritae perchenon uie ftarafermalaleggedimefferGiesu Christo perlaquale fan tiffimalegge conoscemo quellochie bono,eche sedebbese guitareeparimêreintédemo quello chiemaloepeccato e chi  fedebbe fugire.E costilDemoniorio eperuersonon sol laniente ritrouo quelli maladetti giuochi e quelli scelerati piacericarnalipertirarealecosimilipiaceri quellefemine erano inclinate alla libidine et anchoriquicandole alla ge. neratione dellifigliuolilanatura,m a anchora ritrouo questa abomizatione dellasozza esporçalibidine contra natura. E non contento anchor di hauerla solamente ritrouatam a facciomaggiormente ne tiraffiIhuomeni,anchorprometre? jua diuersipremii, aquellichesefussero grádemetedelletrati et efferciratiinefa. llperchepromesse adalcunila perpetua vita, cioelaimmortalita, sıcomefecea GANIMEDE De quira scontano liibri qualmente crederonolantichi, uonmácoim piamente che scioccamétechelfullportatoju cielo.Ad al trianchor promesse loindiuinare, ficomea Branco pastore, D e cuidiconocolle fue faliole che glifuinspiratoilu perche loistimocheben sipuo suonarelarecolta,(licomecomuna mentefedice quandosehaueratrascorsodallitempi Heroi cicioeda quelli temp iquando furono quelli Baroni e huoi miniriputaci Dei, ecapitaniiforciflimipecinsinoa SCIPIONE, perchecredonon hritrouanochesianopiuftatesimile cofe. DIGASTO. Chi cosaditurTudebbe sapere comesonoin teruenuteinognitempo,& inognieta qualchenotabilico ke.APISTIO. Ma perchenon losano DICASTO, Affaibe fonomanifeftemanoimpho tutte.APISTIO.Da chipce de chenosianomanifeftate DICASTO. Perhora occorce noa me duaragioni.Vnaeche sendo fcagiato ilDemonio malegno nemico dell’huomo dalla segnoria del mondo p forza del sanguee dell atrjófantemortedimeßer Giesu Christo non cofi importunaméte epublicamétecollesueillusioni ingánalhuomo, Perche ficome fcacciatoe badito babitanel Jiluoghinascostie deserti, m a anticamente era adorato sot tospeciedidiuinita. Laltraragioneeperche giaistendeuale retidello amore lafciuoatuttele generationi dellbuomini, Ito 1 di Appolline APISTIO. Io ti priego non parcarepiudicote fe cofe le quale sicomefonomanifesteam e colifonomnara uigliofe, Ma uoreiintéderedi quellechesonooccorse peral tritëp Ci, óciofiachecredosianopocheroseoccorse Haticinio. 1 te $ mmi  ma horaforzasigrandementedipore lilaciuoli folamente perpigliaredue generationidhuoniinicioeliottimieliper limi. lo ad domando ottimi que gli che se sono dedicati e cosegrati ad Iddio con tutte le sue forze havendo conculcato esprezaroturtele delectationiepiacerianchor boneftidi questo mondo. Efa continuamente a questi aspera e crudele guerra. Ma sendofactaquesta guerra danascostoetoccul tamente nosimanifestauerunacosadiquelle, eccettoche alcuna volta per essempio e per salute delli altri. Poi io chiamo quell’altra generatione pellima, cio e quella delle becer ghe edelli Seregonidelliquali hora parlamo,Ta sai ben quanteminacie, equantitormétifienobisognoper cauatı lifuoridella bocca quellifuoiindiauolatiamori efceleratiffi mi piaceri.Ilperchenon parlanoliberalmentedi quelli non liraccoranocome fonio, eccettochecollisuoinefandiffi micompagnidelgiuoco. APISTIO. Dung anchor iftéde Jarete dellascivo amore il demonio alli fant i huomini e t a figura della ingainatrice Venereshauendosi pinto le guancie e le labra con la ceru facio e con un bello colore, e con il  quellichitotalmentesefonoaugotatiaDior DICASTO. fetu hauefli cognitione delle uitee dellopere di quelliiscrit tenellilibrinon hauereftipuntodi dubitatione.M a accio tu ne conosciqualchepartesepiunó lhauerai conosciuto,a uogliopurraccontarealcune puoche cofe diquesti ottimi huominie fanti, cioeinchemodo sefforzasse il demonio di doverli pigliare con lareteelaciuolodellalibidineelasciuo amore. Narra Sufpitio Seuero, come fece ogni forza esso nemico dellhuomo per ingánare quello gloriofifsimouescouo santo Martino in figura diGiouedi Mercurio, diPallade,e di Venere,Dimmiilmio Apistio non iftimituche quando fefingeuade esser Giove no gli promettesse delli Reamie dellelignoriere che quando sedimoftrauaineffigiadi Mercurio chegliprometesselaeloquentia eladottrinaecogni tiondei tuttelescientiehumane equandoseappresentaua in sunilitudine di Pallade che non glioffereffela fapientia,e laprestancianellartemilitarelaqualegiahaueuasprezzato e renunciaror Chi cosa puo tu pensare gli promettestesottola purpuriffo con lo quale tingono le femine le maffelle con il bomagio, eccetto che diletteuoli elasciui piaceri Non penso tuchelfingefsediesserueftirodericcherobbe eueftimétidi diuerficolori,ethauesse anche fintoin questa imagine liua ghielusingheuoliocchipertirarlonellasciuo amoreset an chorchel ragionale delasciui et libidinosi piacerisTi dira Athanafiosanto,conquantiuariinodi tentoilmalegno spi ritoquellogloriofoabbate. ANTONIO nel deserto,ilquale Athanafio fcriffelauicae costumidiquello.Anchore buon teftimoniolafreddaneue diquátofuogodilibidinetentaffe ilserafico Franciefco nella quale accio iltingueffelo incendio dieffo, segligeto dentro ignudo.Te inligaara anchor il cespugliodellepungenti spinne quanta delicatezzadiamoro fipiaceri presentaffe auantidellocchidellamente del pudi coe cafto santo Benedetto,collequaleritrouo ilgioueuoleri medio controditanta Cozza cosa cruciando la propria pelle delsuodelicatocorpo. Non crediariimperhochelmanca di punco anchehoradicicarealcunidellaturba emoltirudire nello pazze s c o amore é volgari piaceri carnali, pur che veda di possere, ma anzi di continuo grandemente cerca con milli modi e con mille arti percoducerlinellasuamaluagia eriauoglia. FRONIMO.Vi voglio narrare una cosa intervenuta ne nostri giorni a comfermatione di quelloche ha detto il nostro Dicasto. Ho conosciuto uno huomo molto essere citato nella militia, a piedi il qualehammi dico fovente di haver havuto piaceri libidinosi o n il demonio, *credendo che* lfuffs una vera femina. E fu in cotesto modo sicome egli narrava, chi era huomo semplice e senza malitia. Sendo ello nella Toscana e caminando peralcune sue occurrentie verso Pisa e venendo da un castello pur del Pisano, dovi havea perduto nel giuoco de dadili danari, eco si molto di mala voglia lamentandosi dellifanti& anchor ed Iddio per la per dutadielli, ecco rivede seguitare dopo lui dui a cavallo che parevano mercatanti, e parevano che cavalcaflino molto infretta, doue adietro diunodjeflisedeuaingroppadelcas uallo una femina la quale dimostrando dinon poterepiyol troftarea canalloperlagran fretra che facevano paruiche 3 scendeffe interra. Hor costuiuedendola bella et anche sola pigliandola per la mane caminauano insieme e la inuito allo allogiamente seco quando serebollo a Pisa, e cofi parupi che quella gratiofamemreaccecai se l’invito. Eco si pur oltca caminando insieme e anchor piacevolmente ragionando, canto colui se in siammo di amore di lei, che senza ver un freno della giusta ragione, ec iecamente chiedendola de piaceri dishonnestie quella consentendo linediuiénea quello che tanto pazzescamence bramata. Ma' uditi cosa meravegliosa, come hebbe havuto li suoi scelerati di sure  is costi da ogni ragione di huomo, ecco che incotenenti quasi tramortie diurene tanto manco di animockegiacque nel campo dovi la vea comesso il fozzo peccato dalejhore come mezzo morso.Vero eche foura giungendo e suoi compagni chi ne venevano dopo lui d a longhi e ritrovandolo in coral modo giacere fanza forze corporali, il portarono alla citta e fusei meti infermo, e gli cascarono tutti gli pelli dalla persona e narrava come per tal modo vi fussero brugiate le calze nella soperficie disoura comme selfulfiftatoil fuogo vero l’havesse brugiare. Dipoi diceva comesericor dava che quella femina, ma piu presto quel diavolo in forma di femina l’havea molto pregato cheldevesse getare a terra una haftateneuaiimane douiuieranel Ja cima un ferro in forma di croce, cioe un pedo, li corne noi diciano promettendoli di darli una molto piu bella lanza segliubidiua. APISTIO. Molto mi ritrouo fatisfactoquae toallipiacericarnaliprocuratidalli Demonii dalprincipio dellaniquita. FRONIMO. Hor voglio chetuintèdicome ha il Demonio questa usanza per douerpigliare Thuomini, di ufare ogni frodo nel conuerfare collhuomirificome iften desseuna reteperinuilupparli.Ilperchenon solamente usa queftonelli piaceri carnalim a anchor intutte le altre fami: liaritade. Etacciotupoffi conoscerechelfia vervooghioh o racomenzare dalle bataglie di Troia. Che penfitu uuolefle SIGNIFICARE quell Dragone di altezza di fette gomiti canto dia mestico chibeueuacóAiaceLocrese& andaualiauantinel liuiaggi demoftrådoltlauiarecoliftaua tantodimefticame teconlui, ficomefuffiftatouncagnuolo. Che cosauogliono dimostrare le penne diDedalo:e lealidelPegafloretuttel. laltcicose,annouerate frallimoftri delle fauole Et anche quelli tapti prodigii emiracoli delli Philosophi Che crediçu uuoleffe dire quello tanto acelerato uiaggio che fa Pythagora andando e ritornando per un avia molto longa da sta. Jiaperinsino nella Isola de Sicilia in cosi puoco tempo.Cor m e pensi tu puotesse caminare tanto spario di paese cosiuelo cementeri come uno uccello Empedocle inchemodoisti mitucheandaffecon tanta uelocitalicomelaborea Abaro fouradiunafaetadi Appolline a vificare Pythagora. Di che luogo creditu uscisse quella voce, che refiro Socrate, ma non losforzor Ghi vuol dire quel genio e familiare spirito di Plotitro: Che significaquella Occa che habitava tanto dimesticamente con Jacy de philosophore fic ome fono puochie philosophi in comparatione dellaltci huomeni,cosianchor questoperuerfonemico dell’huomo tirauamolto piu delli mortali nella uoragine precipitosa della sporcha libidine che litentaffidi vanagloria. E non folamente litencaua isteriormente e visibilmente, ma anchor fouente interiormente e invisibilmente. E se tu pensarai che puoco importa siano tentati l’huomin idal demonio dilasciuiaedi. Carnali piaceri o interriormenteo veco isteriormente, te lasaperadire que itadifferentia Santo Geronimo Il quale chiaramente scrisse ledicedi quelli fantiheremite,doujraccontale grandi ten tationipatirononeldesertodalli Demonii,ecoteftofeceper ammonitione di quelli doueano uenire,Atchor 11on m an coeglifcriffequellegranditentationichelfuftene,dicendo qualmente inuna carne quasi morta solamente bugliua. noliincendii& asperifuoghi della fozza libidine. APISTIO. Dung feaffatico anchor Venere, cio e il demonio di u uoler combatare con GERONIMO colli dardi del a puzzolente libidine? FRONIMO. E bensefforzo difaretutto quello puote et anche non fece manco cru delleguerra con ilglorioso Pontifice.SantoMartino,sotto questo n o m e di Venere ficome racconta Severo doveder scriue li laciuoli e itele retida quello nemico in effigia di Venere. Ma chelfe dimoftrafiea santo Geronimo vi fibilmenteoueroiltentaffe interiormente, non Ihaveto chiaro.Vero e che credotuhabbilettonelliantiquissimiau thoridelliGentili,come hauea consuetudine Venere dimo were lhuomini interiormente et ancoisteriorméte.Ma eglie ben ueroche quando serapresentaalliocchicorporali, efaci lecoladadouer conoscerem a quandosolamentesedimo A tra nella imaginatione, et eccitc a e muoue li sentimenti i n t e riorinonsonocosi facilmenteconosciutidaogniunolisecre *titradimentietaftureinsidiedi quella. Il percheeglie detto pellihinnidiOrpheo Venereuifibileet inuisibile. Et anchora e detto che li amori usciffeno di quella fecis cono l’anime colle intellettualisaete. Imperhodice Orpheo in quell altro himo greco coli in volgate noftrohorada me trasferito, aparente e non aparenteo vero paiono e non paiono. E pur ancheinun altrohinnocosiscriueingreco quello che hora diro volgarmente uuolendo dimostrare che sianopercorso lanime colliintellecualidardi,queste fedissenolanime colle intellettualisaete. Anchor feuedonoquelliuersi di Procolo Platoniconellhinnofatto alla licia Venere in Greco uiauia da me co f i i n volgare tra dotti acci o si manifestano le intellettuali nozze. Hauendo INDICIO delle intellettuali nozze edel liincelletcualihymenei, cio e delli intellettuali Dei delle nozze. APISTIO. Dice Apulegio che qlo spirito ilquale couet sauatato dimestica mente con SOCRATE era dio e no il demonio. FRONIMO. Ma pel contrario scrive il Plutarco et a n Co Massimo Tirio chiamadolo il demonio. Decujunodieffi ne hascrittoun libro,elalcrodui. Perqualcagionefedicech unaltro demonio pigliafféilpatrocinioegouernodiplatone o di Zenone ouer di Diogene Perche fu un altro demonio inolto domestico di Plotino s9i veriraui dico che questo fa ceuanope ringanarli. Sono tutte menzogne quellechedie cono alcuni comesonouarielenature del Demonio, cioe che alcuni dieslisedeletranodigouernare le Cittade, ele co sedomeftice, e familiarier altri uolenti erife occupanonelle coferufticaneedella uilla,etalquantiallegramente se in tromettono nellopre della terra,et anchora fono reputati molti che habbino cur adelle cose marinesche. Sono tutte  coteste cose   et aliri ale loeffercitarsi nellarmi della battaglia. Ilperche fauolescame tenarrauano, cheinspirasseperlifomnijlamedicina Esculapio e Podalicio, e che fussero Tourafta ne i alle processo se ond e etépeste delmare li Dioscuri, cioe Castore e Poluce figliuoli di Gioue, et anchor dicevano che essercitasseno le opere della guerra dopo la morte Rheslo et Achille, et in antichi tempi di Troia, Theseo. ueroecheraccotauanochequelliprimi nascostamenteeffcrcitauanolarme,m a questoultimoaper tamente enellampio campo. Racconialianchor perfama checombatreffenellicampiepianuradi Marathono laeffi giadi Theseoper li Atheniefi contradelli Medi, equefto anche scriffe Plurarco. Deh vedi una gran pazzia. Credeuano foftoro che li demonii fuffero lanime separatedallicorpill., gerche diceuano che Asculapio medicaua, Minone e Rhal damáto giudicaua,Scacciaua le gragnuole etépefteli Dioscurio sia Castore e Polluce, Diuinaua Amphilocho, Mopro, Orpheo, eT rophonio,elebattaglie eguerre trattaua Rhei fo, Achille,e Theseo.Ditutte coteste cose era authore il Demonio, E cacciolifuffero preftatelorecchie edato fede,ecoli maggiormentefusserotiratil huominieglifaceffinolifagri ficiilicomeallanime delli Baroni signori et eccellenti huomini con una cerca vana speranza f, ing e vano tutte queste cose. Dalle quali superstiitioni e inganni, non furono contrarii Platone et Aristotele, e maggiormente scrivendo li libri delie publice leggie disputando delle institutioni et artici uiliecittadinesche. Anchor e cosa publica,comene noftri giorni son ftato tenuti e portati delli demonii nelle guasta, deo sianoualidiuctro enelle annelli,& inaltrecose, et anie chorcomequellineinici dell’huomini hanno dato resposte perilgérre,perlacosta,&altrimembri dellimortali ficomie dalspiritodi PythiaodiApolline, acciopoffemofacilmente coteste cose elalorisimilisonnii dellisci occhie pazzi Gecilie pagani,propriamente semilia quelli narrati daalchunifa uolescaméte,qualmente alquanti diquellifeeffeccicauano nella medicina,& alirihaueano cura e gouerno delli naui. Gheuolilegnie delli gouernator idieffi, et chealquantierat no sourastantialdiuinare,enon puochialleleggi,   conoscere come il sceler a conemco de Dio e dell'humana generatione ha pensato in diuersi tempi diverse vie e modi de ingannare Ibuomofouo specie di familiarita. APISTIO. In uerita cosiancheioistimo, DICASTO. Nó dubitarem a siapurdibuona uoglia, cóciosiacheapuocoa puoco ne ue. rainella nostra ferma oppenione e vera sententia. APISTIO. Ma nongiain questomodo. Maegliebenuero che milasto coducere dalleragionie dalliteftimonii. DICASTO.Vieni qui Strega, esappiacome fei coffretracon quelmedeno giurainento cheeriauanniesappia qualmente in brieuisem raipunica conilnostro fuogo, edipoiincontinenciconquell altro che mani o n mancara: fe tu mentirai in pun to di que k locheteinterrogarodeluoftromaladecco giuoco, I doso,enon houerun dubbioin questa cola. DICASTO. Dimmi. Magirali e beueti cola al giuoco uostro scele ratorVero echequantoallipiacericarnaliaffaisiamofacil fatto.E cosipiu non bisogna diaddimandartine. Simangiauadainquelmedemomodo ebeueua comeera cófueto dimīgiareincasaconil mio marito, econlimieifir gluoli. FRONIMO. HieritipropofiApistio iefsempio quel lamensadelsole cotanto noininarae iamentara da Heroi doro,edaSolino,& anchorda PomponioMela.Ilperchetu debbe (appere qualmenteil Demonioastuto ne cira affai dellipoueri e delcozza uolgo collipiaceri della gola olico dellasperanza lo chiariffeneanchor dicecheufcisfenoledittecarnifuo kidellaterrane che saliscenosouradicffamesa béchelodi caHerodoco.Veroeche Pomponio Melae, Gaio Sotivo dicono che erano diuinaméte portate dittecarni. Machies coluidi cosicozzoingegno chinon adaerciscacome fussero quelleuiuandeecibilusingheuoliingamida ingannareil gufto dellaignoranteturba,Et anche chi'e-coluidicofipuo R e promissionidelledelettationicarnali.Che cosa pođemo istimare uyolessunosignificare quelle carni poste souradellapridettamensadel Solerde cuilefameir tione fanto Geronimo fcriuendo a Paulino,ficomedi una cosamolto uolgata,emolto marauegliofarMachicofa fuffe nó co discorso   co discorso, il quale veda Solino contrario ad Herodoto, et il Mela contrario di Solino chenon coilofcacomeuariament tee dimostrata quefta fuperftitioner cóciofiache quello fcri ua qualmente eranoiuiportelecarni nelpratoappo della citadalmagiftratonellaoscura notte,chesemangiauano nelgiorno, echedipoiera detto daquellidel paesfeu,ffero uscitefuoridellaterras EgliebenuerochediceSolinocome e quellaméfainunluogodellombre,etiersempreapparec chiata abondantemente di lauri,dolei, etaggradeuoli cibi, et uiuande,dellequaline puomágiareciascunchevuole et atuetasuauoglia,ebenchenefianomágiatein grancopia da quellicheneuuoleno, non dimeno imperho non mai mancano, ma sempre iuicresconodiuinamente. Ma Pomponio non dicepurunamejionaparoladoue fifa questa mensa,o apreffodellaCittaouernoellaoscuracarcereeca cetto che dice com e divinamente iui nascono li cibi.  E ben o che cotetti Scrittorinon convienono insiemein ogni cosa, purimperho eglie fermamentedacuttiquellicenuto feno za contrarierac,omeèunamarauegliosacofa,&anzidiuis nalantidetto conuito del sole. Il chere-molto conueneuol le conquesto di Diana, sorella di Phebo o del Sole sicome egli dicevano. Anchora istimono essere puoco a noftro proposito quello che racconta Pomponio Melanelladescricio, niedel Mondo cioeche seritrovaunluogodoni continua mente tilpiandono grandi fuoghinellaoscuranotteetpaio noefferiuiquafieffercitidi soldati chi occupano ampiopa ose eriuifiano fermati suonandocimbalitamburini,fiauti, e trombeche paionomoltomaggioredequelli cheusano Thuomini. Dimoftrauano anchora una fimilitudine diC o n uito lincantamentiemagicheopere deOliffe,sendofpar foilsangueintornointorno. Nelqualeluogo ui ueneuono li demonii, e t f i demostravano in diverse et varie figure. In qual modo diceva il Vinitore, che conuerfaffi l’anima di Olisse cauata da Homero collombre &imaginidi Pro tefilaoedellialcri BaronificomedicePhiloftrato.Ma hora lescelerateemaladetteStreghee Stregonidenoftritempi,  TI ro fir Tiel TOY MU feron ii be KTOV DIO  I cavano il sangue dalli fanciullini, epermaggiorpartelocon servano nelliuafiperfarequelmaladettounguento, E bep che paiono coteftecoseaffaisofficienci, per hauernarrato il detto convito, non dimeno imperhouoglioanchorloggiun gere la mensa di Achille. APISTIO. Che cosa se camogue. fta fiammo pucadudire. FRONIMO. Non ti marabigliare E t anchorari pricgonon uoglisprezzare quello,che uoglio nafcare conciosiachenon fingouerunacosa Ipera che senonmivuoicredereaddimadalotua Maflimo Tirio, Il che fe fufa rai, te lo raccontara, ma anzi te lo dimostrara colle suecatre scritctei o e iinarrara dimia certecosaiferittapermo lu i secoli, ci o e avant i d i mill es anni come ac fuoi tempi fiz manifefta la Mensa di Achille che eramolto simile a quella delle ftreghedouidicono chehocauiseggiono mangiano'e beueno APISTIO. Il mio Fronimo io creda alle tue parole. FRONIMO. Puc quando anchornonmiuuolesti credere, ioti moftrarebbi il libro dell’antidetro authoree Greco e anche latino cbieapreffodim e. Nelquale anchorvie foritto di unacerta isoladelmare Euffindouie il Tempio di Achille Nella quale Covente ef tato u c duto da lui, esso Achil e ch e ha fatto conuiro a quellihuomini iuiandauano et che ha cono sciutoP atroclo figluolo di Thete e altri demoni (& fico meeglidice) lichoridelliDemonii.cio elemoltitudinidief ft& anchobaneucduto di Dioscurichedannoagiatorioal., lenani chepericolquotio,accioiolascidiramentarequello cheeffofcriffc.comeera confuetudine diefferueduto nello Ili o le forze di Hertore. Ma co refte cose non pertengono al conuito delleLemuri.APIST.Nó pareno queftecolemol. todiscosto dalconuito diNereo edelloceano, delliqualine fannomemoria diuerst-poeti.FRONIMO.Réfo I lmaligno Saftuto nemicodellhuomocoreftivelenatiConuiti,accio priuaffeIbuomodelloeccellentifmocouitodiChristo che: ha apparecchiato f o u r a dell a mensa suna el suo Ream o. Ma hora, ur voglio raccontare, non un convito finto e scrito dalli poeti ma w a maraveglosa cosa gia puochi anni passati ha mi narrata da un grande huomo ornato cosi di eccellentedi gnitacome didouitiae di ricchezze. Fuunbuonfacerdote nelle    nelle Alpi Rhetie cioe di Germania gia dodicianni fa ilqua le dovendo portareilfagrosantouiarico del corpo di Messer Giesu Christo adunogravementeinfernio: &efTendolimola to discosto, eaedendo dinon poterlo cosiprefto portare ca minando apiedi,sicomeerailbisogno,falisuilcauallo e le goflralcolloinona affaihonoreuolecaffetta dilegnos fan, tiffimosagramento, e comenzoaffaiinfreta di caminareper facis fare al debito fuo. Horsendo al quanto caminato f egli fer ceincontrauno che loinuitoascienderegiu del cauallo, et andare cô luiper uedere uno marauegliofo fpetracolo.Ilche imprudentemente eglifacendo per uedere cotefta curiosa cofacome fufcielo, ecco incontenentisentidiesserportato perariainfiemeconcoliche Thauea inuitato, et in puoco spacio d itempo feue diporre foura la cima diun akiflimo monte dovie rauna molto ampia et ameneuole pianura, in/ corni arada altissimi alberi e con pavente voli ruppi se trata. Nel mezzo de coi ui fiue devano diversi e varii balli, et an c h o tute le maniere de giuochi colle nie n se apparecchiate dilautirdiuecficibi, et ancheseudiwanotutre le generationi de fuoni e di deletteuoli canticono gni dolcezzaetrastullo cbrieuemenite semteuasi et udeuafitutte quelle cose, le quali suoleno rallegrare li anime dell huomiui. Dilchenjoliomara uegliandosiilbuonefemplicefacerdotee purnonhauendo ardimento diparlareperlagrannjaraueghia,& sendomez zo fuoridi feifteffo glifuchiedutodal copagno, che lhauea condotto quiuifeu voleuaadorareefarerinerentiaallaM a donna cheera jui, et ufferitliqualcheduono,fecondo che fa ceuanolaltriEraasederenelmezzo unabellissima Reinaricamente ueftita f, oura di una reale fegge, a cui le prefenta ciascunaduoiaduoioaquattroaquattro conuarioordine areuerirla et ad adorarla presentandolidiuerfi duoni. Horudendo costuitainentare la Madonna e uedendola ornata ditantofpiandoriedatantisergentiferuita istimochelafus filagloriofamadrediDio eReinadelcieloedellaterra,cô ciofiachenon sapeva checotestecosefufferoinaencioniere trouidelli Demroni ilpercheselohaveffeiftimato,novaise rebbeandato.Horafrafeben pensandochecofaglidouelle  presentareperifdoi non puoterleoffericepiuaggradeuole presenteallamadre che ilcorpo fagratiffimodelluounige n i c o figliuolo, e coli ando doue fede u aquella et adoro l lia n ginocchiadoli alli piedi; edipoileuádolidalcollolacafferra doueerail-fagrauiffimo corpodi Misser Giesu Christo, divotamente uil paofe nel gremio. O di cosa meravigliora, ecco che incontinenti, come la hebbe poftasoura del gremio di quellaReina, coliprestofparuilafeggedi oro elaReina erauifu con tuttaquella moletudine,etcon ognicosa che pareuaiui,epiunonfuuedutopurun puoco diueftigiodi quellinedelļicóukinedeli giuochi, neapparui quelloche fuffe fatrodelcompagnio. Hor conoscendo ilfemplizzotro prete come full e stata quest caos a opera del demonio tutto smarrito e mezz o fuoridife fteffo comentio di pregare Ido dio che non lo abbandonasse in quellifilueftri luoghipriui dio gnihabitationedemortali. Eco si girádohorindiequin dilocchi,eandadomo qui, noliperquelliaspriluoghiper uedere sepuoteuaritrouare qualcheueftigiodihuomini ac cioplotesse intenderedove fuffe, eritrouandofi sempre in maggioriruineeboschie feluealfinpurranto caminoper quelle precipitose ruppi, che dopo molto longa fatica, edoi po longospatioditempo con grauiaffanniritrouo unpaz Atoredacuiintese,comeeradiscostoda quelluogodoue andaua a portare ilcorpo di Christo da circa cento miglia, Poi che fu ritornia:o con gran strachezza alla fuahabitatio ne ando dal Magistrato di Massimiliano Imperarore,erae coiolíiltuttoper ordineficome horaio honartaro. Ma che coteste cose poffoireffer fatte dal Demonio telo dirano Hi Theologgiliqualimostrano comelanatura dellicorpieub bediente alla uolonta delle foftantie separate dalla materia quanroimpechó pertene almouere daluogo aluogo.A n chora puotraiintêdereallaiessempiidelli corpi hamanipot tatiperaria da luogoaluogo,seryutoraidallilibridiFras te Arrigo,etdi Frate Giacopo Thodeschi eccellenti Theo Soggi dellordine'de Frati Predicatori chiamati il maltello, loquale fecero,confirmandolocon affaiteftimoniodimoke cole che effi uideno colliproprii occhi.Loquale maltello puotrai hauere,fetulouuoraiusarecontrodiquellicheso noduri,enon uogliono credereiluero acciochetu lipieghi à douer crederequellochesono abbrigaci ouero lilpacchi in cento migliara de pezzi. APISTIO. Cenamentehoudij tounamarauigliosa cosa, laqualenon puooffuscare la sera nottene anchose puo direche fusseun fomnio nechesalu ta cófeffataper paura,ouero permatrocio,operqualche al trafintacagione.Ma uorebbiintenderedachepuotepros cedere che sparislinotutte quelle cosenel toccare diquella hoftia fagraca, concioliache li demonii, non solamentete mano il toccare di quella ma ancho cercano. e comandano che siano portate assai di quelle al giuocoe di poi le fa m o gettare in terracon grādi scherni e lifanno dare foucadelli piedi elifan faretuttequelle uergogne siposson fare,fico m e disouraha parrato la Strega. DICASTO. Tunáti deb biper questomarauigliare conciofiachefapiamo come se (pauentanoeDemonii perilsegnodella santissima Croce,e nondimeno anchora qualche uolta apparisconoinfiguradi Chrifto crocifisso accio piu facilmére posson ingånare lhuol. mini. In uerita ti dicochetunon timacauegliarestisetu ha. Yefli Jettoleopereelauicadi santo Martino e di. S. Francesco di molti altri santi eseancho. tuhauefliben effaininato come Messer Giesu Christo sendo anchor in questa mortale Carne il quale scariauali Demonii silasciotétatead esso De monio egli pmeffechelo portafferouradel pinnacolo del Tempio,edeindipoi'sourdael monte, et anchepermesle maggiorcosa,cioeche fuffemalerattato da quelliperfidi Giudeiferui del demonio e tormentato, et ultima menrecrocifico. Olcrodecio tupresupponichela Streghe narrano che li Demoniiconculcano,ediano dellipiedisoucadelle hostie consegrare, ma non e coli, con ci olia che non fanno corefto li Demonii m a/elbenverochelofa questo lamay legnita dell’huomini asuggestione dieffiDemonii.Anchos racredochecosicomefalafedeinsiemecon lariuerentia che fanno l’huomi in essa santissima Croce,enella fagrolan (a hostia consagrata che il maladecto demonio se ne fugge: cos ianchor uifaccifaretantiuituperii effoperla granmalistia de essi, eper ilricuperio lifanno. Ma quanto al semplice u coprere. Credo chefuflila semplicita diquello cagioneche sparefsinotutti quelli apparecchiamenti, etuttequellalerico fé,emaggiormiére la forza della fede fece che non solamente non f u ingannato in suo danno, ma anchor fece c h e fu per eserunoaccio puotes le narrare allialorie dechiarare come quella cofa dequihocą parlamehepareua effermoltodu biofa, cioelele streghe e STREGONI vano al giuoco con il cor poouero solamente con la fantasia et imaginatione ouero se vi possono andare punefleruera, et e verae non una imaginatione. Auchar permette alcuna volta la possanza de id dio,chesiaschernitoilsagramento elaCroce,ellaltricose diuine, &alcunavoltano:segondochealuipare.E perchela fa,sepuosempredarequalcheragioneingenerale,mianon re puo imperhosempre isplicarein particolare, conciolia chi e tanto rozzo e grosso l’occhiodell intelletto poftro, a dovere INVESTIGARE li secreti della divina magiesta. APISTIO. Hormai son satisfatto con queste ragioni, ecitrouomi conten to rendouscitodellenere& ofcurecauernedelledubitatio pi.FRONIMO.Ben uedisetuhaialtro dubbio,efupresto chiedelachiarezzaa Dicasto, perchegia glimolto poffenti euelocicaualliquasi hanno tiratoilcarrodelsoleappo del suo SEGNO, quabto al nostro hemispherio, accio non bisognali poi remanere quicotefta notte, sendo ferate le porte del castello. Il percheftareffimomolto maleagevoli,questanotte delfinuerno,in cotesto Monastero a pena comenzato doui non stritrouaanchor uerun letto. APISTIO. Hamnipare. che non cifiaaltroda chiedere eccetto che delliueneficii o fano incanti. DICASTO. Di che cosa dubith. APISTIO. Se fouofatti veramenteo purchepaionoesserfacti solamente con la imaginatione. Conciona che affai ha manifeftato la forza delladiuinaGiusticiasempregiustaenon sempre co: nosciuta perche Iddio alcuna volta permetta, fepursefallo, et alcuna volta il prohibisca. FRONIMO. Non te ricordi di: Samofateno, e di Madautefo. APISTIO. Si ben. Et ancho mi ricordo di hauere alcunauoltaletto dette  5 cose, et anchegiaduoigiornifaleho uditoramentarea te. Ma egli e ben vero che dubito affainon fiano fauolee che in ueritanó fufferofattecofiquellecoseche se narrano in quel asino greco et anche latino. FRONIMO. Coli come iono dubito che siano assai cose finte emoltopiudiquellochelo Et anchor sepurcoliuuoi che sianotutte quellecose che for non e detti libri fauole et imaginationi, cosi anche credo che dett e favole ef i t c i of niiano canate da qual che vero fondamento.Conciosia che il nostro Divo Aurelio Agostino iftir mo chequelle trasformacioni e tramutationiiscritteda Varrone cio edelliaugelli di Diomede, delle bestie di Circee delli lupi di Archadia pigliaffono origine e principio da qual, che cofa uera. Et anchor raccontanel decimo otcauo libro della citta di dio, comeerausanzanetepi' suoi difaremol te coseaffaifimilia quellechenarraouerofingea pulegio. Veroe che dice, come gli demonii non possono fare ver una cora con la forza della sua natura se non la permette Iddio. Lioccolti giudici di cui, fono infinitie non uisiritrouaimpe tho verun dieffiingiufto. IIperchesepare che li demoni fa ciono qualche cosa similea quelleche ha creatolomnipo. tente euero Iddio, eche pare chemutano una speciedi uno animaleinunaltra:ouerotramutanouna creatura in unal tan,on euerochecofi, fia,maebenuerochecosifaappare teouero imprimendo dettefpecieefigurefintenellimagi, natione e fantasia, overo mettendo avanti li occh i corporali un altraf inta specie e figura. E cosi  io ile di 5 lui che ha conturbata la fantasia, diesser una cosa in luogo di analera et il simile parera allaltci. non dimeno fera imperho quel medemo, overo gli prepora una similitudine auktiloco chi la quale di continuoglifaraparereefferecofi, ecosicre. deca dieffer veduto anchedall altri .E coteftanon egramel raueglia,percheseun corpo puo ingannarelifeptimeci corporali e farli parere una cosa altrimento di quello che e-fico m e vediamo che failuietro, il quale imprime quell suocolore nellocchio percotalmodoche fa parere tuttelaltrecosefimi leaTenelcolore, benche fianoaltrimentoinsecolorate,quá t o maggior mete i spiriti ignudi da ogni corpo, cio e li demo qualche uolta pareraacoi  nit Quotrano conturbare la fantasia er ingannare l’occhi elal trisentimenti delle creature inferioris E coliin cotéfto modo iftimaraifuffero quelle operediquei Almi, e di quella specie di quello prestance cauallo, chiporcaua li gradi pesi ladispu tatione del FILOSOFO, chdiifpucaua senza corpo le cose di Platone le astute opere delli lupi di Arcadia, e liuerfi di Circe che trafformaronoli compagni di Oliffe. Ecosituttecol tefte cosefedebbono attribuire al spirito imaginario, ouero alla fantasia. che cosi era ingannata a cui pareua essere quel la cosa che non era. Il simile anchor diremo della cerva in uecede Iphigenia, e li augelli i uece delli compagni di Olisse, cioe chefufferoposte simili imaginie figure dalli demonii auktilocchidellhuomini,opur ancheforliuifuffipoftauna uera cerua, etancheueriaugellinóui apparëdo Iphigenia nelicompagnidiOliffe,o sendoiuipresente,oueroportati in aloriluoghi. DICASTO. O quanto ben, e quanto brieueme tehaicuraccontatoquellecosdei santoAgoftino,enóman co uere ficomeio iftimo.Eglie ferma cóclufione tenuta dal li theologgiqualmente sono soggietti naturalmente i sentimenti dell’huomini e la imaginatione e fantasia alla poffanza delli demonii, perche sono essi sentimenti e imaginatione inferiorie manconobili di dettefoftārie separate eprine di ogni corpo eco si sendo piunobili,glisonosoggietrequei Accosemen nobili, Iipercheanchor uoglionarrare alcune verissime coseacoteft opposito per confermare quello che havemo detto egli etaccotatonelleuitedesati Padri come fuacconciataunagiouenenper incanti incoralinodo ch epareg a una sfrenar a cavalla. I perche sendo presentata avanti di santo Machario, perle orationi dieffu fuleuato d avanti l’occhi diciascun quel prestigio, e quella illusione del demonio, eco si pareva in quel modo sicome era in verita. Puote il demonio commovere li interiori sentimenti a molti, alliqua lipareuafufli altrimente quellameschinagiouine di quello che eram a non puote mouere imperhoeffisentimentiinte tioridisanto Machario fortificati principalmene con loadiu torio di Iddio aface parere quello che non era Anchor non aftregnega la finta figura di quel huomo, che paceua uno asino nella Citta di Salamina della Isola di Cipro, liocchi dicia scuncheloucdeuadaiftimarecbelfuffeun Alino.eca cetto di quella donna m a g a el incadratrice laquale glih a. uea per talmodo conturbato la fantasia colli suoi maleficii, che anchealuipareyadi esser douentato uno asino, ecosi portaua le legna in vece di giumento.Vero erchefaugiutato per prudentia dialcuni niercatanti Genoueh, liquali ue: la Chiesa perfareriuerétiaetadorare Iddio iftimaronoche quello non fufleuna vera bestia, eco si cercarono di agiutar. e difareportarelamerite uole pena alla incantatrice. In verita ui dico che possono fare li m alegni demonii appare temoltecose altrimente di quello che fono,epossonom o uere molte cose e rappresentarle nella fantasia, efareparece u n a cosa in altro m o d o di quello chi-e-et anchora fare i li mile nelli corporali senrimenti in un medelimo huomo. Oltro dicio occorre che fono ingannati liocchi di quelli che vedono, et ancho e conturbato l’occhio della mente, fendomoffa la imaginatione. Anchorsıcome,giaauantidi ceffimo,puo esserportatoilcorpo per diuerfiluoghi.Ilger cheinteruiene che quelliliqualinon ben e sollicitamente ellaminano queste cosea parteaperparte facilmente sono ingannati ecosi non ben chiaramentec onsiderando lilibri delli doreie litterati huomininon possondcitta mente giudicare quanta differentia e fralle cose create, e quelle che uscis seno da qualche natura delle creature efra quello chi e intiero, e quello chiler parte, e fra il uero, e quello che er fimile al uero, e quello che dimostra la sua imagine, e quello che dimoftra quelladaltrui.Enon ben pesanocon la giustabio y lanza la forza di tutta la natura nelaportanza delli demonii Er alfineanchonon confiderano ligiudiciide Iddio,liquali speffe uolte sono occultissimi anoi,ma impho sempresono fatlicolomma giustitia. FRONIMO Hormaise appropinquala fera egia comencia di apparere la oscura noite il oche l’hora tarda ciinuita di ritornare a casa. Siche Apistio se non seifatis Gattopģīta nostra longa disputatione n ó poflo piu ueder che. Chi inginocchiare e prostrare in terra aukti la porta del coradobbian fare acciopollieffercôtéto. Cöciolia che tu hal poffuto conoscere come queftomaladetto eriscommunica to giuoconon efictionene fauola. coliperli libri dell’antichi, con e per l’opere fatte ne tempi nostri, e come egli e in sostantia antichissimo e nuouo per molte conditionier che e Atato mutaro secondo la maligna e perversa volonta delli demonii, eforsianchorlo mutara, perche etantalaasturiaelucili tadieffoiniquo inganrratoredell’huomini che continuamen e cerca nuovi modi daposferi ngannarenoi. Ho dimoftrato a te li Cerchi li unguenti, le parole magiche et incanti liu i agogi per li grandi fpati dell’aria li lascivie libidinosi piaceri delli demonii che si sono ritrouari cosi ne tempi nostri, come ne tempi delli baroni antichi. E tho dimostrato qualmente pen Sarono li pecaerfi demoni di douer calonniaree uituperare l’humana generationedallaprimaantiquitacioedal primo huomo perinfino adhora.E come haingannato I huomo collesueresposte,colliragionamenti con lafamiliarita edi mestichezza, ecome ha cercatoperogniuiaemodo di ingå nare ognifeffo,etognieracollifimulacri euarie imagini,et che seesforzato diufurpareladiuinita, e farsi adorare come Dio,etche ha fatto nuoceuoliconuitiallimortali, etcheliba portato a similitudine diun giumento che habbia leali, eco me hadesideratodihauer lisceleratiffimi piaceri carnali colo li huomini. Ma perche io ti ueggio hora molto Atracco per tantouiaggiochehaifacto con lanimotuoin diuerseregio nie paesi della [calia della Sicilia, et iolcrodel Ionio mare e dello Eulino e tan cho r perche te ho codoico colli mei ragionamenti nell’Africa nell'Asia, e perinsino alli Hiperborei Mode dovi non ci ho condotto. Il perch es e ra homa i tempo ne debbicitornar emeco acasa. APISTIO. Tudiiluero, liben hormaiehora.E cositecone uengo, e molto satisfaco. DICASTO. Se i tudung content di quello chehauemodetto: Ec in uericaneuieninellanoftra oppenione. APISTIO. Si certamente son contento, et inueritauidico, che credo quello che e statodetto. DICASTO. Dicupurdado vero o pergivoco. APISTIO. Puo effer questo Dicasto, che tu iltimiche io dica quello per iscrizo e giuoco che ha creduto tutta l’antiquita e tutta anchor la pofterit ad Io dico quello che ancho confermano colli isperimenti et essempii, li Poesi, Oratori, Histocici leggitti, FILOSOFI, teologi, Ihuomini prudenti li soldati lirufticie contadini, beniche le ritrouano alcuni Sauioli, liqualiripucandosi piu dotiefauiiditurcil altri,che queftoniegano, DICASTO. Dung ficome io uedo tu hai mutato oppenione. APISTIO. Che bisogna piu affirmarlo, Gia te l’ho detto, Eco si perche io ho uefito l’animo mio di un altro habito cuesta, e pareame dihauerritrouatola verita di quello cheprima non credeuo in questa cosa giacendo nella nera et oscura tenebradella igriorantia e della fallita, desidero grande mete di mutare il nome e di pigliarneuna tro conuene uolea quefto nuovo habito, de cui hora son vefito. DICASTO. Molto mi piace, Eco li per satiffare alla tu  honesta voglia ci daro un nome conueniente si come addj mandi. Dug per lo avenire serai chiamato. PISTICO. APISTIO. O. quanto hammi piace questo nome. Hora coliper ogni modo voglio esser chiamato. FRONIMO. Se piu non ciresta cosa alcuna de cui tu habbi desiderio de intendere. egli e hora che ci partiamo con buon al i centia del reverendo padre inquisitore e che presto retorniamo al castello, Il perche vale reverende padre. DICASTO. Ite tan in pace. Nome compiuto: Leandro Alberti. Alberti. Keywords: diavolo, satana, mefistofele, angelo caduto, demonio, eudemonico. Refs. Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Alberti,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Alberti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della thoscana senz’autore – la scuola di Genova – filosofia genovese -- filosofia ligure – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Genova). Filosofo Genovese. Filosofo ligure. Filosofo Italiano. Genova, Liguria. Grice: “I like [Leon Battista] Alberti; of course he is from Genova – Liguaria being the heart of my Italy, or the Italy of my heart!” – Grice: “I like Alberti’s ramblings on love to his lawyer friend – a full page without a p.s. – and it’s none of the Kantian conversational maxims or Ovidian tactics, but just a prohibition to mingle with the ladies!” -- Italian philosopher, on ‘aesthetics.’ Cf. Grice on sensation. Grice: “No one can fail to be enchanted by Lusini’s great likeness of Alberti at the loggiato of the uffizi! Ah, if we had the same at Oxford!” -- Genova-born essential Italian philosopherGrice, “I love his “De statua”it’s more philosophical anthropology than aesthetics!” «Ci è un uomo che per la sua universalità parrebbe volesse abbracciarlo tutto, dico Leon Battista Alberti, pittore, architetto, poeta, erudito, filosofo e letterato» (Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana). Filosofo. Una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. Il suo primo nome si trova spesso, soprattutto in testi stranieri, come Leone. A. fa parte della seconda generazione di umanisti (quella successiva a Vergerio, Bruni, Bracciolini, Francesco Barbaro), di cui fu una figura emblematica per il suo interesse nelle più varie discipline. Un suo costante interesse era la ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel "De statua" espose le proporzioni del corpo umano, nel "De pictura" fornì la prima definizione della prospettiva scientifica e infine nel "De re aedificatoria" (opera cui lavorò fino alla morte), descrisse tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione. Tale opera lo renderà immortale nei secoli e motivo di studio a livello internazionale da artisti come Eugène Viollet-le-Duc e Ruskin. Come architetto, A. viene considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore dell'architettura rinascimentale. L'aspetto innovativo delle sue proposte, soprattutto sia in ambito architettonico che umanistico, consisteva nella rielaborazione moderna dell'antico, cercato come modello da emulare e non semplicemente da replicare. La classe sociale a cui A. faceva riferimento è comunque un'aristocrazia e alta "borghesia" illuminata. Egli lavorò per committenti quali i Gonzaga a Mantova e (per la tribuna della SS. Annunziata) a Firenze, i Malatesta a Rimini, i Rucellai a Firenze. Presunto autoritratto su placchetta, (Parigi, Cabinet des Medailles). Leon Battista nacque a Genova, figlio di Lorenzo A., di una ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini banditi dalla città toscana a per motivi politici, e da Bianca Fieschi, appartenente ad una delle più nobili casate genovesi. I primi studi furono di tipo letterario, dapprima a Venezia e poi a Padova, alla scuola dell'umanista Barzizza, dove apprese il latino e forse anche il greco. Si trasferì poi a Bologna dove studiò diritto, coltivando parallelamente il suo amore per molte altre discipline artistiche quali la musica, la pittura, la scultura, la matematica, la grammatica e la letteratura in generale. Si dedicò all'attività letteraria sin da giovane: a Bologna, infatti, già intorno ai vent'anni scrisse una commedia autobiografica in latino, la Philodoxeos fabula. Compose in latino il Momus, un originalissimo e avvincente romanzo mitologico, e le Intercoenales; in volgare, compose un'importante serie di dialoghi (De familia, Theogenius, Profugiorum ab ærumna libri, Cena familiaris, De iciarchia, dai titoli rigorosamente in latino) e alcuni scritti amatori, tra cui la Deiphira, ove raccoglie i precetti utili a fuggire da un amore mal iniziato. Dopo la morte del padre, A. trascorse alcuni anni di difficoltà, entrando in forte contrasto con i parenti che non volevano riconoscere i suoi diritti ereditari né favorire i suoi studi. In questi anni coltivò soprattutto gli studi scientifici, astronomici e matematici. Sembra si sia tuttavia concretamente laureato in diritto a Bologna, o forse a Ferrara, nonostante le difficoltà economiche e di salute. Tra Padova e Bologna intrecciò amicizie con molti importanti intellettuali, come Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Parentuccelli, futuro papa Nicolò V e probabilmente Cusano. Poco si sa, benché debba escludersi che si sia recato a Firenze dopo il ritiro del bandi contro gli A. e sia del pari assai poco probabile che al seguito del cardinal Albergati abbia viaggiato in Francia e nel Nord Europa. Diventò segretario del patriarca di Grado e, trasferitosi a Roma con questi, è nominato abbreviatore apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel redigere i brevi apostolici). Così entrò nel prestigioso ambiente umanistico della curia di papa Eugenio IV, che lo nominò titolare della pieve di San Martino a Gangalandi a Lastra a Signa, nei pressi di Firenze, beneficio di cui godette fino alla morte. Vivendo prevalentemente a Roma ma spostandosi per periodi anche lunghi e per varie incombenze a Ferrara, Bologna, Venezia, Firenze, Mantova, Rimini e Napoli. Scrive in pochi mesi i primi tre libri de Familia, un dialogo in volgare completato con un quarto libro. Il dialogo è ambientato a Padova,; vi partecipano vari componenti della famiglia Alberti, personaggi realmente esistiti, scontrandosi su due visioni diverse: da un lato c'è la mentalità moderna e borghese e dall'altro la tradizione, aristocratica e legata al passato. L'analisi che il libro offre è una visione dei principali aspetti e istituzioni della vita sociale dell'epoca, quali il matrimonio, la famiglia, l'educazione, la gestione economica, l'amicizia e in genere i rapporti sociali: l'Alberti esprime qui un punto di vista "filosofico" pienamente umanistico, che ricorre in tutte le sue opere di carattere morale e che consiste nella convinzione che gli uomini siano responsabili della propria sorte e che la virtù sia insita nell'uomo e debba essere realizzata attraverso l'operosità, la volontà e la ragione. A Firenze Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli Uffizi a Firenze. A. visse prevalentemente a Firenze e Ferrara, al seguito della curia papale che fra l'altro partecipò al Concilio, ossia alle sedute ferrarese e fiorentina del concilio ecumenico che dovevano riappacificare la chiesa latina e le chiese cristiano-orientali, in particolare quella greca. In questo periodo l'A. assimila parte della cultura fiorentina, cercando (invero con moderato successo) d'inserirsi nell'ambiente intellettuale e artistico della città; sono verosimilmente gli anni in cui nascono i suoi interessi artistici, che si traducono da subito nella duplice redazione (latina e volgare) del De pictura. Nel prologo della versione in volgare, dedica l'opera a Brunelleschi e menziona anche i grandi innovatori delle arti del tempo: Donatello, Masaccio (morto già) e i Della Robbia. Al seguito del pontefice Eugenio IV lasciò Firenze, ma con la città continuò ad avere intensi rapporti legati anche ai cantieri dei suoi progetti. De pictura Magnifying glass icon mgx2.svg Il De pictura e scritto verosimilmente dapprima in latino e tradotto poi in volgare; se la redazione latina, senza ombra di dubbio la più importante e ricca, sarà dedicata al Gonzaga marchese di Mantova, per quella volgare l'A. redasse una dedica al Brunelleschi che, trasmessa da un solo codice strettamente legato al laboratorio personale dell'Alberti, forse non fu mai inviata. Il De pictura rappresenta la prima trattazione di una disciplina artistica non intesa solo come tecnica manuale, ma anche come ricerca intellettuale e culturale, e sarebbe difficile immaginarla fuori dallo straordinario contesto fiorentino e scritta da un autore diverso d’A., grande intellettuale umanista e artista egli stesso, anche se la sua attività nel campo delle arti figurative—attestata (benché in modi non lusinghieri) già dal Vasari—dovette essere ridotta. Il trattato è organizzato in tre "libri". Il primo contiene la più antica trattazione della prospettiva. Nel secondo libro l'Alberti tratta di “circoscrizione, composizione, e ricezione dei lumi”, cioè dei tre principi che regolano l'arte pittorica: la circumscriptio consiste nel tracciare il contorno dei corpi; la compositio è il disegno delle linee che uniscono i contorni dei corpi e perciò la disposizione narrativa della scena pittorica, la cui importanza è qui espressa per la prima volta con piena lucidità intellettuale; la receptio luminum tratta dei colori e della luce. Il terzo libro è relativo alla figura del pittore di cui si rivendica il ruolo di vero artista e non, semplicemente, di artigiano. Con questo trattato Alberti influenzerà non solo il Rinascimento ma tutto quanto si sarebbe detto sulla pittura sino ai nostri giorni. La questione del volgare Pur scrivendo numerosi testi in latino, lingua alla quale riconosceva il valore culturale e le specifiche qualità espressive, l'Alberti fu un fervente sostenitore del volgare. La duplice redazione in latino e in volgare del De pictura manifesta il suo interesse per il dibattito allora in corso tra gli umanisti sulla possibilità di usare il volgare nella trattazione di ogni materia. In un dibattito avvenuto a Firenze tra gli umanisti della curia, Flavio Biondo aveva affermato la diretta discendenza del volgare dal latino e A., ne dimostra genialmente la tesi componendo la prima grammatica del volgare, e ne riprende gli argomenti difendendo l'uso del volgare nella dedicatoria del libro III de Familia a Francesco d'Altobianco A. Da qui deriva la significativa esperienza del Certame coronario, una gara di poesia sul tema dell'amicizia, organizzata a Firenze dall'A. con il più o meno tacito concorso di Piero de' Medici, una gara che doveva servire all'affermazione del volgare, soprattutto in poesia, e alla quale va associata la composizione dei sedici Esametri sull'amicizia da parte dell'AlbertiEsametri ora pubblicati fra le sue Rime, innovative tanto nello stile quanto nella metrica, che costituiscono uno dei primissimi tentativi di adattare i metri greco-latini alla poesia volgare (metrica «barbara»). Nonostante ciò, l'A.continuò a scrivere naturalmente in latino, come fece per gli Apologi centum, una sorta di breviario della sua filosofia di vita. Chiusosi il concilio a Firenze, ritornò con la curia papale a Roma. continuando a ricoprire il ruolo di abbreviatore apostolico per ben 34 anni, fino al 1464, quando il collegio degli abbreviatori fu soppresso. Durante la permanenza a Roma ebbe modo di coltivare i propri interessi propriamente architettonici, che lo indussero a proseguire lo studio delle rovine della Roma classica, come dimostra la stessa Descriptio urbis Romae, risalente al 1450 circa, in cui l'Alberti tentò con successo, per la prima volta nella storia, una ricostruzione della topografia di Roma antica, mediante un sistema di coordinate polari e radiali che permettono di ricostruire il disegno da lui tracciato. I suoi interessi archeologici lo portarono anche a tentare il recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi. Questi interessi per l'architettura che diventeranno prevalenti negli ultimi due decenni della sua vita, non impedirono una ricchissima produzione letteraria. Compone una delle sue opere più interessanti, il Momus, un romanzo satirico in lingua latina, che tratta in maniera abbastanza amara e disincantata della società umana e degli stessi esseri umani. Dopo l'elezione di Niccolò V, l'A., come antico conoscente, entrò nella cerchia ristretta del papa, dal quale ricevette anche la carica di priore di Borgo San Lorenzo. Tuttavia i rapporti con il papa sono considerati piuttosto controversi dagli storici, sia per quel che riguarda gli aspetti politici che per l'adesione o la collaborazione dell'A.al vasto programma di rinnovamento urbano voluto da Niccolò V. Forse venne impiegato durante il restauro del palazzo papale e dell'acquedotto romano e della fontana dell'Acqua Vergine, disegnata in maniera semplice e lineare, creando la base sulla quale, in età Barocca, sarebbe stata costruita la Fontana di Trevi. A. cominciò ad occuparsi più attivamente di architettura con numerosi progetti da eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova, città in cui si recò varie volte durante gli ultimi decenni della sua vita. In tal modo dopo la metà del secolo l'Alberti fu la figura-guida dell'architettura. Questo riconosciuto primato rende anche difficile distinguere, nella sua opera, l'attività di progettazione dalle tante consulenze e dall'influenza più o meno diretta che dovette avere, per esempio, sulle opere promosse a Roma, sotto Niccolò V, come il restauro di Santa Maria Maggiore e Santo Stefano Rotondo o come la costruzione di Palazzo Venezia, il rinnovamento della basilica di San Pietro, del Borgo e del Campidoglio. Potrebbe forse essere stato il consulente che indica alcune linee-guida o, ma ben più difficilmente, aver avuto un ruolo anche meno indiretto. Sicuramente il prestigio della sua opera e del suo pensiero teorico condizionarono direttamente l'opera di progettisti come Francesco del Borgo e Rossellino, influenzando anche Giuliano da Sangallo. Morì a Roma. Il De re aedificatoria Frontespizio Matteo de' Pasti, Medaglia di A.. Magnifying glass icon mgx2.svg De re aedificatoria. Le sue riflessioni teoriche trovarono espressione nel De re aedificatoria, un trattato di architettura in latino, scritto prevalentemente a Roma, cui A. lavorò fino alla morte e che è rivolto anche al pubblico colto di educazione umanistica. Il trattato fu concepito sul modello del De architectura di Vitruvio. L'opera, considerata il trattato architettonico più significativo della cultura umanistica, è divisa anch'essa in dieci libri: nei primi tre si parla della scelta del terreno, dei materiali da utilizzare e delle fondazioni (potrebbero corrispondere alla categoria vitruviana della firmitas); i libri IV e V si soffermano sui vari tipi di edifici in relazione alla loro funzione (utilitas); il libro VI tratta la bellezza architettonica (venustas), intesa come un'armonia esprimibile matematicamente grazie alla scienza delle proporzioni, con l'aggiunta di una trattazione sulle macchine per costruire; i libri VII, VIII e IX parlano della costruzione dei fabbricati, suddividendoli in chiese, edifici pubblici ed edifici privati; il libro X tratta dell'idraulica. Nel trattato si trova anche uno studio basato sulle misurazioni dei monumenti antichi per proporre nuovi tipi di edifici moderni ispirati all'antico, fra i quali le prigioni, che cercò di rendere più umane, gli ospedali e altri luoghi di pubblica utilità. Il trattato fu stampato a Firenze, con una prefazione del Poliziano a Lorenzo il Magnifico, e poi a Parigi e a Strasburgo. Venne in seguito tradotto in varie lingue e diventò ben presto imprescindibile nella cultura architettonica moderna e contemporanea. Nel De re aedificatoria, l'A.affronta anche il tema delle architetture difensive e intuisce come le armi da fuoco rivoluzioneranno l'aspetto delle fortificazioni. Per aumentare l'efficacia difensiva indica che le difese dovrebbero essere "costruite lungo linee irregolari, come i denti di una sega" anticipando così i principi della fortificazione alla moderna. L'attività come architetto a Firenze A Firenze lavorò come architetto soprattutto per Giovanni Rucellai, ricchissimo mercante e mecenate, intimo amico suo e della sua famiglia. Le opere fiorentine saranno le sole dell'A. a essere compiute prima della sua morte. Palazzo Rucellai Facciata di palazzo Rucellai. Gli venne commissionata la costruzione del palazzo della famiglia Rucellai, da ricavarsi da una serie di case-torri acquistate da Rucellai in via della Vigna Nuova. Il suo intervento si concentrò sulla facciata, posta su un basamento che imita l'opus reticulatum romano. È formata da tre piani sovrapposti, separati orizzontalmente da cornici marcapiano e ritmati verticalmente da lesene di ordine diverso; la sovrapposizione degli ordini è di origine classica come nel Colosseo o nel Teatro di Marcello, ed è quella teorizzata da Vitruvio: al piano terreno lesene doriche, ioniche al piano nobile e corinzie al secondo. Esse inquadrano porzioni di muro bugnato a conci levigati, in cui si aprono finestre in forma di bifora nel piano nobile e nel secondo piano. Le lesene decrescono progressivamente verso i piani superiori, in modo da creare nell'osservatore l'illusione che il palazzo sia più alto di quanto non sia in realtà. Al di sopra di un forte cornicione aggettante si trova un attico, caratteristicamente arretrato rispetto al piano della facciata. Il palazzo creò un modello per tutte le successive dimore signorili del Rinascimento, venendo addirittura citato pedissequamente da Bernardo Rossellino, suo collaboratore, per il suo palazzo Piccolomini a Pienza. Attribuita all'A. è anche l'antistante Loggia Rucellai, o per lo meno il suo disegno. Loggia e palazzo andavano così costituendo una sorta di piazzetta celebrante la casata, che viene riconosciuta come uno dei primi interventi urbanistici rinascimentali. Facciata di Santa Maria Novella Facciata di Santa Maria Novella, Firenze. Su commissione del Rucellai, progettò anche il completamento della facciata della basilica di Santa Maria Novella, rimasta incompiuta al primo ordine di arcatelle, caratterizzate dall'alternarsi di fasce di marmo bianco e di marmo verde, secondo la secolare tradizione fiorentina. Si presentava il problema di integrare, in un disegno generale e classicheggiante, i nuovi interventi con gli elementi esistenti di epoca precedente: in basso vi erano gli avelli inquadrati da archi a sesto acuto e i portali laterali, sempre a sesto acuto, mentre nella parte superiore era già aperto il rosone, seppur spoglio di ogni decorazione. A. inserì al centro della facciata inferiore un di proporzioni classiche, inquadrato da semicolonne, in cui inserì incrostazioni in marmo rosso per rompere la bicromia. Per terminare la fascia inferiore pose una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lesene. Poiché la parte superiore della facciata risultava arretrata rispetto al basamento (un tema molto comune nell'architettura albertiana, derivata dai monumenti della romanità) inserì una fascia di separazione a tarsie marmoree che recano una teoria di vele gonfie al vento, l'insegna personale di Giovanni Rucellai; il livello superiore, scandito da un secondo ordine di lesene che non hanno corrispondenza in quella inferiore, sorregge un timpano triangolare. Ai lati, due doppie volute raccordano l'ordine inferiore, più largo, all'ordine superiore più alto e stretto, conferendo alla facciata un moto ascendente conforme alle proporzioni; non mascherano come spesso si è detto erroneamente gli spioventi laterali che risultano più bassi, come si evince osservando la facciata dal lato posteriore. La composizione con incrostazioni a tarsia marmorea ispirate al romanico fiorentino, necessaria in questo caso per armonizzare le nuove parti al già costruito, rimase una costante nelle opere fiorentine dell'Alberti. Secondo Rudolf Wittkower: "L'intero edificio sta rispetto alle sue parti principali nel rapporto di uno a due, vale a dire nella relazione musicale dell'ottava, e questa proporzione si ripete nel rapporto tra la larghezza del piano superiore e quella dell'inferiore". La facciata si inscrive infatti in un quadrato avente per lato la base della facciata stessa. Dividendo in quattro tale quadrato, si ottengono quattro quadrati minori; la zona inferiore ha una superficie equivalente a due quadrati, quella superiore a un quadrato. Altri rapporti si possono trovare nella facciata tanto da realizzare una perfetta proporzione. Secondo Franco Borsi: "L'esigenza teorica dell'Alberti di mantenere in tutto l'edificio la medesima proporzione è qui stata osservata ed è appunto la stretta applicazione di una serie continua di rapporti che denuncia il carattere non medievale di questa facciata pseudo-protorinascimentale e ne fa il primo grande esempio di eurythmia classica del Rinascimento". Altre opere Il tempietto del Santo Sepolcro. Attribuito all'Alberti è il progetto dell'abside della pieve di San Martino a Gangalandi presso Lastra a Signa. L'A.fu rettore di San Martino fino alla sua morte. La chiesa, di origine medievale, ha il suo punto focale nell'abside, chiusa in alto da un arco a tutto sesto con decorazione a motivi di candelabro e con lesene in pietra serena sorreggenti un architrave che reca un'iscrizione a lettere capitali dorate, ornata alle due estremità dalle arme degli A.. L'abside è ricordata incepta et quasi perfecta nel testamento di A., e fu infatti terminata dopo la sua morte. È un'altra opera per i Rucellai, il tempietto del Santo Sepolcro nella chiesa di San Pancrazio a Firenze, costruito secondo un parallelepipedo spartito da paraste corinzie. La decorazione è a tarsie marmoree, con figure geometriche in rapporto aureo; le decorazioni geometriche, come per la facciata di Santa Maria Novella, secondo l'Alberti inducono a meditare sui misteri della fede. Ferrara Il campanile del duomo di Ferrara. L'A, fu a Ferrara a varie riprese, e stringendo amicizie alla corte estense. Vi ritorna, e chiamato a giudicare la gara per un monumento equestre a Niccolò III d'Este. In tale occasione forse dette indicazioni per il rinnovo della facciata del Palazzo Municipale, allora residenza degli Estensi. A lui è stato attribuito da insigni storici dell'arte, ma esclusivamente su basi stilistiche, anche l'incompleto campanile del duomo, dai volumi nitidi e dalla bicromia di marmi rosa e bianchi. Rimini Tempio Malatestiano, Rimini. A. venne chiamato a Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta per trasformare la chiesa di San Francesco in un tempio in onore e gloria sua e della sua famiglia. Alla morte del signore il tempio fu lasciato incompiuto mancando della parte superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna. Conosciamo il progetto albertiano attraverso una medaglia incisa da Matteo de' Pasti, l'architetto a cui erano stati affidati gli ampliamenti interni della chiesa e in generale tutto il cantiere. Tempio malatestiano sulla medaglia di Matteo de' Pasti. L'A. ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio preesistente. L'opera prevedeva in facciata una tripartizione con archi scanditi da semicolonne corinzie, mentre nella parte superiore era previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste e forse due volute curve. Punto focale era il centrale, con timpano triangolare e riccamente ornato da lastre marmoree policrome nello stile della Roma imperiale. Ai lati due archi minori avrebbero dovuto inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della moglie Isotta, ma furono poi tamponati. Le fiancate invece sono composte da una sequenza di archi su pilastri, ispirati alla serialità degli acquedotti romani, destid accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Fianchi e facciata sono unificati da un alto zoccolo che isola la costruzione dallo spazio circostante. Ricorre la ghirlanda circolare, emblema dei Malatesta, qui usata come oculo. Interessante è notare come A. traesse spunto dall'architettura classica, ma affidandosi a spunti locali, come l'arco di Augusto, il cui modulo è triplicato in facciata. Una particolarità di questo intervento è che il rivestimento non tiene conto delle precedenti aperture gotiche: infatti, il passo delle arcate laterali non è lo stesso delle finestre ogivali, che risultano posizionate in maniera sempre diversa. Del resto Alberti scrive a Matteo de' Pasti che «queste larghezze et altezze delle Chappelle mi perturbano». Per l'abside era prevista una grande rotonda coperta da cupola emisferica simile a quella del Pantheon. Se completata, la navata avrebbe allora assunto un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare e sarebbe stata molto più evidente la funzione celebrativa dell'edificio, anche in rapporto allo skyline cittadino. Mantova Chiesa di San Sebastiano, Mantova. Basilica di Sant'Andrea, Mantova. A. fu chiamato a Mantova da Ludovico III Gonzaga, nell'ambito dei progetti di abbellimento cittadino per il Concilio di Mantova. San Sebastiano Il primo intervento mantovano riguardò la chiesa di San Sebastiano, cappella privata dei Gonzaga, iniziata nel 1460. L'edificio fece da fondamento per le riflessioni rinascimentali sugli edifici a croce greca: è infatti diviso in due piani, uno dei quali interrato, con tre bracci absidati attorno ad un corpo cubico con volta a crociera; il braccio anteriore è preceduto da un portico, oggi con cinque aperture. La parte superiore della facciata, spartita da lesene di ordine gigante, è originale del progetto albertiano e ricorda un'elaborazione del tempio classico, con architrave spezzata, timpano e un arco siriaco, a testimonianza dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva gli elementi. Forse l'ispirazione fu un'opera tardo-antica, come l'arco di Orange. I due scaloni di collegamento che permettono l'accesso al portico non fanno parte del progetto originario, ma furono aggiunte posteriori. Sant'Andrea Il secondo intervento, sempre su commissione dei Gonzaga, fu la basilica di Sant'Andrea, eretta in sostituzione di un precedente sacrario in cui si venerava una reliquia del sangue di Cristo. L'A. creò il suo progetto «... più capace più eterno più degno più lieto...» ispirandosi al modello del tempio etrusco ripreso da Vitruvio e contrapponendosi al precedente progetto di Antonio Manetti. Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola all'asse viario che collegava Palazzo Ducale al Tè. La chiesa a croce latina è a navata unica coperta a botte con lacunari, con cappelle laterali a base rettangolare con la funzione di reggere e scaricare le spinte della volta, inquadrate negli ingressi da un arco a tutto sesto, inquadrato da un lesene architravate. Il tema è ripreso dall'arco trionfale classico ad un solo fornice come l'arco di Traiano ad Ancona. La grande volta della navata e quelle del transetto e degli atri d'ingresso si ispiravano a modelli romani, come la Basilica di Massenzio. Per caratterizzare l'importante posizione urbana, venne data particolare importanza alla facciata, dove ritorna il tema dell'arco: l'alta apertura centrale è affiancata da setti murari, con archetti sovrapposti tra lesene corinzie sopra i due portali laterali. Il tutto, coronato da un timpano triangolare a cui si sovrappone, per non lasciare scoperta l'altezza della volta, un nuovo arco. Questa soluzione, che enfatizza la solennità dell'arco di trionfo e il suo moto ascensionale, permetteva anche l'illuminazione della navata. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio, diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno. La facciata è inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. La tribuna e la cupola (comunque prevista da A.) vennero completate nei secoli successivi, secondo un disegno estraneo all'A.. I caratteri dell'architettura albertiana Le opere più mature di Alberti evidenziano una forte evoluzione verso un classicismo consapevole e maturo in cui, dallo studio dei monumenti antichi romani, l'A. ricavò un senso delle masse murarie ben diverso dalla semplicità dello stile brunelleschiano. I modi originali albertiani precorsero l'arte del Bramante. I caratteri innovativi di A. furono: La colonna deve sostenere la trabeazione e deve essere usata come ornamento per le fabbriche; l'arco deve essere costruito sopra i pilastri. Il De statua Il trattato, scritto in latino, è relativo alla teoria della scultura e risale. Nel De statua, l'A. rielaborò profondamente le concezioni e le teorie relative alla scultura tenendo conto delle innovazioni artistiche del Rinascimento, attingendo anche ad una rilettura critica delle fonti classiche e riconoscendo, tra i primi dignità intellettuale alla scultura, prima di allora sempre condizionata dal pregiudizio verso un'attività tanto manuale. Nel trattato che si compone di 19 capitoli, l'A. parte, sulla scorta di Plinio, dalla definizione dell'arte plastica tridimensionale distinguendo la scultura o per via di porre o per via di levare, dividendola secondo la tecnica utilizzata: togliere e aggiungere: sculture con materie molli, terra e cera eseguita dai "modellatori" levare: scultura in pietra, eseguita dagli "scultori" Tale distinzione fu determinante nella concezione artistica di molti scultori come Michelangelo e non era mai stata espressa con tanta chiarezza. Il definitor, lo strumento inventato da A. Relativamente al metodo da utilizzare per raggiungere il fine ultimo della scultura che è l'imitazione della natura, l'A. distingue: la dimensio (misura) che definisce le proporzioni generali dell'oggetto rappresentato mediante l’exempeda, una riga diritta modulare atta a rilevare le lunghezze e squadre mobili a forma di compassi (normae), con cui misurare spessori, distanze e diametri. la finitio, definizione individuale dei particolari e dei movimenti dell'oggetto rappresentato, per la quale A. suggerisce uno strumento da lui ideato: il definitor o finitorium, un disco circolare cui è fissata un'asta graduata rotante, da cui pende un filo a piombo. Con esso si può determinare qualsiasi punto sul modello mediante una combinazione di coordinate polari e assiali, rendendo possibile un trasferimento meccanico dal modello alla scultura. A. sembra anticipare i temi relativi alla raffigurazione 'scientifica' della figura umana che è uno dei temi che percorre la cultura figurativa rinascimentale. e addirittura aspetti dell'industrializzazione e addirittura della digitalizzazione, visto che il definitor trasformava i punti rilevati sul modello in dati alfanumerici. L'opera fu tradotta in volgare nel 1568 da Cosimo Bartoli. Il testo latino originale fu stampato solo alla fine del XIX secolo, mentre solo recentemente sono state pubblicate traduzioni moderne. I sistemi di definizione meccanica dei volumi proposti dall'Alberti, appassionarono Leonardo che approntò, come si può rilevare dai suoi disegni, dei sistemi alternativi, sviluppati a partire dal trattato albertiano e utilizzò le "Tabulae dimensionum hominis" del "De statua" per realizzare il celeberrimo "Uomo vitruviano". Il Crittografo Alberti fu inoltre un geniale crittografo e inventò un metodo per generare messaggi criptati con l'aiuto di un apparecchio, il disco cifrante. Sua fu infatti l'idea di passare da una crittografia con tecnica "monoalfabetica" (Cifrario di Cesare) ad una con tecnica "polialfabetica", codificata teoricamente parecchi anni dopo da Blaise de Vigenère. In The Codebreakers. The Story of Secret Writing, lo storico della crittologia Kahn attribuisce all'A. il titolo di Father of Western Cryptology (Padre della crittologia occidentale). Kahn ribadisce questa definizione, sottolineando le ragioni che la giustificano, nella prefazione all'edizione italiana del testo albertiano: «Questo volume elegante e sottile riproduce il testo più importante di tutta la storia della crittologia; un primato che il De cifris di A. ben si merita per i tre temi cruciali che tratta: l'invenzione della sostituzione polialfabetica, l'uso della crittanalisi, la descrizione di un codice sopracifrato.» Tra le altre attività di A. ci fu anche la musica, per la quale fu considerato uno dei primi organisti della sua epoca. Disegnò anche delle mappe e collaborò con il grande cartografo Toscanelli. De iciarchia Iciarco e Iciarchia sono due termini usati dall'Alberti nel dialogo De iciarchia composto pochi anni prima della sua morte e ambientato nella Firenze medicea di quegli anni. Le due parole sono di origine greca ("Pogniàngli nome tolto da' Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia sua", libro III), e sono formate da oîkos o oikía "casa, famiglia" e arkhós "capo supremo, principe, principio". Il nome stesso di iciarco vuole esprimere quello che secondo il parere dell'autore è il governante ideale: colui che sia come un padre di famiglia nei confronti dello Stato. Secondo le parole dell'Alberti, "il suo compito sarà provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia, fare sì che amando e benificando è suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e osservino come padre". Questo ruolo di "padre di famiglia" del governante ideale era finalizzato, nella sua visione politica, ad una stabilità, in definitiva "conservatrice", che permetterebbe di governare senza discordie che, dilaniando lo Stato, nuocerebbero a tutto il corpo sociale ("Inoltre la prima cura sua sarà che la famiglia sia senza niuna discordia unitissima. Non esser unita la famiglia circa le cose che giovano, nuoce sopra modo molto., ivi). Il termine iciarco, nato coll'Alberti e strettamente legato alla sua visione "paternalistica" del governo dello Stato, non ebbe comunque alcun seguito e non risulta che sia mai più stato impiegato nel lessico politico. Opere: “Apologi centum”; “Cena familiaris”; “De amore”; “De equo animante (Il cavallo vivo); “De Iciarchia”; “De componendis cifris”; “Deiphira”; “De picture”; “Porcaria coniuratio”; “De re aedificatoria”; “De statua”; “Descriptio urbis Romae”; “Ecatomphile”; “Elementa picturae”; “Epistola consolatoria”; “Grammatica della lingua toscana” (meglio nota come Grammatichetta vaticana); “Intercoenales”; “De familia libri IV”; “Ex ludis rerum mathematicorum”; “Momus”; “Philodoxeos fabula”; “Profugiorum ab ærumna libri III”; “Sentenze pitagoriche”; “Sophrona”; “Theogenius Villa” -- Opere architettoniche Palazzo Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Loggia Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Facciata di Santa Maria Novella, Firenze, Santa Maria Novella Abside di San Martino, Lastra a Signa, Pieve di San Martino a Gangalandi Tempietto del Santo Sepolcro, Firenze, Chiesa di San Pancrazio Tempio Malatestiano (incompiuto), Rimini, Tempio Malatestiano Chiesa di San Sebastiano, Mantova, Chiesa di San Sebastiano Basilica di Sant'Andrea,Mantova, Basilica di Sant'Andrea (Mantova) Palazzo Romei, Vibo Valentia Manoscritti Liber de iure, scriptus Bononiae, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti, Trivia senatoria, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti. Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti, Firenze, Olschki, A., De pictura, C. Grayson, Laterza: versione on line Copia archiviata, su liberliber. Christoph L. Frommel, Architettura e committenza da Alberti a Bramante, Olschki, Rucellai, De bello italico, Coppini, Firenze University Press, De re Aedificatoria In tale occasione manifestò il suo interesse per la morfologia e l'allevamento dei cavalli con il breve trattato De equo animante dedicato a Leonello d'Este. De Vecchi-Cerchiari, De Vecchi-Cerchiari, Wittkower, op. cit. Leon Battista Alberti, De statua, M. Collareta, 1998 Mario Carpo, L'architettura dell'età della stampa: oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell'immagine nella storia delle teorie architettoniche, Simon Singh, Codici e Segreti45 Kahn, The Codebreakers, Scribner. Il nome deriva dal fatto che il libello, di appena 16 carte, è conservato in una copia del 1508 in un codice in ottavo della Biblioteca vaticana. Lo scritto non ha epigrafe, pertanto il titolo è stato assegnato in seguito: fu riscoperto infatti nel 1850 e dato alle stampe. Viviamola calabria. blogspot.com, viviamolacalabria. blogspot.com //09/ esempio- tangibile-di-palazzo- nobiliare.html?m=1. A., De re aedificatoria, Argentorati, excudebat M. Iacobus Cammerlander Moguntinus, A., De re aedificatoria, Florentiae, accuratissime impressum opera magistri Nicolai Laurentii Alamani. A., Opere volgari. 1, Firenze, Tipografia Galileiana, A., Opere volgari, Firenze, Tipografia Galileiana, A., Opere volgari. 4, Firenze, Galileiana, Alberti, Opere volgari. 5, Firenze, Tipografia Galileiana, A., Opere, Florentiae, J. C. Sansoni, A., Trattati d'arte, Bari, Laterza, Leon Battista Alberti, Ippolito e Leonora, Firenze, Bartolomeo de' Libri, prima. A., Ecatonfilea, Stampata in Venesia, per Bernardino da Cremona, Leon Battista Alberti, Deifira, Padova, Lorenzo Canozio, Leon Battista Alberti, Teogenio, Milano, Leonard Pachel, Leon Battista Alberti, Libri della famiglia, Bari, G. Laterza. A., Rime e trattati morali, Bari, Laterza, Albertiana, Rivista della Société Intérnationale Alberti, Firenze, Olschki, Franco Borsi, A.: Opera completa, Electa, Milano, Ponte, A.: Umanista e scrittore, TILGHER (si veda), Genova,; Paolo Marolda, Crisi e conflitto in Alberti, Bonacci, Roma, Roberto Cardini, Mosaici: Il nemico dell'Alberti, Bulzoni, Roma; Rosario Contarino, A. moralista, presentazione di Francesco Tateo, S. Sciascia, Caltanissetta; Pierluigi Panza, Alberti: Filosofia e teoria dell'arte, introduzione di Dino Formaggio, Guerini, Milano; Pierluigi Panza, introduzione a "De Amore" di A., in Estetica. Le scritture dell’eros, annuario S. Zecchi, Il Mulino, Bologna. Pierluigi Panza, "Lui geometra, lui musico, lui astronomo”. Alberti e le discipline liberali", in Le arti e le scienze. Annuario di Estetica, S. Zecchi, Bologna, Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti, Paola Claut, Olschki, Firenze; Borsi, Momus, o Del principe: Alberti, i papi, il giubileo, Polistampa, Firenze, Luca Boschetto, A.e Firenze: Biografia, storia, letteratura, Olschki, Firenze; Cassani, La fatica del costruire: Tempo e materia nel pensiero di A., Unicopli, Milano; Pierluigi Panza, “Alberti e il mondo naturale”, in Lettere e arti nel Rinascimento, Atti del X Convegno internazionale Chianciano-Pienza, Luisa Secchi Tarugi, Franco Cesati editore, Firenze, Elisabetta Di Stefano, L'altro sapere: Bello, arte, immagine in Leon Battista Alberti, Centro internazionale studi di estetica, Palermo, Rinaldo Rinaldi, Melancholia Christiana. Studi sulle fonti di Leon Battista Alberti, Firenze, Olschki, Francesco Furlan, Studia albertiana: Lectures et lecteurs de A., N. Aragno-J. Vrin, Torino-Parigi, Grafton, A.: Un genio universale, Laterza, Roma-Bari; Mazzini, Martini. Villa Medici a Fiesole. A. e il prototipo di villa rinascimentale, Centro Di, Firenze, Michel Paoli, A., Parigi, Editions de l'Imprimeur, ora tradotto in italiano: Michel Paoli, A., Bollati Boringhieri, Torino, Siekiera, linguistica albertiana, Firenze, Edizioni Polistampa (Edizione Nazionale delle Opere di A., Serie «Strumenti»); Francesco Fiore: La Roma di A. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell'antico nella città del Quattrocento, Skira, Milano, A. architetto, Grassi e Patetta, testi di Grassi et alii, Banca CR, Firenze; Restaurare A.: il caso di Palazzo Rucellai, Simonetta Bracciali, presentazione di Antonio Paolucci, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, Stefano Borsi, A. e Napoli, Polistampa, Firenze, Gabriele Morolli, Alberti. Firenze e la Toscana, Maschietto, Firenze, Canali, "A. 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Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», Christoph Luitpold Frommel, A. e la porta trionfale di Castel Nuovo a Napoli, in «Annali di architettura Vicenza leggere l'articolo; Massimo Bulgarelli, A., Architettura e storia, Electa, Milano; Caterina Marrone, I segni dell'inganno. Semiotica della crittografia, Stampa Alternativa &a mp;Graffiti, Viterbo; Pierluigi Panza, “Animalia: La zoologia nel De Re Aedificatoria", Convegno Facoltà di Architettura Civile, Milano, in Albertiana, S. Borsi, Leon Battista Alberti e Napoli, Firenze,. V. Galati, Il Torrione quattrocentesco di Bitonto dalla committenza di Giovanni Ventimiglia e Marino Curiale; dagli adeguamenti ai dettami del De Re aedificatoria di A. alle proposte di Francesco di Martini in Defensive Architecture of the Mediterranean XV to XVIII centuries, G. Verdiani,, Firenze,, III. V. Galati, Tipologie di Saloni per le udienze nel Quattrocento tra Ferrara e Mantova. Oeci, Basiliche, Curie e "Logge all'antica" tra Vitruvio e A. nel "Salone dei Mesi di Schifanoia a Ferrara e nella "Camera Picta" di Palazzo Ducale a Mantova, in Per amor di Classicismo, F. Canali «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», S. Borsi, Leon Battista, Firenze,. Rossellini gli ha dedicato un film- documentario per la TV nintitolato "L'età di Cosimo dei Medici" Architettura rinascimentale Rinascimento fiorentino Rinascimento riminese Rinascimento mantovano Medaglia di Alberti.TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. A., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Opere d’A., su Liber Liber. Opere di A., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di A.,. su Leon Battista Alberti, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. A., in Catholic Encyclopedia, Appleton Company. La aggiornata degli studi albertiani in poi, e le informazioni più recenti sulla ricerca albertiana, su alberti.wordpress.com. Il sito della Société Internationale Leon Battista Alberti, su silba- online.eu. Biografia breve, su imss. fi. Fondazione Centro Studi A. Mantova, su fondazione leonbattista alberti. Momus, (testo in latino, Roma), facsimile, progetto Europeana agent /base/ Identitieslccn. Que’ che affermano LA LINGUA LATINA non essere stata comune a tutti e’ populi latini ma solo propria di certi dotti scolastici come oggi la vediamo in pochi credo deporranno quell’errore vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi l'uso di LA LINGUA NOSTRA in brevissime annotazioni. È la mia grammatica filosofica. Qual cosa simile fanno gl’ingegni grandi e studiosi come VARRONE presso de e’ Latini, e chiamorno queste simili ammonizioni, atte a favellare senza corruttela, suo nome, “grammatica”. Questa arte, quale ella sia in la lingua nostra, leggetemi e intenderetela. L’ordine delle lettere è: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. Ogni parola e dizione in lingua italiana dove finire IN VOCALE. Solo alcun’articoli de’ nomiini e alcune preposizioni finiscono in “d,” “n,” o “r.” Le cose in molta parte hanno in lingua italiana que’ MEDESIMI NOMI CHE IN LATINO. Non hanno e’ italiani fra e' nomi altro che MASCULINO e femminino. E’ NEUTRI LATINI SI FANNO MASCULINI. Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo singulare, e questo s'usa in ogni caso singulare, così al masculino come al femminino. A e' nomi masculini l'ultima vocale si converte in “i”, e questo s’usa in tutti e' casi plurali. A e' nomi femminini l'ultima vocale si converte in “e”, e questo s’usa in ogni caso plurale per e' femminini. Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e. LA mano fa “le manI”. E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in “e”, fa in plurale in “i”. Come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni; confusione, confusioni -- e simili. E' casi de' nomi si notano co' suoi articoli, dei quali sono vari e' masculini da e' femminini. Item e' masculini, che cominciano da consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e' cominciano da vocale. Item e’ nomi propri sono vari dagli appellativi. Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo. EL cielo, DEL cielo, AL cielo, EL cielo, O cielo, DAL cielo. E' cieli; DE' cieli; A' cieli; E' cieli; O cieli; DA' cieli. Masculini che cominciano da vocale fanno in singulare simile a questo. LO orizzonte; DELLO orizonte; ALLO orizonte; LO orizonte; O orizonte; DALLO orizonte; GLI orizonti; DEGLI orizonti; AGLI orizonti; GLI orizonti; O orizonti; DAGLI orizonti. E' nomi masculini che cominciano da “s” pre-posta a una consonante hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale. LO spedo; LO stocco; GLI spedi -- e simile. Questi vedesti che sono vari da quei di sopra nel singulare, el primo articolo e anche el quarto. El plurale variorono tutti gli articoli. Nomi propri masculini non hanno el primo articolo, né anche el quarto, e fanno simili a questi: Propri masculini, che cominciano da consonante, in singulare. “Cesare”; “DI Cesare”; “A Cesare” “Cesare”; “O Cesare”; “DA Cesare”. Nomi propri, che cominciano da vocale, nulla variano da' consonanti, eccetto che al terzo vi si aggiugne “d”. “Agrippa”; “DI Agrippa”; “AD Agrippa”, ecc. In plurale non s'adoperano e' nomi propri, e se pur s'adoperassero, tutti fanno come appellativi. E' nomi femminini, o propri o appellativi, o in vocale o in consonante che e' cominciano, tutti fanno simile a questo. “LA stella”; “DELLA stella”; “ALLA stella”; “LA stella”; “O stella”; “DALLA stella.” “LA aura”; “DELLA aura” ALLA aura LA aura O aura DALLA aura. PLURALE. LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE stelle O stelle DALLE stelle. LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aure DALLE aure. E' nomi delle terre s'usano come propri. “Roma supera Cartagine”. E simili a’ nomi propri s'usano e' nomi de' numeri: uno, due, tre, e cento e mille, e simili. “tre persone”, “uno Dio”, “nove cieli”, e simili. E quei nomi che si referiscono a’ numeri non determinati come “ogni” – ogni uomo è mortale -- “ciascuno”, “qualunque”, “niuno”, e simili, e come tutti, parecchi, pochi, molti, e simili, tutti si pronunziano simili a e’ nomi propri senza primo e quarto articolo. E' nomi che importano seco interrogazione come “chi” e “che” e “quale” e “quanto” -- e simili, quei nomi che si riferiscono a questi interrogatori, come “tale” e “tanto” e “co-tale” e “co-tanto”, si pronunciano simili a e' propri nomi, pur senza primo e quarto articolo. “Io sono TALE QUALE voresti essere tu; e amai TALE che odiava me. “Chi” s'usa circa alle persone. “Chi scrisse?” “Che” significa quanto presso a e' Latini “QVI” e “QVID” -- Significando “QVID” s'usa circa alle cose. “Che leggi?”. Significando “QVI” s'usa circa alle persone. “Io sono colui che scrissi”. “Chi” di sua natura serve al MASCULINO. Ma aggiunto a questo verbo sono, sei, è, serve al masculino E AL FEMMININO. “Chi sarà tua sposa?” Chi fu el maestro? “Chi” sempre si pre-pone al verbo. “Che” si pre-pone e pos-pone. “Che”, preposto al verbo, significa quanto presso a e' Latini “QVID” e “QVANTVM” e “QVALE”. “Che dice?” Che leggi? “Che uomo ti paio?” Che ti costa? “Che,” *pos*-posto al verbo, significa quanto apresso e' Latini “VT” e “QVOD. “I' voglio CHE tu mi legga.” Scio che tu me amerai. E’ nomi, quando e' dimostrano cosa non certa e diterminata, si pronunziano senza primo e quarto articolo. “Io sono studioso.” “Invidia lo move.” “Tu mi porti amore.” Ma quando egli importano dimostrazione certa e diterminata – O DEFINITA [l’articolo definito], allora si pronunziano coll'articolo. “Io sono LO studioso.” “Tu el dotto.” E’ nomi simili a questo: primo, secondo, vigesimo, posti dietro a questo verbo sono, sei, è, non raro si pronunziano *senza* el primo articolo. “Tu fusti terzo.” “Io secondo.” “Costui fu EL quarto”, “el primo”, “el secondo”, ecc. – “i dodici apostoli” -- Uno, due, tre, e simili, quando e' significano *ordine*, vi si pone l'articolo. “Tu fusti el tre.” Io l'uno. “Il dua è numero paro.”, ecc. Fra tutti gl’altri nomi appellativi, questo nome, “Dio” s'usa come *proprio*. “Lodato Dio”. “Io adoro Dio”. Gl’articoli hanno molta convenienza co’ pronomi, e ancora e' pronomi hanno grande similitudine con questi nomi relativi qui recitati. Adonque suggiungere mogli. De' pronomi, e' primitivi sono questi: “io”; “tu”; esso questo quello costui lui colui. Mutasi l'ultima vocale in “a” e fassi il femminino: questa, quella, essa. Solo “io” e “tu”, in una voce, serve al masculino e al femminino. E’ plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e anche e' singulari. Declinansi così: Io e i': “di me”; “a me”; e “mi”; “me” e “mi”, “da me”. Noi: di noi: a noi e ci: noi e ci: da noi. Tu: di te: a te e ti: te e ti: o tu: da te. Voi: di voi: a voi e vi: voi e vi: o voi: da voi. Esso ed e': di se e si: se e si: da se; ed Egli. Non troverrai in tutta la lingua italiana casi mutati in voce altrove che in questi tre pronomi: io, tu, esso. Gl’altri primitivi se declinano. Questo: di questo: a questo: questo: da questo. Quello: di quello: a quello: quello: da quello. Muta “o” in “i” e arai el plurale. Questi: di questi: a questi: questi: da questi. E il somigliante fa quelli. E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli in singulare. Ma in plurale costui fa “costoro”, lui fa “loro”, colui fa “co-loro”, di coloro, a coloro, coloro, da coloro. Questo e quello mutano o in a e fassi el femminino singulare: questa e quella; e fassi il suo plurale: queste, di quelle, a quelle. Lui, costui, colui, mutano u in e e fassi el singulare femminino, e dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In plurale hanno quella voce che e' masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro, ecc. Vedesti come, simile a' nomi propri, questi pronomi primitivi non hanno el primo articolo né anche el quarto. A questa similitudine fanno e' pronomi derivativi, quando e' sono subiunti a e' propri nomi. Ma quando si giungono agl’appellativi, si pronunziano co' suoi articoli. Derivativi pronomi sono questi. “El mio”, “del mio”, ecc., e plurale: e' miei, de' miei, ecc. El nostro, del nostro, ecc. E plurale: e' nostri, de' nostri, ecc. El tuo. Plurale: e' tuoi. El vostro. Plurale: e' vostri. El suo. E pluraliter: e' suoi, ecc. Mutasi, come a e' nomi, l'ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso in e, fassi el plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue. In uso s'adropano questi pronomi non tutti a un modo. E' derivativi, giunti a questi nomi, padre, madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano *senza* articolo, e dicesi: “mio padre”, nostra madre, e tuo zio, ecc. Mi e me, ti e te, ci e noi, vi e voi, si e sé sono dativi insieme e accusativi, come di sopra gli vedesti notati. Ma hanno questo uso che, preposti al verbo, si dice mi, ti, ci, ecc. “E’ mi chiama” -- e' ti vuole; que' vi chieggono; io mi sto; e' si crede. Pos-posti al verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro pronome o nome, si dirà. “Io amo te”, e voglio voi. Si al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome si dirà: -i, come qui. “Aspettaci.” restaci, scrivetemi. Lui e colui dimostrano persone. “Lui andò.” colei venne. Questo e quello serve a ogni dimostrazione, e dicesi: “Questo essercito predò quella provincia.” “QUESTO SCIPIONE – l’affricano minore -- supera quello Annibale.” E' ed el, lo e la, le e gli, quali, giunti a' nomi, sono articoli, quando si giungono a e' verbi, diventano pronomi e significano quello, quella, quelle, ecc. “Io la amai.” Tu le biasimi: Chi gli vuole? Ma di questi, egli ed e' hanno significato singulare e plurale; e, pre-posti alla consonante, diremo e', come qui: e' fa bene; e' sono. E, pre-posti alla vocale, si giugne e' e gli. “Egli andò”. egli udivano. E quando segue loro s preposta a una consonante, ancora diremo: egli spiega; egli stavano. Potrei in questi pronomi essere prolisso, investigando più cose quali s'osservano, simili a queste: Vi preposto a' presenti singulari indicativi, d’una sillaba, si scrive in la prima e terza persona per due v, e simile in la seconda persona presenteimperativa. “stavvi” e “vavvi”; e ne' verbi, d'una e di più sillabe, la prima singulare indicativa del futuro. “Amerovvi”. leggerovvi, darotti, adoperrocci, e simile. Seguitano e’ verbi. Non ha la lingua toscana verbi passivi, in voce. Per esprimere el passivo, compone con questo verbo “sono”, “sei”, “è”, el participio preterito passivo tolto da e' Latini, in questo modo. “Io sono amato.” ; Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si giugne a tutti e' numeri e tempi e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui distinto. INDICATIVO. Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete, sono. IMPERFETTO: Ero, eri, era. Pl.: eravamo e savamo, eravate e savate, erano. PERFETTO: Fui, fusti, fu. Pl.: fumo, fusti, furono. Ero, eri, era stato. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano stati. FUTURO: Sarò, sarai, sarà. Pl.: saremo, sarete, saranno. Hanno e' italiani, in voce, uno preterito quasi testé, quale, in questo verbo, si dice così: Sono, sei, è stato. Plurale: siamo, sete, sono stati. “Ieri FUI ad Ostia.”; oggi sono stato a Tibuli. ndere i link alle concordanze IMPERATIVO. Sie tu, sia lui. Pl.: siamo, siate, siano. Sarai tu, sarà lui. Plurale: saremo, ecc. OTTATIVO. Dio ch ‘io fussi, tu fussi, lui FUSSE. Pl.: fussimo, fussi, fussero. Dio ch'io sia, sii, sia stato. Pl.: siamo, siate, siano stati. Dio ch'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati. Dio ch'io sia, sii, sia. Pl.: siamo, siate, siano. SUBIENTIVO. Bench'io, tu, lui sia. Pl.: siamo, siate, siano. Bench'io fussi, tu fussi, lui fusse. Pl.: fussimo, fussi, fussero. Bench'io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati. Bench'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati. Bench'io sarò, sarai, sarà stato. Pl.: saremo, sarete, saranno stati. E usasi tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro verbo, quasi come subientivo, prepostovi qualche una di queste dizioni: “se” – Grice, “Indicative conditional,” “Subjunctive conditionaal” --; “quando”, “benché” -- e simili. E dicesi: bench'io fui. “Se e' sono”; quando e' saranno. INFINITO. Essere, essere stato. GERUNDIO. Essendo PARTICIPIO. “Essente” Dirassi adonque, per dimostrare el passivo: Io sono stato amato; fui pregiato; e sarò lodato; tu sei reverito. Hanno e' italiani certo modo subientivo, in voce, NON NOTATO DA E’ LATINI. E parmi da nominarlo “asseverativo”, come questo: Sarei, saresti, sarebbe. Pl.: saremo, saresti, sarebbero. “Tu fussi dotto, SARESTI pregiato” – “SE FUSSERO amatori dellapatria, e' SAREBBERO più felici. Seguitano e’ verbi attivi. Le coniugazioni de' verbi attivi in lingua italiana si formano dal GERUNDIO LATINO, levatone le ultime tre lettere “-ndo”, e quel che resta si fa terza persona singulare indicativa e presente. “Ama-ndo”. “levane-ndo”, resta ama; scrivendo resta scrive. Sono adonque II coniugazioni. Una che finisce in -a. L’altra finisce in -e. Alla coniugazione in -a, quello a si muta in o, e fassi la prima persona singulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi la seconda. E così si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in questo esposto: INDICATIVO. Amo, ami, ama. Pl.: amiamo, amate, amano. IMPERFETTO: Amavo, amavi, amava. Pl.: amavamo, amavate, amavano. PERFETTO: Amai, amasti, amò. Pl.: amamo, amasti, amarono. {Ho, hai, ha} + amato. Pl.: abbiamo, avete, hanno amato. FUTURO: Amerò, amerai, amerà. Pl.: ameremo, amerete, ameranno. In questa lingua, ogni verbo finisce in -o la prima indicativa presente, e in questa coniugazione prima, finisce ancora in o la terza singulare indicativa del preterito. Ma ècci differenza, ché quella del preterito fa el suo o LONGO, e quella del presente lo fa o BREVE. IMPERATIVO. Ama tu, ami lui. Pl.: amiamo, amate, amino. Amerai tu, amerà colui. Pl.: ameremo, ecc. OTTATIVO. Dio ch'io amassi, tu amassi, lui amasse. Pl.: Dio che noi amassimo, voi amassi, loro amassero. Dio ch'io abbia, tu abbi, lui abbia amato. Pl.: Dio che noi abbiamo, abbiate, abbino amato. Dio ch'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Pl.: Dio che noi avessimo, avessi, avessero amato. Dio ch'io, tu, lui ami. Pl.: amiamo, amiate, amino. SUBIENTIVO. Bench'io, tu, lui ami. Pl.: amiamo, amiate, amino. Bench'io, tu amassi, lui amasse. Pl.: amassimo, amassi, amassero. Bench'io abbia, abbi, abbia amato. Pl.: abbiamo, abbiate, abbino amato. Bench'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Pl.: avessimo, avessi, avessero amato. Bench'io arò, arai, arà amato. Pl.: aremo, arete, aranno amato. “ASSERTIVO”. Amerei, ameresti, amerebbe. Pl.: ameremo, ameresti, amerebbero. INFINITO. Amare, avere amato. GERUNDIO. Amando. PARTICIPIO. Amante. Vedi come a e' tempi testé perfetti e al futuro del subientivo mancano sue proprie voci, e per questo si composero simile a' verbi passivi: el suo participio co' tempi e voci di questo verbo ho, hai, ha. Qual verbo, benché e’ sia della coniugazione in a, pur non sequita la regola esimilitudine degl’altri, però che egli è verbo d'una sillaba, e così tutti e’ monosillabi sono anormali. Né troverrai in tutta la lingua italiana verbi mono-sillabi altri che questi VI: “do”; “fo”, “ho”; “vo”; “sto”; e “tro”. Porremogli adonque qui sotto distinti. Ma, per esser breve, notiamo che e' sono insieme dissimili ne e' preteriti-perfetti indicativi, e ne' singulari degl’imperativi, e nel singulare del futuro-ottativo, ne' quali e' fanno così: DO: diedi, desti, dette. Pl.: demo, desti, dettero. FO: feci, facesti, fece. Pl.: facemo, facesti, fecero. HO: ebbi, avesti, ebbe. Pl.: avemo, avesti, ebbero. VO: andai, andasti, andò. Pl.: andamo, andasti, andarono. STO: stetti, stesti, stette. Pl.: stemo, stesti, stettero. TRO: tretti, traesti, trette. Pl.: traemo, traesti, trettero. In tutti e' verbi, come fa la seconda persona singulare del preterito, così fa la seconda sua plurale: amasti, desti, leggesti. DO: da tu, dia lui. FO: fa tu, faccia lui. HO: abbi tu, abbia lui. VO: va tu, vada lui. STO: sta tu, stia lui. TRO: tra tu, tria lui. DO: Dio ch'io dia, tu dia, lui dia. FO: faccia, facci, faccia. HO: abbia, abbi, abbia. VO: vada, vadi, vada. STO: stia, stii, stia. TRO: tragga, tragghi, tragga. Seguita la coniugazione in e. Questa si forma simile alla coniugazione in a. Mutasi quello e in o, e fassi la prima presente indicativa. Mutasi in i, e fassi la seconda. “Leggente” e scrivente, levatonente, resta legge, scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva, leggerò, ecc. Solo varia dalla coniugazione in a in que' luoghi dove variano e' monosillabi. Ma questa coniugazione in e varia in più modi, benché comune faccia e' preteriti perfetti indicativiin -ssi, per due s, come: leggo, lessi; scrivo, scrissi. Ma que' verbi che finiscono in “-sco” fanno e' preteriti in -ii per due i, come esco, uscii; ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per più suavità, nella lingua italiana non si pronunziano due iunte vocali. Da questi verbi si eccettuano cresco ed e' suoi compositi, rincresco, accresco, e simili, quali finiscono, a' preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi, rincrebbi. Item, nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que' verbi che finiscono in mo fanno e' preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che finiscono in do fanno e' preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo, sparsi; ECCETTO “vedo” fa “vidi”; odo, udi'; cado, caddi; godo, godei e godetti. E quegli che finiscono in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo, presi; rispondo, risposi; eccetto vendo fa vendei e vendetti. Sonci di queste regole forse altr’eccezioni. Ma per ora basti questo principio di tanta cosa. Chi che sia, a cui diletterà ornare la patria nostra, aggiugnerà qui quello che ci manchi. Dicemo de’ preteriti, resta a dire degl’altri. IMPERATIVO. Leggi tu, legga colui. OTTATIVO. Futuro singulare: Dio ch'io scriva, tu scriva, lui scriva. E così fanno tutti. Verbi impersonali si formano della terza persona del verbo attivo in tutti e' modi e tempi, giuntovi “si”, come: amasi, leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole trasporlo *innanzi* al verbo, giuntovi e': “Si legge.” e' si corre; e massime nell'ottativo e subientivo *sempre* si pre-pone, e dicesi. “Dio che e' s'ami.” Quando e' si leggera', e simile. Seguitano le preposizioni (Grice on “to”). Di queste alcune non caggiono in composizione, e sono queste. oltre, sino, dietro, doppo, presso, verso, ‘nanzi, fuori, circa. Preposizioni che caggiono in composizione e ancora s'adoperano seiunte, sono di una sillaba o di più. D'una sillaba sono queste: DE. de' nostri; detrattori. AD: ad altri; admiratori. CON: con certi; conservatori. PER. per tutti; pertinace. DI: di tanti; diminuti. IN: in casa; importati. “Di”, pre-posto allo infinito, ha significato quasi come a' Latini “VT”. “Io mi sforzo d'essere amato.” Quelle de più sillabe sono queste: SOTTO sotto-posto SOPRA sopra-posto e dicesi ENTRO entro-messo CONTRO contra-posto Preposizioni quali s'adoperano SOLO in composizione. re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex, pre, circum; onde si dice: trasposi e circumspetto. Seguitano gli avverbi. Per e' TEMPO, si dice: oggi, testé, ora, ieri, crai, tardi, omai, già, allora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito. Per e' LUOGO, si dice: costì, colà, altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi. “Io voglio starci.” io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro ivi. Pelle cose, si dice: assai, molto, poco, più, meno. NEGANDO, si dice: nulla, “no” – Latino: “non” --, niente, né. Affirmando, si dice: sì, anzi, certo, alla fe'. Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto. Dubitando: forse. Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così, bene, male, peggio, meglio, ottime, pessime, tale, tanto. Usa la lingua italiana questi avverbi, in luogo di nomi, giuntovi l'articolo, e dice: el bene, del bene, ecc.; qual cosa ella ancora fa degl’infiniti, e dicono: el leggere, del leggere. Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme, solo in principio della loro coniunzione usa preporre non più che uno articolo, e dicesi: el tuo buono amare mi piace. Item, a similitudine della lingua gallica, piglia l’italiano e' nomisingulari femminini adiettivi e aggiungevi -mente, e usagli per avverbi, come saviamente, bellamente, magramente. Interiezioni. Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma, do. Coniunzioni. Sono queste: mentre, perché, senza, “se” – condizionale --, però, benché, certo, adonque, ancora, “ma” – cf. Frege --, come, e, né, o, segi (sic). “e” congiunge; né disiunge. “o” divide; senza si lega solo a' nomi e agli’infiniti. E dicesi: senza più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né lei siano indotti. “O piaccia O dispiaccia questa mia invenzione.” E questo ne ha vario significato e vario uso. Se si pre-pone simplice a' nomi, a' verbi, a' pronomi, significa negazione. “Né tu né io meritiamo invidia.” E significa in; ma, aggiuntovi l, serve a' singulari masculini e femminini; e senza l, serve a' plurali quali comincino da consonante. A tutti gl’altri plurali, masculini e femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla consonante, pur si dice: nello spazzo, nelle camere, ne' letti, nello essercito di Dario, negli orti. E questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome, significa di qui, di questo, di quello, secondo che l'altre dizioni vi si adatteranno. “Cesare ne va.” Pompeio ne viene. E questo ne, pos-posto al verbo, sarà o doppo a monosillabi o doppo a quei di più sillabe; e più, o significa interrogazione o affirmazione o precetto. Adonque, doppo l'indicativo mono-sillabo, la interrogazione si scrive, in la prima e terza persona, per due n, la seconda per uno n, come, interrogando, si dice: vonne io? va' ne tu? vanne colui? Nello imperativo si scrive la seconda per due n, e dicesi: vanne, danne. La terza si scrive per uno, e dicesi: diane lui, traggane. E questi monosillabi, la prima indicativa presente, affirmando, si scrive per due n, e dicono: fonne, vonne, honne. Se sarà el verbo di più sillabe, la interrogazione e affirmazione si scrive per uno n in tutti e' tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro, quale si scrive per due n. portera' ne tu? porteronne. E questo sino qui detto s'intenda per e' singulari, però che a' plurali si scrive quello ne sempre per uno n, come andiamone. Non mi stendo negl’altri simili usi a questi. Basti quinci intendere e' principi d'investigare lo avanzo. E' vizi del favellare in ogni lingua sono o quando s'introducono alle cose nuovi nomi, o quando gl’usitati si adoperano male. Adoperano si male, discordando persone e tempi, come chi dicesse. “Tu ieri andaremo alla mercati.” E adoperanosi male usandogli in ALTRO significato alieno, come chi dice: “processione” pro possessione. Introduconsi nuovi nomi o in tutto alieni e incogniti o in qualunque parte mutati. Alieni sono in ITALIA più nomi barberi, lasciativi da gente germana, quale più tempo militò in Italia, come elm, vulasc, sacoman, bandier -- e simili. In qualche parte mutati saranno quando alle dizionis' aggiungerà o minuirà qualche lettera, come chi dicesse: paire pro patre, e maire pro matre. E mutati saranno come chi dicesse: replubica pro republica, e occusfato pro offuscato; e quando si ponesse una lettera per un'altra, come chi dicesse: aldisco pro ardisco, inimisi pro inimici. Molto studia la lingua italiana d'essere breve ed espedita, e per questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vizio. Ma questi vizi in alcune dizioni e prolazioni rendono la lingua più atta, come chi, diminuendo, dice “spirto” pro spirito; e massime l'ultima vocale, e dice papi, e Zanobi pro Zanobio; credon far quel bene. Onde s'usa che a tutti gl'infiniti, quando loro segue alcuno pronome in i, allora si gettal'ultima vocale e dicesi: farti, amarvi, starci, ecc. E, mutando lettere, dicono mie pro mio e mia, chieggo pro chiedo, paio pro paro, inchiuso pro incluso, chiave pro clave. E, aggiugnendo, dice vuole pro vole, scuola pro scola, cielo pro celo. E, in tutto troncando le dizioni, dice vi pro quivi, e similiter, stievi pro stia ivi. Si questo nostro opuscolo sarà tanto grato a chi mi leggerà, quanto fu laborioso a me el congettarlo, certo mi diletterà averlo promulgato, tanto quanto mi dilettava investigare e raccorre queste cose, a mio iudizio, degne e da pregiarle. Laudo Dio che in la nostra lingua abbiamo omai e' primi principi: di quello ch'io al tutto mi disfidava potere assequire. Cittadini miei, pregovi, se presso di voi hanno luogo le mie fatighe, abbiate a grado questo animo mio, cupido di onorare la patria nostra. E insieme, piacciavi emendarmi più che biasimarmi, se in parte alcuna ci vedete errore. Della Thoscana senza auttore. Firenze Biblioteca Riccardiana. Cod. Moreni 2. Cod. cart. sec. XV, contenente tre opere dell’A. precedute da un foglio di guardia in pergamena, ora num. I, al cui verso:figura l’abbozzo autografo dell’Ordine delle Lettere, corrispondente con alcune varianti all’inizio della grammatica nel cod. Vaticano. Colombo, A. e la prima grammatica italiana, “Studi Linguistici Italiani”. C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Firenze; La prima grammatica della lingua volgare, cur. Grayson, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua. Il testo della presente edizione è in sostanza quello medesimo da noi pubblicato nel 1964. Ci siamo limitati a correggere alcune sviste ed errori tipografici e ad introdurre qualche lieve emendamento in seguito alle osservazioni fatte in recensioni a quella edizione, tra cui l’attento esame particolareggiato di Ghinassi in «Lingua Nostra». Quanto scrivemmo allora intorno alla data del cod. Vaticano andrebbe ora qualificato seguendo il giudizio del compianto Weiss, cioè che si tratta di copia fatta più tardi di un manoscritto, ora perduto, copiato. Tale precisazione però non incide sulla costituzione del testo né cambia i criteri adottati nella presentazione della grammatica quale figura nel cod. Vaticano. A parte qualche correzione e integrazione, di cui diamo ragione nell’apparato, abbiamo seguito fedelmente il manoscritto, ritoccando soltanto la grafia nei casi seguenti. Distinguendo “u” da “v”, togliendo e aggiungendo h secondo i casi, livellando in doppia qualche scempia inerte smentita da doppia corretta e viceversa. Abbiamo pure rammodernato la punteggiatura irregolare del codice, e modificato gli accenti salvo nello specchio delle vocali, dove è indispensabile rispettare l’originale. Riguardo a questo specchio, perché il lettore possa apprezzare pienamente le varianti col frammento del cod. Mor. 2, riproduciamo il facsimile dell’Ordine delle lettere pella lingua toschana, che dovette rappresentare una prima stesura dell’inizio della grammatica quale appare nel cod. Vaticano. La scoperta di questo frammento autografo, aggiunta alle prove interne, soprattutto di carattere linguistico, da noi esposte minutamente nella edizione citata, hanno reso oramai certa l’attribuzione di questa grammatica ad A.. Non occorre qui insistere su un problema già risolto definitivamente. Basti rimandare per ogni ulteriore informazione alla introduzione a quella edizione. Né avremmo altri elementi da aggiungere alla ipotesi ivi formulata che A. abbia steso questa grammatica quand scrivendo a Pasti adopera lo spirito aspro greco per distinguere “è” verbo da “e” articolo. L’opera è priva di titolo nei codici. Le diamo qui quello di Grammatica della lingua toscana, fondandoci suglì accenni interni, nel 1° paragrafo per la grammatica e passim per la lingua toscana. Alla forma particolare del “g” per significare il suono gutturale sostituiamo, sull’analogia di ch, gh (cfr. facsimile Cod. Mor.) rg. Cod. giro giro alcio (ma cfr. Cod. Mor.). Il copista salta per sbaglio il vocativo. Cod. sono e sei e serve. firenze, Bibl. Riccardiana, Cod. Moreni 2. Foglio grammaticale autografo di A. Cod. similitudini com. L'analogia delle altre serie consiglia le integrazioni. p. 183. 2. Cod. aspettoci, che potrebbe anche correggersi in aspettati (come propone il Ghinassi) Accogliamo l'integrazione già proposta dal Trabalza. Cod. quasi s'osservano. Cod. si giugni. Cod. fussimo fussir fussero stati. p. 183. 3. Cod. saremo, sarete, sareste stati 6. Cod. questi. p. 186. 9. Cod. amàvamo, con l'accento sulla terzultima, dopo aver cancel- lato l'accento sulla penultima (sono d'accordo ora col Ghinassi che sarebbe difficile sostenere che l'accento sulla terzultima risalga senza dubbio all'originaleIntroduco le forme del preterito, sal- tato dal copista (ma se ne parla subito) Cod. Dio ch'io ami tu lui ami Cod. amerai. Nel marg. del cod. il copista ha scritto So, per indicare l'omissione di questo verbo nella serie di verbi monosillabi. Cod. notamo, che non può valere come perfetto qui, e perciò va corretto in notiamo Cod. tragga traggi tragga. Cod. anigittisco anigittii Cod. forsi. p. 190. s. Cod. sine 23. Cod. Quale Cod. verrovi (ma sarebbe contro la regola già stabilita a p. 183) 6. Cod. affirimando 24. Cod. ne osegi, da cui si deve staccar l’o per quel che si dice subito appresso, lasciando un segi problematico (forse errore di trascrizione per e.g. o per etc.? Cod. camemere 10. Cod. preposto, ma, come osserva il Ghinassi, deve essere un errore. Cod. lezione incerta tra siane, diane 36. Cod. Vulase saceman; correggiamo il primo in “vulasc” per conformità con la serie di 'nomi barberi' tutti terminanti in consonante, senza però poterne spiegare il significato. Il secondo in sacoman anziché supporre una forma sacheman altrimenti non attestata. La lezione papi è chiara nel cod. ma difficile a spiegare (si è pensato a pabbio, papeo, papiro). «Italian Studies». Per la discussione e illustrazione del foglio autografo del cod. Mor. vedi l’art. cit. sopra di C. Colombo. In Firenze, tragli uomini di studio, educati cio è agli studi umani, si distinseroa questo proposito gl'ingegni liberida ogni abito di pedantería, che non s'erano allontantanati con superbo fastidio dalla fonte di quelle vene, soprattutto gli artisti e gliuomini d'azione.E tra questi, chi meglio conobbe il valore di questo luminoso mezzo che il suo popolo gli offriva, e insieme intravide il lavoro che la mente e la volontà fanno nella formazione e nell'uso della parola, fu l'antico grande cittadino nato in esilio, l'umanista architetto, l'abbreviatore moralista della famiglia, il raccoglitore e innovatore della ·TORBACA, Rimatori napoletani del secolo X V,in Discussioni e ricerche letterarie, Livorno, Vigo, tradizione formatasi a Santa Maria Novella?,cioè A.. Egli primo, o più preparato e franco di tutti, si mosse a difesa del « volgare idioma », che sente « degno d'onore » con « vere ragioni », « in diverse maniere » pro vando 2: e una di queste maniere fu probabilmente quella di far riconoscere nella lingua che per lui era paterna, l'ordine grammaticale; che cioè l'uso di quella lingua è ordinato e legittimo non meno del latino, e che si può raccogliere in « ammonizioni atte a scrivere e favellare senza corruttela »; che insomma in quest'uso comune e stabile sono applicate leggi di ragione. Intendo che probabilmente a lui si devono quei Primi principij della grammatica o della lingua toscana, cioè quel geniale saggio ... d'una grammatica dell'uso vivo di Firenze che i Medici conservarono a noi, e che ora le prime linee del suo trattato della famiglia l'A le tolse dall'opuscolo di Dominici a Bartolomea Obizzi negli Alberti, noto col titolo Regola del governo di cura famigliare. V. lo nell'ediz. SALVI, Firenze, Garinei, Queste parole sono di Michele del Giogante.V. FR. FLAMINI, La lirica toscana del Rinasciniento anteriore ai tempi del Magni. fico, Pisa, Nistri, Cfr. O. Bacci, MORANDI. Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e la prima grammatica italiana; Leonardo e i primi vocabolari: ricerche: Città di Castello, Lapi. Ma cfr. F. SENSI, Ancora di A. grammatico, in Rendiconti del R. Ist. lombardo, L'opuscolo è pubblicato in appendice alla Storia della grammatica italiana di TRABALZA, Milano, Hoepli. Propongo qui l'opinione che mi par più probabile, anche dopo che Morandi ha difeso la sua nell'articolo Per Leonardo da Vinci e per la «Gramatica di Lorenzo de' Medici », nella Nuova Antologia. Il titolo, che la copia vaticana dell'opuscolo ha, non esemplato dall'originale, e nel foglio di guardia da altra mano che quella dell’amanuense segnato, DELLA THOSCANA SENZA AUTTORE, mi pare si possa desumere qual era nella mente di questo autore dal ringraziamento finale (c.16a): «Laudo Dio che in la nostra lingua habbiamo homai e' primi principij; di 218 1 dimostra in chi l'ha dato l'antico cittadino italiano e il filologo moderno. Così A. dette primo alla patria sua, fuori della quale era nato, la corona della lingua. E da lui n'ereditò la difesa il giovanetto figlio di Piero dei Medici (cioè del fautore di lui in quest'opera) e di Tornabuoni: il quale, seguendo il suo genio nativo, che lo conduceva all'acquisto della grandezza, cercò esser popolare 1 »; e de'suoi grandi intendimenti, e delle cure che gl'imponeva ilprincipato nella sua città, voluto e mantenuto ad ogni costo, non credeva nu trito », « aggiungendosi... prospero successo ed augumento al fiorentino imperio 2 » si estendesse e diventasse comune ad altre città e province, come Roma avea fatto della quello ch'io al tutto mi disfidaua potere assequire ». Ch'egli poi le ammonitioni » di quest' a arte » anche « in la lingua nostra chiamasse «suo nome, Grammatica » lo dice espressamente nel proemio; e quest'esempio ci dà facoltà d'argomentare per analogia, che anche A. indicando un suo lavoro con le parole De litteris atque coeteris principiis grammaticae abbia potuto intendere aquesta arte... in la lingua nostra ». Del resto, una annotazione assai simile ad altra della Grammatichetta, traquelle del Colocci, nel vatic. (sotto il titolo aLingue de varii barbari), mi fa supporre ch'egli conoscesse quell'opuscolo, per lui prezioso, che era nella Libreria de Medici «senza auttore»; egli che, in Roma, quella libreria frequentava, come prova, se non altro,l'indicazione che sitrova nell'altro suo ms., il vat.: a Bapta Alberto in libreria de medici de Rythmis ». A proposito della quale opera, altrove, dice che stima facesse dell'autore: «Leon Alberto huomo alli tempi nostri di dottrina et d'ingegno a nullo inferiore ». Questo sia detto col rispetto dovuto all'autorità di Morandi, nel comune amore del vero. 1 GINO CAPPONI, Storia della repubblica fiorentina, Firenze, Barbèra, Cfr. 0. BACCI, Op.cit.,pag.69. 2 Commento del Mco L. DE M. sopra alcuni de'suoi sonetti, nelle sue Opere, Firenze, Molini] ultima questa, che la lingua « nella quale era nato e latina. Allo stesso modo poi il figliuolo suo Giovanni, che venne veramente, come allora si diceva, a capo delle cose del mondo col nome di Leon X, voleva tenuta in onore diffusa la lingua latina serbata nella ecclesiastica e allora restaurata secondo l'esemplare augustèo 1: inter caeteras curas, quas in hac humanarum rerum curatione divinitus nobis concessa, subimus, non in postremis hanc quoque habendam ducimus, ut latina lingua nostro Pontificatu dicatur facta auctior. Così dunque Lorenzo raccolse l'eredità dell'antica lingua fiorentina da Leon Battista e dagli altri generosi custodi e difensori di essa della generazione anteriore, e ne fece la lingua dotta della sua corte popolana, uno strumento di regno. Quanto il suo esempio fosse efficace sui prìncipi con temporanei, lo dice un cortigiano della generazione a lui seguente, Colli oda ColledettoilCalmeta,chedisegnò e difese l'ideale della lingua cortigiana: « La vulgar poesia et arte oratoria, dal Petrarca e Boccaccio in qua quasi adulte. rata, prima da Laurentio Medice e suoi coetanei, poi m e diante la emulatione di questa et altre singularissime donne di nostra etade, su la pristina dignitade essere ritornata se comprehende. E questa donna era Beatriced’Este, la posa di Ludovico il Moro, e le principali tra le altre erano la sorella maggiore di lei sposa del marchese Francesco Gonzaga, Isabella, ed Elisabetta Gonzaga sposa di Guidubaldo da Montefeltro duca d'Urbino. Breve a Franc. De Rosis scritto dal Sadoleto, citato dal PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del M. evo,vol. IV,p. Nella Vita di Serafino Aquilano in fronte alle Rime di lui, ediz. cit., (Leon X), trad. Mercati, Roma, Lefebvre. Alberti. DELLA THOSCANA SENZA AUTORE Guardia (Dal Cod. Vat. Reg. 1370 ce. 1-161 [QjVe che affermano la lingua latina non essere stata comune a e. 1 A tutti é populi latini, ma solo propria di certi docti scolastici, come hoggi la vediamo in pochi; credo deporanno quello errore: vedendo questo nostro opuscholo in quale io racolsi l'uso della lingua nostra in brevissime annotationi: qual cosa simile fecero gl'ingegni grandi e studiosi presso a Grseci prima, e pò presso de é latinj : et chiamorno queste simili ammonitioni apte a scrivere e favellare, senza corruptela, suo nome Grammatica. Questa arte quale élla sia in la lingua nostra leggietemi e intenderetela. Ordine delle lettere i r t d b v e e o 1 s f è e e Coniunctio el giro girò aldo el zembo et volse pòrci à porci quello che è pélla pelle. p q a x Z e eh g I) ó u e e Verbum Articulus YOCHALI e. I B io. Cod. d'tlle. V. facsimile (Tav. I). 11. L'z nel cod. è senza puntino. 14. Quest'ultima lettera sarebbe una g gutturale da distinguere dalla g della linea 12 che ne rappresenterebbe il suono palatale? Nel testo, in ogni modo, il g non ricorre in nessuna di queste due forme, ma nell'altra che si può com'esse vedere nel facsimile (Tav. I). 16. LV e Vó chiusi nel cod. sono distinti da^eo aperti, il primo con un apostrofo so- prastante e il secondo con un circonflesso. 17-18. L'è congiunzione è distinto con due puntini ; I* verbo con tre puntini a triangolo preceduti da un'asta perpendicolare su cui ne cade perpendicolarmente un'altra; Ve articolo e pronome \ei, i) con tre puntini l'uno sull'altro obliquamente posti, preceduti dal segno dell'angolo o di un sette. Ma vedi meglio nel facsimile Tav. II). Regole della lingua fiorentina [OJgni parola e dictione Toscana finisce in vocale: solo alenimi articholi de nomi in .1. et alchune prepositioni finiscono in .d. .n. .r. Le chose in molta parte hanno in lingua toscana que medesimi nomi, che in latino. Non hanno é toscani fra é nomi altro che masculino, e, feminino. 5 é neutri latini si fanno masculini. Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo singulare, e questo s'usa e. 2 A in ogni caso singulare; cosi al majsculino come al femminino. A é nomi masculini l'ultima vocale si converte in .1. e questo s'usa in tutti é casi plurali. io A é nomi femminini l'ultima vocale si converte in .E. e questo s'usa in ogni caso plurale per é femminini. Alchuni nomi femminini in plurale non fanno in .E. come la mano, fa le mani. Et ogni nome feminino quale in singulare finisca in .e. fa in piùrale in .1. come la oratione, le orationi, stagione, stagioni, confusioni e simili. É casi de nomi si notano co suoi articoli: de i quali sono varii é masculini da é feminini. Item é masculini, che cominciano da consonante hanno certi articoli non fatti come quando é cominciano da vocale. Item é nomi proprij sono varij da gli appellativi. Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo. SlNGI'LARE 25 c- 2 B EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo Ó cielo DAL cielo Plurale É cieli DE cieli A cieli É cieli Ó cieli DA cieli Masculini che cominciano da vocale: fanno in singulare simile a questo. LO òrizonte DELLO òrizonte ALLO órizonte LO órizonte. O. òrizonte Dallo òrizonte. Plurale Gli orizonti Degli orizonti Agli orizonti Gli orizonti Dagli orizonti. É nomi masculini che cominciano da .s. prceposta a una consonante hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi Lo spedo, Lo stocco, Gli spedi, e simile. Regole della lingua fiorentina Questi vedesti die sono vani da quei di sopra nel singulare él primo articolo et anque él quarto; ma nel plurale variorono tutti gii articoli. Nomi proprii masculini non hanno él primo articolo, ne anque él 5 quarto; e fanno simili a questi. Proprii masculini che cominciano da consonante in singulare e. 3 A fanno cosi. Cesare DI Cesare A Cesare Cesare. O Cesare Da Cesare. Nomi proprii che cominciano da vocale nulla variano da consonanti, excetto che al terzo vi si aggiugne .D. e dìcesi. Agrippa DI Agrippa AD Agrippa etc. In plurale non s'adoperano é nomi proprii, e se pur s'adoperassero; tutti fanno come appellativi. E nomi feminini ó proprij o appellativi o in vocale, o in consonante che é cominciano; tutti fanno simile à questo. Singulare La stella Della stella Alla stella La stella Ó stella Dalla stella. La aura Della aura Alla aura La aura O aura Dalla aura. Plurale Le stelle Delle stelle Alle stelle Le stelle O stelle Dalle stelle, e. 3 B Le aure Delle aure Alle aure Le aure Ó aure Dalle aure. E nomi delle Terre s'usano come proprij e dicesi. Roma superò Cartilagine. Et similj a nomi proprii s'usano é nomi de numeri uno, due, tre e cento e mille e simili e dicesi Tre persone, Vno dio, Nove cieli e simili. Et quei nomi che si riferiscono a numeri non determinati come, OGNI, CIASCVNO, QUALVNQUE, N1VNO e simili; e COme TVTTI, PARECCHI, pochi, molti, e similj tutti si pronuntiano simili à é nomi proprij senza primo e quarto articolo. E nomi che importano seco interrogatione, come chi, e che e ovale e qvanto e simili, quej nomi che si rifferiscono a questi interrogatorij come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronuntiano. La C di Cesare nei casi obliqui è incerto se sia maiuscola o minuscola. 11. Cod. DA con un'/ sopra VA, preceduta da crocetta. Dopo similj il cod. teca un att coti un'abbreviatura, e cosi a 541,22, dopo /ussero. Regole della lìngua fiorentina e. 4 A simili à é propri; nomi, pur senza j primo e quarto articolo, e dicesi: Io sono tale, quale voresti esser tu: et, amai tale, che odiava me. chi s'usa circa alle persone e dicesi, chi scrisse? che, significa quanto presso a é latini qui et quid; significando quid, s'usa circa a le cose e dicesi, che leggi? significando qui 5 s'usa circa alle persone e dicesi: Io sono cholui, che scrissi. chi. di sua natura serve al masculino ma aggiunto à questo verbo sono e sei, é serve al masculino e al feminino e dicesi chi sarà tua sposa: chi fu el maestro? Chi sempre si prepone al verbo: che. si prepone, e postpone. 10 Che, preposto al verbo significa quanto presso a é latini quid et quantum, e quale, come che dice? che leggi? che huomo ti paio? che ti costa? e. 4 B Che postposto al verbo significa quanto àpresso é la|tini VT. et Quod. come dicendo i voglio che tu mi legga: scio che tu me amerai. 15 É nomi quando é dimostrano cosa non certa e determinata si pronuntiano senza primo e quarto articolo, come dicendo, Io sono studioso. Invidia lo move. Tu mi porti amore. Ma quando egli importano dimostratione certa e determinata allhora si pronuntiano coll'articolo, come qui. Io sono lo studioso e tu el docto. 20 É nomi simili a questo Primo, secondo, vigesimo. posti dietro à questo verbo sono, sei, è non raro si pronuntiano senza el primo articolo, e dicesi. Tu fusti terzo et io secondo, e anchora si dice chostui fu el quarto el primo el secondo etc. Vno, due, tre, e simili quando é significano ordine; vi si pone l'articolo: e dicesi tu fusti el tre, et io l'uno. Il due è numero paro etc. e. 5 A Fra tutti gli altri nomi appellativi, questo nome| Dio s'usa come proprio: e dicesi lodato dio. Io adoro Dio. Gli articoli hanno molta convenientia co pronomi: e anchora é pronomi hanno grande similitudin, coni questi nomi relativi qui recitati: Adunque suggiungeremogli De pronomi: é primitivi sono questi. Io Tu Esso, questo, quello, chostui lui cholui. Mutasi l'ultima vocale in .A. e fassi il femminino e dicesi questa, quella, essa: solo io et tu in una voce serve al masculino e al feminino. 35 B. Il cod. avanti il serve legge e, che evidentemente qui è pronome. 10-20. Cod. coli articolo. El secondo è abbreviato con un do soprastante a una lettera che forse è un 2. 30. Il cod. legge similitudin, come altrove esser, favellar con un apostrofo o accento sopra l'ultima consonante. Regole della lìngua fiorentina É plurali di questi primitivi pronomi sono vani, e, anque, é singulari, Declinansi cosi. Io et i. di me A me e mi: Me e mi. Da me. Noi, di noi. A noi et ci. noi et ci da noi. 5 Tu di te e ti. Te e Ti. O tu. da Te. Voi di voi, a voi e vi, ó voi, da voi. Esso et é, di se e si, se e si, da se, et egli. Non troverrai in tutta la lingua toscana casi mutati in voce, al- c- 5 B trove che in questi tre pronomi. Io.Tu. esso. 10 Gli altri primitivi se declinano cosi. Questo, di questo, a questo, questo, da questo. Quello, di quello, à quello, quello, da quello. Muta .0. in .i. e barai el plurale: e dirai. Questi, di questi, a questi, questi da questi, e il somigliante fa quelli. 15 Et cosi sarà costui, e lui, e cholui simili a quegli in singulare: ma in plurale chostui fa costoro, lui fa loro, colui fa coloro, di coloro, a choloro. coloro, da choloro. Questo e quello mutano .0. in .a. e fassi él femminino singulare e dicesi questa e quella, et fassi il suo plurale queste, di quelle, a quelle. 20 Lui chostui. cholui. mutano .v. in .e. e fassi él singulare femminino, e dicesi Costei. Lei. cholei. di colei etc. In plurale hanno quella voce che é masculini. cioè. Loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro etc.| Vedesti come simile à nomi propri questi pronomi primitivi non e. 6 A 25 hanno el primo articolo, né anque él quarto. A questa similitudine fanno é pronomi derivativi; quando é sono subiuncti a é proprij nomi; Ma quando si giungono a gli appellativi si pronuntiano co suoi articoli. Derivativi pronomi sono questi e declinansi cosi. El mio. del mio etc. et plr. é miei, de miei etc. 30 El nostro del nostro etc. et plr. é nostri de nostri etc. El tuo. plr. é tuoi. El vostro plr. é vostri. El suo. et pluraliter é suoi etc. Mutasi come à é nomi l'ultima in .A. e fassi el singulare femminino: qual .a. converso in .e. fassi el plurale e dicesi mia e mie: 35 vostra vostre, sua e sue. In uso s'adoprano questi pronomi non tutti a un modo. 8. Cod. troverai. 33. Cod. / ultima. Di qualche altro apostrofo tralasciato non s'è tenuto qui conto. Regole della lingua fiorentina É derivativi giunti à questi nomi, padre madre fratello, zio, e simili se pronuntiano senza articolo: e dicesi mio padre: vostra madre, e tuo zio etc.j e. 6 B Mi e me, ti e te, ci e noi, Vi e voi, si e se, sono dativi insieme et accusativi come di sopra gli vedesti notati: ma hanno questo uso, 5 che preposti al verbo si dice mi. ti, ci, etc. come qui é mi chiama, é ti vuole; que vi chiegono: io mi sto: é si crede. Postposti al verbo, se a quel verbo saia inanzi altro pronome, o nome si dira, come qui, Io amo te, e voglio voi. Se al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome, o pronome io si dirà .1. come qui aspettoci, restaci, scrivetemi. Lui e cholui dimostrano persone come dicendo lui andò: cholei venne. Questo e quello serve a ogni dimostratione, e dicesi, questo exercito predò quella provincia: e questo Scipione suppero quello Hannibale. É et él, lo e la, le e gli, quali giunti a nomi, sono articoli: quando e. 7 A si giungono à verbi diventano | pronomi e significano quello, quella, quelle etc. et dicesi. Io la amai. tu le biasimi. chi gli vuole? Ma di questi egli et é hanno significato singulare e plurale, e preposti à la consonante diremo é, come qui: e' fa bene, e'corsono: 20 e preposti alla vocale si giugne e et gli e dicesi, egli andò: egli udivano. Et quando segue loro .s. preposta ;i una consonante, ancora diremo, egli spiega: egli stavano. Potrei in questi pronomi esser prolixo investigando più chose quali s'osservano simili à queste. Vi preposto à presenti singulari indicativi d'una syllaba, si scrive in la prima e terza persona per due v-v. e simile in la seconda persona presente imperativa, come stavvi e vavvi. e ne verbi d'una e di più syllabe, la prima singulare indicativa al futuro come- amerovvi, leggerovvi, darotti, adoperrocci e simile. Ma forse di queste cose più particulari diremo altrove. | c _ B Sequitano k verbi. Non ha la lingua Toscana verbi passivi in voce, ma per exprimere él passivo compone co questo verbo, sono sei, è . él participio preterito passivo tolto da é latini in questo modo. Io sono amato. Tu sei pregiato, cholei è odiata, e simile. si giugni a tutti é numeri et tempi é modi di questo verbo: adonqut- lo poremo qui distinto. Cod. quasi. Regole della lingua fiorentina Indicativo Sono, sei. è. plurale, siamo, sete, sono Ero, eri, era, plr. eravamo e savamo. eravate e sa va te, erano Fui, fusti. fu. plr. fumo, fusti, furono Ero. eri. era stato. plr. eravamo e savamo, eravate et savate, erano stati Sarò. sarai. sarà. plr. saremo. sarete. saranno. Hanno é Toscani in voce uno preterito quasi testé, quale in questo verbo si dice rosi Sono sei è stato plr. siamo, sete, sono stati e dicesi hieri fui ad Hostia. hoggi.sono stato a Tibuli. Imperativo Sie tu. sia lui. plurale siamo, siate, siano. Sarai tu. sarà lui. plr. saremo etc. Optativo Dio chio fussi. tu fussi. lui fusse. plr. fussimo. fussi. fussero Dio chio sia. sij. sia stato. plr. siamo, siate, siano stati Dio chio fussi. fussi. fusse stato. plr. fussimo, fussi fussero stati Dio chio sia. sij. sia. plr siamo. siate. siano. SVBIENCTIVO Benchio. tu. lui sia. plr. siamo. siate. siano Benchio fussi. tu fussi. lui fusse. plr. fussimo, fussi. fussero Benchio sia. sij. sia stato. plr. siamo, siate, siano stati Benchio fussi. fussi. fusse stato. plr. fussimo. fussi. fussero stati. Benchio sarò. sarai. sarà stato. plr. saremo, sarete, sareste stati. Et usasi tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro verbo, quasi come subienctivo prepostovi qualche una di queste dictioni. se. quando. benché e simili. e dicesi. benchio fui. se é sono. quando é saranno. Infinito Essere. essere stato Gervndio. Essendo. Participio. Essente Dirassi adonque per dimostrare él passivo. Io sono stato amato. fui pregiato. e sarò lodato. tu sei reverito. Hanno é Toscani certo modo subienctivo in voce, non notato da é Latini. e panni da nominarlo. asseverativo come questo. Regole della lingua fiorentina Sarei. saresti. sarebbe. plr. saremo. saresti. sarebbero. e dirassi cosi. stu fussi docto, saresti pregiato: se fussero amatori de la patria; e'sarebbero più felici. Seqvitano é verbi activi Le congiugationi de'verbi activi in lingua della Toscana si formano *c. 9 A dal Gerundio latino, levatone le tre ultime | lettere n.d.o.e quel che 5 resta si fa terza persona singulare indicativa e presente: ecco l'exemplo. amando. levare n.d.o. resta ama. scrivendo resta scrive. Sono adonque due congiugationi, una che finisce in .A. Grice: MENTARE – a back formation from mens, mente -- l'altra finisce in. E. Grice: MENTIRE Alla congiugatione in. a. quello. a. si muta in. o. et fassi la io prima persona singulare indicativa e presente, et mutasi in. I. e fassi la seconda: e cosi, si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui in questo exposto. Indicativo Amo. ami. ama. plr. amiamo. amate. amanu Amavo. amavi. amava plr. amavamo. amavate. amavano Ho. hai. ha amato. plr. habbiamo, havete, hanno amato. Amerò. amerai. amerà: plr. ameremo amerete ameranno. In questa lingua ogni verbo finisce in. 0. la prima indicativa presente: et in questa coniugatione prima, fijnisce anchora in .0. la terza singulare indicativa del preterito. Ma ecci differentia, che quella del preterito fa él suo. 0. longo: e quella del presente lo fa .<". brieve. Imperativo Ama tu. ami luj. plr. amiamo, amate, amino ss Amerai tu. amerà cholui. plr. ameremo etc. Optativo Dio ch'io amassi. tu amassi. lui amasse. plr. dio che noi amassimo. voi amassi. loro amassero. Dio ch'io habbia. tu babbi. lui habbia amato. plr. dio che noi habbiamo. habbiate. habbino amato. Dio ch'io havessi. tu havessi lui havesse amato. plr. dio che noi havessimo, havessi. riavessero amato. Dio ch'io ami, tu, lui ami. plr. amiamo, amiate, amino. 2. Cod. brieve col puntino sotto 1'/. Regole della lingua di FIRENZE fiorentina SVBIENCTIVO Bench'io, tu, lui ami. plr. amiamo amiate amino Bench'io, tu amassi, lui amasse; plr. amassimo, amassi, -ro. Bench'io habbia, habbi, habbia amato. plr. habbiamo habbiate e. io A 5 habbino amato. Bench'io havessi, tu havessi, lui havesse amato. plr. havessimo, havessi, havessero amato. Bench'io harò, harai, harà amato. plr. haremo, harete haranno amato, io Assertivo Amerei, ameresti, amerebbe. plr. ameremo, ameresti, amerebbero Infinito Amare, havere amato. Gekvndio. Amando. Participio Amante. Vedi come à é tempi testé perfetti et al futuro del subienctivo, J5 manchano sue proprie voci: e per questo si composero simile à verbi passivi: él suo participio cho tempi e voci di questo verbo ho, hai, ha. Qual verbo benché é sia della coniugatone in .A. pur non sequita la regola e similitudine degli altri: pero che egli è verbo d'una sillaba e cosi tutti gli altri monosyllabi sono anormali. Ne troverrai in tutta la lingua Toscana verbi monosyllabi, altri c. ioB che questi sei. Do. Fo. Ho. Vo. Sto. Tro. Porremogli adonque qui sotto distincti. Ma per esser breve, notamo che é sono insieme dissimili né é preteriti perfecti indicativi, et né singulari degli imperativi: e nel singular del futuro optativo. Né quali é fanno cosi. Do. diedi. desti. dette. plr. Demo. desti. dettero. Fo. feci. facesti. fecie. plr. facemo. facesti. fecero. Ho. hebbi. havesti. hebbe. plr. havemo. havesti. hebbero. Yo. andai. andasti. andò. plr. andamo. andasti. andarono. 3° Sto. stetti. stesti. stette. plr. stemo. stesti. stettero. Tro. tretti. traesti. trette. plr. traémo. traesti. trettero. In tutti é verbi come fa la seconda persona singulare del preterito, cosi fa la seconda sua plurale come amasti. desti. legesti. Do, da tu, dia luj. Fo. fa tu. faccia luj io. Cod. Amerai.Cod. fecie col puntino sotto l'i. Regole della lingua fiorentina e. 12 A Ho. habbi tu. habbia luj. \"o. va tu. vada lui. Sto. sta tu. stia lui. Tro. tra tu. tria lui. Do, dio eh'io dia, tu dia, lui dia. 5 Fo. faccia. facci. faccia. Ho. habbia. habbi. habbia. Vo. vada. vadi. vada. Sto. stia. stij. stia. Tro. tragga. traggi. tragga. io Sequita la coniugatione in .E. Questa si forma simile alla coniugatione in .A. mutasi quello .e. in .o. e fassi la prima presente indicativa: mutasi in .1. e fassi la seconda come qui legente et scrivente. levatone n.t.e. resta legge, scrive: onde si fa leggo, leggi, leggeva, legerò. etc. Solo varia dalla coniugatione in .A. in que luogi dove variano i monosyllabi. Ma questa e 12 B coniugatione in .e.i varia in più modi, benché comune faccia é preteriti perfetti indicativi in .ssi. per due .ss. come leggo lessi. scrivo scrissi. ma que verbi che finischono in sco, fanno é preteriti in .ij. per due .ii. come esco usci): ardisco ardij. anigittisco anigittij. Ma per più suavità nella lingua toscana non si pronuntiano due iuncte vocali. Da questi verbi si exceptuano cresco e é suoi compositi Rincresco, accresco, e simili, quali finiscono a preteriti perfetti in .bbi. come crebbi, rincrebbi. Item nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. Et que verbi che finiscono in mo, fanno é preteriti in .etti, come premo. premetti. e quei che finiscono in .do. fanno é preteriti in .si. per uno .s. come ardo. arsi. spargo. sparsi. excetto vedo fa vidi, odo, udì, cado, caddi, godo godei e godetti. Et quegli che finiscono in N.D.O. fanno preteriti .si. per uno .s. prendo presi, rispondo risposi, excetto vendo fa 30 e 13 A vendei e vendetti. Sonci di queste regole forsi altre excettioni. ma per bora basti questo principio di tanta cosa chi che sia. a cui diletterà ornare la patria nostra aggiugnera qui quello che ci manchi. Dicemo de'preteriti, resta a dire degli altri. Imperativo Leggi tu. legga ebollii Optativo Futuro singulare Dio chio scriva. tu scriva. lui scriva. e chosi fanno tutti. 1. Per la trasposizione di e. 11 A e e. 1 1 B, v. prefazione. Dopo seconda forse si ha una lacuna: dovevasi indicare come dal part. pres. si fornii la 3a ps. dell'ind. Regoli della lingua fiorentina Verbi impersonali si formano della terza persona del verbo activo in tutti é modi e tempi giuntovi .si. come amasi. leggevasi. scrivasi. Ma questo si suole transporlo in anzi al verbo, giuntovi .e. e dicesi. 5 é si legge, é si corre: et maxime ne l'optativo e subienctivo sempre si prepone, e dicesi. Dio che é s'ami. quando é si leggerà, e simile. Seguitano le Prepositioni Di queste alchune non caggiono in compositione e sono queste: oltre, sine. dietro. doppo. presso. verso. nanzi, fuori, circa. e. 13 B Prepositioni che caggiono in compositione et anchora s'adoperano seiuncte sono di una syllaba o di più. D'una syllaba sono queste. De. De nostri. Detractori. Ad. ad altri. Admiratori. Con. con certi. Conservatori Per. per tutti. Pertinace. Di. di tanti. Diminuti. In. in casa. Importanti. Di preposto allo infinito ha significato quasi come a Latini.Vt. e 20 dicono Io mi sforzo d'esser amato. Quelle de più syllabe sono queste. Sotto. Sottoposto. Sopra e dicesi Sopraposto. Entro. Entromesso. Contro. Contraposto. Prepositioni quale s'adoperano solo in compositione. | Re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex, pre, circum, onde si dice e. 14 A trasposi e circumspetto. Sequitano gli Adverbii Per é tempi si dice hoggi, testé, hora, hieri, crai, tardi, nomai, già, alhora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito. Per é luoghi si dice costi, cola, altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci e ivi e vi. onde si dice io voglio starci, io ci starò, prò qui et verrovi e io vi starò prò ivi. Pelle chose si dice assai, molto, poco, più, meno. Negando si dice, nulla, no, niente, ne. 5. Cod. ne loptativo. 6. Cod. è s.imi. C. Trabalza. Regole della lingua fiorentina Affirmando, si dice, si, anzi, certo, alla fé. Domandando si dice, perche, onde, quando, come, quanto. Dubitando. forse. Narrando si dice, insieme, pari, come, quasi, cosi, bene, male, peggio, meglio, optime, pexime, tale, tanto). 5 e. 14 B Usa la lingua Toscana questi adverbij in luogo di nomi giuntovi l'articolo, e dice él bene. del bene etc. qual cosa ella anchora fa degli imfiniti e dicono él legere del legere. Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme solo in principio della loro coniunctione usa preporre non più che uno articolo, e dicesi io él tuo buono amare, mi piace. Item a similitudine della lingua Gallica piglia el Toscano é nomi singulari feminini adiectivi et agiungevi. mente. e usagli per adverbij. come saviamente bellamente magramente. Interiectioni I5 Sono. queste. heu. hei. ha. o. bau. ma. do. CONIVNCTIONI Sono queste. Mentre, perche, senza, sé, però, benché, certo, adonque, anchora, ma, come, et, ne, osegi [sic]. e 15A Et congiunge: Ne disiunge. O divide. senza si lega| solo à nomi et a gli imfiniti, e dicesi senza più scrivere . tu et io studieremo : che ne lui ne lei siano indocti: ó piaccia ó dispiaccia questa mia inventione. Et questo Ne ha vario significato e vario uso . se si prepone sim- plice à nomi a verbi a pronomi significa negatione, come qui, ne tu «5 ne io meritiamo invidia. Et significa. in. ma agiuntovi. 1. serve à singulari masculini e femminini, e senza. 1. serve a plurali, quali comincino da consonante, à tutti gli altri pluralj masculini e femminini si dice. nel. et quando. s. sarà preposta alla consonante pur si dice. nello spazio. nelle camere, ne letti. nel lo exercito di Dario. negli horti. Et questo Ne se sarà subiuncto a nome o al pronome significa. di qui. di questo. di quello. secondo che l'altre dictioni vi si adatteranno come chi dice Cesare ne va. Pompeio ne viene. e. iSB Et questo Ne preposto al verbo sarà o doppo à mono|syl1abi o 35 30. Cod. camemere. 33. Cod. làltre. Regole della lingua fiorentina doppo a quei di più syllabe, et più i> dellV e dell' in (tinaie ut racwi [ufi id [a unntA rwjVto tn unnwmc- (lunata-turni ; omì cof* #mU' -futre otiti* 1W (rU S{& rn ia .tnoiiA y^Avi Ufticr ttm e' intende mv.fr ' Ovài ne ae'.ie it*Hrc' . i r t d b n H m e r* 0 et / /V C crj M Tav. I. \roc^M * e' e i o 0 h e' e e" r7 - -» / CónmniTte vermi* Arftculns c't (," ' w KoCfi*c .- scis fiixyhM ArHchoa acromi L C c\)c(c ' iti molH pnrtt' \)WHq in mmis. tifimi, 4%c' mzwhni nomi, v/m Utmo - tfen^tuj e-tvjmujrci e rum attrfi cf majiuliiict c'i&mwitut; t nSHtri Ufim fi -fmo wdcww. f iflfa/l 'in orni nmf ' (rtino l* Mnm* shmltret ffitfto /tifi iti cgr> cdf S^^ SIGNIFICA interrogatione, o affirmatione, o precepto. Adonque doppo l’indicativo monosyllabo, la interrogatione si scrive nella prima persona e nella terza persona per due n.n . la seconda persona per uno .11. come interrogando si dice . Vonne io . vane tu? 5 Vanne colui? Nello Imperativo si scrive la seconda per due .n.n. e dicesi . Vanne . danne. La terza si scrive per uno, e dicesi . siane lui, traggane. Et questi monosyllabi la prima indicativa presente affirmando si scrive per due .n.n. e dicono. fonne. vonne. nonne. Se sarà el verbo di più syllabe, la interrogatione- et affirmatione io si scrive per uno.11. in tutti e tempi, excetto la affirmatione in lo futuro, quale si scrive per due .n.n. come dicendo . porterane tu? porteronne . e questo sino qui detto s'intenda per é singulari però che plurali si scrive quello. ne. sempre per uno. n. come andiamone. Non mi stendo negl’altri simili usi a questi. Basta quinci intendere é principij d'investigar lo avanzo. E vitij del favellar in ogni lingua sono o quando s’introducono alle cose nuovi nomi: o, quando gl’usitati si adoperano male. Adoperanosi male DISCORDANDO persone e tempi, come chi dice, “Tu hieri andaremo alla mercati”. E si adoperano male usando i nomi in altro SIGNIFICATO alieno, come chi dice ‘processione’ pro ‘possessione’. Introduconsi nuovi nomi, o in tutto alieni et incogniti, o in qualunque parte mutati. Alieni sono in Toscana più nomi barberi, lasciativi da gente germana, quale più tempo milito in Italia, come helm, vulase, faceman, bandier, e simili. In qualche parte mutati, sono quando alle dictioni s’agiugnera o minuira qualche lettera, come chi dice, “paire” pro “patre”, e “maire” prò “matre”. Et mutati sono come chi dice “Rej plubica” prò “Republica”, e occusfato prò offuscato. e quando si pò- e. 12 b nesse una lettera per un'altra. come chi dicesse, aldisco prò ardisco, inimisi prò inimici. 30 Molto studia la lingua Toscana d'essere breve et expedita; e per questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vitio, ma questi vitij in alcune ditioni e prolationi rendono la lingua più apta, come chi diminuendo dice, “spirto” prò spinto, e maxime l'ultima vocale, e dice papi e “Zanobi” pro “Zanobio.” Credon far quel breve onde s'usa che a tutti gl'infiniti quando loro segue alchuno pronome in .i. allhora si getta l'ultima vocale, e si dice “farti”, “amarvi”, “starci,” etc. E, mutando lettere, dicono “mie” prò “mio” e “mia;” “chieggo” prò “chiedo”, Breve: cod. bv, opp. bu. Regole della lingua fiorentina, “paio” prò paro; “inchiuso” pro “incluso,” “chiave” prò “clave” e aggiugnendo dice “Vuole” prò “vole,” “schuola” prò “scola,” “cielo” prò “celo,” e, in tutto troncando le dictioni dice “vi” prò “quivi” e similiter “stievi” prò “stia ivi.” Se questo nostro opuscolo è tanto grato a chi mi legge, quanto è laborioso a me el congettarlo, certo mi dilecta averlo pròmulgato, tanto quanto mi diletta investigare e raccorre queste cose a mio iuditio degne e da pregiarle. Laudo Dio che in la nostra lingua habbiamo nomai é primi principij; di quello ch'io al tutto mi disfidava potere assequire. Cittadini miei, pregovi, se presso di voj hanno luogo le mie fatighe, habbiate a grado questo animo mio, cupido di honorare la patria nostra: Et insieme piacciavi emendarmi più che biasimarmi se in parte alchuna ci vedete errore. Finis Sumptum ex Bibliotheca .L. medices . Romée anno humanatj Dei . ultima exactum. Keywords: della thoscana senza autore is by LEONARDO Alberti, no LEONE Alberti. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, "Grice ed Alberti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Spreanza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Albertini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della confederazione di Romolo – scuola di Pavia – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pavia). Filosofo pavese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Pavia, Lombardia. Grice: “H. L. A. Hart calls Albertini a Proudhonian!” -- Grice: “I like Albertini; like me, he has dedicated his life to ‘fides,’ or ‘una federazione di due,’ “a garden of Eden just meant for two” – fiducia, fedes – what Remo asked from Romolo, but failed!” Insegna a  Pavia. Sostene un progetto di unione federalista per l'Europa alla guida del movimento federalista europeo e della uunione dei federalisti europei. Adiere al movimento federalista europeo. Di idee liberali, lascia tuttavia il partito liberale dopo la decisione di quest'ultimo di appoggiare la monarchia nel referendum. Dopo la laurea in filosofia divenne docente di filosofia a Pavia. In seguito alla sconfitta sul progetto di esercito europeo, la CED, e alle dimissioni di Spinelli, lo sostitue alla guida del movimento federalista europeo. A Milano con un gruppo di militanti del movimento federalista europeo fonda “Il federalista” che si occupa del dibattito sui temi di fondo del federalismo.  Diresse il Mfe italiano. Presidente dell'unione dei federalisti europei. È poi rimasto come figura di riferimento e d'indirizzo all'interno del Mfe. A livello teorico, fin dalle pagine taglienti e polemiche su lo stato romano, sostene, sulla scia di Einaudi, che a furia di voler custodire una sterile sovranità, lo stato romano è ridotto a polvere senza sostanza. Da lì l'esigenza di guardare all'unificazione europea come alla medicina d'urto indispensabile. Maestro di federalismo, articolo di Colombo, Corriere della Sera, Archivio storico.  Lo Stato romano, La politica, Giuffré, Il federalismo e lo stato federale, Giuffré, Che cos'è il federalismo, L'integrazione europea, Proudhon, Vallecchi, Tutti gli scritti, Mosconi, Il Mulino, Movimento Federalista Europeo Unione dei Federalisti Europei  Centro studi sul federalismo: perspectives on federalism, su on-federalism.eu. Il Federalista: "A. teorico e militante" di Mosconi su thefederalist.eu. Centro studi sul federalismo: Opere di A., su csfederalismo. youtube: A. commenta la manifestazione federalista di Piazza Duomo, su youtube  V D M Logo MFE  Federalismo europeo Flag of Europe. E’ per me un grande onore essere stato invitato a fare una relazione a questo convegno per ricordare A., un FILOSOF che ha fatto tanto per noi federalisti, per l’Europa e per l’umanità intera. Questo onore è particolarmente significativo per me perché egli, come Spinelli, ha fatto del pensiero della scuola inglese, insieme a quello dei Padri fondatori americani, la base del suo pensiero federalista. A. spiega che mentre LA FILOSOFIA fondata sulla fonte inglese da una risposta alla domanda “perché creare la Federazione europea?”, quello fondato sulla fonte del nuovo mondo da una risposta alla domanda “come crearla?”. Quanto alla domanda “quale forma di federazione?”, la risposta, per A. come per gli inglesi, è contenuta nella Costituzione degli Stati Uniti d’America.  Il problema che oggi voglio affrontare riguarda il modo in cui LA FILOSOFIA di A. sviluppa queste due tradizioni federaliste. In generale si può dire che egli è il massimo esponente del pensiero hamiltoniano, oltre che il creatore della scuola federalista italiana. Egli è non solo un esponente, ma anche un innovatore, spesso illuminando la filosofia di altre scuole, in altri casi differenziandosi con contributi originali. Per A., come per Spinelli e per la scuola inglese, la questione centrale era la trasformazione del stato romano a sovranità assoluta in uno stato FEDERATO in uno stato FEDERALE. Per loro il federalismo di Althusius o di Proudhon – considerato da A. come una tecnica per il decentramento del potere politico – non è di grande rilievo. A. sostene che Proudhon rimane, quanto alla concezione dello stato romano, un anarchico, benché egli lo define anche un grande presbite che prevede quale è il limite tragico di una democrazia nazionale qualora non avesse trovato i suoi correttivi nella democrazia locale e nella democrazia europea. A. afferma inoltre che il federalismo richiede la creazione di orbite di governo democratico locale ad ogni livello di manifestazione concreta delle relazioni umane. Ma egli concentra la sua filosofia sulla creazione di una FEDERAZIONE di al meno due stati. Mentre i filosofi della scuola inglese si sono attenuti ad un’esposizione classica della forma di una tale federazione, A. ne fece la migliore ri-elaborazione. Sia la scuola inglese, sia A., condividevano la preferenza per il sistema europeo basato su UN ESECUTIVO PARLAMENTARE piuttosto che quello presidenziale americano, pur accettando per il resto gl’elementi principali della Costituzione americana. A. ritenne cioè più valido un governo responsabile di fronte a un parlamento come istanza di controllo democratico dell’attività dell’ unione o FEDERAZIONE. Egli arricchì la filosofia federalista anche con la sua analisi della relazione tra il concetto di “nazione” e quello di lo “sato.” Secondo A., un “stato nazionale’, con il suo dispotismo, danneggia la vita dei cittadini, ponendo restrizioni allo sviluppo economico I suoi limiti si manifestano anche in una contraddizione tra l’affermazione della democrazia nel quadro nazionale e la sua negazione nel quadro trasnazionale, che pregiudica anche l’affermazione del liberalismo e del socialismo a livello nazionale. Uno stato nazionale dove essere sostituito con uno stato federale “pluri-nazionale.” La Federazione o Unione Europea è un popolo di nazioni, un popolo federale, e non un popolo nazionale. Il federalismo prevede una struttura di stati democratici pluri-nazionali fino al livello mondiale. Il pensiero della scuola inglese su questo tema non è diverso, ma l’analisi di A. è più approfondita. La scuola inglese indica nel federalismo la soluzione alproblema della guerra. Dal punto di vista logico, l'obiettivo finale non può che essere una federazione mondiale, ma essa è realizzabile solo nel lungo periodo. Parecchi, quindi, sostenevano la proposta di Streit per una federazione di XV democrazie, Stati Uniti inclusi, per impedire la guerra provocata dall’Asse di Germania e ITALIA. Ma l’America isolazionista non è disponibile e i leader della scuola inglese si indirizzarono verso l’ipotesi di una federazione delle democrazie europee, in attesa dell’adesione degli stati allora FASCISTI dopo il loro ritorno alla democrazia.  Questo è naturalmente il punto di partenza per A. che, dopo il rifiuto del Regno Unito di partecipare alla Comunità europea, prefigura, per cominciare, una federazione europea comprendente almeno i sei paesi che hanno preso la testa del processo di unificazione, e poi la sua “estensione graduale a tutta l’Europa. Quando il Regno Unito entra nella Comunità, egli aggiunse che bisogna attendere che l’adesione alla Comunità dia i suoi frutti. Attendiamo ancora questi frutti – e speriamo bene!  Wheare indica la somiglianza di istituzioni politiche fra gli stati membri come una condizione della formazione di una federazione. A. è più preciso, affermando che è necessaria, sia nella federazione che negli stati membri, l’attribuzione della sovranità al popolo nel quadro del regime rappresentativo, con la possibilità di sdoppiare la rappresentanza mediante la doppia cittadinanza di ogni elettore. Questa condizione è divenuta particolarmente rilevante per quanto riguarda le nuove democrazie candidate all’adesione all’unione, e rimane un problema cruciale per la creazione di una federazione mondiale.  Robbins pubblica “Economic Planning and International Order”, analizzando le ragioni per le quali il quadro di una federazione internazionale era essenziale per il buon governo di un’economia internazionale. In “The Economic Causes of War”, Robbins spiega perché la causa della guerra non è il capitalismo, bensì la sovranità nazionale, e conclude con un appello appassionato per una federazione europea. A. ricorda che questi due saggi sono le più importanti fonti federalistiche per Spinelli, quando è al confino sull’isola di Ventotene.  Per la scuola inglese del dopoguerra, come per Robbins, la pace è lo scopo del federalismo. La pace – PAX ROMANA -- è il valore centrale e l’obiettivo supremo del federalismo anche per A., la complessità del cui pensiero è talvolta nascosta dalla semplicità delle sue formulazioni. Egli ha ricalcato il pensiero di Lothian definendo la pace non come il semplice fatto che la guerra non è in atto, ma come l’organizzazione di potere che trasforma i rapporti di forza fra gli Stati in rapporti giuridici veri e propri. A. riconosce che con la lotta per l’unificazione europea si sono ottenute le prime forme di politica europea e la fine della rivalità militare fra i vecchi Stati nazionali dell’Europa. Cioè, per quanto riguarda i rapporti reciproci fra questi ultimi, l’obiettivo della pace era già stato raggiunto, mentre per alcuni Stati dell’Europa orientale, e soprattutto per il mondo intero, esso rimaneva l’obiettivo supremo.  Per i cittadini dell’attuale Unione, dunque, altri obiettivi sono diventati più importanti. A. ha citato dal Manifesto di Ventotene l’affermazione che la questione di chi controlla la pianificazione economica è la questione centrale (lo stesso quesito che Robbins aveva proposto), ma ha anche individuato altri valori essenziali del federalismo contemporaneo: la sicurezza ecologica, il rifiuto dell’egemonia (vedi le preoccupazioni di CATTANEO (si veda) e dei Padri fondatori americani) e la democrazia negli Stati nazionali, che la loro interdipendenza sta indebolendo sempre più. Mi pare che questi costituiscano gli elementi per spiegare i valori federalisti ai cittadini dell’Unione europea di oggi. Per quanto riguarda alcuni Stati dell’Europa centrale e orientale, invece, e soprattutto per il federalismo mondiale, la pace rimane l’obiettivo di maggiore rilievo.  In The Price of Peace, Beveridge spiegò che la sovranità nazionale è la causa della guerra, e la rinuncia ad essa in una federazione mondiale il metodo per abolirla. Benché egli riconoscesse che questo obiettivo era lontano e che nel frattempo solo una confederazione sarebbe stata realizzabile, questo libro mi fece avvicinare al federalismo come risposta alla terribile esperienza della guerra. Dopo Hiroshima e Nagasaki, la federazione mondiale sembrava una necessità urgente a milioni di persone, di cui circa mezzo milione comprò Anatomy of Peace di Reves.  Nacquero movimenti per la federazione mondiale, soprattutto nei paesi anglosassoni e in Giappone, leader politici come l’ex-primo ministro Attlee ne diventarono sostenitori, e si sviluppò una letteratura mondialista. Ma il clima della Guerra fredda scoraggiò la maggior parte di coloro che caldeggiavano quell’obiettivo e il pensiero federalistico quasi lo abbandonò.  A. fu un’eccezione. Egli era più coerente, più tenace, più risoluto di altri nel confrontarsi con i fatti del potere e con le sue conseguenze. Per lui, “il rischio della distruzione del genere umano” legato alla bomba atomica era “assolutamente inaccettabile”. Ma egli riconobbe, come Beveridge, che le condizioni per creare la Federazione mondiale non erano presenti e che la lotta per un’Assemblea costituente, fondamentale per la sua dottrina per quanto riguarda la Federazione europea, non era ancora praticabile. La sua strategia per il federalismo mondiale era dunque simile a quella dei federalisti anglosassoni: “il rafforzamento dell’ONU”, insieme ad altri “obiettivi intermedi” nel “processo di superamento degli Stati nazionali esclusivi”, processo che aveva “già raggiunto uno stadio molto avanzato” nella Comunità europea. Tipica del suo pensiero federalistico era l’enfasi sui militanti federalisti, sulla necessità “di costruire… un’avanguardia politica mondiale” per la creazione di una Federazione mondiale. Come creare la Federazione.  Albertini e la scuola inglese erano generalmente d’accordo sulla forma e sul perché della Federazione. Ma le loro idee erano diverse sul come crearla.  Gli inglesi cercavano di influenzare il loro governo, negli anni Trenta e Quaranta, perché adottasse una politica federalista per dare l’avvio ad una federazione, e in seguito per costruire elementi pre-federali nelle istituzioni e nelle competenze della Comunità. I principi fondamentali di Albertini erano invece l’Assemblea costituente e il fatto che i federalisti dovevano rimanere estranei alla lotta per il potere nazionale.  Spinelli ha scritto che egli aveva “lavorato sull’ipotesi che i principali ministri moderati si sarebbero accinti alla costruzione federale”: un metodo assai simile a quello dei federalisti inglesi. Poi, dopo il fallimento del progetto per una Comunità politica europea, egli avviò il Congresso del popolo europeo e lanciò la campagna per dar vita a un’Assemblea costituente attraverso “una protesta popolare crescente… diretta contro la legittimità stessa degli Stati nazionali”. Quando diventò evidente a Spinelli che la campagna non aveva il successo da lui sperato, concepì la proposta che i federalisti acquisissero il potere in un numero crescente di municipi importanti, come base per una successiva campagna. Albertini non poteva accettare questa idea, che contraddiceva tutti i fondamentali principi federalisti, e il Movimento federalista europeo fu d’accordo con lui. Spinelli, infastidito, scrisse nel suo diario che per A., “tentare di preparare l’evento (della lotta finale) era sporco opportunismo, occorreva preparare sé stessi all’evento”. Spinelli era un politico geniale, capace di concepire e condurre campagne d’azione culminate nello straordinario successo della sua ultima battaglia, quella per il Progetto di Trattato per l’Unione europea al Parlamento europeo. Ma egli non restava all’interno di regole stabilite, e la sua tendenza ad iniziare successivi “nuovi corsi” e a impostare nuove strategie presentava troppe difficoltà per un Movimento come il MFE. Albertini era assolutamente convinto che bisogna rispettare certi principi fondamentali, che egli seguiva con una coerenza e una tenacia eccezionali. Queste caratteristiche furono cruciali per la sua posizione nella storia del pensiero federalistico, mettendolo in grado non solo di sviluppare la propria opera intellettuale, ma anche di fondare la scuola italiana del federalismo hamiltoniano.  Una differenza fra A. e gli inglesi era legata alla sua concezione del pensiero storico, basata sul metodo weberiano secondo il quale, nelle sue parole, “non ci sono conoscenze storiche senza quadri teorici di riferimento specifico per ordinare i fatti e completarne il significato (‘tipi ideali’)”, anche se “l’elaborazione teorica deve esser condotta solo sino al punto nel quale essa rende possibile la conoscenza storica e non oltre, perché al di là di questo punto essa si convertirebbe nella pretesa di sostituire la conoscenza storica… con la conoscenza teorica”. Alla tradizione empirica inglese non manca la capacità di sviluppare teorie. L’evoluzione darwiniana e il liberalismo sono testimonianze di questo. Ma mi pare che nella tradizione weberiana lo sviluppo della teoria precede il suo adattamento ai fatti, e forse questo approccio fu una causa delle differenze fra A. e gli inglesi. Benché gli inglesi abbiano sviluppato la loro democrazia attraverso un processo riformista, senza un’Assemblea costituente, l’idea di una tale Assemblea era ritenuta accettabile da molti. Mackay, un importante federalista membro del Parlamento inglese, ottenne il sostegno di un terzo dei membri del Parlamento per una risoluzione che chiedeva un’Assemblea costituente europea. Ma mentre per gli inglesi un processo riformista, a iniziare dalla CECA, sarebbe stato utile, il punto di partenza per A. era soltanto “il conferimento del potere costituente al popolo europeo… o tutto o niente”; bisognava rifiutare “pseudostazioni intermedie… sino a che non si riusciva ad ottenere tutto il potere (ossia quello costituente)”; la soluzione della Comunità “ispirata dal cosiddetto ‘funzionalismo’ (la geniale idea di fare l’Europa a pezzettini…) era sbagliata” e le Comunità economiche erano “parole vuote”. Ma da buon weberiano egli era disposto ad adattare la teoria ai fatti, e scrisse che la CECA aveva stabilito una unità di fatto… così solida da poter sorreggere l’inizio di un processo vero e proprio di integrazione economica”, la quale “fu un fatto capitale per la vita dell’Europa”. E un anno dopo scrisse che “l’integrazione europea è il processo di superamento della contraddizione tra la dimensione dei problemi e quella degli Stati nazionali”, cioè “i fatti dell’integrazione europea” minano i poteri nazionali esclusivi, “creando nel contempo, con l’unità di fatto, un potere europeo di fatto”, che i federalisti possono sfruttare politicamente. Nello stesso saggio egli individuò il trasferimento del controllo dell’esercito, della moneta e di parte delle entrate dai governi nazionali a un governo europeo come elementi cruciali del trasferimento della sovranità; e considerando la prospettiva delle elezioni dirette del Parlamento europeo, egli scrisse che una tale situazione “può essere considerata pre-costituzionale perché dove si manifesta l’intervento diretto dei partiti e dei cittadini si manifesta anche la tendenza alla formazione di un assetto costituzionale”. E’ interessante, perfino commovente, osservare come, mentre gli inglesi, nella loro situazione diversa, trascuravano l’idea della Costituente, A. stava modificando la sua teoria alla luce dei fatti, cioè del successo crescente della Comunità europea. Questo lo ha condotto verso un contributo molto importante al pensiero federalistico: una sintesi dell’approccio di Spinelli e di quello di Monnet. Verso una sintesi di spinellismo e monnetismo.  Le sue idee sulla moneta forniscono un altro esempio dello sviluppo del suo pensiero. Egli scrisse che “non c’è mercato comune senza moneta comune, e moneta comune senza governo comune, dunque il punto di partenza è il governo comune. Ma quattro anni più tardi egli affermò che l’Unione monetaria avrebbe potuto “spingere le forze politiche su un piano inclinato” perché, impegnando qualcuno per qualcosa che implica il potere politico, può accadere che finisca “per trovarsi, suo malgrado, nella necessità di crearlo”. Sul terreno monetario, sarebbero stati possibili “dei passi avanti di natura istituzionale, tangibile, europea, ad esempio nella direzione indicata da Triffin”, cioè un sistema europeo di riserve, che sarebbe stato scambiato dalla classe politica “per una tappa sulla via della creazione di una moneta europea”; e si poteva prevedere, dunque, “un punto scivoloso verso una situazione che si potrebbe chiamare di ‘Costituente strisciante’. A. stava “preparando l’evento”, anche se non nel modo approvato da Spinelli, il cui progetto era allora diverso e che scrisse nel suo diario che A. aveva ridotto il MFE in “sciocchi seguaci di Werner”, nel cui Rapporto erano indicate le tappe verso l’Unione economico-monetaria. Ma la riconciliazione fra i due non era lontana, grazie alle imminenti elezioni dirette del Parlamento europeo e al grande Progetto di Trattato per l’Unione europea elaborato da Spinelli.  A., nella sua analisi dell’Unione monetaria, aveva individuato le elezioni dirette come punto decisivo “perché riguarda la fonte stessa della formazione della volontà pubblica democratica”. Le elezioni del Parlamento europeo sarebbero state una delle chiavi, dunque, insieme alla moneta e all’esercito, per il trasferimento della sovranità. Il Consiglio europeo decise le elezioni e Spinelli si imbarcò nel suo quinto e ultimo nuovo corso. A. osservò che era “iniziata la fase politica – per definizione costituente – del processo di integrazione europea”, e concluse che la Comunità sarebbe stata la base della Federazione europea, attraverso “singoli atti costituenti che rafforzano il grado costituente del processo rendendo possibili ulteriori atti costituenti e così via”, e che “solo con una prima forma di Stato europeo (da istituire con un atto costituente ad hoc) si può avviare il processo di formazione dello Stato europeo per così dire definitivo”: cioè bisogna accettare “il paradosso di ‘fare uno Stato per fare lo Stato’”. Egli rese esplicito il ruolo della Comunità in questo processo, nella “costruzione graduale, e via via pari al grado di unione raggiunto, di un apparato politico e amministrativo europeo”: un processo che “si può in teoria considerare finito solo quando lo Stato iniziale europeo (con sovranità monetaria, ma non in materia di difesa), si sia trasformato nello Stato europeo definitivo, con tutte le competenze necessarie per l’azione di un governo federale normale. Il cammino weberiano di A. conduceva, dunque, verso una sintesi feconda fra lo spinellismo e il monnetismo attraverso “l’idea di sfruttare le possibilità del funzionalismo per giungere al costituzionalismo”, perché “l’unificazione europea è un processo di integrazione… strettamente collegato con un processo di costruzione degli elementi istituzionali a volta a volta indispensabili…” Egli era pronto per spiegare in termini teorici l’ultima opera di Spinelli, cioè il Progetto di Trattato per l’Unione europea del Parlamento europeo. Dal progetto di Trattato alla Convenzione di Laeken.  A. riteneva che il progetto fosse realistico, perché proponeva “il minimo istituzionale indispensabile per fondare le decisioni europee sul consenso dei cittadini”. Il “pregio maggiore del progetto” stava nel fatto che “affidava al Parlamento a) il potere legislativo”, detto oggi codecisione, in modo che “l’attuale Consiglio dei Ministri… per questo rispetto, funzionerebbe come un Senato federale”, e “b) il potere che risulta dal controllo parlamentare della Commissione, che comincerebbe ad assumere la forma di un governo europeo”. Il progetto era “ragionevole”, perché “solo quando l’Unione avrà dimostrato di saper funzionare bene, sarà possibile disporre della grande maggioranza necessaria per attribuire all’Unione la sovranità anche in materia di politica estera e di difesa. Esso conteneva, dunque, l’idea accennata prima di “fare uno Stato per fare lo Stato”.  Il genio politico di Spinelli, manifestato nel progetto di Trattato, non solo ha favorito la riconciliazione fra lui e A., ma ha anche portato a un esito concreto un elemento molto importante del pensiero federalistico di Albertini, cioè la relazione fra l’azione politica e la filosofia di Monnet e di Spinelli. E’ tragico che Spinelli sia morto credendo che il progetto fosse fallito perché l’Atto unico era un “topolino morto”. A. è invece sopravvissuto finché si sono manifestate conseguenze veramente significative. In un documento pubblicato sull’Unità europea, egli ha potuto affermare che, “salvo catastrofi”, il potere di fare la politica monetaria sarebbe stato trasferito al livello europeo, e che dunque bisognava adeguare il meccanismo decisionale, “facendo funzionare la Comunità come una federazione nella sfera dove un potere europeo, in prospettiva, c’è già (quello economico-monetario con le sue implicazioni internazionali); e come una confederazione nella sfera nella quale un potere di questo genere non c’è e non ci sarà per un tempo indefinito (difesa)”. Il “Trattato-costituzione” del Parlamento – prosegue il documento – porterà ad una “evoluzione naturale delle istituzioni (il Consiglio europeo come presidente collegiale della Comunità o Unione, il Consiglio dei Ministri come Camera degli Stati, la Commissione come governo responsabile di fronte al Parlamento europeo, il Parlamento europeo come istanza di controllo democratico dell’attività dell’Unione e come detentore, insieme al Consiglio, del potere legislativo)”. Si può registrare un progresso significativo di questa “evoluzione naturale” negli anni Novanta. Il voto a maggioranza qualificata è già applicabile nel Consiglio all’80% degli atti legislativi; il Parlamento ha un diritto di codecisione per più della metà degli atti legislativi e per il bilancio; la responsabilità della Commissione di fronte al Parlamento è stata clamorosamente dimostrata. La Comunità non funziona ancora “come una federazione nella sfera dove un potere europeo c’è già”, cioè in quella economica e monetaria; ma la Convenzione di Laeken apre la porta al compimento del processo.  La questione non è più se ci sarà un documento chiamato costituzione. Questo ora appare accettabile, oltre che per gli altri governi, anche per quello britannico. La questione cruciale è se le istituzioni saranno veramente federali, completando l’evoluzione prevista da A., compresa la codecisione e il voto a maggioranza per tutte le decisioni legislative, insieme alla piena responsabilità della Commissione come governo di fronte al Parlamento.  La lotta federalista non è divenuta meno ardua, perché i sostenitori della dottrina intergovernativa includono, a quanto pare, non solo i governi britannico, danese e svedese, ma anche quello francese, e persino quello italiano. Bisogna persuadere i cittadini, le classi politiche, e infine i governi, che una costituzione basata sul principio della cooperazione intergovernativa sarebbe sia inefficace che antidemocratica. Grazie all’opera di Spinelli e di A., e ai contributi di tanti altri, il MFE è senz’altro pronto a far fronte a questa sfida, in particolare per quanto riguarda i cittadini, la classe politica e soprattutto il governo italiano. Spero di avere dato qualche indicazione del ricco, ampio, profondo e colto contributo di A. al pensiero federalista della sua epoca.  Forse è stata la scelta soggettiva di un federalista britannico l’aver sottolineato l’importanza particolare, per la storia di questo pensiero, della sintesi fatta da A. degli approcci dei due geniali federalisti della seconda metà del Novecento: Monnet e Spinelli.  Oltre che con le sue opere, egli ha dato un contributo al pensiero federalista come fondatore della scuola moderna italiana. Al tempo stesso, dopo che Spinelli ha fondato, ispirato e guidato il MFE con un carisma eccezionale, A. ha creato e sostenuto il Movimento che è stato capace di organizzare la grande manifestazione di Milano, con la partecipazione di circa mezzo milione di persone, nel giugno del 1984, per chiedere al Consiglio europeo di sostenere il Progetto di Trattato di Spinelli; e, cinque anni dopo, di ottenere il consenso dell’88% dei votanti nel referendum italiano su un mandato costituente per il Parlamento europeo. Come e perché un solo uomo ha fatto tutte queste cose diverse? Forse l’impressione di un osservatore esterno potrebbe interessarvi.  A. nei suoi scritti ha messo in evidenza sia la ragione, sia la volontà. Egli era orientato da entrambe e operava sulla base di entrambe, con enfasi sulla ragione per la sua opera intellettuale, e sulla volontà come Presidente del Movimento; e metteva entrambe al servizio della sua fede profonda nel federalismo come priorità essenziale per il benessere e per la sopravvivenza stessa del genere umano. Egli espresse questo atteggiamento in un modo non molto conosciuto fuori del MFE, sottolineando che servono “delle persone che fanno della contraddizione tra i fatti e i valori una questione personale”, in un contesto nel quale “il distacco tra ciò che è, e ciò che deve essere, è enorme”  A. dedicò la sua filosofia all’impegno per risolvere questa contraddizione e aveva la capacità di persuadere altri a fare lo stesso. Egli era un oratore ispirato e, benché i suoi scritti fossero talvolta complicati, era anche capace di formulare concetti in modo semplice e appassionato, come quando ha scritto che “la federazione… ha realizzato istituzioni molto sagge, capaci di trasmettere a molte generazioni una forte esperienza di diversità nell’unità, di libertà, di pace”; che “soltanto la politica e solo nel massimo della sua espressione, può risolvere i problemi delle relazioni internazionali”; e inoltre che serve l’avanguardia mondiale “per il grande compito mondiale della costruzione della pace”.  La sua capacità di ispirare gli altri era basata sulla sua fede nel valore di ciascuno, nella fiducia che ogni persona avesse sia la capacità che la responsabilità di dare il proprio contributo. Le sue idee sugli apporti di diverse persone e organizzazioni sono state una parte del suo contributo al pensiero federalista. C’era posto per quelli che accettavano passivamente il federalismo e per i leader occasionali. Ma la sua predilezione era per il nucleo duro dei militanti, la cui opera in particolare era basata sulla percezione della contraddizione tra fatti e valori. Egli trasmise un messaggio speciale agli intellettuali, ai quali ricordò la necessità dell’ “uscita nel campo aperto degli uomini di cultura per completare la politica come arte del possibile – la politica in senso stretto – con la politica in senso largo, cioè l’arte di far diventare possibile ciò che non lo è ancora. Per questi – per voi – l’enfasi era sulla volontà come sulla ragione. Spinelli scrive nel suo diario: “Ho lanciato ad A. l’idea di costituire un ‘ordine federalista europeo’. Che sia questa una buona idea?. Spinelli era un grande innovatore, con notevole capacità di intuizione. Albertini aveva le caratteristiche per realizzare quell’idea: sincerità, integrità, coraggio, coerenza, devozione. Mi pare che egli abbia davvero creato una specie di ordine federalista.  La sua opera era un processo continuo di costruzione; e ora voi, i suoi colleghi e amici, avete la responsabilità di proseguirla senza di lui, considerandolo non come un monumento di erudizione e di impegno eccezionale ma come una tradizione vivente che voi dovete continuare a sviluppare.  Quanto a me, benché non sia d’accordo con tutte le sue idee, ho un tale apprezzamento per la sua opera e una tale convinzione della sua importanza che sto lavorando, con l’aiuto dell’Istituto Spinelli, su un’antologia in lingua inglese dei suoi saggi, perché queste idee siano meglio conosciute dal pubblico dei lettori che leggono, non l’italiano, ma la lingua che Albertini designò, nel primo numero del Federalistapubblicato anche in inglese, come la lingua universale necessaria nella sfera politica. Spero che questa antologia non solo sarà utile per i federalisti non italiani, ma favorirà anche un giusto riconoscimento del contributo di Albertini nella storia del pensiero federalista. E’ con grande piacere, in conclusione, che esprimo la mia ammirazione e gratitudine per la vita di A., e per la sua devozione esemplare alla nostra causa suprema del federalismo. Nelle parole incomparabili di Shakespeare: “He was a man, take him for all in all, we shall not look upon his like again. Si tratta dell’intervento al convegno di studi organizzato dalle Università di Milano e di Pavia e dal Movimento federalista europeo sulla figura di studioso e di militante di A.. A., L’unificazione europea e il potere costituente, in Nazionalismo e Federalismo, Bologna, Il Mulino (Molti degli scritti di Albertini sono stati ripubblicati, con l’indicazione delle rispettive fonti, in due antologie: Nazionalismo e Federalismo e Una rivoluzione pacifica. Dalle nazioni all’Europa, da cui sono state tratte le citazioni. Si è posta tra parentesi, dopo il titolo, la data del saggio originale per aiutare i lettori a valutare il contesto e tracciare cronologicamente lo sviluppo del suo pensiero). A., Il Risorgimento e l’unità europea, in Lo Stato nazionale, Bologna, Il Mulino, A., La Federazione e Le radici storiche e culturali del federalismo europeo, in Nazionalismo e Federalismo; A., La Federazione; A., Moneta europea e unione politica; Una rivoluzione pacifica. Dalle Nazioni all’Europa, Bologna, Il Mulino, Mario A., Lo Stato nazionale, Bologna, Il Mulino. [A., La nazione, il feticcio ideologico del nostro tempo in Id., Nazionalismo e Federalismo, cAlbertini, Le radici storiche, L’integrazione europea, elementi per un inquadramento storico, in Id., Nazionalismo e Federalismo; Qu’est-ce que le fédéralisme? Recueil des textes choisis et annotés, Parigi, Société Européenne d’Etudes et d’Informations; A., Per un uso controllato della terminologia nazionale e supernazionale, in Id., Nazionalismo e Federalismo, Mario A., La strategia della lotta per l’Europa, in Id., Una rivoluzione pacifica; A., Il problema monetario e il problema politico europeo, in Id., Una rivoluzione pacifica; Wheare, Federal Government, Londra, Oxford, in italiano inWheare, Del governo federale, Bologna, Il Mulino, A., L’unificazione europea e il potere costituente, in Id., Nazionalismo e Federalismo,  Lionel Robbins, Economic Planning and International Order, Londra, Macmillan, The Economic Causes of War, Londra, Cape; alcuni capitoli di ambedue in italiano in Lionel Robbins, Il federalismo e l’ordine economico internazionale, Bologna, Il Mulino; Cfr. A., L’unificazione europea. Cfr. anche John Pinder, Spinelli and the British Federalists: Writings by Beveridge, Robbins and Spinelli, Londra, Federal Trust, Mario Albertini, Qu’est-ce que le fédéralisme? Cultura della pace e cultura della guerra, in Id., Nazionalismo e Federalismo, A., Le radici storiche; Lord Lothian, Pacifism is not Enough, in Pinder e Bosco, Pacifism is not Enough: Collected Lectures and Speeches of Lothian (Kerr), Londra, Lothian Foundation Press, In italiano: Lord Lothian, Il pacifismo non basta, Bologna, Mulino; A., La pace come obiettivo supremo della lotta politica, in Id. Nazionalismo e Federalismo; A., L’unificazione europea, Albertini, Cultura della pace e cultura della guerra, Albertini, Le radici storiche, A., La strategia, William Beveridge, The Price of Peace, Londra, Pilot. Emery Reves, The Anatomy of Peace, New York, Harper, Anatomia della pace, Bologna, Il Mulino. A., La pace come obiettivo supremo. Mario Albertini, Verso un governo mondiale, in Id., Nazionalismo e Federalismo, Mario Albertini, Verso un governo mondiale, Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. La goccia e la roccia, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, Spinelli, Diario europeo, Paolini, Bologna, Il Mulino, Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere costituente, Cfr. Pinder, “Manifesta la verità ai potenti”: i federalisti britannici e l’establishment, in AA.VV., I movimenti per l’unità europea 1945-1954, a cura di Sergio Pistone, Milano, Jaca, Mario Albertini, Quattro banalità e una conclusione sul Vertice europeo in Id., Nazionalismo e federalismo, Mario Albertini, L’integrazione europea, Mario Albertini, La strategia Mario Albertini, Il Parlamento europeo. Profilo storico, giuridico e politico (1971), in Id., Una rivoluzione pacifica, A., L’aspetto di potere della programmazione europea, Id., in Nazionalismo e Federalismo, A., Il problema monetario, Spinelli, Diario europeo, Mario Albertini, Il problema monetario; Spinelli, La goccia e la roccia, op. cit., p. 18.  [43] Mario Albertini, Elezione europea, governo europeo e Stato europeo (1976), in Id., Una rivoluzione pacifica, Mario Albertini, L’Europa sulla soglia dell’unione, in Id., Nazionalismo e Federalismo, Moneta europea e unione politica. Un documento del Presidente Albertini in vista del Consiglio europeo di dicembre, in L’Unità europea, Per esempio in Mario Albertini, Verso un governo mondiale, Albertini, La strategia. Le radici storiche Mario Albertini, La federazione, L’integrazione europea, Verso un governo mondiale, Mario Albertini, La strategia, Albertini, Il Parlamento europeo, Spinelli, Diario europeo, Mario Albertini, un governo mondiale. Non ho menzionato finora nessuno fra i federalisti italiani viventi, perché non sarebbe giusto individuare alcuni fra i tanti che hanno fatto cose importanti per il federalismo contemporaneo. Ma in questo contesto sarebbe del tutto ingiusto non menzionare il mio debito nei confronti di un federalista della nuova generazione che ha avanzato la proposta dell’antologia, per cui ha fatto una selezione di saggi (materiale eccellente anche per la preparazione di questo mio articolo), cioè Roberto Castaldi, che ha preso questa iniziativa quando studiava per la sua tesi di master sull’opera di Albertini all’Università di Reading. Grice: “At Oxford, we never analysed the concept of the ‘state’ – but Romolo did: he thought that HE was the state, and his brother was not!: -Nome compiuto: Mario Albertini. Albertini. Keywords: la confederazione di Romolo, federale, italia federale, politica federalista, filosofia federalista, stato italiano, gli stati uniti d’America sono una repubblica federale. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albertini,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.  

 

Luigi Speranza -- Grice ed Albino: l’implicatura conversazionale della “Dialettica” – citata da Boezio.  Luigi Speranza (console). Filosofo italiano. Console del regno degl’ostro-goti. Contitolare: Flavio Eusebio/ Capo di Stato: Teodorico il Grande; Prefetto del pretorio d'Italia del Regno Ostrogoto. Capo di Stato Teodorico il Grande. Professione: FILOSOFO. Fausto A. iunior è un filosofo romano. Il nome “Fausto” è ma non certo. L’appellativo «iunior» è attestato in un'iscrizione. Appartene alla gens “Caecina” ed è fratello di Flavio AVIENO iunior, console, di Teodoro, console e di Flavio Importuno, console. Loro padre è Cecina Decio Massimo Basilio, console, ed è imparentato con Anicio Probo Fausto, console. Console in Occidente assieme a Flavio Eusebio in Oriente. Prefetto del pretorio d'Italiaa, costruì una basilica intitolata a Pietro al 27º miglio da Roma della via Tiburtina, dove ha delle proprietà, e ottenne che Simmaco la dedica. Onorato del titolo di “patricius”.  Si trova a corte a Ravenna; quando il padre muore, assieme al fratello si incarica del patronato dei Verdi, una delle fazioni dell'ippodromo di Roma e scelge un danzatore come pantomimo dei Verdi. Entra anche nella disputa per la ricomposizione dello scisma tra Roma e Costantinopoli. Vicino alle posizioni d’Ormisda, cerca di far emergere una distinzione tra coloro che avevano condannato la dottrina calcedonica tramite scritti e quelli che l'avevano fatto solo oralmente. Gli venne mossa l'accusa di aver intrattenuto rapporti configuranti il tradimento nei confronti di Teodorico con la corte dell'impero romano d'Oriente, avendo inviato delle lettere all'imperatore Giustino. In difesa d’A. intervenne BOEZIO, il quale, però, venne a sua volta accusato di tradimento e poi messo a morte. Il destino di A. non è noto. Ha degli scambi epistolari con Ennodio. Se uno dei sedili del colosseo riservati ai senatori di cui è rimasta l'incisione è il suo, si chiama A. CIL; Cassiodoro, Variae; Cassiodoro, Variae; PLRE II, Cambridge. Lamma, A., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Predecessore Console romano Successore Imperatore Cesare Flavio Anastasio Augusto, Flavio Rufo; Flavio Turcio Rufio Aproniano Asterio Iunior, Flavio Presidio con Flavio Eusebio Antica Roma; Biografie Categorie: Politici romani; Consoli romani Decii Patricii. Grice: “If you ever wondered if Albino ever read Boezio’s commentary on the commentary of the commentary of De Interpretatione, so did I!” Keywords: dialettica. Cecina Decio Acinazio Albino. Albino. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albino,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Albino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to an inscription found in Rome, A. holds high public office, and is also a philosopher – “which should surprse some” (Grice). Strawson: “More than my obituary of Grice for the Times as ‘professional philosopher and amateur cricketer” surprised its readershiip!” – Nome compiuito: Cionio Rufo Albino. Albino. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albino,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO: Grice ed Alboini – (Mantova). Abstract. Keywords: logica. Cited by Read. Imposition is meaning. Position, thesei. Nicoletti.  Nasce da Giovanni, con ogni probabilità a Mantova. È noto che il padre è titolare d’un beneficio ecclesiastico nella cattedrale della città natale, ma sulla sua famiglia le notizie sono scarse, tanto che si ritiene preferibile privilegiare le denominazioni Pietro da Mantova o Petrus Mantuanus con le quali è prevalentemente indicato nelle fonti e pure nella letteratura critica. Studia quasi sicuramente a Padova: nella documentazione universitaria è con certezza attestato. Gloria. Qui poté studiare le opere logiche dei docenti di Oxford e soprattutto quelle della tradizione parigina. Padova si distingue allora per tali studi; vi insegnavano PELACANI (vedasi), Angelo da Fossombrone, Jacopo da Forlì, Bartolomeo da Mantova, tutti conoscitori della filosofia e logica sia parigina che oxoniense. A questi anni patavini risale la stesura di una delle sue opere principali, la Logica. Il testo non si distingue né per la proposizione di idee nuove né per il suo distaccarsi dal formalismo del nominalismo, ma si caratterizza piuttosto pell’autonomia di interpretazione e di discussione che l’autore dimostra gettando luce, fra l’altro, sui rapporti fra logica e studia humanitatis, tanto da essere raffinata architettura terministica. Vasoli. Ben presto, tuttavia, si trasferì a BOLOGNA, dove si coltiva in particolare lo studio della logica inglese: qui è documentato come lettore di filosofia naturale –Dallari --, avendo come colleghi Francesco da Camerino e Giacomo di Armi. A quell’anno risale una sua lettera diretta a Tomasi di Padova in cui si evidenziano i suoi legami ancora forti con l’ambiente padovano e i legami con un Petrus Paulus nel quale s’è voluto identificare Pietro Paolo Vergerio. A Bologna, dove svolge la sua attività di docente, insegna anche filosofia morale. Tale insegnamento gli valge una certa notorietà, tanto che proprio di tale sua attività SALUTATI (vedasi) si congratula in una lettera, paragonandola a quella dei più illustri filosofi inglesi contemporanei, ed esaltandone l’erudizione e le ricerche. ALT. A tematiche di filosofia naturale è dedicata l’altra sua simportante opera, attribuibile forse proprio al periodo bolognese: il Tractatus de primo et ultimo instanti, secondo Vasoli un esempio importante del tentativo di utilizzare nell’ambito dei problemi fisici i procedimenti dei calculatore. In essa si affronta la possibilità di dare dei limiti temporali agli oggetti. Nella sua analisi l’autore, pur muovendosi sul piano della fisica escludendo ogni considerazione sia logica che teologica, parte da termini astratti della logica per tornare alle cose concrete della natura. Sono affrontati rispettivamente l’iniziare a essere e il cessare di essere. Quanto al suo insegnamento di filosofia morale, se ne è spesso discusso. Certo è che Pietro si occupa di Seneca, le cui epistolae sono tra le fonti principali dei seguaci della filosofia del portico e in special modo per coloro che si interessano di etica e di filosofia morale. Lo testimonia l’importante e unico frammento pervenuto di una sua esposizione della lettera a Lucilio -- l’expositio primae epistolae Senecae ad Lucillum, nel cod. Vat. Lat. -- che dove costituire l’incipit del corso di filosofia morale. Si tratta della lettera in cui Seneca tratta del buono e cattivo uso del tempo nella vita degli uomini, tema che al filosofo mantovano interessa in modo particolare. Lo scritto denota una grande sensibilità e accuratezza filologica da parte dell’autore, che analizza in modo minuto ogni passo del testo. Nonostante M. -- che è anche un profondo conoscitore della fisica del LIZIO, come evidenziano i numerosi lavori di Vasoli e l’indagini di Sgarbi cui si rimanda -- sia stato attivo per un periodo di tempo piuttosto breve – un solo decennio – la sua filosofia godette di larga notorietà ed è accolta con favore negli ambienti scolastici italiani. La sua Logica ha larga diffusione e continua ad essere letta e discussa tanto a Padova quanto a Bologna e Pavia sino alla sua prima pubblicazione a stampa, avvenuta a Padova: il testo non è stato, dunque, dimenticato nemmeno a decenni di distanza dalla morte del suo autore e anzi le sue opere continuano a essere impiegate in ambito scolastico. Anche il Tractatus de primo et ultimo instanti è considerato dalla critica non un manuale compilativo, ma il frutto di riflessioni originali. Non per nulla a M. fanno esplicito riferimento Gaetano da Thiene, Simone da Lendinara, Achillini. Secondo Pomponazzi il filosofo mantovano fu acutissimo, e l’unico fra i calculatores a meritare d’essere ricordato e studiato. La sua ‘fortuna’ si sarebbe protratta almeno sino a quando la logica dei calculatores declina colla lettura delle opere in greco di Aristotele e dei commentatori.  La morte di M. va collocata fra quando appare menzionato per l’ultima volta nel registro delle lezioni, e l’anno cui risale una lettera di Arcangelo della Pergola a Turchi, dalla quale si ricava per l’appunto che la sua morte sarebbe avvenuta l’anno precedente.  Fonti e Bibl.: Gloria, Monumenti della Università di Padova, Padova; Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese. Aggiunte e indice, Bologna; Cessi, Tomasi erudito , in Athenaeum; Epistolario di Salutati, a cura di Novati, Roma; NICOLETTI (vedasi) Veneto, Logica Magna, a cura di Adams, Oxford. Dictionnaire des Sciences Philosophiques, a cura di Franck, Paris; Dionisotti, Barbaro e la fortuna di Suiseth, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Nardi, Firenze; Wilson, Heytesbury, Medieval Logic and the Rise of Mathematical Physics, Madison; Faccioli, Mantova. Le lettere, La cultura nel Medioevo, Mantova; Garin, La cultura fiorentina e i barbari britanni, in La rassegna della letteratura italiana; Vasoli, A. da Mantova. «Scolastico» e un’epistola di Coluccio Salutati, in Rinascimento (anche in Arte, pensiero e cultura a Mantova nel primo Rinascimento in rapporto con la Toscana e con il Veneto, Firenze, e in Id. Studi sulla cultura del Rinascimento, Manduria; James, De primo et ultimo instanti Petri A. Mantuani, Columbia, Berlin-New York; Garin, Medioevo e Rinascimento, Roma-Bari; T.E. James, Peter A, of Mantua: Philosopher-Humanist, in Journal of the history of philosophy; Maierù, Il problema del SIGNIFICATO nella logica di P. da Mantova, in Antiqui und Moderni. Traditionsbewußtsein und Fortschritts-bewußtsein im späten Mittelalter, a cura di Zimmermann, Berlin-New York; James, A fragment of an exposition of the First Letter of Seneca to Lucilius attributed to Peter of Mantua, in Philosophy and humanism. Renaissanxe essays in honor of Kristeller, a cura di Mahoney, Leiden; Libera, Apollinaire Offredi critique de Pierre de Mantoue: le Tractatus de Instanti et la logique du changement, in English logic in Italy in the 14th and 15th Centuries. Acts of the European Symposium on Medieval logic and semantics, a cura di Maierù, Napoli; Courtenay, The early stages in the introduction of Oxford logic into Italy; Bos, Peter of Mantua’s Tract on Appellatio and his interpretation of immanent forms; Peter of Mantua and his rejection of ampliatio and restrictio, in The rise of British logic. Acts of the European Symposium on Medieval logic and semantics, a cura di O. Lewry, Toronto; Id., Peter of Mantua’s treatise De veritate et falsitate, sive de taliter et qualiter, in Medieval semantics and metaphysics. Studies dedicated to Rijk, Professor of ancient and Medieval philosophy at the University of Leiden, a cura di Bos, Nijmegen; Bertagna, La dottrina delle conseguenze nella logica di P. da Mantova, in Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale; Vasoli, La tradizione scolastica e le novità filosofiche umanistiche, in Le filosofie del Rinascimento, a cura di Pissavino, Milano; Bianchi, Le scienze. La continuità della scienza scolastica, gli apporti della filologia, i nuovi ideali di sapere; Occaso, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e Rinascimento, Mantova; Sgarbi, Pietro A. da Mantova. Logico, fisico e umanista, in Atti e Memorie della Accademia nazionale virgiliana di scienze lettere e arti.  Truth and Paradox in Late XIVth Century Logic :  Peter of Mantua’s Treatise on Insoluble Propositions*  1. IntroductIon  the purpose of this paper is to present the views of the late XiVth century italian  logician Peter of Mantua (d. 1399/1400)1 on semantic paradoxes. in the Middle ages,  the topic usually falls within the broader category of the so-called insolubilia-litera ture, a genre that covers a variety of logical puzzles whose focus is not necessarily  — albeit prominently — on semantic issues. i shall offer a preliminary assessment  of the contents of a treatise that Peter wrote in the early 1390s as part of his Logica,  and analyse it on the background of some late medieval discussions concerning the  relationship between truth and paradox. the text has never been edited or studied so  far, and its contents are presented here in detail for the first time .  Medieval analyses and solutions to semantic paradoxes, i.e. such self-referential  propositions involving truth and falsehood that, combined with appropriate contextual  conditions, give rise to contradictions, are often connected to, if not entirely depending  upon, some specific characterisation of those two fundamental semantic notions. This  *  this contribution was originally conceived as a paper to be presented at the 14th Moody orkshop  this contribution was originally conceived as a paper to be presented at the 14th Moody orkshop  on Medieval Philosophy and Logic, held at the University of california at Los angeles in april 011. i wish  to thank calvin normore, christopher Martin and claude Panaccio for their remarks and criticisms on  that occasion. i am also grateful to christopher Martin and Stephen Read for their comments on an earlier  draft of the paper. all shortcomings are mine.  1A reconstruction of Peter of Mantua’s profile is found in t. E. JamEs, Peter Alboini of Mantua : Phi losopher-Humanist, « Journal of the History of Philosophy », 1 , , 1974, pp.161-170.  after quite a lot of invaluable editorial and interpretive work, owed primarily to the efforts of P. V. Spade  in the 1970s and 1980s (P. V. sPadE, The Medieval Liar : A Catalogue of the insolubilia-Literature, Pontifical  institute of Mediaeval Studies, toronto 1975 remains, to date, the only comprehensive source book), there  has been for some time a relatively quiet phase in the studies on insolubilia. in the last few years, however,  the topic was the object of a revival of interest, after a number of articles by S. Read that culminated with  his own edition of Thomas Bradwardine’s treatise, one of the most relevant medieval texts in the field, see t.  BradwardInE, Insolubilia, ed. s. rEad, Peeters, Leuven 008 (dallas Medieval texts and translations, 10). i  am currently preparing the critical edition of Peter of Mantua’s text. this is meant to provide new materials  for investigation and inject them into a debate that has a long and well-established history, but in which  considerable work is still to be done in terms of the editing of texts and the understanding of their contents ;  the same being true of the complex geography of their transmission and mutual influence. « Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale » XXiii ( 01 ) 476  rIccardo stroBIno  claim may not universally hold of all medieval accounts, but it certainly does of a significant  number of them, especially from the second quarter of the XiVth century onwards. in  this respect, some of the problems raised within the debate on insolubles turn out to  be relevant also in connection with the development of medieval theories of truth3. in  Peter’s case, truth plays an important role (although not the definition of truth to be  found elsewhere in his logical writings, namely in the treatise De taliter et qualiter seu De  veritate et falsitate propositionis) for his own solution to the Liar, and a reconstruction  of his approach — particularly of the criticisms he raises against his restricted list of  opponents — offers a chance to discuss what is going on in his background.  To set the stage, I will first sketch the development of the insolubilia tradition, focus ing in particular on the XIVth century (§2). In doing so, I will briefly introduce two lists  of solutions (bradwardine’s and Paul of Venice’s) that are separated by a span of about  seventy years from each other and represent two important chronological boundaries  for the identification of the main theoretical strands. This will give a general idea of the  evolution of the most mature phase of the medieval interest in the topic. then i will turn  to Peter of Mantua (§3). i shall present an outline of his treatise by describing the three  accounts that he discusses and rejects as well as a sketch of his own solution (§3.1).  the latter will be then analysed and discussed in detail (§3. ) and put into connection  with earlier and later sources (§3.3). despite its apparent appeal, it will be shown (§3.4)  that the solution cannot count as a general way to get rid of the paradox because of the  so-called revenge problem. Finally, (§4) i shall draw some conclusions concerning the  solution from the standpoint of the contemporary debate on semantic paradoxes.  2. dEVEloPmEnts of thE insolubilia-lItEraturE  the history of the treatment of semantic paradoxes in the Middle ages can be  divided into three main periods4. The first phase, starting from the late XIIth century  3a case in point is the discussion of truth and the Liar paradox found in buridan’s Sophismata (especially  in part of ch.  On the Causes of Truth and Falsity of Propositions, pp. 845-86 , and in ch. 8 On Self-referential  Propositions, pp. 95-997), see J. BurIdan, Summulae de Dialectica. An Annotated Translation with a Philosophical  Introduction by Gyula Klima, Yale University Press, New Haven 2011. It should be noted that the difficulties  raised by the Liar are connected with buridan’s account of the validity of consequences, which is spelled out  without recourse to the notion of truth, see G. KlIma, Logic without Truth. Buridan on the Liar, in S. rahman,  t. tulEnhEImo, E. GEnot eds., Unity, Truth and the Liar. The Modern Relevance of Medieval Solutions to the  Liar Paradox, Springer, berlin 008 (Logic, Epistemology, and the Unity of Science, 8), pp. 86-11 .  4an early reconstruction is found in  an early reconstruction is found in P. V. sPadE  sPadE, Insolubilia, in n. KrEtzmann, a. KEnny, J. PInBorG  eds., The Cambridge History of Later Medieval Philosophy, cambridge University Press, cambridge 198 , pp.  46- 5 . More recently, see P. V. sPadE, s. rEad, Insolubles, in E. n. zalta ed., The Stanford Encyclopedia of  Philosophy (Winter 2009 Edition), URL = <http://plato.stanford.edu/archives/win 009/entries/insolubles/>,  for up-to-date bibliography and a bird’s eye view of the tradition. a selection of texts, with an introduction,  covering the entire chronological spectrum is found in l. PozzI, Il Mentitore e il Medioevo. Il dibattito sui  paradossi dell’autoriferimento, Zara, Parma 1987. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  477  with independent texts (Insolubilia Monacensia) or with reflections connected to  the early developments of the theory of obligations (Obligationes Parisienses)5, sees  a progressively more mature analysis that reaches a steady equilibrium by the first  quarter of the XiVth century. it is characterised by a relatively contained number of  solutions, which are formulated in different types of sources : commentaries on ar istotle’s Sophistici Elenchi or independent treatises, sometimes featuring as chapters  of more comprehensive logical works (burley, ockham).  the second phase roughly coincides with the second quarter of the XiVth century.  during this period, some crucial innovations, breaking up with the earlier tradition, are  introduced in the debate on paradoxes. this fact is witnessed by the complexity of the  logical approaches that can be traced back to such major figures as Thomas Bradwardine,  John buridan, Roger Swyneshead, and illiam Heytesbury, among others6.  the third phase — from the second half of the XiVth century on — is characterised  by discussions and elaborations on this set of results, with some occasional flashes of  originality. Peter of Mantua’s text, not merely in terms of chronology, but also, so to  speak, in terms of methodology, fits perfectly in this very last period7.  5See c. martIn, Obligations and Liars, in s. rEad ed., Sophisms in Medieval Logic and Grammar, Klu wer, dordrecht 1993, pp. 357-381 (nijhoff international Philosophy Series, 48), repr. in m. yrIJönsuurI ed.,  Medieval Formal Logic. Obligations, Insolubles and Consequences, Kluwer, dordrecht 001, pp. 63-94 (the  new Synthese Historical Library, 49) and c. martIn, The Logic of the nominales, or, The Rise and Fall of  Impossible Positio, « Vivarium », 30, 1, 199 , pp. 110-1 6. cf. also P. V. sPadE, The Origins of the Medieval  insolubilia-Literature, « Franciscan Studies », 33, 1973, pp. 9-309, repr. in Id., Lies, Language and Logic  in the Late Middle Ages, Variorum, London 1988. awareness of the problem and the existence of a debate  awareness of the problem and the existence of a debate  are documented also in the arabic tradition (see a. alwIshah, d. sanson, The Early Arabic Liar : The Liar  Paradox in the Islamic World from the Mid-Ninth to the Mid-Thirteenth Centuries CE, « Vivarium », 47,  009, pp. 97-1 7) and in the byzantine tradition (see s. GEroGIorGaKIs  GEroGIorGaKIs, The Byzantine Liar, «« History and  Philosophy of Logic », 30, 4, 009, pp. 313-330). both possibly predate the earliest Latin accounts, which  can be traced as far back as the late Xiith century (see, for instance, the Insolubilia Monacensia, in l. m.  dE rIJK, Some Notes on the Mediaeval Tract de insolubilibus, with the Edition of a Tract Dating from the  End of the Twelfth Century, « Vivarium », 4, 1966, pp. 83-115).  6See (1)  See (1) BradwardInE, Insolubilia cit., (cf. also m.-l. rourE, La problématique des propositions insolu bles au XIIIe siècle et au début du XIVe, suivie de l’édition des traités de W. Shyreswood, W. Burleigh et Th.  Bradwardine, « archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge », 37, 1970, pp. 05-3 6) ; ( ) J.  BurIdan, Tractatus de Consequentiis, h. huBIEn ed., Publications universitaires, Louvain 1976 (Philosophes  Médiévaux, 16), and, for his later view, BurIdan, Summulae cit., pp. 95-997 ; (3) r. swynEshEad, Insolubilia,  in P. V. sPadE, Roger Swyneshed’s insolubilia : Edition and Comments, « archives d’histoire doctrinale et  littéraire du Moyen Âge », 46, 1979, pp. 177- 0, repr. in Id., Lies cit. ; (4) w. hEytEsBury, De insolubilibus,  in Id., Regule solvendi sophismata, bonetus Locatellus, Venetiis 1494, ff. 4va-7rb ; cf. also Id., On “Insoluble”  Propositions : Chapter One of His Rules for Solving Sophisms. Translated with an Introduction and Study by P.  V. sPadE, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1979 (Mediaeval Sources in Translation, 21).  7As regards the last phase, I shall confine myself to mentioning three sources that are relevant to the  purpose of this paper : (1) J. wyclIf, Logicae continuatio in, Id. Tractatus de logica, m. h. dzIEwIcKI ed., 3  vols., trübner & co. for the yclif Society, London 1893-1899, vol. ii, ch. 8, and J. wyclIf, Summa insolu 478  rIccardo stroBIno  in order to understand in a better way how medievals deal with semantic para doxes, let us briefly consider a presentation of the Liar paradox which will count for  the rest of the paper as a paradigmatic example. assume that a is the proposition  « ‘a’ is not true ». the proposition refers to itself and says of itself that it is not true.  the paradox has two legs8.  The first part of the argument runs as follows : if we assume that (1) a is true, then  since ( ) in order for a to be true, a must signify something that is the case and (3)  a says of itself not to be true, we conclude that (4) a is not true.  (1)  T(a)  (2)  T(a) → p (Sig (a, p) p)  (3)  Sig (a, ¬T(a))  (4) ¬T(a)  by assuming a to be true, we conclude it not to be true, therefore by reductio, it  turns out that a is not true. the second part of the argument starts from this very  last step. Thus, if (5) A is not true, then — since (6) whenever A signifies something  that is the case A is true, and (7) A signifies A not to be true — it turns out that (8)  a is true.  (5)  ¬T(a)  (6)  p (Sig (a, p) p) → T(a)  (7)  Sig (a, ¬T(a))  (8)  T(a)  the effect of (1)-(4) and (5)-(8), taken together, is that a is true if and only if a is  not true. the force of the argument depends on a number of assumptions that are  implicitly or explicitly operating in it. alternative solutions to the paradox put into  question the plausibility of such assumptions. Four elements, in particular, need to  be pointed out, as they play an essential role : (i) the set of admitted truth values ; (ii)  a transmission principle (in the above reconstruction the conjunction of ( ) and (6)  bilium, P. V. sPadE, G. a. wIlson eds., center for Medieval and Renaissance Studies, binghamton, n.Y.  1986 (Medieval & Renaissance texts & Studies, vol. 41,) ; ( ) PEtEr of mantua, Tractatus de insolubilibus  [henceforth : Insolubilia], in Id., Logica, [Johannes Herbort, Padua 1477], sig. o rb-o4+3rb (London, brit ish Library ib. 9939) ; (3) Paul of VEnIcE, Tractatus de insolubilibus, in Id., Logica Magna, Secunda pars,  albertus Vercellensis, Venetiis 1499, ff. 19 rb- 00rb.  8in what follows, T(a) stands for « ‘a’ is true », while the expression Sig (a, p) stands for « A signifies that  p ». Step ( ) below must then be read as follows : if ‘a’ is true, then there is a p such that ‘A’ signifies that p and  p is the case. the same applies, conversely, to (6). this notation is found, with minor variations, in s. rEad,  The Truth-Schema and the Liar, in rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth and the Liar cit., pp. 3-18. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  479  which can be formulated in various ways, as a counterpart of tarski’s t-scheme in  contemporary formulations of the paradox) ; (iii) a notion of signification, namely an  account of what it is for a proposition to say what it says ; and finally (iv) the syntactic  admissibility of self-reference.  the paradox can be addressed, for example, (ad i) by extending the set of truth  values allowing for gaps or gluts, (ad ii) by revising the transmission principle, (ad  iii) by providing a suitable account of the signification of propositions, (ad iv) by rul ing out self-referential propositions ; or yet again by combining some of the above.  these are indeed some of the approaches that were adopted in the medieval tradition.  bradwardine’s list of solutions to the paradox gives us an idea of the options that were  readily available around 13 0. a number of opinions (nine in total) are presented in  f  ive main groups which supposedly represent the state of the art at his time. The table  offers a summary of the opinions discussed by bradwardine :  b1. F. secundum quid et simpliciter  b . F. figure of speech  b3. F. non cause as a cause  b4. time  b5. Potency  restringentes  (i)  [e.g. burley, ock ham]  b6. act  b7. denial of bivalence  cassantes  (ii)  [described in Inso lubilia Monacensia]  mediantes  (iii)  [Swyneshead]  b8. F. of equivocation (actus exercitus vs  actus conceptus)  distinguentes  (iV)  [Scotus]  b9. F. secundum quid et simpliciter  ‘aristotelian’ approach  (V)  [bradwardine]  The first set of opinions is that of the restringentes. this approach, still adopted  for instance by burley and ockham, addresses the issue by putting constraints on  the admissibility of self-referential propositions. Restrictionism solves the paradox by  preventing such propositions that self-refer to be considered well-formed. depending  on how strongly the constraints are to be understood, two versions of restrictionism  are possible : a strong version (all sort of self-reference is prohibited, including harm less cases in which no paradox is generated) and a weak version (only self-reference  inolving semantic predicates is prohibited).  a second well-known approach is the opinion of the cassantes, i.e. of those who ut terly reject the paradox as nonsense (already described in the Insolubilia Monacensia).  Little is known about this solution, but it is certainly among the earliest in the Latin  Middle ages, and, as noted above, it is also found within the early developments of  the theory of obligations (the procedure by means of which a casus, in the context  of an obligational disputation, is rejected because it would lead to a contradiction is  parallel to the notion of cassatio). 480  rIccardo stroBIno  a third line is taken by those who deny bivalence (the so-called mediantes), while  yet others endorse a fourth option by drawing a distinction between the performance  of a speech act and its intended meaning (distinguentes).  bradwardine gives his own alternative account as the last one in the list. it introduces  some crucial innovations into the picture. Such new elements will have a profound  influence on the late XIVth century debate. From roughly the 1320s, a radically dif ferent way to look at the paradox emerges : it distinctively involves a new analysis of  the truth conditions of a proposition and of its signification.  With Bradwardine, the analysis of the paradox turns out to be based on a new defi nition of truth, according to which a proposition is true whenever all it signifies is the  case, and a more sophisticated account of the signification of the Liar proposition. The  gist of the strategy can be summarised in two steps. First, according to bradwardine,  the Liar signifies not only itself not to be true, but also (and provably so) itself to be  true. Second, under the assumption that in order for a proposition to be true whatever  it signifies must be the case, it follows that the Liar is false, for what it signifies cannot  be the case, because nothing is both true and not true at one and the same time, and  the Liar precisely signifies those two things, i.e. itself not to be true and to be true9.  thus the strategy is that of provding an argument to establish the real truth value of  Liar-like propositions. the solution has been the object of some recent controversy and  it is beyond the purpose of this paper to engage in a debate concerning its plausibility10.  The difficulties, however, have to do with some of Bradwardine’s assumptions, not with  the validity of the proof itself, once those assumptions are conceded. the key factor  — which is also the real novelty in bradwardine’s approach to the problem — is the  idea that a proposition might signify more than it is ordinarily assumed to signify. this  is a crucial aspect, because variations on such a theme, namely whether there is more  to the ordinary signification of propositions than meets the eye, and if so, what such an  additional signification should be like and to what propositions such a standard applies,  represent a much disputed subject in late XiVth century discussions on the Liar.  along the same lines (although it is hard to establish whether because of a direct  acquaintance with bradwardine’s work, or because the solution was in the air by that  time), in the second quarter of the XiVth century other authors started thinking that  the paradox might be solved by expanding the ordinary signification of propositions  9note that its being false  note that its being false does not in turn entail its being true, because the former is no sufficient con dition for the latter. the proposition is false, indeed. Moreover, it says of itself that it is false. but according  to bradwardine it also says of itself that it is true, and these two conditions can never be met together by  one and the same proposition. in other words, bradwardine is not committed to the revised antecedent of  (6) with a universal quantifier, and therefore, even if he accepts (5) and (7), he is not committed to (8).  10 See, in particular, t. Parsons, Comments on Stephen Read’s “The Truth-Schema and the Liar”, in  rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth and the Liar cit., pp. 1 9-134, and s. rEad, Further Thoughts  on Tarski’s T-Scheme and the Liar, ibid. pp. 04- 5. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  481  so as to include — unrestrictedly or only in specific cases — something more to the  surface of their meaning.  in particular two approaches are relevant for the background of Peter of Mantua’s  treatise : the first is by Albert of Saxony, which is likely an elaboration on John Buridan’s  early view11, and the second by illiam Heytesbury. if bradwardine claims that in soluble propositions signify something more than what they prima facie signify, namely  their own truth, according to albert, such a view should be generalised : any proposition  signifies its own truth, beside what it signifies according to the ordinary understanding  of its propositional content. the idea is based on a suppositional characterisation of  truth, and incorporates suppositional truth conditions (identity of the supposita of  the subject-term and the predicate-term) within the signification of a proposition. In  contrast with bradwardine’s narrower claim that only Liar propositions signify their  own truth beside signifying their own falsity, albert’s claim is much more general  and, for that matter, yields disastrous consequences on a pandemic scale, because it  fails to provide proper truth conditions for any proposition in the language1 .  Heytesbury has yet another view on the nature a proposition’s signification. If a  proposition signifies precisely as its terms pretend (i.e. if it signifies exactly all and only  what it explicitly says), then no extra content is given. but if we do not specify that the  proposition signifies precisely as its terms pretend, then it could signify more. This  extra content may well remain unspecified, but if it is in fact specified, this can obtain  in two ways : either disjunctively, as if we were to say that ‘every proposition is false’  actually signifies that every proposition is false or there is a god ; or conjunctively, as  if we were to say that ‘Socrates is saying what is false’ signifies that Socrates is say ing what is false and you are running13. in the last two cases what happens is that we  make the signification of the initial proposition precise by conjoining it or disjoining  it with the extra signification in a new proposition. Heytesbury casts the solution to  the Liar in an obligational framework where the respondent should refuse to admit  the proposition if it is used as a positum only under the assumption that it precisely  signifies as its terms pretend or that the extra signification, when made explicit, fulfills  11 on buridan’s transition from the early view, according to which every proposition  on buridan’s transition from the early view, according to which every proposition p signifies itself  to be true, to his later claim that every proposition virtually implies another proposition that says of the  former that it is true, see KlIma, Logic without Truth cit., pp. 89-98. The first approach seems to be proble matic, because it includes among the truth conditions of a proposition that very proposition’s being true,  which leads to an unwanted circularity. Albert of Saxony does not seem to be aware of the difficulty and  endorses buridan’s earlier view. Peter of Mantua is unhappy with that account but does not seem to be  pointing to the fact that the definition is circular.  1 in other words, if (1) for all  in other words, if (1) for all p, ‘p’ signifies (1.1) that p and (1. ) that ‘p’ is true, and ( ) ‘p’ is true iff  howsoever p signifies things to be, so things are, then the howsoever-clause in ( ), which is supposed to  define truth for an arbitrary proposition, picks out (1. ) and is therefore circular.  13 the examples are standard and occur in Peter’s treatise, see  the examples are standard and occur in Peter’s treatise, see PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig.  o4+1ra-rb. rIccardo stroBIno 48  certain criteria of compatibility or incompatibility with the casus. in all other cases,  the Liar should be admitted and the respondent is required to follow a particular  strategy according to whether and how the additional signification of the proposition  is specified by the opponent at later steps of the disputation.  The struggle with the paradox in the light of new trends involving a reflection on the  role of the signification of propositions accounts for some of the additional complexities  that are witnessed, at the end of the XiVth century, by Paul of Venice’s list of positions.  PV1. F. figure of speech  restringentes  b [+b1] PM3  PV F. non cause as a cause b3  PV3. time b4  PV4. Potency cassantes b5  PV5. act b6  PV6. denial of bivalence mediantes b7  PV7. F. equivocation (actus exercitus vs  actus conceptus) distinguentes b8  PV8. Non est propositio H  PV9. Verum vel falsum sed non verum et  non falsum H3  PV10. F. secundum quid et simpliciter bradwardine b9  PV11. Significat se esse verum et se esse  falsum albert of Saxony PM1  PV1 . Casus/obligations Heytesbury H4 PM  PV13. Mental language Peter of ailly, Gregory  of Rimini  digression on  PM  PV14. Restrictio alter Sexgrave  PV15. Self-falsifying Paul of Venice Swyneshead (H1)  Paul’s record presents fifteen opinions about insolubles, most of which are already to  be found in bradwardine14. in addition to these, however, several further views developed  from the second quarter of the XiVth century onwards introduce some complications  into the picture, as I have just briefly described (along with entirely different approaches  — like for instance the one associated with Gregory of Rimini and Peter of ailly, seeking  an explanation from the standpoint of mental language). albert of Saxony’s and il liam Heytesbury’s positions, as noted above, are the most important targets for Peter of  Mantua. Peter’s own position, without being mentioned explicitly, is in fact presented  as a small cameo within the discussion of Peter of ailly’s view15.  14 adiscussionof this list isfoundin a discussion of this list is found in c. dutIlhnoVaEs dutIlh noVaEs, A Comparative Taxonomy of Medieval and  Modern Approaches to Liar Propositions, « History and Philosophy of Logic », 9, 008, pp. 7-61. For all  its merits, the article fails to identify Peter’s own account (generically referred to as that of a alius magister)  that Paul of Venice discusses by way of digression in the context of his presentation of Peter of ailly’s view.  The list of opinions, therefore, contains at least fifteen plus one items.  15 Labelsb1-9refertothepresenceoftheverysame Labels b1-9 refer to the presence of the very same opiniones in bradwardine’s list given above (cf. also Read’s  discussion in his own introduction to BradwardInE, Insolubilia cit., pp. 10-3). H1-4 refer to the opinions recorded in  Heytesbury’s treatise on insolubles (discussed by Spade in the study appended to hEytEsBury, On “Insoluble” Proposi tions cit.,pp.71-95).PM1-3refertotheviewsreportedandcriticisedbyPeterofMantuainhisowntreatise. , pp. 71-95). PM1-3 refer to the views reported and criticised by Peter of Mantua in his own treatise. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  483  3. PEtEr of mantua’s trEatIsE  Let us now turn to Peter of Mantua. ith the background outlined above in mind,  in the following i shall present and contextualise what Peter says about insolubles,  discuss why (i think) he thinks he is justified in saying what he says, and show why  he is wrong in saying what he says (the theory is inconsistent).  the available information about Peter’s biography covers the last ten years of his  life, between 1389 and 139916. after receiving his education in Padua, he is known to  have taught in bologna, during the 1390s, both natural and moral philosophy. His  surviving works are a treatise De primo et ultimo instanti, which was quite popular in  the XVth century (various commentaries upon it are preserved), and a huge Logica,  which includes the treatise on insolubilia along with all standard chapters of an  advanced logic treatise (which appears to be much more of a set of advanced notes  than a textbook for teaching). this work has come down to us in its entirety in six  manuscripts and four early printed editions (the latter dating from the end of the XVth  century)17. no section has been published yet in the form of a critical edition.  a general word about Peter’s sources is in order : names seldom occur in the Logica,  but among the authors he is certainly familiar with and makes use of we should count  a few Parisian figures like Albert of Saxony, Marsilius of Inghen and/or William Buser,  and prominent representatives of the English tradition, above all Ralph Strode and  William Heytesbury, a fact that should not be surprising, given the influence that these  two figures had on Italian logic in the late XIVth century. In addition to that, Peter  was also strongly acquainted, as i have recently argued, with Mesino de codronchi,  another master active in bologna in the 1390s18. i shall provide new evidence (see infra  § 3.3) in support of the claim that Peter must have been familiar with John yclif’s  logical writings as well. no mention of Peter’s treatise on insolubles is found in recent  literature on the subject19. this circumstance, probably due to the lack of a modern  edition, is rather unfortunate, since Peter seems to be quite an interesting figure in the  landscape of late XiVth century logic, especially in connection with the transmission  16 See JamEs, Peter Alboini of Mantua cit., and r. stroBIno, concedere, negare, dubitare, Peter of Mantua’s  treatise on obligations, Ph.d. dissertation Scuola normale Superiore, Pisa 009, pp. 45-53.  17 the manuscripts are  the manuscripts are : (1) [o]xford, bodleian Library, Canon. misc. 19, ff. 10 va-105va ; ( ) [b]erlin,  Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 5 5, ff. 93va-95va ; (3) [M]antova, biblioteca comunale,  ms. 76 (a iii 1 ), ff. 79vb-8 rb ; (4) Venezia, archivio dei [P]adri Redentoristi di Santa Maria della Fava, ms.  457, ff. 63va-66ra ; (5) [V]enezia, biblioteca nazionale Marciana, L.Vi.1 8 ( 559), ff. 69ra-71va ; (6) città del  Vaticano, biblioteca apostolica Vaticana, Vat. [L]at. 135, ff. 75vb-77rb, 79rb-80ra. i shall also refer to the  aforementioned early modern edition as E (see  (see  (see supra, f. 7).  18 See r. stroBIno, Contexts of Utterance and Evaluation in Peter of Mantua’s obligationes, « Vivarium »,  49, 011, pp. 75- 99.  19 to do it justice, one has to go back to Spade’s 1975 catalogue of the insolubilia literature, where Peter’s  position is listed and briefly described (although, even there, the connection with Wyclif is not identified). rIccardo stroBIno 484  of the English logical tradition in italy. i am inclined to think that a reconstruction  of his profile might prove to be, in several respects, even more relevant than that of  Paul of Venice — who makes use of Peter as one of his (many) sources — since the  latter represents a chronologically prior and independent step in the reception of that  tradition (and, for want of a better term, a fairly less pedantic one).  3.1 Structure of the text  Peter of Mantua’s treatise on insolubles is divided into four main sections. The first  three sections deal with alternative views that are first illustrated, and then rejected by  presenting a number of objections, in a customary fashion. the fourth section offers Peter’s  own account of the Liar — and of the truth teller — accompanied by several objections  and responses, and a discussion of a few variations on the theme of the so-called postcard  paradox (in cases that do not involve semantic predicates) which are dismissed as impos sible conditionals. a preliminary division of the contents is presented in the table below  1. First section 2. Second section 3. Third section 4. Fourth section  [albert of Saxony]  (PM, Insolubilia cit.,  sig. o rb- o3rb)  [illiam Heytesbury]  (PM, Insolubilia cit.,  sig. o3rb -o4+1rb)  [Restrictionism]  (PM, Insolubilia cit.,  sig. o4+1rb-vb)  [Peter of Mantua]  (PM, Insolubilia cit.,  sig. o4+1vb- o4+3ra-rb)  1.1 thesis: every  proposition signifies its  own truth  (ibid., sig. o rb)  2.1 Definitions :  casus and insoluble  proposition  (ibid., sig. o3rb)  3.1 thesis : self-refer ence is not admitted  (ibid., sig. o4+1rb)  4.1 three senses of  ‘true’  (ibid., sig. o4+1vb o4+ ra)  1.2 Definition of truth  (ibid., sig. o va)  2.2 Rules 1-5  (obligations)  (ibid., sig. o3va-vb)  3.2 obj. 1-4  (ibid., sig. o4+1va-vb)  4.2 obj. 1-6  (ibid., sig. o4+ ra-va)  1.3 obj. 1-5  (ibid., sig. o va)  2.3 Against definitions :  obj. 1-  (ibid., sig. o3vb-o4ra)  4.3 Reply and solution  to obj. 1-6  (ibid., sig. o4+ va)  1.4 arguments in sup port of obj. 1-5  (ibid., sig. o va-o3ra)  2.4 against Rule  :  obj. 1-3  (ibid., sig. o4ra)  4.4 obj. 7-10 and reply  (ibid., sig. o4+ va-vb)  1.5 obj. 6-9  (ibid., sig. o3ra-o3rb)  2.5 arguments in  support of obj. 1-3 and  obj. 4  (ibid., sig. o4ra-o4va)  4.5 obj. 11 13 (impossible  conditionals)  (ibid., sig. o4+ vb o4+3ra)  2.6 against Rule 3 :  obj. 1-3  (ibid., sig. o4va-o4vb)  4.6 Reply to obj. 11-13  (ibid., sig. o4+3ra-rb)  2.7 against Rules -3  (ibid., sig. o4vb-o4+1ra)  2.8 against Rule 4 :  obj. 1 (ibid., sig. o4+1ra-rb)  2.9 against Rule 5 :  obj. 1 (ibid., sig. o4+1rb) PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  485  3.1.1 against albert of Saxony  the treatise starts abruptly without any introductory statement or preamble and  sets out to discuss the alternative accounts that Peter wants to target. In the first  section, albert of Saxony’s position is illustrated and rejected. the core of his view  is presented in the form of two general claims : a short proof that every proposition  signifies its own truth and a definition of a true proposition as one which is such that  howsoever it signifies so it is.  « [1.1] In [discussing] the difficulties [raised by] the so-called insoluble propositions,  some people have said that every insoluble proposition signifies itself to be true and to  be false. For every categorical proposition signifies itself to be true, because (i) every  categorical proposition signifies what the subject-term supposits for and [what] the  predicate-term [supposits for] to be or not to be one and the same ; but (ii) what the  subject-term supposits for and [what] the predicate-term [supposits for] being or not  being one and the same is for an affirmative or negative categorical proposition to be  true, therefore (iii) every affirmative or negative categorical proposition signifies itself  to be true, as they say. and since (iv) every insoluble proposition falsifies itself, therefore  (v) every insoluble proposition signifies itself to be true and to be false.  [1.2] in addition to that, they say that (vi) a true proposition is [any one which is such]  that howsoever it signifies, so it is. And a false [proposition] is [any one which is such]  that [it is] not [the case that] howsoever it signifies, so it is » 0.  the combined effect (v), i.e. an account of what the Liar signifies, and the first  part of (vi), i.e. a definition of truth, is that the Liar turns out to be false. Accord ing to (v), the Liar signifies itself to be true and to be false. According to (vi), in  order for any proposition p to be true, things should be in whatever way p signifies  them to be. But things can never be as the Liar signifies them to be, for nothing is  both true and false at the same time. therefore, the Liar fails to meet the condition  stated in the first part of (vi) — or, which is the same, it meets the condition stated  0PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o rb-va « [1.1] In difficultatibus autem propositionum quas inso lubiles vocant dixerunt aliqui quod omnis propositio insolubilis significat se esse veram et se esse falsam.  Omnis enim propositio categorica significat se esse veram : quia (i) omnis propositio categorica significat  idem esse vel non esse pro quo supponit subiectum et predicatum ; et (ii) esse idem vel non esse idem pro  quo supponit subiectum et predicatum est propositionem affirmativam vel negativam esse veram ; igitur (iii)  omnis propositio affirmativa vel negativa categorica significat se esse veram, ut dicunt. Et quia (iv) omnis  propositio insolubilis se falsificat [O pro significat in E], ideo (v) omnis propositio insolubilis significat se  esse veram et se esse falsam. [1. ] item, addunt quod (vi) propositio vera est que qualitercumque significat  ita est. Et falsa est que non qualitercumque significat ita est ». the numbering in the quotations follows  the numbering in the quotations follows  the numbering in the quotations follows  the proposed division of the text. herever an emendation is required, the reading is either supported by  at least one manuscript or it is a conjecture to make sense of the argument.  486  rIccardo stroBIno  in the second part of (vi) —, and for this reason it is false. the argument can be  summarised as follows :  (i)   (ii)   q (Sig (q, Supp(Sq  ) = Supp(Pq  ))) 1  Supp(Sq  ) = Supp(Pq  ) ↔ T(q)  (iii)  q (Sig (q, T(q)))  (iv)  Sig (a, ¬T(a))  (v) Sig (a, ¬T(a) T(a))  two conclusions that are not explicitly drawn in Peter’s report of albert’s position  can be derived from the above result . First, since (v) is equivalent to  (v*)  Sig (a, (Supp(Sa  ) ≠ Supp(Pa  ) Supp(Sa  ) = Supp(Pa  )))  and the revised definition of truth is  (vi) T(a) ↔ p (Sig (a, p) → p)  we can safely conclude that  (vii) ¬T(a).  this is because the right-hand side of (vi) is not (and cannot be) satisfied by the  Liar. The failure depends on the fact that the proposition signifies itself to be true  and not to be true, and what it signifies cannot be the case.  by the same token, we can also block the inference that generates the paradox  in the second leg, for from (vii), i.e. a’s being false, its being true cannot be inferred,  because again in order for a to be true the requirement is that whatever it signifies be  the case, and A signifies something that cannot in principle be the case.  nine objections of various length and sophistication are then raised against this  view. the main point that Peter stresses is that it leads to multiple violations of the  multiple violations of the  logical relations codified in the square of opposition, both in the categorical and in  1Supp(Sq  ) and Supp(Pq  ) stand for the supposits of S and P in q, where S and P are the subject-term  and the predicate-term of that proposition.  See  See alBErt of saxony, Perutilis Logica, Tractatus sextus, Prima pars, De Insolubilibus, Venetiis 15 ,  ff. 43rb-46va, repr. by Georg olms, Hildesheim - new York 1974 (documenta Semiotica, Serie 6 Philosophi ca), f. 43rb-va (first six conclusiones) ; cf. also alBErt Von sachsEn, Logik. Übersetzt, mit einer Einleitung und  Anmerkungen herausgegeben by h. BErGEr, Felix Meiner, Hamburg 010, pp. 1100-1177, in particular pp.  1100-1106 for an expanded version of the argument. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  487  the modal version. in particular, Peter focuses on the role of negation as an opera tor and the way in which a truth value is assigned to contradictory propositions in  situations in which self-reference and truth predicates are involved. an example is  his fourth objection. Suppose that only two particular propositions exist, namely ‘a  negative particular proposition is true’ = p and ‘a negative particular proposition is  not true’ = q. Since q is the only existing negative proposition, q must refer to itself ;  therefore, in this context, q is equivalent to the Liar, because it says of itself that it  is not true. according to albert, q must be false for the reasons explained above. on  the other hand, p talks about q (because q is the only negative particular proposition  p can possibly refer to) and what p says is that q is true. but q is not true, therefore  what p says is not the case, and so p, too, is false. but p and q are subcontraries and  the argument makes them false together, which is against the standard understand ing of the relations holding in the square of opposition (in particular, the above case  would also entail that the corresponding contraries are true together).  Peter also seems to be willing to deny the more general claim that any proposi tion signifies its own truth (seventh objection), but he does not address the issue of  circularity that appears to be, from a modern point of view, the most immediate  problem related to this position 3.  3.1. against illiam Heytesbury  in section two, which occupies nearly a half of the whole treatise, Peter deals  with illiam Heytesbury’s view, which came to be very popular in the second half  of the XiVth century. again, he presents his opponent’s opinion by enumerating the  basic theoretical principles on which it relies and by discussing separately several  objections against each of them. The definition of a proposition and of a casus of an  insoluble are laid down first. Next, Peter presents Heytesbury’s famous five rules, ac 3a detailed analysis of the arguments supporting each objection cannot be given here for reasons of  space. I will therefore confine myself to enumerating the objections in footnote and to providing between  parentheses the propositions that are made use of as counterexamples : (Obj. 1) an impossible proposition  contradicts a contingent proposition (‘a proposition is true’/‘[it is] not [the case that] a proposition is true’) ;  (Obj. ) every insoluble proposition entails a contradiction (‘[it is] not [the case that] a proposition is true ;  therefore [it is] not [the case that] a proposition is true and this is true’) ; (Obj. 3) a merely negative pro position entails a contradiction (same casus) ; (Obj. 4) two subcontraries are false together (see example  discussed above) ; (Obj. 5) two contradictories are false together (see previous casus, with three additional  arguments) ; (Obj. 6) the following would turn out not to be contradictories ‘every proposition is false’,  ‘not every proposition is false’ ; (Obj. 7) it is not the case that every proposition signifies itself to be true ;  (Obj. 8) against the characterisation of p as a true proposition if and only if howsoever p signifies things to  be, so they are ; (Obj. 9) it is not the case that, if every particular proposition is false, then some particular  proposition is false (albert’s position would invalidate the inference ‘every S is P, therefore some S is P’). 488  rIccardo stroBIno  cording to which one is supposed to reply to Liar-like propositions in the context of  an obligational disputation. Finally, he proposes a battery of objections.  « [2.1] In [discussing] these matters, other people have assumed, first, that an insoluble  proposition is a proposition, mentioned in a casus of an insoluble, which [— i.e. the  proposition — is such that], if in the same casus it signifies precisely as its terms commonly  pretend, it follows that it is true and that it is false 4. Secondly, a casus of an insoluble is a  casus in which mention is made of a proposition which [is such that], if in the same casus  it signifies precisely as [its] terms pretend, it follows that it is true and that it is false » 5.  an important feature of Heytesbury’s position is that the whole discussion of semantic  paradoxes is intentionally cast in an obligational framework. as a result, an insoluble  proposition must always be seen against the background of a casus, i.e. an imaginary  situation in which certain conditions are assumed to hold (as if we posit, for example,  that Socrates is saying the following proposition and nothing else : « Socrates is saying  what is false »). in order to understand better how the context of Heytesbury’s discus sion affects the treatment of the paradox and how Peter of Mantua reacts to it, let us  introduce the following terminology borrowed from the theory of obligations 6.  4Heytesbury’s own formulation is slightly different : « from its being true it follows that it is false, and vice  versa (ad eam esse veram sequitur eam esse falsam et econtra) », see hEytEsBury, De insolubilibus cit., f. 6rb. the  same holds for the next definition. More generally it can be said that the vocabulary is used with a certain amount  of flexibility. This opens a delicate question since a number of texts with a strong (Heytesburyan) family resem blance was circulating in the second half of the XiVth century (among which the so-called Pseudo-Heytesbury  and Johannes Venator), so it is legitimate to ask whether Peter is actually making use of Heytesbury himself or of  one of those other texts (a detailed discussion of the ‘filiation’ process is found in f. PIronEt, William Heytesbury  and the Treatment of Insolubilia in Fourteenth-Century England Followed by a Critical Edition of Three Anonymous  Treatises de insolubilibus Inspired by Heytesbury, in rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth and the Liar  cit., pp. 54-334. therefore there might be some room for maneuvre to argue that it is not Heytesbury’s text but  another one originating in the same family that Peter was targeting. Further investigation into the details of the  lexicon might provide additional help, but it should not be forgotten that the fluidity of this kind of tradition  makes it very unlikely that one might find complete consistency in the use of a certain vocabulary. Therefore, it  is hard to draw firm conclusions from the presence in a later author (like Peter) of a particular nuance or lexical  choice. the closer the members of the family, as in the case of this set of texts inspired by Heytesbury, the harder  to produce compelling evidence of the filiation from one of them as opposed to another.  5PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o3va « acceperunt autem alii in ista materia primo quod propositio  insolubilis est propositio de qua fit mentio in aliquo certo casu que, si in eodem casu precise significet sicut  eius termini communiter pretendunt, sequitur se esse veram et se esse falsam. casus autem de insolubili est  casus in quo fit mentio de aliqua propositione que, si in eodem casu significet precise sicut termini pretendunt,  sequitur se esse veram et se esse falsam ». cf. also hEytEsBury, De insolubilibus cit., f. 6  f. 6rb ; PIronEt, William  Heytesbury cit., p. 84  ., p. 84 ; and Spade’s translation in hEytEsBury, On “Insoluble” Propositions cit., p. 46.  6theserepresentationalconventionshavebecomepartofthecommonvocabularyinrecentscholarshipon  these representational conventions have become part of the common vocabulary in recent scholarship on  the theory of obligations, see stroBIno, Concedere, Negare, Dubitare cit., pp. -3 and 76-80. the framework that  both Heytesbury and Peter of Mantua (not only here but also, more generally, in their account of obligations)  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  489  OA(p)  =df   p ought to be admitted (only for posita that are not inconsistent)  OC(p)      =df  p ought to be conceded (either it follows or it is irrelevant and true)  ON(p)      =df  p ought to be denied (either it is repugnant or it is irrelevant and   false)  OD(p)      =df  p ought to be doubted (it is irrelevant, not known to be true and not   known to be false)  O¬N(p) 7 =df  p ought not to be denied  The solution to the Liar is justified according to standard obligational principles, and  is articulated in detail by means of five rules that are expected to govern in a ‘predictable’  way the respondent’s response in each conceivable situation. the thought is handling  with the signification of an insoluble proposition in various ways according to whether it  is either left undetermined, or specified fully, or only partially, and if so in what way.  « [2.2] Having given these [definitions], they laid down some rules. [Rule 1] First, if a  casus of an insoluble is posited, and it is not posited how it should signify, one ought  to respond exactly (omnino) as one would have responded outside the period [of the  obligation]. accordingly, when it is posited that Socrates is saying this [proposition]  ‘Socrates is saying what is false’ and no other, nothing else being posited, one ought to  be in doubt about it, namely [about] ‘Socrates is saying what is false’.  [Rule 2] Secondly, if it is posited that an insoluble signifies precisely as the terms pretend,  the casus ought to be rejected and not admitted.  [Rule 3] But if it is posited that the insoluble signifies as the terms pretend, without positing  [the qualification] ‘precisely’, the insoluble ought to be conceded as following (tamquam  sequens) and it ought to be denied that it is true, if it is proposed that it is true. the three  [rules that are] laid down [here] concern propositions that signify categorically » 8.  endorse is that of the so-called responsio antiqua. in the theory of obligations, rules telling the respondent whether  he ought to concede, deny or doubt certain propositions are given according to a partition of propositions in  two classes : relevant and irrelevant ones. on that view, relevance of a proposition p is defined in terms of logical  dependence on the cumulative set consisting of the propopositions that have been previously granted and the  negations of those that have been previously denied during a disputation. according to whether that set entails  p or ¬p, respectively,, p is said to be ‘following’ (pertinens sequens) or ‘repugnant’ (pertinens repugnans). if p is  logically independent from what precedes it in the disputation, it is said to be irrelevant (impertinens) and must  be evaluated according to its own status by looking at the world outside the disputation.  7note that the conditions of ¬ON(p) and O¬N(p) are equivalent if we accept deterministic obligational  rules (i.e. if the respondent correctly X(p) then he ought to X(p)). both the former case — it is not the case  that p ought to be denied — and the latter case — p ought not to be denied — are satisfied when p is neither  repugnant nor irrelevant and false. For then it is either following or irrelevant and true (hence OC(p)), or  irrelevant and doubtful (hence OD(p)).  8PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o3va-vb « [ . ] Quibus datis posuerunt regulas. [Rule 1] Et primo  quod si ponatur casus de insolubili et non ponitur qualiter istud debeat significare, respondendum est  omnino sicut extra tempus fuisset responsum. Ut posito quod Sor dicat istam ‘Sor dicit falsum’ et nullam  490  rIccardo stroBIno  The first three rules are directed to cases in which the paradoxical proposition at  stake is categorical (where categorical stands for non-molecular). the idea is that one  of the following mutually alternative situations must obtain : (1) the signification of  the proposition is left entirely undetermined ; ( ) the proposition says exactly what  it says ; or (3) the proposition says what it says, but not in a strict sense, i.e. it could  signify something more than what it explicitly says.  R1 if a is an insoluble and it signifies that x (where x remains unspecified), then  OA(a) and OD(a)  R2 if a is an insoluble and it signifies precisely 9 what it signifies, then O¬A(a)  R3 if a is an insoluble and it does not signify precisely what it signifies, then OA(a),  OC(a), and O¬C (T(a))  In the first case, since it is not even clear what is being posited, the respondent  should suspend his judgment and be in doubt about the proposition ; in the second  case, he cannot admit the casus without thereby committing himself to a contradic tion and should therefore reject it ; in the third case there is, according to Heytesbury,  some room for maneuvre. the strategy behind the third rule is to ‘simulate’ in an  obligational environment the argument that generates the paradox, and to block the  inference that leads to contradiction on the basis of obligational principles. Suppose  the proposition « ‘a’ is not true » is posited and admitted, provided that it does not  signify precisely as its term pretend (otherwise we would fall within the range of the  second rule). if it is proposed during the disputation, it must be conceded as follow ing, because it is the positum. the respondent, therefore, ought to concede a (= « ‘a’  is not true »). now, if the opponent proposes, at the second step, « “‘a’ is not true” is  true » how is the respondent supposed to reply ? Having granted a at step one, the  respondent has thereby granted « ‘a’ is not true » (= a). thus, a contradiction would  now arise only if the respondent was committed, at step two, to conceding « ‘a’ is  true » which is the contradictory of what has been proposed and conceded at step  one. but according to Heytesbury, at step two the proposition « ‘a’ is true » (= « “‘a’ is  not true” is true ») is repugnant, and consequently the respondent can (in fact ought  to) deny it. thus even if he has conceded a (= « ‘a’ is not true ») at step one, he will  aliam, non posito alio, ista est dubitanda, scilicet ‘Sor dicit falsum’. [Rule ] Si autem ponatur quod in solubile significet precise sicut termini pretendunt, casus est reiciendus et non admittendus. [Rule 3] Sed  si ponitur quod insolubile significet sicut termini pretendunt, non ponendo ‘precise’, concedendum est  insolubile tamquam sequens et negandum est quod sit verum, si proponitur esse verum. Que tria posita  sunt de propositionibus categorice significantibus ».  9I.e. it signifies that  I.e. it signifies that p and nothing else. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  491  still be able to deny « ‘a’ is true », and thereby avoid the contradiction. the fact that  what is proposed at the second step, namely « ‘a’ is true », is repugnant to the positum  and the casus can easily be seen. e have a casus of the form ‘p’ signifies that p and  a positum p and we are seeking whether a given proposition q is to be conceded or  not. obviously if q is ¬p, as in the present case (for « ‘a’ is true » is the negation of  a, since the latter itself is « ‘a’ is not true »), q is incompatible with p and the casus ;  therefore it ought to be denied.  a   Casus a = « ‘a’ is not true » and A signifies (not precisely) that ‘A’ is not true  Positum   OA(a)  1.   .   a   ‘a’ is true  OC(a) as following (it is the positum)  ON(T(a)) as repugnant  the whole discussion relies on a standard pattern of reasoning that is often em ployed within the framework of the theory of obligation : that p ought to be conceded  according to obligational rules (either because it follows from previous steps or because  it is irrelevant and true) does not entail that « ‘p’ is true » ought to be conceded. in fact,  here the claim is even stronger, because both answers are obtained by running the  standard Liar argument in the new obligational setting. in the following reconstruc tion it can be seen why a (=¬T(a)) is following and must be conceded and why ¬a  (=T(a)) is repugnant and must be denied :  R3 Sig (a, ¬T(a)) (not precisely)  1st leg of the paradox (proof of ¬T(a), by reductio)  1. T(a)      . T(a) → p (Sig (a, p) → p)   3. p (Sig (a, p) → p)    4. Sig (a, ¬T(a)) → ¬T(a)    5. Sig (a, ¬T(a))     6. ¬T(a) 7. ¬T(A) hypothesis  def. truth (left-hand side)  1,   and modus ponens  3 and substitution of p with ¬T(a)  hypothesis  4, 5 and modus ponens  1,6 by reductio [¬T(a) = a]   OC(A)  ON(T(A))  by assuming the Liar to be true (1), we conclude it to be not true (6), therefore, by  reductio it is not true (7). but the claim that (7) a is not true is the Liar itself ; therefore  if the Liar is proposed during a disputation, we have to concede it as following (from  the casus and rules of logic, which is all we have at steps 1 to 6 of the proof) and we  have to deny that it is true, i.e. we have to deny T(a), if it is proposed. Furthermore,  49  rIccardo stroBIno  even if ¬T(a) has been granted, this is not enough to prove, in the second leg of the  paradox, T(a), i.e. that the Liar is true :  nd leg of the paradox (inference blocked)  8. ¬T(a)      9. p (Sig (a, p) → p) → T(a)    10. Sig (a, ¬T(a))     7  def. truth (right-hand side)  hypothesis  at this point, the paradox can no longer arise, for the inference from 8-10 to  11. T(a)  is not legitimate. the inference would be legitimate only if we could replace the an tecedent in the antecedent of (9) with (10), and the consequent in the antecedent of  (9) with (8), so as to satisfy the antecedent of (9) itself, because then we could detach  the consequent, thereby proving T(a). e would be entitled to make this move, how ever, only if a precisely signified itself not to be true. But this is not the case, because  by hypothesis A signifies what it signifies not precisely. in other words, the inference  by means of which we are trying to prove T(a), i.e. that a is true, is not valid. this is  exactly what the assumption embedded in the third rule by means of the qualifica tion ‘not precisely’ is meant to avoid. otherwise the paradox would arise again and  we would find ourselves back in the situation covered by the second rule, whereby  the casus had to be rejected.  The fourth and fifth rules are devised to deal with cases in which the additional  signification that is left undetermined when the Liar is just said to signifiy not precisely  what it signifies is made explicit by conjoining or disjoining it to other propositions  specifying the extra signification.  « [2.2 (continuation)] [Rule 4] on the other hand, if an insoluble proposition is posited  so as to [precisely] signify conjunctively, one should see whether the contradictory of the  second conjunct is consistent with the casus. [1.1] if it is, the casus ought to be admitted.  [1. ] if it is not, the casus ought to be rejected. accordingly, if it is posited that Socrates  is saying the [proposition] ‘Socrates is saying what is false’, adequately signifying that  Socrates is saying what is false and that Socrates is speaking, since these [two proposi tions] are not consistent with one another — namely ‘Socrates is saying what is false’  and ‘Socrates is not speaking’ —, the casus ought not to be admitted. but if it is posited  that this [proposition] ‘Socrates is saying what is false’ signifies precisely that Socrates is  saying what is false and that Socrates is running, the casus ought to be admitted and this  proposition ought to be conceded, while it ought to be denied that it is true. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  493  [Rule 5] Last, if it is posited that an insoluble signifies disjunctively, this view maintains  that [ .1] if the opposite of [the second] disjunct is consistent with the casus, the casus  ought to be denied. accordingly, if it is posited that the proposition ‘a falsehood exists’  is any proposition adequately signifying that a falsehood exists or there is no god, the  casus ought not to be admitted. but [ . ] if it is posited that the [proposition] ‘a false hood exists’ is every proposition adequately signifying that a falsehood exists or there  is a god, the casus ought to be admitted and the [proposition] ‘a falsehood exists’ ought  to be denied, when it is proposed, and it ought to be conceded that it is true »30.  Suppose we make the signification of an insoluble proposition A explicit by forming  a new proposition in which the insoluble is conjoined or disjoined with some other  proposition q. The fourth and fifth rule pick out four possible scenarios. The first  division depends on whether the extra signification is made explicit conjunctively  or disjunctively. the second division has to do with the logical relationships holding  between ¬q and the casus.  Provided that certain conditions are met, the strategy is analogous to the one adopted  above : in certain cases we will have to reject the casus because it still yields a contradic tory result, whereas in certain other cases we will be able to admit the casus and respond  to the insoluble in such a way as to discharge the burden on the extra signified content.  the situation for the conjunctive case is dual with respect to the disjunctive case, both in  case of rejection and in case of admission of the casus ; and the same holds of the evalu ations that are given to the propositions involved. hen an (admissible) insoluble a that  conjunctively signifies A q is at stake, the respondent should admit a as a positum,  concede it when it is proposed, and deny that a is true. by contrast, when an (admissible)  insoluble A disjunctively signifies a q, he should admit the proposition as a positum, deny  it when it is proposed, and concede that it is true. So what are the conditions according  to which the proposition should be admitted in one case and in the other ? if a precisely  signifies conjunctively A q, then ¬q (i.e. the contradictory of the second conjunct q) must  be consistent with the casus. If A precisely signifies disjunctively A q, then ¬q (i.e. the  contradictory of the second disjunct q) must be inconsistent with the casus.  30 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o3va-vb « [Rule 4] Si autem ponatur propositio insolubilis ad  significandum copulative, est videndum si contradictorium secunde partis copulative stat cum casu. [1.1]  Et si sic, est casus admittendus. [1. ] Et si non, est reiciendus casus. Ut si ponatur quod Sor dicat istam ‘Sor  dicit falsum’ adequate significantem Sortem dicere falsum et Sortem loqui, quia ista non stant simul ‘Sor  dicit falsum’ et ‘Sor non loquitur’, ideo non est admittendus casus. Si autem ponatur quod ista ‘Sor dicit  falsum’ significet precise Sortem dicere falsum et Sor currere, admittendus est casus et ista propositio est  concedenda et negandum est quod ipsa sit vera. [Rule 5] Ultimo, si ponatur insolubile significare disiunc tive, dicit ista positio quod [ .1] si oppositum disiuncti potest stare cum casu, negandus est casus. Ut si  ponatur quod hec propositio ‘falsum est’ sit quelibet propositio adequate significans quod falsum est vel  nullus deus est, casus non est admittendus. Sed [ . ] si ponatur quod ista ‘falsum est’ sit omnis propositio  adequate significans quod falsum est vel quod deus est, admittendus est casus et neganda est ista ‘falsum  est’ cum proponitur et concedendum est quod sit vera ». rIccardo stroBIno 494  Let us call a casus C, a be the positum (insoluble proposition precisely signifying  either conjunctively a q, or disjunctively a q). Then, Heytesbury’s fourth and fifth  rule can be represented as follows.  R4 (conjunctive case) a = ¬T(a) and Sigpr (a, ¬T(a) q)31  1.1 if C → ¬(¬q)  then C should be rejected3 [¬q inconsistent with C]  1. if ¬(C → ¬(¬q)) then C should be admitted and [¬q consistent with C]    1. .1 OA(a)    1. . OC(a)    1. .3 ON(T(a))    1. .4 [ON(q), i.e. OC(¬q)]       [1. .5 OC(q)  (PM’s objection in .8)]  R5 (disjunctive case) a = ¬T(a) and Sigpr (a, ¬T(a) q)  .1 if C → ¬(¬q)  then C should be admitted and [¬q inconsistent with C]    .1.1 OA(a)    .1. ON(a)    .1.3 OC(T(a))    .1.4 [OC(q)]    [ .1.5 OC(a) (PM’s objection in .8)]     . if ¬(C → ¬(¬q)) then C should be rejected  [¬q consistent with C]  the reason for the requirement that the negation of the second conjunct in a q  (negation of the second disjunct in a q) — where the extra signification is made  explicit — be compatible (incompatible) with the casus is the following. in the former  case we need to be able to deny q, while in the latter case we need to be able to concede  q during the disputation. The formal justification for these answers is as follows :  R4 Sigpr (a, ¬T(a) q)  1st leg of the paradox (proof of ¬T(a), by reductio)  1. T(a) hypothesis  31 A signifies precisely that ¬T(a) q, i.e.¬ .e. ¬¬T(a) q is all and only what A signifies.  3 because it cannot be defended, just as the case of a categorical insoluble proposition precisely  signifying what is signifies, covered by Rule 2. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  495  . T(a) → p (Sig (a, p) → p)      3. p (Sig (a, p) → p)   4. Sig (a, ¬T(a) q) → (¬T(a) q)   5. Sig (a, ¬T(a) q)   6. ¬T(a) q    7. ¬T(A)    8. ¬T(a)     Moreover, the following also holds  9. ¬T(a) → ¬p (Sig (a, p) → p)  10. ¬p (Sig (a, p) → p)   11. p (Sig (a, p) ¬p)  def. truth (left-hand side)       1,   and modus ponens       3 and substitution of p with ¬T(a) q  hypothesis 4, 5 and modus ponens [¬T(a) q = a] OC(A) 6 and simplification  1,7 by reductio  ON(T(A))      def. truth (right-hand side) and contraposition      8,9 and modus ponens      10  1 . Sig (a, ¬T(a) q) ¬(¬T(a) q)   11 and substitution of p with ¬T(a) q  13. T(a) ¬q 12, simplification and De Morgan’s laws  14. ¬q 13, 8 and disjunctive syllogism OC(¬q)  ON(q)  We have, therefore, a formal justification for both scenarios covered by rule 4. The  Liar proposition involved signifies conjunctively. It ought to be conceded (6), but it  ought to be denied that it is true (8), just as in the case of the third rule. in addition  to that, the negation of the second disjunct q should be consistent with the casus,  because ¬q ought to be conceded (14), and if it were not compatible with the casus  we would end up again in a paradoxical situation.  nor does the second leg of the argument generate paradox, because from ¬T(a)  we cannot derive T(a) :  nd leg of the paradox (inference blocked)  15. ¬T(a)     16. p (Sig (a, p) → p) → T(a) 17. Sigpr (a, ¬T(a) q)    because, again, to derive the conclusion  18. T(a)  8  def. truth (right-hand side)  hypothesis  and generate the paradox the antecedent of (16) should be satisfied. This is required  to detach T(a) in (18). the job should be done by (15) and (17). but it is immediately  clear that there is something lacking. in order to satisfy the antecedent of (16), we  496  rIccardo stroBIno  need not only ¬T(a) but also q, because A precisely signifies ¬T(a) and q. thus, having  proved ¬T(a) is not enough to reverse the argument and prove T(a).  The justification for rule 5 is analogous but the responses are dual.  R5 Sigpr (a, ¬T(a) q)  1st leg of the paradox (now proof of T(a), again by reductio)  1. ¬T(a)     . ¬T(a) → ¬p (Sig (a, p) → p)     3. ¬p (Sig (a, p) → p)   4. p (Sig (a, p) ¬p)   5. Sig (a, ¬T(a) q) hypothesis  def. truth (right-hand side) and contraposition    1, 3  and modus ponens    hypothesis  6. Sig (a, ¬T(a) q) ¬(¬T(a) q)    4, 5  7. T(a) ¬q  6, simplification and De Morgan’s laws  8. T(A) 9. T(a) 7, simplification 1, 8 by reductio     nd leg of the paradox (inference blocked)  [¬t(a) = a] ON(A)  OC(T(A))  again, the second leg does not generate paradox because this time from T(a) we  cannot prove ¬T(a), but rather ¬T(a) q only :  10. T(a)     11. T(a) → p (Sig (a, p) → p)  1 . p (Sig (a, p) → p)   13. Sig (a, ¬T(a) q)   14. ¬T(a) q     15. q 9  def. truth (left-hand side)  10, 11 and modus ponens  hypothesis  1 , 13, substitution of p with ¬T(a) q and modus  ponens  10, 14 and disjunctive syllogism OC(q)  as a result, in the disjunctive case, we ought eventually to concede q, i.e. the second  conjunct. and this is how the requirement that ¬q be inconsistent with the casus is  to be explained.  Peter criticises Heytesbury’s approach from different angles. His general strategy  is to make use of analogous obligational principles to pay him back in the same  coin. A few objections are directed against the two definitions but the main focus is  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  497  much more extensively on the rules33. Peter seems to be happy with the first rule, but  challenges the other four. the number and sophistication of his objections are not  suitable for a detailed presentation in this context, but I shall briefly discuss at least  an objection against the third rule, since it represents Heytesbury’s way to solve the  paradox, and two further arguments against the fourth and fifth rule.  « [2.6] [Against Rule 3] against the third rule [laid down within the framework] of this  opinion, [and] according to which he responds to categorical insolubles, one argues as  follows : (Obj. 1) let it be posited that Socrates is saying this [proposition] ‘a falsehood is  being said’ and that no other proposition except for this one, or part of it, is uttered by  anyone else, [and] that [the proposition] signifies that a falsehood is being said — not  precisely, however, just as that view likes [to stipulate]. […] next, ‘a falsehood is being  said’ is proposed and it is conceded according to this view. in addition to that, ‘this  [proposition] is false’ is proposed, which is also conceded according to this view34. but  to the contrary : this proposition ‘a falsehood is being said’ principally signifies that  there is a god, therefore this proposition is necessary. the consequence is valid, known  to be such and so on ; and you ought to be in doubt about the antecedent ; therefore you  ought not to deny its consequent. the consequence holds according to this view ; and  one ought to be in doubt about the antecedent along with the whole casus ; therefore  you ought not to deny the consequent »35.  Peter offers the following argument against rule 3. Let a be an insoluble signifying  (not precisely) itself not to be true, without any further specification concerning its  extra content, which might well be a necessary proposition, say r. then,  Positum   1. a a OA(a)  OC(a)  33 Peter gives two arguments against the proposed definitions. The first is that it is not true to say that  Peter gives two arguments against the proposed definitions. The first is that it is not true to say that  an insoluble proposition always needs to be understood in the setting of a casus. the second moves the  discussion to the level of mental language, where according to him certain logical relations are problematic  no matter whether a casus is set up or not.  34 i.e. it must be denied that the proposition is true.  i.e. it must be denied that the proposition is true.  35 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4va « [Against Rule 3] contra autem tertiam regulam istius  contra autem tertiam regulam istius  opinionis, secundum quam ipse respondet ad insolubilia categorica, sic arguitur : (Obj. 1) quia ponatur  quod Sor dicat istam ‘falsum dicitur’ et non proferatur ab aliquo alia propositio nisi ista aut eius pars,  que significet falsum dici — non tamen precise, sicut illi positioni placet. […] Deinde proponitur ista  ‘falsum dicitur’ et conceditur secundum istam positionem. Et ultra proponitur ista ‘hec est falsa’, que  etiam conceditur secundum istam positionem. Sed contra quia sequitur : hec propositio ‘falsum dicitur’  principaliter significat deum esse, igitur ista propositio est necessaria. Consequentia est bona scita esse  talem etc. ; et antecedens est a te dubitandum ; igitur consequens eius non est a te negandum. Patet con sequentia secundum istam positionem ; et antecendens cum toto casu est dubitandum ; igitur consequens  non est a te negandum ».  498  rIccardo stroBIno  . 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.    ¬T(a)      Sig (a, r) → □a    □a → T(a)    ¬T(a) → ¬□a    ¬□a     OD(Sig (a, r))    (p → q) → OD(p) → O¬N(q)  O¬N(□a)    OC(¬T(a)), i.e. ON(T(a))  valid consequence  if r is necessary  necessity entails truth  falsehood entails non-necessity  , 5 and modus ponens  from the characteristic  condition of R3  obligational principle  3, 7, 8 and modus ponens   The first two steps are Heytesbury’s standard answers : concede the insoluble  and deny that it is true36. Peter wants to show that the denial of T(a) is incompatible  with the assumption that the signification of the proposition is not precise, because  it could signify a necessary proposition after all. in order to do so, he makes use of a  rule which is to be found in his own treatise on obligations. if the respondent ought  to be in doubt about the antecedent of a valid consequence, then he ought not to  deny its consequent ; otherwise, by contraposition, he ought to deny the antecedent  as well. Since Heytesbury’s third rule applies, by definition, only in cases in which  the signification of an insoluble proposition is not fully specified, Peter claims that  the respondent should be in doubt about the signification of A, because he does not  know in principle whether the proposition signifies that there is a god or not (or any  other necessary proposition). hy is this important ? the argument, i believe, rests  on the implicit assumption that if a is necessary then it is also true. but under the  stipulations of the casus, ¬T(a) is conceded. this entails in turn that a is not neces sary. But as long as the respondent must be in doubt about what A precisely signifies  (he only knows that it signifies, not precisely, itself not to be true, but nothing is said  about what it could signify in addition to that), he cannot rule out that A signifies  something necessary. thus, (9) and (6) are incompatible, and their being incompat ible ultimately depends on the requirements of Heytesbury’s third rule and on the  plausible obligational principle expressed by (8). in other words, on the one hand  Heytesbury is committed to the view that a is not true, and therefore not necessary,  but on the other hand, he is also committed to the view that he ought not to deny  that a is necessary. and those two claims are incompatible, in one and the same  obligational disputation.  36 the terminology in Peter’s example is somehow sloppy, but with some adjustments the case can be  the terminology in Peter’s example is somehow sloppy, but with some adjustments the case can be  reduced to one in which all the conditions of Heytesbury’s third rule apply. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  499  as for rules 4 and 5, Peter of Mantua’s strategy is to provide counterexamples to  the scenarios described above (leaving out only . ).  against 1.1, he presents us with a casus where, despite ¬q’s being inconsistent  with C, the casus should be admitted and the insoluble is argued to be true (i.e. the  rule does not avoid paradox).  « [2.8] (Obj. ) again, let it be posited that this proposition ‘this proposition which precisely  signifies categorically is not true’ precisely signifies that this proposition which precisely  signifies categorically is not true and that you do not differ from yourself ; and let this  proposition be B. Then B signifies conjunctively and B is true, therefore an insoluble  signifying conjunctively is true and it ought to be conceded that it is true ; therefore and  so on. the consequence clearly holds. and the antecedent is known, because b precisely  signifies that this proposition which precisely signifies categorically is not true and that  you do not differ from yourself ; and this proposition which precisely signifies categori cally is not true and you do not differ from yourself ; therefore proposition b is true.  and in this case, one argues (i) that a casus of an insoluble ought to be admitted when  the insoluble is imposed to signify conjunctively, although the opposite of [the second]  conjunct is not consistent with the casus, and (ii) that the insoluble is true »37.  Let a be an insoluble signifying precisely that a q, where ¬q is inconsistent with the  casus (suppose q is a logical truth, like the example « you do not differ from yourself » :  ¬q is trivially incompatible with the casus because it is contradictory in itself), then  1.  .  3.  4.  5.  6.  7.  OA(a) OC(a) OC(¬T(a))     OC(q)      Sigpr(a, ¬T(a) q)    p (Sig (a, p) p) → T(a)    OC(T(a))     R4  R4  hypothesis  hypothesis  def. truth (right-hand side)38  3, 4, 5, 6 and modus ponens  37 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra-rb « (Obj. ) item, ponatur quod hec propositio ‘hec propositio  precise categorice significans non est vera’ significet precise quod hec propositio precise categorice significans  non est vera [hec propositio3… vera ms. M] et quod tu non differs a te ; et sit B ista propositio. Tunc B significat  copulative et B est vera, igitur insolubile significans copulative est verum et concedendum est esse verum ; igitur  etc. Patet consequentia. Et antecedens est notum : quia B precise significat quod ista propositio precise [precise  ms. M] categorice significans non est vera et quod tu non differs a te ; et hec propositio precise categorice  significans non est vera et tu non differs a te [et hec… te ms. o] ; igitur b propositio est vera. Et in isto casu  arguitur (i) quod casus de insolubili est admittendus quando insolubile imponitur ad significandum copulative,  quamvis oppositum copulati non possit stare cum casu. Et arguitur (ii) quod insolubile est verum ».  38 There is no need to use here the right-hand side of the revised definition  There is no need to use here the right-hand side of the revised definition : p (Sig (a, p) → p) →  T(A). Even if we did, however, the antecedent would be satisfied because the insoluble precisely signifies  conjunctively, i.e. all it signifies is ¬T(a) q, and both ¬T(a) and q are granted, at (3) and (4), respectively.  consequently we would be still entitled to detach T(a). 500  rIccardo stroBIno  Peter’s argument seems to be directed against Heytesbury’s claim that whenever  the contradictory of the second conjunct is inconsistent with the casus, the latter ought  not to be admitted. in fact, according to Peter it ought to be admitted (1), in which  case it can be shown that it ought to be conceded that the insoluble is true (7), which  is against one of the rule’s prescriptions (3). However, there seems to be a problem  with this objection, for it simply asserts what it should prove and does not count as  a genuine argument to prove that one ought to admit the casus (1) even when the  contradictory of the second conjunct is inconsistent with it. Peter simply shows that,  if such a casus is admitted, one must reply in a way other than the one suggested by  Heytesbury. Heytesbury’s argument in reply could be that it is exactly because an  inconsistency would arise that the casus ought not to be admitted in the first place.  against 1. Peter argues that even if ¬q is compatible with C, Heytesbury’s solu tion does not work because the respondent is committed to conceding q, whereas  according to the rule the success of the argument ultimately relies on the fact that  q is going to be denied (which is why its negation is required to be compatible with  the casus : otherwise it could not be denied in the first place and the conjunctive case  would collapse on to the case covered by rule ).  « [2.8] [Against Rule 4] against the fourth rule one argues [as follows] : (Obj. 1) Let it  be posited that Socrates is saying ‘Socrates is saying what is false’ which adequately  signifies that Socrates is saying what is false and you are running, and let it be the case  that he is saying no other [proposition] that is not part of this. once this is posited,  ‘Socrates is saying what is false’ is proposed. once this is conceded, according to this  view, one argues as follows : Socrates is saying what is false, therefore Socrates is  saying what is false and you are running. the consequence holds, because one argues  from one convertible to the other ; and the antecedent ought to be conceded ; therefore  the consequent, too, [ought to be conceded]. but then, in addition to that, Socrates is  saying what is false and you are running ; therefore you are running. the consequence  again holds ; and the antecedent ought to be conceded ; therefore the consequent, too,  [ought to be conceded]. therefore, a conjunct ought to be conceded whose opposite is  consistent with the casus, which is repugnant to the rule, i.e. to the view »39.  39 PE tEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra « [Against Rule 4] contra quartam regulam arguitur :  (Obj. 1) quia ponatur quod Sor dicat istam ‘Sor dicit falsum’ adequate significantem quod Sor dicit falsum  et tu curris, et non dicat aliam que non sit pars istius. Quo posito, proponitur ista ‘Sor dicit falsum’. Qua  concessa secundum istam positionem, arguitur sic : Sor dicit falsum, igitur Sor dicit falsum et tu curris.  consequentia patet, quia arguitur ab uno convertibili ad reliquum ; et antecedens est concedendum ; igitur  et consequens. Et tunc ultra : Sor dicit falsum et tu curris, igitur tu curris. tenet consequentia iterum ; et  antecedens est concedendum ; igitur et consequens. igitur copulatum est concedendum cuius [cuius ms.  o] oppositum stat cum casu, quod repugnat regule sive positioni ». PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  501  Let a be an insoluble, signifying precisely that a q, where ¬q is compatible with  the casus, then  1.  .  3.  4.  5.  6.  7.  OA(a) OC(a)     a → (a q)    (p → r) → OC(p) → OC(r)   OC(a q)    (a q) → q    OC(q)     R4  hypothesis : a ↔ (a q) by the casus  obligational principle  , 3, 4 and modus ponens  simplification  4, 5, 6 and modus ponens  Step (7) is inconsistent with the prescription of Heytesbury’s rule. the contradic tory of q is compatible with the casus but nevertheless, according to Peter’s argument,  q ought to be conceded as following. Since Heytesbury’s rule claims that q ought to  be denied as repugnant, the rule is unable to warrant consistency.  Finally, against .1 Peter offers two casus that satisfy the condition of incompat ibility (if q is necessarily true, its negation is trivially incompatible with the casus) but  argues that one should not follow rule 5 in replying to the paradoxical propositions  involved. according to Heytesbury, a (the insoluble proposition signifying disjunc tively) ought to be denied. In his first objection Peter offers a proof to the contrary,  namely of the fact that a ought to be conceded :  « [2.9] [Against Rule 5] again, one argues [as follows] against the last rule [laid down by] this  view : (Obj. 1) let it be posited that ‘every proposition is false’ precisely signifies that every  proposition is false or there is a god. once this is admitted, ‘every proposition is false’ is  proposed. if this is denied, as this view maintains, [one can argue] to the contrary because it  follows ‘there is a god, therefore every proposition is false or there is a god’. the consequence  clearly holds because it follows ‘there is a god, therefore every proposition is false or there is  a god’ ; and the antecedent ought to be conceded ; therefore the consequent, too, [ought to  be conceded]. and in addition to that, one [can] say that every proposition is false ([argu ing] from one convertible to the other) ; and the antecedent ought to be conceded ; therefore  the consequent, too, [ought to be conceded]. but the consequent is an insoluble signifying  disjunctively, therefore an insoluble signifying disjunctively ought to be conceded »40.  40 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1ra-rb « [Against Rule 5] item, contra ultimam regulam istius  item, contra ultimam regulam istius  positionis arguitur : (Obj. 1) quia ponatur quod hec ‘omnis propositio est falsa’ precise significet quod omnis  propositio est falsa vel deus est. Quo admisso, proponitur ista ‘omnis propositio est falsa’. Que si negatur,  ut dicit positio, contra, quia sequitur ‘deus est, igitur omnis propositio est falsa vel deus est’. consequentia  patet quia sequitur ‘deus est, igitur omnis propositio est falsa vel deus est’ ; et antecedens est concedendum ;  igitur et consequens. Et ultra dicitur quod omnis propositio est falsa (ab uno convertibilium ad reliquum) ;  et antecedens est concedendum ; igitur et consequens. Et consequens est insolubile disiunctive significans,  igitur insolubile disiunctive significans est concedendum ». 50  rIccardo stroBIno  the argument runs as follows :  1.  .  3.  4.  5.  6.  7.  8.  9.  OA(a)  ON(a) q → (a q)    (p → r) → OC(p) → OC(r)   OC(q)     OC(a q)    (a q) ↔ a    (p ↔ r) → OC(p) → OC(r)   OC(a)     R5  disjunction introduction  obligational principle  hypothesis : q is a necessary proposition  3, 4, 5 and modus ponens  hypothesis  obligational principle  6, 7, 8 and modus ponens  but ( ) and (9) are inconsistent with one another. hat is more, (9) shows that an  insoluble precisely signifying disjunctively ought to be conceded, which is against the  rule laid down by Heytesbury. if the second conjunct is a necessary proposition, the  condition that its negation be incompatible with the casus will always be satisfied.  but the proposition itself will also always have to be conceded during a disputation.  and this leads eventually to the conclusion that the insoluble itself ought to be con ceded. therefore, we have a counterexample to one of the two situations covered by  R5. Peter does not address the other, i.e. he does not argue against the claim that in  the disjunctive case, when the negation of the second disjunct is compatible with the  casus, the latter ought to be rejected.  in sum, the three objections discussed here show that Peter’s approach to Heytes bury’s rules focuses on their inability to maintain consistency. this is argued within  the same obligational framework that Heytesbury has adopted by way of providing  counterexamples such that the conditions stated by the rules are satisfied but the  answer, either to the insoluble or to the other member of the conjunction/disjunction,  can be different from the one prescribed by the rules.  3.1.3 against restrictionism  after devoting a remarkable amount of space to the rejection of Heytesbury’s  view, Peter turns to a brief examination of his last target. in the third section, which  is by far the shortest one in the treatise, the object of criticism is the opinion of the  restringentes, in its strong version41.  41 Restrictionism,initsvariousforms,isawidelyacceptedpositionuntilsecondquarteroftheXiVthcentury,  Restrictionism, in its various forms, is a widely accepted position until second quarter of the XiVth century,  when it is wiped off the board by the modern approaches introduced by the likes of bradwardine, Heytesbury, or  buridan and adopted by their followers. a moderate version is endorsed, for instance, by ockham (for a presen PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  503  « [3.1] in [discussing] these matters, some ancients said that a part of a proposition does not  supposit for the whole proposition of which it is a part, nor for something convertible with  it, nor for [its] contradictory, nor for something convertible with its contradictory »4 .  Peter gives a very limited number of technical objections and the general tone  of this section is rather dismissive. the main claim seems to be that the view under  consideration would rule out certain inferences that are taken to be valid, whereby a  part must indeed supposit for the whole or for something logically related to the whole  of which it is a part. First, restrictionism would fail to validate inferences like « Every  particular proposition is false ; therefore some particular proposition is false » under  the assumption that no other proposition exists apart from the consequent. next, in  the proposition « Every proposition is false » the subject-term ‘every proposition’ stands  for and picks out each of its supposits, including the proposition itself, by the very  definition of supposition. Last, it seems that whenever a proposition is well-formed  and has a truth value its terms must supposit for something. it must be said, however,  that rather than offering arguments to counter this alternative account, Peter seems  to be repeating in various forms the claim that the latter is inadequate.  3.1.4 Sketch of Peter of Mantua’s solution  In the fourth section, Peter finally offers his own solution. With respect to the tax onomy of solutions mentioned above, it might be said that the approach he adopts is in  terms of a secundum quid and simpliciter distinction, but such a characterisation would  not be very informative, since solutions of very different nature fall under this general  heading. Peter’s formulation is quite uncommon and seems to have been preceded by  only one other example in the insolubilia tradition, namely that of John yclif.  tation, discussion and defense of the latter as a contextualist solution to the Liar see c. PanaccIo, Restrictionism :  A Medieval Approach Revisited, in rahman, tulEnhEImo, GEnot eds., Unity, Truth and the Liar cit., pp. 9- 53).  Generally speaking, the main distinctive feature of strong restrictionism is that it rules out all kinds of self-reference  declaring ill-formed propositions that seem to be harmless (and true) like « This is an affirmative proposition »  (referring to itself). eak restrictionism, by contrast, circumscribes the constraint only to problematic cases that  generate paradox. the standard criticism against these two positions is that the former is too strong, while the  latter looks ad hoc. it seems to me that Peter is targeting some version of strong restrictionism here, because the  formulation given above seems to cover the widest variety of cases. in particular, it is worth noting that not only  is it not permitted for a proposition to self-refer, but also indirect self-involvement is ruled out. in other words a  part of p cannot supposit for q, if q is logically related to p (because it entails or its negation entails, either directly  or indirectly, p ; or because it is entailed or its negation is entailed, either directly or indirectly, by p).  4 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1rb-vb « dixerunt antiqui in hac materia quod pars propo sitionis non supponit pro tota propositione cuius est pars nec pro convertibili nec pro contradictorio nec  pro convertibili cum contradictorio ipsius [pro istius] ». 504  rIccardo stroBIno  in this section Peter introduces three distinct senses in which a proposition can be  said to be true. only two of them, however, are relevant from a logical point of view  insofar as they are used as genuine semantic predicates. Liar-like propositions are then  said to be true in one sense and false in the other, so as to avoid contradiction (their be ing true in one sense does not entail their being false in the same sense and, conversely,  their being false in one sense does not entail their being true in the same sense). as will  be shown in the next section, this approach might seem to have a prima facie intuitive  justification. However, as has been noted already in the case of Wyclif’s solution43, it  does not provide a satisfactory account, because the paradox arises again as soon as it  is reconstructed by replacing the semantic predicate in a suitable way.  after laying down the distinction between different senses of ‘true’, and consider ing a first block of objections, Peter also discusses a series of additional arguments  that seem to be variations on the theme of the so-called postcard paradox. these  are in particular identified as a class of cases that must be rejected because they are  equivalent to impossible conditionals. the same view, in the very same context, is  again endorsed by yclif among others.  3.2 Solution to semantic paradoxes  Peter of Mantua’s solution may appear, to some extent, quite traditional in spirit. it  seems to leave entirely out of the picture the ‘modern’ idea of an extra signified content  of a proposition (to be found both in albert of Saxony and illiam Heytesbury, the two  main targets of Peter’s text). it focuses instead on the notion of truth itself, grounding  the solution on a conceptual distinction that determines two senses (in fact three, but  the first one is not relevant for the discussion of insolubles) associated with it. His  position can be described, perhaps, as that of a weak proto-hierarchist, i.e. a theorist  that allows for a two-level hierarchy of semantic predicates that applies, however, only  to the case of self-referential propositions. Let us examine the relevant texts.  « [4.1] [T0  ] Hence, since ‘true’ signifies every being insofar as it is a term of first intention  or imposition, and in this sense every being is true and no one is false or a fictum, and  [again] in this sense every proposition is a true proposition and not a fictional one, we  shall not care about this [sense of the term] in the present [context]. Rather we shall  say that a proposition can be said [to be] true in two senses.  [T1  ] In one sense [a proposition is said to be true] when it is verified not by the sup posits of its terms, among which it itself or another proposition is [found as] a supposit  — i.e. [we shall say] that a proposition is made true [in this sense] neither because a  part of it supposits for that very same [proposition] nor [because a part of it supposits]  for something relevant to it, like [the proposition] ‘there is a god’. in this sense those  43 See the introduction to wyclIf, Summa insolubilium cit., pp. xxxI-xxxIII. PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons propositions that are about terms of first intention or imposition are true or false  properly and absolutely (proprie et simpliciter). in this sense, ‘proposition’, according  to its own etimology and [taken] literally, signifies the same as ‘positing [something]  for something else’. Most [propositions] are true or false in this sense.  [T2  ] In another sense a proposition is said to be true when it is verified with respect to  itself or to something relevant. in this sense the self-referential proposition ‘this is <not>  true’ is true not absolutely but in some respect (non simpliciter sed secundum quid). but  it is false according to the first sense [i.e. simpliciter], because it is verified only with  respect to the supposit of one of its parts, of which [part the whole proposition] itself is  the supposit44, like [in the case of] ‘a human being is an ass or this disjunction is false’,  indicating through the subject [i.e. ‘this disjunction’] the whole disjunction »45.  According to a first general sense, namely when we take ‘true’ to be a transcendental  notion, everything is true, so we can easily drop this from consideration in the context  of a discussion concerning the Liar, because any proposition, insofar as it exists, is a  being and is therefore true (truth being here no semantical notion).  From the logical standpoint, however, there are two other senses of ‘true’ that  should be taken into account. e can characterise them as follows : a proposition p  is true in a first and proper sense if (Corr) a criterion of correspondence (specified  independently and depending ultimately on one’s own theory of truth) is satisfied  44 or, perhaps in a better wording, « and the supposit of that part is [the whole proposition] itself ».  45 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+1vb-o4+ ra. « [t0  ] Et ergo, cum ‘verum’ omne ens significet  prout est terminus prime intentionis vel impositionis, et hoc modo omne ens est verum et nullum falsum seu  f  ictum, et hoc modo omnis propositio est vera propositio et non ficta, ideo de hoc in presenti non curamus.  Sed dicemus quod duobus modis propositio potest dici vera. [t1  ] Uno modo quando verificatur non propter  supposita suorum terminorum quorum suppositorum ipsa vel alia propositio est suppositum — scilicet  quod propositio vera non reddatur vera ex eo quod pars eius supponat pro ipsamet nec pro pertinente  ad ipsam, sicut hec ‘deus est’. Et isto modo ille propositiones que sunt de terminis prime intentionis vel  impositionis sunt proprie et simpliciter vere vel false. Quo modo propositio ex sua etimologia et sermonis  Quo modo propositio ex sua etimologia et sermonis  virtute significat idem quod ‘pro alio positio’. Et hoc modo maior pars est vera vel falsa. [T  [t ] alio modo  dicitur propositio esse vera quando verificatur pro se vel pro pertinente. Et isto modo hec propositio est  vera ‘hoc <non> est verum’, seipsa demonstrata, non simpliciter, sed secundum quid. Sed est falsa primo  modo, quia non verificatur nisi pro supposito sue partis cuius ipsa est suppositum, sicut ista ‘homo est  asinus vel ista disiunctiva est falsa’ demonstrata per subiectum tota illa disiunctiva ». — the text is garbled  the text is garbled  in the manuscript tradition, and the emendation ‘hoc <non>estverum’isnecessarybecausePeteristalking  hoc <non> est verum’isnecessarybecausePeteristalking  is necessary because Peter is talking  here about the Liar, not the truth teller. the claim is supported by the fact that further down in the text,  when the latter is mentioned, the early printed text of E (against all manuscripts) provides a better reading.  the truth teller and the Liar receive opposite truth values, according to Peter. there is no example of a  discussion of the truth teller in the whole treatise that might suggest clearly that Peter wants it to be true  in some respect (if this were to be the case, the choice would be arbitrary and that would be a problem for  the theory). on the other hand, the conjecture proposed here is consistent with the reading of E against all  manuscripts in the next passage, and despite the cost of intervening twice with the support of one witness  only, it appears to be the only way to make good sense of the text. 506  rIccardo stroBIno  and (¬R) the semantic value of p does not depend on the evaluation of p itself (or  some other proposition q that is logically related to p), i.e. if the proposition is not  self-referential and, therefore, does not act as a truth-maker for itself.  on the other hand, a proposition is true in the second sense if, again, (Corr) a  criterion of correspondence is satisfied and (R) the semantic value of p does depend  on the evaluation of p itself (or some other proposition q that is logically related to p),  i.e. if the proposition is self-referential and does act as a truth-maker for itself.  The justification for a solution in terms of the distinction secundum quid et sim pliciter is laid down by appealing to such a twofold characterisation of the notion of  truth. all propositions — non-problematic as well as problematic ones — receive a  truth value at level 1, i.e. in the object language. the former are evaluated by looking  at the world and are said to be absolutely true or false according to whether what  they say is the case or not. the latter receive by default the truth-value false at level  1, simply because they are self-referential (not because what they say is not the case),  but are then also evaluated at level . at level , correspondence again comes into  play. if what they say is the case, then they are t , otherwise they are F . thus, on  this picture, any proposition that contains a trace of self-reference is F1  , but it can  still turn out to be t . this is precisely the case for the Liar, which, as we will shortly  see, if interpreted in a suitable manner, is said to be F1  but t .  Responding to some objections according to which this approach would lead to  the claim that truth is an equivocal notion, Peter is prepared to concede this point,  as is clear from the following passage :  « [4.3] but with respect to these [issues] one should understand that the term ‘true’ is  an equivocal term and the propositions ‘this is true’, ‘not this is true’ and the like are all  propositions with multiple senses. therefore, when ‘not this is true’ [or] ‘this is false’  [i.e. the Liar] is proposed, one should not respond according to a single response, but  rather one should respond that this is false according to the first member of the divi sion introduced [above] and true according to the other. and likewise as far as their  contradictories ‘not this is false’, ‘this is true’ [i.e. the truth teller] are concerned, [one  should respond] by denying that this is true according to the second sense of the division  introduced [above] and by conceding that this is false in the first sense »46.  46 PEtEr of mantua, Insolubilia cit., sig. o4+ va « Pro istis intelligendum est quod iste terminus ‘verum’ est terminus  equivocus et iste propositiones omnes sunt propositiones plures ‘hoc est verum’, ‘non hoc est verum’ et sic de aliis. Et  ideo, cum proponitur ‘non hoc est verum’, ‘hoc est falsum’, non est secundum unicam responsionem respondendum,  sed est respondendum quod hoc est falsum secundum primum membrum divisionis posite et verum secundum aliud.  Et ita de suis contradictoriis ‘non hoc est falsum’, ‘hoc est verum’, negando quod hoc est verum [verum E, against  falsum bLMoPV] secundo modo divisionis posite et concedendo quod hoc est falsum primo modo ». PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  507  Peter draws here a distinction between multiple senses in which propositions are said to  be true. or, to put it otherwise, he ascribes different senses of ‘true’ to classes of propositions  identified on the basis of the syntactic property of being or not-being self-referential.  Propositions are usually (i.e. in most situations in which we are just talking about  the world) said to be true only according to the first sense (T1  ) and in this sense they are  properly and absolutely (simpliciter) true or false. truth in this sense might be labelled  ‘truth in the object-language’47. Despite being false in the first sense, some propositions  can still be true in a second sense (t ), when they act as truth-makers for themselves,  and in that case they are said to be true secundum quid, i.e. in some respect.  in doing so, Peter is looking at propositions on the basis of the two aforementioned  parameters : a criterion of correspondence (Corr) and the occurrence of self-reflec tion (R). the logical relationships holding between the notions of absolute truth and  absolute falsehood, and truth and falsehood in some respect can be represented as  follows in function of these criteria :  T1  (p) T2  (p)  ¬T1  (p) ¬T2  (p) iff   iff   iff   iff   (Corr) ¬(R)  (Corr) (R)  ¬(Corr) (R)   ¬(Corr) (R)48     iff   iff   F1  (p)  F2  (p)  these notions apply to the following categories of propositions :  (a) « there is a god », « Socrates is sitting », if Socrates is actually sitting, « the  proposition “there is a god” is necessary » (t1  only) ;  (b) « a human being is a donkey », « Socrates is running », if Socrates is actually not  running, « the proposition “a human being is a donkey” is necessary » (F1  only) ;  (c) « this is not true » (Liar), « this proposition contains exactly six words » (F1   and t ) ;  (d) « this is true » (truth teller), « this proposition contains exactly twenty words »  (F1  and F ).  47 note that this is only intended to distinguish the cases in which a proposition talks about itself from  note that this is only intended to distinguish the cases in which a proposition talks about itself from  all other cases. if a proposition is about (the truth or falsehood of) another proposition, it is just as if it  were about any other fact in the world.  48 it should be noted that, on Peter of Mantua’s account, negation can be taken to ‘behave’ extensionally at  it should be noted that, on Peter of Mantua’s account, negation can be taken to ‘behave’ extensionally at  level  only because we are restricting ourselves to the class of self-referential propositions, and therefore, being  F in fact means simply failing to satisfy the correspondence criterion, once the proposition has already been  established to be self-referential. If we were to define F as the dual of t we would be eventually forced to admit  that t1  propositions are also, by definition, F , which would make little sense for a semantic theory. 508  rIccardo stroBIno  in the Liar case, Peter’s claim is that we can consistently maintain that it is not true  absolutely, while still being true in some respect. in order for this to obtain we have  to assume explicitly that what the Liar says is that it itself is not true absolutely. For  in that case, (i) it is in fact not true absolutely (because by definition all self-referential  propositions are not true absolutely), and (ii) since what it says is the case, it is true  in some respect, which means that the correspondence criterion is satisfied and that  the proposition is self-referential.  in other words, even if the Liar is strictly speaking false, it still has some amount  of truth (because what it says, namely that it is not true absolutely, satisfies the cor respondence criterion : the proposition is not true absolutely because in order for it  to be true absolutely it should be immune from self-reference, and it is not). thus if  a is ¬T1  (a), the following holds :  1. ¬T1  (a) [=a] is ¬T1  . ¬T1  (a) [=a] is T  A sufficient condition for (1) is (R), because by definition, whatever is ¬T1  is such  because ¬(corr) (R). it is crucial here that the reason of ¬T1  (a)’s [=a] not being T1   is (R) and not ¬(corr) : otherwise the claim of absolute falsehood would rely on a  failure of correspondence. But a failure of correspondence would then be a sufficient  condition for the absolute truth of the proposition, which exactly says of itself that it  is such that either what it says fails to obtain or it is self-referential, and the paradox  would arise again. On the other hand, since A satisfies (R), because it is self-referential,  and (corr), because it says of itself that it is ¬T1  and it is in fact ¬T1  , then a is T .  Once we accept these characterisations, the final move is consequently to deny  the Liar in one sense and affirm it in the other. The solution simply amounts to clas sifying the proposition as true in one sense (t ) and false in the other (F1  or, which is  the same, ¬t1  ). at this point a contradiction no longer follows, because the sense in  which the proposition is true is not the same sense in which it is not true. this can  easily be seen if we look at the conditions that define these notions : in order for the  Liar to be not t1  it suffices that it be self-reflexive. But it is self-reflexive, and what it  says is that it is not t1  , therefore it is t .  it is noteworthy that Peter himself recognises and explicitly aknowledges the fact  that introducing these two senses immediately leads to the conclusion that the notion  of truth is equivocal.  if we rephrase the original formulation of the paradox given above (see supra  § ), we can see why Peter’s solution might be thought to have a prima facie intuitive  justification.  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  509  Suppose a = ¬T1  (a) and t = (t1  t )49, then the following obtains :  1st leg of the paradox  (1*)  T(a)50  (2*)  T(a) → p (Sig (a, p) p)  (3*)  Sig (a, ¬T1  (a))  (4*) ¬T1  (a)  nd leg of the paradox  (5*)  ¬T1  (a)  (6*)  p (Sig (a, p) p) → T(a)  (7*)  Sig (a, ¬T1  (a))  (8*)  T(a)  (9) T2  (A) by (8*), (5*), definition of T as (T1  t ) and disjunctive syllogism  the conclusion of the second leg of the argument is not incompatible (as it used  to be when we were using only one truth-predicate in the original formulation of the  paradox) with that of the first leg. What is being said here is that one and the same  proposition, a, is (4*) not true absolutely, but (8*) still true either absolutely or in  some respect. the distinction drawn above makes such a move legitimate. indeed, it  immediately turns out that a is true in some respect, and provably so (the conclusion  is derived by 5*, 8*, the hypothesis that t = (t1  t ) and disjunctive syllogism).  by contrast, in the original formulation of the paradox, (4) and (8) taken together  formed a contradiction.  on such an account, there is also an interesting story to be told about the truth  teller. as is well known, the truth teller is a proposition that fails to provide proper  truth conditions for its own evaluation. if it is true, it is true, and if it is false, it is  49 hatihavecalledearlierthe  hat i have called earlier the transmission principle (i.e. the proposed definition of truth) is formulated  more broadly with predicate t, which is now the disjunction of the two predicates t1  and tt  introduced  above. the intent of this is to have the transmission depend solely on (corr) : if things are as a proposition  signifies them to be, then the proposition is either true absolutely or true in some respect, regardless of  whether it is self-referential or not, and vice versa. the revenge problem will ultimately depend on the  adoption of this very same predicate (or, possibly, even just of t ). i can only think of this broader predicate  as a plausible candidate for the definition of truth.  50 the  the reductio would actually require a narrower assumption, namely T1  (a). For (4*) is not incompat ible with (1*). 510  rIccardo stroBIno  false, but no information conveyed by proposition itself can help us determine which  is the case. on Peter’s account, by contrast, the truth teller is false absolutely — just  as the Liar — simply because it is self-referential. hen it comes to its evaluation  at level , since what it says is that it itself is t1  and this is not the case (because in  order for it to be t1  it should be non-self-referential, which it is not), then the truth  teller is not even t . the interesting thing about this approach is that, although both  the Liar and the Truth teller get the same truth value at the first level (because they  are both self-referential irrespective of what they say), the intuitive need of providing  a different evaluation to those two propositions, which is grounded in the fact that,  being contradictories, they seem to say opposite things, can be still preserved at level  , where they in fact receive opposite truth values. For the Liar is t , while the truth  teller is not t . in sum Peter’s approach seems to provide a viable solution, at least  intuitively, out of the paradox, and also suggests a reasonable way to look at the truth  teller. this logical project, however, is doomed to fail. before looking at why the solu tion must eventually be rejected, let us briefly look at the sources and the influence of  Peter’s text. this will help us introduce the content of the last section. Sources and influence  Albert of Saxony and William Heytesbury are the two most clearly identifiable sources  for Peter of Mantua’s treatise, and this fact was already established in Spade’s catalogue,  where the two names are associated with that of Peter for the first (and last) time51.  another connection is the one that Peter has with Paul of Venice, who comes a few years  later and reports his views (anonymously). again, this fact had already been noted by  Spade, and it confirms a more general connection between the two masters, since in  other parts of Paul’s Logica Magna traces of Peter’s doctrines are to be found5 .  51 See sPadE, The Medieval Liar cit., p. 86 (s.v. Peter of Mantua, Lii). this was, however, already obvi . this was, however, already obvi this was, however, already obvi ous to contemporary readers : in one of the six manuscripts that preserve the text of Peter’s Insolubilia  (Mantova, biblioteca comunale, ms. 76, f. 79va in margine), the copyist, an arts student at Ferrara in the  14 0s, writes Heytesbury’s name in the margin at the beginning of the passage where Peter sets out to  discuss his view.  5 See Paul of VEnIcE, Tractatus de insolubilibus cit., f. 193vb « alius magister ideo favens huic opinioni sed  non in modo subordinationis assignate ponit quod huiusmodi termini ‘verum’ et ‘falsum’ sunt termini equivoci  deducta ipsorum transcendentia, sed solum ut de signis complexe significantibus dicunt propositio ergo ait  duobus modis potest esse vera. Uno modo dicitur propositio esse vera quando ipsa verificatur non propter sup posita suorum terminorum quorum ipsa <propositio est suppositum>, scilicet quod propositio non redditur  vera ex eo quod pars eius supponat pro ipsamet nec pro pertinente ad ipsam, sicut ‘deus est’. Et isto modo  propositiones que sunt de terminis prime intentionis vel impositionis sequitur simpliciter et proprie esse vere  vel false. Quo modo ‘propositio’ ex etimologia sermonis virtute idem significat quod pro alio positio. Alio modo  dicitur propositio vera quando verificatur pro seipsa aut pro alio pertinente. Et illo modo hec propositio est  vera ‘hoc <non> est verum’, seipsa demonstrata, et hec ‘hoc est falsum’ seipsa demonstrata, non simpliciter sed  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  511  there are, however, a few additional facts that — to the best of my knowledge  — no one seems to have noticed so far. The first shows the strong debt to another  representative of the tradition of English logic. the second is a more minute considera tion that counts as an interesting historical detail. Let me deal briefly with the latter,  f  irst : Spade refers in his catalogue to the position of a certain anthony de Monte, the  copyist of a number of tracts transmitted in the oxford manuscript, Canon. misc. 19  (which is for the most part a collection of logic treatises among which Peter’s Logica  is preserved in its entirery53). this anthony can be independently established as an  associate of Peter’s from the Padua circle where Peter had been educated before mov ing to bologna. the oxford manuscript contains a leaf copied by anthony with some  conclusions concerning insolubles where he discusses the positions of albert of Saxony  and illiam Heytesbury, explicitly quoting their names. the text dates from the mid  1390s, i.e. right after Peter is assumed to have finished his Logica (in the early 1390s54).  it is likely that this very brief text derives its selection of sources from the ‘portfolio’  that is to be found in Peter, or that they might have had a source in common.  the main point that i want to stress here, however, is not about a ‘follower’, but  about a source. Peter’s solution in terms of the distinction of different senses of ‘true’ is  already found in the logical writings of John yclif in the very same context, a strategy  which is nowhere else to be found in the context of the insolubilia-literature.  yclif’s discussion is much longer than Peter’s and includes many different con siderations, but when it comes to truth and the solution to the Liar their accounts  are very close to one another :  « if we restrict our discourse to signs, three better known degrees can be singled out  according to which a proposition can be true or false.  [T0  ] In the first broadest sense, a proposition is true because it is a being, for being and  true are convertible according to the philosophers.  [T2  *] [...] in a second, slightly narrower sense, a proposition is said to be true, because  of the truth that it primarily signifies ; no matter whether that truth consists in [the  proposition] itself, or something that depends on it, or [again] an entirely distinct being ;  secundum quid. Sed est falsa primo modo, quia ipsa non verificatur nisi pro supposito sue partis cuius ipsa est  suppositum. concludit ergo quod ille propositiones sunt plures ‘hoc est falsum’, ‘hoc est verum’ et sic de aliis.  Quare, cum proponitur aliqua illarum, non est secundum unam responsionem respondendum sed dicendum  quod hoc est falsum secundum primum membrum <divisionis> posite, et verum secundum aliud ». cf. also  also  sPadE, The Medieval Liar cit., pp. 8-84 (s.v. Paul of Venice, L).  53 See sPadE, The Medieval Liar cit., pp. 5 (s.v. anthony de Monte, XXVi). For a description and analysis  of the content of the manuscript, see a. maIErù, Le ms. Oxford canonici misc. 19 et la Logica de Strode,  in Id. ed., English Logic in Italy in the 14th and 15th Centuries. Acts of the 5th European Symposium on  Medieval Logic and Semantics, Rome 10-14 November 1980, bibliopolis, napoli 198 , pp. 87-110.  54 See  See JamEs, Peter Alboini of Mantua cit., p. 163. 51  rIccardo stroBIno  and in this sense the following propositions are true : ‘this proposition exists’, ‘this  proposition signifies’, ‘this proposition Socrates sees’, ‘there is a god’ and the like.  [T1  ] [...] Third, in a specific sense a proposition is said to be true when it primarily  has a significatum that is independent of the proposition itself, like the following :  ‘there is a god’, ‘the sun is moved’. and aristotle spoke according to this sense when he  said : “a proposition is true or false because the thing that the proposition primarily  signifies is or is not, and not by virtue of a change occurring in the proposition”. And  the etimology agrees with this common way of understanding a proposition, because  according to the former ‘proposition’ derives [its name] from ‘positing [something] for  something else’.  […] it is clear from the above that something false in this sense [i.e. F1  = ¬T1  ] is true both  in the first [i.e. T0  , which is not relevant here] and in the second sense [i.e. T *]. it is also  clear that if something is true in the third sense [T1  ], then it is true also in the second  sense [T *], but not the other way around. on the basis of such premises, i say that all  [propositions] that are commonly called insolubles are true as well as false »55.  it should be noted that yclif understands the relationship between T1  and T * to  be one of extensional inclusion, i.e. all T1  propositions are T * propositions, because  T * propositions include all T1  propositions, plus all propositions that are (i) self-ref erential and (ii) satisfy (corr)56.  in other words, the conditions for T1  are the same as in Peter’s case :  T1  (p)    iff   (Corr) ¬(R)  but those for T are weaker, because in the end the only requirement is that the cor respondence criterion be met. This is because, by definition,  55 wyclIf, Logicae continuatio cit., vol. ii, ch. Viii, pp. 04- 05 « Sed restringendo sermonem ad signa  notantur tres gradus famosiores quibus contingit proposicionem esse veram vel falsam. [t0  ] Primo modo  largissime est proposicio vera, quia ens ; nam ens et verum secundum philosophos convertuntur. Et cum  isto famoso modo intelligendi proposicionem concordat etymologia, qua ‘proposicio’ dicitur a ‘pro alio  posicio’. [t *] Secundo modo, paulo contraccius dicitur proposicio vera, propter veritatem quam primarie  significat ; sive ipsa veritas sit ipsamet, vel ab ipsa dependens, sive ens omnino distinctum ; et isto modo  sunt tales vere : ‘hec proposicio est’, ‘hec proposicio significat’, ‘hanc proposicionem videt Sor’ [assuming at  least one of them to be self-referential], ‘deus est’, et similia. [t1  ] […] Sed tertio specialiter dicitur proposi cio vera, quando habet primarie significatum independens ab ipsa, ut sunt tales : ‘deus est’, ‘sol movetur’,  etc. Et isto modo locutus est aristoteles de proposicione, dicens : “in eo quod res est vel non est, quam  proposicio primarie significat, est ipsa vera vel falsa, et non propter mutationem factam in proposicione”. Et ex istis patet quod falsum isto modo est verum tam primo modo quam secundo. Patet eciam quod  si quicquam est verum tertio modo, tunc est verum secundo modo ; sed non econtra. istis premissis, dico  quod omnia vocata communiter insolubilia sunt tam vera quam falsa ». cf. also Id., Summa insolubilium  cit., pp. 5-8, for a parallel discussion.  56 obviously (corr) ultimately depends on one’s favourite theory of truth.  obviously (corr) ultimately depends on one’s favourite theory of truth.  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  513  T2  * (p)    iff    iff  iff  iff  (T1  (p)    ((Corr ¬R)  ((Corr)   (Corr)         (Corr R))  (Corr R))  (¬R R))  i.e., no matter whether p is self-referential or not, p will be T  * if and only if p meets  the correspondence criterion, i.e. if and only if what it says is the case. as for false hood, on Wyclif’s account, it is the same notion that we find in Peter, when it is the  negation of T1  ¬T1  (p)    iff   ¬(Corr) (R)   iff   F1  (p)  but it must be understood in terms of a weaker condition when it comes to the nega tion of T  *  ¬T2  * (p)   iff   ¬(Corr)57     iff   F2  * (p).  the solution to the paradox is, just as on yclif’s account, to declare the Liar to  be true and false, but according to different senses.  now, before looking at how both accounts fail to do what they are supposed to,  as they turn out to be inconsistent, it is worth considering the main logical difference  that distinguishes them. both can argue that the Liar is ¬T1  but T (or T  *) ; moreover,  they can also both provide a justification for the claim that the Truth teller is ¬T1  and ¬T  ( or ¬T  *). they only depart from one another in their respective account of  negation. Wyclif has only one type of negation, Peter must have two. By definition,  according to yclif the following relations hold :  J1. ¬(T  * (p) → T1  (p))  i.e. it is not the case that if p is true in some respect, it is also true absolutely, because  ¬ (corr → (corr R)).  57 hich means that in yclif’s case, negation behaves in the same way on both levels, the difference  hich means that in yclif’s case, negation behaves in the same way on both levels, the difference  being that at level  the only parameter under consideration is whether the correspondence criterion is  or is not satisfied. 514  rIccardo stroBIno  J . T1  (p) → T  * (p)  i.e. if p is true absolutely, then it is also true in some respect, because (corr R) →  corr.  by contraposition, from J we can obtain  J3. ¬T  * (p) → ¬T1  (p)  i.e. if p is not true in some respect, then it is not true absolutely, because ¬corr →  (¬corr R). theses J and J3, on yclif’s account are equivalent.  by contrast, on Peter’s account the following relations hold :  PM1. ¬(T  (p) → T1  (p))  as for yclif, it is not the case that if p is true in some respect, then it is true absolutely,  because ¬ ((corr R) → (corr ¬R)).  PM . ¬(T1  (p) → T (p))  but on the other hand, nor is it the case that, if p is true absolutely, then it is also true  in some respect, because ¬ ((corr ¬R) → (corr R)).  PM3. ¬T  (p) → ¬T1  (p)   if it is not the case that p is true in some respect, must it be false absolutely ? ac cording to Peter it must, because by definition, being not true in some respect means  satisfying both conditions required for being ¬T1  , i.e.  (¬corr R) → ¬(corr ¬R)              →  (¬ corr R)  but then, one might argue that after all from PM3 by contraposition we can  derive  PM4. T1  (p) → T  (p)  which is not compatible with Peter’s account. i believe the point at stake here is pre cisely that two different kinds of negation are operating on Peter’s view. Standard  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  515  negation would require us to apply de Morgan’s laws to the conditions of ¬T  (p) and  ¬T1  (p) in  PM3. ¬T  (p) → ¬T1  (p)  and obtain  PM4. T1  (p) → T  (p)  only the move from the consequent of PM3 to the antecedent of PM4, however,  is legitimate, because standard negation applied to ¬T1  (p) in fact yields T1  (p). as for  the other transformation, one cannot simply deny ¬T  (p) to obtain T  (p) because  the two share a condition, namely that the proposition be self-referential. in which  case, by restricting ourselves to the domain of self-referential propositions, we would  restore perfect duality, but at the cost of going back to yclif’s framework. it remains  therefore unclear what progress Peter’s approach is supposed to achieve.  be this as it may, as i have already said, both projects are inevitably destined to  fail. the fact has been noted already in yclif’s case, and the argument applies also  to Peter’s approach, and it does not seem that their divergence on negation might be  of any help in working out an alternative solution to save either of them.  3.4 Revenge  Peter of Mantua’s solution is to claim that a, the Liar, says of itself that it is not  true absolutely, and since it is in fact not true absolutely (because it is a self-referential  proposition), what it says is the case, which makes it therefore true in some respect,  according to the definitions of the two notions given above. If this solution might have  a superficial appeal, because it establishes the truth value of the Liar without thereby  committing itself to the paradox, it soon becomes clear that its success is not much  of an advance. For it is not immune from the so-called revenge problem.  Let us assume that T stands for T1  T2  . T(p) means that p is either true absolutely  (correspondence criterion met without self-reference) or true in some respect (corre spondence criterion met with self-reference). hat happens if the paradox is proposed  anew in the form ¬T(a) ? it arises again, and leads us back to the original formulation.  at this stage, however, there does not seem to be a way around it.  1st leg of the paradox  (1**)  (2**)  T(a)  T(a) → p (Sig (a, p) p) 516  rIccardo stroBIno  (3**)  (4**)  Sig (a, ¬T(a))  ¬T(a)  nd leg of the paradox  (5**)   (6**)   (7**)   (8**)   ¬T(a)  p (Sig (a, p) p) → T(a)  Sig (a, ¬T(a))  T(a)  From a logical point of view, what is going on here (as well as in yclif’s case,  which is open to the same kind of criticism) is that we are entitled to consider the two  distinct definitions modulo self-reflection. Thus, rephrasing the paradox as above is  equivalent to asking of a given proposition a = «  = « ‘a’ fails to meet its own correspon dence criterion » whether a fails to meet its own correspondence criterion. but then  whether a fails to meet its own correspondence criterion. but then  of course, if it does, it does not ; and if it does not, it does. the paradox rises like a  phoenix from the ashes. one might be tempted to think that revenge occurs even if  we confine ourselves to rephrasing the paradox in terms of the new truth predicate  T2  (or T2  *), i.e. by asking whether a = ¬T2  (a) is true or false58  1st leg of the paradox  (1***)   (2***)   (3***)   (4***)  T2  (a)  T2  (a) → p (Sig (a, p) p)  Sig (a, ¬T2  (a))  ¬T2  (a)  nd leg of the paradox  (5***)   (6***)     ¬T2  (a)  p (Sig (a, p) p) → T(a)  58 this seems to be, in particular, Paul of Venice’s approach. although awareness of the revenge pro this seems to be, in particular, Paul of Venice’s approach. although awareness of the revenge pro blem dates at least as far back as bradwardine (part of a section of his treatise is devoted to this family of  problems, see BradwardInE, Insolubilia cit., ch. 7), Paul of Venice addresses this particular version proposed  by Peter of Mantua, see Paul of VEnIcE, Tractatus de insolubilibus cit., ff. 193  ff. 193vb-194ra « Sed hec declaratio  non solvit insolubilia sed potius se involvit. nam capio ‘verum’ et ‘falsum’ secundo modo et probo quod  sic sumendo hec est falsa ‘hoc est falsum’, se demonstrato. Nam si ipsa sit vera et significet adequate hoc  esse falsum, igitur verum est hoc esse falsum. consequentia tenet apud eum ; et ultra verum est hoc esse  falsum ; igitur hoc est falsum, sic sumendo. Et sic habeo quod idem est verum et falsum secundo modo  dicto [pro dictis], quod ipse negat ». PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  517  (7***)    (8***)   Sig (a, ¬T2  (a))  T(a)  in order to generate the paradox, what is needed here is in fact a much more re stricted (and false) principle, i.e. that whenever p signifies something that is the case,  p is true in some respect. this is obviously not the case, because in most ordinary  situations — i.e. when it is not self-referential —, whenever p signifies something that  is the case, p is true absolutely. Yet, since here a is indeed self-referential, it cannot be  true absolutely. therefore, we would still have a contradiction, because from (8***),  (5***) and disjunctive syllogism, we could prove T1  (a). but a is self-referential and  cannot in principle be true absolutely59. the two revenge arguments both apply in  yclif’s case because his notion of truth in some respect in fact coincides with cor respondence. Peter might have a little advantage over the second formulation, but he  would still have to find a way out of the first.  4. conclusIon  Paradoxes are a rather natural context for the development of discussions concern ing truth, already in the framework of medieval logic. it is probably no coincidence  that a rigorous characterisation — or at least the strive for a rigorous characterisation  — of the notion of truth, and the systematic development of formal theories of truth  in post-Fregean logic, is closely connected to the discovery or re-discovery of a variety  of paradoxes between the end of the XIXth and the first half of the XXth century. In  this respect, even if trying to find anything comparable to such a systematic modern  attempt in medieval logic would be probably a slightly optimistic endeavour, the  conceptual analysis of logical paradoxes, already in that context, prompted consid erable efforts and the development of a remarkable number of different solutions.  then, more or less as nowadays, there were theorists who believed the actual truth  value of Liar-like propositions could be determined and yet paradox could be avoided ;  others who sought a compromise (true in one sense, but not in another, or accord ing to contextual parameters) ; people who tried to push the problem a level further  (rule out certain types of propositions, refuse to acknowledge meaningfulness to the  proposition), people who claimed the paradox is semantically overdetermined (both  59 the reason of this complication, which might be even regarded as an advantage of Peter’s view over  the reason of this complication, which might be even regarded as an advantage of Peter’s view over  yclif’s, lies in their different criteria for ¬T2  and ¬T2  *. on yclif’s account, rephrasing the paradox in the  way presented in this section (a fails to meet its own correspondence criterion) or in terms of the second  sense of ‘true’ (a is not true in some respect) has the same result, because T2  * and ¬T2  * are symmetrically  defined in terms of correspondence vs non-correspondence. I wonder whether on this basis Peter might  defend himself in a better way at least against a formulation of the revenge problem that makes use of ¬T2  (as opposed to yclif’s ¬T2  *) only. 518  rIccardo stroBIno  true and false) or underdetermined (neither true nor false). in this paper i have tried  to show how some of these approaches interact with one another, by putting them into  perspective from the standpoint of a late XiVth century logician. it turned out that a  particularly relevant theoretical position is taken (albeit in significantly different ways  and, for that matter, with varying degrees of success) by a number of logicians such  as bradwardine, buridan, albert of Saxony and illiam Heytesbury. all of them try  to solve the paradox with similar tools : in particular by adopting certain assumptions  — in a restricted or unrestricted manner — on the signification of propositions, and  by suitably refining their definition of truth. The last two are especially important for  understanding the context of Peter of Mantua’s treatise.  His work on insolubilia puts forward a solution that is strongly reminiscent of the  traditional secundum quid and simpliciter approach, although such a characterisation  embraces a broad variety of alternative accounts. the distinction between two senses  of ‘true’, which applies to propositions according to their syntactic structure and what  ultimately determines their semantic value, seems to foreshadow, as it were, a remote  distinction between grounded and ungrounded propositions. it does, however, not  reach much further than that. as noted above, it is understandable as a weak (proto-)  hierarchical solution. Hierarchical because it attempts to solve the paradox by intro ducing a new sense of ‘true’ intended to provide a further semantic discrimination for  propositions that would otherwise simply be regarded as false (some of these are still  false even in the second sense, when they fail to signify things as they are ; but if they  do signify things as they are, they are true at least in the second sense). eak because  it introduces a new truth predicate only for a restricted class of propositions, namely  self-referential ones. Most propositions talk about the world and are unproblematic.  they are either true or false in absolute terms. Some other propositions self-refer, in  which case they are strictly speaking always false. Yet, according to whether what  they say is the case or not, they receive an additional truth value one level up and are  either said to be true in some respect or false in some respect. this allows to solve a  very basic version of the paradox, but as long as the new truth predicates are rear ranged in a suitable way, the contradiction resurfaces immediately.  i am doubtful about whether Peter’s own version of the secundum quid and sim pliciter solution can be saved. a way out could be to open the hierarchy upwards, by  dropping the intuitive syntactic justification that led to the introduction of the second  truth predicate. One would have to adjust the definition of truth and the introduc tion of each additional predicate would no longer have an intuitive justification : all  propositions that have a truth value at level 1, retain that truth value throughout.  Some propositions that are false at level 1, can be true at level , like for example, in  the Liar case, a, which is ¬T1  and T2  . as we have seen, if we ask of a = ¬T2  (a) whether  it is true or not, we might run into difficulties, if the set of truth values includes only  T1  and T2  . hat if we did not have such a limit ? e might tentatively want to claim  PEtEr of mantua on InsoluBlE ProPosItIons  519  that a is ¬T1  and ¬T2  but T3  and redefine truth as T(a) ↔ p (Sig (a, p) p), where T  is (T1  T2  T3  ). the only condition that all truth predicates would have to have in  common is correspondence. this would leave open the most general formulation of  the paradox once we deny T of a, but it might avoid each singular instance. thus,  for example, a = ¬T2  (a) is ¬T1  and also ¬T2  , stipulating that whenever a proposition  denies of itself the n-th truth predicate at level n it is ¬Tn  (for any n greater than 1).  but this would mean, generally, that since this is what the proposition says, at the  next n+1-th level, the proposition is Tn+1  , and the definition of truth at n is T(a) ↔ p  (Sig (a, p) p), where T is (T1  Tn-1  Tn  ).  be this as it may, two further questions, more closely related to Peter’s immediate  theoretical concerns, deserve to be raised. First, in what way, if any, does the treatment  of the Liar affect the notion of logical consequence (validity) that Peter endorses in  his Logica. Secondly, how does the solution proposed here interact with his general  account of truth ? these questions will have to remain open for the time being, but i  believe that Peter’s effort in rejecting both albert of Saxony’s and illiam Heytesbury’s  views on insolubles goes far beyond the mere fact that these two authors happen to be  relevant sources for Peter’s work. the ultimate target seems to be, in both cases, the  characterisation of truth in terms of different howsoever-clauses. it will be interesting  to explore how this notion is employed in the account of consequences and in the  account of truth. this, however, will have to wait for next round.  abStRact  this paper offers an analysis of a hitherto neglected text on insoluble propositions dating  from the late XiVth century and puts it into perspective within the context of the contemporary  debate concerning semantic paradoxes. the author of the text is the italian logician Peter of  Mantua. the treatise is relevant both from a theoretical and from a historical  standpoint. by appealing to a distinction between two senses in which propositions are said  to be true, it offers an unusual solution to the paradox, but in a traditional spirit that contrasts  a number of trends prevailing in the XiVth century. it also counts as a remarkable piece of  evidence for the reconstruction of the reception of English logic in italy, as it is inspired by  the views of John yclif. three approaches addressing the Liar paradox (albert of Saxony,  William Heytesbury and a version of strong restrictionism) are first criticised by Peter of  Mantua, before he presents his own alternative solution. the latter seems to have a prima facie  intuitive justification, but is in fact acceptable only on a very restricted understanding, since  its generalisation is subject to the so-called revenge problem. Nome compiuto: Petrus de Mantua. Petrus Mantuanus. Petrus Alboinis de Mantua. Petrus Alboini Mantuanus. Pietro di Mantova. Keywords: logica. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Alboini,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Albucio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An orator and a pupil of Papirio Fabiano (si veda). He appears to include regularly philosophical arguments and allusions in the speeches he makes on behalf of clients. Nome compiuto: Albucio Silo. Albucio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice d Albucio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Albucio: l’orto a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). FIlosofo italiano. Termina i suoi studi ‘classici’ ad Atene. Dell’orto. Familiarizza bene con la letteratura, anzi, secondo CICERONE, con sarcasmo, è ormai un “greco.” A causa della sua passione per la lingua e la filosofia greche, venne preso in giro dal poeta satirico Gaio Lucilio (si veda), i cui versi su di lui sono giunti a noi grazie a CICERONE. Cicerone stesso lo descrive come un uomo frivolo. A. accusa, senza successo, Quinto Mucio SCEVOLA (si veda) l'Augure di malamministrazione – “repetundae” -- della sua provincia. E propretore nella Sardegna, e grazie ad alcuni insignificanti successi che ottene contro i predoni, celebra un trionfo nella provincia. Quando ritorna a Roma, chiede al senato romano di ottenere l'onore di una supplicatio, ma la sua richiesta venne respinta, e venne accusato di concussione da Gaio Giulio Cesare Strabone, zio di Giulio CESARE (si veda), e condannato all'esilio ad Atene. Gneo Pompeo Strabone si è offerto come accusatore, ma la sua richiesta venne respinta, perché era stato questore di A..  In seguito alla sua condanna, si dedica agli studi filosofici. Scrive alcune orazioni, che vennero lette da Cicerone. Cicerone, Brutus; Cicerone, de finibus bonorum et malorum; Orator; Cicerone, de provinciis consularibus; in Pisonem; Divinatio in Q. Caecilium; de officiis; Cicerone, Tusculanae disputationes. Smith, Dictionary of Roman Biography and Mythology. A. Treccani; Istituto dell'Enciclopedia Italiana; V · D · M Epicureismo, Antica Roma; Biografie; Filosofia; Politici romani; Filosofi romani Retori romani Filosofi; Pretori romani Epicurei. Grice ed Albucio – Roma – filosofia italiana—Luigi Speranza (Roma). Tito Albucio was a philosopher of what the Italians call ‘L’Orto,’ The Garden. He pursued a political career, but was sent into exile after being found guilty of extortion. Cicerone suggests that Albucio was not a particular good follower of the Garden, and ‘something of a poser.’ Nome compiuto: Tito Albucio. Albucio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Albucio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alcia: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Lugi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), A. was a Pythagorian. Alcia. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Alcia,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

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