Grice
e Meis: l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito
abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico).
Filosofo italiano. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di
un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a
Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di
Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco
De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio
dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel
1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola
privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e
scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli. Dopo la promulgazione della costituzione nel
Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra:
sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe
borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re. Fu quindi costretto all'esilio: dopo un
soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la
professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò
antropologia all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico
parigino, diventando assistente di
Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica.
Strinse anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò. Tornò a Napoli e divenne assistente di De
Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto
Membro straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in Massoneria, è certo
tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico-spirituale alle
scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo di Hegel. Fu anche amico
intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in parte la speculazione
intorno al positivismo. Venne citato, di
passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia Pascal. Fu costruito il nuovo palazzo della
Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a De
Meis. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi
Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani. Il protagonista del romanzo infatti ascolta
casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e
dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo
cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà
"Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che
attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade
rappresentassero Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il
viso di Gesù durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia
Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria
libertà. F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo
Camillo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis politico
“militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Angelo
Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. M., in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei
deputati. Angelo Camillo De Meis di
Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di
Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella
prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle
successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di Francesco De
Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis. Difficile immaginare che
questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le
ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche non si pensi al saggi in cuil
Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica
hegeliana dello spirito; onon si immagini che possa essere il suo pensiero,
sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo
politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prednde parte del
cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL
SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di
mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della
popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra
lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano
Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora
Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico
universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo
incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico
intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Neoplatonismo Cristianesimo Oggettivismo ideale particolarista
Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio
alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S.
Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio
Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico
individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant
Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant
Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling
Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo
Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana individuata.
L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che basta a se stessa. 11
che appunto vuol dire che lo Stato è il grande organismo umano,
l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso, indipendente ed
assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di fun- zioni.
Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si
nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa.
Egli è questo il sistema dei suoi bisogni mate-riali, vegetativi ed
animali. Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vege- tabile
compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima,
sormontata dall'unità dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla
coscienza umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale ; la
coscienza è la corona della vita animale ; e la coscienza assoluta è la
corona e F apice della vita spirituale. Come spirilo l'uomo è
per prima cosa, e per prima base, morale. La moralità, la virtti privata,
è la forma più naturale dello spirito : essa è il patrimonio
dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo
aggrandito; egli è l'individuo che si aggiunge una porzione della natura
esterna; ed è una estensione del suo corpo , e della sua anima;
ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione della sua natura
giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera
coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e
circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella pura
coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli
aspira a conoscere anco F interno di se, la sua propria natura. E Si
conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito:
nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come
infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema
spirituale nell' uomo piccolo , nelF individuo particolare. NelF
uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama lo Stato, ci
sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola,
industriale, commerciale : produzione materiale, frumento o libro;
trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio; nutrizione e
consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei quali il
corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'in-
dividuo, ma estesa alla società, manifestata come re- lazione attuale fra
gì' individui umani. La morale in- dividua diventa dritto comune; materia
della polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di of-
fendere e usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il
dritto che la loro coscienza mo- rale sia rispettata. Il reo non fa
contro uno, ma con- tro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono
tutti contro di lui: il sentimento della comune natura u- mana
reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto di maltrattare un
bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della fondamentale unità
della natura umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti
gli uomini civili e sensibili. La morale individua è il rispetto della
natura; il dritto morale è l'azione conforme ai fini, ai principii, ai
sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica, spirituale,
poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica,
ed è la relazione del- l'individuo coi suoi annessi naturali agli altri
indi- vidui similmente costituiti di cui la società è formata.
Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por- zione di natura;
egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di tutti
gli uomini, mem- bri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si
le- vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che
funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di
rincontro alla barbarie, alla pas- sione violenta ed alla guerra privata;
un tribunal* criminale è in realtà una corte marziale. La legge
civile è il principio e la regola della pacifica deci- sione: essa è la
libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e il
contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non solo
non giunge, ma neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra
è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a
ragione è detta civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci
è finalmente V Io comune , conoscenza e volere generale; ed è, come tale,
una funzione formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le
funzioni speciali. Cosa è dunque lo Stato? Lo Stato è T
insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e
giuridiche, in quanto sono unificate nell'Io comune, che tutte le penetra
e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar
movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque
l'Io, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù
pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica
economia. Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia neir or- ganismo giuridico
la sua forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è
solo un Gran- Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il
Codice Civile. — Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la
piglio in senso di relazione umana in genere. — Ed io allora la piglio in
senso di rela- zione cosmica universale. Bisogna finirla una volta
con le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeter- minate e
generali. Lo Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la
virtìi è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua
rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate, piene di confusione e di
errori. La virtù, la morale, non è che un elemento , ed una sfera dello
Stato. Essa ò per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e
promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per così dire
individuale, essa allora di privata diventa pub- blica, ed appartiene
allo Stato. Che se dall' infima sfera delle relazioni individuali
l'azione si leva alla sfera giu- ridica, o se anche penetra nella sfera
politica, allora essa perde man mano il suo carattere morale. Un
de- litto politico è per poco un non-senso, quando non è che
politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis: puro vuol
dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a parlar di
delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed im-
prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc- cesso ed
insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro
natura morale, giuridica o poli- tica : se non che una pena politica è
quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di
guerra, un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu, io
la piglio in senso di forza, di energia politica. — Ed io la piglio in
senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. — Le antiche
repubbliche erano fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza,
sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde
perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io
chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e
ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i
francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è
la materia appena un po' digros- sata, non è l'idea che la determina e la
informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo
vedrete. Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric- chezza,
dice il Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la
produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio
con istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric- chezza
non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la
materia , lo Stato è il pensiero : 1' una è il corpo , T altro è l'
anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. Il principio
dello Stato è la religione, è la Bibbia degli Ebrei, diceva l'Aquila di
Meaux, e per quel tempo non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro* e libero aere della ragione. E se monsignor Dupanloup pure
insiste e per- fidia, allora io dico che il principio dello Stato è
l'arte, è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di
Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra,
ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio,
dirà monsignor Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci
siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del
corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co- stituisce i Re, che
direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità
politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio
della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e
corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la
funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel
volere essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que- sta
forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as- soluta ch'egli ha di
sé, e l'azione comune in cui questa si traduce e si spiega, è per
l'appunto la sua funzione essenziale. La coscienza dello
Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una esistenza naturale,
e spontanea- mente si crea il suo particolare organismo. Essa è
l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea , e in
cui si fa reale. È una creazione im- mediata e diretta, ovvero indiretta
e mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è
la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le
autorità dello Stato. Questa funzione crea- trice è 1' elezione.
Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra- duce e si
concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere
legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si
crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito
amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il sangue di
questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per
eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono la
triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la giuridica.
Un magistrato, un impie- gato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e
il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello
Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essen-
ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli serve a
difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in- terne, che ne minacciano
la vita economica, politica o morale. Il soldato è il braccio della
legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l'
insulto di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli
che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti- tuzioni del
proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel secondo
caso. I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo,
e il sangue vi dee circolare. Il potere legisla- tivo è l'anima; ed è
perciò che non è pagato. Il So- vrano ha una lista civile perchè unisce
in sé le due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere
legisla- tivo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello
Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo,
potere esecutivo ; tutto questo è forma di forma : la forma essenziale ,
il vero Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge-
nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è
possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o
quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa
da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge
penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, V impiegato, il
soldato , tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero,
giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte
liberamente spie- garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza
econo- mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la
forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina l'economia: la
produzione non è pos- sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è
im- morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone
alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for- male, domina e modifica
tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato
domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti
per sé assoluti, sono fra loro assolutamente relativi. Il volgo riguarda
come piti eccellenti gli as- soluti inferiori, perchè piti naturali, e di
più imme- diata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui
l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico; 1'
ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente
è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più assoluto e divino; e
quando l'ar- monia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la
funzione formale, la funzione assoluta dell'essere, quella alla quale
appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano. Scoppia la
rivoluzione dal basso o dall'alto: ribellione, colpo di stato. Slealtà,
tradi- mento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza mo- rale lo
riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una
coscienza superiore che l'approva; e se non è la coscienza politica dei
con- temporanei, sarà di certo la coscienza politica degli
avvenire. La storia approverà il colpo di stato e la rivoluzione
popolare, quando è vera funzion di essere: quando cioè l' essere
apparente dello Stato non cor- risponde al suo vero essere , a quello che
esso è nella coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia
che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la
proprietà d' un cittadino è ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una
giusta ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa
realizza il suo essere, il benessere della comunità, o dell 7
intiero corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica
utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del fatto, che vi è di
certo e non può mai mancare, ma non la sua vera ragione. Si vede la
comodità sensibile, ma non si vede il suo interno principio, l'essere
generale realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri codici sono poco
men che tradotti dal francese, e le nostre leggi fatte esse pure dal
risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono le idee.
Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar l'ordine naturale;
è un toglier all'uomo una proprietà che 1' uomo non ha creata. Ma lo
Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di essere;
egli è, vale a dire una forza : e l' elemento di questa forza è la sua
cor- rispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza
generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o
supera quello del corpo sociale. — Il secondo, e non già il primo, è di
gran lunga il caso dello Stato Italiano. — Egli è perciò che quando
la società vede nella pena di morte un elemento di so- lidità, ed
un pegno di sicurezza generale, abolirla è un errore: è una fallace
utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita
sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse,
ma certo debolezza di mente, che ad altro non condur- rebbe che a
crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la
distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine
, ed es- sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà pro-
gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia con la
coscienza dei moltissimi, allora lo Stato sarà forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro
indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno incolto e per dir
così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come un elemento di
esistenza; e non sen- tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto
barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa- ranno
moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne T abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei
sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e
dall' altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo
Sta- to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e
assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì
vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne
vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo: il
senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli condannava allora
la pena capitale come non utile. Ve- nuto più tardi a miglior sentimento,
il Risorgimento respingeva P utilità , e condannava la pena di
morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale; e
non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità: egli è il da ubi
consistam della filosofia posi- tiva. Ma se ne vergognerà di certo quando
di risor- gimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare
un uomo, turbarne i dritti, e vio- larne il possesso, attentare
all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue
istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare
moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il" dominio (e sia
pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il
"cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta farlo
lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la violenza
pubblica e la pubblica usurpa- zione non è giusta; è più e meglio di
questo, è po- litica; e si chiama guerra e conquista, e non più
violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta
le- gittima e veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta
per convenzione, ed in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato
opera in funzione di essere: quando guerreggia e conquista per* vivere
per essere, o per diventare quello che è in sé, e deve anche
attual- mente essere. Vi sono società naturali, che la
violenza, l'ar- bitrio, la passione, il caso in una parola, divide
in più corpi sociali , per cui di uno si formano più Stati. Ma in
tutti rimane la coscienza della loro identità po- litica, e della loro
natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente
separate, in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le pas-
sioni umane, col concorso di altri accidenti ed op- portunità naturali,
crea una coscienza comune. La lingua, vale a dire la comunità e la
somiglianza fon- damentale dei dialetti (non mai la loro identità,
che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione
assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e l'espressione
approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova coscienza. La
comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e
di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e vivente con una
interna unità e un' anima generale. La geografia è la condizione esterna
dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale di questa
for- mazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo
lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza,
ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la
coscienza comune che si è svi- luppata in un gruppo di Stati eterogenei
non è che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e
nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co- scienza nazionale.
E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se
stesso; è un' anima scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la
co- scienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di
nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l'
altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione: la nazione
è la possibilità naturale dello Stato. Ma esso anche quest'altra
parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il
suo essere, e irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica
effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza
reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati
conna- zionali. È la buona guerra, e la legittima conquista; ma è
ancora il processo barbaro, violento, inconsa- pevole, passionale,
irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è divenuta cattiva:
il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione, e non
ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.
Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi- luppa più o meno
egualmente di sotto alla loro par- ticolare e diversa coscienza politica
la comune co- scienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti
fini- scono per fondersi in un soIq corpo di nazione, in una stessa
società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleverà e si perderà ben
presto nella coscienza po- litica comune. Non è più. la soluzione
forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo
modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali,
prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-
tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale
non esisteva, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società
affatto etero- genee, fra cui non vi è stato che un principio di
fu- sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria , nella
Iugo-Slavia, una coscienza austriaca; ma la vera coscienza politica è la
coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una
co- scienza astratta, occasionale, non è una possibilità na- turale
effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della coscienza nazionale.
La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre
in- giuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno inomogenei,
in cui pur v* era un avanzo di un'antica lingua comune, testimone di una
comune coscienza, di politica rimasta puramente nazionale,
reminiscenza di una potente antica unità; lingua avventizia e
forzata, ma che aveva finito per essere adottata; coscienza avventizia,
ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere la comune essenziale unità
del mondo romano. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono
per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però le dovute
e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l' intenzione di seguitare
in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro, medieyale;
ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza
nazionale, è la lingua, ed è la storia. La natura è la geografia: un
fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione. La Francia è
fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La soluzione
spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali era serbata al
secolo della ragione; ed è l'Italia che ne ha dato al mondo l'esempio, ed
è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede: la greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circo- scritto; si direbbe una regione, un nido
apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;
lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve- nuta a coscienza
politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro comune principio
che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza
e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo
Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le
forze si oppone, e l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e
irreligiosa Europa del Risorgimento , custodisce e protegge con una
edi- ficante unanimità il barbaro e immondo straniero, il musulmano
oppressore. L' Italia è stata piti fortunata. Un grand' uomo
uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono
straniero, rammentava l'antica madre per la quale giovanetto aveva
pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la mano a farsi di
una nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non so che
questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è ancor venuta, e
non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e il dritto, e le
piccole pas- sioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella
quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato per l'Italia siamo
competenti noi; e non sono ingrati tutti gì' Italiani. L'Italia per
viriti propria, e per generoso aiuto, che appena è che possa dirsi
straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma
se quella è forte e potente, questa è ancor debole ed incom- pleta.
Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali la sua coscienza
nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente amalgamate in una
coscienza poli- tica comune* Le deboli sono scomparse; ma ve n' è
qualcuna forte, che resiste e permane, ed è l'antica coscienza
piemontese. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.
La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dub- bio ancor forte,
non si è pienamente trasformata. Essa è rimasta nazionale , astratta; ed
ha solamente prodotto di sé una coscienza politica italiana debole,
parziale, incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di
eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che
rimane alla vecchia e tenace co- scienza piemontese, di cui la permanente
è l'espressione. Questo Sammarlino lo ignora ; ed è in una per- fetta
buona fede. Egli in tra v vede in lui una forte coscienza nazionale, e
allato a una profonda coscienza municipale (certo indebolita da quello
che era prima) vi trova un chiaroscuro di coscienza politica
italiana, e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se
lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è senza dubbio italiano;
ma quel suo quanto si può essere, o quanto altri sia, è una sua
esagerazione. Nobile esa- gerazione, inganno volontario e generoso,
illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa
sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli altrui. Ma
in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal forza
d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo ; e s* egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una coscienza romana: se sulla vera coscienza magiara , czeca e
jugo- slava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se
finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese,
ha potuto (incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una
coscienza politica francese: ben saprà creare una vera coscienza
italiana in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi
della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel mo- mento in cui la
grande storia italiana del Medio Evo aveva termine, quando tutto intorno
taceva, s'avviliva e s'abbandonava, e la nazione intiera scendeva
nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo non s'
abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra, sorgeva a un tratto
giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova
storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia viveva ancora. E
quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia vi
scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava
animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria: onore
a cui dalla provvi- denza della storia era visibilmente riserbato. Ah
non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà
identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande
storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile
provincia, è na- turale sia permanente e resista alla grande
coscien- za politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi
sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una
grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano.L'Io, la coscienza
sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una
funzione pu- ramente formale che domina e modera e modifica la
funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e
turba e invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello
eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita,
Tessere in- dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo
privato non può fare, e che gli sono permesse, dove- rose anche talvolta
y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si
confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e
reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è
lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in- teresse generale. La
fusione e l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili
completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello
Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si
separano, il tiranno è perduto: egli allora non è pih lo Stato, è un
altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si
solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un pro-
cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia: forme dello
stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia
tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne
molti, ne tutti: V arche è la ragione. Il principio dello
Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale,
non è l' eco- nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come
Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le
forme, di tutti gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è
lo Stato, e qui finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non
finisce la vita umana, e non è anche tutta la storia. Sotto
allo Stato vi è il dritto, la morale, la pub- blica economia; ma vi è
sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che
non è il suo; vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il
mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra al mondo della
natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili
alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle fun- zioni
a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale
possibilità delle funzioni a lui superiori. L'Arte è una
funzione naturale, e perciò rimane affatto individuale. Vi è un mondo
estetico, ma non vi è una società artistica : vi sono soltanto degli
artisti e dei poeti ; e la parte dello Stalo è di render possi-
bile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la spontaneità ed il
libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non quando egli abusa e
tradisce l'Arte, ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la
morale o il dritto, e può essere immorale e ingiusta a sua posta: ma finché
rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia può
esser sublime, atta solo a sollevare e forti- ficare i caratteri, non mai
ad avvilire e degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce
dalle sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed ingiusta,
e allora lo Stato interviene: interviene in nome della giustizia offesa,
e della morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e due
subordi- nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la
religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua
irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di
re- ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue
leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e
sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e
modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non
amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la
Scienza; è in un certo senso il suo contrario : che s' ella esce dalla
sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così
spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo
carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò che mentre
l'arte rimane nella sua inconsape- vole particolarità, la religione viene
a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e
di fuori e di sopra alla società politica si forma una società
religiosa. Il luogo di questa alta società non è la terra, è il cielo:
l'uomo religioso ha i piedi su que- sto umile suolo, ma la sua anima è
altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e
adempi- mento del destino umano: contemplazione della infi- nita
natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia;
conseguimento della infinita fe- licità mediante il possesso dell'
infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne
eco- nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta
inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e
triviali; può professar tutti gli errori filosofici, astronomici,
teologici, politici che vuole. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e
più stimata e rispettala. Può la religione professare tutte
le assurdità mo- rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a
Dio tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare, e pih
perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo- derno pih si rimprovera, e
maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà
per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore religioso,
il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere
ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei padri,
come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un tempo ed in un paese in cui
non v' era ancora il Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da venire.
Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a Mosè una
siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella
era pertanto la ve- rità giuridica e la verità religiosa del suo tempo:
due gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora in una
verità sola. Oggi la distinzione è av- venuta: la verità giuridica del
Codice Mosaico, con- vinta e condannata di falsità, è sostituita dalla
verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che al-
l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten- trata l'astronomia
di Copernico e di Galileo. Ma co- me verità religiosa è rimasta in piedi:
crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito col reo
dalla vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila anni
sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è naturalmente
trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in
grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e
quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre- dibile al popolo
ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il
bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del
dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo- rale; ma non è che
una offesa ed una violazione re- ligiosa, e lo Stato non interviene per
far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione
succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo
e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l'
azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere,
si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosa- mente
immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa
rispettare. Questo inevitabilmente succede alle religioni che di
spirituali si fanno tem- porali. Peccato è loro e non naturai cosa: di
loro è la colpa e non dello Stato : e perciò tanto peggio per loro.
Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte e della
Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma qui l'individuo
s'identifica e si perde nel puro assoluto universale, per cui l'Io
filosofico non prende alcuna forma naturale. Non vi è quindi una società
filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del
pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene in nessun caso
in questo ultimo empireo: egli né il dee, né il può; egli è natura, e non
ha presa su ciò che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella
sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere il suo
carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del
decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché vuole,
anche il Prete ed anche il Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare
non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è invece agire,
educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo Stato; e
insegnare un principio rep ugnante e contraddittorio a quello dello
Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo
conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nes- suno ha gusto di
lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii
sono velenosi allo Stato. 11 principio politico dei Gesuiti è
la Religione, la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette
capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il
principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza
pubblica, la pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è
lui stesso: in ciò con- siste la libertà civile. Il principio
del Demagogo è la libertà sensibile, e T eguaglianza materiale. Il
principio dello Stato mo- derno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza
assoluta, ideale. Egli è perciò che lo Stato limita e nega la
libertà del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor dello
Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della scuola — né maestro
pubblico, né insegnante privato. Il giornale è una scuola, e non
può quindi godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite
nella sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella
natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona, perchè concreta: la
libertà indefinita, astratta, è la stolta, .assurda, micidiale e
pestifera; e perciò lungi da noi. La libertà non appartiene che alla
libertà. Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua-
lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera
dello Stato, che ne osserva e professa il principio generale, e vive
dello stesso elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza
non sono assolutamente libere che nel proprio ele- mento, e nella loro
sfera speciale, e qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di
mettere il piede. E però quando io vedo un Ministro chiuder la
bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale, perchè
professa delle particolari idee che in un certo mondo — Dio sa che mondo
— non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli
abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-
passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di un principio
particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so soltanto che non è
il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro
mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è
adunque che la possibilità effettiva e naturale della vita artistica,
della società religiosa, e della pura attività scientifica. La sua
funzione con- siste nel renderle tutte e tre possibili mediante
l'Istru- zione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio , e non
può altrimenti intervenire nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e
prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può
decre- tare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una
religione dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un
errore. Sent from the all new AOL app for iOS Opere di M.....
Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui accen- nano -
Recensioni di suoi scritti » La vita e
la storia del pensiero di A. C. De Meis. La famiglia e i primi anni Nel R.
Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi
letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua scuola
privata . Gli avvenimenti a Napoli Le
vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico
A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: Spaventa, Sanctis,
Marvasi. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di M. e la
sua metempsicosi Vili. M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a
Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La
morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero.
Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il
«Dopolalaurea» La storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il
periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività.
La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M.
Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza
dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di
Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. .Il «Dopolalaurea» e l’orientamento filosofico. Gli
scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul
sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della
morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle
sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale (trad.
dal lat.). Considerazioni anato- miche sul salasso locale Teoria
dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima:
Del principio vitale Idea della fisiologia greca Le opere scientifico-filosofiche. Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato III. L'idea della
sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e
contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e lo
scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il
socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro l'abolizione della pena di
morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione
delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le
spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato. Vili. Lo Stato
e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I
tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il
liceo Magno e l' istituto tecnico
inazione dei vasi sanguigni. I
mammiferi. Fisiologia. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R.
Università di Modena nell'anno scoi. Gl'ippocratici e gli antippocratici
Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La
medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa.
La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La
filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta di M. contro
la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi
principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. Le
idee politico-sociali e pedagogiche.
medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'insegnamento. I
malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due discordi Sacerdoti d'idee: M. e
il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La coltura letteraria. Il suo stile.
Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua
italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. M.
critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di
un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana
e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul
cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e
della religione nella filosofia secondo M.. La storia del genere umano:
oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio
evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento
o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica.
Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e
l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti
storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De Meis.
Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità
scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle
scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip.
del Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la
diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato
in Lucca. Na- poli, Coster. Intorno
l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A.
C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia,
Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate
al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab.
Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F.
Vitale, [Dedicato a Luigi La Vista].
Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria
dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v.
infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente].
Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di M.
presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica
adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo
Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso inaugurale di A. C.
De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico,
Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio
Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del
Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale, Nuovi elementi di fisiologia generale
speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi
elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già deputato al
Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali,
raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi
pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione,
To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].
Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali,
Napoli, Fisiologia generale. Evoluzione
logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato,
Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora,
[Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza
medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino,
Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia
popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista
contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere
fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione
tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data di Modena,
espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con
dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al
corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli Prelezione al
corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico
Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il
Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli,
Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima contro il giornale la Monarchia
nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina,
Prelezione di M. professore di storia della medicina nella R. Università di
Bologna, Bologna, Monti, Della natura medicatrice. Lettera prima al prof.
Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della
Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La
chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel giornale L'Ippocratico). [Sono due
lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di
scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette
molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore
; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e
materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello:
Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono
citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis
deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi
VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla
contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica, Prelezione
al corso di storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866,
Bologna, Monti, Il sovrano, nella
Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai
proff. Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti,
[Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede
luogo tra il Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili
Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia,
[Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel
giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata dal CROCE, nella
Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista
bolognese, Bologna, Monti, [È una
lettera, con la data: Bologna. Dopo la
laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le
prime cinque lettere erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale
L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, poco
prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della
medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto
dal fase. 8° della Rivista bo- lognese, Bologna. [Fu pubblicata anche nel
Morgagni, Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, pubblicata anche
nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista bolognese, Deus creavit,
Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità dello studio della storia della
medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea Testa e Bufalini.
Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi,
Prelezione, Bologna, Monti, Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei
Tipi animali. I tipi animali, Lezioni,
[parte prima], Bologna, Monti, [La
«Prelezione» era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La
lezione fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa,
F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)].
Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della
medicina, Prelezione, Bologna, Monti, La
medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel Giornale
napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Fiorentino).
All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del
Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bologna, Monti,
[È, una lettera, con la data: Bologna, Il
canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La
malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di
Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la
riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K.
Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna,
Monti, Francesco De Sanctis, Bologna,
Fava e Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia,
opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In
memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Bertrando Spaventa
[Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino,
Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. - [Estratto dalla Gazzetta
dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e francesismi. Note di Ange i Antonio
Meschia maestro elementare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la
scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne
inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico
1886-87, Bologna, Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna].
Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip.
già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel
Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede
dell'Esposizione Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit.
numeri [La pagina d'album e la polemica
furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso
di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul-
l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna,
A. Idelson, . [Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna,
Azzo- guidi]. Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e
Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono
state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda
edizione ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la
dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti
pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di
Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III
luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp. 11-12. Altre lettere del De
Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume Silvio Spaventa - - Lettere
scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in
esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De SANCTIS,
Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce preparava
anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per
gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da
Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del Consiglio
Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel
mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La
riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più.
All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento,
parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la
laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le
apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le
idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura
smaccata e cinica della religione, succede la drammatica senza
soprannaturale. Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia;
in Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione
era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì
nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la
Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il
secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla
tragedia del Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine
l'irreligione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e
naturale, succede la lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé
e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche
in Germania, in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza
del ri- sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato il
risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la semplice
rappresentazione del naturale, ma la negazione del soprannaturale,
rappresentata e sviluppata nelle sue conse- guenze. Secondo il De Meis, i
due risorgimenti, il latino e il germanico, che già nel sec. XVII
reagivano l'uno sul- l'altro, nel XIX si fondono in un solo risorgimento,
un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione,
divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e
religiose. verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del
pen- siero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore,
il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di- scorso del metodo è
il vangelo dello spirito. Tu es Petrus : il cogito cartesiano è la pietra
su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le
proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il genere umano, destinato
a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo
Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno, che
leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello spirito, uno
spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la virtù, la
morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio infinito. Vero è
che questo infinito, questo divino, questo assoluto e universale non è
che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone —
leggi Fichte — , che con profonda intuizione vede come l'universale e il
particolare di Socrate si compenetrino in una sola unità. E dopo Platone
viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla
fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo
regno non durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico
Aristo- tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale
genere umano. Giorgio Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa
per intero il processo della conoscenza e trova il processo della
creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord,
si era iniziato nel sud; ma il sangue del Bruno era stato ver- sato
invano ed il Vico non era stato compreso da nessuno, Pel giudizio
di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr. qui
addietro, V. Dopo la laurea, Le
idee estetiche e religiose. un po' per colpa del papato e molto più pel
carattere delle loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio,
più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La
storia del pensiero moderno è una storia tutta settentrio- nale. La
Germania è la nuova Grecia europea. Nel mondo latino non giunge che tardi
l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia. Cartesio, il padre
della filosofia moderna, non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né
dal Gio- berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa
rab- brividire l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a
Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di
tradizione del Bruno e del Vico: la quale, così guasta e superficiale
come era diventata nelle mani degli avvocati, pure era stata bastante a
farne un paese a parte; ma credeva che i germi gettati dal pensiero
italiano avessero germogliato in Germania. Spaventa si era molto
preoccupato del problema della filosofia nazionale. E M. accoglieva in questo
proposito l'opinione del suo Ber- trando, da lui ritenuto il primo
filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, « la Germania
inclusive » Ora che la storia del
pensiero filosofico moderno sia concen- trata tutta esclusivamente nella
sola Germania — conce- dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è
una opi- nione che lo Spaventa, e a traverso Spaventa M., accettano
dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta
di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il
valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione diretta della distanza
che lo V. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni
con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
biblio- grafico di Daelli, Torino,
V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose. separa
dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo proposito i
giudizi circa il Rosmini e la evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo
Hegel, secondo il De Meis, religione e poesia cedono in Germania il posto
alla teologia e all'estetica. Nel mondo latino la tradizione cartesiana
si è dispersa; è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico,
ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo
mo- derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri-
stiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim- bolico, e
moltiplica gli sforzi per creare una nuova reli- gione. Sforzi vani, che
la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua
trinità, della sua umanizza- zione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasfor- marsi e purificarsi. Mentre questi vani
sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — ,
nel sud, dove un ele- mento pensante manca, la parte più elevata, non
però pen- sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è
un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole
raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col
Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione
travestita da immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza
di sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo latino a fianco
alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al romanzo, genere
ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra la poesia e la prosa,
tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere equivoco, compare per la
prima volta nel principio del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel
nostro se- Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee
estetiche e religiose. e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco,
tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si
sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la
sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e
mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a
cui somiglia, equivoco: Manzoni. Si osservi che M., una volta
stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci
tutti gli individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fio-
risce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella acce- zione di
misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe
indifferentemente applicarsi. Dopo lo Scott e il Manzoni, il
romanzo va perdendo il carattere epico, e diventa sempre più storico,
riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e Poe
la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento
moderno, come nell'antico, la lotta co- mincia antireligiosa e finisce
antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo
cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più progredito; infine
l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. « E non
è finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele sempre alle
sue triadi. La Germania è per tre quarti prote- stante; la Francia è
prevalentemente deista, e in parte atea; l'Italia ha una ventina di
milioni di analfabeti, tutti papo- temporali ; i semi-analfabeti sono in
gran parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che
è la bestia nera di M., la filosofia positiva. Era la filosofia che
gli aveva preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hege-
liana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci- Dopo la
laurea, Le idee estetiche e
religiose. liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Villari,
al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la
laurea; era la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione del
Darwin; era la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella
essenza, nel metodo. Mai M. si lascia sfuggire una occasione di
combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la
natura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o
iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus- sione, ed è
una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica. Il
risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha l'occhio
sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura interna, al
pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo il De Meis, la
filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il
negabile, la cono- scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza
dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai pensato
a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il
primo atto è il principio; la scena è in Italia: TELESIO scopre
l'ap- parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la
scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-
baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e
la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti
: la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La
filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente
poetica e la filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim;
cfr. VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel
Politecnico di Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto
si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI,
dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in- duzione baconiana il
polmone sanguificatore ; la legge posi- tiva il torrente della
circolazione; ed essa, la filosofia, è il cervello, in cui il sangue
positivo diventa anima e pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo
stomaco baconiano non avrà più nulla a digerire, né il polmone a
respirare; e la natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo.
Al- lora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive-
nuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della religione,
della poesia e della filosofia. La terza parte del gran dramma
della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa
del risorgi- mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove
alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Bruno ; il nuovo
Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina- mico del Bruno
e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal- l'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al prin- cipio umano, occorreva un
nuovo Anassagora, e venne Car- tesio. Il principio cartesiano, come tutte
le cose del mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più
em- brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge al
metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia- lettica,
proporzionatamente alla più perfetta natura del prin- cipio moderno, e
nell' esplorare più completamente il prin- cipio, consiste il lavoro del
secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo la fine del secolo
XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di Cartesio e dello
Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente
sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il
si- stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es-
sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. « E
uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale
il principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col
processo evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato;
quando la filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un
attivo processo di creazione, non ha più dove andare, a meno che non
voglia indietreggiare, come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir
dell'universo. E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna
che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo
Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il
perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og- gettivo
è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro- cesso di
cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filoso- fica, non
d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è sempre
un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana. L'anima vive
finché la fa, ma quando l'ha fatta, quan- do della realtà vivente, ossia
di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico,
allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando
Aristotele ha creato un grande sistema, perfetto e compiuto per
l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per
secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a
fan- tasticare. Quando la Germania ha creato il vero sistema del
mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un cristianesimo
assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico
rimane assiderato. Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio
dell'astrazione hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il
risorgimento ne- gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce
mostri filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina
naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] stica e la
storia naturale materiale. Ma la Germania mate- rialistica e
naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione,
così la pura contemplazione è la morte. La vita è pensiero apparente, è
unità di rifles- sione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa
posi- tiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è
una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla
legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla
pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo.
Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive
di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà
origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza
distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo
l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo
universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega
nella forma dello spazio, e coe- siste come nella natura. L'uomo di
sopra, il regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una
serie di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la
reli- gione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore
assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna
è solo l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la natura, così
l'uomo, lo spirito umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e
costante. « Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge
partico- lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola
legge naturale » ('). Le forme e gli elementi naturali ed umani sono del
pari indistruttibili, e la legge comune della loro attività è immutabile:
nascere, crescere, decadere e perire è destino comune agli uomini, agli
animali, alle piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee
estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gli elementi
della natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non
si compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente
unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla
proporzione. E il prodotto piglia forma e natura dall'elemento
preponderante e più attivo. La natura è come una scala a piuoli ; lo
spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali erano tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza : solo il genio,
l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fece pianta; nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui
l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il
movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco comin- ciano ad entrare
in azione gli altri elementi umani : immaginazione, sensazione, memoria, e
ristretta in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la
famiglia umana, e talvolta la società umana in forma animale.
Finalmente nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e
con questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la
religione; manca la riflessione della riflessione, la scienza;
predomina il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato
naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo l'atti- vità passa
alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gli uomini. Queste
si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che si è
andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione. Ma
contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si compie
nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande
ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore che
unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore, da cui riceve in
contraccambio la vita. Questa seconda co- scienza non è un trovato della
odierna metafisica, che anche Aristotele parlava di due vovg, l'uno
poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno
fu arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello
spirito, unità vivente, è in una molti- tudine di individui ad un tempo ;
e però la storia dello spirito si compone di una successione di grandi
unità. Il primo stato embrionale del genere umano è la natura (M.,
hegeliano e medico, prende spesso come termine di con- fronto l'organismo
umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale; terza muda è quella
dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola
positiva riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio
finito e posi- tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale,
senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa,
ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco
in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda
coscienza, e l'uomo intui- tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo
e intellet- tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella
loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo-
cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze
si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente
identificati nel pensatore, perchè una volta svi- luppata la coscienza
intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo
ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza positiva e
tornar ad essere [ Dopo la laurea, Del Vecchio-Veneziani -
animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione in critica e
in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo, perchè essa non è una
combinazione di fantasia che afferra e trasforma e di natura afferrata e
idealizzata ; ma è una sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di
spirito, che inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia
anima di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria
trasformazione ». È un fatto di ragione che la vita umana comincia
con l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice
istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che è la
vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e
di ragione che si va dall'una all'altra passando per la forma intermedia
della immaginazione. La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione:
è una barbarie civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia
immaginativa e barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia
riflessiva e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la
forma intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un
elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la
perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano
come nel latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco
descrive la lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita
come poesia, durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX,
ossia finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed
oggettiva è la barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale
e soggettiva è la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso
la forma inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e
sog- gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile
dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più
oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana,
più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica
orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una
stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la
forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e
tutti i carat- teri di un sistema religioso completamente sviluppato;
il politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale
risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone
gli elementi essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero,
nella vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento,
spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella
forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio
evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la
Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo
moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E
del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica,
ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
mera- viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia.
Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin-
cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e
finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta
stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha
superata l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati
oltrepassati e ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro
tempo deve essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il
prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica
e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-
colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-
filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è
morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione
per entrare in quella di filo- sofìa, e in quella vive ed eternamente
vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della religione
è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha
distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe,
assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di
poesia della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il
tempo V unica forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la
prima. Le arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale,
deb- bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più
tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo
la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo
antico è un esercizio secondario, subor- dinato alla poesia e alla
religione ; nel risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran
lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la
musica è epico- religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel
risor- gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-
stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è
che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto
valore solo nel risorgimento li- rico, che è il tempo della negazione del
pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo
vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e
poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è
l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi- mento, ed è quello che
meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma
il nulla al quale il risor- gimento mette capo, se in apparenza è la
fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva
l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-
[Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa.
Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che
ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva- mente
negativo e per divisa: negazione di negazione. Il se- colo XIX nega quel
vuoto universo di suoni ; fa della musica quello stesso che già prima ha
fatto della poesia, la dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare
la musica a furia di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla
me- lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una
scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove allato al
risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa italo-celtica prevale
ancora il risorgimento lirico, e tocca ormai l'estremo punto
dell'assoluta negazione; già la musica si avvicina al suo limite prosaico
; già il pensiero positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il
sentimento e l'imma- ginazione. Il tempo moderno è la vita
che rinasce dal seno della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non
il tempo moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-
mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima
greca, ma il vero tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del
risor- gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma-
nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera
forma in una nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica
saranno ricomposte in una unità assoluta e definitiva.
L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo della poesia,
né in quello della religione e della filosofia. La poesia primitiva o naturale,
invariabile come la natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è
la poesia medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai
vuote. Così è delle forme religiose. Analogamente delle
forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la
filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la
scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni
progressivamente scet- tiche e negative e con tutte le sue forme
positive. Abbiamo oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ;
non è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in
atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità.
A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa e da altri
obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo
spirito umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la
religione ? M. risponde che Spaventa ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba
essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e
l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta
perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto
concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti
relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè
l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una
intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni
tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è
infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le
due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte,
Lettera di G. FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice
che M., togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa
all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M. intende anzi di
innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee
estetiche e religiose. hanno un termine : e il loro termine non può essere che
la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte ed
all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di
forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti
alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e
spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche,
filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e
bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una
serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario
ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più
razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è
assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde
un mondo fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il
cristia- nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-
gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo
perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più
verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una
scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine,
al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e
del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e
non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al
concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo
concetto e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione
fi- nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e
trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il
diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata, perchè partecipano
ancora della qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per
oggetto il vero; sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò
quando il pensiero ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e
rimangono unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la
reli- gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per
trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma
nella vera cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione
spirituale. In questa trasformazione consiste la storia; il suo
compimento è il fine della civiltà ed il limite del progresso umano, che
è temporalmente indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è
provvisorio, e sparisce nell'idea. Così termina la parabola
religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente;
l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che
discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno
progressi- vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad
essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno
cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il
vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca
il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e
pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato.
Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il
concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di
cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un
tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee
estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica
ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa
creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è
più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che
scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della
natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande
immaginazione, giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva,
av- vivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della
religione e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti
dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione e
dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette
l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero,
al quale le intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente
adeguarsi; solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore.
Il compendio di storia del genere umano tracciato per convalidare
queste argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la
storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non
modifica la storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei
giovevoli, sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore
consacra alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare
questo : che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua
conce- zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la
sua poesia. M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la
contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la riflessi
vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre due : la
filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti filosofica
negativa che bentosto diviene afilosofica, nega- tivo-positiva,
pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver proceduto
isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un pensiero
pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà come
natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia
del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale
unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata,
e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della
coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una tal
nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana. La sua filosofia sarebbe forse un atto di
fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema
animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani
è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento
fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è
corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è
mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è
sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana,
spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non
è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è
l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e
liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma
bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura
spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale
diventa in prin- cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra.
La civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel mo- mento
del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce
e si moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e
perciò si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi
e più cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi
vege- tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i
morbi riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le
cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene- rano per
diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle
nature più elette, invece di una corru- zione sensuale, nasce un
principio di fermentazione intellet- tuale, che dà origine alle malattie
dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi
civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza
divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare
natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari
malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua
perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ;
ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera
morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno
origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi
nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il
paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione
porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi
riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici.
La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza
morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la
gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale di
tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana
natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e
religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle
malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana
riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le
antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce
sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e
secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con
tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : apparecchi,
organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non esistono
veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono complessi
organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più particolari,
e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A
forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si
consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da M. è veramente
originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi principi e compendiare in
pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal- volta dell'artinzioso, non è
certo nel complesso senza genia- lità, e coglie con acume i nessi che
legano i singoli morbi alle varie forme della civiltà umana. Ancora
il terzo periodo — La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta
di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La
dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il necessario nella sua
concezione filosofica. M. non poteva limitare la sua speculazione
entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di
[Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna,
Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della patologia
storica): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei curioso, e
ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia piccola
cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la priorità
». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di
questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di
lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani
in Italia. Per gli argomenti trattati in questo paragrafo, si
vedano: / naturalisti, La natura a volo d'uccello: Forza] questa, oltre che
dall'indole del suo ingegno e dall'influenza dell'ambiente intellettuale
nel quale era stato educato, egli doveva essere e fu infarti condotto
alla costruzione di una filosofìa della natura. Ma se egli
parte dall'affermazione che l'essere è pensiero, e non vede chiaro il
significato di questa identità e non ne deduce logicamente tutte le
conseguenze, se egli pone le fondamenta in modo arbitrario e nelle
singole parti confuse e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio
solido e fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello
in aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia
ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi che succedono a
volumi, e rivelano una profonda conoscenza dello svolgimento di tutte le
scienze mediche e naturali, dai tempi più antichi fino a quelli in cui
viveva l'Autore: geo- logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e
compa- rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e
conquiste scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e
con periodi storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di
specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi,
di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato dal
crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si risentono le
conseguenze della incertezza fondamentale. M. afferma che creare è
diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si ha il germe nel
proprio essere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di
semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma poi aggiunge che il
pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un nuovo corpo semplice, I
tipi vegetali, Deus creavit, I tipi
animali, Filosofia e non filosofia, Darwin e la scienza moderna,
ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese] la travatura
dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am- mettere che il
pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè il fondamento e la
travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla
concezione idealistica, secondo la quale la natura è un momento del
pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la
quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee
naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della
natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del
Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano
eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme
dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della supe- riore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte- ramente,
cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la
creazione ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è
produzione di molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto
precede l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la
succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la
natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia
assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma
rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la
forma, ma la sua vittoria non è mai completa. L'equilibrio fra la forma e
il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita
passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la
successione di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da
ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della
creazione tutti i tipi primari sono, più o meno completamente,
rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo
precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo
che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella
natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura
esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione
quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune.
Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene
interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto
di esteriorità e di interiorità, di appo- sizione e di intuscezione,
Tessere organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed
esterna e per una molti- plicazione interna e qualitativa, con prevalenza
dell'una o del- l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno
pros- sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia
la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice che non
abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege- tale e nell'animale.
Nel vegetale la vita di ogni individuo elementare si unifica nella vita
comune dell'aggregato; nel- l'animale deve prevalere l'unità dello
spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e libero al di fuori, è
molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la
chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr. Lettere sulta patologia
storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori,
per se stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta
spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva
semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le
quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica,
secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed
organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni
generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce
il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione.
Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton, così M. lancia in quasi tutte le sue opere
strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese
è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso
in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera
serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre
nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che
qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere
vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si
compendia la scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi
uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla
filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo,
non la sapeva altrimenti; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci
voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi
animaci, pel giudizio di M. circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus
creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia,
Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti
esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che tale
modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo M. , è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe
nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza ad
una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza antica,
essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie ideali, una
fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della
prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli
altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che
la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito
umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto ottico
ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di
considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli elementi
comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si rias- sume tutta nella frase : una forma è simile
ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo
è pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la
verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è
il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di
Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta
una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. Il De Meis dice che egli intende di fare un
tentativo di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono
idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione
naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento,
aiutando le condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma
l'embrione in larva e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo
attraversare una serie di forme l'una più perfetta dell'altra, immagine
della palingenesi uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta
dalla gene- razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici
e generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e
pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita;
dei puri e semplici momenti della legge formale fa delle forme vive,
reali, accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare
e l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento
puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della forma,
ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo,
antimorfo, teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo
nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano.
La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è
tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della
forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima,
fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale
ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e sensibile,
ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito
comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in quelle, e
con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale
e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel
vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa
corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e
puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La
natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio
sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso
lo chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al
labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i
tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico
animale in via di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol
tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa
che la descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre
ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,
è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo,
cominciando da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni.
Invece i sistematici ordinary, tutti intenti alla diagnosi delle forme,
poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri
qualita- tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente
quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non
passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi
sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano
che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza
separatrice, diagnostica, arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di
caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze
e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione
ideale dove manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la
forma, che pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la
funzione ideale che la acco- moda e la modifica; e in ultimo viene la
funzione reale e la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano
l'omo- [I tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due
morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di
pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei naturalisti,
darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere assolutamente
atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)... una
ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci sarà
di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per
stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e
per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato
tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto
tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della natura] la formale; per
essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta
dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale, «principiale)), a loro
ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare
con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la fa,
ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare come castelli
di carta le sue classificazioni più o meno inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a
Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e ripensare. Seguendo il
metodo trimorfo, si riconosce che nel vege- tale l'amorfofito è
indifferente ed informe; l'antifìto è il centro della formazione, il
punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il corpo e l'anima vegetale ;
nel teleofito le due sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo
è l'alga, prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi
molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari. 11 vegetale
antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal- l'altro il fungo
riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti- ledonato, in cui la forma
vegetativa e la forma riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è
lo sviluppo tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente;
nel- l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa
l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema
riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in
giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il
rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e
l'articolato; il teleomorfo è il verte- brato: pesce, anfibio, rettile,
uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono
preferibili a quelli di vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la
presenza o l'assenza di un elemento secondario. Finché M. sta
fedele al suo programma di dimo- strare solo col farli muovere i principi
filosofici ai quali [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] crede, egli lavora a meraviglia: originali le
applicazioni alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della
vita, della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente
geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte — rare volte,
è vero — egli sente il bisogno di tentare una dimostrazione logica di
quei principi, e riesce invece, senza avvedersene, a dimostrarne 1'
ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit,
e nei tre dia- loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo
semplice. Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza
riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere.
Nei Dialoghi affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il
punto in cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la
sicurezza di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e
con lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio,
e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un
essere da lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole
e per indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.]
vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura,
che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica
perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per
tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo
grado ? Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad
un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel
muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza
materia non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°,
nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia,
Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un
nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice
tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire
— insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia
della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il
tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre
la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia
nel suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio
non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza
semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più
forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a
tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica
reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità
informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un
corpo sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la
trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in
un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto
lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria
reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e
con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato
il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in
forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro
fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si
trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera
materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che
si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà
un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una
materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro
forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono
avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora.
La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal
valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà
è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ;
onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire
quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e
vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e
le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo
spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,
ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero
umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe
e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il
tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la
materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui
stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi
egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno
spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi,
per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un
moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà
tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e
all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo
limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco
un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi
distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della
natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria
identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale,
poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose
opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una
perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità
delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente
corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più
facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori,
la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la
scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è
quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo,
uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo
sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una
nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a
tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il
cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la
forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma
egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che
un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano,
che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi
nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di
natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è
l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto
individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come
allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è
preceduto da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai
precedenti », - Sappiamo già che M. lavora spesso
frammentariamente. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 191 bensì successivamente. L'io è un animale naturale,
indi- viduale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti
tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello
spazio naturale, La trasformazione umana universale, come quella
dell'individuo umano, « si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello
spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ».
E perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è
una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della
natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e
universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti
di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e
in certi ii. È facile scorgere che il De Meis non è felice quando
vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.
Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso
un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la
natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero,
a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da
forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star
tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto.
Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed
identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che
non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità,
come la pre- sente egli stesso: e certo di quella verità da lui
pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una
pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA
FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai principi
che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento di una
costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se sieno
suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica una
dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla conferma
dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle
forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il
controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,
e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore ammette
l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo con le
idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della
forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La
sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere
oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né
dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è
difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe
alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,
vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare
una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una
soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva
come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del
pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli
cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-
teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si
ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o
riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e
materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M.
M. non è d'accordo col Berkeley, che «
sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione
speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, «
l'idea di con- trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato
debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale
delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita
della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi
della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo
e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto
si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della
necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza
afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della
creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è
razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve
rientrare nella costru- zione speculativa come elemento interno, e non
esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è
la né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta
per far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ».
Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia, Dopo la laurea, negazione della necessità
razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione
della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della
costruzione speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza
sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella
avrebbe significato il riconoscimento della con- traddittorietà della sua
impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a
costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e
gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili.
L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non c'era la natura e
quindi l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo,
che come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio
e « senza in- flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del
tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione
della materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda-
tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura,
è necessariamente compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo
vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a
crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause
accidentali e d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e
lo sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente
interviene e concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto
è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il
principio e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche
elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire
individuale ed accidentale. Forza e materia, / mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia
dato nella R. Un. di Modena. Degli elementi della medicina. Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che
tutte le forme preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo
crea- tivo interno e spontaneo ; ma la creazione non consiste soltanto, nella
determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi »,
sì anche « nella loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E
molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale
esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla
nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-
l'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrin- seco alla natura,
l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare lo
sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco e
meccanico. Ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento
della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi
crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma, l'anima,
la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il
limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di
principio, di universalità, di neces- sità : ed è in questa contraddizione
che consiste la sua attività creatric. Per questa via parrebbe risolversi
la difficoltà nella quale ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se
anche altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi
sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico- nosciuta
sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di accidenti o di
nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso
proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che
viene Deus creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente
esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della
natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a
modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le
forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna
creazione e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di
più, v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a
questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M.
— nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una,
ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di moltiplicità, vi è
l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un
accidente indeterminato e scolo- rato, pura possibilità di farsi, più che
non è, accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli
dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti
esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione.
L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge
ai veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia interna,
essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente:
uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo,
l'accidente necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa
ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni
realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui;
l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in- treccio dei processi e
dal cozzo inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica]
Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr.
Deus creavit,Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della
naturaturali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui
deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge- neri, ma la sua
azione non potrebbe estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come
la società umana, una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una
lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi
necessarie. Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci
: l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle
difficoltà inerenti al pensiero del M., è veramente risolutiva? Questo
approfondimento del concetto di accidente, questa distinzione delle due
specie di esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina
vera- mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che
questa filosofia della natura si involgesse ? L’accidente interno
consiste nella indeterminazione e molteplice possibilità della forma
latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno
acci- dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe
realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore
perchè il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto
indispensabile non sol- tanto per l'esistenza degli individui, ma anche
per la pro- duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la
stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente
necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere
l’accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione
puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella
cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella
quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di
sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella
natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper negare che vi sia
anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura
finisce per essere, come la società umana, una lotteria, è
contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il resultato.
E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è nello
stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la patologia.
L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M. crollerebbe, se
non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente,
esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene,
e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale
modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne
altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si
disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio
dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una
forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo
idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare
sol- tanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal
che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno
ai rapporti fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la
separazione della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico
conciliarsi con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la
storia, perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia
la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi
contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile
come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza
? Ed ecco il criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica,
nella clinica, nella cura delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche
qui M. Lettere fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come
necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea
della fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia
della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo
pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l'
accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e
l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che
è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed
egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate
nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte
più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta
da Hegel. Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature,
citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte
il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli:
“Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The
Swimming-Pool Library.
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