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Thursday, July 18, 2024

GRICE E VICO: LA RAGIONE CONVERSAZIONALE E L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DELL'ANTICHISSIMA SAPIENZA DEGL'ITALICI -- DA RINTRACCIARE NELLE ORIGINI DELLA SUA LINGUA -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA, PEL GRUPPO DI GIOCO DI H. P. GRICE, THE SWIMMING-POOL LIBRARY

 

Grice e Vico: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’antichissima sapienza degl'italici -- da rintracciare nelle origini della sua lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. “The best philosopher, but that’s Hampshire’s judgement!” – Grice. “Si potrebbe presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico” (CROCE, La filosofia di V., Laterza, Bari). – cf. Whitehead on metaphysics as footnotes to Plato. Molte delle notizie riguardanti la vita di V. sono tratte dalla sua “Autobiografia”, scritta sul modello letterario delle “Confessioni” d’AGOSTINO. Dall’autobiografia V. cancella ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per la filosofia di Cartesio, che hanno cominciato a diffondersi a NAPOLI, ma venneno subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose, che le consideravano moralmente perniciose e contrari all'indice dei libri proibiti. Nato da una famiglia di modesta estrazione sociale – il padre e un libraio – V. e un bambino molto vivace. A causa di una caduta, si procura una frattura al cranio che gli impede di frequentare la scuola per III anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque “il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido,” contribusce a sviluppare “una natura malinconica ed acre.” Ammesso agli studi di grammatica presso il collegio massimo dei gesuiti, li abbandona per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di NICOLETTI [vide], il quale, tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità, provoca l'allontanamento dall'attività intellettuale per I anno e mezzo.  Ripresa la via degli studi, V. si reca nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di RICCI. Rimasto ancora una volta insoddisfatto, si apparta nuovamente a vita privata per affrontare la meta-fisica. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, V. e “applicato agli studi legali.” Frequenta per II mesi le lezioni di VERDE, s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimenta, come di consueto, in studi di diritto. Conseguita la laurea a SALERNO, si appassiona subito ai problemi filosofici, segno “di tutto lo studio che ha egli da porre all'indagamento de’ princìpi del diritto universal.” Lapide nella casa natale di via San Biagio dei Librai che recita: In questa cameretta nasce V.. Nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usa passare le notti nello studio. Vigilia della sua opera sublime. La città di Napoli pose.” Il periodo di tempo intercorrente e denominato dell' “auto-perfezionamento.” Difatti, nonostante l' “Auto-biografia” riporti indietro la data d'inizio del suo magistero, svolge attività di precettore dei figli del marchese ROCCA presso il castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca, ha modo di studiare l’Accademia di FICINO e PICO. Approfondisce gli studi del Lizio, nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la scolastica. Legge i saggi di di BOTERO e di BODIN, scoprendo al contempo TACITO (che divenne un maestro cui s'ispira la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione lucreziana (vide LUCREZIO). Erma del V. Ritornato a Napoli, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà economiche, V. è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Pubblica un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di Benavides, vice-ré e conte di S. Stefano. Compone un'orazione funebre in memoria di Cardona, madre del nuovo vice-ré. Tenta vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario al municipio di Napoli. Vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica a Napoli, da cui non riusce, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è aggregato all'accademia palatina fondata dal vice-ré Aragón, duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, apre uno studio dove dà lezioni di retorica e di grammatica e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri, e panegirici. Può finalmente prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di tre camere, sala, cucina, loggia e altre comodità, come rimessa e cantina e sposar e avere VIII figli. Da quel momento non ha più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma prosegue ugualmente le sue meditazioni tra lo strepitio de' suoi figlioli. A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza con DORIA (vide) e l'incontro con la filosofia di Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona la scrittura del “Principum neapolitanorum coniuratio” e in una cena a casa di DORIA, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo conduceno alla composizione del “Liber physicus.” Pronunzia in latino le VI orazioni inaugurali, ossia le prolusioni all'anno accademico e, se ne aggiunge una VII, più ampia e importante, “De nostri temporis studiorum ratione,” la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti. Nel “De ratione”, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo di Cartesio e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell’ingegno produttore della META-FORA. L'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in “De studiorum finibus naturae humanae convenientibus”. È aggregato all'accademia dell'Arcadia e pubblica il primo libro dell'opera dedicata a DORIA, “De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda,” recante il sottotitolo “Liber primus sive metaphysicus.” Accanto al “Liber Meta-Physicus,” l'opera comprender anche il “Liber Physicus” e un mai compost, “Liber Moralis.” Un anonimo recensisce l'opera nel “Giornale de' letterati d'Italia”, cui segue la risposta del V., accompagnata dal ristretto o ri-assunto del “Liber Meta-Physicus”. Aseguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore, replica con una Risposta II. Pubblica un trattatello sulle febbri ispirato alle bozze del “Liber Physicus”, recante il titolo di “De aequilibrio corporis animantis.” Inoltre, si dedica alla stesura del “De rebus gestis Antonii Caraphaei,” una biografia del maresciallo Carafa. Durante i lavori di questa opera biografica, V. si dedica alla ri-lettura del suo quarto «auttore», Grozio, cui dedicha un commento al “De iure belli ac pacis”. L'incontro di V. con la filosofia di «Ugon capo» ha un'importanza decisiva per il suo sviluppo filosofico. Da quel momento, il suo interesse e completamente assorbito dai problemi storici e giuridici. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gl’ordini civili divenne centrale in tutta la sua filosofia. Vide la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata “De uno universi iuris principio et fine uno”, seguita dallo saggio “De constantia iurisprudentis,” diviso in II parti, “De constantia philosophiae” e “De constantia philologiae,” e che, nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato sull'argomento rispetto al “De uno”. Benché le due opere si differenzino, segno di un rapido sviluppo della sua filosofia, è d'uso considerarli, come invero fece anche Vico, insieme alle notae aggiunte e le sinopsi premesse al saggio, sotto l'unico titolo di “Diritto universale”. S'iscrive al concorso per ottenere la cattedra di diritto civile a Napoli e commenta un passo delle “Quaestiones di Papiniano “davanti a un collegio di giudici, ma, con suo grande scorno, il posto e assegnato a GENTILE. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della “Scienza Nuova”, ottenne da Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova e la sua dottrina che la cultura del tempo non puo apprezzarla. Così che V. rimanda appartato e quasi del tutto sconosciuto negl’ambienti filosofici, dovendosi accontentare di una cattedra di secondaria importanza a Napoli che lo mantene inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro, la “Scienza Nuova”, dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno dell'accademia partenopea, s’accompagna una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione. Prima della “Scienza Nuova” V. scrive la prolusione inaugurale “De nostri temporis studiorum ratione,” il “De antiquissima italorum sapientia, EX LINGUAE LATINAE originibus eruenda” a cui si devono aggiungere le II risposte al “Giornale dei letterati di Venezia” che critica la sua filosofia, il “De uno universi iuris principio et fine uno” e il “De costantia iurisprudentis”. Afflitto da difficoltà e disgrazie familiari, V. incomincia a scrivere la sua “Autobiografia” pubblicata a Venezia. Vengono pubblicati i “Principii di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni.” Alla “Scienza nuova” lavora per tutto il corso della sua vita, con un’edizione integralmente ri-scritta anche a seguito delle critiche ricevute (cui aveva risposto nelle “Vici Vindiciae”) e, infine, rivista completamente, senza grandi modifiche, per la edizione III, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio che lo aveva sostituito nell'insegnamento accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Comincia adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, e di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza. Il fiaccato corpo anda in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che perde quasi interamente la memoria fino a dimenticare gl’oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi delle cose più usuali. Affetto probabilmente dalla malattia di Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negl’ultimi anni non riconosceva più i suoi stessi figli e e costretto ad allettarsi. Solo in punto di morte ri-acquista la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno. Chiese i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide muore. Per la celebrazione delle esequie nasce un contrasto tra i confratelli della congregazione di S. Sofia, alla quale V. era iscritto, e i professori di Napoli su chi dovesse tenere i fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era stato calato nel cortile, e abbandonato dei membri della congregazione e e riportato in casa. Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'università, e sepolto nella chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali. Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine filosofiche, V. ha modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio, Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento risalivano piuttosto alle dottrine neo-platoniche dell’accademia, rielaborate dalla filosofia rinascimentale di FICINO e PICO, aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di Bacone e GALILEI e del pensiero giusnaturalistico moderno di Grozio e Selden. Dal Portico di MALVEZZI riprende l'intuizione che il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa varietà di interessi fa pensare alla formazione di un pensiero eclettico in V. che invece giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una razionalità sperimentatrice e la tradizione platonica, accademica, e religiosa.  “De antiquissima Italorum sapientia” consta di tre parti: il “Liber Meta-Physicus”, che usce senza l'appendice riguardante la logica che, nella sua intenzione, avrebbe dovuto avere; il “Liber Physicus”, che pubblica sotto forma di opuscolo col titolo “De aequilibrio corporis animantis”, che anda smarrito, ma ampiamente riassunto nella Vita; e infine il “Liber moralis”, di cui non abbozza nemmeno il testo. Nel “De antiquissima” V., considerando il linguaggio come oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune parole si possano rintracciare originarie forme del pensiero. Applicando questo metodo, risale ad un antico sapere filosofico delle popolazioni italiche. Il fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima che “Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus loquitur, convertuntur” -- che cioè il criterio e la regola del vero consiste nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le proposizioni matematiche perché siamo noi a farle tramite postulati, definizioni. Ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la natura, perché non siamo noi ad averla creata.  Conoscere una cosa significa rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo l'insegnamento del Lizio, veramente la scienza è “scire per causas.” Ma questi elementi primi li possiede realmente solo chi li produce, “provare per cause una cosa equivale a farla”. Il principio del “verum ipsum factum” non e una nuova e originale scoperta di V. E già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che richiede l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico che, tramite la tradizione scotista, e presente nella cultura filosofica napoletana del tempo di V. La tesi fondamentale di queste concezioni filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che tale cosa produce. Il principio del verum-factum, proponendo la dimensione fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo di Cartesio che inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della storia umana, che non può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha sempre un margine di imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia di Cartesio  trionfante in quel periodo. Il cogito di Cartesio infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire conoscenza della natura del mio essere. Coscienza non è conoscenza. Avrò coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e infine in senso assoluto, se sia. A sostegno della sua argomentazione escogita un certo genio ingannatore e maligno. Ma è assolutamente impossibile che uno non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con certezza che egli è. Pertanto Cartesio svela che il primo vero è questo, Penso dunque sono. --“De antiquissima Italorum sapiential” in “Opere filosofiche,” a cura di Cristofolini (Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo di Cartesio dell'evidenza procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano e della natura solo il divino, creatore di entrambi, possiede la verità.  Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue costruzioni, come accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le appartiene, essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità sicura, la stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di cui non può costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della matematica, la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della fisica. Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare. I latini diceno che la mente è data, immessa negl’uomini dagli dei. È dunque ragionevole congetturare che gl’autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee negl’animi umani siano create e risvegliate dal divino. La mente umana si manifesta pensando, ma è il divino che in me pensa, dunque nel divino conosco la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un’attività che appartiene in primo luogo al divino. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in cui imita la mente, le idee, del divino, partecipando metafisicamente ad esse. Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di quella facoltà che V. chiama “ingegno” che è la facoltà propria del conoscere per cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose. L'ingegno è lo strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo di Cartesio, per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio attraverso gl’esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero e del fatto.  L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso l'errore. Il divino mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto l'apparenza dei beni. Vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti, ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro la Scessi sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo soltanto in relazione ai corpi opachi. Tale è lo splendore del vero metafisico non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere metafisico non è il sapere in assoluto. Esso è superato dalla matematica e dalle scienze ma, d'altro canto, la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero, comprensione di tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i corpi e che quindi si identifica con divino. Nel divino sono presenti le forme, simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina.  Il primo vero è nel divino, perché il divino è il primo facitore (primus factor); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi al divino, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene  questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia, l'uomo verifica il principio del “verum ipsum factum” creando così una scienza nuova che ha un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha fatto quelle cose. La definizione dell'uomo, della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fa Cartesio o i ne-oplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni condizionamento storico. La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero. La filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo. Questa medesima degnità o assioma dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con l'autorità de’ filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi. Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo. Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di una legge che ne sia a fondamento com'è per tutte le altre scienze. Poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagl’uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gl’uomini; poiché tali cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni. La storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali, di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle nazioni. Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è sufficiente. Si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini. Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni, ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti. La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla provvidenza che prepone alla storia divina. Secondo V. il metodo storico dove procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi poiché i parlari volgari debono essere i testimoni più gravi degl’antichi costumi de' popoli che si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue, e quindi tramite lo studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni civili.  Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età:  l'età degli dei, nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gl’auspici e gli oracoli; l'età degl’eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degl’uomini nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana. La storia umana, secondo V., inizia con il diluvio universale, quando gl’uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevno vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia. Questa condizione bestiale e conseguenza del peccato originale, attenuata dall'intervento benevolo della provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra. L'uscita dallo stato di ferinità quindi avviene:  per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi. Infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha inizio dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la sopravvivenza. Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni politiche dei signori, gl’eroi che con la forza e in nome della ragion di stato, conosciuta solo da loro, comandano su i servi che, quando rivendicano i propri diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini nobiliari, danno vita allo stato aristo-cratico che caratterizza il secondo periodo della storia umana.  In questa seconda, dove predomina la fantasia, nasce il linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine, la conquista dei diritti civili da parte dei servi dà luogo alla età degl’uomini e alla formazione del stato popolari (res pubblica) basato sul diritto umano dettato dalla ragione umana tutta spiegata. Sorge quindi uno stato non necessariamente demo-cratico ma che puo essere pure monarchico poiché l'essenziale è che rispetta la ragione naturale, che eguaglia tutti. La legge delle tre età costituisce la storia ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di nostra nazione. Il popolo conforma il suo corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta. Gl’uomini prima sentono senza avvertire. Dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso. Finalmente riflettono con mente pura. Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione della provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero si presenta come certo gl’uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza. Questa certezza non viene all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso comune, condivisa da tutti, per cui vi è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano. Vi è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che V. define poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia che alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gl’uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti. Se vogliamo quindi conoscere la storia del antico popoli romano dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro cultura. Il mito o la leggenda infatti non è solo una favola e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé elaborata dagl’antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servano di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentano modelli ideali universali. I antichi romani non definano razionalmente la prudenza ma raccontarono di ENEA, modello universale fantastico dell'uomo prudente.  V. si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è autonoma come forma espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la metafora, la metonimia, e la sineddoche, sono stati erroneamente ritenuti strumenti estetici di abbellimento del linguaggio razionale di base. Invece, la poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono necessari modi di spiegarsi della nazione romana poetica. La poesia ha una funzione rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini. La lingua romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo presupporrebbe un uso tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente come poesia. Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto il popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione del patrimonio culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da respingere la interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e fornita di una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio non è certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'epica romana. La sapienza antica ha per contenuto principi di giustizia e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manfesta in forme diverse storicamente ma che essa come verità eterna è al di sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità della storia è una verità metafisica nella storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire umano e quello divino:  nel fare umano si manifesta il vero divino e il vero umano si realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge trascendente della storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio dell'uomo. Questo non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero che la provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come sostengono gli stoici e gl’epicurei che niegano la provvedenza, quelli facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi, possono anche farla regredire. Gl’uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar di sostanze. A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento della provvidenza che talora non può impedire la regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente. Paradossalmente la criticità del progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della provvidenza che si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il consenso della «ragione tutta spiegata che si sostituisce alla religione: Così ordenando la provvedenza: che non avendosi appresso a fare più per sensi di religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia le virtù nella lor idea. La ragione infatti, pur con la filosofia, custode della legge ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può tuttavia incorrere nell'errore o nello scetticismo per cui si diedero gli stolti dotti a calunniare la verità.  La ragione non crea la verità, poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola non basta poiché occorre la provvidenza che indichi la verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi essa deve custodirla. Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio. Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce del genere umano. Gl’uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono CAPUA, DORIA, e CALOPRESO, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui e un re-trivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a Puffendorfio, a Locke, il cui saggio e la metafisica del senso. Resiste, ma li studia più che facessero i novatori. Resiste come chi sente la sua forza e non si lascia sopraffare. Accetta i problemi, combattea le soluzioni, e le cerca per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. E la resistenza della coltura italiana, che non si lascia assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. E il re-trivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa e la resistenza di V. E un moderno e si sente e si crede antico, e resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé. SANCTIS. Fintanto che e in vita la portata e la ricezione critica del suo pensiero sono circoscritte quasi unicamente agl’ambienti intellettuali della propria città, trovando poi un ben più vasto seguito. Affermatasi la fama del pensiero vichiano, esso e conteso dalle più disparate correnti filosofiche: dal pensiero cristiano -- nonostante l'iniziale rifiuto --, dagl’idealisti -- dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano --, dai positivisti, e persino da diversi marxisti. V. è ben più di un semplice filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama e apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri momenti e celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre venne ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più vari campi dell'operare umano. Il pensiero vichiano, le cui prime fonti s'ispirano alla tradizione filosofica che permea l'ambiente partenopeo della sua epoca, rappresenta un ponte. Nonostante V. non sia caratterizzato dall'audacia innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota ABBAGNANO – alcuni risultati fondamentali che lo connettono a pieno titolo alla riforma. Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, assistendo alla fine di un mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è dimostrato dalla giustapposizione del certo – ossia, il peso dell'autorità della tradizione -- al vero – ossia, lo sforzo innovatore della ragione -- che è il segno di una ricerca di equilibrio estranea all’illuminismo. A tali conclusioni il pensiero vichiano e condotto dalla limitatezza della sua gnoseologia e dalla polemica contro Cartesio, il quale professa, al contrario, l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Altri saggi: “VI Orazioni Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale”; “Proemium”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in II libros, alterum De uno universi juris principio et fine uno, alterum De constantia jurisprudentis”; “Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di V. scritta da se medesimo, (l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente heroica, Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, V., Scienza nuova, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Opere a cura di Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De studiorum rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale dei letterati; Diritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia, Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse; Poesie, Institutiones oratoriae. V., Opere filosofiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni. V., Opere giuridiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni. V., Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Il pensiero vichiano rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura europea con una diffusione limitata nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica V. e poco conosciuto anche se filosofi tedeschi come Herder, chiamato il V. tedesco, e Hegel presentano delle somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia nello sviluppo della filosofia.  La filosofia di V. comincia ad essere conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano: Chateaubriand e Maistre ma, soprattutto Michelet, “Principes de la philosophie de l'histoire” (Parigi) diffonde il pensiero di V. di cui apprezza la concezione della storia come sintesi di umano e divino. Comte e Marx stimarono la filosofia della storia di V. Ma furono i filosofi italiani, come SERBATTI, e soprattutto GIOBERTI, che videro in lui un maestro. Tommaseo, V. e il suo secolo, rist. Torino mette in evidenza la grande affinità del pensiero vichiano con quello di GIOBERTI. Carlo, “Istituzione Filosofica secondo i Princìpj di V.” (Napoli, Cirillo). Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del verum ipsum factum considerano V. un anticipatore del positivismo. FERRARI, Il genio di V., rist. Carabba, CATTANEO, Sulla 'scienza nuova' di V.” (Milano); CANTONI, “V.” (Torino); Siciliani, “Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia” (Civelli Firenze). Viene rivalutato il legame stringente fra il filosofo e l’illuminismo. Donati, “V., filosofo dell'Illuminismo” (Aracne). Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ha in Italia a cominciare dagli studi di SPAVENTA e SANCTIS iniziatori di quella corrente dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in CROCE e  GENTILE, Studi vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le ascendenze neo-platoniche e rinascimentali, rifiutandone nel contempo l'interpretazione positivista, e interpretandone il verum ipsum factum in senso idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da  CROCE, “La filosofia di Vico” (Laterza, Bari) che ha soprattutto il merito di aver intuito in V. una definizione dell'arte come attività autonoma dello spirito e della visione storicistica dello sviluppo dello spirito da cui CROCE elimina ogni riferimento alla trascendenza della provvidenza vichiana.  Un'accurata ricerca storica su V. e operata dal crociano  Nicolini, “V.” (Laterza, Bari); Nicolini, “La religiosità di V.” (Laterza, Bari); Nicolini, Commento storico alla seconda 'Scienza Nuova (Roma); Nicolini, Saggi vichiani (Giannini, Napoli); Nicolini,  V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa” (Osanna Venosa). Contrari all'interpretazione immanentistica della provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la trascendenza:  Chiocchietti, La filosofia di V., Vita e Pensiero, Milano, Amerio, Introduzione allo studio di V., SEI, Torino, Bellafiore, “La dottrina della provvidenza in V., Milani, Bologna, A. Mano, “Lo storicismo di V.” (Napoli); Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta, Varese, Il dibattito tra le interpretazioni laiche e cattoliche su V. si è attenuato in periodi recenti dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della sua dottrina:  Fassò, I «quattro auttori» del V.. Saggio sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffrè), non esistente. Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, Serra, Eredità e kenosi tematica della "confessio" cristiana negli scritti autobiografici di V., in Sapientia, sulla concezione della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero vichiano:  Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica vichiana gli studi più notevoli sono quelli di Bianca, Il concetto di poesia in V.,  D'Anna, Messina, Prestipino, "La teoria del mito e la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugl’aspetti giuridici e sociologici: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e Malebranche, Firenze,  Donati, Nuovi studi sulla filosofia civile (Firenze); Bellafiore, Il diritto naturale (Milano); Pasini, Diritto, società e stato in V., Jovene, Napoli, Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano); Leone, [rec. al vol. di] Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano” (Carabba. Lanciano, in Misure critiche, La Fenice, Salerno, e in "Forum Italicum", Wehle, Sulle vette di una ragione abissale: V. e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In: Battistini e Guaragnella, V. e l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). Croce, La filosofia di Vico, Bari, Laterza, Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e censura ecclesiastica a Napoli, in Rao, Editoria e cultura a Napoli, Napoli: Liguori, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia, Laterza, V., La scienza nuova (a cura di Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, V., Ferrari, La scienza nuova (a cura di Rossi), Tip. de' Classici Italiani,  Cioffi ed altri, I filosofi e le idee, Mondadori, Armando, Sanna, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Politica, Enciclopedia Italiana Treccani, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia (Laterza); Fassò, Storia della filosofia del diritto (Laterza); Abbagnano, Storia della filosofia (L'Espresso); V., La scienza nuova (Rizzoli); V., Principj di scienza nuova, di V.: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Amico,  Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Osanna Venosa, V. Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani, Milano); V., La scienza nuova (a cura di Rossi), Rizzoli, Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura di Fassò), Morano, V., La scienza nuova (Rizzoli); Liccardo, Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli. V. che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, e costretto a vendere un anello per farla pubblicare. V. scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. Cfr. Fubini, V. Autobiografia (Torino Einaudi). La prima redazione dell'opera, andata perduta, ha il titolo di Scienza nuova in forma negative.  L'Autobiografia e pubblicata postuma  ampliata con una modifica di V..  RIVISTA DI STUDI CROCIANI, a cura della Società napoletana di storia patria, La fondazione V. voluta da Marotta, presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di S. Biagio Maggiore, Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e della gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla (Salerno) e la Chiesa di S. Gennaro all'Olmo in Napoli. V., Principi di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, a cura di Ferrari, Società tipografica de' Classici italiani, Milano. Candela, L'unità e la religiosità del pensiero di V., Serafico, Inesatto è altresì che V. terminasse di vivere a più di settantasei anni. Per contrario, manca ai vivi nella notte e a settantacinque anni e sette mesi precisi, in La Letteratura italiana: Storia e testi, V., Ricciardi. La storia di V., su napolit oday. Secondo notizie di stampa diffuse resti della salma di V. sarebbero stati recuperati nei sotterranei della chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di V.? I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive. La notizia è stata comunque commentata con prudenza dagl’esperti. La scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli. Nicolini, V.: saggio biografico (Il Mulino), CROCE, Nuovi saggi. Per una silloge di pensieri di MALVEZZI, Politici e moralisti, ediz. CROCE-CARAMELLA, Bari, Laterza. V. nel perduto De equilibrio corporis animantis espone una concezione secondo cui riponevo la natura delle cose nel moto per il quale, come se fossero sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte verso il centro del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza contraria, vengono respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose vivono e muoiono in virtù di sistole e diastole. Secondo un'ipotesi di Croce e Nicolini l'opera e stata concepita come appendice al “Liber Physicus” ed e donata in forma manoscritta al suo grande amico, Aulisio. La trattazione di quella teoria di ispirazione cartesiana e pre-socratica venne poi inserita più ampiamente nella Vita.  Toma, Ecco l'origine delle scienze umane: aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti, Bollettino del CENTRO DI STUDI VICHIANI (Roma: Edizioni di storia e letteratura).  Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da alcuni interpreti della sua filosofia come il primo ‘costruttivista’. Infatti, V. sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi che in effetti solo il divino conosce veramente il mondo, avendolo creato lui stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gl’uomini alcuna pretesa di verità ontologica. Watzlawick, La realtà inventata (Milano, Feltrinelli)  Per V. la filologia non è solo la scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, e religioni dei popoli antichi. L'età degli dei nella quale gl’uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de’ lor plebei. Finalmente, l'età degl’uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane. V., Scienza Nuova, Idea dell'Opera. La RAGION DI STATO non è naturalmente conosciuta da ogni uomo ma da pochi pratici di governo. Degnità. Sull'immaginazione nei primitivi secondo la filosofia vichiana si veda: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività spirituali e uno dei meriti che CROCE riconosce al pensiero vichiano. V. critica tutt'insieme le tre dottrine della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica intellettuale, non contiene filosofemi. I filosofi che ritrovano queste cose nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente umana. CROCE, La filosofia di V. -- qual era quello dei tempi d'Omero. V., Scienza Nuova, Conclusione  Nel senso di pietas, sentimento religioso.  V., La scienza nuova (Biblioteca Universale Rizzoli). CROCE NICOLINI Storicismo Filosofia della storia Filologia. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., su sapere, De Agostini. V., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Battistini, V., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Bertland, La Scienza nuova su letteratura italiana Opere, su biblioteca italiana integrali in più volumi dalla collana  "Scrittori d'Italia" Laterza, Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V., su academia, Firenze, Pellegrino, 'La concezione della storia di V., su centro studi LA RUNA it. CENTRO DI STUDI VICHIANI, su Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione V., su Fondazione gbvico Portale Vico, su giambattist avico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V., Principj di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher. Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one of their stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” Vico: He is so beloved by the Italians “that they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the origin of language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy of culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in or near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in Naples throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss of the concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an injustice, it enabled him to produce his major philosophical work. He was appointed royal historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La scienza nuova”  completely revised in a second, definitive version. He published three connected works on jurisprudence, under the title Universal Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the Study Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding human education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is true is convertible with what is made. This principle is central in his conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of mathematics, since mathematical truths are such because we make them. Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age of heroes when all virtues and institutions are formed through the personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and the world is ordered through the power of humans to form experience in terms of “imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by “poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history, society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the true and the made are converted to create the myths and gods that are at the basis of any cycle of history. MICHELET was the primary supporter of V.’s ideas. He made them the basis of his own philosophy of history. COLERIDGE is the principal disseminator of V.’s views in England. Joyce uses the New Science as a substructure for Finnegans Wake, making plays on V.’s name, beginning with one in Latin in the first sentence: “by a commodius vicus of recirculation.” CROCE revives V.’s philosophical thought, wishing to conceive Vico as the  Hegel. V.’s ideas have been the subject of analysis by such prominent philosophical thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists such a Leach, and by literary critics such as Wellek and Read. Refs.: S. N. Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa Grice.” H. P. Grice, “Vico and language.” Danesi, Metaphor, and the Origin of Language. Serious scholars of Vico as well as glotto-geneticists will find much of value in this excellent monograph. Vico Studies. A provocative, well-researched argument which might find re-application in philosophy. Theological Book ReviewDANESI returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. V.’s reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: Vico e la filosofia romana, Vico, VARRONE, storia della linguistica, storia della rhetorica, glotto-genesi, la ricostruzione di V., The New Science Basic Notions. Language and the Imagination: V.’s Glottogenetic Scenario; V.’s Approach; Reconstructing the Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi, hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation, Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Giovanni Battista Vico. Giambattista Vico. Keywords: Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice, for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

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