Sunday, May 27, 2012
L'"Edipo" di Foscolo
Speranza
L’"Edipo", tragedia giovanile recentemente attribuita a Foscolo da M. Scotti, identificata con «L’Edippo recitabile non da istamparsi», citato nel "Piano di Studi" (1796) di Foscolo, è un’opera che testimonia la ratio scribendi del poeta nella sapiente manipolazione delle fonti classiche.
Per quanto concerne la nostra tragedia, poco è stata indagata la tecnica compositiva ad intarsio, tipica
dell’autore e questo mio lavoro intende dare un contributo all’esegesi di questa tragedia.
La vicenda è sostanzialmente quella dell’"Edipo coloneo", con significative varianti.
Nell’Argomento posto in premessa si indicano come fonti
"Sofocle, Stazio nella Tebaide".
Vedremo però che le fonti usate daFoscolo sono diverse e di diversa matrice.
Alla base del lavoro del Poeta è l’ispirazione a Sofocle per l’impianto generale della tragedia.
Il prologo della tragedia sofoclea viene quasi trasposta nel I atto dell’"Edipo" con calchi alfieriani:
Edipo, padre mio infelice, in lontananza
per quanto io scorgo, si ergon delle torri
che cingono una città, questo è un luogo sacro
rigoglioso di lauri, di olivi, di viti; e numerosi
esso cantano gli usignoli. Posa qui le tue membra,
su questa ruvida pietra: hai percorso un cammino
molto lungo per un vecchio.
(Sofocle, Edipo a Colono, vv. 15-21)
Eccoci Edippo – Appena or sorge l’alba,
e già siam presso la città, sinch’alto
rifulga il sol lena ripiglia – Molto
(M. SCOTTI,
"L’Edippo tragedia di Wigberto Rivalta (un inedito di Ugo Foscolo), in «Giornale Storico della letteratura Italiana», 493, 1979, pp. 1-71.
Poi in U. FOSCOLO, "Edipo", a cura di M. Scotti, Milano, Rizzoli, 1983.
---
oltre l’usato in questa oscura notte
senza arretrarci mai le vie calcammo
anzi di trarci in questo loco – antichi
marmi stan qui – siedi.
[…] Per quanto
volga lo sguardo, altro non veggo intorno
che cipressi e allori, e in lunga fila
il verde olivo [...]
(Foscolo, Edippo, I, vv. 1-11)
In ambedue i passi parla Antigone: la comparazione dei due brani è emblematica
per capire la tecnica ad intarsio del nostro.
All’inizio del primo atto
dell’Edippo, il Foscolo riprende l’Edipo a Colono di Sofocle ma se ne discosta
notevolmente diluendo la breve scena del prologo sofocleo in due scene, prima
dell’entrata di Arcade che avviene dopo ben 135 versi. Nei primi due interventi
di Antigone è innegabile la presenza di Sofocle non solo nelle parole della figlia
di Edipo, ma anche nell’impianto della scena prologica che Foscolo amplia
con inserti alfieriani dell’Antigone e del Polinice, come ha messo ben in risalto
Scotti nella sua introduzione alla tragedia foscoliana:
«Nelle linee fondamentali
la tragedia rivela la suggestione alfieriana, con una qualche indulgenza sia pur
contenuta verso il tenebroso e l’orrido nel delirio di Edippo, nell’apparizione
del’ombra di Laio, nell’invocazione alla Furia [... ] i veri e propri calchi
dell’Antigone e del Polinice non sono pochi»2. L’uso delle fonti è quindi molto
vario in Foscolo e presuppone una tecnica compositiva che risente della grande
cultura classica del poeta che in questa sua opera riprende non solo dai tragici
greci, ma come vedremo, anche dall’epica romana e dal teatro senecano, forse
in forma indiretta. La struttura stessa della tragedia è la spia delle varianti
apportate dal Foscolo alle vicende di Edipo. Cinque sono i personaggi in scena:
Edippo, Antigone, Talete il messo di Creonte, Teseo re di Atene, Arcade.
Rispetto alla tragedia di Sofocle è assente Creonte che parla ed agisce per
mezzo di Talete come anche Polinice. Il collegamento con le fasi antecedenti del
mito è compiuto dal Foscolo attraverso le parole dello stesso protagonista che
rievoca le vicende della sua vita fino all’esilio (II, 92-154); le morti di Eteocle e
Polinice, nonchè il suicidio di Giocasta vengono riferite da Talete che, nel suo
ruolo, riprende la figura del Messaggero della tragedia greca3. Tutta questa parte
(
2 Ivi, p. 31
3
(È innegabile che il Foscolo identifichi Talete con il Messo della tragedia greca, soprattutto
nella funzione del personaggio che ha un carattere importante: riferire con la massima
chiarezza eventi successi fuori scena: il Messo di solito arriva, riferisce gli ordini dei suoi
capi, dà notizie, dialoga con rapide battute con un interlocutore, personaggio o Coro che sia,
poi offre una relazione circostanziata dei fatti luttuosi: la presenza di Talete sulla scena riflette
la funzione del messaggero della tragedia sofoclea, ma per il suo modo di porsi di fronte a
Teseo, è più vicino al nunzio della tragedia di Euripide.
costituisce l’antefatto della tragedia che si estende per ben due atti; in realtà il
nucleo della tragedia consiste nel trionfo del potere tirannico di Creonte: Edippo
chiede a Teseo il diritto di asilo, Teseo lo nega, Edippo si uccide per non cadere
nelle mani di Creonte. B. Rosada in un suo studio4 compie un’acuta analisi della
struttura dell’Edippo in rapporto alla soluzione finale: «[...] L’obiettivo è quindi
l’eliminazione di Edippo per sostenere il trono di Creonte; il metodo, la finzione,
l’inganno, l’impostura. Destinatario dell’impostura è Teseo, il quale prima
dell’arrivo di Talete aveva pur promesso ad Edippo l’asilo [...]. Il suicidio se
rappresenta la conclusione della vicenda, ne rappresenta anche l’essenza e ne
racchiude il significato».
L’impianto generale della tragedia è essenzialmente sofocleo, ma il prodotto
finito è ben diverso dall’Edipo a Colono.
In primo luogo la tragedia sofoclea si
pone come seconda tragedia della trilogia che doveva aprire il tema della morte
di Eteocle e Polinice con il tema della sepoltura, argomento della terza tragedia,
l’Antigone.
Nell’Edippo invece Antigone e Polinice sono già morti, morta è
Giocasta, tutto è accaduto.
Questa diversa succcessione temporale dipende non
già e non soltanto dalla necessità di mettere in evidenza il protagonista ed il suo
suicidio, ma anche dalla contaminazione delle fonti principali:
Sofocle e la Tebaide di Stazio.
---
Nel monologo di Edippo e nel resoconto di Talete, Foscolo attinge alla
"Tebaide" di Stazio nella traduzione di Bentivoglio del 1712, ma spesso se ne
discosta guardando all’originale.
Basti questo breve raffronto fra i tre autori per comprendere l’atteggiamento del Foscolo sui modelli da lui utilizzati per la composizione della tragedia:
haud secus indomitos praeceps discordia fratres
asperat. alterni placuit sub legibus anni
exilio mutare ducem. sic iure maligno
fortunam transire iubent, ut sceptra tenentem
foedere praecipiti semper novus angeret heres
haec inter fratres pietas erat, haec mora pugnae
sola nec in regem perduratura secundum.
-- Stazio, Thebais, vv. 137-43)
Non altrimenti la discordia inaspra
il cor dei due germani: un solo patto
B. ROSADA,
L’Edippo foscoliano, in La polis e il suo teatro, a cura di E.Corsini,
Padova, Editoriale Programma, 1988, pp. 287-304.
5 Ivi, p. 292
(Foscolo non utilizza l’Antigone di Sofocle, ma piuttosto la corrispondente tragedia
alfieriana, che, a sua volta, riprende Le Fenicie di Euripide.)
M. Scotti sostiene la diretta dipendenza del Foscolo dalla traduzione
del Bentivoglio (SCOTTI, L’ Edippo, cit., p. 34 n. 67.
resta ancor tra lor, che per un anno
tenga un lo scettro, e l’altro esule vada
Per poi salir novello al trono
Questa, sola pietà tra lor rimase
Questa fu del pugnar sola dimora
da non durar al secondo rege.
Bentivoglio, Tebaide, I, vv. 178-85)
Sorse la madre e li compose – Il patto
Restò fermo tra lor, che per un anno
L’un lo scettro tenesse, e l’altro in bando
Ne gisse, per quindi salir sul trono
L’anno novello.
Foscolo, Edippo, III, vv. 99-103)
La traduzione del Bentivoglio è puntuale, quasi monotona, nel rispettare ad
versum il testo latino.
La versione del Foscolo è più stringata e tiene presente
l’originale nella traduzione del verso staziano.
Alterni placuit sub legibus anni
exilio mutare ducem, traducendo ducem con sceptra tenentem del verso successivo.
In bando ne gisse è invece la traduzione di exilio mutare ducem. Molti
sono i raffronti tra la traduzione del Bentivoglio e l’Edippo tutti identificati
da Scotti, che testimoniano come Foscolo filtri le sue fonti in rapporto alla
potenzialità espressiva dei personaggi della tragedia.
Il passo succitato infatti è
più vicino all’originale staziano, in quanto è detto da Talete che fa’ un resoconto
dell’antefatto e non a caso si ha un preciso riferimento a Giocasta, totalmente
assente nella traduzione del Bentivoglio
Sorse la madre e li compose.
L’intervento della madre sui fratelli semmai prelude ad un’altra fonte classica
alla quale attinge il Foscolo: il teatro di Seneca.
Sappiamo che Alfieri influenza
la composizione di questa opera giovanile del Foscolo soprattutto con due tragedie
l’Antigone e il "Polinice" che dipendono dalle Phoenissae di Seneca, autore
molto caro all’Alfieri che chiama “maestro di stile”.
Queste due tragedie alfieriane
sono riprese a piene mani dal Foscolo, spesso ad litteram:
Ramingo, cieco, indigente, addolorato
in bando ei va di Tebe
(Alfieri, Antigone, I, vv.165-66)
Esul, cieco, cadente, occulto e noto
al solo suo destin, perseguitato
dagli uomini, dal ciel, da’ suoi delitti
mosse gran tempo fuor di quelle mura
(Foscolo, Edippo, II, vv. 75-78)
8 Ivi, p. 34 sg. e n. 67.
[…] da sue fere grotte
benc’hor or per duolo, or per furore, insano
morte ogni dì ben mille volte chiami.
(Alfieri, Polinice, I, vv. 35-37)
[…] Da più lune io stava
sepolto entro le fere orride grotte,
povero, da tutti diserto, morte
invocando […]
(Foscolo, Edippo, V, vv. 5-8)
Per comprendere appieno il significato dell’opera giovanile del Foscolo, è
necessario tentare una riflessione sulla statura psicologica del protagonista e la
sua centralità nella tragedia. Il personaggio è eroe-vittima della vicenda e con
una tecnica desunta dalla drammaturgia antica, Edipo diviene l’eroe che si erge
al di sopra degli altri personaggi suoi antagonisti: Talete e Tèseo: il primo è il
portavoce di Creonte, rappresentante del potere tirannico, il secondo dovrebbe
rappresentare l’ideale del buon governo, il bonus rex della vicenda, ma alla
prova dei fatti diviene egli stesso schiavo delle pastoie del potere, quando si
lascia finalmente convincere dalle parole di Talete e rifiuta l’asilo ad Edippo che
si suicida.
In effetti i due personaggi antagonisti non rappresentano il polo negativo
rispetto al protagonista, in altri termini non esplicano la medesima funzione
che esercita il Creonte della tragedia sofoclea, p. es. nell’Antigone, o il tiranno
Lyco nell’Hercules Furens di Seneca. Talete non è Creonte, in quanto il tiranno
è assente dalla scena e viene solo rievocato dalle parole di Edippo: «[…] l’arti /
del rio Creonte, quanto infame e vile!» (Foscolo, Edippo, I, vv. 68-69). Talete
non ha qui lo spessore psicologico del tiranno, nè la sua tipologia.
Rappresenta
soltanto il potere in maniera indiretta, essendo il messo di Creonte, che ha lo
scopo unico di convincere Téseo che è necessario per opportunità politica non
concedere l’asilo al vecchio cieco: Talete è molto simile alla figura di Taltibio
della tragedia euripidea che riporta alla vinta regina dei troiani, Ecuba, il “diktat”
dei vincitori: «Io Taltibio, sono qui per annunziarvi gli ultimi ordini»9.
L’altro personaggio che dovrebbe incarnare il polo positivo rispetto a Talete, in
realtà è un re schiavo della ragion di stato che non comprende o non vuole comprendere
l’interiore dramma di Edippo sino alla fine della tragedia, quando
rimane colpito dal suicidio del protagonista. Mi sembra fuorviante ritenere che
questi due personaggi rappresentino, nell’economia della vicenda, gli antagoni-
EURIPIDE, Troiane, v. 238: «Ταλθυ′ βιος η‘′κω καινο` ν α’ γγελω~ν λο´γον»
Io Taltibio sono
giunto a portarvi fresche notizie).Taltibio è il messo della tragedia greca; qui è il portavoce
della volontà dei greci vincitori: Polissena, figlia di Ecuba, dovrà essere sacrificata sulla
tomba di Achille: l’ordine e il tono del messo sono perentori, come le parole di Talete a
Teseo.
sti di Edippo, che spingono il vecchio re cieco a togliersi la vita come sostiene il
Rosada: «[…]Talete rappresenta l’incarnazione delle perfide, ma ineludibili arti
di governo. Teseo, no, naturalmente, ma di frode oltre che di violenza, viene pur
sospettato (e questo sospetto è la chiave di volta della catastrofe) da Edippo»10.
A mio parere, i due personaggi sono in tono minore, vuoi per la scarsa cura data
alla loro tipologia da parte dell’autore, forse in maniera voluta per mettere in
risalto la figura di Edippo. Il re di Tebe è costruito come eroe-vittima del concatenarsi
degli eventi, che non si ritiene colpevole ma vittima, bersaglio innocente
della malvagità di tutti: di Laio, Creonte, Talete e dello stesso Tèseo. Il suicidio
viene alla fine della tragedia perchè il protagonista è stanco di soffrire e non
sopporta più l’asilo negato. Sarebbe facile, come fa il Rosada11, trovare un’interpretazione
psicanalitica del personaggio connotato da una spessa componente
edipica e su questo tipo d’interpretazione di tutta l’opera foscoliana esistono
diversi contributi12, ma è discutibile applicare la tematica freudiana a questa
opera giovanile del Foscolo, fino ad ammettere in Edippo un complesso
d’Edipo.
Del resto lo stesso Freud, ammetteva:
Re Edipo che uccise suo padre Laio e sposò sua madre Giocasta, ci mostrò semplicemente la soddisfazione dei nostri desideri infantili. Ma essendo più fortunati, siamo nel frattempo riusciti, a meno
che non siamo degli psiconevrotici, a distogliere i nostri impulsi sessuali dalle
nostre madri e a dimenticare la gelosia per i nostri padri.
È facile vedere in Edippo, l’odio verso il padre Laio e «i scellerati infami amplessi di Giocasta
madre.
Ma il personaggio è modellato, direi quasi plasmato sui modelli antichi
della tragedia greca e latina.
Andiamo per gradi.
Nell’Edippo foscoliano il re di Tebe, si suicida.
Noi sappiamo che soltanto nell’Antigone di Sofocle Edipo si toglie la vita in seguito all’accecamento.
Nostro padre morì odioso ed infamato,
dopo essersi trafitto egli stesso gli occhi, per i delitti da lui stesso scoperti.
Le altre varianti del mito, vedono come essenziale destino di Edipo l’esilio, in
(ROSADA, L’ Edippo, cit., p. 300.)
11 Ivi, p. 295.
Cfr. tra gli altri, G. MANACORDA, Materialismo e masochismo. Il “Werther”Foscolo e
Leopardi, Firenze, Le Monnier, 1973; L. DERLA, Foscolo e la crisi del Classicismo, in
«Belfagor», XXVIII, 1973, pp. 381-409; N. MINEO, Ugo Foscolo, in N. MINEO-A. MARINARI,
Da Foscolo all’età della Restaurazione, Bari, Laterza, 1977, pp. 4-131; G. AMORETTI, Poesia
e Psicanalisi: Foscolo e Leopardi, Milano, Mondadori, 1979, pp. 11-78
13 ROSADA, L’ Edippo, cit., p. 300
14 S. FREUD, Interpretazione dei sogni, trad. it., Roma, Mondadori, 1976, p. 222.
15 ROSADA, L’ Edippo, cit., p. 298.
16
SOFOCLE, Antigone, vv. 50-51: il termine ’απω′ λετο significherebbe che Edipo muore
di propria mano, nel momento stesso in cui si cava gli occhi e quindi la morte è una conseguenza
non deliberatamente voluta dall’accecamento.
quanto egli è miasma per la città di Tebe. E l’Edippo esule e ramingo ha gli
stessi connotati psicologici dell’Edipo sofocleo, ma è, nel complesso, profondamente
diverso dal personaggio della tragedia greca: l’Edipo a Colono, infatti
termina con la morte dolce e tranquilla del protagonista:
[...] Su di lui non Ares,
non il mare si abbatterono,
ma plaghe invisibili lo ghermirono,
trascinato in misteriosa morte
(Sofocle, Edipo a Colono, vv. 1679-82).
La morte di Edipo rappresenta un modo mirabile di narrare da parte di Sofocle cosi come avviene in questo contesto quasi apocalittico con lo spalancarsi delle terra, preceduto dal tuono e dalla tempesta, per volontà divina e non umana.
Come è stato giustamente osservato l’Edipo a Colono giunge alla conclusione
non in seguito ad una serie di avvenimenti concatenati da cause verificabili
nella sfera del contingente, ma per il verificarsi di eventi che rispondono
ad una consequenzialità non prevedibile: gli déi, non già la concatenazione
degli eventi, sottraggono Edipo al tempo. Niente di tutto questo nell’Edippo: il
suicidio del personaggio avviene in seguito ad una causa scatenante: il rifiuto
d’asilo da parte di Teseo e parimenti la propensione del re a consegnare Edippo
nelle mani di Creonte. la tragedia foscoliana vive in un altro contesto diverso
dall’atmosfera misteriosa e trascendente che avvolge la morte del protagonista
della tragedia sofoclea; in secondo luogo la tipologia del personaggio in Sofocle
è costruita sul modello odissiaco e sul rapporto padre-figlia, quasi del tutto
assente nell’opera foscoliana: Antigone ha la funzione di personaggio consultore,
che vive marginalmente la vicenda interiore del padre17, mentre nella tragedia
sofoclea il rapporto padre e figlia è di fondamentale importanza nella tragedia
sofoclea, fin dai primi versi in cui il vecchio padre ha nella figlia il solo
punto di riferimento.
V. Di Benedetto, in suo studio sulla tragedia di Sofocle, osserva che «è significativo
che l’accostamento tra padre e figlia venga realizzato attraverso la sottolineatura
dell’identità di condizione in cui tutti e due si trovano [...] la solidarietà
tra padre e figlia è un motivo dominante di tutta la tragedia»18. La diversità
dei due personaggi risiede non solo nella differente impostazione delle due
opere, ma anche nel fatto di comprendere come il Foscolo interpretava, utilizzava
i contenuti della tragedia sofoclea. È fuor di dubbio che il tragico greco fosse
17 Antigone ha la funzione di dare la battuta ad Edipo e viene sostanzialmente ad aderire
al protagonista.
18 V. DI BENEDETTO, Sofocle, Firenze, La Nuova Italia, 1983, p. 221.
---
studiato dal Foscolo come risulta da alcuni lavori19, ma veniva utilizzato solo in
maniera talvolta marginale anche per le grandi opere, come ad es. i Sepolcri, ma
è difficile affermare la dipendenza foscoliana dall’opera sofoclea e anche quando
riprende Sofocle come per l’Edippo, la sua traduzione è sempre interpretazione
filtrata ed adattata all’esigenze del contesto20.
A questo punto dobbiamo
chiederci quale sia il modello della tipologia del personaggio Edippo. Si è già
detto dell’importanza della fonte alfieriana, soprattutto per la diretta influenza di
due tragedie.
L’Antigone e il Polinice.
Quest’ultima tragedia dipende, come si sa,
dalle Fenicie di Euripide.
Questa però non è la sola fonte diretta dell’Alfieri e
indirettamente del Foscolo: per comprendere il modello classico cui si sono
ispirati è necessario pensare al teatro di Seneca. Il personaggio di Edippo, il suo
tormento interiore è esemplato sull’Edipo delle Phoenissae e sull’Oedipus senecani.
Se poi pensiamo che ambedue queste tragedie hanno costituito i modelli
per l’Alfieri e per due scrittori di tragedie del teatro francese, Corneille e
Voltaire, si può comprendere quale sia l’excursus delle fonti usate e manipolate
dal giovane Foscolo quando si accingeva a scrivere la sua tragedia.
Paratore in un suo intervento al Convegno di Studi Foscoliani ha dimostrato ampiamente
la dipendenza del Tieste foscoliano dal Thyestes senecano, adducendo valide
motivazioni che partono dal considerare la triplice fonte della tragedia foscoliana:
Seneca, Crèbillon e Voltaire.
In particolare l’originale latino è ben presente
al Foscolo al momento della composizione del Tieste: «attraverso la suggestione
della ferocia tirannica di Atreo s’è avvinghiato al Foscolo tragico il gusto senecano
del tenebroso, del torbidamente e violentemente eccessivo e climaterico
»23.
Da diversi raffronti di brani delle due tragedie si evince chiaramente la
dipendenza del Foscolo dal testo della tragedia senecana:
Fas est in illo quidquid in fratre est nefas.
Qui enim reliquit crimine intactum aut ubi
Sceleri pepercit! […]
(Seneca, Thyestes, vv. 220-22)
Sulla dipendenza di Foscolo da Sofocle cfr., tra gli altri, L. BRACCESI, Proiezioni dell’antico,
Bologna, Patron, 1982, pp. 72 sgg.; ID., Soph. Oed. Tyr. 63 sg. (ovvero la dedica
foscoliana dell’Orazione a Bonaparte), in Atti delle Giornate di Studio su Edipo, a cura di R.
Uglione, Torino, Einaudi, 1984, pp. 141-6; V. DI BENEDETTO, Lo Scrittoio di Ugo Foscolo,
Torino, Einaudi, 1990, pp. 11 sgg. e pp. 97, 129, 136, 189, n. 37.
20 Per il “tradurre” del Foscolo, cfr. DI BENEDETTO, Lo scrittoio, cit., pp. 1-103; G.
FASANO, Stratigrafie foscoliane, Roma, Bulzoni, 1974, pp. 222 sgg.
21 E. PARATORE, Il Thiestes di Seneca e il Tieste del Foscolo, in Atti del Convegno di
Studi Foscoliani nel bicentenario della nascita (Venezia 26-28 ottobre 1978), Venezia, Nistri-
Lischi, 1978, pp. 251-277.
22 Ivi, p. 260.
23 Ivi, p. 270.
[…] Spaventoso, orrendo
Non più inteso misfatto, avvi ragione
Che mitigar possa giammai?
(Foscolo, Tieste, vv. 145-47)
Ora, il Tieste e l’Edippo sono stati composti dal Foscolo, nel medesimo
periodo, che, forse era stato dedicato, da parte del poeta, alle lettura della tragedia
senecana dai contenuti orridi e macabri: il mito dei Pelopidi e quello dei
Labdacidi: si può ipotizzare che il Foscolo, arricchì in quel periodo, la sua cultura
classica, con la lettura della tragedia francese, segnatamente Voltaire, citato
nel suo Piano di studi. Il personaggio di Edipo, nella sua tipologia, come si è
visto, è profondamente diverso da quello della fonte sofoclea; a nostro parere, il
giovane Foscolo, tiene presente il personaggio senecano delle Phoenissae e
dell’Oedipus, rielaborato attraverso la suggestione alfieriana e la rilettura
dell’Oedipe di Voltaire. Edipo, infatti, nella tragedia senecana, è un personaggio,
chiuso nella sua disperazione, macerato da tormenti interiori, in cui più che
la tensione verso la conoscenza è sottolineata la consapevole angoscia. Manca
l’inconsapevolezza che costitutiva l’elemento trainante della tragedia di
Sofocle, in Seneca, Edipo ha sempre in mente se stesso, anche quando pensa al
colpevole. Con le medesime caratteristiche è costruito il personaggio del vecchio
re cieco, solo e disperato nelle Phoenissae senecane. La tipologia del personaggio,
così rivisitato e reinterpretato da Seneca, trova nel Saul alfieriano la
sua ripresa nella psicologia del vecchio re: la scena Tiresia-Creonte
dell’Oedipus viene esemplata sulla scena fra Saul e il profeta sacerdote Achimelech;
e il Foscolo, partendo da Seneca, rielabora il personaggio attraverso il
Polinice alfieriano e l’Oedipe di Voltaire. Se noi leggiamo la scena dell’apparizione
dell’ombra di Laio nelle tre tragedie, assistiamo alla ratio scribendi del
Foscolo che guarda all’originale senecano e alla rielaborazione del Voltaire:
sequor, sequor, iam parce sanguineum gerens
insigni regni Laius rapti furit;
en, ecce inanes manibus infestis petit
foditque vultus. nata, genitorem vides?
ego video. Tandem spiritum inimicum expue,
desertor anime, fortis in partem tui.
omitte poenas languidas longae morae
mortemque totam recipe; quid segnis traho
quod vivo? nullum facere iam possum scelus?
(Seneca, Phoenissae, vv. 39-47.)
[....] O Laius, o mon père!est-ce-toi?
Je vois, je reconnais la blessure mortelle
Que te fit dans le flanc cette main criminelle.
Punis-moi, venge-toi d’un monstre détesté,
D’un monstre qui souilla les flancs qui l’ont porté
Approche, entrraine-moi dans les demeures-sombres;
J’irai de mon supplice épouvanter les ombres.
Viens, je te suis.
(Voltaire, Oedipe, IV, vv. 22-29)
[...] Lajo! [...] Ah questo è troppo!
Cela, cela quel sangue ombra feroce [...]
Il mio tu chiedi? [...] Oh l’avrai tutto [...] io ‘l sacro
ad acquetar l’ombra tua fera! [...] ammenda
Tal non fia a non voluti falli?
Nol fia lo so, va mi precedi, o Lajo,
Non dubitar oltre la vita io porto
Meco lo sdegno delle Furie ultrici [...]
Io mi t’avvento con ferma speranza
Di teco rinnovar le antiche offese [...]
E tal pur sia, pur tale onde ne’ petti
Nostri immortali, immortal l’odio passi.
(Foscolo, Edippo, V, vv. 203-11; 217-20)
La disperazione di Edipo della tragedia senecana passa nel dramma di
Edippo pochi attimi prima del suicidio e l’ombra di Laio ne è l’elemento scatenante;
del resto anche l’ispirazione del Voltaire è senecana, filtrata attraverso
l’esperienza tragica di Corneille, come egli stesso scrive in una lettera a M.
Porée contenente una critica all’Oedipe di Corneille in cui ammette di aver
ripreso ad litteram, alcuni versi della tragedia di Corneille tradotti dall’Oedipus
di Seneca24. Foscolo quindi scrive la sua tragedia costruendo il protagonista
sulle basi delle fonti classiche a lui conosciute, le modifica e le manipola fino ad
arrivare ad un prodotto finito che e “altro” rispetto alle fonti utilizzate, dal tragico
trapassa verso la liricità. In questa opera giovanile si sente che il Foscolo
inclina alla poesia lirica, non vi è nulla di teatrale: le scene sono statiche, nulla
suggerisce azione, movimento, svariare di luci e suoni. Come si può notare
anche dall’apparizione dell’ombra di Laio, le battute drammatiche hanno spesso
un’intonazione intima; il protagonista, sembra parlare rivolto a sè, non a possibili
spettatori, non abbiamo nessun verso o indicazione scenica, nè l’atteggiarsi
corporeo dei personaggi.
Si è detto e dibattuto molto sull’impronta dell’Alfieri nella produzione “tragica”
del Foscolo, ma egli non fu mai poeta drammatico; l’incondizionata
ammirazione per l’Alfieri, lo spinse a scrivere tragedie: semmai la psicologia di
Edippo, servì da fucina per il giovane Foscolo per la costruzione interiore ed
esistenziale del giovane Jacopo.
VOLTAIRE, Oedipe, in VOLTAIRE, Oeuvres Complètes, Paris, 1829, pp. 26 sgg.; C. BO,
Edipo nella letteratura francese, in Atti del Convegno Edipo e la Cultura europea, Roma,
Ateneo, 1986, pp. 135 ((c) M. Trebbi).
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