Grice e Carlini: l'implicatura conversazionale della filosofia
fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano. Grice: “I love Carlini, and Speranza loves him even
more, but then he is Italian! My
favourite is his “A brief history of philosophy,” especially the subtitle: “Da
Talete di Mileto a Talete di Mileto, con una postfazione di Talete di Mileto – “Nel
principio era l’acqua”!” – “Il primo filossofo – che cadde in un pozzo.” Si
laurea a Bologna (“l’unica universita italiana”) sotto Acri. Insegna a Iesi,
Foggia, Cesena, Trani, e Parma. E chiamato presso Pisa per sostituire Gentile,
trasferitosi a Roma, come titolare della cattedra di filosofia teoretica. Membro
dell’Accademia d'Italia. Inizia a farsi conoscere assumendo la direzione di una
collana edita da Laterza che inizialmente venne lanciata sotto il nome di “Testi
di filosofia ad uso dei licei”. Ad introdurlo nella Laterza fu Gentile,
conosciuto qualche anno prima, e Croce, all'epoca ancora in rapporti col
filosofo di Castelvetrano. “Testi di filosofia ad uso dei licei” ha un scopo
divulgativo, ma divenne presto celebre per l'alto livello degli autori che
collaborarono in vario modo al suo interno, fra cui, oltre al Carlini, anche
Saitta e lo stesso Gentile. Oltre al lavoro di direzione e coordinamento in
qualità di direttore responsabile, pubblica due saggi su Aristotele (in realtà
raccolte aristoteliche da lui curate, commentate e tradotte) cui fece seguito
uno studio su Bovio che desta l'interesse di non pochi studiosi e
l'approvazione di Gentile, considerato da Carlini suo tutore
indiscusso. Pubblica due corposi volumi che gli assicurarono un posto di
assoluto rilievo nell’ambiente filosofico: un esaustivo studio sul sense e
l’esperienza, e soprattutto “Lo spirito”.
In “Lo spirito” si inizia infatti chiaramente a delineare il proprio
pensiero: adesione alla dottrina idealista, vista come sintesi fra il pensiero
immanentista gentiliano (Gentile fu, fino alla propria scomparsa, suo amico,
oltre che tutore) e quello crociano. Il soggetto attraversa un costante irto di
dubbi ed angosce e un dialogo che riusciamo ad instaurare con noi stessi, in un
percorso critico dialettico, una conquista realizzabile solo attraverso gli
strumenti di una metafisica critica. La centralità della teoria della
conoscenza e sviluppata in “Lineamenti di una concezione realistica dello
spirito umano” e “Alla ricerca di noi stessi”, “alla ricerca di tu”. Comprensibile
appare pertanto l'interesse che nutre per l'esistenzialismo, che però si
espresse con una singolare preferenza verso Heidegger, nelle cui speculazioni
trovarono ben poco posto le istanze metafisiche, piuttosto che nei confronti di
Jaspers che su quelle stesse istanze aveva strutturato la propria filosofofia.
Commenta il pensiero logico di Heidegger, e Che cos'è la metafisica? (“La nulla
anihila”). Rende un commosso omaggio a Gentile con i suoi Studi gentiliani,
raccolta di scritti in massima parte già pubblicati precedentemente, tesi a
ricordarne la figura e le affinità intellettuali che un tempo lo avevano legato
al grande filosofo siciliano. “Bovio” (Bari, Laterza); “Senso ed
esperienza” (Firenze, Vallecchi); “Lo spirito” (Firenze, Vallecchi); “Note a la
metafisica d’Aristotele” (Bari, Laterza); “Filosofia” (Roma, Quaderni dell'Ist.
Naz. di Cultura, ser. 4; 5); “Il mito del realism” (Firenze, Sansoni); “Lo
spirito” (Roma, Perrella); Filosofia (Roma, Ist. Naz. di Cultura, 2); Il
problema di Cartesio, Bari, Laterza); Storia della filosofia, Firenze, Sansoni);
“La Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici” (Firenze, Sansoni); Le
ragioni della fede, Brescia, Morcelliana); Michelino e la sua eresia” (Bologna,
Nicola Zanichelli). Dizionario biografico degli italiani. l'architrave 4
ala I ai Mi L. LL a cura di alberto schiavo
Gy giovanni volpe editore FUTURISMO E FASCISMO.
Una fotografia inedita di Marinetti mentre si esercita al poligona di
tiro di Gorizia nel 1915. Marinetti e Russolo si erano arruolati
volontari nel « Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti » il 3 agosto
1914 per poi combattere da alpini sul Monte Altissimo. In seguito
Marinetti verrà assegnato ad un reparto di autoblindate e poi servirà nei
bombardieri. Sarà tre volte ferito e tre volte decorato al valore.
© 1981. Tutti i diritti riservati. Giovanni Volpe Editore in Roma
— Via Michele Mercati, 51 — Telefono 87.31.39 FUTURISMO E
FASCISMO a cure di ALBERTO SCHIAVO
GIOVANNI VOLPE EDITORE FUTURISMO CON E SENZA FASCISMO
«A Giacinto Menotti Serrati allora direitore del- l’Avanti, che si era
recato in Russia per respirare aria comunista. Lenin affermò: “Voi
socialisti non siete dei rivoluzionari. In Italia ci sono soltanto
tre uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini, D'Annunzio,
Marinetti”. Il povero Giacinto Me- notti, inotridito, ritornò a Milano
precipitosamen- te. E. quando, paco dapo, un capo scarico con un
magistrale colpo di forbice gli tagliò di netto, per beffario, Ia
veneranda barba, reagì in questo modo: facendo proclamare nella grande
città lombarda lo sciopero generale. I milanesi orripilarono, è il
caso di dirlo, perché si sentirono da quel giorno appesi ai peli
del direttore dell'Avarti » EmiLio SErTIMELLI, Mille giudizi di
statisti, scrit- tori, giornalisti, scienziati, industriali di
Cinquanta Stati sulla personalità e misstone di Mussolini, Edi.
zioni Erre, Milano, 1945, XXIII faprile). 1. Quale
futurismo? Il futurismo è ormai un fatto d’esportazione:
italiano d'origine pur se si è cercato di farlo passare per
francese e russo poi di acquisizione e di affermazione, è ormai
alla ribalta dell’esperimentazione artistica americana. Se- gno questo
che il fenomeno è vitale e ancora carico di prospettive, nonostante la «
storicizzazione » di un avve- nimento che fu d'avanguardia. Ma quale
avvenimento? Il manitesto del futurismo fu pubblicato sul parigino Le
Figaro. Si tratta di un manifesto letterario di rinnova- mento e di
rivoluzione, se vogliamo, della tradizione clas- sicista e « passatista »
{secondo un termine caro ai futu- risti) dominante. Gli
aspetti politici non furono tuttavia estranei alla sua volontà di
rivolgimento letterario ed artistico. Ci sembra quindi giusto prenderli
in considerazione, eftet tuarne un esame. Anzi, è proprio di questi che ci
vo- gliamo occupare, del loro svolgersi, articolarsi 0, comun- que,
manifestarsi nel corso del tempo e della vita del fu- turismo. Che, in
fondo, ancora oggi è accettato o respinta, condiviso o negletto, «
approvato » o denigrato a seconda delle posizioni o degli intendimenti
politici del momento. Ma anche è ticonsiderato, tivisto e « rivisitato »
nel suo complesso, da tutte le parti, vicine e lontane, amiche ed
avverse, per la carica vitale e rinnovatrice che lo anima, suscitatrice
di nuovi spiriti e ancòra, in fondo, moderna. « La letteratura
esaltò fino ad oggi l'immobilità pen- sosa, l'estasi e il sonno »,
scriveva Marinetti in quel Mani festo di settanta e più anni fa. « Noi
vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo
di cor- sa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». E non è già
atteggiamento letterario « aggressivo », ma anche di rinnovamento,
questo? Non è, come si suol dire ancora, « fare politica »? Al settimo
punto del Manifesto, Ma- rinetti così continuava: «Non c'è più bellezza,
se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere ag-
gressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come
un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi
davanti all’uomo ». Per conclu- dere poi con l'undicesimo: « Noi
canteremo le grandi fol- le agitate dal lavoro, dal piacere o dalla
sommossa; can- teremo le maree multicolori e polifoniche delle
rivolu- zioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fer-
vore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune
elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le
officine appese alle nuvole... ». E tutto questo cantava e diffondeva da
Parigi, da uno dei più gloriosi quotidiani della capitale francese; ma
cio- nonostante « ...è dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo
questo nostro manifesto di violenza travolgente e incen- diaria, col
quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché vogliamo liberare questo paese
dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e di
antiquari ». Un grido così coinvolgente e totale non può, in
fon- do, non trascinare ancora gli osservatori della cultura,
A non invitarli almeno a prendere posizione,
poco importa se favorevole o contraria. Non si può rimanere
indiffe- renti ancora negli Anni Ottanta, non sentirlo tutt'ora
pre- sente nei suoi contenuti « prospettici » e attuali. Ecco
perché tutti lo hanno ripreso, riconsiderato o « riabilita- to» alla loro
dimensione storica: liberali e comunisti, socialisti e conservatori,
cattolici e radicali, fino alla « nuo- va destra ». Anche noi, vorremmo
quindi riesaminarlo a distanza non però per riappropriarcene, ma solo per
ve- dere la sua origine, il muoversi storico e la collocazione
politica nel corso della sua esistenza, che in fondo, è an- cora incerta
e anche, in parte, controversa. Si è parlato d’irrazionalismo
filosofico, di decadenti- smo o di romanticismo letterario, di
surrealismo con evi- dente errore di collocazione, di nietschianesimo
natural mente, o di bergsonismo ecc. ecc. Ma non sta a noi que- sto
compito, perché siamo convinti che rutto si potrebbe dite, o comunque
tutto si potrebbe adattare in buona combinazione di purpurie filosofica,
o di pensiero. E in- vece è il futurismo che vorremmo considerare nella
sua realtà storica, nella sua entità e valenza « politica », di
fianco o a distanza di quel fascismo con cui bene o male si è
accompagnato. Anche se ciò non basta certamente per avere un'idea chiara
e precisa della sua effettiva por- tata e del suo valore « storico ».
Perché il futurismo va visto sì nel suo tempo, che non è poi tanto
passato, pur se non è più momento dell’oggi; ma va visto anche
nella sua prosecuzione e nella sua proiezione al tempo presen- te,
sia pure per quel che riguarda la « dimensione d’arte ». Il
futurismo oggi non è più un fatto politico, ma è tuttora fatto culturale,
e diverse manifestazioni e pubbli cazioni lo dimostrano ancora. Quando
nacque, fu espres- sione rivoluzionaria di un paese giovane e « nuovo »
mos- so dalla felice conclusione dei fermenti unitari, i quali — è
ovvio — comportano sempre semi di sconvolgimen- to e di « rinnovazione
». L’« Italia di Vittorio Veneto » sancità definitivamente ed
epicamente il ciclo dell’unità e segnerà così anche, nel l'immediato
dopoguetra, il momento di temperatura massima del « futurismo politico », che
vedremo poi ricadere in seguito completamente a zero. Oggi,
in tempi di riflusso dopo una guerra perduta anche se ormai lontana, il
futurismo risulta meno com- prensibile e meno « attuale » alla nostra
capacità d'in- tendimento storico. Ma a ben osservare possiamo
ancora intravvederlo, per intendere poi anche meglio il futurismo
artistico e letterario, che del tutto estraneo a quello « po- litico »
proprio non è. La cultura è un fatto del presente, ma anche
dell’av- venire. Come tale è o dovrebbe essere giovane, perché
vissuta, voluta, « creduta » e quindi guardata in prospet- tiva nella
visione dell’oltre, nell'ottica di uno sguardo lon- tano. Il futurismo si
pone in questo «taglio » di visuale sull'inizio del secolo, e si
focalizza in tale dimensione. Vuole aprire una nuova strada e vuole
porgere un'indi- cazione, una proposta. Erano i tempi del
progresso, dello sviluppo della scien- za e dell'industria, del nascere
della velocità dei nuovi suoni e dei nuovi rumori, quelli delle scoperte
e delle invenzioni, del cinema e dell'aviazione. Marinetti percepì
tutto questo e lo espresse. E fondò il futurismo, pose le sue basi e
cantò la sua prima voce. Nessuno forse s’aspettava o s'immaginava che
potesse riuscire a trovare ascolto. Marinetti però viveva a Parigi a quel
tempo, e seppe approfittare dei contatti che aveva con la cultura
rancese per lanciare il Manifesto: fu un'occasione, e fu anche un lancio
sicuro. 2. Futurismo e « passatismo » Esiste ancora
oggi il « passatismo », quello di mari- nettiana memoria. E se è pet
questo c'è ancora il futu- rismo. Proprio per tale suo aspetto, dunque,
il futurismo è ancora attuale: la decadenza della cultura o il suo
in- vecchiamento, e la sua inadeguatezza ai tempi; il preva- lere
per contro dell'accademia, della pedanteria, del vec- chiume cattedratico
sono sempre all'ordine del giorno. ® Il futurismo,
quindi, non ha esaurito il suo compito, ov- vero non è riuscito nel suo
intento. E allora dovremo dire che non è morto ed è tuttora attuale. Ma
prima di aprire un'ipotesi di «nuovo futurismo », dovremmo
esaminare quello passato, fattosi movimento d'avanguardia, e ormai
da ridefinirsi vera e propria avanguardia storica, solo ed
esclusivamente. Il « passatismo » può essere oggi solo un « fatto
di ritorno », o esser rientrato ad occupare il suo campo d'’ori-
gine, ma il futurismo settanta anni fa aveva già conosciu- to quello di
allora, tanto da indicarlo e da definirlo, con una sua caratteristica
espressione: passatismo, appunto. E non si trattava anche allora di una
cultura ripetitiva e monocorde, puntualizzatrice e pedante, noiosa e
inat- tuale? Allora come oggi: una cultura fuori dal tempo, sterile
e ferma. E il futurismo aveva voluto muoversi a rinnovarla, a darle nuova
spinta vitale. Ecco allora le sue invettive contro l’accademismo o il professorume,
i suoi appelli alla distruzione di musei, archivi, biblioteche.
Si trattava di appelli squisitamente letterari, ma sono stati presi
il più delle volte alla lettera o in senso lette- rale, per farne atto
d'accusa al futurismo e alla sua anti- cultura. Leggendo al di là delle
righe, invece, dovremmo capire la portata o la dimensione del messaggio,
rivolto agli uomini più che ai musei e alle accademie, o almeno a
certi uomini capaci di rappresentare solo ed esclusiva- mente cultura da
museo. Sulla spinta di questo stimolo « ideologico », era
fatale che il movimento trovasse più facili accoglienze 0 acco-
stamenti con le parti politiche d’azione, quelle dell'inter vento prima
della Grande Guerra, e dell’arditismo prima durante e dopo il conflitto.
La guerra veniva ormai intesa sola ed unica «igiene del mondo », ed era
logico che i futuristi si accostassero a lei, come ad una forza
capace di debellare ed estirpare il tanto inviso « passatismo ». I
futuristi quindi furono interventisti accanto ai naziona- listi
(D'Annunzio) ed ai socialisti di Corridoni e di Mus- solini. La
ineluttabilità della storia accosta spesso e vo- lentieri i « differenti
». Furono vicini nei comizi, nelle manifestazioni, nella propaganda per
l’intervento. E poi partirono, praticamente tutti 1 futuristi,
volontari per il fronte di una guerta che avevano inteso e visto
aggressiva, purificatrice e moderna. Una guerra al passo coi tempi, si
direbbe oggi, una guerra insomma « futu- rista ». Partì Martinetti e partì
Boccioni, partirono Funi e Sitoni, partì Sant'Elia, che lasciò i suoi 23
anni in trin- cea sulle colline del Carso. Erano entrati tutti e
cinque « compatti » in quel glorioso battaglione ciclisti, che tan-
to fece patlare di sé, e che Funi rittasse in un famoso quadro. Anche
Boccioni morirà in ospedale a Verona. La vita fu forse la massima offerta
all’« igiene » di una guetra tanto desiderata. Il futurismo
in quanto fermento rinnovatore di una lotta nazionale che concluse il
Risorgimento, potrebbe es- sere inteso come un epigono del Romanticismo.
Fu in- vece di più e di meglio, visto in altra dimensione o in
altro significato. Perché fu avanguardia, anzi il primo ve- to e proprio
movimento d’avanguardia culturale del nuo- vo secolo. E l'avvento del
fascismo in senso politico, di- mostra in fondo che lo sbocco di tutto
quel rivolgimento innovativo 0 avanguardistico che tutti sentivano e «
avevano nel sangue », era diventato una ineluttabile necessità del
momento. L’irreggimentazione del fascismo è un fatto
successiva, indipendente dal futurismo. Il fascismo-regime, per
dirla con De Felice, è un'esito autonomo e « solitario » di Mus-
solini e del potere. Il fascismo-movimento invece, sempre per dirla alla
De Felice, no. I) fascismo-movimento è una realtà più complessa,
articolata e multiforme, più sentita e partecipata. Ed in essa entra il
futurismo, che « vive » il fa- scismo ma anche lo anima, che Jo vuole in
parte, ma anche lo informa. Il « passatismo » doveva essere
stroncato: e in un primo momento, con l'avvento di Mussolini, languì.
La cultura subì uno svecchiamento non indifferente ed il fer- mento
del nuovo portò sulla scena uomini « giovani » ac- cantonando | «
vecchioni » dell'accademia libera!socialista. Balla, Carrà, Soffici, Funi,
Sironi, Prampolini si afferma- rono col vento futurista che stava
soffiando. Ed ebbero spazio nelle mostre, almeno in un primo momento,
aper- tura nei musei, apprezzamento all’estero, dove vennero
accolti, ammirati, imitati. Il futurismo ebbe una grande forza vitale
sua, autonoma e individuale. Senza per que- sto imporsi e schiacciare la
« concorrenza », anzi. I fu- turisti accettatono nuove esperienze ed
accolsero scambi con avanguardie straniere (come l'astrattismo), che
vol. lero mutuare in reciprocità l’influenze. Il fascismo fu
l’avan- guatdia collaterale politica del futurismo, che tuttavia
que- st'ultimo cronologicamente precedette e « ideologicamente »,
almeno in parte, ispirò. La lotta al « passatismo » diven- ne così quasi
simbolo del fascismo, che si fece portaban- diera del rinnovamento e
della nuova rivoluzione nazio- nale. I « professori », non
avendo messaggi originali da con- trapporre, rimasero in disparte.
Marinetti divenne acca- demico d’Italia a fascismo avanzato e, forse, suo
malgra- do. Tuttavia « usò » l'Accademia per promuovere ed ap-
poggiare i « suoi » futuristi, per dar loro spazio nelle di- verse
manifestazioni d’arte e di cultura. Il filosofo Croce, « professore ad
honorem », era stato proposto alla presi- denza dell’Accademia, ed era
stato proposto da parte fa- scista, quando ancora da Napoli applaudiva a
Mussolini: ebbe invece più consensi la presidenza Marconi, lo
scien- ziato, e Croce si ritirò nell’antifascismo, forse
mi litante, della sua incensurata e liberissima Critica. Croce fu «
pas- satista », 0 tortò ad essere tale dopo una parentesi {od un
tentativo di rivolgimento innovativo), che non lo sot- trasse tuttavia
dalle « carte » della sua più o meno im- mobile filosofia.
3. Futurismo e politica La comparsa « politica » del futurismo fu
praticamente contemporanea alla sua nascita «artistica: infatti
avvenne in occasione delle elezioni del 1909, quando Marinetti
lanciò il suo Primo Manifesto Politico, che così si rivol- ge agli « Elettori
Futuristi »: « Noi Futuristi invochiamo da tutti i giovani ingegni
d’Italia una lotta ad oltranza contro i candidati che patteggiano coi
vecchi e coi preti ». Posizione confermata nel marzo dello stesso anno in
un famoso Discorso ai Triestini tenuto al Politeama Rosset- ti,
della città giuliana, dove così sottolinea: « In politica, stamo tanto
lontani da] socialismo internazionalista e an- tipatriottico — ignobile
esaltazione dei diritti del ven- tre — quanto dal conservatorismo pauroso
e clericale, simboleggiato dalle pantofole e dallo scaldaletto ».
Sono le premesse del famoso anticlericalismo marinettiano, che
sfocerà poco dopo nello « svaticanamento » tanto predi- cato per la
salvezza nazionale. Nel 1910, dopo la nascita del futurismo
politico, vie- ne fondato il Partito Nazionalista Italiano,
antidemocra- tico ed antiborghese. Nel 1913 nasce Lacerba, cui
diede- ro vita a Firenze Soffici e Papini, la rivista che in pra-
tica divenne ben presto organo ufficiale del futurismo /ato sensu. Sempre
nel 1913 sorgeva a Napoli un’altra rivista futurista, diretta da
Ferdinando Russo e intitolata Vele Latina, che si ergeva in un primo
tempo a voce di pa- sizioni morigerate e tranquille, e poi dal 1915 più
spinte nella mischia dell'intervento. Ancora del ’13, e
dell'11 ottobre per l'esattezza, è la pubblicazione del Programma
politico futurista a firma di Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo, per
le elezioni dello stesso anno. « Questo programma vincerà », s'in-
dica al margine inferiore del foglio, «il programma cle-
rico-moderato-liberale » e «il programma democratico-re-
pubblicana-socialista ». Cosa che poi in realtà non av- venne.
Il 12 dicembre dello stesso anno Marinetti pronun- ciava un discorso
al Teatro Verdi di Firenze, dove sao- stiene la volontà di appoggiare
l'impresa libica ed il suo felice compimento. Il discorso viene
immediatamente ri- preso e pubblicato da Lacerba, nel numero del 15
dicem- bre (n. 24, anno I): « Si convincano i socialisti che noi
rappresentanti della nuova gioventù artistica italiana com- batteremo con
tutti i mezzi e senza tregua i loto vigliac- chissimi tentativi... »
iniziava il discorso; e così concludeva, a rafforzamento delle sue
inconciliabili posizioni: « Noi siamo dei nazionalisti futuristi e perciò
ferocemen- te avversi all’altro grande pericolo imminente: il
clerica- lismo con tutte le sue propaggini di moralismo reaziona-
sio, di repressione poliziesca, di professoralismo archeo- logico e di
quetismo rammollito o affatismo di partito ». Ormai la collocazione del
movimento è quanto mai chia- ra e inequivocabile. 4.
Futuristi e « fiorentini » Che i futuristi fossero « milanesi » è
problema tutto da vedere, anche se è vero che Marinetti abitava a
Mi- lano e che dopo la fondazione del movimento a Parigi fu a
Milano il suo centro di spinta e di irradiazione. Ma i legami con Firenze
furono ben presto agganciati, e determinanti. Scrive Luciano De Matia: «
Fsiste un fu- turismo milanese (con Marinetti e Boccioni in simbio-
si); esiste un primo futurismo fiorentino lacerbiano, che assimila,
elabora in modo nuovo, creativo, le istanze mi- lanesi; esiste un secondo
futurismo fiorentino (la « pattu- glia azzurra »; i giovani de L'Italia
futurista) psicologico, occultista, predadaista e presurrealista. E
potremmo con- tinuate nelle differenziazioni »”. Ma non è
tanto per questo tipo di differenziazioni che ci interessa il futurismo
fiorentino, quanto per la dimen- sione « politica » dei personaggi che vi
aderirono, diversa da quella di Marinetti e degli altri futuristi
milanesi o degli altri politici che a Milano operavano e si muove-
vano (Boccioni, Sant'Elia, Balla; più tardi poi, Vecchi e Mussolini).
Milano era già città d'avanguardia e alla guida dell’industrializzazione
settentrionale: questo non va dimenticato. Firenze era ancora
« passatista », accademica e salot- tiera; legata comunque ad una cultura
d’indagine e di ! Tuciano De Maria, Palazzeschi e l'avanguardia,
Mondadori, Milano, 1968, pag. 31. riesumazione di un passato ricco e
glorioso, ma ormai ri- petitivo e sclerotizzato. Firenze tuttavia era
anche la terra feconda del primo Novecento, delle nuove riviste,
dei tentativi di rivisitazione di una cultura pur sempre na-
zionale, e di lancio dell'avanguardia sullo scorcio del nuo- vo secolo,
che andava creato e costituito, Il Leonardo apre le sue tirature il 4
gennaio 1903, per chiuderle poi nel- l'agosto del 1907. Era stato Papini
a fondarlo, ma c’era già anche presente Prezzolini (Giuliano il Sofista).
Che poi mise in piedi La voce nel 1908: uno dei migliori ten-
tativi di collegamento delle forze intellettuali e di fon- dazione di un
minimo denominatore comune, letterario e politica {idealismo e
sindacalismo socialistico di tipo so- reliano). Papini continuò la «
collaborazione ». Ma vi fu- rono anche, sulle pagine de La Voce, Amendola
e Sal vemini, Soffici e De Robertis, oltre che il futuro fonda-
tore de Il Popolo d’Italia e del Fascismo. La Voce chiudeva però i
battenti nel 1912 senza ec- cessiva eco politica immediata. Papini non
aveva condi- viso certe alleanze del suo amico Giuliano il Sofista,
come non condivideva l'intento didascalico e divulgativo della Voce
su qualsiasi argomento artistico e sociale, come an- che « idealistico ».
Si unì a Soffici di cui condivideva gli atteggiamenti, ed insieme
fondarono Lacerba (il 1° gen- naio del 1913, sempre a Firenze). « Non si
volge chi a stella è fisso! », portava come motto il Leonardo sotto
la testata. Volendo dare tono battagliero a Lacerbae, Pa- pini forse
ancora seguiva le prospettive d’arte e di cul- tura del Leonardo. Anche
se in una dimensione « attiva » che già i « leonardiani » avevano inteso
fondare nell’uti- lizzazione del pragmatismo come « strumento di
poten- za ». (« In quegli anni tutti vollero sapere che cosa fosse
il pragmatismo »). Lacerba riprende l’impostazione di battaglia,
tipica di Papini, e ritotna all’orientamento spe- cifico dell’arte.
? Vedi anche Giovanni Papini, Pragmatismo, Firenze,
Vallec- chi, 1927. 14 In questo contesto è
evidente che non poteva man- care l’incontro col futurismo.
La scazzottatura dei futuristi con Soffici e i vociani nel 1911°
non poteva aver contribuito all'incontro? Po- trebbe darsi, anche se
Papini non vi aveva partecipato, come Marinetti stesso asserisce in una
sua lettera a Pra- tella. Sta di fatto che col 15 marzo del 1913, cioè
col suo sesto numero, Lacerba diventa futurista. Con un ar- ticolo
proprio di Papini dal titolo Contro il futurismo che dal famosa attacco
iniziava così: « Il futurismo italiano ha fatto ridere, urlare e sputare.
Vediamo se potesse far pen- sare». Segue un passo di Boccioni sul
«fondamento plastico della scultura e pittura futurista». Proprio
Boccioni che ave- va investito Soffici col suo celebre pugno, poco più
di un anno prima a Firenze. E che continuerà a pubblicare articoli
sul numero del 1° di aprile e su quello del 1° di agosto e poi sul primo
numero del 1914, ecc. Per non parlare di Carrà, Marinetti, Russolo,
Sant'Elia, Auro d'Al- ba, ecc., che porteranno continuamente i loro
contributi. Il 15 ottobre del ’13 Lacerba pubblicherà
addirittura il citato Programma politico futurista in occasione
delle elezioni generali. Il manifesto politico compare in prima
pagina con tutti i crismi d'appoggio o di affiancamento della rivista.
Papini ne dà un commento più che « sod- disfacente ». E lo stesso Papini
il 1° dicembre dello stes- so anno uscirà poi con un lungo articolo
intitolato Perché son futurista. Sarà l’atto di accettazione definitiva
del fu- turismo, od il suo accoglimento più completo, e « globale
». 1 Su La Voce Soffici pubblica il 1° aprile del 1909 la sua
Ri- cetta di Ribi Buffone. Vi si elencano gli ingredienti del
neonato futurismo: « Un chilo di Verhaeren, 200 gr. di Alfred Jarry,
cento di Laforgue, trenta di Laurent Tailhade, cinque di Viélé Griffin,
un pugno di Morasso..., una presa di Pascoli », aggiungendovi poi «
una pila di undici automobili, sette aetoplani, quattro treni, due
carghi, due biciclette, diverse batterie elettriche e qualche candela
arden- te». Sempre su La Voce Soffici pubblicherà poi nel ‘10 e
nell’11 dei rendiconti negativi sulle opere futuriste esposte a Venezia e
a Milano, per cui sarà decisa la spedizione punitiva a Firenze da
par- te dei fuiuristi, Non molti giorni dopo, il 12 dicembre
(lo ab- biamo già visto), si tenne al Teatro Verdi a Firenze una «
grande serata futurista », di cui riporta il « reso- conto sintetico » il
numero 24 della rivista (del 15 di- cembre 1913). Non molto
tempo dopo, però, il 15 febbraio del ’14, appare sul quarto numeto del
nuovo anno I! cerchio si chiude, che avvia inesorabilmente al declino
della colla- borazione. Autore ne è ancora una volta Giovanni
Papini, che chiuderà definitivamente il « colloquio » sull'ultimo
numero dell’anno insieme a Soffici, cofirmatario de Il Fu- turismo e
Lacerba. E’ l'atto di chiusura di un « perio- do »: quello, appunto, del
futurismo lacerbiano. Rispon- derà Boccioni il 1° di marzo sul numero 5
con Il cerchio non si chiude; ma sono solo sussulti, e anche sugli
ultimi numeri dell'anno della rivista compariranno solamente i
cosidetti « canti del cigno ». Il cerchio era ormai già chiuso. E
non molto dopo chiudeva anche Lacerba, nonostante i suoi ultimi
tenta- tivi interventisti di rivivificazione (1915) e le sue
discri- minazioni tta futurismo c marinettismo, che ne sarebbe
stata la versione deteriore‘. 1l marinettismo sarebbe pra ticamente già
morto secondo «i fiorentini », mentre il futurismo avrebbe potuto tendere
a mete migliori. Dopo pochi mesi in realtà morirà definitivamente anche
Lacerba. 5. Il futurismo e la guerra Nel 1929
Marinetti ricordava così l’inizio della sua « carriera interventista »: «
Nel settembre 1914 dutante la battaglia della Marna e in piena neutralità
italiana, noi futuristi organizzammo le due prime dimostrazioni
contro l’Austria e per l'intervento. Bruciammo il 15 settembre nel
Teatro Dal Verme e il 16 settembre in Piazza del 4
Cfr. Palazzeschi, Papini, Soffici, Futurismo e Marmnettismo, in Lacerba,
anno III, n. 7, 14 febbraio 1915, pp. 49-50. Duomo e in Galleria undici
bandiere austriache ». Poco prima di quegli avvenimenti, Mussolini aveva
fondato il suo nuovo quotidiano, I{ Popolo d’Italia. Contemporanea-
mente, sotto l'auspicio e il favore di Corridoni, i gruppi rivoluzionari
di sinistra, già pronunciatisi a favore della guerra, si stavano
organizzando per sostenere anch’essi l'intervento. Come ricorda De Felice,
«il 5 ottobre il Fascio Rivoluzionario d'Azione Internazionalista
avreb- be lanciato il suo primo appello ai lavoratori italiani in
questo senso » * L'incontro tra futuristi e rivoluzionari di estrema
sinistra si stava verificando e « stringendo », anche se già confortato
da reciproche simpatie per le uni. voche posizioni anticlericali ed
antiborghesi. Mussolini scriveva dalla direzione de Il Fopolo d'Italia
una lettera a Buzzi, che riportiamo interamente: « Caro Buzzi, Boccioni
vi avrà detto — se mai vi avrà parlato di me — che tutte le mie
simpatie sono — anche nel dominio dell’arte — per i novatori e i
demolitori: per i “futuristi”. Inattesa, e perciò gradita, mi giunge la
vostra lettera riboccante di simpatia. E’ questo uno dei momenti più
amari della mia vita. Ma vincerò. Vincerò. Lo sento. F' necessario.
Ho messo nel gioco tutta me stesso. Credetemi. Vostro Mus- solini
». L’amarezza gli è data probabilmente dall’espulsione dal Partito
socialista proprio per la posizione da lui assun- ta a favore
dell'intervento. La conoscenza da parte di Mussolini, di Boccioni e del
movimento d’arte d’avanguar- dia di Marinetti, risultava sino a poco
tempo fa inesistente. La lettera, unica del genere, conferma la
precedenza del futurismo politico rispetto al fascismo ancora da
sorgere, che poi mutuerà da esso idee, elementi e programmi.
Le simpatie si manifestano per il dominio dell'arte, al dire di
Mussolini, ma non solo; c'è un « anche », che indica chiaramente
dell'altro e un'apertura, forse politi ca, possibile nei confronti degli
innovatori e dei « demo- Renzo De Felice, Mussolini il
Rivoluzionario, Einaudi, Tori. litori », vale a dire per i futuristi. Che
ancora il 9 dicembre di quell’anno organizzano le prime manifesta-
zioni interventiste all’Università di Roma, sotto la guida di Marinetti,
Balla, Cangiullo e Depero. Qualche mese dopo, nel ’15, le autorità di
governo fermano Marinetti, Cangiullo, Balla e Depero che avevano indetto
una ma- nifestazione interventista un’altra volta a Roma, in Piazza
Venezia. E' il primo « fermo politico » di Marinetti. Sia- mo quasi alla
vigilia della guerra. Il 12 aprile 1915 si mette in piedi la «
terza grande dimostrazione interventista » davanti alla Camera dei
De- putati. E' presente anche Mussolini e si verifica uno dei
maggiori « momenti d’incontro » tra futuristi e Mussolini sul terreno
dell’intervento. Balla, Corra, Settimelli, Ma- rinetti e lo stesso
Mussolini vengono attestati. Tutti gli sforzi ormai, tutte le volontà e
tutte le energie sono con- centrate verso un'unica e suprema meta: quella
della guer- ra. A Messina esce il nuovo periodico La Balze, e Ma-
rinetti pubblica il manifesto Guerra sole igiene del mon- do, mentre il
poeta futurista Auro d'Alba « lancia » a Mi- lano per le Edizioni
Futuriste di « Poesia » (« sostenute » da Marinetti) il volume
Baionette. Con l’entrata in guerra nel maggio, a Fitenze
Lacerba interrompe — come si è visto — le pubblicazioni. Una guerra
che avevano tutti quanti, in un certo senso, pre- parato con interventi,
discorsi, giornali, manifestazioni e pubblicazioni. Fra questi non va
dimenticato il manifesto del Teatro futurista sintetico, firmato da
Martinetti, Corra e Settimelli, nel quale, fra l’altro, così si legge: «
Aspettan- do la nostra grande guerra tanto invocata noi Futuristi
al- terniamo la nostra violentissima azione artistica sulla sen-
sibilità italiana, che vogliamo preparate alla grande ora del massimo
pericolo ». E più avanti: « Perché I’Italia impari a decidersi
fulmineamente a slanciarsi, a sostenere ogni sforzo e ogni possibile
sventura non occorrono libri e riviste... La guerta, futurismo
intensificato, ci impone di marciare e di non marcire nelle biblioteche e
nelle sale di lettura. No: crediamo dunque che non si possa oggi
influenzare guerrescamente l'anima italiana, se non median-
18 te il teatro ». E in effetti, a partire dal gennaio del
'15, i futuristi avevano iniziato una serie di « Tournées di tea-
tro futurista interventista » per sostenere la necessità del-
l’intervento con un mezzo di comunicazione ben più po- polare e «
circolante » della letteratura. Anche la «serata futurista », per
esempio, è un al tro canale o strumento di « incoraggiamento » dell'inter-
vento. Si tratta di una sorta di riunione o ritrovo di arti- sti
futuristi, uno dei quali sollecita gli intervenuti (pubbli- co) danda uno
spunto, e proponendo un tema, o aggre- dendo qualche aspetto dell'arte
del passato, da cui nasce lo stimolo alla creazione e alla lotta del
nuovo 0 del futu- ro, e anche lo stimolo alla guerra che lo conduce sino
alle ultime conseguenze. Ma sentiamo Marinetti come la defi- nisce
quando si rivolge agli studenti in un altro manifesto, di poco precedente
a quello « teatrale », intitolato Im que- st'anno futurista, rivelto agli
« studenti italiani » e datato 29 novembre 1914. Laddove si esortano i
giovani alla guerra così si afferma: «... il futurismo segnò
appunto l’irrompere della guerra nell’arte, col creare quel fenome-
no che è la Serata futurista (efficacissima propaganda di coraggio). Il
futurismo fu la militarizzazione degli artisti novatori ». E
la guerra arrivò, come A biamo visto, e per molti versi fu vera e propria
« guerra futurista ». In luglio par- tiva il gruppo più consistente di «
volontari »: Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Bucci, Carlo Erba e
Funi. Ma ci saranno al fronte anche Carrà e Sironi, fattosi futu-
rista nello stesso anno, e Piatti e Fortunato Depero. Alla fine
dello stesso anno Boccioni, Russolo, Sant’E- lia, Sironi e Piatti, sempre
sotto l'egida di Marinetti, fir- mano un altro manifesto futurista,
quello dell’Orgoglio italiano, con cui si promettono pugni, schiaffi e
fucilate a quelli degli italiani che avessero manifestato in sé «la
più piccola traccia del vecchio pessimismo imbecille, deni- gratore e
straccione che ha caratterizzato la vecchia Italia di mediocristi
antimilitaristi (tipo Giolitti), di professori pacifisti (tipo Benedetto
Croce, Claudio Treves, Enrico Ferri, Filippo Turati), di archeologi, di
eruditi, di poeti nostalgici. Sant'Elia muore al fronte, e Boccioni, una
settimana dopo, per una caduta da cavallo durante un'esercitazione militare a
Orte. Nasce a Firenze la nuova rivista L'Italia futurista. Prampolini
fonda con Fol- gore il foglio d'avanguardia Awvenscoperta. Nel ’17
nasce il periodico Deda, che tanto dovrà nell’ispirazione al no-
stro futurismo. I) 18 è ormai l'anno della vittoria. Depe- ro realizza i
suoi nuovi «balli plastici ». Bruno Corra pubblica a Milano con i tipi
dello Studio Editoriale Lom- bardo Per l'arte della nuova Italia. Siamo
infatti nell’Ita- lia della vittoria. 6. Il Partito politico
futurista Nella nuova realtà del dopoguerra il futurismo
cerca una sua nuova collocazione politica più « pacifista », se il
termine non è nella fattispecie una contraddizione. Ai fasti
dell'intervento e della militarizzazione, succede un nuovo intento
programmatico di realizzazione. La prima espressione di questa volontà è
ancora una volta dovuta a Marinetti che pubblica nel febbraio del ’18 un
Manifesto del Partito politico futurista, l'adesione al quale era
libera ed aperta a tutti coloro che avessero accettato i principî
del suo programma, indipendentemente dalle concezioni dell’arte o dal
consenso all’« estetica futurista ». E questo indica una presa di
posizione più ponderata e meno « di rottura », almeno in senso
sociale. Il documento esprime, negli intenti, il desiderio di
rinnovamento di quelle fasce del combattentismo inter. ventista, comprese
fra i mussoliniani, i sindacalisti tivo- luzionari, i socialisti e i
repubblicani di sinistra, che avreb- bero poi dato vita alla formazione
dei Fasci di Combatti- mento, quelli cui futuristi ed arditi avrebbero
infuso la prima linfa vitale. Si possono considerare punti
essenziali del nuovo programma l'estensione del suffragio universa-
le, comprendente anche le donne, la socializzazione della terra con
assegnazione ai reduci, la tassazione progressi- va, l'abolizione dell'esercito
e la sua professionalizzazione 20
(volontariato), la giustizia gratuita, la libertà di sciopero e
stampa, le otto ore lavorative e Î contratti collettivi di lavoro,
l'assistenza e la previdenza sociale, la « tecniciz- zazione » clel
parlamento e l’introduzione del divorzio. A diffondere le idee del nuovo
partito era destinato il perio- dico Roma futurista, fondato a Roma da
Marinetti, Mario Carli ed Emilio Settimelli, che vedeva la luce il 20
set- tembre 1918 e portava come sottotitolo « Giornale del Partito
politico futurista ». . « Roma futurista », racconta Marinetti nel
suo libro Futurismo e Fascismo (1924) « nacque un mese e mezzo
prima dell’armistizio, cioè il 20 settembre 1918, e porta- va nel suo
primo numero tre scritti importantissimi dei suoi tre direttori: Mario
Carli, Marinetti, Settimelli. Scri- veva Settimelli: “Il Futurismo che
fino ad oggi esplicò un programma specialmente artistico, si propone una
inte- grale azione politica per collaborare a risolvere gli urgen-
ti problemi nazionali. Coloro che ci accusarono di squili- brio dovranno
ricredersi. I] preconcetto di serietà pedan- tesca e quietista imposto
alla vecchia Italia dai profes- sori rammolliti, dai preti anti-italiani
e dagli affaristi gio- littiani, cercò di svalutare la nostra genialità
di giovani audaci e novatori. Ma la vera Italia non può rimanere e
non rimarrà neppure parzialmente nelle loro mani inca- paci. La guerra ha
rivelato le vere forze italiane. Sono for- ze giovani, violente, antitradizionali
e ultra-italiane” ». Il primo numero di Roma futurista (decadario,
poi settimanale) pubblicava il programma del giornale mede- simo ed
anche il manifesto di quel Partito Politico Futu- rista che si doveva ancora
fondare. Partito che, nell’inten- dimento di Settimelli, doveva essere «
più che altro una tendenza psicologica », una « fusione di realtà e di
scon- (inamento, di praticità e di lirismo », che avrebbe contri-
buito a creare un nuovo tipo d'italiano. Ma ecco ancora come si esprime
«la volontà» di fondazione del movimento: « Il Partito politico futurista
che noi fondiamo e che or- xanizzeremo dopo la guerra, sarà nettamente
distinto dal movimento artistico futurista. Questo continuerà nella
sua opera di svecchiamento e rafforzamento del genio creatore italiano...
Potranno aderire al partito politico futu- rista tutti gli Italiani,
uomini e donne d’ogni classe e di ogni età... Questo programma politico
segna la nascita del partito politico futurista invocato da tutti gli
italiani, che si battono oggi per una più giovane Italia, liberata
dal peso del passato... ». La firma è di Roma futurista, cioè, come si
presume, del direttore, o anzi di tutti i tre direttori.
Ecco alcuni punti del manifesto-programma del par- tito: « 4)
Trasformazione del Parlamento mediante un'equa partecipazione di
industriali, di agricoltori, di ingegneri e di commetcianti al Governo
del Paese. Il limite minimo di età per la deputazione sarà ridotfò a 22
anni. Un mi- nimo di deputati avvocati {sempre opportunisti) e un
mi- nimo di deputati professori (sempre retrogradi)... Aboli- zione
del Senato... Unica religione, l'Italia di domani... 10) ...Svalutazione
della pericolosa e aleatoria industria del forestiero... Difesa dei
consumatori... Svalutazione dei diplomi accademici e incoraggiamento con
premi della iniziativa commerciale e industriale... ». Le
adesioni all'iniziativa si fecero subito sentire da diverse parti: ci
furono vecchi futuristi come Auro d'Alba, Rosai e Rocca, reduci dalla
guerra come Bolzon e Bottai (che avrebbe poi rivestito un ruolo di primo
piano nel- l'ambito del nuovo regime fascista) e Massimo Bontempel-
li, secondo il quale il programma fondamentale del futu- rismo politico
sarebbe stato quello di sostituire «la gio- vinezza alla vecchiaia nelle
funzioni direttive ». E non sarebbe stato poco. Sarebbe stato uno dei
tentativi, anche se non del tutto riuscito, dell’insorgente
fascismo. Nel dicembre dello stesso anno 1918, quasi ad
esito naturale della formazione del nuovo partito, poco orga-
nizzato e poco «costituito », s'istituirono invece i « Fasci politici
futuristi », più attivi e vitali particolarmente in diverse città
dell'Italia centrale e settentrionale, la prima ossatura su cui si
sarebbero appoggiati e sarebbero cre- sciuti i muovi « Fasci di
combattimento », voluti e pro- mossi da Mussolini quattro mesi dopo. Nel
febbraio del '19 i Fasci futuristi erano già una ventina, tra quelli
di Roma (Balla, Carli, Bottai, d'Alba e Chiti), Milano (Mari- netti,
Buzzi, Somenzi e Bontempelli), Firenze (Settimel- li, Rosai, Marasco),
Perugia (Dottori), Genova (Depero), Torino (Azari), e poi ancora Bologna,
Palermo, Napoli, Fiume, Messina, Ferrara, Piacenza, Venezia, Taranto,
Mo- dena, Stradella, ecc. I futuristi avevano quindi accolto con
entusiasmo l'iniziativa e vi si erano immersi fino a determinare una
prima ossatura: l’organizzazione. E Mus- solini a sua volta aveva visto
di buon occhio e seguìto la formazione dei Fasci politici futuristi, sino
a « scopri re » in essi un punto d'appoggio per la sua campagna
combattentistica ed antisocialista che si concretizzerà nei suoi Fasci di
combattimento (quelli di Piazza San Sepol- cro). Mario
Carli, come condirettore di Rowza futurista e dietro spinta di Marinetti
stesso, caldeggiava da tempo, anche dalle colonne del suo nuovo
periodico, l’avvicen- damento e l'annessione degli arditi al partito
politico, di cui sul primo numero del giornale si pubblicava il
rivolu- zionario programma: era il 20 settembre 1918. Dieci
giorni dopo, il 30 settembre 1918, le proposte politiche si fanno più
tecniche, più « specializzate », più particolari. Volt firmerà un testo «
dinamico » per dichia- rare: « Sostituiremo il Parlamento con le
tappresentan- ze dei sindacati agricolo-industriali ed operai. La
rappre- sentenza sindacale sarà la base dello “Stato tecnico” futu-
rista ». Ma allora di quale rappresentanza sindacale si ttat- rerà e
quale sarà riconosciuta dallo Stato nella sua veste di personalità
giuridica? Sono tutti problemi che già Volt si pone e così, a suo modo, «
risolve », e continua: «To credo non si debba tener conto del numero
degli iscritti al sindacato, ma della importanza della funzione
economica che esso esercita nel Paese ». Ed ancora, prosegue ad in-
terrogatsi: « Quali saranno i limiti posti all'esercizio del potere
dell'assemblea eletta mediante la rappresentanza sindacale? La competenza
dell'assemblea dovrà essere li- mitata alle questioni prevalentemente
economiche, che so- no del resto le più importanti in politica. Le
questioni di famiglia, di politica estera, ecc. dovranno esser
risolte II! 'EUE vu SS it: _gLZffkfkzstllEaAaz:F:=+”sx«x:®(
'81‘daoiaaiA'.°’°à0‘@e ra —- in parte mediante il referendum
popolare diretto ed in parte attribuito alla competenza del potere
esecutivo ». Gli arditi venivano poi sciolti nel gennaio del
’19 dai loro reparti di ufficiali, sottufficiali e truppa, perché
considerati provocatori di disordini e di incidenti nella vita civile.
L'iniziativa era stata ovviamente criticata dai diretti interessati come
manovta socialista-giolittiana atta a disconoscere i loro meriti di
guerra. Ed anche Marinetti aveva appoggiato dalle colonne di Roma
futurista 1’« uni- ficazione » (ira futuristi ed arditi),
Alla fine di novembre del ’18 Mario Carli fondava, a conclusione di
questa « campagna », l’« Associazione fra gli Arditi d’Italia », che fu
un po’ l’altra faccia del Partito politico futurista. In breve,
l'associazione atrivò a racco- gliere circa diecimila iscritti, la
maggior parte, forse, degli ex «reparti militarizzati ». 7.
Futurismo e arditismo Ormai anche gli arditi, nonostante lo
scioglimento del- la loro organizzazione paramilitare, hanno una
consistenza civile ed in certo modo un loro peso politico. Tanto da
poter fondare un loro organo di stampa che prende a uscire a Milano
dall’11 di maggio 1919: il settimanale L’Ardito, edito dall’Associazione
nazionale, e condiretto da Ferruccio Vecchi e, non a caso, da Mario
Carli. Nello stesso periodo altre furono le voci di stampa allineate
su analoghe posizioni: Armando Mazza, per esempio, fondò a Milano I
remici d'Italia, settimanale « antibolscevico »; il più importante di
questi giornali « minori » fu però L’Assalto, pubblicato a Bologna come
voce dell’arditismo, e diretto da Nanni Leone Castelli. Marinetti ed i
futuri- sti non potevano a questo punto non vedere negli arditi dei
nuovi futuristi politici, così come Mussolini non po- teva non vedere in
loro dei potenziali simpatizzanti e allea- ti. La pronta adesione di
molti di essi ai Fasci di combat- timento lo dimostrerà
definitivamente. Arditismo e futurismo furono dunque componenti
es- dd senziali del nuovo insorgente fascismo. Almeno
dal punto di vista ideologico, o formativo del suo nascere.
Mussoli- ni aveva, per così dire, « abiuraro » il suo vecchio
socia- lismo e aveva bisogno di una forza nuova, una forza idea- le
o di pensiero che gli permettesse il suo «slancio in avanti ». Il futurismo
gliela porgeva già bell'e pronta, o quasi, mentre il precedente
socialismo gli alimentava certi spunti sociali, in parte, almeno, già
presenti nel futurismo. L'arditismo, ancora, gli comunicava una spinta,
una forza di aggressività e di « assalto », che forse gli sarebbe
man- cata, o non sarebbe stata, senza di esso, tanto irruente.
L'11 gennaio il futuro « duce » partecipava a Milano ad una «
serata futurista » contro Bissolati, alla Scala, con- tribuendo in parte
al suo « siluramento ». C'era anche Marinetti e, forse, non fu un caso, e
si trattò di un incon- tro importante. II 23 marzo dello
stesso anno in una riunione milanese a Piazza San Sepolcro, presieduta da
Ferruccio Vecchi, Ma- rinetti tenne un discorso alla presenza di Dessy e
di altri arditi e futuristi, per la fondazione dei Fasci di
combatti- mento, decisa da Mussolini. Questi propose come pro-
gramma ai nuovi raggruppamenti l'abolizione del Senato, il suffragio universale,
il sindacalismo nazionale, ricona- scendo «le rivendicazioni d'ordine
materiale e morale » agli ex-combattenti e rimproverando al partito
socialista di essere stato « nettamente reazionario, assolutamente
conservatore », col negargli così qualsiasi possibilità di « mettersi
alla testa di un'azione di rinnovamento e di ricostruzione ». La
conclusione del discorso, antimassima- lista ed antitotalitaria, era in
fondo quanto mai « futu- rista ». Così terminava il Mussolini: «
Noi conosciamo soltanto la dittatura della volontà e dell’intelligenza ».
Al termine della riunione si nominava un comitato centrale dei
Fasci di combattimento di cui facevano parte anche Vecchi e
Marinetti. Il 1° di aprile Marinetti venne nominato insieme a
Mussolini membro della commissione di lavoro nazionale per Ia propaganda
e la stampa. Ancora in aprile a Milano nuclei di futuristi, arditi e «
principianti » fascisti assali- tu rono la sede del
quotidiano socialista Avanti! Il giorno dopo i « fattacci » del 15
aprile, visto il mancato inter vento delle forze dell’ordine nel prender
provvedimenti contro i promotori dell'azione, Vecchi e Marinetti
emise- ro un « proclama agli italiani » a nome dei futuristi, degli
arditi e dei fasci: « Nella giornata del 15 aprile avevamo assolutamente
deciso, con Mussolini, di non fare alcuna controdimostrazione perché
prevedevamo il conflitto e ab- biamo orrore di versare sangue italiano.
La nostra con- trodimostrazione si formò, spontanea, per invincibile
vo- lontà popolare. Fummo costretti a reagire contro la pro-
vocazione premeditata degli imboscati. Col nostro inter- vento intendiamo
di affermare il diritto assoluto dei quat- tro milioni di combattenti
vittoriosi, che soli devono diri- gere e dirigeranno ad ogni costo la
nuova Italia ». La « controdimostrazione » si riferisce ad una
manifestazione socialista all'Arena, cui seguì la « battaglia di Via
Mer- canti », dove furono chiari, secondo i reduci, alcuni mo-
menti di provocazione nei confronti del combattentismo {da qui, l'assalto
all’Avanti!). Sempre nell'aprile del *19 esce a Milano per i tipi
del- l’Editore Facchi un volume politico di Marinetti, forse il suo
più importante: si tratta di Democrazia futurista, che porta come
sottotitolo « dinamismo politico ». E' una rac- colta di articoli apparsi
su Roma futurista e che appari ranno sul nuovo giornale di Vecchi,
L’Ardito, generoso sempre di spazio per Marinetti. Questi definisce il
suo « concetto democratico » in un altro articolo edito in apri- le
sempre dall’Ardito: « Vogliamo dunque creare una vera democrazia
cosciente e audace che sia la valutazione e l'esaltazione del numero
poiché avrà il maggior numero di individui geniali. L'Italia rappresenta
nel mondo una specie di minoranza genialissima tutta costituita di
indivi- dui superiori alla media umana per forza creatrice, inno-
vatrice, improvvisatrice. Questa democrazia entrerà natu- ralmente in
competizione con la maggioranza formata dal- le altre Nazioni, per le
quali il numero significa invece massa più o meno cieca, cioè democrazia
incosciente ». Certo, si tratta di una nuova cancezione di
democrazia, 26 che con quella tradizionale, anche
attuale, non ha niente a che vedere. E' una lotta di democtazie, o una
demo- crazia di lotta, il che alla fin fine non è poi molto
diverso. E’ una vera e propria concezione dinamica. Che, tanto per
tener conto del suo opposto si mette a confronto, a dire di Marinetti,
così: « Arturo Labriola definisce la de- mocrazia "come sentimento
dei diritti concreti della mas- sa sullo Stato e sulla Economia“... Noi
intendiamo la de- mocrazia italiana come massa di individui geniali,
divenu- ta petciò facilmente cosciente del suo diritto e natural
mente plasmatrice del suo divenire statale. La sua forza è fatta di
questo diritto acquisito, moltiplicata dalla sua quantità valore, meno il
peso delle cellule morte (tradi. zione), meno il peso delle cellule
malate (incoscienti, anal- fabeti). La democtazia italiana è per noi un
corpo umano che bisogna liberare, scatenare, alleggerire per
accelerar- ne la velocità e centuplicarne il rendimento... ». Come
potrebbe essere più futurista e avanzata questa nuova con- cezione
democratica « progressiva »? Che così, giustamen- te, si conclude e si
definisce: «La democrazia futurista è ormai pronta ad agire, poiché sente
vibrare tutte le sue cellule vive ». E’ il punto d'arrivo,
logico e conseguenziale, di una concezione « d’assalto ». E per la
definizione ulteriore del- le posizioni e dei concetti, il 27 aprile 1919
ancora, sulle pagine di Roma futurista, un testo di Mario Carli
(Non chiamatela reazione) afferma: «Non è per l’ordine, non è in
difesa dell’autorità costituita o della borghesia vile, non è in appoggio
alla così detta “benemerita” che noi ci siamo battuti a Milano, e ci
batteremo altrove, se se ne presenterà l’occasione. Ma è per un'idea, per
un princi- pio: è per l’idea di patria, è per il principio di
progresso, che noi crediamo realizzabile con mezzi e con metodi op-
posti a muelli dei rivoluzionari russi ». Ciò nonostante Gramsci e
Lunaciarsky, al TI Congres- so dell'Internazionale comunista, difendono i
futuristi ita- liani e li considerano veri e propri « rivoluzionari ».
E Lenin medesimo dità a Giacinto Menotti Serrati, che, co-
DI A me direttore dell’Avanti!, si era
recato a Mosca a respi- rare il nuovo comunismo: «In Italia ci sono
soltanto tre uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini,
D'Annunzio e Marinetti ». Mentre a proposito di questo ultimo, cioè di
Marinetti e del suo movimento futurista, Gramsci così annotava in un suo
articolo pubblicato su Ordine nuovo nel 1921: « Distruggere, in questo
campo, non ha lo stesso significato che nel campo economico...
significa non avere paura della vanità e delle audacie, non avere paura
dei mostri, non credere che il mondo caschi se un operaio fa errori di
grammatica, se una poesia zoppica, se un quadro assomiglia a un
cartellone... I futu- risti hanno svolto questo compito nel campo della
cultura borghese... hanno avuto cioè una concezione nettamente
rivoluzionaria ». E continuava a migliore definizione del concetto: «
...Quando i socialisti si sarebbero spaventati al pensiero che bisognava
spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica, i
futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari:
in que- sto campo, come opera creativa, è probabile che la classe
operaia non riuscirà per molto tempo a far di più di quan- to hanno fatto
i futuristi! » L'11 luglio del '19 Marinetti otteneva un biglietto
d'’in- vito alla Tribuna di Montecitorio. Andò con Ferruccio
Vecchi, gran capitano, ad aspettare un momento opportu- no per l’«
intervento ». L'occasione fu data alla fine del discorso di un deputato
socialista (Lucci). Martinetti si sporse e, rivolto a Nitti, gridò: « A
nome dei Fasci di Combattimento, dei futuristi, e degli intellettuali,
prote- sto per la vostra politica e vi urlo: Abbasso Nitti! Morte
al Giolittismo! Dichiaro che non può sussistere il Mini- stero dei
sabotatori della Vittoria, degli schiaffeggiatori de- gli ufficiali, un
ministero che si difende coi carabinieri e coi poliziotti!..
Vergognatevi! La gioventù italiana, per bocca mia, vi urla: Fate schifo!
Fate schifo! ». Vecchi an- cora inveisce a voce alta contro Nitti, mentre
Marinetti lotta con usceri e carabinieri, come descrive egli stesso
nel suo Futurismo e Fascismo di cinque anni dopo. L’indoma- ni
avrebbe ricevuto da D'Annunzio la presente missiva: 2R
« Mio caro Marinetti, bravo per il grido di ieri, coraggioso come
ogni vostro atto. Vorrei vedervi. Se potete, venite. Il vostro Gabriele
D'Annunzio ». In settembre Mario Carli, con Mino Somenzi ed
altri futuristi, partecipano con D'Annunzio alla presa di Fiume (11
del mese): vi si recheranno anche Vecchi e Marinetti a tenere discorsi ai
legionari. Anzi, i due personaggi sembra fossero considerati, a dire di
De Felice « facinorosi sovver- sivi » o addirittura in qualche caso «
bolscevici », per il loro atteggiamento intransigente ed estremistico.°
Tanto che si era detto fossero stati espulsi da Fiume, mentre erano
stati solo richiamati da Paselia, segretario politico dei Fasci, che
aveva bisogno di loro per l'organizzazione, forse, del primo congresso
fascista. All'inizio di ottobre, infatti, Marinetti partecipa a Firenze
al I Congresso dei Fasci di Combattimento dove, dopo l'intervento di
Mus- soltni, parla a futuristi, arditi e fascisti sostenendo la ne-
cessità dello « svaticanamento »: « Noi dobbiamo doman- dare. volere,
imporre », dice fra l’altro il capo del futu- rismo, « l’espulsione del
papato, o meglio ancora, per usa- re un'espressione più precisa, lo
“svaticanamento” ». Nel novembre le elezioni generali vengono
condotte a Milano all'insegna del « blocco fascista » con lista
autono- ma di Mussolini, Marinetti (secondo), Toscanini, Podrec- ca
e Bolzon. Comizi elettorali si tennero a Milano in Piaz- za Belgioioso
(10 novembre) e in Piazza S. Alessandro e a Monza, dove parlarono sempre
« accoppiati » Marinetti e Mussolini. Dopo il 16 novembre, giorno delle
votazioni, in seguito ad incidenti coi socialisti, Marinetti, Vecchi
e Mussolini furono atrestati sotto l'accusa di attentato alla
sicurezza dello Stato ed organizzazione di bande armate, come afferma
ancora il De Felice. Breton e Aragon, direttori della rivista
Littersture, or- ganizzano a Parisi una manifestazione di solidarietà a
Ma- tinetti: sono i momenti di affermazione del dadaismo e del
muoversi, lento, verso il surrealismo. Renzo De Felice, Mussolini
i! Rivoluzionario, Gli incontri e gli scontri, oltre che gli incidenti,
tra socialisti e futuristi non etano cosa nuova. E la « battaglia
di Via Mercanti » del 15 aprile fu solamente il punto di arrivo di una
vecchia e lunga polemica. Già negli anni prebellici il futurismo si
era scontrato col socialismo neutralista (Turati), che non poteva
andar d’accordo con un movimento intrinsecamente interventista.
Lacerba, per esempio, entrava nella polemica affiancandosi al futurismo e
pubblicando, il 15 ottobre del ’13, quel famoso Programma politico
futurista, esaminato in pre- cedenza. La postilla di Giovanni Papini non
fa altro che convalidare, sia pure con riserva, la sostanza del
pro- gramma. A proposito di socialismo interviene poi nel '14
sempre sv Lacerba, Ardengo Soffici, affermando nel suo articolo Per
la guerra che « l’idea che i socialisti si fanno del mon- do è questa: un
capitalista borghese e sfruttatore alle prese con un magro popolano
sfruttato. La cultura, le scienze, le arti, la bellezza, i sentimenti,
gli amori, le passioni — tutto ciò insomma che fa la vita così
terribilmente com- plessa, così colorita, così varia, multiforme,
incoetcibile — non è nulla per loro. Tutto è grigio, e l'universo intero
una specie di ragnatela squallida senza confini né orizzonti,
eterna, in mezzo alla quale un ragno cetca di succhiare una mosca alla
quale Karl Marx ha insegnato che non deve lasciarsi succhiare ». Sicché,
conclude Soffici, i socia- listi nemmeno capiscono che si combatte una
guerra per difendere anche, magari, le loro stesse idee, o il mondo
dove l’idea socialista è nata e cresciuta, contro i nemici medesimi del
socialismo e dei socialisti: i tedeschi. Ma questo non ha nessuna
importanza, « giacché, ed eccoci alla mentalità di codesto partito, ogni
buon socialista non vede nella guerra, qualunque essa sia, se non una
lotta di capitalisti e banchieri contro capitalisti e banchieri i
quali si servono del proletariato per liquidare le loro partite ».
La polemica continua com'è logico, dopo la guerra. Il primo ad
accenderla è Mario Carli su Roma futurista con un articolo del 13 luglio
1919, che ha un titolo signi- ficativo: Partiti d'avanguardia: se
tentassimo di collabora- re? Laddove si considera « partito d'avanguardia
», ovvia- mente, anche quello socialista, che tanta parte ha
esercita- to nella storia d'Italia. « Ho esaminato seriamente
l'ipo- tesi », esordisce Carli, « di una collaborazione fra noi
{futu- risti, arditi, fascisti, combattenti, ecc.) e i Partiti
cosiddetti d'avanguardia: socialisti ufficiali, riformisti, sindacalisti,
re- pubblicani... Il terreno comune c’è... E' la lotta contro le
attuali classi dirigenti, grette, incapaci e disoneste, si chia. mino
borghesia e plutoctazia o pescecanismo o parlamen.- tarismo... sono una
casta che deve cadere e cadrà », E cad- de infatti, come sappiamo, però
non certo per merito di quei socialisti con cui Carli stava cercando di
trovate un punto di contatto, sia pur rendendosi conto che la collabo-
razione sarebbe stata difficile per non dire impossibile o, peggio,
inutile. Ciò nonostante Giuseppe Bottai farà eco alla sua
tesi con un paio di lunghi articoli: uno del 9 novembre e l'al. tro
del 21 dicembre 1919 entrambi col titolo Futurismo contro socialismo, il
cui succo riesce già evidente. « Noi siamo contro il socialismo »,
afferma Bottai, « perché astra- zione filosofica senza possibilità di
contatti vitali. Simbolo che si agifa nel mondo da secoli, e di cui mai
si è trovato, e mai si troverà la formula di traduzione in positivi
sviluppi di masse sociali... Noi siamo contro l’idea socialista
perché sosteniamo la necessità della diseguaglianza... Siamo con-
tro il socialismo perché idea generatrice di vigliaccheria ». Ii 14
dicembre sempre del 1919, tuttavia, certo Man- narese, avversario,
pubblica un articolo per espotre l’impos- sibile intesa fra le due
avanguardie, o l'impossibilità di ac- cordo in unione d’intenti e di
lavoro. Il Mannarese sotto- linea l'identità di socialismo e masse
proletarie con loro relative e legittime aspirazioni. Romza futurista non
gli ne. sa spazio, ospitandolo apertamente e liberamente. Ci
pensa Bottai a rispondere e confutare Mannarese col suo secondo articolo
preciso ed aggressivo. Il titolo: Insisto: futurismo contro socialismo;
la data, 21 dicembre dello stesso anno. La posizione polemica si
specifica e si SAI puntualizza: « Prima
caratteristica del futurismo è questa, libera, sciolta sfrenata
spregiudicatezza: e se il salumaio ci crede oggi difensore dei suoi
salami, delle sue salsicce, poco male! ciò potrà darci la prova della sua
minchioneria, non già infirmare l'esattezza del grido “futurismo contro
socialismo” ». L’intonazione antibotghese è evidente e forse si
spo- sa, per così dire, con quella antisocialista, essendo l'una
complementare all'altra, e viceversa. Non si può essere antisocialisti
senza essere antiborghesi, e viceversa non si può essere antiborghesi
senza essere antisocialisti, sembra quasi che dica Giuseppe Bottai, e
l’invettiva contro il sa- lumaio non ha nient'altro che questo
sapote... L'equazione « socialismo-proletariato », sostenuta
dal Mannarese, è vacua e falsa, dice Bottai, e bisogna distin-
guere, perché va da sé, afferma, che «il socialismo è uno dei tanti
sistemi, i quali, da che il mondo è mondo, si accaniscono sulla disparità
di condizioni delle classi ». Lo esempio dato poi, del fenomeno
dell’arditismo, è quanto meno sufficiente e significativo a smentire una
tesi tanto inutile. Infatti, « in parecchi mesi di convivenza con
le fiamme nere mi son trovato attorno solo contadini, ope- rai,
lavoratori-proletari! »; e gli arditi non erano certo so- cialisti, anzi.
Tuttavia l’autore è ben consapevole della « portata economica » del
socialismo e nello stesso tempo delle esigenze dei ceti umili o dei
proletari, e degli scompen- si derivanti da queste esigenze anche per la
loro « cattura » da parte di un socialismo ignorante e incapace. L'individuazione
dell'errore di dimensione del sociali smo è evidente, nonostante i
successi già conseguiti. Tanto che, concludeva il Botrai, nel cogliere le
possibilità della formazione di un letale assolutismo, con la
postulazione del- la differenziazione futuristica da esso, intesa nella
diffusione di programmi e di rimedi economici: « Noi siamo per la
elevazione del popolo, e non per l'assolutismo di esso ». Dove « il nai
», è evidente, si riferisce ai futuristi ed al loro movimento.
« Tirando le somme », alla fine, si postula petsino un programma, quasi,
nei rapporti col socialismo, di cui i 32 punti più
interessanti sono il secondo ed il quarto, cioè l'ultimo. Il secondo
postilla una « possibile comunanza di vedute economiche: il che non implica
nessuna fusione »; l'ultimo sostiene e ribadisce, sottolineandolo tutto
in maiu- scolo: « CONTRO IL SOCIALISMO NON VUOLE DI- RE CONTRO IL
PROLETARIATO ». La miopia del socialismo nella considerazione dei
futu- risti appare evidente e inequivocabile. E si parla del so-
cialismo dei primi del secolo, quello storicamente più « ca- pace » di
quanto non lo sia l'attuale, e consono ad una realtà « epocale » ad esso,
tutto sommato, più favorevole. L’esito del socialismo italiano, confluito
in massima parte nel fascismo, non fa che confermare l'opinione o
l’ipotesi dei futuristi, che avevano saputo vedere la sua « minima
portata » da inserire, eventualmente, nel panorama di una prospettiva ben
più vasta e diversificata. A Fiume Gabriele D'Annunzio dà alla luce la
sua « Carta del Carnaro ». Siamo agli inizi del ’20 e la nuova
proclamazione statutaria sarà base fondamentale per la suc- cessiva
politica sindacale fascista (si veda la Carta del La- voro ad esempio).
Sempre a Fiume Mario Carli dirige il nuovo foglio di vita istriama La
Testa di Ferro, sulle cui colonne (la seconda, per l'esattezza, della
prima pagina) ;l 12 settembre esce un riquadro firmato da Marinetti.
Che così commenta la Prima vittoria della quindicesima batta- glia,
come dice il titolo della pagina: « Nell’applaudite oggi D'Annunzio,
liberatore di Fiume, penso che questo mera- viglioso genio riassuntivo
della nostra razza, uscito dalle alcove del Pizcere... dopo aver
esplorato le profondità del la lussuria... ha logicamente... strappato
Fiume all’imperia- lismo europeo e americano, ed ora deve, seguendo la
linea della sua fortuna inesauribile, logicamente, con genio sem-
pre più rivoluzionario e futurista, liberare Roma dal Pa- pato e dalla
Monarchia, e creare la grande Repubblica Ita- liana ». Siamo di fronte
aul'« ittedentismo integrale » che i futnristi sostenevano contro l’«
irredentismo mutilato » di Bissolati, favorevole al Patto di Londra. Di
cui il movimento per contro chiedeva un’« estensione », oltre che una
modi- ficazione del Patto di Roma in modo che si potesse favo- rire
l’inserimento italiano sulla costa dalmata e garantire all'Italia
l'egemonia sull’Adriatico. Il Trattato di Rapallo, poco dopo, dichiarerà
Fiume «città libera » ed assegnerà Zara all'Italia. 11 24 e
25 maggio dello stesso anno si tiene a Milano il IX Congresso dei Fasci
di Combattimento, che segna una svolta del movimento o anche — si
potrebbe dire — una sua conversione in senso « conservatore ». Si assiste
ad un parziale ma consistente ricambio del nucleo dirigente fa-
scista. Solo 10 membri su 19 del comitato centrale eletto a Fitenze
vengono riconfermati: tra essi Marinetti e Ferruc- cio Vecchi.
Mussolini sostiene un nuovo indirizzo: l'accordo fra proletariato
e borghesia produttiva, tipico di quel fascismo « provinciale » che stava
prendendo il sopravvento. Mari- netti reagisce confermando la sua
intransigenza antimonar- chica ed antipontificia. I Fasci di
Combattimento, come riporta ancora il De Felice, avrebbero dovuto, secondo
Marinetti, iniziare « una politica decisa in difesa delle ri-
vendicazioni proletarie, appoggiando e scioperi e agitazio- ni che siano
fondati o formulati su un principio di giu- stizia ». Mussolini aveva
cercato di replicare che i Fasci « hanno anzi aiutato gli scioperi che
avevano un chiaro contenuto economico », ma aveva sottolineato di non
po- ter accettare la pregiudiziale antimonarchica e: « Quanto al
Papato, bisogna intendersi: il Vaticano rappresenta 400 milioni di uomini
sparsi... Io sono, oggi, completamente al di fuori di ogni religione, ma
i problemi politici sono problemi politici. Racconta lo stesso capo
del futurismo nel suo volume Futurismo e Fascismo pubbli cato
quattro anni dopo, « Marinetti e alcuni capi futuri- sti escono dai Fasci
di Combattimento, non avendo potuto imporre alla maggioranza fascista la loro
tendenza antimonarchica e anticlericale ». Gli altri «capi futuristi»
sono Mario Carli e Neri Nannetti, appena eletto a Milano come membro del
comitato centrale per Firenze. Ferruccio Vecchi si allontanò dai Fasci
poco dopo, anche per la crisi interna che stava attanagliando l’«
Associa- zione fra gli Arditi d’Italia ». La spaccatura
risulta evidente all'uscita dell’opuscalo Al di là del comunismo,
pubblicato in agosto da Marinetti, per giustificazione alle sue
dimissioni ed in risposta allo svuotamento della portata rivoluzionaria,
o futurista, dei Fasci di Combattimento. Al di lè del Comunismo
sarà la sua seconda opeta politica (dopo Democrazia futurista, del
’19), quella più ricca di spunti e di idee: quella, in- somma, sua
fondamentale. L'opera è dedicata sul colophox « Ai futuristi
francesi, inglesi, spagnoli, russi, ungheresi, rumeni, giapponesi
»: it che esprime già tutto un programma. Fra le sue tesi, dd
esempio queste: « Noi futuristi abbiamo stroncato tut- te le ideologie
imponendo dovunque la nostra nuova con- cezione della vita, le nostre
formule d’igiene spirituale, il nostto dinamismo estetico, sociale,
espressione sincera dei nostri temperamenti d’italiani creatori e
rivoluzionari... L'umanità cammina verso l'individualismo anarchico,
me- ta e sogno di ogni spirito forte. Il Comunismo invece è una
vecchia formula mediocrista, che la stanchezza e la paura della guerra
riverniciano oggi e trasformano in mo- da spirituale... La storia, la
vita e la terra appartengono agli improvvisatori. Odiamo la caserma
militarista quanto la caserma comunista. Il genio anarchico deride e
spacca il catcere comunista ». Fu questo passo a provocare
la reazione dell’Ardito? Che ben presto si fece sentire, a più riprese,
per deni- grare il volumetto marinettiano, mentre al contrario La
Testa di Ferro ad opera di un gruppo di futuristi fiumani (e di Mario
Carli, ardito a sua volta) elogiava pubblica- mente ed ardentemente il
nuovo testo. Bottai, già futu- tista, interverrà ben presto (sul n. 35
dell’Ardito) con una «lettera aperta a F.T. Marinetti » per mettere in
ri- salto la sua posizione critica all’atteggiamento anarchicheg-
piante dello scritto, inconciliabile con qualunque espressione di potere, sia
pur di tipo « tecnico », come quello a suo tempo proposto dallo stesso «
padre » del futuri smo. L'attacco di Bottai è senz'altro il più
autorevole e i] più significativo. L'ideologia del
fascismo-regime (da parte di un mini stro in pectore come Bottai)
cominciava già a farsi sen- tire. E si chiudeva, ovviamente, almeno sul
terreno sto- rico della prassi politica, l'ideologia del
fascismo-movi- mento, quello dell’intransigenza e del fervore mistico,
del libertarismo e dell'avanguardia, dell'anarchismo e dell’an-
tiautoritarismo verso la monarchia ed il papato. Il pos- sibilismo
politico e il realismo tattico per la conquista del potere subentrano e
il fascismo-regime si muove or- mai, anche se lentamente, sotto la guida
del suo abile e « compromesso condottiero ». A Marinetti non
restano che le dimissioni, e dopo il suo « canto del cigno » politico (Al
di là del comunismo), il ritorno alla letteratura. 10. La
dimensione futurista Nel 1921 esce a Piacenza per i tipi
dell'Editore Porta il volume di Francesco Flora Dal Romanticismo al
Fu- turismo. Il giudizio più interessante è senz’altro quello di
Luigi Russo, che così si esprime al proposito: «Il Flora, mentre vi grida
il superamento sillogistico dell’ar- te decadente, la guarigione del suo
spirito dal generale futurismo, passa poi egli stesso a fare troppo
rumorosa e compiaciuta mescolanza con quell'arte e con quel futu-
rismo ». Pirandello pubblica nello stesso anno I sei per- sonaggi in
cerca d'autore. Marinetti sostiene che sono ispirati al futurismo e al
suo spirito creatore. Il con- gresso socialista di Livorno si spacca, e
dalla scissione si forma il neonato partito comunista. A Catania
vede la luce la nuova rivista futurista Heschisch. Nel 1922
il fascismo salirà definitivamente al potete. Marinetti fonda una nuova
rivista, I{ Futurismo, che di- rige in prima persona. A Berlino sarà poi
tradotta in edizione tedesca (Der Futurismus), a cura di Ruggero Va-
sari. Bragaglia fonda a Roma il Teatro Sperimentale de- gli Indipendenti,
primo teatro stabile italiano, da Ivi di retto fino al ’36: metterà in
scena duecento opere d'’avan- guardia fra quelle di autori italiani e
stranieri. A_ Monza si crea l’Istituto Superiore delle Arti decorative,
trasfor- mato poi in Biennale e dal ’30 definitivamente in Trien-
nale, con sede nel palazzo di Milano (al parco, arch. Mu- zio).
Mussolini, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre, forma il governo con
radicali e liberali, e istituisce il Gran Consiglio del Fascismo.
Giuseppe Prezzolini, come sempre lucidamente, poco prima del «
grande ritorno » del futurismo al fascismo, metteva ancora una volta in
risalto «come possa l'arte futurista andare d'accordo con il Fascismo
italiano, non si vede. C'è un equivoco, nato da una vicinanza di
per. sone, da un’accidentalità d’incontri, da un ribollire di
forze, che ha portato Marinetti accanto a Mussolini. Ciò andava bene
durante il periodo della rivoluzione. Ciò stona in un periodo di governo.
Il Fascismo italiano non può accettare il programma distruttivo del
Futuri smo, anzi, deve, per la sua logica italiana, restaurare |
valori che contrastano al Futurismo. La disciplina e la gerarchia
politica sono gerarchia e disciplina anche lette- raria. Le parole vanno
all’aria quando vanno all'aria le gerarchie politiche. Il Fascismo, se
vuole veramente vin- cere la sua battaglia, deve ormai considerare come
as- sotbito il Futurismo in quello che il Futurismo poteva avere di
eccitante, e di reprimerlo in tutto quello che esso consetva ancora di
rivoluzionario, di anticlassico, di indisciplinato dal punto di vista
dell’arte » (da I/ Secolo, 3 luglio 1923). Nel marzo dello
stesso 1923 s'inaugura alla Galleria Pesaro di Milano una mostra dell'«
Arte del Novecento ». Si trattava di un gruppo formatosi alla fine del
’22 in- torno alla medesima galleria milanese, che affiancava la
nuova tendenza del regime in senso conservatote, già san- cita dal 2°
Congresso Fascista (Milano, maggio 1920). L'animatrice del nuovo
movimento « Arte del Novecen- 37 to» era Margherita
Sarfatti. Il gruppo fu accolto, nean- che due anni dopo dalla sua
costituzione, alla Biennale veneziana del ’24, e si affermò
definitivamente attraverso due ulteriori mostre: una del '26 al Palazzo
della Perma- nente a Milano, e l'altra del ’29 alla Galleria
Pesaro, sempre a Milano. I futuristi invece, rimasti esterni al
regime e aderenti ancora, in fondo, all'avanguardia, fu- rono ammessi alla
Biennale solo nel ’26, e fuori dal pa- diglione italiano additittura. All'inaugurazione
della Biennale, Marinetti si rivolge al Re, a Venezia in visita
ufficiale, e gli de- nuncia gridando «l’incapacità senile e antitaliana
della Direzione, che massacra i giovani artisti italiani ». L’in-
tervento di Marinetti suscita scandalo. Tuttavia nello stes- so anno 1924
si verifica anche un cetto riavvicinamen- to tra futurismo e fascismo, e
forse anche tra Marinetti e Mussolini. L’occasione viene data dall’edizione
della terza ed ultima opera politica del capo futurista, che, co-
me già detto, s'intitola Futurismo e Fascismo, ed esce a Foligno per i
tipi dell'Editore Campitelli. Ancora nello stesso anno escono
diverse altre signifi- cative testate, futuriste ma anche fasciste. Mino
Maccari fonda I! Selvaggio (organo del fascismo strapaesano) ed
Enzo Benedetto a Reggio Calabria pubblica il foglio fu- turista
Originalità, da lui stesso direrto: compaiono fra i suoi collaboratori
Marinetti, Jannelli, Nicastro e Sanzin, Quest'ultimo scrive un saggio su
Marinetti e il futurismo. Gerardo Dottori, altra collaboratore di
Originalità, crea le prime aeropitture, che si affermeranno in seguito
come espressioni del « secondo futurismo ». A Milano si
tiene il Primo congresso futurista e So- menzi vi organizza le onoranze
nazionali a Marinetti. Siamo al 23 di novembre 1924, ore 10, al Teatro
Dal Verme di Milano. Mino Somenzi legge il telegramma di Mussolini:
« Considerami presente adunata futurista che sintetizza 20 anni di grandi
battaglie artistiche politiche spesso consacrate col sangue. Congresso
deve essere punto di partenza, non punto di arrivo. Credi mia cordiale
ami- cizia e ammirazione ». Alle 16 parla Marinetti, che conclude i
lavori del congresso, così rivolgendosi all’indirizzo del « duce »: «I
futuristi italiani, primi fra i primi in- terventisti nelle piazze e sui
campi di battaglia, e primi fra i primi diciannovisti più che mai devoti
alle idee ed all'arte, lontani dal politicantismo, dicono al loro
vecchio compagno Benito Mussolini: Con un gesto di forza ormai
indispensabile liberati dal parlamento. Restituisci al Fa- scismo ed
all'Italia Ia meravigliosa anima diciannovista, disinteressata, ardita,
antisocialista, anticlericale, antimo. narchica. Concedi alla Monarchia
soltanto la sua provvi- sotia funzione unitaria, rifiutale quella di
soffcare o mor. finizzare la più grande, la più geniale e la più giusta
Italia di domani. Non imitare l’inimitabile Giolitti, imita il Grande
Mussolini del diciannove. Pensa sempre all’Italia immortale ed al Carso
divino. Schiaccia l'opposizione cle. ricale antitaliana di Don Sturzo,
l'opposizione socialista antitaliana di Turati e l'opposizione
mediocrista di A’ bertini con una ferrea dinamica aristocrazia di
pensiero armato che soppianti l’attuale demagogia d’armi senza
pensiero. Tu puoi e devi fare ciò, noi dobbiamo volerlo e lo vogliamo ».
Lo vollero, ma non lo realizzarono. La volontà può essere bella, ardita,
ispira ai più alti sensi di giustizia, anche se non sempre la
realizzazione le tiene dietro. Come in questo caso. Mussolini
telegrafa ancora il 1° marzo del ’25 ad un banchetto « romano » offerto
da Carli e Settimelli a Ma: rinetti: « Sono dolente di non poter
intervenire al ban: chetto ofterto a F.T. Marinetti. Ma desidero che vi
giun- ga la mia fervida adesione che non è espressione formale ma
vivo segno di grandissima simpatia per l’infaticabile e geniale assertore
di Italianità, per il poeta innovatore che mi ha dato la sensazione
dell'oceano e della macchi- na, per il mio caro vecchio amico delle prime
battaglie fasciste, per il saldato intrepido che ha offerto alla Pa
tria una passione indomita consacrata dal sangue ». Ma. rinetti si era
già trasferito a Roma con Benedetta. La capitale diveniva così anche
centro del futurismo. In que. sta stessa occasione Marinetti dichiarava,
un'altra volta inascoltato: « Vi sono in Italia forze che osteggiano
la nostra idea imperiale, combattiamole, non dimenticando però fra
queste la più segreta e la più antitaliana: il Vaticano! ».
Un discorso di Mussolini alla Camera (3 gennaio 1925) dà inizio al
vero fascismo-regime. A Tortino si tiene a Palazzo Madama un'esposizione
nazionale futurista. La tendenza al riavvicinamento ira i due movimenti è
già indicata nella dedica di Futurismo e Fascismo: « Al mio caro e
grande amico Benito Mussolini ». Il che dimostra, in fondo, una certa
volontà di non troncare i contatti: ma anche gli scritti raccolti, gli
articoli e le tesi sostenute sono di tipo più che altro conciliativo.
Mussolini vi è definito « meraviglioso temperamento futurista »: e
non risuoni però ad adulazione, perché il tentativo di recu- pero
del futurismo in senso artistico e letterario (o cul turale in senso
lato) è evidente, nonostante l'occasionale « dimensione » del movimento
nell'attività e nell'impegno politico. Non senza motivo, il volume prende
inizio con queste parole: «Il Futurismo è un grande movimento
antiflosofico e anticulturale di idee, intuiti, istinti, pu- gni... ». E
subito dopo: « Fra le tante definizioni io predi- ligo quella data dai
teosofi: “I futuristi sono i mistici dell’azione”. Infatti i futuristi
hanno combattuto e com- battono il passatismo... ». Il nuovo regime e la
portata storica di realizzazione di quello che si considera il
patri- monio del futurismo è così giudicato: « Vittorio Ve- neto e
l'avvento del Fascismo al potere costituirono la realizzazione del
programma minimo futurista ». Dove si dimostra in fondo la connessione
inscindibile tra futuri. smo e fascismo, ma nello stesso tempo il
distacco, in questa realizzazione « minimale »; comunque la
mancanza di coincidenza totale delle entità ideali dei due blocchi.
« Questo programma minimo », specifica ancora Ma- rinetti, «
propugnava l'orgoglio italiano... la distruzione dell'impero
austro-ungarico, l’eroismo quotidiano, l'amore del pericolo... ». Ma,
alla fine, quello che più conta è che «il Futurismo italiano, tipicamente
patriottico, che ha generato innumerevoli futurismi esteri, non ha
nulla a che fare coi loro atteggiamenti politici, come
quello bolscevico del Futurismo russo, divenuto arte di Stato ». Il
futurismo italiano fu sempre italiano, non mai italiano di Stato.
« Il futurismo », afferma ancora il nostro, «è un mo- vimento
artistico e ideologico. Interviene nelle lotte po- litiche soltanto nelle
ore di grave pericolo per la Nazio- ne », E un'altra volta a migliore
definizione della posi- zione concettuale o della sua immagine: « Il
Fascismo nato dall'interventismo e dal Futurismo si nutrì di prin-
cipî futuristi... Il Fascismo opera politicamente... Il Fu- turismo opera
invece nei domini infiniti della pura fan- tasia, può dunque e deve osare
osare osare sempre più temerariamente. Avanguardia della sensibilità
artistica ita- liana, è necessariamente sempre in anticipo sulla
lenta sensibilità delle masse ». La consapevolezza della
difficoltà del consenso è più che sentita, ed è convinzione al tempo
stesso che il fa- scismo sia più capace di farsi accogliere o di
comunicare certe necessità, e certi principî. E la convinzione
implica la coscienza che sia il fascismo ad aver raccolto © mutuato
idee e « posizioni » dal futurismo, solo ed esclusivamente. Senza che mai
sia avvenuto il contrario. Ed appare evi- dente, perché non viene mai
fatto cenno a questa secon- da ipotesi: che cioè sia stato il futurismo
ad attingere al fascismo. Anche se affiora l’« autocritica »,
l’interroga- zione, il domandarsi sotterraneo della coscienza...
« Il lettore domanderà: “Ci sono idee futuriste su- perate o da
scartarsi, oggi?” Nulla da scartare. Le idee vittoriose tengano
fermamente le posizioni conquistate. Per esempio questo principio: “Noi
vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo... le belle idee
per cui si muore e il disprezzo della donna”, fu una pietrata fe-
roce ma necessaria nel pantano letterario di sentimenta- lismo
dannunziano sulle cui rive singhiozzavano i gio- vani malati di luna e di
donne fatali ». La condanna della decadenza di un romanticismo
fiac- co e sdolcinato che ha irretito la realtà della Penisola è
quanto mai chiara ed evidente. E la volontà di scuoterla per una
necessità di spirito, per una volontà di resurrezione, per una coscienza ancora
viva di grandezza e di capacità creativa e rinnovatrice, porta
inevitabilmente allo scontro e alla conflagrazione, quella della guerra,
che è guerra di sentimento e di volontà, prima ancora che di
occasione politica. « Oggi », continua Marinetti, « l'Italia è
piena di gio- vani forti e sportivi. Ma molti purtroppo sacrificano
ad una donna la loro volontà di conquista e l'avventura... Dopo
Vittorio Veneto io predicai la necessità per ogni combattente di
diventare un cittadino eroico... Oggi esi- ste uno Stato fascista che
tutela il diritto individuale. Ma bisogna alimentare ancora lo spirito
del cittadino eroi- co, amico del pericolo e capace di lotta, poiché
occorretà improvvisare domani gli indispensabili volontari della
nuo- va guerra. Questa, lo ripeto, è certa, forse vicina. Perciò è
sempre vivo il grido futurista: glorifichiamo la guerra sola igiene del
mondo! Il Futurismo interprete delle for- ze telluriche, il Futurismo,
manometro della nostra pe- nisola (caldaia bollente!), odia i macchinisti
incapaci. Si palesano tali i culturali d’Italia che verniciati di
patriot- tismo parlano oggi d’Impero, con un'anima pacifista pron-
ti ad imboscarsi al minimo pericolo. Essi ignorano che Impero significa
guerra. Votrebbeto conquistarlo con una lezione sulla Roma Imperiale! ».
Ecco, ancora, la coscien- za di cui parlavamo prima: quella della
curiosità anti- quaria di una cultura d’accatto non più in grado di
te- nere il passo della storia e di muovere lo spirito della
giovinezza vittoriosa. Marinetti lo coglie e lo esptime in una
testimonianza, ancora una volta, di vita e di speran- za, che è vita
perché è speranza del futuro. « Noi futuristi parliamo d’Impero
convinti e lieti di batterci domani... Parliamo d’Impero perché è venuto
per l’Italia il momento di prendere le tetre indispensabili... IÎ
programma politico futurista lanciato l’11 ottobre 1913 che propugnava
una politica estera cinica astuta e aggres- siva è più che mai di
attualità. Le idee vittoriose tengano fermamente le posizioni
conquistate. Le nuove idee si slancino all'assalto. Marciare non matcite!
». Firmato: F.T. Marinetti. 42 Il futurismo ha
dimostrato di voler procedere sulla strada del nuovo: il fascismo lo ha
accolto ed ha accon- disceso, almeno fino a un certo punto, al suo
messaggio. Oltre è stato frenato, forse, non solo dal « borghesismo
», ma anche da quel socialismo, che avanti non è mai stato capace
di andare e che di nuovo ha portato solamente vuote formule e fantasmi.
Non così il futurismo, ben ade- rente al reale, e capace di ritirarvisi
anche, nel caso di inadempienza (o di mancanza di corrispondenza)
della realtà ai suoi messaggi. Marinetti docet, proprio con
quel fascino che aveva voluto, o con cui aveva marciato, e in cui aveva
creduto senza marcire mai, nemmeno nell’auge del regime, quan- do
avrebbe potuto sedersi sulle comode poltrone di un otmai «arrivato »
futurismo di «destra ». Ma il futuri- smo per Marinetti era e rimaneva
comunque movimento d'avanguardia artistica e culturale, nonostante gli
agganci più 0 meno politici, più o meno di regime, e nonostante
l'amicizia con Mussolini, che poteva anche essere un « fu- turista », ma
era e doveva essere prima di tutto il capo dello Stato e il « duce del Fascismo
». E il fascismo ave- va preso e doveva tenete ormai una certa linea,
molte volte non gradita, o valida, per il futurismo, ed anzi pro-
prio al contrario. La gloria di Roma rievocata nel
monumentalismo classicheggiante, il novecentismo ricalcante vuoti
modelli di un fasullo rinnovamento filotradizionale, la riesumazio-
ne del mito della storia come copia di grandezza e no- vella misura di
falsa gloria, erano tutti temi aborriti da Marinetti proprio perché segni
ed indici di « passatismo », messaggi sterili di una mentalità ferma e
statica, incapace di dare alcunché di vitale all'Italia in movimento.
Ma- rinetti era invece, e rimaneva, anche nel fascismo e no-
nostante il fascismo, « futurista », come lui amava defi- nirsi, e come
lo rimanevano anche altri, non tutti però, anzi forse troppo
pochi. Marinetti, quindi, futurista, e futurista nonostante tut- to,
fu forse fascista solo ed esclusivamente per quel che il futurismo poteva
consentirgli di essere. Ma fu anche grande oratore Marinetti, e fu
oratore d’arte, oratore di genio letterario e improvvisatore della
parola, più 0 me- no libera o in libertà che fosse. Mussolini
fu oratore politico e parlava, anche, nella ricerca del consenso.
Marinetti invece fu poeta, e parlava per stimolare la curiosità, per
muovere l'incanto del- l'espressione. La sua oratoria fu
essenzialmente artistica, il suo discorso fu culturale e poetico.
Mussolini forse in parte la imitò, sempre attenendosi all’oratoria
politica e trasformando il messaggio letterario in presenza ideo-
logica e in colloquio « popolare ». Forse qui sta inoltre la differenza
fra i due movimenti: il futurismo avanguar- dia di rottura e il fascismo
sistema di potere. Anche se il primo l’aveva spinto e sorretto nella sua
azione di con- quista. Il fascismo è allora per un suo aspetto
futurista, e non invece il contrario. E' la realizzazione di quel «
pio- gramma minimo futurista » che abbiamo già esaminato. E
Mussolini si può dire fosse stato anche futurista, o comunque molto
vicino al movimento di Marinetti. E gli era stato anche amico, o c’era
stata una reciproca comunanza di sentimenti, che non esula
dall’amicizia. Ma Mussolini era stato anche socialista, anzi lo era
sta- to davvero e « fino in fondo ». Che fosse anche per que- sto
che i futuristi non potevano essere completamente fascisti? O non si
potevano identificare completamente nel regime? Almeno i futuristi
autentici, quelli più « idea- listi ». Il futurismo era stato
sempre e comunque antisocia- lista, in modo integrale, totale come si è
visto. E lo era stato dall’inizio antisocialista, per la sua posizione
cultu- rale, per il suo intendimento antimilitaristico ed antiegua-
litario, per il suo slancio antipassatista di svecchiamento. Lo
schiaffo ed il pugno, la velocità e l’aggressione, la lotta e la vittoria
erano tutti temi o motivi antisocia 44
listi. Il fascismo, nonostante tutto, era meno antisocia- lista. In
primo luogo per le origini del suo capo, per la sua
formazione-estrazione, per i suoi intendimenti di visuale che non si
erano spenti del tutto, ma si erano solo attenuati e modificati: e si
erano travasati, anche, nella novità del futurismo.
Comunque, e malgrado questo, il fascismo rimase e resta agli atti della
storia un «movimento di massa », una « realtà sociale », un fenomeno
popolare, un sistema del numero in scala comunitaria e nazionale: questo
è acquisito, ed è incontestabile. E non può essere confutato dagli
storici seri. Mussolini lo volle e lo promosse que. sto « popolarismo »
e, se vogliamo anche, riuscì lenta. mente e gradatamente ad «imporlo ».
Ma non volle mai l'uguaglianza o il livellamento, e cercò sempre di
favo. rire la distinzione dell’individualismo. Lo stimolo stesso
alla competizione nel campo dell’arte e l’amicizia con l’amico-nemico
Marinetti ne sono garanti. L’amicizia fra i due personaggi non fu
esclusivamente un fatto episo- dico o della prima ora; fu un fatto
profondo e vitale, forse inalienabile ed « assoluto ». E durò, a controprova
del vero, fino alla morte. Quando Marinetti, reduce dalla guerra
di Russia per cui si era arruolato volontario (malgrado i suoi 64
anni), aderiva alla Repubblica Sociale Italiana dopo i tragici
fatti dell’armistizio, dimostrava sino all'ultimo fede ad un’ami-
cizia e ad un'idea, comunque e nonostante tutto. Mari- netti era partito
per la Russia all’insegna della coerenza, non potendo contraddire il suo
messaggio della guerra « sola igiene del mondo ». Messaggio che anche il
« duce » aveva sentito, forse tragicamente e forse fuori tempo. Ma
lo aveva comunque sentito, e l’amicizia con Marinetti e la sua nomina ad
Accademico d'Italia lo dimostra. Quan- do avrebbe benissimo potuto «
bruciarlo ». E aveva an- che sentito che il nuovo secolo richiedeva un
cambiamen- to, che si doveva in qualche modo maturare. Volle
promuoverlo e accelerarlo (da « futurista »?), in- tervenite e spingere
l'avanzata fino all'assurdo. Ne rimase coinvolto e definitivamente «
inghiottito ». Marinetti si era salvato, e con se stesso aveva
salvato la poesia. La guerra (leggi: politica) non poteva
averla distrutta. In età avanzata era rientrato a vivere brevemente, a
lot- tare fino all’ultimo per consegnare a Venezia un messag- gio,
quello vitale e ineliminabile « verso il futuro ». I suoi discepoli lo
accolsero come un testamento e qualcuno lo trasmette ancora per
testimonianza. Nonostante la trasmu- tazione dei tempi e le difficoltà
del presente. Lo docu- menta ancora per la verità storica e per la risonanza
del- l'oggi. E, forse, per un nuovo futuro di domani. 12.
Sindacalismo futurista II fascismo aveva creato la « Carta del
Lavoro », che ricalcava a sua volta quella ptima espressione
originale di emissione statutaria d’impronta sociale, che era stata
la dannunziana « Carta del Carnaro ». Ma già prima i futuristi avevano
inteso una «loro » sindacalizzazione in senso artistico, ed avevano
ancora una volta concepito un manifesto. Si tratta del manifesto al
governo fascista del 1° maggio 1923 intitolato I diritti ertistici
propugnati dat futuristi italiani. I diritti rimasero in gran
parte sulla carta, ma l’in- tenzione era evidente: quella di creare una
specie di « car- ta sindacale » per la costituzione dei « sindacati
artistici futuristi », atti alla difesa ed all'assistenza degli
artisti eventualmente bisognosi. Oggi quel poco che offre il sin-
dacalismo dell’arte è dovuto per lo più al sindacalismo futurista e, in
parte, a quello fascista. Ma l'idea del mu- tuo soccorso e della
solidarietà del lavoro era già pre- sente nella mentalità futurista,
orientata sempre verso giustizia (in questo caso, giustizia dell’arte).
Il proleta- riato delle rappresentanze artistiche è fatto ben noto,
e non da oggi: non ne furono esenti i futuristi, che anche in questo
senso furono rivoluzionari veri e propri, e cercatono comunque il rinnovamento.
E vollero un’istituzio- ne che li garantisse dalla loro precarietà, dalle
loro dif- ficoltà e dalla loro miseria. La «Banca di Credito»
per artisti fu iniziativa di Marinetti, in seguito approvata e
patrocinata dal « duce ». Che così rispose per l’occasione all'amico
futurista: « Mio caro Marinetti, approvo cordialmente la tua iniziativa
per la costituzione di una Banca di Credito specialmente per gli
Artisti. Credo che saprai sormontare gli eventuali osta- coli dei soliti
misoneisti. Ad ogni modo questa lettera può servirti di viatico. Ciao,
con amicizia. Mussolini ». Si trattava di una vera € propria forma
di « assicu- razione del denaro » che doveva favorire gli artisti, o
sod- disfare le loro necessità. Ma non solo Îa costituzione della
Banca di Credito chiedeva il manifesto del ’23, firmato da Martinetti «
per la direzione del movimento-futurista e per tutti i gruppi futuristi
italiani ». Si volevano anche realizzare: 1) Difesa dei giovani artisti
italiani novatori in tutte le manifestazioni artistiche promosse dallo
Stato, dai Comuni e private... 2) Istituti di credito artistico ad
esclusivo beneficio degli artisti creatori italiani [dove si propone
l’apertura d’istituti di credito per la sovvenzio- ne di artisti,
manifestazioni artistiche ed Istituti d'arte. Tali istituti si
manterrebbero con la buona volontà degli aderenti, se privati, o con
imposte sui redditi di guerra, pet esempio, se statali. Le opere d'arte
depositate co- stituirebbero valorizzazione fruttifera per l’artista
medesi- mo, ecc., n.d.r.]... 8) Agevolazioni agli artisti [tramite
il riconoscimento legale dei diritti d’autore, la riduzione del 75% della
tariffa per i viaggi degli artisti e il tra- sporto delle loto opere,
l'abolizione delle tasse doganali nell’importazione ed esportazione delle
opere d’atte, il catico sull’assicuratore delle spese per lettere di
cambio o assicurazioni delle opere d’arte, ecc..., n.d.r.]. Come si
vede i futuristi guardavano sì al futuro, ma stavano ben calati nel
presente e cercavano di opetare e di agire di; presente pet migliorare e
per rendete più giusto il uturo. Col « ritorno all’ordine », come si
definisce dagli sto- rici l'affermazione del fascismo e la sua lenta
istituziona- lizzazione in regime, si parla anche di modifica del
futu- rismo 0 di suo adeguamento ad una nuova realtà siste- matica
e organizzativa, conseguita al periodo rivoluziona- rio; e si chiacchiera
ancora di «secondo futurismo ». Anche se il futurismo, primo o secondo
che fosse, non ha mai avuto a che fare con l'istituzionalizzazione
del l'arte nell’« ordine fascista ». Dice il critico Enrico Cri-
spolti in un suo saggio, e lo asserisce in modo catego- rico e
definitivo: « In questo senso è politicamente inam- missibile e
culturalmente scorretta una liquidazione del Secondo Futurismo in quanto
collusivo out court con il fascismo »’. Ma come si atriva a
questa seconda definizione del movimento? E poi eventualmente alla sua «
demonizzazio- ne » 0 « fascistizzazione » in senso politico?
Avevamo già visto nel ’24 Gerardo Dottori « prova- re» le sue prime
aeropitture. Nel frattempo i futuristi continuano a scambiarsi esperienze
ed a lavorare intensa- mente. È ad esporre spesso e volentieri, anzi
velocemen- te e freneticamente, « alla futurista ». Nel 1926
vengono invitati diversi futuristi italiani alla International
Exhibi- tion of Modern Art di New York. Nello stesso anno alla IX
Biennale d'Arte di Reggio Calabria espongono Depero, Tato, Benedetto,
Rizzo, Fillia e Dottori. A_Mi- lano intanto al Palazzo della Permanente
si allestisce la seconda mostra, che abbiamo già visto, del
Novecento, ormai in auge e prossimo ad assurgere ai fasti della
glo. ria del potere. C'è anche la dichiarazione ufficiale del neo-
costituito « Gruppo 7» di architettura, composto da Ter- ragni, Libera,
Frette, Figini, Pollini, Rava e Larco. Nel 1928 i futuristi partecipano
finalmente alla XVI Biennale di Venezia. A Torino, all'Esposizione
Nazionale, ? Enrico Crispolti, Appunti riguardanti i
rapporti fra futurismo e fascismo, in Arte e Fascismo in Italia e
Gertania, Feltrinelli, Mi- lano 1974, pag. 54. si allestisce un padiglione
di architettura futurista, con opere di Sant'Elia, Sartoris, Balla,
Fillia, Prampolini e Chiattone. Nel 1929, 33 futuristi
espongono ancora alla « Pesa: ro » di Milano (Balla, Farfa, Benedetto,
Lepore, Dottori, Marasco, Tato e Prampolini). Azari pubblica il suo
Primo dizionario aereo; Balla, Fillia, Depero, Marinetti, Tato,
Somenzi, Benedetto, Rosso, Prampolini e Dottori lancia- no il famoso
Manifesto dell’Aeropittura. Terragni termi. na 2 Como la costruzione di
Novocomum, nuovo edificio residenziale periferico. Marinetti è ‘accolto
il 18 matzo nell'Accademia d’Italia, insieme a Fermi e Pirandello,
su istanza personale di Mussolini. Esce per le Edizioni di
Augustea, Roma-Milano, il volume Marinetti e il Futurismo, quarta ed
ultima espres- sione di letteratura politica del capo futurista.
L’opera ricalea in termini ancor più encomiastici e «di suppor- to»
il già « conciliante » Futuriszzo e fascismo (1924). Il volume esce
ancora dedicato « Al grande e caro Benito Mussolini », definito questa volta
già nella prima pagina « temperamento esuberante, strapotente, veloce.
Non è un ideologo. Se fosse un ideologo, sarebbe incatenato dalle
idee che sono spesso lente, e dai libri che sono sempre morti. Egli è
invece libero, scatenatissimo. Fu socialista e internazionalista, ma
soltanto in teoria. Rivolu- zionario sì, ma pacifista mai ». Il che
equivale a dire « futurista ». Del socialismo di Mussolini
abbiamo già parlato, e della sua portata teorica, a questo punto
effettivamente e « praticamente » confermata. Del futurismo « fascista
» di Marinetti si sono scritti fiumi d’inchiostro e sproloqui di
parole. La dimostrazione più lampante della sua parte- cipazione estetna
al fascismo e della sua continua difesa del futurismo e delle avanguardie
è data dal rifiuto di onorari e prebende: unica « accettazione »
per contto, quella dell'Accademia d’Italia, che gli servì poi per
di- fendere il fututismo e per «lanciarlo » meglio in Italia ed
all’estero. Nel 1930 Terragni realizza un monumento a Como su
un disegno di Sant'Elia (che era stato totalmente rie- laborato da
Prampolini) in occasione delle « Onoranze Nazionali all'architetto
futurista Sant'Elia », che viene commentato anche alla « Pesaro » di Milano.
Marinetti pubblica Futurismo e Novecentismo. Molti futuristi par-
tecipano alla IV Mostra delle Arti Decorative di Monza ed alla XVII
Biennale di Venezia. Nello stesso anno Ma. rinetti pubblica a Torino
sulla Gazzetta del Popolo i) Ma- nifesto dell’Aeropoesia, che fa eco a
quello dell'Aeropit- tura del *29. E’ il « momento» dello sviluppo aereo
e dell’aeronautica: è giusto che il futurismo si muova nella
direzione del progresso e senta, ritragga e proietti la nuo- va
dimensione aerea dello spazio verso il futuro. Nel 1931 esce a
Roma il nuovo quotidiano L’'Impe- to. Nel 1932 la Galleria « Pesaro »
allestisce una mostra vera e proptia, ed esclusiva, di « aeropittura ».
Fortunato Depero ottiene che gli venga concessa una sala « perso-
nale » alla XVII Biennale veneziana. Prampolini erige un plastico a
ricordo di Marconi a Roma per la Mostra della Rivoluzione Fascista. La
partecipazione futurista è segno della nuova collaborazione politica. Ciò
non toglie che le realizzazioni esprimano intenti d'avanguardia.
L’Istitu- io Editoriale Italiano pubblica per la prima volta i Ma-
nifesti del Futurismo, in quattro volumi. Fillia fa uscire il
periodico Le Città Nuova e Sartoris il volume sugli Elementi
dell’Architettura funzionale; Terragni comincia la costruzione della Casa
del Fascio di Como. Mino Somenzi fonda il nuovo periodico
Futurismo, definito «settimanale dell’artecrazia italiana ».
Cambierà poi titolo in Atfecrazia. Nel 1933 Hitler sale al
potere e sconfessa l’arte mo- derna (l'espressionismo, nella
fattispecie). Vasari organiz- za con Marinetti una mostra futurista a
Berlino nel ten- tativo di promuovere, e di far recepire le avanguardie
al nuovo regime. Nel settembre dello stesso anno il Congres- so
nazista di Norimberga condannerà « al rogo » l’« arte degenerata ». Esce
la rivista Diamo futurista, diretta da Depero; il periodico di
architettura Casebella è invece di- retto da Pagano, mentre Bardi e
Bontempelli pubblicano Quadrante. Prampolini progetta una stazione per
aero- porto civile al padiglione futurista della V Triennale di
Milano, mentre al Castello Sforzesco si organizzano le onoranze nazionali
a Boccioni, con la presenza di Paul Klee, Piet Mondrian, Pablo Picasso,
Vassily Kandinsky ed Ezra Pound. Nel 1934 Depero lancia un
nuovo manifesto dell’Aero- plastica, sempre sulla falsariga di quello
dell’Aeropittu- ra. Fillia e Prampolini pubblicano a Torino la nuova
ri- vista Stile futurista, dalle cui colonne Prampolini attacca
Hitler per le posizioni naziste sull’arte espresse a Norim- berga. I
futuristi partecipano ancora alla XIX Biennale di Venezia. Ad Amburgo
Ruggero Vasari e Marinetti di- fendono l'avanguardia in occasione della
mostra « Aero- pittura futurista italiana », organizzata appositamente
in polemica alle censure naziste. A Lipsia ancora Vasari pub- blica
Aeropittura, arte moderna e reazione, che dimostra la voce della nuova
avanguatdia italiama improntata ai progressi aeronautici ed in polemica
contro i soliti passa- tisti « censoti ». Marinetti nel ’35
parte volontario per la guerra di Etiopia. A Parigi viene organizzata una
mostra futurista. A Roma i futuristi partecipano alla II Quadriennale.
Ma- rinetti pubblica l’Aeropoema del Golfo della Spezia, che
ispirerà poi ancora molti aeropittori. Nel 1936 Prampalini realizza un salone
da riunioni per municipio alla VI Triennale di Milano. I futuristi
partecipano alla XX Biennale di Venezia. Muore Fillia esponente del «
primo futurismo ». Mussolini proclama l’Impero. Nel giugno 1937
la mostra di Monaco attacca e de- nuncia l’« arte degenerata » con
esemplificazioni e « di- mostrazioni ». Viene messa in luce per contro, o
in risal- to, l'arte « sana » nazista. Cominciano le polemiche e le
divisioni di fronti. Il fascismo ufficiale e « d'ordine » at- tacca, e
nuove violente polemiche scuotono l'avanguardia. Il Popolo d'Italia e IL
Perseo, diretto da A.F. Della Porta, muovono guerra al futurismo.
Quest'ultima rivista aveva già polemizzato, insieme a Il regime fascista
di Farinacci, con l’architettura razionalista di Bardi e Terragni: «
Noi siamo dell’opinione », si legge su Il Perseo del 15 giugno 1937,
« che il Fascismo ha tutto da perdere da un’allean- za col Futurismo e
sia pure da una semplice connivenza ». Risponde il periodico Artecrazia
di Somenzi che contrattac- ca in prima persona a sostenere l'avanguardia
e il futu- rismo. Difendo il Futurismo è la raccolta dei testi di
So- menzi pubblicati sulla rivista. Editi nel '37, sono l’opera più
coraggiosa e significativa della polemica per la lotta dell’avanguardia.
14. Futurismo di destra e futurismo di sinistra
L’avanguardia, del resto, è sempre eterogenea e sfac- cettata. Ecco
perché si parla di « destra » e di « sinistra » all'interno del futurismo
nella fase della « maturità » (il cosiddetto « secondo futurismo »).
Destra e sinistra sono termini abusati e « inflazionati », buoni per
tutto. Se ne fa spesso uso eccessivo ed improprio, semplicistico e
gra- tuito. D'altra parte, poiché avviene ancora e soprattutto
oggi, non si vede perché non dovesse avvenire allora, quando anche si
parlava, al tempo, di fascismo di « de- stra » e di fascismo di «
sinistra ». Il « centro », almeno nelle avanguardie, non ha
ten- denze, o ne ha molto pache e solo per qualche momento. Il «
centro» ha poche tensioni, pochi impulsi vitali, di rinnovamento. Il «
centro », quindi, risulterebbe amorfo, inutile, privo di idee 0 spirito
di catatterizzazione. L’avan- guardia allora sta a « destra » 0 a «
sinistra »: non è mai al « centro », o almeno è difficile che lo sia. Il
futurismo fu forse un’avanguardia di « destra » se intendiamo per «
destra » una certa qual spinta ideale d'impronta bergso- niana o
nietzschiana: poteva però essere anche di « sini- stra » per le sue
istanze sociali. O poteva essere al di là della « destra » e della
«sinistra », per ricalcare una espressione del pensatore tedesco.
Sta di fatto che il futurismo non fu mai di « centro ». Ma se si
vuole dar credito a quello che comunemente si intende otmai per « destra
», si deve anche accogliere un 52 futurismo di «
destra », o rivolto verso « destra »: se è vero che a «destra » sta la
conservazione, lo spirito borghese, il richiamo all’ordine ecc. ecc. E se
è vero per contro che a « sinistra » sta la spontaneità o lo
spontanei- smo, la sincerità, la schiettezza, l'onestà e quindi
anche la miseria e la « rivoluzione »: ecco, allora, esiste anche
il futurismo di « sinistra ». Com'è possibile? La polemica, anche
se non sembra vero, fu proprio di quegli anni. Comincia Bruno Corra con
un « fondo » di prima pagina su Futurismo, diretto dal Somenzi, n.
27 del 12 marzo del 1932, anno I e X dell’« Era Fascista ». Il
titolo è già sintomatico: No: futuristi di destra. Anche se Corra aveva
usato il termine « destra » con le attenua- zioni del caso, affermava che
«l'essenza del Futurismo è e non può non essere rivoluzionaria ». E
ancora, a spe- cificare meglio il concetto: « ... Bisogna dire che nel
no- stro movimento i termini di sinistra e destra non si op-
pongono, perdono cioè il loto significato convenzionale. La mentalità
futurista supera il contrasto fra il sovvetti- mento e la conservazione,
in quanto si libera di continuo in uno slancio creativo », tanto per la
precisione dei ter- mini e la puntualizzazione del linguaggio. E siccome
il linguaggio ci investe di una « sua » moralità, ecco che è bene
tenerne conto quando ancora il Corra così sottoli nea: « Mi pare che qui
si tratti, prima di tutto, di una questione di moralità. Dare al
Fututismo quel che al Fu- tutismo appartiene: e non truccare il proprio
ingegno con un'etichetta di convenienza. Chi si dichiara
avanguardi- sta ma non futurista, sputa nel piatto dove ha man-
giato ». E fin qui è tutto chiaro e conseguenziale. Ma ve- diamo come
ancora il Corra continua: « Poi, lo stabilirci questo principio; che il
privilegio di poter restare nella sfera magnetica del Futurismo pure
affermando, nella pro- pria opera un temperamento realizzatore di destra,
debba accordarsi soltanto a coloro che han dimostrato di sapere
essere — integralmente — futuristi. E reclamerei il diritto di sedermi a
destra, per mio conto, in nome della mia effettiva collaborazione al
Futurismo più rivoluzionario... ». Insomma, essere stati di « sinistra »
per poter essere poi di « destra », o aver fatto i rivoluzionari in
gioventù, per poter pai sedere tranquillamente sugli « scanni » del
concreto o nella comodità del reale (di quando, cioè, x
si è « arrivati »). Può darsi sia vero, pur se non proprio
giusto 0 cor- retto il ragionamento, ma concreto sì ed anche, che
ci piaccia o meno, realistico. La polemica inizia ed. è un
susseguirsi di botte e risposte. Fra tutte vediamo come « replica » Paolo
Buzzi su un altro «fondo» di prima pagina dello stesso Futuriswo n. 30,
anno II, del 2 aprile 1933. Il titolo è anche questa volta
emblematico, Estrema sinistra, puntualizzato poi meglio nell’« occhiello
»: Non c'è che un futurismo: quello di estrema sinistra. Dove si
sancisce la necessità dell'avanguardia a « sinistra », e la «sinistra »
del futurismo, l’unica possibile. « Questo, e non altro, è il vero
futurismo. Perché dovrei sedermi a destra, proprio io? Mi sembrerebbe di
tradire la causa di Aeroplani, di Ellisse e la Spirale, di Cavalcata
delle verti. gini... ». E ancora: « Questo è futurismo: e di ultra
estre- ma sinistra. Le mie autonomie sintetiche di anime e di
sensi, le mie aeropitture di tipi e di paesaggi, i miei co- smopolitismi
spaziali e i miei intimismi votticosi, stanno per una intransigenza
etico-estetica che costituisce, or- mai, la gioia (ed, un pochino, anche
la gloria) della mia lunga carriera di vomo che ha sempre fatto dell'Arte
come il sacerdote celebra messa. Aviatore sempre, adunque: fan- te
o stradino, non mai ». E conclude poi, con patole un po’ altisonanti e
troppo, forse, di effetto: «I giovani, quelli veramente degni di questo
nome primaverile, sanno che al di fuori e al di sopra d'ogni inevitabile
chiasso letterario, la parola “futurismo” risponde alla sola unica
vera “idea forza” che oggi esista nella sfera ideale del mondo: e che è
in grazia di essa, unicamente di essa, se oggi la Poesia della miracolosa
Italia fascista vive e vi- vrà ». Dove si dimostta ancota una volta, come
se non ba- stasse, il collegamento tra futurismo e fascismo, almeno
nella loro spinta « spontaneistica » e rivoluzionaria. Dobbiamo
comunque tenere conto del tempo della pubblicazione di questi articoli,
nel °32 e '33, in pieno ed affermato regime. Ecco, quindi, anche, il senso
di una « destra » e di una «sinistra », di un futurismo ancora
giovane ed esuberante, e di un altro futurismo per contro già assiso
sugli allori della gloria o sul comodo giaciglio della meta raggiunta e
della calma del riposo. Quando cioè il fascismo, movimento politico
rivoluzionario, eta di- ventato « regime », ed aveva, per così dire,
assunto le sue caratteristiche sembianze (almeno fino a un certo
punto). Perché il futurismo, così come era sotto, in fondo si era
voluto mantenere. AI di là dei tentativi di conglobamento o di «cattura »
della sua entità esercitati dal regime o da singole personalità fasciste,
alcune delle quali, magari, erano state futuriste o vicine al futurismo.
Tuttavia era e restava, il futurismo, in fondo, quello di sempre: solo
ed esclusivamente un movimento d'avanguardia. 15. Futurismo ed
ebraismo « Innumerevoli differenze separano il popolo russo
dal popolo italiano, oltre a quella tipica che distingue un po-
polo vinto e un popolo vincitore. I loro bisogni sono di- vetsi e
opposti. Un popolo vinto sente morire in sé il suo patriottismo, si
rovescia rivoluzionariamente e plagia la rivoluzione del popolo vicino.
Un popolo vincitore co- me il nostro vuol fare la sua rivoluzione, come
un aera- nauta getta la zavorra per salire più in alto... Non
esiste in Italia antisemitismo. Non abbiamo dunque ebrei da re-
dimere, valutare o seguire », sosteneva Marinetti nel 1920: e lo diceva
nella sua opera già esaminata A! di là del Co- munismo. Lo riportiamo non
tanto per rilevare le diffe renze fra rivoluzione futurista e rivoluzione
bolscevica 0 spirito comunista, quanto per far rilevare quale era
la posizione di Marinetti nei confronti degli ebrei già nel 1920.
Gli ebrei da « redimere, valutare o seguire » sono evidenti: Marx ed
Engels. Il problema invece si affaccia, come tutti sappiamo, sul volgere
del '38 e all'alba del °39. Il Manifesto del Razzismo italiano, quello
degli scien- ziati del 14 luglio ’38, e la Carta della Razza del 6-7
ottabre dello stesso anno, cui fanno seguito le leggi razziali del
novembre sulla falsariga dell’antisemitismo tedesco, danno buon gioco
alla cultura dell’« ordine », quella più direttamente sostenitrice o
affiancatrice del regime. Secondo Crispolti «il tentativo della cultura
legata alla destra reazionaria fascista di profittare della campa-
gna antisemita per promuovere un'edizione italiana della operazione
nazista dell’“arte degenerata” è un aspetto no- tevole dell’azione
pubblicistica che precedette e accompa- gnò quei provvedimenti » ®. L'azione
pubblicistica era con- dotta da Telesio Interlandi in prima persona, che
attacca- va spesso e volentieri Marinetti, il futurismo e le avan-
guardie attraverso il suo periodico: dal Quadrivio, setti manale romano
ad impronta razzista, al quotidiano roma- no Il Tevere, a La difesa della
razza. Oltre a Interlandi si distinguevano Giovanni Preziosi con il
mensile La wite italiana, e Roberto Farinacci con Il regimze fascista,
quoti- diano di Cremona. « L'arte moderna è un tumore che
deve essere tagliato non che si debba esibire come una gloria nazionale
sol perché piace a Marinetti », aveva affermato I/ Tevere del 24-25
novembre 1938, pubblicando un’antologia di esempi d’« arte degenerata »
italiana. Quadrivio aveva a sua volta proposto un referendum contro
l'arte moderna considerata in blocco « bolscevizzante e giudaica »,
ma senza alcun successo. Marinetti rispondeva con una
manifestazione indetta il 3 dicembre 1938 da lui e Somenzi al Teatro
delle Atti di Roma. E Somenzi stesso lo accompagnava con un « fon-
do » polemico su Arfecrazia, n. 117 del 3 dicembre, dal titolo Razzismo.
Ad esso facevano seguito sul n. 118 del- l'11 gennaio 1939 due articoli
(Arte e... razzia, e Italianità dell’arte moderna), ancora in posizione
di attacco, aspro e violento. Quest'ultimo, firmato « Artecrazia »
pottò a determinare la chiusura stessa del giornale. Non è escluso
* Enrico Crispolti, Appunti riguardanti 1 rapporti fra
futurismo e fascismo, cit., pag. 58. 56 che lo
avesse scritto proprio lo stesso Marinetti (con Somen- zi). Il pretesto
di voler colpire con l’antigiudaismo l’arte moderna era messo all'indice
dell'accusa. Si dimostra così ancora una volta lo spirito d'avanguardia
con cui il futu- rismo e i futuristi operavano, sia pur sotto le bandiere
del regime, ma in fondo in opposizione a una cultura d’or- dine e
di conservazione, priva di spunti nuovi e originali, o addirittura chiusa
ai contatti e alle avanguardie europei sotto il pretesto
dell'antigiudaismo, che non poteva certo essere aperto a nuove
esperienze. Nel 1940 entta in guerra l’Italia. Marinetti parla «
Per l’italianità dell’arte » e tiene un discorso al Teatro delle
Arti a Roma sulla « bellezza aeropoetica della guerra mec- canizzata ».
Intervengono Radice e Terragni a difendere l’arte moderna. Declatmano
Marinetti, Farfa, Scrivo, Mo- nachesi e Berardi. La rivista Autori e
Scrittori pubblica il manifesto Nuova estetica della guerra. A Genova
Mari. netti parla su «La poesia e la guerra » nel Salone dei
Professionisti e degli Artisti, dove si declamano poesie di Mazzotti e
Balestreri. Nel 1941 Renato Di Bosso lancia il nuovo
Manifesto dell’Aerosilografia. Nel 1942 Marinetti pubblica
Carto eroi e macchine della guerra mussoliniana. Poi parte vo-
lontario a raggiungere le truppe italiane in Russia. Rien- trerà nel ’43
malato, e già intaccato nella salute. Mussolini cade il 25 luglio e
Marinetti si trasferisce a Venezia, dopo l'8 settembre. Il fascismo è
finito, ma il futurismo an- cora continua. 16. Il futurismo
tra ieri e oggi Dopo la morte di Terragni a Como (1943) per
ma- lattia contratta sul fronte russo, Marinetti aderisce nel 44
alla neo-costituita Repubblica Sociale Italiana. A_Ve- nezia riceverà gli
ultimi futuristi, rimastigli fedeli nono- stante il « declino »: Crali
(ancora vivente) e Andreoni (recentemente scomparso). A loro vorrà
consegnare il fu- turismo perché non muoia con lui. Si trasferisce poi
a Cadenabbia sul lago di Como e muore a Bellagio nella notte fra il
2 e il 3 di dicembre, per crisi cardiaca (i fu- nerali di Stato
porteranno le spoglie a Milano, al Cimitero Monumentale). Postuma a lui e
alla fine del fascismo (repubblicano) si pubblicherà la sua ultima opera,
che così inizia: « Salite in autocarro aeropoeti... » Si tratta del
Quarto d'ora di poesia della X Mas, in cui l’invoca- zione
all'avanguardia alita uno strano ed inevitabile sen- so di morte,
violento ed inesorabile. Ma l'avanguardia è, pare, ineliminabile,
tant'è che il futurismo continua come espressione artistica almeno,
an- che se ormai non più politica. I suoi epigoni lo sosten- gono
ancora, «con le parole e con le opere». Crali Primo Conti a Milano e a
Firenze, Sartoris a Losanna, Di Bosso ed Anselmi a Verona, Enzo Benedetto
a Roma portano ancora avanti il suo programma d'avanguardia. Con
parole e con scritti, con opere e con progetti, col messag- gio dell’arte
sempre e comunque. I seguaci di Marinetti si rifanno a lui e sostengono
con vivacità e con brio la vitalità di una prospettiva che si vuole
sempre rinnovare. Questo è ancora, malgrado tutto, il valore
attuale del futurismo. Quello di un'avanguardia italiana aperta
alle avanguardie europee, ma avanguardia comunque e valo-
rizzatrice in ogni caso dell'arte. Che dev'essere libera e moderna, nuova
ed attuale, viva e presente ai suoi tempi. Per questo deve ancora
schiacciare le pastoie dei vecchiu- mi « passatisti », deve smuovere il
conservativo e assa- lire i fantasmi di prolungamento di polverosi e
sclerotici retaggi. Deve insomma comunque essere avanguardia. Il
messaggio futurista, in questo senso, è ancora attuale. Ce lo dicono
Crali e Benedetto, fra gli altri, con le loto testimonianze. Che ci
aiutano a tivedere la « dimensio- ne » del futurismo: una dimensione «
presente » in tanta odierna penuria di originalità nel moderno, presente
al- meno come forza dinamica nella prospettiva di migliori, più
aperti, e più geniali futuri. ALBERTO SCHIAVO 58
SOFFICI, MARINETTI, BOCCIONI, RUSSOLO SANT'ELIA, SIRONI,
PIATTI FUTURISMO E « GUERRA SOLA IGIENE DEL MONDO. Ben
presto si manifesta l'interesse dei futuristi per la politica. Nel 1911
Marinetti pubblica giò un mani festo « politica », che sarà la sua prima
espressione di intervento nelle cose pubbliche. «Tyripoli Italiana
» vuol dire presenza dell’Italia e primato dell’Italia; vuol dire
guerra ed espansione, allargamento del vita- lismo italiano, e vittoria.
Il « panitalianismo » si espri- me e si dichiara apertamente, per la
prima volta. L'avanguardia politica deve accompagnare
l'avanguar- dia artistica. E il primato italiano in arte st deve
ma- nifestare anche in politica, nella forza dell'espansione del
genio (al tempo, di arbizione coloniale). Poco dopo la Libia, è la
volta dell'Austria. L’amo- re della guerra non può che portare a voler
V'inter- vento. Ci sembra significativa la penna di Soffici su
Lacerba del ‘14, dove si osa dire la verità e mettere in luce la finzione
del moderatismo neutralista (cat- tolico o socialista che sia).
Il manifesto della fine del 1915, dedicato all'« or- goglio
italiano », è già un manifesto di guerra. Per questo lo riportiamo
interamente, a dimostrazione del- la fiducia e dell’ottimismo degli
artisti combattenti, la loro convinzione della forza attiva e dello
funzione battagliera dell’arte PER LA GUERRA
Valvola Essere italiano (mi piace ripeter qui che adoro il
popolo italiano) non è in generale gran fatto entusia- smante, in questa
nostra epoca. Ìn questi ultimissimi tem- pi, confesserò che per conto mio
mi vergogno un poco di portar questo nome. E’ un sentimento che si è
andato sviluppando leggendo i giornali, e posso anche ammettere che
una tale causa non meriterebbe di produrre un tale ef- fetto; ma i
giornali son tutta la nostra vita ormai e pur- troppo. E. dai giornali
italiani si alza e si propaga un tal lezzo d'abbiezione e d’imbecillità
che chi ha un po' di cuore e di spirito non può fare a meno di sentirsene
sof. focato. E' una gara in cui corrispondenti, redattori ordina-
nati e straordinari, politicanti e governo fanno del loro meglio per
sorpassarsi a vicenda. Non che siano espliciti nei loro articoli e nei
loro comunicati, ma la bassezza tra spare e offende. Sono reticenze
abbiette, raccomandazioni infami, voltafaccia vergognosi, silenzi più
vergognosi anco: ra. Si sente che il calcolo idiota comanda e regola
tutti questi spiriti subalterni. La guerra? Le mani in mano? Questo
enimma terribile non è affrontato a viso aperto, ma una battaglia vinta o
persa lontano detta il tono ed il catattere (anche tipografico) della
notizia, del commento o della nota ufficiosa. Dà il là all’elucubrazione
insulsa del machiavello rimbastardito. La stampa italiana è opgi
come oggi l’indizio della più ripugnante psicologia e mentalità che
possa avere una nazione. Davanti al mondo che com- Tralasciamo i
paragrafi: Toccami il naso, Grandezzate, e Subli- mità, che ci sembrano
poco significativi dal punto di vista politico, per riprendere con
Socialismo, molta più denso e pregnante. 61 batte e
soffre, accanto a una civiltà che difende le sue — le nostre — ricchezze
dal sacrilegio di un'orda senza stotia, noi siamo il leguleio diseredato
di viscere, solle- cito della sua trippa mediocre che occhieggia le
fortune dei popoli, e risponde di sbieco o tace aspettando dietro
lo schermo della sua neutralità. Non hanno il coraggio questi figuri di
dirla una buona volta ta verità. Ditelo che siete i più ignobili
rappresentanti di un paese che è mise- rabile perché non vi calpesta come
cimici. Ditelo che vi mancano il cuore e i testicoli. Ditelo che avete
paura. O confessate almeno che dietro la vostta prudenza c'è la
vostra impotenza, la verità che ci buttano in faccia i nostri alleati
quando fra una batosta e l'altra voglion levarsi il gusto di pigliarci
per il bavero. Che cioè l’Italia non ha quattrini, non ha armi, non ha
munizioni e che i suci magazzini son vuoti come la badia di
Spazzavento. E ci sono infine i socialisti. Io non ho un'esagerata
antipatia pet i socialisti. Trovo che la loro cravatta rossa, il loro sol
dell’avvenir, i loro discorsi in piazza, e gene- ralmente tutto ciò che
li caratterizza, così a occhio e croce, sono un tantino ridicoli; ma le
case popolari, l'au- mento delle mercedi operaie e tutto ciò che il
proleta- riato deve loro di miglioramenti per la vita di tutti i
giorni sono cose ottime e sante. Ciò non toglie che una cosa mi stupisce
straordinariamente ogni volta l'intravedo e mi stupirà in eterno: la loro
mentalità. Si rivela spes- sissimo in questi giorni, e sempre a proposito
della neutra- lità italiana. I socialisti l'’ammettono, non solo, ma la
vo- gliono perpetua. « Io sono e resto un fautore ogni giorno più
convinto della neutralità per la pace » ha dichiarato in un referendum
uno di loro. E voleva forse dire (giac- ché è difficile immaginare una
neutralità per la guerra) che lui e il suo partito sono per la pace a
ogni costo. Giacché, ed eccoci alla mentalità di codesto partito,
ogni buon socialista non vede nella guerra, qualunque essa sia,
62 se non una lotta di capitalisti e banchieri contro
capita- listi e banchieri i quali si servono del proletariato per
li- quidare le loro partite. Ammettiamo che in ogni guerra ci sia
un sostrato d'interessi; ma non c'è altro? Per i so- cialisti non c'è
altro. L'idea che i socialisti si fanno del mondo è questa: un
capitalista borghese e sfruttatore alle prese con un magro popolano
sfruttato. La cultura, le scienze, le arti, le delicatezze, l’eleganze, i
raffinamenti, le filosofie, la bellezza, i sentimenti, gli amori, le
passioni -— tutto ciò insomma che fa la vita così terribilmente
com- plessa, così colorita, così varia, multiforme, incoercibile
non è nulla per loro. Tutto è grigio, e l’universo intero una
specie di ragnatela squallida senza confini né orizzonti, eterna, in
mezzo alla quale un ragno cerca di succhiare una mosca alla quale Karl
Marx ha insegnato che non deve lasciarsi succhiare. Così,
nella guerra presente, che cosa importa se intere nazioni difendono una
civiltà che è la nostra, le libertà conquistate — le idee stesse dei
socialisti — contro i nemici che sono gli stessi nemici dei socialisti?
Per i compagni di Filippo Turati non si tratta che della solita altalena
dei capitali sulle povere spalle del popolano e bisogna aste-
nersi. E parlo espressamente degli « ufficiali » ex cattedra, giacché
agli altri, a quelli del colloquio coll’emissario tede- sco, dobbiamo
l’atto forse più nobile e generoso che si sia compiuto in Italia in
quest'ora di straordinaria bassezza. Il trionfo della merda
La cieca incoscienza dei socialisti ufficiali e l’untuosa malafede
dei cattolici alla Meda (ecco un uomo cui manca indicibilmente l’erre!)
si possono anche capire in un mo- mento come questo, chi consideri la
speciale mentalità di codesti gruppi e la messa in giuoco violenta dei
prin- cipî e degli interessi di tutti. I primi, i socialisti,
non d'altro solleciti che di vuote teoriche malamente idealistiche, non
possono vedere nella guerra se non un fatto inquietante, uno di quei
fatti che afferrando tutto l’uomo ne mettono in mato ogni energia
vitale il che è sempre a scapito certo delle ideologie uni- laterali, e
credono l’'opporvisi con tutte le loro energie una coerente difesa dell’«
idea » mentre non si tratta in fondo che di un semplice istinto di
conservazione. I se- condi, i cattolici, sanno benissimo che un nostro
interven- to nel conflitto attuale favorendo il trionfo di popoli
tut- t'altro che asserviti alla secolare imbecillaggine papale, si-
gnificherebbe un indebolimento considerevole della loro compagine, e
maschetano di prudenza pattiottica il loro desiderio di vedere ancora
l’Italia ribadir con la sua neu- tralità incondizionata i vincoli che la
fanno setva e com- plice del bigottismo e dell’inciviltà eutopea.
Contro gli uni e gli altri, se si può usar del disprezzo, non
sarebbe dunque logico indignarsi. Ma c’è una massa dei nostri
connazionali che nessuna collera, nessuna abo- minazione potrà mai bollate
con l’infamia che merita la sua straordinaria abbiezione. E' Ja massa
oscura, anemica informe degli irresponsabili, dei disamorati, degli
abulici: dei parassiti della società e della vita. Non vedendo
nulla più di là della lora piccola tranquillità presente, del loro
affare meschino, del loro affetto senza energia; rincantuc- ciati nel
loro buco momentaneo al sicuro dalla burrasca che gli sgomenta soltanto a
intravederla nelle corrispon- denze del loro mediocre giornale, essi
credono che nulla possa essere più profittevole del prolungare, sia pure
a co- sto di ogni mortificazione, questo stato d’incolumità rumi-
nativa nell'ombra e in margine alla storia. Chè se domani la
preponderanza in Europa di una razza di pachidermi violenti, chiusi a
ogni luce di vera intelligenza, conculcherà ogni espressione geniale di
vita; se i popoli cui si lega una comunanza di cultura, di ricordi e di
tradizioni, saranno mortificati e asserviti a un’etica da ingegnere
belligero e spia; se le nostre stesse fortune intellettuali, morali e
ma- teriali saranno manomesse e asservite, che cosa importa a
questi miopi sdraiati nella loro flaccidezza quietoviven- te? A costoro
importa che l’oggi sia senza strepiti e senza pericoli, che il tran tran
dell’esistenza seguiti: felici se l'Ita- lia potrà uscire dal rotto della
cuffia — e sia magari verso 64 l'abisso. Così nessuno
si affida con più sicurezza di loro alle decisioni del nostro governo. Il
govetno italiano che fino ad oggi s'è dimostrato come la quintessenza di
questa materia fiscale, perché non d -*ebbe divenirne anche la
stella fatale? L’ospizio degl lidi della Consulta è il faro naturale di
questa marea ».ercoraria che monta. Poi ché essa monta, trionfando. Ogni
giorno che passa nella passività, ogni occasione perduta, ogni ambizione
abdi- cata, ogni nuova difficoltà creata servono ottimamente al suo
incremento e alla sua propagazione. Siamo già a buon punto. Dopo aver
impedito con tutto il suo peso ri- pugnante ogni movimento, questa massa
pestifera ha già una voce per dire che muoversi ora è troppo tardi.
An- cora poche settimane e sarà forse vero, e tutti saremo sommersi
per sempre. Amici! Noi abbiamo parlato e scritto: abbiamo
propu- gnato tutto il calore delle nostre anime per oppotci alla
vigliaccheria inaudita di una bella parte dei nostri con- cittadini.
Credo che il momento di una lotta più diretta e dura stia per giungere.
Le armi della mente e del cuore stanno per esaurirsi. Bisognerà ricorrere
alle altre, se non vogliamo che l’Italia piombi al livello della più
vergognosa fra le nazioni. Un paese che abbia per scrittori dei
Pao- lieri e la Nazione come giornale ufficiale. Arvenco
SOFFICI [da: Lacerba, n. 18, 15, settembre 1914; e n. 19, 1° ottobre
1914] L'ORGOGLIO ITALIANO Il 13 Ottobre, nella prima
perlustrazione fatta da me agli ordini del capitano Monticelli e del
sergente Visconti in terreno nemico, a 6 Km. dalle nostre trincee, fra
le alte roccie a picco, nelle boscaglie e nelle pietraie dell'A] tissimo,
dopo esserci incontrati con una pattuglia austria 65
ca che ci voltò le spalle e fuggì, constatammo con gioia la superiorità
enorme della nostra artiglieria, i cui tiri meravigliosi, passando su di
noi e sul lago, sostenevano la nostra avanzata in Val di Ledro. Nella
seconda perlustrazione fatta da me, dai miei amici futuristi Boccioni e
Sant'Elia e dal pittot Recci, esplorando e occupando la trincea
delle Tre Piante, constatammo con quale gioconda disinvoltura dei
giovani pittori e poeti italiani possano trasformarsi in audaci, rudi,
instacabili alpini. Durante l'avanzata, l'assalto e la presa di
Dosso Ca- sina, compiuta dai Volontari ciclisti lombardi e da un
battaglione di alpini, vedemmo le truppe austriache sgo- minate dalla
baldanza di pochi italiani diciassettenni e cinquantenni, non allenati
alla guerra in montagna. Dopo aver matciato per 7 giorni in un foltissimo
nebbione, con vestiti quasi estivi malgrado la temperatura di 15
gradi sotto zero, i Volontari ciclisti pernacchiavano allegramen-
te alle migliaia di sbrapne!s prodigati loro da 5 forti austria- ci. I
nuovi raccoglitori di bossoli e di schegge micidiali facevano finalmente
dimenticare gli stupidissimi e senti- mentali raccoglitori di
edelweiss. Constatammo che degl'italiani, già operai, impiegati
o borghesi sedentarii, sapevano vincere in astuzia qualsiasi
pattuglia di Kazserjigers. Constatammo che un corpo di 300 valontati
ciclisti improvvisati alpini sapeva strategi- camente manovrare su per
montagne ignote, con tale abi lità che il nemico si credette accerchiato
da migliaia d’uo- mini. Constatammo che uno studente italiano,
trasforma- to in ufficiale, può comandare tutta l'artiglieria d'una
zona e sfondare coi suoi tiri 6 o 7 forti austriaci,
scientificamen- te preparati alla difesa in 20 o 30 anni.
Constatammo come il popolo italiano, sotto la direzione geniale di
Ca- dorna, abbia saputo improvvisare in pochi mesi la prima
artiglieria dei mondo e vincere di continuo nella più spa- ventosa e
difficile guerra che sia mai stata combattuta. Singhiozzammo di gioia
all’udire dalla viva voce di 20 o 30 giornalisti esteri, quali Jean
Carrère e Serge Basset, che l'esercito capace di vincere e di avanzare sul
Carso è si- curamente il primo esercito del mondo. Dopo aver
visto il popolo italiano, « il più mobile di tutti i popoli », liberarsi
futuristicamente, con una scrol- lata di spalle, dalla lurida vecchia
camicia di forza giolit- tiana, vediamo ora nelle vie milanesi fervide di
lavoro, come il popolo italiano, che sembrava avvelenato di paci-
fismo, sa guardare con fierezza questa nobile, utile e igie- nica
profusione di sangue italiano. Tutto questo ci conferma una volta
di più che nessun popolo può uguagliare: 1. - il genio
creatore del popolo italiano; 2. - l'elasticità improvvisatrice di
cui sempre danno prova gl’italiani; 3. - la forza, l’agilità
e la resistenza fisica degl'’italiani; 4. - l'impeto, la violenza e
l’accanimento con cui gli italiani sanno combattere: la pazienza, il metodo e il calcolo
degl'italiani nel fare una guetra; 6. - il firismo e la
nobiltà morale della nazione italiana nel nutrirla di sangue o
denaro. ITALIANI! Voi dovete costruire l'Orgoglio italiano sulla
indiscutibile superiorità del popolo italiano în tutto. Questo orgoglio
fu uno dei principii essenziali dei nostri manifesti futuristi
dall’origine del nostto Movimento, cioè da 6 anni fa, quando primi e soli
(mentre l’irredentismo agonizzava e il partito Nazionalista non era
ancora nato) invocammo violentemente, nei teatri e sulle piazze, la
guer- ra come unica igiene, unica morale educatrice, unico velo- ce
motore di progresso. Eravamo allora sicuri di vincere l’Austria e
di centu- plicare il nostro valote e il nostro prestigio
vincendola. Eravamo soli convinti della prossima conflagrazione
gene- rale, che tutti giudicavano impossibile in nome di due
pseudo-fatalità: lo sciopero delle Banche e lo sciopero dei proletariati.
Eravamo convinti che coll’Inghilterra, la Fran- cia, la Russia, noi
dovevamo utilizzare le nostre inesauribili forze di razza e il nostro
genio improvvisatare, collabo- 67 rando allo
strangolamento del teutonismo, fatto di balor- daggine medioevale, di
preparazione meticolosa e d’ogni pedanteria professorale.
Apparve allora il mio Monoplan du Pape, visione pro- fetica della
nostra vittoriosa guerra contro l’Austria. Infat- ti noi soli fummo
profetici ed ispirati, perché, più giovani di tutti, più poeti, più
imprudenti, più lontani dalla poli- tica opporttunistica e quietista,
traemmo la visione del fu- turo dal nostro temperamento formidabile, e
pur consta- tando intorno a noi la vecchia mediocrità italiana,
credem- mo fermamente nell’avvenite grande dell’Italia, semplice-
mente perché noi futuristi eravamo Italiani. ITALIANI! Voi dovete
manifestare dovunque questo orgoglio italiano e imporlo in Italia e
all'estero colla pa- rola e colla violenza, come facemmo noi in Francia,
nel Belgio, in Russia, nelle nostre numerose conferenze bat-
tagliere. Merita schiaffi, pugni e fucilate nella schiena
l'italiano che non si manifesta spavaldamente orgoglioso d’essere
italiano e convinto che l'Italia è destinata a dominare il mondo col
genio creatore della sua arte e la potenza del suo esercito
impareggiabile. Merita schiaffi, pugni e fucilate nella schiena
l'italiano che manifesta in sé la più piccola traccia del vecchio
pes- simismo imbecille, denigratore e straccione che bha carat-
terizzata la vecchia Italia ormai sepolta, la vecchia Italia di
mediocristi antimilitari (tipo Giolitti), di professori pa- cifisti (tipa
Benedetto Croce, Claudio Treves, Entico Ferti, Filippo Turati), di
archeologhi, di eruditi, di poeti nostal- gici, di conservatori di musei,
di albergatori, di topi di biblioteche e di città morte, tutti
neutralisti e vigliacchi, che noi, primi e soli in Italia, abbiamo
denunciati, vilipesi come nemici della patria, e veramente frustati con
abbon- danti e continue doccie di sputi. Merita schiaffi,
calci e fucilate nella schiena l’artista o il pensatore italiano che si
nasconde sotto il suo inge- gno come fa lo struzzo sotto le sue penne di
lusso e non sa identificare il proprio cotgoglio coll’orgoglio
militare della sua razza. Merita schiaffi, calci e fucilate nella schiena
l’artista o il pensatore italiano che vernicia di scuse la sua viltà,
dimenticando che creazione artistica è sinonimo di eroismo morale e
fisico. Merita schiaffi, calci e fucila- re nella schiena l'artista o il
pensatore italiano che, fisica- mente valido, dimostrando la più assoluta
assenza di va- lore umano, si chiude nell’arte come in un sanatorio o
in un lazzaretto di colerosi e non offre la sua vita per ingi-
gantire l’Orgoglio italiano. Mentre altri futuristi fanno il loro
dovere nell’esercito regolate, noi futuristi volontari del Battaglione
lombardo, dopo essere stati semplici soldati in 6 mesi di guerra,
ed aver preso cogli alpini la posizione austriaca di Dosso Casina,
aspettiamo ansiosamente il piacere di ritornare al fuoco in altri corpi,
poiché siamo più che mai convinti che alle brevi parole devono subito
seguire i pronti, fulminei e decisivi fatti. La sensibilità e l'acume
politico « d'avanguardia » dei futuristi non potevano rimanere
indifferenti di fron- te ai loro avversari 0 alla «controparte »
dell'avanguar- dia, quella socialista. La reciprocità dell'opposizione
al potere liberalborghese, a « passatista» per dirla alla
Marinetti, era motivo di accostamento, forse, 0 per lo meno di attenzione
da ambo le parti. E sappiamo dal De Felice che molti « proletari » o
esponenti dei ceti umili osservavano con attenzione e seguivano il
movi mento di Martinetti con calore di simpatia. Marîo
Carli, fra i più sensibili esponenti certo del futurismo «d'assalto », si
accorge della presenza di ele- menti comuni nelle avanguardie, e lancia
un appello da Roma futurista # 13 /uglio del ’19 nel tentativo
forse di un avvicinamento. L'avvertimento della necessità di
rovesciare la classe dirigente corrotta e impreparata of- fre una base
comune all'intento di collaborazione per il sostegno del proletariato,
operaio od ex combattente che sia. La polemica continua sulla stessa
testata, nel numero del 92 novembre dello stesso anno con un arti
colo di Giuseppe Bottai dal titolo Futurismo contro Socialismo.
L'immpossibilità di collaborazione è già vista dal Bottai con tutta la
sua evidenza, ed è vista per ragioni squisitamente ideologiche,
rifacentesi gi presup- posti filosofici del socialismo e del socialismo
italiano, in particolare. Il 14 dicembre ancora del ’19, entra
nella polemica un socialista, certo Moannarese, cui ven- gono aperte le
colonne di Roma futurista @ fargli so- stenere più o meno la stessa tesi
di Bottai, anche se vista da angolazione marxista, dogmatica e
inequivoca bile. L’impossibilità della collaborazione è data dalla
ostrattezza del futurismo secondo Manmarese, e dal suo scarso od
insufficientemente risaltante contenuto sociale, che esula dall'unico e
imprescindibile metodo possibile: quello della lotta di classe. L'ultima
battuta è ancora del Bottai ed esce la settimana dopo, sul numero
del 21 dicembre ‘19 dello stesso periodico. La puntualizza zione
degli argomenti e la precisazione dei temi e delle tesi di pensiero son
lutte protese a dimostrare lo sin- cerità filo-popolare del futurismo e
la falsità democra- tica del socialismo per cui è quasi necessario
essere contro il socialismo, ed indispensabile, se si ama il po-
polo italiano, quello dei proletari arditi con cui anche Bottai aveva
combattuto nelle trincee al fronte della prima guerra. « Noi siamo per
l'elevazione del popolo, e non per l'assolutismo demagogico di esto»,
sottoli neava l'autore, concludendo a grandi caratteri « Contro il
socialismo non vuol dire contro il proletariato ». Ho esaminato seriamente
l'ipotesi di una collaborazione fra noi (futuristi, arditi, fascisti,
combattenti, ecc.) e i Partiti cosiddetti d'avanguardia: socialisti
ufficiali, rifor- misti, sindacalisti, repubblicani. A parte
il fatto che, in realtà, essi siano assai meno precursori ed audaci di
quanto a parale vogliano far cre- dere, io mi sono preoccupato
esclusivamente di cercare il terreno comune nel quale si possa, noi e
loro, associa- re gli sforzi e marciare d'intesa verso lo stesso
obiettivo. Il terreno comune c'è. Ed è quanto di più nobile e
attraente possa offrirsi a degli spiriti sinceramente aman- ti del
progresso e della libertà. E' la lotta contro le at- tuali classi
dirigenti, grette, incapaci e disoneste, si chia- mino borghesia o
plutocrazia o pescecanismo o parlamen- tarismo. Non è possibile lasciar
loro più oltre la potenza del denaro e il potere governativo e
amministrativo; sono una casta che deve cadere e cadrà. E’ questa caduta
che noi dobbiamo affrettare, con tutti i mezzi e con tutte le fotze
disponibili. Or ora, l'esperimento del « caro-viveri » in tante
città d’Italia, ci ammonisce che di fronte a problemi gravi e
pressanti, non c’è odio di parte né antipatia sentimentale che tenga. Noi
possiamo ben dare (e l'abbiamo data) una valida mano ai pussisti per
impedire che il popolo sia affamato. Non pottebbero i socialisti vedere
nel nostro gesto disinteressato e leale una prova della nostra sim-
patia per il popolo, si chiami combattente o si chiami operaio, e
riconoscere che la nostra azione tende, quanto e più forse della loro, ad
equiparare le classi sociali? Esiste un Marifesto del Partito
Futurista, ed un libro di Marinetti dal titolo « Democrazia futurista »,
dove è condensato quanto di più moderno, di più progredito, di più
spregiudicato, di più audace e rivoluzionario si può oggi pensare nel
campo politico. Ma i partiti pseudo- 75 avanguardisti
e pseudo-rivoluzionari ostentano di ignora. re e manifesto e libro, né
mai hanno fatto il più timido gesto di simpatia o d'interesse verso idee
o remperamenti ai quali dovrebbero sentirsi attratti per istinto!
Perché? Eppure noi siamo libertari quanto gli anarchici, demo-
cratici quanto i socialisti, repubblicani quanto i repubbli- cani più
accesi. Si tratta dunque di mala fede? Pare di sì, perché, se
non fossero in mala fede, costoro dovrebbero inginoc- chiarsi davanti a
noi e chiamarci come loro capi. Se la loro lotta politica fosse sincera e
convinta (parlo special mente dei pussisti), dovrebbero ammirate senza
riserve il nostro spirito rivoluzionario che, dopo aver schiantato
quella fetida cancrena del passatismo europeo che si chia- mava Impero
d’Asburgo e contribuito a umiliare il tra- cotante militarismo tedesco,
vuole oggi demolire a colpi di bomba i vecchi sistemi, i regimi
decrepiti, i focolai di putredine che costituiscono la grande cloaca
politica ita- liana. Se fossero in buona fede, dovrebbero
riconoscere che noi soli, uomini di guerra che non ignoriamo il
piombo e l’acciaio laceratore di carni, sapremo, a tempo debito,
scatenare e condurre una rivoluzione, non già dal Quartier Generale di
una qualsiasi Camera del Lavoro, ma alla testa delle moltitudini in
marcia. Se fossero in buona fede, sapete che cosa dovrebbero
dire questi organizzatori di masse a scopi elettorali? Ci direbbero —
Venite qua, futuristi, arditi, fascisti, com- battenti tutti: voi che
siete più rivoluzionati di noi, più audaci di noi, più liberi di noi, voi
che amate il popolo più sinceramente di noi! Venite qua, uomini d'azione
e di comando: a voi il guidare le masse verso la libertà e la
ricchezza! a voi il rovesciare i vecchi sistemi, i vecchi dogmi e le
vecchie tirannidi! noi ci ritiriamo nei ranghi. Perché non lo
fanno? Perché questi falsi socialisti che scrivono in
giornali luridamente borghesi come Il! Tempo e La Stampa, per ché
pagano bene, si sfiatano a chiamarci reazionari della borghesia,
carabinieri più dei carabinieri, a diffamarci imbecillescamente? Perché hanno
respirato di soddisfazione al- l'avvento del reazionarissimo gabinetto
Nitti e complici? Perché hanno lanciato dalle colonne dell’Avanti
pochi giorni fa, un grido d'amote alla censura che se n’andava,
promettendole di richiamarla con tutti gli onori non ap- pena il
socialismo ufficiale fosse salito al potere? Perché tentano di far
credere ai soldati che gli uf- ficiali combattenti costituiscono una «
casta » borghese, quando i soldati ricordano ancora il loro tenentino
che in trincea si adagiava nello stessa fango, mangiava nella
stessa gavetta, correva gli stessi rischi, buscava le stesse ferite, come
ciascuno di loto? Perché non si decidono a riconoscere che la
guerra ha liberato il mondo dall'incubo dell'imperialismo germa-
nico e ha impresso alle conquiste ideali e materiali dei popoli un ritmo
di fantastica velocità, che, senza di essa, non si sarebbe neppure
sognato? Perché seguitano a confondere guerra rivoluzionaria
con militarismo, socialismo con bolscevismo, popolo con pagliacci
tesserati? Perché combattono gli Arditi, che pure sono usciti
dal popolo, e del popolo rappresentano la parte più vi- gorosa e
combattiva? Perché si ostinano a ripetere con tediosa
monotonia che la guerra è stata voluta dalla borghesia, attribuendo
dunque a questa classe un vanto che certo non le spetta? Ho
lanciato l’invito. Ho mostrato ai nostti avversari il terreno sul
quale potremmo intenderci, e le pregiudiziali antipatiche che
c’'impediscono un avvicinamento. Sapranno essi spogliarsi di queste
pregiudiziali che sono altrettanti errori gravissimi?
Sapranno a loro volta dirci una patola onesta e schiet- ta di
simpatia disinteressata? Se capiranno che è assurdo e bestiale continuare
una campagna diffamatoria contro una guerra che si è chiusa
vittoriosamente e che, malgrado tutto, ha giovato enormemente al
proletariato, se capi- ranno che noi pur amando fieramente l'Italia, non
abbia- mo nulla a che fare con i nazionalisti reazionari, codini
Fb) e clericali, essi ci tenderanno la mano e ci
aiuteranno a spezzare tutte le schiavitù che ancora ci sovrastano.
Dopo, potremo tornare a divorarci, se sarà necessario. Marro
CARLI {da: Roma futurista, 13 luglio 1919) Bisogno, ad ogni sosta,
di guardare attorno. Vedere un po' come va la vita, la cui visione
precisa, a volte, si perde nel martellamento sanguigno della lotta.
Misu- rare i compagni e gli avversari. Riprendere le distanze.
Ci teniamo molto, via via che più si ingarbuglia il fascio di forze
e di tendenze del mondo politico italiano, a rittovare i nostri contorni.
Pulirli. Indurirli sì che si rimbalzi sopra qualunque tentativo di
penetrazione im- pura. La lotta di partiti, nel suo svolgimento
poco netto, si traduce rispetto a noi futuristi, assertori del
predomi. nio della genialità italiana, in un lavoro di isolamento.
Le scorie cadono. La marcia viene schizzata via dalle contrazioni
atletiche della nostra carne sana. Solitudine splendida.
Nella costituzione organica dei vari aggregati di parte noi siamo
il cetvello possente che domina, e comanda alle tre membra funzioni del
tutto subordinate. In questa immagine somatica, il partito socialista
ufficiale rappre- senta, rispetto a noi, l'intestino retto, maceratore e
scari- catore d'ogni feccia. Un compito troppo importante,
come bene ha detto l’amico Settimelli, per poterlo disprezzare. Ci
vuole. Solamente è bene che non si dimentichi mai la sua
posizione assolutamente accessoria. La nostra antipatia per il
socialismo in genere, pet 76 il
socialismo italiano in particolare, ha delle ragioni pro- fonde balzanti
dall'istinto della nostra razza di cui noi siamo i rappresentanti più interiori,
con tutti i suoi di- fetti se si vuole, ma anche con tutte, t44te, le sue
doti di energia, di intelligenza, di ardimento. E distinguiamo ciò
che sempre si può giustificare nel quadro infinito della vita, l'idea, da
ciò che, appunto perché nella vita, si ha il dovere di discutere e di
espellere, quando ne arresti il libero svolgimento. Idee e
uomini. Socialismo e socialisti italiani. Noi siamo
contro il socialismo perché astrazione fi- losofica senza possibilità di
contatti vitali. Simbolo che si agita nel mondo da secoli, e di cui mai
si è trovata, e mai si troverà la formula di traduzione in positivi
svi- luppi di masse sociali. Meditazioni di uomini respinti dalla
vita calda e vibrante, per un ingranaggio disgraziato della loro mente
incapace di aderire alla bellezza appas sionante del mondo.
La riforma che l'idee socialiste propugnano, non na- sce da noi,
dalla nostra maniera di essere, dalla nostra natura di uomini, dal nostro
modo di riunirci e dividerci. Cala dall'alto, da cieli metafisici. Ha
l’impotenza caratte- ristica di tutte le religioni meditate, ragionate,
logiche, e non create dallo slancio lirico di un'anima d'uomo.
Marx ed Engels hanno costituito delle sopra realtà gigantesche che
tutti hanno dichiarato magnifiche, ma che nessuno ha avuto il coraggio di
criticare, appunto perché la critica umana non si può esercitare su delle
con- cezioni prive di umanità. Boris d’Ysckull, uno di quei
mistici slavi capaci di bere ogni miscela più insipida, ha confessato di
non aver mai compreso quasi niente di simili esposizioni domma-
tiche, e di essere stato attirato solo per la loro oscurità affascinante.
Chi, italiano, può così rinunziare alla vulca- nica e solate natura da
itrigidirsi in questi mondi sen- z'aria, non può che trovarsi
nell’identica posizione del- l’illustre imbecille surricordato. Le
prime utopie della Città, mantenentesi allo studio di immaginose e
dilettose 15; invenzioni nei primitivi —
Platone, Tommaso Moro Campanella — passando a peggior vita nelle scatole
cra. niche dei tedeschi, si sono meccanizzate in modo da di venire
delle cose perfettamente anti-geniali, anti-latine e, soprattutto
anti-italiane. Noi fututisti, che abbiamo violentato il vuoto e
so- gnante torpore italiano riempiendolo di idealità fatte di vita,
intessute di nervi sensibili, calde di sangue rossis- simo, vogliamo una
penetrazione a fondo nel blocco psi- cologico della nazione: ivi è la
direttiva unica delle tra- sformazioni che il nostro destino esige.
Noi siamo contro l’idea socialista perché sosteniamo la necessità
della diseduguaglianza. Diseduguaglianza di valori, che bisogna esaltate,
lievitare, mantenere ad ogni costo. Un piano uguale di esistenza, una
distribuzione ar- monica dei beni, una soppressione assoluta di
privilegi — ma su questo livellamento di condizioni materiali
l’esplicarsi diverso, individualissimo delle singole capacità. II
socialismo, pretendendo distruggere la molteplicità innata di un popolo
non può, in via logica, che discen- dere dalla nazione alla città alla
famiglia, dalla famiglia all'individuo, e quindi alla creazione di tanti
individui identici, a stampo, senza differenze di tipi. Il
comunismo, ch'è la forma più in voga, non può tradursi, a meno di
negatsi, che in un monismo esasperante, monotono e inerte. La
Russia ce ne dà la prova: la massa oppone al ten- tativo di numerazione,
che offre appena una pallida idea, per il carattere più pacato e passivo
di quel popolo, di ciò che avverrebbe da noi. L'Italia è
tutta un magnifico inno di incoerenza, dal l'Alpi alla Sicilia. Follemente
varia. Ogni provincia un mondo. Popolazioni dolci come le sue pianure,
laboriose come i suoi fiumi, divampanti come i suoi vulcani.
Noi non possiamo pensare che tutto ciò si riduca a un uniforme
impasto. Noi futuristi opponiamo la neces- sità assoluta di un
decentramento che mantenga, esalti, vivifichi fino al culmine ogni
caratteristica, ogni genialità, ogni attitudine delle singole regioni:
l’unità italiana sarà allora una valorizzazione completa di sufta
i'Ttalia. 78 Siamo contto il socialismo perché idea
generatrice di vigliaccheria. Della gente che riuscisse davvero ad
attuare la distribuzione economica dello Stato socialista, dovreb-
be basarsi su un concetto di mutualità cooperativistica.
Cooperativa a mutuo soccorso vuol dire la sicurezza matematica di
non rimaner mai al verde quindi abolita ogni situazione di Jotta, reso
campletamente inutile lo sviluppo e il gusto del rischio. Spatizione di
coraggio. Se ciò è immaginabile su piccola scala, perché gli
ef- fetti malefici sarebbero ridotti così al minimo da essere
cancellati dai vantaggi, non si può pensare cosa sarebbe mai una nazione
sottoposta a tale regime, soppressa ogni difficoltà di cartiera,
butocratizzata Ja conquista della vita, scomparso ogni pericolo, ogni
ansia, ogni tensione. Non trovando nulla di vario nei suoi sirzili,
non tro- vando nulla di divertente nella sua esistenza logica, a
ore, a mansioni fisse, l'uomo socialista finirebbe col rientrare in
sé stesso. Cercare in sé l'interesse che il mondo non gli offre. Alla
forza di diffusione dei popoli geniali, si sostituirebbe quella di
egoismo egocentrico dei popoli cal colatori. Da simili mondi
la generosità fugge taccapricciata, non può distribuire i suoi insegnamenti
di grandezza: è come andare a vendere ombrelli in un paese dove non
piove mai — a che serve esser generosi con della gente che è tutto
misurato, tutto il necessario?... La morale che tali ambienti
possono produtre è ma- rale di egoismo e di vigliaccheria.
Noi opponiamo la morale della generosità, lucidamen- te affermata
da Balilla Pratella, quotidianamente da noi vissuta in una dedizione
senza calcolo, in una aderenza spontanea e intellipente alle tramutanti
necessità della Patria. Queste le tre ragioni fondamentali
che ci dividono dal socialismo — idea —: la astrazione filosofica e
inu- mana della formula, la sua azione di parificazione moni-
stica, la derivazione logica di antigenerosità = vigliac- cheria, egoismo. Altre
ragioni particolari ci sono, che ci porterebbero ad una disanima troppo
lunga — ragioni, del resto, che non sono specifiche della nostra
differenza dal socialismo, ma che possono essere anche di altri partiti.
Esempi: l'assurdità della soppressione dello Stato come potere cen-
trale, la sciocca concezione di una pace eterna, ecc. ecc. * o
* I socialisti italiani. Sono, indubbiamente, dei
buoni socialisti perché han- no già, in pieno regime borghese lo stadio
mentale senza calore e senza colore del socialista di domani. Non
sen- tiamo il bisogno di spenderci molte parole, né di pas- sarli
in rivista uno ad uno. Dirigenti: dittatura di vomini che hanno la
mira pre- cisa di diventare qualche cosa, un'autorità, una persona
importante. Non c'è tra loro neppure un mistico esaltato che interessi.
Calcolatori. Cinici. Seguaci: massa la cuì concezione più alta è
questa: bisogna distruggere il caroviveri. Gente che cerca di met-
tersi a posto. Invidia il horghese, quindi ha desiderio di divenire il
borghese. Le loto qualità principali sono:
inintelligenza: non hanno ancora capito che il sociali smo è diverso da
popolo a popolo: commerciale nel- l'America del Nord, conservatore
in Inghilterra, filosofico in Germania, mistico in Russia. Non hanno
capito che il socialismo in Italia può, caso mai, balzare dalle
nostre istituzioni rurali; inattualità: sano coerenti in una
maniera fantastica, tant'è vero che le idee invecchiano e loto seguitano
ad usarle. Credono d’essere all'avanguardia, e lo sono come il
gambero, il cui traguardo è sempre alle spalle, dietro:
vigliaccheria: oltre la vigliaccheria propria della idea hanno una
viltà tutta propria, personalissima, originale: inutile parlarne: chi
interviene ai comizi elettorali ne sa qualcosa. Il futurismo
è il mondo più lontano dal socialismo. 80 Il
futurismo è veramente il senso di una religione nuova, che si dirige alle
anime, agli spiriti, ai cervelli, e non si interessa del corpo che per
fortificarne i muscoli, farne strumento di agilità audacissime e di voluttà
sane. Generato dal cervello di un attista ha tutta l'umanità
di una idea italiana, sempre profumata di buona terra fer- tile anche
quando si esalti fino ai più puri orizzonti. Attività poliedrica,
il futurismo è lo sfruttamento com- pleto di tutte le penialità italiane,
manuali e cerebrali. Ridarà all'Italia i suoi magnifici artieri, maestri
d'ogni sotta di lavoro, come lo à dato e lo darà ai suoi artisti
più grandi. I suoi vomini non hanno deficienza: danno la loro vita in una
proteiforme attività prodigiosa. Poeti e soldati, sogno e vigilanza, idea
e azione. Non c’è possibilità di contatto tra la nostra
morale e quella socialista, tra i nostri uomini e i loro. E’
assurdo ogni pensiero di collaborazione. FUTURISMO CONTRO
SOCIALISMO. SEMPRE A QUALUNQUE COSTO! GiusePPE BOTTAI
{[da: Roma futurista.Noi e i borghesi Non una polemica, ma una
discussione calma e pa- cata. Polemica no, per non arrivare fino a quella
anima- zione un po’ acre e impetuosa, che annebbia le idee e deforma
la realtà. Ci tengo, a questa dichiarazione preliminare,
perché l'amico Mannarese, nel suo lucido articolo, pur mante-
nendosi in una linea di cortese serenità, devia in punta- tine ironiche,
che non èànno ragione di essere, se vera- 81
mente egli ci vuole aiutare, nella demarcazione esatta della nostra
individualità politica. Trovo ad esempio molto strano, per un
futurista, l'os- servarsi che la mia formula (adopto la parola
formula, per attenermi alla dizione dell'amico, per quanto essa ab-
bia un senso storico, che mi ripugna) abbia potuto rin- galluzzir di
saverchio, con la sua violenza: “futurismo con- tro sociglismo, sempre, a
qualungue costo” qualche buon borghesetto. Questo non mi preoccupa, e
direi, anzi non ci preoccupa. Noi esprimiamo liberamente le nostre
idee, le gettiamo nel mondo, tta la gente; e i casi sono due, come
sempre: o la gente non le capisce e allora non c’è nulla da fare: o le
capisce, le approva, ci si interessa, c le apprezza nel giusto valore, e
allora poco ci importa che tale gente sia proletaria o borghese, destra o
sinistra, e, anche, ambidestra. Noi non sosterremo mai,
com'un certo avvocatino di nostra conoscenza fece in una recente seduta
del Fascio di Combattimento romano, che la guerra ha distrutto agni
distinzione tra destra e sinistra; ma non vogliamo di tali logiche e
necessarie e salutari differenziazioni (?) fare il nostro spaventacchio.
Chè, pet questa via, si giunge alla grossolana affermazione di Adriano
Tilgher (Tempo, 7 dic., pag. 3, Piccoli borghesi al bivio): essere il
furore antisocialista degli atditi originato dall’appartenere
costo- ro, quasi tutti alle classi medie; e pensare che in parec-
chi mesi di convivenza con le fiamme nere mi son trovati attorno solo
contadini, operai, lavoratori-proletari! Prima caratteristica del
futurismo, è questa, libera, sciolta sfrenata spregiudicatezza: e se il
salumaio ci crede oggi difensori dei suoi salami, delle sue salsicce, poco
ma- le! ciò potrà darci la prova della sua minchioneria, non già
infirmate l’esattezza del grido « futurismo contro so- cialismo ».
Socialismo non è proletariato L’amico Mannarese fa
un’identificazione pericolosissi- ma, e non rispondente alla realtà
positiva dei fatti. Egli 82 pone sullo
stesso piano socialismo e proletariato, stabili- sce senz'altro questa
identità matematica: socialismo = pro- letariato. Ciò spiega
perché tanto si accanisca contto la finale del mio articolo. Alle parole
« contro socialismo, sempre a qualunque costo » è dato il valore di
un'affermazione di questo genere: « contro le aspirazioni del popolo,
contro i diritti dei poveri, ecc., ecc... ». Orta, mi ribello
assolutamente. Non in nome mio sol tanto, ma di tutti i futnristi, e
anche, di tutti i nostri amici fascisti. Distinguere
bisogna. Una cosa è quello che l'amico chiama: «/o sforzo
vio- lento, l’oscura irresistibile aspirazione della massa verso un
regime di maggior giustizia economica » e un'altra cosa è il socialismo.
Le aspirazioni proletatie sono fatto imma- nente, istintivo, fatale, non
pensato ma sorto da sé, il so- cialismo è uno dei tanti sistemi, i quali,
da che il mondo è mondo, si accaniscono sulla disparità di condizioni
delle classi. Se io mi pongo contro il socialismo o contro i
socia- listi, mi dichiaro contrario ad un sistema filosofico, giu-
ridico, economico, morale ed ai suoi sostenitori (filosofi, demagoghi e
procaccianti che siano), ma non è detto ch’io voglia attaccare l’oggetto
di tale sistema che è il prole- tariato. Non debbo, quindi,
rettificare in nulla la mia incri- minata frase, ch'era un grido, un
appello conclusivo del mio articolo, limitatosi ad una valutazione di
idee, e non aveva la pretesa d’essere un caposaldo, un domma, un
punto cardinale, ed altri simili paroloni che noi lasciamo agli oratori
da comizio. L'affermazione: « Noi non siamo contro il
socialismo, ma contro gli uomini, i metodi e la filosofia socialista
» del Mannarese è un non-senso, perché appunto: socialismo è flosofia
sostenuta da wormini con determinati metodi. Quella che il
Mannarese chiama sostanza (eh! queste parole che otribili titi
giuocavano, a volte) ossia: «la guerra per l'indipendenza economica dei
poveri contro i R3 ricchi » non è
privativa assoluta del socialismo, è solo l'obiettivo dei suoi studi, dei
suoi tentativi, come essa fu obbietto della favola di Menenio Agrippa, e
delle teorie di Fenelon, e della scuola di Saint Simon, e del
sistema di Grace Baboeuf e Roberto Qwen, e così pure della filosofia di
Marx ed Engels. Anche il nazionalismo, anche il partito popolare, tutti
anno affermazioni solenni: « qui è l'unico infallibile specifico per il
dolore del po- palo » e io posso essere contro questi modi da cerratani
senza mai essere né contro il popolo né contro le sue sacre e legittime
aspirazioni economiche I programmi economici
All'amico Mannarese è forse sfuggito nel mio articolo questo periodo: «
Un piano eguale di esistenza, una di- stribuzione armonica di beni, una
soppressione assoluta di privilegi ma su questo livellamento di
condizioni mate- viali l’esplicarsi diverso, individualissimo delle
singole ca- pacità ». Qui, evidentemente, si dice: «
noi passiamo essere d'accordo nelle finalità economiche del socialismo ».
Quelle tre proposizioni del programma politico futurista di Ma-
tinetti, Carli e Sertimelli, che il Mannarese dice troppo generiche, anno
il merito di poter domani assorbire in sé, senza contrasto, qualunque
ardimento consono allo spi- rito dei tempi. Hanno
un’intenzione pragmatista, che non deve sfug- gite. Il
programma di riforme economiche, lanciato ai po- poli come panacèa, è
cosa vecchia di tutti i tempi e di tutte le genti. Ogni scuola politica è
per prima cosa inal- berata questa insegna molto attraente. Tutti i
programmi ben definiti, schematizzati, rigidi, anno sempre atteso,
con grande pazienza, che le cose del mando si incanalas- sero ne’
fossati, canali e zenelle da loro tracciati, ma le cose del mondo anno
dimostrato, a lume di storia, di procedere per via di approssimazioni
successive, le quali avvengono non già pet magnetizzazione esetcitata cai
suddetti programmi, ma per madificazioni addotte, nel blocco
fisiopsicologico di una collettività, dal sistema di educa- zione, dalle
idee di morale circolanti, dalla rinnovatasi coscienza
giuridico-sociale. Se oggi, per ragioni ovvie, il problema
economico è venuto in primo piano, non bisogna dimenticare che la
parte veramente essenziale di un sistema politico non è già il disegno di
un futura assestamento economico, ma è il metodo con cui saprà,
attraverso uno studio positivo dello stato presente e dei caratteri
permanenti della so- cietà in genere (meglio ancora di una data parte di
so- cietà) creare tutt'un’atmosfera spirituale intellettuale psi-
cologica, che renda possibile l’attuazione di quel dato or- dinamento
economico, che nel momento è bene limitarsi a definire
desiderabile. I socialisti italiani sanno che il popolo italiano
non à neppure iniziata l'evoluzione sociale che permetta l’av-
vento, ad esempio, del comunismo. Ora essi, scavalcando completamente
ogni lavoro di educazione, sventagliano i loro proclami di rivendicazioni
economiche. Il popolo risponde, è naturale: è Bengodi con i suoi
meravigliosi panorami. Ma ciò non significa aver creata una società
comunista, come non è fare un signore aristocratico d'un villanzone
qualsiasi il riempirgli le tasche di denaro. Sotto il punto di
vista della potenzialità vera di un partito il valore di tali programmi è
nullo. Hanno un valore pratico di specchietto per gli allocchi, e se
l'amico Mannarese ci avesse detto che, abbondando gli allocchi, è
bene ch’anche noi abbiamo il nostro specchietto, gli avremmo dato piena
ragione. Il nuovo imperialismo Non ci deve, quindi,
affligere di soverchio, la man- canza di formulazioni teoriche, di
programmi economici. Noi futuristi non siamo mai stati assenti quando
questio- ni positive siano in tal senso nate. Né il trionfo
socialista deve farci perder la resta così da correr subito ai
ripari. No. La nostra posizione è netta, e possiamo guardarci
85 tranquillamente intorno: il germe della morte del
socia- lismo è appunto localizzato nel suo sistema di rivendica-
zioni economiche, aggravato dal fatto di essete così iso- lato da ogni
altra considerazione d'ordine superiore da divenire il segno folle di un
nuovo imperialismo. Non è possibile nessun contatto tra due
sistemi così opposti come sono quello socialista e quello
futurista. E’ l’anima differente. E' il cervello
diverso. Se anche noi potessimo conglobare per intero nel
no- stro ordine di idee ogni aspirazione economica del socia-
lismo, rimarrebbe la differenza profonda, incancellabile di indole, di
origine e di finalità. Noi siamo per l'elevazione del popolo, e non
pet l’as- solutismo demagogico di essa. Tirando le
somme E riassumiamo, perché la discussione non rimanga uno
sterile battibecco. L'amico Mannarese m’à offerto il modo di delineare
meglio la nostra situazione innanzi al socia. lismo: 1)
posizione di ostilità per indole spirituale diversa; 2) possibile
comunanza di vedute economiche: il che non implica nessuna fusione;
3) condivisione di alcune idee (come ad esempio il divorzio ecc.
ecc.) che non sono prerogativa socialista, € che non possono, quindi,
render omogenee due sostanze diverse. CONTRO IL SOCIALISMO NON VUOL
DIRE CONTRO IL PROLETARIATO. GiusePPE BOTTAI [da:
Roma futurista, 21 dicembre 1919] La lentezza delle democrazie, le
pastoie burocrati che dei procedimenti parlamentari. il vecchiume
paro- laio dei barbuti senatori non possono essere ben visti dai
futuristi. La velocità, il dinamismo, la lotta, la competizione, l’azione
mal si addicono agli organismi pingui e sclerotici delle democrazie,
quella italiana in particolare. Già nel 1910 Marinetti lo mette in
rilie- vo ed indica nel suo manifesto «Contro l'amore e 3
parlamentarismo », sintomo ed espressione di questa sua antipatia e di
guesta sua avversione Persino l'amo- re e le donne in senso romantico
sono indici e stru menti di « rallentamento », e come tali da evitare
tran- ne che per una loro ben precisa ed organica funzione vitale.
Le donne andrebbero invece bene pei parlamen ti, dove dovrebbero entrare
con le loro chiacchiere e la loro prodigiosa e altisonante facoltà di
falsificazione. Ma non è solo Marinetti a inveire contro il
parla mentarismo: c'è Tavolato che uddirittura « bestemmia contro
la democrazia » in un suo articolo apparso con questo titolo su Lacerba
del 1° febbraio 1914, ricco di espressione e carico di colore linguistico
e letterario. I 30 dicembre dello stesso anno un altro futurista,
Volt, tuona dalle colonne di Roma fututista: Abolia- mo il parlamento! In
sua sostituzione si propongonna le rappresentanze dei sindacati per la
formazione dello «Stato tecnico » futurista. E si entra nel merito
della personalità giuridica dei sindacati e della loro forza rap-
presentativa in base all'importanza della loro funzione economica. Non in
base numerica, per cui si rientrereb- be nella concezione
democratico-parlamentare. Non più onorevoli quindi sulle assise delle due
camere, ma la- voratori. E sono tutti concetti che ritroveremo
nella concezione corporativa fascista e nella suu Carta del
Lavoro Dopo la guerra Marinetti intervtene su Roma futu-
rista mel maggio del '19 per ribadire la sua.« concezione futurista della
democrazia », come s'intitola il suo scrit- to, che era già apparso um
mese prima, più 0 mena analogo, su L'Ardito. Vi si sostiene la democrazia
tipi camente italiana dei geni: una sorta di minoranze di individui
superiori alla media, destinati a entrare. in competizione con le altre,
definite democrazie incoscien- li, come prodotta numerico « d’inetti e di
sconclusiona- ti». La forza della nuova democrazia dovrà essere na-
turdimente violentissima data l'accelerazione e il ren dimento degli
individui geniali. La sua « conclusione » sarà logica e conseguenziale: «
La democrazia futurista è ormai pronta ad agire, poiché sente vibrare
tutte le sue cellule vive ». L'azione sarà condotta da Mussolini,
ma il presupposto è già comunque e totalmente presente.
BESTEMMIA CONTRO LA DEMOCRAZIA Tre spanne sotto il cervello io
nutto un odio, un odio contro la presunzione del lavoro, un odio contro
il puzzo cosciente, un odio contro l’imbecillita evoluta. Tre
spanne sotto il cervello si spenge ogni polemica. I de- mocretini
rinunzino alla discussione. I democretini s’ada- gino sopra i loro luoghi
comuni, perché il mio piede pos- sa calpestarli. Via, batbe
comiziesche che mi nascondete il sole. Via, mani a ventola e cravatte a
bandiera. Fermati, passo de- mocratico sotto cui trema la terra offesa.
Arrestatevi, la- mentele filamentose, voci incristianare, zuccherose
o pe- pate. Via, spade di legno, trombe sfiatate, via,
inesistenti barricate. Smontate, uomini di paglia, uomini di stoppa
uomini di cartastraccia. Nascondetevi, ceffi di cera, ma- scheratevi,
faccie rinfisecchite, sparite, ghigne insolenti. Sgonfiate, protobischeri
pastori di popolo. Aria ci vuole, e luce e calore e solidità, o anima
mia. Abbasso la de- mocrazia! Fumano d'orgoglio, le gran fave. Fumano,
questi strac- cioni e stronzoni, questi mangiasputi e fiutarutti,
questi tinconi, questi turabuchi, questi scotticapidocchi, questi
merdaioli, questi caconi, questi galoppini, questi pagnot- tisti, questi
biasciconi, questi lumaconi, questi minchioni, questi balordi gonzi e
gralli, questi coglioni appuzzoni e cittulli, questi sussurroni
caccoloni, questi satraponi vir- tuosoni. Già tutto il paese fuma,
smerdata com'è da que- ste pecore matte. Pulizia, pulizia, pulizia!
Abbasso la de- mocrazia! Bischeri sollevatissimi, bischeri
smargiassi, bischeri ventosi, bischeri girandoloni, bischeri soppiattoni,
bische- ri politicanti, bischeri economicizzanti, bischeri vani,
bi- scheri solenni, bischeri tronfi, bischeri crespi, bischeri cal.
losi, bischeri pensosi, bischeti pacifisti, bischeri leghisti, bischeri
classisti, bischeri marxisti, bischeti riformisti, bi- scheri
collettivisti, bischeri revisionisti, bischeti comunisti, bischeri
credenti, bischeri fetenti, bischeri ufficiali, bische- ri legali,
bischeri di cartapecora, bischeri del braccio, bi- scheri del cervello,
bischeri antilibici, bischeri internazio- nalisti, bischeri democratici —
BISCHERI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI! La vostra individualità non ha
importanza. Unitevi! Amalgamatevi! Confondetevi in mel- ma! Anche la
melma dei bischeri, come ogni melma, s'in- crosterà. E sotto le croste ci
sarà il gelo della morte. Così sia. Abbasso la democrazia!
Accidenti alla democrazia, impero delle bestie da so- ma, regno degli
schiavi, padronanza dei servi, supremazia degli impiegati! Democrazia,
sostegno degli sfiaccolati, trionfo dei cimiciosi, glotia dei piattolosi,
arma dei bro- dolosi; democrazia, orchestra di miasmi, concerto di
sputi, convegno di sudori, sistema di muffe; democrazia, vitto- ria
dei muscoli e disfatta dei nervi, esautorazione dell’arte e imposizione
del mestiere, vita del debole e agonia del forte; lurida, sudicia, tetra
democrazia, cloaca dove affo- gano fantasia, ingegno, energia, e tutte le
soavità; pro- terva asineria, fessa stivaletia: abbasso la
democrazia! E rovini Ia mediocrità! Fuoco al tugurio
dei democretini! I democretini è la lanterne! La
libertà soltanto a chi sa cosa farsene, a chi sa vi- verla.
Agli altri il giogo, la sferza e la schiavitù. EVVIVA LA FORCA, o
amici, per la libertà vostra e per la libertà mia! ABBASSO
LA DEMOCRAZIA. TAVOLATO [da: Lacerba,Firenze] Aboliamo
pure il Parlamento — si domandano mol- îi — ma cosa metteremo al suo
posto? La risposta è pronta. Soszituiremo til Parlamento con
le rappresentanze dei sindacati agricoli industriali ed ope- rai.
La rappresentanza sindacale sarà la base dello « Stato tecnico »
futurista. AI « collegio » elettorale, circoscrizione fittizia ed
ar- bitraria, entità che sembra creata apposta per l'esercizio del
broglio, sostituiremo il sindacato, espressione organica delle forze
economiche che danno effettivamente forma alla società. AI posto dell’«
onorevole » deputato, dema- gogo costretto all’accattonaggio sistematico
del voto e feu- datario di una nuova feudalità peggiore dell'antica,
man- deremo a governare il paese ingegneri, commercianti ed operai,
gente che sa il suo mestiere e conosce i bisogni reali della propria
classe. Invece di un’Assemblea di in- ttiganti, di chiacchieroni e di
incompetenti, avremo un corpo tecnico adatto allo scopo di dirigere, con
conoscen- za di causa, la grande azienda dello Stato. In
pratica l'idea della rappresentanza sindacale si tro- va di fronte a
difficoltà serie ma non insopportabili. Vati problemi ci si
presentano. 1) A quali sindacati concederà lo Stato la
personalità politica? Si tratterà di determinare le categorie di
pto- duttori che avranno diritto a una rappresentanza nel corpo
legislativo. L'iscrizione ai sindacati sarà obbligatoria per tutti
i cittadini? A me sembta che sia più logico lasciare che esercitino i
diritti politici coloro che ne hanno la volontà e coscienza.
Coloro che resteranno volontariamente fuori dei sin. dacati
cortisponderanno in parte alle masse degli astenuti nelle odierne
elezioni a suffragio universale. In base a quale criterio si misurerà il
numero di voti da attribuirsi a ciascuna categoria di sindacati? E’
la questione più scottante. Il criterio più semplice è quello
numerico. Ma così si ricade nell'atomismo individualistico del suffragio
universale. Io credo che non si debba tener conto del numero
degli iscritti al sindacato, ma della importanza della fun- zione
economica che esso esercita nel Paese. Quindi un sindacato di industriali
metallurgici avrà una rappresen- tanza eguale a quella di un sindacato di
lavoratori del ferro benché questi ultimi siano molto più numerosi.
E ciò perché l’importanza delle due funzioni si con- trobilancerà
nell'economia nazionale. L'amico Settimelli dirà che questo è un
criterio poco democratico. Me ne infischio. 4) Quali saranno
i limiti posti all'esercizio del potere dell'assemblea eletta mediante la
rappresentanza sindacale? La competenza dell'assemblea dovrà essere
limitata alle questioni prevalentemente economiche, che sono del
resto le più importanti in politica. Le questioni di
famiglia, di politica estera ecc. dovran- no esser risolte in parte
mediante il « referendum » popo- lare diretto ed in parte
attribuite alla competenza del po- rere esecutivo. Non ho
fatro che accennare le principali questioni. In- vito tutti i giovani
futuristi ad inviarmi le loro soluzioni ai quattro problemi che ho posta,
senza avere la pretesa di risolverli definitivamente. Ma mi sembra che la
que- stione sia matura per lo studio. E poi per noi futuristi «
studio » deve significare già un principio di esecuzione. E’ l’ora di
finirla col Parlamento. Abbiamo fatto la guerra senza bisogno del
Parlamento. Senza il Parlamento sapre- mo fare la pace. E' ora di
sbarazzare l’Italia dalle 508 incompetenze che spadroneggiano a
Montecitorio. VOLT [da: Roma futurista, DEMOCRAZIA
FUTURISTA L’orgoglio italiano non deve essere, non è
imperialismo che spera imporre industrie, accaparrare commerci,
inon- dare di prodotti agricoli. Nai difettiamo di materie prime, e
siamo una potenza di ricchezza agricola mediocre. Il nostro
orgoglio italiano è basato sulla superiorità nostta come quantità enorme
di individui geniali. Voglia- mo dunque creare una vera democrazia
cosciente e audace che sia la valutazione e Ja esaltazione del numero
poiché avrà il maggior numero di individui geniali. L’Italia
rappresenta nel mondo una specie di minoran- za genialissima tutta
costruita di individui superioti alla media umana per forza creatrice
innovatrice improvvisatri- ce. Questa democrazia entrerà naturalmente in
competizio- ne con la maggioranza formata dalle altre nazioni, per
le quali il numero significa invece massa più o meno cieca, cioè
democrazia incosciente. Su 1000 slavi vi sono due o tre individui.
L'ultima fulminea nostra vittoria ha dimostrato che non vi è
gruppo di italiani (20, 30 o 40) che non contenga al- meno 10 o 15
individui capaci di iniziativa e di direttiva personale
Abbiamo ancora da sgombrare e da bonificare le zone morte
dell’analfabetismo. Questo compito molto arduo con un nemico minaccio- so
alle porte è oggi compito facile e senza pericoli per la unità e
indipendenza nazionale. Nazione ricca di individui geniali,
democrazia intelli- gentissima. Quantità di personalità tipiche, massa di
tipi unici, democrazia che non vuole imporsi bancariamente,
industrialmente, colonialmente, ma può e deve dominare il mondo e
dirigerlo con la sua maggiore potenzialità ed altezza di luce.
Noi crediamo che l'ora è venuta di tentare tutte le ri- voluzioni
per liberare il popolo italiano da tutti i pesi morti e da tutti i ceppi
(matrimonio e famiglia Cattolica soffocatrice, pedantismo professorale,
elettoralismo, menta- lità pessimistica, provinciale mediocrista e
quietista). Liberata dal giogo della vecchia famiglia
tradizionale, dal dogma dell'anzianità, l'Italia manifesterà finalmente
la sua potenza di 40 milioni d’individui italiani tutti intelli-
genti e capaci di autonomia. Concezione assolutamente apposta alla
cretinissima concezione germanofila che voleva svalutare i 40 milioni di
individui italiani per organizzarli meccanicamente. Su]
palcoscenico della razza italiana dobbiamo mette- re in luce 40 milioni
di ruoli diversi perché in questa luce possa perfettamente svolgersi il
valore tipico d'ognuno.(Censura) Noi non abbiamo la nevrastenica pigrizia,
la neghittosi- tà, il misticismo, il boiantismo ideologico, l’ossessione
teo- rificatrice della Russia. Siamo pieni di senso pratico, di
tenacia costruttrice, di ingeniosità inesauribile, di eroismo bene
impiegato. Possiamo dunque dare tutti i diritti di fare c disfare al
numero, alla quantità, alla massa poiché da noi numero quantità e massa
non saranno mai come in Germa- nia e in Russia numero quantità o massa
d’inetti e di sconclu- sionati, Arturo Labriola definisce la
democrazia « come senti. mento dei diritti concreti della massa sullo
Stato e sulla Economia ». Noi futuristi consideriamo la
democrazia non in astrat- to ma bensì la « democrazia italiana ».
Parlare di democrazia in astratto è fare della retorica. Vi sono
numerose democrazie, ogni razza ha la sua de- mocrazia, come ogni razza
ba il suo femminismo. Noi intendiamo la democrazia italiana come
massa di individui geniali, divenuta perciò facilmente cosciente
del suo diritto e naturalmente plasmatrice del suo divenire
statale.La sua forza è fatta di questo diritto acquisito, molti- plicata
dalla sua quantità valore, meno il peso delle cellule malate (incoscienti,
analfabeti). La democrazia italiana è per noi un corpo umano che
bisognerà liberare, scatenare, alleggerire, per accelerarne la velocità e
centuplicarne il rendimento. La democrazia italiana si trova oggi
nell'ambiente più favorevole al suo sviluppo. Ambiente di rivoluzione-guerra
nel quale è costretta a risolvere tutti i suoi casi-problemi insoluti, le
cui soluzioni possono esercitare una influenza sul suo avvenire.
Necessità igienica di continua ginnastica trasformattice, improvvisatrice.
Il governo si allarma oggi nel vedere formarsi innume- revoli
associazioni di combattenti. Se non fosse un governo di miopi reazionari
tremanti di paura accaglierebbe favo. revolmente questo nuovo ritorno di
vitalità italiana. La guerra ha semplicemente svegliate le
coscienze di 4 o 5 milioni di italiani che tornano oggi dalla guerra,
atric- chiti di una personalità politica. E’ la prima volta
nella storia che più di quattro mi. ltoni di cittadini di una nazione
hanno Ja fortuna di subire in soli 4 anni un'educazione intensiva e
completa con le- zioni di fuoco, di eroismo e di morte.
Spettacolo meraviglioso di tutto un esercito partito per la
guetra quasi incosciente e ritornato politico e degno di governare.
La democrazia futurista è ormai pronta ad agire, poiché sente
vibrare tutte le sue cellule vive. Naturalmente ha un bisogno
urgente di spalancare le porte e di uscire all’aperto. I) governo si
allarma, reprime e trema, come la nonna leggendaria teme che il nipotino
pigli un raffreddore. Fuori l’aria è frizzante e salubre. Il sole,
spalancato, be- ve il mare di liquido quasi solido saporito azzurro,
tutto spumante di raggi, tutto da bere fino all'ultimo sotso.
F.T. MARINETTI fda: Roma futurista, un EMILIO
SETTIMELLI F. T. MARINETTI FUTURISMO E PRIMO FASCISMO
Emilio Settimelli commenta il Congresso di Firenze su 1 nemici
d'Italia (« settimanale antibolscevico diret to da Armando Mazza ») del
10 ottobre del 1919. I discorso di Meorinetti al congresso apparirà su
L'Ardito del 26 ottobre dello stesso anno, ma era già apparso tre
giorni prima su I nemici d’Italia (23 ottobre). Del discorso e della
«necessità dello svaticanamento » ab- biamo già parlato. Ma si
postula anche l'ipotesi di un eccilatorio di giovanissimi capaci di
sostituire il semato dei vecchi, ormai da abolire. Al suo posto un
«consi glio tecnico » andrebbe sollecitato e stimolato da gio vani
sotto i trent'anni, a moto continuo Si parla poi di un
proletariato dei geniali, quello degli artisti d’Italia, più o meno a
nascosti od esclusi », che andrebbero favoriti o promossi da iniziative
pub. bliche atte all'aiuto della loro espressione. L'origine della
proposta da parte di una «mente d'artista » ri. sulta evidente. Marinetti
è definito, al caso, « ardito della poesia». La definizione è sempre di
Settimeth, che sostiene inoltre Marinetti sia «uscito » dal Con
gresso in «trinonmio» con Mussolini e D'Annunzio. quello del « dopo Fiume
»: un'alleanza politica mei fino ad allora verificatasi. Ed
è ancora Settimelli, a questo proposito, a inneg- giare ai due personaggi
(Marinetti e Mussolini) in un suo scritto, già pubblicato su I nemici
d'Italia # 4 set tembre 1919. Lo riportiamo perché ci sembra
significa tivo di un legame e di un rapporto. Non è vero che l'arte
debba essere estranea alla politica, vi si sostiene. Anzi, è proprio
l'artista a darle una sua interpretazione od un suo connotato, un suo
«travestimento », od usa sua immagine fanto più nuova, quanto più
ardimentose ed « ardita». Mussolini è stato capace di recepirlo, e
il fascismo è un fenomeno nuovo praprin per questo, e
d'avanguardia. La tesi di Settimelli è tipica del «futurismo
delle origini » o classica di un momento rivoluzionario, 0 di
rinnovamento. Ma anche Armando Mazza pubblica un «fondo » il 30 Ottobre
dello stesso anno sulla mede- sima testata (I nemici d'Italia).
L'articolo non è fir- mato, ma è inserito sotto il titolo a quattro
colonne: Fascisti, a noi!, con un commento alle prospettive elet-
torali, un trafiletto in commemorazione della vittoria nella’ ricorrenza
annuale, e una colonna intestata: Ciò che ci divide. Vi si spiegano 1
motivi di disaccordo e distacco da tutte le altre forze politiche, quelle
ew-neu traliste e quelle del passatisma MUSSOLINI E IL
FASCISMO Pensare col proprio cervello originale, liberare
comple- tamente il proprio temperamento, essere gli annunciatori e
i fondatori di una nuova mentalità: sofferenza di tutti i momenti.
Mantenere la provria posizione di avanguardia, è cosa da
giganti. Parteciparvi per qualche tempo è da tutti. À
un certo momento rimani quasi solo: la gran parte degli amici si arrende,
brutta e spregevole nella sua viltà mascherata di scetticismo, oppure non
crede più, sopraf- fatta dalla vecchia e comoda mentalità. Disertano,
perdono ogni ritegno, ti attaccano. Si vendicano di averli resi —
sia pure per un anno — intelligenti, credono di poter me- nomare la
saldezza del tuo accizio, ti fanno recedere con i loro atteggiamenti di
commendatoria superiorità: cafoni ad- domesticati, provinciali
inguaribili. Vivi in un ambiente pericoloso e stancante perché
sen- ti che è creato per l’« altra gente »1 mediocre, podagrosa.
Ti urti della continua ostilità. Ti trovi dinanzi ad un
avversario senza spirito, mono- tono, insistente. Un
avversario indegno che ha la bruttezza goffa del rinoceronte e il
rompiscatolismo della zanzara. Hai delle donne. Tentano di tutto
per convincerle a rinsavire e ti denigrano in mille modi cercando di
portarle a qualche mediocre ronzino o a qualche nobilissimo eunuco
lucroso 0 decorativo. Lavori. Il tuo lavoro ba sempre qualche parte
che esorbita. Mai delle amicizie, ti seguono fino ad nn certo
punto. Non possono capirti a fondo. Sei fatto per un mondo di eroismo,
di forza, di bellez- za, di temerità. Le tue grandi ali t’impediscono di
cammi- nare come il gabbiano di Baudelaire. (eTe)
Tutto questo è atroce, ma di colpo una vittoria ti ripaga di
tutto. Aver avuto ragione, aver visto lontano, aver costruito
un nuovo pezzo della vita, sia pure un piccolo pezzo, avere anche per un
attimo e per un millimetro contribuito allo allargamento del mondo ti fa
vibrare per la gioia dei ver- tici. Oggi ho questa gioia e
la divido con quei pochi che da dieci anni lavorano con me alla
formazione di un am- biente intellettuale italiano libero dai professori,
dai tradi. zionali, dai gottosi (non alludo ai seguaci del
romanziere Salvator!). E Ia nostra gioia diviene frenetica quando
constatiamo che da un'altra parte, dalla politica ci veniva incontro
un uomo formidabile, nuovo come noi, libero come noi. E' la gioia
dei minatori che s'incontrano finalmente dopo aver forata la montagna. Un
«evviva », una manata di terra sulle facce ebbre, sopra i sudori riganti
e una stretia di mano che è una prova del cuore e dei garretti.
Mentre con Marinetti e con gli altri amici lavoravamo il campo
artistico, dall'altro si muoveva Mussolini lavo- rando il campo politico.
Ci dovevamo incontrare. Un gi- gante questo magnifico Mussolini! Con la
forza ma anche col peso di un grande ingegno, di un'anima vasta, di
un temperamento spaccafore, figlio di un fabbro ferraio si tira su
a suon di muscoli, di ingegno e di fegato. Supera la più massacrante
battaglia: quella contro la miseria, quella che non potrà mai esser
capita da chi non l’ha provata. Chi è nato ricco non potrà mai essere
completamente den- tro la realtà e non avrà mai il collaudo delle sue
energie. Domina le folle, organizza, sbaraglia Turati, Treves, Rai-
mondo. Galvanizza il partito socialista. Scoppia la guerra, capisce che
la neutralità sarebbe contro il socialismo € per il medioevo autocratico.
Tenta di persuadere. I mediocri ne approfittano per liberarsi della sua
grandezza. Si forma la imbecillocrazia dell’Avanzi! Mussolini lascia il
partito che rimane acefalo e si divincola in movimenti balordi e
vili. Intanto i piedi ridono soddisfatti per essersi liberati della
100 testa. Nasce così il Popolo d'Italia. Il primo
quotidiano veramente moderno e veramente italiano. Un ritrovo di
energie vive, spregiudicate, temerarie. Il lievito di questo buon pane
italiano nato dalla guerra. In esso tutti i vivi si incontrano:
Futurismo, Arditismo, D'Annunzio. E' una punta sensibile e perforante, è
l'effervescenza della grande coppia italica, è il primo nucleo per una
Italia nuova. Ma il quotidiano non basta a Mussolini. Uomo
d'azio- ne ha bisogno di concretare, vuol raccogliere ciò che semi-
na giornalmente. Nasce il fascismo. Fenomeno degno della più grande
ammirazione e del più appassionante esame. Più che un partito è una
mentalità. Non si basa sulla promessa di un certo paradiso futuro, si
muove problematicamente passo per passo alternando transigenza a
intransigenza, idealismo a realtà, arte a pratica concreta. Gli avversari
del Fascismo sono le vecchie anime che marciano solo dietro
promesse iperboliche e utopistiche, che scambiano incoe- renza con
duttilità, che non vivono dentro la vita vera e vibrante, ma fra gli
schemi arrugginiti di una mentalità libera. TI Fascismo
raccoglie gli italiani più intelligenti e più moderni con la sua ferrea
ossatura di concretamento fa- sciato da una atmosfera di sensibilità, di
cordialità idea- listica, di eleganza e di colore. Rende possibile la
politica anche per i temperamenti più contrari ad essa. Per esem-
pio gli artisti e gli ironici. L'Italia abbonda di artisti e di ironici,
anzi essi formano la sua parte migliore, intellettual. mente.
Mussolini ha avuto il grande pregio di creare un’atmo- sfera
politica che non ripugna a questi scelti, a questi « mi. gliori ».
L'intelligenza disinteressata si allontana dalla politica quando
essa s'imperna sulla falsa promessa di un paradiso certo, sul settarismo,
sulla gretteria animale. Si sta preparando in Italia quella
rinascita totale, ba- sata sull’arte che tra le più feroci ironie e gli
scetticismi più assoluti amnnunciai nella « Inchiesta sulla vita italiana
». SETTIMELLI (da: 1 nemici d'Italia, Milano, SOGNO UN
GOVERNO DI TECNICI, ECCITATO DA UN'ASSEMBLEA » Cari
Fascisti! Cari Arditi! V'invito ad acclamare un valoroso fascista
assente, che sarebbe qui con noi se il Governo anti-italiano di Nitti
non l’avesse condannato a tre mesi di fortezza Mario Carli,
(Grida unanimi di: Viva Mario Carli! e applausi). Il futurista
Mario Carli è sfuggito alla polizia di Al- bricci e gode l'atmosfera
igienica di Fiume italiana. Ha brillato così una volta di più
l'elasticità veramente futu- rista di questo poeta che sa tutti i viaggi
più pericolosi dello spirito, le esplorazioni più sottili della
psicologia, i razzi più colorati ed anche la strategia delle strade
in tumulto e il governo delle assemblee popolari. A Mario Carli,
poeta delle Notti filtrate, si deve la fondazione del Fascio di
combattimento romano, e, insieme con Setti- melli, del Partito politico
futurista, e del giornale Rome futurista. Egli capeggiò tutte le
dimostrazioni violente per Fiume italiana, per la Dalmazia italiana e per
la difesa della vittoria, contro il bolscevismo rosso e nero,
rinun- ciatario e nittiano. V'invito a gridare ancora: Viva il fu-
turista Mario Carli! (Quazione, applausi). Lo «svaticanamento
». Io approvo incondizionatamente, in nome del futuri smo e
dei futuristi italiani, tutto il programma dei Fasci di combattimento,
che vi è stato esposto dal mio amico Fabbri. Trovo però in questo
programma delle lacune gravi, sulle quali richiamo tutta la vostra
attenzione. Fascisti! Non c'è maggior pericolo, per l’Italia, del
pe- ricolo nero. Il popolo italiano, che ha saputo osare, vo- lere
e compiere l’immane sforzo eroico e vittorioso della 102
grande guerra, decidendo, con la sua vittoria, la vittoria del
futurismo elastico, geniale, sul passatismo teutonico, cubico e
professorale, fallirebbe alla sua missione se non sapesse energicamente
liberare la bella penisola, agile e palpitante di vita, dalla lue mortale
del papato. Noi dob- biamo domandare, volere, imporre, l'espulsione del papato,
o meglio ancora, per usare una espressione più precisa, lo «
svaticanamento ». (Applausi, ovazione) L'« Eccitatorio ».
Continuando nell'analisi del Programma dei Fasci di combattimento,
trovo l'abolizione del Senato, al quale si sostituirebbe un Consiglio
nazionale tecnico. Ebbene: io vi dichiaro che il concetto di tecnicità è
importantissimo, ma non basta. Il Senato rappresenta nella storia dei
po- poli un costante ossequio alla saggezza dei vecchi, chiama- ti
intorno al potere per frenarlo, maturarne i propositi, dirigerne le
decisioni. La concezione del Senato, simile a quella del coro nella
tragedia greca, ha singolarmente appesantito, imbrogliato, buroctatizzato
e ritardato il pro- gresso spirituale e materiale delle razze.
I legislatori hanno sempre sognato di frenare il pote- re del
Governo. Essi ignoravano dunque che potere si- gnifica frenare. Essi
ignaravano che un Governo è sem- pre più o meno un carabiniere. Nulla di
più assurdo che il porre un carabiniere a sorvegliarne un altro.
Mettiamo: gli al fianco, piuttosto, un sovversivo, un rivoltoso, un
eccitante. Ed ecco nata la concezione dell’Eccitatorio, or- gano
animatore, semplificatore e acceleratore, che in una razza come la
nostta, piena di precoci geniali, sarà Ja mi- glior difesa della gioventù
e la migliore garanzia del pro- gresso e di alta spiritualità. Io sogno
in Italia un Gover- no di tecnici eccitato da un’assemblea di
giovanissimi, al posto dell’attuale Parlamento di oratori incompetenti
€ di dotti invalidi, che si fa moderare da un Senato di mo-
ribondi. Il Consiglio tecnico che rimpiazzerà il Senato dovrà
dunque essere composto di giovanissimi, non ancora tren. 103
tenni. Insisto su ciò, poiché in Italia si usa invitare i gio-
vani al potere e si considera poi virile e giovanissimo un uomo di 55
anni. Salandra grida: Avanti i giovani! Ma tutti con lui temono i
giovani, mettono in quarantena un quarantenne come un coleroso, un
cinquantenne come un dinamitardo, e considerano un sessantenne come un
au- dace quasi maturo per il governo d’Italia!.. Occorre un
Eccitatorio di giovanissimi, per evitare un Consiglio tecnico di vecchi,
che dopo aver tenuto inuti- lizzato per molto rempo il loro ingegno
tecnico non san- no più che tecnicamente morire. La vita
italiana si riduce ancora ad una convivenza cretina di quadri d'antenati
senza autorità e senza presti- gio, che spandono intorno, in una penombra
tediosa, pes- simisino, pedantismo, austerità professorale, verbalismo
pa- triottico e polvere di Roma antica, e in mezzo ai quali si
aggira sporca, taccagna, provinciale, brindellona, la ser- vaccia che fa
tutto male, tiene malissimo la casa, non vuo! migliorare nulla, perde la
giornata a verificare i con- ti di cucina, ha sempre paura di spendere e
di rovinarsi, ed è tronfia perché sa fare una minestra non troppo
sa- lata che costa poco. T quadri d’antenati si chiamano
Boselli e Salandra: la servaccia si chiama Giolitti o Nitti.
(Quazione) Contro i quadri d'antenati e la servaccia, poi
propo siamo un eccitatorio di studenti e di Arditi futuristi.
Arditismo. — Scuole di coraggio fisico e patriottismo. Una
terza lacuna io trovo nel programma dei Fasci di combattimento, e riguarda
la scuola. L'amico futuri sta Fabbri ha precisato genialmente la grande e
necessa ria riforma completa della scuola. To credo petò che
tutto si potrebbe ottenere, e forse anche un al di là meraviglioso che
superi il tutto sogna. ta, mediante un'imposizione assolutamente ferrea,
dirò meglio feroce, della ginnastica nelle scuole. Si deve
giungere anche presto, oltre che a tutte le for- me d'insegnamento
pratico e tecnico, nelle officine e nei 104 campi,
alle scuole viaggianti, 0, per meglio dire, viaggi d'istruzione, e a dei
veri corsi o scuole di coraggio fisico e di patriottismo.
Bisogna ogni giorno, nella giocondità di una vita al- l'aria
aperta, con un predominio assoluto del giuoco sul- la lettura, parlare
dell'Italia divina ai ragazzi italiani, in- segnare loro, accanitamente,
il coraggio fisico e il disprez- zo del pericolo, e premiare dovunque
l'audacia temeraria e l'eroismo. Le scuole di coraggio fisico
e di patriottismo devono rimpiazzare nelle scuole gli oramai preistorici e
troglodi. tici corsi di greco e di latino. Noi futuristi
siamo convinti di preparare così quel tipo di cittadino eroico che saprà
difendersi da sè, vera- mente capace di libero pensiero e di libero
cazzotto, e che renderà assolutamente inutile l'esistenza delle
polizie, delle questure. dei carabinieri e dei preti.
Ferruccio Vecchi. Il mio amico futurista Mario Carli, capitano
degli Ar- diti, e il capitano Vecchi, capi dell'Associazione degli
Ar- diti, hanno sentito come me, nascere dal futurismo e dal- la
guerra, l'Arditiswo, nuova sensibilità di patriottismo e- roico e
rivoluzionario. ]l giornale L'Ardito, diretto dal capitano Vecchi, il
celebre sfasciatore dell’Avanti! è un forte giornale che si deve
consigliare ai giovani italiani. {Qvazioni) Verrà forse un giorno
in cui avremo in Italia quelle scuole di pericoli che io proponevo dieci
anni fa nei pri- mi manifesti futuristi e che furopo realizzate durante
la guerra nelle esercitazioni quotidiane degli Arditi (avanza- ta
carponi sotto un tiro radente di mitragliatrici; aspetta- re senza
chiudere gli occhi il passaggio radente di una trave sospesa sulla testa,
ecc.). Il proletariato der geniali Ed ora voglio colmare un'altra
lacuna dei program- ma, parlandovi del solo proletariato veramente
dimenticato ed oppresso: l'importantissimo proletariato dei ge-
niali. E’ indiscutibile che Ia nostra razza supera tutte Je
raz- ze per il numero stragrande di geniali che produce. Nel più
piccolo nucleo italiano, nel più piccolo villaggio, vi sono sempre sette,
otto giovani ventenni che, fremono d’ansia creatrice, pieni di un
orgoglio ambizioso che si manifesta in volumi inediti di versi e in
scoppi di elo- quenza sulle piazze, nei comizi politici. Alcuni sono
dei veri illusi, ma sono pochi. Non potrebbero giungere al vero
ingegno. Sono però sempre dei temperamenti a fon- do geniale, cioè
suscettibili di sviluppo e utilizzabili per accrescere l’intellettualità
geniale di un paese. Il movimento artistico futurista, da noi
iniziato 11 anni fa, aveva precisamente per scopo di svecchiare
bru- talmente l'ambiente artistico-letterario, esautorarne e di-
struggerne la gerontocrazia, svalutare i criteri e i profes- sori
pedanti, incoraggiare tutti gli slanci temerari dell’in- gegno giovanile,
per preparare una atmosfera veramente ossigenata di salute,
incoraggiamento ed aiuto a tutti i giovani geniali d'Italia.
Incoraggiarli tutti, centuplicarne l'orgoglio, aprire davanti a loro
tutti i varchi, diminuire al più presto, così, il numero dei geniali
italiani falliti e stroncati. Il futurismo radunò molti di
questi giovani geniali. Fra di loro, nella vampa futurista, ingigantirono
e brilla rono: Boccioni, Russolo, Buzzi, Balla, Mazza, Sant'Elia,
Pratella, Folgore, Cangiullo, Mario Carli, Funi, Sironi, Chiti, Jannelli,
Nannetti, Cantarelli, Rosai, Baldassari, Gal- li, Depero, Dudreville,
Primo Conti, i geniali creatori del Teatro Sintetico: Bruno Corra e
Settimelli, e i valorosi scrittori futuristi di Roma futurista, Rocca,
Bottai, Fede- rico Pinna, Volt e Rolzon, altissima bandiera
d'’italianità in America. Con meravigliosa elasticità
passando dall'arte all’azio- ne politica, questi giovani furono con me
dovunque nelle nostre primissime dimostrazioni contro l’Austria durante
la battaglia della Marna, in prigione per interventismo e sui campi di
battaglia. Propongo che in ogni città siano costtuiti dei
palazzi che avranno una denominazione sul genere di questa: Mostra
libera dell'ingegno creatore. Tn tali palazzi: 1° Verrà esposta
per un mese un’opera di pittura, scultura, plastica in genere, disegni di
architettura, dise- gni di macchine, progetti di invenzioni. Verrà
eseguita un’opera musicale, piccola o gran- de, orchestrale o pianistica
di qualsiasi genere, di qual: siasi forma, di qualsiasi dimensione.
3" Verranno letti, esposti, declamati poemi, prose, scritti
di scienza di ogni genere, d'ogni forma, d'ogni di- mensione.
4° Tutti i cittadini avranno diritto di esporre gratui- tamente.
Le opere di qualsiasi genere o valore apparente anche se apparentemente
giudicate assurde, cretine, pazze, immorali, saranno esposte o lette
senza giuria. Con queste mostre libere e gratuite del genio
creatore, noi futuristi ci opponiamo a un pericolo gravissimo: quel
lo di vedere nella marea delle ideologie che rissano intor- ne alle
formole del comunismo e della dittatura del pro- lerariato, il naufragio
dello spirito. Difendiamo il cervello! Vi sono
fenomeni dovuti alla stanchezza prodotta dal la guerra, alla manîa
plagiaria, alla miopia provinciale, alla verbosità giornalistica e alla
vigliaccheria conservatrice. Si tenta dovunque di divinizzare il
lavoratore manuale e d'innalzarlo al di sopra del lavoratore
intellettuale, No, italiani: il futurismo politico si opporrà
accanita. mente ad ogni volontà di livellamento. Tutto, tutto sia
107 concesso al proletariato manuale, salvo il sacrificio
dello spirito, del genio, della gran luce che guida. Alle classi
oppresse, ai lavoratori che stentano, sia sacrificata tutta la
plutocrazia parassitaria del mondo. Voi fascisti interventisti
sapete che la nostra grande guerra rivoluzionaria è stata osata, voluta,
imposta e te- nacemente portata alla vittoria finale da una
minoranza di intellettuali. Erano i migliori, i meno tradizionali,
i più futuristi. Mentre tutto il popolo era ancora immerso nella
quiete pacifista, essi videro la necessità di guerra, si separarono
brutalmente da altri intellettuali, da quelli che dello spirito altro non
hanno che le qualità negative, pedantesche, culturali, reazionatie,
quietiste. Contro e so: pra il piombo del vecchio intelletrualismo
professorale e vigliacco dei Benedetto Croce e dei Barzellotti, contro
l’in- tellettualismo cavilloso e avvocatesco dei Treves e dei Tu-
rati, si scagliarono gli spiriti veramente puri, lirici e crea- tori, per
segnare la via da seguire. Fra questi, Gabriele D'Annunzio, che
volò su Vienna e regalò Fiume all'Italia. Fra questi Benito Mussolini,
il grande Fututista italiano, che impavido nel campo trince- rato
del suo Popolo d’Italia ha difeso alle spalle noi com- battenti al fronte
contro le ondate dei nemici interni, por- tando le città italiane dal
lurido episodio di Caporetto alla storia ideale di Vittorio Veneto
(Applausi). Gli artisti faranno finalmente del governo un’arie
di- sinteressata, al posto di quello che è ora, cioè una pedan-
tesca scienza del furto e della vigliaccheria. eri Io
credo che le istituzioni parlamentari siano fatalmen- re destinate a
perire. Credo anche che la politica italiana sia destinata a un
inevitabile fallimento, se non si nutrirà di questa forza viva:
gl’ingegneri creatori d’Italia, sbaraz- zandosi di queste due malattie
italiane: l'avvocato e il professore. Genio creatore,
elasticità artistica, praticità sintetica, velocità improvvisatrice ed
entusiasmo fulmineo: ecco le belle forze che spiegano la vittoria del 15
giugno sul Pia- ve e quella di Vittorio Veneto (Applausi).
Artisticamente improvvisando tutto, e con genio crea- tore, la mia bella
autoblindata dell'ottava Squadriglia al comando del capitano Raby guadava
come una torpedi- niera i torrenti gontiati. Poi si slanciava giù dalle
monta. gne carniche col tuffo frenetico fulmineo di un pugnale
d'Ardito nella smisurata pancia idropica dell'esercito au- striaco
disfatto, e schizzava fuori dalla schiera contro Vienna.
Artisticamente, il genio creatore di D'Annunzio con- quistò Fiume
italiana. In Fiume italiana, io provai recentemente il più
acu- to spasimo di guida della mia vita, nel gualcire un pacco di
corone austriache deprezzate a pochi centesimi dalla no- stra
vittoria. Gioia forsennata di stritolare così finalmente il
cuore finanziario, militare, passatista del nemico ereditario, fra
le mie mani ancora frementi della vibrazione della mia mitragliatrice di
Vittorio Veneto! (Ovazione). MARINETTI [da: L’Ardito,
MARINETTI MARIO CARLI MINO SOMENZI « SECONDO FUTURISMO
» E FASCISMO-REGIME ll 1923 è un po' l'anno di apertura del
futurismo — dopo la ritirata e il distacco dal fascismo del II
Congresso di Milano — al nascente fascismo-regime (se- condo la
definizione di De Felice), quello dell’assesta- mento o dell'e ordine»
(che si consoliderà il 3 gen naio 1925). Marinetti si accosta in un certo
senso al nuovo governo con una richiesta in forma di « mani festo
al Governo Fascista» del 1° maggio 1923. Col manifesto e con
l'affermazione di un certo qual futurismo «mussoliniano », 0 nel
sottolineare la rea- lizzazione di un « programma minimo » futurista da
par- te del fascismo, Marinetti cerca di porsi in buona luce
e di far accettare le sue proposte al governo fascista. ll programma fu
in linea di massima approvato da Mussolini. Quel Mussolini che comincerà
a venir illu- strato e celebrato anche dai futuristi, forse molte
volte in buona fede per l'effettiva sua vicinanza alle tesi ed al
dinamismo tipico di Marinetti e delle sue teorie. Tuttavia Mario Carli
nel '26 pubblica nel suo li bro Fascisma intransigente wn articolo a suo
tempo se questrato e che risuona echi di « sinistri miraggi ».
S'in- titola Natale senza luce e si riferisce probabilmente al
Natale del ‘21, dopo l'impresa di Fiume cui Carli aveva ben ardentemente
partecipato: si augurava inutilmente il Carli che l'impresa di Mussolini
(la marcia su Roma) continuasse quella breve esplosione innovatrice
della nuova Italia della Vittoria (la marcia su Ronchi). Ma le
«vecchie pance» e le «vecchie barbe» tengono invece «il canzpo della vita
nazionale » e «la manovra parla mentare domina ancora tutto il congegno
di governo ». Marinetti sul numero 9 del 2-11-1932 del « nuo- vo »
Futurismo, esprime aminirazione ed esalta lo spirito rivoluzionario della
Mostra nel decennale della Rivolu- zione (svoltasi a Roma). Intitola
Varticolo Stile futuri- sta e vuole commemorare in certo senso uno stile
degli anni d'oro dello spirito interventista e rivaluzionario da
cui è nato il fascismo, quello così detta « antemarcia ». Nel 1934 al 1°
di febbraio, sul terzo numero di SunWElia, che è secondo titolo di Futurismo,
generoso tuttavia di perticolare spazio cd attenzione at problemi
dell'architettura, Mino Somenzi intitola un suo pezzo a IT Duce e il
futurismo, e vi sostiene la necessità di Mussolini, come capo del
governo, di non essere né futurista né passatista. Per il superiore
equilibrio sulle parti che la sua posizione richiede. Tuttavia le
simpatie di Mussolini non possono non andare ai futuristi, dice
Somenzi, quali novatori e sostenitori dell'arte d'avan- guardia italiana.
In questo sensa i futuristi non possono non guardure a lui come ad un
appoggio e ad un so- stegno, come del resto egli medesima più volte si è
di- mostrato. E qui forse, in questa tesi, vediamo tutta la
posizione ed il carattere del « secondo futurismo ». Ancora sulla stessa
testata del 4 aprile ’34, n. 64. un grande intervento centrale di prima
pagina su Ven- titre marzo futurfascista, mette in rilievo i caratteri
co- muni di futurismo e fascismo, anche quelli per cui molti
fascisti non st identificano con i futuristi ed anzi simmedesimano nel
loro contrario essendo dei « rimor- chiati » che non hanno assorbito lo
spirito diciannovi sta e rivoluzionario delle « origini ». I DIRITTI
ARTISTICI PROPUGNATI DAI FUTURISTI ITALIANI Manifesto al
governo fascista Mio caro Marinetti, approvo cordialmente la
tuu iniziativa per la costituzione di una Banca di Credito
specialmente per gli Artisti. Credo che saprai sor- montare gli eventuali
ostacoli dei soliti misoneisti. Ad ogni modo questa lettera può
servirti di via- tico. Ciao, con amicizia,
MUSSOLINI Vittorio Veneto e l’avvento del Fascismo al potere
co- stituiscono la realizzazione del programma minimo futuri- sta
lanciato (con un programma massimo non ancora rag- giunto) 14 anni or
sono da un gruppo di giovani audaci che si opposero con argomenti
persuasivi all'intera Nazione avvilita da un senilismo e da un
mediocrismo paurosi dello straniero. Questo programma minimo
propugnava l’orgoglio ita- liano, la fiducia illimitata nell’avvenire
degli italiani, la di- struzione dell'impero austroungarico, l’eroismo
quotidiano, l’amore del pericolo, la violenza riabilitata come
argomento decisivo, la glorificazione della guerra sola igiene del
mon- do, la religione della velocità, della novità, dell’ottimismo
e dell’originalità, l'avvento dei giovani al potere contro lo spi-
rito parlamentare, burocratico, accademico e pessimista. La nostra
influenza in Italia e nel mondo è stata ed è enorme. Il Futurismo
italiano, tipicamente patriottico, che ha generato innumerevoli futurismi
esteri, non ha nulla a che fare coi loro atteggiamenti politici, come
quello bolsce- vico del Futurismo russo divenuto arte di Stato.
Il Futurismo è un movimento schiettamente artistico e ideologico.
Interviene nelle lotte politiche soltanto nelle ore di grave pericolo per
la Nazione. Fummo primi fra i primi interventisti; in carcere
per interventismo a Milano durante la Battaglia della Marna; in
carcere con Mussolini nel 1919 a Milano per attentato fascista alla sicurezza
dello Stato e organizzazione di bande armate. Abbiamo creato
le prime associazioni degli Arditi e molti tra i primi Fasci di
combattimento. Divinatori e lontani preparatori della grande Italia
di oggi. Noi futuristi siamo lieti di salutare nel non ancora
qua- rantenne Presidente del Consiglio un meraviglioso rempera-
mento futurista. Da futurista, Mussolini ha parlato così ai
giornalisti esteri: « Noi siamo un popolo giovane che vuole
e deve crea re e rifiuta d'essere un Sindacato di albergatori e di
quar- diani di museo. Il nostro passato artistico è ammirevole. Ma,
quanto a me, sarò entrato tutt'al più due volte in un MIUSCO ».
Recentemente Mussolini ha pronunciato questo discor- so
tipicamente futurista: « Il Governo che ho l'onore di presiedere è
Governo di velocità, nel senso che noi abbreviamo tutto ciò che
significa ristagno nella vita nazionale. Una volta la buro- crazia si
addormentava sulle pratiche emarginate. Oggi tut- to deve procedere con
la massima rapidità. Se tutti proce- deremo con questo ritmo di forza e
di volontà e di alle- grezza, supereremo la crisi, la quale, del resto, è
già in parte superata. lo sono lieto di vedere il risveglio anche
di questa Roma che offre lo spettacolo di officine come questa. lo
atfermo che Roma può diventare centro indu- striale. 1 romani devono
essere i primi a disdegnare di vivere soltanto sulle loro memorie. Il
Colosseo, il Foro romano sono glorie del passato: ma noi dobbiamo
costrui- re le glorie del presente e del domani Noi siamo la gene-
razione dei costruttori che col lavoro e con la disciplina del braccio e
intellettuale vogliono raggiungere il punto estremo, la meta agognata
della grandezza della Nazione di domani, la quale sarà la Nazione di
tutti i produttori e non dei parassiti ». Con Mussolini il Fascismo
ha ringiovanito l'Italia. Spetta a Lui l'aiutarci nel rinnovamento
dell’ambiente artistico ove permangono uomini e cose nefaste.
La rivoluzione politica deve sostenere la rivoluzione artistica,
cioè il futurismo e tutte le avanguardie. DOMANDIAMO:
1° DIFESA DEI GIOVANI ARTISTI ITALIANI NOVATORI in tutte le
manifestazioni artistiche promos- se dallo Stato, dai Comuni e private.
Esempi: a) Alla Biennale di Venezia furono invitati
avanguar- disti e futuristi stranieri {Archipenko, Kokoschka,
Campen- donk), mentre non furono mai invitati i futuristi italiani
(creatori di tutti i futurismi). Bisogna sradicare questa igno- bile
antitalianità sistematica! c) Al Teatro della Scala {che ha la
funzione di rive- lare, glorificandoli, i nuovi musicisti italiani) si
danno ogni anno due opere di Wagner e nessuna (o quasi nessuna) di
giovani italiani. Si preferiscono cantanti stranieri infe- riori ai
nostri, Bisogna sradicare questa ignobile antitalia- nità
sistematica! d) Il Teatro di Siracusa non può essere riservato
alla gloria dei classici greci! Domandiamo che, alternativamente
alle rappresentazioni delle opere classiche, si svolga un con- corso per
un dramma moderno pittoresco adatto all'aria aperta di un giovane
siciliano da premiarsi e incoronarsi so- lennemente nel teatro stesso.
(Proposte Marinetti, Prampo- lini, Jannelli, Nicastro, Carrozza, Russolo,
Mario Carli, De- pero, Cangiullo, Giuseppe Steiner, Volt, Somenzi,
Azari, Matasco, Dottori, Pannaggi, Tato, Caviglioni, Paladini Ra-
citi, Mario Shrapnel, Raimondi, G. Etna, Sportino-Bona, Cimino, Soggetti,
Rognoni, Masnata, Mortari, Piero Illari, Rizzo, Soldi, Leskovic, Buzzi, Casavola,
Clerici, Caprile, Scirocco), ISTITUTI DI CREDITO ARTISTICO ad
esclu- sivo beneficio degli artisti creatori italiani. Come
si aprono delle Banche di credito a favore delia industria e del
commercio, similmente si dovranno creare 115 appositi
Istituti che sovvenzionino manifestazioni artistiche o Istituti d'arte
industriale o anticipino denaro agli artisti per il loro lavoro
(manoscritti, quadri, statue, ecc.) i loto viaggi di isttuzione o di
propaganda. Tali Istituti di credito potranno avere carattere
pri- vato (Società anonime per azioni) o governativo (enti e
fondazioni). Nel primo caso la nascita di tale Istituto è legata alla
maggiore o minore buona volontà e mumero degli aderenti. Nel secondo caso
il capitale necessario sa- tebbe sicuramente e prontamente realizzabile
solo che lo Stato decretasse un'imposta od una ritenuta anche
minima, ma estesissima, sui redditi di guerra, sui patrimoni, ecc.,
o mediante una sottoscrizione nazionale ad iniziativa sta- tale. L'Istituto
agirebbe poi come una Banca per gli artisti, accetterebbe depositi di
opere d'arte, e in base alla valuta- zione reale darebbe sovvenzioni od
aprirebbe crediti. L’opera d’arte giacente costituirebbe un
deposito frut- tifero per il depositante e per l’Istituto stesso che
promuo- verebbe iniziative artistiche, vendite, ecc. Così l'artista
e l'opera d’arte sarebbero valorizzati. Questi Istituti
potrebbero intraprendere concessioni di mutui a favore d’'industrie
artistiche e ottenere l’uso di palazzi per adibirli ad abitazioni di
artisti, d’istituzioni arti- stiche od aprirvi periodiche mostre.
(Proposta Prampolini, Marinetti, Russolo, Cangiullo, Depero, Settimelli,
Mario Carli, Buzzi, Matasco). DIFESA DELL’ITALIANITA'.
Italianizzazione obbligatoria immediata degli alberghi (tutte le diciture,
insegne, liste delle vivande, conti, ecc., in lingua italiana), dei
negozi e della corrispondenza commerciale. Mezzi automatici per propagare la
lingua italiana senza spese. (Proposta Marinetti, Russolo, Buzzi,
Folgore, Mario Carli, Settimelli, Depero, Cangiullo, Somenzi, Mara-
sco, Rognoni). B) Italianizzazione della nuova architettura contro
l'uso sistematico di plagiare le architetture straniere. Cominciare
questa italianizzazione in tutti gli edifici statali, specialmen- te nei
paesi redenti. (Proposte Virgilio Marchi, Depeto, 116
Russolo, Buzzi, Somenzi, Azari, Marasco, Prampolini, Fol- gore,
Volt). C) Italianizzazione obbligatoria delle edizioni e dei ca-
ratteri tipografici. (Proposta Frassinelli, Rampa-Rossi). ABOLIZIONE DELLE
ACCADEMIE (Istituti di Atte e Scuole professionali).
Gli attuali sistemi d'insegnamento nan corrispondono al- le esigenze
estetiche dell'evoluzione dell’arte attraverso i tempi. L'arte non si
insegna. Gli attuali diplomati non sono né tecnici competenti né
artisti. Abolizione delle Accademie di Belle Arti e
Professio- nali senz’altre sostituzioni. (Proposta Marasco).
PROPAGANDA ARTISTICA ITALIANA ALL'ESTERO mediante un Istituto Nazionale di
propaganda ar- tistica all’estero che tuteli glì interessi artistici ed
econo- mici degli artisti italiani. Questo Istituto dovrà
essere diretto da giovani artisti stimati all’estero e che propugnino con
italianità il genio novatore italiano Avrà commissioni permanenti riguarda
ti le varie arti e uffici di corrispondenza nei principali centri
artistici esteri. Agirà mediante conferenze, concerti, esposizioni e
pubblicazioni periodiche di propaganda. (Pro- posta Prampolini, Russolo,
Buzzi, Volt, Marasco). CONCORSI LIBERI D'ARTE. Utilizzare una
parte del denaro che lo Stato spende attualmente per l'arte in concorsi
di poesia, plastica, ar- chitettura, musica, riservati ai giovani non
ancora venti- cinquenni, da premiarsi mediante un referendum popo-
lare. (Proposta Balla, Marinetti, Marasco). AFFIDARE L'ORGANIZZAZIONE
DELLE FE. STE NAZIONALI E COMUNALI (cortei, gare sportive, ecc.) ai
gruppi d’artisti d'avanguardia italiani, i quali han- no ormai provato in
modo incontestabile la loro genialità innovatrice, fonte di
quell’ottimismo che è indispensabi- le alla salute della Patria.
(Proposta Depero, Azari, Mari- netti, Marasco). AGEVOLAZIONI AGLI
ARTISTI. Riconoscimento legale da parte del Governo dei diritti
d'autore per gli artisti delle arti plastiche, sul mag- gior prezzo
raggiunto dalle opere loro, attraverso le ven- dite successive, mediante
una istituzione simile alla « So- cietà degli Autori ». d)
Abolizione delle tariffe doganali internazionali sia riguardo le importazioni
che le esportazioni delle opere d’arte moderna. (Proposta Prampolini,
Depero, Azari, Ma- rasco, Marinetti, Volt). 9° CONSIGLI
TECNICI CONSULTIVI formati da artisti ed eletti fra artisti con una
rappresentanza propor- zionale delle tendenze d'avanguardia. Questi
Consigli Tec- nici consultivi avranno lo scopo di tutelare gl’interessi
de- gli artisti nei rapporti con le istituzioni statali, comunali,
private e gli artisti stessi. {Proposta Prampolini, Mara- sco, Marinetti,
Volt) RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE. Le avanguardie
artistiche italiane dovranno essere in- vitate a partecipare con una
rappresentanza proporzionale a tutte le manifestazioni e cariche
artistiche statali, co- munali e private. (Proposta Prampolini, Marasco,
Marinet- ti, Volt). CONSORZIO INTERNAZIONALE per la tute. la
degli interessi artistici ed economici degli artisti d'avan- guardia.
Questo Consorzio dovrebbe proporsi l’accentra- mento delle migliori
istituzioni artistiche di avanguardia, per la solidarietà, la difesa e la
propaganda artistica ed economica. (Proposta Prampolini, Marasco,
Marinetti, Volt). Per la Direzione del Movimento
Futurista e per tutti i Gruppi Futuristi ltaliani
MARINETTI NATALE SENZA LUCE sequestrato).
Chi fu legionario di Fiume non potrà mai dimenti- care le rosse giornate
natalizie di quattro anni fa, con le quali si conchiudeva tragicamente e
desolatamente una breve ma non ingloriosa epopea. Il ricordo ha poi
un valore particolare per chi lo avvicini al pensiero della
situazione politica odierna, che ha qualche vaga analogia con quella che
segnò la fine di un generoso sforzo della nuova Italia. Il
sangue fraterno di quelle Cinque Giornate non è stato ben vendicato.
Pareva a molti di noi che la Marcia su Roma dovesse continuare quella di
Ronchi per dare alla nostra grande Patria una nuova fisionomia di
po- tenza e per vivificarla di un nuovo afflusso di giovi- nezza.
Ma la spinta rinnovatrice della generazione di Vit- torio Veneto si è,
ahimé, fiaccata nel labirinto delle vec- chie pance e vecchie barbe che
tengono tuttora il campo della vita nazionale. E sul tempo d’arresto che
oggi fa segnare il passo alle orgogliose avanguardie d'impero, la
sagoma «immortale » del cavalier Giolitti si profila — come quattro anni
fa — a rassicurare il mondo che l’Ita- lia è ancora quella mediocre,
umile nazioncella di molte chiacchiere innacue ma di pochi fatti
pericolosi, e che agni tentativo di virilizzarsi e impennarsi in alati
eroismi, è destinato al più pietaso insuccesso. Sembra — a
ben considerare i più recenti avvenimen- ti — che il sogno di una
politica più alta, più rettilinea, più forte, sia una morbosa fantasia di
cervelli malati; e che una sola specie di politica sia possibile: quella
che ha nome Giolitti. Vale a dire: quella basata sull’intrigo, sul
compromesso, sulla pattuizione, sull’arte di farsi ricat- tare.
La manovra parlamentare domina ancora tutto il con- gegno di
governo. E’ pacifico che non si governa coi parlamenti, poiché essi sono
l’antigoverno per eccellenza: ma è altrettanto pacifico che questo popolo
italiano 119 rabbiosamente ingovernabile non vuol
rinunciare al suo bravo Parlamento, fonte di ogni male, serbatoio di
ogni decadenza. Contro questa massima cloaca nazionale
(parlo, s’in- tende, dell'Istituto, non degli uomini) il Fascismo è
an- dato a impantanarsi pazzescamente. Il Fascismo ha com- messo
questo gravissimo errote iniziale: di non saltare a pié pari il
Parlamento. Viceversa vi si è sentito attratto, ha voluto saggiarne le
delizie, ha voluto conquistare que- sta quota a colpi di scheda —
mortificando la sua anima guerriera — quando avrebbe dovuto farla saltare
a colpi di bomba. E certi errori sono troppo gravi perché non si
debbano scontare. Tuttavia, non si potrà negare a noi irriducibili
anti- parlamentari, a noi rimasti fuori dell'aula per volontà pre-
meditata, e quindi immuni da interessi e da schiavitù elettorali, it
diritto di tener fede ai principi per quali s'ini- ziò la battaglia, e
soprattutto alla nostra accesa spiritua- lità di italiani #4ovi: nuovi
nella mente, nel tempera- mento, nell’educazione, nella passione. Anche
se tutto crollasse attorno a noi, e il nostro sogno trilustre,
perse- guita con appassionata tensione di nervi e di cervello, do-
vesse ridursi in polvere di macerie, noi non rinunzierem- mo ad essere
quelli che fummo e che siamo: cittadini di una Patria più grande, più
eroica, più possente, più do- minatrice. Mai non rinunceremo
— lo sappiano bene i nostri nemici — alla nostra sete d’impero, alla
nostra fiamma di grandezza, che odia la vita democratica,
l’egualitarismo ipocrita, il pietismo umanitario, l’eunuco calamento di
bra- che. A noi conviene la formula maschia di Silla, che per
disciplinare la repubblica in dissoluzione e prepararla all'impero,
chiedeva tutti i poteri, il controllo sui tribu- nali civili e militari,
la giurisdizione eccezionale, la legi- siazione di gabinetto da
sovrapporre a tutte le leggi ante- riori, il diritto di battere moneta,
di convocare il popolo, di sospendere e punire i funzionari dello Stato,
e infine, di mettere fuori della legge i cattivi cittadini. A noi
piace infinitamente Ja salutare ferocia di questo Dittatore-mo
120 dello, che, mentre il Senato discute se conferirgli o
no la potestà dittatoria, fa giungere nell'aula il fiero ululato
dei seimila prigionieri di Porta Collina, sgozzati al suo segnale, e che
incide sulla tabella i nomi dei Senatori vetanti contro di lui, per
ricordarsene a tempo e luogo. Il Fascismo è venuto al potere più
attraverso la spa da di Silla che l’oratoria di Cicerone. Perché
dimenti- carsene? II Fascismo non ha nulla da sperare da una sua
politica di debolezza conciliatrice. I suoi nemici lo vogliono
polverizzato e disperso, e tale lo avranno se si continuerà a ceder loro
in ogni occasione. Dal 10 giugno in poi, si può dire che l’Italia è stata
governata dall'om- bra dell’Aventino. Tutto questo è contro natura,
contro storia, contro giustizia. Non sono le ombre che possano aver
diritto al comando, bensì le energie luminose. Quan- do ci scrolleremo di
dosso tutte le ombre importune che ci soffocano come ali di corvacci e di
vampiri? Mario CARLI [da: Fascismo intransigente, Bemporad,
Firenze 1926, pag. 253-256] Con la Mostra della Rivoluzione si
risolve finalmente, e in modo favorevole, il grave problema della
militariz- zazione della fantasia creatrice mediante temi fissi da
im- porre agli artisti. Molti fra i pittori, scultori e
architetti, invitati a rea- lizzare questa Mostra grandiosa, furono
indubbiamente turbati dal prestigio di queste gloriose parole che
domi- nano ormai nella nuova storia d’Italia: interventismo, Vit-
torio Veneto, Mussolini, e Popolo d'Italia, Diciannove, battaglia di via
Mercanti e incendio dell’Avanti!, covo di via Paolo da Cannobio, Casa
Rossa, Lodi, Palazzo Accur- sio, Marcia su Roma. Legati
tradizionalmente ai noti motivi idilliaci cittadi- nì o rurali, tramonti
melanconici e ritratti statici, que- sti artisti sentirono subito la
necessità di capovolgere il loro spirito per disegnare nell'aria un tuffo
perfetto nel mare della novità. Da tempo il Futurismo
italiano, con il suo seguito di avanguardie estere più o meno originali,
gridava per in- segnare l'invenzione a ogni costo. Quattro mesi fa il
Du- ce, con la sua bella parola imperiosa e veloce, ordinò che si
evitasse il passatismo della palandrana di Giolitti. Suggestionati
poi dal dinamismo aggressivo colorato e tragico della Rivoluzione, essi
abbandonarono la loro sta- ticità e la classicità placida. Gli architetti
incaricati di dare una faccia nuova al vecchio e brutto Palazzo
dell’Esposi- zione, sentirono l’assurdità di qualsiasi decorativismo
sim- bolico, floreale, mitologico o grazioso. Le loro prime
linee gettate sulla carta, rizzandosi ascen- sionalmente, presero lo
slancio aggressivo, guerriero e mi- naccioso di altissime torri di
acciaio o ciminiere naviganti. A me ricordano simpaticamente i
geniali fasci di ascen- sori dell'architettura di Antonio Sant'Elia, il
grande e com- pianto padre futurista dell’architettura moderna.
Logicamente andò determinandosi lo stile della Mostra per virtù
della Rivoluzione e del suo ritmo mobile ag- gressivo. Si ricorda
l’intero profilo d’uno squadrista. Un dettaglio basta. Di quell’autocarro
schiacciato dal peso dei fascisti come un tino stracarico di giganteschi
grappo- li neri io ricordo soltanto il mosto rosso a terra e l’acu-
tissimo odore di benzina. Quindi sintesi, dinamismo e in- tersecazioni di
piani. Visibilità aggressività giocondità. Questa Mostra della
Rivoluzione, che tutti gli squadristi augurano non effimera ma duratura,
stabilisce la gloria del Fascismo con uno stile rivoluzionario italiano
che ha avuto pet primi maestri Sant'Elia e Boccioni. E’, secondo le
parole di Edmondo Rossoni dettemi questa mattina, il trionfo dell’arte
futurista. F.T MARINETTI [du: Fuiuriszo, Nel fervore della
polemica pro e contro il Futurismo molti si chiedono: come la pensa il
Duce? A questo in terrogativo i nostri avversari rispondono
arbitrariamente come saremmo ugualmente arbitrari noi volendo
asserire l'opposto di ciò che loro affermano. Per la verità il Duce
non può essere dall’una o dall’altra parte (passatismo © futurismo) ma
nella sua specifica qualità di Capo della Nazione non può essere
passatista e futurista nello stesso tempo. Che Egli prediliga come
certuni pretendono cor- renti intermedie lo esclude il suo temperamento
nemico di tutti gli oscillamenti e di ogni mezzo termine. Prefe-
risce le posizioni diritte anche le più azzardate e non è detto quindi
che si compiaccia trattenersi ad ammirare le varie denominazioni che si
dànno alla strada nel corso di così lungo e complicato cammino com'è
quello dell'arte. Egli tende alla meta: L’arte fine a se stessa. Passatismo
e Futurismo: due colossi che se non esistessero Musso- lini li avrebbe
creati apposta non fosse altro, per }a gioia patriottica di vedere
scaturire dal cozzo di queste mentalità opposte, nuove faville di
luminosa genialità italiana. I piccoli mondi che rotolano ai margini di
questa battaglia sono frammenti o scorie staccatesi, nell’urto, dal
corpo dei titani: hanno una vita effimera e quelli che precipitan-
do come valanghe trascinano nella loro scia deboli detriti superficiali,
se sopravvivono, sono sempre alimentati dal- l'atmosfera incandescente
generosa che emana il corpo che li ha creati. Passatismo e Futurismo
rimangono inamo- vibili l'uno di fronte all'altro: impossibile conciliare
il concetto conservatore tradizionale del primo col principio rivoluzionario
rinnovatore del secondo. Chi sia il più forte non è facile stabilite:
dipende da determinate condizioni intellettuali e spirituali di tempo.
Oggi però — in que- sto secolo fascista — più che le biblioteche e i
musei si moltiplicano scuole avanguardiste, impressioniste,
raziona- liste, novecentisie, moderniste in genere, tutte volenti o
nolenti generate dal futurismo. Volenti o nolenti: non ha
123 valore il fatto che molti sconfessano la loto origine.
E' fatale; anzi vorremmo dire storico. Probabilmente tra cin-
quant’anni il mondo fascistizzato considererà Mussolini un utopista e
ogni nazione vanterà il merito di avere instau- rato per prima il nuovo
regime politico. Di queste infa- mie la storia è... maestra; solo dopo
qualche secolo si rende giustizia alla verità. Tornando al nostro
argomento, è fuori dubbio che Mussolini, valotizzatore delle
gloriose conquiste del passato, sprona i capaci a superarle sul
tra- guardo del più fulgido domani. Quindi il futurismo rap-
presenta infatti quell’eroica generosa pattuglia d’assalto che trascina
l’esercito degli artisti alla conquista del nuo- vo. Questo fatto in sé
eloquente e inconfondibile, unico nella storia dell’arte, ha rapporti
precisi in campo poli- tico con la gloriosa epopea mussoliniana.
L'inesauribile ottimismo futurista si identifica così con il concetto
gene- roso originale ardito del fascismo vittorioso. Senza citare
fatti e particolari di cui sono ricchi i nostri ricordi per- sonali, in
tema « Mussolini e il futurismo » basterà ri- cordare giacché l'occasione
è opportuna queste tre date significative: Boccioni vi avrà detto
che tutte le mie simpatie sono, anche nel dominio dell’arte, per i
novatori e i distruttori e per i futuristi... » Mussolini. 1924: «...
presente adunata futu- rista che sintetizza vent'anni di grandi battaglie
artistiche politiche spesso consacrate col sangue. Congresso deve
essere punto di partenza non punto d'artivo... » Mussolini. ...Dopo di avere
concesso il suo alto patronato per le onoranze nazionali al futurista Boccioni, Mussolini offre il PRIMO generoso
contributo ma- teriale per il trionfo della grande rassegna dell’arte
futu- rista italiana. A questo punto, dopo quanto abbiamo
detto, ulteriori considerazioni sono superflue come sarebbe superfluo
ri- cordare ancora una volta l'influenza patriottica esercitata dal
futurismo sulla gioventù italiana prima durante e dopo la guerra e il
fattivo isolato contributo dei futuristi al fascismo nel 1919
(...). Mino SOMENZ2I (da: Sant'Elia, n. 3, anno II, 1°
febbraio 1934] Allorché quindici anni or sono, nel palazzo di
Piazza San Sepolcro, Mussolini gettò le fondamenta di quello
edificio colossale che doveva essere il Fascismo, se nel manipolo degli
intervenuti individuò degli artisti, questi erano soltanto ed
esclusivamente artisti futuristi. Appena creati i Fasci di
combattimento, i primi gruppi che cotseto ad ingrossare le schiere che
cominciavano a formarsi furono i gruppi politici futuristi, prima, e
gli arditi di guerra e i legionari fiumani, poi, sempre per me-
rito esclusivo dei futuristi. Il nostro Movimento diede quindi al
Fascismo un apporto qualitativo e un apporto quantitativo: inoltre
die- de alla creazione mussoliniana un conttibuto gigantesco di
fede cieca, di entusiasmo eroico. Vogliamo indagare il perché di
questa spontanea sim- patia, di questo irresistibile trasporto del
Futurismo verso il Fascismo; il perché della meravigliosa, totalitaria
cor- rispondenza fra una cemcezione eminentemente politica ed una
concezione eminentemente artistica? Prima di tutto, troviamo che
il Fascismo e il Futu- rismo hanno alla loro origine dei germi comuni:
l’amore disperato alla propria terra, la necessità di moto e di azione.
Dell’intervento nella grande guerra uno fece il punto di partenza per la
sognata rivalorizzazione della patria; l’altro, lo sbocco conclusivo di
quei fatti e di quel- le idee che possono riassumersi nei tre principii
futuristi: « Tutti 1 diritti, meno quello di esser vigliacchi ». «
La parola Italia deve prevalere sulla parola libertà ». « La
puerta, sola igiene del mondo », Dalle piazze affollate d'Italia si
passò alle trincee in- sanguinate d'Italia: interventisti intervenuti:
identico en- tusiasmo: identici sacrifici: identica volontà di far
ger- mogliare il bene della Patria dal martirio e dalla morte dei
suoi figli. E questa è già molto per dimostrare la
straordinaria 125 affinità sentimentale, di origine e
di scopi esistente tra Fascismo e Futurismo. Ma v'è di più.
Infatti, passando dal campo delle con- cezioni teoretiche a quello delle
espressioni pratiche, noi vediamo il Fascismo disdegnoso di adagiarsi nei
ricordi del passato, ansioso di sciogliersi dai vincoli del
presente, protesa con gli spuardi e con tutte le energie alla
conqui- sta del domani. Avanti, avanti sempre, incita il Duce;
raggiunta una mèta, mille altre se ne profilano: occorre raggiungere
anche queste: ogni sosta è un tradimento: ogni indugio è un
delitto. Non sona questi i principii stessi cui s’informa il
Futurismo? E il Futurismo è tutto azione e vita: nelle sue
schie- re accoglie la più bella e sana gioventù d'Italia: gioven-
tù d'anni, ma anche di spiriti. I suoi artisti creano con la stessa
generosità, con lo stesso dispregio di ogni premio e di ogni
riconoscimento, con i quali ! nostri soldati scattavano all’assalto: loro
uni- co orgoglio, lora unica aspirazione è di poter contribuire a
che il nome d’Italia sempre più alto e sonoro e sempre niù in estensione
squilli nel mondo. E non è Fascismo, questa? Ma non è
soltanto ciò quello che ci spiega come, fatto mai verificatosi nella
storia dell'umanità, una concezione esclusivamente morale ed artistica
abbia potuto così bene assorbire ed assorbirsi in una concezione
esclusivamente politica e sociale Il fatto straordinario che
oggi non può non riempirci di legittima se pur meravigliata
soddisfazione, è questo: un colosso della politica che pensa, agisce,
crea, con la ispirazione e la chiaroveggenza luminosa di un poeta:
un poeta che vive la sua arte come una battaglia politica per la
gloria della Patria sua. Né le due espressioni, fino ad oggi antitetiche,
politica e arte, s'urtano o si contrastano: anzi si può ben dire che esse
hanno così informato di sé medesime le due personalità che concepirle in
diversi at- teggiamenti spirituali ci sarebbe impossibile.
Come spiegare questo fatto così nuovo e così fuori 126
del comune, se non riferendoci ad una forza incoerci- bile,
misteriosa, ma che tuttavia sussiste, a quella for- za cioè che crea in
alcuni privilegiati quegli speciali stati d'animo per cui il Genio,
attraverso l'adamantina lumi- nosità di un pensiero superiore,
giganteggia e s’infutura? E’ indubbiamente questa forza contro la
quale noi nulla possiamo che fa di Mussolini un futurista della
stessa tempra di Marinetti e di Marinetti un fascista, de- gno seguace di
Mussolini. E' sempre questa forza che avvicinando i due crea-
tori, avvicina conseguentemente le loro due creature: è perciò che come
non potrebbe comprendersi un futurismo non fascista così non si potrebbe
concepire un fascismo conservatore e passatista. E’ perciò
ancora che i futuristi e i fascisti, se veri ambedue, s’intende, non
possono distinguersi: l’italiano nuovo è un miscuglio — nel valore che la
chimica dì a questa parola — di fascismo e di futurismo: essi
costi- tuiscono i due elementi inscindibili e insostituibili di un
tutto organico. Chi ha detto ai nostri giovani di chiamarsi
/uturfasci- sti? Nessuno: eppure essi, generalmente, così amano de-
finirsi. Inconscio, spontaneo riconoscimento di una gran- de verità che
non può discutersi e non si distrugge. Come altrettanto vero è che
i fascisti autentici sono ottimi futuristi. e non potrebbe essere
diversamente data l'essenza dinamica, generosa, novatrice, ottimista
nella quale il Duce vuole plasmati i nuovi italiani. Ma come
avviene, allora, che anche tra i fascisti sono molti i contrati al
Futurismo? Perché molti sono i rimrorchiati che pur vestendo
in camicia nera e ostentando il distintivo, parlando (e pur- troppo
parlando solo) fascisticamente e mettendosi sem- pre in prima fila nei
cortei, han tuttavia conservato l’ani- ma italiana di anteguerra, pavida,
gretta, piccina. Molti altri poi, pur sentendo nel loro intimo
tutto ciò che di bello e di buono ha il Futurismo, per un sen- so
invincibile di borghesisma, per timore di essere ridicolizzati e per desiderio
di essere tenuti e rispettati quali persone serie, dicono e non dicono,
ammettono e smen- tiscono, concedono e negano, opportunisti rammolliti,
bor- ghesi, vigliacchi. Ma ciò che prima o poi capiterà a
costoro, che noi sentiamo di odiare profondamente, molta ma molto
di più dei nemici nostri aperti e leali, che almeno rispet- tiamo,
lo ha detto chiaramente il Duce nel suo recente magnifico discorso
all'Assemblea quinquennale. Per essi non si tratta né di Fascismo né di
Futurismo: si tratta di vigliaccheria, e basta. Non han diritto neppure a
chiamarsi italiani. Né escludiamo da questa ignominiosa
schiera quei gio- vani d'anni che han conservato intatta l’anima dei
bisa- voli: che gridano doversi l’arte rinnovare e si impuntano
come muli riottosi dinanzi al futurismo: che accettano e sì prosternano
ad ogni novità che ci proviene d'oltre confine, anche se figlia di
genitori futuristi italiani, e fanno i disdegnosi, gl’incontentabili, i
superuomini verso il nostro movimento che gli stranieri stessi ammirano co-
me un’altra delle tante glorie italiane. Anche questi così detti
giovani non possono e non po- tranno mai essere fascisti sul serio,
giacché essi non hanno del Fascismo né compreso né assimilato quelle
ca- ratteristiche di spiccato futurismo che sono il rinnovamen- to,
la velocità, il dinamismo, il continuo superarsi, la mat cia ininterrotta
verso la perenne conquista. E lo stesso diciamo di quei critici
che si fermano a vivisezionare un'opera d’arte, isolandola dal vasto
am- biente donde essa ttae la sua ragione di vita; che fanno l'anatomia
di un nostro artista senza riflettere che esso è soltanto un membro di un
corpo gigantesco. Essi dimo- strano di aver perduto o di non aver mai
posseduto quella somma virtù latina, fascista e futurista insieme, che è
la virtù della sintesi soffocata in loro dalla fredda pesantez- za
anglo-sassone dell’analisi. Ma costoro sono i compri- matii, le comparse
della nostra vita e abbiamo di già concesso loro troppo onore di
discussione. Su tutto e su tutti restano le idee: nel campo
politi 128 co-sociale, l'idea fascista; nel campo
artistico-spirituale. l’idea futurista. Ambedue han detto al
loro mondo una parola non an- corta udita; ambedue hanno tracciato,
ognuna nei propri confini, la via nuova da seguire per giungere alla
salvezza: tanto l’una che l’altra si sono dimostrate possenti dina-
mo, generatrici di forza, di fiducia in noi stessi, dì ottimi- smo. di
passione, di entusiasmo. L'una, nel campo politico, ha raccolto infiniti
proseliti ovunque, e ciò in relazione ai numerosi problemi d’indole
contingente di cui ha trovato o propone le soluzioni; l'al- tra, nel
campo più ristretto dell'arte, ha egualmente susci- tato energie,
ridestato gli addormentati, incitato i pigri, rincuorato i pavidi,
persuaso i dubbiosi. Se qui dovesse attestarsi l’opera vitale sia
dell'una che dell'altra idea, già tutti i diritti esse avrebbero
acqui- stati per l'imperitura riconoscenza della civiltà. Ma
ambedue continuano nella loro marcia ascensio- nale: e i critici che
affermano essere il Futurismo supe- rato ci fan lo stesso effetto di quei
pochi e sparuti anti. fascisti che affermano aver il Fascismo esaurito il
suo compito. Idee come queste nostre non possono né sostare,
né esaurirsi, né esser superate: la loro essenza stessa di con-
tinua marcia, di continua ascesa, di continua conquista non lo
permette. Un uomo, a idea, una opera potranno esser supe-
rati: ma non l'Uomo, non l’idea, non l’opera. Ed ora che
conclusione trarremo dalla dimostrata iden- tica struttura spirituale del
Fascismo e del Futurismo, dal- la dimostrata perfetta corresponsione fra
loro di scopi e d’intenti? La conclusione è la solita:
ripetiamo ancora una volta e confermiamo che il solo artista capace di
riprodurre in tutta la sua ampiezza, in tutta la sua luce e in tutta
la sua gloria la vita nuova dell’Italia di Mussolini è l'artista
futurista e che il Futurismo è la sola espressione d'arte degna e capace
di tramandare ai posteti la vitalità, la po- tenza, la dinamicità
dell’éra fascista. Questo diritto che noi accampiamo ci proviene da
quel- l'identità di spirito, di tendenze, di sensibilità che fa del
Fascismo e del Futurismo un unico, perfetto blocco e che nessuna scuola,
nessuna tendenza, nessun'altra forma di arte può vantare E
noi teniama al riconoscimento di questo nostro di- ritto: non perché ci
spingano meschini interessi o poco nobili ambizioni ma perché, forti di
un infinito amore per la patria nostra e di una dedizione cosciente e
completa di tutta la nostra spiritualità alla sovrumana potenza di
un'idea, al fascino gigantesco di un Genio universale, vo. gliamo che non
abbia soste il cammino trionfale che l’Ita- lia rinnovata sta compiendo
verso le sue più alte mète, sotto il comando romano di Benito
Mussolini. FuTURISMO [da Sant'Elia, n 64, anna III 4 aprile
1934] La polemica accesasi negli Anni Trenta tra futuristi
rivoluzionari e futuristi sostanziali o di destra, è già espressione di
quel «secondo futurismo», che abbia mo visto e detto essere momento
collaterale del fa- scismo-regime. O tentativo piuttosto di conservare
la avanguardia nell'ambito di un sistema che come tale era più
propenso ad un suo ordine intrinseco e im- prescindibile da mantenere 0
da continuare. In questo senso il futurismo «di destra», come lo
definisce il sansepolcrista Bruno Corra nel marzo del ‘32 su Fu-
turismo, vorrebbe un po’ essere quello degli « arri. vati », di chi si
asside sulle comode poltrone della fine della carriera, pur cercando di
mantenere uno Spirito 4 precedente », giovanile e innovatore, che
non può essere venuto meno in chi ha giù combattuto e si è esposto
per una causa di rinnovamento. Gli fa eco Corrado Gawvoni riprendendo il
discorso e pun- tualizzando il concetto stesso di futurismo, senza
che gli si debba o gli si voglia nulla rubare, come è staio fatto
da tutte le parti, e a riconoscergli invece la sua portata e i suoi
risultati. Solo una settimana dopo ribatte Paolo Buzzi sul
numero del 26 marzo sempre di Futurismo con un violento attacco ai
«futuristi di destra » e il sostegno 4 un ritorno alle estrema sinistra
», come già dice nel titolo. L'’avanguardia, in quanto avanguardia e se
vuol rimanere avanguardia, non può che esercitare una funzione di
vottura per il rinnovamento ed il rivolgi- meuto del vecchio e del
passato. Come tale l'aver guardia non può che essere e rimanere di «
estrema sinistra », sC il futurisito si ritiene ancora uvangaar dia
0 vuole mantenersi e vivere. Resta però forse una voce isolata quella del
Buzzi, rincalzato ancora il 2 aprile, sul numero della settimana dopo, da
Remo Chiti che postula un futurismo sostanziale in cui tutto si
annulla, destra e sinistra, nel momento stesso in cuni tt futurismo
diviene ercativo e vu libera dvi con- formismi e delle convenzioni.
Ancora «all'Avanguardia » dedicava un quinto ed ultimo articolo
Luciano Folgore, sempre su Futurismo dello stesso anno (1933). Il
futurismo di destra e quello di sinistra st superano oramai
nell'avanguardia che ancora continua e sì muove nell'avanzata
dell'en- tusiasnio. E l'ottintismo continua in effetti fino al’ul-
timo, anche con la fine del fascismo, anche con la morte di Marinetti,
anche con la sconfitta nella guerra « sola igiene del mondo », continua
ancora nelle ulti me gencrazioni e nel messaggio dell'ultimo
manifesto, quello del «futurismo-oggi », che vive e crea nel pre
sente. NOI FUTURISTI DI DESTRA Quando si riunirà in
Roma il primo grande congresso dei futuristi di tutto il mondo, io andrò
a sedermi — vicino a Buzzi, a Notari, a Folgore, a Govoni — ad un
banco dell’estrema destra. Ma esiste dunque, può esiste- te un Futurismo
di destra? I due termini non fanno a pugni? Un movimento rivoluzionario
può contenere in sé tendenze conservative? E, infine, l’espressione «
futuri- sta di destra» non val quanto « futurista annacquato e
prudente » non s'identifica con l’ambigua parola « nove- centista
»? Mi pare che qui si tratti, prima di tutto, di una que-
stione di moralità. Dare al Futurismo quel che al Futuri smo appartiene:
e non truccare il proprio ingegno con una etichetta di convenienza. Chi
si dichiara avanguardista ma non futurista, sputa nel piatto dove ha
mangiato. Poi, io stabilirei questo principio: che il privilegio di poter
restare nella sfera magnetica del Futurismo pure affermando, nel-
la propria opera matura un remperamento realizzatore di destra debba
accordarsi soltanto a coloro che han dimo- strato di saper essere «
integralmente » futuristi. E recla- merei il diritto di sedermi a destra,
per mio conto, in no- me della mia effettiva collaborazione al Futurismo
più ri- voluzionario: Teatro Sintetico; Cinema futurista; e due
opete di audacissima narrazione fututista (La donna ce duta dal cieln —
Sam Dunn è morto). In realtà, fermo restando che l’essenza del
Futurismo è e non può non essere rivoluzionaria, bisogna dire che
nel nostro movimento i termini sinistra e destra non si oppongono,
perdono ciaè il loro significato convenzionale. La mentalità futurista
supera il contrasto fra il sovverti- mento e la conservazione, in quanto
si libera di continuo in uno slancio creativa. Perciò un eventuale
Congresso fu- turista dovrebbe assumere una configurazione non
oriz- zontale ma verticale: fututisti di cima e futuristi di base,
133 aviazione e fanteria. E soltanto per ragioni di comodo,
io qui mi son servito della parola destra. Ma diciamo pure i
fanti, i pontieri, i costruttori di stra- de del Futurismo, e avremo
indicato il carattere e spiega- to la necessità di questo settore nel
nostro movimento: l'aderenza al terreno pratico. Come l'architettura,
come la decorazione, l’arte narrativa adempie a una funzione in
gran parte pratica: da ciò l'obbligo per essa di equili- brarsi tra il
dovere del rinnovamento artistico e l’impe- rativo degli scopi vitali ai
quali la sua natura la destina. Un romanzo illeggibile equivale a una
casa senza finestre per vederci o a una stazione dove i treni non possono
cir- colare. Ora il Futurismo vanta la proptia aderenza al tem- po
attuale anche nel senso della praticità. Le case futuriste vogliono
essere le più comode: la struttura delle città futu- riste mira ad
assicurare i massimi vantaggi alle moltitudi- ni che devono abitarle.
Allo stesso modo il narratore fu- turista ambisce di garbare alle folle
dei giovani, traendone e in esse trasfondendo gli ideali tipici del
nostro tempo, per via di una tecnica intonata alla sensibilità
moderna, tutta nitidezza brevità sintetismo. Va da sé che il buon
narratore futurista dovrà ogni tanto lasciare la sua bisogna terrestre,
per collaudare ed eccitare nell’ebbrezza di un volo lirico la propria
tempra di novatore. Questa nota velo- ce non intende di risolvere
l'importante problema al qua- le si riferisce: ma soltanto di proporre lo
studio ai came- rati futuristi. Bruno CorRrA
Sansepolcrista [da: Futurismo -- Con il suo articolo « Noi futuristi di
destra » uscito nell'ultimo numero di Futurismo, Bruno Corra ha
oppor- tunamente aperto una tempestiva discussione intorno al
movimento futurista che, secondo me, va allargata e approfondita da una serie
di perentorie domande — argo- menti che, investendone in pieno la vita e
la vitalità, ri- chiedono altrettante risposte urgenti e
risolutive, Quali sono le origini e le funzioni del movimento
fu- turista in Italia. Quanti e quali sono i movimenti
artistici e letterari succedntisi in questi ultimi venti anni in Europa,
che accusano sinceramente una netta derivazione dal Futu- rismo.
Individuazione dei movimenti artistici e letterari che
rappresentano una deviazione e una contraffazione del Futurismo e dei
movimenti che, o fingendo d’ignorarlo, o ammettendolo furbescamente solo
attraverso la propria attenuazione, continuano a pompargli generoso
sangue e a servirsene di veicolo sull’allegro esempio della comoda
simbiosi di Bernardo l’Eremita. Quali sono Je vere umane ragioni
per cui elementi di primissimo ordine si dispersero e si distaccarono
dal movimento futurista dopo averne fatto parte, o. dopo aver- ne
attraversata l’esperienza (cito alcuni nomi: Palazzeschi e Carrà; Soffici
e Papini). In che cosa consista e came vada intesa il
cosidetto « contenuto polemico » che, seconda certa critica nostra-
na, costituirebbe il peso morto e il punto d'arresto del Fututismo.
Quale fondamento abbia l'accusa spesso rivolta al Fu- tutismo di
essere un movimento difettoso e caduco per- ché nato senza una dottrina
estetica che lo giustifichi. Espansione influenza e fortune del
Futurismo in tut- to il mondo e suo riconoscimento in Italia.
Sono tutte domande che hanno bisogno per una con- veniente
risposta, di lunghe e minuziose trattazioni. Ed è più che naturale
e logica la irresistibile tendenza dei nostri connazionali a
sbarazzarsene con una sola pa- rola. Questa parola la
conosciamo troppo bene: Marinetti! Ma conosciamo troppo bene anche
il grossolano trucco, Si accarezza Marinetti (fino ad un
certo punto, e il più nascostamente che sia possibile: è bene non
compro- mettersi troppo!), per negare poi il Futurismo e massacra-
re i futuristi. Da troppo tempo si pratica ormai l'iniquo
inganno per non sperare che abbia finalmente a fruttare un ri-
sultato vittorioso e definitivo! E’ il trucco indegno tentato dagli
antifascisti contro il fascismo quando si cercava di mettere in mora il
fa- scismo proclamando il Mussolinisma, nell’assurda cana- gliesca
mira di dividerli, per batterli poi con più comada separatamente.
Mussolini anche a quei tempi era trappo Duce per non avvertire la
subdola insidia e sventarla. Marinetti! Chi più di noi l’ha più
fedelmente amato ed ammirato? Per conoscere quali prodigiosi
tesori di amore e di energia egli possieda, bisogna vederlo all'estero.
Bisogna sentire allora con che fuoco egli è capace di affrontare i
pubblici più paurosi per numero e distinzione, più ostili ad ogni cosa
che abbia la nostra impronta di quanto non st creda, e per mentalità, per
gelosia e furore d'inferiorità; bisogna sentirlo dominare a poco a poco
col suo impeto irresistibile gli spiriti o avversi o diffidenti, e,
mentre fa giganteggiare nelle assemblee stipate l’ombra magnani- ma
del Duce, vederlo a trascinarle all’'entusiasmo e co- stringerle a
riconoscere la poesia italiana come una cosa caduta dal cielo: bisogna,
dico, vedere quest'Uomo straor- dinario all’estero, per capire che
instancabile affascinante ambasciatore d'italianità nel mondo noi abbiamo
in lui. Se l’attività di Marinetti presenta una debolezza,
que- sto avviene proprio in casa nostra. E' una debolezza che è forse
il suo più alto titolo di gloria. E ritorneremo sul- l'argomento.
Ma approfitrarsene come troppi fanno, è un mostruo- so
delitto. Che cosa volete allora?, ci domanderà qualche impru-
dente con un sorriso allusivo. No, no, non invidiamo il puzzo di
benzina, state tran- quilli: a questo volevate alludere. Ma troppe volte
ricevia- 136 mo in faccia la cenciata dell'insolente
puzzo di benzina per non sentirci offesi e disgustati nella nostra
rassegnata povertà. La ragione del nostro malcontento è che
da troppo tempo noi andiamo seminando e falciando per quelli che ci
seguono e allegramente raccolgono senza nemmeno ri- volgerci un pensiero
di ringraziamento. Amici cari, se ci fermassimo un po’, se ci
voltassimo un pochino indietro anche noi? Se pensassimo anche noi
di raccogliere un pugno di quelle spighe, da portarcele a casa se non
altro per ricordo e testimonianza della lunga fatica compiuta?
Ma se lasciamo ancora correre un poco, ho paura che ci negheranno
anche questo piccolo premio di consolazio- ne; e se ci destineranno un
posto {bontà loro!), questo non sarà che per il museo, tra le mummie di
coloro che st prodigarono e sactificarono per una fede e un ideale
e che Alfredo Panzini già propose di raggruppate in una sola classifica
con la denominazione di collezione di fessi... CorRrADO
GovonI [da: Futwrismo, ESTREMA
SINISTRA E non vorrei altro aggiungere. Le distinzioni, «i
pun- ti fermi», Îe categorie anagrafiche non contano. Si sa che,
per taluni, l'età del « destino » futurista è passata da un pezzo. Pure,
quando la febbre della creazione non è discesa e, soprattutto, quando il
traguardo tremendamente astrale della proptia Opera non è raggiunto, ci
si sente, ogni mattina, l'età — magari — di Vittoria, di Ala e di
Luce Marinetti...! Questo, e non altro, è il vero futurismo. Perché
dovrei sedermi a destra, proprio io? Mi sembre- rebbe di tradire la causa
di « Aeroplani », di « Ellisse € la Spirale », di « Cavalcata delle
vertigini », di « Popolo canta così! » di « Dannazioni » e di tutto il
mio Teatro inedito, ma ultra violetto, che ha forse, a suo tempo,
spa- ventato anche i genii scenici sovversivi di Petrolini e di
Bragaglia. Soprattutto, mi sembrerebbe di tradite le mie
Opere fantasticamente audaci di domani: « Beatitudini »
(affret- tati mio caro Campitelli: perché l'aeroplano-razzo deve
partire per le stelle!). « Canto quotidiano », dove vedrete il Poema
attimistico del 1932 (la « Prora », lo sta stam- pando); e «Nostra
Signora degli Abissi »: dove, fina] mente, la Motte sarà vinta e le onde
cosmiche impaste- ranno da pari loro la nuova genesi delle radiazioni
inter- planetari. Questo è futurismo: e di ultra estrema
sinistra. Le mie anatomie sintetiche di anime e di sensi, le
mie aeropitture di tipi e di paesaggi, i miei cosmapolitismi spa-
ziali e i miei intimismi vorticosi stanno per una intransi- genza etico
estetica che costituisce, ormai, la gioia (ed, un pochino, anche la
gloria) della mia lunga carriera di uomo che ha sempre fatto dell'Arte
come il sacerdote celebra messa. Aviatore sempre, adunque: fante e
stradino, non mai. Lo so che i miei romanzi (appunto perché sempre
ed esclusivamente poemi) non hanno trovato che editori san- ti,
martiri ed eroi. Ma anche questo è un segno nobile del- le cose e degli
uomini e degli eventi. In quanto alle mie opere di Poesia pura, ho avuto
la soddisfazione recente di trovarmele analizzate e comprese e discusse
ed evidente- mente — quindi — amate da una Rivista di giovanissime menti
e di ardentissimi cuori: dico, la « Penna dei Ragaz- zi » diretta da
Vittorio Mussolini, edita in Roma. I giovani, quelli veramente
degni di questo nome pri- maverile, sanno che, al di fuori e al di sopra
d’ogni inevi- tabile chiasso letterario, la parola « futurismo »
risponde alla solo unica vera «idea forza» che oggi esista nella
sfera ideale del Mondo: e che è in grazia di essa, unica- mente di essa,
se oggi la Poesia della miracolosa Italia fascista vive e vivrà.
Naturalmente io dico ai giovani, anche e specie se 138
coronati dal casco d'alluminio in pieno cielo: « lavorate » non
accontentatevi di quattro parole intonate all’onoma- topea del motore: la
Poesia italiana ha ben altri diritti ed impone ben altri doveri! guardate
dalle finestre di Palazzo Venezia, la Via dell'Impero! e cantate i nuovi
« Carmi de- gli Augusti e dei Consolari », se ne siete capaci! Il
Duce vi premierà. PaoLo BUZZI [da: Futurismo, FUTURISMO SOSTANZIALE « Non c’è
che un futurismo: quello di estrema si- nistra », ha affermato Paolo
Buzzi. Ma questa generosa intransigenza che parrebbe volere ammettere un
unico modo di manifestarsi — contro la premessa di Bruno Cor- ra
circa il riconoscimento o meno d'un futurismo di destra « aderente al
terreno pratico » — rimane una questione poetica e individuale di fronte
agli argomenti che le ter- ranno dappresso: 1) Il futurismo
non è formalista; non si crea né si lascia creare barriere dalle definizioni;
pago della pro- pria influenza, lontano da ripulse d’ortodossia
vendicati- va, riconosce per suo anche quello che è tale sull’altro
name. Del resto Corra aveva scritto: « fermo restando che
l’essenza del futurismo è e non può non essere rivolu- zionaria, bisogna
dire che nel nostro Movimento i termi- ni sinistra e destra non sì
oppongono, perdono cioè il loro significato convenzionale. La mentalità
futurista supera il contrasto fra il sovvertimento e la conservazione,
in quanto si libera di continuo in uno slancio creativo ». Le
centinaia di migliaia di aderenti al Movimen- to non si compongono di un
solo tipo di futurista. La convinzione può essere unica; ma l'ispirazione
e i tem- peramenti saranno naturalmente diversi. Così uno stesso
tema, di sentimento futurista, verrà espresso in stili di- versi.
Si dovrebbe scartare i meno intensi? Fino a quel pun- to? E come
negarne la sostanza futurista? 3) La varietà di tipi, che
documenta l’importanza sociale del fenomeno futurista, è assoluta; e va
dai poeti ai militari, dai pittori agli industriali, ecc.
Bisogna presupporne quindi una gradazione di realiz. zatori;
gradazione intimamente connessa alle diverse si. tuazioni ambientali o
tecniche in cui i tipi si trovano. Non si tratta qui di temperamento o di
mentalità più o meno ardenti. Si tratta di concezione e di azione che
devono spesso basarsi sul comune « campo pratico » dove s'in-
contrano il numero o la psicologia, cioè i mezzi materiali negli scambi
del pensiero e del lavoro (p. e, i giornalisti, gl'ingegneri).
Io penso che Marinetti, quando parla nei convegni e alle
inaugurazioni, faccia — con istintiva attenuazione del- la sua anima
inquieta — del futurismo di destra. Perché allora è sul terreno « pratico
». E buon testimone potrebbe esserci Mino Somenzi stes- so,
uomo ardito, pittore d'incendi, cervello intransigente, che pure fu
l'organizzatore, modesto e alacre del I. Con- gresso futurista a Milano,
1924, riuscendo con l'intelli- gente accoglienza a dare alla
manifestazione una luce di concordia, rara nelle ancor più rare grandi
adunate di artisti e di caratteri spiccatissimi; Somenzi stesso che
fon- dò questo giornale indispensabile alle rivendicazioni di con-
quiste artistiche e ideali misconosciute ed alla continua- zione della tenace
opera di ringiovanimento, ed accolse dopo, con larghezza d'intenti,
l'ingegno d'ogni età e d'ogni fama purché attratto da poli
positivi. Dunque, se si dovesse affermare l'essenza d’un solo
futurismo bisognerebbe dire: « futurismo sostanziale », che è poi quello
del 1909, di oggi e dell'avvenire: umano, illi- mitato, ascendente.
Le idee vitali sono al disopra degli stessi uomini che le divinano e
le dettano. Esse formano il « tempo », mi. racolosamente, quasi contro
tutte le volontà. Corrado Govoni, a seguito della discussione
aperta da Bruno Corra, proponeva di riesaminare la posizione del
tuturismo fra le correnti nostrane ed estere. Dei sette que- siti
presentati, una richiamava l’attenzione su l'accusa mos- sa dal
culturalismo circa una pretesa assenza di dottrina giustificante
l'estetica futurista. Anche il Fascismo fu accusato di assenza di
dottrina: - e non dai soli avversari. Quale dottrina, quando
la critica ufficiale vede attra- verso la cultura, divenuta una seconda
natura? Remo CHITI (da: Faturismo, n. 30, anno II, 2 aprile
1933] Mi ricordo che Umberto Boccioni propendeva per un movimento chiuso
e voleva che i giovani artisti, i quali si dichiatavano futuristi e
aspitavano ad entrare nel nostro gruppo, subissero un lungo periodo di
quarantena. Secondo Boccioni non bastava proclamarsi novatore
per esserlo, in realtà; non era sufficiente una adesione più o meno
entusiastica per avere ingresso libero in un mo- vimento che si proponeva
di attuare nell'arte e nella vita un nuovo ordine di cose.
Dal suo punto di vista, puramente artistico, il crea- tore del «
dinamismo plastico » non aveva torto. Il dono della originalità non è
largito che a pochi. Per superare il già fatto, mettersi in armonia coi
propri tempi e pre- vedere i lineamenti estetici del futuro occorre
un’intelli- genza ardita, geniale e di largo respiro. Ma
contro l’esclusivismo boccioniano insorgeva la vi 141
brante liberalità di Marinetti, che più futurista di ogni altro intuiva
la necessità di creare un clima, di generaliz- zare una tendenza, di
suscitare una vasta atmosfera spiri- tuale in cui si dovessero respirare
continuamente il senso e il desiderio della novità. Ecco la ragione
profonda del suo proselitismo, della sua accettazione, quasi incondizionata
nel movimento, di tutti quei giovani e giovanissimi che avessero fede
nel futurismo. Tale generosità non fu e non sarà mai
faciloneria. Nel fervore del diciottenne c'è sempre qualcosa di
vivo e di sacro che è impossibile trascurare. Ognuno di noi sa per
esperienza che è la primavera, anche con le sue intemperanze, la stagione
che prepara i germi e i frutti di domani. E non bisogna aver paura che
gli entusiasmi sbol- liscano presto. Basta che la fiaccola timanga accesa
e che trascorra di mano in mano agitata e sollevata continua- mente
da qualcuno che ha fiducia nell’eterna giovinezza della nostra arte e
della nostra vita. Futurismo di destra? Futurismo di sinistra? Non
cre- do che sia il caso di parlarne. In quanto alle benemerenze e
al sacrifici, talvolta eroici, dei primi banditori del futu- tismo essi
appartengono ormai alla storia. L'amico Govoni vorrebbe che i
futuristi della vigilia fossero promossi al grado di santoni e avessero
quel tribu- to di applausi e di ricompense che essi giustamente
meri- tano. Ma ciò equivarrebbe a una giubilazione e noi ri-
schieremmo di diventare dei sopravvissuti. Il piedistallo e
l’altare non sono il nostro posto di combattimento. In prima
linea sempre e all'avanguardia ad ogni co- sto! Anche a costo di essere
eternamente in contrasto con il gusto del pubblico che è per sua natura
ritardatario e accetta soltanto il futurismo di seconda mano,
addomesti- cato dagli abili profittatori del nostro movimento.
Questo disprezzo del rendiconto e del caso personale, questa ferma
volontà di essere più giovani dei giovani è un segno di vitalità e quindi
di ottimismo. Di quell’otti- mismo che molti pseudo-avanguardisti
aborrono perché so- 142 no nati con la barba nel
cervello, non hanno avuto mai vent'anni e non arrivano a comprendere che
soltanto nel- l'entusiasmo assoluto e nella fede cosciente ma senza
mez- zi termini c'è il lievito di ogni grandezza futura e d’ogni
poesia nuova. Chi ha il torcicollo nostalgico non può guar- dare dititto
innanzi a sé e andare oltre speditamente. Chi nega l'ottimismo nega
lo slancio vitale che si per- petua nel tempo e nello spazio perché ricco
di speranze istintive e fornito da madre natura del vero e genvino
senso dell'immortalità. Avanti dunque coi giovani e giovanissimi.
Il clima fu- turista dev’essere sopratttuto un clima primaverile e
acerbo. Luciano FOLGORE [da: Futurismo, -- Abbiamo raccolto
quattro testimonianze futuriste, è sul futurismo. Una è di Alberto
Sartoris, architetto, una di Tullio Crali, pittore, una di Curto Belloli,
eri- tico d'arte, e una di Enzo Benedetto, pittore e giorna- lista.
Tre furono e sono futuristi: il quarto (Carlo Bel. loli) è un esperto,
studioso ed interprete del futurismo. Ci sono sembrati interventi
significativi e ittdispensa- bili alla puntualizzazione dell'argomento,
visto che si tratta di personaggi viventi, che hanno partecipato al
futurismo e che ancora oggi lo sostengono e cercano di dargli alito o di
vivere futuristicamente a tutt'oggi in un mondo, forse, ricaduto nel «
passatismo ». Crali con l'aeropittura e la sassintesi ha continuato
l'avan- guardia, cui aveva aderito col futurismo che sempre l'aveva
sostenuta, al di qua e al di là del fascismo. Benedetto con un manifesto
{Futurismo oggi) e poi con un foglio periodico «operativo »,
capace di pro porci il futurismo di ieri e anche quello di oggi.
Sar toris con un'ottività artistica professionale volta 4 con- timuare,
anche se in oltre direzioni n con altri strumen- ti di vicerca, la prima
avanguardia cui aveva aderito entusiasta. Belloli puntualizza e sancisce
criticamente con la profondità dell’evperto certi. rapporti e certe
« colleganze », troppo spesso volutamente dimenticate 0 accantonate. La
critica deve essere seria e intellettual. mente, n «ideologicamente »,
corretta. E° quello che abbiamo cercato di fare. Anche con la
pubblicazione di questo testimonianze Carlo Belloli,
critico, poeza « visuale » di sperimen tazione futurista, e docente nelle
università svizzere di estetica {Basilca) e storia della critica d'arte
(Strasbur- go) Nato nel 1922, vive a Milano e Basilea. E' colla
boratore de La Martinella di Milano, già del Roma di Napoli, e della
rivista Les Arts di Parigi Organizza come consulente le mostre di
numerose gallerie d'arte di Milano. Enzo Benedetto,
pittore e scrittore, futurista « da sempre » (1923). E' nato a Reggio
Calabria nel 1905, vive a Roma, dove ha lo studio e pubblica
Futurismo aggi, che esce dal ‘69, bimestralmente, con saggi e ri
produzioni di opere futuriste. Fu anche autore del l'omonimo manifesto
nel dopoguerra (1967). ‘Tullio Crali, pittore futurista e
aeropittore. E' nato nel 1910 a Igalo, in Dalmazia. Vive a Milano dove ha
lo studio e il più importante archivio del futurismo attualmente
esistente. Futurista dal '29 e creatore della camicia anticravatta e
della giacca antibavero (nel '33), é firmatario nel ‘58 del manifesto
futurista sulla « Sas- sintesi ». Sarà uno degli ultimi a vedere
Marinetti nel ‘4d, prima della morte, a Venezia e e concordare can
lui la continuità del futurismo dapo la guerra Alberto Sartoris,
architeito e professore dll'Univer sità di Losanna. Futurista e amico di
Terragm e di Le Corbusier, E' nato a Torino nel 1901. Vive a
Cossonay Ville, vicino a Losanna, Aderì al futurismo nel 1920 e nel
‘28 sarà con Prampolini e Fillia nel gruppo torinese. Nel ’36 fonda il
gruppo degli astrattisti a Como, dove collabora con Terragni nel progetto
della città operaia di Rebbio. ('39-40). Sua opera fondamentale è il
li bro Gli elementi dell’architettura funzionale (1932), pilastro
teorico del razionalismo architettonico italiano (introdotto da Le
Corbusier) FUTURISMO-FASCISMO: OSMOSI DI DUE MOVIMENTI
DELL'ITALIA CONTEMPORANEA Dal futurismo confluirono al
fascismo, o viceversa, al- cuni letterati e pittori, qualche pensatore,
di singolare auto- nomia espressiva. E' il caso di Mario
Carli, Emilio Settimelli ed Arman- do Mazza letterati e giornalisti di
non trascurabile inci- denza che dalla originaria militanza futurista
estrassero dialettica, argomentazioni autonome e maturazione spiri-
tuale, per assumere nel giornalismo fascista più avanzato ruoli
protagonisti. Mario Carli, ufficiale degli Arditi nella prima
guerra mondiale e poi legionario fiumano, fondò con F.T. Ma-
rinetti l'Associazione degli Arditi d’Italia e il periodico Roma
Futurista dalle cui colonne trovarono sistematica divulgazione il teatro sintetico,
le pratiche parolibere dei poeti futuristi e le prime prove
versoliberiste di Giuseppe Bottai che ne fu redattore. In
quel 1919 anche il generale Luigi Capello si avvi- cinerà ai futuristi
per esporre alcune tavole parolibere di accertata ingegnosità, alla «
Grande Esposizione Naziona- le Futurista » nella galleria centrale d'arte
di Palazzo Co- va a Milano, mostra successivamente presentata a
Firenze e a Genova. Mario Carli con la raccolta di versi
liberi e parole in libertà Caproni, pubblicata a Milano nel 1925,
precorse l’aeropoesia futurista degli Anni Trenta. Alla
prosa poetica, Carli, aveva dedicato Le notti fil- trate, singolare
repertorio lirico pubblicato nel 1918 e ri- stampato a Roma, nel 1923 per
i tipi di Giorgio Berlutti che dirigerà quella Libreria del Littorio,
editrice di mo: numenti e documenti dell'era fascista. Il suo debutto
di prosatore era avvenuto nel 1909 con un seguito di novel- le,
Seduzioni, cui seguirà, nel 1915, il suo primo romanzo, Retroscena. All’attività
letteraria e giornalistica Mario Carli alternerà quella politica e
diplomatica. Nel 1926 pubblicherà a Firenze Fascismo
Intransigente, con prefazione di Roberto Farinacci, che inaugurerà la
ten- denza più oltranzista del fascismo. Nel 1925 Carli era
stato nominato Console d’Italia in Brasile, per essere in seguito
trasferito a Porto Alegre nel 1927, anno in cui Bernardo Attolico
assumerà la reg- genza dell'Ambasciata d’Italia a Rio de Janeiro.
La tournée brasiliana del fondatore del futurismo a Rio de Janeiro,
Porto Alegre, San Paolo e Santos, nel maggio del 1926, troverà Mario
Carli a fianco di Mari- netti per arginare le polemiche causate in
Brasile dalla aperta posizione fascista dell’inventore delle parole in
li bertà. Dalla ribalta dei teatri brasiliani Carli prenderà
la parola con Marinetti ricordando che il fascismo dei-futu- risti
non aveva impedito di condurre ricerche nuove nelle arti e nell'estetica
alle quali la poetica futurista aveva aperto liberi orizzonti precisamente
influenzando il « mo- dernismo » sudamericano. Emilio
Settimelli, poeta, scrittore di teatro e giorna- lista, aveva debuttato
nel gruppo futurista toscano nel 1915 e con F.T. Marinetti e Bruno Corra
aveva curato la prima antologia del Teatro Sintetico Futurista, edita
da Umberto Notati, a Milano in quel medesimo anno, nella collezione
dei « Breviari Intellettuali » del suo Istituto Editoriale
Italiano. Nel 1917 Settimelli pubblicherà a Firenze Maschera-
te e, nel 1918, I capricci della Duchessa Pallore, edito a Milano dalle
Messaggerie Italiane. Settimelli risulta pre- cursote di un periodare
scarno e telegrafico, serrato e dia- lettico, inttoducendo la pratica di
neologismi sociopolitici che avranno fortuna nel linguaggio governativo e
giorna- listico italiano degli Anni Venti e Trenta. Il teatro sin-
tetico di Settimelli si differenzia da quello degli altri auto- ri
futuristi per lucida imprevedibilità di azioni-stati d’ani- mo
simultanei. Nel fascismo anche Settimelli appartenne alla corrente più
revisionista e le sue Sassate, pubblicate 148 a
Roma-Firenze nel 1926 dalla Casa Editrice Italiana, col: piranno più di
un gerarca in posizione moderata e con- formista. Filippo
Tommaso Marinetti redigerà nel 1921 con Emi- lio Settimelli e Mario Carli
il manifesto Che cos'è il Futu- rismo | Nozioni elementari, dove vengono
considerati « fu- turisti nella politica » coloro che amano il progresso
del- l'Italia più di loro stessi, quelli che vorranno liberare
l'Italia dal papato, dalla monarchia, dal senato, dal parla- mento, dal
matrimonio, precorrendo molti, successivi, pro- positi del
fascismo. Così la volontà di perseguire un governo tecnico di
giovani, senza parlamento, « vivificato da un consiglio ec- citatorio di
giovanissimi », la determinazione di « espro- priare gradualmente tutte
le terre incolte e malcoltivate, preparando la distribuzione della terra
ai suoi lavoratori » e l'abolizione di ogni forma di parassitisma
burocratico, industriale e capitalistico, diventeranno tipicamente
na- zionalfasciste e fasciorepubblicane. Il manifesto
considera, poi, « futurista nella vita » chi « sa dare a tempo un
cazzotto e uno schiaffo decisivo », chi « agisce con energia pronta e non
esita per vigliacche- ria », come chi « fra due decisioni da prendere
preferisce la più generosa e la più audace, sempre che sia legata
al maggiore perfezionamento e sviluppo dell'individuo e del- la
razza... »: medesima l'etica fascista di alcuni anni dopo. Nel 1922
Emilio Settimelli aveva dedicato un saggio critico all'opera di
Marinetti, edito a Milano con | tipi di Gaetano Facchi, che può essere
considerato il primo ten- tativo di analizzare la letteratura
marinettiana al di sopra del clamore scandalistico e della propaganda
futurista. Nel 1927 Settimelli pubblicherà a Roma, nelle
Edizioni d'Arte e di Critica, Come combatto che raccoglie i suoi
più polemici scritti apparsi sul quotidiano romano L’Irm- pero, diretto
con Mario Carli. Verso la fine degli Anni Trenta, Settimelli,
subirà al. cuni anni di confino di polizia causati dalla sua
intransi- genza critica verso alcuni personaggi-chiave del regime.
Di Armando Mazza, che ci fu dato di personalmente 149
conoscere e frequentare, il futurismo si avvaleva per pre- sentare
le prime, contestate, serate propagandistiche nei teatri della
Penisola. Eccellente declamatore di versi, tonante dicitore
di manifesti tecnici futuristi, Mazza possedeva un fisico atle-
tico di lottatore greco-romano. Marinetti affidava, quindi, a Mazza la
protezione della ribalta dagli attacchi passatisti, mentre Îa sua voce
tonante sovrastava i fischi e il vociare degli oppositori.
Singolare poeta parolibero, Mazza, sarà il primo ad organizzate un
movimento anticomunista, fondando nel 1919 a Milano, il settimanale
politico I wmemzici d'Italia, organo antimarxista, nazionalista e
prefascista. Nel 1918 Mazza aveva pubblicato dall'editore Gaetano Facchi
di Milano 10 Liriche d'Amore, seguito di altrettanti poemi in versi
liberi stampati come cartoline postali raccolte in contenitore di carta
crespata. Queste cartoline poetiche so- no il primo esempio rilevabile e
significativo di quella che negli Anni Settanta verrà definita Ma:l Art,
« Arte po- stale », assegnando alla comunicazione poetica il canale
inabituale della spedizione a domicilio del messaggio este- tico. Già nel
1917, Armando Mazza, aveva introdotto l’uso delle « Cartoline Postali di
Guerra », edite dallo Stabi- limento Tipografico Taveggia di Milano, di
cui Vedetta (cm. 13,7 x 19) resta la più curiosa ed esteticamente
de- terminante. Ai poemi postali faranno seguito Due morti. liriche
pubblicate nel 1919. Nel 1920 Mazza pubblica Firmamento / con una
spie gazione di F.T. Marinetti sulle Parole in Libertà, edito a
Milana dalle Edizioni Futuriste di Poesia. Si tratta di una pregevole
sequenza di parole in libertà dove la com- ponente tipovisuale
dialettizza le scelte semantiche, tal- volta enfatiche ed irruenti con
frequenti ricorsi ad ana- logie non sempre depurate. Poi Mazza verrà
totalmente assorbito dal giornalismo e dall’attività politica
Sarà direttore di importanti periodici come La grande Italia e di
quotidiani: L'Arena di Verona, I! Giornale di Genova, Il Resto del
Carlino di Bologna. Ricordiamo i grandi occhi azzurri di Armando
Mazza 150 farsi ancora più liquidi e trasparenti
quando ci parlava del Manifesto dell’Antitradizione Futurista dalle righe
del qua- le Apollinaire gli inviava, nel 1913, fiori, « rose », riser-
vando « merde » ai conservatori e ai romantici. Mazza aveva frequentato
Guglielmo Apollinaire a Parigi e Grasa Aranba a Rio de Janeiro, Benedetto
Croce a Napoli, ai tempi de La Diana e Giovanni Gentile a Milano,
proprio mentre il filosofo stava orientandosi verso il fascismo.
Amicissimo di Umberto Boccioni, che aveva aiutato nei primi anni del
soggiorno milanese, Mazza, era stato di- pinto dal maestro futurista in
un esemplare pastello di rara fattura e di deflagrante cromaticità, che
pubblicam- mo nel 1977 fra le opere inedite di Boccioni.
Sarà Mazza a favorire l'attitudine di Boccioni per la critica d'arte,
presentandolo ad Umberto Notari, editore del quotidiano, poi settimanale,
Gli Avvenimenti dove il pittore reggerà per qualche tempo la rubrica
d'arte. Il fascismo di Armando Mazza restò sempre moderato e la sua
coerenza politica gli causerà nel dopoguerra 1940-1945 il più completo
ostracismo, impedendogli di continuare la attività giornalistica di cui
ebbe profonda nostalgia sino agli ultimi giorni di vita. Il
forzoso silenzio pubblicistico ricondusse Mazza alla poesia alla quale
apporterà non trascurabili contributi in versi liberi pubblicati, fra il
1948 e il 1959, presso editori inadeguati. Fra i più importanti poeti del
futurismo con- fluiranno al fascismo, assumendovi incarichi di alta
re- sponsabilità, anche Auro d'Alba (Umberto Bottone) che, a Roma,
diventerà capo dell'ufficio stampa della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per
la Sicurezza Nazionale) e Paolo Buzzi che, a Milano, assumerà la carica
di Segretario Ge- nerale della Deputazione Provinciale. Altri futuristi
di minore rilievo, come il poeta Federico Pinna-Berchet, au- tore
delle Liriche d’Assalto, pubblicate a Roma nel 1930, il poeta parolibero
giuliano Bruno Sambo e Ferruccio Vecchi, prosatore e capitano degli
Arditi, aderiranno al fascismo svolgendovi ruoli anche decisivi. Sambo
diventerà federale di Addis Abeba, mentre Pinna-Berchet e Vecchi
ricopriranno alte cariche corporative. Così il genovese Bolzon, poeta-pittore
futurista dal 1919 e battagliero giornalista, sarà Sottosegretario alle
Colonie nel 1928, poi Consigliere di Stato e autore, fra il 1920 e il
1930, di saggi di critica sociale e di teoria fascista pubblicati
dalle edizioni Alpes di Milano. Anche il grande invalido di
guerra Giuseppe Steiner, piacentino, poeta parolibero e autore di quei
fondamentali Stati d'Animo disegnati, editi nel 1923, che precorsero
la « poesia grafica » di Pino Masnata e la « poesia visiva » dei
giovani fiorentini negli Anni Sessanta, sarà nominato Consigliere
Nazionale fascista. Dal futurismo si oriente- ranno verso il fascismo
anche il poeta-aviatore Guido Kel- ler, legionario fiumano e autore del
lancio aereo di un pitale su Montecitorio a monito di Francesco Saverio
Nitti, il « cagoia » del « Natale di sangue » fiumano; e la Me-
daglia d'Oro ferrarese Olao Gaggioli, poeta parolibero fu- turista e
pluridecorato ufficiale del XXIII Battaglione di Assalto dei Bersaglieri
sul Podgora. Nan va, infine, dimenticato il giornalista Ernesto
Da- quanno, poeta parolibero e cofondatore a Milano del pe- riodico
I Principe, organo fascista difensore della « Mo- narchia integrale ».
Daquanno, che nel 1925 aveva pub- blicato Now c'è poesia, saggi sul
risveglio dell’artigianato italiano, diventerà nel 1927 capo ufficio
stampa della Federazione Fascista delle Comunità Artigiane.
Un riferimento, poi, al poeta parolibero e autore di teatro sintetico
Guglielmo Jannelli, messinese, che dai «Fa- sci Futuristi », di cui era
stato promotore nel 1918 con Marinetti, passerà ai « Fasci di
Combattimento Siciliani » assumendovi compiti determinanti. Nel 1924
Jannelli pub- blichetà a Messina, per i tipi delle Edizioni della
Balza Futurista un polemico saggio dedicato a La crisi del Fa-
scismo in Sicilia, dedicato in frontespizio « A Emilio Set- timelli e
Mario Carli, miei fratelli nella avanguardia arti- stica e politica della
nuova Italia e anime capaci di ren- dere pienamente la sincerità che mi
ha mosso a compiere queste franche pagine obbiettive ».
Questo scritto di Jannelli conferma l’esistenza di una autocritica
nell’ambito del fascismo, di una volontà revt- con 1acusaro adagio. «.., oDbDedienza pronta,
cieca, aSS0- luta... ». Così Jannelli vede il fascismo nel 1924: «...
il fascismo si è rotto in due pezzi: molta della parte più buona è
rimasta bloccata, impedita di agire; e l’altra par- te trionfa
esteriormente unita ma intimamente diversa, po- co moderna, niente
affatto veloce e qualche volta insi- gnificante... ».
Anche Corrado Pavolini, poeta, autore teatrale, regi- sta, critico d’arte
e letterario, che si era avvicinato al mo- vimento di Marinetti
attraverso l’opera del pittore futuri- sta fiorentino Primo Conti e aveva
dedicato nel 1924 un saggio monografico al fondatore del futurismo pet,
infine, pubblicare nel 1927, a Bologna per i tipi dello Zanichelli,
quel fondamentale Cubismo Futurismo Impressionisnio, ade- rirà al
fascismo assumendo importanti incarichi nel diret. torio del partito e al
Ministero della Cultura Popolare. Dal fascismo perverrà, invece, al
futurismo il filosofo Fran- cesco Orestano, Accademico d’Italia, che
negli Anni Tren- ta dedica al movimento di Marinetti saggi di teoria
este- tica e di critica letteraria. Orestano aveva pubblicato nel
1907 quegli importanti Valori Umani la cui struttura teo- retica aveva
particolarmente influenzato il giovane Ma- rinetti.” Anche
Paolo Orano, scrittore, storico della filosofia e sindacalista
sorelliano, che fu Deputato fascista per la Sardegna alla XXVI
legislatura e per la Toscana alla XXVII e al quale venne affidata nel
1926 la prima cattedra di storia del giornalismo nella facoltà di Scienze
Politiche dell’Università di Perugia, si orienterà verso il
futurismo. Nella raccolta di saggi critici I Contemporanei,
pubblicata a Milano da Mondadori nel 1928, Orano riserverà a Ma-
rinetti una esegesi determinante, del tutta favorevole al futurismo
considerato estetica nuova di apertura inter- nazionale. Dalla pittura
futurista si muove, invece, verso il fascismo Antonio Marasco, senz'altro
il più impegnato e coerente politico fra tutti gli operatori plastici del
futu- rismo. Calabrese di nascita, Marasco, ebbe parte
rilevante nelle squadre d'azione fasciste di Firenze dove si era
tra- sferito prima ancora di arruolarsi volontario per la guerra
1915-1918, in cui verrà gravemente colpito da gas di ipri- te sul Piave e
dopo essere stato promotore con Marinetti dei « Fasci Futuristi ».
Nel 1914 Marasco aveva accompagnato Marinetti nel suo secondo
viaggio in Russia, a Mosca e a Pietroburgo, dove avrà modo di conoscere
Velimir Klebnikow e Wla- dimir Mavakowsky e di dedicare fisiosintesi di
estrema inventività grafica al medico-pittore Nicolaj Kulbin,
al pittore Nikolaj Burliuk, alla poetessa Elena Guro, al poe-
ta-aviatore Kamensky, al poeta-scrittore B. Livshits, al mu- sicista A.
V. Lurié e al regista Tairow. La pittura di Ma. rasco presenterà sempre
componenti sperimentali, non con- dizionata da temi fascisti o da enfasi
dell'aviazione mili- tare e civile che, purtroppo, sviliranno molta parte
della neropittura futurista degli Anni Trenta. Antonia Matasco
precorre il cosiddetto « astrattismo » delineatosi nell’am- bito della
milanese Galleria del Milione dei fratelli Ghi- ringhelli e può essere
considerato uno dei pionieri del costruttivismo e del concretismo
internazionali. Particolarmente affezionati a Marasco avevamo
avuto modo, negli Anni Sessanta, di presentare la sua prima mostra
personale a Milano, di carattere antologico, attra- verso la quale il più
vasto pubblico riuscì a scoprire le sue ricerche preastratte e
protoconcretiste realizzate a Fi- renze fra il 1923 e il 1930
Marasco restò sempre legato al futurismo e il suo fa- scismo ebbe
coerenza di adesione alla Repubblica Sociale Italiana dove ricoprì
importanti incarichi nella rinnovata Direzione Generale delle Belle Arti
e dei Beni Culturali del Ministero della Cultura Popolare. Questo
magistrale pittore svolse anche attività di scrittore e di critico
d’arte e un suo libro, pubblicato a Firenze nel 1935, Parrorami
allo Zenit, risulta anticipatore dell’attuale science-fiction.
Nell'ambito del movimento futurista, Marasco, pro- mosse i « Gruppi
Futuristi Indipendenti », attivi a Firen- ze fra il 1925 e il 1958, che
rivelarono personaggi della importanza di Cesare Augusto Poggi,
architetto razionalista, tecnologo del cemento armato e ideatore di
singolari costruzioni civili per la difesa bellica. Quando, nella
se- conda metà degli Anni Trenta, s'inasprirà la campagna fa-
scista contro il futurismo, accusato di difendere l'arte « astratta »
considerata « giudea e massonica », Matasco sarà a fianco di Marinetti
per chiarire i termini di indi- pendenza dell’« astrattismo » plastico da
ogni motivazio- ne di razza, da qualsivoglia matrice israelitica o
mura- toria. Se disponessimo di maggiore spazio per analizzare
compiutamente questo pericoloso momento dei rapporti fu- turismo-fascismo
ne risulterebbe la conferma di una pre- cisa interdipendenza di propositi
e di azione fra i due movimenti. Il futurismo non condizionò mai le
proprie libertà espressive, i propositi di rinnovamento, di costan-
te evoluzione spirituale, alle esigenze agiografiche del fa- scismo che,
del resto, non considerò il futurismo come arte di Stato, riservando
questo pericoloso privilegio al movimento del Novecento, celebrarore di
miti romanistici e imperiali, istigarore del ritorno al neoclassicismo,
pur mascherato da un malcompreso funzionalismo. Antonio
Marasco morirà a Firenze, nel 1975, alla so- glia degli
ottant'anni. Dopo un Jungo soggiorno romano aveva dipinto,
sino all'ultimo, cromostrutture dinamiche e inoggettive di auto-
noma soluzione cinevisuale. Puntualmente ci inviava let- tere di accorata
italianità, preziosi appunti di teoria pla- stica che, un giorno, dovremo
pur raccogliere e pubblicare come contributi fondamentali alla storia del
costruttivismo e del concretismo internazionali. Noi giovanissimi non
era- vamo disposti ad anteporre la dogmatica della mistica fa-
scista alle libertà espressive promosse e favorite dal futu- rismo, né ci
si potrà accusare di aver posto le nostre pri- me ricerche futuriste al
servizio dell'apologia di regime. Così le nostre Parole per la
Guerra, pubblicate nel mar- zo del 1944 dalle edizioni dî Futuristi in
Armi, sovven- zionate e dirette da F.T. Marinetti, non rinviano ai
canoni conformisti dell'aeropoesia futurista di guerra di quegli
an- ni ma anticipano, piuttosto, modalità di poesia concreta
e visuale, come è stato ampiamente rilevato dalla critica
internazionale più obiettiva e attenta. Il nostro poema Bimba /
bomba, del 1943, può essere, infatti, considerato il primo esempio
esistente di poesia concreta a struttura semantica reversibile e a susseguenza
ottica alternata, dove l'uso della parola-chiave è già seria-
listico. Il nostro fascismo eta quindi disarticolato dalle
pra- tiche dell’estetica futurista, proprio come si era verificato
per gli iniziatori del futurismo: F.T. Marinetti, Paolo Buz- zi, Armando
Mazza, Auro d’Alba, Luciano Folgore. In- fatti anche i nostri
Testi-Poemzi Murali, pubblicati nel 1944 dalle Edizioni Etre (Repubblica)
con un «collaudo » di Martinetti, piuttosto di risolversi nell'abituale
apologia guetresca di quel periodo, introducono un modo nuovo di
poetare inaugurando le problematiche di quella « poesia visuale » che,
solo negli Anni Cinquanta, troverà consensi internazionali sino a farsi
scuola di poesia avanzata. L’ideo- logia politica di Marinetti, le teorie
del suo particolare na- zionalismo « prefascista » sono raccolte in due
volumi pub- blicati in tempi diversi. Democrazia Futurista, edita a
Mi- lano nel 1919 da Gaetano Facchi, è la sintesi delle posi- zioni
politiche assunte da Marinetti nell'immediato dopo- guerra
1915-1918. Vi si ripercorre l'atmosfera in cui nel 1918, dopo
Ca- poretto, Marinetti fonda i « Fasci Politici Fututisti » con
Giuseppe Bottai, Emilio Settimelli, Mario Carli, Gugliel- mo Jannelli,
Antonio Marasco, i pittori Gino Galli, Gia- como Balla, Ottone Rosai,
Fattunato Depero, il poeta-pit- tore cremonese Enzo Mainardi, lo
scrittore Remo Chiti, il poeta Luciano Nicastro, Massimo Bontempelli, il
chirur- go Giovanni Masnata, poi Senatore del Regno, padre del
poeta parolibero stradellino Pino Masnata, ai quali aderi- Sta settanta
intellettuali e uomini di varia estrazione cul- turale. I
«Fasci Politici Futuristi » si trasformeranno, poi, gradualmente in «
Fasci di Combattimento » confluendo nel. lo squadrismo fascista. Così,
quando i fascisti partecipe- ranno per Ja prima volta alle elezioni
politiche del 1919, 156 rinetti, Piero Bolzon, il
poeta-aviatore Giacomo Macchi, Baseggio e Podrecca. Futurismo
e Fascismo, pubblicato da Franco Campi. telli, editore in Foligno, nel
1924, indica, invece, la per- sonale interpretazione della dottrina
fascista praticata da Marinetti e da molti artisti futuristi, come dai
numerosi affiancatori e propagandisti del movimento futurista. Con
il manifesto L'Impero Italiano / A Benito Mussolini - Ca- po della Nuova
Italia redatto nel 1922 da F.T. Marinetti, Mario Carli ed Emilio
Settimelli, il futurismo, già in que- gli anni, istigherà il fascismo
alla fondazione dell'Impero, precorrendo una realtà che, negli Anni
Trenta si concluderà con la conquista dell'Etiopia. Marinetti
scriverà nel 1924: «... il Fascismo, naro dall’interventismo e dal
futurismo si nutrì di principi fu. turisti... » Una storia
parallela dei due movimenti, ancora da scri- vere, dovrà tener conto
della mai rinunciata indipendenza futurista che non condizionò le
esigenze di libera ricerca espressiva alla necessità della politica
dominante. Innanzi tutto confesso che sono nato alla vita sociale
prima come fascista e dopo come futurista. Avevo sedici anni quando
nel 1921, proprio in corti. spondenza del mio compleanno, sottoscrissi
una domanda di ammissione ai « Fasci di Combattimento ». La doman-
da fu avvallata da due miei amici di maggiore età, come soci presentatori,
i quali compirono coscientemente un pic- colo falso alterando di due anni
la mia data di nascita al fine di consentire la mia ammissione come socio
ad ogni effetto. Così diventai a pieno titolo uno dei pochi
iscritti della Sezione di Reggio Calabria dei « Fasci di Combat- timento
», che aveva allora sede in una baracchetta per i bagni di mare, in
disuso. Perché questo sedicenne studente del Liceo aveva
ascoltato e risposto ad un richiamo politico certamente pericoloso? A mio
avviso, furono determinanti, l’amore per la Patria, nato dentro durante
fa guerra sull’esempio di un avo materno che ne aveva avuto, forse, di
troppo; l'entusiasmo per la vittoria e la conseguente indignazione
per quanto accadde subito dopo con l’attività dei cosid- detti
progressisti del momento, ostili ai reduci, in con- trasto con la
spavalderia ed intraprendenza di questi ul- timi. Il mio
apptoccio con il Futurismo avvenne, invece, due anni dopo, con la
scoperta di Zang iumb tuumm e l’incontro con F.T. Marinetti
Questo essere prima fascista e poi futurista, mi sem- brò una
particolarità personale e la confessai un giotno — dopo tantissimi anni
-— a Mario Dessy, e lui mi disse che gli era accaduto lo stesso benché
avesse cinque anni più di me. Comunque è chiaro che nel periodo fra il
1919 ed il 1922 vi fu un rapporto di identità ideale fra queste due
forze, anche se vi furono dissensi spesso di carattere costruttivo, E’
difficile — infatti — che possano andare in tandem per lungo tempo
movimenti di carattere poli- tico e movimenti di carattere intellettuale
o culturale. Le ragioni mi sembrano evidenti: un movimento
culturale, anche se basa la propria forza nelle realtà della vita
(come il futurismo), ha il suo fulcro nella idea-base che difende
con ortodossia e non è disponibile per transazioni ideolo- giche. Il
movimento politico, invece, pet propria natura, specie quando atrivi alla
gestione del potere, diviene dut- tile e transigente al fine di mantenere
è consolidare la proptia forza concreta, allargando la base dei
consensi. Il Futurismo prima della guerra mondiale si
caratteriz- za artisticamente con l'invenzione dei grandi temi di
rin- novamento nei settori di tutte le arti e, in veste politico-sociale,
nell’esaltazione dell’Italia, fantasticando per que- sta, una nuova
organizzazione anti-demo-liberale ed anti- clericale. Un nuovo mado di
vivere. Uno Stato industriale ed agricolo tecnicamente progredito, che si
progettava astrattamente, certamente irrealizzabile. Qui i tentativi
di un’azione politica che non aveva, però, un valido autonoma
sviluppo organizzativo. Come pretenderlo da poeti ed ar- tisti?
Nel tempo in cui Marinetti iniziò il « Movimento », le forze che
affermavano di voler realizzare un nuovo svi- luppo sociale al fine di un
miglioramento della situazione economica delle classi più disagiate e
trascurate, trovava- no una sede formalmente appropriata nelle spinte del
sa- cialismo deamicisiano; ma tale situazione ebbe durata bre- ve
perché questo socialismo si sviluppò in senso interna- zionalista
apatriottico collettivista antindividualista e fu sconfitto dagli eventi
della prima guetra mondiale. Tanto è vero che dal suo seno, a guerra
conclusa, prosperarono il comunismo ed altre scissioni e nacque il
fascismo. Sono noti e possono essere facilmente consultati i
do- cumenti delle manifestazioni spiccatamente politiche del
movimento futurista che precedettero la Fondazione dei « Fasci di
Combattimento ». Intendo rifetirmi al « Pro- gramma Politico Futurista »
dell'11 ottobre 1913, firma- to da Marinetti Boccioni Carrà Russolo,
all'azione politi- ca svolta da La Balza Futurista fondata da Di
Giacomo Jannelli e Nicastro del 1915, e dei «Fasci Interventisti
Siciliani », di Roma Futurista e dei relativi gruppi, nati nel 1917-18, del
Partito Politico Futurista sempre del 1918 che concretizzava un suo
programma nel libro Democrazia Futurista di Marinetti, eccetera eccetera.
Tutte queste for- ze si concentrarono nel movimento fascista nel 1919,
sia aderendo direttamente all'assemblea di fondazione di Piaz- za
San Sepolcro in Milano, sia successivamente anche per forza
d'inerzia. Il fatto è che — di solito — quando si parla di
par- tecipazione politica dei futuristi, ci si richiama soltanto al
ricordo dell’attività degli artisti che militarono con la qualificazione
di « futuristi ». Vale a dire dei poeti, scrittori, pittori, limitandosi
ovviamente ad esaminare il con- tributo di coloro che hanno raggiunto
maggiore notorietà, trascurando i « minori ». Ma questi ultimi erano in
nu- mero stragrande e molto attivi. Senza tenere inoltre conto che
i maggiori spesso presi del tutto da altre attività, non erano
altrettanto validi e disponibili in campo politico. In verità, il «
Futurismo » di quel tempo è stato un movi- mento a larga partecipazione
di giovani, di tantissimi gio- vani. Non tutti poterono — ovviamente
militare nel campo dell'Arte e maturare tanta notorietà da essere
ri- cordati anche oggi. Ma tutti furono politicamente attivi e
furono a migliaia i militanti di futurismo che partecipa- rono ad episodi
fascisti negli anni precedenti, o appena suc- cessivi, alla marcia su
Roma. Non credo di sbagliare se affermo che nelle cosiddet-
te schiere dello « squadrismo » molte furono le partecipa- zioni futuriste.
Azione lotta e coraggio erano proposizioni futuriste. Basta ricordare la
prima azione di Marinetti e Ferruccio Vecchi nel 1919 (16 aprile: Piazza
Mercanti Mi- lano) e ricordare i tanti nomi dei militanti futuristi
che ebbero più spicco in campo politico che in quello dell’arte.
Alla fondazione dei Fasci, confluirono nel fiume che diventò
principale, molteplici rivoli di pensiero (come ho già accennato)
movimenti di ogni genere che avevano un minimo comune denominatore nella
volontà di rinnovare in qualche modo l’Italia che, pur vittoriosa nella
guerra, si dimenava in serie difficoltà ed era incapace ad affron-
tare la svolta storica che la vittoria aveva aperto. Anche i Fasci
Interventisti Futuristi Siciliani, che avevano preso forza dalla volontà
di Jannelli e Nicastro (il prima con capacità ed intendimenti politici ed
il secondo come lette- rato e poeta), ma dei quali non si è ancora
scritta la storia, né accertato la reale efficienza, vi aderirono.
Come aderì Marinetti con tanti altri futuristi che risultano elen-
cati nella schiera dei cosiddetti « sansepolcristi ». In seguito,
quando il fascismo andò al potere, ai futu- risti sembrò che finalmente
sarebbero stati realizzati nel- l’arte gran parte dei propositi del
futurismo. In questa illusione fummo cullati da alcuni elementi: la
impostazio- 160 ne altamente patriottica
dei propositi, la valorizzazione del combattentismo e del volontarismo,
l'amore per il nuovo ed il rischio, il pragmatismo attivo dimostrato
immedia- tamente con i primi atti di governo, eccetera. Va anche
rammentato ai giovani di oggi, frastornati da affermazioni non
rispondenti alla realtà di allora, che la personalità di Mussolini era
molto al di sopra non solo di quella dei suoi collaboratori politici, ma
sovrastava la media dei cer- velli politici di quel periodo. Tanto è vero
che furono ap- punto gli avversari a votargli subito i « pieni poteri »
che gli consentirono l'avvio della prima gestione governativa.
Questo fatto rilevante, gli consentì di attrarre dapprima le simpatie
collettive ed — in seguito — a conquistare una enorme fiducia, non solo
da parte dei suoi sostenitori di un tempo, ma anche da parte di ex
avversari e simpa. tizzanti e — nei periodi più floridi — perfino dai
nemici del sistema politico che egli cercava di sviluppare.
Quando il fascismo s’insediò al governo per realizzare la
rivoluzione {a dire dei fascisti), o perché chiamato dalla debole
monarchia (come dicono gli altri), subì dapprima una sosta di aggiornamento
dovuta alla urgenza de) pro- blemi immediati dalla cui soluzione
dipendeva il recupe- ro dell'ordine econamico e politico. Per questo,
Mussolini non si sbarazzò immediatamente degli avversari che erano
troppi e in gran parte si erano dichiarati disponibili a collaborare per
il meglio, pur costituendo nello stessa tempo zone di resistenza alle
innovazioni Così anche nei fatti dell’Arte ovviamente meno
pres- santi, ove non comparvero personalità « nuove » che aves-
sero seri propositi di rinnovamento e disponibili a rivolu- zionare
tutto, come i futuristi. I quali con a capo Mari. netti e nella quasi
totalità si convinsero che la « rivolu- zione » potesse realizzarsi per
pradi anche in Arte. Che la forza del nuovo potesse penetrare per gradi
nelle isti- tuzioni d’Arte e trasfarmarle. Pura illusione. Illusione
giu- stificata sul momento non solo dal fascino personale di
Mussolini al quale ho già accennato, ma anche da certe sue
caratteristiche gestuali (come la particolare sintetica e precisa
oratotia che andava direttamente allo scopo in 161
modo esplicito) che lo presentavano come un congeniale capo futurista. Se
si aggiunge inoltre l'amicizia personale fra Mussolini e Marinetti,
vicini anche in altre precedenti azioni politiche, si comprende come il
movimento rivolu- zionario rappresentato in arte dal Futurismo, rimase a
fian- co del Fascismo (esso stesso ancora tivoluzionario alla ba-
sel, anche se in via di adattamento, questo, alle esigenze immediate
dell'esercizio del potere su una nazione che di rivoluzionari di
qualsiasi tipo ne ha avuto — per la veri- tà — sempre pochi, anche se
gonfiati ad oltranza quando occorre, in tutti i testi di storia antica e
recente. I futuristi costituirono una avanguardia nelle fila
del fascismo e vi rimasero nella quasi totalità. Basta citare i]
messaggio che concluse il Congresso futurista di Milano (L'Impero, 27
novembre 1924): « L'ultima riunione del congresso futurista è
stata de- dicata all'esame dell'attuale momento politico. Marinetti
espose alla numerosa assemblea una dichiarazione prece- dentemente
elaborata in accordo con i maggiori futuristi politici, la lettura della
dichiarazione fu entusiasticamente approvata ed acclamata in ogni suo punto.
Ecco Ja dichia razione: «“I futuristi italiani, primi fra i
primi interventisti nella piazza e sui campi di battaglia e primi fra i
primi dician- novisti più che mai devoti alle idee ed all'arte lontani
dal politicantismo, dicono al loro vecchio compagno Benito Mussolini:
Primo: con un gesto di forza ormai indispen- sabile liberati del
parlamento. Secondo: restituisci al fa- scismo ed all'Italia la
meravigliosa anima diciannovista di- sinteressata ardita antisocialista
anticlericale antimonar- chica. Tetzo: Concedi alla monarchia
soltanto la sua prov- visoria funzione unitaria, rifiutale quella di
soffocare e morfinizzare la più grande, più geniale, più giusta
Italia di domani. Quarto:- non imitare l’inimitabile Giolitti, imi-
ta il grande Mussolini del ’19. Quinto: Pensa sempre al- l'Italia
immortale ed al Carso divino. Sesto: Schiaccia la opposizione socialista
antitaliana di Turati e l'opposizione mediocrista di Albertini con una
ferrea dinamica aristocra- zia di pensiero.«“Tu puoi e devi far ciò. Noi
dobbiamo volerlo e lo vo- gliamo. F.T. Marinetti - Capo del Movimento
Futurista Italiano”». Sono inoltre innumerevoli le
manifestazioni dei futu- risti in tanie occasioni, con opere scritti ed
anche con la partecipazione concreta alle guerre di quel periodo.
Vo- glio ricordare, però, un solo scritto di Fillia (morto nel 1930
e che adesso cercano di passare per antifascista) il quale nel 19527 in
occasione della Quadriennale di Tori- no, così scriveva sulla sua rivista
Vetrina Futurista: «... Bisogna, però, giungere a “convincere” il
grosso pubblico, ingannato a nostro riguardo dalle false inter
pretazioni. Perché il favore organizzativo che oggi ci cir- conda, non
basta: è assurdo riconoscere il futurismo come manifestazione d'Arte ed
ammettere contemporaneamente le antiche manifestazioni. La vita può avere
individual mente, diverse interpretazioni, ma tutte devono essere
in- quadrate in una sola atmsofera sensibile, corrispondente alla
vita stessa. Non voglio con questo negare il diritto di esistenza a
intere categorie di pittori rimasti spititualmen- te arretrati: ma è
necessario preparare il pubblico alla loro graduale eliminazione dalla
vita artistica ufficiale, fino al riconoscimento del Futurismo “arte di
Stato” massimo ri- conascimento che lo caratterizzerà nella sua
importanza... ». Purtroppo però le autorità artistiche avevano il
so- pravvento favorendo a vele spiegate l’architettura di Pia-
centini e gli enormi pupazzi della scultura e pittura no- vecentista,
effettivamente arte del regime. E noi futuristi interpretavamo le isianze
di rinnovamento dell’arte senza alcun riconoscimento dal Regime che
ritrovava sé stesso nelle manifestazioni novecentiste.
Questo, non mi stanco di ripeterlo, negli Anni Venti. E poi?
Poi nulla. Le vicende, le difficoltà personali, gli entu- siasmi e
le depressioni, gli alti e i bassi, il lavoro e la mag- giore maturità.
Ma non creda di sbagliare se affermo che noi futuristi vivemmo quel tempo
con spirito indipendente e piena libertà fiduciosi che in fondo avremmo
avuto ragione. Anche se spesso sopportati e negletti dalle autorità
artistiche e subiti obiorto collo quando necessario. Poi andammo
all'ultima guerra, che fu sconvolgente per tutti. To ne vissi
scrupolosamente la mia parte con coeren- za. Fui costretto fuori a lungo.
Pet un anno di guerra, ne subii sei di prigionia e non conosco nei
particolari ciò che è avvenuto qui mentre ho già scritto delle mie
esperienze. AI ritorno, nel Natale del 1946, mi sembrò di
sbarcare in un altro mondo al quale non mi sono ancora completa-
mente assuefatto. Ma ripresi a vivere da zero e nell’aprile del ‘47
cominciai la mia nuova personale battaglia per il futurismo con la mostra
alla « Galleria di Roma » inaugu- rata da Benedetta c dedicata a F.T.
Marinetti. Continuai ancora e vado avanti con i futuristi
soprav- vissuti e con l'appoggio dei giovani che comprendono e non
disdegnano l’idea del futurismo che continua e si rinnova attraverso le
spiccate personalità dei suoi artisti. Crali, lei è pittore ed è futurista
Uno dei pochis. simi, oggi. Crede che il futurismo sia ancora
attuale? SÌ, ma non per merito dei futuristi. Ma ha una sua
attualità perché si è espresso, si è mosso, e ci parla ancora. Ma non
certo per chi ci ha mangiato sopra, per chi non è mai stato futurista, ed
ha espresso solamente « necrofilia », vera e propria « necrofilia ».Il
futurismo di prima, quello per cui lei aderì al movimento, o vi st
convertì, come la investì per così dire, o come la ispirò?
R. — Non mi sono affatto « convertito », perché non c'era niente da
convertite. Mi sono trovato di fronte al 164
futurismo come un’anima candida, che non sa e non è con- sapevole di
nulla. Mi sono ritrovato una simpatia incon- scia per alcuni quadri
riprodotti su Il Mazzino illustrato di Napoli. Mi sono piaciuti, mentre
ad un amico mio, che la pensava diversamente da me, non piacevano.
Cominciam- mo a litigare, e per litigare ad approfondite
l’argomenta ecc. ecc. Così ho cominciato ad essere interessata al
futu- rismo. E sono partito senza avere una preparazione di me-
stiere. Ho fatto rutto da solo, senza imparare a dipingere o disegnare,
anche se poi una specie di grillo della coscienza mi ha suggerito che
dovevo imparare a dipingere, sia pure da solo (anatomia, prospettive, ecc
). L’astratto e il figu- rativo erano | temi o le prospettive dominanti.
Ho cercato una « terza via », che fosse tutta mia, tutta personale:
una ia di mezzo fra il figurativo e l'astratto. Poi ho lasciato il
figurativo per la mia pittura futurista. Credevo di dover dire ciò che
altri non avevano detto. Così mi sono accostata a Marinetti nel '29,
quando gli scrissi per aderire al movi. mento. L'aeroplano era una
macchina nuova, un congegno del futuro, o, per allora, del « futuribile
». E fu una delle realtà che mi diedero più spunti, più ispirazione
(l'Idrovo- lante italiano, D’'Annunzia e il volo su Vienna, e il
campo di atterraggio vicino a Zara, dove io sono nato, ecc.). Così
sono diventato acropittore. E lo sono rimasto, ancora oggi. Marinetti,
invece, per quello che lo frequentò o poté essergli vicino, come lo
considera? Forse l’unico vero futurista, © forse solo un grande « maestro
»? R. — No, non lo considero un maestra, perché non ha mai voluto
essere un « maestro ». Ci ha sempre stimolato e spinto a lare, senza mai
dire però come dovevamo fare Era contrario ad ogni gerarchia nel
movimento del futuri. smo. E si opponeva sempre a Boccioni e Prampolini,
che volevano imporre la loro pittura. Voleva che ognuno di noi fosse
libero e indipendente. Prampolini invece voleva fare il caposcuola.
Marinetti voleva solo che ognuno fosse se stesso e non ha creato nessuna
scuola. Amava la sua libertà e la sua indipendenza a tal punto che non
poteva imporre insegnamenti. Fotse D'Annunzio lo aveva influen-
zato in questo senso, nella vita mandana libera, giovane e spregiudicata.
Io lo ricordo e lo ricorderò sempre con rico- noscenza. Quasi come un
padre. O come un fratello map- giore. E come l’unico vero futurista, come
ho sempre de! resto pensato. Gli altri hanno tutti « mollato ». Lui è
an- dato avanti fino all'ultimo. L'unico che può personificare il
futurismo è fui, l’unico che non ha rivestito patine di cul: turame
intellettvalistico, come hanno fatto invece molti al- tri (Soffici,
Conti, Palazzeschi, Papini, ecc.). Amava essere futurista sempre e
comunque, anche nel gusto del contra- sto. Amava la luna, e scrisse un
manifesto « contro il chia- ro di Juna ». « Uccidiamo il chiaro di luna
», vi si diceva, forse contro i poeti. Ma non era poeta? Predicava la
guer- ra, anche se non avrebbe fatto male a nessuno. Amava la madre
e la donna in assoluto, e ciecamente. Ma combatté la donna sul piano
ideologico. In questo è veramente futu- rista. E lo è solo lui. Gli altri
non lo sono mai stati. Il futurismo di Marinetti che accento o che
an- golazione aveva particolarmente: letteraria, artistica, filoso-
fica 0 piuttosto politica? R. — Politica no, assolutamente e mai.
Filosofica nean- che, se non forse in senso attivo, ma allora « senza
pen- siero ». « Il futurismo entra in politica soltanto quando la
patria entra in pericolo », aveva detto Marinetti in un momento cruciale
della nostra storia nazionale. Il manifesto politico del fuuttismo è
conseguenza del fatto che esso sta movimento d'arte e di vita, e come
tale anche di vita poli- tica, tout court. Il manifesto politico è del
’13. Dopo Ja fine della guerra l'accostamento agli arditi o al
fenomeno dell’« arditismo » era inevitabile, e Marinetti si unisce in
vincolo d'amicizia, anche politica, con Mario Carli per esem- pio
(ardito) e con Mussolini. All’avvento del fascismo e allo accostamento di
Mussolini alla monarchia e alla chiesa Ma- rinetti si stacca. Abbandona
il partito e si ritrova pressoché in miseria, con moglie e figli. Aveva
grande ammirazione ed amicizia per Mussolini, che non credo fosse
ricambiata per una certa forma di invidia-gelosia mussoliniana nei
con- fronti di Marinetti. Il regime gli offriva incarichi 0 preben-
de, che continuò a rifiutare. Mussolini arrivò ad offrirgli la presidenza
dell’Associazione dei grandi alberghi italiani, pro- 166
prio a lui che disprezzava l’industria del forestiero. Accer- tò
solamente, e sollecitato, la segreteria dell'Associazione Italiana Autori
ed Editori, altrimenti forse destinata al solito « arraffone » di turno.
Tuttavia si tenne sempre in disparte e non fece mai politica attiva, non
partecipò mai direttamente al regime, che anzi forse osservava
contrariato, a parte solo qualche onesta e sincera manifestazione di
sim- patia per Mussolini. Nel ’35 si oppose alla presa di
posizione politica di Hit- ler contro l’arte moderna e d'avanguardia, che
si manifestò e sfociò nella censura e nella repressione dell'arte. E
nella stesso momento organizzò a Berlino una mostra di aero-
pittura futurista che creò non pochi problemi e suscitò non poche
difficoltà anche diplomatiche fra i due governi ira liano e tedesco.
Oltre che produrre una situazione difficile e imbarazzante per le posizioni
o i movimenti artistici e in- tellettuali della Germania dell’epoca. In
Italia fu l’unico in questa occasione a prendere posizione ed esprimersi
con- tra l’ingerenza politica e l'intervento del regime di Hitler
nella cultura e nell'arte. Nel ‘43 ero da Marinetti a Roma:
arrivava Marinotui (presidente della Snia Viscosa) che era stato da
Mussolini insieme ad altri « consiglieri regionali » del regime.
Ma- rinotti si era accinto a raccontate a Marinetti che tutti i
consiglieri avevano « relazionato » Mussolini e che nessu- no aveva avuto
il coraggio di dirgli che le cose andavano male, tranne uno, il
consigliere sardo, che aveva sostenuto la stanchezza della gente, la
maldicenza, il tradimento... Marinetti osservava che non era possibile
che non si sa- pesse... È Marinotti ribatté che lo si sapeva, ma che
non era possibile dirlo a Mussolini... Il giorno dopo ritornai da
lui e mi comunicò che il consigliere sardo era stato nomi- nato da
Mussolini ispettore generale per tutta l'Italia. Nel ‘44 poi si
mosse da Venezia e risalì verso la Lam- bardia, perché non se la sentiva
di starsene in disparte a « far l’antifascista »... L'ultimo suo poemetto
in versi, l'ul- tima sua espressione letteraria s'intitola appunto:
Musica di sentimenti per la X Mas. E vi si dice: « Io sono fato
167 di aeropoesia fuori tempo e spazio ». E' già
definizione sintomatica e totale dell'opera. D. — Ailora,
Marinetti fu fascista? E se lo fu, lo fu fino a che punto? O non lo fu, e
fino a che punto non lo fu per essere futurista? Marinetti è stato
sempre e comunque e saprattutto futurista. Questa è la mia impressione. Perché
ha se- guito la sua natura e la sua volontà. E nel suo essere futu-
rista non è mai entrata la faziosità di un genere che « entra in politica
». Non fu mai fazioso. Una volta eravamo a casa sua, in un gruppo di
amici, a parlar di Majakowski e di futurismo russo. Qualcuno obiettò: «
Ma Majakowski è un comunista ». Ed egli allora ribatté immediatamente:
« Non ha nessuna importanza. Perché Majakowski è prima di tutto un grande
poeta ». Nei suoi rapporti cal fasci- smo si può considerare forse il
fatto che fosse nato al l’estero, che fosse educato in Egitto alla
cultura francese, spesso pesantemente sprezzante verso l'Italia. Sentì
quindi una specie di aspirazione all’Italia 0, più ancora, di
nostal- gia della patria. Poi, volle rivendicare il futurismo come
fatto classicamente e squisitamente italiano. Così s'inimicò tutta la
cricca culturale parigina, ma volle sprovincializzare e dare un certo
orgoglio e una certa autonomia alla cultu- ra italiana. E pensò o vide
che Mussolini potesse essere l'uomo adatto per rifarla, l’Italia, e per
darle una sua nuo- va base, culturale ed artistica. Senza sapere, alle
origini o senza conoscere, quando era all’estero, ed anche a
Parigi, la furbizia, anche culturale degli Italiani. Lui fu in
buona fede. Dal fascismo ebbe l’Accademia d’Italia (con appan-
naggio onorario in un momento in cui era anche in disagi economici), ed
ebbe la Biennale di Venezia {come « una riserva indiana »). Il suo è un
fascismo di speranza o di desiderio, nella speranza di poter vedere
realizzato il suo futurismo. E' contrario al « Novecento » e al
classicismo « romano » alla Piacentini, che Mussolini invece
appoggia- va. Forse tutti i regimi, quando si affermano, cercano di
eliminare le avanguardie. Il fascismo non le appoggiò, men- tre il
nazismo e il comunismo le stroncarono. Sta di fatto che Marinetti appoggiava
Terragni a Como, e non appoggiò mai Piacentini. Alla Biennale, a Venezia, il
futurismo è stato accettato sì, ma mon con la considerazione che
Marinetti si sarebbe aspettato, e che sarebbe davuta spet- tare all'unico
movimento d'avanguardia esistente allora in Italia. E invece è stato
accolto sì il futurismo, ma quasi messo in disparte. Nel
’26, all'inaugurazione della mostra, durante il di- scorso di
presentazione, Marinetti si alzò ed intervenne ad alta voce, presente il
Ministro dell'Educazione Nazionale, lamentando l'ingiustizia per
l'esclusione dell'unico movi- mento d'avanguardia dell'arte
italiana. L'anno dopo Mus- solini stesso gli concesse un padiglione di
riserva, che do- veva rimanere, ogni anno, a disposizione dei futuristi
(la « riserva indiana », già summenzionata). D. — Mussolini
invece, secondo lei, fu futurista? R. — E' stato un politico ed ha
appoggiato Marinetti per avere il futurismo dalla sua parte. Anche se il
futu- rismo aveva contribuito, pure, alla sua formazione. Che
avesse jspirato un regime al ritorno verso l'antica Roma nei suoi simboli
e nei suoi modelli, vuol dire tuttavia che era rimasto fuori dal
futurismo. D.— E allora il fascismo di Mussolini ed il
futurismo di Marinetti non hanno nessun punto in comune? O si
possono, secondo lei, mettere in relazione o in collega mento, e fino a
che punto ciò è possibile? Per Mussolini il fascismo è politica, per
Mari- netti il futurismo è poesia. Sono due posizioni completa-
mente diverse. D. — Non si può quindi parlare di futurismo
fascista, nemmeno del primo, quello delle origini? R. —
Finché un movimento politico è in fase rivo- luzionaria, le posizioni
della « rivoluzione » culturale con quelle politiche coincidono; poi però
quando il movimento politico diventa regime si burocratizza, e allora non
può non scontrarsi con la cultura che rimane sempre rivoluzio-
naria e che non può assimilare come tale le esigenze politi- che di un
«partito». Ecco perché esistono punti di contatro 169
o momenti di simbiosi tra affermazioni marinettiane e fa- scismo politico
dei primi anni, poi rallentati o rilasciati quando si afferma l’« ordine
romano », utile al regime, ma speculare di un passatismo senza mezzi
termini, e totale. Marinetti tollera questa esigenza politica di
Mussolini, ma non la condivide od ammette in campo artistico e
cultu- rale. Tuttavia Marinetti era uomo che non confondeva ami-
cizia ed ideologia: poteva combattere con un amico per principi
ideologici, anche violentemente, senza però in- taccare l'amicizia, che
rimaneva sempre e comunque. D. — Resta oggi il futurismo? E resta
come realtà artistica solamente, o anche politica, nella sua
dimensione d’espressione artistica? Senza fascismo, che è finito
ovvia- mente, e da tempo. Forse resta il futurismo, come ten- sione
di rinnovamento? R. — Sì, il futurismo resta, credo, nella sua
posizione di rinnovamento, o di indicazione nella creazione di
nuove forme, e di nuove idee, o di valori nuovi. Oggi si contesta
per distruggere senza dire quello che si vuole proporre in sostituzione.
Il futurismo aveva invece dato i suoi mani- festi. Volle distruggere, ma
propose ciò che voleva rico- struire. Anche oggi, per quel che resta, il
futurismo cerca un suo rinnovamento che si superi continuamente.
Oggi c'è molta saggistica, ma si vede poca poesia. Forse manca
l’entusiasmo, nonostante la grinta. Penso che esista an- cora futurismo
oggi, perché esiste ancora temperamento di novità, e di rinnovamento.
Perché esiste ancora una spinta vitale di « ossigeno ». E l'opera deve
avere un suo sangue, se si tratta d’opera d’arte. Un sangue di cui deve
vivere, o un sangue per cui possa vivere. É l’ossigeno è un valore
assoluto che resta, non si toglie, perché è ineliminabile. Anche in
bottiglia, nella plastica, rarefatto 0 alla luce del sole. Il futurismo è
un po’ come l'ossigeno, o l'anima o lo spirito del lavoro e dell’opera, o
della vita: è un po' il suo « entusiasmo ». [Intervista u cura di
Alberto Schiavo] Per quanto riguarda lo svisceramento dei
collegamenti fra Je correnti del futurismo indipendente come
movimen- ro artistico e culturale ed il fascismo come movimento po-
litico e sociale, particolarmente per quel che si riferisce al carattere
autonomo del futurismo torinese e al fascismo delle origini, è ovvio che
i tapporti intercotsi fra di loro furono lungi dall’essere quelli di un
matrimonio d'amore. Consistettero specificamente in taciti e necessari
accordi immaginati per pater dare vita a creazioni autentiche che
abbisognavano di un ambiente rispettoso dei motivi di una vera
rivoluzione (quella artistica e spirituale scatenata dal futurismo), in
un clima fascista che di rivoluzionario non ebbe in seguito che la sola
etichetta. Il futurismo torinese, nel tentativo di operare in
pie- na italianità, condivise nelia sua giusta misura taluni prin
cipî che il primo fascismo stabili quando provò a inte- grarsi nel campo
difficile della moderna civiltà europea. Alla stessa stregua e per
raggiungere gli stessi fini il futu- rismo piemontese trattò anche con
l’anarchismo e il co- munismo idealitario di Gramsci, sui quali ebbe una
consi- derevole influenza negli sviluppi dell’architettura.
Il senso altamente novatore di Fillia e la sua molte. plice
attività (stupefacente in una esistenza così breve) per: sonificano le
forme coerenti e concrete dei concetti più originali e più saldi delle
imprese del futurismo torinese. Figura rappresentativa dell’essere
istantaneo, Fillia non temporeggiava mai, viveva come una ruota, partiva
come una freccia. Propugnatore di quel futurismo mistico che per
ordinarie ragioni razionali ed estetiche militava in margine della Chiesa
cattolica apostolica e romana di quel l'epoca, egli affermava con rigare
di logica e con argomen- tazioni arditissime che la religione ha
relazione di somi- glianza con la geometria interna dell’arte. Misteri
dottri. nali da ricrearsi plastiicamente per dare forma concreta ai
nuovi concetti della pittura sacra erano per lui la Trinità,
171 la Redenzione e la Vergine. L’apostolato di Fillia
s'imme- desimava con quello del futurismo in cui si cercava una
forza di liberazione, e la trovava in quel movimento, cie- camente.
Originati da una geometria astratta superiore, i suoi dipinti
possiedono quella qualità rara di non essere visà, e perciò non ricavati
dal vero, ma di sorgere senza sha- vatura alcuna dal proprio io, e come
se l'artista non vi fosse per nulla, per cui aspettavamo ogni sua
scoperta con un senso di impazienza, di ansietà, perché Fillia non
ces- sava di inventare e di portare sempre più avanti i perfe-
zionamenti pittorici del futurismo. Tuttavia, una continui- tà è
discernibile nella sua arte che è, innanzitutto, di una grande purezza,
di una grande acconcezza, di una grande serenità. T colori
si oppongono l'uno all'altro e si sovrappon- gono con curve e frangie di
corallo, macchie di cielo, fan- tasticherie metafisiche, sogni astrusi.
Opera di contempla- tivo che accomuna sempre iutto e sempre con
estrema dolcezza, e dalla quale si spande una pace angelica che
sembra invalidare, apparentemente, taluni assiomi violen- ti della
dottrina futurista. Ma è invece la prova Iampante che il dinamismo di
questa scuola italiana non esclude quello stato di grazia dove i conflitti
diventano preghiere. Si tratta di fermare il nemico per ritrovare Ja
quiete, di combattere ferocemente per amare di un più grande amo-
re. Tale atteggiamento è proprio l’antitesi del sentimenta- lismo
romantico, dell’ebetismo della debolezza: esso con- voglia l’arte verso
quell'alta sfera mitica e visionaria che invade la mistica
futurista. Gli errori di pensiero che possono insinuarsi nella
men- te di un poeta come Fillia, che non può sempre ridurre tutto
al controllo della logica, non vanno interpretati nel lo stretto senso
letterale. Il movimento è irrefrenabile, talvolta irresistibile, porta
oltre la matura e si perde in un mondo di realtà fantasmagoriche.
Nessuna amarezza, nessuna amarezza siatene cetti si nascondeva in
questa libertà concettuale e della riflessione: vi era troppa gentilezza
in questo cuore di pittore e di poeta, troppa felicità per i suoi amici,
perché si possa at- tribuire un significato ironico alle sue composizioni
sacre come non hanno mancato di fare borghesi indirozzabili e bolsi
dalle maniche troppo lunghe, dalla mente inceppata. Ho buona
speranza per Fillia, per questo artista pen- satore che fu anche un
provetto artigiano; non mi rat- trista la sua morte prematura. Un suo misterioso
paesag- gio dell'ex raccolta Ferrari di Ginevra mi scopre un ci-
mitero e la scala rossa che lo vincolò in eterno con gli eroi: quello
stesso cimitero e quella stessa scala di Sant'E- lia. Distinguo la luna
bianca della sua grande dolcezza, e le cose della terra non reggono, sono
rovesciate su loro stesse. Le pitture religiose di Fillia sono un
richiamo allo spirituale puro, degli abbozzi di Paradiso. S’intende
che un tentativo di tal fatta non deve giungere al disprezzo della
cosa creata, dell’Incarmazione: ma non è il caso di Fillia le cui forme
della sua arte si disegnano, si creano e si distaccano dalla loro causa
prima. Tutto il lavoro dell’opera si riporta ad una giornata
ben definita della creazione dove gli uomini non sono ancora che allo
stato di abbozzo, ma dove la macchina respira già, dove i fantasmi girano
secondo una traietto- ria circolare, dove l'arcobaleno annuncia la
riconciliazione. Una siffatta pittura è infinitamente rispettosa,
il suo pudore è un perpetuo tremita davanti alla bellezza; essa
sprigiona cdelicatezze insospettate, scrupoli inauditi e non- dimeno una
audacia che le viene soffiata dallo spirito. Nonostante il suo atto
di fede nella macchina, Fillia è certamente un pittore spirituale. La
bellezza intrinseca del. le macchine corrispande ad un suo bisogno di
esattezza sovrumana, di perfezione nelle linee e negli spazi. E’
una dimostrazione pratica che consente all'uomo di disinca- gliare
la vera vita, di ricercare quegli elementi universali dell’arte che
scaturiscono nei momenti fecondi ed imperiali delle Nazioni e ne rendono
lo spirito eierno. Per non spappolarsi nella struttura, per non
sgreto- larsi alla radice, il futurismo è lui stesso alla ricerca
del- l'eterno. E’ ben vero che questa eternità non è sotto i nostri
passi, non è dietro di noi, ma davanti a noi, In questo senso tutti i
cristiani dovrebbero essere futuristi, diceva Fillia, perché meno legati
degli altri uomini al passato e al presente, e più ferventi
dell'avvenire. Questo richiamo ad una tradizione spirituale, questo
allenamento {secondo la felice definizione di Marinetti) non ha
nulla di necroforo, non intralcia lo sviluppo dell'arte ma stimo-
la, spinge in avanti, crea. Non si dimentichi perciò il con- tributo
molto importante di quella autentica tradizione che serve a ristabilire
l'equilibrio normale. Infatti, all’inizio Je forze novattici distruggono
talvolta, svelano uno sprezzo irragionevole del passato e di ciò che la
vera tradizione conserva pertanto di eternamente vivo. Un rifiuto
non controllato potrebbe anche andare a scapito del progresso
stesso e insabbiare per sempre l'incitamento che motiva nuove conquiste.
Non si negano gli elementi universali dell’arte passata perché non si
possono negare quelli del- l’arte nuova. L’opera di Fillia
rivela una tendenza perpetua verso il progresso nel senso più alto della
definizione. Trasfor- mandosi da una pitiura all’altra svolge senza
contraddi- zioni la sua sincerità primitiva. Un futurista non può
dunque negare la storia della sua opeta e tanto meno quel la del suo
movimento: egli porta il peso di un passato inventato che non può
rinnegare senza distruggersi. Questo passato inventato risale
certamente al di là del futurismo — che costituisce una specie di dialettica
dello spirito — e affre l’unica possibilità capace di abbat- tere gli
ostacoli. Il fiume precipita giù dalla cascata come se vi prendesse
nascita; in realtà la sorgente è al ghiacciaio. Il futurismo ha radici
italiane ed europee: il tempo aiuta a farle scoprire senza remissione.
Fillia è l'uomo intuitivo di una nuova era. Dalla sua opera e dai
suoi tentativi, come da quelli di Balla, di Boccioni, di Prampolini, di
Diulgheroff e di Benedetto, si stacca un’arte pubblica universale che
l'architettura fun- zionale rivela, contribuendo efficacemente alla
diffusione delle idee futuriste di Antonio Sant'Elia e degli slanci
del purismo di Le Corbusier.
Nell’intento di realizzare ad ogni costo, Fillia si ap- poggiò al
Regime attraverso gli interventi efficaci di Ma- rinetti. Però, non ho
mai visto Fillia in camicia nera, ne lo sentii mai parlare di politica
nostrana. Parlava sol- ranto dell’Italia che amava. Le due idee
rispecchiano gli scopi e i metodi creativi di quel movimento
indipendente di buona lega che fu il futurismo torinese.
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logico, Cartesio, il problema di cartesio, senso ed esperienza, storia della
filosofia, avvivamento alla filosofia, i grandi filosofi – mondatori – the
great and the minor -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carlini” – The
Swimming-Pool Library.
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