Grice
e Magalotti: l’implicatura conversazionale – di naturali esperienze – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Magalotti – very
philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he
was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either –
‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he
is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural
experience – and there is supernatural experience!” Appartenente
all’aristocrazia, figlio di Orazio, prefetto dei corriere pontifici, e
Francesca Venturi. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di Viviani e Malpighi.
Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento
(fondata da de’ Medici). Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e
dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di
naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del
Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una
serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e
brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad
ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla
filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere:
“Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del
conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo
fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav.
dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca.
Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere
scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti
di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo
Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America
dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per
Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere
del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini,
e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto
dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima
volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso
Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere
slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in
toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo
Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico
nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti
con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da
Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario
critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno
di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo
pastore arcade Lettere scientifiche ed
erudite La donna immaginaria Novelle
(il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di
Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE
poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto
del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un
composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore.
Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78
ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire ,
che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor
Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette
Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima
de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini. Lettera
XIII. 262 INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in occasio Al
Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie Signor
Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un passo
del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV. .
Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore Don
Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i
rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279
Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in
un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX.
Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio
de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo
Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi.
Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . . 338 FINE. SilAJilUsCEn
il poeta per una lelva, per la quale tutta notte aggiratosi, la mattina
in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •!
per voler aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone
e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo gli apparisce
Fombra di Virgilio , il cui ajuto è da esso caldamente implorato contro
alla lupa, dalla quale il maggior pencolo gli soprastava. Virgilio
discorre lunga* mente della pessima natura di quella 6era, onde
cam« porne lo strazio , offerendogli sè per guida | a tener altra
Digiiized by Google a Canto via lo
conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e te- nendogli dietro ti
mette in cammino. V. I. Nel mezzo del cammin tee. Keir
età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per congetture; ma provasi
manifestameute da un luogo del tuo Convivio, nella aposizione della
canzone: Le dolei rime eTamor, eh* io eolia; dove 9 dividendo
il cono della vita umana in quattro parti, che tutte (anno il numero
d'anni 70 « resta, che la metà del suo corso, secondo la mente del poeta,
sia ne' 35 . Che poi questo primo verso debba intendersi
letteralmente, cioò del numero degli anni, e non alle- goricamente, come
alcuni vogliono: si dimostra da un luogo deir Inferno , caut. XV, nel
quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso gli
risponde, V. 49; Lassù di sopra in la vUa serena *
JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle , 1 Avanti (he Vetà mia
fosse piena: riferendoli a questa selva» nella quale racconta
essersi smarrito nel mezzo del commin del suo vivere. V, per
una selva oscura. Forse questa selva ^ oltre al senso letterale,
che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio , ha
sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono ar- ricchite molte
parti di questo primo canto ; e vuol per avventura s guilicare la selva
degli eiTori , per entro la quale assai di leggieri si perde l' uomo
nella sua FRIICO. 3 a<h>1etccnu; e cìie
iia *1 vero nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite
formali parole ; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non
fosse stato in una città , non saprebbe tener le vie -, senza l'
insegnamento di colui , che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra
nella teloa erronea di questa vita , non saprebbe tenere il buon
co/m- mino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato ; nè il mo-
strar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente,
V. 8. Ma per trattar del ben ecc. Del frutto, il qual ti
ritrae dalla meditaiione di quel miserabile stato pieno di pene e di
rimordiinenti , mediante la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio
, che è la fine propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui
appiè ecc. Il colle è forse inteso per la virtù , la qual si
solleva dalla bassezza della selva. V. l6 vidi le sue
spalle VestUe già de* raggi del pianeta ecc. Il senso
letterale è aperto , volendo dire , che la cima del colle era di già
illustrata da' raggi del nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso
n' è chiuso un altro ^ pigliando il sole per la grazia illuminante , la
quale all' u- sctr Dance dalla selva degli errori cominciava a
trape- lare con qualche raggio nella sua mente. V. ao. Che
nel lago del cuor ecc. Por che voglia insinuare , nella passione
della paura commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due
cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali, 4
Canto prrò eh’ e' parla in lingolare , pigliando la parte pel
tutto , vuol forae dir principalmente del destro , che del sinistro i
maggiore. Dante lo chiama lago , credendosi forse che il sangue che v’ è
, vi stagni , non essendo in que’ tempi alcun lume della circolazione.
Qui però cade molto a proposito il considerare un luogo
maraviglioso del Petrarca nella seconda canzone degli occhi, finora,
che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice cosa intorno alla
circolazione da far facilmente credere, eh* egli quasi quasi se
l’indovinasse, arrivandola, se non con l'esperienza, con la propria
speculazione. Dice dun- que così : Dunque eh' i’ non mi sfaccia
, Si frale oggetto a s\ possente fuoco Non i proprio valor ,
che me ne scampi , Ma la paura un poco , Che 7 sangue
vago per le vene agghiaccia , insalda ’l cor , perchè più tempo
avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte
appassio- nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sen-
timento di questi versi suppone necessariamente la notizia della
circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so fosse stau
immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile ,
eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e discorsa
con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la
cu- riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri
con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il vedere , come , il
poeta altro facendo , e forte altro in- tendendo di voler dire , gli è
venuto detto cosa , che spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se
ben si considera il lento de' lopraddetti Tersi , ^ tale : Ma
il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di flui- dezza
il sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag- ghiaccia dalla paura , e
ciò a fine di farlo arder misera- mente più lungo tempo.
Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera nel
sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore, dove si liquefi,
s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar per le vene
lontane o per paura, come in questo caso nel Petrarca, o per
qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde
poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo
giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a
muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta?
Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai
oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da- vanzati nella sua
Lezione delle monete. Il luogo ò il se- guente : Jl danojo è il nerbo
della guerra, e della repuh~ hlica , dicono di gravi autori, e di jolenni*
Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè,
siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo nel corpo
naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi- nute , annaffia tutta la
carne , ed ella il si Bee , com* arida terra bramata pioggia, e rifà, e
ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale s'asciuga, e svapora:
così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della terra , come dicemmo
, correndo per le borse grosse nelle minute , tutta la gente
rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl- nuatnente nelle
cose , che la vita consuma , per le quali nelle medesime borse grosse
rientra , e cos't rigirando man- tiene in vita il corpo civile delta
repubblica. Quindi assai Digitized by Coogle
6 Canto éi leggler ti tomprende , eh* ogni
ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una
quantità di sangue , che corra» Che dunque diremo di queit*
autore ? Nuli* altro ceiv tamente , te non che , dove i profeMori delle
mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d*
inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un
perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile
ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di
quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è
quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine.
V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera
d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora , quasi come
se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno , le fuggi Canitno , e
vinta cadde ro- paa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7
piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel
che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla
dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl
più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il
che si convince anche più manifestamente da quel che segue :
V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti
vuol significare ( e tanto più accompa- gnau con l'altra al cominciar t
che denota futuro), che PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non
cominciata; c pure in fin allora avea camminato , adunque a piano. Nè li
opponga quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’
eh’ i fui appii d" un colle giunto ; poiché appiè d'un colle
li dice anche in qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli
le spalle, v. l 6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle ,
tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà
dilEcoltà il seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso
loco; dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi
saliva. Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per lo qual
camminando il pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la
lonza non poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder
la speranza dell’ al- tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui
avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una
lonza ecc. Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo ,
in- tende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per
ritornar, pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’
egli per nn^ volta un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 .
Sic bene compones : ulli non ille puellat Seruire.
8 Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la
voglia, elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama
puellis , CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39
quando V amor divino Mone da prima quelle cose belle-
Direi, che per la motta di quelle cose belle non inten- dette altro
il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea
primaria nell* idee tecondarie , che è il diramamento dell* uno nel
diverto tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell*
univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al
mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente divina.
£ non è inveritimile, che Dante abbia voluto toccare quetta
dottrina platonica, nella quale, come appare ma- oifettamente da altri
luoghi della tua Commedia, e prin- cipalmente nell* XI del Paradito ,
egli era vertatittimo , donde ti raccoglie e 1* intento amor delle
lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento , mentre in
un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni pla-
toniche , quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor
tradotti dal greco idioma , o t*egli era- no, grandittima penuria vi
aveva de* codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben
m'avvito, tal dot- trina Incavò egli a capello da Boezio, del qual aurore
il poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio queite formali
parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia mente» che s'argomentava
di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva )
ritornare al modo» che F ni u o. 9 alcuno
sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad allegare e leggere
quello , non conosciuto da molti , libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo
e discacciato , consolato si aveva. Quivi adunque potè egli facilmente
apprendere a intender Puniverso aotto il nome di bello , e ti per
la moMa delle cose belle intender la mossa del mondo archetipo
disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi * di Boezio sono i
seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\. O qui perpetua mundum
radane guhemés» Terrarutn caeUque salar , qui te/apus ab aeuo
Ire iuhes , stabilisque nianeru das cuncta moueri ; Quent non extemae
pepulerunt fingere caussae Materiae fluitantis opus uerum insita
sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno Ducis ab
exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens , similiqtte
imagine formans , Perfectasque iubens perfectum absoluere partes.
In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis y Arida conueniant
liquidis : ne purinr ignis Fuolet , aut mersos deducane pondera terras.
Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem Connectens animam per
consona membra resoluis, etc. Che poi per la motta intenda
l'attuazione delle idre mondiali, ciò si convince apertamente da un luogo
ma- raviglioso del suo canzoniere nella canzone : Amor y che
nella mente mi ragiona; dove parlando della sua donna dice cV ella
fu T idea, che Iddio si propose quando creò il uiondo sensibile, il
qual atto di creare vien quivi espresso con la voce mosse.
IO Canto Però qual donna sente sua beliate
, Biasmar , per non parer queta ed umile ^ Miri costei
, eh' esemplo è d’umiltate» Questuò colei, che umilia ogni
perverso. Costei pensò , chi mosse l* universo. Altri
forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo luogo se la passino
assai leggìensente ) per la mussa di quelle cose belle, la mossa data ai
pianeti per gli orbi loro; ma trattandosi d"una mossa data
dall" amor divino, panni assai più degna opera la creazione
dell'universo, che r imprimere il moto a piccol numero di stelle.
Dire dunque , che il sole nasceva con quelle stelle , eh* eran con
lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in Ariete , nella qu^d
costellazione fu creato secondo Vopiniooe di molti. V. 41 * a
bene sperar vera cagione. Di quella fera la gaietta pelle ,
L*ora del tempo , e la dolce stagione. Può aver doppio
significato : primo in questo modo , cioè : 51 che Vara del tempo , e la
dolce stagione tu erano cagione di bene sperare la gaietta fera di quella
pelle; cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^
vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano buon augurio a
rincer l'incontro di quella fiera, e a riportarne la spoglia. £ in quest'
altro : Sì che aggiunto all' ora e alla bella stagione l' incontro di
quella fiera adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici
successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale recavasi anticamente
a buono o a tristo augurio. F R I M O. (I V. 45. Za
vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per
limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco.
L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.
Ciò si può intender di coloro , l'aver de' quali è ingordamente
assorbito ddl' avwo , e per gli avari me- desimi, che ai consumano in
continui affanni per l'insa- ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la
lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di
sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento
in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi.
Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3 , V. 8
H. Temer si dee di sole (fucile cote , eh’ hanno
potenza di far altrui male , Deir altre no , che non son
paurose. Cioè non danno paura ; ma questo non è tanto sin»
gulare , quanto il sostantivo paura in significato di ter- rore, e
f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei
Latini. Uno al presente me ne sov- viene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib.
Il , v. q, Stare uel insanis cautes obnoxia uentit ,
Naufraga quae uatii tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol
tace. Verso l'onibra della selva. Canto V. 63 .
Chi per lungo silenzio parta fioro. Quriti è Virgilio, «otto la
periona del quale pare, che debba intendersi il lume della ragion
naturale risve- gliato nella mente del poeta dalla teologia figurata
per ranima di Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante.
V. 63 parta fioco. Dal sento delle parole par, che Dante •*
accorgesse , che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea
considerare non è così. Perchè allora eh' egli scrisse questo verso
avevaio già udito favellare, onde può ben dire qual era la sua voce,
oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che poi lo faccia fioco , ciò è
furila per tacciar la bar- barie di quel secolo , in cui allorché Dante
si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide,
nino altro era che la cercasse o studiasse , onde poteva dirsi Virgilio
starsene muto ed in silenzio perpetuo. V. 70. Nacqui suh JuliOt
ancorché fosse tardi. Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché
fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer di
Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo ad aver Tassoluto
imperio di Roma, onde si potesse con verità dire che la geme nascesse
sotto di lui. £ vera- mente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70,
agridi d'ottobre , e per conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse
imperatore. V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i
polsi, piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali
eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrisponden- za alla
sistole e alla diastole del cuore continuamente R I li O.
i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì
poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che
beni»iÌmo sapea , che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una
violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora
tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro
viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,
ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100.
Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon
congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.
Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la sua patria,
dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello
Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer
Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale;
ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera
conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran
saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta,
allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3
oS. V. io 3 * terra , nè peltro» Peltro^ stagno
raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere , onde il
scntimeaio è questo ; V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro
, Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da
ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. 14 Canto
triuo. V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso
il tuo miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella
era sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc.
O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro
l'uomo nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima
dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti , preso quel prima
avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun ^rida.
Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte deir anime
loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de' tormenti, onde
S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile super noi, et
colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc. Beatrice de'
Portinarì , la quale , siccome à detto di sopra , fn io vita
ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel primo
canto, si consuma un giorno intero , eh' è il primo del viaggio di Dante.
INFERNO. CANTO SECONDO. ARGOMENTO.
Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della propria mente. Dipoi acconta
, com' egli peniando all' impreia di tal viaggio . cominciò a
•gomrntoraeoe , e a motirare a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era
dovere, ch'ei ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio.
Dopo di che narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà; e con
dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto mandatovi da Beatrice, tutto di
buon ardire lo iraarrito animo gli rinfranca, ond'egli ti ditpone al
tutto di volerlo teguitare. V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la
putirà , Si del cammino , e ti delta pittate. Il Boti,
il Vellutello, ed altri comentatori tpiegano qneito luogo coti ;
M'apparecchiava a tiiperar le ilitE- cultà del viaggio, e tollerar la
noja della pietà, di' eraii per farmi quei crudeliitimi tirar) , ond’ era
per veder tormentare l’anmie de’ dannati. Io però ardirei proporre
Digitized by Coogle j6 Canto un* alfr.i
roiuMcrazionc , le a sorte Dante avesse piut- tosto voluto dire, eh’ ci
•'apparecchiava a sostcoer la {guerra della pirtare , cioè a ftf forza al
suo animo per non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U
crudeltà de’ «upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto
di comjiafsione , al quale ciafcun uomo fi seme ordina- riamenTc incitare
per la miseria altrui. £ veramente il senso letterale pare , che
favorisca mirabilmente questo sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava
a sostener la guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la
pietà , segno è eh' e* non voleva lasciarsi vincer da quella, ma si
resistere e comb.ucere con la considera- rione, che quegl' infelici erano
puniti giustamente, anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre
avendo offeso una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la
loro colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite
quanto all' intensione , non quanto all* estensione , la quale non ha
dubbio , che durerà eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi
dell’Inferno, ne troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il
sentimento da me addotto in questo passo. Tale è quello
dell’Inferno, canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier
delle Vigne , Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a do- mandare all*
anima del suddetto Piero qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà
Tanimo, tanto si sente strignere dalla pietà del suo infelice stato,
v. OntV io a lui : dimandai tu ancora Di quel, che
credi ^ ch‘ a me soddisfaccia ; eh* i non potrei: tanta pietà in
accora. E piià apertamente si vede questo star su la difesa,
che fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual tenta di
vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno , quando arrivato in tu ruldina
costa di Malebolge dice cosi, v. 43^ Lamenti saeltaron me diversi
, Che di pietà ferrati avean gli strali : Ond" io
gli orecchi con te man coperti. Il qual terzetto par, che esprima
troppo maraviglio- samente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’
animo del porta , e la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £
non solamente si troverà difendersi dalla pietà , ma sovente incrudelire
contro di essi, negando loro conforto e compatimento. Così Inf. cant.
XXXIII , richiesto da Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le
palpebre agghiacciate , non volle farlo , v. 148. Ma distendi
ora mai in guà la mano , Aprimi gli occhi I ed io non gliele
aperti, E cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV ,
vedendo Capaneo disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il
dovere, v. ^t. Ma , com' io dissi lui , li tuoi dispetti Sono
al suo petto assai debiti fregi. Io però confesso di non aver per
anche si fatta pra- tica SU questo poema , eh' e' mi sovvengano così a
un tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima
Cantica dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora
non pensato da me , il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta
a terra tutto il pre- sente ragionamento. E considero , che altri
potrebbe ri- spondermi , che il far dimandare da Virgilio Pier delle
Vigne , e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8
Canto ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta
troppo vinto dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante ; ma
io non piglio per aaiunto di provare , che egli si picchi di non calerti
mai piegato a pietà de' dannati , anzi che in molti luoghi confeita la
aua caduta , qual è quella , Inf. canto V, v. 70. Poscia eh'
i' thhi il mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri ,
Pietà mi vinse , e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non
meno ti pare la perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre,
te egli non ti fotte potto in animo di non latciarti andare alla
compattione, non avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli ,
avendone avuta occatione molto prima , cioè tubito eh' ei vide la
miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S. Or incomincian le
dolenti note A [armisi sentire : or son venuto , Xà dove
molto pianto mi percuote. Ma egli Ita forte il più eh' el potette :
però , allora ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini,
e coti alte donne , piegò l'aaimo alla compattione ; ond'egli dice
, eh' ei fu quoti smarrito , cioè ti perdè d' animo , vedendoti vinto il
pretto. Per lo che concludo, che, te bene da quetto e da muli' altri
luoghi ti comprende la vittoria della pietà , ciò non toglie il vigore
alla ipoti- zinne del preiente patto , potendo benitiimo ilare in-
lieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a toitener la guerra
della pietà , cioè a non compatire i dannati ; e poi , come di animo
gentile ed umano , di quando in quando cedette. V. 8. O mente , che
scru/etti ciò eK io vidi ecc. Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua
memoria, chia- mandola mente che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in
cui a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati. V. IO. Io
cominciai; Vi a’ intende a favellar di qncato tenore , e queata
è maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità dell'
introduaioni de' ragionamenti ; coal ed io a lui ed egli a me ; cio^
diaai e diaac , ed infiniti altri aimili faci- lisaimi ad
intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente,
CoirutlUile ancora , ad immortale Secolo andò , e fu tentibilmente.
Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna Eneide , che Enea padre
di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil corpo, andò a aecolo immortale
, cioè diaceae airinferno, e ciò non fu per aogno o per eataai , ma
aenaibilmente , cioè in carne e in oaaa. V. 16. Però se I
avversario d'agni male Cortese fu , pensando I alto effetto ,
Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale L’avversario d* ogni
male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon- dator di Roma , e 'I quale , e le
aue alte qualità ; onde il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio
, penaando la aerie delle coac , che doveano farai per Enea c la
aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iu-
ferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque abbia punto
d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per .vutore di Roma e del
romano imperio. 20 C AVTO V. 22. La
qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1 qual imperio.
V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero. Qui Piero
per Pontefice , onde il maggior Piero viene a eMer Cristo , e non S. Piero
, come vogliono ì coni» mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non
direbbe del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad
altri minori ; il che toma appunto bene , però eh* e* parla di Cristo, il
quale rispettivamente a $. Piero può vcrar mente chiamarti il
maggiore* V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc.
Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo privilegio
concedutogli. V. a6. Intese cose che furon cagione Di
sua vittoria , e del papale ammanto. Allude alla predizione fatta
da Anchise ad Enea nel sesto deir Eneide ; per la quale egli intese la
sua vitto- ria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi**
lito in Roma il papale ammauto , cioè l'imperio sacro. V. a8. Andovvi
poi lo Vas delezione ecc. S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo.
£ veramente ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata
tettimo- niaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite da
principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio, non si ristrinse
a dir solo di quelli, i quali ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma
di ciascuno, il quale, sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale.
Laonde non solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo
ancora saggiamente piglia a ragionare. ai V. 34. Perchè se
del venire C tn ahhanJono ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi
tgomento di ve« iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come
chiosa il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai
dubito del ritorno, V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc.
Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi i contrasti d'
un' anima, che dal male al ben operar si rivolge. V. 41.
Perchè» pensando consumai t impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta.
S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto,
senza pensar nè che, nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo,
v. i 3 o. Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che
tu non conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio.
Che tu mi meni là dov* or dicesti , Si eh* i vegga la porta
di S. Pietro , E color, che tu fai cotanto mesti. Onde
ora confessa , che , sbigottito dalle suddette con> siderazioni,
l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata , era
per tali pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la
tua parola intesa , Rispose del magnanimo quell ombra ,
Vanima tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue
riflesiioni , s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*
Cauto V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti,
Nel Limba , dove nè godono , nè dolgonti ranìme. V. 53 . E
donna mi chiamò beata e bella. Beatrice , la quale , ticcome è
detto nel IV canto , è poeta per la grazia perSciente o consumante,
secondo i teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò,
secondo nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno, per
due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza, la quale più alto ne
levi nostro mortale intendimento all’ altissima contemplazione d' Iddio e
della teologia , così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato
oggetto , che più gli facesse scala all’ intelligenza delle
celestiali cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi
virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra ca-
gione , per la quale sotto il nome di Beatrice intenda allegoricamente la
teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta nella sua Vita
Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di
lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale.
Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola posta in così
bella e maravigliosa opera per la scienza maestra in divinità.
V. 54. Tal che di comandar i la richiesi- La richiesi. In pregai,
ch'ella alcuna cosa mi comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi
più che la stella. Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7
moto lontana. Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo
lontana. Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la
tua fama durerà quanto dura il tempo. a3 Piglia moto per tempo ella
peripatetica , definendo Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu
seoundwa prius et poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della
ventura. Dante , il quale per aver amato di puriaaimo amore
le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna
coraparte a' corpi terreni e corruttibili , fu veramente amico di me ,
cio^ di quel eh' era mio , e non {Iella ventura , e non della bellezza,
per la quale altri di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben
avventurata. V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si
nel cammin , che volto , e per paura. Impedito dalla lupa, e volto
indietro per paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi
smarrito, Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata.
Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto piede , che
l'ajuto celeste non giunga in tempo. V. 67. Or muovi ecc.
Muoviti , vanne : così il Petrarca : Or muovi , non smarrir t
altre compagne. V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio.
Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico , cioà e a
Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare in cielo ; il che
imitando per avventura il Petrarca nella canzone : Una donna
più bella asstù che ’l sole ; disse della teologia :
34 Cakto costei batte t ale Per tornar
all* antico suo ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É
Vamor d* Iddio , pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo
è il eeoso allegorico o vero se- condo la lettera ; la mosse la dolce
memoria di quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante , ond*
ella il chiamò, v. 61 , L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor
mio» Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a
lui. Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a Vir-
gUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritor- nare dair
adempimento di essa a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione
della grazia e della beatitu- dine. Dice in contrario il Vellutello , che
Beatrice con tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che
da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea maggiore ; ma non
dice poi , perchè , nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella
Lezione sopraccitata spa- ne, che anche all* anime perdute si può (come
dicono t teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione
di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo elleno
celebrar le lor memorie o esser qualche compas- iione di loro in altrui,
elle pigliano alquanto di conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di
non si vedere abban- donate al tutto da ogn* uno , e tiiassituonieuic
quelle, le quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brut-
to, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana , come
Virgilio. Diremo dunque « cYie non »ia ota d'ogni conaoUziune tal promeMa
di Beatrice. V. ^ 6 . O donna di virtù , sola , per cui
L'umana spezie eccede ogni contento Da quel Ciel , ch'ha minor li
cerchi sui. Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allego-
rico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo supera , ed è più
nobile di tutte le creature contenute dal ciel della luna;, essendo, che
sopra di quello si dà subito neir intelligenza movente Torbe lunare , la
qual •enza dubbio sì per pregio , si per eccellenza di chia-
rissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante portasse opinione
delT intelligenze moventi secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto
per quel clT ei dice in altro luogo di esse. Par. cant. Vili , v.
37. r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete. Ciò
potrebbe anche intendersi in quest* altro senso : O scienza, per cui
l'uomo eccede, cioè trasvola con T in- telletto dalle sublunari cose alle
celestiali e divine. V. 80. Che Vuhhidir , se già fosse , m'à
tardi. Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso ,
che m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale
e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i tuoi cenni. Or venga
qualunque si pare, e mi poni da altri poeti forme così maravigliose e piene
di si forte espressiva. Y. 91. Jo son fatta da Dio , sua mercè»
tale ^ Che la vostra miseria non mi tange , Nè fiamma
cTesto incendio non m* assale. Digilized by Google
l6 Canto Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per
Tacque della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti
di voi altri ioaprai , non mi tocca , nè fiamma deir in- cendio de'
dannali non m' assale. E notili, die quella dei aoapeai la chiama
raiirria, non conaiaiendo in arnao do- lorifico, ma in pura afflizione di
apirito per la diiperata viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la
chiama fiamma, perchè tormenta poaitivamente il aenao. V. 94.
DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange Di questo impedimento ,
ov" io ti mando , Si che duro giudicio lassù frange.
Quella donna , il cui nome è taciuto dal poeta , è inteaa
generalmente da' commentatori per la prima grazia detta da' maeatrì in
divinità grada data; la quale, perchè viene per mera liberalità divina, è
anche detta preve- niente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni
umane. Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon
proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire il monte
Bgurato per la virtù e per la contemplazione, piega e rattempera il
rigoroso giudicio d'iddio; onde dice: che dal compiangerai di quella
donna per l'itupe- dimento, che trova della lupa, il buon voler del
poeta, duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa-
aione , vedendo, che gli manca più il potere, che il volere; onde merita
d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illu- minante , la quale (
ipongono i commentatori ) da Dante è chiamata Lucia , dalla luce , eh'
ella n'infonde nell'ani- ma Questa seconda grazia chiama finalmente la
terza , detta perficiente o coniumante , espressa per Beatrice o
per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente umana alla
contem) dazione della divina etienza : il che SECOSDO.
Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* In- ferno e del
Purgatorio , cioè a dire con la meditazione di quelle pene ; •! come
avviene al noetro poeta , il qual per tal cammino li conduce alla
fruizione del Paradiio , e ai alla contemplazione d' Iddio.
V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse , Ora
abbisogna il tuo fedele Di te , ed io a le lo raccoaiando.
Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse , e venne al loco , dov V
era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè
la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia , cioè la grazia
illuminante , che aju- tatte il tuo fedele , cioè Dante ; il quale in
altro luogo dice di tè , eh* egli fu fedele a creder quella, in che
la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a
chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per
tignificare, che la teologia è indivitibil compa- gna della
contemplazione, poiché Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel
vecchio teitamento ti piglia per la vita contemplativa. V. Io
3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera. Che non soccorri quei , che
t'amò tanto , Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse
, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera
lode d' Iddio , forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi
attributi di quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati
di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di
udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue
miaericordie. a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le
/iella volgare schiera. Per te toma bpne nel temo allegorico e nel
letterale ; poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la pro-
fonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per gli altri
parti , a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di
Beatrice. V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^
Qui il Fioretti , non rinvenendoti qual tia qiietta fiu- Dtana ,
poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia. Ma noi , per ora
latciando il Fioretti nella tua tfacciata ignoranza , terberemo ad altro
luogo la tpotizionc di quetto verto. V. 109. Al mondo non fur
mai ecc. Dice Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti
aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male , com' ella dopo
tale avvito del grave pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla
tua tedia beata. V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V
hanno. Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran lui,
che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto; onde ditte di té
medeiimo nel primo canto , T. 86. Tu se’ solo colui , da cui io
tolsi Lo hello stile , che m’ ha fatto onore. V. lao. Che del
bel monte il corto andar li tolse. Ti fe' ritornare indietro ,
quando poco di viaggio ti rimaneva per condurti alla cima del bel monte ,
cioè al tommo della virtù o della contemplaiione. 39
V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue.
D’amendue noi ; il tuo cT andare , il mio di venire. V. 143.
Entrai per lo cammino alto , e tilvettro. Spoogono i commentatori
alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al parere del Manetti nella tua
ingegnoaa ope- retta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di
Dante, dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’ele-
vato e aublime ; con ciò aia coaa che egli pone Teotrata deir Inferno in
aur un monte aalvatico , per entro il cui aeno ruoli eh’ e’ ai cominci
immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente
di fa- vellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra par-
ticolarità del aito e della forma della atupenda architet- tura di queato
Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con ana breve lettura del
aoprammentovato autore. INFERNO. CANTO
TER20. ARGOMENTO. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*)
cTettersi condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell*
Inferno» la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del
canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' in- terne vie del
monte, arrivato in quella concaviti o ca- verna della terra, che è quali
come un veitibolu dell' In- ferno, ed è immediatamente sopra il primo
cerchio, cioè sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari,
cioè di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per aè , nè
per altri , ninna buona o rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per
tormento il correr perpetua- mente in giro dietro un' insegna che tutti
li guida , c (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con
r«atorità dal iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal
quinta canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..
Digitized by Google 3a Cauto chr in cotal
cono ton punti e fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato
quello spazio poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici ,
dice essersi con- dotto al fiume d’ Acheronte , e quivi aver veduto
venir Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in
su la riva di quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge,
che parli essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 .
Giustizia mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di
fabbricar P Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di
Lucifero e degli angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina
potestafe. La rowaui sapienza , e 'I primo Amore. La
Santissima Trinità, della quale spiega le persone per gli attributi: il
Padre per la potenza, per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo
Spirito Santo. V. 7 . Dinanzi a me non far cose create,
Se non eterne ecc. Seguita a parlar la porta per esso
Inferno; e dice, che avanti a lui non fu altra specie di creature se non
eterne. Per queste intendono assai concordemente i commentatori la
natura angelica ; la quale, siccome dovette esser punita per la sua
ribellione , cosi par molto verisiiuile , che il carcere d' Inferno fosse
fabbricato dopo il peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che
poi Dante se li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità
avvenire. 33 p«r la qaal dureranno, onde
i teologi U chiamano eterni a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è
piaciuto di no« minarli, sempiterni, a distinzione delT eterno a parte
ante, il che si conviene solamente a Dio. Na siami qui lecito
il metter in campo una mia con- siderazione , la qual mi dichiaro , eh'
io non intendo di proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb*
es- sere , a fine di sottoporla al savio accorgimento di quello ,
al quale è unicamente indirizzata questa mia deboi fatica. 10
discorro così : L’ Inferno ( secondo Dante ) fu creato col mondo , e ’l
mondo fu creato in istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo
lor m è duro. Onde io ( vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il
senso lor m* è duro. Duro , cioè aspro , e non , com* altri vo~
gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’ immutabil de- creto di non
uscire della porta d’ Inferno , a ragione di bel nuovo s’ intimorisce.
V. i3. Ed egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar
ogni sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto
di sopra , che Dame non disse essergli duro , cioè oscuro ,
11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,
spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta
iscrizione , ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad
Enea nel VI , v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore
firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i
luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti
, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto
fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col para- gone di
quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la
cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri , pimti , e ahi
guai. Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia voglia
di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dan- nati. S'ei
ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto di quello luogo con
quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us , et saeua
sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo , tinta.
I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza variazione
di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a tempo come la
notte , e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte iole. La
Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai onde il Rifiorito
apiega quel senza tempo, eterna, quaai che il aentimento aia tale, aria
eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la chiama eterna , v. i6.
JVon avea pianto , ma che di sospiri. Che l'aura eterna
facevan tremare, Cooiidero di pii), che l'epiteto di eterna in
quello luogo del terzo canto corria[>oude al perpetuo aggirarli
delle voci de' dannati , v. a8. Farevan un tumulto , il qual
s'aggira Sempre in quell' aria , senza tempo , tinta ;
poiclià , a’ e' a'aggira eternamente , torna molto brne il dire,
che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi nè meno può
dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo , cioè ( come tpongono
i commentatori ) eterna- mente , perchè ancorché Dante dica di etta ,
Inferno , cant. IV, r. io. Oscura , profonda era , t
nebulosa ’ Tanto , che , per ficcar lo viso al fondo , r non
vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non toglie , eh' ella in alcuni
luoghi non fotte di continuo illuminata dal fuoco , come nel terto
girone de’ violenti , ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te
non altro vi balenava , v. i33- La terra lagrimota diede vento
, Che balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea
d'errar la tetta tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di
ciò ch’io ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia , e sanxa
lodo. Che in queito mondo , nulla mai virtuoiamente ope-
rando, non latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a
quel cattivo coro Degli jingeli , che non furon ribelli ,
Ni far fedeli a Dio , ma per te foro. £ opinione , che nel
fatto di Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli , la qual nè
t'accottaiie a Lucifero , nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie
neutrale. Di queiti parla il poeta , e in pena della loro
irreiolutezza li mette con gli teiauratì. 36
Canto V. 4 o> Cacciarla eie! , per non tster men
belli: Nè lo profondo Inferno gli riceve , Ck‘ alcuna gloria
i rei avrebber d elli. n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti,
per rinferno aon troppo belli ; coti ti atanno in quel mezzo, ciof
nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben , eh' egli dice, V. 41.
Nè lo profondo Inferno gli riceve ; volendo dire per Io profondo
Inferno, coli, dove ti tor- mentano i rei > i quali avrebbono alcuna
gloria cT averli in lor compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.'
ti glorierebbero per vederti puniti del pari con etti , che non
commitero altro peccato , che d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna
gloria v'avrebbero, perchè agli occhi loro la piccola macchia di tale
indifferenza non varrebbe ad appannare il lustro di loro eccella natura,
dalla quale ritrarrebbe alcun taggio della gloria , e ti della
celette beatitudine. V. 47. E la lor cieca vita è tanto batta
, Che ’nvidioti ton i ogn altra torte. Non tolaniente
di quella de' beati, ma in un certo modo di quella de' peccatori. Tanto è
riera, cioè vile ed oscura la lor misera vita, onde dice, che
misericordia e giusti- zia gli sdegna , quella che di loro non è avuta ,
questa , che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di luo-
go, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendi- mento del poeta
sia J* inferire , che la maggior pena di costoro èia vergogna di non
esser almeno stati da tanto, poich’ a perder s’aveano, di perdersi, come
suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e mordonsi le ■lani
di noo aver avnto tanto «pirito da irritar almmend la divina giuttisia,
la quale in « fatta guisa punendoli) par loro , eh* ella « per così dir y
non gli •cimi , e ai li Timproveri e facciasi beffe della lor dappocaggine.
V. Sa 9Ìdi un insegna y Che y girando , correva tanto ratta
, Che d’ogni posa mi pareva indegna* Mette costoro
rutti sotto un* istessa bandiera a dinotare la simigUanaa dell* indegna
lor vita. Li fa correre per giu- stamente punir Tozio e Taccidia del
tempo, eh* e* vissero. V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva
indegna. Spiega il Vellntello, eh* egli erano indegni d*
alcun riposQ. Il Buti: Correva quest* insegna t che mai non mi
parca si dovesse posare , e forse meglio. Non credo però , che nè Tuno,
nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni •e la passano senza dirne
altro. In quanto a me direi : che la mence del poeta sia stata di pigliar
in questo luogo indegno per incapace, o altra cosa equivalente ; e
nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar da strologare a*
grammatici toscani ; come fece Ennio a* La- tini in quello indignas
turres, dove da Girolamo Colonna r indignas viene spiegato per magnaSy e
dal medesimo vien allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio,
il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus
amore periret , spone indignutn per magnum, e quell* altro pur di
Virgilio nelle Ceiri: Verum haec sic nobìs grauia atque indigna
fuere. Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y
cioè inefiabile , e per trasUto , immensoCarto V. 59 - Guardai, e
vidi l’ombra di colui. Che fece per viltatt il gran rifiuto.
Intende di Piero d«l Murrone , che fu Papa Cele- stino V , il quale
, tra per la tua sempliciti e l'altrui sottigliezza , s* indusse a
rinunziare il papato. Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe
tacciarsi d' iinpietà il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui,
che non essendo per anche dal giudizio mai non errante di Santa
Chiesa annoverato tra' santi , come poi fu , poteva leci- tamente
credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in sinistro i (ini delle
sue per altro santissime operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti , ed
a’ nemici sui. Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra , eh’ e'
non eran nè di Dio, nè del Diavolo. * • V.
64 . che mai non fur vivi. Morde acutamente con questa forma di
dire la perduta loro vita. V. 65. Erano ignudi , e stimolati
molto. Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia.
V. yS per lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è
proprio della voce, per esprimer con maggior forza quel che s'
appartiene alla vista. Similmente nel primo canto , v. 60 , per si-
gnificare l'ombra della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor
vaghezza un lume assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un
vecchio bianco, per antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per
esprimer la canizie del vecchio Caronte. Gridando : Guai a coi anime
prave : Non isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime
mirabilmente otaervato, ioduceme mollo mag- giore ipavento , l' imrodur
Caronte minacciante l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che
introdurlo muto verao di eaae , aiccome la Virgilio , il quale non lo fia
parlar* ae non con Enea. V. 88 viva , Partili da
codesti , che son morti. Kon diaae da codette , che aon morte ,
perché come anime eran vive ; ma diaae , da codesti , cioè uomini ,
de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 .
Disse; Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia , non qui ,
per passare : Più lieve legno eonvien , che ti porti.
Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua
aalvazione , e che però gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre
vie , per altri porti , intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla
foce del Tevere , dove finge il Poeta , che l'anime imbarchino per l'
itola del Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat-
tello con cui vien Vangelo a caricarle , di cui Furg. cani, n, V. 4
^’- e quei s‘en venne a riva Con un vasello snelletto ,
e leggiero , Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il
Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era
cota impropria il porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio , mi
tpiega queato patto in 40 Canto diverto
lentimento. Prende egli altri porti in quetro luogo per altra condotta,
cioè per altri die ti portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo
, che pattò Dante aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n'
accor- geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui
Caronte ; mentre di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè
che egli per altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a
batto. V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte
luì. V. 99 ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo
per avea, non ave terta pertona del meno nel preiente del verbo avere,
come hanno alcuni tetti. V. 104 e‘l teme Di lor
temenza, e di lor nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme
di lor semenza , quelli di lor nascimenti, perchè da etti
immediatamente nacquero. Coti il Rifiorito. V. Ili qualunque
s'adagia. Qualunque ti trattiene , non qualunque » accomoda
nella barca , come tpone il Daniello , che tarebbe alato
tpropotito. V, li». Come t Autunno si levan le foglie,
L’una appretto delF altra , infin che 'I rama Rende alla terra
tutte le sue spoglie. Similitudine tratu da Virgilio nel VI , v.
309. Quam multa in tyluit autwnni frigore prima Lapta cadunt
jolia etc. ; ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno
niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle
foglie riman tu Palbero ; al contrario di quel di Virgilio, nel quale
tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E poi elf i
grwdemente nobilitata col prose- guimento di essa fino al restare
spogliato del ramo , pa- ragonato al restar voto il lido j dove Virgilio
la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie , e
dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito a quella degli uccelli ,
che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda
bruna. Bellissima ipotipoti , e che mette sotto agli occhi il
camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera
t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di
tempo muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli
tprona. Si che la tema ti volge in detto. Chiese
innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose
di passare il fiume , v. qi. Maettro , or mi concedi ,
Ch’ io tappia , quali tono , e qual cottume Le fa parer di
Irapattar ri pronte. Ora gliene rende la ragione, mantenendogli
nello stesso temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi
76. le cote li fien conte. Quando noi fermerem li
nottri patti Su la tritta riviera d Acheronte. 4
4a Canto £ dice , che ciò accade , perché la divina
giustizia le sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU
epoai/ione di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae
strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo la mera
apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che non trovi meglio da
aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual è : che Dante abbia
preteao d'eaprimere un terri- bile effetto delia diaperazion de' dannati
, per la quale paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti , ed
empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la
quale, secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai
abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo- sia, o da altra
violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un
diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro
di loro ade- gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne,
segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile
guato data la mone , v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto
, Credendo col morir fuggir disdegno , Ingiusto fece we
, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente
eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove
parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera- aione per
quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata
iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee Tribuere
Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent, Sed
iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la diaperata
Fiani- metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell* in-
gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai aono
inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a coloro , co* cfuali
essi sono adirati , benché della lor salme porgano segiu> , nondimeno
gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare
il lor dovere « e saziano f ira loro» V. 117. Quinci non
passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua pattano , aon
dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione , ond* egli
ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o. Finito questo, la
bufa campagna TVemà forte, che dello spavento La mente di
sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento ,
Che balenò una luce vermiglia , La quai tu vinse ciascun
sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,
Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo per fermo , che
a volerne capire il vero tignificato , aia necettario intenderlo affatto
a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono
i commen- tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,
e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò
all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante
fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche
demonio , potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo
tolaiueute nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti
Digitized by Google 44 Canto ♦roTÒ «Ter
pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne
potsa addurre qualche probabi) conjettura , mi riitrignerò domandare : «e
la luce vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel
auo tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che
col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri
maggiori inveritimili ) , come ti può mai intender per etta vermiglia
luce un angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e
baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era
d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pat- tato dormendo,
qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è
stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno
dal terre- moto , ma il terremoto dal balenare ; ma non ha poi
•piegato come ciò post* estere , stante il sentimento dei versi seguenti:
i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una
luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò
una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò , non fu il
baleno , che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per
conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire,
eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del
Vellutello si farebbe diventar ottima , cioè con legger quel Che
per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si che il •enso
fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri- mosa diede vento ;
Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh'
io diceva da prin- cipio, che a capire e a voler dar qualche sentimento
aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello , eh' egli
era inteso universalmente ; cioè dove gli altri intendevano il baleno per
effetto del terremoto e del vento , intender il vento ed il terremoto per
effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile , anzi
torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta deir angelo;
il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca- ronte quando disse, v.
91. Per altre vie , per altri porti y errai a piaggia ,
non qui , per passare , Più lieve legno convien , che ti porti.
si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè l’angelo ,
che Virgilio , o un demonio , il quale passasse Dante, si per la gloria
della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti perchè estendo il passar
Dante di là dal fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto
maggior dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima o
per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte , quando è stata da
superare qualche gran difficoltà, come alla porta della città di Dite ,
dice espresso , che venne un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta
dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente,
e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve- nimento. Lo
stesso sappiamo esser avvenuto , quando v’arrivò Tanima di Cristo Signor
nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti legge in S.
Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove,
scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne dà per cagione la
scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus factus est ntagnus ; Angelus enim
Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa
forza, che Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o
di percioc- ché , o di conciossiacotoché , arnia clic interroghi, nè
ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi , come si può vedere al
Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un
simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo
conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio
: Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca , nell’ Edipo
, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo
della risposta dell’ Oracolo , v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi
supplici intraui pede , Et pias , nutnen precatus , rile summisi
manus ; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit , Imminens
Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio , Eneide ,
lib. Ili , v. 90. Vix ea fatus eram , tremere omnia uisa
repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum , et
nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo
; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della
stessa Deità , V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro Só^iroq
‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant dXtSpót, Come
s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline; Come s' e’
scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora: Lo Scoliaste dice,
che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le sue parole sono :
itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto ramo, come i e'
scossa questa spelonca! Non , Quanto s' è scosso questo ramo ree. ; come
traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che Io
Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di quanto: Olov 5 rà
’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or reggili le l’ interprete doveva
mai tradurre otog ovvero Sicmf per quantus; e pur era un lolenne
tradut- tore , e che li piccava iniioo di icrivere veni greci.
Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no- bilitar la venuta
della Sibilla nelf Inferno , v. iS5. Ecce autem primi sub lumina
solit , et ortut , Sub pedibus mugire solum, et juca coepta
numeri St/luarum , tùtaeque canet ululare per umbram , Aduentante
Dea : Procul , o procul ette profani. Coll Claudiano de Rap.
Froterp. , lib. 3 , alla venuta di Plutone, V. iSa. Ecce
rrpens mugire fragor , confligere turres , Pronaque uibratis radicibus
oppida uerti. Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo
, ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra il canto
IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli non potea dire le non quel
tanto, eh’ ei vide; e te dice, che la luce vermiglia lo fe’ tramortire ,
vincendogli cia- •cun tentimento, e che in questo fu panato di là
dal fiume , sarebbe stato molto improprio , eh* egli ci aveste dato
conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni- mento. Dico svenimento
, non sonno , al contrario di tutti gli tpositori , i quali , mi
maraviglio , come in cosa tanto manifesta abbiano preso un sì grosso
equivoco. Dice Dante , che la luce vermiglia gli vinse ciascun
48 Canto lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono.
Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen-
tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione; che non li piglia
mai il paragone dalla iteiia cola para- gonata. Qual freddura larebbe mai
queita ? Caddi addor- mentato, come cade quegli, che l' addormenta’
Tramortito bensì; e ciò ■' intende molto bene, come polla derivare
dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della luce vermiglia
; ma non già il lonno , il quale è ami •cacciato , come vedremo nel
principio del leguente canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai
limile li legge in Daniele al cap. X , dove egli icrive di lè
medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto col re di
Persia, avea ripieno di tale spavento quelli eh' erano col profeta, che
l'erano fuggiti; ond'egli, vinto in ciascun sentimento e abbattuta ogni
lua virtù , rimase solo a veder la visione ; yidi auttm ego Daniel
solus uisionem. Porro uiri , jui erant mecwn non uiderunt , ted
terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum; ego autem
relictut solus nidi uisionem grandem lume , et non remansit in me
fortitudo, ted et species mea immutala est in me , et emareui, nec habui
quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh'
ei dice al canto V dell’ Inferno , v. 140. E caddi , come
corpo morto cade ? Dunque con qual ragione or , di' e' piglia la
similitu- dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo, eh'
egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante cavarci di questo
dubbio della venuta dell' angelo , fa- cendosela narrare a Virgilio, siccome
nel IX del Purga- torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v.
Sa. Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno , Quando f anima
tua dentro dorniia , Sopra li fiori , onde laggiuso è adorno
, Venne uno donna , e ditte : /' ton Lucia ; Latcialemi
pigliar cotlui, che dorme : Si t agevolerò per la tua via.
avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla bizzarria,
quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la modeitia, per la quale
non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto favore; riapetto , che
manca poi nel Purgatorio , dove la tua anima per la meditazione
del- r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina a
pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto del
concetto principale di quetto luogo , è ora contegnentemente da vedere
con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena
intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o.
Finito quetto , la huja campagna Tremò ri forte, che dello
tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per
fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri- membrando l'alto tpavento, ancor
ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano
con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora
vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli tpiriti, che i'
etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e
romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati , muover
taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.
So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che
crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della
tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante , come
ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio ; dove in perenna di
Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di
quella mon- tagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse
quaggiù poco , od assai ; Ma per venSo , che irs terra sì
nasconda. Non h dunque gran fatto , che , portando egli quetta
credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc) vento di
terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento , e forte
nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava.
INFERNO. CANTO QUARTO. ARGOMENTO.
Raccolta , eom’ an tuono Io f«ce ritornare in , e come trovò aver pattato
il (ìamc Acheronte dalP al- tra riva, la qual fa orlo al catino de!!'
Inferno, chiamato da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre
tcrio nel primo cerchio <^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di-
manda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo , ed ode la tua
ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime de* bambini innocenti , e dopo
quelle di coloro , che visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con
la motta per discender nel secondo cerchio , termina il canto.
V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta Un greve tuono , ti
eh' i" mi riscossi , Come persona, che per forza è desta.
Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde chiama sonno
quello , che in realtà era tmarrimento di spiriti , e svenimento.
Chiamalo alto , a differenza del Digitized by Google
Sì Canto «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot
dice, che un greve tuono a gran pena lo ritcofte , rome ai rìacuote
persona, che per forza è desta* £d ecco retta la comparazioDe fin all'
ultimo^ dopo averla fatta operar con grandisiimo artifizio in tutte le
«uè parti. Il tuono potrebbe a prima viata parere non eaaere auto
altro, che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida
de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono. J tu la
proda a mi trovai Della valle d * abisso dolorosa , Che
tuono accoglie d* infiniti guai. Goal di aopra nel terzo canto , t.
3o , rasaomiglia i gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui ,
ove ai aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia
al tuono. Potrebbe forse anclie dirai , che questo tuono venne dall' aria
del terzo cerchio della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo
punto fuor di ragione il credere, che insieme con la gragnuola venisiero
aoche de* tuoni , siccome veggiamo accadere nella noatr* aria , il
che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa> vento de*
peccatori. Considero dall* altro canto , che in sì gran lontananza , qual
è quella del terzo cerchio , volev* essere un gran tuono per esser
sentito da quei , eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna
ancora considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come fa a
noi , ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la volta della terra,
che rintrona e rimbomba per ogni banda, e sì lo strepito vien portato ,
come per cana> le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione ,
a qual distaiza arrivi la voce d* uno , che parli aoche pianamente
per una canoa forata, forse non parrà tanto Digitized by
Google gUAKTo. 53 HiTerUtroile queito pensiero. Senxa
che delle campane alla campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in
favore, •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie tirate
alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze, che per retta
linea aWà ben cinquanta miglia di lonta* nanaa. Più coerentemente però al
costume non meno , che alla grandezza della fantasia di Dante, si dirà,
che il tuono non fu altro, che quello incominciato nel canto
antecedente , di cui nel ritornare il poeta in s^ , udendo lo strascico,
non rinvenendosi (come accade a chi dor- me, e molto meno a chi è
svenuto) quanto tempo fosse stato fuori de* sensi , lo credette ( stando
assai bene io sul verisimile ) un altro tuono. E di vero, per passare
il fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi volea cosi
lungo tempo , che giunto su l'altra riva non potesse ancora udire il
rintuono di quel tuono stesso, che scop- piò col baleno , allorché Dante
si ritrovava al di là dal fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si
desta na- turalmente, perchè già il miracolo della sua trasmignv
«ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra di credere d'essere
stato desto dal tuono , come farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi
in quel eh* e' tuona. V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc.
Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire stem- perato dal
Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del €uore t quella aspettante ,
thè tutto il corpo dormente ritrosie , e ruppe il forte sonno.
V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo. Per invece di
quantunque , ed opera graziosissima- mence. Il senso è : Tanto che ,
quantunque io ficcassi lo 54 C A H F o viso al
fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai
biiiarra. V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio.
Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla lettera; ma
vuol fon' anche lignificare euer egli nato il primo a entrar a deicriver
l' Inferno , lì come fece nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il
lecondo. A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai
leggiermente ai può comprendere dal paragone. V. 15 . Ed egli a me;
V angoscia delle genti. Che son quaggiù , nel viso mi dipinge
Quella pietà, che tu per tema tenti. Spiega r effetto dell'
impallidire per la lua cagione , che è il compatimento de' mortali
affanni de' peccatori : forma di dire veramente poetica, anzi
divina. V. ai che tu per tema tenti. Che tu interpreti
per effetto di timore. V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe'
‘ntrare Ne! primo cerchio , che V abisso cigne. Qui
incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' In- ferno , cavato
lotto la volta della terra , dove abbiamo veduto eiier puniti gli
iciaurati , e corrervi il fiume Ache- ronte. Entran dunque nel primo
cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi , secondo che per ascoltare
, Non uvea pianto , ma che di sospiri. S* intende nel
primo verto : Secomlo che ti potea comprendere; cioè. Secondo che per
l'udito ti potea Digitized by Google quakto. ss
Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo , mercé
dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao. Ma che vale eccetto ,
aalvo , fuorché , aolaniente , pid che. Forae da magit quatti de* Latini;
onde con tal par- ticella vuol lignificare , che non v’ era maggior
pianto eh’ un leniplice lamentar di aoipiri , lecondo che l’anime
del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo, ma lolamente nell’
animo , per la privazione d’ Iddio. Queito viene apiegato mirabilmente
nel verio arguente a 8 . E ciò avvenia di duol senza martiri.
V. 33 innanzi che più ondi. Andi leconda peraona
dell’indicativo preaente del verbo Ando diauaato , dalla railice uiata
andare. • V. 34 e t' egli hanno mercedi. Non basta,
perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e' porta della fede , che tu
credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica
volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad, cant. XXXII, V. ^
3 . Dunque , senza merci di /or costume , iMcate son , per
gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in quello, che tono create,
h.mno da Iddio , lenza lor merito o demerito , maggiore o mi- nor
dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede. Coll vien chiamato
da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra- mentoruia, V. 37. E s'
e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo , Non adorar debitamente
Iddio. 56 Canto Parla de* gentili innocenti» cbe
furono avanti alla ve- nuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero
, anzi adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè
secondo il verace concetto , che si dee aver d* Iddio , e secondo il
legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica; ma lo riconobbero o nel
Sole, o nella Luna, o nelle Sta- tue , e sì Tadororono con riti profani
ed abbominevoU. V. 41 e soi di tatuo efesi. Che senza
speme vivemo in disio. Vi •* intende siamo. Cioè , e soì di tento ,
o vero » e sol io CIÒ siamo efesi. Questa dice Virgilio esser
la sola pena di quei del Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver
vivo il desiderio, e morta la speranza. V. 47* per ooler
esser certo Di quella fede, che vince ogni errore. Per
aver un riscontro della verità della nostra fede. V. 49. Uscinne
mai alcuno, 0 per suo merto, O per altrui , che poi foste beato
? Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli
antichi Padri operata da Cristo nella sua resurre- zione ; pure da eh*
egli avea sì bell* occasione di chia- rirsi del vero , e con ottimo fine
d* armarsi contro qua- lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto
mistero, non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era
uscito mai alcuno. E notisi , com* egli dissimula bene il suo animo :
domanda prima di quel che sa , che non è , e che nulla gl* importa il
sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno per suo proprio merito , per farsi
strada a domandar» di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier
fatto certo, lenza che Virgilio potaa ombrarvi sopra od
accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato ,
Quando ci vidi venire un possente , Con segno di vittoria
incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo , quando ci
vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a quarantott* anni
dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si non conobbe Cristo
, però non lo nomina. Dice solo , eh* ci ci vide venire un possente
incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope«
rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime , ond* a ragione
si persuadeva , quegli non poter esser altri , che un grandissimo , e
potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele , per cui tafito
fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban
padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64. JVon lasciavam
rondar , perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse , badavamo a
ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del
Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la
ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar ,
nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte*
V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per
moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di
questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto
gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito
, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone :
Le dolci Time d amor , eh' io eolia , dice amarrirviii l’uomo
all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro , cap. XV
della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si
parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e
selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti.
Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aqua- rum plantauU dominus
uineam iuttorum. Qui molto giudi- ziosamente, trattandosi d'anime
dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché
si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia
limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più
verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di
quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di
quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser
forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio
riformati ne’ costumi , ve ne potevano esser molò de’ re- probi. La
seconda, che in questo luogo selva è pro- priamente metafora di metafora,
non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura,
ma più tosto le varie adunanze delle anime , velate prima tali
adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a
intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi
numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è
la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti
parole , che sono poco dopo il mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito
et Paulo inter gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir
appresso gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può
vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue
parole sono le seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque
penetrato nelt interna densissima teha per saper la cagione di quei
pianti. Nè altro intende per sehat che una grandusima calca di gente, che
s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.
V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo;
quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo,
eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra , dove corre
Acheronte , erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli
erano caiu- minati ancor poco per la pianura di esso , quando ei
vide un fuoco , che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non
si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i
commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome
di lu- miera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che
dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere , eh* ella
fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte
alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo,
inhn tanto che dura la lor materia a ardere , e prestar alimento
alla bo C A K T O 6(unina , pfT cui •! rcndon
vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te
quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei
fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una porzione
maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe intenderti
come poeta , e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte
allora le tette per miturare il giro dell’ aria illuminata.
V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante a Virgilio.
V, y(j V onrata nominanza > Che di ior suona sii ne la tua
vita , Grazia acquista nel ciel , che gli avanza. La fama e
’l pregio , che riman di loro nella tua vita, cioè nella vita mortale ,
la qual tu godi ancora , o Dante , impetra loro quetta grazia dal
Cielo. V. 81. L’ombra sua torna , eh' era dipartita.
Partitti allora dal Limbo Virgilio , quando a’ preghi di Beatrice
andò a trovar Dante nella telva oteura. V. 84. Sembianza avean né
trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato nè di gioja, nè
di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si eonviene
Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore , e di ciò fanno
bene. Mi fanno onore , e fanno bene a farmelo ; perchè a
tutt’ e quattro ti conviene il nome , che la voce d’ un •olo diede a me»
cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè siamo
tutti poeti, e f o- nore , che è fatto ad uno , toma sopra tutti.
Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel signor dell’
altissimo canto, D' Omero , dal quale hanno cavato tanto i poeti ,
e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante. V. 9y. Da eh’
ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno
: £ ’l mio maestro sorrise di tanto. Qui non accade
strologar molto quello , che Virgilio a costoro dicesse , vedendosi
manifestamente ( tanto è artifizioso questo terzetto), eh' egli li
ragguagliò dell* esser di Dante, del suo poetico spirito, e della sua
profondis- sima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del
saluto, eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece Virgilio
; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol
signiBcare , che di questo , cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei
grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante , se
da Virgilio non ne fosse loro stata fatta un* assai onorevol
testimonianza, della quale essendo frutto il cenno salutevole, esso ne
sorride per compiacenza di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le
sue parole. V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ;
C/f ei si mi fecer della loro schiera, St eh’ V fui sesto tra
cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, Parlando
cose , che ’l tacere è bello , Si co/u era' i parlar, colà dop’
era. 6j Cauto A chi noD aTCMC ancora Bnito d’
intendere quel , che Virgilio ditcorreHe con Omero, e con gli altri
tre, Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo , volendoci in
austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun
conaentiuiento giudicato degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai
annoverato tra' mag- giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile
iin. presa stimo , che sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor-
ressero in sesto , poiché Dante si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi
egli ad altro, se non di' e' parlaron cose , delle quali A bello il
tacere , com' era bello il parlare colà , dov' egli era. I commentatori
hanno avuto in tal veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son
pur anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra molto
un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli,
che tutto il discorso fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor
egli favellasse, men- tre dice , v. io3. andammo infino alla
lumiera. Parlando cose , che ‘l tacer è hello. Il suo
parlare non fu per avventura altro , che recitare qualcuna delle sue
canzoni , secondo che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di
gentilezza ) ne fu richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume ,
ma ( che più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo
verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere quello, che
allora bellissimo era a parlare. V. Ila. Centi v' eran , con occhi
tardi e gravi, Di grand' autorità ne’ lor sembianti :
Parlttvan rado , e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a
qualunque pi> glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di
gran perionaggio. V. il5. Traemmoei co/l dalF un de'
canti In luogo aperto , luminoso , ed alto ; Si che
veder si potén tutti quotili. Dal dire, eh' e' li trauero da un
canto del caatello, ai convince manifeicamente , eh' ei non era murato
a tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vel- lutello
: tanto pid eh' e' non si può nè anche dire , che il castello era tondo
bensì, ma che v' erano diverse piazze o strade , le quali venivano a
formar degli angolii poiché non pare, che Dante figuri questo castello
per altro , che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e s'
ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti , chiara cosa è ,
eh' e' non vi doveva essere impedimento di mura, o di case, o d'altri
edifizj. A tal che questo canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio ,
mostra , che la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto
meno è veriiimile , eh' elleno abbracciaiser il foro della valle, come è
opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente immaginati, che tutto il
piano dello scaglione del Limbo fosse diviso , come in due armille
concentriche , una ester- na e maggiore, dove non arrivasse il lustro
della lumiera, e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza
bat- tesimo sospirando continuameote , onde dice , v. a6.
ffon avea pianto , ma che di sospiri , Che laura eterna
facevan tremare. minore l'altra ed interna , ed illustrata dalla
lumiera , è questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi.
£ 64 Canto invrrUimile I dico , tal optDÌone.
Prima , perchè in pro> porzione dell* altr* anime del Limbo y
piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per tspecialissima
grazia dentro al delizioso castello ; per lo che* rimanendo loro un luogo
sì vasto , vi sarebbero seminate più rade che per un deserto. Secondo*
perchè in qualunque luogo del prato si fosser tratti Dante e Virgilio*
posto die nel centro non potessero starvi per essere sfondato * e
ter- minar ivi la sboccatura del secondo cerchio * sarebbe •tato
impossibile discemer tutti quanti* a non supporre* eh* e* sì fosser
ridotti tutti in un mucchio vicino all* en- trata * perchè da distanza
assai minore , che non è quella del solo semidiametro di questo prato * a
farlo cale * qual se lo figurano costoro , si smarrisce di vista un uomo
dì statura ordinaria. Direi dunque * che il castello fosse da una
porle del piano o pavimento del Limbo * e che per avventura nè meno
arrivasse con le mura in su la sboc- catura del secondo cerchio- E che
sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice Dante, eh* e* tornarono nelf
aura* che trema* cioè in quella, dove sospirano i padani in-
nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per lo contrario il
castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla esteriore* per discender
nel secondo cerchio, non oc- correva, eh’ c* ritornassero in quella, dove
l’aria tre- mava. Kè vale il dire* che per aria tremante si può in-
tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua agitazione (si
come vedremo nel seguente canto) era altro che un semplice tremare,
dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8. J* venni in lungo
<t ogni luce muto , Che mugghiai come fa mar per tempesta,
S" e* da contrari venti è combattuto. Ecco dunque, che
il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su la mano , tu la
qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia
in due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano rimasti dentro al
castello , e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra porta, o per
la medesima, ood* erano en- trati , ma voltando all* altra mano , e
incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così si
condus- sero, dov' era il passo per discendere nel secondo cer-
chio ; si come vedremo nel canto seguente. INFERNO.
CANTO QUINTO. ARGOMENTO. Xl }>eccato , che
ii punisce in questo secondo cerchio , è la lussuria, come il più
compatibile all' umana fragilità, c per avventura il meno grave. Fmge il
poeta di tro- vare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di
poi passa più oltre , e vede la pena de' peccatori carnali , la
qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo di vento , il qual
rapisce , e porta seco voltolando in giro queir anime. Virgilio gliene dà
a conoscere alcune , che erano già state al suo tempo , ma di Francesca
da Ra- venna intende dalla sua propria bocca la cagione della sua
morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato , con r ombra del quale
si raggirava per 1' aria del se- condo cerchio. V. I. Cori
discesi del cerchio primajo Giù nel secondo , che men luogo
cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a guajo. Digitized by
Google 68 Canto ^ Discesi ; Io Dante diacesi. Men
luogo cinghia ; si di- mostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto
dall* esteiH sione della cosa locata. Quindi è , eh* ei dice il
pavi- mento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar minor
luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo che per lo digradar
della valle gii\ verso il centro si discendeva. Così veggiamo ne* teatri
dalla lor sommità i gradi infmo all' iullmo venire , successivamente
ordinati , sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero , che
quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto più di dolore, che
non fa il primo. Poiché, dove quello per esser solo dolor della mente ,
svapora in sospiri , questo, che alFligge il senso, pugne a guajo , cioè
arriva a trar guai , pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5
rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia. Qui orribilmente ha forza di
esprimere P orrida resi- denza , il tribunale formidabile , la fiera
accompagnatura de* ministri , e forse il ferocissimo aspetto dell*
infernal giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi ancora si veggono
tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti.
Dove notisi , che per 1 * avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad
intendere la preminenza del luogo , quanto la ricchezza degli ornamenti
sacri , ed ogni altra nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii
sud- detti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare
de* cani , quando irritati, digrignando i denti « e quasi brontolando,
mostrano di voler mordere. V. 6. Giudica , e manda , secondo eh*
awvinghia. Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai ci-
gneise , viene spiegato appresso.
69 QUINTO V. IO. Vede qu«l luogo Inferno
è da essa. Da in luogo di Per, ed esprime attitudine ,
proprietà, c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o
vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi
con la coda tante volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia
messa. Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il
piti eh* ci può dall’ ordinario , rispetto al luogo , e a* perso-
naggi , eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere strane ed
inusitate di significare ì loro concetti ; come in questo luogo fa, che
Minos si cinga tante volte la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1
* anime con- dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile.
Bocc. introd. n. i. Quantunque volte , graziosissime donne ^ meco
pensando riguardo ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno
molte: Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono , e
odono , e poi son giù volte. In questi tre versi è compresa un*
esattissima e pun> tualissima forma di giudizio. V. a3.
Vuoisi cosi colà » dove si puote Ciò che si vuole ; e più non
dimandare. Le stesse parole per appunto furono usate da
Virgilio a Caronte nel canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni
in luogo d* ogni luce muto. Notisi , come stando sempre su la
medesima bizzarra traslazione d* attribuire il proprio della voce al
proprio della vista , va continuameDte crescendo» Nella selva ,
~e Casto dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali
per l' im- pedimento de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte
tacerai la luce , V. 6o. Mi ripigneva là , dove 'I sol
tace. Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco ,
ac- cennando io tal guiaa , non eaier ciò per accidente > tua
per natura ; cauto HI , v. 75. Com’ io discerno per lo fioco
lume. Qui finalmente , dove a' ò innoltrato nel profondo
della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre di queato
cerchio non aono accidentali , nè a tempo , nè aaaottigliate da qualche
apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae , folte , oatiuate , ed
eterne. V. 3l. Za bufera infernal , che mai non retta. Mena
gli spirti con la tua rapina: Voltando , e percuotendo gli moietta.
Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti , lo qual
finge l’ autore , che sempre sia nel secondo cerchio dell" Inferno.
A chi pareaac queata voce o poco nobile , o troppo atrana, ricordiai ,
che ai parla d' un vento in- fernale , e che merita maggior lode il
cercar la forza dell' eapreaaione , che 1' ornamento delle parole ; ed
è queata una pittura , che non richiede vaghezza di colo- rito , ma
forza; e tanto piti è bella, quanto è meno liaciata ; estendo il naturale
coti risentito , che non può bene imitarsi , te non è fatto di colpi , e
ricacciato ga- gliardo di sbattimenti. Questa bufera adunque leva e
mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli aggira secondo il corto
della tua corrente, che va turno torno ^UIHTO. 71 al
cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina , cioè col tuo
grandissimo impeto ) li va voltolando in lor medesimi. Cosi veggiamo la
pillotta e '1 pallone , i quali, se vengono spinti lentamente per Taria,
son por- tati con un solo moto ^ che è secondo la linea della di-
rezione del lor viaggio , ma dove urtino in muro , od in legno, osi,
cadendo in terra, ribalzino mcontanente, ne concepiscono un altro , Bglio
di quel novello impeto , che gli aggira intorno ai proprio asse.
V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ; Qmvi le strida t il
compianto t e*l lamento'. Bestemmian quivi la virtù divina.
Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono , o se lo
dicono, io confesso di non intendere quello che dicono. Crederei, che per
rovina intendesse T autore il dirupamento della sponda, giù per la quale
egli era ve- nuto ; e che questa fosse la foce , d' onde metteise
il vento , il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a quelle
pover* anime , che vi passavano davanti. A simi- litudine d* un legno o
d'altro corpo , cui la corrente d'un fiume ne meni a galla , il quale, se
s* abbatte a passare, dove sbocca un torrente, o altra acqua, che caschi
con impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto ^ lo
tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e in lè con mille avvolgimenti
T aggira , e strabalza , in fin tanto eh' ei non è uscito di quella
dirittura , e non ha ritro- vato il filo della nuova corrente. Di dove, e
come possa quivi nascer questo vento , vedremo allora , che si dirà
della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto se- eondo mi rìserbai
a discorrere in altro luogo* 71 ClISTO
V. 40. E (ome gli stornei ne portan F ali Nel freddo tempo a
schiera larga e piena ; Così quel fiato gli spiriti mali.
Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come la «cgitcnte poco
appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da animali tenuti in niun pregio
, e per ogni conto vilittimi. V. 43. Di qua , di là , di giù , di
tu gli mena : Nulla speranza gli conforta mai Non che di posa , ma
di minor pena. Eipretiione felicistima ed inarrivabile di quel
tormento , e che vince quati il vedere ttetto degli occhi. V.
48. Cori viiF io venir , traendo guai , Ombre portate dalla detta
briga. Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio, travaglio;
e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di venti. Farad,
can. Vili , v. 67. £ la bella Trinacria , che caliga
Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo , Che riceve da Euro
maggior briga. cioè sopra ’l golfo , eh’ è più battuto dallo
scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^ Corrisponde
al detto di sopra, v. 18. I' venni in luogo iT ogni luce
muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’ aria
, poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta. V. 54. Pu
Imperadrice di motte favelle. Ebbe imperio sopra nazioni , che
parlavano diversi idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere ,
o denotare i paeii dalle lingue , che vi ai parlano. Infer. cant.
XXXIII , V. 79. Ahi Pila , vituperio delle genti Del
bel patte là, dove 'I ri tuona. V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri
rotta. Che ’l libito fe' licito in tua legge , Per
torre ’l biatmo , in che era eondoita. Aaaai è nota la legge della
diioneatà promulgata da Semiramide , per cui ella penaò di aottrarai all'
infamia de’ suoi vituperj. A vizio di Lutturia fu ri
rotta. Forma di dire assai singolare. V. 60. Tenne la
terra , che ’l Soldan corregge. Dice il Daniello , che Dante in questo
luogo piglia un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide aver
regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con cui nel suo tempo
chiamavasi volgarmente il Cairo , allora signoreggiato dal snidano , non
rinvenendosi dell' altra Babilonia fabbricata da Semiramide nell’
Astiria. Di questo errore pretende scusarlo con fargli nome di licenza
lecita a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per compa-
gno Virgilio in un certo patto , non so già quanto a pro- posito , e con
quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi per la verità dell' intenzione
, che io credo , che abbia avuto Dante ; direi forte ancor io , come il
Daniello : tanto più che in que' tempi non ti aveva coti esatta no-
tizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere, che un poeta anche
grandissimo abbia preso un equivoco in- torno a una città, nella quale
era facilittimo l’equivocare, 6 74 Cauto
intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella d'Egitto;
ticcome oggi per Lione templicemente ('inten- derebbe sempre quello di
Francia, e per Vienna quella di Germania; e quanto a questo, che
Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei
si chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio. Il Boccaccio
nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo , intende sempre
quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad. , t. loo.
E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del Soldan superba
, Predici) Cristo , e gli altri , che 7 seguirò. Farla
di S. Francesco , il quale i certo , che parla del Soldano d' Egitto , e
non di quello di Bagadet. Il Fe- trarca dice anch' egli nel Sonetto;
L'avara Babilonia ecc. non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per
quel d' Egitto ; e il Gesualdo , se non erro , lo cava da una sua
epistola , nella quale fa menzione delle due Babilo- nie , d' Egitto e d'
Assiria. Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia
errato , potrebbe farlo con dire , che per Soldano intese quegli stesso ,
che nel suo tempo signoreggiava la vera Babilonia di Semiramide , essendo
la voce Soldano nome di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e
da Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Co- liifi di
Soria , particolarmente dove parla di uno di essi, che ebbe guerra con
Alessio Comneno. Siccome e con- verso il Soldano d' Egitto aveva titolo
di Cohffa , prima che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo
insieme, quando egli di semplice Sultano , eh' egli era , diventò
Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar
Digitized by Google 9 0 IRTO. 7$ da lui lecoudo il
lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai
cava da quoto luogo del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa
Ponti- fiiem , aliquando ante , aliquando poit , equilabat Mare-
icallus , siile Soldanus Curiae. lila per vedere adeiao , con
quanta poca ragione il Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco
, laiciaio di riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno
confondeaae la favola d* lai e di Filomena , e nel terzo della Georgica
acambiaaae Caatore da Polluce , nel che vien Virgilio difeao molto
giudiziosamente dalla Cerda , vediamo il terzo equivoco notato dal
aoprammentovato apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga
del Sileno , T. 74 . Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut
quamfama secuta est. Candida surtinctam latrantihus inguina
monstris, DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo, Ah, timidos
nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello , senza
allegarne alcuna ragione , che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di
Forco e d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella
figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritro- varla , e dubito
che si possa dir del Daniello nella spo- sizione di questo luogo di
Virgilio, quello che di Virgilio disse il Berni nell' imitazione di
cpiell’ altro d’ Omero ; Perch’ e' m hem detto , che Virgilio ha
preso Un granciporro in quel verso d Omero, Chi egli , con
reverenza , non ha inteso. Noteremo dunque di passaggio , come
bisogna , che quest’ autore si sia cieduto , che Virgilio parli d’
una 76 C A H T O loU Scilla , e che a queita
attribuendo i moitri marini , e r ingordigia degli altrui naufragi ,
liaii dato ad intendere , eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1
ond* egli nota r equivoco in quelle parole : Quid loquar ?
aux tcyllam Nisi ? Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu
cangiata in uc- cello , e fu , come altri vogliono , appiccata alla
prora della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in mare, e
non mai trasformata, come quella di Forco, in moitro marino. Ma la verità
ai à, che Virgilio intese di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e,
toccando di pas- saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più
diffusa- mente dell' altra di Forco , come dalla lettura del luogo
è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di
questo passaggio , e trovandosi inaspettata- mente nella favola di Scilla
di Forco, la credette vestita a quella di Niso , equivocando egli
medesimo nell' equi- voco immaginato di Virgilio. V. 61.
L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di
Sicheo. Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile
anacro- nismo , ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia
datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa. IVon servata fides eineri
promissa SUhaeo. V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo
ti volse. Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la
guerra de’ Greci , e l' ultime calamità de’ Trojani,
V. 69. CK amar di nostra vita dipartille. Della morte delle
quali fu cagione Amore illecitOi V. 7». i' cominciai ; Poeta ,
volentieri Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno , E
pajon st al vento esser leggieri. Gli accoppia ioaieme , perchè
iniieme avevano peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento ,
dalla facUitè , anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e
ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato , eaaendo
atati per affinità al atrettamente con- giunti, come più abbaaao
udiremo. V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei
verratmo. Per quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu
ca- gione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima
preghiera , e convenientiaaima a due amanti , acongiurarli per lo
acambievole amore. Y. 80 O anime afannate. Aggiunto di
mirabil proprietà, e aenza dubbio il più proprio , che dar mai ai poaaa
ad anime tormentate da ai latta pena. ' V. 8a. Quali colombe
dal disio chiamale Con f ali aperte e ferme al dolce nido
Volan per F aere dal voler portale. Grazioiiaaima aimilitudine , e
piena di tenero e com- paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti
gentili animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto
della lode , che le gli dette poc’ anzi , per aver para- gonato gli
apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle ^8
Cauto gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè
in ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitu- dine
all' andar di compagnia, che facevano i due amanti, il che ottimamente si
ha dalla comparazione delle co- lombe , che ad avvilire con un paragone
ignobile quegli spiriti in generale, come fece da principio. Del resto
gli ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sen-
timenti, l’un e l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al
dolce nido volan per Vaere , cioè volan per l’aere con l’ali aperte o
ferme, cioè diritte al dolce nido; o vero volano al dolce nido con l’ali
aperte e ferme , descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe,
quando con l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibat-
terle, e in questa maniera di volare par che si ratb- giiri un certo non
so che pid di voglia e di desiderio di giugnere. V. 88. O
animai graziosa e benigno , Che visitando vai per V aer perso
Noi, che tignemmo'l mondo di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano
pid volontieri gli annuiti che del loro amore. Quindi è , che quest’
anima chiama Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza
usatole in darle campo , raccontando i suoi avvenimenti , di dar
alquanto di sfogo al dolore. Per V aer perso. Il perso è un colore oscuro
, di cui lo stesso Dante nel suo Con- vivio sopra la canzone Le dolci rime
ecc. dice esser com- posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e
Inf. caut, VII, V. io3. L' acqua era buja molto più , che
persa. Digitized by Google QUINTO. 79
V. 90. Noi che lignemmo il mondo di ttmguigno. Scherza in la
contrarietà di queiti due colori ; Fai visitando per F aria di color
perso noi , che , per eaiere arati ucciai in pena del noatro Callo ,
tignemsno il mondo di color di aangue. V. 94. Uh Jttel , che
udire , e che parlar ti picKe : Noi udiremo , e parleremo a vui.
Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il Landino) , che
coatei a’ indovinaaae di quello , che Dante deaide- rava d' udire. Una ,
perché di niun' altra coaa , fuori che de’ auoi avrenimenti , potea
ragioneTolmente cre- dere , eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1'
altra , perché il coatume degli amanti é creder, che tutti ab-
biano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare de’ loro amori ,
tanto che aenza forai molto pregare non fanno careatla di raccontarli
anche a chi non ai cura aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che
l’ uomo, ciò é molto adattato al coatume della loro loquacità e
leggerezza. V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa , si tace.
n ripoaarai del vento non é coaa impropria , anzi é accidente
confacevole alla natura di quello , dimoitran- doci r eaperienza , che
egli non aoffia con aibilo con- tinuato , al come corrono i fiumi , ma a
volta a volta ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aa-
rebbe inveriaimile il dire , eh’ ei ai fermaaae per divina diapoaizione ,
acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella considerazione di quelle pene
, e riportar frutto dal suo prodigioso viaggio. Per questa ragione
vediamo nel canto IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte
della 8o Canto cittì di Dite, e altrove molt’
altre graxie tingolariuime, le quali la bontà divina gli concedè, per
condurlo final- uiente alla contemplazione della aua euenza.
V. 97. Siede la terra , dove nata fui , Su la marina , dove
‘I Pò diicende Per aver pace co' teguaci tui. Bavenna ; poco
lontano dalla quale il Po inette nel- r Adriatico. Discende per aver pace
co’ sui seguaci. Ma- niera veramente poetica. Dicono alcuni , per aver
pace , cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha nel
auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché , fecondo che quelli tgorgano
in lui , lo conturbano e P agitano , onde ti può dire, che gli facciano
guerra. Ma te Dante volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li
chia- merebbe legnaci ; poiché , fintante che uno è teguace d’ un
altro , non gli fa guerra, e , facendogli guerra, non |i può chiamar più
teguace. Diremo dunque , eh' ei vo- glia dire , che il Po co' tuoi
teguaci diiceode in mare per ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per
giugnervi , a fine di unirai come parte al tuo tutto , eitendo
queita unione la lola pace , alla quale tutte le creature tono d.a
inviiibil mano guidate. Veduto della patria , è ora da vedere chi folte
coitei, che favella con Dante; per Io che è da taperii , che quetta è
Francetea figliuola di Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale ,
eitendo ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta
da Rimici , uomo valoroto in vero , e nella teienza e inaeitria dell’
armi eiercitatittimo , ma zoppo e deforme d' atpetto troppo più che ad
appajar la grazia e la de- licatezza di conci non era convenevole, fu
cagione, che ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale
non meno grazioio , e arvenente del corpo , che leggiadro dell’
animo e de' coatumi , del di lei amore ferventiiii- mamence era preao4
Ora arvenne ^ che , mentre , tcam- bievolmence amandosi , in gran piacere
e tranquillità si Tiveano , indistintamente usando , appostati un
giorno da Lanciotto , furono da esso colti sul fatto, e d'un sol
colpo uccisi miseramente. V. ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s'
apprende. Prete costui della bella persona , Che mi fu tolta,
e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio , tra le lodi ,
che dà Agatone ad Amore , dice eh’ egli i ancora delicatissimo ,
argumentan- dolo da questo , eh’ egli i ancor più tenero e gentile
della Dea Ati , cioè della calamità , la quale esser mollissima a
delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella , schifando di
toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario in tu le lette degli
uomini. Iliad. T, v. 93. .... Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in'
ovSit nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani.
Ma amore non solamente non mette mai piede in terra , o in tu le teste
, le quali , a dire il vero , non sono molto toffei , ma di tutto V uomo
la parte più gentile calpesta , e sceglie per tua abitazione. Negli animi
dunque , e ne’ temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo
trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza veruna distin-
zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando , ma quelli
solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono , e pieghevoli
con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9 fizaiipii(;ipfits
6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri
npavietr. 8a Cahto ( S, larn iravv fiaX«ut<i)
cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf>
v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’ »ai oò» av f{>7(
ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP
dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu. £'l Petrarca nel
toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri- cavando con maniera più morbida lo
ateaao originale, fini di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante
, che rijguarda 1' avversione , che Amore ha ordinariamente agli
animi rosai e dori , dicendo : Amor , che tolo i cuor leggiadri
invesca , Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella
canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. , par- lando con Amore, tocca
leggiadramente in ogni sua parte il sopraccitato luogo di Platone ,
dicendo dell’ impeWo, eh' egli ha non meno sopra gli Dii , che sopra gli
uo- mini , con questi versi : £ s’ egli è ver , che tua
potenza sia Nel Ciri s) grande , come si ragiona , E neir
abisso ( perchè , qui fra noi Quel che tu vali e puoi ,
Credo, ehe’l senta ogni gentil persona). V. loi. Prese costui
della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi
fu spogliato dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi
fu ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro
amante. V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del
costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona,
Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil ratto s'
apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo amalo amar perdona,
prese me come amata. Mi prese del costui piacer, del piacer di costui.
Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato
dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo lungo
può aver doppio significato. Hi prese del piacer di costui, cioè del
gusto, del piacimento , della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer
di costui, cioè del piacer che io faceva a costui, e questo corrisponde
ottimamente al detto poco innanzi : Autor , eh' a nullo amato amar
perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per genio , quanto per
vaghezza d' accorgersi di piacere e d’esser amata, e per cert’obbligo di
gentil corrispondenza. V. io6. Amor condusse noi ad una
morte. Arroge forza con la terza replica , e con grandit-
aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di amore tutta la
colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq. Non ego te laesi prudens : ignosce
fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ? E'I
Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo alla presenza del
Principe Tancredi , non gli sa porre in bocca nè altra, nè piò forte
difesa per iscusar sè , che r incolpare amore, il quale, cioè
Tancredi, tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la mia
benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la 84
Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome
io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun altra cosa
ditte te non questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo.
V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente. Calila è la
g)iiaccia, dove nel canto XXXII vedremo euer paniti coloro , che
bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque , che questa
spera detta Caina sta aspettando LANCIOTTO marito di lei , e
fratello di PAOLO , che fu il loro uccisore. V. Ila O latto
, Quanti dolci pentier , quanto detto Menò costoro al dolorato
patto ! Tenerissima riflessione , e propria d* animo gentile
, ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar dolore. E
qui notisi , come Dante per ancora sta forte all’ assalto della pietA ,
la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del secondo
canto, v. l. Lo giorno te n andava , e f aer bruno Toglieva
gli animai , che tono in terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava
a tottener la guerra fi del cammino , e sì della pietose. £
che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener le lagrime , dice ,
che in questo pietoso oflìcio egli era insieme, v. 117, tristo e pio-,
dove mette in considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo
intendere per iscellerato , malvagio , empio , e non per
malcontento, mesto , e maninconoto , come vien preso universalmente
, e (1 come io con gli altri concorro a credere etier re-
ritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo significato
abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e trutitiima
copia Correvan genti ignude e spaventate. E di vero tristo in
aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio , venendo a
estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la giusta e
dovuta miseria de’ dannati , del cbe nel XX di questa can- tica si fa
riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che è sciocchezza averne
pietà , e somma scelleraggine aver sentimenti contrarj al divino
giudicio, che li pu- nisce, V. a 5 . Certo V piangea poggiato
a un de' rocchi Del duro scoglio , zi che la mia scorta Mi disse :
Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà-, quandi è
ben morta. Chi è più scellerato di colui, Ch' al
giudicio divin passion porta ? Driaza la letta , drizza ; e vedi ,
a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta , per non poter vincere la
naturai violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia lo
cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in si- gnificato di
metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava, vi vien a esser superfluo
; e non solamente tristo, ma pio ancora ; chiarissima cosa estendo , che
chi piange r altrui miseria , n' ha rammarico e compatimento.
V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri ? Pubiioti per non
esserti ancora l’ un F altro diKoperd. 86 Canto V. I3I.
Ed ella a me; nerrun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo
felice nella miseria, e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa
h di Boezio nel lecondo libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo :
In omni aduer si- tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est ,
fuisse felieeiu. Tanto che questa volta per il tuo dottore non
debbo intendersi VIRGILIO, come, dal Daniello in fuora, quasi tutti gli
altri si sono ingannati a credere , ma lo stesso BOEZIO, la cui
sopraccitata opera Dante nel suo esilio aveva sempre tra mano , e leggeva
continuamente ; onde nel suo Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia
, dopo alquanto tempo , la mia mente , che i ar- gomentava di sanare ,
provvide ( poi nè 'I mio , I altrui consolare valeva ) ritornare al modo
, che alcuno sconso- lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare
e leggere quello, non conosciuto da molti, libro di BOEZIO, nel
quale, cattivo e discacciato , consolato si aveva. V. ia4- Ho , s‘
a conoscer la prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto
, farò , come colui , che piange , e dice. Sed si tantus amor
casus cognoscere nostros , Et breuiter Troiae supremum audire
laborem. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit ,
Incipiam. £n. lib. Il , v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un
giorno per diletto Di Lancillotto , come amor lo strinse.
Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l’intelligenza
del rimanente di questo canto , con riportar la atoria di Lancellotto
cavata da' romanzi fran- zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita
in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale
in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé
gentiluomo franzeae apiega inge- gnoaamente varj luoghi diSicili de' tre
noatri autori Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile
dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo della iella Geanda
acquitlalo per sua prodezza trenta reami , s ave a posto in cuore di non
voler <t essi coronarsi , se prima a quelli il regno di Logres dal Re
Arius posse- duto aggiunto non aveste ' £ per ciò , avendolo egli
man- dato a Sfidare , furono le genti deir uno e dell' altro più
volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus futa
maravigliose pruove contro di Galeaui , e avuto un giorno fra gli altri
l'onore della battaglia , fu da esso Galealto pregato, che volesse andare
quella sera alloggiar seco; promettendogli, se ciò facesse , di dargli
quel dono, che da lui addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con
quel patto l’invito , e poi la mattina seguente , partendoti per
ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava :
il quale fu di richiedere , e pregare esso Gale alto , che quando egli
combattendo fatte in quella gionuila alle gerui del re Artu superiore , e
certo d averne a riportare la vittoria , volesse allora andare a
chieder merci ad esso Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual
cosa avendo Galeallo fatta , non solamente ne nacque tra Lancillotto e
Galealto grandissima dimestichezza e amistà , ma ne divenne ancora etto
Galealto , per cosi cortese e magnanimo alto , molto del Re Artu , e
della Regina Gi- nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal
pubblico PUI5T0 Amor, eh a null’amato amar perdona, mi prese del costui
piacer it forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Qui
ribadisce : Questi, che mai da me non fia diviso. Nel
che ti ponga niente a quante volte e in quanti modi rioforra V
espressioni d'un ferventissimo ed ostinato amore , e con quant' arte s’ingegna
d’attrar le lacrime e sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y.
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor , che
lo scrisse , fece tra Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra
Lancillotto e Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria.
In somma rime oscene, e versi infami dell’altrui castità sono
incantesimo, e all’onestade altrui lacciuoli ed amU Tal eh* io
ti dico , e replico il medesimo. Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia
diventa un ruSianesùno. E questo è quel , eh apertamente disse il
Principe satirico in quel verso. Galeotto “ il libro , e ehi lo
scrisse. Qui è da notare incidentemente, come alcuni hanno voluto
dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle
del Boccaccio , possa da questa storia esser derivato; perchè, dicono
essi, ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la
maggior Cauto quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di
Francesca simiglianti, pare che quel
cognome di principe Galeotto meritamente te gli convenga. In questa guisa
inferir volendo , estere il Decamerone il principal libro di tutti
quelli , che contengono in loro cose attrattive alla carnale concupiscenza; che
tanto è a dire, quanto dargli titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe
de' ruffiani. Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel
soprammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione
ti sforza di mostrare , essere molto veru simile a credere tal disonesto
cognome, come anche quello di Decamerone estere stato posto al
Centonovelle più tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel
proemio della quarta giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun
titolo apertamente si dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo
ovante. Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento
della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli
amorosi abbracciamenti.Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti.
Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment