Grice e Massolo: l’implicatura conversazionale nelle prime
ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e Ariskant – filosofia siciliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Palermo, Sicilia. Filosofo italiano. Grice: “If
I had to decide on my favourite Massolo, that would be his ‘historicity of
metaphysics,’ way before when I was venturing with Strawson and Pears to
lecture the erudite audience of the BBC third programme on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo
Classico Vittorio Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini,
con Allmayer. Fu autore di alcuni volumi di poesia. In seguito ad un periodo di docenza nei licei
di Perugia, Catanzaro e Livorno, insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato
importanti figure del dibattito filosofico del secondo Novecento, come
Luporini, Badaloni, Sichirollo, Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli
scambi epistolari avuti con numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di
Gentile, Spirito, Bo, Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta
considerazione di cui M. godeva all’interno del panorama culturale del secondo
dopoguerra. Partecipa alla fondazione
della rivista Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel
primo anno della sua uscita, ospitò tre importanti saggi di M.: Esistenzialismo
e borghesismo, La hegeliana dialettica
della quantità, L’essere e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana
«Socrates» dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica”
di Weil, Vita di Hegel di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi
studi su Hegel, inclini a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione
realistica del filosofo tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo
italiano (Croce e Gentile) quanto quella di Volpe. Nell’ambito della sua
riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale
rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni
interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi
teoretici si sono rivolti principalmente alla filosofia classica tedesca da
Kant ad Hegel, della quale ha studiato, per più di un decennio, i principali
momenti storico-teorici. In antitesi
all’esegesi del neoidealismo italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie
di Fichte, Schelling ed Hegel il superamento della finitezza umana che Kant
aveva posto a fondamento della sua filosofia, M. ha proceduto alla rilettura
della genesi dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i
dualismi kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello
spirito di Hegel. Nelle fasi più mature
della sua riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della
scissione della coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea
della completa politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, Frammento etico-politico), ed il problema
della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della
coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero
e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,). Si dedica alla questione della dialettica
intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il
quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno
condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, M. ha
contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha
concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e
comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato). Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo,
Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze,
Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni);
“Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia,
Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica
idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica”
e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, Landucci, M., "Belfagor, Remo
Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi in onore di M., Sichirollo,
Urbino, Argalia, Badaloni, Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico
della filosofia italiana", degli scritti di Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il
filosofo e la città: studi Domenico e Puglisi, Venezia, Marsilio. La
ricca letteratura critica su M. - tenuta viva da amici ed allievi, ma rivolta
non a celebrare bensì a interpretare l’itinerario filosofico
dell’amico/maestro e il suo modello teoretico, che, da Heidegger e Kant,
lo conduce verso Hegel e Marx, evidenziando così sia una ‘parabola’ della
filosofia italiana (e non solo) del dopoguerra sia la costruzione di un
mo- dello di storicismo connotato in modo assai diverso da quelli
post-cro- ciani o gramsciani, correnti nell’Italia postbellica, e
incardinato su una ontologia storica del soggetto —, tale
letteratura critica (che ha coinvolto Landucci e Sichirollo, Bodei e
Salvucci, Losurdo e Badaloni, ecc.), dicevo, ci ha indicato - con precisione -
alcuni nuclei forti di quel pensiero, sottolineandone l’articolazione
complessa e la significativa attualità. Sul primo fronte sono stati il
passaggio dall’esistenzialismo al marxismo, l’interpretazione della filosofia
classica tedesca, il rapporto teoretico fra Hegel e Marx, il nesso fra
«il filosofo e la città» a essere sottolineati; sul secondo, soprattutto, quel
carattere etico-politico del suo storicismo, connesso a un forte e vero
umanesimo» fondato sul dialogo-nella-città e rivolto a una «costruzione
della ragione nel mondo reale, elementi che rendono il suo insegnamento
«ancora fortemente attuale, anche nell’orizzonte del postmoderno (Salvucci,
in Domenico, Puglisi). Proprio per leggere più intimamente il modello
storicistico di M., dobbiamo sottolineare ancora: il suo
passaggio dall’esistenzialismo al marxismo; l’elaborazione del suo
neo-storicismo negli anni Cinquanta; il modello maturo che esso
assume nel lavoro dell’‘ultimo’ M., da La storia della filosofia come
problema a Entiusserung, Entfremdung nella Fenomenologia dello spirito. Lesistenzialismo
del primo M., come emerge dagli scritti dei primi anni Quaranta e
culminato in Storicità della metafisica e in Introduzione all'analitica
kantiana, risulta contrassegnato dalla storicità, ma questa è ancora una
struttura ontologica del soggetto, pro- prio quella che è sfuggita a Kant
— «da trovarsi nella loro di coscienza tra- [Cambi, Pensiero e tempo:
ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli, attualità, Firenze] scendentale
e coscienza sensibile] storicizzazione, nel piano, dunque, della
storicità dell’esistenza umana e di una intelligenza critica dell’uomo -
e che va messa in luce in Heidegger, il quale ci ha evidenziato la
«tempora- lità» dell’uomo (riprendendo e approfondendo Kant, al di là dei
razionalismi idealistici) e la condizione storica (connessa all’esser «il
singolo mai l’aurora», poiché «egli si muove in un mondo già apparso, il
cui es- sere gli è nascosto»? e su cui deve interrogarsi facendo i conti
col «passa- to» che costituisce l’orizzonte di quel mondo) del suo
«esserci», in cui è la «trascendenza pura» del tempo che impone la
domanda metafisica, ma per cui ogni risposta non sarà che condizionata e
parziale, poiché è l’uo- mo che pensa la metafisica, la pensa dalla
condizione di «un’indigenza di essere a cui mai potrà rispondere in toto.
Così alla metafisica spetta una radicale storicità (come domanda/risposta
dell’uomo-nel-tempo), anche perché - inoltre - nel processo di fondazione
metafisica la rivelazione del mondo non significa manifestazione
di qualcosa che rimanga nel suo in sé irrevocabile alla vista, ma il suo
stesso venir pro- dotto all’essere, giacché il suo essere è il suo
apparire. È la storicità stessa dell’uomo che fonda la metafisica
e la ricerca metafisica dovrà porsi il problema della storia perché
unicamente un approfondimento della storicità può permettere di
guardare nella eccezionalità che è la metafisica come azione non del-
l’uomo in generale ma del singolo.‘ Singolo, temporalità,
storicità sono qui gli elementi ontologici su cui si attiva la ricerca di
Massolo, attraversata dalla lezione dello Heidegger degli anni
Venti-Trenta (tra Essere e tempo e Kant e il problema della metafisica),
riletto anche attraverso le indicazioni postgentiliane di Fazio-Allmayer,
che nel suo attualismo critico ha messo al centro sempre più l’uomo e ha
guardato a una umanizzazione del reale. Già Salvucci, nella sua
Presentazione al volume Logica hegeliana e filo- sofia contemporanea, che
raccoglie gli scritti sparsi di M. sottolinea il «faticoso processo» del suo
pensiero, che lo conduce alla «liberazione dal predominio della logica
hegeliana» e verso «il realismo», in cui emerge il ruolo dell’uomo colto
nella sua alienazione, che ne è il contrassegno storicamente primario ed
efficace. Alienazio- ne che è storica, ma di cui la filosofia - da Kant
in poi - si fa testimone e interprete. Con Hegel, invece, la
ricomposizione dell’alienazione si com- [M., Introduzione all’analitica
kantiana, Sansoni, Firenze, Storicità
della metafisica, Le Monnier, Firenze] pie nell’orizzonte dell’assoluto,
attraverso l’artificio della logica e la sua riconsiderazione unitaria e
pacificata dai conflitti e dalla dialettica che essi producono, e che dà
luogo alla costruzione dell’Idea filosoficamente resa trasparente a se
stessa e, proprio per questo, totalmente realizzata. Per liberare Hegel
dal primato della logica, bisogna risalire all'opera più drammatica e
aperta di Hegel stesso, a quella Fenomenologia dello spirito che pone al
centro proprio l’alienazione (e non come sola estraneazione), l’alienazione
dell’uomo colto nel suo statuto tragico. Sarà Marx, poi, a compiere il
passo successivo e decisivo: a riportare nel tempo storico-sociale (nella
dimensione del lavoro e nei sistemi di produzione economi- ca) tale
alienazione, mostrando che essa «non è altro che un prodotto di quella
forma storica di lavoro che è la divisione del lavoro»?. Lasse nuovo e il
principio determinante di questo storicismo realistico e antropologico
diviene la Città («la Città-Storia» già di Hegel, ma qui riportata ai
sogget- ti e alla loro rete di azioni e reazioni nel tempo e sul tempo).
Ed è questo costituirsi nella e relazionarsi alla città che viene a
contrassegnare il filosofare, quale atto di «razionalizzazione» e di
«storicizzazione». Per Salvucci qui sta il senso del lavoro di M.,
lo stemma del suo storicismo e la stessa angolazione da cui ricostruisce
e interpreta il marxi- smo. Marxismo come storicismo, ma qui ripensato
sulle orme di Kant, Hegel e Marx e che pone al centro,
heideggerianamente, la questione della temporalità, del tempo storico
ovvero della forma antropologica di vivere la temporalità storica. Che è
- appunto - l’alienazione. I testi raccolti da Salvucci nnel volume
citato sono un preciso résumé di questo itinerario teoretico, in cui i
vari tasselli vengono a com- porre un cammino in ascesa verso il marxismo
critico, di cui Marx e il fondamento della filosofia è l'esempio
cruciale. I conti con Hegel sono fat- ti analiticamente nelle Ricerche
sulla logica hegeliana, in cui è proprio l’oblio del destino del mondo,
del «nascere e del morire» (per valorizzare il puro paradigma
logico-ideale) che viene sottolineato e fis- sato nel suo ruolo, per noi,
oggi, di ‘scandalo’. Ma l’idealismo non muore con Hegel: ritorna anche
dopo di lui. Nella tensione cartesiana del pensiero di Husserl, che riduce
l’uomo a mente, la mente a pensiero, il soggetto a un'isola,
caratterizzato dalla ‘solitudine’ della soggettività trascendentale. Saranno
figure come Heidegger, come SPIRITO (si veda), come LUPORINI (si veda), come FAZIO
(si veda)-Allrnayer (con la sua logica della compossibilità), come BANFI (si
veda) a riaprire i confini di questo storicismo bloccato nella formula
idealistica e a ricondurci sul terreno della esperienza
‘esistenzialmente’ connotata e orientata a un pensiero che si compie e si
legittima nel processo stesso della storicità, intesa come storia degli
uomini, degli uomini concreti, cioè dei produttori. Allora è Marx che
‘invera’ lo storicismo con la sua «filosofia dell’uomo alienato». Ma Marx
non è un ‘tribunale’ della filosofia: è anco- [Salvucci, Presentazione a M.,
Logica hegeliana e filosofia contempo- ranea, Giunti-Marzocco, Firenze] ra
filosofia, ma è la filosofia del nostro tempo, che rompe ogni dualismo,
che rende l’atto filosofico segno e prodotto dell’alienazione, che la
ricolloca nel suo terreno genetico — «il lavoro» — ma da lì fa procedere
anche il suo possibile superamento, indicando nei mutamenti delle
condizioni econo- miche il varco stesso per aprire la storia alla
speranza, ovvero alla disalie- nazione. Marx umanizza la filosofia e
umanizza la storia. Allora Massolo può concludere con decisione: Il
rovesciamento che Marx opera del rapporto alienazione-lavoro,
rovesciamento che ha il suo teoretico e storico fondamento nella cri-
tica al concetto hegeliano di lavoro e perciò nella critica alla
divisione di esso, impegna la filosofia che si fa cosciente della propria
origine e della sua radice che è il lavoro, a non cercare la propria
giustificazione nel mondo dell’estraneazione che è per essa il mondo dei
massimi pro- blemi, ma a distruggere questo mondo, nel quale è l’altro di
sé, mondo che non è il suo mondo e del quale non ha bisogno, perché esso
non è il suo fondamento. Il percorso del pensiero maturo di M. è qui
già delineato con precisione: confrontandosi con Marx, riportare lo
storicismo a nutrirsi della lezione di Marx, integrandola però con i
vettori di quell’esi- stenzialismo che pur è stato un ‘raddrizzamento’
antropologico e una re- staurazione di una corretta concezione del tempo.
Si pensi ad Heidegger. M. imposta il lavoro sul suo Marx,
distanziandolo da Feuerbach e dalla sua stessa interpretazione di Hegel
(un Hegel antro- pologico, appunto), riportandolo verso Hegel e la sua
visione dialettica e real-razionalistica della realtà, non teologica
bensì storicistica del mondo, e un Hegel che sta al centro del Capitale e
della sua riflessione (metodo- logica e contenutistica) sulla forma
attuale del divenire storico. Rispetto a Hegel, però, Marx fa un passo
ulteriore: supera la fenomenologia (che è ancora lettura teoretica) e reclama
la «realtà rivoluzionaria», un mutamen- to prassico, storico;
storico-economico, anzi, poiché la storia è ‘sorretta’ dall’economia.
Così è il lavoro a stare al centro di questo programma e di rilettura di
Hegel e di interpretazione di Marx. Se Hegel legge, però, il lavoro
ancora ‘in assoluto’, sarà Marx a collegarlo storicamente alla divi-
sione del lavoro, ai conflitti sociali, alle prassi rivoluzionarie. Attraverso
le Ricerche sulla logica hegeliana e altri saggi (poi ripubblicato come
Logica hegeliana e filosofia contemporanea con altre aggiunte), si arriva a La
storia della filosofia come problema e altri saggi, e poi all’ importante
Frammento etico-politico. M., Logica hegeliana e filosofia contemporanea. Bene
Sichirollo presentava l’orizzonte del lavoro teorico maturo di M. nella
Premessa alla seconda edizione di La storia della filosofia come problema: lì è
la filosofia e la storia da Hegel a Marx ad essere protagonista, e
contrassegna la stagione della coscienza filosofica nel suo
momento più maturo ed ultimo: il passaggio dal rapporto dialettico al
rapporto storico, dal- la filosofia come speculazione e identità alla
filosofia come storia e differenza, alla filosofia che si fa storica, e
sa la propria genesi dalla non-filosofia-ideologia.” Massolo
stesso enunciava l’impianto complessivo di quella sua ricerca, che
parlando di storia della filosofia, in realtà, parlava della «filosofia storica,
poiché quella «mette in crisi» questa, le impone di ripensarsi oltre la
«sua pretesa di universalità» e le impone un circolo storico. Qui
essa si fa contraddizione a se stessa: verità e tempo, insieme; verità
nel tempo. Come lucidamente comprendeva Hegel, che risolve tale
contraddizio- ne nella «determinazione dell’Idea nel suo concetto
logico», ma per diversi gradi, come scrive lui stesso. Ogni verità
filosofica è verità di e per queltempo che la produce, ma -
retrospettivamente — risulta sempre radicalmente storica. Ma Hegel sottrae il
suo sistema a questo principio e fa della sua filosofia il sapere
assoluto. E non solo: è l’autocoscienza che supera la storicità e si
ripropone - come filosofia e filosofia della filosofia - come Assoluto.
Allora gli apporti della sociologia correggono questo errore: riportano
nel relativi- smo storico tutti i sistemi filosofici, anche quello
hegeliano, mostrandone la «condizionatezza». Condizionatezza che è
storicità, è dialogo col tempo, col proprio tempo, e con un mondo che non
è tanto coscienza/autocoscienza quanto socialità, vita sociale dalla
quale dipende e sulla quale agisce. Il filo- sofo stesso è sempre «uomo
della città». Sì, nel suo pensiero «il concetto è il sistema», ma il suo
«dialogo» con la città sta prima e dopo quel «concetto». La storia della
filosofia delinea uno storicismo radicale, dialettico, aper- to, in cui
il gioco tra saperi (filosofia in primis) e forme sociali si fa deter-
minante e che non è mai disponibile a priori. La stessa storia del
pensiero «non si costruisce da sé, anzi risulta
dall’assoluta storicizzazione che di volta in volta la riflessione
filosofica compie, facendosi in tal modo logica e pensabilità delle di-
verse epoche, nelle quali di volta in volta debbono considerarsi con-
cluse ed esaurite le possibilità esistenziali dell’uomo. Ritornando sul
tema (La storia della filosofia e il suo
significato) M. difende lo storicismo dal nihilismo, si oppone al suo
obiettivo [La storia della filosofia come problema, Vallecchi, Firenze, di
catastrofe del pensiero occidentale, e lo fa valorizzando il «rapporto
vivente» che lega le filosofie al tempo storico-sociale e le rende sue
fun- zioni esemplari e rivelative. Dalla Grecia a noi centrale resta il
messaggio di un pensiero che si pensa «lungo il sentiero degli uomini».
Già per Hegel «la filosofia sorge dalla polis», dalla libera cittadinanza e
dall’incontro degli uomini, nello «spirito etico» e nel conflitto tragico
che la polis viene a istituire. La filosofia porta i segni di quelle origini, e
li porta nel suo farsi «lo sforzo di sapere che cosa è lo spirito», di
fissare quel complesso traguardo condensandolo nel concetto. In realtà,
però, la filosofia è storia, è epoca, è tempo della polis. Dopo Hegel è
Marx a illuminare la dialetti- ca delle forme, riportandole al lavoro
concreto e lesgendole nella matrice dell’economico, posto come «leva»
delle dinamiche sociali e fattore-chiave (ma non esclusivo: c'è anche
l’ethos determinante per la filosofia e, quindi, per il «contesto»
storico) della polis. Ed è il Marx di Per la critica dell’eco- nomia
politica, con la sua dialettica tra astratto e concreto, ad essa posto
come guida. Lì è, sì, il circolo qualità/quantità a rivelarsi decisivo, ma
lo è anche — e ancor di più - la contraddizione, non una contraddizione
che da logica si è fatta storica e sociale, e proprio perché la storia è
fatta dalle società e dal brulichio delle loro forme. La
filosofia è dialogo, e dialogo con la città e nella città. Tra logos e comunità
corre un rapporto simbiotico, se pure fatto di differenze e oppo-
sizioni. Ed «è la comunità stessa che deve decidere come sola misura
della verità. Ma la comunità non è una cosa, ma un insieme di individui,
cia- scuno dei quali è a sua volta un possibile criterio e misura della
verità», ma non sempre e necessariamente. Può anche assumere il dialogo
come forma-di-vita e come forma del logos e farsi così soggetto-nella
comunità, ad essa saldandosi e promuovendone, con gli altri, le stesse
possibilità. Già Socrate aveva posto la sua filosofia in questa
condizione, poi il pensiero moderno l’ha riscoperta. E oggi si impone
come regola, ma regola d’azio- ne. Per noi quella «coscienza comune» non
è un dato ma un compito: Ciò che sinora era stato il grande presupposto,
può oggi semmai essere posto e creduto come compito»?. Allora
la filosofia è politica, è politicità concettualizzata e impegno eti-
co-sociale, poiché tra politica e polis corre un nesso intimamente
efficace, che si sviluppa in tensione tra pensiero e polis o in loro
integrazione, rico- noscendo - però - il loro intimo legame dialettico, e
storico. Il filosofo sa di stare-nella-storia e che «l’essere è ora la
storia stessa», nella quale il filo- sofo introduce la «finalità
universale», il compito e il traguardo da pensare e volere sempre nella
«città-storia». E da valere in funzione dell’uomo di cui e per cui nasce
la stessa filosofia. Se pure per un uomo che, anche oggi e sempre di più,
sa di essere comunità. È poi nel Frammento etico-politico che lo
storicismo engagé di M. riesce a rispecchiarsi più com- piutamente. Lì la
filosofia, condotta ormai oltre Hegel, se pure attraverso lo stesso Hegel,
posta in luce nel proprio «spettro» profondo da Marx, può dispiegarsi
come radicale storicismo. Di uno storicismo della polis e di una polis di
cui si sottolinea come centrale la lotta di classe. È il materialismo
storico che dispiega al massimo questo storicismo antispeculativo e non
relativistico, uno storicismo degli uomini, per gli uomini e che antropologizza
la storia attraverso il loro operari rivoluzionario. Solo che ciò im-
plica una «coscienza di classe» che non è spontanea, bensì è e va
costruita e si costruisce sulla «coscienza infelice» dell’uomo, dell’uomo
storico e di quello contemporaneo in particolare. Il disegno di M. è
compiuto: fi- losofia e storia si congiungono, storia e economia/ethos si
fondono, la polis è il loro organismo vivente, in quella polis noi
pensiamo e agiamo, oggi la filosofia si sa come politica e in vista di
una polis-comunità fondata a sua volta sulla non-alienazione. Che è,
però, concretamente, politicamente (con Marx) tutta da costruire. Il
quadro è energico e compatto, sorretto da un suo «principio speranza» che
è quello dell’emancipazione. A riconferma del suo marxismo emancipativo va
riletto con preci- sione proprio l’ultimo testo di M.: «Entiusserung» e
«Entfremdung» nella Fenomenologia dello Spirito, apparso su «aut-aut». È
un testo che si colloca allo sbocco di tutta una rilettura di Hegel. Una
lettura sì epocale, ma che di quel pensiero coglie più integralmente la
problematicità e la ricchezza, ma anche le interne tensioni e la
articolazione teoretica più aperta (e più antropologica) rispetto allo
Hegel «del Sistema» (che si po- ne nell’ottica, sempre e comunque,
dell’Idea). L’epocalità va fatta risalire a Dilthey e al suo studio del
1904 e alle varie interpretazioni che esso ha, via via, prodotto, fino a
Hyppolite, fino a Kojève, fino a Lukács, passando anche per NEGRI (si veda) Negri
e VOLPE (si veda), approdando a una fitta letteratura europea tipica. È
il primo Hegel che va studiato per capirne sì le radici, ma soprattutto
le potenzialità molte e complesse. Soprattutto, ancora, la sua vocazione
antropologica: descrittiva e inter- pretativa della condizione umana
(quasi-esistenzialistica) e della forma che assume nella coscienza, se
riletta nella sua frontiera fenomenologica, cioè dell’apparire delle sue
«forme» trascendentali. Allora saranno, anche per M., le «prime ricerche»
di Hegel a farsi interessanti, anzi deter- minanti. Ad essere più
squisitamente filosofiche, perché più storiche, ri- spetto allo
Hegel-del-sistema, che assegna il primato alla speculazione e alla sua
assoluta aseità. Qui no, è l'epoca, il tempo stesso e l’uomo di quel
tempo medesimo che parla, e parla in presa diretta. Colto nel suo trava-
glio spirituale, posto da coscienza/storia/spirito/città (per dirla in
termi- ni massoliani) e contrassegnato dalla contraddizione che si fa coscienza
e coscienza vissuta dell’alienazione e della sua rimozione/superamento. M.
ancora si domanda: Come bisogna leggere Hegel? Fissa sì la dialettica di
essere/nulla/divenire come centrale, ma legandola al concreto pensiero
del filosofo che ben distingue, pur intrecciandole, Alienazione e
Estraneazione. Entfremdung è condizione della vita storica, della stessa
vita spirituale, è l’atto costitutivo della nostra stes- sa umanità.
L'uomo è in quanto si oggettiva e crea a se stesso un mondo. Lì, però, si
annida anche l’Entàusserung, che è esser-altro-da-sé, riduzio- ne del sé
ad altro, essere dominati dai fattori storico-sociali. E questa è la
condizione della coscienza storicamente determinata, epocalmente storica, anche
se di una storia che coinvolge tutto l’assetto delle civiltà. Entiusserung è
assolutamente altro da Entfremdung, anzi ne è l'opposto, è la differenza
storica che contrassegna l’uomo così come è divenuto nella storia stessa,
che pur resta sorretta dalla legge dell’Estra- neazione. L'Alienazione è
«contingenza storica» che può essere superata. La stessa dialettica
servo/padrone si fa, qui, fondante e in senso esistenziale e genetico,
sottolinea. Da qui M. deduce due percorsi di indagine. Uno dentro Hegel,
che mostri la funzione sistematica della Fenomenologia dello Spirito e il
riconoscimento del suo ‘punto di crisi’, che la separa dal sistema. Nel
gioco delle figure dell’opera sarà quella dello Spirito estraneo a se
stesso che va valorizzata, come decisiva e ricorrente nell’opera stessa.
La «ripetizione della coscienza lacerata» si di- lata nel percorso
storico e si attua sotto varie forme. La vita spirituale, per Hegel,
resta duplicazione, conflitto, rischio di ‘disgregazione della coscienza
stessa. Ma seguita, come un’ombra, dal bisogno, attesa, speranza, volontà
della ricomposizione nell’«essenza calma delle cose». Negatività e
assoluto stanno intrecciati, ma questo è anche l’attesa di quel travaglio
del negativo. La stessa «intellezione» si fa «rappresenta- zione», della vuota
apparenza del mondo ma anche del suo riscatto, ri-composizione, salvezza
integrale del suo senso. Sotto un altro aspetto quel saggio di M. si nutre
di, e apre a, una filosofa dell’emancipazione che vede l’alienazione come
condizione sto- rica, storicamente rimuovibile, attraverso quel riscatto
della polis, che riesca a farsi sempre di più città degli uomini e per
gli uomini, come già ci ha indicato l’erede eretico di Hegel, Marx, col
suo materialismo storico. Il materialismo storico è oggi la vera
filosofia dell’emancipazione, che eredita il nocciolo duro della riflessione
hegeliana, la storicizza e fa della storia il regno non della necessità
bensì della libertà. Anzi, della liberazione. E lo stesso M. fissa questo
traguardo proprio a conclu- sione di quel saggio: La coscienza che
sorge dall’azione rivoluzionaria sarà una coscienza che non incontrerà
più l'oggetto come un'entità estranea (ein Fremdes). Un mondo nuovo sorge
come sua Entiusserung. Il saggio su Entfremdung e Entiusserung conclude là dove
si apre lo spazio di quello storicismo attivo e emancipativo descritto
proprio nel Frammento etico-politico, allargando meglio la vista sulla
tensione antro- pologica di quello storicismo e la lettura raffinata (non
scolastica, non-riduttiva, non-oggettivistica) e aperta del materialismo
storico, visto come prassi rivoluzionaria di e per un uomo-della-città,
ma anche di e per una città-dell’-uomo. Per molti aspetti possiamo
dire che siamo davanti a uno storicismo d’epoca, con questo elaborato da
M.. Uno storicismo neostoricista, postmetafisico, critico, antropologico,
emancipativo. Anche uno storici- smo incardinato sul nesso Hegel-Marx, in
cui è però Marx a illuminare i connotati attuali e critici di Hegel. E un
Marx che non si fa ‘tribunale’ della filosofia, ma metodo per pensarla,
nella sua attualità e nella sua storia. Uno storicismo critico e antropologico,
ma che proprio — ed è il suo punto di originalità e di onore - nella
città (polis) trova l’asse portante della propria teorizzazione,
sottolineando l’aspetto sociale e politico della storia stessa e quindi
la lettura dialettica dei condizionamenti e supera- menti che ogni
filosofia compie in relazione alla sua città. Per il presente/ futuro
solo questo tipo di storicismo potrà dar corpo a filosofie critiche che
sull’emancipazione vengono a trovare la propria legittimazione e il
proprio compito. Tale aspetto complesso, sfumato, problematico ma
anche attuale e pre- gnante, carico di futuro, dello storicismo di
Massolo è stato più volte sot- tolineato dai suoi interpreti, da Sichirollo
a Salvucci, già ricordati, agli altri che in anni anche più recenti hanno
ripensato la speculazione massoliana nel suo imprinting e nella sua
densità storica e teorica. Si pensi al volume su Il Filosofo e la città e
ai richiami ancora di Salvucci alla «forte attualità» di quel pensiero,
proprio per il vero e forte umanesimo che lo caratterizza e che è il
frutto di un incrocio tra dialogo/città/storia che M. ha teorizzato con
vivacità e precisione. Per questo Massolo, anche nel presente
postmoderno, in questa età di decentramento, pluralizzazione, di
a-teleologismo, può fungere da significativo orientatore. Anche Burgio,
nella stessa raccolta di studi, parla di M. e il nostro interesse per la
storia, riflettendo proprio su quello storicismo mas- soliano della
maturità e sul suo statuto teorico. La storia per M. non è
«condizionatezza», è possibilità, ma secondo un senso «posto da noi» e
costruito nel tempo nella e per la città. Il vettore che guida tale
storicismo è quello di una comunità politica che si impegni a vivere
valori e fini col- lettivi, e a realizzarli insieme. Cazzaniga in
Individuo e mondo moderno sottolinea ancora l’attualità di M.
storicista. Lo chiama il filosofo della città e lo vede come
attento interprete e erede di un marxismo dell’emancipazione, da realizzare
dialetticamente nella città. Anche Sichirollo e Losurdo si attestano
sulle stesse tematiche, rimandandoci un'immagine di M. sì ‘d’epoca’, ma ancora
tutta attuale, per la vocazione politico-emancipativa e per l'identità
antropologico-sociale della sua filosofia, che si delinea come uno
storicismo molto avanzato, privato di ogni residuo metafisico e che si lega in
modo squisitamente dialettico a quel nesso storia/prassi che è un po” la
‘croce’ della filosofia moderna e contemporanea e l’osso di seppia su cui
si sono esercitati, ma anche se- parati e contrapposti, i vari
storicismi. Qui, in quello di Massolo, il nesso è di problema e di
equilibrio, è aperto e sottile, ma posto come il nucleo costante da cui
emerge e per cui emerge lo stesso filosofare. Saldando così il pensiero filosofico
alla città, che è il luogo e il simbolo di questo intrec- cio, ma anche
lo spazio in cui l’uomo può e deve realizzare se stesso. Bodei, M., Aut Aut,
Badaloni, Ricordo di M. Giornale Critico della Filosofia Italiana, Burgio
(cur.), M., Quattroventi, Urbino, Domenico, Puglisi (cur.), Il filosofo e la
città. Studi su M., Marsilio, Venezia, Farulli, L'engagement de la philosophie
selon A. M., Revue de Métaphysique et de Morale, Landucci, M., Belfagor, M.,
Storicità della metafisica, Le Monnier, Firenze, Fichte e la filosofia,
Sansoni, Firenze, Introduzione all'analitica kantiana, Sansoni, Firenze, Il
primo Schelling, Sansoni, Firenze, Ricerche sulla logica hegeliana e altri
saggi, Marzocco, Firenze, La storia della filosofia come problema e altri
saggi, Vallecchi, Firenze, Logica hegeliana e filosofia contemporanea e altri
saggi, Giunti-Marzocco, Firenze, Della propedeutica filosofica e altre pagine
sparse, Montefeltro, Urbino, Omaggio a M., Studi urbinati, Ricci Garotti,
Heidegger contro Hegel, Argalia, Urbino, Salvucci, Presentazione a M., Logica
hegeliana e filosofia con- temporanea, Situazione e filosofia in M., in
Omaggio a M., Sichirollo (cur.), Studi in onore di M., Studi Urbinati, Spinella,
recensione a La storia della filosofia come problema, Rinascita, Vacca,
recensione a La storia della filosofia come problema, Paese Sera-Libri, Valentini,
recensione a Frammento etico-politico, Società. Arturo Massolo. Massolo.
Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile, implicatura
idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massolo” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Mastrofini: l’implicatura conversazionale e l’implicatura
verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi Speranza pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Monte Compatri). Filosofo italiano.
Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into
what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a
philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a
PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about
Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume
“Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il
danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione
ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro dato a
prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti
lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica. In precedenza aveva scritto un'opera di
economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa
all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la
riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio
Romano ove insegna. Insegna a Frascatii.
Nel pieno della crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne
nominato professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si
trasfere definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della
"Nuova Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abita e muore, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- filosofo assai più
grande che celebrato fissa le incerte leggi dei verbi investiga felicemente con
l’uso della ragione i misteri della scienza divina S.P.Q.R.» “Dissertazione
filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta erosa” (Roma); “Ritratti
poetici, storici, critici dei personaggi più famosi nell'antico e nuovo
Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle cose
memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le
Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma,
e dell'impero e ROMOLO, generato da MARTE, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza
confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il
fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non
potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una
lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, inboccò li sue
mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un
regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que'
giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata
Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo
da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni cento
due a!l'incircd. Ma forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento in lungo
di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo zio di Vesta
Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può sign'ficare
capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore fosse alquanto
migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni abitazione fosse
capanna o no . av. Cr av. R. 26. na ENEA dopo finita la guerra con Turno
foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie . Ascanio , ossia
Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu
capitale del regno per trecento anni Ani. dik . 3.av. Cr. essi
viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui figlia Romolo
era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia Imulio suo zio
dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume e de’monti, vicino
a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt). Ma l'unoe l'altro
essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual de’due le fondasse e
vi dominasse . Per tanto REMO andossene al monte Aventino, el altro al Palatino.
Colui pel primo vide VI avoitoj: posteriormente videne l'altro, ma XII: e vincitore
negli augurji nal Area fin quì fatto un'ABOZZO di citta, piuttosto che una città;
mancandole gli abitanti. Ma siccome riina neale vicino un bosco;eg!
2feceunasilo; edisubia tovisi adund moltitudine prodigiosa di uomini, Latini, e
Toscani pastori , eGo ancotras marini, sia de ' Frigj venuti con ENEA, sia degl’Arcadi
con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti, ne trasse un corpo solo; ed e per
lui creato IL POPOLO ROMANO. Vi quel popolo di uomini e cosa di una sola
generazione. Si chiesero dunque de’matrimoni da'confinanti; e sccome non si
otteneano, sono con la forza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri, le
vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente ROMOLO inalza Roma che diverrebbeca.
C o . za una città pieno di speranza, che guerriera diverrebbe; tanto
ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e prede. Sembra che
in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che deridendo Remo le
angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, e trucidato; è dubbio se
per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima delle vittime; e CONSACrA
COL SANGUE SUO e fortificazioni della nuova città . Av. Cr. R.2 so 52 7> ro
dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+) Spoglie opine eran quelle
che un comandante toglie all'imperadore o supremo comandante nemico uccidendolo
di sua mano. Queste sono così rare; che se ne contano appena tre. Le prime le
riporta Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio Cosso contro di Tolunnio.
E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi e detto Feretrie o perchè a
lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o perchè ferisce col fulmine; o
perchè nell'acquistare le spoglie opime un capitano ferisce l'altro con la
spada. E questo un bel mantenere le promesse e intendere di dare alla donzella
gli scudi perchè gli scudi le vibravano opprimendola . Questo metodo di
mantenere le promesse , ras somiglia a quello usato dalla fanciulla per
consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o cone noi abbiamo tradotto
, senza malizia, perchè non chiedeva danaro , ma gli scudi o li braccialetti.
Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi addita, secondo
Valerio Massimo e figliuola di Spur.Tarpejo il quale a tempi di Romolo presede
alla fortezza: c coleiera uscita per prenderc acqua pe’santi riti,
tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentire spinti e
fugati: la città di Cenina fu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta
con le sue mani a Giove Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte
furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone
la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre, gli scudi
forse o li braccialetti; coloro e per man tenere a leila promessa e per
vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i
nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che ROMOLO prega
Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ha origine il tempio
, e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome s'intrammisero ad essi
che infierivano. Così fu la pace riordinata, e stabilita l'alleanza con Fazio.
Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen passarono alla nuova città,
consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni perdote. Accresciute in poco
tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma alla Repubblica. E la
gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire
guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori, i quali si chiamano pari
arringando dinanzi la città presso la palude della capra, e di repente levato
di vista. Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la ferocia
dell'indole di lui. Dopo la morte di ROMOLO il trono resta privo di sovrano per
un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori di cinque in cinque giorni. Quello
spazio e chiamato interregno. Il magistrato a forma d'interregno ha luogo
ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli occupati in lontane azioni non
potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti a depor. 14
LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che inemiciab 7.av. Cr. diR.
38. l'autorità, ma per la eta S.nuto. Ordinate in tal modo le cose, egli SI
CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del sole
presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale poco
appresso diè credito GIULIO Proculo coll'offermare; che ROMOLO si era a lui
dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva che
per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo.
Con tal mezo Roma conquisterebbe le genti. E' natura del Verbo di esprimere l'afermazione
e la negazione. E siccome Essere e non essere esprimono appunto per se stessi
l'affermazione e la negazione; ne seguita che il verbo Essere preso nudamente,
o preceduto dalla particella “non”, è verbo per natura e per eccellenza.
Comunemente la voce essere è nota col nome di verbo sostantivo, perchè esprime
l'esistere, o L’ESSERE di sostanza. Le qualità che si affermano o negano
possono aversi distinte o no, dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione
o negazione si addita col verbo essere, come si è detto. Ma nel secondo caso
risulta un nuovo ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è
riunita l'affermazione o negazione colle qualità che si affermano o negano:
tali sono amare, godere, odiare, piangere et cetera, che significano essere
nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di
verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma
alla dolcezza dell’eloquenza, e della Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e
nega dise stesso, che si chi a ma persona prima, o di altri a cui parla, che si
chiama persona seconda, o di soggetto a cui non si parla, e si chiama persona
terza. Per altro queste persone possono essere una, o più, cioè possono
riguardarsi in singolare, duale, o plurale. E 'naturale che tanto nella nostra
quanto nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di finire il verbo
diversamente secondo la diversità delle persone,e del numero. E quindi abbiamo
amo ami ama amiamo amate amano. E potendo il discorso riguardare cose presenti,
cose cominciate e non finite, cose passate, più che passate, e future; fubene varia.
Anzi siccome le proprietà si affermano o negano assolutamente, o sotto certi
rapporti e condizioni. Cosi li verbi divennero parole terminate diversamente
secondo la persona, il numero, i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni
assolute o relative. S. 1. re il verbo secondo la persona, il numero, e i
tempi. a I 6. Questi modisono cinque: Indicativo, Imperativo,
Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo dimostra assolutamente che una
cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro
ama amò amerà. le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichiarano che Pietro
amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando, preghiera, avviso,
consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol
esprimere il comando, preghiera et cetera, e l'azion e che deve farsi. Tale
sarebbe ama tu, amerai til, ameremo noi et cetera. Per tanto si esprime
l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera et cetera;
laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio
di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora
desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi, io amerei, O avessi amato, lo
avreiamato et cetera. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si
vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le
particole sebbene, quantunque, conciossiacosache et cetera. Tále è quel di PETRARCA
Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel di BOCCACCIO. .6.7.n.2.
per l'amore di Dio, come chè il fatto sia et cetera. Tra i Greci l'Ottativo ha
le sue desinenze tutte diverse dal congiuntivo: ma nella lingua latina e nella
nostra L’OTTATIVO ADOPERA LE STESSE VOCI DEL CONGIUNTIVO, se ben si rifletta. Il
verbo si dice di modo finito o determinato finchè si concepisce indicativo, imperativo,
ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente qualche proprietà
senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, et cetera, ed allora
si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La varia
desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi si
chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o
diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E
siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e
l'infinito puo terminare in -are, in -ere -- lungo e breve --, ed in -ire; cosi
III sono le conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are
si dicono della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli
terminati in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve,
come temère,cadère, giacère, et cetera, e come credere, discendere, volgere, ecc..
I latini di queste due desinenze ne faceano II CONGIUGAZIONI diverse, come
docère e legere. Nè mancato è pur tra gl'Italiani chi abbia concepite diverse
le conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la
pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri di vari, parlando
regolarmente; e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non
la forma del verbo; così piùra gionevoli sono quelli che rinniscono in una
conjugazione gl'infiniti in -ere, lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i
verbi terminati in -ire, come sentire, uscire ecc. Chi si propone per
iscopo di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le
varie desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle
varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per
vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta
l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria
e di Prospetto generale; ed esporremo in essa come le conjugazioni latine sian si
trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia; la dipendenza comune de' nostri
verbi dall'infinito, e per ogni conjugazione il prospetto di qualche verbo che
serve di norma in tutti i simili e regolari -- come del verbo “amare” per la
prima, de'verbi “temere” e “credere” per la seconda, e de’ 'verbi “sentire” ed “aborrire”
per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come principio di
ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede, esprimendo la
sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E ciò tanto più
dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari”, non possono
formarsi le tre conjugazioni divisate degl’altri verbi. Dato cosi principio e
norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda parte ed
esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali
cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali
servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e
distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella
seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'IDIOTISMI
e gl’errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi
talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte
sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle
note. GLI ERRORI SON SEMPRE ERRORI. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel
parlare e nello scrivere familiare, non però nelle belle scritture, sebbene
talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon
per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per
compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il
gerundio. Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio
perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto
dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono “amante” ed
“amato”. Tra’Latini si aveano participii presenti, passati, e future: “amans”,
“amatus” “amatVRVS” (cf. IMPLICATVRVM). Presso
noi, non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente,
temuto. Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro
ecc, ma non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato e
descritto per lo più nella formazione de' tempi PIU CHE passati: laddove il
participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può
essere messo informa di aggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù
possente, e la virtù a2 3 . Il participio si riguarda anzi come
adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee,
quando si risolva, significare come i participj latini: come se dicesi canto
possente a diletta re: schiere seguenti le altre ecc. E ciò rileva conoscere
perchè non di raro si anno gl’esempj anzi di adjettivi che di participi , e noi
pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni rispetto. Gerundio tra
noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni
di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel che differisce dal
participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali esempj risulta che
il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e delle altre in -endo.
L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora
de'participj presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le congiugazioni latine
siansi trasformate e si trasformina nelle conjugazioni presenti d'Italia. TUTTE
LE VOCALI LATINE, FINALI DI PAROLE INTERE, NE SEGUITE DA CONSONANTI, SI
CONSERVANO. Così, in AMO ed AMARE, si conserva l'O di amo, e l'E di amare. Tutte
le consonanti finali si tralasciano o mutano. Le consonanti sono M, S, T, NT, ST.
Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T amant amano, amarunt
amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent amassero: sebbe ne in
questo e simili casi può sempre rimanere la regola di mutare il solo T in o
dicendosi ancora “amassono”. Vedi il prospetto di amare.Tutti gli “U” finali seguiti
da M o da S si cambiano in 0: POSSVM > POSSO. amamus amiamo: ma se gli U sono
seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma nei futuri in AN.
Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno. Tutti gli A ovvero gli E
precedenti immediatamente l'S finale SI MUTANO IN “I”: amas > ami; times
temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas tu legghi. Il che basta a
conservare la regola, ma ora si dice anche “tu tema”, e “tu legga”. Tutti gli
E, ogl'I precedent gli A, oppure gli O finali, si lasciano affatto. Timea temo,
timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta, 4 è possente: il fuoco
bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. Non dee sperar di comprendere il trattato che
qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura.
sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. Tutti gl'I precedenti gli
S finali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis
leggi: a ma bisamerai, ed in plurale si mutano in E: legitis leggele. Tutti gl'I
seguiti dal solo T finale subiscono un cambiamento secondo i tempi. Ne'presenti
si cambiano in E, e ne’ futuri in A accentatolegiilegge, creditcrede: amabit ameră,
timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. Tutti i B
avantil'afinalene gl'imperfettisi cambiano in “V” consonante, ed avanti l'O, l'I,o
l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si
cambiano in R. Quindi si trae amerò da “amabo”, ma da belabo si forma belerò
senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del verbo, e non della
formazione del futuro. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis
est amamo reg. 3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera. Dalle regole
3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono. Ora dee
sapersi che appunto tra gl’antichi si trova non poche volte “so” per “sono” in
prima persona. B. Jacop. Poes. Spirit. Venez. 1617. lib. 4. cant. 28. stanz. 12. sei amamus es еè sumus somo
este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i.
Vedo reg.4. vedi reg. 4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg.
Dicasi altrettanto di Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e
2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate
reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo
siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho
peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes. A
pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda
persona es fu trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi
dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come
Petrarca, Boccacci, Albertano, ed altri: ALBERTAN. ediz. di Fir. cap.23. Selegaloa moglie? non domandare di
scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti. E più sotto: e sìselenulo
di tanto amarla moglie. PETRARC. canz. 26. v. 77. ediz. Comminiana Spirto
beato, quale 6 Se, quando altrui fai tale? e altrove più e più volte. Il Decamerone
secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne è pieno. Senza questa origine
che facono scerecheseper seconda persona è voce interae non accorciata, non
s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non l'apostrofassero. Tutta via per distinguerla
a prima vista da se pronome, e condizionale, convenne in qualche modo
contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e servendo questo a notare le
voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come scorciata, quando non era:
e perchè tutte le seconde persone singolari presenti dell'indicativo terminano
in I Reg. 4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel verbo sostantivo avrebbe
dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si
crede questa la voce intera di tal persona. E cid supposto quando si scrive se
per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno scorcio di Signor non è giovato
Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e altrove spessissimo. E GUIDO
Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so
avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj ancora nelle lettere di S. CATERINA,
in Fr. Gi.ROLAMO da Siena nel1. Tom. delle delizie degli eruditi Toscani, ed in
altri: vedi vocab. di S.CATER. alla voce essere: ma so trovasi parimente
persona del verbo sapere, nata da sapio > sapo > sao > so: ovvero da
scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbe la
seconda. Ma torniamo all'intento: siccomeso era voce ancora del verbo sapere, e
SICCOME IL SAPER VERO E DI TANTO POSTERIORE ALL’ESSERE. Così per togliere ogni
equivoco, si volle piuttosto ridurre il “so” del verbo essere in sono, che
lasciarlo indistinto col “so” del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo
verbo italiano “essere” ha la voce “sono” per esprimere la prima singolare e la
terza plurale, sappia che questo è stato UN MALE DI ORIGINE, voglio dire è
provenuto dalla FIGLIOLANZA della Italiana dalla lingua latina, in forza delle
leggi universali, che per tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare
l'una nell'altra . s e i : nè chi procede con tal veduta può
riprendersi: ma in origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe
dovuto accentarsi. sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap. 51. Dal savio uomo eeda
temere lo nimico. Or cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione
e, come pure dal pronome ei solito ad apostofrarsi, e dalla congiunzione e
seguita dall'articolo plurale ili quali due e iriunitisi rende anopere: ma col tempo,
la varietà dell'apostrofe e dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza
l’e del verbo dagli e di altro valore: vedi esseren.Trovasi ancora fra gl’antichi
este per è ma rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM. ediz. Fir.1729. in fine
alla voce este; finchè prevalsero le regole generali anzidette. Da “sumus”
uscirebbe sumo o somo, e non semo. Ma siccome tutte le prime persone plurali
dell'indicativo presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,”
come avemo, tememo, ecc.,così da “sumus” e tratto semo. Ovvero siccome tutte le
persone prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda
persona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere, quindi ne uscisemo e
poisiamo. Chi conosce gl’antichi sa quanto è familiare l'uso di “semo”. Ne
allego un esempio dalla vita nuova di ALIGHIERI: Per chè semo noi venuti a
queste donne? E Fra Jacop. lib. 1. sat, 5. Uomo pensa di che semo. Di che
fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole
generali, la seconda plurale sarebbe “estes”. Ma trasponendo l'savanti l'E come
nel singolare per uniformità maggiore con “sono”, “sei”, “siamo”. Sen'ebbe
sele, e questa appunto è la voce degl’antichi: si consulti il verbo essere not.
5. FINALMENTE SI AGGGIUNSE UN “I” PER DOLCEZZA (“se” > “sei”) o per
distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce
più propria di questa persona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali
mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza
persona si esprime con la voce “e”, che appunto RISPONDE all’ “EST” latino, lasciatene
le consonanti SECONDO LA REGOLA 2. ma gl’antichi, prima che la lingua si
modellasse in tutto, non di raro dis 7 Preferiti Imperfetti Amabam amabas
amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7. amava reg.2.7.
amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2. Temeva
&c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel di sentio
reg. 4. si ha sen leva com e era nelle origini prime, nelle quali, tutto
risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti DALLA
QUARTA DE’LATINI. Non è raro che “senteva” si oda anche ora tra' CONTADINI PIU
CORROTI CHE SONO GLI ULTIMI A CORREGGERSI. E finalmente fu detto sentiya
sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste regole e questi progressi
apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava
temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i gramatici si meravigliano,
per chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non
siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi che al cambiarsi
del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli antichi, nè si
aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per contornarli di
nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la
terminazione latina in M ; restavano amaba legeba ec; cosi mutato il “B” in “V”
non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto. Molto più che in
que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto come
siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo. Ttanto più che
non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'quali si compionoin o le
persone prime singolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni
riserbandone altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit. De Pontef. Ed Imperadori:
VITA DI CALIGOLA, lo PREGAVO ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure
leggiamo in Fr. Jacop. 1. 4.can. 38. La cagion del mal FUGGIVO. Cavalc. Epist. di
S. Girol. ad Eusloch. cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni
rimedio ed esser privato di ogni ajuto, GITTAVOMI a' piedi di Cristo &c....
iratoame medesimo erigido, solomi mettevo per li diserti, e dove io trovavo più
oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più
aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci. Morg. c. 3. 62. lo mi posavo
in queste selve strane. Da Timebam così pure si ebbe C. XI. 83. Tal ch'io
pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio, cugin, ch'i'sognavo al presente,
Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E
però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter. San. CATER.
di Sien. ediz. di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego &
c. e pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità pag. 92. desideravo divedervi: anzi
tal voce desideravo si legge molte volte inquelle lettere. Vita B. COLOMBIN. ediz.
di Roma pag.9. lo gode voé voi non mi lascia testare, e pag. 96. ad irviilveroio
andavo a posarmi; pag.167. 0 figliuoli, e fratelli miei io non meritavo di es
ser padre di tanta buona gente; pag. 174. E questa la compagnia che io dal e speravo,
e pag. 299. Pensavo che quanto è maggiore la soggezione e l'unità ; tanto si
vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n. 6. avere. Eram
Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg. 7. 2. Imperocchè ben è
facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente
l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche l'altro B: anzi parea troppo
ragionevole, perchè non si notasse tanto di variodi usi in parole medesime, e si
familiari. E' poi noto, che tutto il verbo “avere” si scrivea ne’ principi, e
si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l’ “H”” precedente: ed ora
per un progresso, non saprei quanto considerato, si tralascia ancora nelle vo
ci, che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora come siansi
trasformati gl'imperfetti de'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono da tutto ciò
comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di habco: seguiamoli
via via, che'non sarà inutile la ricerca Lasciato l'E di habeo reg. 4, e le
altre consonanti, e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era reg. 2.
Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. le voci come si traevano dal latino in ottima
forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras Era reg. 2. in eravamo, ed
eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B cambiato in V, come dunque
di vainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca la origine, nè fu,
che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri verbi, che usciva ,
nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c. Il peggio no in
quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu che si anche alle voci
era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza erano & c. Non dimeno
l'uso, quel , più che le semplicie naturali vamoederavale essere, n. 6. Ma
diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la maniera fetto di
avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era eramo erate, quantun
dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo
habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2.
habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo
reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2. b abbemo
abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la perdita dell'E nell’
“habeo.” Sia comunque, abbosi legge ancora in ALIGHIER, Infer. 25. E quanto io
l'ABBO ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI degl’antichi certamente
abbo provato; e più sotto: ripenso la seraa quello che iolo di abbo detto.E
nelle Vite de’ SS.PP.e diz. Man.Fir, 1731., nella VITA DI GIOSAFATTE ediz. Rom.,
e nelle Noyelle antiche Fir, 1572 l'uso di “ABBO” è comune . Abbi è rimaso nel
Congiuntivo. E 'poi noto, che gl’antichi usavano la seconda singolare presente
dell'Indicativo ancora nel Congiuntivo, come resta tuttora in molti verbi, Così
ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e cosi temi
può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza nell'uso
comune abbiamo; e siccome gl’antichi finivano le voci per tali persone in eino,
cosi non vi è dubbio che ne'principj si dicesse “ABBEMO,” quantunque negli
scritti forse non si trovi, per la rapidità di altri cambiamenti succeduti.
Certamente l'uso di scambiare tutti i B nell'imperfetto di “HABERE,” di buon
pra scorse in alcune, o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo
habi ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra’ poeti, e fu non meno
della prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra
gli’antichi. Avete rimane per ogni scrittura. Le altre tre voci presto furono
cambiate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo, oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo i quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'AJA; Franc. BARBERINI
edizion. Roman. pag.189. Non veggio ancor chi contento AJA il core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo, cioè per lohu. S'insinud tal cambiamento
nella seconda persona avi, é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus
habe habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più
sotto: ajo portato in core & c , ed altrove più volte: anzi usa “AJA” per
abbia:lib.1.sat. 12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'AJA umilitate nel
core. ALIGHIERI, Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è
la causa, per la quale ora ci troviamo con “hai”, seconda persona del presente
dell'Indicativo, senza che volgarmente se ne intenda la origine. Può notarsi
però che in forza della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio
i; e quindi seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi “haj”: e ciò sa rebbe
stato opportunissimo pe' giorni nostri, ne'quali vuolsi lasciare anche l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che “aj” è del
verbo, senza pericolo alcuno che si confondesse con l'articolo plurale “ai.” La
mutazione del doppio B in V ed in I doppio o lungo, al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessissimo in tal modo:e questa è la causa parimente, per
cui si dice veg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse
ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere.
Quindi 'Imperador Feder. Rim. ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo.
Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per “credo”,
quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant. Pucci nel suo
Centiloquio can. XI. terz. 27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano.
L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in ALIGHIERI
Inf. 27.53. si trovasi e'per siede; parchiaro che ambedue de rivino da sejo.
Allego un esempio di “trajamo”: BOCCACCIO: g.8. n.5. lo voglio che noi gli TRAJAMO
quelle brache del tutto: da ciò ben apparisce la origine di traggiamo &c.
12. Ridotto havi ad hai; dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V
consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið comparendo, era facile di
lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr.
Jacop., in Guid. Giud., in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac.
408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gl’antichi si
trova ancora crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo,
lraggiamo &c,enon dalla mutazione del D in G come si tiene, forse meno propriamente
dai Grammatici. Cosi Fr. Jac. lib. 5. c.3.12. secondo che io crejo: e nelleno
te vi si legge: crejo,creggio,credo, e lib. 5. can.25. 12. II E vejo li
sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei
seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a
pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di
dugento b2 12 e generalmente negl’antichi. Cost Albertan. al càp.
12. L'avar7 sempre ha e le mani di stesepertorre. ..ivi l'avaronon haesicura
vita. I Grammatici han creduto che quell 'E sia stato sopraggiunto all'ha per
genio della lingua, che non amava finire le parole in accento. Ma questo sarebbevero,
quando la parola originale della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendo
questa habet, habe, have. Hae dun que non èche have, toltone ”v per simiglianza
di quanto era accaduto in hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che
non di raro fra gl’antichi si legge dae, fae, slae per dà, fa, sta, come
leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono
aggiunti per la ragione medesima: ma egli è FALSO UGUALMENTE; perchè dai ruderi antichi della lingua può
concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire, faire, staire, come esiste
traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge naturalissimamente dae, fae,
stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima
Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infinito, n.2.E
quindi pure sono le voci dai, fai, stai, come trai, che altronde sono
inesplicabili. A dichiarare quanto dico sappiasi, che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.
20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4.
c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5. Ch'egli è il daenteeti il ricevitore:
e lib.7. c.9. II. Staendo in quest'altura dello mare: Vita S.Maria Mad. É
cosistaendola poverettasì per l'amore che gid ave v a con celto di Gesù Cristo,
si per la doglia ; cominciò a piangere. Parimente in Fr. Guitt. si legge più volte
faite alla pag. 36, e faie alla pag.54. E nel TESORETTO: ponelemente al beneche
faite per usaggio: e Franc. BARBERINO pag. 17. Faesselei di quel pregio degnare.
Nei GRADI di S. Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara, chel’idi faiteè
un aggiunto,e non più:ma faie, faesse, e le voci slaca, daia &c. ne'verbi
simili palesano il contrario: e Traire si legge in Fr. Guit. lett.2. pag.9, ma
traers spiega ugualmente la origine di trae, come fae sorgerebbe ancora da
faere, del quale fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E
di dae, fae, stae NON SONO AGGIUNTI, come si pensa, MA SONO NATURALI; ed ora
non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti. Tornando alle voci hai ed
hae, siccome in queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma
non riusci, di farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di
udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo
trovasi scritto arò, arai, arei, aresti' &c.come vedremo. Non prevalendo
pero quel tentativo, siri serbarono le voci avemo, avete, e talvolta aviamo,
aviate, aggiamo, aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto;
presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho, hai, ha.
La terza plurale divenne harno; perchè dall’ “habent” sifece haveno, haeno,
hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano, fano & c. per danno e fanno,
voci similissime nella origine, com me è chiaro: vedi S. III. 12. 15. Ma
passiamo ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli
presenti d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi comuni ad ambe le lingue, ma
terminati secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini
sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI, o il Ve. Per avere
dai perfetti latini l’italiano corrispondente, silasciil VI, o Ve in tutte
lepersone per quanto si può senza contradire alle regole generali del s. I.
Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi il solo V, non potendosi
togliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singolare
risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si
accentava: ma ora se la voce finisce in A, si muta in O accentato. La prima
plurale sarebbe amamo come nel presente, e quin di I'M si è raddoppiato. Del
resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in
Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti, scritte
con un semplice M : come tememo per tememmo. Altrettanto si osserva in Fazzo
degli Uber ti, nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi
Toscani, nella Cronica del Pitti, ed in altr’antichi; indizio che per tali vie
si passava dal latino all'italiano in questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle
sue Origini della Toscana favella osserva al cap. 6. che i Sanesi in tali
persone non davano asentire che un M , quasi pronunziando facemo, dicemo
&c, ed egli con pari ortografia scrisse tali voci. Ma Girolamo Gigli nel
suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol
dire un secolo dopo il Cittadini) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche
le regole generali del n. primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit)
ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono.
Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare, e
perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o, e si ebbe amaro
per altra terza persona plurale. I Grammatici han ereduto che amaro sia
precisamente una sincope di amarono, toltone il no. Á me però sembra che amaro
sia voce intera in sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa
è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora, e dirsi amàr per amaro,
laddove le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua,
come ora si trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda
come un incanto che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre
volte s e m 14 pre significhino lo stesso con quadrupla desinenza: amarono,
amaron, amaro, amàr. Ma l'incanto, se ben si consideri, non è che un caro
abbaglio di un animo, che al veder primo si appaga, stanco delle molestie di
riflettere. Imperocchè da amarono sitragge amaron, e qui cesserebbe la
troncatura: ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro,
desinenza ancor buona; si è creduto, che tal bontà risulti in forza di uno
scorcio: laddove amaro già era legittima desinenza in se stessa: e perchè tale,
ammettevasi; non perchè nata da amaron, levatone l'N. A parlar dunque
propriamente si hanno due desinenze, amaro, ed amarono, ed ognuna ammette uno
scorcio, ama rono porgendo amaron, ed amaro la voce amar, col vago incidente,
che se da amaron si spicca l'N finale; ci troviamo alla desinenza seconda, la
quale è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in se stessa; di qui nasce che
gli scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il
DAVANZATI ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono
assai più rare, spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE
la desinenza in aro è quasi la comune, laddove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. Ma proseguiamo l'esame de perfetti: e prima nella terza conjugazione.
Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene
udiro dall'audivere, come amaro dall'amavere. E'poi noto, che nelle origini
della lingua si disse in italiano anche “audire” finchè l' “au” si chiuse in “o”,
cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse “oro”, “tesoro” &c, e
se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus
debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti audi(vi)t udi
audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti
l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi regolarmente parlando
tutto l'UI o l'UE si muta in E semplice, avvertendo, che l'1 finale nella prima
persona dee conservarsi secondo i canoni generali debuisti Dovei deve, audiro
devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere
doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in
E(dovei) gravato di accento, quindi nella terza persona non potea non dirsi se
non dovè seguendo le regole ge Udii udirono dovemmo nerali, o “dovèt”,
trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per
istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit
PETRARC. Trionf. fam . c. 2. v. 119. Non fia Guidit la vedovellaardita, si è fatto
Giuditta, e come da Josafat, DANTE Infer. 10.v. 8.Quando da Josafat qui
torneranno, si è prodotto Giosafalte comunemente. Fattosi dovei, dovė, o davèt,
fecesi quindi per coerenza doveltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero
doppia desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e
temettero. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te
& c, che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjugazioni; così
talvolta si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che
trovasi fuggi, fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP. ediz. Man.tom.1.pag.20. fuggitte,e
nella pag.125 salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito, alla casa di una
vergine Cristiana o per rubare, o per altromalfare, salitte con certi ingegni
il tetto della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le
desinenze in ilte come salitle & c. furono modellate affatto a norma delle
altre in elle, cioè di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom.
1. delle Vit.deSS.PP. se in alcuni esemplarisi legge fuggitte, in altri, sihafuggelte:
allapag. 101 ediz. citat. Vi è fuggetti per fuggii: nella 62, uscite per uscì,
nella 71 irrigi delle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Pucci versificatore
famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per
senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre
pagine ed opere. Simile terminazione non potevaaver luogo nella prima
conjugazione, perchè l'amavit, secondol'uso di cavarne il volgare, cessadove è il
secondo a, dicendosi amo ,e non cessanell'I con farsentire un amavit: il che
direttamente gli avrebbe causato la uniformità, che'mai non ottenne: ora la
desinenza in illi ed etti & c.è del tutto abolita per le terze
conjugazioni: rimane ancora la cadenza in etti e dette, &c. per le seconde
conjugazioni; ma forse, almeno in più verbi,è men cara che nelle origini della
lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. E
giacchè consideriamo il rapporto fra le desinenze delle terze persone de’ preteriti
dell'indicativo, piacemi dilatare ancor più la serie delle riflessioni, picciole
sì, ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente la lingua, e suoi
movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit, debuit, audivit si tragge amò, dove,
udi, abolendoin tutto, quel vit finale: ma questa è piuttostola regola, che ora
predo, mina. Del resto quando la lingua pendeva incerta sul fissare le sue
desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla cadenza del. la
prima conjugazione, e tal altra a quella della seconda. E certo quell'amavit
ebbe talorauna desinenza come amao: di che produco un esempio luminoso di FR. Jacop.
lib. 2.can. 2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo
dell'amore: E questa è la causa, per la quale ora diciamo “amarono”,
lassaro no, e non “amorono”, lassorono & c. vuol dire questa è la causa,
per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un o. Tutte le terze
plurali nascono nel preterito con aggiungere alla terza singolare un rono, o un
semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo sentirono,
temèrono, crederono, sparsero, videro & c. Pardunque la original terza
persona quella de'contadini “amà,” “lassà”, & c. e quindi sen ebbe amarono, lassarono,
e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti antichi: Così
nelle Vite de’ Pontefici di PETRARCA visileggeandorono,
seccorono, e simili ordinariamente. Venturi traduttore di Dionigi di
Alicarnasso è pie no di tali cadenze. Forse a dire amarono, lassarono &c.vi
contribui pur LA DOLCEZZA per non avere insieme tre o finali amorono, lasso
rono & c. Nel modo poi che il vit era supplito da un o nella prima
conjugazione; lo fi pure nelle seconde e nelle terze: e quindi sono le voci
temeo, credeo, poteo, aprio, finio, udio, e simili, tanto frequenti ne gli
Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in
tutto: ma nelle altre conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso
moderato può riuscire utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosce le primizie
della lingua, meravigliasi che imo di poteo, lemeo, udio &c. fossero
comunissimi. I Grammatici dissero che l'o finale SI AGGUNSE PER LICENZA POETICA.
Ma cið non ispiega perchè voci di questo conio abbiansi frequentissime
ne'vecchi prosatori, come nelle Storie dei Villani, nel Davanzati, ed in altri.
Dir finalmente che l’o si accresceva per non finire in accento, era un luogo
comune, un parlar di abitudine, e nulla più. Si doveva avvertire, che quest'ori
ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre 16
Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la
Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna
virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom. 12 degli Scrittor.
Ital. Del MURATORI trovasi inserita la Memoria di Messer Lodovico di Buon Conto
Monaldesti su la coronazione del Petrarca: costui, che lavidediperse, cosìscrive:Poi
comparve lo Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio
(suo) na corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo
senatore & c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il
vit,e questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato, che presso alcuni
contadini appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà
,lassà,&c.per amò, lasciò come ora è laregola: Tocca al filologo accorto di
rintracciarne le provenienze:esse non sono che per lo scorcio naturale,che si
faceva della lingua parlata sotto questo cie lo da'nostri antenati.
teriti , e la uniformità medesima avrebbe fatto conoscere , che era un
supplemento del vil, risecato dalle voci latinecorrispondenti , o pure una
proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi dichiarato perchégliAn tichiusassero
temeo, udio,e simili,promiscuamente in ogni scrittura,
senzascrupolodiriprensioni. E'poitantomanifestochequell'O non si aggiungeva per
non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche alle prime
persone della terza conjugazione, leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15 udio per
udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto che
sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza
singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e
similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa
delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyava dallevoci corrispondenti
latine, finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare
ogni somiglianza nell'italiano,с 17 Passato poi Suasina , io udio &
c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si
legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio
direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io
uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto
moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag. 100 quando
io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio ,finio ,
lemeo & c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper
iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una
lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe
si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . Vit.
de S S . P P. inciampo e in una pietra,
e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani
male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag. 47 udie
una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho
pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito
in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora
ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci
è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis
sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain
sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .
dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate
nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde
in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or
come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è
la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le
minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle
trascurare quellaparitàdicadenza, e le voci sichiuseroin 0, in E, inI,ac
centandole finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli
Antichi senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed
oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente, go diamo su la idea dolcissima di
una lingua perfezionata. Ma i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi
aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? E cid su le terze persone singolari de'preteriti:
ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui
per venuti. Si noti che doverono e temerono ammettono le tre solite scor
ciature Lemeron, temero,temer,come amaron, amaro, amàr,perchè da lemeron ci
troviamo all'altra desinenza intera temèro prodotta da ti muere,come dovèro dadebuere:
laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi faredovetter, ma
non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci fanno casualmente
trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero quelloche
siadditonel 3. 17. E'certo che ne'perfetti delle seconde conjugazioni
italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che altri notasse in
esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne mai se non la prima
persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre tutte le altre
persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel preterito rompere
abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperunton d'èrupperono, oromperonoBo'i reg.2, chepursitro
ya negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima
rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocale precedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e per ciddeemancarel'E diEInella desinenza, giacchèl'E diEIintutte
le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar seneruppi, ruppe,ruppero.
Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos. 18 già 26. Ma diciamo
qualchecosa de'perfetti de'verbiausiliari.Nascono fuit fusti fosti C2
sono non avere l'accento sull'E in forza dellaformazione loro,essen do in esse
la E seguitata dalla doppia consonante S T , M M . Quindi non possono non esser
tali come romperono , quantunque poco o nulla usate, come avviene in molti se
provenissero da rompei, rompe, verbi irregolari. E per cið l'anomalia
de'preteriti non può concer nere se non la prima singolare , e le due terze
persone singolare e plurale de'perfetti. Questo discorso vale eziandio ne'verbi
ano mali di terza conjugazione ; dicendo dell'I quanto si è detto dell'E.
Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro, temero,&c. sono desinenze
piene in se stesse , e non sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui
fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo
somiglia in tutto al preterito debui o timui della se conda conjugazione
latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in
Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò
non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione,
sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del
verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del
preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio
degli UBERTI nelsuo Ditcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lo stile che aluifo possibile:e
Faz. Nel Ditlam. lib.3 cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12, scrivefoe
per fu:e Fra Jacop.1.2 can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque
una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi
debui,debuisti periva in. tuttele persone l'UI,eccetto l'Ifinalenellaprima
perfareil cambiamen toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U, edèperitol'I:edin
fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii
libri, perfue. Igrammaticihancreduto l'Edifue come una giunta per non terminare
quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in questo luogo
per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune a tutte le
persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte,
crede, ruppe & c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue siasi una
giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una conseguenza
dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E, come più si poteva. E quando sparì
quell'E, sitol fue fu in accento la semplicefu:mą serealmente,non
si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto
da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono
comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono in uso, non ho
presente nemmeno un esempio; e solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge
avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità,
la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e le due terze
singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e
s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha . bero,con
lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed habi per
prima; e somigliando queste due voci ad altre dell'antico presente abbo, abb i
& c, non potè non cambiarsi l’A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe
ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come
da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem
brano differenti. E certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che
si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali erano a m a
yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse
io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che
tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15
Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in
Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum: cosìnel 4 Ac. comprehensum animo
habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare
da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè
giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima
scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine,
come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha
stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come
appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo
aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora
Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che
incominciano ad imparare il latino quel lo scordano, facilmente ,o che per
disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col
participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle
originidella in rispetto della lingua latina nuo punto chi principia ad apprenderla
come ap , o chi per disuso l'ha quasi di menticata; così l'analogia
e la voglia di esprimersi inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io
avevaavuto. &c; lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli
U in 0 secondoleleggidelş ireg:2e3, dalle qualiappuntorisultaamalo ed ayuto con
i cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più
che perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:t alivocisonocompostedi
eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo
pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si
presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era
indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era
piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce
status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi
definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore.
Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era
stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo
fisso & c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta
o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti
itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato
sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee
presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil
primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali
derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne
somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini
sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia
participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio
come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che
a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi
essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100
ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM
. degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore
s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E
se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ;
non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si
disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora
il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso
ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in
Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI, nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO,
ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me
si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli
lavocestato, laquale nonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo,
esclusone ogni altro, 21 Ed eccone gli esempj. Fra JACOP. Poes,
Spirit. lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i
due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come
nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità
cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai,
averà & c. in forza delle regole generali citate: mapresto
sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai 22 Sempre serai in
tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno
serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai
futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere
è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e
anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose
quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99 seranno queste le novelle che io porterò.
Chileg. gegli Antichi trova questeésimili vocinon infrequenti.Manifesta mente
dunque derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per
uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le
regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora
si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe
& c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo
E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore,
secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il
habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo
habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO
e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse
anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza
de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per
continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri
di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno
assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che
universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò
come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio questa convenenza: edice raggio
per dirò come lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però
crudele, villano, e nemico Sarabbo, amor,sempre ver te se vale &c. In
alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come
farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio
&c:vuoldire aggioa fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del
futuro:per chè colui,il quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia
fare: cioè dichiara l'azione sua come futura. E perché in luogo di aggio si
disse ancora ajo; quindi è che si hanno pur le cadenze amerajo ,
farajo&c.Ma siccome in progresso abbo, aggio, ajo degenerarono nelle più
semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato
l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel
mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come
monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è
che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si
averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del
futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà
& c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let
tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi
aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B.
GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido,
arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai
non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si
hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel
Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via.
FraGuit. ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far
mi guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la
desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son.
ame 23 Ard sono ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete,
ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi lateoria dichiarata ancheagli
altriverbi, ed avremo amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno,
comesidisse originalmente: le Letteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son
piene di questa desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua, ne fa uso ben
grande nelle opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non
sapreiperqual vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè
prodotto amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente
di temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza
singolare del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae. Questadesinenzaè frequentissimain alcuniantichi
Scrittori. I nostri Grammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse
un aggiunta, per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma
essa non èchelaE dihave,hae; etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che
anzidicendosiora averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta
propriamente laE spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla
desinenzaameroe per amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola
italiana terminata in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno, danno,
fanno, stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze
plurali avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson
esseun composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto
perdere lo scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno &
c. foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente
de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano
perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte
agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più
sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente
nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per
simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si
avrebbe ed accentandoli celaro 24 54. Riguardando a tal seconda
spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo
deriverebbero quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo
ave re, che ne sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro
amaro & c. 55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato, il timelo, il
legito, el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro
lu,odi lu degl'Italiani. Le altre voci italiane sono pur le latine tra
dotte:ma perchè questesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte
dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo; cosìnon bi sogna se non
investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si
farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal
quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet
Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel
tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda singolare conlagiun
t a d i a m o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto sebbene l ’ E finale avanti
la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole
conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza riconosciuti:
e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa
originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine,
e resta tuttavia tra’ Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede che
questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è
ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone
altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare
num. 14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se
condo le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I
reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e
poi tema Tema Temiamo Temiate Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami
L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate
Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami
Amiamo Amiate Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento
l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè
raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus,
sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le
seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel
singolare, almeno nella prima e terza persona; quindiè che si fece iosia, tusia,o
sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della
lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente
nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le
conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame
ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel
presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si
trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in terzapersona:
Lett.S. Cat.pag.31. Deh!nonsirendi più il cuor nostro ambiguo,cieco, e
negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
al congiuntivo come . tu amirono abbino , temino , leggh i n o & c ., che
poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le
cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo
gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo
sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma
più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto all'imperfetto amarem ,amares,amaret;
taciutene le consonanti finali risultava amare , voce non distinta
dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il
per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da
questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con
progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti, temeresti,
sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non
era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti,
vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107. Avrestuoffeso
intaleolal cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a
dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare
diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o
come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di
amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe
amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e
questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova
tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è
mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse
sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era pursaggia, Che a cosi degno
amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il
cord'uscirne nello, ipo d2 chissimo usate fin da principio.I
Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora,
usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno
quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si
allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina che ne
era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di
ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono.
Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma
dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero
amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi
tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n
e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle
vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo
Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe,
ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel
soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare. Possono
osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed iano,
altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare
conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli
esempj Fra Guit. let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore.
PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente
di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si
noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non
più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è
voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una
voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta
s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio
cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che
MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama
(vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent
Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E
siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e
l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus. 8.24. : "Quel
partissi addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la
seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle
della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi,
e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che
voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegli
gente?Glieru diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se
replichiamo nel singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale?
Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora
, sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi
venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli
altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem
udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al
solito il B in V , e ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti
soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua
pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e
così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro
discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui
voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi
confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica
forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è
pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E allora conosceretechefuil meglio
per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse.
BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale
cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel
primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi
mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai
coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti
negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta
presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram
ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugare i verbi italiani non èchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or
volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni
infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi
tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta
subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj
presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”,
“credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in
ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereil par
ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare
il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle
altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto.
2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE
dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone,
e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta
in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo
Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel
suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno,
cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno,
soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE”
hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo,
sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in
ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi
Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne’’ qualivi è la
doppia cadenzacome abborroeabborrisco (vediquestoverboinfine della prima parte
) sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo,
imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone,
prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e
che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste
solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole
il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito
abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco ,
abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA
VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza
persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre
conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono
&c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone, temo, temono,credo,credono,sento,sentono,laddove
essendole terze plurali un multiplo di terza e non di prima persona singolare, non
dove asiaggiungere il NO, segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come
dicesi ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi
ama -va t e m e -vi teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti
dell'Indicativo 2 ) personeplurali, RONO 3 crede-va credeva -m o abborr (isco
abborr(isc)i abborr(isc)e 5.ToltoilRe
dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda persona: per le
senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo amo teme crede
ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle seconde
conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE
dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze
singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi
Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale
dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6
sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste”
crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re tem e - re cred e -r e ama-sti
teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete
amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i
amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i
teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono
Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2)
delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo
A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel
prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a
m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi
serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME
– forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE.
sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste
sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti
che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali
sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi ,
le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la
formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i
sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi
crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto
dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente
il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero
amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del
singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe
amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile
e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i
temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2
person . La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in
tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla
seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà
considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo
Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano
da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal
participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono
nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto.
Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde
in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le
seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime
plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè
semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo,
&c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è
doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde
plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s”
avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice
“-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle
terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli.
•BIBLIOTECA- LVCCHESI -PALLI- BIBLIOTECA LUCCHESI • PALLI III.» SALA Scaffale.
Pluteo. N.» CATENA. h Digitized by Google Digitized by Gopgle COLLANA DEGLI
ANTICHI STORICI GRECI VOLGARIZZATI. Digitized by Google Digitized by Google
Dìgitized by Google Digit zec! ov \Vo3^ LE ANTICHITÀ ROMANE I DI DIONIGI
D’ALIGARNASSO VOLGARIZZATE DALL’ AB. MARCO MASTROFINI già’ frofessore di
matematica e di filosofia NEL SEMINARIO DI FRASCATI MtmOKX KOrJMMKTt USCOKTIUTÀ
COI TM3T0 BAh TKÀBVTTOBt TOMO PRIMO MILANO DALLA TIPOGRAFIA De’ FRATELLI
SONZOCMO 1823. Digitized by Googic Dìgitized by Google Digitized by Google I
MARCO MASTROFINl AI LETTORI NOTIZIE su DIONIGI DI ALICARNASSO. I. Dionigi^ di
Alessandro fu di Alicarnasso , reggia un tempo della Caria , della quale pur
furono Eraclito il poeta ed Erodoto di gr^ca istoria padre come Petrarca lo
intitola nel terzo de' capitoli sul trionfo della Fama. E difficile determinare
V anno , non che il giorno della sua nascita. Fozio nella sua Biblioteca (cod.
^4) dice che egli precedette Dione Cassio , ed Appiano Alessandrino, espositori
aneli essi di Storie Romane. Errico Dodwello che meditò gra- vemente quelt
argomento non seppe ristringersi ad altra particolarità , se non a questa , che
Dionigi debbo essere nato fra t anno (i"G e ^oo di Roma calcolali alla
maniera di V airone. DIOyiGI , toma ^ ‘ ■ , X / 2 I(. Dionigi sentiva in sè la
nobiltà del cor suo] c si mosse verso la capitale del mondo, e venne a Roma
nelt anno F^arroniano ja5 , cioè finita la guerra interna di Augusto contro di
Antonio ; domd è che egli non vi giunse prima dell' anno suo venticinque- simo.
Fi si trattenne 22 anni: vi compose le opere critiche , e vi apprese intanto
diligentemente C idioma del popolo vincitore su la mira di leggerne gli antichi
monumenti nazionali, e di scriverne infine con greco stile una stona per uso
de’ Greci suoi che troppo la ignoravano. Egli riusci nell intento , e la
scrisse, e la divulgò nell anno Fcu roniano y47 sotto il nome di Antichità
Romane come l ebreo Giuseppe Jion molto dipoi , forse ad imitazione di lui , e
certo con più proprietà, pubblicò sotto il titolo di Antichità Giudai- che la
storia del popolo ebreo , la quale era insieme la storia della origine stessa
del mondo. III. Par che Dionigi delineasse la storia col di- segno stesso con
cui Firgilio cantava la Eneida: vuol dire l uno e l altro spargevano fiori
appiè de’ trion- fatori non senza il lusinghevole desiderio di guada- gnarne la
grazia : non leggera conquista per uomini inermi , autorevoli solo per sillabe
, per parole, e per periodi ! 'Dionigi fece sapere a’ suoi che il popolo del
Campidoglio non era poi barbaro ; anzi che era pur esso greco di origine, e che
assai conosceva leggi e costumi ; e ciò perchè riuscisse il comando romano , se
non pregevole , certo men duro nella Grecia d’ Asia e di Europa , paesi che una
volta orati patria e tempio di fortezza e di libertà. Digilized by Google 3 IV.
Egli distese il suo scrino in venti liLri ; ma non sopravanzano che i primi
dieci e parte dell’ un- decimo; tutto il resto perì per la ingiuria de' tempi.
Per quanto ci racconta Fozio (i) che aveala letta per intero, scorre ane la
narrazione dagli Aborigeni e dalla venuta di Enea nella Italia fino alla guerra
de’ lio- mani con Pirro , monarca degli Epiroti ; perchè ivi appunto comincia
la storia Romana deli altro greco scriuor precedente , Polibio da Megalopoli.
Quest or- dine di storie si consideri diligentemente ; perchè da indi apparisce
che Dionigi dee precedere c non se- guire Polibio, come parve al primo che
dispose la Col- lana Greca , e come trovo fatto pur questa volta irre-
parabilmente su Cantico disegno (a). Siccome un estero per la novità che v
incontra , può notare ì. costumi varj de' popoli meglio che il nazionale che
cresce e invecchia con essi ; così questi due Greci conversando co’ Romani
seppero distinguervi e descriver più cose che i Romani stessi non han descritto
e trasmesso con la successione de’ tempi ai tardi nipoti. Or ciò dovea tanto
più seguitarne quanto che scrivean quelli pel greco il quale non avrebbe
gustata nè intesa la loro narrazione se non esponevano minatamente le cose
notissime tra Romani. E quindi è che Polibio delincò su la milizia romana
quello che non si legge in niuno de’ romani scrittori medesimi: e Dionigi toccò
tante picciole circostanze che meglio dichiarano le ori- ,gmi, il complesso, ed
il termine degli eventi: cioc- (i) Bihiiotre. cod. 8f>. ( 1 ) Ediz. romana
di Vinccoio Pojryiuli delT anno Digilìzed by Google che ne ha rendalo , e ne
renderà sempre , preziosis- simo quanto sopravanza delle storie di lui. V.
Livio rimpelto a Dionigi è come il compendio rimpello all' opera estesa ; tanto
che il primo racco- glie in tre libri ciocché l’altro dilata in undici. Nè io
saprei dolermi su tanta espansione quando le cose vi fossero state moltiplicale
in proporzione. Ma per dirne ciocché io ne penso, e dare intanto il paragone
degli autori fin qui da me volgarizzati che sono Sallustio, Quinto Curzio ,
Lucio Floro , e Dionigi ; mi è sem- pre parato che in Sallustio non capano i
sentimenti dentro le parole , che in Curzio si pareggino compiu- tamente gli
uni alle altre, che in Floro le parole su- perino alquanto i sentimenti, e che
in Dionigi fincd- mente- ( siami cosi lecito di esprimermi) le sentenze
galleggino affatto tra le parole. Sallustio é come il fior vivo, che di sé
promette gran cose , ma stretto in parte ancora dalla sua buccia : Curzio è il
fior copioso , odoralo , aperto graziosamente al sole che 10 vagheggia ; Floro
è il fior vago , ma tutto spam- panato con molte le f rendette e poco t odore;
e Dio- nigi finalmente è il fiore delle ampie e libere frondi 11 quale sot^ di sé
nasconde il picciolo guscio che ravvolgevalo , e par sorgere pomposo e vario
tra le aure che lo investono , ma troppo , se lo stringi , è minore delle belle
apparenze. Dionigi era un greco dell jfsia, e fa sentire in sé la prolissità
propria di quella vastissima parte del globo. Le parlate in lui sono
lunghissime , e per ordinario non ripetono se non ciò che presentano le
storiche narrazioni ; lad- Digilized by Google ■ 5 doue in ,Tilo Livio sono
lampi e folgori, sentenze e risultati. V ultimo lascia a pensare , il primo li
lascia senza pensieri prima che finisca di parlare ; nelV uno senti il capitano
ed il console , nell altro lo storico «d il declamatore : quegli è pieno di
entusiasmo e di fuoco su gt interessi della sua nazione , /’ altro vi si spazia
sopra come il panegirista che loda non per affetto , ma in vista di ricompense
, o per moda. Forse tanta loquacità non piacque nemmeno tra' suoi nazionali; e
Dionigi voglioso di essere letto , s’indusse a ristringere in un compendio di
cinque libri quanto avea steso in venti. Fozio nella sua Biblioteca [cod. ^4)
parla eziandio di un tale compendio ; e lo dice più utile per questo , che non
contiene se non le cose necessarie alla storia. Egli paragona Dionigi in quel
nuovo scritto ad un re che giudica e tiene intanto in mano lo scettro; e
sentenzia ma con la precisione e col tuono di chi comanda (i). Vr. Quanto allo
stile i giudizj ne sono difformi : vi è chi lo chiama scrittor soave ,
scrittore elegante ; e non vi è dubbio che e"li abbia de' bei tratti, dei
pellegrini concetti , e gravissimi documenti. Nondimeno vi è chi dice
risolutamente che Dionigi rimpetlo a Senofonte è come il duro e licenzioso
jépulejo rim- pclto alle maniere delicate e spontanee di Livio. Dio- nigi fa
pur troppo conoscervi che egli non era nativo deir Attica. Fra le sue formole
ne occorrono alcune (i) La prcsealc versione fu stampala in Roma l’anno i8ia.
Dopo quest’ anno il Compendio fu creduto rilrovato in Milano. Se ne patterà nel
tomo quarlo là dove sono i fiammcnli. Digitized by Google G nuove , Ialine (T
indole , o certo non abbastanza monde da solecismo ; tantoché vi si violano le
regole prò- poste da esso medesimo nelle opere sue critiche per gli storici e
per gli oratori. Ad ogni modo Dionigi é come la miniera ampia di oro , e come V
archivio ricco di monumenti preziosi in mezzo di altri che sono anzi un
ingombro ; dond è che un tale scrittore , come ho toccato dianzi , sarà caro
finché saran care le storie. Ora diciamo qualche cosa delle versioni del nostro
Autore. VII. Lapo lìira^o fiorentino il primo diede una versione latina di
Dionigi. Questa fu pubblicata la prima volta in Trevigi Hanno i48o, e poi di
nuovo in Basilea nel i53a. Il Glareano ebbe cura di tal seconda edizione e la
purificò da sei mila errori co- ni egli dice. Boberto Stefano vedendo
pubblicato Dio- nigi nella lingua non sua, trasse il greco originalo dalla
Biblioteca dei re di Francia, e lo mise in luce l’anno ì5^(i. Il Gelenio
divulgò colle stampe in Ba- silea [ anno iS/fg una nuova versione latina de’
dieci primi libri. Silburgio rettificò con critica squisitezza le tante lezioni
non sane che ci aveano nel greco dello Stefano , e nel latino del Gelenio , e
congiunse i due testi e li stampò V anno i586 in Francfort. In questa edizione
vi é la traduzione dell’ undecimo libro fattu da Silburgio medesimo , li
frammenti ricorielti delle Legazioni già pubblicale da Fulvio Ursino , ed un
libro di annotazioni in fine. Mentre apparecchia- vasi o compivasi da Silburgio
questa edizione ; Emilio Porto diede su t originale dello Stefano una nuova
Dìgilized by Googlc 7 traduzione latina delle antichità con amplissime an-
notazioni, imprimendo anche il libro delle legazioni con la trina
interpretazione dì Stefano, di Sitburgio e di Porto. JSel 1704 si ebbe la
vaghissima edizione fatta in Oxford la quale comprende il testo greco di
Dionigi colla versione di Porto , emendata dove nera il bisogno , e le
legazioni secondo la impressione fat- tane da falesie riunite a quelle già
pubblicate da Ursino. Si cominciò finalmente nel 1774» ^ ^i com- piè nel 1777
lO' edizione riputata la più corretta di Lipsia colle note varie di Errico
Stefano , di Silbur- gio , di Porto , di Casaubono , di Fulvio Ursino , e di
Giangiacomo Peiscke. Vili. Francesco Venturi fiorentino ci diede nel 1545 colle
stampe venete la prima versione italiana delle sole antichità di Dionigi. In
quell'epoca il testo greco non era nè stampato nè rettificato , e quindi avendo
egli lavorato su di ^un manoscritto, frequen- tissime sono le aberrazioni dcd
vero senso. Aggiungasi che lo stile è contorto , implicato , nè sempre
regolare: in somma risente tutte le imperfezioni del primo tra- duttore latino
Lapo Birago : nè questi potè sempre capire il senso del testo , ma dove ciò non
potè fu contento di volgarizzare le parole greche , appunto come significavano
, una per una. Il signor Desiderj nel continuare in Roma V anno 1 794 la
edizion sua della Collana Greca ideava, parmi , riprodurre la ver- sione stessa
del Venturi; ed il primo periodo di questa è del V snturi in gran parte ; ma
fatto accorto che grande ne era la oscurità, e poca la naturalezza. \
.Dìgitized by Google 8 continuò a pubblicare non il resto del Venturi, ma una
traduzione di traduzione; t'uol dire , diede alla Italia un Dionigi tradotto ,
forse non sempre ade- guatamente , e certo non sempre con purità di stile ,
sopra la traduzione francese , e non sid greco origi- nale. Al primo leggere il
Dionigi del Desiderj mi parve ravvisarvi una fisionomia anzi francese che gre-
ca. Adunque paragonai la versione framese del padre Francesco la Jai Gesuita
con la produzione del De- siderj a luogo a luogo , e fui convinto che era ciò
veramente che io sospettava. Questa immagine éT im- magine , questa eco di eco
che scolora le fattezze , e deprime sempre più la energia dell originale ,
questa stampa non greca , non francese, e forse non italia- na , non dee
numerarsi tra le versioni , degna almeno di un tal nome ; tanto più che quella
versione fraru- cese essa stessa non lascia gustare la vena ampia , continua ,
maestosa del greco originale , ma presenta la inquietudine, lo scintillamento ,
e come la spezi satura consueta delle parli. IX. Che io sappia niun altro ha
poi volgarizzalo tra noi Dionigi. La mia versione è diretta su la edi- zione di
quest' autore intrapresa in Lipsia nel i Chi vuol ragione di ciascuna delle mie
interpretazioni dee consultare il testo greco , la versione latina , le note in
piè di pagina, ed in fine de’ tomi. Spesso a fissare i sensi ho consideralo
anche la versione fran- cese , supplitami dalla Biblioteca del Collegio Romano
nella nuova mia dolcissima dimora in quel luogo nel- l’ anno 1 8 1 1 , la quale
mi concedè calma profondis- Digilized by Google 9 sima da compiervi quasi per
intero la traduzione che ora presento. Sarebbemi piaciuto ugualmente di con- sultale
la traduzione inglese di Eduard Spelman im- pressa in Londra t anno 1759; ma
per quanto la ricercassi tra le Biblioteche , tra i libraj e tra gli amatori di
libri , non mi venne fatto di rinvenirla in Roma. Aveva io già presso che
terminato questo mio travaglio quando mi ju significalo che in Francia si
pubblica una nuova versione di Dionigi: ho il piacere che l'Italia he veda
contemporaneamente un altra sua, lavorata quasi tutta in Roma , ove lo storico
di Ali-, carnasso stendevano già t originale. Roma i8ia . 1
1 I. UANTU^■QUE alieno io ne sia , pur sono astretlo ad una prefazione , com’
usa nelle storie , e sopra di mfe ; non già per diffondermi nelle lodi mie
proprie , che so quanto , udite , dispiacciano , o nelle accuse di altri
scrittori , come fecero Teopompo ed Anassilao gli sto- rici, ne’ prologhi loro
; ma solo per dichiarare le cagioni per le quali mi diedi a .quest’opera , e
per dire de’ mezzi , onde io seppi ciocché son per iscrivere. E certamente chi
risolve lasciare a’ posteri monumenti d’ ingegno , i quali , come i corpi , non
vengano meno per anni , e molto più chi scrive le istorie, nelle quali, tutti
conce- piamo che siavi la verità, principio del sapere e della prudenza ;
costui dee per mio sentimento , scegliere argomenti vaghi e magnifici , come
bene fruttuosi a chi legge ; e poi dee preparare le materie opportune al
subjelto con assai previdenza e lavoro. Imperocché chi ponesi a trattare di
cose vili, abominate , indegne delle cure di una storia , sia che brami
rendersi chiaro , ed acquistare comunque una fama , sia che voglia manife-
stare la idoneità sua nell’ arte del dire , non sarà mai da’ posteri né
invidiato per la fama sua , né per 1’ arte encomialo ; lasciando a chi leggelo
da sospettare che egli amasse nel vivere le maniere appunto che descrisse ; per
essere gli scritti la immagine de’ cuori , come da tutti si giudica. Colui ^
poi che ottimo sceglie l’argo- mento; ma ne scrive scioperatamente, e come per
caso , seguendo i ronoorl del volgo, nemmen’ esso ne ottiene lo- de niuna ;
imperocché si spregiano , se negligenti sle- no e confuse le storie delle città
famose e de’ principi. Or pensando Io per uno storico esser questi I canoni
sommi ed inviolabili, ed avendone tenuto cura gelosa ; non volli nè trasandare
il discorso su di essi , nè com- partirlo altrove , che nel proemio. II. £ che
io scelsi argomento, bello, grandioso, uti-' lissimo; non bisognano, credo,
molte parole a con- vincerne chi non affatto Ignora la storia comune. Im-
perocché se alcuno recando 41 pensiero su’ governi an- tichissimi delle città e
delle genti e contemplandoli , parte a parte , o nel paragone dell’ uno coll’
altro , vo- glia saperne qual di esse fondasse principato più grande, o che più
splendesse per azioni belle , in guerra ed in pace; vedrà che la signoria di
Roma sorpassò di gran lunga quante prima di lei se ne additano , non solo jper
grandezza d’impero e per luce d’imprese, cui niuno mai lodò' quanto basta , ma
per la durazione ancora del tempo che abbraccia , 6no al presente. Fu pur
antica la signoria degli Assirj , e ne chiama fino ai secoli fa- volosi ; ma
non comandò che su picciola parte dell’Asia. Abbattè la monarchia de’ Medi
quella degli Assiri , e crebbe a potenza maggiore sì , non però molto diutur-
na , cadendo alla quarta successione. I Persiani fiacca* t ono il Medo , e
dominarono infine quasi per tutto nel* r Asia ; ben si gettarono poi su gli
Europei , ma noti molto vi profittarono , e tennero poco più che dugen- t’ anqi
II comando. Il Macedone , vinti li Persiani , su- però colla sua tutte le
dominazioni che precederono : Don però fiorì lungo tempo , comiuciaiido a
declinare alla morte appunto di Alessandro : imperocché smem- brato da’
successori il potere in molti principi , sosten- nesi la monarchia fino alla
terza o quarta generazione ; ma resa debole per sé stessa, fu distrutta
finalmente dai Romani : nou tenne poi mai servi tutti i mari e le ter* re : che
non vinse in Africa se non l’ Egitto , il quale non è vasto , nè sottomise
tutta l’Europa ; ma nel set- tentrione di questa si estese alla Tracia , e
nell’ occaso fino all’ Adriatico. III. Pertanto i più famosi degl’ imperj che
precede- rono , giunti , come sappiam dalla storia , a tanta forza e grandezza
, rovinarono. Con essi non sono poi da pa- ragonare le Greche potenze le quali
nè spiegarono mai si ampia la signoria , nè lo splendore si diuturno. Gii
Ateniesi quando più poterono in mare , ne dominaro- no per anni sessantotto la
spiaggia , e non tutta , ma quella solamente tra l’ Eusino ed il mar di
Pamfilìa. E gli Spartani impadronitisi del Peloponneso e del resto della Grecia
stesero fino alla Macedonia le leggi; ma non prevalsero che per quarant’ anni
(i) nemmeno in- teri, e trovarono ne’Tebani chi li depresse. Ma la Re- pubblica
romana signoreggia tutta la terra , non già la (i) testa uri o?ici in
TpmiccfTx: cioè nemmeuo iuteri treo- t’aimi. Isacco Casaubono vi saslilui
rinrxfxi'oyTX cioè quaranta. Pur questa emenda fu tolta, nè so perchè :
concedendosi comune- mente che gli Spartani dopo vinti gli .Ateniesi al fìuinc
Egio furono gli arbitri più che 33 anni. Ciò stando non può dirsi nel testo
m-m- meno interi treni’ anni , ma usando un numero rotondo , dovremo leggere
quaranta come il Casaubono. l4 PROEMIO, deserta , ma quanta ne è 1’ abitata :
signoreggia tutto il mare non solo nai
mente Oenotro diciassette generazioni avanti che a Troja si combattesse. E
questa è l’epoca nella quale mandarono i Greci nella Italia una colonia.
Oenotro poi si levò di Grecia ; perché non pago della sua parte : giacché nati
essendo a Licaone ventidue figli; aveasi l’Ai^ cidia a dividere in altrettanti.
Per tale cagione lasciando OcDOiro il Peloponneso, passò con fiotta gié
preparata il mar Ionio, e passavalo teco Peucezio l’uno de' fratelli di lui.
Navigavano con essi molti della sua gente , po^ pelosissima , come si dice ,
nelle origini ; e quanti altri de’ Greci non aveano terreno ^he loro bastasse.
Peucezio pigliò sede in sul promontorio Japigio , appunto ove prima sbarcò
nella Italia , cacciando chi v’ era , e da lui furono Pcucezj chiamati quanti
abitarono que’ luoghi. Oenotro guidando seco il più dell’ esercito , venne ad
altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chia- mato dagli Ausonj,
che la spiaggia nc popolavano. Ma quando i Tirreni diventarono i padroni de'
mari prese il nome che tien di presente. IV. E trovando la regione bonissima da
pascolarvi o da ararvi , ma deserta in moltissimi tratti , anzi con poco popolo
ov’ era abitata j dìé la caccia a’ barbari in tina parte della medesima , e
fondò citt.ì non grandi Digilized by Google a4 DELLE antichità’ ROMANE si, ma frequenti
in sui mouli ; com’era stile antichissi> mo , di situarsi. Così tutta la
regione fu detta Oenotria, essendone amplissimo lo spazio occupalo ; ed Oeuotr)
pure si dissero gli uomini tutti a’quali comandava , mu- tando nome per la
terza volta ; mentre Ezei si chiama- vano dominandoli Ezeo , e poi subito
Licaonj quando al governo succedè Ligaone. Menati però nella Italia da Oenotro
, Oenotrj si nominarono per un tempo : nel che Sofocle il tragico mi è
testimonio net suo Tripto- Icmo : perciocché vi s’ inU'oduce la madre degli Dei
che dimostra a Triptolcmo quanto spazio debba trascorrere per seminare i semi
eh’ ella dati gli aveva. Or ella , mentovato prima l’ oriente d’Italia dal
promontorio J.i- pigio 6uo allo stretto Siciliano, e poscia additata la Si-
cilia che sta dirimpetto; volgasi tosto alla Italia occi- dentale , e numera i
popoli più grandi della spiaggia , cominciando dagli Oenotrj: ma bastino le
sole cose da lei dette ne’ jambj , percl)è dice : Questo é do tergo ; a destra
siegue tutto La Oenotrìa , il mar Tirreno , e la Liguria. Antioco di Siracusa ,
scrittore antichissimo , annoverando i primi ad abitare la Italia e le parli occupale
da ognu- no , afferma che gli Oenotri in questo precederono ogni altro di cui
s’abbia ricordo, dicendo: jéntioco il fi- gliuolo di Zenofanle compilò su la
Italia queste cose, le più credibili e più manifeste ira vecchi monumenti', la
terra che ora Italia dimandasi la ebbero antkhism simamente gli Oenotri : poi
discorre in qual modo la governassero , e come Italo un tempo divenisse re loro
. 35 cd Itali ue fossero oomioati : e poi Morgili per essere a Morgite venato
quel principato. E siccome stando Sicolo per ospite presso Morgite , e tentando
appro- priarsene la signoria , ne divise le genti ; conclude : cosi gli Oenotri
divennero e Sicoli e Morgiti ed Italiani. V. Ora dichiareremo quanta fosse la
gente degli Oenotri allegando per testimonio nn altro vecchissimo autore, io
dico Ferecide, non secondo a niuno degK Ateniesi che trattasse delie
genealogie. Egli fa su quelli che dominaron 1’ Arcadia questo discorso: nacque
Li- caoue da Pelasgo e Dejanira e sposò Cillene , una ninfa dell» Najadi dalla
quale ebbe nome il monte Cillene: poi divisando i generati da questi e quai
luoghi cia- scuno abitasse , fa menzione di Oenotro , e di Peucezio dicendo :
Oenotro , donde Oenolrj son detti gli abi- tatori Italia ; e Peucezio onde sono
i Peucezj lungo il golfo Ionio. Tali sono le cose dette da’ vècchj poeti e
mitologi sul popolarsi d’Italia, e su la origine degli Oenotri. In forza di
che, se greca veramente è la stirpe degli Aborigeni , come disse Catone , e
Sempronio e molti altri ; io penso che provenisse da questi Oenotrj : perocché
trovo e Pelasgbi e Cretesi , e quanti altri abi- taron l’ Italia , venuti in
tempi di poi : nè so vedere spedizione più antica di questa , che si recasse
dalla Qrecia alle parti occidentali di Europa. Giudico poi che gli Oenotri
occupassero molti luoghi d’Italia, o deserti, o poco popolati, e parte
smembrati ancora dalle terre degli Umbri , e che Aborigeni si chiamassero per
le abitazioni, come gli antichi le amavano, prese ne’ monti: cosi pur v’ ebbero
in Atene que’ della spiaggia e dd monti. Che ie alcuni per indole non ricevono
di subito senza prove quanto si afferma su cose antiche , nem- men subito
decidano esser questi , o Liguri ovvero Um- bri , o tali altri de’ barbari : ma
sospendendo finché apprendano le cose che restano , giudichino poi da tutte
qual ne sia la più verìsimile. VI. Delie città che furono degli Aborigeni ,
poche ora ne sopravanzano : perocché premute la maggior parte dalle guerre , o
da altri mali che straziano , fini- rono in solitudini. E secoudo che Terrenzio
Varrone scrisse nelle anlichilà , ve ne erano nell’ agro Reatino non lungi
dagli Appennini ; e le meno disgiunte da Roma , ne disiavano per lo viaggio di
un giorno. Di esse io ridirò le più celebri secondo la storia di lui. Palazio è
l’ una , lontana venticinque stadj da Rieti , cittade abitata da’ Romani fino a
miei giorni , presso la strada Quinzia. Siede Trebula a sessanta stadj pur da
Rieti , su dolce collina : e da Trebula con pari inter- vallo disgiungesi
Vesbola dicontro a’ monti CerauBj: lad- dove quaranta stadj ne è lungi Soana ,
città famosa con antichissimo tempio di Marte. Discostavasi Mifula da Soana per
trenta stadj , e se ne additano ancora le ror vine, e le vestigia de’ muri. A
quaranta stadj da Mifula elevavasi Orvinio, città, quanto altra mai, chiara e
grande in que’ luoghi : e segno ancora ne sono i fondamenti delle mura di lei
come le tombe di antica struttura , e li recinti pe’ cimiterj comuni su’ monti
altissimi : e là pure vedessi nella sommità di lei 1’ antico tempio di Minerva
: lungi dieci miglia da Rieti , procedendo per la strada Giulia , là presso il
monte Corito v’ era Car- arbari , e soprattutto ai Sicoli , loro conGnanti. E
sa le prime pochi bravi , quasi giovani sacri mandati da genitori in traccia
de’ bisogni della vita , nscirono se- guendo un primitivo costume , che pur
vedo seguito da molti de’ Barbari e de’ Greci. Imperocché quante volte le città
moltiplicavano tanto in popolo che non più bastassero ad esse i proprj viveri ;
quante volte fa terra danneggiata dalle mutazioni del cielo rendea meno
dell’usato; e quante volte altro caso non dissimile buono o rio le necessitava
a minorarsi di gente ; consacrando allora agl’ Idd^ d’anno in anno una serie di
discendeuti Digitized by Google libro I. 2g gii armavano , e li congedavano. E
con fausti augurii gli accompagnavano se giusta le patrie leggi sacrificando,
rendevano grazie ai cieli per la generazione copiosa , o per le vittorie tra
Tarmi : laddove se pregavano i Numi irati a rimovere da loro i mali che
tolleravano ; li di- mettevano pure slmilmente , ma rattristandosi , e chie-
dendo die loro si perdonasse. E quei sen partivano quasi non più avendo una
patria, se pure altra non sen facevano che li raccogliesse o per amicizia , o
combat- tendo , e vincendo ; ed il Nume al quale i congedati eran sacri parca
per lo più cooperare con essi , ed al- zarne sopra la espettazione le colonie.
Su tale consue- tudine gli Aborigeni , floridi allora in popolazione , e schivi
, perchè noi credeano il meno de* mali , di ucci- dete alcuno de’ posteri ,
consacravano agl’ Iddii d’ anno io anno le generazioni, e via via dimetteano
gli allievi, già grandi fatti , dalla patria. Uscitine questi non desi- sterono
di far contro i Sicoli , e derubarli. Ma non si tosto conquistarono alcuna
delle contrade inimiche ; di- venutine ornai più sicuri ancora gli altri
Aborigeni i quali bisognavano di terreno , insorsero parte a parte su’
confinanti : e fondarono alcune città , e quelle , abi- tate ancor di presente
, degli Antemnati , de’ Tellenesi , e de’ Ficolesi presso i monti Cornicli
nominati , e dei Tiburtini finalmente , tra’ quali evvi un luogo della città
che pure a dì nostri si chiama Siciliano. Nè furono ad altro vicino più molesti
che incontro de’ Sicoli. Sorse da tali contrasti guerra con tutte le genti ;
talché mai non fu per addietro la più grande in Italia, e v’ infierì lungo
tempo. Dopo questo alcuni de’ Pelasgbi che abitavano la regione ora detta
Tessaglia costretti di trasmigrarne , divenuei'o gli ospiti degli Aborigeni ;
ed i compagni di arme, contro de’SicoIi. Gli accolsero gli Aborigeni forse {icr
la speranza , io penso , di un utile , ma più per la comunanza di origine:
perocché son pure i Pelasgbi un greco lignaggio , antichissimo del Peloponneso
: quan» tunque sciaurati per molte cose e principalmente per la vita errante ,
nè mai stabile in sede ninna. E certo , come molli affermano su di essi,
abitarono su le prime la città che ora chiamasi Argo di Acaja ; traendo il nome
di Pelasgbi da Pelasgo , loro sovrano , generato da Giove e da Niobe la figlia
di F oroneo , quando il Dio si congiunse la prima volta con donna mortale , come
è ndle favole. Poi nella sesta generazione lasciato il Peloponneso, passarono
nella Emonia che ora Tessa* glia si nomina ; e duci furono del passaggio Acheo
e F tio , e Pelasgo , figli di Larissa e di Nettuno. Giunti nella Emonia ne
cacciarono i barbari che 1’ abitavano , e la divisero in tre regioni
cognominandole da’ condot* tieri , F liotide , Acaja , e Pelasgiote. Fissi colà
da cin- que generazioni , lungamente vi prosperavano , profit- tando pur de’
campi migliori della Tessaglia: ma intorno la sesta generazione ne furono
espulsi da Cureti , e da Lelegi che ora sono gli Eioli ed i Locri, e da più
altri che abitavano intorno del Parnasso , guidando i nemici Dencalione il
figlio di Prometeo e di Glimene nata dall’ Oceano. ' X. Dispersi nella fuga ,
altri vennero io Creta , altri ottennero alcune deile Cicladi. Alcuni abitarono
la re* Digitized by Google LIBRO I. 3 1 gione intorno di Olimpo e di Ossa, ora
detta Estiotidc: ed altri furon portati nella Beozia, nella Focide e nella
Eiubea : alcuni tragittandosi in Asia occuparono molte delle spiagge deli’
Ellesponto e molte delle isole dirim> petto , e quella che ora Lesbo si
chiama , mescolatisi alla colonia che prima andavaci dalla Grecia sotto gU
auspizj di Macaro Gglio di Criaso. La maggior parte però dirigeudosi entro
terra a’ loro parenti i quali al- bergavano in Dodona , ed a' quali , come
sacri , niuno facea guerra , abitarono quivi alcun tempo : ma poiché si
avvidero che eran di aggravio, non bastando la terra a nutrire tutti in comune,
se ne involarono, mossi dal- r oracolo che ordinava loro di navigare in verso
la Ita- lia , allora chiamata Saturnia. E fatto apparecchio in copia di navi,
passarono il mar Jonio, procurando giun- gere in parti presso la Italia. Ma pel
vento di mezzo- giorno , e per la imperizia de’ luoghi , portati più oltre
capitarono ad una delle bocche del Pò chiamata Spi” itelo e quivi lasciarono le
navi, e la turba meno idonea ai travagli con un presidio , per avervi una
ritirata , se i disegni non riuscivano. Or questi rimanendo in quella regione
circondarono di muro il campo dell’ esercito , cd introdussero colle navi copia
di vettovaglie. E poi che videro succedere loro le cose come voleano , fab-
bricarono una città coLnome appunto della- bocca del fiume. Quindi prosperando
più che tutti su le spiagge dell’ Jonio , e prevalendo lungo tempo sulle onde ,
por- tarono quant’ altri mai, decime vistosissime in Delfo alla Divinità , de’
beni tratti dal mare. Da ultimo però ve- nendo amplissima guerra su loro da’
barbari intorno , ' losciarono la città , donde anche i barbari furono dopo nn
tempo cacciati da’ Romani. Cosi mancarono i Pela minandola da Larissa ,
metropoli loro nel Peloponneso. Delle altre città ne resta pure alcuna fino a
miei giorni, quantunque variati spesso gli abitatori: ma Larissa è di- strutta
già (la gran tempo : nè presenta dell’ antica esi- stenza altro segno più
manifesto che il nome , e nem- meno questo è noto a moltissimi. Era non lontana
dal foro chiamato Popilio. Finalmente possederono , toglien- doli a Sicoli ,
molti altri luoghi entro terra , o lungo la spiaggia. XIII. I Sicoli ornai non
più valevoli a resistere ai Pelasghi ed agli Aborigeni, riunendo i figli e le
mogli e quanto aveano di moneta in oro ed argento, si leva- rono in tutto da
quella terra. Ripiegatisi a’ monti verso del mezzogiorno , e trascorsa tutta l’
Italia inferiore , siccome dovunque erano discacciati , apparecchiarono in fine
delle barche nello stretto , e notandovi il flusso e (piando era fausto ,
passarono dalla Italia in su l’ isola vicina. Allora i Sicani , Spagnuoli di
origine , la poue- devano , nè da gran tempo vi erano stati ammessi, cer- cando
uno scampo dai Liguri; e già per essi era detta Sicania l’isola un tempo
chiamata Trinacria^ per la fi- gura sua di triangolo. Non molti erano in questa
gran- d’isola gli abitatori; ma la più gran parte vedeasi ancora deserta.
Giunti i Sicoli ad essa , ne abitarono su le prime i luoghi occidentali , e
mano a mano più altri , talché l’isola ne fu detta Sicilia. Cosi la gente de’
Sicoli abbandonò la Italia ', tre generazioni , come Ellanico di Lesbo scrive ,
prima delle cose trojane , correndo in Argo r anno vigesimo sesto del
sacerdozio di Alcione. Perciocché stabilisce due passaggi fatti dalla Italia
nella Sicilia il primo degli Elimei cacciati dagli Oenotri , e l’altro dopo
cinque anni degli Ausoni, che fuggivano i Japigi. Dice che re di questi fu
Sicolo , donde ebbero il nome gli uomini e 1’ isola. Filisto però di Siracusa
scrisse che 1’ anno di quella discesa fu 1’ otuntesimo in- nanzi la guerra
trojana: e che non Sicoli, non Ausonj, non Elimei , ma Liguri furono gli uomini
trasportati dalla Italia , conducendoli Sicolo , figliuolo di Italo , e che
dalla signoria di quello furono Sicoli nominati. La- sciavano i Liguri le
patrie terre , astrettivi dagli Umbri e da’ Pelasghi. Antioco di Siracusa non
distingue il tempo del tragitto; ma Sicoli dichiara quelli che tra- gittarono,
premuti dagli Oenotrj e dagli Umbri, piglia- tosi nel trasmigrare Sicolo per
condottiero. Tucidide scrive che Sicoli furono i profughi , e Opici quelli che
li fugavano , per altro molti anni dopo la guerra di Troja. E queste sono le
cose che affermansi da uomini riguardevoli intorno de’ Sicoli , passati dalla
Italia nella Sicilia. XIV. Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia e
bella , ne ebbero pur le città ; poi fondandone altre ancor essi , crebbero
presto e molto in forze , in ric- chezze , ed altri beni ; non però ne goderono
lungo tempo. Ma sembrando floridi troppo per ogni parte fu- rono sbattuti dall’
ira de’ celesti , e quali ne perirono per divine calamità , quali pe’ barbari
confinanti : e la parte più grande ne fu dispersa tra’ barbari , o nuova- mente
Ira’ Greci , e lungo ne sarebbe il discorso se per Digitized by Coogle tninuto
seguissi un tal fatto. Pochi ne sopravanzaronc nella Italia per cura degli
Aborigeni. Parve alle città che la origine prima di un tale struggersi di
famiglie fosse la siccità che intristiva la terra, talché non restava frutto
alcuno Gno al maturarsi negli arbori; ma innanzi tempo cadevano 5 nè i semi che
sbucciavano in germi, vegetavano Gnchè le spighe floride si empiessero nei
tempi naturali , nè bastavano i pascoli alle greggio. Non più le fonti eran
atte a toglier la sete , guaste , impic- ciolite o spente dagli estivi calori.
Consentivano con ciò le vicende delle bestie e delle donne nel generare : e
quale sconciavasi in aborti , e quale dava Agli , morenti nel parto , o fatali
nell’ utero ancora alle madri. Se scampavano 1 pericoli del parto , mutili , o
storpi , o manchevoli per altro disagio , non eran’ utili , onde si
allevassero. L’ altra moltitudine poi , specialmente la più vegeta era colta da
mali, e da morti frequenti più del- r usato. E consultando l’ oracolo per quale
violazione di genj o di Nomi questo patissero , e per quali pratiche mai fosse
da sperare una calma in tanti orrori, udirono ciò essere perchè esauditi ne’ loro
desiderj , non aveano penduto quanto promisero ; ma dovevano ancora agli Dei
cose preziosissime. Imperocché li Pelasghi l’idotti a penuria di ogni cosa
nelle loro terre , si votarono a Giove , ad Apollo , ed ai Cabiri (i) di
santiGcare ad essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella pre- ghiera
presero ed offerirono agli Dei parte delle messi e de' frutti , quasi votati si
fossero per questo soltanto. (i) Forte Castore e Polluce. E certo che erano Dei
di Sanietracia. Digilized by Google 38 DELLE Antichità’ romane Mii'silo di
Le$bo scrive ciò quasi con le parole medesi- me , toltone , che egli chiama
Tirreni e non Pelasghi quegli uomini , di che dirò più sotto le cause. XV.
Ascoltato 1’ oracolo non sapevano interpretarlo. Fra dubbj loro un più vecchio,
raccogliendone i sensi, disse che erravano affatto , se credevano che gli Dei
li punissero a torto : volere il diritto ed il giusto , che si desse loro la
primizia di tutto : nondimeno aspettavano ancora parte della generazione degli
uomini , cosa più che tutte ad essi accettissima: se avessero questa, l’ora-
colo sarebbe adempito. Parve ad altri che costui parlasse rettamente ; ad altri
che tendesse delle insidie. E pro- ponendo un tale che s’ interrogasse il Dio
se gradiva che si facessero per lui le decime , ancora degli uomini ;
inandarono i sacri vati per questo , e rispose che si fa- cessero. Quand’ecco
sedizione fra loro sul modo di de- cimarsi : e prima surse a vicenda tra’ capi
della città ; poi l’altra moltitudine prese i suoi magistrati io sospetto: nè
già sollevavansi con regola alcuna, ma come per en- tusiasmo e per divino
furore. Cosi molte case furono abbandonate, trasmigrandosi parte di essi, nè
sostenendo gli attenenti di essere abbandonati dai loro carissimi , e
restarsene tra i più crudi nemici. Primi questi levandosi dall’ Italia errarono
per la Grecia, e molto tra’ barbari: quindi ancor altri incorsero ne’ mali
medesimi , conti- nuandosi ogni anno la decima. Nè i magistrati la so-
spendevano , ma sceglievano le primizie de’ giovani più robusti pe’Numi,
quantunque nel proposito di soddisfare agli Dei , temessero i moti di chiusciva
a sorte per vittima. Erano ancora non pochi espulsi dagli avversar) . 3^ per
nimiclzia , lutto che sotto specie di oneste cagioni. Laonde spessissime furono
la partenze ; e la gente Pe- lasga errò dispersa in più terre. XVI. Erano i
Pelasghi , vivendo in mezzo a genti bellicose tra cure e pericoli , divenuti
assai buoni nelle armi , e più ancora nella nautica per avere coabitato co’
Tirreni. La necessiti che ne’ stenti della vita ispira coraggio, fu loro
maestra e direttrice in tutti i cimenti. Perciò non difUcilmente dovunque ne
andavano vince- vano. Erano chiamati ad un tempo Pelasghi e Tirreni dagli altri
uomini si pel nome delia regione donde par* ti vano , come in memoria della
origine antica. Ora io dico ciò perchè alcuno udendoli chiamati Pelasghi e
Tirreni da’ poeti e dagli storici , non meraviglisi come abbiano ambedue le
denominazioni. Tucidide in Atte di Tracia fa menzione di loro e delle città che
vi era* no , abitate da uomini bilingui : e questo è il dir suo su’ Pelasghi.
Ivi sono de Calcidesi , ma i più sono Pelasghi , cioè que’ Tirreni che
abilarono un tempo Lemno ed Atene. E Sofocle nel dramma suo dell’ I- naco fa
questi versi detti dal coro : Inaco genitor, figlio de' fonti Bel padre Oceano,
assai splendendo , reggi Le terre d’ Argo e di Giunone i colli E i Tirreni
Pelasghi. Quindi il nome de’Tirreni risuonava in que’ tempi nella Grecia : e
tutta la Italia occidentale lo assunse ancora per sé , lasciando i nomi
speciali de’ suoi popoli. Oc- corse già pari vicenda nella Grecia e nella
regione ora detta Peloponneso: giacché dagli Achei, che eran Tuno de* popoli
che v’ abitavano, fu detta Acaja tutta la Pe« nisola ov’ erano gli Arcadj , c
li Jonj , ed altre nazioni non poche. XVII. L' epoca nella quale cominciarono i
Pelasghi a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi la guerra di
Troja, e durarono, direi, dopo ancora di questa 6nchè si ridussero ad un gruppo
di gente. E , salvo la città di Crotone , famosa nell’ Umbria , e tale altra,
se pur v’ ebbe, data loro ad abitare dagli Abori- geni , perirono tutte le
rimanenti de’ Pelasghi. Crotone serbò lungo tempo l’antica sua forma, ora non è
molto, ha mutato nome ed abitatori , e divenuta colonia ro- mana, si chiama
Cortona (i). Varj poi furono c molti che occuparono le sedi abbandonate da’ Pelasghi
secondo che ciascuno vi confinava ; ma le migliori e le più si rimasero pe’
Tirreni. Quanto ai Tirreni v’ è chi li dice naturali d’ Italia e chi
forestieri. E quei che li stimano propri della regione , affermano che si diè
loro quel nome per gli edifizj sicuri , che essi i primi di quanti vi erano, si
fabbricarono : imperocché le abitazioni con muri e con tetto son tirseis
chiamate dai Tirreni come da’ Greci. Cosi pensano imposto loro quel nome per
accidente come nell’ Asia ai MosinIcI dalle mosine che sono le case di legno
abitate da essi , altissime in for- ma di torri. XVIII. Ma quelli che
favoleggiano che i Tiireni sono stranieri , additano un tale, detto Tirreno,
che fa (i) Ssronito altri Cotorni'n . 4 1 duce della colonia , e dal quale ebbe
nome la nazione. Dicono che originario fosse di Lidia , chiamata già Meonia; e
che da indi antichissimamente si trasmigrasse; e che egli fosse il quinto dopo
di Giove. Imperocché narrano che da Giove e dalla terra nacque Mani , il primo
a regnare in que’ luoghi : che da questo e da Calliroe. figlia dell’ Oceano
nascesse Coti ; che da Coti sposatosi con Alle , figlia di Tulio , uomo paesano
, germinassero due figli Adie ed Ati : che da Ati e da Callitea figliuola di
Coreo sorgessero Lido e Tirreno : e che Lido rimastosi in que’ luoghi
succedesse al regno paterno , e Lidia lo denominasse dal suo nome ; ma che
Tirreno fattosi duce di una colonia occupò gran parte d’Italia, Tirreni
chiamando il luogo, e quanti lo seguitarono. Erodoto però dice che Tirreno
nacque da Ati figlio di Manco , e che P andarsene de’ Meonj nel- r Italia non
fu volontario. Imperciocché narra che re- gnando Ati si mise la penuria tra
Meonj : che gli uo- mini ritenuti dall’ amore della regione si argomentarono in
più modi a vincer quel male , taluni di colla parsi- monia , e tal altri con 1’
astinenza : ma che prorogan- dosi la sciagura , tutto il popolo diviso in due ,
decise per le sorti chi dovesse di là trasmigrarsi , e chi rima- nere y e che perciò
1’ un figlio di Ati si stette , parten- dosi r altro : la moltitudine che
pendeva da Lido trasse colle sorti il suo meglio , e si stette ; ma 1’ altra
pi- gliando quanto le si dovea per le sorti in danaro , na- vigò verso r
occidente d’ Italia , e postasi dove erano gli Umbri , vi fondò città che
duravano ancora al suo tempo. Ben so che altri non pochi scrissero , ap- punto
come io scrissi , della origine de’ Tirreni ; ma che altri ne variano il
fondatore ed il tempo. Imperoc- ché dissero alcuni che Tirreno era figlio di
Ercole e di Onfale Lidia : che venuto questo in Italia , espuke i Pelasghi
dalle loro città , non però da tutte , ma da qnelle poste di là del Tevere su
le parti boreali. Altri però ci fan vedere in Tirreno un figliuolo di Telefo
venuto in Italia dopo la rovina di Troja. Zanto lidio perito quant’ altri mai delle
storie antiche , e creduto nelle patrie non inferiore a niuno, nè mentova in
parte alcuna de’ suoi scritti un tirreno signore de’ Lidj , nè conosce
passaggio alcuno de’Meonj nella Italia, nè parla mai de’ Tirreni come di Lipia
colonia, sebbene parlasse di cose ancora bassissime. Dice che Ati generò Lido e
Toribo , che dividendosi il regno paterno si rimasero ambedue nell’ Asia , c
che diedero il nome loro a’ po- poli su’ quali comandavano. Imperocché scrive:
da Lido si fecero i Lidj , e da Toriho i Toribi 5 poco d’ am- bedue differisce
l’ idioma , e gii uni , come li Jonj e li Doriesi , usano a vicenda le parole
degli altri : Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi as-
sunsero il nome che or hanno , quando abitarono la Italia ; imperocché nel suo
Foronide (i) scrive , da Pelasgo re loro , e da Menippe figliuola di Peneo
nacque Fraslore , da questo surse Amintore , che diede Teutamide , e da
Teutamide ebbesi Nanas j regnando il quale i Pelasghi , profughi dalla Grecia
(1) Opaieolo di Ellaaieo; ne fa meniione Ateneo nel lib. 9. . 4^ lasciarono le
navi dove il fiume Spineto esce nel mare Ionio (i), ed invasero entro terra la
città di Crotone; e di là movendosi fondarono quella che Tirrenia ora si
chiama. Mirsilo sponendo come Ellauico le altre co- se , dice tuttavia che i
Tirreni quando erravano profu- ghi dalla patria , furono detti Pelasghi per
certa somi- glianza loro con le cicogne, pelarghi chiamate; giacché passavano
in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: aggiunge che essi alzarono il
muro detto Pelargico in- torno la rocca di Atene. XX. A me però sembra che s’
ingannino quanti si persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che una
gente ; perciocché non è meraviglia che alcuni ab- bian talvolta il nome di
altri , mentre in pari vicenda incorsero ancora altri popoli greci o barbari
come i Trojani ed i F rigi , perchè prossimi di regione. Eppure molti fanno di
questi due popoli Un solo, quasi distinti di nomi, non di lignaggio. I popoli
poi d’Italia, nom« meno che quei d’altri luoghi , furono confusi ne’ nomi. E v’
ebbe un tempo quando Latini , Umbri , Ausoni , e molti altri si chiamavano
Tirreni da’ Greci ; riuscendo ogni ricerca di questi men chiara per la
lontananza di que’ popoli : anzi molti degli scrittori pigliarono Roma ancora
per città de’ Tirreni. Io dunque penso che que- ste genti mutassero il nome ,
variandosi fino il vivere : non penso però che una fosse la origine di ambedue
, per molte cagioni , e più per le voci loro non simili , (i) Qui si estende il
nome di ionio all’interno dell’ Adriatico. Spesso gli storici antichi cosi
praticarono contro 1’ uso de’ geografi che distinguono 1’ uno dall’ altro mare.
ma diversissime. Imperciocché nè li Crotoniati (i) come scrive Erodoto , nè li
Piaciani ne’ proprj luoghi parlan la lingua dei circonvicini ; ma una ne
parlano tutta lor propria; donde è manifesto che serbano i caratteri del- r
idioma che aveano quando in que’ luoghi si traslata- rono. Meraviglisi poscia
chi può che li Crotonlati somi- glino nell’ idioma al Piaciani , popoli ne’
lidi dell’ Elle- sponto , nè somiglino intanto a’ vicini Tirreni. Erano que’
primi ambedue Pelasghl ne’ principj loro : e se la unità di origine prendesi
per causa della uniformità nei linguaggi ; dunque la differenza di origine è
pur causa del divario di essi ; non dando un principio medesimo contrarj gli
effetti. Certamente , se avvenga , ben è ra- gionevole quello , cioè che uomini
di una gente mede- sima domiciliatisi lontani fra loro non conservino i ca-
ratteri de’ proprj idiomi per lo conversar col vicini; ma che poi negl’idiomi
non somiglino popoli di una origine istessa , e d’ istesse contrade, ciò non è
ragionevole per ninna maniera. XXI. Seguendo tali indizj convincomi che
differi- scono i Pelasghi dai Tirreni ; nè credo i Tireeni un tralcio de’ Lidj
; perocché nè parlano la lingua mede- sima , nè può dirsi che se non la parlano
, ritengono almeno alcuni vestigi della teiTa materna , nè tengono per IdJj
que’ che da’ Lidj si tengono ; nè li somigliano per leggi o per abitudini , ma
in ciò dai Lidj si diver- sificano più , che da’ Pelasghi. Pertanto sembrano
più verisimili quelli , che dicono un tal popolo , naturale ( I ) Cortoncsi .
Digilized by Google LIBRO I. 4^ della contrada , non venutovi altronde :
pérciocchè si rinviene antico in tutto ; nè simile ad altri nel parlare , o nel
vivere : e niente ripugna che avesse un tal nome da’Greci o per le abitazioni
fortissime (i) o per l’uomo ancora che li dominava. Ma i Romani con altri nomi
li chiamano Etruschi dalla Etruria , regione dove un tempo abitarono : ed ora
li dicono Toschi men pro- priamente , avendoli come i Greci , nominali prima
con più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie del culto divino,
nelle quali sorpassano lutti, Que’ po- poli inoltre distinguono sè stessi dal
nome di Rasenna r uno già de’ loro comandanti. Sarà poi dichiarato in altro
libro quali città fossero abitate dai Tirreni e con / quali forme di governo ,
quanta fosse di tutti insieme la potenza , e quali , se pur degne ne ebbero di
ricor- danza , le azioni ne fossero , e le vicende. 1 Pelasghi che non perirono
, nè si disgiunsero per fare colonie , si rimasero, pochi di molti, con gli
Aborigeni , sotto le leggi de’ luoghi ne’ quali si lasciavano , e ne’ quali col
volger degli anui i posteri loro fondarono Roma. E tali sono le novelle intorno
de’ Pelasghi. XXII. Dopo non molto tempo , nell’ anno , al più , sessantesimo
come narrano i Romani , prima della guerra trojana , capitò ne’ luoghi medesimi
un’ altra spedizione di Greci la quale abbandonava il Pallanteo , città del- r
Arcadia. Il duce erane Evandro , figlio di Mercurio , e di una ninfa ,
abitatrice di Arcadia. I Greci la ten- gono per ispirata da’ Numi , e la
chiamano Temide ; (i) Tirseis delle di *opa J xvii. ma Carmeiita è delta nella
patria lingua da’ romani che scrissero le antichità di Roma: perocché la ninfa
avrebbesi a dir propriamente Tespi-ode con greca pa- rola : ma le odi chiamansi
carmi da’ Romani , e quindi è Carmenta : si consente poi che tal donna presa
dallo spirito divino presagisse , cantandole , le cose avvenire ai popoli. Non
venne quella spedizione di comun senti- mento; ma nata sedizione del popolo, la
parte inferiore, di voler suo si spatriò. Dominava di que’ tempi su gli
Aborigeni Fauno, un discendente come dicono di Marte, uomo di azione e di
prudenza , e riverito da’ Romani con sagrifìzj e con inni come un genio del
loco. Ricevè' costui con assai benevolenza gli Arcadi che erano po- chi , e
diede loro della sua terra , quanta ne vollero ; ed essi , come Temide gli avea
, vaticinando , ammae- strati , presero un colle poco lontano dal Tevere , il
quale ora è nel mezzo di Roma , e tanto vi fabbrica- rono , che bastasse alle
genti venute con le due navi dalla Grecia. Era questo il principio segnato dai.
destini per formare col volger degli anni una città , non pareg- giala mai da
greca o barbara città per grandezza di abitazioni, di comando, e di ogni bene,
e certamente memorabile soprattutto finché dureranno i mortali. Pal- lanteo
chiamarono quel fabbricato come la metropoli loro in Arcadia: ora Palagio è
detto da’ Romani per la confusione che inducono i tempi ; e ciò diede a molti
la occasione di stolte etimologie. XXIIl. Dicono molti , e tra questi Polibio
di Me- galopoli , che quel nome viene da Pallante, un giovi- netto ivi morto ,
nato da Ercole e da Cauna la 6glia Digitized by Google LIBRO I. 4? di Evandro:
perchè facendogli questo avolo materno in quel colle un sepolcro , chiamò '
Pallanteo , quel luogo dal giovinetto. Io nè mirai in Roma la tomba di Fal-
lante , nè conobbi che vi si praticassero funebri onori , nè potei conoscere
nulla di slmile : quantunque la fami- glia di lui non sia dimenticata , nè
priva del culto col quale i semidei sono venerali dagli uomini. Perocché vidi
che i Romani faceano gelosamente ogni anno pub- blici sacriGzj ad Evandro e a
Carmenta, come agli altri genj ed eroi : e vidi gli altari dedicali a Carmenta
appiè del Campidoglio presso la porta carmentale , e quelli dedicali ad Evandro
appiè dell’ altro colle detto Aven- tino , non lungi dalla porta trigemina ; nè
vidi intanto cosa ninna di queste latta inverso Fallante. Gli Arcadi i quali
coabitavano appiè del colle, eressero pure altri monumenti nelle forme della
patria , e santi riti v’ isti- tuirono ; ma per ispirazione di Temide, innanzi
lutti a Pane Liceo , Nume il più antico e più riverito tra quelli di Arcadia ,
in sito idoneo , che i Romani chiamano Lupercale , e noi diremmo Liceo. Ora
empiuto essen- dosi di abitazioni il suolo intorno ; non è facile rintrac-
ciarne la natura del luogo. Era questo , come dicono , appiè del colle, una
spelonca, vetusta , grande, coperta da una querce, ramosa qual bosco : profonde
bulicavano le fonti abbasso delle pietre ; e lo spazio appresso ai dirupi era
opaco per arbori , altissime e folte. Qui col- locando un altare a quel Nume
compierono il patrio sagriGzio , che i Romani , non mutando cosa alcuna delle
antiche allora fatte, ripetono ancora di presente dopo il solstizio d’ inverno
nel mese di febbrajo. La maniera del sagrìGzio sarà detta più innanzi. Ergendo
poi su le cime del colle un tempio alla Vittoria, stabi- lirono in questo
ancora annui sagriGzj che i Romani tributano ancora. XXIV. Gli Arcadi
favoleggiano che questa sia figlia di Fallante generata da Licaone : e Minerva
, fece , che ricevesse da’ mortali gli onori che le si rendono ; impe- rocché
fu essa educata colla Dea , giacché la Dea nata appena fu consegnata da Giove a
Fallante, e presso lui fu nudrita finché ascese alle stelle. Fondaronoancora un
tempio a Cerere ed il sagrifizio, che faceano le donne ma non usate al vino ,
com' era la pratica de' Greci : nel che 1’ andare del tempo non ha cagionato
muta- zioni , fino a miei giorni. E Nettuno Ippio ebbe pure il suo tempio e le
feste , dette Ippocratie da’ Greci , ma ConsucUi da' Romani: e Roma in esse
libera per uso dal travaglio cavalli e muli, e ne incorona le teste di fiori.
Consecraronu similmente altri tempj , altri al- tari, altri simulacri,
costituendo purificazioni e sacri- fici , ritenuti ancora ne’ modi medesimi. Né
già sarei meravigliato se alcune di queste cose neglette , come antiche troppo
, non avessero più ricordanza tra’ po- steri : nondimeno le consuetudini
presenti danno ancora assai da congetturare su’ riti arcadici d’ allora , de’
quali diremo altrove più pienamente. Dicesi che gli Arcadi recassero i primi
nella Italia 1’ uso delle lettere greche, note ad essi da poco , e la musica
della lira , della ti- bia e del trigono , non sonandosi ivi altri armonici
stromenti che le sampogne de’ pastori : e dicesi che vi introducessero le leggi
, vi raddolcissero le maniere del vivere , 6ere in gran parte , e che vi
diflondessero le arti , e le istruzioni , ed altre utili cose in gran nume* ro«
onde assai ne furono rispettati dagli ospiti. Questa greca moltitudine ,
seuouda dopo i Pelasghi , giunta nella Italia ebbe comune 1’ abitazione con gli
Aborigeni in uno de’ bonissimi luoghi di Roma. XXV. Pochi anni dopo degli
Arcadi vennero nella Italia altri Greci, guidati da Ercole il quale avea do-
mato la Spagna , e le parti , fiu dove il sole tramonta. Alcuni di loro ,
implorato da Ercole il congedo dalla milizia , si fermarono in questi luoghi ;
e trovando un colle opportuno , lontano al più tre sladj dal Pallanteo, vi si
accasarono : chiamalo alloca Saturnio , o Crònio come i greci direbbono , ora
si chiama Capitolino. Erano quei che rimasero per la più parte del Pelopon-
neso , io dico i F enueati , e gli Epei della EUide , di- samorati di viaggiare
in verso la patria, perchè deva- stata nella guerra con Ercole. Mescolavansi ad
essi al- cuni de’ Trojani &tti prigionieri quando Èrcole prese già Troja ,
regnandovi Laomedonte. E pormi che in quei luogo si annidassero ancora tutti di
quell’esercito , quanti o stanchi dalla fatica , o dal rigirarsi ottennero
levarsi dalla milizia. Alcuni , come ho detto , stimano antico il nome del
colle ; tanto che gli Epei gli si affezionarono nommeno in memoria del colle ,
Gronio chiamato nella Elide in su le terre di Pisa lungo le rive dell’ Alfeo.
Gii Elicsi riputando quel poggio loro sacro a Saturno vi si adunano in fìssi
tempi, e l’onorano con sacriGzj e con altro colto. Nondimeno Eusseno , ed altri
mitologi VIOlfJGT , tomo I. i 5o nr.Italiani pensano che i Pisani per la
simiglianza del Cro- mo loro dessero il nome anche all’ altro : che gli Epei
con Ercole erigessero a Saturno l’ altare che trovasi alle falde del colle
presso la via che mena dal Foro al Campidoglio : e che essi istituissero il
sagriCzio che i Romani v’ immolano ancora con greche cerimonie. Ma io ,
paragonando , trovo » che prima della venuta di Ercole nella Italia quel luogo
era sacro a Saturno , e Saturnio chiamavasi da’ terrazzani : e che tutta 1’
altra regione, che ora dimandasi Italia, era dedicata ancor essa a quel Nume, e
Saturnia nominavasi dagli abitanti, come trovasi detto nelle risposte date
dalle sibille o da altri Iddii. Eid in molti luoghi di questa sonovi de’tempj
alzati a quel Nume , ed alcune città da lui si denomi- nano , come allora tutta
la Italia: e portano ancora il nome del Dio molti luoghi, singolarmente i monti
e le rupi. XXVL Col volger degli anni fu detta Italia per un uom potentissimo ,
Italo nominato. Antioco di Siracusa lo dipinge per uomo destro e filosofo , il
quale convin- cendo molti popoli col dire e molti colla forza, ridusse in poter
suo quanto v’ è tra ’l golfo Napitino (i) e quello di Scilla : e quel tratto fu
il primo che Italia da Italo si dicesse. Dopo ciò scrive che divenuto più forte,
fece che molti altri gli ubbidissero; perocché mise il cuore su’confinanti , e
ne prese molte città: e scrive finalmente eh’ egli era Qenotro di nazione.
Ella- (l) Cluverio in tini. Aniiq. I. IV crede die deliba Irgf’ersi La- me/in*
in Tece di IVrpitino. Filoguno k di parere die Lamet città di Lucania desse
nome a questo golfo. Digitized by Google MBRO J. !) I iiko di Lesbo narra die
Ercole coiiJucevasi i bovi di Gerione alia volta di Argo , ma che essendo già
nell' I- talia il tenero figlio di una vacca spiccossegli dall’ ar- mento , e
profugo vi errò da per tutto ; finché solcalo il mare interpostp giunse nella
Sicilia : che cercando Ercole quell’ animale , e chiedendo ovunque capitava ,
se alcuno lo avesse veduto de’ paesani , siccome poco intendevano il greco , e
da’ segni lo chiamavano come aneli’ oggi si chiama nella patria lingua vitello
; cosi Vilalia chiamò tutta la regione da questo percorsa. Non è poi meraviglia
che uu tal nome si tramutasse com' è di presente ; mentre tanti greci nomi
eziandio subirono pari vicende. Ma , sia che prendesse quel no- me , come dice
Antioco, dal condottiero, il che forse è più probabile , sia ebe dal vitello
come pensa Ella- nico ; raccogliesi da ambedue che lo prese intorno ai tempi di
Ercole , o poco prima ; essendo chiamala iu- nanzi Esperia ed Ausonia dai Greci
, e Saturnia da [laesani , come di sopra fu detto. XXVII. Coutasi ancora tra
qne’ popoli la novella ebe innanzi al principato di Giove ivi Saturno regnasse:
e che tra loro più che altrove si avesse quella vita sì famosa , beata per
tutti i beni , quanti le stagioni ne apportano. Ma se alcuno risecando ciocch’è
di favoloso nel discorso , vaglia Intenderne la bontà di quella gioite , dalla
quale il genere umano , sorto di recente dalla terra , come è vecchia fama , o
d’ altronde , ne raccolse vantaggi moitissiini , e giocondissimi ; non tro-
verà [>cr tal fine suolo pili acconcio di questo. Iiiipe- rocciiè se
paragonisi una terra con altra di eguale gran- àezza , T Italia pei* mio
giudizio è la migliore neU' Eu- ropa, e dovunque. Non ignoro clie io sembrerò
dir cose incredibili a molti, i quali risguardano l’Egitto, la Li- bia , e
Babilonia , e quante altre vi sono beate contrade: ma io non pongo la ricchezza
della terra in una specie sola di prodotti , nè invidierei di abitare dove
pingui sono le campagne , nè vi si scorge altro bene se non tenuissimo: ma
quella regione chiamo la migliore la ^ale sia bastantissima a sé Stessa, e che
meno abbisogni deir altrui. Sono poi persuaso che la Italia paragonata con
altra qualunque, appunto sia la terra datrice di ogni frutto , e di ogni utile*
XXVIII. E certamente, se comprende campagne fe- lici e molte , non perchè madre
è di messi , è men propizia per gli arbori : e se vale assai per ogni genere di
alberi, non perchè tale, è poco ubertosa^ nel semi- narvi: o s’ è bonissima per
ambedue questi usi, non per questo è men propria pe’ bestiami : nè perchè varia
si dimostri ne’ prodotti e ne’ pascoli è disamena poi se vi si abita. Ma direi
che di ogni agio soprabbonda e di ogni diletto. E qual terra mai frumentaria
vince le terre dette della Campania, bagnate dalle acque non de’fiumi, ma del
cielo f Io vi contemplai campagne che davano tre raccolte nudrendo dopo i semi
del verno , quelli per la state , e dopo gli estivi , gli altri in 6ne per 1'
autunno. Quale coltivazione supera in olio quella dei Messapj , de’ Daunj , de’
Sabini e di altri? Qual mai suolo con vigne sorp rende più che il Tirreno,
l’Albano e il Falerno 7 il quale ama così le viti, che ne porge col tnen di
lavoro amplissimi frutti e bonissimi. Ma oltre le terre che si lavorano, ivi
molte pur se ue tro- vano, riservate per le capre e per le pecore ; ma più
mirabili ancora sono quelle da pascervi le mandre dei cavalli e de’ bovi:
imperocché soprabbondandovi l’erba palustre c dei prati , e riuscendovi fresca
e rugiadosa nelle parti che si coltivano , dan pascoli senza limite in tutta
l’estate , e mantengono in fiore gli armenti. Qual dolce spettacolo ivi sono le
selve per balze , per valli , per colli non culti , e di qnale e quanto
niateriale per le navi e per altre operazioni ì Nè già cosa alcuna di queste è
dilTìcile ad ottenerla , nè rimota dall’uso degli ^ uomic» : ma tutte sono
pianissime, e tutte facili a tras- mettersi per la moltitudine de’ fiumi , i
quali scorrono tutta la regione : e li quali con utile vi agevolano i tra-
sporti e le permute dei prodotti della terra. Vi si tro- vano ancora in più
luoghi delie acque calde , propriis- sime a’ bagni , e bonissime per le cure di
mali diu- turni. E metalli vi sono d‘ ogni genere , e cacce d’ani- mali in
copia , e mari fecondissimi , come pure altre cose moltissime ; e più utili e
più meravigliose. Benis- simo soprattutto ne è 1’ aere per la dolce sua
temperie secondo le stagioni, e poco opponesi con calori o freddi eccessivi al
formarsi de’ fratti , ed al vivere degli animali. XXIX. Non è dunque da
meravigliarsi che gli an- tichi prendessero quella terra per sacra a Crono , o
Saturno; concependo che questo Dio vi fornisse , e sa- ziasse i mortali d’ogni
bene. Ma sia che chiamisi Crono come da’ Greci, sia che Saturno (i) come
da’Romaui; (i) Stefano r fiasaubono credono ebr qui fosse nel testo K«^ac
Digilìzed by Google ìy!^ dkt.i.t; Antichità’ koma^e •omprenJeitilo ciascuno di
essi la natura tutta delle cose ; tu lo nomina come più vuoi. Nemmeno è da meravigliarsi
cbe contemplando in quella ogni abbon- danza e delizia , commoventissime cose ,
ne credessero ogni luogo più acconcio , degno degli Dei , com' era de’ mortali
; e li monti e le selve si ascrivessero a Pane, i prati e floridi luoghi alle
ninfe , e le rive e le isole ai geuj marini , ed ogni altra parte ad un genio o
a un Dio , come più couvenivagli. È fama che gli antichi im- molassero a Crono
umane vittime , come in Cartagine , ^ mentre esistè , come tra’ Celti , e come
in mezzo di altri occidentali ; e che Ercole volendo precludere U barbarie di
quel sacrificio, innalzasse l’ altare nel colle Saturnio, e facesse che vittime
pure vi si ardessero con puro fuoco. E perchè que' popoli non sen corucciassero
quasi spregiasse i patrj sacrifizj, è fama die gli ammo- nisse a placare l’ira
di quel Nume; e piuttosto che gli uomini gettare nel Tevere legati nelle mani e
ne’piedi , a gettarvi i simulacri loro , vestiti appunto com’ essi. Egli
serbava una immagine degli antichi costumi , per- chè si sterpasse alfine,
quanta superstizione, ' restava an- cora ne’ cuori. Conservavano i Romani tal
pratica ancor ucl mio tempo , rlnovandola poco appresso all’equinozio di
primavera nel mese di maggio nelle idi che chia- mano, le quali vogliono che
ricorrano il giorno aj>- punto , cbe è il ipezzo del mese della luna (i). In
questo il che «linde > «azieti , e bcDÌssiraa corrisponde alla pa- rola
Ialina di Saturno i e perh di sopra abbiamo usala il verbo sa- ziata. Crono poi
non h che il tempo ; cd il tempo lutto prepara , a di tallo ioruiicc ^li
iiooiini col suo corso. (i) 1 fiamapi «Inp» \nraa regolavano l’anuo sul corsa
delia Urna, . DD i ponteGci , vale a dire i primi tra’ sacerdoti , come le
vérgini , custodi del fuoco inestinguibile , i pretori , e gli altri che esser
possono all’ opera santa , dopo avere com- piuti secondo la legge il sagriGzio
, gettano del ponte sublicio nel Tevere, trenta simulacri in forma umana Argei
(i) nominati. Ma de’ sagriGzj e delle altre divine cerimonie^di Roma ,
nazionali o greche di maniere , diremo in altro libro ; richiedendo ora il
subjetto che più riposatamente seguitiamo Ercole nella sua venuta in Italia, nè
trasandiamo cosa da lui fattavi, degna di lode. ! XXX. E su questo Dio diconsi
delle cose , quali più vere e quali più favolose : e cosi stanno le favolose.
Ercole , oltre gli altri travagli , comandato da Eurisleo di condurgli da
Eritea li bon di Gerione in Argo , tornando dalla impresa in sua casa , venne
in molte parti d’ Italia e della terra degli Aborigeni, prossima ai Pallanteo.
E trovandovi copioso e buon pascolo , vi addusse i bovi, ed egli, quasi stanco
dalle fatiche, die* desi al sonno. Intanto un ladro paesano, Caco di nome,
capitò tra’ bovi , pascolanti senza custòde , e se ne in-' vaghi. Ben conobbe
che Ercole si riposava ; ma vide che> nè puteali tutti involare occultamente
, nè facile ne sarebbe la impresa. Quindi ne ascose pochi solamente ed il
principio della nuora luna era principio insieme del nnoT» mete. Di qui nasce
che faceano combinare te idi di maggia c«l plenilunio o col mezzo del mese
lunare. (i) Queste figure erauo di giuoco: si chiamavano Argei, qnsai rappreseiilasscro
tanti Argivi che si slarmioavann come nemici degli Arcadi. nell’ antro vicino ,
dov’ egli vivea , traendoveli via via retrogradi per la coda , perché
vedendovisi le pedate contrarie all’ ingresso , potesse render vano ogni argo-
mento sa di essi. Ma levatosi Ercole poco appresso , e numerati i suoi bovi ;
come vide che ne mancavano , dubitò su le prime, ove fossero andati , e li
cercò mano a a mano come erranti da’pascoli. Nè raggiungendoli ancora ; venne
alla spelonca sebbene sconsigliatovi dalle pedate , niente meno pensando ,
quanto che ivi ne ritroverebbe il covile. Standone Caco dinanzi l’entrata, e
richie- stone , dicendo non averle vedute , nè volere che ivi più si cercassero
; anzi convocando clamorosamente i vicini , quasi patisse violenza dal
forestiero ; Ercole , dubbioso in prima come istrigarsela , prende in fine a '
dirigere all’ antro ancor gli altri bovi. Ma non sì tosto quegli da entro
sentirono la nota voce e 1’ odore , la- sciarono verso gli altri di fnora un
muggito , e fu quel muggito r accusatore del furto. Caco, vedutosi reo ma-
nifestamente , ricone alla forza convocando tutti i suoi compastori. Ecco
Alcide investirlo colla clava , ed ucci- derlo e sprigionarne i suoi bovi: poi
vedendo, com’era la spelonca un refugio opportuno pe’ rubatori, la dirupò.
Quindi, parificatosi con Tonde del fiume dalla strage, inalzò presso quel luogo
a Giove ritrovatore un altare , ora visibile in Roma nella porta trigemina ;
sacrifican- dovi un vitello al Nume onde ringraziarlo su’ bovi ricu-, perati.
Roma porge ancora quel sacrificio, tutto con greci riti , come Ercole lo
istituì. XXXI. Gli Aborigeni e quegli Arcadi che abitavano il Pallanteo come
seppero della morte di Caco , c mirarono Èrcole , nemici già del primo per le
rapine, siu> pirano all’ aspetto del secondo , credendo non so che divino in
lui per la grande avventura sua nella vittoria. I poveri tra loro spiccando
ramnscelli di alloro , copioso in que’luoghi , ne coronarono Ercole e sè stessi
; ed accorrendo i loro monarchi lo invitarono ad ospizio. Come poi dal dir suo
ne conobbero il nome , il lignag- gio , e le imprese ; prolferivano a lui per
benevolenza il i-egno e sé stessi. Ed Evandro che anticamente udito avea da
Temide stessa, volere il destino che Erctde, il figlio di Giove e di Alcmena,
cambiasse per la virtù la natura mortale colla immortale , appena ravvisò chi
egli fosse, ansioso di prevenire tutti e di rendersi propizio l’eroe con gli
onori de’ Numi, alzò di repente con assai cura un alure , sacrificandogli dove
l' oracolo avea già significato, un giovenco, intatto ancora di giogo, e
supplicandolo a ricevere da lui le primizie di un culto. Meravigliatosi Ercole
delle accoglienze , tenne il popolo a convito, immolando parte de* bovi , e
separando per ciò le decime delle altre prede : poi donò a quei re che assai Io
bramavano , molte delle terre de’ Liguri ^ e di altri confinanti , cacciando da
esse alquanti ribaldi. Dicesi ancora che egli fe’ la ricerca , giacché i primi
de’ paesani lo tenevano per un’ Iddio , che gli perpe- tuassero quegli onori ,
sagrificandogli ciascun anno un giovenco non domo, e santificandone l’azione
con gre- che cerimonie : e dicesi che insegnasse queste a due famiglie le più
riguardevoli perchè vittime in tutto ac- cette gli si offerissero: essere poi
quelle de’Potizj e dei Pinarj , le famiglie allora istruite del greco rito , e
le loro generaziout aver lungo tempo continuata la cam de’ sagriiìzj , come v’
erano da colui depuute : talché i Potizj erano i capi nella santa operazione ,
ed aveano le primizie al bruciarsi delle vittime; laddove i Pinarj non
ammetteansi a parte delle viscere , e teneano sem- pre i secondi onori nelle
cose comuni ad ambedue. E cagione a questi della onorificenza minore fu la
tardanza loro nel presentarsi; giacché comandati di venire sul far del mattino
, giunsero essendo già consumate le viscere. Ora r incarico del santo ministero
non è più de’ posteri loro: ma di servi comperali dal pubblico. Dirò poi nel
suo luogo le cause per le quali il costume fu varialo , e le significazioni del
Dio quando i santi ministri si permutarono (i). L’ara ov’ Ercole offerì le sue
decime, chiamasi Massima da’ Romani , e trovasi presso al foro detto boario ,
veneratissima , quanto altra mai , da’ pae- sani : imperocché su questa fa
patti e giuramenti chiun- que vuole stabilità negli accordi ; e su questa si
offrono spesso ancora le decime a compimento de’ voti. Nondi- meno un tale
altare nelle fattezze è minore della sua gloria. Vi ha de’ tempj di questo Nume
altrove ancora in più luoghi d’ Italia ; e gli'altari ne sono per le città e
per le strade: e diffìcilmente trovcrebbesi una popo- lazione che non lo
adorasse. E questo ci tramandan le favole intorno di Ercole. (i) Il testo ove
DioDÌp spiegava tali cose è perito. Potrà veder- seue ciocché ne scrive Livio
oel libro nouo. Egli dice occorsa la mutaiioDc quando Appio Claudio esercitava
le funxinni di censore. Allora in un anno perirono dei Potizj trenta tnaschj
abili a rinovaro le famiglie , a cosi la stirpe virile corse al suo termine. Ma
il più vero è quest’ altro : e molti die scrissero le imprese di lui , cosi
nella storia lo delinca- rono. Ercole divenuto potentissimo in arme tra tutti
dei suo tempo, e postosi con esercito numeroso scorse tutta la terra cinta
dall’ Oceano , levando , se ce ne aveano , qualunque tirannide, grave e molesta
ai sudditi, e qua- lunque impero di città contumelioso e nocevole agli altri
vicini colla condotta dura e colle uccisioni ingiuste degli ospiti , e
stabilendo monarchi onesti , governi savj , c costumi socievoli ed umani.
Scorse ancora tra’ Greci e tra’barbari, neirinterno de’ mari e delle terre, in
mezzo popoli infidi , intrattabili : fondò città .su luoghi deserti, diresse
fiumi che inondavano i campi, aprì vie su monti impraticabili , e mille cose
fece onde i mari tutti e le terre si comunicassero ogni vantaggio. Giunse
finalmente in Italia ma non già solo , nè con mandre di bovi ; perocché non è
questa regione in senti«‘o per chi viene dalle Spagne in Argo , nè conseguito
ci avrebbe tanti onori per causa di un passaggio. Egli vi giungea dalle Spagne
conquistate, ma con esercito amplissimo per sot- toporsela , e dominarvi. Se
non che fu costretto a con- sumarvi gran tempo, e perchè lontana era la sua
fiotta, stanti le bnrrasche ree dell’ inverno , e perchè le genti d’ Italia ,
non tutte spontanee gli si abbassavano. E per non dire di altri barbari , i
Liguri , popolo numeroso e guerriero, posto ne’ passi delle Alpi, tentarono
d’impe- dirgli colle arme 1’ ingresso nella Italia , e là s’ ebbero i Greci battaglia
fierissima , esaurendovi tutti gli strali. Eschilo , poeta antichissimo ,
menziona questa battaglia nel suo Prometeo disciolto (i). Ivi inducesi Prometeo
(he presagisce ad Ercole non che le altre vicende , quelle che gli sovrastavano
nella spedizione contro di Gerione , e nella guerra co’ Liguri , certamente non
fo- cile : e questi ne sono li versi : À fronte là de" Liguri starai.
Imperterrita gente : onta e rammarco Non ti fa guerreggiarli , e per destino ,
Pugnanda , ti vedrai mancar gli strali. XXXIII. Ma poiché , vincendo , s’
impadronì di quei passi ; alcuni , specialmente se greci di origine , o non
valevoli a resistere , sottomisero volontai^' le loro città ; ma i più vi
furono astretti con le arme e con gli as- sedj. Quanto ai vinti in battaglia,
dicesi che Caco, quel si noto per le favole de’ Romani , barbaro principe di
barbara gente , gli si opponesse perchè dominava luoghi assai forti , il che lo
rendeva molesto ancora ai vicini. Costui poiché seppe che Ercole si accampava
ne’ piani contigui apparecchiatosi all’ uso de’ ladroni , appari con subita
scorreria su 1' esercito di lui che dormiva , e ne involò le prede , quante ne
erano senza guardia. i Ma rinchiuso poscia per assedio da’ Greci che ne
espugnavano le fortezze , finalmente anch’ egli soggiacque , e nel mezzo de’
suoi baluardi. 1 suoi castelli furono rovesciati; ed i compagni di Ercole ,
Evandro con gli Arcadi , . c Fauno con gli Aborigeni suoi pigliarono ciascuno
per (i) Eboliìlo sdisse il suo Proiueleo ignìfera, il suo Promeleo legato, ed
il Prometeo seioUo. Strabono nel lib. i , Ateneo nel 14 liarlarono dell’
ultimo. Il secondo ci resta ancora. I.'
6l 9Ò parte delle terre del vinto. Ma ben può taluno im- magnare che i Greci
rimasti in quella regione furono gli Epei , e gli Arcadi originar) della città
di Feneo , e li Trojani, lasciativi a presidiarla. Perocché tra le arti
imperiali di Ercole fu pur quella nommeno sorprendente che le altre , di
sospingere tra le sue milizie uomini divelti a forza dalle città conquistate ,
e di metterli al- fine , se animosi combattessero , ad abitare le terre in-
vase , arricchendoli dell’ altrui. Per tali cagioni , e non per II viaggio che
niente area di rispettabile , il nome e la fama di Ercole divenne grandissima
nell’ Italia. XXXIV. Aggiungono alcuni, che ne’ luoghi ora abi- tati ^a’Komani
egli vi lasciasse due suoi figliuoli gen^ retigli da due donne. Pallente era 1’
uno natogli da Launa (i) la figlia di Evandro: Latino è l’altro, natogli da una
donzella boreale. Egli la conduceva seco dataci dal padre in ostaggio , e
custodivaia finché candida si maritasse ; navigando però verso 1’ Italia ne fu
vinto dall’ amore , e la fecondò. Ma essendo egli ornai per tornarsene in Argo
concedè che si restasse sposa di F anno , re degli Aborigeni ; e per tale
cagione molti tengono Latino per figlio di Fauno , e non di Elrcole. Narrano
che PaUante morisse nel fiore primo degli anni: ma che Latino , adulto fatto ,
succedesse al comando degli Aborigeni : e che venuto lui meno senza stirpe
virile , il regno , per la battaglia co’Rutòli confinanti , restasse al figlio
di Anchise , vale a dire ad Enea, che (i) Quesu nel S Zini, precedeatemente è
chiamata Canna, ed ora « chiama Launa. Forse non k che la tanto nota Lavinia
detta da Greci Launa, Labina, Laiinia , o Laouinia. iliveuae suo genero'; ma queste cose accaddero
in altro tempo. XXXV. Ercole , ordinate come volea , le cose tutte d’Italia, e
giuntagli la flotta, salva dalle Spagne, ofTerl con sagrifizio agl’ Iddii le
dècime delle sue prede, e là , dove alloggiavasi la milizia navale , eresse una
piccola città , dandole il nome di sè stesso (i) , la quale ora albergaci
Romani, e giace tra Pompeiano e tra Napoli con porto sicurissimo per ogni
tempo. Cosi divenuto tra gl’ Italiani simile ad un Dio per gloria , per emu>
lazione , per onori , fece vela per la Sicilia. Gli uomini lasciali custodi ed
abitatori dell’ Italia , là , d’ intorno al colle di Saturno , si ressero un
tempo da sè stessi : ma non molto dopo compartendo i proprj costumi, le leggi,
i santi riti agii Aborigeni , come già fecero gli Arcadi, e prima i Pelasgbi ,
divennero coudttadini degli Abo- rigeni , talché sembrarono in (ine una gente
medesima. E questo sia dettò su la spedizione di Ercole nella Ita- lia , e su
quei del Peloponneso che vi restarono. Nella seconda generazione dopo la
partenza di Ercole , nel- r anno cinquautesimoquinto al più regnava su gli Abo-
rigeni ornai da trentacinque anni Latino il Aglio di Fauno il discendente di
quel magnanimo. XXXVI. In quel tempo i Trojani fuggendo con Enea da Ilio già
debellata approdarono a Laurento , .spiaggia degli Aborigeni in sul mare
Tirreno non lon- tano dalle bocche del Tevere. Ed avendo da’ paesani'uu luogo
per abitarvi, c quanto chiedevano, alzarono poco (i) (^uMia citi à di Ercole,
si crede dorè ora è la torre del Grt-cu nel gulfe di lungi dal mare in un colie
uqa città cui chiamarono Lavinia. Ma da indi ’ a non molto , cedendo 1’ antico
nome , ebbero quello di Latini dal re di que’ luoghi ; e levandosi da Lavinia
insieme co’ terrazzani fondarono una città più grande, Alba denominata. Donde
uscendo di tempo io tempo fabbricarono molte e molte delle città de’vecchj
Latini, abitate in grandissima parte ancor di presente. Sedici generazioni
'dopo la presa di Troja spedirono- una colonia nel Pallanteo , e nella Saturnia
, dove già fabbricato avcano i Pelopounesj e gli Arcadi , e dove erano pur le
reliquie di essi, e fecero che vi ^ abitasse. Allora cinto di mura il Pallanteo
prese la prima volta la forma di una città. Allora ebbe il nome di Ro- ma dal
duce della colonia , io dico da Romolo , dicias- settesimo tra’ posteri di
Enea. Ma , perciocché gli scrit- tori , parte ignorano, e parte ricordano
variamente quanto è della venuta di Enea nella Italia , non io vo' trattarne
come di fuga , ma prendendo ciò dalle storie , almeno più accreditate de’ Greci
e de’ Romani. Ora tali sono le cose narrate su quell’ argomento. XXXVII.
Espugnato ilio da’ Greci .sia per l’ inganno del cavallo di legno , come è
presso di Omero , sia pel tradimento degli Aulcnoridi , o per altra maniera ,
perirono in città la popolazione , e gli alleati , sorpresi ancora nelle camere
loro ; sembrando che la sciagura gii assalisse , non guardandosene , tra la
notte. Enea e con esso i Trojani venuti da Dardano c da Olrinio a soccorrere
gl’lliesi , c quanti altri conobbero in tempo la sciagura, che era preso il
basso della città, fuggendo a luoghi più forti di Pergamo occuparono il
castello , Digilized by Coogle 64 DELLE Antichità’ romane difeso da proprj
muri, ove, come ia saldissima parte, erano le sante cose di Troja , e danaro in
copia , in- sieme col fior dell’ esercito. Standosi colà respingevano chi
tentava di espugnarveli; ma per la perizia ne’ sot- terranei vi riceveano chi
vi si riparava dalia città già pigliata. Così più furono quelli che ne
scamparono, che non quelli che caddero prigionieri. Con tal metodo Enea
conseguì che l' impeto col quale i nemici ovunque infuriavano, non comprendesse
in un tempo ogni cosa. Poi calcolando nelle sue probabilità l’avvenire ,
siccome era impossibile conservare la città , perdutane già la più gran parte ,
si rivolse al partito di cedere le mura ai nemici, e di salvare almeno le
persone , e le sante cose della patria , e quanto potea trasportarsi di danaro.
Così deliberato , comandò che fanciulli , e donne, e vecchj , e quanti abbisognavano
di pausa nel fuggire , s’ incam- minassero intanto verso le cime dell’ Ida ;
mentre ~gli Achei tra T ardore di espugnar la fortezza non curereb- bero
d’insegnire la moltitudine che levavasi dalla città: destinò parte di milizie
in guardia di ehi si avviava perchè la fuga riuscisse più certa , e nello stato
presente men dura; avvertendoli insieme che occupassero i luoghi più forti
dell’ Ida. Intanto ( col resto dell’ esercito , ed era il più rilevante ) egli
persistendo su le mura , te- neavi dis’ ratti i nemici che le attaccavano , e
rendeva meno disagiato lo scampo ai suoi , che sfilavano : se non che salendo
poi Neptolemo co’ suoi la fortezza , e convocandovi d’ ogn’ intorno i Greci
perchè lo ajutas- sero; Enea finalmente si ritirò. Spalancate le porte , . 6 !)
deuominate perla fuga di tanti (i), anch’egli uscì per esse , ma in ordine di
batiaglia tra quelli che gli re- stavano , portando su di ottime bighe il
genitore , i pa- trj Dei , la sua donna , i figli , e quante v’ erano per- sone
, o suppellettili più riguardevoli. XXXVIII. Intanto gli Achei, presa di for/.a
la città , spaziandosi intorno la preda , lasciavano ai fuggitivi grande
comodità di salvarsi. Enea raggiungeva via via gli altri suoi, finché
raccoltisi tutti in un corpo, occu- parono i luoghi più forti deir Ida.
Sopravvennero ivi ancora quelli che abitavano in Cardano ; perocché ve- dendo
lanciarsi da Ilio fiamme copiose fuor dell' usato , abbandonarono tra la notte
insieme la loro città , leva- tine gli altri , i quali partirono prima coti
Elimo ed Egesto , avendosi apparecchiate delle navi. Poi vi giunse tutto il
popolo della città di Ofrinio , e vi giunsero dalle altre città Trojane quanti
aveansi cara la libertà , sicché in poco tempo la milizia vi divenne
grandissima. Ora questi', fuggiti con Enea dal cader prigionieri , tenen- dosi
in quei luoghi sperarono di rendersi dopo non molto alle patrie , appena i
Greui via navigherebbero : ma i Greci sottomettendo Troja e le adjacenze , e
de- vastandone le fortezze , apparecchiavansi a porre sotto giogo ì rifuggiti
ancora ne’ monti. E mandando questi gli araldi perchè desistessero , nè li
necessitassero alla guerra , si venne per le suppliche a trattative , e tali ne
furono gli accordi. Enea e li suoi recandosi tjuanlQ (i) ni/Asf ^vyciéits , porle
de' fu(;giiÌTÌ. s DIOAIGI t l. aveano salvalo nella fuga partissero in dato
tempo dalla Traode , e consegnassero le fortezze : i Greci in apposito ovunque
dominavano in mare ed in ter- ra , vi procurassero la sicurezza à Trojani che
viag~ giovano a norma de’ patti. Enea consentendo a lai leggi, anzi bonissime
riputandole per le circostanze ; manda Ascaiiio il più grande de’ figli con
banda di milizie per 10 più frigie , alla terra detta Dascilite ove ora è il
lago uiscanio, perchè invitatovi da’ paesani a prendervi 11 comando. Ascanio andò
, e vi stette ; ma non molto : perocché giugneudogli dalla Grecia Scamandrio e
gli altri Ettoridi , rilasciativi da Necptolemo , egli guidan- doli ne’ regni
paterni , si rimise in Troja. E tanto è quello che si narra di Ascanio. Enea
però com’ ebbe pronta la flotta , vj assunse gli altri figli , il padre , le
cose auguste de’ Numi , e navigò su 1’ Ellesponto alla penisola vicina,
chiamata Pallene, la quale giace dirim* petto di Europia (i). Ivi un popolo ci
avea , di Traci si , detto Cruseo , ma bellicoso e fidissimo tra quanti erano
gli alleati de’ Trojani nella guerra. XXXIX. Tale è il racconto il più
verisimile fatto da Ellanico , scrittore antichissimo , intorno la fuga di Enea
1 (i) Nel teilo si legge: ZufUTns Europa: ciocebè ha prodotto degli equivoci:
la vera lezione deve essere cioè di Europia la quale h regione della Macedonia
che prende nn tal nome dal fiume Europo. Pailene talvolta è detta ancora città
di Tracia, per- chè li Traci vi comandarono. Del resto essa è pib distante che
la Tracia a quelli che navigano dall’ Asia per 1’ Ellesponto. E Dionigi Den
propriamente 1’ ha chiamala vicinissima per questi, essendo tale pinitesto la
Tracia. Digitized by Gopgle là dove tratta delle cose Trojane. Se ne hanno
ancora degli altri e non simili in altre leggende , ma non si , come io penso ,
persuasivi. Decidane chi gli ode , come più vuole. Sofocle il tragico nel suo
dramma su Lao« coonte , esseudo già Troja in sul termine , rappresenta Enea che
va con le sue robe in sull’ Ida , seguendo i voleri del padre Anchise , pieno
dei ricordi di Venere, e mirando la distruzione ornai della patria ne’ freschi
portenti avvenuti su’ figli di Laomedonte. E tali souo i versi di lui ma
pronunziati da altra persona : £cco il fgliuol di tenere alle porte ; In dorso
ha il padre, a cui di [bisso pende Cerulea veste dalle spalle , tocche Dalla
folgore un tempo ; intorno intorno Gli fin turba i domestici , e le schiere Non
si grande però , come tu pensi , De‘ Frigi , amanti d’ aver sede altrove.
Menecrate di Zante fa saperci che Enea mise la patria nelle mani de’ Greci ,
tradendola per l’odio suo contro di Alessandro , e che gli Achei per tal merito
gli con* cederono che salvasse la sua casa (i). Egli comincia la sua storia
dalla sepoltura di Achille in tal modo. Erano gli Achei liete afflizione ,
sembrando a sè stessi co- me privi del capo della milizia. Nondimeno ergendo-
gli una tomba guerreggiavano di tutta lena ; finché Ti'P]a fu presa per
tradimento di Enea. Quest’ uomo, perche spregiato da Alessando , ed escluso
dagli onori (i) Piccolo dooo aozi nullo: raentte Enea aveva luLio questo, c più
ancora, sema il iradìmento: yorrei dire che Meuecraie non è savio , uel tulio
aluaeuo de’iUCt;outì , e quindi cUc poco stm» da aiifudarsi. sacerdolali ,
rovesciò la reggia di Priamo , e divenne per tali opere come uno de' Greci.
Altri però narrano eh’ Enea di quel tempo si trovava dove ferme si stava- no le
inavi trojane, ed altri che nella Frigia , spedi- tovi da Priamo con soldatesca
pe’ bisogni della guerra ; anzi evvi pure chi; assai piò favoleggia su la
partenza di Enea : ma ne senta ognuno come vien persuaso. XL. Le vicende di lui
dopo la partenza mettono più incertezza ancora in molti; perciocché taluni gui-
dandolo in Tracia dicono che ivi compiesse la vita ; e tra questi sono Cefalone
Gergitio, ed Egesippo il quale scrìsse intorno Pelleiie , antichi entrambi e
rispettabili. Altri ripigliandolo dalla Tracia lo sieguono 6no all’ Ar- cadia ;
e dicono che abitasse in Orcomeno di Arcadia , e nel luogo , che , sebbene
entro terra , cangiossi in isola , per le paludi e pel fiume , che le colonie
che ora chiamansi Cafie sursero per Enea e pe’ compagni , ma Gamie nominandosi
allora da Capi trojano. Sono questi racconti di varj e di Aristo che scrisse le
cose degli Arcadi. Novelleggiasi ancora eh’ Enea capitasse veramente in que’
luoghi , non però che in essi moris- se , ma nell’ Italia : e ciò da molti
attestali , come da Agatillo , Arcade poeta , nelle elegie scrivendo : Feline
in Arcadia e generò nell’ isola Con le due donne Antèmone e Codone , ■ Due
,/iglie ; e scorse nell' Italia , e quivi Del gran Romolo suo padre divenne. La
venuta di Enea e de’ Trojani nella Italia la sosten- gono tutti i Romani ; e
monumento ne sono le pratiche nelle feste e ne’ sagi'ifizj , i libri sibillini
, gli oracoli Pitici , e ben altre cose , le quali niuno trascurerà , quasi
aggiunte per ornamento. In Grecia ne restano tuttora molti indizj notissimi ,
come il porto nel quale approdarono , ed i luoghi ne’ quali si . trattennero ,
non essendo il mare navigabile. Siccome dunque sono tanti , io ne farò come
posso menzione , ma breve. Primiera- mente dunque vennero in Tracia approdando
alla pe- nisola detta Pailene , tenuta , come indicai , da’ barbari chiamati
Crusei , e v’ ebbero ospizio sicuro. Passando ivi r inverno edificarono in un
promontorio un tempio a Venere , e fondarono la città di Enea , dove lascia*
rono quanti non poteano pe’ disagi più navigare , o quanti voleano rimanere ,
vivendovisi come nella patria. Questa durò fino al regno de’ successori di.
Alessapdro , ma nel regno poi di Cassandro fu distrutta, quando sorse
Tes.salonica : e gli Eneati e molti altri passarono alla nuova città. , ; XLI.
Salpando da Pailene vennero i Trojani a Deio , ove Anio signoreggiava. E ,
finché - Deio fu popolata r e (lorida , molti erano gl’ indizj della venuta di
• Enea , e de’ compagni nell’ isola. Dalla quale navigando a Cite- rà (1) aUra
isola incontro del Peloponneso ’ vi edifica- rono un tempio a Venere. Da Citerà
tornandosi al mare e trovando morto non lungi varono i Trojani con Eleno.
Ottenuto l’ oracolo sulla nuova loro sede, offersero al Dio cose trojane , e
tra queste crateri di bronzo , de’ quali alcuni manifestano ancora con
iscrizioni antichissime gli oblatori : e quindi si ricondussero camminando
quattro giorni alle navi. Intendesi la venuta de’ Trojani a Butrinlo da un
colle ove accamparono , che ancora chiamasi Troja. Da Bu> trinto sospinti
lido lido Gno al porto detto, dopo un tal fatto, di uincitise ed ora chiamato
con nome men chia* ro (a), eressero ancor ivi un tempio di Venere : e pas-
sarono il mar Ionio avendo per guida della navigazione molli , che volontari li
seguitavano , e li quali menava- no con sé Patrone da Turi con la sua genie ;
ma li più di questi , giunta l’ armata nell’ Italia , tornaronsi alle patrie :
rimasero però nella flotta Patrone ed alquanti de’ suoi mossi a far causa con
Enea , nel cercar nuove sedi ; quantunque alcuni dicano che il domicilio
mettes- sero in Alunzio di Sicilia. In memoria di tal beneGzio col volger del
tempo i Romani donarono agli Acarnani Leucade ed Auaitorio , togliendole ai
Corintii ; e per- misero ad essi che lo bramavano , di rimettere ne’ pro- (i)
Regia dirimpetto a Corfb dalla qnale è lontana 13 miglia. (a) Il Casaubono
crede questo porto quello che da Tolomeo h chiamato Onchesmo, e da Strabone
Oochismo ; il quale incontra- Tasi dopo Butriuto e Cassiope ( ora Januia );
crede che in principio si chiamasse di Anchise , poi di Anchesmo , o d^i
Anchismo , e quindi men chiaramente , di Onchesmo , o di Oncbismo. Digilìzed by
Google 7^ nm.LE antichità’ romane prj averi gli Oniadi , e di godere in comune
con gli Etoli il frutto delle isole Ecliioadi. Calarono i compagni di Enea , ma
non tutti in un luogo a terra ; approdan- do coi più delle navi al capo japigio
, detto allora dei SalenUni ; e con le altre al lido , prossimo a quello
cliiamato di Minerva nel quale Enea stesso sbarcò. Era questo sito ancora un
promontorio ma con porto estivo denominato di Venere , appunto dopo quel
giorno. Poi navigarono , quasi col piè sulla terra , fino allo stretto di
Sicilia , lasciando, ovunque andavano, de’ monumenti, e tra questi là nel
tempio di Giunone, la caraffa me* fallica , la quale con antichissimo scritto
manifesta 4I nome di Enea che porgevala in dono alla Diva. XLIII. Fattisi ornai
vicini, eccoli nella Sicilia final- mente a Drepano , dir non saprei , se
portativi per di- segno di sbarcare, o se per le burrasche de’ venti, con-
suete in quel mare. Qui s’imbatterono coi compagni di Elimo e di Egesto fuggiti
prima di loro da Troja. Fa- voriti questi da’ venti propizj e dalla sorte, nè
gi'avati di molte bagaglio , erano in poco tempo approdati in Sicilia , e
fabbricato aveano intorno al fiume Crimiso in una terra che i Sicani aveano
amorevolmente ad essi ceduta , per essere Egeste nodrito già nella Sicilia e
congiunto col sangue di loro per questo Caso. Uno dei maggiori suoi , famoso
trojano , cadde nell’ ira di Lao- medonte , e quel re pigliandolo , certo per
una incol- pazione , lo uccise , uccidendo nemmeno tutta la stirpe virile di
lui perchè alfine non • sen vendicasse ; ma le vergini figlie giudicò bensì
cosa non degna lo ucciderle, ma uon sicura nemmeno a permettersi che si
accasassero. 73 eoa Trujani. Pertanto le diede a mercadanti con ordine che
lontanissime le portassero. Or queste rimovendosi navigò con esse un cospicno
garzone, il quale preso già dall’amore di una maritollasi , e trassela nella
Sicilia; e là dimorandosi nacque di loro il fanciullo Egesle nomi- nato.
Apprese i costumi e la lingua del loco : infine morendogli i genitori , e
dominando Priamo in Troja , brigossi per lo ritorno. E militò pur egli contro
gli Achei ; ma prendendosi ornai la città, navigò di nuovo per la Sicilia ,
fuggendo con Elimo su tre navi , usate già da Achille quando saccheggiava la
Troade , e poi da esso abbandonale perché
portn bello ^ o buono, ma nel co- dice Valicano ai La porto cattivo: il
che varia la àeuicuta quali finge Nettuno che presagisca la grandezza avvenire
«li Enea , come de’ posteri , con tali maniere : Ifo , non i dubbio ; la virtù
di Enea /leggerà li Troiani , e re^ranli Be’ figli i fgli, e chi verrà da loro.
G^ncependo da ciò , che Omero conosciuto avesse che questi regnavano nella
Frigia ; inventarono qnel ritorno di Enea, quasi fosse impossibile che abitando
nella Italia dominassero genti trojaue. Eppure ben poteano coman- dare a
Trojani già diretti nei viaggio e stabilitisi altrove: vi saranno forse altre
cause per le quali diasi a vedere r inganno. XLY. Che se alcuni sien turbati da
questo : che la tomba di Enea si dica e si additi in più luoghi , non potendo
in più luoghi esser lui tumulato ; riflettano es- ser tal dubbio comune su
molti uomini , specialmente su gli insigni per sorte , e vivuti sotto cielo
ognor va- rio : e sappiano che una è 1’ urna che accoglie i loro cadaveri, ma
molti tra le nazioni li monumenti per gra- titudine sul bene che vi operarono,
massimamente se tra quelle esistano stirpe o città che da essi provengano , o
se lungo vi fecero ed amorevol soggiorno. Or tali ap- punto conosciamo che
furono i casi che del nostro eroe si novelleggiano. Costui dopo aver operato
che Ilio nel- r esser preso non fosse totalmente distrutto , dopo aver operato
che gli alleati si ritirassero salvi in Bebricia che chiamano; lasciò sovrano
della Frigia 'Ascanio suo figlio, eresse in Pailene una città col nome di sé
medesimo , maritò la figlia nell’ Arcadia, e fissò parte de’suoi nella Sicilia
: e sembrando che segnalato avesse la sua dimora in più altre parti ,
beneficandovi ; ne acquistò la bene- vola propensione per la quale gli eroi
quando cessano la vita dell' uomo si onorano , e con pompa di monu- menti in
più luoghi. £ veramente quali altre cause mai potrebbe alcuno ideare de’
monumenti di lui nell’ Italia ? Ma di ciò sarà detto nuovamente secondo che le
materie de’ subjetti si dorran rischiarare. XLVI. Che poi l’armata trojana non
veleggiasse verso parti più remote di Europa, ne furono cagione gli ora- coli ,
i quali prendéano compimento appunto in quei luoghi, e la divinità che tante
volte avea rivelato, cioc- ché si volesse. Laonde approdati a Laurento alzarono
le tende in sul lido. Ma stentandovi su le prime per la sete , perchè il luogo
mancava di acque ; ecco vedonsi , ( dico ciò che ne udii tra’ paesani )
prorompere dalla terra spontanei rampolli di acque dolci , dalle quali fu tutto
abbeverato 1’ esercito , ed irriguo ne divenne quel campo , scorrendo co’
rivoli loro dalle sorgenti fino a gettarsi nel mare. Ora però non si le acque
abbondano che ne trascorrano , ma scarsissime , si restano in un cavo luogo ,
credute da’ paesani sacre al sole : e presso queste si additano due altari,
trojani monumenti, rivolto r nno all’oriente l’altro all’occaso, ove
favoleggiano che Enea facesse il primo sagrifizio in ringraziamento al Nume per
le fonti che scaturirono. Poi sedutisi in terra per desinarvi , posero i cibi
secondo molti su degli strati di appio come su le tavole ; ma secondo altri ,
per mondezza maggiore , li posero su focacce di farina : se non che finitisi i
cibi apparecchiati , prima 1’ urto , indi r altro mangiava già 1’ appio o le
focacce sottoposte ; quando com’ è fama , uno de’ Ggli , o certo della tenda
slessa di Enea disse : oh ! Gn le tavole ci divoriamo. Destossi all’ udir ciò
fra tutti un entusiasmo , uno stre- pito , come allora si compiessero i primi
oracoli che riceverono : essendo già fatto ad essi un presagio , in Dodona
secondo alcuni , o come altri dicono in En- tra (i) nelle vicinanze dell’Ida
ove sta la Sibilla, fatidica ninfa di que’luoghi. Questa annunziò loro che
navigas- sero verso /’ occidente , finché giungevano in luogo , dove sarebbero
mangiale le mense : e che prendesse- ro , quando vedeano ciò verificaio, per
guida un qua- drupede, e dove stanco del viaggio sdrajavasi, ivi fon- dassero
una città. Ricordevoli di quest’oracolo, chi per comando di Enea portava
custoditi com’ erano i simu- lacri de’ Numi dalle uavi a luogo destinalo , e
chi pre- parava basi ed altari per essi. Le donne accompagna- vano le sante
cose con ululati e con danze. InGne es- sendo già tutto pronto pei sacriGzio ,
i compagni di Enea stavano coronati intorno l’ altare. XLVII. E già questi
facevano de’ voti , quando la porca già pronta pel sagriGzio ,gravida nè
lontana dal parto , dibattendosi tra le mani de’ sacri ministri che la
tenevano, fuggissene in parti più remote del mare. Enea concependo esser questa
il quadrupede di cui 1’ oracolo signiGcò che sarebbe loro di guida le tiene
dietro , non (i) Vi ebbero pià Lrilre ; I’ una in Beoiia l’altra in Tessaglia;
(jui si parla della terza nella Jooia tra Llazomcns c Teon. Ma questa Krilra
non era poi cosi vicina dell’ Ida : il che fa vedere che il testo non è puro
abbastanza : seppure la idea di vicinanza non è qui relativa a distanze beo
grandi. Digitized by Google legni e cose
di rustico apparecchio su le quali appariva che dolentissimo ne sarebbe chi ne
era privato. In quel tempo Latino re guerreggiava co’ Rutoli , suoi vicini , ma
con poca pro- sperità nelle battaglie. In tale suo stato gli annunziano ,
esagerando le imprese di Enea : che un esercito di fo- restieri gli devastava
tutto il litlorale: che se non davasi presto a riutuzzarlo, avrebbe poi
manifestamente guerra più aspra con essi , che non co’ vicini. Temè Latino a
tal nuova , e ben tosto , sospesa la guerra presente , mosse con esercito
poderoso contro a’ Trojani. Ma ve- deudoli armali alla greca , intrepidi , in
buon ordine , aspettare il cimento , si arrestò , difGdando di poterli
sottomettere in un colpo , come avea già speralo nel moversi contro di essi. Ed
accampatosi in un colle pensò che dovevaiuuanzi tutto ricrear le milizie dalla molta
fatica , sostenuta nel lungo e coutinuo travaglio. Adunque ivi riposò quella
notte; ma disegnò di lanciarsi al fare del giorno sul nemico. Fra tali
risoluzioni un genio del loco venne a lui tra ’l sonno , e gl’ impose di
ammettere i Greci che venivano a grande utilità di Latino , e bene comune degli
Aborìgeni. Parimenti i Dei patrii, svelandosi tra la notte ad Enea, suggerivano
che inducesse Latino a concedergli spontaneamente una sede nel luogo che
bramava, e rendersi i Greci alleati, e non competitori nelle arme. Tal sogno
contenne l’uno e r altro dal cominciar la battaglia. E non si tosto fu giorno,
elle milizie mossero in campo; ecco gli araldi venire da ambe le parti ai
capitani per chiedere un vi- cendevole parlamento; e si tenne.* XLIX. Latino il
primo querelatosi della guerra im- provisa e non intimata , chiedeva ad Enea
che dicesse chi fosse , e con quale disegno invadeva e derubava que’ luoghi ,
non avendone mai ricevuto alcun danno , e non ignorando che gli assaliti
rispingono gli autori della guerra. E laddove tutto esibivasi a lui se moderate
ne erano le dimande, e potea rinvenire tutto nella cor- tesia degli abitanti ;
egli violando la giustizia comune degli uomini , voile impudentemente anzi che
da ono- rato , arrogarsi ogni cosa colla forza. Enea rispose : Noi siamo
Trojani di lignaggio , e veniamo da una città non ignota affatto tra Greci.
Essi espugnandola con gueira di dieci anni ce la tolsero ; ed ora vaga- bondi
ci rigiriamo , sema città , senza regione , ove prendere sede finalmente. Siamo
qui venuti seguendo i voleri de' Numi ; annunziandoci gli oracoli che que-_
Digitized by Gopglc LIBRO I. 8 I »ta è la tota terra che ci lascia come requie
da tanti errori, Abbiam preso dalle wstre terre quanto ri era bisogno ; Noi
provvedevamo anzi alla nostra infelicità che al decoro, lutto che non volessimo
far cosa meno di questa, come novizj in tai luoghi. Ma ne daremo copiose e
buone ricompense. Vi offeriamo i nostri corpi, le nostre anime, costumati
ahbaslanza ai tra- vagli. Comunque usar ne vogliale ; noi custodiremo come
inviolabili le vostre tene , noi ci lanceremo ad acquistarvi quelle de' nemici.
Noi vi supplichiamo che non ascriviate ad odio le cose operate; non avendole
noi fatte per ingiuriarvi ma dalla necessità violentati; e ciò che non è
volontario è pur degno di scusa. E se ora ce ne scusiamo , se ne imploriamo voi
sten- dendovi le mani supplichevoli; già non si conviene che ci destiniate
alcun male, Altrimente invocheremo gli Dei, invocheremo gli Genj di queste
terre perchè ci condonino quanto abbiamo fatto o necessitati faremo. Noi
tenteremo respingervi la guerra se ce la incominciate ; chè non è questa la
prima nè la massima di quante ne abbiamo sostenute. Latino ciò udendo sog-
giunse : Io sono propenso inverso di tutti i Greci e mi struggono il cuore i
mali necessarj degli uomini. E pregerei moltissimo di salvarvi se poteste mai
far- mi chiaro che qua venite bisognosi di una sede, per aver parte nelle
nostre terre e su quanto vi sarà dato per amicizia , non per involarmi colle
armi il coman- do. Se questo dir vostro è vero ; se ne dia , chiedo , la vostra
fede e se ne riceva la nostra : e saranno queste le mallevadrici pure de'
patii. Dtomet , Hmt r. s L. Enea encomiò
quel parlare ; e si giurarono tali patti tra i due popoli : Darebbero gli
Aboiigeiti ai Trojani quanta terra volessero in qualunque parte del colle ,
dentro il giro di cinque miglia da questo. Li Trojani entrerebbero a parte
della guerra che gli Abo- rigeni aveano tra le mani, e militerebbero con essi
in qualunque altra li chiamerebbero. Farebbero in co- mune ambedue col senno e
colla mano t utile vicen- devole. Stabiliti tali patti , e confermatili con gli
ostaggi, combatterono insieme contro le città dei Rutoli : e sog- giogando in
brevissimo tempo ogni cosa , presentaronsi ad ultimare la trojana città non
compiuta , e tutti con un ardore vi fabbricavano. Enea le diè nome di Lavi- nia
, come dicono i romani scrittori , dalla figlia di Latino, chiamata anch’ essa
Lavinia; e secondo alcuni de' greci mitologi dalla figlia di Anio re tra
Deliesi , Lavinia nominata ugualmente : perchè morendo questa nel primo
costruirsi degli edifizj, e datale sepoltura ap- punto nello spazio dove Enea
fabbricava (i), la città ne era il monumento. Dicesi che navigasse co’ Trojani
conceduta dal padre alle istanze di Enea , come donna di senno e di profezie. È
fama che i Trojani nel fab- bricare Lavinia ne avessero questi segni. Accesosi
jl fuoco da sè stesso in una valle, narrano che un lupo vi traesse colla bocca
e gittassevi aride materie ; e che (i) si spiega per infermarsi, travagliarsi,
quasi Dionigi dica che la donna fu sepolta dove infermava ; ma tal voce
significa ancora fabbricare e rende il senso pib acconcio e concorde. Altronde
non è facile che uno seppeliscasi nel luogo appunto o aiansa. o tenda dove si
ammala. Digitized by Gopgle LIBKO I. 83 no’ aquila volaado , Vi eccitasse le
(ìamtue col battere delb ale ; ma che una volpe in contrario si desse ad estinguerle
colla coda , bagnatala iu un Hume : e die ora vincendo chi accendeva ed ora chi
ammorzava, al> fine , prevalessero le due ale , partendosi la volpe senza
che nulla più vi potesse: che Enea da quello spettacolo conchiudessc , come la
colonia diverrebbe magniCca , meravigliosa , celeberrima ; darebbe il crescere
di essa invidia ed affanno ai vicini ; ma ne vincerebbe ogni ostacolo ,
ricevendo dagl’ Idùii fortuna più potente del- l’odio de’ mortali in
combatterla. Questi sono i portenti famosi , nati colla città : e per memoria
se ne custodi- scono ancora da tempo antichissimo in mezzo al foro di Lavinia
le immagini metalliche di quegli animali. LI. Poiché fu compiuta la città de’
Trojani entrò desiderio in tutti di giovarsi a vicenda ; e primi ne die- dero r
esempio i monarchi accomunando pe’ matriinonj il grado de* paesani e de’
forestieri , e sposando Latino la sua figlia Lavinia ad Enea. Quindi presi
ancor gli altri da brama eguale, dandosi in breve a gara 1’ uno all’al- tro
leggi , costumi , sacrifici , congiungendosi in città di cure e di consorzio ,
e divenendone tutti un corpo e chiamandosene Latini dal re degli Aborigeni ,
osser- varono con tal fermezza gli accordi , che uiun tempo mai più li divise.
.Tali sono le genti che vennero e si congiunsero, e dalle quali è la stirpe de’
Romani, pri- ma che si fondasse la città che otn gli alberga. Erano i primi gli
Aborigeni , i quali cacciarono dalle proprie .sedi i Sicoli 4 greci
antichissimi del Peloponneso , di quelli , io credo , spatriatisi con Eouotro
dalle terre ora Digilized by Coogle 84 DELLE Antichità’ romane dette di Arcadia
. erano secondi ì Pelasghi , usciti dal>' r Emonia , ora chiamata Tessaglia
: ed erano terzi quei che vennero con Evandro nell’ Italia dalla città del Pal-
lanteo. Si ebbero dopo questi gli Epei ed i Feneati del Peloponneso , militari
di Ercole , a quali si mescolava- no alquanti Trojani; e gli ultimi furono i
Trojani scam- pati con Enea da Ilio , da Cardano e da altre loro città. LII.
Che poi li Trojani ancora fossero Greci, prin- cipalmente di orìgine , usciti
un tempo dal Peloponneso fu già detto da molti , ed io pure lo dirò brevemente:
e cosi stà quel racconto. Atlante divenuto primo re dell* Arcadia che ora
chiamano, abitava intorno al monte detto Taumasio. Sette erano le figlie di
questo ora tras- ferite , dicesi , nel cielo col nome di Plejadi. Giove
sposandosi 1’ una di esse vi generò Giasone e Cardano: Glasoue si tenne celibe,
ma Cardano sposò Crise la fi- glia di Palante, e gli nacquero Ideo e Cimante, i
quali due regnarono nell’Arcadia, succedendo al trono di Atlante. Poscia
avvenendo il gran diluvio in Arcadia ; i campi ne divennero paludosi , nò più
coltivabili per lungo tempo. Gli uomini ridottisi ad abitare nei monti , e con
scarsi viveri, consentendo ad una voce che le terre intorno non erano più
bastanti a nutrirli , si divi- sero in due. Rimastisi gli uni nell’Arcadia
crearono so- vrano Cimante il figlio di Cardano > gli arltri partirono su
gran flotta dal Peloponneso ; e direttisi in verso di Europia giunsero al golfo
detto di Me lane , recandosi ad un* isola della Tracia , non saprei se abitata
allora o deserta , cui chiamarono Samo Tracia con nome com- posto dal duce e
dal luogo , per essere questo nella Digilized by Google usno I. 85 Tracia , e
Samone 1’ altro , figlio di Mercurio e di Re- ne , ninfa Gillenide. Ma non a
lungo vi dimorarono ; cbé non era ivi una facile cosa la vita , avendosi a lot«
tare con terre ingrate e mare disastroso. Adunque la- sciando un gruppo di loro
nell’ isola, li più se ne mos- sero nuovamente inverso dell’ Asia sotto gli
Auspicj di Bardano ; perocché Giasone era morto fulminato nell’ i- sola per
avervi appetito il concubito con Cerere. Ve- nuti al mare chiamato Ellesponto ,
e sbarcatine , abita- rono la terra detta poi di Frigia. Ideo con la parte da
lui retta della milizia di Bardano , abitò ne’ monti che • Idei si appellano da
lui , ne’ quali ergendo un tempio alla madre degl’ Iddii v’ istituì misteri e
sacrifici , du- revoli ancora in tutta la Frigia: e Bardano nella Troa- de che
dicono , fondandovi la città coi nome di sé me- desimo , e ricevendone delle
campagne da Teucro re , dal quale Teucria fu nominata la terra. Molti, tra’
quali Faiiodimo che scrisse delle antichità dell’ Attica , nar- rano che Teucro
ancora passasse dall’ Attica nell’ Asia , e regnasse in sul popolo di Zipeta ;
allegando su ciò molti argomenti. Quivi dominando egli campagna am- pia p buona
, ma non molto popolata , desiderò di ve- dere Bardano , e li Greci con esso
venuti , si per avergli alleati nelle guerre co’ barbari , sì perchè la sua
terra non giacesse deserta. LIU. Ora porta il subjetto eh’ espongasi da quali
Enea discendesse : ed io ciò laro ; ma brevemente. Bardano morendogli Crise la
figlia dL Fallante dalla quale avea due fanciulli , si sposò òon Batia la
figlia di Teucro. Di lei nacqn^li Elrittooio, creduto tra’ mortali felidssif
Digitized by Gopglc 86 dt:lle antichità’ eomane mo per la*cloppia eredità della
signoria paterna , come deli’ altra fondata dall’avo materno. Da Erittonio e de
Callii’oe figlia di Scamandro nacque Troe dal quale ebbe nome la nazione. Da
Troe e da Acalide fisiia di O Euniida sorse Assaraco : e da questo e da
Glitodora figlia di Laomedonte ebbes! Capi. Poi questo e la ninfa, Kaide
chiamata, generarono Anchise: e di Anchise e di Venere è figlio Enea. Cosi avrò
dichiarato che i Tro- iani siano Greci di origine. LIV. Su 1’ epoca della
fondazione di Lavinia scrivesi variamente : a me sembrano piò verisimiii quelli
che r assegnano all’ anno secondo dopo la partenza da Troja. Imperocché Ilio fu
preso nel fine della primavera , il giorno diciassettesimo prima del solstizio
estivo , mancan- dovi otto giorni a compiersi il mese Targhilione secon- do la
cronologia di Atene: e dopo il solstizio rimaneanci venti giorni a terminare quel
giro di anno. Pertanto nei trentasette giorni decorsi dopo quella presa io
stimo che gli Achei provvedessero su le cose della città , che rice- vessero le
ambascerie di quelli che erano usciti , e giu- rassero dei patti con essi.
Nell’ anno seguente e primo dopo la espugnazione , i Trojani salpando da quella
terra circa l’ equinozio autunnale passarono 1’ Ellesponto: e portati nella
Tracia ivi dimorarono quell’ inverno, rac^ cogliendo gli altri che giungevano
ancora dalla fuga, e preparando la navigazione. Levandosi dalla Tracia in sul
fare biella primavera tragittarono fino alla Sicilia dove riparatisi spirò
intanto quell’ anno : ivi spesero il secondo inverno fabbricando città con gli
Elimi. Ma divenuto il pela^ navigabile fecero vela dall’ isola , e Digitized by
GoogieLIBRO I. 87 valicando il mare Tirreno vennero finalmente sul mezzo della
estate a Laurento , spiaggia marittima degli Abo- rigeni , e presavi terra , vi
fabbricarono Lavinia mentre compievano 1’ anno secondo dopo la invasione di
Troja. Per tali detti sarà chiaro quanto io su ciò concepisco. LV. Enea
fornendo la nuova città di tempj e di altri edifizj i più de’ quali
persistevano ancora a’ miei giorni, alfine nell' anno seguente , terzo della
sua emigrazione , regnò ma su’ Trojani solamente. Morendo però Latino nel
quarto , ebbe anche il regno di questo si per 1’ af- finità sua con esso, di
cui Lavinia era la erede, si per essere lui già duce degli eserciti nella
guerra coi vicini. Imperocché li Rutoli si erano di bel nuovo ri- bellati da
Latino scegliendosi per capitano Turno un disertore di Latino , e cugino di
Amata , regia moglie di lui. Questo giovine alle nozze di Lavinia comccia- tosi
dell’ affine suo che tenesse anzi cura degli esteri che de’ parenti , e
sospinto da Amata e da altri , andò cM>lle milizie delle quali era capo , e
si congiunse coi Rutoli. E mossasi per tali richiami la guerra perirono in
battaglia vivissima Latino e Turno e molli altri ; trionfandone Enea. Da quell’
epoca ebbe questi lo scet- tro del suocero , e regnò dopo la morte di lui tre
anni ancora ; ma nel quarto morì combattendo : perocché gli uscirono contro
dalle loro città tutti in arme li Rutoli e Mezenzio re de’ Tirreni che per le
sue regioni te- meva , conturbato al vedere che la greca poteuza via via si ampliava.
Si dié la battaglia , ma fortissima non lungi da Lavinia; soccombendone molti
da ambe le parti, finché la notte sopravvenendo , divise gli eserciti. ENEA più
non apparve ; e chi lo disse trasferito Ira’ Numi , chi perito nel fiume ,
presso cui fu la pugna. I Latini gli eressero un tempietto iscrivendolo : del
Padre e Dio del loco il quale regge il corso del Jiume Numicio. Pur vi è chi
dice edificato il tempio da Enea per An* chise , morto P anno avanti tal
guerra. L’ edifizio è non grande : ma tiene arbori ordinatamente intorno degne
da vedersi. LVI. Passando Enea da questa vita , al più I’ anno settimo dopo la
presa di Troja , assunse il comando su’ Latini Eurileone , quegli che . nella
fuga intitolavasi Ascanio. Erano allora i Trojan! chiusi tra le mora , e la
forza nemica ognora più spaventava ; nè bastavano i Latini a soccorrere gli
assediati a Lavinia. Ascanio dun» que il primo chiese pace e condizioni onorate
ai ne» mici : ma non giovando la inchiesta , fu costretto ren» dersi pienamente
, e finire la guerra come il vincitore ne giudicasse. Ma siccome il monarca de’
Tirreni oltre le tante cose intollerabili comandava come agli schiavi che si
recasse ogni anno ai Tirreni quanto vino pro- ducerasi dalla campagna latina ;
cosi per la ìndegnissi» ma condizione Ascanio prima , e dopo lui li Trojani
dichiararono co’ decreti loro sacro' a Giove ogni frutto della vite. E
confortandosi gli uni gli altri ad impren- dere da valentuomini , e chiamando i
Numi a parte dei loro pericoli , si mossero di città ma tra notte non chiara
per luna. E sopravvenendo improvvisamente, presero in un subito il campo nemico
il più vicino alla città , ri- putato antemurale ancora delle altre milizie ,
perchè te- nuto su luogo forte e difeso dal fiore de’ giovani tir- Digitized by
Google LIBRO I. 89 reni , comandati da Lauso , figlio di Mezenzio, Intanto che
questo luogo espugnavasi le soldatesche attendate nei piani vedendo la luce insolita
, ed ascoltando le voci degli oppressi fuggirono ai monti. Ivi sorse fra loro
paura e strepito grande qual suole tra schiere mosse di notte , che apprendano
già già di essere assalite , ma nè ordinate uè provvedute abbastanza. I Latini
all’ opposito poiché vinsero per assalto quel presidio , e conobbero lo
scompiglio deir altra milizia , le furon sopra incal- zando e trucidando : e
questa non potea nemmeno sa- pere i suoi mali; non che pensasse ricorrere alla
forza. Quindi confusi , incerti che fare chi s’ avvia tra .dirupi e ne soccombe
, chi tra luoghi cavi ma senza esito , ed è preso. Li più non distinguendosi
tra loro si trattaro- no ira le tenebre a vicenda come uemicì ; e ben fu la
sciagi>ra micidialissima. Mezenzio occupato un colle con pochi , poiché vi
seppe la morte del figlio, quanto eset- cito gli fosse perito , ed in quai
luoghi ora si fosse iin tempo in cui fu costrutta la città , signora al
presente delle cose. Ma quali ne fossero i fondatori , con quali vicende
recassero la colonia , o le fondassero la città , molti già lo narrarono ,
discordandone alcuni in più casi. Io sceglierò da' monumenti le cose più
persuade- voli ; te quali sqn queste. LXYIl. Dopo che Amulio usurpò colla forza
la reggia di Alba eliminando dagli onori paterni Numitore il fra- tello. più
grande , scorse ad altre infamie col molto abuso dei diritti, macchinando
all’ultimo distruggere la stirpe di Numitore per timore di subirne la vendetta
, e per desideri^ di perpetuarsene il principato. E macchinando ciò da gran tempo
, notò primieramente dove recavasi alla caccia Egeste il figlio già pubescente
di Numitore, e, fattegli delle insidie nel meno visibile di que’luoghi , lo
uccisse appunto che inseguiva le fiere , dando opera che si dicesse poi , che
il giovine fu vittima de’ladroni. Ma tal voce artificiosa uon potè soffocare la
verità che . lacevasi; perocché molli ebbero cuore di palesarla , con pericolo
ancora. Ben conobbe Nunillore il successo ; ma tollerando con saviezza
bonissima fìnse non conoscerlo per differirne i risentimenti a tempo meno
pericoloso. Amulio tenendo la vicenda per occulta , fece ancora , che la figlia
di IVumitore detta Rea secondo alcuni , e poscia Ilia quando fu matura per le
nozze , si dedicasse al sacerdozio di Vesta perchè andando subito a marito noti
partorisse un vindice della sua gente. Dee iren- l’anni, e nommeuo rimanersi
candida da cose maritali lina donzella messa alla cura del fuoco
inestinguibile, o per altro religioso ministero serbato per legge alle sue
pari. Compieva Amulio tutto ciò co’ bei nomi di onorare c distinguere il
parentado : perchè non avevane egli introdotto la legge : anzi essendo già
praticata non astringeva il fratello, sicché la prima volta esso tra’ no- bili
si valettse di quelli onori. E pregiavasi tra g]i Al- bani che le donzelle più
nobili ministrassero a*\^esia. Ben vedea Numitorc che il fratello non facea Ciò
per amore del meglio: tuttavia non espresse l’ira* sua, ma tacque profondamente
ancora su questa ingiuria per .non esserne malmenato dal popolo. Dopo quattro
anni Ilia recatasi al bosco sacro di Marte ad attingervi limpide acque pc’
sacriGzj vi fu violentala da uno, dicono, de’ giovani innamorato della donzella
: o da Amulio non si per amori che per in- ganni , tutto in arme , e
travisatosi quanto poteva , onde essere terribilissimo a vedere. Molli però
novelleggiano che fu in persona il Nume del loco, acconciando a tal fatto varie
circostanze divine , e che il sole se ne ascose. I()3 e le tenebre si spnrsero in cielo.
Essersi ,la immagine di quel Dio presentata augusta più che la umana per la
mole e per la bellezza. Aggiungono che colui che aveala violata ( e da ciò
conchiudono che fosse un Id- dio) dicesse alla fanciulla che si consolasse, non
si afflig- gesse per la vicenda* essere a lei fatte le cose de’ma- trimonj
dall’ unirsele del genio del loco : ne partorirebbe due figli y potentissimi in
arme. Narrano che, ciò di- cendo , nna nuvola lo circondasse , e che spiccatosi
di terra , si elevasse per 1’ aere. Non è poi questo il luogo, ma bastino i
detti de’ filosofi , per discutere la sentenza da aversi su queste cose, cioè
se debbano dispregiarsi come opere umane imputate agli Dei, la natura de’quali
felice nè corruttibile non subisce niente d’ indegno ; o se debbano riceversene
le narrazioni , perchè 1’ universo è un composto di tutte le sostanze , tra le
quali haccene pure una intermedia tra la umana e divina , che ora mescendosi
agli uomini , ora ai Numi , genera la stirpe degli eroi. La donzella dopo la
violenza si diè per in- ferma : consigliatavi dalla madre per la sicurezza di
lei , come per la riverenza de’ Numi : nè più andava alle sante cose ,' ma se
dovea porgervi l’ opera sua , supplivano le vergini , compagne nel ministero.
LXIX. Amulio , sia che mosso dalla coscienza , sia che da’ concetti del
verisimile, spiava attentissimo le ca* gioni per le quali tcneasi tanto tempo
lontana da’ riti divini. E mandò de’ medici su’ quali fidava moltissimo : ma
pretestando le donne non essere un tal male da presentarsi ai maschj , mise la
moglie sua per guardia della fanciulla. Ma non si tosto colei gli accusò la in(loie
del male , conghietlurando da indizj muliebri , ignoti alle altre ; egli fe’
custodire co’ soldati la donzella: perchè il parto , ornai prossimo , non si
occultasse. £ chiamando a collocjuio il fratello , disse la violazione
recondita , dolendosi che i genitori vi stessero a parte con la fanciulla, e
comandò che non tacessero, anzi pub- blicassero il fatto. Asseriva Numitore eh’
egli udiva cosa incredibile: ma che egli era innocente in tutto, e chie- dea
tempo per chiarire la verità. £d ottenutolo a stento, poiché seppe dalla moglie
la cosa come erale narrata in principio dalla fanciulla , gli riferì la
violenza fatta dal Nume, e le cose dette su’ due gemelli, e dimandò che si
prestasse fede a tanto , se da quel parto nasceane la ]>role cora’ era presagita
dal Nume. Non essendo ornai lontano il parto ; egli non sarebbene deluso
lungamente : intanto esibiva donne in custodia della figlia, nè ricu- savasi a
prova ninna. Acconsentivano quanti erano in parlamento: Amiilio però diceva che
non aveaci punto di buono in que’ detti , e diedesi per ogni guisa a pci^ dere
la lànciulla. Intanto presentansi gl’ incaricati per invi- gilare su quel parto
, e narrano aver lei dato in luce due maschi. Insistè Numitore ben tosto in
dimostrare che a'veaci. r opera del Nume, e richiedÈva che oltraggio non si
facesse alla vergine incolpabile. Amulio nondimeno concepiva che ci avesse
della cabala umana anche nel parto mer desimo , con essersi procurato 1’ uno
de’ fanciulli da al- tra donua , ignorandolo o cooperandovi le custodi ; e
molto su ciò fu disputato. Come i consiglieri videro che il re piegavasi ad ira
inesorabile , sentenziarono an- eh’ essi , com’ egli volea ; che si applicasse
la legge , la quale ordina che uccidasi , battuta con verghe , la ver* gine
profanata nel corpo, e gettisi ciò che è nato da lei ndla corrente del fiume.
Ora però le leggi per le sacre cose prescrivono che tali donne seppelliscansi
vive. LXX. Fin qui la più parte degli scrittori narrano le cose medesime o con
picciolo divario , altri seguendo più la favola , ed altri la verisimiglianza.
Ben però discordano su ciò che vi rimane ; dicendo altri che la condannata fu
tolta immantinente di mezzo , ed altri che serbata in carcere oscura fe’
nascere nel volgo la idea della oc- culta morte di lei. Scrivono che Amulio a
ciò s’indu- cesse vinto dalla figlia supplichevole che chiedevagli in dono la
cugina ; già nudrite insieme , e pari di età vo- leansi il bene di sorelle.
Amulio che non avea se non quella figlia , gliela concedette ; nè più compiè la
morte di Ilia , ma tennela rinchiusa, nè visibile; finché fu li- berata col
morir del medesimo. Cosi le antiche scritture discordano intorno di Ilia , ma
tutte presentano un ap- parenza di vero ; e perciò ne ho fatta menzione. Chi
legge intenderà da sè stesso quale sia più credibile. Quanto ai figli d’Ilia
cosi scrive Fabio detto il Pit- tore , cui seguirono Lucio Cincio , Porcio
Catone, Cal- purnio Pisone, e la più degli storici. « Alcuni de’ mini- stri
prendendo per comando di Amulio i fanciulli, posti in un cestello, ve li
U'asportavano per gettarli nel fiu- me , lontano quasi cento venti stadii dalla
città. Ma co- me vi si approssimarono e videro che il Tevere per le pioggie
incessanti usciva dall’ alveo suo naturale in su i campi , discesero dalle cime
del Pallanteo fino alle acque più vicine ; uè polendo avanzarsi più oltre , deposero
il cestello appunto ove il fiume toccava , inon- dando le falde del monte.
Ondeggiò quello alcun tem- po ] ma poi ritirandosi la fiumana dalle parti più
ester> ne , il vasello percosse in un sasso , e deviatone , tra- volse i
fanciulli ^ che vagendo in sol fango si dimena- vano. Quando apparendo una lupa
, fresca di parto» e gonfie le mammelle di latte ne porse i capi alle te- nere
bocche de’ medesimi , tergendoli via via colla lingua dal loto onde erano
intrisi. Frattanto sopravvengono dei pastori che guidavano le greggi ai pascoli
; potendosi già per que’ luoghi camminare. Al vedere 1’ uno di essi come la
bestia carezzava que’ pargoletti , restossi estati- co per lo spavento e per la
incredibilità dello spettacolo. Quindi ( perciocché non era col solo dire
creduto ) an- dando, e raccogliendo quanti potea de’ vicini pastori, li con*
duce a mirare il portento. Approssimatisi questi, e vedendo come la bestia
molcea que’ pargoletti, e come i pargoletti usavano colla bestia quasi colla
madre , parvero a sé st«si presenti a celeste meraviglia : ma congregatisi e
proce- duti ancora più oltre tentarono col tuonare delle grida impaurire la
lupa. E questa non incrudita affatto dal giungere degli uomini , ma quasi
domestica fosse, riti- randosi passo passo da’ fanciulli, si levò ( mutoli
restan- done ) dalla vista de’ pastori , essendovi non lungi un luogo sacro ,
opaco per selva profonda , ove le fonti sgorgavano da pietre cave. Dicesi che
quello fosse il bosco di Pane ; ed un allare’per lui vi sorgeva. In que- sto
venne la fiera e si ascose. Ora il bosco non è più: ma ben additasi 1’ antro
dal quale scorrevano le acque , in vicinanza del Pallanteo , lungo la via che
mena al- } 107 r Ippodromo ( 1 ) :
scorgesi ivi prossimo un tempietto ov’ è j come effigie del fatto , una lupa
che offre a due fànciullini le poppe ; metallico e di antico lavoro è quel
monumento. Era questo luogo , com’ è fama , sacro per gli Ai'^ cadi che vi si
accasarono con Evandro. Allontanatasi la fiera , i pastori presero i
fanciulletti provvedendo che si allevassero appunto , come se volessero gli Dèi
che si conservassero. Era tra questi un placido uomo , il capo de’ regj pastori
, F austolo nominato , il quale trovavasi in città per alcun suo bisogno , nel
tempo che lo stu- pro vi si riprendeva ed il parto d' Ilia.' Dopo ciò men- tre
erano que’ teneri putti portati al fiume , egli nel tornare ài Pallanteo ,
tenne per incontro divino la stra- da medesima di quelli che li portavano. E
non dando vista di sapere principio alcuno del fatto , dimandò per sè que’
miserelli , e presili con voto comune , e recan- doseli , venne alla moglie. E
trovatala che avea parto- rito , e dolente , che il parto erale morto, la racconsolò,
e le diede que’ fanciulli da sostituirsi ; contandole dalle origini la vicenda
che li riguardava. Poi crescendo, chia- mò r uno di essi Romolo e Remo 1’
altro. Fatti adulti / non somigliavano per la bellezza dell’ aspetto e della
prudenza a pastore niuno di gregge immonde o di bo- vi , ma chiunque numerati
li avrebbe tra’ regj figli , specialmente tra quelli creduti di generazione
divina , come in Roma cantano ancora nelle patrie canzoni. Era la vita loro
fra’ pastori , e col travaglio la sostenevano, (i) Cirro oTc -garrpgiavasi col
corso Je’ cavalli. fissando per lo più
su’ monti e legni e canne in guisa che dessero in un tempo alloggio e tetto. Ed
ancora nel lato che dal Pallanteo piegasi verso l’ Ippodromo V sopravanza 1’
uno di questi abituri , detto di Romolo > cui guardano come sacro , ma nulla
vi aggiungono on-, de renderlo più venerando. Che se parte alcuna ne vi6a meno
per anni o tempeste , la suppliscono , riparando- la , quanto possono con
simiglianza. Giunti a’ diciotto anni ebbero dispute su de’ pascoli co’ pastori
di Numi- tore i quali tenevano i loro bovili sull’ Aventino , colle situato
rimpetto del Pallanteo. Ricbiamavansi spesso gli uni su gli altri, che
pascessero i campi non proprj , o soli si tenessero i campi comuni , o per cose
altrettali, se ne avvenivano. Davansi per tali dissidj colpfdi mani e di armi ;
e ricevendone da’ giovani assai li servi di Numitore , e perdendovi alcuni di
loro, ed essendone esclusi a forza dalle campagne, cosi macchinarono. Dis-
posero in valle occulta le insidie su’ giovani , e concor- dato con quei che le
disponevano il tempo di eseguirle , gli altri intanto andarono in folla alle
roandre de’ me- desimi. Romolo di quel tempo crasi co’ paesani più ri-
guardevoii recato alla città detta Genina per farvi a no^ me della comune i
patrj sacrifizj. Avvedutosi Remo della incursione volò per la difesa ,
prendendo in un subito le armi , e li pochi venuti a lui per unirsegli dal vil-
laggio. Non aspettarono quelli , ma fuggirono per tirar- seli dietro , dove
rivolgendosi a proposito gli assalissero. Ignaro della trama , seguitandoli
Remo lungamente , si ingolfò nel luogo delle insidie ; e le insidie proruppero
e li fuggitivi si rivolsero ; e circondando lui co’ seguaci . 1 09 e
tempestando co’ sassi , gli arrestarono, com’ era il co- mando de’ loro padroni
che volevano vivi que’ giovani nelle mani. Cosi 'fu Remo condotto prigioniero.Ma
Elio Tuberone uomo grave , e ben cauto nel tessere le istorie scrìve : che
avendo que’ di Numi- tore preveduto che i due garzoncelli erano per ofTerire a
Pane ne’ lupercali 1’ arcade sagriGzio come era isti- tuito da Evandro , tesero
gli agguati pel tempo appunto del santo ministero , quando bisognava che I
giovani , abitanti il Pallanteo, correswro dopo le oblazioni nudi per la terra
, e velati solo nel sesso con le pelli recenti delle vittime. Era questo un tal
rito patrio di espiazio^ ne , praticato ancora di presente. Standosi nel più
an- gusto de’ sentieri i nemici a tempo per le insidie su quei facitori di
sante cose , ecco venirsene ad essi la prima banda con Remo , seguitando più
tarda 1’ altra con Romolo per essersi la gente loro divisa in tre masse, e
distanze. Non aspettando quelli il giungere degli al- tri , dato un grido,
uscirono in folla sa’ primi, e cir- condatili , gl’ investirono > chi con
dardi e chi con sassi o con altro , comunque gli era alle mani. Sbalorditi
questi dall’ inaspettato assalto , e mal sapendo che fare , inermi contro gli
armati , furono assai facilmente arre- stati. Con tal modo, o con quello
tramandatoci da Fa- bio , divenuto Remo il prigioniero de’ nemici , fu tratto
in Alba. Romolo, al conoscere le ingiurie sul fratello, pensò dover subito
tenergli dietro col Bore de’ suoi pa- stori , quasi a ricuperarselo ancora tra
via : ma ne fu distolto da Faustolo che vedea la insania del disegno. Era F
austolo ancora tenuto come padre , avendo sempre occultato ai due garzoacelli i
loro primi tempi , perchè non si mettessero di slancio a’ pericoli , prima
della robustezza degli anni. Allora peiTò vinto dalla ne- cessità rivela , solo
a solo , a Romolo ogni cosa. E Ro- molo in udire tutta la sciagura che areali
involti 6n dalla nascita, impietosito per la madre venne in grande ansietà
verso di Nnmitore. E molto consultandosi con Faustolo conchiuse che doveva
allora contenersi da ogni impeto ; sorgere poi con apparato più grande di forze
a redimere la sua famiglia dalle ingiustizie di Amulio , e subire fin 1’ ultimo
rischio in vista de’ grandi risul- tati , operando col padre della madre ,
quanto egli nc risolvesse. LXXII. Stabilito ciò per lo m^lio , Romolo convo-
cando i paesani , e pregandoli a recarsi di subito in Alba , non però tutti io
folla , nè ad una porta perchè non si eccitasse in città sospetto di loro , c a
tenersi nel foro , pronti per eseguire , s’ incamminò per il pri- mo verso di
quella. Intanto quei che menavano Remo presentatolo ai regj tribunali , ve lo
accusavano delle in- giurie, quante ne aveano da lui ricevute, e vi addita-
.vano le ferite dei loro protestando che abbandonerebbero tutte le manche , se
non erano vendicati. Amulio vo- lendo fare cosa grata alla moltitudine accorsa
, come a Numitore, forse presente ad incolparlo per altri (i), volen- do la
tranquillità del paese, e stimando insieme sospetta la baldanza del giovane ,
imperterrito in sue parole ; lo ( i) Secondo Dionigi , Numitorc ignaro della
condiziona di lìcmti, lo accusava a nome de’ suoi clienti. . Ili .condannò con
rendere Numitore 1’ arbitro del castigo , e con dire che chi fa ree cose , non
dee rintuzzarsene da altri quanto da chi le ha sostenute. Intanto che Re- mo
era condotto con le mani addietro legate, ed erane vilipeso da’ pastori (i) che
sei conducevano Numitore postoglisi appresso ne ammirava la bellezza delle
forme che aveano molto del regio , e ne contemplava la no- biltà de’ sentimenti
, che egli conservava in mezzo an- cora a terribili cose , non volgendosi a far
compassione nè importunando , come tutti fanno in simili casi , ma procedendo
con silenzio maestoso al suo termine. Giunto in sua casa , Numitore fece che
gli altri si ritirassero , ed egli , solo con solo , chiese a Remo chi fosse ,
e da quali parenti ; non potendo lui , : ootal giovine , essere da ignobile
stirpe. E soggiungendo Remo quanto ne sapea dal suo nutritore. , come dopo la
nascita era stato esposto bambino nella selva col germano , gemello di lui ,
come raccolto da’ pastori fosse poi stato allevato ; colui , sospesone alcun
tempo , alfine , sia che in ciò vedesse
vole sospettando che egli non pensasse come parlava , cosi rispose : I
giovani , come è loro mestieri , vanno pasturando de' bovi pe' monti. Io men
veniva in no- me di essi cdla madre per dichiararle come stieno i loro fatti.
Ma udendo come tu fai guardare questa donna , io dirigevami a supplicare la
figlia tua perché a lei m' introducesse. E questo cestello , io recavalo meco
per certificare i miei detti. Ora poiché tur sei fermo di ricondurre qua li
garzoncelli , ne esulto ; e manda con me chi vuoi , che io dimostreroUi ,
perchè loro si annunzino gli ordini tuoi. Cosi dunque diceva per allontanare la
morte de’ giovani , e sperando egli insieme fuggire da quelli che sei menavano
, quando sa- rebbe ne’ monti. Amulio immantinente invia con esso i più fidi
tra’ suoi militari , ordinando però segretamente che afferrino , e gli rechino
quelli che il pastore dimo- strerebbe. Intanto deliberò chiamare il fratello e
farlo custodire , ma senza catene finché 1’ affare presente se gli acconciasse.
Lo chiamò dunque ma in vista ben di altre cose. Mosso l’ araldo speditogli ,
dalla benevolenza e dalia compassione de’ mali di lui che pericolava non tacque
i disegni di Amulio a Numitore : e questo ma- nifestando a’ giovani l’
infortunio che pendeva su loro , e confortandoli a farla da valentuomini ,
-andò alla reg» già tra le arme di clienti , di amici , e di non pochi servi
fedeli ; e lasciato il mercato pel qual erano venuti in città , vi andarono
ancora co’ pugnali sotto degli abiti i contadini, gente robustissima. £
forzando tutti con impeto comune l’ ingressa , non presidiato da molli , I. I l5 bea tosto uccisero Amulio , e presero
poi la fortezza. Cosi Fabio ne racconta su ciò. ' LXXV. Altri però giudicando
non convenirsi punto di favoloso alla storia dicono inverisimile che la
proje> zione de’ fanciulli non seguisse com’ era ordinata ; e di- cono che
l’amorevolezza della lupa che porge le- mam- melle ai fanciulli è piena di
comiche incoerenze. Rac- contano invece che Nnmitore al conoscere la gravidanza
d’ Uia , ne tramutasse poi nel parto i figliuoletti , sup- plendovene altri
nati di fresco ; e dandoli in fine ai cu- stodi della parturieute , perchè al
re li recassero. Sia che la fedeltà di questi fosse comperata con oro , sia che
la sostituzione fosse compiuta per mezzo di fem- mine ; ad ogni modo Amulio
prese ed uccise gli spurj; laddove i figli d’ llia cari più che ogni cosa a
Numito- re , furono da lui salvati, e consegnati a Faustolo. As- seriscono che
un tal F austolo era un Arcade , originato da’ compagni di Evandro , alloggiato
in sul Pallanteo colla cura degli armenti di Amulio ; e che condiscen- desse di
allevare i figli di Numitore , indottovi da Fau- stino (i) , fratello sno ,
presidente de’ bestiami di ]Vn- mitore i quali pascolavano per 1’ Aventino :
essere stata la nudrice , la esibitrice delle poppe sue , non la lupa , ma
com’^ verisimile la moglie di Faustino detta Lau- renza , e Lupa con soprannome
da quei del Pallanteo perchè prostituiva il suo corpo. Certamente era questo
(i) Questo nome si legge Tariaroenle. Plutarco io Rumalo Io chiama PUiacino.
Altri Io ha chiamalo Fausto: perchè tra Faustolo e Fausto siavi somiglianza
come tra Romolo e Remo : ed altri con molla con- fusione lo chiama Faustolo
come il fratello. il greco aatico ^ soprannome per le femmine le quali si
vendono ne’ riti di amore , e le quali ora con più gen- til nome, amiche si
appellano. E «quindi alcuni che ciò non sapevano ne tesserono la fàvola della
Lupa , cosi chiamandosi quella bestia tra’ Latini. Aggiungono che i fanciulli
slattati appena , filrono dagli aj loro man- dati a Gabio città non lontana dal
Pallanteo perchè vi prendessero greca istruzione ; e che nudriti colà presso
gli ospiti di Faustolo Gno alla pubertà furono ammae- strati nelle lettere ,
nel canto , e nell’ uso greco delle armi ; che rivenendo poscia ai padri loro
putativi bri- garonsi co’ pastori di Numitore intorno de' pascoli co- muni , e
li percossero , e gli allontanarono colle greg- gie : essere tali cose state
fatte col volere di Numitore perché si avesse un principio di ridami, ed una
causa onde la turba de’ pastori in città si recasse : che dopo dò Numitore fe’
lamentanze contro di Amulio , quasi per grave danno e ruberie de’ pastori di
lui ; diman- dando che se egli non avead parte, gli desse nelle mani il porcajo
, reo delia lite , e li Ggli di quello : che Amulio a rimuovere da sè quella .
incolpazione , ordinasse a tutti gli accusati , ed a quanti si dicevano essere
stati presenti al successo di comparire in giudizio per Numi- tore : che
insieme concorrendo molti altri sul pretesto di quella causa, Numitore dicesse
a’ nipoti quanta, scia- gura gli avea perseguitali : e dimostrando^ lui che
quella, se altra mai ve ne fu , quella appunto era 1’ ora della vendetta , iramautiuenle
volarono colla turba de’ pastori all’ assalto. E queste sono le memorie su la
origine e su la educaziouc de’ fondatori di Roma. Ecco poi le cose avvenute
nella fondazione: ciò clic mi resta anche a scrivere, ed ora mi vi accin- go.
Poiché Numitore col morirsi di Amulio riebbe il principato ; spese breve tempo
a riordinare su le anti- che maniere la città , già premuta colla tirannide , e
ben tosto fabbricandone un’ altra , meditava di crearvi anche un regno pe’
figli. Pareagli bello , essendosi il po- polo suo troppo moltiplicato , levarne
totalmente la parte almeno già sua contraria , per non più sospet- tarne. E
comunicatosi co’ figli , ed essendone questi di- lettati ; diè loro , perchè vi
regnassero , le terre dove erano stali allevati , e la parte del popolo
divenuta a lui sospetta , e disposta ancora per fare innovazioni , e quanti
voleano spontaneamente mutar sede. Ci avca tra questi , come per una città che
si mova , molti della plebe , e buon numero de’ più potenti , anzi pure dei
Trojani reputati più nobili , de’ quali esistevano ancora a’ miei giorni ,
almeno cinquanta famiglie. Diede a’ gio- vani danaro , arme , frumento ,
schiavi , bestie pe’ tras- porti , è quanto ricercasi per la fondazione di una
cit- tà. Poiché questi ebbero cavato da Alba il popolo loro, aggregarono ad
esso quanti rimaneano nel Pallanteo e nella Saturnia , e ne divisero tutta la
massa in due parti. Sembrava loro che ciò desterebbe dell’ ardore nella gara di
compiere più speditamente un lavoro ; quando fu causa del pessimo de’ mali ,
cioè di una sedizione. Im- perocché celebrando le due parli il suo capo ,
ciascuna lo inalzava come il più idoneo al comando di tutti: al-tronde li due
capi non più avendo una mente e non quella di fratelli , ma di soprastanti 1’
uno su 1’ altro , ornai non curavano 1’ eguaglianza , e moltissimo ambi'^
hivano. Celatasi fin qui , proruppe finalmente la loro ambizione per questo
incontro. Non piaceva ugualmente a ciascun d'essi il luogo per fabbricarvi la
città : vdleala Romolo sul Pallanteo per più cause , e per la prospe- rità del
luogo , essendovi stati salvati e nudriti : ma sembrava a Remo da edificarsi
nella sponda che ora da lui lìomoria si addi manda (i). Ben erane il luogo ac-
concio per una città , su di un colle non lontano dal Tevere , in distanza di
circa trenta stadj da Roma. Da tal gara appalesaronsi ben tosto le voglie di
soprastarsi; apparendo assai chiaro che qual, di essi prevaleva sul- r altro
dominerebbe ancora su tutti. Passato intanto alcun tempo, nè sceman. dosi punto
il dissidio , parve ad ambedue da rimetter- sene all’ avo materno , e si
recarono in Alba. E colui suggerì che lasciassero giudicare agli Dei , quale di
loro due desse nome e comandi alia colonia. E predestinan* do ad essi il giorno
, ordinò che si trovasserò di buon mattino separatamente ciascuno nel luogo ove
'bramava porre la sede : e che sagrificandovi prima secondo le usanze agl’
Iddii vi osservassero gli uccelli propizj : e qudlo di loro due per cui sarebbero
gli uccelli più fausti , quello comandasse la colonia. •! giovani lodato il
consiglio partirono , e trovaronsi poi nel giorno deci- sivo , appunto come
avevano convenuto. Prendeva Ro- molo gli augurj sui Pallanteo dove ujeditava
fissare la (i) Pesto con altri colloca Komeria nelle cime dell’ Arentino : ma
Dionigi sembra collocarla più lontana. Sarebbero mai state due que- ste Romnrie
, o Remurie t colonia : ma Remo nel colle contiguo , detto Aventino, o Romoria
, come altri raccontano. Erano con essi le guardie , perchè non permettessero
che alcuno de’ due dicesse altre cose che le vedute. Postisi ambedue nei luoghi
convenienti ; Romolo dopo un poco , per ansia, -e per invidia del fratello , e
più che per invidia , per impulso forse di un qualche Nume , innanzi di avere
osservato alcun segno , quasi il primo avesse veduto lo augurio lieto , spedi
messaggeri al fratello, perchè a lui ne 'venisse prontamente. Ma non
accellerandosi questi , perchè vergognosi di portare un inganno p intanto sei
avvoltoi , volandogli a destra , apparirono a Remo. Era costui lietissimo delia
veduta , ma dopo non molto gli inviati da Romolo , movendolo , sei menarono al
Pallaa" teo. Dove giunti , Remo chiedeva da Romolo , quali uccelli avesse
veduto : e dubitando Romolo come rispon- dere ; ecco dodici avvoltoi , propizj
col volo gli si mo- strarono. Inanimato al vederli disse, addiundoii a Re- mo:
che cerchi tu s pel tempio , e per gli usi del comune. Tale era la partizione
fatta da Romolo ne’ terreni e negli uo* mini diretta alla massima eguaglianza
comune. Vili. Ora dirò della partizione degli uomini per con- cedere privilegi
ed onori secondo la dignità di ciascu- no. Scevrò gli uomini cospicui per
nascita, o lodati per virtù , o comodi secondo quel tempo per danaro , pur- ché
avessero prole , dagl’ ignobili , dagli abietti e dai bisognosi. E plebei
nominò quelli di sorte deteriore , che il greco appellerebbe dimolici ; ma intitolò
padri quei di fortuna migliore sia che per la età maggioreg- giassero su gli
altri , sia perchè avessero figli , sia per la chiarezza della prosapia, sia
per tutte queste cagioni ; pigliando , come può congetturarsi , 1’ esempio
dalla repubblica degli Ateniesi , quale esisteva in quel tem- po. Imperocché
questi chiamavano Eupatridi principal- mente o patrizj li più distinti per
nascita , e più potenti per danaro , a’ quali afQdavasi la cura della
repubblica : e chiamavano agrici , o rustici gli altri che di niente eran
arbitri sul comune: ma col volger degli anni fu- rono ancor essi elevati agli
onori. Per tali cagioni di- cono gli scrittori più credibili delle cose romane
che Padri fossero nominati que’ valentuomini , e patrizj i squadre de*
cavalieri erano divise in decurie come i chiaro da Var- rooe e da Polibio. li. i35 loro discendenti. Ma coloro che
guardano 1’ affare con occhio d’ invidia , e malignano su le origini vili di
Ror ma , non dicono che i patrizj avessero questo nome per tali cagioni , ma
perchè soli potevano additare gli autori della loro generazione ; quasi gli
altri non fossero che vagabondi, o senza liberi padri. E davano per sicuro
argomento di ciò , che quando piaceva al re di convo> care i patrizj , gli
araldi gl’ intimavano pel nome loro e per quello ancora de’ padri ; laddove
pochi banditori invitavano alle adunanze i plebei rinfusamente col buc- cinare
de’ corni da bove : ma nè la intimazione per mezzo di araldi è buon segno degl’
ingenui natali , nè il snon della buccina è simbolo della ignobilità de’plebei:
ma la prima recavasi per onorificenza ; spandevasi l’altro per compendio ; non
riuscendo invitare in poco tempo a nome tutta la moltitudine. IX. Poiché Romolo
segregò li più degni dai men ri- guardevoli , ordinò per leggi le incombenze
degli uni e degli altri. Adunque stabili che i patrizj intenti con esso alle
cure pubbliche fossero i sacerdoti , i magistrati , i giudici , ma che li
plebei , liberi da tali sollecitudini per la imperizia e per la penuria ,
lavorassero le terre , al- levassero i bestiami , ed esercitassero le arti
mercenarie, perchè non sorgesse fra loro sedizione, come in altre città ,
quando gli uomini di grado spregiano gli igno- bili , o quando i vili c poveri
invidiano la preminenza degli altri. Affidò , qual deposito , a’ patrizj i
plebei , concedendo a ciascuno di questi di eleggersi liberamente tra quelli un
patrono. Greca antica consuetudine era questa ritenuta lungamente da’ Tessali ,
e dagli Ateniesi quando ancora
conoscevano il meglio : ma poi declina** rono al peggio, ed insolentirono su’
clienti; comandando loro cose non degne di uomini ingenui, minacciandoli di
battiture se non ubbidivano, ed abusandoli con altre maniere , quasi schiavi
comperati- Gli Ateniesi chiama- vano Thitas pe’ servigi che rendevano , i
Clienti , ed i Tessali li chiamavano Ponesti (i) vituperandone fin col nome
stesso la condizione. Ma Romolo fregiò con nome conveniente , chiamandola patronato
, la garanzia de’ bi- sognosi e degl’ infimi : e date all’ uno ed all’ altro
utili cure , ne rendè la congiunzione benevola veramente e cittadina. X. Le
obbligazioni stabilite da lui sul patronato e conservatesi lungo tempo tra’
Romani erano queste: do- veano i patrizj informare i clienti della legge che
igno- ravano , doveano prender cura di loro ugualmente, fos- sero o no presenti
, e far su di essi come i padri su’ figli, quanto alla roba , ed ai contratti
su la medesima ; mo- vendo liti pe’ clienti se altri ne era danneggialo , su
contratti , e subendola , se altri la moveano. E per dir molto in poco ,
doveano proctware. ad essi tutta la ti'an- quillità della quale abbisognavano
nelle cose domestiche e nelle pubbliche. I clienti a vicenda se i patroni scar-
seggiavano di beni doveano coadiuvarli , maritandosene le figlie : doveano
riscattarli da’ nemici se alcuno di essi (i) Diouigi qui paragona i clienii
Romani, i TMti drgli Ateniesi ed i Penesti dei Tessali : ma i Thili erano
almeno liberi , e servi- vano per la miseria o pe' debiti. 1 Penesù dei Tessali
erano un in- termedio tra gli schiavi e gli uomini liberi. Non era cosi de’
c.ieuti Romani. Questi non di raro parteggiavano o superavano la fortuna
dc'pauoui. ir. 187 o de’ figli rtmaDeva
prigioniero : pagare del proprio per loro non a titolo di prestito , ma di
gratitudine le liù perdute , e le pubbliche multe tassate in moneta : e con-
correre quasi ne spettassero alle famiglie , nelle spese di essi per le
magistrature , per gli onori , e per le altre pubbliche dimostrazioni. Quanto
ad ambedue poi non era lecito o giusto pe’ clienti o patroni che gli uni ac-
cusassero gli altri ; che si dessero testimonianze e voti contrari ; o si
lasciassero cercare gli uni per nemici degli altri. E se alcuno era convinto di
aver fatto l’opposito, soggiaceva alle leggi di tradigione promulgate da Ro-
molo : ed era per chiunque santa cosa lo ucciderlo , come vittima a Dite ;
costumando i Romani di consa- grare agl’Iddj , spezialmente infernali , le
persone alle quali volevano impunemente dare la morte, come fece allora anche
Romolo. Adunque perseverarono per molto tempo tramandandosi da figlio Jn figlio
le congiunzioni dei patroni e dei clienti, senza che niente differissero dai
ligami strettissimi di parentela. Ed era gran lode per uomini d’ inclita stirpe
aver clienti in più numero , cu- stodendo i patrocini lasciati loro dagli
antenati , ed acquistandone altri ancora colla propria virtù. E mera- vigliosa
era la gara di ambedue per non lasciarsi vin- cere gli uni dagli altri nella
benevolenza ; proferendosi li clienti a far quanto potevano verso de’ patroni ;
nè volendo i patrizi dar loro molestia con riceverne da- nari in dono. Così era
tra loro il vivere condito con ogni diletto ; e . la virtù non la sorte era la
misura della felicità. XI. Non solamente poi vivea sotto l’ ombra de’ patrizi
i38 la plebe di Roma; ma quella delle colonie di lei, quella delle città
confederate ed amiche , e quella ancora delie conquistate colle armi tenevasi
per custode e protettore qual più voleva de' Romani. E più volte il senato ri-
mettendo ai protettori le controversie di città e di na- zioni confermò le
sentenze date da essi. Anzi era tanta la concordia de’ Romani cominciando dall’
ora che Ro- molo ne fondava i costumi , che mai per secento venti anni
tumultuarono con stragi e sangue, sebbene nasces* sero intorno del comune molte
e gravi dispute tra la plebe e li magistrati , come nascono in tutte le città ,
picciole o popolose : ma illuminandosi , e persuadendosi a vicenda , e parte
concedendo , parte ottenendo racche- tavano le interne dissensioni. Dacché però
Cajo Gracco, divenuto tribuno , sconvolse 1’ armonia della città , non cessano
dal sopraffarsi colle stragi e con gli esilj ; nè risparmiano misfatto per
vincersi. Ma per dir tanti mali avrem poi luogo più acconcio. XII. Ordinate
tali cose , ben tosto Romolo deliberò di creare i consiglieri co’ quali
dividere le pubbliche cure , e trascelse cento de’ patrizj cosi facendone la
se- parazione. Prima nominò fra tutti il più idoneo , a cui si afBdasse lo
stato , quando egli coll’ esercito uscireb- bene dai confini. Quindi prescrisse
a ciascuna tribù di scegliersi tre uomini , savissimi per età come insigni per
nascita. Fissati questi nove impose ancora che ciascuna delle curie eleggesse
tre li più opportuni fra li patrizj. Infine unendo ai primi nove dichiarati
dalle tribù li novanta determinati col voto delle curie , e facendo pre-
sidente di tutti quell’unico prescelto da lui ; compiè la Digitized by Google
LIBRO II. 1 39 serie di cento consiglieri. Potrebbe il consesso di «pesti
signiBcare tra’ Greci un senato , e con tal nome chia- masi appunto tra’
Romani. Nè io saprei deGnire se un tal nome se lo acquistasse per la età senile
, o per la virtù dei membri che vi furono incorporati. Certo so- lcano gli
antichi dir seniori i più maturi negli anni e nelle opere. Quanti ebbero luogo
in senato furono chia- mati e si chiamano ancora Padri Coscritti. Greca
isti-tuzione era questa : perocché quanti regnavano , sia pei^ chè succeduti a’
diritti paterni , sia perchè nominati capi dalla moltitudine, aveano un
consiglio di ottimi uomini, come attestalo Omero , e poeti antichissimi : nè le
mo- narchie primitive de’ principi erano, come ora , assolute, e Gsse agli
arbitrj di un solo. XIII. Ordinato il consiglio de’ cento seniori, vedendo che
egli avea bisogno di una gioventù regolata da usarla in guardia del corpo suo ,
come per incumbenze di af- fari pressanti , unì trecento i più robusti delle
più in- signi famiglie. Le curie nominarono ciascuna dieci di questi giovani
come aveano nominato li senatori ; ed egli tenea sempre con sè tali uomini. E
tutti , panti erano stabiliti in quella schiera , aveano il nome di Ce- leri ,
come dai più si scrive , per la speditezza ne’ loro servizj ; chiamandosi
Celeri dai Romani gli uomini pronti e spedili nell’ operare. Ma Valerio Anziate
dice che lo derivarono dal duce loro , Celere nominato. Era un tal duce
riguardevolissimo nel suo grado ; ed a lui ubbidi- vano tre centurioni , ed a’
centurioni altri capitani mi- nori. Questi lo accompagnavano per la città colle
aste, pronù ai suoi cenni: ma nel campo erano propugnatori e custodi : e spesso
dirigevano a buon fine ia battaglia,- primi a cominciarla , ed ultimi a
levarsene. Combatte- vano, dove il luogo consenti vaio , a. cavallo; ma appiè,
dove era aspro , nè proprio da cavalcarvi. Sembrami cbe un tal uso lo derivasse
da’Lacedemoni coll’intendere die tra quelli vegliavano alla custodia dei re, e
li pro- teggevano nelle guerre giovani generosissimi, buoni per militare a
cavallo ed appiede. XIV. Composte in tal modo le cose , comparti gli onori ed i
poteri cbe volevano in ciascuno ; presceglien- done tali primizie pe’ monarchi.
Volle dunque cbe avesse il -re primieramente la presidenza de’ templi e de’
sagri- fizj , e che tutte per lui si compiessero le sante cose in verso de’
Numi : cbe fosse il custode delle leggi e dei patrj costumi: che avesse cura
dei diritti provenienti dalla natura o dai patti : che esso giudicasse delle
in- giustizie capitali ; ma rimettesse il giudizio su le altre ai senatori , e
provvedesse che niente si peccasse ne’ tri- bunali: cannasse il Senato, convocasse
il popolo, e pri- mo vi dicesse il parer suo , ma seguitasse quello dei più.
Tali sono le prerogative che egli riservò pe’ mo- narchi, oltre quella di un
comando indipendente nelle guerre. Al consesso poi de’ senatori attribuì questi
onori, e questa autorità : cioè , che esaminassero le cose che il re
proporrebbe , e ne votassero , ma vi prevalesse la sentenza dei più. Trasse
quest’ uso ancora da' Lacede- moni : perciocché li re de’ Lacedemoni non si
pre- ponderavano da fare a lor modo , ma l’ autorità su-t prema terminavasi nel
senato. Lasciò da ultimo al popolo il potere di eleggere i magistrali , di
appro- , l4l Tare le leggi e discutere intorno la guerra quando al re ne
paresse, non però deOnitivamcnte se contrario tosse il senato. Il popolo dava i
sufTragj non tutto in un corpo , ma convocato per curie ; e riferivasi poscia
al senato ciocché le più sentenziavano. Ora cangiata è la consuetudine ;
imperocché non è il senato che ratifica le sentenze del popolo ; ma il popolo è
1’ arbitro delle sentenze, del senato. Io lascio , che chi vuole esamini quale
di queste due consuetudini sia la migliore. Con tali scompartimenti le cose
civili prendeano marcia savia e regolata , e le militari altresì la prendeano
docile e pronta. Imperocché quando fosse piaciuto al re di muo- ver l’ esercito
, non aveansi a creare i tribuni dalle tri- bù , nè li centurioni dalle centurie
, nè li maestri dai cavalieri ; nè restava àd alcuno di essere coscritto , o
scelto , o di ricevere il posto che gli conveniva. Ma il re intimava i tribuni
, e li tribuni i centurioni. All’ av- viso di questi ciascuno dei decurioni
cavava i soldati , subordinati a sé stesso. Così per un solo comando la
milizia, secondo che era chiamata , in parte o del tutto, presentavasi colle
arme al luogo destinato. Xy. Romolo abilitando la città pienamente per la pace
e per la guerra con tali istituzioni , la rendè con esse grande e popolosa :
obbligò primieramente gli abi- tanti ad allevare tutta la prole virile, e le
primogenite delle femmine , con ordine che non uccidessero niun in- fante più
recente di tre anni , se pure non era storpio, o mostruoso fin dalia nascita.
Tali sconci bambini non proibì che via si esponessero , se presentatigli a
cinque uomini dei più vicini , vi consentissero. E per chi vio- Digitized by
Google i43 delle Antichità’ romane lasse questa legge stabili fra le altre pene
la con6sca di una metà delle loro sostanze. Considerando poi che molle delle
città d’ Italia erano miseramente premute dalla tirannide di uno o di pochi;
procurò di ricevere e di tirare a sè li tanti che ^ne fuggivano , purché fos-
sero liberi , senza esaminarne i pregiudizi , o la sorte , e tutto per ampliare
la potenza romana , e diminuire quella de’ vicini. Adunque fe’ ciò cogliendone
una bella occa- sione su le apparenze di onorare gl’ Iddi!. Fondatovi un tempio
, non saprei deci ferace a quale de’ Numi , o dei genj , dichiarò come asilo
per chi ricorrevaci il luogo tra ’l Campidoglio e la fortezza, ora detto nell’
idioma de’ Romani il basso tra le due selve , e nominato allora cosi , per
essere quinci e quindi coperto dalle ombre delle piante amplissime delle terre
contigue ai due colli. Inoltre per la riverenza de’ Numi, promise a chi rifug-
givasi al santo luogo che non ci avrebbe molestie dai nemici , anzi , che se
voleva albergare presso di lui , parteciperebbe ai diritti sociali , ed alle
terre che leve- rebbe altrui guerreggiando. Pertanto vi si affollavano d’ ogn’
intorno uomini che fuggivano i mali domestici ; nè altrove poi si trasferivano
allettati dai colloquj , e dalle cortesi maniere di lui. XVI. La terza
istituzione di Romolo , degna soprat- tutto che i Greci la osservassero , e
certo la migliore , come io penso di tutte , la quale fu principio della li-
bertà stabile de’ Romani , nè poco contribuì per la for- mazione dell’ impero ,
la terza istituzione fu di non uc- cidere tutta la pubertà delie città debellate
, nè di ri- durre queste come terre da pascervi , ma di mandare \ li: 1 43 in
esse chi se ne avesse in parte i campi , e di ren- derle , quando erano vinte ,
colonie de’ Romani, e tal- volta ancora di ammetterle ai diritti stessi di
Roma. Introducendo queste e simili pratiche fe' grande la co- lonia sua di
picciola , come la cosa stessa dichiaralo. Imperocché quelli che fondarono Roma
con esso, erano non più che tremila fanti nè meno che trecento cava- lieri ;
laddove quando egli spari dagli uomini vi lasciò quarantaseimila fanti , e poco
meno che mille cavalieri. Ma se egli basò tali regole , le custodirono poscia i
re die gli succederono , e dopo i re li magistrali che pi- gliavano di anno in
anno il comando, aggiungendone altre per modo , che il popolo romano trovasi
non in- feriore a niuno tra quanti sembrano i più numerosi. XVII. Ora
paragonando con questi i Greci costumi , non so come lodare le pratiche de’
Lacedemoni , dei Tebani , e degli Ateniesi che tanto pregiano sé stessi per
sapere. Essi gelosi troppo dell’ incorrotto loro li- gnaggio, non comunicarono
se non a pochi i diritti della propria repubblica , per non dire che taluni
ripu- diavano anche gli ospiti. Da tale arroganza però non solo non raccolsero
alcun bene, ma gravissimamente ne scapitarono. Cosi gli Spartani battuti nella
pugna di Leut- tra con perdervi mille settecento de’ suoi : non solo non
poterono mai più rilevarsi da quel danno , ma deposero turpemente il comando :
e cosi li Tebani , e gli Ate- niesi per la sola sconfitta riportata in Cberonea
furono in un tempo spogliati da’ Macedoni e della preminenza su la Grecia , e
della libertà. Ma Roma , brigata in guerre gravissime nella Spagna e nella
Italia , brigata a i44 ricuperare la
Sicilia e la Sardegna che le si erano ribel-' late , quando ardevano tutte in
arme contro lei la Grecia e la Macedonia, quando Cartagine eie varasi novamente
a disputarle il comando , quando l’ Italia , non che essere quasi tutta in
rivolta, trae vale addosso la guerra detta di Annibaie ; Roma in mezzo a tanti
pericoli , quasi contemporanei , non solo non si abbattè ; ma ne rac- colse
forze maggiori che dianzi , proporzionandosi fino per contrapporle a tutti i
mali. Ne consegui già questo per favore di sorte propizia come alcuni
sospettano ; mentre per conto della sorte sarebbe andata in rovina con la sola
sciagura di Canne ^ quando di sei mila suoi cavalieri ne rimasero appena
trecentosettanta , e di ot- tanta mila soldati ne scamparono pochi più che tre
mila. Ora queste e le cose che io son per aggiun- gerne fanno che io prenda
meraviglia su Romolo. Im- perocché avendo concepito che le cause dello stato
flo- rido di una città sono quelle che tutti decantano , ma pochi seguitano,
cioè primieramente la carità verso gli Iddii, colla quale tutte le cose degli
uomini si risolvono in bene , e secondariamente la temperanza e la giustizia,
per la quale men si offendono e più concordano fra loro , nè misurano la
felicità co’ sozzi piaceri, ma colla rettitudine , e finalmente la fortezza nel
combattere , la quale rende utili a chi le possiede anche le altre virtù ; ciò,
dico, avendo Romolo concepito, non pensò che tali perfezioni provenissero per
sè stesse, ma conobbe che le leggi provvide , e la bella emulazione nel disci-
plinarsi, formano appunto una città pia, prudente, giu- sta, bellicosa. Adunque
molto in ciò vigilando , cominciò dal cullo de’ genj e de’ Numi : e seguendo le
leggi migliori de’ Greci mise in pregio le sanie cose , io dico i templi , gli
altari , le statue , le immagini , i simboli , le forze, i doni co’ quali gli
Dei ci beneGcano, e le feste convenevoli per ogni genio o Nume; e li sacriGzj
coi quali gradiscono essere venerati dagli uomini , e le ces- sazioni dalle
arme, e li concorsi, e li riposi dalle fati- che , e quanto si addita di
simile. Ripudiò le favole che sen divulgano , sparse di bestemmie e di accuse contro
di loro , giudicandole ree , dannevoH , obbrobriose , in- degne di un uomo
dabbene non che de’ Numi ; e ri- dusse gli uomini a dire e sentire
magniGcamente su’Nu^ mi , non a gravarli di cure aliene da una natura beata.
XIX. Già non si ode tra’ Romani nè Gelo castrato da' Agli , nè Crono che
stermina i figli per timore di essere da loro assalito , nè Giove che scioglie
il regno di Crono, e rinchiude il suo genitore nella prigione del Tartaro. Non
le guerre vi si odono , non le ferite, e le catene e le servitù degli Dei
presso gli uomini : non feste vi si usano atre e dolorose per gli cluiaii e per
il lituo di femmine che piangono gli Dei levati loro , come in Grecia il ratto
si piange di Proserpina, e le avventure di Bacco , e cose altrettali. E quantun-
que ornai li costumi vi si corrompano , niuno ravvisa colà nè uomini invasali
da’ Numi , nè furie di coribanti, nè baccanali , nè misteri iuelfjbili , nè
veglie notturne di femmine e raaschj nei templi , nè osservanze consi- mili ,
ma ravvisa tutto praticarvisi e dirvisi verso gli Dei con tanta pietà con
quanta non si pratica o dice BIONICI, tomo I. tra’ Greci o tra’ Barbari. Eid io vi ho
soprattutto ammi- rato, che sebbene sieno venute a Roma tante migllaja di
esteri necessitati a venerare ciascuno i suoi Dii coi riti delle patrie loro ;
pure mai questa , come pur troppo succedette ad altre città , non venne in
desiderio di ri- ceverne pubblicamente il culto peregrino : e seper le risposte
degli oracoli introdusse talvolta sante cose come quelle della madre Idea , le
onorò co’ riti suoi propri! , escludendone quanto ci avea di superstizione e di
favola. Quindi i pretori ogni anno apprestano alla diva Idea sagrifizj e
giuochi secondo le leggi romane : ma un fri- gio , ed una donna , fHgia ancor
essa , le immolano il sacriGzio. Questi la recano in giro per la città que-
stuando per la dea come è loro costume, fregiati di immaginette ne’ petti ,
movendo il passo , e percotendo i timpani intanto che altri gli accompagnano
col suono delle tibie , e cantano gl’ inni della gran madre : ma ninuo de’
Romani nativi ornato con veste di vario co- lore va per la città questuando o
sonando di tibia , o venerando con frigie adorazioni la diva (i) ; e tutto è
secondo le leggi ed il voto del senato. Tanto è cauta la città su gli usi
forestieri interno de’ Numi ; e tanto ne ripudia le osservanze vane nè decorose
! (i) Questo (ratto su la madre Idea non è ben chiaro. Sembra che il culto de
lei fosse ricerulo ed eseguito in una parte solamente colle leggi romane. Quei
riti che non erano ricevati non poteano esercitarsi dai Romani. Dei resto
Dionigi forse afferma senza verità che gli Dei forestieri adottati in Roma non
si veneravano co' riti ancora de' forestieri . Arnob. lib. a e Valerio Massimo
lib. primo possono dimostrare il contrario. . 147 XX. Nè credasi che io non
sappia che alcune delle favole greche sono utili agli uomini. Certamente talune
dimostrano allegoricamente le opere della natura : e ta- lune furono
simboleggiate per confortarci ne’mali; altre levano i 'turbamenti ed i terrori
dell’ animo , e lo pur- gano dalle opinioni non sane , ed altre ancora per
altro buon termine furono immaginate. Ma quantunque io nommeno che gli altri ,
conosca tali cose , pure vi sono assai cauto , ed ammetto piuttosto la teologia
de’ Roma- ni; considerando che tenui sono i beni derivati dalle favole greche e
che non possono far utile se non a pochi , a quelli cioè che investigano le
cagioni per le quali furono inventate. Ora ben rari possiedono questa fìloso6a
; ma la moltitudine ignorante suole rivolgere al peggio i discorsi che se ne
fanno , e patirne 1’ una o l’altra miseria , cioè di spregiare gl’ Iddii come
implicati in 'tanto malfare, o di non contenersi m.ii più da in- giustizie e da
vituperi , vedendo die sono questi gli esercizi de’ Numi. XXI. Ma lascisi ciò
da contemplare a quelli che que« sta parte sola si appropriano di filosofia.
Quanto al go- verno istituito da Romolo io reputo degne della storia queste
cose ancora : e primieramente il numero delle persone che egli deputò per le
cure religiose. Certo niuno potrebbe additare in altra nuova città stabilitovi
fin da’, principi .tanto sacerdozio e tanto ministero dei Numi. Per non dire
de’ sacerdoti gentilizi, furono sotto il regno di lui creafi sessanta
'sacerdoti che fornissero le pubbli- che divine funzioni delle curie e delle
tribù. Nè io qui ridico non le cose che descrisse nelle sue antichità t Terrenzio
Varrone , peritissimo tra quanti Borirono ai suoi tempi. Poi siccome altri per
lo più fanno ineonsi- deratamente , e malamente la scelta de’ sacri ministri ;
siccome altri ne mettono a prezzo le dignità per la voce de’ banditori; e
siccome altri infine le compartono a sorte; egli non volle che fossero il
premio dell’argento, o della sorte , ma decretò che si nominassero da ' ogni
curia due uomini , maggiori di cinquanta anni -, pteemi- nenti di lignaggio ,
insigni pe’ meriti , agiati abbastanza di averi , nè difettosi in parte della
persona. E comandò che questi avessero quegli onori non a tempo ma du- rante la
vita , e che essendo per la età già liberi dalle cure militari , lo fossero per
legge dalle politiche. E siccome alcuni sagrifizj si aveano a fare dalle
femmine , ed altri da’ giovani , aventi tuttavia pa- dre e madre ; cosi perchè
questi ancora degnamente si amministrassero , ordinò che le donne de’ sacerdoti
fos- sero le compagne de’ mariti ancora nel sacerdozio ; che esse compiessero
le sante cose che le leggi della patria non permettevano agli uomini, ed i
figli loro prestassero il servigio, proprio de’ giovani: Che se non avevano
prole scegliessero dalle altre case nella curia loro i più graziosi tra’ fanciulli
e fanciulle, perchè ministrassero, quelli fino alla pubertà , queste finché
erano pure senza le nozze (i). Io credo che Romolo derivasse questé pra- tiche
ancora da’ Greci ; mentre ciò che ne’ Greci sacri- (i) Qnesii fanciulli cosi
eleni anche dalle altrui case erano chia- mati Camillì e Camille. Plutarco
nella vita di Numa accenna elio cosi chiamavansi que’giovinelti che
ministravano «1 sacerdote di Giove, . 1 49 ficj forniscono quelle che Canifore
si domandano , lo compiono tra’ Romani quelle che Camille (i) son dette, cinte
di ghirlande la testa , come da’ Greci la testa in- ghirlandasi delle statue di
Diana Efesina. E quanto èse- guivano un tempo fra’ Tirreni e prima già fra’
Pelasghi i Cadolj nelle adorazioni dei Cnreti e degli Dei Grandi, lo
ministravano nel modo medesimo ai sacerdoti i garzon* celli nominati Camilli
tra’ Romani. Prescrisse inoltre che intervenisse da ciascuna tribù ne’ sagriGzj
un indovino , che noi chiameremmo Jeroscopo , ed i Romani chia- mano aruspice ,
serbando in qualche tenue parte la de- nominazione primitiva ; e statuì , che
li sacerdoti ed i ministri loro fossero tutti nominati dalle curie, ma con-
fermati da quelli che interpretavano i voleri de’ Numi colla divinazione. XX
[II. Ordinate tali cose intorno al servigio divino , divise ancora , secondo
che era per cosi dire opportuno , alle curie le sante cose, destinando a
ciascuna i Numi ed i genj che in perpetuo adorerebbe ; e tassò per le sante
cose le spese che aveansi a supplire dal pubblico. Celebravano coi sacerdoti le
curie i sagriGzj a loro as- segna ti. facendo per le feste il convito nelle
case delle curie.' Perocché vi era in ciascuna curia un cenacolo , ed insieme
vi era un’ edifizio comune , consacrato per tutte ; -.come i Pritanei tra’
Greci. Que’ cenacoli , quegli edifizj, curie si, chiamavano , e si chiamano,
come le partizioni stesse del popolo (a). E tale istituzione sem- . (j) La voce
Camille manca nel tetto : ma par troppo coerente colla totalità del senso,
Canifore vai quanto portatrici de' canestri. (a) Varroiie uellil>. 4 della
lingua latina diceche gli edirizj ciita- brami che Romolo se l’ avesse dalla
disciplina che fio- riva allora tra’ Lacedemoni ne’ riti sociali. Licurgo avea
ciò , fluttua quella fra le tempeste ; e che però debbe un uomo savio di stato
, legislatore o sovrano che sia dar leggi che rendano i privati prudenti e
giusti nei vivere; Ma qon tutti mi sembra che vedessero egxial- mente còn quali
industrie e leggi si rendessero tali , e sembrami che alcuni assai , per non
dire interamente , mancassero, nelle parti essenziali e primarie della legi-
.slazione.; come subito ne’sposalizj e nel convivere colle femmine , donde un
legislatore dee cominciare , come ne cominciò la natura l’ ordine armonioso di
noi tutti. Imperciocché taluni pigliando esempio dalle bestie vol- lero i
congiungimenti del maschio colla femmina pro- miscui e liberi , quasi fossero
cosi per liberare la vita Digitized by Google i52 delle Antichità’ homane dalle
furie amorose, e preservarla dalie gelosie che uc> cidono , e rimoverla dai
tanti mali che per causa delie femmine invadono le intere città , non che le
famiglie. Altri esclusero dalla città tali silvestri e ferali eoocu» bili
accordando un uomo per una donna : in custodia però delle nozze , e della
moderazione delle mogli , non tentarono più o meno far leggi , ma se ne asten-
nero; quasi impossibile fosse il contrario. Aluri nè la- sciarono, come taluni
de' barbari, le cose amorose senza leggi , nè le mogli senza premunirle come i
Lacedenào- ni, ma vi promulgarono molte e castissime regole. E vi furono pur
quelli che fondarono un magistrato che invigilasse intorno la purità femminile
: ma non bastarono tali provvidenze alla cura. Fu quel magistrato languido più
del dovere , nè potè ridurre a pudicizia chi mal ci avea contemperata la
natura. XXV. Ma Romolo non dando azione all’uomo contro donna se adulterava , o
se abbandonavagli la casa ; nè dandola alla femmina che accusava l’uomo di pes-
sima amministrazione o d’ ingiusto ripudio ; non for- mando leggi sul ricevere
e sul restituirsi della dote , nè definendo altra cosa qualunque , consimili a
queste; ne stabilì solamente una , migliore assai ( come il fatto dichiarò)
delle altre, colla quale fe’ le donne' savie e pudiche e di ogni onoralo
contegno. E la legge fu: che la femmina maritala la quale secondo le sacre
leggi recavasi alt uomo , divenisse partecipe de’ beni e delle sacre cose di
lui. Gli antichi chiamavano con formola romana nozze sacre e legittime la
confarrea- zioiie per l’uso conume del farro .che . noi Zea chia- . I 53
nilamo. E come noi Greci tenendo l’orzo per antichis- simo diam principio con
esso a’ sagrifìzj ; ed que- sto. cliiamiamo: cosi li Romani giudicando cibo
primi- tivo e pregevolissimo il farro; incomincian col farro , quante volte una
vittima si abbruci. E ul rito persiste, nè si compensò con altre squisite
primizie. L’ essere le donne fatte partecipi con gli uomini di un cibo il più
sacro e primitivo, e della sorte di essi , qualunque fosse, aveva un nome dalla
comunanza del farro , e ciò por- tava un ligame indissolubile di
appropriazione, e niente polca disfare quel matrimonio. Questa legge
necessitava le mogli eome prive d' altro rifugio a vivere co’ modi di chi
aveasele maritate, e faceva agli uomini tenere le donne come cose proprie nè
separabili. Quindi una moglie pudica e docile in tutto al marito, era appunto
come r.uorao , l’ arbitra della casa. Morendo 1' uomo , ne era la erede , come
la figlia del padre : se moriva senza figli e senza testamento , essa era la
padrona di ogqi cosa lasciata da lui , ma se avea de’ figli essa era coerede di
parte eguali con questi. Che se colei pec- cava , avealo giudice della
delinquenza , cd arbitro della grandezza della .pena : se non che li parenti
ancora in- sieme coir uomo la giudicavano fra le altre reità , se avea
contaminato il suo corpo , o se bevuto del vino , mancanza certo nel parere de’
Greci tenuissima. Ambe- due queste colpe, come le estreme delle colpe
femminili, ordinò Romolo che si -castigassero : la contaminazione qual
priimipio d’ insania , e la briachezza qual principio della contaminazione. E
lungo tempo seguirono ambe- due queste colpe ad avere odio implacabile
tra’Romani. Ora che buona fosse questa legge su le donne; lo at> testa la
esistenza lunga di essa ; consentendosi che per dnquecento venti anni non si
sciolse in Roma niun matrimonio. Solamente narrasi, che sotto il consolato di
Marco Pomponio , e di Cajo Papinio , nella olimpiade centesima trentesima
settima Spurio Garvilio , uomo non ignobile , il primo lasciasse la moglie ,
costretto In- nanzi però dai censori di giurare , che la donna sua non abitava
in sua casa per generare con esso. Certa- mente la sua donna era sterile: ma
egli per quest’ o- pera, quantunque la necessità ve lo' inducesse , ne ‘in-
corse r odio perpetuo del popolo. Tali sono le leggi egregie di Romolo colle
quali rendè le donne piu disposte inverso de’ -mariti. Assai più gravi e più
convenienti di queste e molto diverse dalle nostre sono le leggi sul rispetto e
su la corrispondenza de’ 6gli , perchè onorino I genitori col dire e col fare
quanto comandano. Coloro che ordina- rono i governi de’ Greci, istituirono che
i' figli rima- nessero un tempo , troppo breve , sotto la potestà dei loro
padri: vuol dire istituirono alcuni che vi restassero tre anni dopo la pubertà
; altri , fin che erano celibi ; ed altri finché non erano scritti nelle curie
pubbliche: e questo a norma della legislazione appresa da Soloné, da Pittaco,
da Caronda, uomini di sapienza riconosciuta. Preordinarono ancora delle pene ;
ma non gravi su'figli indocili , permettendo ai padri di espellerli e
diseredarli e non altro. Ma le pene miti uon bastano a correggere la
precipitanza e la caparbietà de’ gióvani , nè a ren- derli nel bene attenti di
trascurati. Dond’ è che assai . l55 vlluperii si commettono da’ Ogli contro de’
padri nella Grecia. Ma il legislatore di Roma diede a’ padri sul • figlio per
tutta la vita autorità compiuta di escluderlo , di batterlo , di vincolarlo a’
lavori campestri, e di ucci- derlo ancora se cosi volessero , quantunque il
figlio già trattasse le cose pubbliche , già sedesse tra’ magistrati supremi ,
e già si avesse gli applausi per lo zelo suo verso del popolo. In forza di
questa legge uomini rag- guardevoli concionando da’ rostri su cose contrarie al
' senato', e care al popolo e divenuti perciò famosi, fu- ròno di là staccati e
rapiti altrove da’ padri , perchè su- bissero la pena che iie voleano ; e
traendoseli per lo foro , ninno potea liberarli non il console , non il tri-
buno , e non la plebe da essi adulata , sebbene questa *■ valutasse tutti men
che sé stessa in potere. Ometto di dire quanto i padri uccidessero de’
valentuomini , spin- tisi per virtù e per ardore a far magnanime imprese ma
diverse da quelle prescritte dai padri , come abbia- mo di Mallio Torquato e di
altri, de’ qnali diremo a suo tempo. Né il legislatore di Roma ristrinse a
questo soltanto i padri; ma permise loro anche di vendere i figli , niente
attendendo che altri vinto dalla sua tene- rezza riprendesse la concessione
come dura e gravosa. SopratUttto, chi fu allevato colle maniere molli de’Greci
riguarderà come a(Cerbo e tirannico, che lasciasse i pa- dri utilizzare su’
figli eoi venderli fino a tre volte , dando licenza più grande a’ padri sn’
figli che non a’ padroni su gli schiavi. -.Perocché il servo venduto una volta
se riacquista poi la libertà rimane in seguito padrone di sè : ma il figlio
venduto dal padre se diviene libero ri-' cade di nuovo sotto il padre: e
quantunque rivenduto e liberatosi per la seconda volta; pur trovavasi ancora
servo del padre come in principio ; ma dopo la terza vendita più non era del
padre. Osservavano da principio i re questa legge stimandola rilevantissima,
scritta o non scritta che fosse , ciocché non posso decidere. Disciolta poi la
monarchia , quando piacque ai Romani che si affiggessero nel foro, manifeste ad
ogni cittadino., tutte le leggi e le consuetudini patrie e quelle ricevute di
fuori , perchè il diritto comune non finisse col potere de’ magistrati ; i
Decemviri che erano incaricati dal ' po- polo di compilarle, e distenderle ,
scrissero ancora questa legge colle altre: e trovasi nella quarta delle dodici
ta- vole, che chiamano, che essi esposero nel .fòro. Che * poi li decemviri ,
eletti trecento t^nni appresso per la ordinazione delle leggi, non diedero essi
i primi questa legge ai Romani , ma che ricevutala come antica molto, non osarono
toglierla, lo deduciamo da molle fonti ,- e principalmente dai decreti di Numa
tra’quali era scritto; Se un padre conceda al figlio di prender moglie la quale
secondo le leggi sia partecipe delle cose sacre e de' beni , questo padre non
avrà fin dt. allora più facoltà di vendere il figlio. Or ciò non avrebbe., cosi
scritto, se per le leggi antecedenti non era permesso af padri di vendere i
figli. Ma basti su 'ciò : frattanto vo- glio dcllneare come in compendio la .
bella istituzione colla quale Romolo ordinò la vita de’ privati. XXVIII.
Vedendo che le adunanze politiche, ove i più sono indocili , non si riJucouo
con magistero di . iSj parole a vivere temperantemente , a preferire il giusto
all’ utile , a dumr la fatica , nè riputare cosa alcuna più onorata del retto
procedere ; ma che piuttosto si dirigono ad ogni virtù colle consuetudini buone
; e vedendo che quelli ohe si disciplinano anzi di forza che spontanea- mente,
ben presto, se niente impediscali, ritornano ai geiij loro; non concedette che
ai servi ed a’ forestieri di esercitare le arti sedentarie , illiberali ,
fautrici dei turpi desideri , come quelle che guastano e profanano i corpi e le
anime di chi vi si applica. E lungo tempo rimasero queste ingloriose tra’
Romani, e ninno che nativo fosse di que’ luoghi , vi rivolse le industrie sue.
Lasciò solamente per gl’ ingenui le due cure della cam> pagna e delle armi ;
perocché vide che con tali maniere di vivere gli uomini signoreggiano il ventre
, e meno languiscono tra gli estri amorosi, nè sieguono quella voglia di
arricchire che dissocia i cittadini a vicenda , ma quella che trae 1’ utile
dalle terre o da’ nemici. Ri- putando imperfette , anzi litigiose queste vite
se disgiunte, non ordinò già che una parte si desse ai lavori del campi , e 1’
altra andasse e derubasse i nemici come la legge disponeva tra’ Lacedemoni; ma
prescrisse in co- mune li rustici e li militari travagli. Se godea pace, ;
costumavali a star tutti intenti per le campagne , salvo il giorno ( ed erari
da lui destinato ogni nono giorno ) • in cui faceano mercato ; perchè allora
amava che accor- rendo iu città vi commerciassero. Ma se prorompeva la guerra ,
addestravali a farla , e non cedere gli uni agli altri nel faticarvi o
lucrarvi; pèrocchè divideva tra loro ugualmente, quanto involava al nemico,
campi, schiavi, danari , e xciidcali con ciò volenterosi ad imprendere. Spediva
, non prolungava i giudizj su le of- fese scambievoli ; c quando giudicavale da
sé medesimo e quando per mezzo di altri: e proporzionava ai delitti le pene.
Considerando che la paura più* che tutto re- spinge gli uomini dalle
scelleraggini , coordinò più cose per incuterla, come un tribunale, ove sedea
giudicando , nel più visibile luogo del foro , imponentissimo l’ appa- rato de’
soldati , trecento di numero , che lo seguivano , e le verghe e le scuri
portate da dodici uomini li quali nel foro stesso batteano chi avea colpe degne
di batti- ture , o nella' pubblica luce lo decapitavano, se altri ne avesse più
grandi. Tale fu l’ ordine del governo in- dotto da Romolo , e da queste cose
ben si può con- ghietturare su le altre. XXX. Quanto alle altre opere civili o
beUiche di un tal uomo , queste ne furono tramandate , degne che si intessano
ad una storia. Siccome i popoli circonvicini a Roma erano molti, e grandi, e
bellicosi , nè punto amici di essa ; deliberò conciliarseli co’ matrimoni ,
mezzo gii>* dicato dagli antichi saldissimo di procacciar le amicizie.
Considerando però che tali genti non si unirebbero spontaneamente con loro,
nuovi di colonia, impotenti per danaro , e privi d’ ogni gloria di belle
operazioni , e che altronde cederebbero violentati , se oltraggiosa non fosse
la violenza; risolvè, (ciocché avea NumitOre l’avo suo materno già suggerito)
di faré, ed in copia, i 'ma- trimòni col ratto delle vergini. Cosi risoluto ,
fe’ Voti al Dio guidatore dei disegni reconditi , che se la prova gli riusciva
appunto come la ideava, gli tributereUie ogni anno e feste e sagrifizj. Quindi
riferito il .disegno in li. 1 5() senato
, e comprovatovi , propose di celebrare giuochi solenni a Nettuno , e ne sparse
la nuova per le città vicine ; invitando chiunque al concorso ed ai giuochi ,
che giuochi sarebbero moltiplici di cavalli e di uomini. iVenuii forestieri in
copia alla festa insieme colle mogli e co’ figli , e compiti già li sagriCzj a
Nettuno e li giuo- chi, infine nell’ ultimo giorno quando era per dimettere la
moltitudine fe’ intendere ai giovini che al dare di un segno certo, tutti
involassero quante a loro ne capita- vano , le vergine accorse agli spettacoli
, le custodissero però quella notte inviolate , ed a lui le recassero nel pros-
simo giorno. Compartitisi i giovani in truppe non si tosto videro elevato il
segno convenuto ; si volsero a far preda di vergini. Sorgene un tumulto un
damore de’ forestieri che maggiore ne sospettavano il male. Condottegli nel
prossimo giorno le vergini , Romolo consolavale disani- mate , con dire che
tendea quel ratto a maritarle non a vilipenderle. £ dichiarando che Greco , e
primitivo , e nobilissimo era il modo tenuto da lui tra tutti i modi co’ quali
si procurano le nozze alle femmine ; invitavale ad amare gli uomini che la
sorte ad essi offeriva. Dopo ciò numerando le donzelle e trovandole secenlo
ottan- talrè ; scelse bentosto altrettanti de’ suoi non maritati , e con essi
congiunsele. Egli legandole colle nozze se- condo il rito della patria ,
rendeale partecipi dell’ acqua stessa , e del foco ; e quel rito mantienesi
ancora. Alquanti scrivono che avvenne un tal fatto nell’ anno primo del regno
di Romolo : Gneo Gellio lo assegna nell’ anno terzo , e ciò pare più
verisimile. Im- perocché non è- probabile che il capo di una città uascente si
accingesse a tal opera prima clic ne avesse costituito il governo. Altri
stimano cagione di quel ra- pimento la scarsità delle femmine , altri l'impulso
a far guerra; ed altri più persuasivi, a’ quali io m’attengo, la necessità di
aver amicizia cogli abitanti vicini. Ripe- tevano i Romani anche al mio tempo
la festa allora consacrata da Romolo chiamandola Consuali (t). In essa un
altare sotterraneo, scalzato intorno intorno di terra,, posto vicino al circo
massimo , onorasi con sagriOzj , e primizie che bruciansi. Evvi corsa di
cavalli sciolti , o congiunti ai carri. Conso chiamasi da’ Romani il Nu- me a
cui tributano questi onori : e taluni con greca interpretazione dicono che sia
Nettuno , scotitore della terra , e che si venera appunto in altari sotterranei
, perchè questo Dio possiede la terra : ma io ne so’ pure altra origine perchè
udii che la festa era celebrata per Nettuno , e per Nettuno li s giuochi
equestri; ma che r altare sotterraneo era stato consecrato infine ad un genio
ineffabile , guidatore e custode de’ segreti disegni. E certamente Nettuno in
niun luogo tiene altari invi- sibili inalzatigli da’ Greci o da’ barbai'i. Pure
è difficile a diffinire come stiasi la verità. XXXII. Come la fama del
rapimento delle vergini e gli eventi de’ giuochi si sparsero per le città
vicine; altre si corucciaron su 1’ opera , ed altre invesugando 1’ af- fetto ed
il fine ond’era avvenuta, la sopporlavanu in (i) I giuochi isliluili da Romolo
nel ratto delle Sabine furono chia- mali Consuali perchè fatti in onore del Dio
Conso. Appresso furono detti Circensi quando Tarquinio Prisco fece il circo
massimo. Sem- bra che la prima volta fossero celebrali nel campo Marso. . l6l
pace. In fine però ne proruppero delle guerre , alcune sicuriiniente ben facili
; ma grave e disastrosa fu cjuella co’ Sabini. Felice fu l’esito di tutte, come
prima che si cominciassero ne aveano presagito gli oracoli, i quali
significavano che grandi ne sarebbero i travagli , ed i pericoli , ina
lietissimo il fine. Le città che prime si misero a tal guerra furono Genina, ed
Ànlemna , e Crustumero , in apparenza pel ratto delle vergini e jicr
vendicarsene ; ma la cagione vera che ve le spingeva era la fondazione , era il
créscere di Roma divenuta grande in poco tempo , e la voglia di non trascurare
che più si estendesse quel male , comune a tutti i vi- cini. Ben tosto dunque
spedendo ambasciatori ai Sa- bini gl’ invitarono perchè fossero i capi nella
guerra , essi che erano i più polenti di arme e di danaro , de- gni di
comandare ai vicini , nè oltraggiali menu degli altri; essendo le vergini
rapite per la maggior parte Sabine. Ma poiché niente profittavano , pere he gli
ambasciadori di Romolo contrariavano, ed appiacevoli- vano con parole e con
opere quella gente ; stanche al- fine di perdere più tempo coi Sabini i quali
esitavano c rimettevano ognora a tempo più rinioto il consiglio di guerra ,
destinarono fra loro di combattere esse i Romani; pensando che avrebbono
suificieiiza in sè stesse di forza , se univansi tutte tre , per invadere una
città sola , nè grande. Così dunque si coiicerlarouo ; ma non si espedirono già
per concentrarsi tutti in un esercito ; insorgendo innanzi gli altri i Ceuiuesl
, pi'imarj già nel volere la guerra. Ora avendo questi mossa l’ armata , e
devastando il campo contiguo , Romolo usci colle sue truppe : e piombando
repentinamente su' nemici che non seu guardavano ; ben presto ne espugnò gli
alloggia- menti , che appena erano formati. Poi gettatosi appressa quelli i
quali si rifuggivano nella città , dove non crasi udita ancora la sciagura dei
suoi , non trovandovi nè guardate le mura , nè chiuse le porle ; la invase a
pri- mo impeto, ed uccise, combattendo, e spogliò colle sue mani delle arme il
re di essa venutogli incontro con forz^ poderosa, Cosi prendendo e* comandando
la città che gli consegnasse le armi , e togliendosene per ostaggio , que’
gioviui che più volle; marciò contro gli Antemnati. Rendutosj colla subita
incursione padrone delle milizie di questi , sbandate ancora a far preda , come
crasi pa- drone renduto delle precedenti , e trattati i vinti nella maniera
medesima; ricondusse a casa l'esercito, recando le spoglie degli oppressi in
battaglia, e le pripiizie delle prede ai Numi i quali onorò con assai sagriSzj.
Andava-, massimo della pompa egli stesso in veste di porpora , e coronato di
alloro le tempie, ma su di una qua- driga (i) per serbare la dignità di
monarca. Seguivano (i) Plutarco scrive c>;e Dipoigi uon dice bene quando
afferma che Romolo veniva su di un carro. FwyueAer it vac piia-tt Aisrue-rur.
Tito Livio scrive che Roipolo spo- lia ducis hostiunt cacti tuspensa ,
fabrieato ad id apté ferculo , ge- rent , i/t capholium asce/idit. Il Casaubono
pensa che Dionigi per la non piena peiizia delia lingua latiua interpretasse
quel ferculum di ^vio, dal quale derivava tali racconti, per cocchio;' quando
eia ir. ' i63 le milizie de’ fanti e de’ cavalieri, ornate secondo i loro gradi
, magnifìcando gl’ Iddii colle patrie canzoni , ed il capitano con gli slanci
di versi improvvisi. Quelli della citii recatisi loro incontro colie mogli e
co’ figli, e schie- rai isi quinci e quindi per le vie si congraiulavano con
essi per la vittoria, e davano ogni altro segno di ami- ^ cizia. Entrata la
truppa in città trovò crateri spumanti di vino e mense colme di ogni varieià di
cibi appiè delle case più riguardev.oli pei’chè a piacere vi sì saziasse. Cosi
andava con trofei e sagrifizj la pompa della vit- toria istituita la prima
volta da Koniolo , e chiamata dai Romani trionfo : ma ora, trascendendo ogni
antica sem- plicità , spiegasi magnifica e clamorosa come in tragico rito ,
anzi per gala di ricchezze che in prova di virtù. Dopo la pompa e dopo i
sagrificj Romolo edificò su le cime del cimpidoglio un tempio a Giove detto
Fé-, retilo da’ Romani : Non era grande il sàiito edificio ; apparendone ancora
i primi vestigi, e vedendosene! iati maggiori meno lunghi oi dal vero chi
voglia questo (jiove Feretrio a cui Romolo offerse le anni , chiamarlo il Dio
che tiene i trofei , o che porge come altri dicono , le spo- glie de’ nemici ,
o il Dio preeminente , perché supera ed abbraccia tutta intorno la natura ed il
movimento degli Esseri. piutlo.s(o come iuterprela Plulaico ciocché ni direbbe
trnfeo. Lo stesso Plutarco ìoscgiia che Lucio Taripiaio Piiscu fu il (irinio
che tiiuufasse sul cairu. Poiché Romolo ebbe tributalo agl’ Iddìi le primizie
ed i sagrifìzj di ringraziamento , deliberò, pri- ma di far al irò , col
senato, com’erano da trattarsi le città debellate ; ed esso il primo ne
dichiarò la sentenza che ottima riputava. E piaciuta questa come la più si-
cura e la più luminosa a quanti erano in quel consesso, ed encomiatone pe’
vantaggi che a Roma ne risultavano non pur di presente , ma in ogni avvenire;
comandò che venissero a lui le donne di Cenina e di Antemna cadute prigioniere
con altre. Riunitesi sconsolaté^, e pro- stratesi , e piangendo esse la sorte
della patria; accennò che frenassero i pianti e tacessero e poi disse: hen do-
vrebbero i vostri padri , i vostri fratelli , e le intere vostre città subire
ogni male , perchè scelsero anzi che r amicizia la guerra , e guerra non
necessaria nè one- sta. Nondimeno abbiamo noi deliberato di essere cle- menti
con essi per molle cagioni, e perchè appren- diamo la vendetta de' Numi ,
pronta contro i superbi, e perchè temiamo la indignazione degli uomini, e
perchè giudichiamo essere la compassione compenso non lieve de' mali comuni ,
noi che già la dimanda- vamo dagt altri : e finalmente perchè pensiamo che ciò
non sarà caro e grazioso poco per voi , congiunte finquì co' vostri mariti
senza che possano querelar- sene. Condoniamo questo delitto , nè togliamo a’
vo- stri cittadini non la libertà , non i poderi , non altro bene qualunque.
Lasciamo noi dunque ( nè già se ne avranno a pentire) lasciamo libera a tutti
la scelta di rimanere in patria se il vogliono , o di traslatar- sene. Ala
perchè niente pià faccia abberrare le vostre città, perchè niente più trovisi in esse che
possa ri- dividerle dcdla nostra amicizia’, rìputianio espedientis- simo e
saluberrimo per la concordia e sicurezza di ambedue se le rendiamo colonie di
Roma , e se da Roma vi mandiamo abitanti che bastino. Àndcde : statevi di buon
animo : moltiplicatevi nelt ossequio e nella benevolenza de’ vostri mariti;
tra’l dolce senti- mento che liberi per voi sono i vostri figli , liberi i
vostri fratelli, libere le patrie vostre finalmente. Ti-i- pudiando in udir
questo le donne e lagrimando viva^ niente di gioja partirono dal Foro. Romolo
mandò in ciascuna città trecento uomini e le città cederono ad essi ,
dividendolo a sorte , il terzo de’ loro terreni. In opposito menò in Roma
quanti Antemnati e Ce- ninesi vollero trasferirvisi , e raeuovveli colle mogli
e co’ figli mentre ritenevano in que’ luoghi i campi ad essi toccati , e
portavano seco il danaro che possede- vano. Li descrisse il re ben tosto nelle
curie e nelle tribù ; nè furono men di tre mila : tanto che ne’ cata-^ loghi
romani si numerarono allora la prima volta sei mila fanti. Genina ed Antemna
città non ignobili avean greco lignaggio : imperocché tolte ai Sicoli caddero
in potere degli Aborigeni , i quali erano una parte degli Oeijoirj , venuti già
dall’ Arcadia , come nel primo li- bro fu detto, ma ora finita la guerra
divennero colonie romane. Romolo dopo
ciò condusse Tesercito incon- tro de’ Crustumerini , apparecchiati meglio che i
primi : e vintili, quautiinque stati fortissimi (i), nella battaglia (i) Qui
Dionigi è contrario a Livio il qnale scrive:' Poi t’in- \ in campo e su’ muri, non volle che patissero
più oltre; ma fece della città , come delie altre una colonia ro- mana. Era
Cruslumero colonia degli Albani speditavi mollo tempo innanzi di Roma.
Divulgando la fama in molte città la fortezza militare del capitano e la cle-
menza in verso de’ vinti; si congiunsero ad esso ancora non pochi valentuomini
; i quali con tutte le famiglie a lui trasferendosi, gli recarono forze non
dispregevoll. Ed uno de’ colli di Roma ancora chiamasi Celio , da Celio che uno
fu di que’capi venuti dalla Etruria. Anzi a lui si diedero Intere città,
cominciando dalla città dei Medullini , le quali divennero colonie romane. I
Sabini al veder ciò se ne conturbarono, accusandosi a vicenda che non avessero
messo iiu argine alla monarchia dei Romani in sul nascere, o che si avessero a
brigare con lei fatta già grande. Nondimeno parve ad essi che fosse da
correggere il primo errore collo spedire un esercito rispettabile. E riunitisi
a congresso In Curi la più co- spicua e la più imponente delle loro città , vi
decisero co’ loro voti la guerra ; creaudone generalissimo Tito Tazio re dei
Cureli. Deliberato ciò ripatiiaronsl e pre- pararono i Sabini la guerra per
marciate In su la nuova stagione con esercito poderoso contra Roma. Intanto
Romolo si apparecchiò fortlsslma- mente onde jìsosplugere uomini fiorentissimi
in arme. Elevando le mura del Palatino e torrioni più alti di camminò contro
de* Crustomenesi g i quali portavano la guerra z ftia qui ci ebbe men di
contrasto perchè già gli animi erano abbaia tuli per le sconfitte degli altri» 1 67 esse perché dentro vi si stessè con
sicurezza , e circon- dando con fossi e irincere 1’ Avventino , ed il Campi-
doglio che ora chiamano, colli ambedue dirimpetto dei primo, e presidiandone
l’uno e l’altro con salda guar- nigione; ordinò che nella notte vi si
riparassero e greg- gio e villani. Munì similmente con fossi e palizzate , e
guardie ogni altro luogo opportuno per la loro sal- vezza. Intanto Lucumone ,
divenuto amico suo non molto di prima , Lucumone uomo operoso ed insigne nelle
arme , venne a lui con buon sussidiodi Toscani da Vetulonia ; e vennero pure da
Albano in copia , ( e mandavagli 1’ avo materno ) combattitori . commis- sari,
arteBci di militari stromenti. Diè loro frumento ed arme e quanto facea di
mestieri, e largamente ne diede per ogni vicenda. Poiché furono apparecchiati
ambedue per r impresa , i Sabini al sorgere della primavera , ornai sul pnnto
di cavar le milizie , deliberarono di spedire , e spedirono prima a’ nemici un
ambasceria la quale esigesse le donne e la soddisfazione della rapinà di esse ;
perchè se ’l giusto non ottenevano , apparisse che spinti dalla necessità
davano alle arme. Romolo pregò in opposito che si permettesse alle donne rima-
nersene con quelli a’ quali si erano maritate giacché re- stie non ci convivevano:
che se abbisognavano di altra cosa, volessero da lui riceverla come da un
amico, non lo investissero colla guerra. I Sabini non contentati in alcuna
dimanda menarono in campo venticinque mila pedoni e quasi mille cavalli. Non
molto differiva dalla milizia sabina la romana ; numerosa di ventimila fanti ,
e di ottocenfp cavalieri , ed accampatasi divisa in due parli dinanzi la città
, teneva con una parte il colle Esquilino sotto gli auspicj di Romolo, e con
l’altra il Quirinale ( che allora non avea questo nome ) , e Lu- cumone il
Tin'eiio erane il capitano. Al conoscere tali disposizioni Tazio re dei Sabini
levandosi di notte , traversò coll’ esercito la campagna , non già per
danneggiarla , ina per mettersi prima del nascer del sole in sul campo tra ’l
Quirinale ed il Campidoglio. Ma vedendo che tutto era custodito dalle guardie
vigili de’ nemici, e che non ci avea luogo sicuro per lui , cadde in gravi
dubitazioni senza rinve- nire intanto come avea da usare quel tempo. Fra tante
dubitazioni sorsegli una prosperità non pensata ; essen- dogli consegnato un
de’ luoghi fortissimi con questo successo. Rigirandosi appiè del colle
Capitolino i Sabini per esplorare se ci avea parte niuua , donde potesse
espugnarsi con sorpresa , o di forza ; videli dall’ alto Tarpeja , una vergine
cosi nominata , figlia del valente uomo al quale era la cura hdata di que’
luoghi : s’ in- vaghì la donzella , come scrive Fabio e Ciucio , dei
braccialetti che que’ Sabini s’ aveano intorno la sinistra , e s’ invaghì degli
anelli. Brillavano allora di oro i Sa- bini, molli nommen che i Tirreni nel
vivere. Ma Lucio pisone il censore narra che la fanciulla ciò fece sul bel
desiderio di esporre ai cittadini i nemici , nudi delle arme colle quali si
difendevano. Ben può da quel che siegue raccogliersi qual sia di queste due
cose la più verisimile. Mandando fuora una serva per una tal por- ticina che
niun si avvide che fosse aperta, fe’ richiedere il monarca Sabino che venisse a
lei senza compagni per nn colloquio ; ed essa parlerebbegli di cosa grande e
necessaria. Accettò Tazio l’ invito su la speranza di un tradimento , e
recatosi al luogo additatogli , e venutavi ( che ben lo potè ) la donzella ,
disse che il padre suo quella notte si era allontanato per un tal bisogno dalla
fortezza , e che le chiavi delle portò erano presso di lei : consegnerebbele se
a lei venissero quella notte , e se in premio della consegna le si dessero
quelle fulgide cose che ì Sabini portavano tutti nella sinistra. Piacque a
Tazio 11 partito, e contraccambiatasi ambedue la pro- messa con giuramento di
non illudersi ne’ patti ; la ver- gine distinse la parte per la quale avrebbero
a venire a quel fortissimo luogo , e distinse 1’ ora della notte in che meno s'
invigila ; e poi ritornossene , nè quelli che eran dentro ne seppero. Concordano
Gn qui ma non già nel resto gli storici romani. Pisone il censorino del quale
abbiam detto di sopra scrive che Tarpeja spedì quella notte un messaggiero che
signiGcasse a Romolo gli accordi fatti tra i Sabini e tra lei ; e come ella
esigerebbe le arme difensive di essi , deludendoli coll’ ambiguità de’ trattati
: egli dunque mandasse altra milizia nella fortezza , e vi sorprenderebbe i
nemici col capitano spogliati di arme. Aggiunge però che il messaggero
fuggendosi presso il re de’ Sabini gii accusasse i disegni di Tarpeja. Ma nè F
abio nè Cincio dicono che ciò avvenisse , e sostengono che la donzella
mantenesse i patti del tradimento. Dopo ciò continuano tutti la storia con
slmiglianza. Imper- ciocché narrano che avvicinatosi il re dei Sabini col Gor
dell’ esercito colei per adempiere le promesse aprisse a’ nemici la piccola
porla concordata , e che destate le guardie del luogo le stimolasse a scampare
sollecita- mente per tragitti ignoti ai Sabini che ornai possedeano la
fortezza. Narrano inoltre che i Sabini al fuggire di quelli, trovatene le porte
aperte, occupassero la fortezza abbandonata ; e che la donna avendo prestato i
servigi pattuiti , ne chiedesse il premio secondo i giuramenti. XL. Dopo ciò
scrive Pisene che essendo i Sabini pronti di dare l’oro di che riluceano
ne’bracci sinistri; Tarpeja la donzella ue pretendesse non i fregi ma gli scudi
: che Tazio andasse in collera per l’inganno, ma pur si guardasse dal violare i
trattati : che era a lui sembrato perciò che si dessero alla vergine le arme
ri- chieste ma per modo , che ricevutele non potesse va- lersene : che ben
tosto dunque , comandando di essere imitato dagli altri , lanciasse lo scudo
con quanta avea forza contro Tarpeja : la quale investita d’ ogn’ intorno e
sopraffatta da tanti colpi e si gravi succumbè sotto delia tempesta. Ma Fabio ascrive
a’ Sabini la frodolenza su’ trattati. Perocché dovendo secondo i patti dare a
Tarpeja le auree cose che dimandava , rattristatine per la grandezza di esse ,
scagliarono su lei le arme colle quali si difendevano , quasi scagliar le
medesime fosse un darle come aveano promesso quanto giurarono. Se non che
sembra che i fatti consecutivi rendano più ve- risimile il giudizio ultimo di
Pisone. Certamente fu la giovine, dove cadde, onorata di tomba , e la tomba sta
nel più augusto de’ sette colli , e Roma ivi le replica ogni anno sacre
libagioni. Io dico ciocché scrive Pisone. Cioè se ella fosse morta tradendo la
sua patria non Digilized by Google LIBRO II. I 7 I avrebbe ottenuto niuno di
questi due onori nè da quelli che ne erano traditi , nè da quelli che ne furono
gli uccisori : anzi se avanzo mai v’ era del tuo cadavere sarebbe stato poi
disotterralo e gittato per atternre i posteri , e respingerli da simili
operazioni. XLI. Tazio e li Sabini impadronitisi di quella for- tezza , e
pigliato senza disagi il più degli appareccbj de* Romani , facevano ornai la
guerra da luogo sicuro. Cosi tenendosi dunque ambedue le armate dirimpetto a
piccola distanza fra di loro , molti erano in molte occasioni li tentativi e
gli attacchi senza grandi risultati di danno o di utile per ninna delle parti.
Due furono le battaglie più rilevanti date con tutte le milizie , schierate 1’
una contro l’ altra; e grande ne fu la strage vicendevole. Ma tirandosi in
lungo , ambedue li re con- corsero nel sentimento di venire a decisiva
giornata. E recatisi nello spazio intermedio ai due accampamenti i capitani
migliori nelle armi ed i soldati già sperimentati in mille cimenti fecero
memorabili prove dando e ri- battendo gli assalti , e traendosene e
rimettendovisi ugualmente. Coloro i quali contemplavano da luogo munito la equilibrata
battaglia, e che d’ora in ora pie- gava dall’ una o dall’ altra parte ,
incitando , ed accla- mando incoraggivano chi vi si distingueva ; o con pre-
ghiere e pianti richiamavano chi vacillava o lasciavasi ornai sopraffare ,
perchè vile sempre non rimanesse. Dond’ è che gli uni e gli altri erano
necessitati a so- stenere travagli , maggiori delle forze . Cosi tenuta avendo
la battaglia nel giorno con sorte eguale ; alfine essendo già notte si
ravviarono lieti ai proprj alloggia- menti. Ne’ di seguenti dando sepoltura ai
morti rista- bilirono i feriti , e procurarono insieme altre forze. Poiché
parve loro di farsi nuovamente alle mani , tor- nati jiel luogo medesimo vi
combatterono fino alla notte. Prevalsero i Romani in ambe le ale; reggendone
Romolo stesso la destra , e Lucumone il tirreno la si- nistra. Ma restando
dubbia ancora nei centro la sorte delle armi ; Mezio , cognominato il Curzio,
uomo me- raviglioso per le forze del corpo , magnanimo nelle arme , e chiaro
soprattutto perchè noa turbavasi a pe- ricoli o terrori , impedì la disfatta
totale de’ Sabini e portò di nuovo contro de’ vincitori le schiere che sor-
vanzavano. Costui messo a dirigere 1’ armata del centro avea già vinto i nemici
che gli stavano a fronte. Vo- lendo poi ripristinare lo stato delle ale sabine
ornai sbattute , e presso a dar volta , esortandovi la sua mi- lizia si mise ad
inseguire i nemici che fuggivano sban- dati da lui, cacciandoli fino alle
porte, cosicché Romolo fu costretto a lasciare imperfetta la sua vittoria , e
ri- volgersi ad accorrere contro la parte de’ nemici che era vincitrice. Cosi
quel corpo de’Sabini il quale pericolava si riebbe j allontanaudosegli Romolo
colla sua gente : e tutto il nembo si raccolse inverso di Curzio e de’ suoi che
erano già vittoriosi, e questi tenendo fronte per un tempo ai Romani
combatterono luminosamente. Ma poi rovesciandosi troppi su loro ; piegarono e
rìpararousi negli alloggiamenti , assai contribuendo Curzio alio scampo col
ritirarli grado a grado , non col fargli in- seguire in disordine. Egli flesso
arrestavasi in arme , e. facea fi'onte a Romolo che lo investiva. E grande e .
1^3 bella a vedere fu la gara de’ capitani che si attaccavano. Alfine essendo
già Cur/io ferito, già esausto di sangue, riucnlava poco a poco , quando
eccogli addietro una palude profonda ; difficile da girarla intorno , perchè
cinta da’ nemici , e dilficilissima da traversarla per lo fango che
ammassavasene alle sponde , e per le acque , che altissime vi erano in mezzo.
Inoltratosi dunque vi si lanciò con tutte le arme. E Romolo sul pensiero che
colui quanto prima perirebbe nella palude non poten- dovisi perseguitare pel
fango e per le molte acque ; si rivolse contro degli altri. Ma Curzio dopo
molti e lun> ghi stenti emerse finalmente còlle arme dalla palude , e fu
portato a’proprj alloggiamenti. Rimanea la palude nel mezzo quasi del foro
romano , e lago chiamasi di Curzio dalia vicenda ; ma ora è tutta ricoperta
dalla terra. Romolo inseguendo gli altri avvicinasi al Cam- pidoglio. Spaziava
nella speranza di rivendicarselo : ma travagliato da molte ferite, e più da un
colpo di pietra lanciatogli dall’alto nelle tempia fu preso ornai semivivo da’
compagni , e riportato dentro le mura. Sbigottirono i Romani più non vedendo il
capitano, e dicdesi l’ala destra alla fuga. Sostenevasi ancora la sinistra
diretta da Lucumone , uomo chiarissimo nelle arme , e segnalatosi per molte e
belle imprese in tal guerra. Ma nemmeno questa più resse alfine ; quando
colpito in un fianco da'Sabini cadde pur Lucumone rifinito di forze. Allora la
fuga fu universale. I Sabini imbaldanziti gl’ incalza- vano verso le mura: se
non che giungendo alle porte pe furono respinti , sboccandone contro loro i
giovani a’ quali aveva il re dato in guardia le mura. Ed a(Yrct- taiidosi
quanto potè per soccorrerli Romolo stesso, ria- vutosi già dalla percossa ; la
sorte assai ne variò della battaglia. Imperocché li fuggitivi mirando
iuaspettata- ineute il sovrano , risorti dalla paura , si riordinarono , uè più
s’ indugiarono a volar su’ nemici. Questi che aveano finora pressato i Romani e
concluso non esservi schermo , che impedisse di prendere la loro città culla
forza ; non si tosto videro il cambiamento inopinato e* repentino , pensarono
come scampare sè stessi. Il ritorno al campo era precipitoso per essi ,
inseguiti dall' alto , e per istrada profonda. Quindi grande fu la strage loro
in questa ritirala. Cosi pugnato avendo quel gioruo da pari a pari , ma
involgendosi ambedue tra casi inaspet- tati ; alfine ornai tramontando il sole
, si divisero. XLIV. Ne’ di seguenti consultarono i Sabini se aves- sono a
ricondurre in patria l’esercito devastando intanto il più che poteano le
campagne nemiche , o se di là ne chiamassero un altro , ivi trattenendosi cd
insistendo fiuchè dessero buon fine alla guerra. Ben era misera cosa per essi
partire, donde mauifeslcrebbcsi la infamia che niente aveano conseguilo; ed era
misera cosa noni- meno il rimanersi non riuscendo loro disegno alcuno come
speravano. Concepivano poi, che venire a trattali co’ nemici, unica maniera
conveniente a levarsi di gueiv ra , gioverebbe anzi a’ Romani che a loro.
Tuttavia uon meno , anzi assai più che i Sabini , erano i Romani caduti in gran
dubbio intorno le cose da fare. Imperoc- ché nè volevano rendere nè riteuere le
donne ; riputando la prima cosa un seguito di uua [lerdila mauilcsta , cd n. 175 un preludio di aversi nccessariamenle a
sottomeltere an- che ad altri coaiaudi : ma 1’ altra cosa presentava molli e
gravi mali , distrutte le patrie campagne , e la gio> ventò più florida
trucidata. Se faceansi a trattar coi Sabini , parca loro che questi non ser
berebbero alcuna misura , per molte cagioni e principalmente perchè i superbi
insolentiscono non condiscendono col nemico che volgesi agli ossequj. XLV.
Mentre ambedue cosi cogitabondi , e così di- sanimati dal cominciare o
battaglie o discorsi di ricon- ciliazione dispergevano il tempo ; le mogli de’
Romani , quelle che erano sabine di origine, quelle per le quali ardeva la
guerra , congregatesi ed abboccatesi fra loro in un luogo medesimo risolverono
d’ intramettersi con ambi per la pace. Dava tal partito alle altre Ersilia ,
non ignobile di legnaggio tra’ Sabini. Di lei dicono che rapita già come
vergine con altre donzelle , ora fosse maritala. lN|a più verisimile è chi
scrive che ella si fosse rimasa spontaneamente colla unigenita sua , 1’ una
delle derubate. Riunitesi a tal sentimento andarono le donne in Senato , ed
ottenutovi di parlare , ve lo diffusero , chiedendo di uscir per un colloquio
co’ loro parenti. Annunziavano che aveano molte e belle speranze di fiduiTe
unanimi le due genti e stringerle di amicizia. Come udirono ciò quelli i quali
consultavano col mo- narca assai ne furono dilettati , riputando che questo
fosse r unico spediente in tanto inviluppo di cose. Adunque si decretò che
quante Sabine avean Agli tante lasciando questi co’ mariti , avessero la
potestà di an- darne oralrici ai lor nazionali: che quelle però le quali eran
madri di più 6gli ne recassero con sè la parte che più volcano , e trattassero
la riconciliazione de’ po- poli. Uscirono dopo ciò tra lugubri vesti , e talune
coi teneri Ggliuoletti. Giunte al campo sabino mossero col piangere e col
prostrarsi appiè di chiunque iucontravale tanta compassione , che ninno de’
riguardanti potea rat- tenere le lagrime. E Tannatosi per esse il fior del Se-
nato, e comandate dal re che dicessero le cagioni della venuta; Ersilia,
autrice e guida della S])edizioue, feceiie una lunga e patetica sposizione ,
implorando che do- nassero pace a’ mariti appunto in grazia di esse per le
quali dicevano intimata la guerra. Si adunassero i prin- cipi loro; ed essi,
veduto 1’ utile puliblico, discutessero le condizioni ,per le quali cessassero
le discordie. XLVI. Ciò detto caddero prostese co’ teneri figli ap- piè del
sovrano e vi si tennero, finché quelli che erano presenti non le rilevarono da
terra con promettere che farebbono quanto era onesto e possibile. Fattele
uscire dal Senato , e consultando fra loro , si decisero per la pace. E prima
si fece la tregua : poi riunendosi i re , si concordò su la pace ancora. E tali
ne furono le convenzioni che sen giurarono. Sarebbero ambedue re dei Romani
Romolo e Tazio con eguali poteri ed onori. La città serbando il nome del suo
fondatore chiamerebbesi Roma , e romano ogni suo cittadino come per l’addietiv-
Ma tutti insieme si chiameiiano generalmente Quiriti desuntone il nome dalla
patria di Tazio. Si domicilierebbero que’ Sabini che voleano, in Roma , ma
comunicandosi le sante cose , c pren- dondo luogo nello tribù c nelle curie.
Giurate questo cose , ed eretti gli altari ove far 1’ alleanza , in mezzo quasi
della Via 1 Sacra, si mesoolarono insieme. Poi rao* cogliendo ogni duce li suoi
, tornarono alle proprie magioni. Si rimasero in Roma Tazio il monarca e con
esso tre de’ più , riguardevoli Valerio Voleso , Tallo , soprannominalo il
Tiranno , ed in fine Mezio Curzio , quegli che : avea colle armi trapassato la
palude , e vi ebbero gli onori che i discendenti loro pur vi godcronow Anzi con
questi si rimasero amici , consanguinei , e clienti , non minori di numero agli
altri di Roma. Mentre ordinavano queste cose parve ai so» vrani di raddoppiare
il numero de’ patrizj per essersi la popolazione moltissimo arnpbata. Adunque
segnando in X catalogo colle famiglie più nobili tanti cittadini novelli ,
quanti erano i primi , chiamarono patrizj ancor’ essi. Poi trascelli cento di
«questi col voto delle curie gli connumerarono ai senatori antichi. E su ciò
concordano presso a poco tutti gli scrittori delle cose romane : dif- ferisce
taluno sul: numero de’ sopraggiunti : dicendo che non cento cui cinquanta
furono gl’ inseriti al Senato. Non consentono però gli storici romani su F
onore che i re concederono alle donne perchè gli aveano rioou» dotti aUa pace.
Perocché scrivono alquanti che diedero ad esse distintivo grande e moltiplice
non pure i prin- dpi, ma le curie : le quali essendo trenta , come già dissi ,
presero nome ognuna da queste , giacché trenta furono ancora le oratrici. Ma
Terrenzio Varrone si di» scosta da questi in tal capo, aflermando che i nomi
erano stati imposti -alle curie anteriormente da Romolo, quando divise la prima
volta il suo popolo: c die quei nomi furono desumi da’ capi di esse , o dalle
antiche lor patrie. Aggiunge che le femmine andate amba- sciadrici non furono
trenta ma cinqueceutotrentatrè : dond’ è che noti sia verisimile che il re concedesse
ad alcune poche di esse quell’onore, escludendone le altre. A me nè tali son
parute queste cose da non farne pa- rola , nè tali da scriverne dtra il
bisogno. Ora l’ordine stesso della narrazione dimanda che io dica quali e donde
fossero i Cureti alla città de’ quali apparteneva Tazio , e quei eh’ eran seco.
Noi cosi ne sappiamo. Nel tempo che gli Aborigeni posse- deano 1’ agro Reatino
una vergine nobilissima natia di que’ luoghi entrò , per danzarvi , il tempio
di Enialio. Enialio lo chiamano Quirino i Sabini , ed , ammae- strati da essi ,
i Romani , senza che sappiano dire più oltre s' egli sia Marte , o tal altro ,
eguale a Marte in onore. £ li primi pensano che 1’ uno e 1’ altro nome dicasi
del Nume arbitro delle guerre ; ma gli altri che sia quel doppio nome non di
uno, ma di due Dei bel* licosi. La vergine danzando già nel tempio fu dallo
spirito investita del Nume; e lasciale le danze si ritirò ne’ penetrali santi
di lui , dove , come a tutti sembra , fecondatane , diede un fanciullo , che
Modio fu detto , ed ebbe soprannome di Fabidio (i). Or questi, adulto (i) Vi è
chi pensa che il Modio Fabidio sia il Afe £>iuj Fidius de’ fìoinaui ,
forinola colla quale riguardavaisi il Nume tutelare della fede, o pure Ercole
figlio di Giove. Se ciò lesse, Diouigi avrebbe malameuie iuierpiaato quella
formula Romana di giura- mento.. 179 feuo nella persona, ebbe forma non umana,
ma divina, e combattè con preemiuenza di tutti i valentuomini. Preso poi dal
desiderio di abitare una città che avesse la origine da lui, congregando gente
io copia da luoghi d’intorno, eresse in tempo assai breve quella che Curi
addimandasi , denominandola , come narrano alcuni , dal Nume , dal quale è
&ma che egli fosse generato , e come altri asseriscono dall’ asta , poiché
Curi chiamasi 1* asta in. Sabina. Cosi scrive Terrenzio Yarrone. XLIX. Ma Zenodoto
Troizinio uno scrittore del- l’Umbria, narra che le genti di essa furono prima
abi- tatrici de’ campi detti Rèalini : che espulse da’ Pelasghi se ne vennero
alla terra dove ora soggiornano , e dove mutato nome coi luoghi , si chiamarono
Sabini per Umbri. Porzio Catone dice imposto tal nOme ai Sabini da un Nume di
que’ luoghi Stoino ( 1 ) Sanco , e che Sanco per alcuni vai quanto Dio Fidio,
Dice che fii domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Te- strina
presso la città di Amiterna ; che movendosi da questo inondarono i Sabini 1’
Agro ReatioQ abitato al- (1) Silio nel libro ottavo scrive. Ibant et laeti pars
tanctum voce canehanl, Auetorem genlis , pars laudes ore ferebant , Sahe , Uuis
, qui de patrio cognomine primus . Dixisli poputos magna ditione Sabinos. Forse
dunque nel testo di Dionigi dee leggersi Sabo e non Sabino. Festo e Yarrone
additano che Sanco tra’ Sabini siguifìca Ercole. Ora Plutarco nel suo Noma e
Servio nel libro 8 dell’ Eneide de- rivano i Sabiui dagli Spartani, e gli
Spartani da Ercole. Quindi quel Sabo Sanco non sarebbe che Ercole ; tanto più
che Sanco '«redesi il me Diut Fiditu, c questa par furatola per additare
Ercole. Digitized by Google i8o DELLE Antichità’ romane lora dagli Aborigeni ,
e da Pelasghi : e che ne otten- nero colla forza delle armi Colina la loro
città più cospicua : che spedendo dal contado Reatino delle co- lonie fondarono
altre città non poche , ove , senza cin- gerle di mura , si viveano ; e tra
queste la città che Curi fu nominata : che occuparono campagne lontano circa
dugento ottanta stadj dall’ AdrìaUco , e dugento quaranta dal mare Tirreno: e
dice che stendeasi la lun- ghezza di quelle poco meno che mille stadj. Secondo
le storie paesane intorno de’ Sabini abitavano con essi già dei Lacedemoni
quando Licurgo tutore di Eunomo, nipote suo , . dava a Sparta le leggi : e
questo perchè impazientiti alcuni dalia dura legislazione di lui , stac- caùsi
da’ compagni abbandonarono affatto la città ; e corso ampio tratto di mare , e
desiderosi ornai di pren- dere terra dovunque, si legarono per voto cogl’Iddii
di abitare quella appunto ove imprima giungerebbero. Ve- nuti nell’ Italia ai
campi detti Pomentini nominarono , dal mare che aveali portati , Feronia il
luogo dove prima approdarono , e vi eressero un tempio alia Diva Feronia alla
quale aveano fatto i lor voti ; e la quale mutatane una lettera ora Faronia si
chiama. Alcuni da indi rimovendosi ne andarono a dimorar tra’ Sabini : e però
spartane sono molte delle loro istituzioni , spartani principalmente gli amori per
la guerra ; la parsimonia e la durezza nelle opere tutte della vita. Ma ciò
basti su la origine de’ Sabini. L. Ben tosto Romolo e Tazio ampliarono la città
congiungendole altri due colli , 1’ uno chiamato Quiri- nale , e Celio r altro.
E ponendo separatamente le case . 1 8 1 viveasi ognuno nelle sedi sue. Avessi
Rouiolo il monte Palatino ed il Celio , monte contiguo col primo. ^azÌo avevasi
il Campidoglio , occupato già ne’ principi da esso , ed il Quirinale. Recisa la
selva la quale spande- vasi appiè del Campidoglio , e ricoperta in gran parte
di terra la palude , la quale per la concavità dei sito rooltiplicavasi dalle
acque scese da’ monti , fecero ivi il foro, dei quale servonsi ancora i Romani.
E là tenendo le adunanze, consultavano nel tempio di Vulcano, cbe quasi al foro
sovrasta. Inalzarono i tem^q , e consacra- rono gli altari ai Numi , a’ quali
gli aveano promessi co’ voti nelle battaglie. Romolo ne eresse uno a Giove
Statore presso la porta òe Muggiti la quale mena dalla via sacra al Palatino ,
perché quel Nume esaudendo i voti di Romolo fe’ cbe l’ esercito suo già
fuggitivo si arrestasse,, e si volgesse a fronte dei nimico. Tazio ne eresse al
Sole , alla Luna , a Crono , a Rea , ' come pure a Vesta, a Vulcano, a Diana,
ad Eniàlio ed altri difScili a nominarsi con greca parola. Mise in tutte le
Curie le mense per Giunone Quirizia (i) le quali esi- stono ancora. Dominarono
cinque anni insieme senza dissidio, e compierono in quel tempo con impresa co-
mune la spedizione contro de’ Camerini. Impercioccbè questi mandando delle
masnade assai danneggiavano loro il paese : e tuttoché chiamativi non erano mai
comparsi a darne ragione. Adunque schieratisi a fronte di essi , e vintili in
campo , e poi nell’ assalto delle mura , gli astrinsero a cedere le arme e la
terza parte della re- (i) Secondo Pesto vuol dire Giunone coW atta, vedi $ 4^
prc- oedenle. • Digitized by Google iSa PFLLE Antichità’ romane gione.
Continuando nondimeno i Camerini ad Infestarla riuscirono nel terzo giorno I re
coll’ armata e li fuga- , rono , e ne divisero ogni cosa ai proprii soldati ,
con- cedendo solamente che quelli , se volevano , si domici- liassero in Roma.
Quattromila quasi ve ii’ ebbero , e lì compartirono tra le curie. E Camaria ,
sorta già tanto tempo prima di Roma , Camaria già domicìiio famoso degli
Aborigeni , e poscia di un ramo di Albani , fu ridotta colonia de’ Romani. Tornò,
nei sesto anno il comando a Romolo so- damente , morendo Tazio per le insidie
de’ primarj tra Laurenlini tesegli per questa cagione. Scorsi gli amici di
Tazio a far preda nel territorio de’ Laurenlini ne aveano rapito danari in
copia , e menato via de’ be- stiami t uccidendo o ferendo chiunque presentavasi
a rivendicarseli. Spedita quindi dagli offesi una legazione a reclamar la
giustizia , Romolo sentenziò che gli o^ fensori le si consegnassero. Tazio però
sollecito degli amici , non istimava bene che si desse alcun cittadino perchè
si portasse in giudizio tra forestieri e nemici. Laonde intimò che quanti si
richiamavano della ingiuria venissero e discutesserla ne’trihunali di Roma.
Cosi non trovando giustizia partirono indispettiti gli ambasciadori. Ma datisi
per isdegno alcuni Sabini a seguitarli gli assalirono , che dormivano tra le
tende lungo la via sorpresivi dalla notte : e spogliatili di ogni cosa , ne
scannarono quanti giaceansi ancora ne’ letti. Si ricon- dussero alia loro città
quauti si avvidero a tempo dei- r insidie e fuggirono. Dopo ciò venendo
ambasciadori da Laurento e da molte città si dolsero su’ diritti vio- lati, ed
intimarono la guerra, se non erano compensati. LITtP.O IT. l83 LII. Sembrava a
Romolo , com’ era , terribile 1’ ol- traggio d(^li ambasdadori e degno di una
subita espia- zione , es:;endosi profanata una legge santa. E vedendo che Tazio
tcneane picciolo conto , egli senza più indu- gio presi e legati i complici, li
diede agli ambasciadori \ ortato a Roma ebbe magnifica se- poltura , e la città
gii rinnova ogni anno pubblici sa- grifizj. LUI, Romolo trovandosi un’ altra
volta solo nel prin- cipato purificò la infamia commessa contro gli amba-
sciatori pubblicandone privi dell’ ncque e del fuoco gli autori , faggitt già
tutti da Roma al primo udire la morte di Tazio. In opposito essendogli
conseguati da Laurento ero la vittoria per saviezza del capitano, il quale
occupato di notte un monte non molto lontano da’ nemici teneavi in agguato il
fiore de’cavalieri , e dei fanti , giuntigli ultimamente da Roma. Tornati in
campo ambedue per combattervi come prima , non si tosto diè Romolo il segno
convenuto a quelli del monte , corsero schiamazzando dalle insidie alle spalle
de' Vejentani : e piombando essi , freschi ancora su uomini stanchi , non
durarono lunga fatica a travolgerli. Pochi ne morirono in campo ; ma molti piò
nellt; acque del Tevere , il qual fiume scorre presso Fidene, lanciativisi per
iscampare nuotandovi. Perocché parte per le ferite e la stanchezza non resse a
compiere il transito , e parte per la impe- rizia del nuoto e la confusione
dell’ animo in vista dei pericoli soccombè tra’ vortici non preveduti. Se i
Vejen- tani avessero ponderato seco stessi , quanto furono scon- sigliati la
prima volta , e se avessero dall’ora in poi cei^ cato la calma , non sarebbero
incorsi in disastri , più gravi ancora. Ma sjierando di riaversi de’ mali
passati , e pensando che vincerebbero di leggeri , se uscissero con apparato
maggiore ; bentosto arrolate milizie in copia dalla città loro , e procuratene
presso de’ nazionali secondo i trattati di amicizia , marciarono per la seconda
volta con- tro de’ Romani. Si combattè di nuovo ferocemente presso piiuii. iiy
Ci( •• LIBBO II. ' 187 Fidene ; e di nuovo i Bonnani vi superarono i Yejenti, e
ve ne uccisero, e più ancora ve ne imprigionarono. F 11 invasa la loro
trincierà piena di danari , di arme, di S( biavi: furono prese le barche
lluviali cariche di vetto- vaglia copiosa e con queste per lo fiume trasportati
in Roma li prigionieri. Fu questo il terao trionfo di Romo- lo ma più brillante
assai de’precedcnti. Venne dopo non molto un' ambasceria de’ Vejenli per
chetare la guerra e chiedere perdono de’ mancamenti , e Romolo ne se- condò le
istanze imponendo : che cedessero i terreni contigui al Tevere nominati
Setlepagi : che non si ac- costassero alle saline presso le bocche del Jiume :
e che dessero cinquanta ostaggi in pegno , che non fa- rebbero innovamenti. Si
rimisero i Vejeiiti alle leggi: e Romolo fece tregua con essi per cento anni ,
e ne scolpi su più colonne le condizioni. Rilasciò senza com- penso i
prigionieri vogliosi di andarsene ; ma rendè cit- tadini di Roma quanti
pregiarono di rimanersene, ed erano più numerosi degli altri , e li comparti
fra le cu- rie , e diè loro in sorte le campagne di qua del Tevere. . Quest»
furono le guerre di Romolo degne di stima e di ricordanza : e parmi , che se
egli non sotto- mise ancora altri popoli vicini , ne fosse cagione la fine
prematura di lui , quando era florido ancora per le armi. Di questa fine varj e
molli ne sono i racconti. Coloro .che più ne favoleggiano dicono , che intanto
che arin- gava le milizie , abbujatosi l’ aere sereno , e fattasi pro- cella
terrìbile , Romolo diventasse invisibile , e che Marte il suo genitore in alto
se lo rapisse. Ma chi scrive cose più vcrisimili dice che da’ suoi cittadini fu
morto ; e dice elle gliene fu cagione 1’ aver egli restituito senza il voto del
popolo , contro la consuetudine , gli osti^gi presi gii da' Vedenti ; il non
serbare la eguaglianza tra i cittadini antichi e novelli , ponendo i primi in
altis- simo onore, e trascurando gli ultimi: e Gnalmente Tin- crudelire nelle
pene dei delitti , e lo insuperbire. Impe- rocché sentenziando , solo , da sé
comandò che fossero precipitati dalla rupe non pochi nè ignobili uomini, in-
colpati di essere scorsi a predare i vicini. Ma soprat- tutto ,ne fu cagione ,
1’ essersi ornai renduto pesante , e dispotico f e tiranno , anzi che principe.
Per questo , narrano, che i patrizj, congiuratisi, ne decisero la mor- te, e la
eseguirono nel Senato ; e che divisone in brani il cadavere , perclté non se ne
sapesse , uscirono occul- tandone sotto le vesti ognuno la parte sua , che pdi
seppellirono , onde renderle invisibili. Altri però nar- rano che egli
aringando fosse tolto di mezzo da’ citta- dini nuovi di Roma ; e che m
lanciassero ad ucciderlo quando appunto abbuiatosi il cielo, crasi il popolo
di- leguato , ed egli rimasto senza guardia : e però dicono che un tal giorno
tien nome da quel dissiparsi di po- polo , chiamandosi tuttavia fuga della
moltitudine. Sem- bra che gli eventi ordinati da’ Numi sui concepimento e sul
termine di quest’ uomo diano non piccola occasione a coloro che fanno de’
mortali un Iddio , e che ne spin- gono al cielo le anime più segnalate.
Perocché nella .compressione della madre di lui sia per uno Dio , sia per un
nomo , affermano che il soie si ecclissasse , e che tenebre , totali come nella
notte , coprissero la terra; e che il simile avvenisse por nella morte. ROMOLO
IL FUNDATORE DI ROMA, il primo , assunto da lei perchè la do- mioasse, cosi
narrasi che finisse. E tutlodiè nella età di cioquanlactnque anni , e già
monarca da trentasette non lasciò rampolli di sua generazione. Novello in tutto
del- r impero de’ popoli , se lo ebbe nell’ anno suo diciotte- simo come
unanimi lo ripetono gli storici di queste cose. LVII. Nell’anno seguente non si
fece alcun re dei Ro- mani : ma vigilava su la comune un magistrato detto
interré, costituito in questa maniera (1). I Patrìzj ascritti da Romolo in Senato
, dugento , come dissi , di numero si divisero io decadi. Poi traendo le sorti
diedero la reggenza sovrana a que’ dieci che primi erano favoriti dalle sorti ;
non già che i dieci reggessero tutti in un tempo , ma successivamente ciascuno
cinque giorni, nei quali avea con sé li fasci , e gli altri simboli del regio
comando. Il primo cedeva il comando ai secondo, que- sti al terzo e cosi fino
all’ ultimo. Decorso lo spazio dei cinquanta giorni, fisso . pe’ dieci , primi
nel comandare, succedea la decade seconda al governo , e poi le altre via via.
Finalmente piacque al popolo di abolire questi decemvirati , essendo ornai
stanco da tanto trasmutarsi di comandanti , varj nella natura e ne’ genj.
Allora dun- que i Senatori convocando l’ adunanza del popolo per tribù e per
curie renderono ad esso il potere di discutere la forma del governo , cioè se
volevano un re ; o se an- nui magistrati. Ed il po[K>lo non decise già esso
, ma fece che scegliessero i Senatori , pronto di attemperarsi (i) Ciò fu
nell’anno 713 avanti Cristo : secondo Catone nell’ an- no 38 e secondo Varrone
nel 4 ° di Roma] all’ ordìae che approverebbei'o. Parve a tutti di fondare la
regia domiuasione ; ma non tutti concordavano tra i quali si avesse ad eleggere
il futuro monarca : e chi pen- sava che tra vecchi e chi volea che tra’ novi
Senatori ossia tra gli aggiunti di poi , à dovesse trascegliere il
|>er8onaggio che regnerebbe su Roma. LYIII. Procedendo la disputa, si
convenne finalmente su questi due punti : che i Senatori antichi scegliessero
il monarca non però del ceto loro , ma qualunque altro ue giudicassero idoneo; o
che farebbono ciò li Senatori novelli. Presero essi la scelta i Senatori più
antichi , e molto consultandone stabilirono ; di non dare , giacché essi ne
erano esclusi , il principato a niuno degli emuli, ma di creare monarca un
personaggio cercato ed intro> dotto di fuori, nè aderente ad alcuno de’ due
> princi- palmente perchè semi non ci avessero di discordie. Ciò deliberato
, destinarono co’ voti loro , il figlio del chia- rissimo nomo, Pompilio Pomone
, Sabino di lignaggio , Numa di nome , e per età prudentissimo , come non mollo
lontano dall’ anno quarantesimo. Regia ne em la dignità dell’ aspetto ; e
grandissima la riputazione per la sapienza non pur tra’ Cureti ma tra popoli
intorno. Pertanto riuniti in questa sentenza aduna- rono il popolo ; e fattosi
in mezzo l’ uno di loro , in- terré di que’ giorni , disse : che piaceva a
tutti i Se- natori di fondare un regio governo : e che egli inca- ricalo di
trascegliere chi lo assumesse trasceglieva in Numa Pompilio il monarca di Roma.
Dopo ciò de- putando dei Patrizj ; gli spedi perchè invitaswro il va- lentuomo
alla Reggia. E fu questo nell’ anno terzo della Digitized by Google gemati da
Romolo per non essere stati con'esso in guerra niuna , non godevano terre , nè
utile alcuno. Questi senza case , e vaganti per la miseria , erano di neces-
siti nemid ai più ricchi, e vogliosi di mutamenti. Fra tali agitamenti
fluttuava Roma quando Numa ne prese le redini , e su le prime ricreò la classe
de* poveri , compartendo loro porzione delle campagne possedute da ROMOLO, ed
un tal poco ancora de’ terreni dei pubbln co. Non togliendo quanto godeano, ai
patrizj fondatori di ‘Roma , e concedendo ai patrizj più recenti altri onori,
ne chetò le discordie. Proporzionata come uno stromento tutta la moltitudine
all’ oggetto unico del pubblicò bene; ed ampliato il giro della città con
inchiudervi II Quiri- . naie, colle non ancora cinto di mura , si rivolse ad
al- tre istituzioni. E concependo che grande e beata diver- rebbe la città che
se ne adorna ; procurava queste due cose : la pietà primieramente , insegnando
agli uomini , che gl’ Iddi! sono i datori e li custodi di ogni bene alla
mortale natura ; e poi la giustizia, dimostrando che per essa i beni dispensati
da’ Numi arrecano delizioso godi- mento a chi li possiede. Non reputo però che
slan tutte da scrivere le leggi e le pratiche per le quali consegui 1’ uno e
l’altro intento e con tanta amplitudine; perchè temo la pro- lissità de’
racconti , uè la vedo necessaria ad una storia pe’GrecI. Solo ne dirò
sommariamente le cose principai lissime , idonee a dimostrare la mente di un
tanto uoimo, cominciando dalle disposizioni di lui sul culto divino. Lasciò nel
pieno vigore lé consuetudini e le leggi die trovò fondate da ROMOLO , credendole benissimo
istitoite: ne supplì quante ne erano state da lui pretermesse ; e diè sacri
luoghi a’ Numi , non adorati ancora , c fece al- tari e tempj , e compartì
feste per ognnnp , e ministri per le sante cose. Finalmente ne ordinò colle leggi
la illibatezza, le espiazioni , le suppliche e tante altre ono- ri Gcenze e
tanto culto ; quanto non mai ne ebbe non- barbara gente, nè Greca, nemmeno
delle più famose un tempo per la pietà. Comandò che Romolo ancora , di- venuto
più che uomo , s’ intitolasse Quirino , e si ono- rasse con templi e con annui
sacrifizj. Perocché non sa- pendosi ancora come Romolo fosse sparito, se per
di- vina provvidenza , o se per Iraude umana ; venne in mezzo del F oro un tal
Giulio , un agricoltore della stirpe di Ascanio , uomo incolpabile di costumi ,
nè capace di mentire per utile alcuno. Ora costui disse che tornan- dosi di
campagna vide Romolo che partivasi di città colle arme ; e che fattoglisi più
da vicino gl’ intimava : O Giulio va , riferisci in mio nome ai Romani ; che il
Genio che ni ebbe in sorte per custodirmi quando io nacqui ; questo, ora che io
compiei la mortale car- riera , mi solleva tra Numi , e che io sorto Quirino, Noma
stese in iscritto tutte le ordinazioni su le cose divine , dividendole in otto
classi, quante erano quelle de’ sacerdoti. Diè l’ incarico primo delle funzioni
religiose ai trenta Curioni de’ quali io diceva che coinr pieano i sacrifizj
comuni delle curie : diè 1’ altro si Ste- fanofori detti da’ Greci , e Flamini
dai Romani , cosi nominati dai portare delle berrette e delle bende ( 1 ) le
(i) Nel usto PUot e stemma. 0 ptimo era una specie di berretta quali portano
ancora , e le quali Flama si chiamano : diede il terzo ai capitani dei Celeri ,
soldati come addi- tai, che combàttono a piedi e a cavallo in guardia dei
monarchi; e certo que’ capitani ancora fornivano divini ordinati esercizj :
diede il quarto a quelli che interpe- trano i segni mandati dal cielo , e
dichiarano se con- ceróOno private o pubbliche cose. I Romani chiamangli Auguri
dall’ indole dei precetti dell’ arte loro , e noi OionopoU li chiameremmo,
uomini scenziati in ogni di- vinazione de’ segni del cielo , dell’ aere , e
della terra. Il quinto alle vergini , custodi del fuoco sacro, appellate
Vestali fra loro dal nome della Diva a cui servono. Noma il primo fondò il
tempio di Vesta , e misevi delle vergini che ministrassero nel culto di lei. Su
che rileva che io dica alcune poche còse le più necessarie ; diman- dandole il
sobjetto ; perocché degna ne è la ricerca , e degna pur si stima da’ romani
scrittori in questo luo 30 a consola di una tomba , non 1’ esequie , non altro
rito niuno legittimo. Molti sono gl’ indiz) di mancanza nel santo ministero, e
principalmente lo spegnersi del fuoco: accidente che i Romani temono più di
tutti i mali, pi- gliandolo , e sia qualunque Torigine di esso , come pre-
sagio della rovina ultima di Roma. E molto ossequiando e placandolo; di nuovo
riconducono il fuoco nel tem- pio. Ma di ciò sarà detto a suo luogo. >
LXVIIL Ben è degna che raccontisi l’assistenza ma- nifestata delia Dea per le
vergini indegnamente accusate. Credesi questa da Romani , quantunque
ioconcepibile , e molto gli scrittori ne ragionarono. Quei che vansene a ma-
niera degli Atei filosofando, se filosofare dee dirsi mai que- sto , ripudiano
tutte le assistenze de’ Numi avvenute tra Greci e tra Barbari , e molto ne
deridono i racconti , ascrivendole a ghiattanza nmana, quasi niuno de’ celesti
prenda cura delle cose de* mortali. Ma quelli che non levano agl’ Iddi! questa
cura , e li giudicano propiz) ai buoni, e malafifetU a’malvagj, venendosene con
istorie moltissime , non prendono per impossibili tali divine manifestazioni.
Narrasi dunque che smorzandosi un tempo il fuoco per poco avvedimento di
Emilia, che allora ne era la guardiana , perocché ne avea trasmessa la cura ad
una compagna novella , e di fresco ammaestrata ; Borsene in città turbamento
ben grande , e si cercò dai pontefici se violazione ci avesse nel ministero
santo del fuoco. Allora, dicono, che Emilia, la incolpabile Emi- lia, non
sapendo che farsi nell’evento stendesse io pre- senza de’ sacerdoti e delle
vergini le mani in su l’altare e dicesse: o Vesta, o tu Dea, custode di Roma,
se 2o5 io santamente , e debitamente compiei le sacre tue cerimonie ornai da
treni anni , se pura l anima mia, se immacolate ti si presentarono le membra di
questo mio corpo , deh ! tu soccorrimi , nè volere trascurare^ che la tua
sacerdotessa miserandamente si muoja. Ma se io pur commisi alcuna cosa men pia
, deh ! che nelle pene mie la pena si dissipi di Roma. Ciò detto è fama che
spiccando il lembo dalla veste di lino onde era coperta lo gittasse in so 1’
altare : e che dopo la preghiera , essendo la cenere già fredda , e già senza
favilla ninna, brillasse di.su per quel lembo una damma copiosa , talché più
non abbisognò la città né di puri'* ficaztoni , né di fuoco novello. Più
meraviglioso ancora e più somigliante ad una favola è ciò che io sono per dire.
Narrano che un tale accusasse Tuzìa 1’ una delle vergini ma «>n alle»
gazioni non vere di congetture e di testimonj ; non polendo affermare che fosse
per lei venuto meno il ìkoco : e che la vergine comandata rispondere dicesse
che smentirebbe co’ fatti le calunnie : che ciò detto in- vocata la Dea perché
le fosse guida nelle sue vie, s’in? camminasse verso del Tevere concedendolo i
pontefici, seguita dalla moltitudine: che giunta in riva del fiume, si ponesse
a cimento impossibile, ora passato in pro- verbio : cioè, che prendesse acqua
con un vaglio vuoto e ve la recasse fino al Foro, quivi ai piedi spargendola
de* pontefici. E narrano che dopo ciò 1’ accusatore di lei , per quante ne
fossero le ricerche , né vivo più nè morto si ritrovasse. Ma quantunque dell’
intramettersi della Dea potrei soggiungere più cose ; reputo che ba- stino le
dette finora. 2o4 delle Antichità’ romane La sesta parte delie istituzioni
religiose fa quella intorno àe Salii che chiamansi In Roma. Numa stesso li
nominò scegliendo dodici decentissimi giovani patiizj. Stansi le sacre loro
cose nel palazzo ; ed essi ne sono chiamati Palatini. Ma gli Agonali , de’
quali serbansi le sacre cose nel poggio Collina , questi co- gnominati Salj
Collini , furono istituiti dopo Noma da Ostilio re pel voto fatto da lui nella
guerra co’ Sabini. Del resto i Salii tutti sono danzatori e lodatori dei Numi
delle arme. Tornano le loro solennità arca i tempi delle nostre Panalenee nel
mese detto di marzo : si celebrano a pubbliche spese per piò giorni , ed in
questi guidano per la città cori di saltatori al Foro, al Campidoglio , ed
altri luoghi speciali , o comuni. Va- riopinte ne brillano le toniche
traversate con cinture di rame ; ed affibbiate sono le trahee loro che
chiamano, luminose di porpora intorno. Sono le trahee in Roma pregiatissime, e
proprie del luogo. Torreggiano loro sul capo tiare (i) alte con forma di cono, apici
dette fra loro , ma cirbasie tra’ Greci. Ognuno è cinto di spada; stringe colla
destra mano un’asta o verga, o cosa con- simile ; e colla sinistra uno scudo
romboidale , stretto ne’ lati , quale è quello de’ Traci , e quale , dicesi che
in Grecia lo portino quelli che vi celebrano le 'sacre cose dei Curetl. I Salj
, per quanto io conosco , sareb- bero con greca Interpetrazione I Cureli ,
denominati (i) Nel testo sono detti piUi, ma le cirbasie erano specie di tiare
secondo Esicbio la lesione dello scudo romboidale è del codice V a- ticano e
par la migliore. . 2o5 cosi tra noi dalla età giovanile (i) ; ma tra’ Romani
hanno quel nome dal moversi faticoso : perocché spio carsi e battere co’ piè la
terra tra lor si chiama salire. Per questa ragione medesima quanti altri noi
chiame- remmo dallo spiccarsi e battere con tal modo , essi gli chiamano
salitorì con voce originata dai Salj (a). Che poi dirittamente io do questi
nomi, può chi vuole, concluderlo dalle cose che fanno. Movonsi colle arme
regolatamente al suono delle tibie , ora insieme , ora a vicenda , e danzando
intuonano patrie canzoni. Ora se dee con antichi monumenti procedersi, i Gureti
furono primi che insegnarono a danzare armati tripudiando e battendo con le
spade gli scudi : nè bisogna che io ri- peta ciocché ha la fàvola su loro ,
essendo noto poco meno che a mtti. Ben molti sono gli scudi che portano i Salj
, 0 che i loro ministri portano sospesi in su de’bastoni: ma tra questi uno ce
ne ha che dicesi caduto dal cielo. È fama che fosse nella reggia ritrovato di
Numa , non avendovelo recato ninno , anzi neppur conoscendosene la forma nella
Italia. Argomentarono da tali due segni 1 Romani che fosse quell’ arme celeste
di origine. E volendo, Numa che lo scudo si onorasse , e recasse nei dì solenni
per la città da’ giovani cospicuissimi , e ri- scotesse annui sagrifizj ; e
temendo che i nemici in oc* (i) Quasi aiaao Ktft$ gioTaoi , ma forte ebbero
cuti nome ^wi rnt cioè dalla tontora : perchè erano tosi nella parte an-
teriore del capo. (a) Si saltava anche prima de’ Salj, però la voce salùores
che pre- cede non è pptieriote al nome de’ Salj. culto lo ÌDsidiassero e
rapisserio; dicono che fabbricasse molti scudi uniformi a quello caduto dal
cielo , accin- gendosi Mamorìo artefice a questo , che f arme divina per la
somiglianza egualissima con altre umane non più potesse contrassegnarsi e riconoscersi
da chiunque vi macchinasse un inganno. Ebbe quel rito de* Cureti ac- coglienza
e pregio tra’ Romani , come io lo deduco da più seghi , e principalmente dai
spettacoli nel circo e nei teatri. Ne’ quali spettacoli giovinetti già puberi ,
ac- conci d’ abito con cimiero , con spada , e con scudo , moTonsi come con le
leggi di un ritmo armonioso; e £u- tlioni chiamansi i duci della pompa , dalla
invenzione fattane , sembra , nella Lidia. Questi sono , a me pare , immagine
de’ Salj ; perocché non fanno appunto come i Salj cosa ninna in foggia de’
Cureti sia negl’ inni sia ne’ salti; e prendonsi da ogni condizione; laddove i
Salj deggiono esser liberi e naturali del luogo , e ricchi di padre e di madre.
Ma perché mai rigirarmi più a lungd su queste cose? È la settima parte delle
leggi sacre indiritta a dar ordine a’Feciali che chiamano. Questi con greca
significazione giudici si direbbono della pace : scelgonsi tra le più illustri
famiglie , e restansi per tutta la vita ht santo ministero. Numa anch’egli dava
la prima volu ai Romani tal ceto venerando. Io non so definire sé egli ne
derivasse l’esempio dagli Equicoli, come alcuni pensano , o se, come Gelilo
scrive , da Ardea : bastami dir solamente che innanzi Numa non erano Feciali
tra i Romani. Numa quando era per dar guerra a’ Fidenati, perchè aveano fatto
scorsa e ruberia nel territorìu'dt lui ;
Numa gl’ ioslitul , perchè vedessero se voleano pa> ciGcarsegli senza le
arme, come vinti dalia necessità poi fecero. E poiché non ci ha nella Grecia
tribunale di Feciali; giudico necessario di adombrare quante e quali De sieno
le incombenze; perchè coloro che ignorano la pietà che i Romani coltivano , non
si meraviglino che tutte ad ottimo fine riuscissero le guerre loro : certa-
mente imprendeano queste con prìncipj e cagioni one- stissime, dond’è che aveano
propizj gl’ Iddi! ne’ pericoli. Non è già fiicile , per la moltitudine ,
comprendere le cure tutte de’ Feciali. A delinearle però con tocco lieve son
tali : debbono cioè provvedere ' che i Romani non movano guerre ingiuste a
ninna città confederata ; che cominciando taluna a rompere i trattati verso
loro , vadano ambasciatori , e ne dimandino il giusto prima con parole , poi v’
intimin la guerra , se non ubbidi- scono. Similmente se mai confederati alcuni
dicendosi offesi da’ Romani chiedano de’ compensi , debbono i Feciali
riconoscere, se quelli han sofferto contro dei patti; e se par loro che
lamentinsi con diritto fan pren- dere e consegnare i colpevoli ai danneggiati.
Giudicano su gli oltraggi degli ambasciadori , e vegliano per la Osservanza
fedele dei trattati : fan le paci o le annulla- no , se fatte sieno contro le
leggi sacre : decidono ed espiano , quante sono , le violazioni fatte de’
giuramenti e delie alleanze' da’ capitani : ma di ciò dirò ne’ suoi Inoghi.
Quanto ali’ andarsen’ essi come araldi per esigere soddisfazione da città che sembrino
offenditrici , ne ho conosciuto (peste cose , non indegne ancor esse che si
risappiano, per la molta cura che involgono della giu-." sUzia e della
pietà. Uno de’ Feciali eletti a voti dagli altri , cinto degli abiti e delle
insegne sacre perchè fra tutti distingnasi, vassene alla città rea: ai primo
toc- carne i conGni , attesta Giove ed altri dumi che egli' viene perchè Roma sia
compensata : poi giurando che, dirigesi alla città colpevole, ed invocando s’ei
mentisce, maledizioni terribili contro sè stesso e contro Roma , slanciasi
olure i conGni. Quindi protestandosi ancora col primo che gli s’ imbatte ,
rustico o cittadino che sia , C; ripetendo l’ esecrazioni medesime, continua di
andare iu città ; ma prima di entrarvi protestatosi nel modo ine>. desimo
col portinajo e con qual’ altro nelle porte gli capita il primo, s’inoltra sino
al Foro; ove giunto parlamenta co’ magistrati ; aggiungendo tratto .tratto giur
ramenti , ed imprecazioni. Se danno soddisfazione con- segnandogli li colpevoli
, egli menali seco e vassene , amico già , dagli amici. Che se dimandano tempo
per consultarsi , ripresentasi dopo dieci giorni , e pazienta Gno alla terza
dimanda. Decorsi trenta di se la città non siegue il dover suo , egli invocati
i Numi celesti e grinfemali se ne parte, questo solo dicendo, che Roma
deciderebbe , tra la sua calma , su loro. Poi recatosi cogli altri Feciali in
Senato , dichiaravi come tutto fu compiuto secondo le leggi sacre, quanto
convenivasi : e che se vogliono risolversi per la guerra niente vi si oppone
dal canto degl’ Iddii. Senza tali pratiche nè il popolo , nè il Senato può
conchiudere col voto suo j la guerra. Questo è quanto abbiamo risaputo su’
Feciali. Nelle ordinazioni di Numa intorno le,, cose divine v’ ebbe in ultimo
la classe la . quale ottennero quanti aveano in Roma sacerdozio ed autorità
superiore. Questi con patria voce si chiamano pontefici dal rifarsi di un ponte
di legno che è uno degl’ incarichi loro ; s son gli arbitri di cose
grandissime. Imperocché giudi- cano tutte le cause sacre de' privati , de’
magistrati e de’ ministri de’ Numi : fissano le cose religiose non scritte nè
solite ; scegliendo le leggi , e le consuetudini che stimano più acconcie :
esaminano tutti i magistrati o tutti i sacerdoti a’ quali è fidata la cura
de’sagrificj e ' della venerazione de’ Numi: provvedono che i loro mi- nistri e
cooperatori non violino punto le sacre leggi : espongono ed interpetrano il
culto de’ Numi e de’ Genj a’ privati che lo ignorano; e se colgono alcuno,
disub- bidiente agli ordini loro, lo puniscono secondo i delitti: ma essi non
soggiacciono nè a giudizio nè a multe , non rendendo ragione nè al Senato nè al
popolo. Non travierà poi dal vero chiunque vuole chiamare tali sa- cerdoti o
dottori , o dispensatori , o custodi , oppure interpetri delle sante cose.
Mancando ad alcuno di loro la vita gli viene sostituito un altro , il più
idoneo ripu* .tato tra’ cittadini ; nè già il popolo sceglielo ; ma essi
medesimi : 1’ eletto però piglia il sacerdozio , quando propizj gli siano gli
augurj. E tali sono , oltre alcune più piccole , le leggi più grandi e cospicue
di Numa sulla pietà, compartite secondo i rami varj del culto , per le quali
Roma ne divenne più religiosa. Moltissime poi sono le leggi che guidano r uomo
a vita frugale e temperata , e che ingenerano r amore della giustizia' la quale
custodisce in città la coacordia : altre però di queste sono scritte , ed altre
non scritte ma passate pel lungo esercizio in abitudini. E lungo sarebbe a dire
di tutte ; ma basterà dire di due più degne di ricordanza , e cbe sono
argomento delle altre. La legge su’ confini da’ poderi fu causa che oguuno si
contentasse de’ proprj ; non gli altrui deside- rasse. Imperocché comandando a
ciascuno di marcare intorno i proprj poderi , e di porvi de’ sassi per ter-
mini , dichiarò sagri que’ sassi a Giove Terminatore , e volle che tutti
periodicamente ogni anno recatisi in sul luogo vi facessero sopra de’sagrifizj,
e stabili parimente una festa in onore degli Dei termini. I Romani chia- mano
la festa Terminali , da que’ sassi o termòni, che essi con simiglianza al
nostro idioma, chiamano termini ^ mutata una lettera soia. E se alcuno involava
o traspo- neva que’ termini fu per legge sacro agl’ Iddii ; talché potesse ,
chiunque volevalo , uccidere qual sacrilego im- punemente , e senza macchia di
colpa. Nè stabili tal diritto su’ poderi de’ privati solamente , ma su quelli
del pubblico eziandio , circondandoli di con&ni ; perchè gii Dei termini
tenessero distinte le terre comuni dalie in- dividuali , e quelle de’ Romani
dalle altre de’ convicini. Praticano i Romani pur ne’ miei tempi un tal rito ,
al- meno per apparenza , come ricordatore de’ tempi : pe- rocché riguardano i
termini come Numi , e sagrificano ad essi focacce di fior di farina , ed altre
primizie di frutti , e non già cose animate ; essendo profanità ri- putata
insanguinarne le pietre. E bisogna che rispettino la cagione medesima per la
quale fecero d’ogni termine un Dio , contenti de’ poderi proprj , non
arrogandosi gli altrui colla forza , o coll’ inganno. Ora però con- trassegnano
i propri ma a propagare la giustizia e
la moderazione ; e con questi tenne il comune di Roma ordinato più ancora di
una famiglia. Con quello poi che ora io sono per dire egli fe’ Roma sollecita
procnratrice delle cose necessarie e delle dilettevoli. Considerando il
valentuomo che una città istituita per amar la giustizia e serbare la tempe-
ranza non dovea penuriare delle cose necessarie ; divise tutta la campagna in
porzioni chiamate pagi, assegnando per ciascuna un capo che la visitasse e
curasse. Questi recandovisi di tempo in tempo , e notandovi i buoni o tristi
cultori , ne riferivano poscia al sovrano ; ed il sovrano ricompensava i buoni
con lodi e con altre gen- tili maniere ; e svergognava i tristi o mullavali ,
onde accenderli a cultura migliore. Quelli dunque che sciolti dalle core della
guerra o della città sen vivevano in ampio ozio , pagandone col vitupero o
colle multe la pena , diventavano tutti operosi in lor bene , e riputa- vano la
ricchezza della terra che è la più giusta di tutte, essere ancora più dolce
della militare, che incerta fluttua ognora. Segui da ciò che Numa fu amato dai
sudditi , emulato da' vicini , e celebrato da’ posteri. Per opera di lui nè
sedizione interna disunì la città , nè guerra esterna la distolse dalla
disciplina sua bonissima e mirabilissima. E tanto i circonvicini furono alieni
da prendere la calma inerme de’ Romani come occasione d’ invaderli; che se
prorompea guerra alcuna tra quelli, assumevano i Romani per mediatori; e
deliberavano di spegnere le inimicizie su le condizioni date da Numa. Pertanto
io non prenderei vergogna di collocare questo uomo tra’ più famosi per sorte
beata. Nato di regia stirpe ebbe regia presenza, e si esercitò nelle discipline
non già di lettere vane, ma in quelle donde apprese la pietà verso i Numi , e
la pratica di altre virtù. Giovine fu riputato degno di prendere il comando di
Roma : ed invitatovi a prenderlo per la bella fama delle sue virtù , regnò per
tutta la vita su popolo docilissimo. Complesso com' era di persona ^ nè
danneggiatone mai dalla sorte , giunse a lunghissima età. Finalmente con- sumato
dalla vecchiaja venne meno a sé stesso con morte placidissima. Quel medesimo
genio di felicità che gli era toccato da principio , quello sempre lo accom-
pagnò finch’ egli non fu tolto dall’ aspetto de’ mortali. Visse più di
ottant’anni , regnandone quaranlatrè. Di lui restarono , come i più scrivono ,
quattro figli , ed una figlia , de’ quali conservasi ancora la discendenza : ma
Gellio scrive che egli non lasciò che una figlia , dalla quale nacque Anco
Marzo , terzo re di Roma dopo lui. Tutta la città si abbandonò , lui morendo al
dolore ; facendogli nobilissima sepoltura. Egli riposa nel Gianicolo di là dal
Tevere. E tali sono le (jose che ‘ abbiamo risapute su Numa. DELLE ai4
ANTICHITÀ ROMANE D I DIONIGI ALICARNASSEO. IVEancatO Numa Pompilio, i Senatori
arbitri nuo- vamente de’ pubblici affari deliberarono di conservare il governo
medesimo: nè già il popolo era di altro avviso. Adunque deputarono un numero
certo de’ Seniori i quali comandassero intanto nell’ interregno. Da questi ,
approvandolo tutto il popolo , fu nominato re Tulio , Ostilio , di cui la
origine fu , come siegue. Un tale , Ostilio di nome , uomo nobile e facoltoso
di Medullia , città fondata dagli Albani , presa a condizioni da Ro- molo e
venduta colonia romana , trasportatosi , per do- miciliarvisi , a Roma , vi
tolse in moglie una sabina , la figlia appunto di quella Ersilia , la quale ,
ardendo la guerra co’ Sabini , consigliò le sue nazionali di ao- libro in. 2 i 5 darne oralrici ai padri loro
su de’ mariti , e la quale sembra la cagion principale che i due popoli si rac-
chetassero. Compagno costui di Romolo in più guerre, e segnalatovisi per opere
grandi ; moti finalmente , la- sciando un unico figlio, nel combattere co’
Sabini, e fu sepolto dai re (i) nella parte più insigne del Foro , onorato di
una iscrizione , che la virtù ne ricordava. Cresciuto 1’ unigenito suo , e
legatosi con nobile matri- monio, ne ebbe un figliuolo; e Tulio Ostilio fu questi,
uomo elBcace. Dichiarato monarca dal voto , dato se- condo le leggi dal popolo;
i Numi ne approvarono con augurj propizi la scelta. Quando egli prese il
comando, volgea r anno secondo della olimpiade vigesima settima nella quale
Euriboto ateniese vinse nello stadio essendo arconte Leostrato (a). E nello
stringere appena lo sceu tro si affezionò la classe de’ mercenari e de’ poveri
con questa liberalissima azione. Aveansi i re predecessori eletto ampio e bel
territorio , colle rendite del quale fornivano i templi di sagrifiz) , e le
regie case di ab- bondanza moltiplice. Romolo avealo tolto a’ primi pos-
sessori colla legge delle armi : e morendosi lui senza figli , aveaselo goduto
Numa che gli succedette nel re^ gno. Laonde non era allora quel podere del
popolo ; ma perpetuamente dei re. Tulio nondimeno concedè che si compartisse
tra’ Romani privi in tutto di campa- gna; dicendo essere a lui sufficienti le
sostanze paterne per le cose de’ Numi , e della regia famiglia. Sollevò (i)
Romolo e Tazio. ( 3 ) Anni di Roma 84 secondo Varrone , 8 a secondo Catone ,
avanti Cristo 670.] Goa questa beneGcenza li cittadini bisognosi ; tanto che
non più stentassero in servigio degli altri. E perché ninno fosse privo di
alloggio aggiunse a Roma il monte Celio chiamato. Ivi quanti non aveano magione
se la fabbricarono, pigliatovi sito che bastasse : ed egli stesso la sua
residenza vi collocò. E tali sono le operazioni urbane di quest' uomo degne di
ricordanza. II. Ma delle militari molte se ne raccontano , ed io mi accingo a
parlarne , cominciando dalla gueiTa di lui con gli Albani. Gluvilio , un Albano
, allora magi- strato supremo , fu cagione che i dne popoli consan- guinei si
scindessero , e separassero. Punto da invidia , e mal più la invidia potendo
rattemperare su la pro- sperità de’ Romani, come superbo e maligno per indole,
risolvè d’ implicare i due popoli in guerra vicendevole. Non sapendo però come
volgere gli Albani a commet- tergli che portasse 1’ esercito contro Roma ;
altronde non avendone alcuna causa giusta e necessaria; macchinò' questa o
simile trama. Concitò, promessane la impunità, li più poveri e li più
baldanzosi degli Albani a far preda su’ campi romani: dond’ è che seguendo un
gua- dagno senza pericolo molti che tra ’l pericolo ancora seguito r avrebbero
, empierono le terre vicine di assalti e di latrocinj. E ciò fece con disegno
non alieno, come r evento stesso lo dimostrò. Perciocché prevedea che i Romani
non sofierendo le rapine correrebbono all’ armi , che egli potrebbe accusarli
al suo popolo come primi a romper la guerra : e prevedea che moltissimi
Albanesi invidiosi delia prosperità della colonia , riceverebbero C6n piacere
le accuse , e farebbero la guerra contro di senti se fosse da accettarsi il
partito. A16ne , ascoltatine i roti , tornò nel consesso e disse: A noi non
sembra o Tulio che abbiamo a lasciare solitaria la nostra pa- tria , deserti i
templi paterni, vuote le case degli an- tenati, e desolata infine quella sede
che i nostri padri tennero quasi per cinquecento anni; tanto più che nè guerra
ce ne bandisce , nè flagello niuno del cielo. Non però ci dispiace che formisi
un Senato , e che una sia la città che domini, sut altra ancora. Scrivasi
questo se così vi pare , tra le condizioni , e levisi ogni seme di guerra.
Concordi 6n qui , difTerivano poi sa la città che prenderebbe il comando. E
molti furono i discorsi quinci e quindi tenuti, giustificando ognuno che dorea
la propria città signoreggiare su l’ altra. L’ Al- bano insisteva su questo
diritto : Noi o Tulio siam da- gni di comandare anche al resto d Italia, perchè
una gente siamo di Grecia, e la più potente che qui in» torno si alloggi.
Crediamo giusto di precedere i La- tini almeno , se non altri , nè già senza
cagione; ma per la legge comune data dalla natura a tutti gli uomi- ni , che 1
padri comandino ai figli : crediamo che ci si convenga il Comando su la vostra
città, piucchè su le altre , che pur sono nostre colonie , delle quali non
possiamo finora dolerci. Noi abbiamo inviato la colo- nia nella vostra ; nè già
da tanto tempo che siane per t antichità svanito ogni legame di sangue ; ma
indietro da tre generazioni. Quando la natura avrà capovolte le leggi umane
facendo che i giovani mag- gioreggino su veechj , e li posteri su gli antenati;
al- lora , e non prima , noi sottoporremo la nostra città madre perchè sia
governata dalla colonia. Questo è ìuno de' titoli della nostra superiorità, nè
questo mai ce- deremo spontaneamente. Il secondo è tale. Voi lo pren- dete ,
detto non come per calunnia o doglianza , ma per sola necessità. Il popolo di
Alba mantienesi an- cora qual era sotto de' fondatori : nè può alcuno ad-
ditarvi altro ramo di uomini , se non Greci o Latini, partecipi della nostra
repubblica: ma voi avete con- traffatto la sì gran purità della vostra
cittadinanza in- trinsicandovi Tirreni e Sabini , ed altri barbari molti,
erranti e senza patrj lari. Tanto che poco soprawanzavi di quell ingenuo
lignaggio che da noi vi si diramava, ed è questo, come un solo, tra i
moltissimi, rice- vuti dt altronde. Se noi vi cediamo il comando; il ». non
ingenuo comanderà su l ingenuo , il barbaro al Greco , i estero al patriota. Nè
già potreste voi dire che non permettete a peregrini di amministrare il co-
mune , e che voi , naturali del luogo , voi presiedete e regnate : voi creale
re forestieri , e senatori in gran parte di altri popoli. Dite: v'inducete a
ciò di vostro
volere? Ma chi mai di voler suo f chi se
più sia va- leni uomo abbandonasi cd governo dei meno riguarde- voli ? E se
apparisce , che voi siete a ciò sospinti da necessità , ben sarebbe grande tj
pravità , grande la manìa nostra se volontarj a tanto c inchinassimo. Da ultimo
così dico ; in Alba niuna parte ancora si è smossa della repubblica : corre già
, da che vi si abita la decima ottava generazione ; e V ordine ancora vi si
mantiene , e le abitudini primitive. Ma la vostra città senza buorì ordine e senza
bel complesso , come nuo- va , e sorta da più genti , assai bisogna di tempo e
di vicende , perchè inferma e scissa , com’ ella è , sì articoli e calmisi.
Tutti poi concederanno che deono le cose ordinate antistare alle disordinate ,
le cose note alle ignote , e le sane alle inferme. Voi dunque chie- dendoci in
contrario ; non bene adoperate. A Fuffezio che cosi ragionava sottentrando
Tul.> lo rispose, o Fuffezio , o uomini di Alba noi li ab- biamo uguali con
voi li diritti della natura e del me- rito de* progenitori ; perocché vantiamo
ambedue la origine da capi medesimi. Quindi niuno è di noi da meno , o da più
dell’altro. Noi non istimiamo nè vero nè giusto che debbano le città madri ,
quasi per legge indispensabile della natura, dominare su le colonie. E molte
sono le nazioni dove le città madri servono, non comandano alle colonie.
Massimo , luminosissimo aSi esempio del proposito mio si è Sporta , elevatasi a
comandare non pur gli altri Greci: ma fino i Do- riesi da’ quali discendeva.
Sebbene e che giova dir su gli altri? Voi stessi , voi padri della colonia che
fece tlioma , voi non siete che un tralcio de’ Laviniesi. Quindi se diritto è
della natura che le città madri regnino su le colonie, non saranno con
precedenza i Laviniesi li legislatori de’ nostri popoli ? E ciò sia detto sul
primo de’ vostri titoli sì bello nelle appa- renze. Siccome tu poscia o Fuffezio
ti davi a contrapporre r una all’ altra città, quali sono, dicendo che il puro
lignaggio di Alba rimanesi tale ancora; laddove il nostro si è degenerato col
tanto soprajfondervi de' fo- restieri , e che non sono degni i non ingenui di
co- mandare agli ingenui , nè i forestieri agl’ interni ; vedi, quanto anche in
ciò ti sei deviato. Tanto è lungi che noi vogliamo vergognarci di rendere la
patria no- stra comune a chi vuole; che anzi ,, di ciò moltissimo ci gloriamo :
nè già siamo noi gli autori di tale isti- tuzione : ma ce ne diede Atene
l’esempio , Atene tra Greci famosissima per questo, almeno in parte se non in
tutto. E questa pratica è sorgente a noi di molti beni non che ci dia
rimprovero e pentimento , quasi per essa, mancassimo. Tra noi comanda e prov-
vede , e tali altri onori si gode chi di essi è degno non chi tiene il molto
oro , nè chi può la serie ad- ditare degli avi sempre nazionali : perciocché
non po- niamo in altro la nobiltà che nella virtù. ; l'altra mol- titudine non
è che il corpo della città il quale somministra potenza e forza a savissimi
consiglieri. Con tale benevolenza si è la nostra città fatta grande di piccola
, e formidabile d' ignobile tra’ popoli intorno, ed è cominciata tra noi la
forma di signoria , che tu o Fuffezio condanni , e che niuna ornai de’ latini
può disputarci'; perocché sta la potenza delle città nella forza delle armi ^ e
la forza delle armi nella moltitudine delle persone. Ma le città piccole , e
spo- polate , e però deboli non comandano le altre , anzi nemmeno sé stesse. Jo
generalmente stabilisco che uno debbe esaltare il proprio governo e riprovare
quello degli altri, quando può dimostrare che la sua città col metodo che le
ascrive , diviene glande e felice, e che le altre se ne decadono e sconciansi
appunto col non seguirlo. Ora così vanno le cose; la vostra città già nel fior
della gloria , già ricca di molti beni , si è ridotta ad uno scarso abitato ; e
noi movendoci da piccioli principi abbiamo tra non molto tempo ingran- dito
Roma più d’ ogni altra città vicina, e colle isti- tuzioni che tu ne biasimi.
Le. nostre sedizioni, poiché di queste ancora tu ne in- colpi o Fuffezio,
nontendono alla depressione o rovina, ma sibbene alla salvezza ed incremento
del comune. I giovani vi contendono co’ schiari , i nuovi con gli an- tichi
cittadini chi più debba operare il pubblico bene. E per dir tutto in breve ,
spettano alla città che dee comandare le due qualità , forza nel guerreggiare ,
e saviezza nel risolvere; e queste tra noi sono ambe- due. Né ce ne fa
testimonianza un millantarsene vano, ma il fatto che supera ogni dire.
Imperocché non era ni. 233 possibile che
la nostra città nella terza generazione appena dopo la origine, fosse già
divenuta sì grande e' potente , se non abbondavano in lei senno e valore.
Argomentano la nostra potenza le tante città. Ialine le quali sebbene da voi
fondate , pure voi dispregiane do , si concederono a noi per essere comandate
anzi da Roma che da Alba. E questo perchè potevamo noi prosperare gii amici e
por già gl’ inimici ; ma non potfiono gli Albani altrettanto. Ben altre cose e
for- tissime o Fuff&sio potrei rispondere ai diritti che ne presentasti. Ma
considerando che vano è il disten- dersi , perciocché il dir breve vale quanto
il prolisso con voi che siete i competitori , ed i giudici; cesso tT insistere.
Aggiungo soltanto , e finisco, che io penso che tunica maniera , bonissima per
togliere le nostre controversie, della quale si valsero greci e barbari ne’
dissidj di principato edi territorj sia questa , cioè che gli uni e gli altri
veniamo a battaglia con una parte solamente dell’esercito, vincolando la sorte
della guerra alla vita di pochissimi , e concediamo che la città che co’ suoi
guenneri vince i guerrieri delt emu- la , quella domini ancora. Ben è giusto
che ove le parole non vogliono , i brandi decidano. Tali furono le dispute di
que’ due principi su la preminenza delle città : ma il seguito delle dispute
non fu se non quello suggerito dal Romano. Imperocché quelli di Alba e di Roma
presenti al colloquio cercando ^ un sollecito fine alla guerra ; deliberarono
di risolver la lite colle armi. G)ncluso ciò, si ebbe controversia intorno ai
numero de combattenti; non sentendone ambedue li capilani in un modo.
Imperocché Tulio voleva che si de- cidesse la gara col menomo delle persone ,
contrappo- nendo per combattere uno de’ più riguardevoli Àlbahi ad altro simile
de’ Romani : ed egli stesso era pronto a spendersi per la patria, invitando TAlbano
ad emularlo. Diceva che era pur bello che quelii che prendono il comando delle
schiere , prendano pur la tenzone pel comando e pel principato o vincano de’’
valent' uomini, o vinti ne siano. E qui ricordava quanti capitani e quanti re
cimentarono la vita loro per lo comune , tenendo essi a vii cosa di partecipare
al più degli onori , ed al men della guerra. L’ Albano credea ben detto che do-
vessero le due città rischiarsi con pochi: discordava però su la battaglia di
un solo contro di un solo. Esponeva che bello, anzi pur necessario è il
combattimento da solo a solo intorno la sovranità pe’ capi degli eserciti
quando fondano la propria potenza; ma che stolido anzi vituperoso è ne’ suoi
pericoli quando ne disputano due città sia che sperimentino sorte propizia sia
che malva- gia. Adunque consigliava che tre valent’ uomini dell’una e tre
deU’allra città pugnassero in vista di tutti gli Al- bani e Romani ; essendo
questo numero , come avente principio , mezzo e fine , propriissimo alla total
decisione della controversia. Ciò stabilito per voto de’ Romani e degli Albani
il congresso fu sciolto ; e ciascuno ritornò nei proprj 'alloggiamenti. Poi
convocando i capitani ciascuno le loro mi- lizie a parlamento , riferirono la
disputa vicendevole , e le condizioni ricevute per la soluzion della guerra.
Ap- provarono vivamente gli eserciti i patti di ambedue li capitani ; e gara
meravigliosa di onore comprese centu- rioni e soldati ; desiderando moltissimi
di riportare la palma di quel combattimento , e studiandovisi non pur con
parole , ma profTerendovisi con preludj di bell' ar- dore ; tantoché si
rendette malagevole ai duci il giudi- ziosu quelli che erano i più idonei. Se
alcuno vi era nobile per luce di origine , o forte per gagliardia di corpo , o
cospicuo pe’ fatti di arme , o segnalato co- munque per eventi ed ardire,
insisteva che mettessero lui primo fra i U'e. Ma tali fiamme di emulazione che
più e più si dilatavano in ambedue gli eserciti le ri- presse il capitano di
Alba col riflettere che la provvi- denza celeste antivedendo già da tanto tempo
la tenzone che sarebbe tra le due città , ne avea preordinato che quelli che vi
si cimenterebbero fossero non ignobili di lignaggio , buoni in guerra , belli a
vedere , nè simili a molti pe’ casi della nascita rara, meravigliosa , impen-
sata. Sicinio un di Alba avea nel tempo medesimo ma- ritato due figlie gemelle
, 1’ una ad Orazio Romano, e r altra a Curazio (i) un Albano di popolo.
Ingravida- rono ancora ambedue queste donne in un tempo , ed ambedue diedero
nel primo parto prole virile , e trige- mina. I genitori pigliandone buon
augurio per sé , per le famiglie, e per le patrie allevarono e perfezionarono
tutti que’ gemelli. Iddio , come io dicea da principio , diè loro beltade,
robustezza, magnanimità; talché non cedeauo a niuno de’ben avventurati per
indole. A questi (i) Mei testo Corazio. Sigonìo crede che vada bene e che in
Tito Livio si debba leggere Curazio , com' egli ha trovato in un mano- scritto
e non Cariazio come comnnementesi legge. deliberò FufTezio di appropiare la
battaglia sa la pre- minenza de’ popoli. Quindi invitando vid un colloquio il
re di Roma gli disse: XIV. Un Dio , sembrcuni o Tulio che provvedendo le nostre
città, dia loro segni manifesti di benevo- lenza in p ià cose; come su la
tenzone imminente. Cer- to ben dee parere in tutto opera divina e meravigliosa
che si rinvengano per combatterci uomini non inferiori a niuno di prosapia ,
buoni nelle armi , belli a ve- dere j originati da un padre , nati da una madre
sola, e venuti', ciò che è pià singolare, in ungiamo stesso alla luce ; e tali
sono gli Orazj fra voi , tali fra noi li Curazj. Che dunque non abbracciamo una
tale provvidenza divina , e non assumiamo ambedue per questa gara di sovranità
que trigemini ? Bisplendono tn essi ancora le doti sublimi, quante altre mai ne
brameremmo in chi fosse per uscire al paragone delle armi; ed essi pià che
tutti gli Albani e Romani han pure il bene che essendo fratelli non
abbandoneranno, pericolano , i compagni nella impresa. Cesserà su- bitamente
rimpetto a loro la emulazione difficile a calmarsi per altra maniera in altri
giovani , de' quali tnolti tra voi penso che di virtà competerebbero , come
Ji'a gli Albani competono. Noi persuaderemo questi di leggeri , se additeremo
loro come la bontà Divina ba prevenuto le sollecitudini umane , dandoci con.
egualità chi decida con le armi le contese della pa- tria. Nè già crederanno di
essere superati dalla virtit dè' fratelli trigemini; ma da certa prosperità di
na- tura ed opportunità di fortezza eguale in essi per competere. Cosi disse
Fuffezio , e comune ne fa I’ appro- vazione , quantunque presenti vi fossero i
più bravi di Alba e di Roma. Soprappensò Tulio un poco , e se- guì : Ben sembra
o Fuffezio che abbi tu saviamente concepito. Imperocché meravigliosa è la sorte
che ha dato in questa generazione ad ambedue le città prole tanto simile;
quanta altra volta mai non vi s’incontrò. Mi sembra però che non abbi tu
considerato che as- sai rattristeremo i giovani se chiediamo che fra loro
dontendano. Imperocché la madre degli Orazj nostri è sorella della madre de'
vostri Curazj : e questi cre- sciuti giovanetti nel seno di tali due donne si
carez- zano ed amansi come fratelli. Bada che non sia forse, indegna cosa dare
le armi e sospingere gli uni alla morte degli altri, questi, congiunti per
fratellanza e per educazione. Il sangue se vi si astringono , il san- gue di
cui si lordano ritornerà su noi che ve li astrin- giamo. Replicò F ufTezio ;
iVbn ignoro o Tulio , il pa- rentado de’ giovani ; nè io già , se li ricusano ,
sono per violentare i cugini alla battaglia. Ma non sì tosto mi venne in
pensiero di mandare dal canto mio li Curazj di Alba io gli investigai se
porrebbonsi vo- lentieri al cimento. E ricevendo essi il dir mio con enfasi
incredibile e meravigliosa, io fui deliberato allora di svelare e proporre quel
mio sentimento. Sug- geriscoti che anche tu facci altrettanto chiamando quei
tuoi trigemini, ed esplorandone i cuori. Che se vor- ranno anch’ essi esponersi
per la patria , tu ne ac- cetta la benevolenza : ma se ricusano , tu per niun
modo non isforzarvegli. Io di loro presagiscoti cioc- c/l’ è degli altri miei.
Se come abbiamo ascoltato ( giac~ chè venuta è fino a noi la fama della loro
virtà ) sa~ migliano i pochi bennati, e se bellicosi ancor sono per indole ;
abbracceranno prontissimi , e senza che niuno ve li necessiti , di combattere
per la patria. XVI. Accolse Tulio il suggerimento : e conchiusa una tregua di
dieci giorni per consultarsi, e tentare 1’ animo degli Orazj, e risponderne ;
si ricondusse a Roma. Deli- beratosi ne’ primi sei giorni co’ migliori , e
vedutili per lo più propensi agl’ inviti di Fufiezio; chiamò li fratelli
trigemini , e disse : Fu/fezio o uomini Orazj , abboc- catosi meco nell' ultimo
congresso nel campo , mi annunziò , che crasi fatto per la provvidenza degli
Iddii , che si cimenterebbero per V una e per V altra città tre bravi , de
quali invano ne cercheremmo altri più. valorosi, o più idonei, cioè li Curazj
per Alba, e voi pe'Jìomani. Ciò conoscendo , mi disse, che aveva egli primo
investigato , se que vostri cugini si espor- rebbero volontari per la patria :
e trovatili che ar- dentissimi correrebbono ad ogn impresa, inanimatone mi
propose V evento , invitandomi perchè io vedessi di voi parimente , se voleste
offerirvi per la patria , e rispondere in campo ai Curazj , o se lasciaste ad
altri tanta emulazione. Ben io mi argomentava che voi per lo valore dell’
animo, e per la possanza delle mani , doti in voi non occulte , spontanei più
che tutti, vi rischiereste per trionfare : ma temendo che la con- sanguinità
vostra co’ tre gemelli di Alba non fosse un impedimento al vostro ardore ,
chiesi tempo a ri- solvermene , e feci tregua con lui di dieci giorni. Restituitomi
in Roma adunai li senatori, e proposi l’qf- fare sicché ne discutessero. Parve
al più, di loro che se voi spontanei vi mettereste alla impresa, bella e degna
di voi , impresa che io già voleva , solo io per tutti combatterla ; allora ve
n esaltassi e v ac-^ cettasi. Ma se voi, restii contro al sangue de vostri, e
non già confessandovi pusillanimi, dimandereste al- tri fuori della vostra
famiglia ; allora , parve loro , che io non dovessi farvene la menoma violenza.
Così pronunziava il Senato : nè già ne avrà egli ramma- rico se voi
riguarderete la impresa come grave: ma non picciola è la gratitudine che
dovravvene , se voi pre- gierete la patria più de’ parenti. Or su ponderate col
bene vostro , ciocché siate per farvi. Udendo i giovani questo ; si ritirarono
, e con- ferirono brevemente. Tornatisi quindi a rispondere cosi disse il
maggiore fra loro : Se noi fossimo liberi; se fossimo gli arbitri unici delle
nostre risoluzioni; e tu ci avessi o Tulio incaricato di consultarci su la pu-
gna contro i nostri cugini: già ti avremmo risposto de' nostri voleri. Ma
perocché vive il nostro genitore senza cui niente vorremo dire nè fare ;
preghiamoti che ci concedi alcuna requie a risponderti , finché ce ne
intendiamo con esso. Encomiando Tulio la pietà loro , e volendo che cosi
appunto facessero ; partirono in verso dei padre. Dichiaratogli l' invito di F
uffezio, il colloquio di Tulio con essi , e la risposta vendutagli ; alfine
insisterono perchè dicesse ciocch'egli ne sentisse. E colui sottenlrando disse
: Pietosamente o figli ado- peraste riserbandovi al padre , nè risolvendovi
senza a4o lui. Ma ò tempo ornai che voi pure vi manifestiate idonei a tali
consigli : concepite già venuto il fine dei miei giorni; palesatemi ciocché
scegliereste di fare , deliberandovi tra voi sema del padre : Allora cosi
rispose il maggiore: Noi o padre assumeremmo a noi di combattere per la
preminenza di Roma, e ci por- remmo alle vicende che a Dio si piacessero;
bramosi anzi di morire che di vivere indegni di te e degli oìv- tenatì. Il
ligame del sangue co’ nostri cugini non lo avremo noi sciolto i primi; ma come
sciolto già dalla sorte , placidi lo mireremo : perocché se i Corcai; sti- mano
la parentela men che il benfare ; nemmeno agli Orca] parrà quella più.
onorevole della virtiu Come il padre conobbe i loro sentimenti , divenutone
lietissi- mo, e sollevando le mani al cielo , parve che rendesse copiose grazie
agl’Iddii, perchè gli avessero dato figli onesti e generosi. Quindi prendendoli
uno per uno , e dando loro soavissimi amplessi e baci di amore , voi vi avete,
disse, magnanimi figli , anche il mio voto. An- • date j rispondete a Tulio i
pietosi e belli sentimenti. Allora giojosi quelli per le ammonizioni paterne si
di- visero, e corsi al monarca accettarono la battaglia. E colui convocato il
Senato , e mollo encomiativi i gio- vani spedisce messaggeri alPAIbano per
dichiarargli che i Romani sieguono ,il suo volere , e pongono gli Oraz) per
combattere sul principato. Ora dimandando il subbletlo che rappresentisi
diligentemente la forma della battaglia , nè scorrasi di volo su’ casi che la
seguirono, simili a quelli di una tragedia , tenterò di pareggiare , quanto io
posso , coi detti ogni cosa. Venuto il tempo di compiere le con- disioni ,
uscirono tutte in campo le milizie romane , e dopo le milizie , fatte prima
suppliche ai Numi , usci- rono i giovani. Essi ne andavano compagni del re ,
mentre il popolo per tutta la città gli acclamava , e spargeva loro de’ fiori
sui capo. Erano già uscite an- ch’esse le schiere albane. Collocatesi le une in
vicinanza delle altre destinarono per teatro dell’ azione il campo che separa i
confini di Alba e di Roma ove già s’ al- loggiavano entrambi gli eserciti.
Quivi sagrificando giu- rarono anzi tutto Romani ed Albani su le vittime che
ardevano di essere contenti della sorte la quale per r una e per l’altra città
risulterebbe dal combattere dei cugini, e di osservare santamente i patti senza
mescervi inganno , essi nè i posteri. Compiuti tali sacri riti in verso de’
Numi si avanzarono in arme dal proprio campo , spettatori gli uni e gli altri
della battaglia ; la- sciando , tre stadj o quattro di spazio intermedio pei
combattitori. Prescntaronsi indi a non molto il capitano di Alba ed il re di
Roma conducendo quello i Curazj, e questo gli Orazj , armati
splendidissimameute , e con apparato quale il prendono , uomini destinati alla
morte. Giunti gli uni vicino agli altri consegnarono le loro spade agli
scudieri ; e corsero e si abbracciarono, pian- gendo vicendevolmente , e
chiamandosi co’ più teneri nomi; talché datbi tutti intorno alagrimare,
accusavano la grande inumanità loro , e de’ capitani , perché po- tendo
definire la lite con altri , l’ aveano ridotta al sangue de’ parenti ed ai
contaminarsene delle famiglie. Staccatisi CDalmente i giovani dagli amplessi ,
ripigliale dagli scudieri le spade , e già ritiratisi quanti s’ aveano intorno
, si contrapposero secondo la statura , e si av- ventarono. . XIX. Stavansi Gn
qui le milizie placide e senza cla- mori : ma poi da ambedue proruppero grida
frequenti , esortazioni scambievoli per chi avea da combattere e voti e
rammarichi , e continui suoni di voce , varj se- condo r ondeggiare vario della
mischia , quali per le cose fatte e vedute dall’ una e dall’ altra parte , e
quali per le cose future o pronosticale : ma più dalle imma- ginazioni ne
derivavano che dai successi ; perocché la visione fatta in tanta distanza non
era ben chiara ; e passionandosi tutù pe’loro combattenti, prendeano come
avvenuto quanto ideavano. E gli assalti incessanù , le ritirate degli emuli , e
li passaggi rapidi , e li rivolgi- menù (i) degli uni in su i luoghi degli
altri levavano ai riguardanù la forza del distinguere. Durò tal vicenda gran
tempo; perocché gli uni e gli altri aveano pari le forze del corpo , pari la
generosità degli animi , e bo- nlssime le armi che li circondavano; nè
rimaneano loro membra alcune indifese ; tanto che feritivi , subito ne
morissero. In tale stato molti Romani e molti Albani in mezzo all’ansia di
vincere e nel commovei'si pe’loro atleti , s’ inGammavano , elGgiandosi appunto
con gli affetti di quelli , quasi volessero anzi star nel conflitto , che
rimirarlo. AlGne il maggiore degli Albani serratosi col Romano che stavagli a
fronte , e dando e ricevendo (1) Cioè il voiiat della taccia, molalo luogo. colpi
su’ colpi ; immerse non so come la spada nel> r anguinaja dell’ emulo.
Questi ingrevilo già da altre ferite ai riceverne l’ ultima e mortale , cadde ,
rilascian* dosi nelle membra , e spirò. Alzarono a tal vista gli spettatori
tutti le grida ; gli Albani come già vineitori , e li Romani quasi già vinti ;
concependo i due loro fàcilissimi da essere conquisi dai tre degli Albani.
Frat' tanto il Romano che era per soccorrere il caduto com> pagno y vedendo
quanto l’Albano rabbellivasi ai fausto evento , si spiccò come un lampo su lui
, e menando e riportando ferite in copia , alfine gli cacciò la spada nella
gola e lo uccise. Ricambiatisi in poco d’ ora i successi de’ combattenu , e le
affezioni degli spettatori , elevandosi i Romani dal primo abbassamento , e
per^ dendo gli Albani la esultazione ; un’ altra volta ancora la sorte spirò
contraria ai Romani, e ne umiliò le spe concio ; por zoppicandone , ed
appoggiandosi via via su lo scudo , reggeva ancora , e si ritirava presso del
fra- tello rimastogli , che starasi alle prese col Romano. Re- stava a questo F
uno de' contrarj a fronte , venendogli r altro da tergo. Allora temendo che
avendola a fare con due che da due lati lo investivano , sarcbbenc facilmente
rlnthiuso : e trovandosi invulnei^to ancona ; pensò di separare i nemici e
combatterne . 1’ uno dopo r altro. Concepì che avrebbeli facilmente disgiunti
se facesse vista di fuggire; non potendo ambedue segui* tarlo , giacché vedeane
l’ uno infermo del piede. Cosi deliberato fuggi con quanto avea di velocità ,
nè gli vennero meno le speranze. L’ albano che non avea piaga mortale ,
tennegli immantinente appresso; ma l’ invalido a camminare si rimase più
addietro che non dovea. Qui gli Albani confortavano i suoi : riprendevano i
Romani il proprio guerriero : anzi cantavano quelli e si magui- fìcavano , come
sul termine glorioso della impresa ; ma s addoloravano gli altri come non più
potesse la for- tuna rasserenarsi verso di loro. Quando ecco il Roma- no,
coltone il punto, si rivoltò rapidissimo ; e prima che r Albano potesse
guardarsene , gli diè colla spada in un braccio , e spiccoglielo nel gomito.
Fattagli . ca- dere la mano e colla mano la spada gli sopraggiunse un colpo , e
con questo la morte. Quindi si lanciò su r ultimo albano e lui già derelitto ,
già semivivo scannò. Poi spogliati i cadaveri de’ cugini , corse in città ;
volendo esso il primo dare al padre la nuova della vittoria. Portavano però i
destini che essendo mortale anch’ egli non avesse prospera ogni cosa ; ma
sentisse i morsi ancora della invidiosa fortuna. Lo avea questa iu pochi
momenti venduto grande di picciolo, e sollevato a chiarezza inaspettata e
mirabile, e questa appunto nel medesimo giorno lo gittò dentro amara sciagura,
spin- gendolo ad uccidere la sorella. Come egli fu vicino alle porte di Roma ,
videvi moltitudine immensa che fuori se, ne versava, e vide accorsa con essa
ancor la sorella.^ Tnrbato ài primo vederla perchè essa, donzella ornai nubile,
ave^ lasciato la custodia materna, e si fosse esposta in mezzo di turba
incognita ; ne formava pen- sieri funesti: ma si rivolse alfine ad altri più
miti e be« nevoli , quasi ella cedendo al muliebre genio avesse ne*, gletto il
decoro per desiderio dì salutare primieramente il fratello salvo , e d’
intenderne i fatti virtuosi degli' e- stinti. Colei però s’era ardila di
mettersi alla insòlita via non' per desiderio del fratello ma vinta dall’ amore
di uno de’cugini , col quale aveale il padre fuo concordate le. nozze. Celavano
colei l’ ineffabile afletto ; ma poiché seppe da un tal dell’ esercito gli
eventi della giornata ; non più lo contenne : ma lasciati i domestici lari
corse come furiosa alle porle di Roma, nemmeno volgendosi alla nutrice che la
seguiva , e la richiamava. Uscita dalla città come vide il fratello festevole
colle ghiriande trion- fali dntegli dalle regie mani , e gli amici che
portavano le spoglie degli estinti , e tra le spoglie ancora 1’ am- manto vario
, che essa avea colla madre tessuto e màh- dato in pegno delle nozze allo
sposo, giacché usano gli sposi futuri tra’Latini abbigliarsi di ammanto vario;
come vide il caro suo dono macchiato di sangue ; si lacerò le vesti , si battè
con ambe le mani il petto; ululò , richiamò l’ amato cugino ; tanto che grande
stupore ne invase quanti in quel luogo si stavano. £ pianto il destino dello
sposo folgorò col fisso sguardo sul fratello , e gridò: Tu esulti o sozzissimo
uomo su la occisione decagoni, e tu , scellerato , tu privasti con ciò dello
sposo la mi- sera sorella tua. Nè pietà senti de’ trafitti parenti che pure
chiamavi fratelli tuoi; ma f innebrj di gioja quasi per buonissima impresa y e
vai fra tanti mali coronato. E qual cuore è mai il tuo ? forse di una fera ? ■■
anzi , colui replicò , di un cittadino che ama la patria ; di uno che punisce
chi le vuol male , siasi egli un estraneo o siasi un domestico. E tra questi
colloco te pure , te' che vedendo i beni grandissimi , e i grandissimi mali in
un tempo awemUici, la vit- toria della patria che io qui ti presento , e la
morte de tuoi fratelli ; già non esulti o malvada pe’ beni comuni della 'patria
, nè ti addolori pe’ domestici in- fortuni > spregiati i fratelli , non
sospiri che lo sposo ; e profani te stessa non fra le tenebre ; ma nel pubblico
aspetto di tutti. A me la mia virtù, rimproveri , a me le mie corone ! O non
vergine , non ‘sorella, e non degna degli avi! Poiché dun- que non piangi i
fratelli ma lo sposo ; poiché tieni il corpo co’ vivi , ma V anima colf estinto
; va , ten corri a lui che richiami, nè più. disonorare il geni- ' tare , e i fratelli.
Cosi dicendo , più non serbò misura nell’ odio della scellerata ; ma le immerse
con quanto area d* ira la spada ne’Ganchi; ed uccisala andossene al padre. I
costumi e gli animi de’ Romani erano allora cosi pieni dell’odio del male, e
cosi fermi in questo; che se alcuno li voglia paragonare co’ nostri , dirà che
erano aspri e duri, nè diversi molto da quei delle fiere. Il padre udita la
spaventevole uccisione non -solo non se ne corrucciò ; ma la tenne come debita
e decorosa ; perciocché nè permise che fosse portata nella sua casa ; nè
procurò che la seppellissero nelle tombe degli avi ; nè clic fosse con esequie e fregi, c conianque
coTunebri riti onorata. Ma coloro che passavano dove giacevasi uc> mettono
che uccidasi alcuno impunemente, e riferendo gli esempi dati dagl’iddi! su le,
città che non vendicano gli scellerati. Faceva il padre le difese del giovine,
ed incolpava la Gglia ; pretestando eh’ ella non ebbe morte, ma castigo : che
niuno era nella domestica sciagura giu- dice più acconcio di lui come genitore
di ambedue. Mol- tiplicandosi da arabe le parti i discorsi, assai fu per- plesso
il monarca come avesse a terminare il giudizio. Eigli per non portare la colpa,
e la maledizione nella magione sua da quella dell’ autore di esse credea bene
che non si assolvesse chi dichiaravasi reo del sangue della sorella , sparso
prima di ogni condanna, e per ca- gioni per le quali vietano le leggi che
uccidasi : non ammettea però che si avesse ad immolare come un omi> cida chi
avea scelto di cimentarsi per la patria e tanta signoria le avea procacciato ,
mentre nou tenealo per colpevole il padre stesso a cui la natura e la legge
danntT ' i primi diritti di risentimento per la figlia. Incerto come decidersi
, tenne da ultimo per lo meglio rimetterne al popolo la sentenza. Il popolo
Romano divenuto allora la prima volta giudice di un omicida si attenne alle
de-^ siinazioni del padre , ed assolvette il suo liberatore dalla morte. Pure
non istimava il re che' bastasse a chi volea mantenere la pietà verso i Numi
tal giudizio venduto dagli uomini: ma chiamati i pontefici commise loro .che
placassero i Geni! e gl’ Iddi! , e mondassero il giovine colle espiazioni le
quali purificano da morti involontarie. . a 49 E quelli eressero due altari,
l’uno a Giunone, Dea difenditrice delle sorelle , e 1’ altro ad uno Dio , chia-
mato (i) Genio da’ nazionali , col nome appunto de’cu- gini Curazj uccisi dal
giovane. E facendo su questi de’ sagrifìzj , ed usando nondimeno altre
espiazioni, da ul- timo passarono 1’ Orazio sotto il giogo. Costumano i Ro-
mani , quando diventano gli arbitri di nemici che ab- bassano le armi , di
piantare due aste diritte , acconcian- done una terza supina su di esse ; e poi
di passarvi sotto li prigionieri, e dimetterli alfine liberi verso le patrie
loro. E questo è ciò che chiamasi giogo. Coloro che lustra- rono J1 giovane si
valsero di tal ultimo rito nel puri- ficarlo. I Romani tutti stimano sacro il
luogo della città dove fu praticata la cerimonia. Rimane questo nell’ an- gusta
via che mena giù dalle Carene coloro che ven- gono all’angusta via Cipria. Ivi
sorgono altari allora edi- ficati , e su gli altari stendesi 1’ asta supina
confitta ai due muri contrapposti: pende questa sul capo di quelli che ne
escono , e chiamasi nel parlar de’ Romani asta o legno della sorella. Questo
luogo onorato con annui sagrifizj ricorda in Roma ancora la sciagura del
giovane: ma ricorda il valor suo tra la battaglia la colonna an- golare che è
principio del portico secondo nel Foro dalla quale pendevano già le spoglie
de’trigemini Albani. Le armi vennero meno per gli anni ; ma la colonna ser-
bane ancora la denominazione chiamandosi pilastro Ora- zio. Che anzi evvi in
Roma una legge nata da tal fatto , (i) Genio Curazia: fu così detto perchè
destinato a placare le ombre de' Coratj . Ed Orazio meritava appunto di essere
espiato dal sangue della sorella e de’ cugini. ed osservatavi pur nel mio tempo , a riverenza
e gloria de’ giovani immortali, la quale ordina che nascendo dei tiigemini si
dispensino per essi a pubbliche spese i vi* veri Gno alla pubertà. Tal Gne ebbe
la serie delle cose degli Oraz] iniessuta d’ inaspettate e meravigliose vi-
cende. Indugiatosi il re de’ Romani per un anno onde apparecchiare quanto era
d’uopo alla guerra; inGne de- liberò di avanzar coll’ esercito contro Fidene.
Preodea le cagioni di guerra da questo , che invitau i ciuadioi di essa a
giustiGcarsi circa le insidie ordite su gli Al- bani e Romani non aveano
ubbidito , anzi dando in un subito alle armi e chiudendo le porte e congregando
le schiere ausiliarie de’ Yejenti , erai^si manifestamente ri- bellati.
Aggiungevasi , che andati gli oratori per inten* dervi le ragioni della
rivolta, i Fidenati non altro ri- sposero , se non che non aveano essi cosa
alcuna co- mune co’ Romani Gn dalla morte di Romolo al quale si erano ,
giurando , congiunti di amicizia. Su tali ca- gioni armò le sye milizie , e fe’
richiedere le conJede- rate , delle quali Mezio F uffezio recava da Alba le più
numerose in apparato bellissimo ; tantoché superava ogni altra forza amica.
Tulio commendò Mezio, come detet^ minato a prendere seco lui la guerra
ardentissimamente, in ogni miglior modo ; e Io rendè consapevole di tutti i
disegni. Ma quest’ uomo incolpato già da’ suoi come rio capitano di guerra ,
anzi calunniato di tradimento ; questo dopo che si era tenuto per tre anni
sotto 1’ au- torità suprema di Tulio , alGne sdegnando un princi- pato schiavo
dell’ altrui principato , e di essere diretto . s5l pimtosto che dirigere;
macchinò cosa non degna. Im- perocché mandati messaggeri segreti a’ nemici de’
Ro- mani , irresoluti anewa per la ribellione , gl’ infiammò ^ , che non piò
dubitassero ; promettendo che in mezzo della battaglia investirebbe egli stesso
i Romani. E tali cose macchinando e facendo ; potè rimanersene occulto. Tulio
apparecchiate le milizie sue e quelle de’ com-i pagni le portò su’ nemici, e
valicato il fiume Aniene si pose non lungi da Fidene : ma scoprendo innanzi di
questa io ordinanza un gran numero di Fidenati e loro compagni si tenne in
calma tutto quel giorno: nel se- guente convocando 1’ albano F nlfezio , ed
altri de’ piò intimi amici ponderò con essi com’era da praticare la guerra ; e
poiché parve loro che fosse da combattere spe> ditamente, senza indugiarvisi
; egli preaccennando i po- sti e r ordine che ognuno prenderebbe , e destinando
per la zuffa il prossimo giorno , congedò l’ adunanza. Quindi FufFezio che
ancora tenevasi occulto con molti degli amici sul tradimento che meditava ,
fatti a sé ve- nire i più cmpicui tra’ suoi centurioni e tribuni disse: Tribuni
, centurioni , io sono per comuni- carvi grandi , inaspettate cose , che vi
tacqui finora. Vi raccomando se non volete distruggermi che voi pure le taciate
: anzi che miei cooperatori vi siate , se utili a compiersi vi parranno. Il
tempo angusto non consente che io distesamente vi parli di ogni cosa; e
ristringomi alle primarie. Io per tutto V intervallo che fummo subordinati a'
Romani fino a questo giorno ; io m’ ebbi una vita piena di vergogna e di ramma-
rico j eppure fui onorato dal monoica loro della ma- aSa gisàratitra 'suprema , oggimaì da tre anni, è
lo sarò' nemmeno per sempre se il voglio. Ma perciocché mi parca t estremo de*
vituperj che io' solo mi fossi felice' nella sciagura comune ; e vedeva intanto
io bene che eravamo stati spogliati della sovranità contro tutti i diritti
sacri dell’ uomo ; cosi mi diedi a considerare come potessimo ricuperarla , ma
senza rischiarvi gran fatto. E discorrendola io meco moltissimo ti-ovai una via
sola facile nè pericolosa che guiderebbe all’ in- tento , cioè che sorgesse
loro una guerra da confinanti. Imperocché prevedeva io che i Romani avrebbono a
chiamare le truppe ausiliarie , e le nostre massima- mente , e prevedeva dopo
ciò che non avrei gran bi- sogno di persuadervi che più. bello , e più giusto è
combattere per la nostra libertà , che per istahilire' r impero de’ Romani.
Spinto da tali pensieri produssi a’ Romani la guerra de’ sudditi loro Fidenati
e Ve- jenti risolvendoli alle arme con esibire che io pren- derei parte con
essi. Fin qui si rimase occulta a’ Ro- mani la pratica ; ed io provvidi intanto
per me la occasione di assalirli. Ora considerate quanto sia questo opportuno.
Primieramente , grande in una ri- bellione manifesta , sarebbe il pericolo o di
avventu- rare ogni cosa mentre siamo sprovveduti per la fret- ta , e contiamo
unicamente su ciò che potrebbero le nostre forze ; o di essere sorpresi da essi
già pronti mentre ci apparecchiamo e ci procuriamo dagli altri un ajuto. Noi
però così non manifestandoci non cor-- reremo nè V uno nè V altro disastro ,• e
ne avremo raccolto almen questo bene. Secondariamente noi non. . a53ci daremo a
percuotere la grande , la bellicosissima potenza e fortuna degli emuli con le
violente manie- re, ma si bene colle artijiziose e scaltre, con le quali si
prendono finalmente le cose trascendenti , e meno facili a battersi colla forza
; nè già saremo a far questo i primi , o li soli. Inoltre siccome le nostre
milizie mal potrebbero schierarsi in campo a fronte di quelle de’ Romani e
degli alleati ; così abbiamo congiunto a noi le forze sì grandi , come vedete,
dei Veìenti e de Fidenati. Anzi si è da me provveduto che le ardite schiere di
questi ne diano con effetto il soccorso che ne ho cercato. Imperocché già non
sarà J.a pugna nelle nostre campagne; ma battendosi i Fidenati per le proprie ,
difenderanno in esse an~ coro le nostre. E quello che riesce dolcissimo agli
uomini , quello che di raro occorse ne’ tempi andati ; questo ancora per voi si
combina : noi giovati dai nostri alleati sembreremo di avere ad essi giovato, E
se r affare si termina a piacer nostro, come par ve- risimile; i Fejenti e li
Fidenati che avranno liberato noi da un durissimo giogo , essi noi
ringrazieranno quasi col favor nostro ottengano un pari benefizio. .Questi sono
i successi che da me con gran diligenza procurati mi sembrano bastare ad
ispirarvi confiden- za, e viva prontezza ad insorgere. Ora udite in qual modo
io voglia por mano alla impresa. Tulio mi ha destinato appiè del monte ; perchè
io vi governi luna delle ale. Ma quando sa- remo per attaccarci co’ nemici ; io
non attendendo allora tale destinazione ; mi ritirerò poco a poco sul monte.
Voi seguitemi allora ordincUamente. Giunto alle cime ed in salvo , udite come
io continuerò. Quando vedrò le cose che qui dico riuscirmi come io le disegno ;
quando vedrò infiammati di corono i nemici perchè noi cooperiamo con essi,
umiliati e spaventati come traditi i Romani ; e come è verisi- mile, già più.
intenti a pensare la fuga che le difese; allora io starò su loro : ed io
coprirò de’ loro cada- veri il campo ; perocché scendendo dcdC altura destra a
basso , mi gitterò su di essi sbigottiti e dispersi con esercito pieno di beW
ardore e di ordine. 'Rile- vantissima è nelle guerre la fama sparsa di un tra-
dimento anche falso degli alleati, o del giung.'re di altri nemici ; e sappiamo
che grandi eserciti furono totalmente da tali vane apprensioni rovinati, più
che da altri spaventosissimi casi. Il nostro adoperare però già non sarà fama
vana , nè arcano spauri- mento ; ma cosa più che tutte terribile a vedersi e
provarsi. Ma ( dicansi pur le cose consuete a pre- sentarsi contro la
espettazione , giacché la vita ne involge molte, nè verisimili ) se gli eventi
riusciranno contro i disegni ; anch’ io farò cose ben altre da quelle che in
mente io ravvolgevami. Allora io piom- berò co’ Romani su nemici ; co’ Romani
raccoglierò la vittoria , simulando di aver prese le alture per cingere gt
inimici. Ben avran fede i miei detti con- cordandosi le opere colle finzioni :
tanto che noi non comunicheremo cogP infortuni di niuno , e solo par-
teciperemo lo belle vicende dell’ uno o delC altro. Io tali cose ho deliberato
: e tali cose eseguirò col favorB degV Iddii come bonissime non solo per gli AU
boni ma per tutti i Latini. Bisogna che voi guardiaie prima che tutto il
silenzio : poi, che serbiate il buon ordine, che vi prestiate immantinente ai
comandi, che guerrieri vi siate pieni di bell’ ardore , e che tali rendiate pur
quelli che vi ubbidiscono ; considerando che il combattere nostro per la
libertà non somiglia al combattervi degli altri, consueti ad essere coman- dati
, e lasciati da loro padri in tale condizione. Noi liberi siamo naU dai liberi
: anzi i nostri avi ci han tramandato il comando su vicini ; serbarono questa
forma per cinquecento anni ; nè di questa si trove*- ranno per noi spogliati li
posteri. Nè tema chi vuole far questo , quasi rompa i trattati , e violi i
giura- menti fatti sopra di essi: pensi piuttosto che egli i diritti ripristina
rotti e violati da' Romani : nè già i tenui diritti ma quelli che la natura ci
ha dato degli uomini , quelli che la legge ha fondato comune ai Greci ed ai
Barbari , vuol dire che i padri coman- dino j i padri dian leggi ai figli , e
le città madri alle colonie. Questi sacri diritti che mai saranno cancellati
dalla natura degli uomini , questi noi vo- lendo che siano perpetuati , nè
frangiamo alleanza fàuna, nè genj nè Dii ci si potran corrucciate quasi non
sante cose facciamo , se mal pià comportiamo servire cì nostri discendenti.
Cnloro però che li hanno conculcato i primi , e che con opera indegna han ten-
tato di far prevalere la umana alla le^e divina ; coloro , corn è giusto , e
non già noi , s' avranno a fronte V ira de’ Numi , c su di essi non su noi
soi't gerà la vendetta degli uomini.
Pertanto se queste vi sembrano le cose migliori / eseguiamole , e chiamia^ movi
protettori gl’ Iddii. Ma se alcuno sente in con- trario e sente o t una o t
altra delle due cose ; vuol dire o che più, non debba ricuperarsi t antica
dignità della patria ; o che debbasi aspettare un tempo pià acconcio del
presente ^ e differire; costui' non esiti, a dire i suoi pareri; e quello sarà
fatto che a tuui sembri il migliore. Alfìae lodato nel dir suo dagli astanti, e
pro- mettendosi questi a far tutto ; esso ne obbligò ciascuno col giuramento, e
dimise radunanza. Nel prossimo giorno all’ uscire appunto del sole , uscirono
da’ proprj allog- giamenti le milizie de’ Fidenati e degli alleati, e si schie-
rarono per la battaglia: vennero nemmeno di fronte i Romani , e si ordinarono.
Tulio stesso e i Romani si opponeano coll’ala sinistra ai Vejenti i quali
formavano la destra nel corpo loro. Nell’ ala destra dei Romani si stava Mezio
Fuffezio e gli Albani presso del monte in- contra de’ Fidenati. Rendutisi ornai
vicino gli uni degli altri , gli Albani prima di essere a tiro si staccarono
dal resto dell’ esercito , ascendendo ordinatamentè sul monte: I Fidenati ciò
vedendo e cerziorandosi della realtà del tradimento promesso dagli Albani si
portarono più bal- danzosi contro de’ Romani. L’ala destra de’ Romani , es-
sendosene tolti gli alleati , erane ornai rotta e molto in pericolo. Combattea
però bravissimamente 1’ ala sinistra e Tulio con essa in mezzo di scelti
cavalieri. Quan- d’ ecco un cavaliere affrettandosi verso quelli i quali pugnavano
presso del monarca, o Tulio, disse, la nastra ala destra è sul perdersi : gli
jilbani , abban- donatala , ascendono il monte , ed i Fidenali che li teneano
schierati dinanzi, ora preponderando a fronte ilelt ala tanto indebolita j già
la circondano. I Ro- mani ciò ndcmlu , e vedendo T accelerarsi degli Albani in
sul monte; temerono di essere avviluppali da' nemici, taulu che non aveano
cuore nè di combattere , nè di restare in quel luogo. Or qui , dicesi , che
Tulio niente commosso all* aspetto di un male si grave e tanto ina- spettato
facesse uso dell’ avvedutezza : e che salvasse con questa 1* esercito ornai nel
pericolo manifesto di essere circondato; c disfacesse e terminasse tutto il
bene degli inimici. ltn[>erocchè non si tosto il messaggero ebbe det- to;
egli a gran voce sicché i nemici, la udissero, o Bo- mani , esclamò , li nemici
son vinti. Gli Albani sul mio comando hanno occupato come vedete il monte
prossimo a noi per piombare alle spalle de' nimici. Mirale ! gli abbiamo pin e
al nostro buon punto gli impiegabili awersaij. Noi siamo loro dirimpetto , e
gli Albani alle spalle : pià non possono aveutzare , ISO retiocedei e. Dall'
uno de' lati rinserrali il fiume , dall’ altro il monte : ci daran pure le pene
meritate. Andate : avventatevi intrepidamente su loro. Cosi esclamando ne
andava tra le milizie. E ben presto i Fidenati furono presi dalla paura che
quel tra> dimenio, si rivolgesse fìnalmente su loro per frodolenza del capo
degli Albani : perchè nè lo vedeano schierarsi contro i Romani , nè fulminarsi
contro di essi come avea già promesso. Altronde avea quel parlare iniiammati di
VIOSIGI , P>m» l. ir ardire e riempiuti di confidenza i Romani. Adunque
scop« piando in un grido e ristrettisi lanciarousi all’ inimico. Piegarono
allora , e fuggirono i Fidenati in disordine alla loro città. Il re de’ Romani
rilasciando la cavalleria su questi atterriti e turbati li perseguitò qualche
tempo; ma vedutili poi sbandati, senza animo di raccogliersi e senza forza ,
permise che fuggissero ; e si rivolse con- tro r altra parte de’ nemici ancora
ordinata. Ivi era bat- taglia viva tra’fanti; e più viva ancora tra’ cavalieri.
Im- perocché li Yejenti quivi schierati non che sbigottirsi e dar volta ,
resistevano all’ impeto de’ cavalli romani. Alfine vedendo che l’ ala loro
sinistra era battuta, e che- l’esercito de’Fidenati e degli alleati fuggiva
tutto precipitosa- mente, anch’cssi per timore di non essere colti in mezzo da’
nemici che tornavano da inseguire gli altri, diedero volta, e si scomposero e
tentarono di salvarsi a traverso del fiume. I più robusti , e men carichi di
ferite , nè impotenti a nuotare passarono senza le armi il fiume e scamparono:
ma quanti non aveano l’uno o l’altro di que’ requisiti , affondavano tra’
vortici ; essendo il Te- vere presso Fidene rapido e tortuoso. Tulio intanto
impose a parte de’ cavalieri di uccidere i nemici che . accorrevano al fiume ,
ed egli conducendo il resto del- r esercito assali gli accampamenti de’ Vejenti
e gl’ in- vase. E tali sono le operazioni che diedero, a’ Romani salute
inaspettata. Quando il re d’Alba vide manifestamente vit- toriose le milizie di
Tulio ; egli per dare a vedere che faceala da alleato , calando dal monte le
sue , le menò contro de’Fideuuti che fuggivano ; e molli in tale stalo. ...
a!xg ne uccise. Tulio vedendo il suo fare , ed esecrando la nuova sua
tradigione , dissimulò di presente , finché lo avesse nelle mani : ansi diè
vista di lodare tra* molli come l>onissima l’ andata di lui su pel monte : e
spc- una banda di cavalieri lo richiese che desse ultimi contrassegni di zelo,
incaricandolo , che cercasse con diligenza , e trucidasse que’ Fidenati che non
po- tendo ripararsi tra le mura , vagavano dispersi intorno • in tanto numero
per la campagna. Colui quasi avesse, già conseguila Tana delle due cose che
sperava, e quasi, fosse accetto veramente a T ullo , ne fu dilettato ; e ca-
valcando gran tempo per que’ campi fe’ strazio, de’ prò-, fughi i quali
sopraggiungeva. E già tramontato il sole, condusse i suoi squadroni da tale
persecuzione al campo Romano , c vi festeggiò con gli altri la notte. Tulio
di-, inoratosi nell’ accam|)amento de’ Vejenti fino alla prima vigilia vi
esplorava da’ prigionieri più riguarderoli quali fossero mai stati li capi
della rivolta. Come poi seppe che ci avea tra congiurati anche 1’ Albano Mezio
Fuf- fezio, gli parve che i fatti di lui concordassero colle in- dicazioni de’
prigionieri. Adunque montato in sella si ri-, condusse cavalcando in città fra
lo stuolo dc’suoi più fidi. E prima della mezza notte convocando dalle case
loro i Senatori ; disse del tradimento degli Albani , dandone |)er teàlimonj li
prigionieri ; e narrò gli artcGzj co’ quali egli avea deluso i nemici e li
Fideuali. E poiché la guerra avea fine bonissimo ; invitò loro a discutere come
si avessero a punire i traditori, perchè Alba si rendesse |>iù savia per 1’
avvciiire. Parve a tulli giusto anzi ne- cessario che si ['Unissero quanti si
erano messi ad ojteia tanto «cellerata. Si ondeggiò però molto intorno la ma-'
oiera facile e sicura della esecuzione. Sembrava loro im> possibile che
tanti cospicui Albani si potessero involare con morte tenebrosa e nascosta. Che
se tentassero arre- starli e punirli palesemente , torneasi che quel popolo,
piuttosto che ciò non curare , volasse alle armi. Non voleano poi combattere in
nn tempo co’ Fidenati/ coi Tirreni , e con gli Albani loro consocj.- Ora non
espe- dendosi essi ; diè Tulio in6ne uu suo parere cui tutti en- comiarono. Io
ne dirò dopo un poco. Siccome non era Fidene distante da Roma se non cinque
miglia ; ' cosi egli eccitando con tutto r ardore il cavallo si restituì negli
alloggiamenti : e pri- ma che il giorno brillasse’ laminoso , chiamando Marco
Orazio il superstite de’ trigemini , e dandogli li fanti e li cavalieri piò
scelti , ordinò che marciasse con questi ad Alba , che vi s’ introducesse in
sembianza di amico ; che , quando ne avesse in sua balia gli abitatori
rovinasse da’ fondamenti la città, non risparmiando edifizio alcuno privato o
pubblico, se non i tempj: non vi uccidesse però nè vi oltraggiasse uomo ninno,
ma consentisse che ognuno s’avesse le sue cose. Spedito questo egli aduna
tribuni e centurioni , palesa ad essi il decreto del senato , e forma di loro
la guardia del corpo suo. Si presentò dopo non molto 1’ Albano in gaudio per la
vittoria co* mune , e per congratularsene con Tulio t e Tulio ser- bando
tuttavia li segreti suoi , Io encomiava , confessa- valo degno di gran doni, ed
invitavalo a scrivere i nomi de’ valentuomini che si erano più distinti nel
combat- tere e portarglieli perchè tutti partecipassero ai beni della villoria.
Inondatone costui dal jnacere diè su di una tavoletu in iscritto i nomi de’
suoi più fedeli, de’ quali si era valuto ne’ disegni reconditi. Allora il re di
Roma invita a radunarsi lutti , senza le arme , e radunatisi ; fece che il duce
degli Albani, come li centurioni e tri- buni si collocassero presso di lui , e
che gli altri Al- bani ordinatamente si compartissero ; ponendo dopo lo- ro il
resto degli alleati e dietro tuui infine circolai-- mente i Romani , tra’ quali
ce ne avea de’ magnanimi , co’ brandi sotto degli abiti Quando poi gli sembrò
di avere a suo bell’ agio i nemici ; sorgendo cosi ragionò : Romani , amici ,
compagni di arme , fi- nalmente abbiamo col favore degl' Iddìi portala la
vendetta su Fidene e su quanti partigiani di lei , fu- rono arditi investirci
con guerra manifesta. Seguirà da questo t una delle due , vale a dire che
quanti ci molestavano si cheteranno ; o ne daranno pene tanto più spaventose.
Ora venule già le prime nostre im- prese a buon termine , é tempo iche puniamo
quei guerrieri che avendosi il nome di amici nostri , ed assunti a questa
guerra da noi perchè facessero con- tro (i nemici comuni , abbandonarono la
loro fedeltà verso noi , si strinsero con patti segreti a nemici , e
macchinarono la universale nostra rovina. Ben sono essi peggiori de' nemici
manifesti , e perciò degni di pena più grande. Imperocché facile cosa è
deludere le insidiose lor trame , e ribattere si possono se ci assaliscono come
nemici : ma né riesce di leggeri cautelai si da amici che la fan da nemici, né
si pos- sono risospingere se ci prevengano. Ora tali sono i guerrieri che Alba
ci manda\>n : ingannevoli alleali ! eppure non danneggiati , ma beneficati
grandemente , e in tante cose da noi. Noi , ramo già della lor gente , non
toglievamo punto della lor signoria , ma 'la nostra forza , la nostra potenza
fondavamo qol domare i nostri nemici. Premunendo di mura la no- stra patria
contro genti amplissime e bellicosissime abbiamo prodotto ad essi un alta
sicurezza in fra le guerre de’ Tirreni e de’ Sabini : tantoché serbandosi la
nostra città prosperamente , dovean essi rallegrar- sene principalmente ; e
decadendo questa non dovean meno rattristarsene che per la propria città. Essi
però si ostinarono ad invidiare non solamente il nostro ben • esseio , ma il
proprio ancora nel nostro : e da ultimo non potendosi più Iodio nascondere, ci
hanno premeditato la guerra. Ma perciocché vedeano noi benissimo acconci a
ripeivoterli , non essendo essi valevoli contro di noi , c invitarono a
trattati ed ami- cizia , e richiesero che la lite sul principato si deci- desse
con la tenzone di tre combattenti. Acoetlammo t invito e vincemmo ; e ci fu la
loro città sottomessa. Or , dite : che abbiamo noi fatto dopo questo ? Po-
tendo noi ricevere gli ostaggi da Alba, polendo met- tervi guarnigiotìe , e
qual’ uccidervi , qual cacciarne de’ principali a por dissidio tra t uno e t
altro po- polo; potendo cambiarvi in favor nostro la forma del governo ,
smembrarne il territorio , prescrivervi de’ tri- buti , e torlo infine le arme
ciocché era facilissimo , ed avrebbe tanto più noi convalidato ; polendo noi
tutte queste cose ; non abbiamo pur voluto farvene in. 263 nemmeno una, mossi
anzi dalla pietà versò loro, che dalla sicurezza del nostro principato. E
preferendo cioccK era il decoio all’ utile abbiamo conceduto che si godesse
ogni suo bene. Permettevamo che Mezio Fujfezio, che essi avevano elevato à primi
gradi come il più degno , vi amministrasse ancora la repubblica. Ed essi (
ascoltate qual .contraccambio ce ne rende- rono quando più bisognavamo dell’
amicizia , e delle armi loro ) ! si convennero in segreto col nemico co- mune
di assalirci insieme tra la battàglia ; e quando t inimico e noi eravamo già
già sul combattere ; essi lasciando il posto della ordinanza , corsero a’ monti
vicini onde preoccuparne le alture più forti. E se la cosa andava loro a
seconda , niente avrebbe impedito che noi tutti perissimo 'circondati dagli
amici e dai nemici ; e che tulli i combattimenti da noi sostenuti per la
signoria della nostra città , tutti in un giorno , ■svanissero. Ma poiché tal
disegno riuscì vano primie- ramente per disposizione benefica degV Iddìi da quali
ripeto quanto io fo mai di buono e di bello , e poi per t avvedimento mio che
non poco valse a scorag- gir t inimico ed accendere i nostri, essendo stato mio
stratagemma il dire che gli Albani ^ ordine' mio preoccupavano il monte per
cingere t inimico ; poiché t affare si terminò coll utile nostro ; noi non
sarenp- mo , quali essere ci conviene , se non punissimo i traditori ; quelli
io dico i quali, doveano se non per altro , almeno pe' ligami di parentado
serbare gli ac- cordi ed i giuramenti , fattici di recente , e li quali non
temendo gl Jddii che fecero testimonj de’ loro trattati , non riverendo la
giustizia stessa , non la ri- provazione degli uomini, non calcolando la
grandezza del pericolo se il tradimento sconciavasi, tentarono in miseranda
maniera di perdere noi progenie , noi be- nefattori loro , essi nostri fondatori
, e congiurali con gt implacabili nostri nemici. Dicendo lui queste cose
prorompeano gli Albani in gemiti, e preghiere d’ogni modo. ÀHermavail popolo
non aver lui saputo niente dei disegni di Me- zio : simulavano' i capitani non
aver conosciuta la mao chinazione, se non che nel darsi della battaglia, quando
più non era in poter loro d’ impedire , o non fare i comandi. Riferivano altri
il lor fatto alla insuperabile necessità di congiunzione e di parentado ;
quando il re, fatto silenzio disse: niente,. Albani, niente ignoro, di quanto
allegate per iscusannivi. E penso che il più di voi noi sapesse quel
tradimento, perchè dove molti sono i consapevoli , non si tacciono , neppur
brevissi- mo tempo le cose : penso che de’ tribuni e de’ centu- rioni la parte
minore fosse la complice ; ma che la più grande non era che aggirata , e
ridotta a passi non volontari . Che se niente di ciò fosse vero ; se voi tutti
Albani , quanti qui siete , e quanti si rima- sero in Alba, vi aveste in cuore
di danneggiarci, nè già da ora, ma da tempo antichissimo ; pur s avrebbe il liomano
nella sua parentela una ben forte cagione a pazientarne le ingiurie. Perchè
però non più vi aduniate a consulte ingiuriose contro noi , non più violentati
, non più sedotti vi troviate da’ capi della vostra città ; ito abbiamo pure
sebbene unico , questo rimedio : vale a dire che divenendo tutti cittadini di
una città riguardiamo - questa sola per patria , e par- tecipiamo ciascuno ai
beni e mali di tei, coma essa ne incorre. Finché saranno come ora discordi i
pa- reri , finché disputeremo su la preminenza; non sor- gerà mai stabile pace
fra noi ; principalmente se gli uni i primi siano per insidiare gli altri con
vista di dominare vincendo , o di essere come parenti impuniti se perdono.
Imperocché quelli die sono assalili ten- teranno riscuotersi coll estremo de'
mali , nè fuggi- ranno modo alcuno onde nuocere gli tdtri quali ne- mici, come
ora addivenne. Pertanto sappiate: avendo io nella scorsa notte adunalo il
SeruUo , i Romani per bocca sua emanavano, ed io firmava il decreto che la
vostra città fosse disfalla , nè si permettesse che vi restasse in piedi
edifizio niuno privato nè pubblico alf infuori de' templi : che quelli che vi
abi- tano ritenendo ogni bene , non ispogUali di schiavi , non di bestiami, non
di oro pongano da ora innanzi la sede in Roma: che gli Albani poi, che non
hanno campo alcuno se lo abbiano , purché non sia de' po- deri sacri co’ quali
si procacciano i sagrifizj : che io provveda i luoghi della città dove le
abitazioni si fondino degli emigrati , e supplisca a chiunque di voi più ne
ahbisogna , i mezzi onde tompierle : che tutta la vostra moltitudine prenda la
forma del nostro po- .polo ; comportasi in, curie e tribù; abbia parte nel
Senato e nelle magistrature più insigni, e si ascrivano alle famiglie patrizie
le famiglie de'Giulj, de' Servi Ij, de Geranj , de Metelj , de’ Corazj , de’
Quintìlj (i) , e de’ Cluvilj ; che finalmente Alezio e quanti delibe- rarono
con esso il tradimento , se ne abbiano le pe- ne , e noi le stabiliremo queste
, giudici sedendo di ogni causa ; mentre a ninno dee negarsi giustizia e
difesa. XXXI. Intanto che Tulio cosi diceva i poveri tra gli Albani gradendo di
essere fatti abitatori di Roma, e di parteciparne le campagne , lo acclamavano
a gran voce. All’ opposito i più cospicui per grado o più agiati per sorte si
affliggeano che avessero ad abbandonare la pro- pria città , e le case paterne
, e vivere per 1’ avvenire in terra altrui; nè più sapean che dire in tanto
orribile necessità. Poiché Tulio ebbe investigato i pareri della moltitudine ,
impose a Mezio , che allegasse , volendo , le sue giustiBcazioni r e costui non
sapendo che repli- care alle accuse ed alle testimonianze t disse che il Se-
nato di Alba avealo segretamente incaricato di far ciò quando usci per
guerreggiare; e pregava gli Albani ai quali avea tentato di racquistare il
comando , che lo soccorressero , nè guardassero con indifferenza la patria che
rovinava , e tanti cittadini degnissimi che erano strascinati al supplizio. E
già nasceane tumulto nella moltitudine , e volavano alcuni ad afferrare le armi
; quando i Romani che circondavano l’adunanza sguaina- rouo , datone il segno ,
le spade : ed essendone tutti aiierriti ; sorse Tulio un'altra volta e disse:
Albani, non qui vi è dato d' insorgere, nè di trawiarvi: giac‘ (i) Lrsino , e
Patino de Famil. Romanor. leggono Quinzf. ’ ^6'J cJtè tulli, se ariìiste commovervi,
sareste trucidali da questi : ( E cosi dicendo additava le spade de’ suoi ).
Prendete ciocché vi si dona , diventale fin da oggi Romani. È per voi necessità
, domicitiaivi in Roma , o non avere più patria sulla terra. Marco Orazio andò
sulC ordine mio fin dalC aurora per abbattere la vostra città dai fondamenti ,
e condurne in Roma gli abitanti. Ora sapendo che ornai questo è fatto , non
vogliate correre alla morte; ubbidite. Metio Fuffezio, quesf occulto nostro insidiatore
, che nemmen ora te- me d’ invitare alle armi i turbolenti e li sediziosi';
questo ne darà le pene , degne del perfido cuore e scellerato. Sbigottì ciò
udeudo la parie irritata degli adunali , come vinta da insuperabile necessità.
Fremea Fufiezio per l’ opposi to , e vociferava , ma solo , e re- clamava r
alleanza , egli che era accusato di averla tra- dita , nè perdea la baldanza ,
anche in mezzo de’ mali ; quando i littoii per comando di Tulio afferrandolo
gli squarciano in dosso le vesti e lo caricano di battiture. Poi quando parve
che ornai quel supplizio bastasse ^ avvicinando due carri , legarono con lunghe
redini le braccia di lui nell’ uno di questi , e li piedi nell’ altro. Allora
spingendo gli aurighi quinci e quindi i due carri ; egli strascinato e tirato
in parti contrarie , fu subitamente ridotto in brani. Tale fu il termine mise-
rando e vergognoso di Mezio. Infine io stesso re mise un tribunale per gli
amici e complici di lui nel tradi- mendo ; punendoli , come li scopriva rei , colla
morte >, a norma delle leggi su’ disertori e su’ traditori. Intanto che si
laccano tali cose, Marco Orazio spedilo innanzi con scelta milizia a
distruggere Alba compiè’ ben tosto la marcia , e se ne impadroni ; tro- vandovi
le porte non chiuse , nè difese le mura. Poi convocando la moltitudine le
palesò quanto era acca- duto nella battaglia , e quanto il Senato di Roma ne
decretava. Contrariavano quelli, e dimandavano tempo almeno per ispedire degli
ambasciadori. Ma costui senza indugio spianò case , muri ; e tutti in somma i
privati e pubblici ediGzj ; scortandone con assai diligenza a Ro- ma gli abitatori
, che menavano e portavano ogni loro bene con sé. Tulio ritornato dal campo gli
comparti ira le curie e tribù romane , li coadjuvò per fabbricare ne’ luoghi ,
che sceglievano in Roma , le case : dispensò porzione sufGciente de’ terreni
del pubblico fra i loro meroenarj , e sen cattivò con altre amorevolezze la
mol- titudine. Ma la città di Alba già fondata da Ascanio nato da Enea figlio
di Anchise , e da Creusa figlia di Priamo , quella che per quattrocento
ottanlasette anni dalla sua fondazione era tanto cresciuta di popolo, di
ricchezze , di ogni ben essere , quella che aveva pro- pagato trenta colonie in
trenta città del Lazio e che era sempre stata la capitale della nazione ,
quella alfine vit- tima ^i) dell’ ultima delle sue colonie giace squallida an-
cora e desolata. Prese requie nell’ inverno il re Tulio ; ma nel sorgere della
primavera cavò nuovamente l’ eser- cito contro Fidene. Non era venuto a’
Fidenati, nè lo pretendeano , pubblico soccorso ninno dalle città confe- derate
: solamente da più luoghi erano venuti de’ mer- (i) Anni di Roma 88 secoodo
Catone; 90 secondo Varane , e G 6 f aTanli Cristo] cenar} ; e contando su
questi osarono un’ altra volta esporsi in campo. Schierativisi , uccisero molti
de’ nemi- ci; ma poi furono rispinti di nuovo tra le mura. Come però Tulio
cingendo la città di argini e fosse la ridusse alle ultime angustie ; vinti dalla
necessità , si renderono a discrezione. Divenuto costui padrone della città vi
uccise nemmeno gli autori della ribellione. Lasciò gli altri a sé stessi ;
concedendo ebe godessero i lor beni : e restituendo ad essi la forma che aveano
di reggenza , congedò 1’ armata. Restituitosi a Roma onorò gl’ Iddii con la
pompa trionfale e co’ sagrilìzj promessi , e fu questa la seconda volta che
trionfò. Si eccitò dopo questa a’ Romani la guerra de’ Sabini ; e tale ne fu la
cagione. Onorasi da’ Latini e Sabini in comune il tempio, sacrosanto più che
ogni altro , della Dea nominata Feronia , che taluni con greca interpetrazione
chiamano la portatrice de’ fiori ^ 0 r amica dei serti , o Proserpina.
Essendosene an- nunziate le feste , erano dalle eittà d’ intorno venuti molti
per supplicare , e sagrificare alla Dea , e molti , mercadanti , artefici ,
agricoltori per guadagnare nel concorso ; ivi tenendosi fiera famosissima più
che in altri luoghi d’ Italia. Recavansi per avventura a questa luogo alquanti
non ignobili tra’ Romani , quando alcuni Sabini concertatisi , li circondarono
e derubarono. E 1 quantunque si spedissero de’ messaggeri , non voleano su questo
i Sabini rendere la giustizia : ma riteneansi 1 danari e le persone degli
arrestali ; imperocché dole- vansi anch’ essi de’ Romani che avessero dato
ricetto ai fuggitivi de’ Sabini , costituendo il sacro asilo , come si
dicliiarò nel primo libro. InSammanciosi da tali queri> monie alla guerra
uscirono con moltissime schiere in campo aperto. Fecesi ordinata battaglia , e
pari splen- deavi il coraggio de’ combattenti ; tanto che separatine dalla
notte lasciarono la vittoria indecisa. Ke’ giórni ap- ]>res$o considerando
ambedue la mohitudiue degli estinti c de' feriti , ricusarono ogni altro
cimento ; ed abban- donando gli accampamenti , si ritirarono. Ma tenutisi iu
cylma per quell’ anno uscirousi di nuovo a fronte con. forze più formidabili.
Si appiccò la zuffa presso di Erelo lontana centoquaranta sladj da Roma , c
molti vi soccombeano da ambe le parli. E pendendo questa zuffa ancora lungo
tempo sospesa , Tulio elevò le mani al cielo, votandosi che se vinceva in quel
giorno i Sabini istituirebbe delle feste a Saturno ed a Rea con pubblica
s])esa. Celebrano ogni anno i Romani tali feste dopo che barino riportato tutti
i frutti della terra. Egli facea voto insieme che raddoppierebbe il numero de’
Salj. Derivano questi da nobile prosapia ,, e ne’ debiti tempi si cingono di
arme , e saltano accordando al suono delle tibie i salti , e cantando patrie
canzoni , come ho spiegalo nel bbro primo. A quel volo si mise tanto ar* dorè
ne’ Romani che questi pressando , come freschi soldati, gli stanchi, ne ruppero
le schiere in sul man- care del giorno , e ridussero gli stessi capitani a dar
principio alla fuga. E seguendo essi li fuggitivi ai pro- pri irincieramcnli ,
ne raggiunsero la maggior parte vi- cino alle fosse. Tuttavia nemmeno dopo ciò
retrocede- rono : ma rimanendosi ivi nella notte imminente , e respingendo i
uciuici che pugnavano da entro il vallo , . 271 invasero alRne gli
accampamenti. Trasportaronsi dopo ciò quanta preda voleano dalle campagne
sabine : e sic- come niuno più presenlavasi a combatterli , si ricon>
dussero in casa. Fece il re per questa battaglia il terzo trionfo. Quindi per
le molle ambascerie de’ nemici de- pose le armi , avendone da essi li suoi
disertori , e li soldati suoi caduti prigionieri ne’ pascoli; ed esigendone la
multa decretata contro loro dal Senato di Roma il quale avea calcolato in
argento r danni ricevuti da’ ne- mici negli armenti, nelle bestie da giogo, e
nelle altre cose tolte ai coltivatori dei cttmpi di lei. Fransi cosi scioiii
dalla guerra i Sabini : e scrittine su colonnette i trattali, gli aveauo
collocati nei tempj. Ma suscitatasi per le cagioni che tra poco dire- mo , la
guerra di Roma con le città latine , congiurate fra loro , guerra che non parea
da essere ultimata nè con prestezza nè con facilità ; li Sabini afferrarono di
Lenissima voglia tale occasione , e dimenticarono quasi non fatti , i
giuramenti e i trattati. E reputando esser questo il buon punto da rivendicare
anche il multiplo del danaro sborsato a’ Romani ; uscirono su le prime , in
pochi , ed occulti a predarne le campagne vicine. E succedendo in principio il
disegno secondo il desiderio, perchè non accorreva milizia ninna in difesa de’
colti- vatori ; si adunarono in gran numero e palesemente : e spregiato l’
inimico macchinarono di recarsi fino su Ro- ma. Adunque congregarono le
soldatesche da ogni loro città, brigando di congiungersi co’Laiini. Ma non
venne lor fallo di ottenere nè amicizia uè lega ninna con quella gente.
Imperocché Tulio veduti i loro peusieri , fe tregua colle città latine , e
deliberò di volgere le* annate contro di essi. Egli aveva in arme il doppio di
allora , quando mosse alla presa di Alba , ed aveà rac* colto il più che potea
di sussidj dagli alleati. Già 1’ e— sorcito de’ Sabini crasi concentrato.
Quindi avvicinatisi- entrambi alla selva della dei malfaUori (i) si accam-t
parono a picciola distanza fra loro. Nei giorno appresso investendosi ,
combatterono , ma con dubbia sorte gran tempo ; finché violentati al far della
sera i Saliini dalla ’ cavalleria romana piegarono ; e molta ne fu nella ' fuga
' la uccisione; spogliarono i vincitori i cadaveri de’ iie-> mici ; invasero
quanto ci avea di danaro negli alloggia- menti ; e conducendosi dalle campagne
il fiore delie prede , tornaronsi a casa. Tal fine ebbe pe' Romani la guerra
Sabina nel regno di Tulio. Erano le città Latine divenute allora per la prima
volta discordi da Roma , perchè essendo distnitta Alba , ricusavano fidare il
comando di sé stesse ai Ro- mani che ne erano i distruttori. Tulio, volgendo
l’anno quindicesimo dalla caduta di Alba avea spedito amba- seladori alle città
filiali , o suddite di questa le quali eran trenta, per chiedere che
ubbidissero ai Romani, pa- droni di ogni cosa degli Albani , e con ciò dell’
imperio ancora - su’ Latini. DIcea che due sono i titoli pe’ quali gli uomini
diventano gli arbitri di altrui : la libera de- dizione e la necessaria : e che
i Romani se gli aveano ' tutti due per dominare le città già ligie degli Albani
: [tercliè i primi avevano vinto i secondi dichiaratisi loro (1) Livio la
chiama tj-lva malUiom.. 2*; 3 nemici , e fra le arme , ed aveano poscia
accomunato Roma ad essi che aveano perduto la patria. Ora da ciò seguitava che
gli Albani o vinti o volontarj cedeano ai Romani l’imperio de’sndditi loro. Non
risposero le città Latine una per una agli oratori : ma congregatesi pei
deputati a Ferentino decisero co’ voti loro d^ non sotto- mettersi a’ Romani ;
e crearono immantinente due capi- tani arbitri della guerra e della pace , 1’
uno Anco Pu- blicio della città di Cori , e 1’ altro Spurio Vecilio di Lavinia.
Si fece per queste cagioni guerra tra* Romani e tra’ popoli di una gente
medesima : continuò cinque anni ma quasi civilmente secondo 1’ antica
temperanza. Imperocché venendo le intere milizie degli uni a batta- glia
ordinata con le intere milizie degli altri , mai non si fece gran danno , nè
piena occisione ; nè mai ninna loro città vinta in guerra , soggiacque alla
distruzione , alla schiavitù , o ad altre insanabili disavventure. Ma
gettandoti gli uni ne’ territori degli altri ne’ tempi della raccolta
pascolavano e predavano e ritiravansi in casa , e cambiavansi lì prigionieri.
Tulio solamente cinse di as- sedio Medullia città latina, divenuta come fu
detto nel libro antecedente fin da’ tempi di Romolo colonia dei Romani , ed ora
congiuratasi co’ suoi nazionali , e con ciò la ridusse a non più tentare
innovamenti. Non oo- corse a ninna delle due parti alcun altro de’ mali con-
sueti nella guerra perché le guerre de’ Romani di quei giorni eran subite, e
per la subitezza non iochiudevano tanto rancore. Cosi adoperava nel suo
principato Tulio Osiiiio, r uuo de’ pochi uomini degni di lode per l’ar>
dire felice tra le arme , e per la saviezza ne’ pericoli ; c più che per tali
due cause, per ciò che egli non era precipitoso a far gueire, ma postovi si,
non mirava che a silperare in tutto i nemici. Dopo uu regno di trenta due anni
mori per l’ incendio della sua casa , e con lui pur morirono nel fuoco medesimo
la moglie , i figli , i domestici. Vi è chi dice che la casa di lui fu messa in
fiamme dai fulmine ; essendoglisi irritato il Nume per alcuna sua non curanza
di sante cose , perchè si erano sotto lui tralasciati dei sagrifizj della
patria , introdu- cendovisi in parte gli altrui. Ma i più raccontano che fu
quel disastro per insidia degli uomini ; ascrivendolo a Marzio , re ,
successore di lui : perocché Marzio sde* guavasi , dicono , che egli nato di
regio lignaggio dalia figlia di Numa Pompilio vivesse tra’ privati : e vedendo
già grande la prole di Tulio , altamente ne sospettas’a , che' se costui periva
, passasse il regno a’ figli di lui. Fra tali concetti insidiava da gran tempo
la regia vita. £d essendogli molti Romani, fautori per dargli lo scet- tro , e
Tulio essendogli amico , ed era creduto fidissi- mo; spiava la occasione di
sorprenderlo. Era Tulio per fare in sua casa un sagrilizio al quale non volea
pre- senti che i suoi più congiunti; ma divenuto per avven- tura quei giorno
ferale per tenebre , per pioggia , per nembi , le guardie aveano lasciato
deserti gii atrj della reggia. Parendo questo il buon punto s’introdusse Mar-
zio e i compagni co’ brandi sotto degli abiti : uccisero il monarca , i figli e
quanti vi erano : vi appiccarono il fuoco in più bande e poi divulgarono la
novella del fuoco. Ma io non ricevo la novella , perocché , nè vera la credo,
nè verìsimile : e piuttosto m’ appìglio 'alla prima opinione , e penso che
quest’ uomo per ira degli Iddìi corresse tal sorte. Imperocché non è facile che
la congiura , operandola molti , si resusse occulta : nè il capo di essa era
sicuro che egli sarebbe proclamato monarca da’ Romani dopo la morte di Tulio
Ostilio: e quando fosse tutto stato sicuro per lui dal canto degli «omini , non
potessi confidare che somiglierebbero i divini agli umani pensieri. Bisognava
dopo il voto delle tribù che propizj gli augurj comprovassero il regno per lui.
Qual genio o qual Nume avrebbe mai sopportato ebe un uomo cosi lordo di delitti
e di sangue si acco> stasse agli altari suoi per compiervi de’sagrifizj, o
altre pie cerimonie ? Per tali cagioni io riferisco quell’ evento agl’ Iddìi ,
non alle trame degli uomini. Tuttavia ne giudichi ognuno come più vuole. Dopo
la morte di Tulio Ostilio fu creato secondo i patrj costumi l’ interré dal
Senato ; e l’ in- terré dichiarò sovrano della città Marzio , che Anco
denominavasi. E Marzio , dopo confermati i decreti del Senato dal popolo , dopo
renduti agli Iddii quanto a loro si conveniva, e compiuta a norma delle leggi
ogni cosa, assunse il comando nell’ anno secondo della ohm- \ piade 35 .* nella
quale vinse Sfero spartano , nel tempo che Damasìa esercitava in Atene l’annuo
magistrato (i). Ora osservando questo re la trascuraggìne delle pratiche
religiose istituite da Noma , avolo suo materno , esser- ti ) Anni 114 secondo
Catone, e 116 secondo Varroae dalla foa- dasione di Ruma e 638 aTanti Crist] vando
die il più de’ Romani erano divenuti guèrrieri è dediti a vili guadagni , nè
più si volgeano come prima ai lavori della terra; chiamati tutti a parlaménto,
esortò che ripigliassero il culto degl’ Iddii come a’ tempi di Numa ;
dimostrando che per tali negligenze delle sante cose erano venuti in città
morbi e pestilenze ed alu'i Hagelli che ne aveano desolata parte non picciola :
e che lo stesso re Tulio perchè non vegliavane quanto doveva alla custodia,
travagliato per molti anni da tutti i generi de’ mali , nè più essendo padrone
della stia mente , ma decadutagli questa come il corpo , incone in catastrofi
miserande egli nemmeno che la sua stirpe." E lodando a’ Romani la pubblica
forma indotta da Nu- ma come egregia e savia , e generatrice di abbondanza
quotidiana per giustissime cause ; raccomandò che la ravvivassero e volgessero
l’ opera loro , a coltivare le terre , ad allevare i bestiami , e ad altri
lavori , liberi dalle ingiustizie della violenza e della rapina , e spre-
giassero in fine le utilità che nascono dalla guerra. Con questi e simili detti
risvegliava iu tutti il dolce trasporto per la calma , aliena dalle armi , e
per la in- dustria sapiente. Convocando poi li pontefici , e pren- dendone le
leggi delineate da Numa intorno le cose divine , le scrisse ed esposele in su
tavolette nel Foro a chiunque volesse vederle. Ora quelle tavolette vennero
meno: perocché non usavano ancora le colonne di me- tallo ; ma scriveansi in
tavole di querce le leggi del fero e de’ templi. Dopo la cacciala dei re furono
H- prodolte in pubblico dal pontefice Cajo Papirio, il quale avea la cura
suprema delle cose divine. Rendendo il suo splendore ai ministeri negletti de’
sacerdoti , e rendendo ai lavori suoi la turba oziosa ; encomiò gli utili
agricol- tori, e ne biasimò gl’improvidi, come cittadini non veri. Lusingavasi
al favore di tali istituzioni di vivere sempre libero da guerre e disastri come
1’ avo materno : tuttavia non ebbe pari ai desiderj la sorte ; ma in onta del
cuor suo fu necessitato alle arme , e ravvolto in tutta la vita fra turbolenze
e pericoli. Im> perocché nel primo ascendere al comando appena diede calma
allo stato , i Latini ve Io dispregiarono : e pen- sandolo per codardia non
idoneo alla guetra; tutti man- darono entro i confini di lui bande di rubatori
, che ' assai danneggiarono molti Romani. E spedendo il so- vrano degli
arobasciadori a chiedere compensagioni pei Romani secondo i trattati, finsero
ignorare in lutto quei latrocini , non die fossero con pubblica autorità con-
certati. Diceano pertanto non dovere di cosa alcuna ri- sponderne a’Romani;
tanto più che i trattati erano con Tulio e non co’ presenti; e Tulio mancato,
erano periti con esso gli accordi. Necessitato da tali pretesti e cavil-
lazioni de’ Latini Marzio portò conti'O loro l’ esercito. Postosi all’ assedio
della città di Politorio , la prese a condizioni prima che i soccorsi le
giugnessero de’ Latini. Non infierì già cogli abitanti , ma portossegli tutti a
Roma co’ beni che avean seco, aggregandogli alle tribù. Ma siccome i Latini
mandarono nell’ anno seguente nuovi abitanti a Politorio , e ne coltivavano i
campi , così Marzio pigliando I’ eserdto lo ricondusse contro di loro. Uscirono
dalle mura i Latini e combat- terono; ma egli li vinse, e prese la città per la
seconda volta. E peixìhè più non fosse un richiamo de’ nemici . nè più
lavorassero i campi di lei , ne abbattè le mura , ne incendiò gli edi6zj, e
parli. Recaronsi nell’anno ap- presso i Latini a Mednllia ov’ erano de’ coloni
romani , e dandole d’ ogn’iniomo l’assalto la espugnarono. Maiv 'zio andato di
quel tempo contro la città di Tillene e divenuto vincitore in campo , c poi su
le mura , la sottomise. Non tolse a’ prigionieri nulla di quanto aveano: ma li
trasse in Roma ove. diè loro de’ luoghi perchè vi edi6cassero le abitazioni.
Soggiacque Medullia per tre anni ai Latini , ma nel quarto la riconquistò con
molle e grandi battaglie. Espugnò dopo non molto Fidene(i), città presa tre
anni addietro per condizioni ; e ne 4ra- sferl tutto il popolo a Roma ; e non
danneggiando la città più oltre , parve che si diportasse anzi con man»
sneludine che con' prudenza. Imperocché li Latini vi supplirono nuovi abitanti;
e sen tennero e sen goderono il tet^ritorio ; tanto che fu Marzio costretto di
accorrervi per la seconda volta; e divenutone per la seconda volta padrone a
grande fatica ; ne abbandonò le case alle fiamme , e ne devastò le mura. XL.
Occorsero dopo ciò due battaglie tra’ Latini e Romani. Durò la prima lungo
tempo : e gli uni sem- brandovi eguali agli altri , si distaccarono , e
ritiraronsi a’ proprj alloggiamenti. Nella seconda i Romani vinsero i Latini e
gl’ incalzarono fino alle trinciere. Dopo ciò più non vi ebbe fra loro
battaglia ordinata : ma conti- nue furono le scorrerie degli uni su le terre
vicine degli (i) Vi i ehi legga Ficolara per Fidrue. E verameaie più sotto si
parla della ribtIlioBe di Fideue. . 279 altri ; > econtinua le scaramucce
tra cavalieri e fanti che volteggiavano; ma per lo più colla meglio de’ Romani
i quali teneano in campo aperto appiè di castelli oppor- tuni un armata sotto
gli ordini di Tarquinio Toscano. Ribellaronsi intanto que’ di Fidene da’ Romani
, nè già' dichiarando guerra manifesta ; ma danneggiandone a poco a poco con
occulte incursioni le campagne. Marzio' però presentandosi loro con esercito
ben fornito innanzi che si apparecchiassero alla guerra si accampò d’appresso
alia città. Fingeano i magistrati non supere per quali affronti i Romani
fossero venuti contro di loro : e di-- chiarando il re che veniva per aver
soddisfazione dei latrocinj e danni fatti da essi nella sua terra ; si escu-
sarono che niente era stato con pubblica autorità , e chiesero tempo per
esaminare e discernere i complici delle ingiustizie. Procrastinavano intanto ,
non adempie- vano gli obblighi loro , adunando in segreto de’ sussidj , e
travagliando all’ apparecchio delle arme. Marzio conosciutine i disegni scavò
de' cunicoli dal suo campo fino alla città : e compiutone il lavoro suscitò le
schiere, conducendole con molte scale e mac^ chine e stromenti proprj per gli
assalti, alle mura, non' però dove riuscivano sotto queste le vie sotterranee,
ma in tutt’ altra parte. Accorsi in folla i Fidenati dove era- r assalto,
bravamente lo rispingevano, quando ì Romani incaricatine , dato 1’ ultimo
traforo ai cunicoli , sboc- carono dentro la città; e trucidando chiunque
capitava, spalancarono le porte agli assalitori. Soccomberono nella presa della
città molti de’ Fidenati; Marzio impose agli altri che cedessero le armi : poi
fattili per la voce dei banditori congregare in luogo certo , ne battè con Ter-
ghe e ne uccise alcuni pochi , autori della ribellione ; e concedè che i
soldati saccheggiassero le case di tatti. ÀlSne lasciato quivi un presidio
marciò coll’ esercito contro de’ Sabini. Nemmeno questi eransi tenuti ai patti
conchiusi con Tulio ; ma gettandosi nelle terre de' Romani ne aveano devastato
le più vicine. Marzio , cono» sciato dagli esploratori e dai disertori il tempo
acconcio ad investirli , andò con i suoi iànti , e mentre i Sabini spargeansi a
predar le campagne prese di assalto le loro trincierò , fornite di pochi
difensori ; ordinando intanto che Tarquiuio piombasse con la cavalleria su i
nemici che divisi rubavano. Al vedere la cavalleria ro- mana verso loro
lasciarono i Sabini la preda e quanto seco portavano o conducevano di proficuo
, e fuggirono agli alloggiamenti. Ma non sì tosto mirarono questi hr potere de’
fanti ; dubitarono dove rivolgersi , finché si sparsero per le selve e per le
montagne. Perseguitati pelò da* soldati leggeri e da' cavalieri , ne scamparono
pochi, soccombendone la parte più numerosa. Spedirono dopo ciò nuovi
ambasciadori a Roma ed ottennero l’a- micizia che voleano. Imperocché la guerra
, permanente ancora, co’ Latini rendea necessaria la tregua o la pace con gli
altri nemici. Xl.II. Intorno al quarto anno dopo questa guerra Marzio il re de’
Romani andò colle sue milizie e col più che potè delle ausiliarie contro de’
Vejenti , e de- vastò gran parte della loro campagna; imperocché questi si
erano i primi gettati nell’ anno precedente sul terri- torio romano; e molto vi
saccheggiarono, e vi uccisero. Ben uscirono
sperità , grandi oltre il dire , su le prime si diedero in pochi a
scorrerne e derubarne le campagne : poi lusin- gati dal guadagno misero
palesemente in piede un eser- cito ; e le desolarono. Ma non riuscì loro di
portarsi via que’ guadagni , nè di partire impuniti. Imperocché venuto
provvidamente il re de’ Romani , e posto il stio presso al campo de’nemici, gli
astrinse a fare giornata. Sorse dunque battaglia terribile , e molti perirono
da ambe le parti : nondimeno per la sperienza , e per la tolleranza de’
travagli , antica fra loro , prevalsero finale mente di gran lunga i Romani , e
fecero ampia ucci- sione, seguitando immantinente i Sabini che disordinati e
disgiunti riparavansi agli alloggiamenti. Poscia inva- dendo pur questi pieni di
ogni ricchezza, e ricuperando i prigionieri usurpati da’ Sabini quando
predavano ; sen tornarono in patria. Tali si dicono le gesta guerriere di
questo re , credute degne di ricordanza , e di stima da’ Romani : sono poi le
politiche , quelle che mi ac- cingo a narrare. Primieramente aggiunse alla
città non piccìola parte rinchiudendo fra le mura 1’ Aventino. E questo un
colle alto leggermente, con perimetro di circa stadj diciotto : r occupavano
allora piante di ogni genere e più che tutto lauri bellissimi , dond’ è che una
parte di esso chiamasi laureto da’ Romani : ora è tutto ingom- brato di case ,
e tra’ molti edi6zj , il tempio sorgevi di Diana. Dividevalo valle angusta e
profonda dal colle della città ^ chiamato Palatino , dove fu Roma nel na «cer
suo collocata : ma ne’ tempi appresso l’ intervallo tra* due colli fu riempiuto
di terra : ora vedendo che un tal colle sarebbe un luogo forte per un* armata
ne- mica se nini si avvicinasse, lo circondò di mura e fossi, e inisevi ad
abitare le genti trasportate da Telline , da Poiilorio , e da altre città
soggiogate. Celebrasi tale istituzione del re come utile e bella , perchè Roma
ne divenne più ampia , e meno espugnabile per quanti nemici mai le
soprastassero. Migliore del regolamento anzidetto è 1’ altro che la rendè più
felice nel vivere, e la mise ad im- prese più generose. Imperocché scendendo il
fiume Te- vere dai monti Appennini , passando appiè di Roma, e scaricandosi
attraverso de’ lidi del mare Tirreno , dirotti e senza porti , rende alla città
picciolo bene , e certo non memorabile , perchè dove si scarica non evvi un
emporio il quale riceva e cambj a’ mercadanti le merci portatevi dal mare, e
giù colla corrente stessa del fiume. Altronde essendo il Tevere navigabile fin
dalle origini con barche fluviali mezzane , e dal mare fino a Roma co’ legni
grossi da trasporto ; egli deliberò di fare ivi un luogo da ricever le navi ,
servendosi della imboc- catura come di porto ; tanto più che ivi il fiume si
spande amplissimo , e formavi gran seni appunto come ne’ siti de’ porti
migliori. E , ciò che porge più mera- viglia , il Tevere non è traversato nella
sua foce da cu- muli di arene , come altri gran fiumi , nè dilagasi in stagni o
paludi , nè consumasi con altre maniere prima che giintga nel mare : ma sempre
navigabile si scarica per una sola bocca naturale, separando a forza le acque marine
, quantun(]ue ivi spiri un vento occidentaie grande e malagevole. Adunque le
navi lunghe per quanto grandi, e quelle da carico, capaci ancora di tre mila
misure , si avanzano per la bocca del medesimo e giungono a Roma , sospintevi
con remi e funi : ma le navi maggiori fermate colle ancore presso la imboc-
catura si vuotano su barche fluviali, che succedono ai trasporU. Tra lo spazio
cui cingono il mare ed il Gume con forma di cubito , il re fece erigere una
città chia- mandola Ostia , o come noi diremmo , porta dall’ uso che presta ,
rendendo con ciò Roma mediterranea e marittima , talché godesse i beni ancora
d’ oltremare Inoltre cinse dì muro il Gianicolo che è un colle alto di là dal
Tevere , e posevi guarnigione che bastasse per difendere chi navigava in sul
Game ; im- perocché li Tirreni tenendo lutto il tratto di là dal Gume
infestavano e derubavano i mercadanti. E dicesi che egli soprapponesse al
Tevere il ponte Sublicìo , il quale dee per legge esser tutto di legno , senza
rame nè ferro , ed il quale , perchè sacro lo estimano , con- servasi ancora. E
se parte alcuna ne pericola, i ponteGci la curano , compiendo insieme patrj
sagriGzj mentre riparasi. Operate nel suo principato tali cose degne di storia.
Marzio dopo un regno di ventiquattro anni moti, lasciando Roma non poco
migliore di quello che aves- sela ricevuta , e lasciando due Ggli 1’ uno
fanciullo an- cora, r altro di più anni, e già nubile. Dopo la morte di Marzio
, il popolo rimise al Senato la scelta del governo che più bramava ; ed il
Senato Gssò di litenerne la forma consueta. Adunque furono gl’ interré
dichiarati ; e questi riunirono pe’ coi^ mizj la moltitudine , e scelsero Lucio
Tarquiuìo per monarca (i). E confermando i segni divinf la elezióne della
moltitudine ; egli assunse il regno nella olim- piade nella quale Cleonida
tebano vinse nello sta- dio, mentre era arconte in Atene il figliuolo di
Enioco. Ora , secondo che io ne trovo negli scritti di que’ luo- ghi, dirò di
quali parenti, e di qual patria fosse questo Tarquinio , per quali cagioni
venisse in Roma , e per quali arti giugnesse al comando. Un tale di Corinto , (
Demarato ne era il nome ) della stirpe de’ Bacchiadi , risolutosi di
commerciare navigò per la Italia con nave propria e proprie merci. Vendutele
nelle città tirrene allora le più prosperose d’ Italia , e fattovi assai guada-
gno , non volle più rigirarsi per altri porti ; ma tenne continuamente lo
stesso mare , portando le greche cose ai Tirreni , e le tirrene ai Greci ;
donde ricchissimo né divenne. Nata però sedizione in Corinto , e postasi la
tirannide di Cipselo attorno de’ Bacchiadi , egli ricco uomo , e del grado
degli ottimati , più non credendo sicuri col tiranno i suoi 'giorni , raccolse
quanto potea di sue robe , e fece vela per sempre da Corinto. E perchè stante
il commercio continuato egli aveva amici molti Tirreni, anche riguardevoli;
specialmente in Tar> quinia , città, grande allora e felice, quivi si
domiciliò,' prendendovi una nobile donna per moglie. Da questa nacquero a lui
due figli, chiamandone con tirreni nomi Aronle 1’ uno , e 1’ alu'O Lucumone.
Diè loro greca é (i) Anni di Roma l3S secondo Catone, i^o secondo Varrone, e
6i4 acanti Cristo] tirreoa istituzione, e adulti fatti , li cougìaute per ma-
trimonio colle più insigni famiglie. Mori non molto dopo il primogenito suo,
non avendosi ancora di lui prole distinta (i). Da indi a po- chi giorni si mori
per l’ ambascia Demaralo ancb’ esso destinando erede di ogni sua cosa Lucumone
il Aglio superstite. Investito questi de’ beni paterni , che erano assai
grandi, desiderò di essere nom pubblico, di ma- neggiare il comune, e Ggurare
co’ primi della città. Ma respinto in ogni parte da’ paesani , e non aggregato
non dico a’ primarj ma nemmen co’ mediocri , mai sopportò quel dispregio. E sentendo
come Roma accogliea con beneplacito i forestieri , e facevali cittadini , e gli
onorava secondo i lor gradi ; risolvette di trasferirvisi. E raccolte per ogni
modo le cose sue menò seco moglie, amici , e domestici quanti ne vollero ; e
molti vollero con lui trasmigrarsi. Giunto al colle chiamato Gìanicolo , che è
quello donde Roma presentasi in prima a chi .vien di Toscana , un aquila
calatasi di repente , gli ghermisce il pileo che tieu sul capo , e sollevatasi
, roteandosi a volo, si occolu al Aae nell’ allo delK aere : poi d’ improvviso
rimise in capo a Lucumone il suo pileo come eravi quando sei portava. Riuscì
tal segno inaspettato e me- raviglioso a tutti: e Tanaqaila (che tale ne era il
nome) la' moglie di Lucumone , sperimentata assai nell’ arte pa- tema degli
auguri > menatolo in disparte . lo abbracciò colmandolo di belle speranze ,
come se dalla condizione de’ privati a quella gingnerebbe dei re. Desse dunque
(i) Latoiò la moglie graeiJa : e da essa aacrjua poscia Arunlc dopo la morie di
Demaralo]. opera , moitranJosene degno , di ricererc il comando dai Romani
spontaneamente. Lieto Lucumone de’ successi , ornai presso alle porte ,
supplicò gl’ Iddi! che verificassero gli augurj ; supplicò che gli dessero un*
ingresso felice , e si mise dentro la città. Quindi venuto a colloquio con
Marzio il regnante indicò primieramente chi egli fosse, poi co> ni’ egli era
deliberato domiciliarsi in Roma ; che avea perciò portate seco le paterne
sostanze, delle quali pos* sedendone piucché un privato , esibivale fin d’
allora in servigio de' Romani e del re. Lo accoke questi di buon grado , ascrivendo
lui co’ Tirreni compagni in una curia e tribò. Cosi fabbricò Lucumone in città
la sua casa , avutone in sorte il sito che bastasse , e ricevutane pure' una
parte di campagna. Ciò fatto , e divenuto del nu-> mero de’ cittadini ,
osservando come ogni Romano ha un nome comune , ed inoltre uno patronimico e
gentilizio , e volendo in ciò conformarsi , assunse , per suo nome comune
quello di Lucio in luogo di Lucumone , e pel gentilizio quello di Tarquinio
dalla città dove ebbe i natali e la educazione. In breve divenne 1’ amico del
sovrano , donandogli ciocché si avvedea che più gli bisognava , e porgendogli
danari , quanti ne erano di mestieri per la guerra. Combattitore benissimo a
piede e a cavallo contavasi per sapientissimo quante volte bi« sognassero
opportuni consigli. Nè già col divenire caro al monarca aveasi perduto la
benevolenza de’ Romani , ma si vincolò molti de’ patrizj co’ beneficj , e tentò
di affezionarsi la plebe col chiamarla , e salutarla , e con- versarla
piacevolmente , e col porgerle danari ed altre significazioni di amore. Tale
era Tarqulnio , e per tali cagioni vivendo Marzio divenne il più cospicuo de’
Romani ; e morendo questo fu da tutti proclamato degno del trono. Salitovi fece
guerra in principio con gli Apiolani , popolo non ignobile del Lazio.
Imperocché gli Apiolani, come tatti del Lazio , credendosi colla mone di Marzio
sciolti dai trattati di concordia devastavano le campagne romane pasturandovi ,
e saccheggiandovi. Di che volendo Tar- quinio farli pentiti usci con grande
armata , e disfece quanto era il meglio del territorio di quelli. Ben so-
pravvenne gran soccorso per gli Apiolani da’ popoli vi- cini del Lazio : ma
egli attaccò due volte battaglia con essi , e vintala due volte , si ristrinse
all’ assedio della città, spingendovi a mano a mano delle schiere 6n alle mura.
In opposito dovendo quelli della città combattere pochi di numero e senza
intermissione contro i molti e freschi , soccomberono alfine. Presa la città di
forza , i più degli Apiolani morirono con le arme in pugno : e se taluni le
cederono , furono venduti colle altre prede. Furono le donne e i fanciulli
condotti schiavi da’ Ro- mani : fu la città lasciata al saccheggio , e dopo il
sac- cheggio alle fiamme. Il re dopo' questo , e dopo rove- sciate le mura
da’fondamenti ricondusse in casa le milizie; rivolgendole poi contro la città
de'Crustumerini: colonia anch’ essa de* Latini , la quale erasi ceduta a’Romani
nel tempo di Romolo : ma cominciava di nuovo a tenersela co’ Latini , dacché
Tarquinio prese il comando. Nè già bisognarono a questo assedj e travagli per
umiliarsela. Imperocché li Crustumerini vedendo la moltitudine ve- nuta contro
loro, la debolezza propria, e la niuna aita de’ Latini verso di essi , aprirono
le porte ; ed uscitine i più anziani e più riveriti consegnarono a lui la citld
, supplicandolo che usa^e moderazione e clemenza. Ben fu l’ evento propizio ai
desiderj: perciocché andato quel inotutrca in città non vi uccise ninno, ma
banditine per sempre alcuni pociù , amatori della ribellione , concedè che gli
altri ritenessero i beni loro , e partecipassero come) prima alla cittadinanza
romana. Ma perchè più non si rimovessero , lasciò de’ Romani con essi. LI. Egual
sorte incontrarono i Nomentani datisi a pari consigli. Imperocché spedendo
bande di ladroni ne’ campi de’ Romani si costituirono aperti loro nemici ;
coutidaudu nella confederazione de’Latini. Ma giuguendo Tarquinio su loro, e
tardando il soccorso latino, e non b.isiando essi contro tanti nemici, uscirono
'di città coi simboli di pace, e si renderono. Gli abitanti di Collazia 111
archi narono far battaglia co’Romani ed emersero dalle mura di essa : ma
superati in tutti gli attacchi e molto danneggiatine ; furono costi-etti
rifuggirsi tra le mura , e spedirono alle città de’ Latini per chiederne truppe
compagne. Ma indugiandosi questi, e presentando i ne terre, ninno resistendovi,
e messo il campo dinanzi la città , ne invitava gli abitanti a far pace. Ma ricusando
questi , e confidando su le fortibcaziooi dei ricinti , e concependo che
-verrebbero per loro schiere confederate d’ogn’ intorno, il re ne circondò con
truppe le mura , e le assalì. Resisterono lungo tempo i Corni- colani
combattendo virilmente , e coprendo di ferite gli assalitori , ma stanchi pei
dalla continuità de’ travagli , e piò stanchi eziandio dalla discordia, perchè
non erano più unanimi fra loro volendo altri la resa , ed altri la difesa della
città Gno agli estremi ; furono alGne espu- gnati. Li più generosi di loro
perirono fra le arme nella presa della città : gli altri , salvatisi come
ignobili , fu- rono venduti schiavi insieme co' fanciulli, e colle donne, la
città fu prima abbandonata al saccheggio , e quindi alle Gamme. Dicchè malcontenti
i Latini deliberarono con voto comune di uscire io campo contro a’ Romani: e
fatto grande apparecchio di forze , si gettarono su le terre più buone di essi
, e v’ invasero assai prigionieri, e vi divennero signori di amplissime prede.
Volò Tar> quinio contr essi coll’ esercito spedito e pronto : nè po* tendo
raggiungerli , portò su le terre loro simili cala- mità. Cosi per le
vicendevoli incursioni ne’ campi vicini. . 2()r molle lerano le perdite e gli
acquisti di ambedue. Ven- nesi con tutte le forze a battaglia ordinata presso
Fi^ deoc; e molti ne perirono da ambe le parti; ma vin- cendo inCne i Romani ,
costrinsero i Latini a lasciare il campo , e fuggirsene tra la notte alle loro
città. Dopo quel comlntti mento marciò Tarquinio colle milizie schierate alle
città de’ Latini esibendo ad essi la pace. E queste non avendo né riunite le
forze' comuni, nè ben confidando su’ proprj apparècchj , accettarono batteano questi nell’ ala destra ed aveano
già fugato gli emuli che eran con essi alle mani , ma l’ inaspettato
presentarsi di lui li sorprese e sconvolse. Intanto la fanteria romana
riavutasi dalla paura piombò su’ nemici. Allora grande fu la strage de’
Tirreni, e piena la rotta dell’ala destra. Tarquinio dato avviso ai duci della
fau> teria di tenergli appresso in buon ordine, e passo passo, spinse di
tutta lena i cavalli in su gli alloggiamenti ne* mici; e gl’ invase a prìm’
impeto, prevenendo quelli che vi si riparavano dalla fuga. Imperocché quelli
che ne erano in guardia non avendo prima saputa la sciagura che invalse su i
loro , né potuto distinguere per la ra- pidità del corso quali cavalli venivano
, lasciarono che entrassero. Invasi gli alloggiamenti de’ Latini , quelli che
dalla fuga vi accorrevano come ad asilo , vi erano sor- presi ed uccisi da’
cavalieri che lo aveano preoccupato : e se altri si fossero affrettati di là
verso il piano s’ im- battevano' colla fanteria romana , e ne perivano : li più
di loro spintisi e concnlcatisi a vicenda soccomberono con ignobile e
miserabile fino intra i valli , e li fossi. Dond’ è che quanti vi
sopravanzavano non avendo via ninna di salvezza erano costretti di rendersi ai
vincitori. Tarquinio impadronitosi di persone , e robe in copia vendè le prime
, e concedè le seconde in premio ai soldati. LV. F allo ciò si diresse alla
città de’ Latini onde prendere combattendo quelle che a lui non si davano : non
però vi fu bisogno di assalti : ma si rivolsero tutte alle umiliazioni ed alle
preghiere ; e mandando oratori a nome del comune supplicarono che desse fine
alla gtierra co’ patti che gli piacevano , e si renderono. 11 re divenutoi cosi
l’arbitro delle città fu moderatissimo e mitissimo verso di tutte : perocché
non uccise , non bandì , nè multò niuno de’ Latini. Lasciò che godessero -le
terre loro , e conservassero le leggi delia patria : ma comandò che rendessero
ai Romani i disertori ed i pri- gionieri senza prezzo ninno: che restituissero
ai padroni i servi, quanti presi ne aveano nel fare le prede , agli agricoltori
il danaro quanto ne aveano derubato ; e compensassero tutti gli altri danni o
guasti , se causati ne aveano nelle scorrerie. Fatto ciò dichiarò che sareb--
bero gli amici e li confederati de' Romani se pronti sarebbero in tutto ai loro
comandi. A tal fine venne la guerra de’ Romani co’ Latini ; e cosi Tarquinio
vinse e trionfò. L’ anno appresso prendendo 1’ esercito , lo conduce contro i
Sabini , avvedatisi già molto innanzi dei disegni e de’ preparamenti suoi
contro di loro. Non aspettarono questi che la guerra passasse in sul proprio
territorio ; ma premunitisi di forze sufilcienti si avanza- rono tutti ad un
luogo. Fattasi ne’ confini battaglia fino a sera non vinsero né gli uni uè gli
altri , anzi molto ne furono afiaticati. Quindi ne’ giorni appresso nè il duce
Sabino nè il re dei Romani cavarono le milizie dagli accampamenti: ma via via
trasmutandoli , senza danneggiare le terre , si ricondussero in casa ; ambedue
coi disegno di piombare nella primavera con armata più grande 1’ uno nel
territorio dell’ altro. Poiché furono ambedue preparali , primi si mossero i
Sabini fiancheg- giati da sussidio sufficiente di Tirreni , e collocarousi
presso Fidene, dove l’ Aniene concorre col Tevere. Fecero questi due campi,
l’uno dirimpetto, e come in continuazione dell’altro; avendoci tra tutti due 1’
alveo delle correnti riunite , e sull’ alveo un ponte di legno congegnato di
picciole barche , il quale rendea spedito il transito dall’ uno all’ altro
campo , anzi rendeali di due uno solo. Tarquinio uditane la irruzione aach’
egli cavò le sue genti , e si trincerò presso 1’ Aniene , al- quanto più sopra
di loro in una munita collina. Erano venuti ambedue con tutto l’ardore a tal
guerra ^ por non vi ebbe ninna battaglia ordinata , non grande nè picciola.
Imperocché Tarquinio con iscaltrezza di capi- tano prevenne ed isconciò tutte
le opere de’ Sabini , e ne distrusse l’ uno e l’ altro campo. Lo stratagemma fa
questo. Preparate e riempiute piociole barche fluviali di legna aride e di
zolfo e di |>cce *ul fiame presso al quale esso accampava , e poi colto uii
vento propizio , ordinò che nella vigilia mattuliiia si desse fuoco a qnei
combustibili e si lasciassero le navi a seconda della Cor- rente. Queste
scorrendo iu breve tempo la distanza in- termedia percossero il ponte, e vi
comunicarono ' in più luoghi r incendio. Accorsi per ajuto i Sabini a tanta
fiamma improvvisa , e datisi a far tutto , quanto giovasse ad estinguerla ,
ecco intanto gingnere su l’alba Tarquinio coU’eseixito in ordinanza; ed
investire l’nno de’ campi , deserto di guardie, andate in gran parte contro del
fuoco. Pochi dunque sorsero a resistervi ; talché senza fatica gl’ invase. Mei
tempo di tale opera- zione altre milizie romane sopravvenendo espugnarono anche
il campo Sabino posto di là dal fiume: premesse da Tarquinio nella prima
vigilia erano su piccioli na- vigli valicate da sponda a spanda , laddove
fattosi di due fiumi uno solo, rimarrebbero invisibili nel passaggio. Appena
poi videro il ponte iu fiamme piombarono ( che tale ne era l’ accordo ) in sul
campo dei Sabini : ove quanti ne erano o combattendo caddero appiè dei Romani,
o gittatisi a nuoto nella 'confluenza de’ fiumi nè resistendone all’ impeto ,
si affondaron tra’ vortici : peri nou picciola .parte ancora per liberarne il
ponte , tra le fiamme. Tarquinio, preso l’uno, e l’altro cam- po , diede a’
soldati . le robe che vi erano percltè se le compartissero , ma ' condusse in
Roma e guardò ’ con molta diligenza li prigionieri ; ben molti in tutto, Sabini
e Tirreni. Sentirono a tale sciagura i Sabini la propria debolezza , e mandando
gli ambasciadorì concbiusero, 00 ’ Romani una tregua di sei anni. I Tirreni mal
sop-, porundo che fossero tante volte vinti , e che Tarquinio j»er quante
istanze ne facevano, non s rendesse i loro prigionieri , anzi li ritenesse come
ostaggi ; decretarono di spingere tulle generalmente le città Tirrene in guerra
contro de’ Romani e di non più riguardarla come al- leata , se taluna se ne
ricusava. Cosi deliberati cavarono in campo le milizie , e tragittato il Tevere
si trincie- rarono presso Fidene. E prima s’ impadronirono di questa con
frodoienza , per esservi sedizione tra’ citta- dini: poi fatti prigionieri in
buon numero, e condottesi via via gran prede dal territorio romano ^ tornarono
in patria. Fidene sembrava loro una piazza bonissima d'ar* me in tal guerra; e
vi lasciarono guernigioue quanta ne bastasse. Ma Tarquinio mettendo per la
stagione se- guente in arme tutti i Romani , e congregando il più che poteva di
alleali marciò sui giugnere della prima- vera contro i nemici prima che
riunitisi dalle varie città venissero su lui come 1’ anno d’ innanzi. Dividendo
in due parti tu'.ia 1’ armata , egli stesso ne andò colla mi- lizia romana
contro le città de’ Tirreni : e fidate le truppe ausiliarie , per lo più latine
, ad Egerio il suo consanguineo , gl’ ingiunse di marciare conU'O Fidene. E
queste piene di disprezzo per l’ inimico , accampatesi in luogo non ben sicuro
presso delia città ; non fiirono per poco tutte disfatte. Imperocché le guardie
di Fideue procuratosi un rinforzo occulto dai Tirreni , e spiatone il tempo
opportuno , fecero una sortita ed invasero il campo nemico non bene difeso , e
grande fu la strage di qaein che erano usciti per foragghtre. la opposito la
milizia romana sotto gli ordini di Tarquinio , mano- metteva e depredava le
terre di Vejo , e traevane molti vantaggi. Ben si riunirono poi grandi snssidj
da tutte le cittA de'Tirreni in sostegno di Vejo : ma Tarqnioio diede ad essi
battaglia, restandone non dnbbiamente vincitore. Poi scorrendo a bell’ agio il
paese nemico lo devastò : Cnalmente lattivi molti prigionieri , e presevi assai
cose come in terre felici , essendo ornai per finire la state , si ricondusse
in casa. Straziati i Vejenti da quella battaglia non usci- vano più di città ,
ma dentro vi si teneano , mirando intanto sterminarsi le loro campagne :
Perocché Tarquinio uscito per la terza volta , privavali per il terzo anno dei
prodotti delle loro campagne , desolandole in gran parte : e non avendo poi
come più danneggiarli condusse 1’ eser- cito alla città di Cere, sigilla
chiamavasi la città quando i Pelasghi ne erano gli abitanti , ma soggiacendo
poscia ai Tirreni fu Cere nominata. Era questa felice e popolata quanto altra
mai fra’ Tirreni. Quindi ne uscì valido esercito a combattere per le proprie
campagne , e molti vi straziò de’ nemici ; ma perdendovi più ancora de' suoi ,
rifug- gissene alla città- Rimasti i Romani padroni di una terra la quale
somministrava tutto in abbondanza vi si trattenero molti giorni ; finché venuto
il tempo di ritirarsene me- narono con sé quanta preda potevano , e si
ridussero in casa. Riuscitegli come desiderava le operazioni su Vejo ,
Tarquinio ricavò l’esercito contro i nemici di Fidene per cacciameli , con
ansia di punire quei che aveano la ci ttà consegnata a’ Tirreni. Vi fu
batttaglia tra’Romani Digitized by Google LÌBRO III. 299 tf tra le ihilizie
ascile da Fidene , e' poi darò contrasto nell’ assalto delle 'mura. Fu la città
pigliata di forza, e tatti li prigionieri Tirreni legati e custoditi. Dei
Fidenaii giudicati autori della rivolta quale ne fu battuto pub- blieatnente e
poi decapitato , e quale bandito per sem- pre. I Romani lasciativi per
abitatori e custodi della città misero a sorte e se ne appropriarono i beui. ■
LX. Occorse l’ ultima battaglia fra Romani e Tir- rani' presso di Ereto nella
Sabina. Imperocché lì Tirreni erano venuti attraverso di questa incontro al
Romano persuasi dai potenti di que' luoghi che i Sabini militereb- bero insieme
con essi. E certamente già era spirata la tregua sessennale conchiusa da questi
con Tarquinio , e molti ardevano dal desiderio di emendare le antiche dis-
fatte, essendo già cresciuta nelle città gioventù numerosa. Non pelò succedette
ciò come ideavano : perchè ben to- sto si presentò l’esercito Romano, nè potè
farsi che ab cuna delle città mandasse un soccorso ai Tirreni ; e solo vi si
congiunsero alquanti volontari , e pochi reclutali a gran soldo. Fu questa
guerra la più grande di quante ne sorsero infra loro ; ed i Romani ne crebbero
mera- vigliosamente , riportandovi una segnalata vittoria, ed il Senato ed il
popolo decretarono a Tarquinio il trionfo, lu opposito lo spirito ue decadde
ne’ Tirreni ; perchè avendo spedito da ogni loro città tutte le milizie , non
riebbero salvi, se non pochi di tanti; gii altri o perirono tra la battaglia ,
o fuggiti in luoghi non idonei per Io scampo , si arresero. Colpiti da tanta
sciagura i primarj delle città la fecero da savj ; perchè prendendo Tarquinio
una nuova spedizione su loro , essi riunitisi a consiglio deliberarono trattare
della pace ; e mandarono da ogni città plenipotensiarj anziani e riipettabili
per concilitiderla. Teneano questi al re che gli udiva ragionamenti, induttivi
a misericordia e moderazione , e ricordavano il parentado di lui colla lor
gente; quando Tarquinio disse che volea sapere unicamente , se disputavano
ancora intorno ai diritti e venivano per fare la pace con certe riserve ; o se
confessavausi vinti , e rendevano a lui le proprie città. E rispondendo questi
che le rendevano , e che desideravano la pace comunque loro si concedesse ,
egli dilettatone disse : ascoltale con quali condizioni sono per dare la pace ,
e quali benefizj vi dispenso con essa. Non io rn ho già nelt animo di uccidere
, o bandire , o multare alcuno de' Tirreni. Lascio Ifs vostre città senza
guarnigioni , senza tributi : lascio che vivano arbilre di sè stesse , e colla
forma primi- Uva di governo. Ma per tante cose che io concedo a voi giudico che
questa sola da voi mi si dia , cioè che io m'abbia la direzione suprema che pur
ni avrei delle vostre città quand anche voi noi voleste , finché io sono il
vincitore. Piacemi aver questo da voi sporta taneamerUe anziché di mai animo.
Andate, riferitene alle vostre città, lo vi prometto sospendere le armi ,
finché torniate. Ricevute queste risposte andarono di volo gli ambasciadori; e
dopo pochi giorni ritornarono portando non già parole nude, ma i fregi stessi
del comando coi (i) Anni di Roma i 65 «ecoado Caioae, 177 secondo Varrone , 587
avanli Cristo] ' 3oi qnali adornano i proprj monarchi , la areano seguali di
giogo e di esecrasione. Ma se acquistano in guerra una vittoria ; se il irj di
ogni città : e prima che 1’ armata de’ Romani venisse nelle terre loro , essi
menarono la propria nelle campagne di quelli. Come il re Tarquinio udì che t
Sabiui aveano passato 1’ Aniene e che devastavano per tutto intorno de’ loro
accampamenti , prese : i giovani ro nani più spediti e piombò di tutta fretta
su’ nemici sparsi a predare. Ed uccisine molli , e ritolta loro la preda che si
recavano , mise il campo suo presso del loro. Passati cosi pochi giorni ,
finché gli era di città venuto il resto delle milizie, e le truppe ausiliarie
dagli alleali , presentò la battaglia. LXV. Vedendo i Sabini i Romani venuti
con ardore per combattere, cavarono la propria armata ancor essi, non inferiori
nè di numero , nè di valore. Investitisi combatterono con tntto 1’ aadire fin
eh’ ebbero a fare coi soli schierati di fronte : ma poi fatti accorti che mar-
ciava loro alle spalle un altro esercito ordinato e ben fornito; abbandonarono
le bandiere e dieronsi alla fuga. Era di Romani 1’ esercito che apparve alle
spalle , fanti lutti e cavalieri scelti , disposti insidiosamente da Tar-
quinio tra la notte in luoghi opportuni. Spaventali i Sabini da questi nomini
inaspettati che li raggiungevano non fecero più ninna bella azione ; ma quasi
colti dagli inganni de’ nemici , ornai sotto il nembo di danno irre- parabile ,
tentarono chi d’ una e chi d’ altra via salvare sè stessi. Allora appunto però soggiacquero
a strage grandissima inseguiti e rinchiusi d’ ogn intorno dalla cavalleria de’
Romani ; tanto che pochi in lutto si ri- pararono nelle città vicine : gli
altri , quanti non cad- dero combattendo , rimasero prigionieri. Imperocché
que« gli lasciati negli alloggiamenti nè ardivano respingere r assalto de’
nemici , nè uscire in battaglia : ma cosier- pati dal male impensato renderono
senza combattere sè stessi e quel posto. Le città de’ Sabini vinte come dai
stratagemmi e dagl’ inganni non dalia virtù dei nemici , si accinsero a mandare
ben tosto milizie più copiose , e capitano piu sperimentato, Tarqajuio vedendo
il loro dise^o, guidò soliecitameotc l’ esercito , e passò 1’ A- nieue prima
che quelli si potessero tutti riuuire. A tal nuova il duce Saltino andò
prestissimo quanto polea colla nuova armata e mise il suo presso al campo ro-
mano su di un colle erto e dirotto : non giudicava però ben fatto dar battaglia
se prima a lui non giungevano le altre milizie de’ Sabini. Solamente spedendo •
delle bande de’ cavalieri , e postando delle coorti nelle balze e nelle selve
contro quelli che uscivano a foraggiare , impedì che i Romani infestassero
colle scorrerìe la campagna. Per tal sua condotta di guerra molte erano le
scaramucce, ma di pochi fanti e cavalli , e niuna la battaglia universale.
Adunque temporeggiandosi , e sde- gnandosi Tarquinio dell’ indugio , risolvè di
andare col- r esercito alle trinciere de’ nemici , e più volte ne fece
l’assalto: ma vedendo che non era farìle espugnarli per la fortezza del luogo ,
destinò di abbatterli colla penu- ria. E stabilendo delle guardie su tutte le
vie che me- navano’ al colle , nè permettendo che i nemici andassero a far legna
, e recassero foraggi pe’ cavalli , o prendes- sero altro che facea di mestieri
dalla regione; li ridusse a gravi disagi. Tanto che furono costretti ,
cogliendo uoa notte burrascosa per vento e pioggia, lasciare vergogno* samenle
quel luogo; abbandonandovi giumenti e tende, e feriti , ed ogni apparecchio
militare. I Romani cono*; seiutane al nuovo giorno la partenza , e lattisi
padroni del campo senza contbattete vi predarono tende, e giu- menti ed ogni
cosa , e conducendosi i prigionieri si rav- viarono a Roma. Continuò questa
guerra cinque anai , 3o5 c gli uni (levasUnJo le campagne degli altri; .diedero
via via delle battaglie piu o men grandi , vinte di raro da’ Sabini , e
spessissimo da’ Romani : i ma nell’ ultimo cimento ebbe interamente il suo
termine. Imperocché li Sabini non già di aumo in mano come dianzi ma quanti per
la età ' lo poteano , erano tutti in uh tempo stesso marciati alla, guerra. In
opposito i Romani tutti, raccolte le forze aosiliarìe latine , tirrene , ed in
genere degli alleati erano venuti a fronlè del nemico. 11 duce Sabino dividendo
le milizie ne avea fatto due campi : aveale il re dei Romani compartite in tre
corpi in tre campi non molto lontani fra loro , ed egli comandava i Romani;
dato ad Aruntc figliuolo del suo fratello il governo de’ Tirreni , e quel de’
Latini e degli altri ad un valentuomo per consiglio e per arme , ma forestiero
e privo della patria. Servio era il nome di lui, e Tullio quello della sua
stirpe : e fu quegli appunto cui dopo Tarquinio , morto senza prole virile , i
Romani inalza- rono ai trono per amore del suo ben lare tra le arme e nell’ uso
della repubblica. Io sporrò ma nel suo luogo la prosapia , la educazione , le
avventure di quest’ uo- mo , c come gl’ Iddii per lui si manifestassero. Allora
dunque , poiché gli uni e gli altri vi * furono apparecchiati , diedero la
battaglia. Avevano i Romani l' ala sinistra , i Tirreni la destra standosi i
Latini schierati nel centro. Durò vivissima tutto il giorno la battaglia finché
viuserla di gran lunga i Romani. Uccisero molti de’ nemici segnalatisi
nell’azione; e più ancora ne presero prigionieri tra la fuga. Espugnatone
INTONICI y t *»n> T, >0 l’uao e r altro accampamento ne ammassarono
ricchezze in copia , e signoreggiarono senza timore Hitla la cam- pagna: e
messala a ferro e fuoco, e distruttivi gli al- loggiamenti sen tornarono a casa
ornai tramontando la estate. Tarquinio a questa vittoria trionfò per la terza
volta nel suo principato. E preparando nelf anno se- guente r esercito
nuovamente per condurlo contro le. città de’ Sabini , non più concepirono
questi nulla di magnanimò e di grande , ma deliberaronsi tutti per la pace
prima di mettere a pericolo sè stessi dei giogo, e le patrie della rovina.
Pertanto vennero da ogni città li Sabini principali a Tarquinio uscito con
tutta 1' ar- mata , e cederongli le terre loro supplicandolo di miti condizioni
: e colui propensissimo ricevendo , perchè senza pericolo , il sottomettersi di
quella gente , fe’ tregua e pace ed amicizia co’ modi appunto co’ quali aveala
in- nanzi fatta co’ Tirreni, e rendè loro pur senza prezzo li prigionieri. Tali
sono le imprese militari di Tarquinio: le urbane e pacifiche son come sieguono;
che già non voglio passarle senza ricordo. Giunto appena ai comando desiderando
, come aveano fatto i re predecessori , di conciliarsi la plebe , se la
conciliò con questa benefi- cenza. Scelti fra tutto il popolo cento nomini a’
quali il pubblico grido accordava virtù guerriere , o civil sa- pienza , li
nominò patrizj aggregandoli a’ senatori : i quali essendo fin’ allora dugento
ampliaronsi al numero di trecento fra’ Romani. Poi , quattro essendo le vergini
(i) Ad. di Boom 171 secoudo Catone, 173 secondo Varronc, e. 58 i avanti Cristo]
3o7 custodi del fuoco inestinguibile egli ve ne sopraggiunse altre due:
imperocché cresciuti i pubblici sagrifizj ai quali doveano intervenire le
vergini Vestali ; non parve che quattro più ne bastassero. Seguirono la
istituzion di Tarquinio ancor gli altri principi , e sei pur ne’ miei tempi si
additano le vergini ministre di Vesta. Ed egli sembra il primo, che guidato
dalla ragione, o forse; dalle insinuazioni de’ sogni come pensano alcuni , ideò
li castighi co’ quali i sacerdoti puniscono quelle che la verginità non
conservano : e gl’interpreti delle sante coso dicono che que’ castighi si
rinvennero dopo la morte di lui ne’ libri delle Sibille. Certo ne’ giorni suoi
fu ravvi- sato che Pinaria Vergine , la figliuola di Pubblio , an- (lavasi con
membra non pure ai sacri ministeri. Ho poi già dichiaralo nel libro innanzi
qual sia di tali castighi la forma. Egli abbellì circondando di officine di
arte- fici , c di altri apparecchi il Foro ove si arringa e si giudica , e
compionsi altre pubbliche cose : egli il primo deliberò di costruire con gran
pietre lavorate a misura i muri della città, già vili e grossolani: ed egli
prese a cavar la cloaca o canali sotterranei pe’ quali tutto , quanto scola
dalle strade , vasseiie a scaricare nel Te- vere : meraviglioso è questo
edifizio , e maggior di ogni dire. Io tengo in Roma per tre magnificentissime
cose, c donde la potenza rilevisi dell’ impero ; gli acquedotti, i lastricati
delle strade , e le cloache ; non già che io ne rifletta la utilità della quale
dirò ne’suoi luoghi, ma si bene 1’ amplissima spesa. E ben può questa argomen-
tarla taluno da un fatto solo del quale io nc fo mal- levadore Cajo Aquilio.
Scrive costui che non più scorrendo , perchè negligentale , le cloache , i
censori le diedero a spurgare e racconciarle per mille talenti. F e pur
Tarquiuio il circo massimo tra ’l colle Aventino e tra’l Palatino costruendovi
il primo intorno intorno sedili coperti. Certamente il popolo per addietro
starasi in piede agli spettacoli in cima a’ palchi , fon- dati su cavalletti di
legno. Compartì similmente il luogo in trenta spazj assegnandone uno per ogni
curia , per^ chè ciascuna sedesse e mirasse dal posto che le si do- veva. Anche
questo edifìzio sarebbe col volger degli anni numerato tra le meraviglie
bellissime della città. Perocché stcndesi il circo per lungo tre stadj e mezzo
, spandendosi quattro jugeri per largo. Cinge i due lati maggiori ed uno de’
minori una fossa profonda e larga dieci piedi per raccogliere le acque , e dopo
la fossa i portici sorgono con tre piani. I portici terreni han di pietra e
poco elevati i sedili come ne’ teatri ; ma di le- gno sono ne’ portici più
alti. Concorrono i due lati maggiori ad un tutto e congiungonsi fra di loro per
via del minore che formato in guisa di luna li termina: cosicché risulta da tre
ordini un sol porticato amGtea- trale di otto stadj capace di cento
cinquantamila persone. L’altro de’ lati minori che restasi aperto contiene !e
mosse donde i cavalli si rilasciano, spalancandosi tutte in un tempo , ad un
suono. • F uori dell’ amfìteatro evvi pure altro portico ma di un piano solo,
il quale in sè contiene le òfTGcine c sopra le officine le abitazioni. In
ognuna delle officine sonovi 'ingressi e scale per chi viene agli spettacoli ;
e con ciò' nOri siegue confusione tra tante migliaja che vanno e tornano. Si
accluse il re similineatc a iàbbricare il tempio di Giove , di Glaaoue, di
Minerva per adem> plere il voto da lui fatto a quegl’ Iddìi nell’ ultima
guerra co’ Sabini. Ma siccome il colle destinato per la santa magione
abbisognava di radili travagli , perché non era questo agevole da salirlo nè
eguale , ma scosceso e tutto ' acuto in su la cima; eg^i ponendo intorno
intorno altri ripari, e tra’ ripari e la cima assai terra lo rendè piana ed
acconcio! pel tempio. Non però s’ebbe il tempo di metterne le fondamenta, Tnon
essendo egli vissuto che quattro anni dopo il fin della guerra. Molti anui
ap> presso , Tarquinio terzo re dopo lui, quegli che fu espulso dal trono ,
ne gitlò le fondamenta , facendo gran parte del sacro edilìzio : ma noi compiè
nemmen' egli, e solo ebbe il tempio il suo termine sotto gli annui magisirati
da’ consoli dell’ anno terzo. Ben’ è convenevole che le cose ricordinsi
accadute prima della erezione di questo, come pur le ricordano quanti scrìssero
la storia di quei luoghi. Deliberatosi Tarquinio a far qnel tempio impose
primieramente agli auguri, convocandoli, che spiassero co’ divini riti quale in
città ne fosse il loco più accon* do e più caro a que’Numi. E riferendo esser
questo il colle che sovrasta al Foro, colle detto Tarpeo di quei giorni , ed
ora del Campidoglio , comandò che replicati i riti santi additassero in qual
parte principalmente del Campidoglio aveansene a porre le fondamenta. Non era
ciò cosi fàcile a definirsi ; perchè sorgendo io sul colie a riverenza de’ genj
, e de’ Numi altari in gran nume* ro ; doveasi trasportare questi , e lasciar
libera l’ area pel tempio novello degl’ altri Iddìi. Parve agli auguri di fare
le divinazioni loro so di ogni altare , e poi moverlo se il proprio Nome Io
concedeva. Consentirono alquanti genj e Numi che i loro altari fossero altrove
portati : ma il Dio Termine è la dea Gioventù per quanto gli auguri pregassero
e ripregassero non gli udirono ; nè condiscesoro a cedere il luogo. Adunque
furono gli altari loro inchiusi nel tempio che destinavasi: ed ora r uno resta
nel vestibolo, e l’altro nel sacro ricinto stesso di Minerva presso al
simulacro di lei. Presagi- rono da ciò gl’ indovini che ninna età mai nè li
ter- mini moverebbe né il florido stato di Roma : ciocché si é già verificato
fino a’ di miei per ventiquattro ge- nerazioni. Nevio chiamavasi per nome
proprio, ed Azio col nome della prosapia il più insigne degli auguri , che
trasferì quegli altari, definì il tempio di Giove, ed altre celesti cose
ridisse per la sua divinazione al po- polo. Si consente che carissimo egli
fosse agl’ Iddii fi:a tutti del santo suo ministero , e che conseguito avesse
riputazione grandissima per le prove da lui date incre- dibili e trascendenti
nell’arte sua divinatoria. Io ne ri- corderò solamente una la quale mi fu
meravigliosissima infra tutte , dicendo innanzi per quale incontro di casi, e
per quali divine occasioni venne in tanta chiarezza che fe’ tutti li coetanei
comparir dispregevoli. Povero fu il padre di lui , cultore d’ ignobile
campicello. Nevio il suo figliuoletto porgeagli l’opera sua , quanta per la
.età ne poteva, e guidava de’ porci, e pascevali. Caduto una volta nel sonno,
nè più rinvenendo al riscuotersi alcuni di quegli animali , ne pianse per
timore de’ paterni castighl. Ma poJ venendo al tempietto sacro agli eroi nel
suo campicello, pregò che a lui concedessero di trovare le perdute cose ; egli
prometteva loro se ciò concedes- sero il grappolo più grande del suo poderetto.
Trovò indi a poco gli animali, e volea recare i promessi doni agli eroi: ma
'grande era 1’ ambiguità sua nel decidere il maggiore ira’ grappoli. Adunque
conturbatone suppli- cava gl’ Iddii che volessero col mezzo palesargli degli
uccelli ciò che cercava. Or qui per divino favore gli venne in mente di
dividere la vigna in parte destra e sinistra , e notare gli auspicj che in
ognuna occoire»- sero. Apparsi in una delle parti gli uccelli com’esso ve li
bramava , suddivise pur questa in due considerando gli uccelli che vi
capitassero. Determinandosi con tale distinzione di luoghi, e venendo da ultimo
alla vite in- dicala dagli uccelli: ebbe un tal grappo incredibile nella sua
forma. Egli recavalo appiè delle immagini sante degli eroi , quando il padre lo
vide. E meravigliato questi di una tal mole del frutto , e domandando d’ onde
se lo avesse : il figlio narrò dalle origini tutto il successo. Concependo
colui , ciocch’ era , che fossero questi na- turali preludi della divinazione
nel figlio , lo condusse in città, e lo sottomise a’ maestri delie lettere. E
poiché fu nelle comuni discipline istrutto quanto bastava , af- fidollo all’
augure più dotto fra’ Tirreni perchè Io eru- disse nel suo sapere. Nevio che
avea naturali lumi per la divinazione , aggiungendovi pur gli altri de’ Tirreni
; superò di gran lunga quanti erano intesi agli anspicj. Quindi nelle
consultazioni sul pubblico tutti gli auguri della città v’ invitavano lui
quantunque non fosse del Digitized by Google 3i2 delle Antichità’ romane ceto
loro , per la reltitudiae sua nel pronosticare , ti« cosa mai vaticinavano , se
non ' approvata da lui. Ora volendo Tarquinio creare tre nove cen- turie (i) di
cavalieri da lui scelti , ed intitolarle dal nome suo e degli amici , questo
Nevio il solo magna- nimamente gli resisti , non permettendo che alcuna si
alterasse delle istituzioni di Romolo. Disgustato per la proibizione il sovrano
, e sdegnato con Nevio diedesi a vilipenderne 1’ arte come di nn vano nè
veridico parla- tore. Con tale intendimento chiamò Nevio nel suo tri- bunale
essendovi moltissimi presenti del Foro.. Egli avea già divisato con qnei che lo
circondavano i modi onde convincere l’aagure di menzogna: e lacendosegli questo
dinanzi lo accolse con degnevoli salutazioni : ed ora , disse , o Nevio è il
tempo di mostrare il potere del- f arie tua divinatoria. Siccome io macchino di
pormi ad una gran cosa ; vorrei per f arte tua risapere se possa riuscirmi. Or
va : consultane co' riti tuoi , o toma il più presto per dirmene : io qui su
questa sede ti aspetto. Esegui l’ augure i comandi , e dopo non molto tornò
dicendo che propizj erano gli auspicj, e fattibile £ intento di lui. Diè
Tarquinio in un riso a tali voci, e cavando dal seno una cote ed un rasojo gli
disse: ora ben apparisce o Nevio che tu mi deludi, deluso che se’
manifestamente dagl Iddii , dacché ar- disci anrutnziarmi possibili , le impossibili
cose : per- (i) Nel testo ^vXmt tribù : ma i chiaro che parlandosi di cava-
lieri non debba pensarsi a tribù : Forse vi ò qualche sbaglio. Gli altri
storici in questo luogo chiamano centurie quelle che Dionigi chiama tribù ciocché
io meditava se potessi col rasojo fendere que- sta cote per mezzo : ridevano
tutti d’ intorno , e Nevio niente commosso dalla beffa e dallo strepito :
ferisci , disse, o Tarquinio animosamente come ideavi la cote: perciocché ne
sarà divisa , e se no ; mi ti offero ad ogni pena. Sorpreso il re della
confidenza dell’augure mena il rasojo su la cote , e l’ acume del ferro ne pe-
netra r interno e dividela, incidendo anche in parte la mano che la teneva.
Esclamarono per la novità quanti contemplavano la incredil.'ile e
meravigliosissima cosa. Tarquinio vergognatosi del cimento dato a quell’ arte ,
c voglioso di emendare la indecenza de’ vilipendj ^ pri- mieramente cessò da
que’ suoi tentativi su 1’ ampliar le centurie ; poi risoluto di onorare Nevio
come il più caro di tutti i mortali ai celesti, obbligosselo con pegni vari e
copiosi di benevolenza ; e perchè la memoria se ne perpetuasse tra’ posteri
collocò la statua di lui , fab- bricala in rame , nel Foro : e questa , più
picciola di nn uomo mezzano , e velata il capo , esisteva pur nel mio tempo
dinanzi la curia , da presso del fico sacro. Dicesi che poco lungi del fico sia
la cote sepolta ed il rasojo sotto di un’ ara sotterranea ; e quel luogo chia-
masi il pozzo da’ Romani. Tali sono i ricordi che si hanno su questo indovino. Tarquinio
ornai chetavasi dalla guerra, vec- chio già di ottanta anni ; quando mori tra
gl’ inganni de’ figli di Anco Marzio. Aveano questi macchinato fin da principio
di balzarlo dal trono , e più volte vi si erano adoperali su la speranza che,
balzatone lui , di- verrebbe di loro come trono un tempo del padre , e die (li
leggieri ad essi darebbonlo i cittadini. Delusi via via dalla speranza gli
ordirono alfine insidie insuperabili che gii Dei non permisero che restassero
impninite. Io narrerò la forma delle insidie. Quel Nevio del quale io dissi che
erasi opposto al re che volea di meno far più le centurie , questi (piando più
per le arti sue Boriva , quando potea sopra tutti i Romani come augure nobi-
lissimo , allora sia per invidia degli emuli , sia per in- sidie de’ nemici ,
sia per altra sciagura , spari di subito da’ mortali ; nè alcuno potè de’
congiunti indovinare il destino di lui , nè più trovarne il cadavere. Addolora-
tone il popolo , e mal sopportando il suo danno , e molto sospettando di molti;
i figli di Marzio ne ristrin- sero su Tarquinio l’ accasa. E non potendo
allegare ar- gomenti e non segni della calunnia ; insisterono su queste due
ombre di ragione. Era la prima , che volea Tarcpiinio far molti e gravi
attentati contro le pubbliche norme ; e che però si era tolto d’ intorno chi
sarebbe •per contrapporsegli come per l’addietro : la seconda era poi, perchè
succeduto tanto infortunio non aveane fatta niuna ricerca , ma trasandavalo in
tutto : nè avrebbe mai cosi praticato chi non era tra’ complici. E fattosi col
dispensare de’ loro beni , gran seguito di patrizj e di plebei diedero
gravissima accusa a Tarquinio , e sti- molarono il popolo a non trascurare un
tanto scellerato che stendea le mani su le sante cose , e la regia auto- rità
contaminava ; molto più che egli non era un ro- mano , ma un estero , anzi uno
senza patria. Tali cose dicendo nel Foro uomini ; autorevoli nè infacondi ;
con- citarono molti plebei perchè lo rispingessero se venivaci come impuro da
quel luogo. Ora cosi fecero , perchè nè poleano combattere la verità nè
persuadere al popolo che dal trono il cacciassero. Se non che dissipando lui
con difesa validissima le incolpaeioni , e Tullio il genero suo , potentissimo
tra la moltitudine , risvegliando verso lui la tenerezza de* Romani ; furono
quelli avuti per calunniatori e scellerati, e carichi di vergogna partirono dal
Foro. Sconciati in tal tentativo , ma tuttavia per> donati per opera degli
amici , perchè Tarquinio conte- nevasi a fronte di tanta perfidia in vista
de’benefizj pa gravidasse , e ne partorisse poi Tullio. Certamente non par la
novella affatto credibile : pur la rende inverisi- mile meno un tal altro segno
divino inopinato e mera- viglioso intorno di quest’ uomo. Imperocché sedendosi
un' tempo egli di mezzodì nella regia camera , e presovi dal sonno ; una fiamma
gli usci balenando dal capo. Videro questa la madre di esso e la regia consorte
, che per la camera passeggiavano , e quanti erano presenti alle donne : e
luminosa gli si tenne intorno intorno del capo finché accorsa la madre
riscosselo. Allora insieme c ciansi nemmeno le picciolo ingiustizie , e solleverai
li poveri co’ benefizj , e co’ doni ; e quando ne parrà tempo , (diora diremo
che Tarquìnio è morto ; allora gli daremo pubblica sepoltura. O Tullio ! tu
nudrilo , tu educalo , tu renduto partecipe da noi di tanti beni quanti ne
derivano i figli da padri e deUle madri, tu congiunto alla nostra figliuola ,
tu se mai divieni , o Tullio, re de’ Romani , è giusto che almeno in riguardo
mio la quale tanto in ciò ti coadjuvai , presenti la benevolenza di un padre
verso questi teneri fanciuU letti : e che quando siano già grandi , quando già
bastanti a regnare , tu renda (diora al primogenito la corona di Roma. V. Così
dicendo diede' 1’ uno e 1’ altro fanciullo in braccio alia 6glia ed a! genero :
e risvegliò tenera com- passione verso di ambedue ; poi quando ne fu tempo ,
uscita di camera impose ai domestici che assistessero , come richiedeasi , per
la cura , e convocassero i me- dici. Lasciala passare la notte , siccome nel
giorno ap- presso accorse gran turba alia reggia ; ella si fe’ vedere alle
finestre che rispondono alla via dinanzi dell* atrio : e su le prime scoperse
quelli che aveano congiurata la morte del sovrano , e quindi presentò tra le
catene i sicai'j mandati per compierla : e quando vide il popolo in pianto per
la sciagura , quando videlo fremere contro de’ malvagi ; alfine gli disse , che
pur non era la perfida trama riuscita , e che potuto non avevano trucidare Tar*
quinio. Confortavansi tutti all’ annunzio ; quando ella mostra in Tullio il
personaggio eletto dal re, finché guariscasi , per curare le private sue cose ,
e le pubbli- che. Adunque andossene il popolo , lieto come se il re non avesse
niente patito di terribile, e gran tempo si rimase con questo concetto. Tullio
cinto da’ regj littori marciò con valida schiera al Foro, e fece pe’ banditori
intimare che venissero i Marzj al giudizio. E siccome questi non ascoltarono ;
ne proclamò 1’ esilio perpetuo , ne confiscò li beni ; e cosi tenne sicuro lo
scettro di Tarquinio. Ma sospendendo alquanto la narrazione , vo’ dir le cause
per le quali io nè con Fabio consento nè con quanti scrivono che i fanciulletti
lasciati da Tarquinio eran suoi figli ; perchè se altri si avviene in quei
scritti non creda che io improvvisi quando non figli li chiamo, ma nipoti. Essi
divulgarono ciò su que’ garzoncelli , ma per' negligenza ; niente considerando
gli assurdi eie im cuni Storici Romani levarli con altri assurdi, e dissero che
non era già madre de’ fanciulli Tanaquilla ma Ge- gania , una donna , di cui
nulla additarono le istorie. Ma in tal caso riesce improprio il matrimonio di
Tar> quinio nella età quasi di ottanta anni, e certo inverisi- mile riesce
in quella età la generazione di figli. Nè già egli era mancante di prole ;
tanto che ne languisse pei desiderio : ma egli avea due figliuole e queste già
ma- ritate. In forza di tali assurdi e di tali impossibilità dico che que’
fanciulli non eran figli ma nipoti di Tacqui- nio ; nel che sieguo Lucio
Pisene, uomo savio, e funi- i co che ciò scriva ne’ suoi annali. Ma forse eran
questi , nipoti a Tarquinio per nascita , e figli per adozione , e forse fu
questa la origine dell’ abbaglio di tutti gli Sto- rici delle cose Romane. Or
dopo un tal prologo egli è tempo di ripigliare la narrazione. Vili. Poiché
Tullio prese le redini del ^ornando , e dileguata la fazione de’ Marzj ,
giudicò di averselo con- solidato ; fe’ con magnifica pompa trasportare
Tarquinio, come spirato alfine per le ferite ; condeoorandolo di un cospicuo
monumento e di altri onori : e tutore essendo de’ regi fanciulli ; e curò e
guardò fin d’ allora le pri- vale loro cosce le pubbliche (i). Non andavano tai
fatti a grado de’ patrizj , ma doleansi e sdegnavansi , mal sof- fiando eh’
egli a sé stabilisse il regio potere senza le (i) Addì, di Roma sec. Catone,
179 scc. Varrooe : e 577 avanti Cristo] forme prescritte dalle leggi. E
riunendosi più volte i più potenti , trattavano fra loro de’ mezzi onde
abbattere TiU legittimo governo. Ora parve ad essi , come fossero la prima
volta adunati , per tenere il Senato , da Tallio di violentarlo a lasciare i
littori e le altre insegne del comando ; e fatto ciò di nominare gl’ interré
da’ quali si scegliesse regolarmente chi dominasse. Tallio , risa- puto il
disegno , si diede a favorire il popolo , c soc- correrne i poveri , sperando
coll’ opera sua di ritenere r impero. £ chiamata la moltitudine a concinne ,
pre- sentò dinanzi la ringhiera i fanciulli ; e poi disse : IX. Molle cause o
cittadini ihi astrinsero a prender cura di questi teneri garzoncelli.
Perciocché Tarquinio l m>olo loro accolse e curò me privo di padre e di
patria, nè fecemi punto meno che a un figlio; ma diedemi la sua Jìgliuola in
isposa, e mi amò finché visse , e mi onorò sempre , come sapete , quasi fossi
da lui generato : e poiché fu colto dalle insidie egli affidatami in caso di morte
la cura de' fanciullettì. Ora e chi mi stimerebbe pietoso verso gl Iddf , chi
giusto verso gli uomini , se io trascurassi e tradissi questi oifani a quali
tanto io sono debitore? Ma nè io tradirò la mia fede, né darò per quanto è da
me, 1 ultimo abbandono , a fanciulli già derelitti. Ben è giusto che ricordiate
voi li benefizj che l avolo suo dispensava su voi quando a voi subordinava
tante città Latine emide del vostro principato, quando vi umiliava i Tirreni i
pià potenti tra tutti i vicini, e quando neces^ sitava al vostro giogo i Sabini
; procurandovi ognuna di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Speltavasi a voi
per tanta sua beneficenza di essere grati a lui finché visse, e di esserlo dopo
la morte in verso dei posteri -suoi, e non già di seppellire coi cadaveri dei
benefattóri la memoria ancora delle opere. Pensatevi dunque tutti eletti
custodi de’ fanciulli , reusicurate per essi il regnò che t avo ad essi
lasciava. Già non tanto bene- risentiranno essi dalle cure di me che son uno,
quanto ‘dal soccorso, comune di voi tutti. Io mi vedo necessitato a dir questo
; sentendo che > alcurù com- movonsi contro loro , e vogliono dare ad altri
il co» mandò. Io vi. supplico o Romani, che memori ancora siate de'
combattimenti che .io feci pel vostro princù» pato , i quali np pochi sono nè
piccoli. Ma ben sa^ pendolo voi , non occorre che altro io vi dica , se non che
rivolgiafe su questi fanciulli gli obblighi che me ne avete. Imperocché non io
per me fabbrico il prir^ cipato : nè se io mel cercassi , ne era già meno degno
degli altri; piacemi solamente amministrare il comune in sussidio della stirpe
di Tarquinio. Io vi raccomando che non vogliate ahbtmdonare a sé stessi questi
farin ciuUi ora che il regno ne pericola : sarebbero anche espulsi da Poma , sé
fauste riuscissero le prime mosse ai nemici. Ma non debbo io più dilungarmi su
ciò , mentre sapete voi quello che dee farsi , anzi siete per fare quanto
conviene. . Ora udite il bene , che io a voi apparecchio , e pel qua- le qui vi
adunai. Quanti a debiti saziacele nè potete levarvene per la indigenza,, tutti
sarete da me soccorsi come cittadini, e come già tanto affaticati, in servigio
della patria; pert;hè voi che avete fondata la libertà di lei , la vostra non
perdiate : io porgerò del mio da- naro onde i debiti estinguiate. Inoltre
quanti torranno ad imprestilo io non più soffrirò che sieno imprigio- nati per
debito : ma porrò per legge che niuno dia de' prestiti assicurandoli su la persona
di uomini li- beri, mentre io penso che basti agli Usuraj di riva- lersi su
bèni de' contraenti. E perchè da 'ora in poi sosteniate più di leggeri il
tributo pubblico , pel quale i poveri sono gravati, e ridotti a far debito ;
coman- derò che si registrino tutti i beni , e che ciascuno dia secondo l' aver
suo , come odo che si pratica rtelle città più grandi e meglio ordinate ;
mentre ancK. io credo più giusto e più vantaggioso al Comune che chi più
possiede più paghi, e meno chi meno, Piacemi inoltre che il terreno pubblico f
quello che avete cors- quislato colle Urrtse > non sia come ora de* più
impu- denti , nè che per compera ve lo abbiate , nè indarno: ma che quelli se
lo abbiano infra voi che privi sono di terre : perchè voi liberi essendo non
serviate , nè coltiviate le campagne altrui , ma le pròprie ; imperoc- ché già
non allignano generosi pensièri' ov’è disagio del vitto quotidiano. Soprattutto
ho deliberalo render pari e fàcile il governo per tutti , e dàce a tutti eguale
azione contro chiunque; perciocché sono alcuni venuti in tanta baldanza che
oltraggiano il popolo, nè. liberi stimano i poveri fra voi. Ora perchè i più
grandi nem- meno che gl’ infimi esigano' e Soffrano il giusto;, io farò leggi
proibitive della violenza, e lonservOtrici dei diritti lomuni: nè mai lascciò
di provvedere a questa libera procedura di lutti conlto tutti. Sorsero , lui
cosi dicendo , grandi elogj tra la moloi gli esuli , e di ceden’i ai figli di
Marzio , a quelH che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono, e sì amico di
Roma , a quelli che macchiatisi in tanta scelleraggine , non osando risponderne
in giudizio, si tolsero a voi colla fuga , a quelli in fine a quaU avete voi t
acqua interdetta ed il fuoco. E se ben tosto non vòlavane a me t avviso, tali
patrizj eccitando una forza straniera, avrebbero di bel nuovo introdotto nel
cuor della notte i fuorusciti in Roma. Ben vedete voi quan- tunque io le taccia
, le seguile , come i Marzj favoriti da' patrizj sarebbonsi impadroniti senza
fatica di tutto, atsalendo primieramente me che il custode sono della regia
prole , me che t autore fui del giudizio contro di loro , e spegnendo
finalmente i regj fanciulli, e tutti I consanguinei , e tutti gli amici ,
quanti ve ne resta- no , di Tarquinio. Misere le nostri ritogli , le nostre
madri , le nostre figlie , e misere le femmine tra noi! le avrebbero que'
ribaldi ( tanta lumno di brutale e di tirannico ! ) terwie in' conto di
schiave. Ora se tanto o popolani piace a voi pure , che qua si riammettano,
anzi che re si proclamino i parricidi , e che i figli se rie scaccino de’
vostri benefattori , e dal trotto .« tol- gano che V avo ad essi lasciava ; se
tanto , dico , a voi piace ; io mi cheto su destini. Ma deh ! per gli Iddj ,
deh / pe’ genj tutti , quanti le mortali cose ri- guardano ( e noi colle nostre
donne , noi co’ nostri figli supplichiamo voi pe’ tanti benefizj ancora che Tar
quinio su voi spondeo perpetuamente , e pe’ tanti, eh’ io stesso vi procurava )
, deh ! coruredeteci questo dono ; manifestateci i vostri voleri una volta. Se
voi credete altri più degni di noi di tale onore ; questi fanciulli f e tutto
il parentado di Tarquinio, partiran- Ho, abbandoneranno la vostra città. Io poi
ben altri più generosi consigli ho per me ! Ahbcatanza vissi alla virtù ,
abbastanza alla gloria : mancatami la vostra be^ nevolenza , quella che io
pregiava più che tutti i beni, già non voglio io vivere indecorosamente presso
di ab- tri. Prendete i vostri fasci , dateli , se così piacevi , ai patrizj. Io
mel vedrò , -nè mi oppongo. Cosi dicendo , e già standosi in atto di ritirarsi
sorse un clamor vivo per tatto , nn pregare , an pian- gere , perchè restasse ,
e governasse nè temesse. Allora alcuni, sparsi ad arte qua e là pel Foro,
gridarono che si creasse re , che si convocassero le curie , e sen chie-
dessero i voti. Così preordinato T evento; ben tosto il popolo tutto vi
propendè. Tallio ciò vedendo non tra- scurava la occasione: ma professandosi ad
essi obbliga- tissimo che memori fossero de’ benefizj , e prometten- done più ancora
se re lo creasseró ; prescrisse il gionu> de’ comizj ; ordinando che
v’intervenissero lutti dalla cam- pagna. Accorso il popolo ; egli chiamando una
per una le curie consegnava ad esse i lor voti. E giudicato da tutte le curie
degno del trono ; vi ascese. : nè curò del Senato che non volle come solea
ratificare la scelta del popolo. Cosi re divenuto fondò molte altre
istituzioni, e fece grande e memorabile guerra co’ Tirreni. Io dirò prima delle
istituzioni. Appena strinse lo scettro comparti tra’ merce- narj Romani le
terre del comune : poi fe’ comprovare le leggi su i contralti e su le
ingiustizie dalle curie , estese ^illora a cinquanta , quantunque non sia ora
ciò da ricordare. Aggiunse a Ronia il Viminale , e l’Esqui- lino due colli ,
cosi nominati , capaci T uno e 1’ altro di nna città liguardevole,
dispensandoli parte a parte ai Romani privi di case , perché ivi se le
fabbricassero ; anzi egli stesso ivi ediCcò la sua nel sito più idoneo delle
Elsquilie, Fu questo 1’ uhimo re che ampliò il cir- cuito, della città ,
congiungendo ai cinque gli altri due colli, dopo avere presi gli aiigurj e
compiute le usate pie cerimonie inverso gl' Iddj. Non poi la citti mise mai più
da largo le sue mura ; non avendolo, come dicono , permesso i destini : ma
tutti intorno i sobborghi che pur sono molti e grandi, si resuno so>perti,
non chiusi da mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che se alcuno
mirando a questi , voglia la grandezza racco-r glierne di Roma ; egli errerà
certamente : perocché noo avrà nino certo seguo , dal quale discernere fin dove
la città si oontinua o dove si termina. Cosi bene que’ sob- borghi al
fabbricato inleroo si congiungono , che pre- sentano a chi li contempla la
immagine come di una città che stendesi all’ iii6nito. Ma se taluno prendendo
regola dalle mura , certamente malagevoli a distinguersi per le molte case
fabbricatevi intorno , ma che pur sevv bano via via de’ vestigj dell' aulica
loro struttura voglia risaperne il circuito in ristretto dei circuito di Alene;
vedrà che il ricinto di Roma non molto eccede quello di Atene. Ma quanto alla
grandezza e bellezza che Rpma presenta a miei giorni ; avremo appresso luogo
più ac- concio a discorrerne. Poiché Tullio comprese entro un giro solo di oiura
i sette coili ; divise la città in quattro parti ; - de-' nominandole da que’
colli , 1’ una Palatina ^ l’ altra Sii- burrana , la terza Collina , e 1*
ultima Esquilina. Cosi distese a quattro le tribù che erau tre sole. Intimò poi
che chiunque abitava 1’ una delle quattro parti , quasi paesano di quella nè
portasse in altra il suo domicìlio , nè in altra desse il nome suo pe'
cataloglù militari , nè il tributo per le spese della guerra : in somma che
noi^ rendesse in altra i servigi che doveansi pel comune; nè più ordinò le
milizie secondo le tre tribù disposte come prima per genti ( i ) ma secondo le
quattro da lui create e compartite ne’varj luoghi ; destinando per ciascuna un
capo qual sarebbe un tribuno o prefetto , il quale dor vesse conoscere il
domicilio di ognuno. Quindi ordinò che in ogni quadrivio si facessero da’
vicini picciole sa- cre cappelle agli Dei lari custodi della contrada , isti-
tuendo per legge che ogni anno si onorassero di aa- grifizj , e che ciascuna
famiglia porgesse loro le obbla-- zioni sue : comandò che assistessero e
ministrassero à chi facea tal sagri6zio non gl’ ingenui ma i sèrvi ; di-
lettandosi quegl’ Idd) del ministero di questi. Continuano i Romani pur nel mio
tempo pochi giorni dopo de’Sa* tumali tal festa , veneranda in tutto e magniBca
, e detta compitale da’ quadrivi che compiti da .loro si chiamano. (i) Romolo
fece ire tribù eecondo te diverse genti : erano la tribù , la prima Ramnentù
dei Romani posti ad abitare nel Pala- tino , la seconda TatUnsU da Tasio , ebbe
il monte Capitolluq , e la tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo i
era degli stranieri che aveano ivi cercato nn rifugio. Col progresso del tempo
siccome la gente aggregala a Roma superara il popolo primitiro ; COSI Tullio
fece una nuova divisione di tribù. . a 5 Serbano nel* sagrifìzio 1’ anticx)
rito, placaodo gl* Iddj Lari con intrametlervi i servi , a’ quali tolgono in
quei giorni quanto tien forma di servile; perchè riconfortati da tali dolci
maniere ove è misto del grande e dell’ono* , riGco sì affezionino più vivamente
ai padroni e men sen> tano il peso della loro condizione. Inoltre , come
Fabio scrive , divise tntla la cam- pagna io ventisei parti , chiamandole tribù
parimente : e congiunte queste alle quattro urbane se ne ebbero trenta inAutte
: ma Yenonio dice che se ne ebbero tren- tuna : laddove Catone ben più
autorevole di essi (,) af- ferma che le tribù ne’ tempi di Tullio furon tutte,
non però distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli atupizj divisa la
campagna in tante parti, quante mai furono , apparecchiò su luoghi montuosi e
fortissimi de- gli asih\ chiamandoli pagos con greco nome o castelii, onde
renderne salvi i coloni. Imperocché .quivi tutti si rifuggivano ndle irruzioni
de’ nemici , e quivi spessis- simo pernottavano. Ci aveano in questi de’
presidi inca- ricati di conoscere i nomi de’ coloni, conti*ihnenti a quel borgo
, e li poderi su quali viveano. E se mai portava il bisogno di convocare que’
contadini per le arme , o di esigere da ciascuno le lasse ; questi li
congregavano, o ne raccoglievano le somme. £ perchè la moltitudine non fosse
difGcile a trovarsi , ma facile a descriversi e palese; fece erigere degli
altari ai Numi contemplatori e custodi del luogo , perché quella ogni anno vi
si riu- nisse e ve gli onorasse con pubblici sacri Gzj , istituendo (i) Di
Fabio • di Venonio. tal (ine la festa
soleanissima delta dei viUagi (i)."^Anzi intorno a tali sagrifizj scrisse
leggi che i Romani ser* bano ancora. Per tal sagriSzio , per tal celebrità
volle cbe contribuissero tulli una data moneta, altra però gli uomini , altra
le donne , ed alu'a gl’ impuberi : talché numerandosi queste dai, presidi delle
sante cose rileva- vasi il totale degl’ individui secondo il sesso e la . 6tà.
E volendo , come scrive Lucio Pisone nel primo degli annali , conoscere quanti
erano domiciliati in Roma, quanti vi nasceano o vi morivano , o toccavano * la
età virile; stabili qual moneta dovessero i parenti vergare per ognun che
nasceva nell’ erario di Eileitia , detta dai Romani Giunone Lucifera , o in
quello che chiamano di Venere Libitina , là nel bosco , per ognun che mo- riva
, o in quello della Dea Gioventù per ognuno che alla virile età perveniva. Da
queste monete intendeasi ogni anno quanti erano in tutto , e quanti aveano ido-
neità militare. Ciò fatto diede ordine, che i Romani. re- gistrassero, apprezzandoli
inargento, i lor beni, e giu- rando di apprezzarli come dee 1’ uomo candido e
buo- no t e che insieme dichiarassero quanta era la età loro, quali i padri
loro , le mogli, ed i figli ; aggiungendovi dove in città soggiornassero, o in
quale de’ villaggi d^Ho campagna ; e chi non &cea pari stima era in pena
spo- gliato de’ beni , flagellato e Venduto. Dorò questa legge lungo tempo tra
Romani. XVI. Cosi prese da tutti 'le stime, e rilevatone il nu- mero di essi ,
e la grandezza de’ beni loro introdusse (l) Ciut Paganaliu. una instituzione
savissima che fu poi larga fonte di beat a’ Romani , come il fatto stesso Io
dimostrò. La islit»* zione fu di segregare dal resto del popolo quei che aveano
sostanze più grandi non però minori di cento mine , e di ordinarli in ottanta
centurie (1) , le quali , armandosi , portassero scudo argolico , elmo di
bronzo, corazza , stivali , asta e spada. Poi separandole tutte in due parti
formò quaranta centurie di giovani per le spe> dizioni in campo aperto , e
quaranta de’ più adulti , le quali in città si restassero per custodirla quando
le altre uscivano per la guerra. E questa era la milizia , prima di ordine ;
per altro i giovani aveano sempre il primo luogo onde proteggere tutta
l’armata. Dal residuo quindi del popolo segiegò quelli ancora che aveano meno
di cento mine non però più scarse di settantacinque, compar» lendoli in venti
centurie che portassero arme , simili a quelle de’ primi , toltane la corazza e
dato ad essi lo scudo lungo in luogo dell’ argolico (u). E dividendo quelli di
oltre quarantacinque anni dagli altri che aveano età militare formò dieci
centurie di giovani, le quali an- (1) Nel Cesto Xt^gn: questa roce k ambigua:
può sigaificare cen- turia , manipolo , coorte. Il traduttore latino la
interpreta per cen- turia : e questa pare la nozioue piti acconcia : ma deve
riflettersi che cengia: vai quanto compagnia di cento , laddove in questo luogo
non significa cento esattamente ; ansi ne] paragrafo iS di questo libro
significa ben altro che cento. Tra I LATINI ci ebbe io Cfypeut e lo tculuni. Il
primo era detto «cevrir da’* Greci , ed il secondo Bv/i»f i il primo era più
breve e sièrico, l’altro piò lungo. La nostra lingua, come di un popolo che più
non usa quelle armi non ba forse parole ben disliute o note pet indicare la
doppia forma. Targa , Rotella o Broccbiero può forse dirsi il C/fpeus , e scudo
è voce generica di ogni sorta di quelle armi. Digitìzed by Google a8 DELis
Antichità’ romane dassero in guerra per la patria , « dieci di anziani che in
gtiardia rimanessero delie mura. Era questa la mili- zia , seconda di ordine ,
e prendea luogo dopo de' primi nella battaglia. Una terza ne fece di quelli che
aveano meno di settantacinque mine non però sotto le cinquanta; ma ne minorò T
armatura non solo delle corazze come alla seconda; ma de’ stivali ancora.
Descrisse pur questi in venti centurie dividendoli parimente secondo 1’ età ,
talché se ne avessero dieci de’ più gióvani, e dieci de’ più maturi. Era il
luogo loro nelle battaglie appunto do- po quelli che seguivano i primi. XVII.
Trasse un quart’ ordine di soldati da quelli che avean meno di cinquanta , e
non meno mai di ven- ticinque mine; disponendolo in venti centurie , dieci dei
floridi , dieci de’ provetti per anni , come avea fletto co- gli altri ; e dando
loro per arme scudi , aste , e spade , e r ultimo posto nelle battaglie.
Reclutò la quinta mi- lizia da quelli che avean meno di venticinque mine , non
però meno di dodici e . mezzo , acconciandola k- condo gii anni di ognuno in
trenta centurie , quindici de’ più avanzati , e quindici de’ più giovani. Diè
loro strali e Sonde , ma luogo fuori deli’ esercito , Uiesso in battaglia.
Comandò che quattro centurie allatto inermi accompagnassero tutte le altre :
cioè due di annajuoli , di falegnami , e di altri per altro militare lavoro, e
due di sonatori di trombe e timpani e di altri stromenti pe’ bellici segni. Ma
gli arteflci seguitavano la miUzia dà second’ ordine : e distinti anch* essi
per età , quali se . guitavano le bande de’ giovani , e quali degli anziani.
I^addove i sonatori di trombe e di timpani lenean die- tro alla miUzia quarta
di ordine ; distribuiti anch’ eglino in giovani e vecchi. Erano li centurioni
tmcelti fra' tutti li più insigni nelle arme; e reggea' ciascuno la sua cen-
turia docilissima ai cenni. Tale era il metodo onde avessi la soldatesca
legionaria e leggera. Scelse poi la cavallerìa dai più facoltosi , e più
cospicui di lignaggio , e formatene di- ciotto centurie le dié compagne alle
prime ottanta cen- turie de’ legionarj. Erano pur di queste diciolto , chia-
rissimi lì centnrioni. Finalmente ridusse ad una centu- ria gli altri tutti ,
ben più numerosi de’ primi che aveano men che dodici mine e mezzo , e gli
escluse dalla mi- lizia e li rese immuni da ogni tributo. Cosi risuitaron sei
ordini che i Romani dicono classi denominandoli con greca parola : imperocché
quello che noi signifi- chiamo colla voce imperativa colei ( chiama ) lo
signifi- can essi coll’altra cala (>) ed anticamente caleseis pro-
nunziavano in vece di classi. Comprendeano queste classi cento novanutrè
centurie. Formavano la prima Bovantotto centurie compresevi quelle de'
cavalieri : ven- tidue cogli artefici la seconda : venti la terza : di nuovo
ventidue co’ sonatori di trombe e di timpani la quarta ; trenta la quinta : ed
era dopo queste una centuria uuica la classe de’ poveri (a). (i) Calo catas tt»
antico veibo latino por chiamare j donde pur cbbesi la noce Calerule. (a)
Classe prima. - 9S -- seconda aa — ' tersa. ao — quarta aa — quinta 3 o - —
sesta. Introdotto un tale sistema , iatimava i soldati per la guerra secondo le
centurie , e li tributi secondo li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci
o venti- mila soldati ; avendo distinta la moltitndine in cento novantatrè
centurie, imponea ebe desse ognuna la sua parte. Calcolando, le spese da farsi
pe’ frumenti e per gli bisogni di guerra ; egli stesso le compartiva secondo
gli averi di ognuna tra le centurie , ordinate in cento no- vantatrè. Seguitò
da questo ebe i possidenti piò grandi essendo minori di numero ma divisi io più
centurie fossero sensa requie astretti a più guet're , e vi contri- buissero
danaro più ohe altri : laddove i possidenti mez- xani e piccioli quantunque più
numerosi, ridotti in meno centurie , non combatteano che alternativamente e di
raro , né pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che non possedeano quanto
rìchiedevasi , erano intatti da ogni molestia. Nè ciò facea senza causa ; ma
persuaso che gli averi sono per 1* uomo il premio della guerra , . e ohe
ciascuno travaglia per difenderseli ; riputò giusta cosa , ohe chi pericola su
più beni , più ancora al pe- ricolo si opponga colla robba e colla persona :
che men di molestia risenta in ambedue chi men perderebbe: e finalmente che chi
non teme per cosa ninna non sia nemmeno in cosa alcuna aggravato , immune da’
tributi perchè bisognoso , e libero dalla guerra perchè libero da’ tributi.
Imperocché li soldati Romani militavano al- lora , ciascuno a spese sue non lo
stipendio riceveano dal pubblico ; nè pensava altronde che avesse a contri-
buire chi non aveane i mezzi e stentava il vitto quoti- diano : nè che colui
che non contribuiva militasse a spese altrui qual mercenario. G)sl rivolse Ai
più ticchi tatto il carico de’ pe« ricoli e delle spese : vedendo però che sen
disgustavano^ nè raddolcì per altro modo il mal contento , e ne rat* temperò lo
sdegno , concedendo ad ewi tal prerogativa per cui gli arbitri sarebbero del pubblico
esclusine i poveri. Nè comprese il popolo di ciò che facessi le con* srguenze.
Era la prerogativa ne’ comitj , ove dai popolo risolveansi. le cose le più
gravi. Ho già detto di sopra come il popolo secondò le antiche l^gi era 1’
arbitro di tre cose grandissime e necessarissime : cioè di eieg> gere i suoi
capi in città e nel campo , di ammettere o di abrogare le leggi , e di
conchiudere la guerra o la pace.' E tali cose discuteva , e decidevate il
popolo per curie , parrggiandovisi il voto del grande a quello del picciolo
possidente. ^ E siccome pochi , come avviene , erano i facoltosi ; ma più assai
li poveri; cosi preva» leano questi ne’ comlej. Tullio ciò vedendo trasferì nei
ricchi la prepotenza de’ voti. Imperocché quando pare» vagli di' far creare i
Magistrati o discutere le leggi , o Conchiudere la guerra teneva i comizj non
più per ci^ rie , ma secondo le centurie anzidette. E prima chia» mava a dare
il Suo volo le centurie di maggior possi» densa le quali èrano ottanta di fanti
e diciotto di ca- valieri. Or' queste più numerose che le altre di Un tre (i)
quando fossero unanimi , superavano le altre ; e la di» scussione avea fine.
Che se non si univano queste in uu parere ; invitava allora le ventidue scritte
nel se* coud’ ordine*., £ se i voti sciudcvansi ancora ; soprac» (i) Erauo
noTanioUo, e le altre tutte novauUoinijue. cbianuva le centarie di terz’ ordine
: iodi quelle del quarto, e cosi via via, finché novantasette centurie si
trovassera consentanee (i). Che se ciò non ottenessi nep- pure colla quinta,
chiamata , ma le cento novantadue centurie si contrapponeano con parti eguali.;
invitava allora 1’ ultima centuria che era de’ bisognosi , e però libera dai
tributi e dalla milizia. E qualunque fosse la parte alla quale accostavasi
questa centuria ; quella pre- ponderava. Ma ciò era ben raro a succedere , per
non dire impossibile ; mentre il più delle discussioni termi** navasi col
chiamar de’ primi ordini senza procedere al quarto. Doud’ è che l’ invito de’
quinti e degli ultimi superduo riusciva. Istituendo tal sistema e tal
prerogativa inverso de’ ricchi , Tullio deluse , come ho detto i poveri ; né
sei conobbero , e furono esclusi dalle cariche. Immagi- navano questi che
essendo richiesti un per uno a dare il suo voto, ciascuno nella sua centuria,
avessero egual parte nel tutto : ma s’ ingannavano : perchè uno era il voto
della intera centuria , e qual centuria conteuea . men cittadini e quale più
i^sai ; e perchè prime vota- vano le centurie più ricche, più numerose per
serie, quantunque con men cittadini. Aggiungi che un solo era il voto de’
bisognosi , quantunque fossero i molti ; ed aggiungi che ultimi si chiamavano.
Per tal metodo i ric- chi , quatunque assai soggiacessero a spese , né avessero
mai requie da’ perìcoli della guerra , men sentivano il (i) Erano le centurie
senza l’ultima 193. numero la cui metà è 96. Affinchè dunque vi , fusse
preponderanza doveva un parlilo nascere almeno da 97 e I' alito da 96 ocniutia.peso
; perchè erano gli ariìitri divenuti di gravissime cose , ed aveano tolto agli
altri tutto il potere. Altronde i poveri se non aveano che la minima parte
nelle pab- bliche cure sei comportavano placidi e ebeti, perchè li- beri dai
tributi e dalla guerra. Dond* è che que’ mede- simi i quali consigliavano
ciocché era da fare ; quegli appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere.
Durò tal sistema per molte età tra’ Romani. Ma ne’ tempi miei fu variato, e
renduto più popolare per forza di grandi necessità , non perché le centurie
fossero disciotte ; ma perchè non più serbavasi 1* antica diligenza nel chia-
marle; come io stesso, presente più volte ai comizj, ho veduto.: ma non è
questo il tempo conveniente a parlar di ciò. Tullio data cosi regola al censo ,
comandò che tutti i cittadini andassero colie armi al campo più grande dinanzi
Roma : e là , messi in squadre i cavalieri , or- dinati li fanti in battaglia ,
e ridotti i soldati leggeri , ciascuno nelle proprie centurie ; li espiò con un
toro , un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre volte le vittime
intorno dell’ esercito le sagri Beò poscia a Marte, Nome sovrano di quel luogo.
Anche a miei giorni vengono i Romani purificati con egual cerimo- nia , che essi
chiamano lustro , dopo &tto il censo , da que’ che n’ esercitano' il
magistrato santissimo. Come ri- levasi da’ libri de’ censori , il , catalogo
de’ Romani che si registrarono ascese allora ad ottantaqnattro mila set-
tecento. Prese questo re non picciola provvidenza per ampliare le classi del
popolo, ideandone de' mezzi sfnggiti a suol predecessori. Imperocché provvidero
questi a far moltitudine ricevendo i forestieri e consociandoseli senza divario
di natali o di sorte. Ma Tullio concedè che entrassero a parte della repubblica
pur gli schiavi Fenduti liberi , se mai non volevano ripatriare. Àdon« que
permettendo che registrassero le loro sostanze iu- sieme con gii altri uomini
ingenui gli ascrive fra le tribù urbane che erano quattro fra le quali
ritrovasi aa« cora la discendenza dai liberti , e fece che vi godessero quanto
gli altri vi godeano di diritti. Disgustandosi di questo e mal sopportandolo i
Patrizj ; egli convocatane la moltitudine disse : cho meravigUctvasi
primieramente de' malcontenti se credei vano che t uomo libero differisse dal
servo per natura piuttosto che per la , sorte : e secondariamente se mv~
stiravano gli uomini degni di onori non dai costumi né dalle maniere , ma dalla
prosperità, vedendo quanto caduca , e quanto mutabile sia la prosperità ,
mentre TÙuno , nemmeno de’ più felici, può dire quanto tempo gli durerà.
Considerassero quante città barbare e gre^ che erano di serve divenute libere ,
e di libere serve. E qui condannava la grande loro incongruenza mentre
rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad essi invidiavano la
cittadinanza : e consigliavali piuttosto a non liberarli, se malvagi li
riputavano: ma -se ripa* tavanli buoni, non li vilipendessero quantunque fore-
stieri. Dicea , che ben era informe nè savia cosa che essi ammettessero alla
loro cittadinanza tutti i forestieri, senza distinguerne la sorte , o por mente
, se erano servi divenuii liberi ; e poi tenessero come indegni di tal graeia
^elli stessi che erano da loro liberati : e dicea , che essi i quali credeano
più saperne che gli altri non ve- deano poi le cose presenti , elementari , e
piane anche ai più inetti': cioè che assai penserebbero i padroni anon rendere
liberi cosi di leggeri i servi se poi do- veano accomunarseli alle cose più
grandi fra gli uomi- ni : e che i 'servi assai più si studierebbero di far
Fatile de’ padroni , se capivano che resi liberi sarebbero an- cora cittadini
di una città grande e beata ; e che am- bedue questi beni Se gli avrebbero
appunto dai padroni. Da ultimo fattosi a ragionare su F utile pubblico ricor-
dava a chi io sapeva , ed a chi noi sapeva insegnava , che una città che aspiri
al comando , una città che pre* pansi alle grandi cose, non dee niun bene
cercare quanto F aumentò del popolo , onde aver forze contro tutte le guerre ,
e non distruggere Ferario con assoldare gli estra- nei , perciò dicendo che i
primi re concedevano a fo- restieri la cittadinanza. Che se ora adottavano la
sua legge; aggiungeva che per loro via via crescerebbe una gioventù numerosa ,
nè sarebbero mai scarsi di soldati ; anzi che ne avrebbero abbastanza
quantunque fossero astretti far guerra contro di tutti. Vi sarebbero ancora
oltre le pubbliche, altra utilità non poche pe’ ricchi se lasciavano che gli
schiavi renduti liberi avesser parte nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in
queste nel mag- giore bisogno favoriti co’ voti o con altre decenze , e la*
scerebbero ne’ discendenti di essi altrettanti clienti ai posteri loro.
Consentirono a tal dire i patrizj che si am> mettesse un tal uso in
repubblica: e vi persevera anco- ra, custodito come una delle leggi sacre ed
inviolabili. E poiché son venuto a tal parie di narrawo— ue ; parmi necessario
adombrare i costami de’ Romani in que’ tempi sopra gli schiavi ; perchè niuno
riprenda nè il re che tentò volgere in cittadini gli schiavi già li- beri , né
quei che la legge ne ammisero , quasi abbiano incautamente abolito istituzioni
bellissime. Ottenevano i Romani dei schiavi per giustissime guise:' imperocché
gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali qual preda all’ incanto, o
concedendo un capitano che si appropriassero i presi in gnerra insieme con
altre cosej o redimendoli da altri che gli aveano . con eguali mar- niere
acquistati. Mé Tallio che lo introdusse, nè gli altri che lo riceverono e
serbarono; tennero come vituperoso e nocivo al pubblico il costume pel quale si
ridonasse la libertà e la patria da chi possedeali come schiavi, a quegli
uomini che spogliati in guerra di patria e di li- bertà si erano utili
dimostrati verso i primi che gii aveano soggiogati, o verso altri che gii
avevano comperati dai primi. Ricuperavano moltissimi la libertà gratuitamente
in vista deir onesto e bel procedere loro : e questo era il più onoridco mezzo
onde riaversi : pochi ne sborsa- vano un prezzo, accozzato con legittime e
caste fatiche. Non è però così di presente , ma sono le cose in tanta
confusione , e cosi belle virtù de’ Romani sono invilite e bruttate; che
chiunque trae danaro da crassazionl^ da sfasci, da prostituzioni o per altre
ree guise , costui con tal prezzo redimesi , e diviene un Romano. Otten- gono
altri un tal dono dai loro padroni , divenutine i complici degli avvelenamenti
, delle uccisioni , e. delle in- giustizie contro la : repubblica e contro gl’
Iddj : tal altri Digitized by Goo e de’ Veietiti, -già prime ad insorgere, e
colpevoli di aver mosso le altre alla guerra co’ Romani , queste in pena le
multa della campagna, coi divise in sorte tra gli ammessi di fresco alla
cittadinanza di Roma. Compiate tali cose in guerra ' ed in pace, e fondati due
tempj l’uno nel Foro boario, e l’altro in riva del Tevere alla Fortuna
sembratagli propizia tutti i suoi giorni , e da lui chiamata Kirile come
chiamasi ancora (i) ; alGne provetto assai per età, nè lontano ornai dal suo
termine, morì tra le insidie dei genero suo e della Gglia. Io dirò di queste
insidie ma ripigliandone il GIo alquanto da lungi. Avea Tullio due Gglie ,
nategli da Tarqui- nia , sposata a lui dal re Tarquinio medesimo. Divenute
nubili le donzelle, cugine dal canto materno a’ nipoti di Tarquinio , diedele
appunto a questi per mogli , la più grande al più grande , e la minore al minore
; cosi pa- rendogli che meglio converrebbobo a chi le prendeva ; (i) Tullio
fondò piò che due tempj. Fiutar, in quest. Rom. 74 * Ma la fortuna ViriU fu
coosccrata da Anco e non da Serrio secondo lo stesso Plutarco De Fortuna Roman,
se non che per la diflbrmità de’ costami si trovò ì’ua genero e l’ altro
accoppiato col sao contrario. Lucio il maggiore , baldanzoso , caparbio ,
tiranno per indole , ebbesi la fanciulla , savia ^ mansueta , piena di amore
paterno: laddove Arunle il più tenero, mite molto per genio e tutto affabile ,
se ne ebbe la iniqua, e tutta ardire, e tutta odio contro del padre. Ora
seguiva che movendosi ognuno a seconda del genio suo venivane ripiegato in
contrae rio dalla sua donna. Ardea lo scellerato dal desiderio di balzare il
suocero dalla reggia : ma intanto che a tale disegno applicavasi, erane dai
voti contrariato e dal pianto della consorte. In opposito il mite sposo , fermo
in cuor suo che non aveasi ad offender il suocero ma che do* veasi aspettare
che la natura ne consumasse la vita , ni tollerando che il fratello commettesse
quella ingiustizia, era spinto in contrario dalia ribalda sua compagna , che lo
istigava e garrivalo , rimproverandolo come vile. E poiché niente poteano nè le
suppliche della savia donna che insinuava il suo meglio al non giusto suo sposo
, nè le istigazioni della malvagia che provocava ai delitti Taomo suo, che non
era temperato a commetterne; ma ciascuno seguiva l’indole sua tenendo per
molesta la compagna perchè non avea desiderj uniformi ; la prima ne piangeva ,
ma comportava l’acerbo suo caso , quando l’altra fremevane audacissima, e
cercava come togliersi dal sno camerata. Or qui levatasi di mente la
scellerata, considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito della sua
germana , sei fa eh iamare , quasi per abboc* carsegli di necessarie cose. E
poiché fu venuto; ordinando che si rititasserò quanti eran seco per discorrere
sola con solo» Or su, disse, o Tarquinio posso io liberamente e senza pericolo
ridire quanto medito pel bene di am- bedue ? Lo celerai tu quanto sei per udire
? o vai meglio che io taccia , nè palesi V arcano' consiglio ?, £d invitandola
Tarquinio à dire, e certificandola coi giuramenti, qualunque ne volesse,
cbe-taóerebbe i di- scorsi ; ella non più contenuta dalla verecondia >neO‘
amici che abbondano , ed altre comodità copiose e grandi per imprendere. Che più,
dunque t’ indugj ? u4 spetti forse il tempo che per sé stesso venga e ti dia la
corona senza che pur te ne brighi ? Quando ? dopo la morte di Tullio ? Jippunto
la fortuna riguarda gl’ indugj degl’ uomini , appunto la natura pon fine alle
vite secondo la pro- porzione degli anni ! Anzi oscuro , incomprensibile è f
esito delle cose mortali. Sebbene , io lo dirò pur francamente , quandi anche
tu me ne chiami temera- ria , una a me sembra , una la causa per la quale
niente commoveti , non l’ amor degli onori non della gloria. Hai tu donna mal
conforme a tuoi modi; e questa li lusinga , e t’ incanta , £ ammollisce : e da
questa rendalo men che uomo diverrai finalmente un ignoto. Così pure quel
marito eh’ è meco, tutto paura, e senza nulla di virile , quegli ha depresso me
ch’era nata alle grandi cose , quegli ha fatto il fiore lan- guir di bellezza
che mi avvivava. Se portava il de- stino che tu prendessi me per moglie ed io
te per marito , già non saremmo tanto tempo vivati nella ignobilità de’
privati. Che dunque non emendiamo le colpe della sorte ? che non trasmutiamo il
matrimo- nio ? che non togli tu dalla vita cotesta tua donna ? Io sì che
apparecchio per quel mio marito /’ egual trattamento. E quando , spenti questi
^ ci sarem con- jugcUi y allora consulteremo con 'sicurezza sul resto , liberi
già dagli ostacoli che ci conturbavano. Che so altri per cUtre cause teme la
ingiustizia ; già non è da riprendersi chi tutto ardisce per dominate. Mentre
Tullia cosi diceva, ne ascoltava Tai> quinio con diletto i disegni : e dando
immantinente e ricevendo i pegni di fede, e le primizie dell’ empie noz- ze ,
si ritirò. Non andò guari tempo ; .e perirono p^ eguale sventura la primogenita
di Tullio, ed il minor de’ Tarquinj. E qui sono astretto a far parola di nuovo
di Fabio, e riprenderne la negligenza nell’esame dei tempi. Imperocché fattosi
alla morte di Arante non. pecca per questo capo solo come io dinanzi dicea, che
deaeri- velo per figlio di Tarqninio ; ma per l’ altro ancora che narra , che
mortosi Arunte fu sepolto dalla madre Ta- naquilla , la quale non potea di que’
tempi più vivere. Conciossiachè giù di sopra fu dimostrato che costei nu-
merava settantacinque anni , quando mori Tarquinio. Ora aggiungi a questi altri
quarant’ anni , giacché sap- piam dagli annali che Arunte mancò nell’ anno
quaran- tesimo del regno di Tullio; e saran gli anni di Tana- quilla cento
quindici. Tanto picciola nelle storie di que^ st’ uomo é la cura intorno la ricerca
del vero ! Dopo ciò Tarquinio senza indugio riprese in Tullia una mo- glie ,
ricevendo lei da lei stessa , e senza che la madre approvasse , o consolidasse
il padre quelle nozze. E come que’ due impurissimi , come que’ due micidiali si
con- giunsero , tentarono di cacciare se noi cedea di buon grado, Tullio dal
trono: e teneano perciò delle conventicole , e raunavano que’ senatori che
aveano cuore alieno da lui e dalie forme di un governo’ popolare, e comperavano
i più bisognosi della città quei che non Bveau cura ninna della giustizia ,
facendo intanto tutto senza nasconderlo. Tullio vedendo ciò , ne fu contur»
baio , e temette di essere sorpreso da qualche infortu- nio. Nè dovrebbesi meno
se dovesse far guerra alla figlia ed ai genero , e pigliarne vendetta come di
nemiri. Adunque invitò molte volte Tarquinio a discorso in mezzo degli amici ;
ora redarguendolo, ora ammonendolo ed ora esortandolo a non far contra lui
mancamento. Poiché però costui non lo attendeva , e pretestava che direbbe in
Senato i suoi diritti; egli stesso adunando il Senato , incominciò : Tarquinio
o senatori ( e ben mi è ciò manifesto ) Tarquinio tien dei congressi; Tar~
quinio m insidia lo scettro. Io da lui voglio , pre- senti voi, risapere, qual
privata ingiuria ha da me sostenuta , o qual vede che io ne ho fatta sul pub-
blico per insidiarmi. Rispondi Tarquinio, non '{infin- gere , di che avresti tu
mai per incolparmene? È que- sto il Senato , ove di essere udito desideravi. E
Tarquinio replicò : Breve o Tullio sarà il dir mio , ma giusto ; e però voleva
io profferirlo tra questi. Tarquinio V avolo mio possedè la reggia di Roma , e
molti e grandi travagli sostenne per essa. £ lui morto , io , gli debbo
succedere secondo le leggi comuni de’ Greci e de Barbari. E convenivasi , come
si conviene a quei che succedono agli avi , che io ne ereditassi non pur le
monete , ma la reggia : e tu mi davi le une, come lasciate da esso, e mi
toglievi la reggia , e già da tempo la tieni , senza averla mai ricevuta a
norma delle leggi : perocché nè gl’ interré vi ti scelsero , nè i senatori mai
per te davano il voto , nè assunto vi eri dacomizj legittimi come l’avo mio e
come tutti i re precedenti. Tu andavi al trono,- e comperando e subornando per
ogni modo una turba di vagabondi e di miseri, una turba rovinata nella stima
per le accuse e pe’ debiti , una turba infine niente sollecita del pubblico
bene : e così andandovi nemmeno dicevi di stabilirlo per te , ma davi' le viste
di custodirlo per noi orfani e pargoletti: e dichiaravi, udendolo tutti , che
quando saremmo già adulti , lo renderesti a me che sono il pià grande. Se
dunque volevi tu far la giustizia, quando mi consegnavi la casa , quando il
danaro dell’ avo ; dovevi tu conse- gnarmene nommeno la reggia seguendo V
esempio dei tutori onorati e dabbene, i quali ponendosi alla cura de’ regi
figli, orfani de loro padi’i, rendono ad essi appena son grandi puntualmente e
santamente la si- gnoria degli antenati. Che se ancora non io semhra- vati
idoneo a pensieri convenienti , ìiè bastante pei giovani anni a città si
popolosa , dovevi almeno re- stituirmene il governo quando io giunsi ai treni
anni che son gli anni vegeti del corpo e della mente , e ne’ quali tu mi davi
la tua figlia in isposa. Avevi pur tu questa età quando prendevi la cura della
no- stra casa e del regno. Ti sarebbe , cosi facendo , accaduto di esserne
detto pietoso e giusto , di essere il partecipe de’ miei consigli, il partecipe
degli onori, e di udirmiti chiamar padre , e benefattore « e salvatore ; e con
ogni bel nome , quanti ne sono destinati dagli uomini per le assioni le pià
preziose ; nè io già da quaran- taquattr anni sarei privo del regno , io non
informe di corpo , io non disadatto di mente. E ciò stando y osi pur dimandarmi
quale aggravio io ne senta, sicché io labbia per inimico, e te ne accusi? Anzi
dX, Tullio , dì per qual causa non mi stimi tu degno degli onori delt avo ; dì
, qual ne trovi , qual ten ^ngi buon ti- tolo di tal mia privazione ? Non pensi
forse che io sia germe puro di quella stirpe, ma intrusovi e spu- rio ? Come
dunque tu curavi un estraneo da quella famiglia ? o come , quando ei crebbe ,
gliene rendevi la casa ? O pensi che io non lontano molto dai cin- quant’ anni
> io pur siegua ad essere un orfano ? un incapace ed moneti del pubblico ?
Lascia dunque gli schemi di domande invereconde; cessa una volta di esser
malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere io, son pronto di rimetterle a
questi giudici , de’ quali tu non potresti ih città rinvenirne altri migliori.
Ma se di qua levandoti ricorri tu , come sempre solevi , a quella tua ligia
moltitudine ; già non sarà che io mel soffra. Io qui sono appeaecchiato
disputare sul giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo , se non mi-
ascolti. Al tacere di lai ripigliando Tullio il discorso, così disse : Quanto è
vero o senatori che dee t uomo aspettarsi ogtd caso pià impensato nè crederne
as- surdo rduno, se fn questo Tarquinia sta per levarmi dal pritKÌpato : questo
Tqrquinio , else io prendea , che io salvava fanciulletto da’ nemici che lo
insidia- vano , che io educava e crésceva , e cresciuto, ' com- piaceami di
avermelo a genero, ed erede infine di tutto se io patissi umana vicenda. Ma poiché
tutto mi riesce in contrario , e che ne sono ami accusato come ingiusto ;
serberommi a piangere la mia sorte , rispondendo ora su miei diritti a fronte
di lui. O Tar- quinio , io presi la cura di voi lasciati fanciullini : nè già
di voler mio , ma costrettovi dalle brighe , la presi. Imperocché si dicea che
quelli ette aveano ma- nifestamente ucciso I avolo vostro onde riprendersi il
tròno , avrebbero occultamente insidiato • anche tutto il parentado : e quanti
a voi per sangue si riferi- scono , tutti confessano , che se quelli restavan
gli arbitri del comando , non avrebbero pur seme la- sciato della stirpe de’
Tarquinj. Non ci avea curar tore , non tutore ninno di voi se non una donna ,
la madre del vostro padre , . bisognosa ancor essa di alr tri curatori per la
cadente età siui. Rimanevate vm solo a me corifidati , custode unico dell
orbitade vo- stra , a me che ora chiami un estraneo , un che niente a voi si
appartiene. Jn tali turbolenze ponendomi al comando io punii gli uccisori' deU’
avolo vostro', e ’ voi crebbi allo stato di uomini , nè avendomi prole virile ,
io vi eleggea ^perchè à me succedeste. E que- sto o Tarquinio il discarico
della mia ‘cura; nè già potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna, . Ma
quanto al regno , poiché di questo mi accusi, odi come io me ìo abbia^ e le
Cause per le quali non a voi lo ceda , nè ad altri. Quando io presi 11 governo
, avvedutomi che mi si tramavano delle insidie , volea nelle mani riporlo del
popolo. E chia- mando tutti a concioAe , io già faceami a cedere il comando per
cambiare con una vita di calma e senza pericoli^ la vita del comcmdare , la
quale è piena di invidia ,■ e sparsa pià di amarezze che di piaceri. Non
comportarono i Romani che io tanto eseguissi , nè vollero alcun altro sul
Comune , e me ritennero , ed a me diedero col consenso de’ voti , il régno ,
quel possesso loro, o Tarquinia , e non vostro. Così pure l'Oveano già dato
all’ avolo vostro tuttoché forestiero, e niente congiunto col re precedente ;
sebbene Anco Marzio lasciava de’ figli maschi e floridi per anni ^ e non de’
nipoti , e piccioli , come Tarquinio voi la- sciò. Se legge è comune di tutti,
che chi eredita le sostanze e i danari dei rei che cessano , debba in- sieme
r,iceverne il regno , dunque non fu Tarquinio l’ avolo vostro che al morire di
Anco ottenne là co- tona , ma il figlio primogenito di questo. Ma il po- polo
di Roma chiama al comando t uomo degno di averlo, e non il successore del
p’adre. Imperciocché giudica che le sostanze sieno di chi le possiede, ma che
il regno sia di quelli che il diedero ; giudica con- venirsi che ottengano
quelle gli eredi per sangue o per testamento se i padroni sén muojono , e che
tomi l’ altro a chi ’l diede se vien meno chi preselo a reg- gere •; se non
forse hai tu da contrappormi che I avolo tuo ricevette il regno con tal
condizione che non po- tesse pià tortegli, e che lo tramandasse a voi suoi discendenti;
sicché non fosse pià t arbitro esso po- polo, di conferirlo a m«, levandolo a
voi. Ma se hai tu punto di simile, che noi produci? Ma non gli hai tu questi
patti. Che se io non ebbi il regno per buona via come dici , non- eletto dagf
interré , noti portato dai senatori agli cffari, né compiendo il re- sto a
norma dette leggi; questi dunque, .questi ho 10 vilipesi e non te : e questi e
non tu , saria giusto che V autorità men finissero. Ma nè io violai questi, né
cdtro chiunque. Jl tempo tn é buon testimonio’, che 11 potere mi fu dato
legittimamente, e che legittima^ mente mel tengo. Imperocché già ne volge I
armo quarantesimo e niun Romano pensò mai che io com- mettessi , avendolo , una
ingiustizia ; e non il po- polo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene. Ma
lascisi pur tutto ità : diasi pur luogo alle tue ragioni. Se io te privava di
un deposito del- t avo , se io mi ascrissi il tuo regno contro . tutti i
diritti degli uomini, convenivasi che tu a quelli ne andassi che mel diedero :
che con quelli ti ramari- cassi e garrissi che io mi tenga te cose non 'mie ; è
che essi mi si obbligarono col dispensarmi t. altrui: e se tu il vero dicevi;
di teneri gli [avresti persiut- si. Che se tu non certificavi ciò co- tuoi
parlari ; e tuttavia pensavi , indebita cosa che io regnassi, e che tu sei pià
acconcio al maneggio del pubblico ; potevi almeno , fatta ricerca diligente de
miei errori , e nu- merate le belle tue gesta , riclamartene giuridicamente la
precedenza. Ma tu non hai fatta, nè luna nè F al- tra cosa; e dopo tanto tempo
, finalmente , quasi riavendati da lunga ebbrietà , vieni per accusarmene » e
nemmen ora dove si dee. Canciossiachè, già non con- viene che queste cose qui
dichi ( e voi non ve ne sde- gnate o Padri., mentre io cosi parlo non perchè vi
si tolga questa causa , ma per dichiararvi li costui vanilotfuj ) , ma
conveniva che preaccennandomi tu. che aduneresti il popolo a conciane là mi
accusassi. Ora ciocché hai tu schivato , lo supplirò io questo per te :•
convocherò il popolo , lo Jarò giudice delle Mense che òuoi : lascerò che decida
di nuovo , qual sia pià idoneo di nói per comandare ; e quello che là desti-
nasi, quello adempirò. Ma basti il fin qui detto a risponderti : perciocché
toma allo stesso dir poche o molte ra^ni eon emoli che non le apprezzano ,
men-, tre questi per indole nemmen soffrono ciocché li per-, suada ad essere
umani. Ben io mi meravigliava o senatóri che sdeuni di voi (se ve ne sono )
volendo depor me , co- spirassero con costui. F^olentieri udirei da loro per
qual mia ingiustizia mi fan guerra, o da quale mio trattò inaspriti. Sanno essi
forse che assai nel mio principato , perirono senza essere uditi, assai furono
spogliati, di patria , assai delle sostanze, o con altro sciagure affitti ? o
non avendo a ridire su me niun tirànnico modo di questi , sono essi forse
conseqtevoli delle, mogli lóro da ma disonorate ; delle prof ansate loro verini
figlie, o di tal altra mia incontinenza su ingenue persone ? Egli è giusto se
in me sorto tali eplpe , che io sia , nonuì del regno privato , che della vita.
O può .dire alcuno che un superbo io sono , un esoso per la mia durezza,
un-iiHollerabile per la mia caparbietà nel governare ? Qual mai dei re
predeces- ■ sori fu così moderato , così umano nel suo potere ,« o qual fu con
tutti come me , quasi un tenero patire co’ figli? Io quel potere che voi mi deste,
voi custodi di ciò che avete dagli avi ricevuto io non lo volli questo nemmen
per intero : ma creai leggi, ( e voi le approvaste queste leggi) su cose
principalissime ,• e le intimai perchè tutti esigeste e rendeste cots-esse i
diritti , ed io stesso il primo mi vi sottoposi , docile come un privato agli
ordini , che io dava per nitri. Che più : non io mi tenni giudice di tutte le
ingiusti-‘ zie ; ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri-, vate} ciocché
ninno uvea fatto dei re precedenti. ^Laon* de , non vedesi in me colpa sicché
altri me ne con- trarino. O turbano voi forse i benefizf miei verso del popolo
? Ma non sarebbe così pensare un offendeivi ! se già tante volte con voi me ne
giustificai. Se non- ché niente bisognano discorsi tali : se a voi pare che-
questo Tarquinio , preso il govermo, sia per ammii- nistrarvelo anche meglio :
io non invidio a . Roma .il suo miglior principe. Restituendo il comandò al
po-^ polo che mel diede, e tornandomi tra privati , farò che vedasi chiaramente
che io sapea tanto, ben' «io» minare , ' quanto io posso dignitosamente
servire^ . 55 ascese in tribuna , e tennevi un patetico e Inngo ragio- namento
óve numerò le gesta militari eh’ egli iece men- tre viveva Tarquinio e dopo , e
.ricordò mano a mano le istitnaioni donde sembrava il Cornane prosperato di,
molte ; e grandi utilità. E venendogli dal dir di ogni fatto -amplissime lodi,
e desiderando ornai tutti sapere perchè li ridicesse , palesò finalmente come
Tarquinio accusa- • vaio di' egli tenesse a torto un regno che a lui si do-
veva : e come apaigeva che l’avolo gli avea nel morire lasciato con le
ricchezze anche, il regno , e che non po-, teva il popolo concedere ciocché suo
non era. E qui -^Vegliatosi in tutti clamore , ed. indignazione , egli inti-
mando silenzio, piega vali, che non impazientissero nè tumultuassero a quel
dire : ma chiamassero Tarquimo , e se. forse aveva giuste cose da esporre le
conoscessero: e se lo trovassero offeso, e se. piò idoneo a reggere , gli
affidassero pure il comando di Roma : egli se ne al- lontanerebbe , e
renderebbelo ad essi da’ quali lo .ebbe. Cosi lui dicendo e movendosi già per,i
iscendere dalla ' tribiina , , proruppe da tutti un grido , un gemito , un
pregar vivo ebe non cederne ad alui.il comando. E ci avea por chi esclamava
elve si avesse a tempestare Tar- qninio : e colui , vista in fremito la
moltitudine, temendo che non gli desser di mano ; foggiasene cogli amici in
casa. Allora tripudiando tutto il popolo ricondusse tra gli applausi e le
acclamazioai Tullio alla reggia. Tarquinio, veuutogK meno, quel tentativo,
fremè dal rancore, che il Senato non gli dess^ alcnn aiuto, quàndo egli fidava
su questo principalmente; e teuniesi per alcun* tempo in casa non conversandolo
che gli amici. Quando la donna sua gli si fece a dire elle più non dovea star
mollemente a bada , ma ebe dovea^ lasciate le parole , Tenire ai fatti, e
primieramente cer- car pace per mezzo degli amici da Tnib'o , perché co- lui
credendoselo riconciliato, meno il guardasse. E pa- rendogli eh’ ella ben
consigliasse , finse di esser pentito, e più volle per .mezzo degli amici Orò
caldamente Tul- lio affinchè lo perdonasse ; né difficilmente ve lo indusse,
essendo placabilissimo per indole, ed alieno da nna guerra inestinguibile colla
figlia e col genero. Ma venutogli po- scia il buon ponto , essendo il popolo
sparso ne’ campi per la raccolta , egli usci cìnto di amici co’pngnali sotto '
d^li abiti: dati i fasci ad alcuni de’ servi, e* presa per se regia veste ed
altri simboli del comando , si recò net F oro ; e standosi dinanzi la Curia ,
intimò che il ban- ditore convocasse il Senato. E siccome ci aveanO già pel
Foro appostatàmente molti de’Patrizj consapevoli ed isti- gatori del delitto ;
allora si concentrarono. Intanto corso alcuno in casa di Tullio lo informa come
Tarquinio' ersi uscito con regie vesti , e chiamava i Padri a consiglio.
Stupitosi Tullio dell’ ardimento andò tra piccfolo seguito con più velocità che
saviezza: e giunto nella Curia) e vedutolo in sul trono , e con gli altri
distintivi reali , chi , disse , chi , scelleratissimo uomo , ti concedè que-
sti onori? e colui, /ìi, replicò, l’ardire tuo; fu la tua inverecondia o J\dlio
; perocché non essendo tu libero , ma servo nato da serva « e posseduto qual
pri- gioniero dalT avolo mio, ti arrogasti il comando di Roma. Tullio , ciò
udendo , inaspritone , à biqciò fnor di proposito su lui , come per isbalzaflo
dal trono. Vide . 5'J TaitjaÌDio ciò con diletto ^ e sorgendo dalla regia sede
afferra e trasportasi Ini vecchio , che grida , ed invoca i suoi. Giunto fuori
della Curia egli florido e forte, le* vaio in alto > e trabalzalo giù per le
scale che mettono al luogo de* contizj. Alzatosi appena dalla caduta il vec-
chio , cóme vide intorno , pieno tutto de* partigiaui di Tarquioio , e deserto
e vuoto de* cari suoi , partesene malconcio e mesto con pochi che lo sostengono
, e ri- coóducoDO , mentre riga intanto la via di sangue.Narransi dopo ciò le
opere dell’ empia e barbara figlia, tremende ad udirsi, come portentose nè
credibili a farsi. Costei sentendo che il padre era ito in Senato vogliosissima
di conoscerne la fine , venne in sul cocchio nel Foro : e conosciutavela , e veduto
Tarqui- nio in su le scale della Curia , essa la prima a gran voce lo salutò
monarcA , supplicando gF Iddii , che il regno di hii riuscisse propizio a Roma.
E salutandolo monarca altri ancora de’ cooperatori suoi , • lo trasse in
disparte e di^se: Le prime cose o Tarquinia te hai Ut faUe come àoveansL Ma
finché vive TuUio non potrpi renderli stabile il regno. Egli se abbia picciolo
tempo di questo giorno ; ecciterattene incontro il po- polo ; e tu sai’ quanto
il popolo tutto è per lui. Su dunque' prima ih* ei torni in casa , manda chi lo
uo cida ; te ne libera. Ciò detto , e sedutasi di nuovo in sul cocchio ,.
parti. Tarquinio convinto che la iniquis- sima donna ben consigliava ,
spediscegli contro alquanti de’ suoi ■ co* brandi : e quelli trascorrendo rapidissima-
ménte la via raggiunsero Tullio pressò la casa , e lo uccisero. Abbandonato
palpitavane ancora il cadavere per la strage recente ; quando la figlia
sopraggiunge : ma stretta essendo la via donde avessi à passare le mule a tal
vista si spaventarono : e 1’ auriga stesso .che le guidava mosso da compassione
si fermò e si volse a colei. La quale dimandandogli perchè mai non pro- cedesse
: Non vedi , disse , o Tullia , che qui giace U morto tuo padre , nè vi è
transito fuorché, sul cada-* vere suo ? E sdegnatasene quella , e levatosi lo
scAbello da’ piedi e lanciatoglielo disse : ’E non le guidi o stolto in sul morto
? E colni gemendo anzi per la compas- sione elle per la percossa spinse
forzosamente le mole so del cadavere: E la via chiamata Olbia (i) per ad-
dietro, fu dopo il tragico e barfiAro caso, detta nélF i— dioma de* Romani
scellerata. Tale è il termine di Tullio
dopo quaranta- quattro anni di regno. Dicono che qnest’nomo il primo alterasse
ì patrii costnmi e le leggi .ricevendo il prin- cipato non' dal Senato insieme,
e dal popolo come tatti i re precedenti ma dal popolo . sedo , guadagnane dosene
la classe > indige nte con' distribnzione e'donii, ^ altri sedncimentL E
cosi sta la'veritè; perciocché' nei •> *- (l) OAjStar >0 greco saU fiUce
, firtunaUn sareiiba il teina che la vìa ftlice fortunata fu delta scelterata
pel delitto. Alcuni leggono »va-fi»s io luogo di tXfittf, certamente, secondo
che scrive Var— rime nel lib. ^ , de lingua laiina, i Sabini quando tinnirono
ai Ro- mani , chiamarono Cipria la contrada di Roma nella quale si allog-
giarono come per buono angario, perché Cjrprwn tra’ SaiNui tigni— Scava il
bene. E secondo ciò la contrada, detta Cipria o. buona dni Sabiui pel buon
augurio, sarebbe appunto quella ghe fu. poi della scrllerata per la empietà
commessavi. Ma Varrone .scrive che questa contrade cran prossime , e non già le.
medesime. . prifni tempi quando un re moriva , il popolo dava al corpo del
Senato la podestà di stabilire la forma che pià volessero di governo, ed il
Senato nominava gl’in- terré, e gl’ interré sceglievano per sovrano 1’ uom più
pregevole sia de’ cittadini , sia de’ nazionali, sia de’ fo- restieri : e se il
Senato ’ne approvava la scelta, se il po- polo co^ voti suoi r aotorizzava , se
gli anspizj la con- fermavano, còlui prendeva il comando. Che se mancava alcuna
di queste condizioni, ne; nominavano nn 'secon- do ; e poi un terzo, se
avveniva che il secondo non avesse propiziò quanto era d’ uopo dal cielo e
dagli' notami. Ma Tullio, come innanzi fu detto, assumendo in ■principiò il
carattere di regio tutore , e poi guada- gnandosi il popolo con gli amorevoli
modi', fu -re no- minata solamente da quello* Poi • diportandosi come uo- mo
temperato e clemente fe' colle opere successive ta- cere le accuse*, che non
avesse* adempita ogni cosa a norma delle Ipggi ; lasciando a > molti il
'sospetto , che se non era presto > levata; avrebbe' ridotto- lo Stato- a
forma di una repubblica. E (|nesta é la cagion princi- pale. per «ui dicesi che
alenai de’ palrizj lo insidiassero^ Pionr potendo con altro modo hnirne il
comando , ini- sero -TarqUinie alla impresa e gli cooperarono il regno^ per
voglia di deprimere -il •'popolo fornài troppo potente pel ' governo tura un giorno ; nella prossima notte spirò.
S’ ignorava però da molti la maniera del termine suo. Diceano al- cuni eh' ella
stessa aveasi data da sé la morte , an- teponendola al vivere. Altri però
diceano che era stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo ad- dolorata
e benevola inverso lo sposo. Per queste ca- gioni il corpo di Tullio fii privo
di regj funerali , e di magnifico monumento : conseguì però coUe opere sue
memoria perenne in tutti, i tempi. Anzi quanto iegU | fosse caro agl’ Iddìi
lo., fece eziandio palése nu se- gno celeste : dond’ è che alcuni tennero
ancora per vera la opinione incredibile e fiivolosa intorno la nascita sua come
dianzi fa detto. Appiccatosi il fuoco id tempio delia fortuna , che egli area
già fabbricato, mentre tutto era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente
la statua di lui in legno dorato. . Il tempio e quanto .è' nel tempio
rifabbricati dopo l’ incendip sul modo antico presentano le traccie di un’ arte
recente: ma la statua , antica com* era nelle fattezz^. vi riscuote ancora il
qulto dai Romani. E ciò è quanto abbiamo ricevuto sopra Tullio. Dopo di lui
prese la siguoria di Roma Laicìo Tar^illnio non gi^ fecondo le log^ ma colle
armi nel- r anno quarto dell* olimpiade sessantesima prima nella quale vinse
nello stadio Agatarco , essendo arconte di Atene Tericleo (i). Cosmi spigando
la popolar mol- titudine , spregiando i patria] da’ quali era stato con- dotto
al trono, e confondendo e sconciando ogni co- stume- e legge e disciplina colla
quale i re precedenti ave'ano dato forma a Roma; rivolse il governo in nna
manifesta tirannide. E primieramente mise intorno a sé guardie di bravi , naaionali
ed esteri , con spade e lan* ce, i quali vegliando di notte negli atrj della
reggia , é scortandolo di giorno, ovnnqne ne andasse, lo scber» missero appieno
dalle insidie.' Inoltre non usciva nè di continuo , né con periodo certo , ma
di raro , e quando non aspettavasi. Deliberava su le cose comuni molto in sua
casa , e poco nel F oro , in mezzo a’ parenti più stretti cbe lo guardavano.
Non concedette che alcuno di quei che il volevano si presentasse a Ini se noi
chiamava : e presentatoglisi , non era giè con esso , compiacevole e mite , ma
grave ed aspro ' come un ti- ranno, e terrìbile ansi che gioviale a vedere.
Definiva le controversie su’ contratti in conformità de’ costumi suoi , non
delle leggi e del dritto. Per le quali cagioni i Romani lo denominaron superbo
, ciocché nell’idioma nostro vuoi dire soperchiatore contrassegnando l’ avo col
soprannome di Prisco, o come noi diremo antico per nascita, giacché quello
aveva i nomi appunto del giovine. (i) NelP annp »e di Roma secondo Catone, a»
seconde Vat- reus , e &3a avanti Cristo. Qaaado poi concepì di aver già
consolidato il suo regno , concertandosene co’ più ribaldi de’ suoi ami> d,
avviluppò tra accuse capitali i piò cospicui de’ cit- tadini ; e primieramente
i contrari suoi , quei che già non^voleano che Tullio si levasse dal trono , e
quindi altri li quali immaginavaseli malcontenti del cambia- mento , o li quali
abbondassero di riccbezae. Coloro che in giudizio li riducevano, gli accusavano
l’un dopo l’altro con delitti falsi, e con quello specialmente che tendevano
insidie al re che ne era il giudice. Ed egli quali ne condannava alla morte , e
quali all’ esilio: e confiscati i beni degU uccisi o banditi , dispensavane
alcun poco tra gli accusatori , serbandone la piò gran parte per sè. Pertanto
molli de’primar} vedendo le ca> gioni per le quali erano insidiati,
lasciarono , prima di essere complicati in delitti, Roma tutta al Uranno. Vi
furono pure alcuni sorpresi ed oppressi di furto da lui nelle case o ne’ campi
: uomini ben degni di riguardo , ma non piò sen trovarono nemmeno i cadaveri.
Di- Btrutla così la maggior parte del Senato con su*agi e con esilii perpetui
la supplì con chiamare agli onori di quei che mancavano i propri amici: nè però
concedette loro di fare o dire se non quanto egli avesse prescritto. Tanto che
li senatori già scelti da Tullio , e superstiti ancora nel Senato , e contrarj
fin’allora al popolo sul concetto che la mutazione tornerebbe in lor bene per
le promesse avutene da Tarquinio ingannevoli e tradi- uici , vedendo infine che
non aveano piò parte nelle pubbliche cose, anzi che aveano' come il popcdo per*
dula la libertà ne sospiravano : ma temendo un avvenire ancor più tetribile ,
nè potendo impedire «pianto faceagi , chctaronsi necessariamente a’ mali
presenti. Or vedendo il popolo dò , pensava che stesse lor bene , e godea sul
«Hintraccambio , quasi là tt> rannida foste per essere 'grave a quelli
soltanto e non pericolosa per lui ; quando non molto dopo ne vennero i mali
ancora più su di esso : imperocché Tarquinio annullò tutte le leggi di Tallio
per le quali il popolo rendeva ed esigeva il giusto con diritti eguali senza
es> seme come prima sovverchiato da’ patria) ne’ contratti : né lasciò pur
le tavole dove erano scritte , ma fattele levare dal Foro le distrusse. Poi
tolse i daz) , propoiv zionevoli ai registri delle sostanze , tassandoli
novamente sul modo antico. E se mai bisognavano a lui denari, Contribuivane il
più ' povero quanto il più ricco. Or tale regolamento esaurì subito colla prima
imposizione gran parte dei popolo; essendo astretti a pagare dieci dramme a
testa. Intimò 'che non più si facessero quei concor» , quanti sen facevano per
villaggi, per curie', o per vicinati , a Roma , o nella campagna in occasione
di feste o sagri6zj comuni , perchè riuneudovisi molti non vi macchinassero
occultamente fra loro di abbattere il principato. Ci aveano qua e là
disseminati , ignoti osservatori e spie dei detti e de’ fatti , e questi intra
punto contro il governo scandagliavano gli animi: e se scoprivano alcuno
esasperato da’ mali introdotti lo in- (xilpavano presso del tiranno: ed aspre»
irreparabili ne erano le pene , se restava convinto. Né gli bastò di abusate m
tal modo' del popolo : ma raccogliendo dal meazo di esso quanti ci area 6di e
proprj per la gnerra , astrinse gli altri a lavorare in città, riputando che i
re moltinimo pericolano, ae i più scellerati e poveri stieno oziosi. E
desiderando vi- vamente che si ultimassero nel suo regno le opere la- sciate
imperfètte dall’ avo suo, che si continuassero; fino al fiume le cloache
cominciate da quello e si circondasse di portici coperti il Circo Massimo il
quale -non aveane che le gradinate; si applicarono a questo lavoro; e ne i
ottennero parco frumento i poveri , altri tagliandone i materiali, altri
guidando i carri che li trasportavano, ed altri portando su le spalle i pesi.
Chi scavava sotterra- nei canali e largure : chi facea volte in essi ; e chi
sn. Tarquinio perché aveasi scelto Mamilio per genero e non lui , fece uda
lunga accusa di Tarquinio nmne- randone le op^re di orgoglio e di soperchieria
, come il nou essere venuto in consiglio, dove eran già tutti, e dove gli aveva
esso • stesso invitati. Difendealo Ma- roilio , imputando l’ indugio a cause
urgenti^ime, e chie- dea che diiferissero ; e differirono il consiglio al
prossi- mo giorno , indotti dai suo parlare i Latini. (t) Livio nel lib. i dice
che era della Aiceia : Tur /mi Herdo- »iui ai Arida. Forte la gran vicinanta di
Coriolo e dell'.tfr(cM Ccce prender l’nna per l’altro. Coriolo era fra i
terrìtorj Amiate, Ardcatinp , ed Aricino , tal monte Giov». toJOttlQGiunto nel
giorno appresso Tarquinio , e con- gregato il consiglio , e toccato di volo l’
ittjiagio suo ^ fecesi a discorrere della preminenea che a lui cecnpe-* teva
come posseduta già dall’avo per la forza delle armi; e presentò gli accordi
delle città fatti ctm quello. Lungo fu il suo ragionamento intorno dei diritti
-e def patti; e grandi le premesse di beneficare le città se amiche gli si
tenessero , e provocavale infine a far guerra con esso ai Sabini. Come dié fine
al dir suo. Turno recatosi in- nanzi accusava la tardanza di lui, nè permetteva
che li compagni gli cedessero il principato, perchè nè dovuto a lui per
giustizia , nè possibile a darsegli con utile dei Latini. E molto ragionò su
l’nna e su l’altra cosa dicendo che i patti che avean segnati ccfll’avo suo
quando gli ac- cordarono la sovranità finirono colla sua morte, per non essere
scritto in quelli che il dono esienderebbesi anche ai posteri suoi. E qui
dimostrava eh' egli chè pretendeva succedere ai diritti dell’avo, era il più
ingiusto, e mal- vagio ' de’ mortali : e ne allegava le opere da lui latte per
aversi il comando di Roma. Adunque scorrende^ i tremendi e molti suoi delitti ,
conchiuse infine che egli non tenea legittimamente nemmeno Roma, non aven- dola
come i re precedenti ricevuta da’sudditi spontanei.; Egli t lui presa , disse ,
colla violenza e ' colle armi: & fondatavi la tirannide , uccide , esilia,
confisca , e tò- glievi fin la libertà di parlare, non che quella del vi~ vere.
Ben sarebbe grande la stoltezza, grande la in- giuria inverso gli Iddj
ripwmetlersi mai tratti umani e benevoli da un empio e da uno scellerato , e
cre- dere che chi non ha perdonato nemmeno agi intimi Digilized by Googl LIBRO
IV. 67 ruoi j nemmeno al suo sangue , risparmi poi gli altri. Esorlavali dunqne
giacché noa eransi ancora sottoposti al giogo , a combatto^ per non
sottoporvisi. Da ciò che pativano gli altri di terribile argomentassero ciocché
sa* rdibero essi per sopportare. Vaiatosi Turno di questo discorso, ed assai
commossine i più; Tarqainio dimandò per difendersene il giorno seguente , e lo
ebbe. E sciolto appena il con- siglio ; convocati i suoi più intimi , esaminò
con essi ciocch’ era utile a farsi. £ quali suggerivano le ruposte di apologia
, quali ragionavano fra loro de’ mezzi onde era da blandirsi la moltitudine.
Soggiunse Tarquinio che niente di ciò bisognava, e disse il parer suo di le*
vare l’accusatore , anziché di purgarsi dalle accuse. E lo« datone da tutti e concertatosi
con essi; pigliò tali vie per l’intento, quali non sarebbero cadute in mente di
uomo che macchina o si difende. Imperciocché cercati U servi più rei che
menavano i giumenti o curavano le robbe di Turno , e corrottili con argento ,
gl’ indusse a prendere da sé stesso nella notte assai spade e portarle nell’
ospizio del padrone e nasconderle , e lasciargliele tra le bagaglio. Poi nel
giorno appresso , riunitosi il consiglio, e venutovi : Breve è , disse ,
topologia su le mie colpe , e giudice ne stabilisco t accusatore mede^ simo.
Questo Turno , o compagni , giudice stabilito delle reitadi che ora mi ascrive
, questo da tutte as- solveami già, quando chiese in isposa la mia figlia. Ma
poiché ne fu rigettato , com' era ben giusto ( im- perocché qual savio mai
rispinto avrebbe Mamilio, un si nobile , un sì potente Latino , e prescelto
avrebbe per genero costui, che mal può delincar la sua stirpe, fino al
trisavolo ? ) poiché ne fu rigettato, indispetti- tone mi assalisce colle
accuse. Doveva , se per tale mi conoscea qual mi accusa, non desiderarmi per
suo- cero : o se mi tenea per onesto quando mi chiese ‘la figlia, non doveami
ora come un ribaldo accusare. E ciò basti su mei perciocché non si debbe ora
più discutere se buono o malvagio io mi sia , quando voi, o compagni , voi
correte il più grave de’pericoli. E. su me potete aruor dopo chiarirvi : ben
ora dee colla sal- vezza vostra la libertà provvedersi della patria. 1 pri-
marj delle città , quei che ne maneggiano il pubblico, tutti sono insidiati da
questo bel capo-popolo, il quale apparecchiasi , uccidendo i più cospicui,
torsi il regno del Lazio. E questo , questo é il fine che qua lo menava. Né già
io parlo immaginando , ma di pienis- sima scienza , datami nella notte andata
da uno dei complici della congiura. E se voi vorrete meco alt ospi- zio di
costui venire, io ven darò documento infallibile del dir mio, le armi che vi
occxdla. Or lui cosi parlando sciamarono tutti, e chie> sero , temendo per
sè , che certificasse il fatto , . non gK illudesse. E Torno, come lui che non
avea preveduto le insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione, e
chiamò li primarj per compierla , aggiungendo che se- guirebbe l’una delle due,
o che egli morirebbe se il trovassero con apparecchio di altre arme che pel
viag- gio , o che le pene sue subirebbe chi lo calunniava. Cosi piacque ; ed
andarono e trovarono nelf albergo cU liti tra le bagaglie le spade na$costevi
da’ servi. ÀUora Dòn lasciando nemmen che parlasse gillarono Turno in UDS
voragine , e coprendolo , vivo ancora , di terra lo aterminaron sul fatto. Ed
encomiando nell’adunanza Tar> quinio come benefattore comune delle città,
perchè ne àvea salvalo gli ottimati , lo crearono capo della nazione co’
diritti appunto co’ quali ne aveano già creato Tarqui« nio r avolo suo , e poi
Tullio. Scrissero in su colonne que’ patti , e datosene il giuramento per la
osservanza , si congedarono. Tarquinio divenuto capo de’ Latini spedì mes-
saggeri alle città degli Eroici e de’ Yolsci invitandoli a far seco amicizia ed
alleanza. Ma de’ Volaci due sole cittadi Echetra, ed Anzio secondarono l’
invito ; laddove gli Eroici si decisero tutti per 1’ alleanza. Ora curando
Tarquinio che gli accordi colle città si conservassero in ogni volger di tempo
; deliberò fissare un tempio co- mune ai Romani , ai Latini , agli Eroici ed ai
Volaci confederatisi, perchè riunendosi ogni anno al luogo de- stinato vi mercantassero
, e banchettassero , partecipando de’sagrifizj medesimi. Ed ascolundone tutti
con piacere la idea , scelse quanto era possibile in mezzo de’ popoli per luogo
della riunione il monte sublime , il quale so- vrasta alla città di Alba : e
dichiarò per legge che in questo fbsser le fiere, in questo fosse triegua di
tutti in verso di tutti , e conviti si facessero e sacrifizi co- muni a Giove
detto Laziale , prescrivendo quanta parte dovesse ogni città contribuire per
essi , e quanta rice- verne. QuaranUsette furono le città compartecipi delle
feste e de’ sacrifizj ; e tali sagrifizj e tali feste le conti* nuano ancoc di
presente i Romani che Laiine le chiamaoo. I^e città compagne nel sagrificare
portano agnelli^' o cacio , o latte , o tal’ altra oblazione in fratti e fari-
ne. Immolandosi però da tutte un sol toro, ciascuna prendeane per sè la parte
stabilitale. Il sagnfizio è per tutti , ma presiedono al rito santo i Romani. ^
L. Poi cb’ ebbe rassodato il regno con tali confedera- zioni ; risolvè di
porure Tarmata contro i Sabini. E re- clutando de’ Romani quei che men
sospettava che fareb- bonsi liberi se otteuevau le armi, e conginngendo con
essi truppe alleate, più numerose ancora delle* sue , de- vastò le campagne
Sabine : e vintivi quei che vennero con esso a battaglia ; menò l’esercito
contro de’ Pomen- tini. Abitavano questi la città di Sessa e pareano i più
felici de’ conBnanti, anzi per la felicità molesti e gravi a tutti. Avendo egli
già reclamato ad essi per alquante rapine e prede , e richiestili che dessero
de’ compensi , non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi po- stisi in
arme aspettavano pronti la guerra. Adunque ve- nuto con essi in sul conBne alle
mani , ed uccisine molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e
poiché non più ne riuscivano , accampatosi dirimpetto , li circondò di fossa e
vallo , investendo la città con as- salti continui. Resisterono quei che
v’erano dentro, durando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma poi venendo ad essi
meno ogni mezzo , infiacchendo ne’ corpi , e non ricevendo soccorsi , nè requie
mai , anzi travagliando di e notte ; furono sopraffatti dalia forza.
Impadronitosi della città trucidò quanti vi stavan colle amie: lasciò che i
soldati rapissero donne , fanciulli , quanti sop- portavano di cader
prigionieri , e moltitudine non facile a calcolarsi di servi : e concedè' che
invadessero e si portassero qnant’ altro veniva loro ' alle mani sia nella
città , sia per la campagna : ma 1’ oro e l’argento, quanto se ne trovò , lo
fe’ tutto rammassare in un luogo , e de- cimatolo per la fondazione del tempio
, ne divise il re- sto fra le milizie. Tanta poi ne fu la somma che ogni
soldato rioevè cinque mine di argento e la decima per gr iddj non fu minore di
quattrocento talenti di ar' gento. LI. Ancora egli stavasi a Sessa quando gli
giunse un messaggio , eh' era uscita la gioventù horentissiroa dei Sabini: che
gettatasi in dne corpi nelle terre de’ Ro- mani devastavano le campagne , l’
uno tenendosi presso di Ereto , e 1’ altro presso di Fidene : e che se una
forza non le si opponesse, ben tosto tutto soccombe- rebbe. G>m’ ebbe ciò
udito lasciò picciola parte dell’eser- cito in Sessa con ordine che vi
guardasse le prede e bagaglie : e prendendo con sé il resto della milizia ,
spedita e leggera , e marciando contro quei che erano accampati presso di
Ereto, si trincerò su le alture a pic- ciolo intervallo da essi. Decisero i due
Sabini dar la bat- taglia in sul mattino; e spedirono perchè venisse l’eser-
cito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il disegno per essere stato preso
chi portava le lettere dagli uni agli altri. Per tal successo ei si valse di
questo accorgi- mento. Divise r esercito in due parti , e ne mandò l’ una fra
la notte di nascosto de’ nemici su la via che viene da Fidene , e schierando l’
altra in sul brillare del gior- no , la menò dagli alloggiamenti alla
battaglia. Corag- giosi gli uscirono incontro i Sabini non vedendo gran serie
de' nemici , e credendo non altro mancare aliare mata di Fidene , se non di
gingnere. Coti venutisi que-> sti a fronte combatterono , e la pugna pendè
gran tempo dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da Tar— quinio
ripiegarono la marcia , e correvano a tergo dei Sabini. Sbalordirono questi al
vederli , e ravvisarli dalle insegne e dalle armi , e gettando le proprie»
tentarono di salvarsi : ma il tentativo rìnsd difHcilissimo , essendo essi
circondati da’ nemici e rinchiusi dalia* cavalleria dei Romani postata d' ogn
intorno. Pertanto pdchi ne scam- parono e tra duri casi : i più ne perirono , o
cederono. Quelli eh’ erano lasciad agli alloggiamenti non li sosten- nero ; e
quel luogo di sicurezza fu invaso al primo as- salto. Furono qui prese le robbe
de’Sabini, e qui molti de* prigionieri , e qui le robbe de’ Romani quante ne
erano intatte, e tutto fìi salvato per chi le aveva perdute; LIL Riuscito il
primo saggio a Tarquinio secondo il cuor suo , prese 1’ esercito, e ne andò
contro i Sabini accampati giù in Fidene, a’ quali non era ancor nota la
disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per avventura tra via: ma
non si tosto furono più da vicino e videro le teste de’loro capitani confitte
alle aste ( che ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispa-
ventare i nemici); conoscendo com’era l’altro lor campo distrutto , più non
tentarono nulla di generoso , ma ri- voltisi alle suppliche ed alle umiliazioni
si resero. Cosi devastati miseramente , e vituperosamente nell’ uno e nell’
altro esercito , e ridotti i Sabini a speranze tenuis- sime , anzi timorosi che
fossero le loro città pigliate di assalto ; spedirono ambasciadori per la
pace., profierendosi per sudditi e tributar). Pertauto lasciò la guerra, e
ricevute appunto «>a tali coudizioni le loro città , si ri- condusse a Sessa
; e ritiratene le milizie lasciatevi , e le prede ed ogni bagaglio , tornossene
a Roma coll’ eser- cito carico di ricchezze. Poscia fe’ molte incursioni su le
terre de’ Yolsci, quando con tutte le forze, e quando con parte , ne ottenne
gran prede. Ma riuscitegli per lo più le cose a voler suo ; gli si eccitò una
guerra coi con&nanti* ben lunga pel tempo , giacché durò sette anni
continui , e ben grande pe’ casi inaspettati e terribili. Ora io dirò
brevemente le cagioni per le quali nacque, e qual ne fu 1’ esito , essendo
stata terminata per in- ganni e per stratagemmi non preveduti. LUI. Una città ,
Latina di gente , e colonia già degli Albani, lontana cento stadj da Roma (
Gabio ne era il nome) sorgeva in su la via che mena a Palestrina. Città
popolosa allora e grande qnant’ altre , ora non tutta si abita , ma solo presso
la strada per uso degli alloggi. E ben può raccoglierne la grandezza e la ma-
gnificenza , chi mira le rovine in più luoghi delle case ed il giro delle, mora
, che in gran parte esistono an- cora. Eransi qua concentrati alquanti
involatisi da Sessa, quando fu presa da Tarquinio , e molti fhggiti da Ro- ma.
Or questi supplicavano e pressavano quei di Gabio a prendere vendetta di loro ,
promettendo gran doni se ai beni proprj tornassero ; e dimostrando possibile e
fa- cile la distruzione del tiranno. Adunque ve gl’indossero sul riflesso che
in Roma a ciò coopererebbero , e che lì Volsci erano ad altrettanto animati;
giacché mandate aveano delle ambascerie, bisognosi anch’essi di ajutO’ per
imprendere la guerra contro di Tarquinio. Si fe^ cero dopo questo irruzioni con
eserciti poderósi , fi scorrerie su 1’ altrui territorio e battaglie , com’ è
Veri»» simile, ora di pochi con pochi, ora di tutti contro di tutti: e quando i
Gal^, respinti fino alle porte i Ro- mani, ed uccidendone diedero
intrepidamente il guasto ai lor campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e
rinchiudendoli nella loro città , • sen portavano schiavi , e preda copiosa. .
• . • . LIV. Or ciò facendosi di continuo, fu l’una e l’altra parte costretta a
cinger di mura, e presidiare i luoghi forti delle proprie terre in ricovero de’
contadini. Di là prorompevano su’ predatori , e scendendo folti , stra- ziavano
, se ne vedeano , i piccoli corpi staccati dal resto dell’ esercito , o li
disordinati per poca apprensìon de’ nimici , come accade nei pascere.
Similmente te- mendo r una parte gli assalti improvvisi dell’ altra fu
costretta a munire dì fosse e di muri le città facili a scalarsi ed a
prendersi. Adoperavasi in ciò principal- mente Tarquinio : e rassicurò con
molte fortificazioni il tratto intorno la porta la quale menava a Gabio , sca-
vandovi fosse più larghe , elevandone più alte le mura , e coronandole di torri
più spesse : imperocché la città sembrava in tal canto men solida , quando era
nel resto dei suo circuito sicura abbastanza, nè facile da inva- derla. Se non
che si fece in ambedue le città penuria di ogni vettovaglia , e costernazione
gravissima per l’av- venire , essendo le campagne diserte per le incursioni
incessanti de’ nemici , né più somministrando de’ frutti come accade a’ popoli
avvolti in guerre diuturne. 11 disagio però’ stringeva i Romani più che i Gabj
; tanto che U poveri infra quelli, angustiatine più che gli al- tri ,
giudicavano essere da venire a trattati, e far pace comunque coi Gabj , se la
volessero. LV. Or dolendoti Tarquinio altamente de* successi , e non sofierendo
di' deporre obbrobriosamente le armi^ nè polendo altronde resistere più inmmzi
; volgevasi a tutte le prove , a tutti gl’ inganni. Quando il figlio più grande
( Sesto ne era il nome (i) ) scoperse al padre un suo disegno. Egli parea mettersi
ad impresa audace quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile , con-
cedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dun- que ‘fintosi in
discordia col padre per voglia di por fine alla guerra : ne fu battuto colle
verghe nei F oro , e con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse in-
torno la fama. E su le prime inviò come profughi i suoi più fidi perchè
dicessero occultamente ai Gabj che egli deliberava far guerra al padre , e che
ne anderebbe tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli altri
refugiaii Romani , senza renderlo ai padre per isperanza di finir col suo danno
le proprie nimicizie. Udirono con diletto quei di Gabio il discorso , e con-
cordandosi di non offenderlo , egli venne , e con lui molti compagni e clienti
come fuggitivi; e per meglio (i) Tito Lirio dà questo nome e' questa impresa al
figlio minore : ma il disparere col padre e l’ incarico assunto pare più
yerisimile in chi area più diritto di succedere ad un regno . direnuLo assolu-
to, e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Uiouigi sembra più
naturale, qualunque fosse il nome del finto rilielle. Vedi S 65 di questo
'libro. accreditare la ribellione sua dal padre portò seco molto di argento e
di oro. Dopo ciò sotto velo di fuggir lar tirannide molti a lui confluirono ;
tanto che ornai glie n’ era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei di
Gabio che avrebbono grande incremento dal giu- gnere di tanti ad essi , e
lusingavansi che tra non molto .avrebbono suddita Roma, illusi ancor più dalle
opere di quel ribelle , il quale scorrendo di continuo la cam* pagna ,
raccoglievane prede ubertose. Ed il padre ap- punto, risapendo prima in quai
luoghi il figlio verreb- be , ubertose glie le apprestava , e senza guardia se
noa di scelti cittadini che egli v’ inviava come a lui sospetti per farli
distruggere. Su tali significazioni molti creden- dolo amico fido , e buon
capitano , e molti arrenden- dosi all' oro suo ; lo inalzarono al comando
supremo delle milizie. Sesto divenuto per frodi e per illusioni T ar- bitrò di
un tanto potere spedi , senza che i Gabj se ne avvedessero , un tale de’ servi
suoi per dichiarare al pa- dre r autorità che avea preso , e per udirne
ciocch’era da fare. Tarquinio volendo che il servo non intendesse ciocché
ordinava al figlio di fare , venne ( e conducea seco il messo ) al giardino ,
congiunto al regio palagio. Aveaci là de’ papaveri nati spontaneamente , già
pieni di frutto , e maturi per la raccolta. Or tra que’ papa- veri aggirandosi
e dando co’ bastoni in su le tòste de’ più alti , abbattevali. Congedò ciò
fatto il messaggiCro niente rispondendogli , quantunque interrogato ne fosse
più volte. Egli imitava per quanto a me sembra la prudenza di Trasibulo
Milesio. Imperocché chiesto da Periandro, allora tiranno di Corinto , per via
di un messaggiero , con quali modi possederebbe più saldamente il coman- do,
non rispose pur sillaba , ma fatto cenno all’ inviato die lo seguitasse, il.
condusse in un campo di biade, ed ivi percosse le spiche più eminenti , le
atterrò ; signiBcaudo che. cosi dovea pur egli troncare , e di- smettere i
-primi delle città. Or facendo Tarquinio al- lora somigliantemente. Sesto ne
intese le mire, e co- me ordinavagli di por giù li più insigni di Gabio. E
convocò la moltitudine , e le tenne un lungo ragiona- mento su questo, ehe egli
ricorso cogli amici alla, lor buona fede , rischiava ornai di esser preso da
alcuni, e dato al padre: ma che era pronto a deporre il co^ mando, an^i che
Lucerebbe la città prima di cadere in tanto infortunio ; e qui lagrimava e
deplorava la sorte sua , come quelli che di cuore si dolgouo su’mali estremi. ,
Lyil. Irritatane la moltitudine, e ricercando sollecita quali mai fossero per ,
tradirlo , esso nomina Antisiio Petrone, il personaggio più distinto di Gabio.
Egli erane il più insigne divenuto pe* molti belli suoi rego- lamenti in pace,
e pe’ molti capitanati in campo eser- citati. Reclamando intanto quest’ uomo ,
ed offerendosi come Hbero da’ rimorsi ad ogni esame , disse 1’ altro che volea
che se ne investigasse la casa: e che vi manderebbe perciò degli amici: egli
intanto aspet- tasse TtelP adunanza finché ritornassero. Imperocché già era
Sesto riuscito a corrompere con argento alquanti servi di lui perché
prendessero e ponessero in sua casa lettere contrassegnate co’ sigilli paterni,
e macchinate in Digiiìzed by Google --8 DELLE Antichità’ romane rovina di
Pelrone. Or come gl’ inviali alla indagine (che non aveala Pelrone contradetla
ma concednla) vi rinvennero le carie occulutevi, tornarono recando al-
l’adunanza molte lettere indicatrici , e quella scritta ad Anlistio; e dicendo
Sesto che vi riconosceva il sigillo del padre la sciolse; e la diede allo
scriba perchè la recitasse. Scriveasi in questa che gli consegnasse il fi- glio
, vivo principalmente ; o se ciò non poteasi , almeno glie ne mandasse la testa
recisa. Diceva, che darebbe ad esso ed d complici , oltre le taglie promesse
già pri- ma , la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe tutti frd patrizj
^ ed aggiungerebbe case e poderi e doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno
i Gibinj ; dialordtva Antistio dalla sciagura impensata , mancando-* gli fin la
voce: ma quelli co’ sassi lo tempestano e lo uccidono ; lasciando a Sesto la
cura di far la ricerca e la vendetta su gli altri, compartecipi in ciò di
Petrone. E Sesto fidando le porte agli amici suoi perchè gl’ in- colpali non s’
involassero mandò per le mise- più illa- stri , e vi uccise molli de’
valentuomini. Intanto che ciò faceasi ed era in Gahio tuiv- bolenza pe’ sì gran
mali ; Tarquinio avvertitone per lettere vi marciò coll’ esercito , e giunto
prima della mezza notte ed apertegli le porte da ■ uomini posti ad arte per
questo , ed entratele ; s’ impadronì senza stento della città. Come il male fu
ravvisato , deploravano tutti sè stessi , e le stragi , e la schiavitù che
patirebbono, e temeano insieme gli orrori , quanti ne vengono su por poli
sorpresi da’ tiranni. Quando pur li trattasse mitis- simameute ; immaginavansi
la perdita della libertà , e de’ beni , e cose altrettali. Pure Tarquinio
sebbene scel- lerato, sebbene implacabile in punir gl’ inimici non fe’ ntilla
di ciò che aspettavano e temevano ; nè uccise , nè liandl , nè disonorò , nè
multò persona ninna di Ga- bio. Ma convocando la moltitudine, e prendendo regie
maniere in luogo delle tiranniche sue , disse che re- stituiva la propria città
; che concedeva ad essa i lor beni; e che donava inoltre a tutti cittadinanza
quale appunto r avevano i Romani : non già che ciò facesse per benevolenza
inverso de’ Gabj ; ma per consolidare a sè con essi .la signoria su’ Romani;
pensando che di- verrebbe presidio stabi^imo per sè e pe’ figli la fe- deltà di
un popolo che fuori di ogni speranza era salvo, e ricuperava tutti i suoi beni.
E perchè non più temessero per 1’ avvenire nè dubitassero se stabili sareb-
.bero. tali parole ; scrisse le condizioni colle quali sareb- bero* amici,' e
le giurò subito nell’ adunanza , e poi toccando gli altari e le vittime.
Monumento di quest’al- leanza esiste in Roma nel tempio di Giove Fidio, chia-
mato Sango da’.Ròmani , uno scudo circondato colla pelle del bue sagrlGcato
allora appunto per compierne il giuramento , su la quale scritte ne sono con
antichi caratteri le condizioni. Ciò fatto , e dichiarato Sesto re di Gabio,
ritirò le milizie; e tal fine ebbe la guerra con quella città. Dopo ciò
Tarquinio dando requie al popolo dalle cose militari e dalle battaglie; si mise
alla ere- zione de’ templi, desideroso di compiere i voti dell’avo. Erasi
questi nell’ ultima guerra co’ Sabini votato a Gio- ve , a Giunone , a Minerva
di fondare ad essi de’ tempii se vincesse. E già , come fu detto nel libro
prece» dente , avea con grandi ripari e con terra|)ieni accori» data l’altura
ove destinava di erigerli; ma non potè' poi compierne la impresa. Deliberatosi
Tarcpilnio di ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa posevi a
lavorare tutti gli artefici. Or qui narrasi che. accadesse un meraviglioso
portento sotterra , doè che scavandosi per le fondamenta , e che già molto
essendo gli scavi profondati , si rinvenisse la testa di un uomo ucciso come di
recente, con faccia simile a quella dei vivi , stillandone ancora dalla ferita
un sangue tepido e fresco. In vista di tale prodigioi^arquinio comandò gli
opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli indovini della patria
dimandò che mai dir volesse quel segno. Ma non rispondendone , anzi dando' essi
la scienza di tali cose ai Tirreni , ricercò da loro e seppe qual fosse fra’
Tirreni l’ interprete più famoso de’ por» tenti ; ed a questo inviò messaggieri
i più pregievoli cittadini. Giunti i valentuomini alia casa dell’ augure , si
le loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere ambasciatori di Roma ,
vogliosi di consultare il vate , e pregavano che a lui li presentasse. Il
giovine allora : Colui, disse, che ricercate, è mio padre: egli è di presente
occupato : ma presto a lui passerete. Ora intanto che lo aspettate , ditemi
perchè mai ne venite. Così voi se mai per imperizia foste per ishagliar la
dimanda; istruiti da me non errerete. E le giuste interrogazioni non sono già
la minima cosa nell arte de’ vaticini . Or piacque a coloro di secondarlo, e
sveUrono a lui quel portento. Ckime il giovine gli ebbe ndiù , sopraslando
breve tempo , ascoltate , disse o Bo- ntani. Il mio padre ve lo interpreterà
tal prodigio , e senza menzogne ; che certo ad un vMe non si con- vengono. Ma
perchè neppur voi erriate , nè mentiate su le cose che direte o risponderete ;
apprendete da me questo > che assai rileva che vel sappiate. Quando esposta
gli avrete la meraviglia ; ei soggiungendo di non intendere appieno ciò che vi
dite , descriverà colla verga quanto un picciolo tratto di terra , e poi vi
dirà : seco la svrs tarsìa qvzsta nè la partx CMS GUARDA l' ORISNTS , quSSTA
CBS L OCCASO: QUS- STA È LA PARTS SOREALS , QUSSTA LA OPPOSTA. Ed indicandole
intanto colla verga vi chiederà da qual canto fu tiltvenuta la testa. Or che vi
esorto io che rispondiate ? appunto che non concediate che fosse trovata in
alcuna delle parti eh' egli addita colla ver^ ga , e ve ri interroga , ma che
in Eotna tra voi fu veduta su la rupe Tarpea. Se tali risposte serberete; se
punto col dir suo non ve ne allontanate; allora egli ravvisando che il fato non
può cangiarsi, vi sve- lerà , non vi occulterà quel prodigio che volete , che
interpetri. LXL Ammaestrali in tal modo i legati , «piando il vate ne ebbe comodità
, venne un tale che a lui li con- dusse , e parlarono del portento. Ora lui
sofisticando , e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e facendo in
ogni quadrante interrogazioni sul trovamento, non si turbarono punto di mente i
legali , ma tennero la ridata , come aveala suggerita il 6glio dell’ indo-
Tino, nominando sempre Roma e la rupe Tarpea , e pregando l’interprete che non
travolgesse il segno, ma ne dicesse a proposito , e schiettissimamente. Cosi
non potendo il vate nè illudere gli oratori , nè imbrogliarè r augurio ,
soggiunse ; Andate , annunziate o Romàni a vostri concittadini , portare il
destino che il luògo dove avete il teschio trovato sia capitale di tutta l’I-
talia. Dall’ ora in poi capitolino fu detto il luogo del travamento; capi chiamando
i Romani le teste. Tai>i quinio udendo ciò da’ legati rimise gli opera]
su'lavori; e molto fece del tempio, ma noi compiè, cadendo 'in breve dal regno.
Roma alfine lo perfezionò nel terzo consolato. Fu basato il tempio su di una
altura la quale aveva un circuito di otto plettri , ed ogni lato di esso
apprassimavasi ai dugento piedi col picciolo divario nem- meno di quindici
piedi interi tra la lunghezza e la la- titudine. Perciocché il tempio
riedificato dopo l’incendio a’ tempi de’ nostri padri su’ fondamenti medesimi
diffe- risce dall’ antico per la sola preziosità della materia. Dalla parte
della facciata che guarda il mezzogiorno circondalo un ordine triplice . di
colonne : ma doppio solamente è quell’ordine nei lati. Tre sono’ in uno i templi
, e paralleli , e divisi da mura comuni. Sacro è quello di mezzo a Giove , e
quindi è l’ altro . di Giu- none , e quinci di Minerva : ed un solo tetto , di
un comignolo solo li ricopra. Questo tempio terminara a Iriargolo : la cima
del. triangolo in tutto il tetto ossia il colmo del letto è ciò che cbiamasi
comì- gnolo. Uno de’ nostri lempj a tre narate sotto un tetto comune può
foeilitare t’ intelligenza di questo luogo. Dicesi che nel regno di Tarquinio
occorresse ai Romani un’ altra propizia e meravigliosa avventura sia per dono
di un nume sia di un genio , la quale salvò la città non per poco tempo ma
finché visse, più volte, da gravi mali. Una donna , nè già nazionale , venne al
tiranno , vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Si- bilini : ma ricusando
Tarquinio comperarli al prezzo cei> catogli ; colei partita ne spiccò tre
libri e li arse. Ri- porundo dopo alquanto i libri superstiti gli ofierl sul
prezzo medesimo. Riputatane stolta , e derisane perchè di minori volumi
n’esigea la somma appunto che non aveane potuto ricevere quando erano più; si
ritirò nuo- vamente e bruciò metà dello scritto che rimaneva. Tornò quindi co’
tre libri ancor salvi, e chiese l’oro di prima. Attonito Tarquinio su i disegni
della donna fece cercar gl’ indovini , e narrò 1’ evento, e dimandò ciò ch’era
da fare. Or questi conoscendo da alquanti segni che ripu- diavasi un bene
mandato dal cielo , e dichiarando che grande era la sciagura che non avesse
comperato tutti i volumi ; comandò che si numerasse alla donna il valor
dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La donna che avea dato
que’ libri , inculcò che si custodis- sero con diligenza , e sparve dagli
uomini. Tarquinio creando tra’ cittadini i duumviri o due riguardevoli per-i
aonaggi , e subordinando ad essi due ministri pubblici ; diè loro la’cura de’
libri : ma poi cucitolo io una otre bovina gettò nel mare Marco Acilio 1’ uno
de’ due ri- gnardevoli perchè parea sfregiare la buona fede , ed era accusato
di pai-ricidio da uno de’pubblici ministri. Dopo la cacciata dei re , fattasi
la repubblica a sostenere gli Oracoli , nominò custodi loro, durante la vita,
personaggi chiarissimi, liberi da ogni militare e civile incomben 2 a ,
consociando ad essi ancor altri pubblici uomini , senza i quali non poteano i
primi consultare que’scritti. A dirla in breve , i Romani non guardano ninna
cosa con tanto zelo non i poderi sacri , non i tempj , quanto le rispo- ste
divine delle Sibille. Yalgonsi di queste i Romani quando il Senato sta per
votare in tempo di civil sedi- zione , o di grave infortunio in guerra , o di
portenti e grandi visioni , malagevoli ad intendersi , come avven- ne più
volte. Fino alla guerra chiamata Marsica gli ora- coli posti in un’ ama
marmorea ne’ sotterranei del tem- pio di Giove Capitolino furono custoditi dai
decemviri. Ma braciandosi poi questo dopo 1’ olimpiade centesima settantesima
terza sia per insidie , come pensano alcuni , sia per caso ; arsero colle
votive cose del nume, anche i libri. C gli oracoli che ora si hanno , furono.'
portati in Roma da più luoghi , quali dalle città d’ Italia, quali da Eritra
dell’Asia, speditivi per decreto del Senato Com- missarj a trascriverli , e
quali da altre città , trascrittivi da' privati. Ma sen trovano confusi co’
Sibillini anche aluri , come convincesi da que’ che acrostici si diman- dano.
Io qui dico ciocché Terrenzio Varrone ha scritto nelle sue teologiche
trattazioui. Avea Tarquinio operate queste cose in guerra ed in pace ; avea
fondate due colonie , l’uja Cioè Segni, per caso , perché svernando ivi i suoi
soldati aveansi il campo come una città ridotto ; e la seconda Circea-per
disegno , perché ponessi nella campagna Pomentina , la più grande intorno del
Lazio, e contigua col mare, in bel sito , alto discretamente , che sporge quasi
penisola nel mare Tirreno ; ed abitato già com’ è fama da Circe la figlia del
Sole : avea dato qnesle due colonie a due figli suoi che ne erano i fondatori,
Circea ad Anmte, e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del suo
principato ; allora per la ingiuria fatta ad una donna da Sesto il suo
primogenito , fu cacciato dai principato e da Roma. Àveano gl’ Iddj dato il
segno della calamità futura della sua famiglia con molti augurj de’ quali qu^
sto, fu l’ultimo. Venute nella primavera delle aquile in un luogo adjacente
alla reggia fecero il nido su di un’alta palma : mentre però teneano i figli
ancor senza penne, volandovi in folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc«
cisane la prole, e bezzicando e ferendo co’rostri e colle ali , respinsero
dalla palma le aquile che tomavan dal pascolo. Vide Tarquinio l’augurio, e
vegliava per istor- name se poteva il destino: ma non potè superarne la forza ;
e perdette il regno , congiurando su lui li pa» trizj , e cooperandovi il
popolo. Io tenterò dichiarar bre- vemente gli autori della congiura ; e come si
fecero ad eseguirla. Guerreggiava Tarquinio colla città di Ardea sul pretesto
che ricettava i fuggitivi da Roma, e mac- chinava di rimetterli in patria : ma
in realtà perchè ne aspirava le ricchezze come di una delle città più felici d’
Italia. Ribbattendolo però gli Ardeatini generosamente, e prolungandosi
l’assedio loro; stanchi quei del campo per la diuturnità della guerra e quei di
Roma impotenti a più contribuirvi; si disposero a ribellarglisi , appena ve ne
fosse un principio. Intanto Sesto il primogenito de’ figli di Tarquiaio spedito
dal padre nella cittì chiamata Collazia per compiervi talune incombenze
militari si al- loggiò presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto Collatino.
Fabio delinea quest’uomo come figlio di Ege- rio, del quale ho sopra dichiarato
ch’era figlio dei fra- tello di Tarquinio l’antico , re de’Romani. Da lui messo
al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, la- sciandone la denominazione
anche a’ posteri suoi. Io sono persuaso che questi era nipote ad Egerio se avea
la eti conforme ai figli di Tarquinio , come Fabio ha scritto e molti con esso
; e la cronologia conferma tal mio concetto. In que’ giorni Collatino era nel
campo. Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di Lu crezia riposava , e
colla spada in mano vi penetrò, non sentito nemmeno da quelli che prossimi alla
porta dor- mivano della camera. F attesi al letto , e svegliatasi la donna col
giu- gnere delle insidie , e chiedendo chi fosse , colui svela il nome ; e
comanda che taccia e resti nella camera , minacciando lei della vita, se
tentava fuggire, o gri- dare. Cosi, sbalorditala, propose alla donna di
scegliere .qual più le piacesse o lieta vita , o morte infame, ó'e t’ induci ,
disse , a compiacermi , io te farò mia spo~ sa y e tu regnenù meco , ora s.u la
città che mio par- dre mi assegna, e dopo la morie del padre sii Ro- 'mani ,
sii, Latini, sii Tirreni e su quanti egli domi- na. Io, tu lo sai, primogenito
de' suoi figli, io sarò t erede del regno , come à ben giusto. E quali beni
inondano i re, de' quali' tutti sarai tu meco possedi- trice ; che giova che io
qui ti additi, se tu ne sei pe- ritissima? Che se tenti resistermi per salvare
la tua pudicizia , ucciderò te prima , poi scannando un dei servi porrovene a
lato i cadaveri , e dirò che sorpresa avendoti in obbrobrio col servo, io vi
punii tutti due per vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tanto che turpe ,
ignominiosa sarà la tua fine, nè la morta Uia spoglia saià di sepolcro onorata
nè di altre funebri cerimonie. Ora siccome assai minacciava , insisteva,
giu> rava a^ ogni suo detto ; Lucrezia sbigottita di una morte infame venne
nella necessità di cedere agli arbiirj amo- rosi di lui. Fattosi giorno; costui
sazio della voglia scel- lerata e Ainesta , tornossene al campo : Lucrezia però
corucciata per l’evento ascese quanto potè frettolosa in sul carro , e venne a
Roma , cinta di lugubri vesti , ed occultandovi sotto il pugnale; non salutando
, salutata, negl’ incontri , né rispondendo a chi voleva intendere de’ suoi
mali , tutta cogitabonda , e mesta , e lagrimosa. Giunta a casa dal padre '( e
ci aveano alquanti parenti ) ella prostratasi e stregasi ai ginocchi del padre
vi sin- ghiozzò , ma senza parole : e sollevandola e stimolandola il padre a
dire ciocché solTerto avesse: Padre, disse, ecco la supplichevole tuai se
tremenda , se insanabile è tonta mia, padre la vendica: non trascurare Ut
figlia tua, in- corsa in mali più gravi della morte. Stupitosi il padre, e con
esso par gli altri , eccitavala a dire chi offesa 1’ a- vesse , e di qual modo.
E colei ripigliava: Le udirai le mie ingiurie ; ma hrevissimamenle o padre: e
solo or tu mi concedi questa grazia che prima te ne chie- do. Convoca gli amici
, e i parenti che puoi , perché da me la odano, da me, non da altri la calamità
che io patii. Quando tavrai conosciuta la terribile, la ver-, gognosa necessità
ch’io sostenni; tu deciderai con essi la vendetta che dei per me fare e per te.
Ma deh / non indugiarmi tu lungamente. Corsi all’ invito sollecito 'e
premurosissimo i più riguardevoli nella casa com’ ella dimandava , narrò loro ,
pigliandolo dalle origini , tutto l’ evento. E qui abbracciandosi ai padre , e
molto lui supplicando, e gli astanti e gl’Iddj, eli patri! lari che solleciti
la scioglie»* sero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve* sti
e, portandosene una piaga sui petto , 6no al cuore se lo internò. Clamore
intanto e gemiti e femmineo tu- multo turbando tutta la casa ^ il padre
avviatosene al corpo la circondava , la richiamava, la curava quasi po- tesse
redimerla dalia ferita : ma colei tra le sue braccia palpitando e spirando Gai.
Parve il caso agli astanti si terribile e si miserando che una fu la voce di
tutti che era mille volte meglio morire per la libertà che patire ingiurie
siffatte dai tiranni. Era tra questi Publio Vale- rio , discendente da uno de’
Sabini venuti con Tazio a Roma , uomo intraprendente e destro. Costai fu da
loro spedito in campo perchè narrasse al marito di Lucrezia r evento , e perchè
ribellassero , uniti , le milizie dal ti- ranno. Uscito appena dalle porte
eccogli per avventura incontro Collatino il quale veniva dall* armata a Roma
ignaro de’ mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giu- nio soprannominato
Bnilò cioè stolido se tal nome ne interpetri con greche maniere. E poiché li
Romani ad- ditano quest’ultimo come principalissimo nell’ abolir la tirannide;
porta il pregio che preaccennisi brevemente chi , di qual sangue egli fosse , e
come sortisse un tal nome . niente a lui consentaneo. Di costui fu padre Marco
Giunio , prove- niente da uno di que’ che menarono con Enea la co- lonia , e
distintissimo per la sua virtù tra’ Romani : fu la madre Tarquinia , figlia di
Tarquinio 1’ antico. Egli ricevè la educazione , e tutta la coltura nazionale ,
nè la indole sua contrariavasi a niun de’ bei pregi. Dappoiché Tarquinio ebbe
ucciso Tullio levò segretamente di mezzo con molti uomini probi anche il padre
di lui non già pe’ delitti , ma per la ingordigia d’ invaderne le ric- chezze
ereditate da pingue , antico patrimonio di fami- glia : levò similmente con
esso il figlio primogenito di lui nel quale appariva non so che di generoso , e
che sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre. Bruto giovinetto
ancora , -e privo in tutto del soccorso de’ parenti si rivolse al mezzo
savissimo di fingersi , stolido divenuto. Dall’ ora in poi , finché non gli
sem- brò di averne il buon tempo , ritenne le apparenze dello stolido ; e se n’
ebbe il soprannome , ma si liberò con questo dalle ire del tiranno , mentre
tanti egregj uomini ne soccombetrano. Tarquinio trascurandone la demenza
apparente e non vera , spogliatolo di tutti i beni paterni , e da- togli un tal
poco pel vitto quotidiano, lo custodi presso di sé, come garzoncello orfano , e
bisognoso di chi lo qurasse , e concedè che oo’ figli suoi conversasse ; nè già
per onorarlo qual congiunto suo , come fingea tra’ pa- renti , ma perchè desse
da ridere a’ propj figli, dicendo costui le mille frivole cose , e facendone le
simili agli stolidi veramente. Anzi quando mandò li due figli Àronte e Tito per
interrogare 1' oracolo di Delfo su la peste ( giacché nel regno suo proruppe
una peste insolita su le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano , e
più terribile ancora e men curabile su le gravide , che morte cadeano col
proprio feto in su le vie ) quando io dico mandò questi per conoscere dal nume
le cause del male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co’ figli che gliel
chiedeano perchè avessero intanto chi beffare e deridere. Giunti all’oracolo i
giovani ed ascoltatolo su la causa ond’ erano inviati porsero sacri doni al nu-
me, e lungamente risero di Bruto che avea consecrato ad Apollo una bacchetta di
legno ; ma colui trapanatala tutta come una fistola aveaci offerto , senza che
ninno ne sapesse , una verga di oro. Poi consultando essi il nume chi mai ,
portavano i destini, che divenisse re di Roma ;-^rispose che il primo che
bacerehhe la madre. E non intendendo i giovani la mente dell’ oracolo concor-
darono di baciare insieme la madre onde regnare in co- mune. Bruto però
penetrato ciocché 1’ oracolo volea significare , non si tosto discese nell’
Italia , prostratosi , ne baciò la terra , giudicando questa la madre di tutti.
£ tali SODO i fatti precedenti di quest’uomo. Come Bruto udi da Valerio i
successi di Lo» eresia e la storia della morte di lei sollevando le mani al
cielo disse: O Giove, o Dei tutti, quanti vegliate su la vita de’ mortali , è
dunque giunto finalmente il tempo per aspettare il quale io contrafeci finora
me stesso ? Fuole dunque il destino che Roma sia da me liberata e per me dalla
insojfribil tirannide ? E ciò dicendo vassene sollecito in casa insieme con
Collatino e Valerio. Entrata la quale, appena Collatino videvi Lucrezia stesa
nel .mezzo, col padre allato, scoppiando in copi ge« miti la slringea , la
baciava, la chiamava , e fra tanta sciagura uscito di mente tenea colla estinta
il discorso, quasi fosse ancor viva. Or essendo lui tutto in pianto, e con esso
il padre a vicenda, e tutta rimbombando la casa di lamenti e di gemiti; Bruto,
rimirandoli disse: O Lucrezio , o Collatino, o voi tutti , parenti di que^ sta
donna, beri avrete altra volta il tempo di piangerla. Ora ( e ciò deesi alla
ingiuria presente ) pensiamo ^ come vendicarla. Egli sembrava dir giusto :
adunque se* dendo soli fra sè , sgombrata immantinente ogni turba dimestica ,
esaminarono ciò ch’era da fare. Bruto comin- ciando il primo a dire sopra
sestesso che la sua demenza non fu vera , qual parve a molti , ma simulata ; e
sve- laudo le cause per le quali diedesi a fingerla , e giu- dicatone savbsimo
infra tutti ; alfine , allegatene molte , ed acconcio ragioni , animò tutti al
parer suo di cac- (t) Plinio sul fine del libro XV. scrive che Bruto baciò la
terra di Delia , a non dall* Italia. dare Tarquinio e li figli da Roma. E
vedmili ornai tatti consentanei, disse Che non era pià tempo di parole e
promesse, ma di opere; e che egli imprenderebbela il primo se cosa alcuna fosse
da imprendere. Ciò di- cendo , e stringendo il pugnale con cui la donna fini
sestessa , e venuto al cadavere di lei , che giaceva an- cora spettacolo
compassionevole a tutti , giurò su Marte, e su gli altri Dei Che farebbe tutto
, quanto potea , per abbattere la tirannide di Tarquinio , che non pià si
riconcilierebbe co' lii'anni , nè permetterebbe che altri si riconciliasse con
essi: ma terrebbe per nimico, chiunque non volesse fare altrettanto ; e
perseguite-^ rebbe fino alla morte la tirannide e li partigiani di essa. Che se
mancava a quel giuramento , imprecava per sè e pe’ figli un termine della vita
, quale il ter- mine fu della donna. Ciò detto invitò pur gli altri a simile
giura- mento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi a mano a mano
il pfignale giurarono , ed investigarono poi qual fosse la maniera di dar
principio all’ impresa. Bruto cosi consigliò : Primieramente poniam le guardie
alle porte , perchè Tarquinio non penetri niente di ciò che in Roma si dice o
si opera contro la tirannide , innanzi che noi siamo ben preparati. Quindi
portando il cadavere della donna , lordo comi è di sangue , nel Foro, ed
esponendovelo, chiamiamovi a parlemento il popolo. E quando siavisi congregalo,
quando ne vedremo già piena ( adunanza; allora Lucrezio e Collatino pre-
sentandosi narrino H orribile caso , e deplorino la loro sciagura ; poi
qualunque altro facciasi innanzi ed oc- f)3 ousi la ^tirannide , e provochi li
cittadini a liberarsene. Oh! come avran caro di veder noi patrizj insorgere i
primi perla libertà. Stanchi del Tiranno , e de’ molti e terribili mali che ne
han sofferto , non abbisognano die St un primo impulso appena. Quando vedremo
la moltitudine in furia per togliere la monarchia ; far- remo c^ risolva co'
voti, che Tarquinio non dee più regnare su Roma , e solleciti ne spediremo il
decreto in campo all' esercita- Ivi quando coloro che han tarmi conosceranno che
tutta si è la città ribellata da Tar- quinio , infiammeransi per la libertà
della patria , in- sensibili a tutti i doni del tiranno , essi che non più
reggono agli affronti de' f gli , e degli adulatori del perfido. Or avendo lui
cosi detto soggiunse Valerio: Tu mi sembri o Giunio che abbi giustamente
parlato su le altre cose ; ma quanto ai comizj vorrei da te sor pere chi li
potrà convocare legittimamente, e chi dare alle curie i voti; essendo questo
offizio de' magistrati, e niun di noi trovandosi magistrato. Ripigliando allora
Giunio : o Valerio, io, gridò, sono tale; imperocché sono il tribuno de Celeri
, e per legge mi è dato d inti- mare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava
tal massimo incoi ico , a me come stolido , e che appresa non ne avrei la
potenza , o che se appresa V avessi , non saprei prevalermene. Ma io mi son
quegli che il primo arringherò contro del tiranno. Detto ciò lo applaudivano
tutti come lui che prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo
pressavano a dirne anche il seguito ; ed egli disse : E poiché ci piace far
questo , vediamo ancora qual ma- Digitized by Google J)4 delle antichità* romane
gistrato , e da chi mai crealo, debba reggerci dopo Ut espulsione dei re : anzi
vediamo qual Jorma daremo allo Stato f liberi dalla tirannide ; imperciocché
prima ài accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de» liberata ogni
cosa , anzi che se ne lasci alcuna non discussa , né premeditata. Ora dica
ciascuri di voi su tali cose ciocché ne pensa. Dopo ciò si tennero molti
discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da tutti i re precedenti ,
amava che si riordinasse la regia dominazione; e chi ricordando le tiranniche
ingiustizie di altri e di Tarquinio finalmente su’ proprj cittadini , non
voleva il Comune sotto di un solo , ma che piuttosto arbitro se ne dichiarasse
il Senato come in molte delle greche città : varj però non anteponeano nè 1’
uno né r altro , ma consigliavano che si fondasse un governo popolare , conne
in Atene , esponendo le ingiurie , le . avanìe de’ pochi ^ e le sedizioni de’
miseri contro de’ po- tenti, e dichiarando che in città libera il comando più
sicuro e più degno è quello delle leggi , eguali per tutti. Ma sembrando a
tutti malagevole ed arduo il giudizio su la scelta pe’ mali che sieguono da
ogni governo ; alfine Bruto , ripigliando disse : O Lucrezio, o Collatino , o
voi tutti , quanti qui siete , uomini buoni , e JigU ancora di buoni-, io
quanto a me non penso che noi dobbiam di presente dar nuova forma allo Stato.
Troppo é picciolo il tempo a cui siamo ri- dotti, perché ci sia facile
staBilirvela armoniosa ; lu- brico altronde , e pericoloso , é tentar di
cambiarvela, quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto. Quando ci
saremo levati dallà tirannide , allora po- trem finalmente , consultandoci con
più agio e più feria , trascegliere il governo migliore a fronte de' menò buoni
j seppur avvene uno migliore di guei'^ che 7?o- molo e Numa e gli altri re
successivi stabilirono e ci "lasciarono , donde la città ne crebbe e ne
prosperò , signora fin qui di più popoli. Solamente vi esorto che si emendino ,
e che provvedasi ora che più non v ab- biano i mali terribili solili prorompere
dalle monar- chie , pe’ quali si mutano in tirannidi crude , e pe' quali tutti
le abborrono. Ma quali son queste provvidenze ? Primieramente giacché molti
attendono ai nomi , è secondo i nomi vanno al male o fuggono t utile ; e
siccome è succeduto che ora molto attendasi a quello di monarchia; vi consiglio
che il nome cangiate del governo , fe che da ora in poi quelli che vi comandano
non più re li chiamiate , non più monarchi, ma con appellazione più discreta ed
umana : poi , che non più rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa , ma fidiate
a due la potenza dei re, come odo che i Lacedemoni fanno da molte generazioni,
e che perciò ne hanno più di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso
il comando in due , e l’ uno potendo appunto quanto F altro ; meno acconci
saranno a violarci , e meno ad opprimerci: anzi da tale egualità dee seguirne
princi- palmente la verecondia, il ritegno vicendevole dell’uno per F altro ,
sicché noti si sfrenino , ed una viva gara per la fama della giustizia. E
poiché molti sono li regii distintivi , io giudico che y impiccioliscano o
tolgano quelli che àddolorano a rimirarli o sdegnano il popolo , io dico gli
scettri , dico le corone di oro ^ e le clamidi eli oro intessute e di porpora,
se non forse si asswnono ne' giorni festivi e ne’ trionfali per magnificare g/i
Jddj ; mentre usate di raro non offendono. In oppo- sito penso che si conservi
a questi uomini la sedir curule ove siedono rendendo ragione , e la veste can-
dida cinta intorno di porpora , e li dodici fasci che il venir loro precedano.
Oltracciò perchè quelli che prendono il comando non molto ne abusino, io penso
utilissima e principalissima cosa , che non lascinsì comandare tutta la vita.
Imperciocché riesce a tutd grave un comando ind^nito , uft comando che non pià
dia di sè ragione ; e di qua vien la tirannide. Ma si limiti come tra gli Ateniesi
f autorità del co- mando ad un anno. Quel- comandare a vicenda e quell' essere
comandato , quel deporre il pMere prima che il pensar vi si guasti , preoccupa
le indoli vane, nè lascia che vi / inebbrino. Se .così stabiliamo , go- deremo
i beni che sono il frutto di una regia domi- nazione , e schiveremo i mali che
né conseguitano. E perchè il nome regio , consueto già tra' nostri avi , ed
introdotto in questa città co t gli augurj propizj degl Jddj che lo favorivano
, ti custodisca , almeno per tale riguardo ; si faccia continuamente , a vita ,
ed onorisi un re del Culto ^ un che libero dalle cure militari in questo solo
si occupi e non in altro, cioè che abbia , quasi re ne fosse , l’ arbitrio
sovrano de’ sacrifizj. Ora udite come fia ciascuna di queste cose. ’ Io , poiché dalle leggi mi si concede , io
raccoglierò, come diceva, l’adunanza del popolo, e riesporrò la mia mente di
bandire Tarquinia colla moglie e coi figli da Roma e suo territorio ,
escludendoneli per sempre essi e la lor discendenza. Quando avran ciò stabilito
co’ voti , io dichiarando allora il governo che pensiamo fondare, eleggerò V
interré, il qual nomini quelli che prendano le redini della repubblica. Quindi
io deporrò la prefettura dei Celeri; e V interré da me creato , proporrà gl’
idonei all’ annua preminenza , rimettendoli al voto de’ cittadini : e se il pià
delle centurie ne tien buona la proposta , se propizj gli oracoli la
favoriscono , assumano i fasci e le insegne del potere sovrano , e provvedano
che libera abitiamo la patria , nè pià li Tarquinj vi ritornino. Imperoc- ché
questi , abbiatelo per certo , se non invigiliamo su loro , tenteranno colla
persuasiva , colla forza , coll’ inganno , per ogni via finalmente , rimettersi
nell impero. Queste sono le somme , le principalis- sime cose, che io dir posso
e raccomandar di pre- sente. Quelli poi che avranno il comando devono , come io
giudico , esaminare una per una , le cose particolari, giacché troppe, nè
facili a discutersi pie- namente ; e noi siamo stretti dal tempo: anzi'deono,
come usavano i re ponderarle col corpo del Senato , non concludendone alcuna
senza noi ; e quando siano approvate dal Senato , rapportarle , come f accasi
tra i nostri maggiori , al popolo non levandogli niun diritto di quanti s’ avea
nel principio. Così le sue magistrature saranno sicurissime e bellissime.
DIOSIGI, tomo ir, - Digilized by Google DELLE antichità’ ROMÀNE LXXVI.
Proferendo Giunio Bruto tal suo parere tutti lo commendanino ; e datisi ben
tosto a consultare, de- cisero che si nominasse interré Spurio Lucrezio il
padre di colei che uccise sestessa: e che da lui si scegliessero per avere il
potere dei re Lucio Giunio Bruto , e Lu- cio Tarqninio Collatino. Stabiliscono
che tali sopra- stanti nell’ idioma loro si chiamassero Consoli , vnol dire consiglieri
o capi del ronsiglio , interpetrando in greco tal nome , giacché i Romani
ciocché noi simbou- las diremmo chiaman consiglio. Coi volgere però del tempo i
consoli furono per l’ ampiezza del potere chia- mati Ypati dalia Grecia ,
comandando essi a tutti e t^ neodo.il più sublime de* gradi; e chiamandosi da’
nostri antichi Ipaton quanto sopralzasi, e maggioreggia. Dopo tali consulte e
tali istituzioni supplicarono co’ voti gli Iddj che fossero propizj ad essi
.intenti ad opera si giu non colla sepoltura a norma delle leggi : e Tarquinia
la donna di que- sto ch’egli dovea venerare qual . madre , come sorella del
padre, Tarquinia già tanto .sollecita in suo bene, % egli la strangolava , sì,
questa misera , innanzi che prendesse il lutto , e che rendesse in su la tomba
al marito gli ultimi onori. Così contraccambiava quelli da quali fa salvo , da
quali fu nudrito , ed. a quali avrebbe pur succeduto sol che avesse un poco
aspet- tato finché venisse loro naturalmente^ la morte. Ma perchè più, su
questo riprendolo , quan- do , oltre i delitti contro de’ consan^inei e de’
suo- ceri , ho pur da accusarne le tante prevaricazioni contro la patria , e
contro noi tutti , se prevarica- zioni son queste , e non sovversioni e rovine
di ogni costume e di ogni legge. E per comiiKiare subito ^dal regno , come lo
prese egli questo ? forse come i re precedenti? ma quando mai? molto nè egli
lontano. Imperocché quei tutti furono da voi portati al trono secondo i patrj
costumi e le leggi , prima col decreto del ' Senato che è il capo di ogni
pubblica delibera- zione , poi degl’ interré scelti ed incaricati dal Senato per
nominare il pià idoneo al comando f e co’ voti dati ne' comizj dal popolo , da
cui , la legge vuole , che si ratifichi ogni cosa più rilevante , e finalmente
cogli augurj f colle vittime , e con altri segni propizj senza i quali niente
giovano i maneggi e le previ- denze degli uomini. Or dite , qual di voi mai
vide una parte almeno fatta di ciò quando Tarquinio prese il comando ? qual
vide decreto preliminare del Senato? quale scelta degl’ interré? quali
suffiragj del popolo ? per non dire dov è tutto questo ? quantun- que se egli
voleva il regno lecitamente , non dovea parte ninna pretermettersi di quanto
chiedesi dalle leggi. Certo se alcuno può dimostrarmene fatta pur una di queste
cose , più non vo’ che si brontoli su le altre che si tralasciarono. Come
dunque egli si spinse al trono ? colle arme , come i tiranni , colla violenza ,
colla congiura degli scellerati, noi riprovan- dolo , e dolendocene, E fattosi
re , comunque ciò fosse , la sosteneva egli V autoràà tua regalmente ? Emulava
i suoi predecessori i quali co’ detti e co’ fatti costanti così ressero, che
lasciarono a’ posteri la città più felice e più grande che presa non V avessero
? Chi , se pure è sano di mente , chi potrà mai dir ciò , vedendo quanto
miseramente e scelleratamente siamo stati da lui malmenati. Tacio le sciagure
di noi senatori, le quali, pur un nemico , udendole , ne piangerebbe , e come
siam pochi rimasi di molti , come rendati abbietti di granài , e come venuti a
disagio e stento , cadendo dai tanti e sì ampj beni. Que’ grati j que’ potenti ,.
Io3 que cospicui uomini , po' quali questa nostra città era un tempo magnifica
, quelli perirono , o fuggono la patria. E le vostre cose y o popolo , come
stan esse ? Non ha tolto . a voi le leggi ? non i concorsi soliti per le feste
e pe’ sacrifizj ? Non ha fatto ces- sare i comkj , i suffragj , e le adunanze
tutte su le pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati, ai
vilipendi di tagliare , di portare pietre ed arbori , di logorarvi tra gli
antri e i baratri senza requie mai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran
fine mai tali strazj ? fino a quando li starem soppor- tando ? Quando la patria
libertà vendicheremo ? .. . Al morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sarà
allora pià facile ? E perchè non piuttosto assai meno ? se per un Tarquinio ne
avrem tre molto pià scellerati? Se chi di privato è divenuto monarca, se chi
tardi ha cominciato a nuocere, ha percorsa tutta la mal- vagità de’ tiranni ,
quali , pensate , esser debbono i discendenti da lui , scellerati di stirpe ,
scellerati di educazione , che mai non poterono vedere nè appren- dere in città
misure politiche di moderazione ? E per- chè non per congetture , ma
intimamente conosciate la perversità loro , e quai cani latratori alleva contro
voi la tirannide di Tarquinio ; specchiatevi in un a- zione sola del
primogenito. E questa la figlia di Spurio Lucrezio , lasciato prffetto in Roma
dal Tiranno nelP andare alla guerra , e moglie insieme di Tarquinio Colla- Uno
, del consanguineo de’ tiranni che pur tanto ha da loro sopportato. Or questa
per serbarsi pudica. e tutta agli amori del suo marito , come fanno le virtuose
, avendo Sesto qual parente preso ospizio appo lei , mentre Collatino era lungi
nelt armata , non potè schivare nella passata notte le onte. sfre- nate della
tirannide; ma violentata come una schù^va sostenne ciocché libera donna non
dee. Pertanto esa- cerbatane , e presa la ingiuria per insoffribile , dopo che
ebbe narrato al padre e a congiunti le vicende ree che la desolarono , dopo che
ebbe pregato e scon- giurato che la vendicassero per tanti mali; alfine traendo
il pugnale che celava nel seno , profondos- selo, e vedendola il padre j o
Romani, nelle viscere. O tu certo mirabile , o tu di encomj degnissima per la
nobile ' risoluzione ! t’ involasti, moristi non reg- gendo agli obbrobri del
tiranno , e ■■ ricusasti le dol- cezze tutte del vivere perchè simile calamità
non ti avvenisse. Avrai tu dunque o Lucrezia nella tua fem- minil condizione K
avuto il. cuore de’ valentuomini , e noi , uomini - nati , noi saremo in viltà
men che le femmine ? Tu perchè predata a forza del fiore im- macolato della tua
pudicizia , avrai tu reputato la morte pià dolce e pià beata della vita; e noi
non avrem pur nell’ animo , che Tarquinio non da una notte , ma già da
venticinque anni ci opprime , e ci ha colla libertà levato gli agi tutti del
vivere ? No ; pià non dobbiamo , o Romani , noi vivere avvolgen- doci in tanti
pericoli , noi che discendenti siamo di que bravi , che vollero fondare i
diritti fin per gli altri, e lanciaronsi a tanti .pericoli per la sovranità e
la gloria : ma V una delle due si dee scegliere o libera vita, o morte onorata.
È pur venuto il tempo che bramavamo ; perchè lungi è il tiranno dalla città, e
perchè duci sono della impresa i patrizj , e perchè se con animo pronto ci
facciamo ad imprendere , non abbisogniamo di cosa niuna non di uomini , non di
danari , non di arme , non di capitani , non di altro apparecchio militare ;
essendone Roma pienissima. Siaci pure una volta vergognà che noi che cerchiamo
signoreggiare i Volsci , i Sabini , ed altri moltissimi^ noi stiamo • ad altri
servendo , e che mentre tante guerre imprendiamo per in^andire Tarquinio ,
niuna per la nostra liberuì ne facciamo.Ma di quali incora^menti ci varrem per
la impresa , di quai leghe ? È questo che rima- nenti a dire. Primieramente c
incoraggiremo su la speranza negl’ Iddj de’ quali Tarquinio viola le sante cose
, i templi , gli altari , libando e sacrificando con mani lorde di sangue, e di
ogni scelleraggine contró de cittadini; appresso c incoraggiremo su la speranza
che abbiam su noi stessi che nè pochi siamo , nè inesperti di gierra ; e
finalmente sul rinforzo di que- gli alleati i quali non ardiranno far novità se
noi non ve 'gV invitiamo ; ma se vedono che noi il valor nostro raccendiamo ,
lietissimi ci si uniran per com- battere ; nemico essendo della tirannide
chiunque vuole esser libero. Che se alcuno di voi teme quei cittadini che in
campo si porran con Tarquinio per militare con esso contro noi ;• non bene teme
costui. Anche ad essi è grave la tirannide , ed ingènito in tutti è V amore
della libertà : ed ogni occasione di mutamento basta a chi è misero
necessariamente. Che se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la pa-
tria , non timore li riterrà co’ tiranni , non grazia , e non cosa ninna la
quale sforzi o persuada , a mal fare. E se in alcuni si è per la ria natura , e
la trista educazione abbarbicato V amor dei tiranni ; ri- durremo ancor essi ,
che molti non sono , con insu- perabile necessità sicché utili ci divengano i
malevoli ; perciocché teniamo in città quali ostaggi i loro figli , le mogli ,
i parenti , pegni carissimi che ognuno pre- gia più che la vita. Or se noi
prometteremo di ren- dere questi , se decreteremo per essi la impunità quando
distacchinsi dal tìrannno ; di leggeri li per- suaderemo. Cosicché fatevi cuore
o Romani , concepite belle speranze per V avvenire , uscite per una guerra,
certo la più gloriosa di quante mai ne imprendeste. Si , palrj Dei , propizj
curatori di questa terra , sì Genj , tutelari già de nostri padri, sì, città
caris- sima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e cresciamo , sì noi vi
difenderemo co’ pensieri, colle parole , colle opere , colla vita ; pronti a
tutto sof- frire , quanto la fortuna porti ed il fato. Presagi- scorni che alla
impresa buona seguirà fine bonissinto. Possano quanti confidano , quanti decidonsi
come noi, voi salvare ed essere da voi salvati parimente. Mentre Bruto aringava
, faceansi ad ogni suo detto acclamazioni dal popolo in signiBcazione , che
esso appunto cosi voleva, e comandava. Ed i più sen- tendo quel parlare
maraviglioso ed inaspettato lagrima- vano per tenerezza. Inondavano passioni
varie nè punto 1 07 amSi ogni petto: e dove il rancore, dove la gioja trion-
favano , là pe’ mali già sostenuti , qua pe’ beni che si aspettavano. Dove era
audacia , dove timidità , quella che incitava a non curar sicurezsa contro i
subjetti , odiati perchè intenti a far male ; e T altra che oppo» neasi agl’
impeti delia prima , perchè vedea non facile la rovina della tirannide. Ma non
sì tosto colui cessò dal parlare ; tutti , quasi con una bocca , ad una voce
esclamarono, che guidassegli alle arme. E Bruto dilet- tatone , sì , disse , ma
quando prima avrete udito , e confermata co’ voti vostri i decreti del Senato.
E noi decretiamo CHS i TAsqvatj s tutta la consangvu HIT a' loro svogano ROMA E
QUANTO È Ds' ROMAICI : CBS NIUNO FOSSA DIRE O BRIGARE SUL RITORNO DEI tiranni;
e se contravviene; si" uccida. Or se volete che un tal parere si adotti ;
compartitevi in curie , e datene i voti. Questo incominci per voi li diritti
della' vostra libertà. Disse ; e cosi fu hitto : e poiché tutte le Curie ebbero
decretato 1’ esilio del ti- ranno ; Bruto fattosi innanzi , ripigliò : Giacché
avete voi ratificato quanto deesi , le prime cose ; ascoltate U resto che
abbiam deliberata su lo Stata. Esami- nando noi qual magistrata esser dee V
arbitro del comando , ci è piaciuto , non già di rinnovare il co- mando di un
solo , ma di creare ogm anno due capi con regio potere , che voi stessi
eleggerete ne’ comizj, votandovi per centurie. Or se volete anche ciò ; da-
tene il voto. Il popolo lodò questo ugualmente; nè vi fu pur un voto contrario.
Quindi ripresentatosi Bruto , nominò Spurio Lucrezio per interré , perchè
secondo le patrie leggi prendesse cura de’comisj. Costui sciogliendo ' r
adunanza , ordinò che tutti subito si recassero in arme al campo , dove solcano
tenere i comizj. Recativisi ; scelse due Bruto e Gollatino che facessero quanto
fa- cevano i re. Ed il 'popolo chiamato per centurie con» fermò la magistratura
a que’ due. Tali sono le cose ai» lora fatte in città. Tarqninio come udì da
messaggeri sottrat» tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne
chiudessero , che Bruto (perché narravano questo solo) fattosi capo-popolo ,
aringava i cittadini , e suscitavali a rendersi liberi , parti senza dirne le
cause , prendendo se^o i figli , ed altri più fidi , e correndo a briglie
sciolte onde prevenire la ribellione. Ma trovando chiuse le porte , e piene le
mura di arme , tornossene , quanto potè , veloce nel campo affligendosi e
lagrimando : se non che già le sue cose erano qui pure in iscompigUo.
Imperocché li consoli antivedendo la sollecita venuta di lui verso Roma aveano
per altra via spedito all’armata, invitandola a togliersi dal tiranno , ed
annunziandole i decreti di quei della città. Or Tito Erminio e Marco Orazio
lasciati dal tiranno nel campo prendendo quelle lettere le recitarono nell’
adunanza : e dimandando via via per centurie ciò che era da fare , e piaciuto a
tutti che si ratificassero le deliberazioni della città ; più non riceverono
Tarquinio che tornavasi a loro. E caduto pur da questa speranza fuggisseue con
pochi alla città di Gabio f della quale , come ho detto di sopra , avea creato
monarca , Sesto il suo primogenito. Esso già ca- nuto per anni avea tenuto per
cinque lustri il comando. Digilized by Google LIBRO IV, 1 09 Erminio ed Orazio
, concbiusa una tregua di quindici anni cogli ÀrdeatinI , ricondussero in
patria le milizie. Per tali cause e da tali uomini fu tolta in Roma la regia
dominazione, conservatavisi per dugcnto quaranla- quattr’ anni dalla sua
fondazione , e divenuta in fine tirannide sotto 1’ ultimo re. DELLE ANTICHITÀ
ROMANE O I DIONIGI ALICARNASSEO OloMSERVATASl in Roma la regia dominazione per
dugento quarantaquatlr anni e cangiatavisi poscia in ti- rannide sotto r ultimo
re fa per le cagioni anzidette abolita da tali uomini (i) sul principio della
olimpiade sessagesima ottava , nella quale Iscomaco da Crotone vinse allo
stadio , mentre Isagora esercitava in Atene r aunuo magistrato. Ed istituitasi
la signoria de’ pochi , mancando quattro mesi al compiersi di quell’anno , as-
sunsero i primi il comando supremo , Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquioio Collatino
col nome di consoli, (i) Anni 345 fecondo Catone e i 47 'ecjndo Varrone dalla
fonda- ilone di Roìna , e So; avanli Cristo] cosi chiamandosi da* Romani, come
già dissi, nel patrio idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a sè
gli altri che numerosi tornavano dal campo in città dopo conchiosa la tregua
con gli Àrdeatini ; e pochi giorni appresso la espulsione del Tiranno
convocando il popolo a parlamento , e ragionando copiosamente su la concor* dia
; fecero di bel nuovo decretare co’ voti , come già quelli che erano in Roma lo
avevano decretato , bando perpetuo ai Tarquinj. Dopo ciò puri6cando la città ,
fattone sacrifizio ; essi i primi , stando intorno le vitti- me , giurarono , e
ccndussero pur gli altri a giurare , che mai più dal bando richiamerebbero il
re Tarquinio, nè la prole di lui , nè i figli de’ figli : anzi che non più
iarebbono re ninno in Roma , nè tollererebbono chi far cel volesse. Cosi
giurarono su’ Tarquinj , su* figli, e su la prosapia loro. E , couciossiachè
pareano i re , stati autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deli-
beratisi a conservare il nome almeno di tal signoria , finché Roma durava,
comandarono ai pontefici ed agli auguri di eleggere il più idoneo tra’seniori,
perchè tolto da tutte le cure , se non dalle religiose , presedesse in sul
culto, e Me si chiamasse non delle politiche, non delle militari , . ma delle
sante cose. Per tanto fu delle sante cose nominato re per il primo Manio
Papirio , uomo patrizio e dedito alla dolce calma (i). II. Stabilito ciò ,
temendo , io credo , che non si ge- nerasse negli altri sui nuovo governo la
idea non vera, che in luogo di uno dominavano due re la città mentre Secondo
Feslo il primo re tacriJieuUu , fa Sicinnio Beliulo , ed in cfò discorda da
Dionigi e da Livio. Ir uno e 1’ altro de’ consoli avca come un tempo i re le
dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal concetto, e sce- mare la invidia del
comando, e fecero cbe l’uno de’con- soli portasse dodici scuri , e F altro
dodici littori colle verghe coronate solamente (i) come narrano alcuni: tal-
ché le scuri le assumesse e recasse ora l’uno ora F altro vi- cendevolmente per
un mese intiero. Animarono con que- sto F umile plebe a conservar quel governo
; e con simili cose non poche. Imperocché rinnovarono tutte le leggi scritte da
Tullio su’ contratti ; le quali si tenean per umane e popolari , e Tarquinio
aveale tutte soppresse : e comandarono che si facessero come a’ tempi di
Tullio, i sagriGzj che in città si faceaiio o nella campagna , riu- iiendovisi
que’ di Roma e de’ villaggi. Concederono che il popolo si radunasse per le cose
più rilevanti , e desse il voto , e ripigliasse a voler suo gli usi primitivi.
Pia- ceano tali cose alla moltitudine ravvivatasi dal servir lungo a libertà
non aspettata. Nondimeno ci ebbero al- quanti i quali desiderosi de’ mali della
tirannide per de- menza o per avarizia congiurarono di tradire la patria e
richiamarvi i Tarquinj , trucidandone i consoli : ed io dirò quali ne fossero i
capi, e come im provvedutamente scoperti , mentre credeansi occulti a- tutti,
ma riassumerò le cose alquanto più addietro. III. Caduto Tarquinio dal trono ,
si tenne per un tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a (i) Il lesto
non è ben fìsso : e fotse dee leggersi verghe curve o grosse nella lesta. Il
codice Valicano avendola voce xafvtat e noa xtfà/tttt favorisce la idea di
verghe grosse in testa. Silburgio pro- pende per le verghe ricurve iu cima lui
ne venivano amici della tirannide pià che delia li- bertà , e confortandovisi
in su le speranze de’ Latini , quasi potessero questi ricondurlo alla reggia.
Ma poscia che le città non io ascoltavano nè voleano per lui fare una guerra ai
Romani ; disperandone alfìne il soccorso fuggissene a Tarquinj città Tirrena ,
donde era la ma- terna origine sua. E cattivandosi que’ cittadini co’ doni , e
prodotto da essi in piena adunanza , rinnovò 1’ antica congiunzione con loro, e
commemorò li benefizj deU r aiuolo suo con tutte le città Tirrene , e gli
accordi che avean fatto con lui. Poi si lamentò con tutti della sciagura che
avealo preso , e come travolto in un sol giorno da lietissima condizione , ora
profugo con tre 6gli e bisognoso fin del necessario , era costretto ricór- rere
a popoli , un tempo, sudditi suoi. Scorrendo su tali cose pateticamente e con
molte lagrime, indusse il* popolo a spedire il primo a Roma uomini che portas»
sero parole di pace per lui , quasi i potenti ivi fossero per favorirlo, ed ajutarlo*
al ritorno. Nominati quelli eh’ egli volle per ambasciadori , ed istruitili
delie cose che erano da dire e da fare gli spedi con alquanto di oro e con
lettere de’ fuorusciti con esso dirette con preghiere agli amici e domestici
loro. IV. Venuti questi a Roma dissero hi Senato : che chiedea Tarquinia la
franchigia di venire con pochi prima in Senato, e poi, quando ciò fossegli
conce-- duto dal Senato , nell adunanza del popolo per darvi conto delle opere
sue fin dai principj del regno , falline giudici tutti i Romani , se alcuno mai
lo accusasse. Che se appien si giustifica, se persuade che egli non ha colpe
degne dell esilio ; allora se gUel concedano , regnerà novamente con que'
limiti che gli prescriveranno : se poi decreteranno di non voler più. come per
l’ addietro la sovranità dei re , ma di fon-^ darne un altra qualunque , egli
uniformandovisi al pari degli altri reslerassene colla sua famiglia in Ro- ma,
sua patria, libero almeno della vita degli erranti, e de' profughi. E ciò detto
supplicavano il Senato pei comuni diritti che vogliono che niun si condanni
senza discolpe e giudizj , a concedere una difesa della quale essi
giudicherebbero. Che se ciò non volevano a lui concedere , fossero compiacevoli
almeno in vista della città la quale s' intrametteva. Compiacendola , tutto-
ché senza discapito loro , assai onorerebbero la città che ciò conseguiva.
Uomini essendo , non si elevassero sopra la sorte degli uomini: nè serbassero
immortali sdegni in cuori mortali : ma in grazia degt inter- cessori si
sforzassero anche contro lor voglia di usare mansuetudine ; considerando eh'
egli è da savio con- donare le inimicizie per le amicizie ; ma da stello e da
barbaro volgere in nemici gli amici. V. Aveano ciò detto , quando Bruto
sorgendo re- plicò : Sul ritorno de' Tarquinj in Roma cessate o Tirreni di più
ragionarne. Imperciocché già si è qui J volato irreparabilmente per l'esilio
loro: ed abbiamo tutti ^giurato agC Iddj di non restituire i tiranni, e di non
tollerare che altri ce li restituisse. Ma se chie- deste con altra moderazione
a cui nè le leggi nè li giuramenti si oppongono', manifestatevi. Or qui faitùi
innanzi gli ambasciadoi’i soggiunsero : Terminale ci sono contro la
espettazione le prime dimandet am- basciadori per uno che si raccomanda , per
uno che vuole dare a voi conto di sè stesso , abbiamo chiesto qual grazia
ciocch’ era diritto per lutti : nè potemmo ottenerlo. Ora poiché ve n è parato
così ; non più vi presseremo sul tornar de' Tarquinj. J\oi facciamo istanza per
un altro diritto di cui la patria c incari- cava , e su cui non legge , non
giuramento impedi- scavi, cioè che rendiate al monarca i beni clm [ avolo suo
possedeva senza toglierli a voi nè di forza nè in occulto , ma portati qui
avendoli , come ereditati dal padre. A lui basterà , se lo ricupera, il suo,
per vi- vere altrove Jelicemente, senza vostra molestia. Riti- raroDsi ciò detto
gli ambasciadorì. Bruto T uno de’ con- soli suggeriva che si ritenesser que'
beni in compenso delle ingiustizie sì gravi e sì numerose dei tiranni contra
del pubblico , e per util di Stato : perchè non si dessero ad essi de mezzi co’
quali far guerra ; preammonendo, che nè si affezionerebbero ad essi i Tarquinj
col riavere i lor beni nè sosterrebbero una vita privata , ma porterebbero su
Romani le arme di altri popoli , e tenterebbero di tornare colla forza al
comando. Collatino però consigliava il contrario , di- cendo che non gli averi
, ma le persone dei tiranni noceano la città. Pertanto scongiuravali a
guardarsi prima dalC incorrere nella rea fama di avere espulso i Tarquinj per
invaderne i beni , e poi dal porgere ad essi cosi spogliandoli , giusta occasione
di guerra : dicea che non era chiaro , che ricuperando i beni si accingerebbe^
ancora ad una guerra con essi , lad- dove era ben manifesto , che non
ricuperandoli f rion si cheterebbero. VI. Cosi dicendo i consoli ; e molti
sentendola col- r uno e coir altro ; il Senato dubitò come avesse a ri-
solvere. E ripigliandone per più giorni l’ esame , e pa- rendogli che Bruto
consigliasse il più utile , ma Colla- tino il più giusto ; in ultimo deliberò
che giudice ne fosse il popolo. Or qui dette essendo più cosedairnno> e
dall’ altro de’ consoli , e venendo alBne le curie , che eran trenta di numero
, ai voli , preponderarono le une alle altre con si piccini divario che quelle
le quali in- timavano che si rendessero i beni superarono di uà sol voto le
altre le quali voleano che si ritenessero. I Tirreni avuta la risposta dai consoli
: e molto lodando' la città che anteponesse all’ utile il giusto ; spedirono a
Tarquinio perchè mandasse chi ricevesse i beni di lui ; frattanto essi
resiavansi a Roma sul titolo del trasporto de’ mobili, o di dar sesto a ciò che
non potessi menar via j nè carreggiare : ma in realtà spiando e brigandovi,
come il tiranno aveali incaricali. Perocché ricapitarono' le lettere de’
profughi agli attinenti loro ; pigliandone le altre di replica. E conversando ,
e studiando le affe- zioni di molti , se ne trovavano alcuni facili ad essere
guadagnati per la poca fermezza , per la inopia , o pel desiderio di 'empiersi
nella tirannide, davansi a subor- narli coir oro e con ampliarne le belle
speranze. Vi sarebbero secondo le apparenze in città si grande e si popolata,
alquanti non degl’ infimi solo ma de’riguar- devoli i quali anteporrebbono il
governo men buono al migliore 'y or furono tra questi i due Giunj Tito e Ti>
berio , figli di Bruto il console , puberi appena, e con essi i due Geli] (i)
Marco e Manio fratelli della moglie di Bruto , idonei a’ pubblici affari :
Lucio e Marco Aquìlio, figli ambedue della sorella di Collatino, altro consolo
, e conformi di anni al figli di Bruto , presso a’ quali , non più vivendo il
lor padre , per lo più si adunavano e ctmcertavano sul ritorno de’ tiranni.
VII. Tra le molte cose , per le quali a me sembra che Roma giugnesse per la
provvidenza de’nnmi a stato si prospero , non sono le infime quelle che
avvennero allora. Imperocché si mise in que’ sciaurati tanta de- .menza , e
tanta cecità , che osarono fino scrivere al tiranno di propria mano lettere che
indicavano il nu- mero copioso de’ congiurati ed il tempo nel quale as-
salirebbero r uno e r altro console , lusingati dalle epi- stole del perfido ad
essi per le quali volea sapere i .compensi che avrebbe a dare, tornando in
trono , al Romani. Ebbero i consoli queste lettere per tale in- contro. Eransi
i prlmarj de’ complici riuniti in casa, degli Aquilj nati dalla sorella di
Collatino , invitativi come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordi-
nando che quei che lo aveano ministrato uscissero e si • tenessero nell’ anticamera;
confabulavano infra loro su • la rintegrazione del tiranno , e segnavano
ciascuno , i .mezzi che glien parevano di mano propria in lettere che gli
Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tir- reni, e questi a Tarquinio.
Intanto uno schiavo (Vin- (i) Sigonio ne* scogtj LÌTiani pone Vitel^ in luogo
di Gellj se- guendo le antoriià di Livio e di Plnisrco. dicio ne era il nome )
della città di Genina , il quale fervito gli avea di bevanda, sospettando dalla
remoaione de’ servi che coloro macchinassero qualche scelleraggine, si stette
solo fuori della porta , ed applicatovisi in una fessura ben lucida , ne udì li
discorsi , e ne vide le lettere che vi si scrivevan da ognuno. Quindi a notte
avanzala uscendo come in servigio de’ padroni , non ardi di andare ai consoli
sol timore che volessero per r amor de’ congiunti che il fatto si occultasse ,
e ' levas~ sero di mezzo chi porgea la dinunzia : ma recatosi a Pubblio Valerio
l’ uno de’ quattro , primarj nel tor la tirannide y congiunsero a vicenda la
destra , e giuratagli da lui sicurezza , gli svelò quanto odi , e quanto vide.
Colui , saputo il fatto , si presentò • senza indugio su r alba in casa degli
Aquilj con valida schiera di clienti e di amici , e penetrandone senza
«>ntesa le porte co- me per tutt’aliro affare , s’impadronl delle lettere
men- tre pur v’ eran que’ giovani , i quali menò seoo innanzi de’ consoli.
Vili. Ora essendo io per dire le sublimi , e meravi- gliose gesta di Bruto di
che tanto i Romani si magni- ficano , temo che sembrino austere troppo nè
credibili ai Greci , giacché tutti sogliono per natura giudicare le cose che di
altri si dicono dalle proprie, e secondo queste aversele per credibili o non
credibili. Nondimeno io le dirò. Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto in
tribunale , ed esaminando le lettere de' congiurati , ap- pena scopri quelle
de’ figli distinguendole dai sigilli , e dopo rotti i sigilli , dai caratteri;
ordinò primieramente •he lo scriba leggessene 1’ una e l’ altra , sicché tutti
le udissero, e quindi che i Ggli dicessero su ciò se vo- leano. Niuno de’ due
ardiva rivolgersi impudentemente a negarle per sue, ma quasi avessero già
condannato sè stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo sorse ; ed
intimalo silenzio , ed aspettando tutti qual ne sarebbe la flne , disse , che
condannavali a morte. Or qui alzarono tutti la voce , alienissimi , che avesse
un tal uomo a punire sè stesso colla morte loro, e voleano condonare al padre
la vita de’ figli. Ma egli non com- portando nè le voci nè i pianti comandò a’
satelliti che di là rimovessero i giovani che lagrimavano e supplica- vano e
co’ nomi più teneri lo chiamavano. Riusciva spettacolo meraviglioso a tutti che
un tal uomo niente piegato si fosse nè per le preghiere de’ cittadini , nè per
la commi aerazione inverso de’ figli : assai però parve più portentosa 1'
austerità di lui circa il supplizio. Imperoc- ché nè permise che si uccidessero
i figli allontanati dal cospetto del popolo , nè egli , almeno per fuggirne la
terribile vista , si ritirò dal Foro finché non furono pu- niti : nè condiscese
pure , che subissero , non disonorati co’ flagelli almeno , la morte destinata.
Ma custodendo tutte le consuetudini , e tutte le leggi quante ve n’ ha su’
malfattori , egli stesso nel Foro tra la pubblica vista presente a tutto ,
fattili prima straziar colle verghe ; concedette alfine che con le scurì si
decapitassero. Sor- prendente soprattutto , inconcepibile era in quest’ uomo la
immobilità degli sguardi senza indizio nemmeno di compassione. Tanto che
piangendo tutti , egli solo fu visto non piangere sul destino de’ figli: nè
sospirò per sè stesso , nè per la solitudine la quale facevasi nella sua casa ,
nè diè segno in tutto di debolezza: ma senza lagrime , senza lamenti , e come
inalterabile , portò ma- gnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di ani-
mo , tanto costante in compiere le risoluzioni , e tanto superiore agli affetti
che turbano la ragione ! IX. Uccisi i &gli fe’ chiamare immantinente gli
Aqui- Ij , 6gli della sorella dell’ altro console , presso a’ quali teneansi i
congressi de’ congiurati. E comandando alle scriba che ne leggesse l’ epistole
sicché tutti le udis- sero ; intimò ad essi che sen difendessero. Ma i giovani
venuti dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero dagli amici , sia che
di per sè lo risolvessero , si gitta- rono a piedi dello zio per essere da lui
salvati. Ma co- mandando Bruto ai littori che li svellessero , e li traes- sero
se non voleano giustificarsi alla morte ; Collatino sopraggiunse a questi , che
sospendessero alquanto fin- ché abboccavasi col collega , e pigliatolo da solo
a solo orò lungamente pe’ garzoncelli ; parte escusandoli che fossero caduti in
tale stoltezza per inesperienza e per compagnie triste di amici , e parte
eccitandolo a con- donare la vita di parenti , dimandandolo in grazia lui che
non d’altro mai più lo vesserebbe , e parte facendo riflettere che turberebbesi
il popolo tutto se davausi ad uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co’
fuoru- sciti perchè ritornassero ; imperocché dicea eh’ eran molti , e parecchi
non ignobili di lignaggio. Ma non venendogli di persuaderlo; ne chiese almeno
pena più mite che non la morte, dicendo: mal convenirsi che i complici si
avesser la morte , mentre il tiranno non so- stenea che l’ esilio. E perciocché
Bruto ripugnava da pene più mi», nè voleva (ciocché chiedeva da ultimo il suo
collega ) nemmeno differire il giudizio de’ colpe- voli , e minacciava , e
giurava di darli tutti appunto iu quel giorno alla morte ; Coliatino sdegnatosi
in fine che niente ottenea ; soggiunse : io , pari tuo , to scamperò que'
giovini se tu se tanto intrattabile e duro : E Bruto indispettitone , no ,
disse, Coliatino ; non potrai finché 10 vivo far salvi i traditori della patria
: anzi tu pure darai tra non molto le pene che meritL X. Ciò detto, e messa una
guardia su’ giovani chiamò 11 popolo a parlamento : e riempiutosi il Foro,
perchè il supplizio de’ figli suoi , già si era in città divulgato , egli
facendosi in mezzo , cinto da’ più cospicui de’ se- natori disse : lo vorrei o
Cittadini , che Collatino , questo mio compagno , fosse concorde con me su
tutto, ed odiasse e combattesse i tiranni non pur colla voce, ma colle opere.
Ora poiché lo trovo manifestamente contrario e congiunto in tutto a' Tarquinj
di sangue, di voglie , e di brighe onde riconciliarceli , anzi col-- [ utile
suo che del comune ; io sono risoluto di op~ pormegli perché non compia le ree
sue macchinazioni, e perciò vi ho qua convocati. Io dirò primieramente in
qitanto pericolo sia la città ; poi come t uno e t altro di noi siasi
diportato. Biunitisi alquanti in casa degli Aquila nati dalla sorella di
Collatino , e tra questi ambedue li miei figli e li fratelli della mia moglie ,
ed altri non ignobili ; stabilirono , e congiit- rarono la mia morte , e di
restituirvi in Tarquinio il monarca. E già erano per mandare ei fuorusciti
/efr- tere contrassegnate da loro caratteri e sigilli. Ma si fe ciò , la Dio
mercede , a noi manifesto , indican- docelo questo uomo , che è un servo degli
jiquilj , di quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella notte
precedente le lettere ; e noi , le abbiamo noi , queste lettere. Io già ne
punii Tito e Tiberio miei figli : e niente , non leggi , non giuramenti ,
furono da me violati per la clemenza di un padre. Ma Col- latino mi ritoglica
dalle mani gli Aquilj con dire che non soffrirebbe che partecipassero la sorte
de' miei figli , se partecipato ne aveano i disegni. Ma se co- storo non
soggiacìono a pena , nemmen dunque vi dovran soggiacere non i fratelli della
mia moglie , non quanti sono , i traditori della patria. E qual di- ritto più
grande avrò io contro questi, se risparmiatisi quelli ? Dite , qual
contrassegno c mai questo , di amici della patria , o del tiranno , di conferma
del giuramento che avete voi tutti prestato noi preceden- dovi , o di
sconvolgimento e di perfidia ? Se egli ri- manevasi occulto , pur sarebbe in
preda alle fune e sotto la vendetta degli Dei che spergiurava. Ora poi- ché vi
si è palesalo a voi si spetta , a voi di punirlo. Vi persuadea costui pochi
giorni addietro che rende- ste i suoi beni al tiranno , non perchè la città se
gli avesse per usarne in guerra contro i nemici , ma per- chè li nemici gli
avessero per usarne contro la città. Ed ora si arroga di esentare dalle pene i
congiurati a restituirvi i tiranni , in favore come è chiaro di questi , perchè
se mai tornano , sia di forza , sia per tradimento egli in vista di tanti
servigj ne ottengcL come amico , quanto dimanda. Ed io che non ho perdonato a’
figli miei , io dovrò, o Collatino, te rispar- miare , che sei con noi di
presenza , ma coll’ animo tra’ nemici ? E tu che salvi i traditori della patria
, tu me che per essa travagiiomi , ucciderai ? Or potrà farsi ? Eh ! che
lontani siamo di molto. E perchè non possi nulla di simile , ti levo dal
consolato e cornandoti che in altra città ti conduciti. E voi o citi- iadini
voi chiamerò ben tosto per centurie , e presi i voti, deciderete se dobbiam
così fare. Intanto , (e vivissimamente avvertitelo ) voi l' una delle due mi
dovete , escludere Collatino , o Bruto. XI. Or lui cosi dicendo ; Gollatino
esclamando ed angustiandosi , cbiamavalo di cosa in cosa calunniatore e
traditore degli amici : e purgandosi dalle incolpazioni contro di lui , pregava
intanto pe’ fìgii della sorella: ma perciocché non permettea che si
dispensassero i voti contro di lui ; inferocivane il popolo , levandosi a re-
more in ogni suo dire. Ora essendo cosi inferocito nè soffrendo discolpe , nè
volendo preghiere ma solo che si dispensassero i voti ; ed interponendosene il
suocero Spurio Lucrezio , uom pregiatissimo , per timore che Collatino non
perdesse ignominiosa mente ad un tempo il magistrato e la patria , chiese da
ambi i consoli fa- coltà di parlare. Ed ottenutala , esso il primo , come
dicono gli storici Romani , giacché non v* era ancor r uso che un privato
aringasse il comune ; diedesi pub- blicarrtente a pregare 1’ uno e 1’ altro de’
consoli , Col- latino perché non si ostinasse e non ritenesse il comando a mal
cuore de’ cittadini , che spontanei gliel diedero ; ma se pareva a que’ che
gliel diedero di ripeterlo , volontanamente lo restituisse , e levasse co’
fatti , non coi detti le accuse contro di lui : prendesse le sue cobbe e si
recasse ad abiure altrove, dovunque voleva, Gnchè 10 Stato non era in salvo ;
cosi porUndo 1’ utile pub- blico : riflettesse come in altre ingiustizie gli
uomini se ne sdegnano , quando sono commesse : ma che sospet- undosi di
tradimenti stimano anzi saviezza temerne in- vano e guardarsene', che
trascurarli e lasciarsene rovi- nare. Persuadeva poi Bruto , che non cacciasse
dalla città con vergogna e con vitupero quel magistrato com> pagno col quale
avea preso le risoluzioni più belle {>ér la patria : ma che desse a lui , s’
avea cuore di lasciare 11 suo grado e di trasmigrarsi , tutto 1’ agio a raccor
le sue robbe , e gli aggiungesse a nome del popolo un dono come pegno di
consolazione nelle sue calamità. Cosi consigliando quel valentuomo , inUnto che
il popolo ne lodava i discorsi , Collatlno depose la sua dignità , contristato
che per la pietà de’ parenti era astretto a lasciare e senza demeriti la
patria. All’ oppo- sito encomiavalo Bruto perchè risolveva il migliore per la
sua Roma e per sè , e pregavalo a non. disamorarsi nè verso di lui , nè della
patria : trasportando al- trove la sede , considerasse ancor sua , la patria
che lasciava , nè si meschiasse a’ nemici contro lei non colle parole , non colle
opere. Considerasse in somma questo transito suo qual pellegrinalo , non qual
bando, o fuga: tenesse il corpo presso quei .che lo ricevevano , ma V affetto
suo , lo . tenesse questo , presso quei che lo mandavano. Or, cosi avendo am-
monito quest’ uomo persuase il popolo a regalarlo di.’ laS venti talenti , con
aggiungerne egli cinque del suo. Ca» duto Tarquinio Cotlaiino in tale disgrazia
si ritirò a Lavinia , antica madre de’> Latini dove carico di anni mori.
Bmto non sopportando di essere solo al comando, per non dare sospetto , che
levato avesse il compagno dalia patria per fervisi re , chiamò bentosto il
popolo al campo dove usava eleggere i sovrani- e gli altri magi» strali , e
creò per collega nel consolato Pubblio Yale» rio , uno dei discendenti , come
sopra fu detto , dai Sabini , uom degno di ammirazione e di lode per le molle
suo doli , e principalmente per la sobria sua vita. Egli trovando in sé stesso
una luce naturale di filosofia , la fece brillare in più affari , come poco ap»
presso diremo. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a morte , quanti
erano , i congiurati al ritorno de’ fuom» sciti , e dichiararono libero e
cittadino il servo . che aveali denunziali , colmandolo di oro. Poi fecero tre
bellissimi ed utilissimi regolamenti , che la città con- temperarono a pensare
tutta di un modo , sminuendo il favor pe' nemici. Il primo spediente fu di
scegliere i migliori della plebe e di crearli patrizj , onde compier con essi
un Senato di trecento. Appresso esposero al pubblico le suppellettili del
tiranno , concedendo che ognuno se ne avesse , quanto toglievano ; e comparti-
rono i terreni di esso a chi non aveane , riservandone unicamente il campo tra
’l fiume e tra la città , dedi- cato già dal voto degli antenati a Marte , come
prato benissimo pe’ cavalli e per gli esercizj de’ giovani in arme. Tarquinio
però , sebbene prima di lui fosse già sacro a qnel nume , aveaselo appropiato ,
e sem inavaci : di che è sommo argomento la risoluzione allora presa da’
consoli sul ricollo che sen ebbe. Imperocché sebbene avessero conceduto al
popolo di prendere e portarsi quanto era del tiranno , non però consentirono
che al- cuno si arrogasse il grano germogliatovi , sia che fosse nelle spighe ,
sia che nell’ aja , sia che già lavorato ; ma decretarono che si gettasse nel
fiume come esecraa* do , né degno che se lo avessero in casa. £ di tal giuo
sopravvanza ancora , monumento famoso , la isoletta sa- cra ad Esculapio ,
bagnata intorno dal fiume , prodotta, dicono , dagli ammassi delle paglie
corrotte , e dai fango che vi si appiccò nel correr delie acque. Rispetto a
quelli che eransi fuggiti a Tarquinio accordarono ad essi generale perdono , e
ritorno sicurissimo in patria fra venti giorni , intimando a chi venuto non
fosse in quel termiue , 1’ esilio perpetuo e la confisca de’ beni. Or tali
provvedimenti impegnarono ad ogni cimento quei che godeano le robe , quante mai
fossero del ti- ranno, sul timore che non venisse ior meno l’utile che ne
aveano; come impegnarono a favorire non più la tirannide ma la patria , que’
lutti che per le gesta loro sotto dei despoti , eransi esiliati da sé stessi ,
per timore di non pagarne le pene. Ciò fallo , si diedero co* pensieri alia
guerra te- nendo intanto 1’ esercito in campo presso di Roma sotto le insegne e
li capitani per addestrarvelo ; perchè aveano udito che i fuornscili
apparecchiavano centra loro ua armata dalle città dell’ Etruria , e che quelle
de’ Tar- quinj e de’ Vejenii , potentissime ambedue, cooperavano manifettamente
al ritorno di essi , mentre gli amici loro adunavano dalle altre de’
stipendiati e de’ volontarj. Ma non si tosto seppero che l’ inimico moveasi ,
delibera- rono di farsegli incontra ; e passando prima di esso il fiume , s'
inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni nel prato Giunio , presso la
selva sacra ai genj di Ora- to (i). Trovaronsi ambedue le milizie quasi pari di
nu- mero con ardore eguale per combattere. £ su le prime, surse , appena si
videro , picciola mischia tra’ cavalieri , innanzi che le fanterie prendessero
campo. Cosi gli uni sperimentarono gli altri , e non vincitori e non vinti si
ritirarono ciascuno al corpo de’ suoi. Quindi messa la fanteria nel centro , e
la cavalleria nelle ale si mossero da ambe le parti coll' ordine stesso fanti e
cavalli gli uni contro degli altri. Conducea l’ala destra Valerio il console ,
contrapponendosi a’ Yejeuti : Bruto reggea la sinistra avendo a fronte la
n^ilizia de’ Tarquiniesi co- mandata da’ figli del tiranno. XV. Erano già già
per venire alle mani quando ' avanzandosi dalle fila de’ Tarquiniesi 1’ uno de’
figli del tiranno , ( Aruute ne era il nome) il più vago di aspet- to , e più
magnanimo de’ fratelli, e spinto il cavallo verso i Romani in parte, dove tutti
ne intendesser la voce, coperse d’ ingiuria il duce Romano , chiamandolo fe-
rino , selvaggio , lordo del sangue de’ figli , imbelle e vile , e lo sfidò per
tutti a combattere solo. E colui non (i) Cosi nel Codice V.iticano. Alcuni peto
leggono jirslo in luogo di Orato , perchè secondo Tilo Livio e Valerio Massimo
jfrtia si idiiamava la selva. più bastando alle ingiurie , spronò dal suo posto
il ca- vallo senz' attendere gli amici che nel distoglievano , correndo
fortissimamente alla morte che eragli apparec- chiata dai fati. Rapiti ambedue
da pari ardore , intenti a ciò che era da fare non a ciò che ne patirebbono ,
avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dell’al- tro , e vibransi colle
aste colpi vicendevoli , non repa— rabili cogli scudi , nè con gli usberghi ,
immergendone la punta chi nelle coste , e chi nelle viscere. Urtatisi per la
foga del corso i cavalli nel petto , eievaronsi su pie’ di dietro , e girandosi
colla cervice rovesciarono i cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue
in copia dalle ferite , e lottando colla morte. Come le milizie videro caduti i
duci loro , spiccaronsi tra clamori e stre- pito , e sorsene battaglia , quant’
altre mai ferocissima , di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile.
Impe- rocché li Romani dell’ ala destra comandati da Valerio console vinsero li
Vejenti , ed incalzandoli 6no agli alloggiamenti , copersero il campo di
stragi. Per l’ op— posito i Tirreni dell’ ala destra guidata da Tito e da Sesto
figli del tiranno misero in volta i Romani dell’ala sinistra , e corsi presso
alle loro trincierò usarono per- fino tentare se poteano in quell’ impeto primo
espu- gnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v’ erano dentro , si
ripiegarono. Àveanci di guardia i Triarj , cosi detti , veterani peritissimi di
guerra pel lungo eser- cizio, e soliti riservarsi pe’ cimenti più gravi , quando
ogn’ altra speranza vien meno. XVI. E fattosi già il sole presso l’ occaso ,
tornarono gli uni e gli altri a’ proprj alloggiamenti non ti lieti per la
viuoria , che doleati per la moltitudine de’ per- duti compagni. E se doveasi
far nuova battaglia non credeano bastarvi quanti erano intatti fra loro ;
essendo i più feriti : se non che più grande era I’ abbattimento, e la
diffidenza ne’ Romani per la morte del comandante; in guisa che venne a molti
in pensiero che fosse il loro migliore di abbandonare prima del di le
trìnciere. Ma intanto che cosi pensavano e dicevano usci circa la prima vigilia
dal bosco presso al quale accampavano una voce , sia del genio tutelare del
bosco medesimo , sia di Fauno che chiamano , la quale rimbombò su l’uno e
l’altro esercito, sensibilissima a tutù. A Fauno ascriveano i Romani i panici
timori , e tutte le visioni che varie ne’ luoghi varj presentansi
spaventosamente ai mortali : e di questo Dio dicono che sian opera le chia*
mate fatte dal cielo , le quali tanto perturbano chi le ascolta. Animava questa
voce i Romani a bene operare quasi avessero vinto , significando come era morto
uno di più tra’ nemici : e dicono che levatosi a tal voce Valerio ne andasse
nel cuor della notte agli alloggia- menti de’ Tirreni, e che uccidendoveli per
la più parte, o fugandoneli s’ impadronisse del campo. Tal fu l’esito di questa
battaglia. Nel giorno appresso i Romani spogliarono i cadaveri de’ nemici ; •
seppelliti quelli de’ suoi , partirono. I migliori de’ cava- lieri , presolo
con molta onorificenza e con lagnme , riportavano a Roma il corpo di Bruto in
mezzo ai fregi della propria virtù. Mossero all’ incontro di essi il Se- nato
che avea decretato che si portasse il duce con pompa trionfale , ed il popolo
che ricevè l’ esercito con BIOaiGl , torneai. crateri colmi di vino e con
mense. Giunti nella città ; il console ne trionfò come i re soleano , quando
solen- nizzavano i sagriBzj e le pompe pe’ trofei ; ed offerse a’ numi le
spoglie , e fe' di quei giorno una festa , convitando i più riguardevoli de*
cittadini. Pigliata nel giorno appresso lugubre veste , ed esposto il cadavere
di Bruto su magnidco letto in splendido ornamento nel F oro , vi convocò la
moltitudine , e salito in palco , ve ne recitò 1’ elogio funebre. Io non so ben
discemere se Valerio il primo introdusse in Roma quel costume , o se dai re io
desunse : ben so che ti*a* Romani antichis- sima é la istituzione degli elogi
nella morte de’ valentuo- mini ; e so da’ pubblici documenti di poeti antichi ,
e di storici famosissimi che non i Greci i primi la fon- darono. Imperocché le
vecchie storie danno a conoscere che ci aveano in morte di uomini insigni ,
combatti- menti equestri e ginnici , come Achille ne fe’ su Pa- troclo , e come
Ercole , prima ancora , su Pelope : ma che gli encomj se ne recitassero , ninno
lo scrive se non i tragici di Atene , i quali adulando la propria città ,
favoleggiarono che avesse ciò luogo nei sepolti da Teseo. Laddove tardi
istituirono gli Ateniesi per legge le funebri laudazioni ; sia che le
incominciassero su quelli che morirono per la patria ad Artemisio , a Sa-
lamina , a Platea , sia che su quelli i quali caddero a .Maratona. E la impresa
di Maratona , se in quella sì cominciarono gli elogj pe’ defonti , è più tarda
della morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando d’ investigare
quali stabilissero prima i lugubri encomi , voglia esaminare presso chi sia la
legge meglio ordinata ; la troverà tanto più savia tra questi che tra quelli,
quanto che gli Ateniesi introdussero i pubblici elogi mortuali , pe’ defunti in
battaglia , quasi estimassero la bontà del solo termine glorioso della vita ,
sebbene al> tronde indegnissima : laddove i Komani destinarono tal6 onore
non al soli estinti nel combattere , ma a tutti gli uomini , insigni per
sublimi consigli , o per belle operazioni , sia che in città , sia che in
guerra avessero comandato, ovunque morissero , giudicando che debbansi i
valentuomini celebrare non per la sola morte luminosa , ma per tutte le virtù
della vita. Così muore Giuoio Bruto, colui che schiantò la tirannia , che primo
fu console dichiarato , che tardi rendutosi illustre 6orl sì , piccini tempo ,
ma fortissimo parve fra tutti. Non lasciò prole non di maschi non di femmine ,
come scrivono gli storici i quali esaminarono le cose de’ Romani , ancor le più
chiare : di che ne allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non
facile a vincersi , che egli era dell’ ordine de’ patrizj ; laddove quei che si
dicono originati da lui li Giunj e li Bruti eran tutti plebei, perocché
conseguivano le ca- riche degli edili e de’ tribuni , che son quelle che per
legge a’ plebei si permettono , e non il consolato , cui niun conseguiva
fuorché li Patrizj. E quando questa di- gnità si concedette ancora a’ plebei
coloro non la otten- nero se non tardi. Ma lasciamo che discutano ciò quelli a’
quali si appartiene conoscerlo più chiaramente. XIX. Dopo la morte di Bruto ,
Valerio il collega suo , divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scet- tro
; primieramente perchè tenea solo il comando , dovendo far subito eleggersi un
compagno , come quando Bruto ripudiò Gollatino ; e poi perchè aveasi fabbricato
la casa in sito invidiato , preso nella parte alta e dirotta del colle , il
quale chiamasi Yelio e domina il Foro. Convinto però da' suoi come ciò
dispiaceva al popolo , pre&sse il giorno pe’ comizj e fe’ darsi un compagno
in Spurio Lucrezio. E morendo costui dopo pochi giorni della sua magistratura ,
sostituì Marc' Orazio ; e trasferì r abitazione sua dalle cime alle radici del
colle , perchè i Jtomani , come ei disse concionando , potessero tem- pestarlo
co* sassi date alto se trovavano eh* ei facesse ingiustizia. E volendo rendere
il popolo più certo della sua libertà levò le scuri dai fàsci , dando ai
consoli sue* cessivi il costume , durevole pur ne’ miei giorni , di usare le
scuri quando escono di città , ma di non por- tare nell’ interno di essa che i
fasci soli. Fondò leggi piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo;
proi- bendo con una manifestamente che niun de’ Romani andasse alle magistrature
se dal popolo non le prendeva; con pena di morte a chi contravvenisse , e
licenza a tutti di ucciderlo. Con altra legge si decretava : Se un magistrato
Romano voglia uccidere, o battere, o mul- tare alcuno in danari; possa f uomo
privato appel- larne al popolo senza che intanto niente ne soffra dal
magistrato finché il popolo ne sentenzii. Or sic- come onoravasi con tali
regolamenti il popolo ; cosi ne diedero al console il nome di poplicola , che
in greco appunto significa curatore del popolò. E tali sono le cose fatte in
quell’ anno dai consoli. Nell* anno seguente è di nuovo creato console VALERIO,
e con esso LUCREZIO: ma non si fece nulla di memorabile se non il censo de’
beni , e la tas* sazion dei tributi per la guerra secondo le istituzioni di
Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio , e rinovate da essi la
prima volta. Trovaronsi in Roma idonei alle arme cento trenta mila : e fu
spedito un esercito per guardia a Sincerio (z) , luogo di frontiera contro i
Latini e gli Ernie! da’ quali si aspettava la guerra. Creali consoli (3)
Valerio detto Poplicola per la terza volta e Marc’ Orazio con esso per la
seconda, 'Laro , re di Chiusi nell’ Etrurìa , quegli che Porsena si cognominava
, promise ai Tarquinj ricorsi a lui , 1’ una di queste due cose , o di
riconciliarli co’ Romani pel ritorno , e la ricuperazion del comando o che
ripiglie» rebbe e renderebbe ad essi i beni de’ quali erano stati spogliati.
Imperocché spediti 1’ anno precedente amba>> sciadori a Roma , i quali
portavano preghiere miste a minacce , non aveaci ottenuto nè la riconciliazione
, nè il ritorno de’ Tarquinj; pretestando il Senato le impre- cazioni e li
giuramenti fatti contro di questi, nè aveaiie riavuto i beni , negando
restituirli coloro che se gli aveano divisi , e godevanli. E non contentato in
niuna delle domande , e chiamandosene vilipeso e conculcato , (i) a46 secondo
Catone e a4S secondo Varrone dalla fondazione di Roma , e 5o6 STanti Cristo.
(a) Nel Codice Vaticano sì legge Tiiionirio. (3) a47 sec. Ceti e a4g see. Var.
dalla fondazione di Boma , e 5o5 avanti Cristo] arrogante altronde , e briaco
per 1’ ampiezza delle sue ricchezze e dominio , credette avere cagioni assai
per abbattere la signoria de’ Romani , come già per addie- tro desiderava , ed
intimò loro la guerra. A lui si con* giunse Ottavio Mnmilio il genero di
Tarquinio sul di- segnò di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli si
mosse dalla città del Tuscolo e menò seco i Carne - rifai , e gli Antemnati ,
lignaggio latino , alienali già pa- lesemente da’ Romani , e molti volontarj
suoi fautori , delle altre genti Latine le quali ricusavansi ad una guerra
manifesta contro di una città confederata , e tanto po- derosa. Saputo ciò li
consoli romani ordinarono a’tml- tivatori di portare masserìzie , bestiami , e
schiavi ai monti vicini , fabbricandovi -ne’ luoghi forti de’ castelli ,
opportuni a difendere chi vi si riparava. Quindi pre- munirono con più potenti
maniere e con guarnigioni il Gianicolo , alto colle , cosi chiamato , nelle
vicinanze di Roma di là dal Tevere, e provvidero con ogni diligenza perchè non
divenisse un baluardo pe’ nemici contro la città, e vi depositarono gli
apparecchi per la guerra. Quanto alle cose interne della città le disposero ,
ancor più propiziamente verso del popolo , diffondendo assai beneficenze su’
poveri , perchè questi non si ripiegas- sero in verso de’ tiranni , nè
tradissero per 1’ utile proprio , il comune ; imperocché decretarono che fos-
sero immani da’ tributi pubblici , quanti al tempo dei te ne pagavano , nè
soggiacessero a spese di milizia e guerra , giudicandoli assai contribuirvi se
la persona esponevano per la patria. Collocarono nel campo dinanzi Roma la
milizia preparata ed esercitata già da gran tempo. Giunto il re Porsena coll’
esercito espugnò di assalto il Gianicolo , spaventandovi i Romani che lo
presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi marciò verso la città
quasi avesse a prenderla senza fa* tica. Ma fattosi ornai prossimo al ponte , e
visti accam- pati i Romani nella riva a lui più vicina del fiume - si
apparecchiò per combattere , in guisa da sopraffarli col numero, e spinse assai
spregiantemente innanzi la mi- lizia. Reggeano l’ ala sinistra Tito e Sesto
figli di Tar- quinio , tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da Roma , il
fiore della gente di Gabio , e stranieri , e mercenari non pochi. Mamilio il
genero di Tarqninio comandava la destra ov’ erano i Latini ribellatisi da’ Ro-
mani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata nel centro. Ma Spurio
Largio , e Tito Erminio teneano l’ala destra de’ Romani contro ai Tarquinj:
Marco Va* lerio, fratello del console Poplicola, e Tito Lucrezio il console
dell’ anno precedente stavano colla sinistra a fronte di Mamilio e de’ Latini.
Moveano tutti due i consoli il corpo fra le due ale. Fattasi alle mani combattè
virilmente l’una e l’altra milizia con lunga resistenza; superando i Romani per
esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma po- tendo questi assai più de’
primi col numero. Alfine ca- dendone quinci e quindi in gran copia s’
intimorirono prima i Romani dell’ aia sinistra in vedere i loro duci Valerio e
Lucrezio feriti , e portati fuori della batta- glia ; e poi , quando mirarono
in piega i loro compa- gni, sbigoltironai aneli’ essi, quei dell’ala destra
sebbene ornai vincitori delle schiere de’ Tarqainj. E fuggendosi tutti alla
città , |>recipitosi , in folla , su per un ponte solo ; piombavAno intanto
su loro ferocissimi gl’ inimici : e poco mancato sarebbevi che Roma priva di
mura dalla banda del fiume , fosse espugnata , se i vincitori investita 1’
avessero misti co’ fuggitivi. Se non che so- stennero r inimico , e salvarono
tutto 1’ esercito tre uo- mini , due seniori , Spurio Largio , e Tito Erminio ,
appunto i duci dell’ ala destra , e Publio Orazio , un giovine, il più beilo,
il più valoroso de’ mortali Coclite detto dallo strazio degli occhi , per
essergliene stato di* velto uno in battaglia. Era questi figlio dei fratello di
Marc’ Orazio console , e traeva la origine sua generosa da Marco Orazio 1' uno
de’ trigemiai che vinse già li tre Albani ,. quando le città guerreggiando per
la pre- minenza . accordaronsi a non cimentarsi con tutte le forze , ma con
soli tre uomini , come fu dichiarato nei libri antecedenti. Questi soli fattisi
alla lesta del ponte disputarono gran tempo il passo al nimico , fermi sul
posto medesimo , in mezzo a nembo di strali e tra ’l fulminar delle spade ,
finché tutta l’armata ripassò di qua dal fiume. Come però videro in salvo i
suoi , Erminio e Largio , laceri già nell’ armatura pe’ colpi incessanti , si
ritirarono a grado a grado. Orazio però , sebbene dalla città lo richiamassero
i cittadini ed il console , e tentassero per ogni via di salvare un tal uomo ai
pa- renti e alla patria , Orazio solo non ubbidì , ma nel posto suo si rimase
come dianzi , raccomandando ad Erminio di dire in suo nome ai consoli che
tagliassero verso la città, quanto prima potevano il ponte. Era di quel tempo
il ponte uno solo e di legno , con tavole congiunte per sè stesse e non per
ferrei grappi , quale custodiscesi tuttavia dai Romani : raccomandò nemmeno che
quando avessero sconnesso il più del ponte , quando picciola parte resterebbe a
disfarne , a lui lo dichiaras- sero con certi segni , o con sonora voce.
Lasciassero a lui poi la cura del resto. Cosi ricordando a que’due si tenne in
snl ponte, e parte col ferir della spada, parte col dar dello scudo, ne
respinse , quanti investendolo , vi si avventavano. E già quelli che
perseguitavano il romano non ardivano più venire alle mani con esso , come
preso da furore e fermo di morire *, molto più che non era facile andar fino a
lui , che aveva a destra e a sinistra il fiume , e dinanzi un monte di cadaveri
e di armi : ma tenendosegli discosti Io bersagliavano in folla con lance, e
dardi, e sassi quali empirebbon la mano ; o coi brandi e coi scudi degli
estinti , se non aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro
medesime : tirando su la moltitudine ; sempre , com’ è verisimile, colpiva
alcuno. E già percosso , già carico egli era di ferite in più parti del corpo ,
già un colpo portatogli direttamente per la coscia alla testa del fe- more , lo
addolorava e difficoltava nel caminare; quando, udendo gridarsegli addietro
essere il ponte nella sua più gran parte disciolto, si gettò di un salto colle
arme nel fiume. E valicatolo a stento, perchè divenuto rapido e molto vorticoso
per le travi che già sostenevano il pon* te , e che ora abbattute rompevano il
corso delle acque, fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto
perduta niuna delle armi. Tale azione produsse a lui gloria immortale : e li
Romani coronandolo lo portarono immantinente per la città com’ nno degli eroi
tra’ cantici trion&li. RU versavasi la urbana moltitudine, finché le era
permesso, per desiderio di vederlo , almeno nell’ ultimo presentar- sele;
sembrandole che tra non molto morirebbe per le ferite. Scampò tuttavia da
morte; ed il popolo mise nella parte più cospicua del Foro la statua metallica
di lui com’ era fra le armi ; e diedegli del terreno pub- blico quanto ne potrebbe
in un giorno un pajo di buovi arare d’ intorno ; e senza contare i pubblici
doni , ogni uomo o donna , i quali erano insieme più che trecento mila, gli
recarono ciascuno il vitto di nn giorno men- tre era fra tutti terribile la
peuorta. Orazio dimostrala in tal tempo tanu virtù parve più che tutti i Romani
invidiabile. C quantunque, divenuto perchè zoppo, inu- tile ad altr’ incarichi
nou potesse in vista di tale scia- gura conseguire nè il consolato, nè altre
militari presi- denze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da lui,
vedendolo tutti ì Romani, in quella battaglia, me- rita di esserne encomiato
quanto mai lo fosse ciascuno de’ più famosi per la fortezza. Cajo Muzio ,
sopranno- minato Cordo , sceso da chiari antenati , anch’ egli si mise ad una
nobilissima impresa. Io ne dirò tra poco dopo esposti i mali che allora
ingombravano Roma. Dopo quella battaglia il re dei Tirreni col- locatosi nel
monte vicino, dal quale avea discacciato il presidio romano , dominava tutta la
campagna di là dal Tevere. Li figli di Tarquinio , e Mamilio il genero di lui
tragittando le milizie loro picciole barche aU . ' i3y r altra riva per cui
vasai a Roma , accampamsi in luogo ben forte. Donde slauciandosi davano
ilguasto alle terre , ed agli alloggi pe’ bestiami , e piomavano su’ bestiami
stessi che uscivano dai sicuri luo^i per pascere. Ora essendo tutto 1* aperto
in balìa el iie» mico, nè più di qua, nè più sopra il fiume reandoai in città
le merci se non scarsissime; vi riuscì be tosto carestia gravissima ;
consumandovi tante raigliaja Iprov- vigioni già fattevi , che non erano
copiose. Allea gli schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon nttiero,
disertavano dai padroni , e li più malvagi del ppolo trasferivansi alle parti
del tiranno. In vista di ciò arve ai consoli di supplicare i Latini i quali
riverivano' le> gami del sangue , e sembravano fidi ancora , che ian>
dassero come prima potean de’ rinforzi : e di spjire ambasciadori a Cuma nella
Campania, ed alle itià Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvenneri ad
essi i Latini ; come quelli che non credevano giusti far guerra con Tarquinio
nè co’ Romani , avendo con m- bedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio
pe- diti commissari pel trasporto de’ frumenti, avendo trin- cate da’ campi
Pomentini più barche di ogni vettva- glia , le introdussero in una notte senza
luna dal tare EU pel fiume, in occulto de’ nemici. Ma venuta mno ben tosto pur
questa provvigione, e ridottisi gli uoainì ai disagi di prima ; Porsena
chiarito dai disertori cime , que’ eh’ eran dentro vi penuriavano , mandò arabi
ad essi intimando che ricevessero Tarquinio se veleno li- berarsi dalla guerra
e dalla fame. Non comportarono i Romani il coaando , risola piuttosto di
subirne ogni male. Ma prevedendo > Musi' che l’una delle due ne seguirebbe,
o che vinti dal bogno non terrebbono gran tempo la parola , o che aendola ne
perirebbono sgraziatissimamente; pregò li coioli che gli adunassero il Senato ,
come volesse proprgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli , disse Io
medito o senatori una impresa, donde il popo nostro s’involi da’ mali presenti.
Ardita molto ella ì questa , ma facile , io penso , da compierla. Beri ,
riuscendomi , poco , ower nulla io spero su la mie vita. Ora essendo io per
espormi a tali pericoli, anaaiovi da speranze sublimi, non ho voluto che ,
voitutti lo ignoraste ; perchè se mi accada di mancar la trova , io sitine
celebrato almeno per V azione bel- lis.ma , e me ne abbia gloria eterna in
luogo del capo mortale. Già non era sicuro palesar quanto mcchino al popolo ,
perchè niuno spinto dall util suo ne riferisse à nemici, quando è ciò da
nascondersi cote arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli ma- niestolo, i
quali , ne confido, lo tacerete: gli altri da vo r udiranno a suo tempo. La
impresa che io medito è mesta : Fintomi disertore , andrommene al campo Treno.
Se non mi ciedono e muojo , voi non avrete peduto che un cittadino : laddove se
mi riesce intro- dumi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il sue re.
Caduto Porsena , sarà per voi finita la guerra. Io pronto sono ad ogni sorte ,
qualunque gli Dei me ne òstinino : e tenendo voi per consapevoli e tesli- monj
miei presso del popolo , e pigliando il genio buoni della patria per guida ,
portomi^ e vado. Encomiatone dai senatori presenti , ed avuti gli augurj
propizj per la impresa , passa il Tevere : e giunto agli alloggiamenti de’
Tirreni , ne penetra come nno di essi le porte , deludendone le guardie :
perchè non portava arme visibili , e perchè parlava alla tir> rena , come
eravi fanciullo stato istruito dalla sua na- trice tirrena. Approssimatosi al
Foro ed alla tecda del principe vedevi un uomo cospicuo per grandezza e
complessione di membra seduto in veste di porpora nel tribunale in mezzo a molti
che armati lo circondavano. Or pensò , ma indarno , che costui fosse Porsena,
non avendo altra volta mai veduto il re de’ Tirreni : ma egli non era che il
regio scriba il quale sedea nel tri- bunale e numerava i soldati , e
registravano i paga- menti. Inoltrasi a tal vista tra la moltitudine fino allo
scriba, e salito, senza esserne impedito perchè inerme, snl tribunale , cava il
pugnale che celava sotto l’abito , e daglielo in capo. Ucciso con un colpo lo
scriba, egli è preso immantinente e portato al re già consapevole della strage.
Il quale vedutolo appena , Ah scelleralis- simo ! esclama, pagherai ben presto
le pene che me- ritasti. Dì , chi sei ? donde vieni ? e su qual confi- denza
osasti un tanto attentato ? Destinavi la sola morte delio scriba, o la mia
parimente ? quali com- pagni hai tu della perfidia? Non celarmelo, o li tor-
menti vi ti forzeranno. E Muzio non presentando pur un segno di paura non col
variar del colore , non colla fissezza dei pensieri, nè con altre affezioni
solite in chi dee punirsi (li morte gli rispose : lo sono un Romano: venni qual
diserlom ed tuo campo , nè già per causa vile , ma per liberare la patria dalla
guerra, lo voleva uccidere te , qu$nUmque io non ignorava che o riuscissi o
fai' lèssi tujl colpo io ne dovrei morire : io destinava con' secrard alta
patria la vita , e lasciarle pel corpo che essa àveami dato , una gloria
sempiterna. Errai : e causa ifelT errore furono la porpora , lo scanno , e le
altre irfsegne del comando. Uccisi chi non voleva ! . . lo scriba tuo per te
stesso. Pertanto io non ricuso la morte thè io decretava a me medesimo nell
accingermi a rfuesta impresa. Che se tu giuri per gli Dei di ri- sparmiarmi li
tormenti e gli ohbrobrj ; io prometto che ti svelerò cose , gravissime per la
tua salvezza. Cosi Muzio diceva per deluderlo. E colui come attonito, e temendo
pericoli non veri da molti , glie lo giurò. Muzio allora ideato un inganno del
quale non potea convincersi : disse : O re , trecento Romani tutti a ma pari di
età , tutti patrizj di condizione , abbiamo mac' chinata di ucciderli ,
dandocene vicendevoli giuramenti. Pavé, a noi quando ci consultavamo su le
maniere insìiiarli , che non tutti insieme ci ponessimo a questa impresa , ma
ciascuno da sà , tacendo perfno ai compagni , quando , dove , come , e con
quale oc- casione £ investirebbe , acciocché facile ci fosse di occulterei.
Cosi macchinando , ci demmo le sorti , ed io me la ebbi il primo per cominciare
la impresa. Istruito tu dunque che tanti valentuomini hanno sete egiude di
gloria, e che forse alcuno la sazierà con successo più fausto del mio ; deh !
considera se possi more mai guardia abbastanza che ti d fenda. Il re ciò udendo
comanda al «atelliti che in- calenino costui , se lo menino , e lo custodiscano
diii> gentissimamente : egli poi convocando i più amici , e facendo che
Arunte il figlio suo gli sedesse da presso , ragionò con essi le maniere da far
vane le insidie : ma suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano co-
gliere il punto : quando il figlio suo propose un consi- glio , superiore all’
età ; perciocché volea che non si pensasse a guardie onde precludere i mali, ma
piuttosto a far quello per cui le guardie non bisognassero. E maravigliandosi
tutti del suo consiglio , e desiderando sapere come lo eseguirebbe ; col farci
, ei disse , amici i nemici , e col pregiare o padre, la salvezza tua più che
il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: cìut egli ben diceva, ma essere da
consultare come consdignità si pacificassero. Sarebbe gran vitupero , se egli
che uvea superato in battaglia , e tenea ristretti i Romani fra le mura si
ritirava , senza compiere quanto avea pro- messo ai Tarquinj , quasi vinto dai
vinti , e quasi fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte. Facea
conoscere che l’unico mezzo da togliere le ni- niicizie sarebbe , se gli
avversar) mandassero ambasciadori per trattare gli accordi. Cosi disse in quel
giorno agli astanti ed al figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato
egli il primo a fare proposizioni di pace per questa cagione. Sbandatisi
intorno i suoi militari , e datisi a predar di continuo quei che recavano in
città le merci; i consoli Romani se ne misero in buon luogo alle insidie , e
molti ue uccisero , e più ancora ne imprigionarono. Di Digitìzed by Coogle i44
DELLE Antichità’ romane ohè nuioontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro
iocolpaodo il monarca e i duci suoi sul tanto prolungarsi della guerra , e
sfogandosi in desiderj di rendersi alle lor case. Or vedendo come tutti
gradirebbero ma* nilestamente la pace spedi per trattarla i più intimi suoi.
Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio sul giuramento di tornare
poscia al monarca: ma vo* glion altri che fosse piuttosto custodito come
ostaggio nel campo fino alla pace : il che forse è più verisimile.' Questi poi
furono gli ordini che il re diede a’ commise sarj ; non dicessero parola sul
ritorno de Tarquinj ; ma ne raddomandassero i beni , principalmente gli
ereditar] dal canto di Tarquinio P antico , già posse- duti da essi
bitoncunenle : e se ciò ricusatasi; dessero almeno , quant’ era possibile , i
compensi delle case , de' bestiami , de' campi ,» delle raccolte , come purea
loro espediente , col danaro del pubblico , o de' pos- sessori , ed
usufruttuarj atlucdi de' beni. E ciò quanto ad essi. Chiedessero poi > per
lui che deponea le inimi- cizie li sette pagi , cosi detti , antico luogo dell'
Etru- ria , invaso da Romani nella guerra e tolto aproprielarj , e finalmente
chiedessero de' giovani delle famiglie più insigni , per ostaggio , che i
Romaai si terrebbono amici costanti de' Tirreni.Venuti i deputati a Roma , il
Senato per in* sinuazione di Poplicoia console si risolvè di accordarne tutte
le dimande in vista della penuria che alHigeva il popolo e . la classe de*
poveri ; onde accettissima sarebbe loro una pace , giusta nelle condizioni. Il
popolo ratificò tutti gli articoli del decreto del Senato; non soffri però die
si vendessero i beni , o si desse a’ Tarquinj dana- ro , privato nè pubblico ,
e volle che si mandassero am- basciatori a Porsena perchè si contentasse degli
ostaggi e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli giudice fosse tra’
Romani e tra Tarquinio , udisse 1’ una e r altra parte , e ne sentenziasse non
per favore nè per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa risposta , e con
essi gli ambasciadori del popolo i quali condu- ceano per ostaggi venti giovani
delle famiglie più illu- stri , avendo i primi dato i consoli Marco Orazio il
6gl lo, e Publio Valerio la figlia, idonea già per le nozze. Pervenuti questi
nel campo , il re dilettatone , e molto- lodati i Romani, conchiuse una tregua
per un numero certo di giorni, e prese a giudicare la causa. Baltristaronsi
però li Tarquinj , caduti dalle speranze più lusinghiere , che avrebbegli quel
monarca ricondotti sui trono ; e per necessità dovéttero acconciarsi alle
circostanze, e prendere clocch’era lor conceduto. Giunti da Roma al tempo
ordinato i più anziani de’ senatori e gii oratori della eausa ; il re sedutosi
cogli amici nel tribunale, ed assunto anche il figlio per giudice ; intimò che
parlassero. Trattavasi ancora la causa , quando un tale annunziò che gli
ostaggi s’ eran fuggiti. Perciocché le donzelle tra' questi , avuta come la
chiedeano , la facoltà di andare e di bagnarsi nel fiume , andatevi , dissero
agli uomini che alquanto se ne discQstassero , finché la- vate e rivestite si
fossero, sicché non le vedessero nude. Or questi cosi facendo ; quelle
gitlatesi a nuoto ripara- ronsi a Roma , eccitatevi da Clelia che le precedeva.
A ul nuova Tarqutnto assai rimproverava li Romani di iperginro e di mala fede ,
e provocava il sovrano per- chè più non gli adisse , come divenuto il giuoco
dei loro tradimenti. Esciisavasi il console , dicendo queir opera , tutta delle
donzelle , senza voler del Senato: e che pre- sto dimostrerebbe che niente era
per inganno. Persua- sone il re concedè che andasse e rimeuasse come prò-
mettea le fanciulle. Andò Valerio appunto con tal fine: Dia Tarquinio e il
genero macchinarono in onta di ogni diritto un opera infanóissima, e spedirono
in su la strada una banda di cavalieri per sorprendere le fanciulle ri-
condotte , il console , e quanti tornavano al campo , e ritenersene le persone
pe’ beni tolti da’ Romani a’ Tar- qninj , senz’ aspettare il fine del giudizio.
Ma non per- misero gl’ IJdj che succedesse loro secondo il disegno : perché
mentre gl’ insidiatori uscivano dal .campo Latino per sopraffarsi a que’ che
venivano , il console romano era già passato innanzi colle fanciulle : e già
era alle porte degli alloggiamenti Tirreni quando fu sopraggiunte da’
persecutori. Si fe’ qui mischia fra loro, ma ben pre- sto fu nota a’ Tirreni ,
e ne corsero frettolosissimi in ajuto il figlio del re con de’ cavalieri , e la
schiera dei fanti che stava di guardia innanzi del campo. Sdegnatosi di ciò
Porsena convocò li Tir- reni > e narrò come essendo egli fatto giudice da’
Ro- mani di quello ond’ erano accusati da Tarquinio ; gli espulsi , e bene a ■
diritto , da loro , aveano tentato di violare, le persone sacre degli ambasciadori
e degli ostag- gi , in tempo di tregua , e prima che si decidesse la causa.
Dond’ è che i Tirreni assolvettero su di ogni richiamo i Romani , e togliendosi
all* amicizia di Ma- nilio e di Tarquinio , intimarono loro cb’ entro il pros*
rimo giorno si ritirassero. Così lì Tarquinj » pieni in principio di belle
speranze per 1’ ajuto de* Tirreni, o di essere di nuovo i tiranni di Roma, o di
ricuperare*! loro beni , perderono 1* uno e 1* altro per la offesa degli
ostaggi e degli ambasciatori , e partirono con infamia , e con odio dai campo.
Il re poi de* Tirreni facendosi condurre gli ostaggi dinanzi dei tribunale gli
rendette al console , dicendogli che pregiava la fedeltà de' Ro- mani più di
ogni ostaggio. R lodando Clelia , che avea persuaso le compagne di passare a
nuoto il fiume, come ne* suoi pensieri maggiore del sesso e della età , e feli*
citando Roma perchè allevava non pure de* valentuo* mini ma delle eroine ,
regalò la donzella di un cavallo generoso , e magniCcamente bardato. Sciolta
radunanza fe’ cogli ambasciatori de* Romani gli accordi e li giura- menti di
pace e di amicizia , e li onorò come ospiti , e restituì senza prezzo, perchè
li recassero in dono alla loro città , tutti li prigionieri , che eran pur
molti : or- dinò che rimanessero com* erano i padiglioni suoi, fatti non come
per breve durata su le terre altrui , ma fre- giati , quasi una città, con
private e pubbliche spese; quantunque i Tirreni dopo avervi alloggiato ,
usassero di. t noti serbarli. E fu
questo , se in danaro si .calcola , non picciolo dono pe* Romani , come lo di*
chiarò la vendita fattane da* questori dopo la partenza del re. Tal fu la fine
della guerra de’ Tirreni e di Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a
tanti Dopo la partenza de’ Tirreni adunatosi il Senato Romano decretò che si
mandasse a Porsena.il trono di avorio, lo scettro, il diadema e la veste trion-
fale colla quale i re si adornavano: e che Muzio , espo* stosi alla morte per
la patria, e cagione principalissima del termine della guerra , si premiasse a
spese del pub- blico ,> come già Orazio che resistè sul ponte, con tanto
terreno; di là dal Tevere, quanto poteane in un giorno solcare intorno coll’
aratro : e questo è il terreno che pur nel mio tempo si chiama il prato di
Muzio. Cosi fu decretato su gli uomini. Quanto a Clelia concede- rono che una
statua di metallo se le innalzasse , ed i , padri 'delle donzelle glie la
innalzarono nella via sacra,' dove mette al Foro : tifa noi non più ve l’
abbiamo tro- vata ; e dicesi che mancò per un incendio delle case d’intorno
(i). Fu quest’anno compiuto il tempio di Giove Capitolino, dei quale
partitamente abbiamo scritto nel libro antecedente. E Marco Orazio console lo
con- sacrò , e lo intitolò prima che potesse tornare Valerio il compagno ,
uscito per avventura dalla città coll’ esercito , per difenderne la campagna :
perocché Mamilio speden- dovi a far preda, assai vi danneggiava li coltivatori
éhe vi si erano di fresco l'icondótti , lasciate le fortezze. -E questo è ne’
fasti dèi terzo consolato. Spurio Largio e Tito Erniinio consoli del- l’anno'
quarto (2) io compierono senza guerra. Morì nel 1 • ; I • ■ • • (i| Plutarco
sclibenè poslèriore a Dionigi dice che la statua di Clelia esisteva aucora su
la via sacra là donde vasai isf e-asAttrter in palatiwn. Casaub. (3) Ad. 348
secondo Catone, e aSo secondo Vatrone dalla fuuda- sioue di Roma , e 5o4 avanti
Cristo] 149 loro consolato Aruote il 6glio di Porsena re de' Tirreni» Assediava
già da due anni , la città della Riccia , per- ché conchiusa appena 1’ alleanza
co’ Romani , prese dal padre metà dell’ esercito , e marciò contro quella città
per sottoporsela , e dominarvi. Ma essendo ornai per espugnarla , sopravvennero
a questa de’soccorsi da Anzio, . dal Tuscolo , e da Cuma della Campania. Egli
schierò le milizie sue' minori contro le più numerose: ma dopo respinti , dopo
incalzati gli altri 6no alla città , peri finalmente , vinto egli stesso dai
CumanI condotti dalr r Aristodemo , che Malaco si chiamava. Fuggi, non
sostennesi a tale caduta 1’ armata di lui. Molti ne ^ soc- comberono incalzati
da’ Cumaui ; ■ ma più ancot^ : sban- dati ; ridotti senz' arme , nè più Idonei
per le ferite a. fuga più lunga , ripararonsi nel territorio non lontano di
Roma. Se li menarono i Romani dalle .campagne' in citté^ nelle proprie case,
portandovene i più malconci a cavallo., o su carri, o su cocchi: e ciascuno a
proprie spese li nudrirono, e curarono, e ristorarongll con sol-, lecitudine
molto affettuosa. Di talché molti di loro le- gati da tanta benevolenza
desiderarono non di tornarsene in patria , ma di rimanersi fra tali benefattori
; ed il Senato assegnò loro perclié vi si fabbricasser le case , la valle tra
’l Palanteo , ed il Campidoglio, lunga presso a quattro stadj. Chiamasi questa
anch’ oggi nell’ idioma de' Romani la contrada Tirrena ; e vi si passa venendo
dal Foro al circo massimo. E per tali cortesi maniere ebbero dal re di quella
gente dono non lieve , e che assai li dilettava , la campagna di là dal fiume ,
ce- duta già da essi quando ne ottenner la pace. Cori iSó trìbuUroao agl’ Iddj
li sagnfiz) magoìBci che aveano già promesso co’ voti se ricuperavano mai li
sette pagi. Correa nell’ anno quinto dopo la espulsione dei re la Olimpiade
sessantesima nona , nella quale Iscomaco Crotoniate vinse allo stadio,
Acestoride fa 1* arconte di Atene per la seconda volta , e furono con- soli
Romani Marco Yalerìo , fratello di Valerio Popli- cola, e Publio Postumio ,
detto Tuberto (i). Arse nel loro consolato un’ altra guerra co’ vicini , la
quale co- minciò colle prede , e procedette a numerose e grandi battaglie :
finché cessò da indi a quattro consolati , dopo essersi nel tempo intermedio
sempre stato fra le arme. Imperocché alcuni Sabini considerando Roma indebolita
per gl’ incontri suoi co’ Tirreni , quasi non dovesse mai più ricuperare
l’antica dignità, ne assalirono , affin di predarli , e certo molto ne
danneggiarono , li coltiva- tori , i quali calavano di bel nuovo dai luoghi
forti alla campagna. I Romani prima di prendere le armi spedi* rono
ambasciadori a chiedere conto e soddisfazione, tal> ché non più molestassero
chi lavorava i terreni. Ma non ricevendone che orgogliose risposte , intimarono
ad essi la guerra. Valerio il console il piimo con truppe eque- stri e con
fiore di milizie leggere scorse tu que’ ruba- tori de’ campi , e grande fu la
uccisione de' sorpresi nri pascoli , sbandati , com’ è verisimile , nè provvidi
del venir de’ nemici. E spedendo i Sabini contr’essi un (i) An. a49 ài Rom.
ucondo Caioae, e aSi secondo Varronr, e &o3 «vanii Criaio, Digitized by
Google LiBno V. 1 5 1 esercito sotto un duce perito di guerra , i Romani usci*
rono di bel nuovo con tutte le forze , dirette da ambi li consoli. Postumio
mise il campo nelle alture prossime a Roma , pei'cbi uon vi si facesse una
subita irruzione da’ fuorusciti. Ma Valerio marciò di fronte al nemico iu riva
all’ Aniene , fiume che nella città di Tivoli casca da rupe altissima , e poi
corre , dividendoli fra loro , i campi de’ Romani e de’ Sabini , finché vago in
vista e dolce a beverne , scende nel Tevere. Erano i Sabini dall’ altra parte
del fiume non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte, e che poco a
poco degrada. In principio gli uni rispet- tando gli altri esitavano a passare
il fiume e farsi alle mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di beni, ma
rapiti dfiir ira e dall’ ardor di combattere , furono alle prese. Imperocché
venuti ad abbeverare i cavalli e far acqua , inoltraronsi molto entro il fiume
, vmile allon nel suo corso , perché non accresciuto dalle acque in* vernali :
e siccome bagnavali appena , poco più su delle ginocchia ; lo trapassarono.
Attaccatisi in su le prime pochi con pochi , ecco accorrere altri a difenderli
, ognuno dai proprj alloggiamenti , e via via sopraggiun- gerne di rinforzo ,
come questi o quelli erano superati. E quando i Romani respingevano i Sabini
dal fiume, e quando i Sabini ne toglievano l’uso ai Romani. E molti uccisi e
feritivi, ed eccitativisi tutti a combat- tere , come avviene nelle scaramucce
fortuite , sorse ar- dore eguale di passare il fiume ne’ duci stessi degli
eserciti. E primo passandolo il console Romano e con esso r armata sua , '
piombò su li Sabini. Non eransi questi ancora nè bene armati , uè schierati ;
pure non esitarono ad accettar la battaglia , inanimiti molto è spregianti ,
perchè non arcano a farla nè con ambi li consoli , nè con tutte le milizie
Romane , e slanciatisi , combatterono con furia di baldanza e di odj. Ardea rivissi ma la battaglia ; ma se 1’ ala
destra , or’ era Postnmio il console, superava gli avversar] ed avanzavasi ; la
sinistra ‘era travagliata e respinta al fiume. Or saputo ciò 1’ altro console
usci coll’ esercito suo : marciava egli pian piano colla fanteria , ma fe’
precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Se- niore , e console dell’
anno precedente. Andato costui di tutta briglia passò facilmente il fiume , che
non era guardato da alcuno , e giratosi attorno l ala destra dei toemici pigliò
di fianco la cavalleria de’ Sabini., Or qui sorse battaglia diuturna e grave di
cavalleria con caval- leria. Frattanto avvicinatosi anche Postumio co’ suoi
fanti a queU’ ala ed investitala , molti ne uccise , e molti ne disordinò : di
modo che se non sopravveniva la notte, i Sabini avviluppati da’ Romani che già
prevalevano, sa- rebbero stati del tutto disfatti : ma le ombre occultarono
qùei'che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi, e salvi si ricondussero
alle lor case. Impadronironsi i consoli senza combattervi de’ loro
alloggiamenti, abban- donati dalle guardie al veder quella fuga : ed occupa-
tevi molte suppellettili, e datele in preda all’esercito, *lo rimenarono in
patria. Cosi riavutasi Roma , allora la prima volta , da’ inali suoi co’
Tirreni , senti lo spirito antico , ardi come prima arrogarsi 1’ impero su’
vicini , decretò pe’ due 'consoli insieme un trionfo , e di più che si desse a
Valerio che era I’udo di questi, un sito nella parte- più distinta del
Pallanteo , dove gli si fon- dasse una casa a spese del pubblico. Questa è la
casa innanzi alla quale sta il toro di bronzo , e questa tra tutti i privati e
pubblici ediCzj è la sola che ha le porte che aperte si girano in fuori (i).
XL. Presero dopo questi il consolato Publio Valerio Poplicola per la quarta
volta , e Tito Lucrezio, di bel nuovo collega suo (a). Quest’ anno le città
Sabine, te- nuto un congresso comune, decretarono far guerra ai Romani , quasi
fosse finita 1’ alleanza loro , per essere caduto dal trono. Tarquinio a cui 1’
aveano giurata. Aveale indotte a ciò ,1’ uno de’ figli di Tarquinio, Sesto di
nome , il quale coll’ onorare e supplicarne i citta- dini primari di ognuna ,
metteva in tutte un animo per la guerra : anzi aveva a sé guadagnate, e
consociate a queste pur le due città Camcria e Fidene , ribellatele da’ Romani.
In contraccambio le città lo elessero gene- ralissimo loro con facoltà di
reclutare milizia da ognuna, come quelle che aveano perduta la prima battaglia
per la insufficienza delle forze , e del capitano. Ed in ciò si adoperavano
questi : ma la fortuna volendo contrap- pcsare i beni al mali di Roma , le
diede in luogo degli alleati che le si eranp tolti , un rinforzo , quale non
1(■) Tra i Greci era grande onarificenia aver le porte che ai apria- aero au.la
pubblica strada; e questa servitù della pubblica strada coiopcravasi a gran
presso: come è chiaro da ciò che si legge d’I- ficrate presso di Aristotele
negli Economici. (a|)'An. di Bom. aSo secondo Catone, e aSa secondo Varrone, e
5oa av. Cristo] imperava dal canto de’ nemici. Tito Claudio , un Sid>mo
domiciliato a Regillu , nobile e denaroso , fuggissene in seno di lei menando
con sé gran parentado , ed amici e clienti in copia , i quali spatriavano con
le famiglie ; tanto che tra, questi ce ne avea cinque mila buoni per le arme. E
questa dicesi la cagion cbe lo spinse a tra» sferire in Roma la sede. I primar)
delle città più cospi- cue alienatisi da lui -lo aveano incolpato di poca affe-
zione verso il pubblico bene , citandolo qual traditore ; come r unico che mal
soffriva la guerra , e che avea ripugnato in consiglio a quei che voleano
sciolta 1’ al- leanza , nè permise che i suoi cittadini AtiGcassero il decreto
degli altri. Or temendo egli un giudizio , ove le non sue città
sentenzierebbero della sua sorte , rac- colse le sue robe , e gli amici , e si
congiunse ai Ro- mani , non senza picciolo sbilancio degli affari ; talché
parve a tutti la cagion principale dell’ esito propizio della guerra. Per tanto
il Senato ed il popolo lo ascris- sero tra’ patrizj , lasciandogli in città
quanto sito volle per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra
Fidene e Picenza perchè li • compartisse co’ suoi com- pagni , da’ quali
risultò poi la tribù Claudia che ancora tiene quel nome. Apparecchiatasi
appuntp l’ una e 1’ altra parte, li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero
due ac- campamenti , r uno all’ aere aperto non lungi da F ide- ne, r altro in
Fidene a difesa del popolo , come in ri- fugio dell’ esercito esterno in caso di
sciagura. I consoli Romani al sapere la venuta de’ Sabini contra loro ,• usci-
rono anch’ essi con floride scltiere , e presero campo , separati T ano dall'
altro , Valerio a fronte degli allog» ' giatnenti sabini all’ aere aperto , e
Lncreaio poco più di sopra , in un* altura donde potea vedere l’ armata com- .
pagna. Era disegno de’ Romani di venire quanto prima a giornata per decidere
subitamente , e visibilmente la guerra. Ma' il capitano Sabino temendo di
attaccare in pieno giorno la baldanza e la robustezza romana, sem- pre ferma ,
contro ai casi anche più duri , deliberò di investirla di notte. Quindi facendo
preparare quanto era necessari a riempire le fosse , e trascendere il vailo ,
quando ebbe pronto tutto, voleva tor seco il 6or deU r esercito , ed assalire
nel primo sonno le trincee de’Ro* mani. Su tal disegno avea fatto intendere
all’ armata di Fidene che quando si avvedessero del giunger suo ve- nissero
anch’ essi dalla città , ma con armi leggere : ed avea posto in luoghi opportuni
gli agguati con ordine, che se andavano dei rinforzi a Valerio dall’altro
campo, uscissero loro alle spalle e gli assaltassero fra strepito di voci e di
arme. Sesto con tale risoluzione, istruitine e trovativi pronti li centurioni ,
non aspettava che la opporiobità. Ma un suo disertore venuto al campo ro- mano
disse di quella trama al console. Giunsero non molto dopo i cavalieri con dei
Sabini che usciti a far legna furono presi. Interrogati questi separatamente
c/te mai preparasse il lor capo , risposero , che scale e ponti : ma che dove ,
o quando fosse per valersene , non lo sapeano. Valerio ciò udendo spedi Marco
al- r altra armata per divisare a Lucrezio che vi comandava r animo dei nemici
, e come si dovessero questi assalire. Poi chiamando egli stesso tribuni e
centurioni, dicendo quanto avea raccolto dal disertore , e da’ prigionieri ;
confortandoli ad esser magnanimi , e credere cb’ era giunto alfine il tempo
sospirato onde prendere' su’ ne» mici una luminosa vendetta ; prescrisse
ciocché doves- sero fare , diede i segni , e rinviò ciascuno alla sua schiera.,
XLII. Non era ancora la notte a mezzo , quando il duce Sabino fatti levare i
soldati , ne condusse il fiore al campo romano , imponendo, a tutti che ,
taciti, avan- zassero senza strepito di arme ; perchè i nemici non si avvedessero
di loro prima che fossero giunti. Or come i primi a procedere furono vicini al
campo, nè videro ivi lume di fuochi , nè voci vi udirono di sentinelle , assai
riprendeano di stoltezza i Romani , quasi tralasciata ogni gtiardia , se la
dormissero : c già riempiute le fosse in gran parte , le passavano senza
ostacolo alcuno. I Romani però si teneano , non veduti si per le tenebre, ma
schierati nello spazio tra i valli e le fosse, e quando chi le passava era loro
alle mani, uccidevanlo. Rimase alcun tempo occulta la rovina di chi precedeva a
quei, che seguivano. Ma non si tosto quei eh' erano vicini alle iosse videro
col chiarore della luna che nasceva, i mucchi incontro de’ cadaveri de’
compagni , e le schiere valide de’ nemici che resistevano; gettarono le armi, e
fuggirono. Allora alzato i Romani un altissimo- grido , perchè quel grido era
segno all’ altra armata, corsero in folla su loro. Lucrezio a quei clamori,
spediti su- bito 1 cavalieri per ispiare se ci aveàno insidie nemi- che , si
mosse indi a poco egli stesso col fiore della fanteria. Imbattutisi i cavalieri
con gli usciti da Fidene per insidiare , li fugarono: ma la fanteria
perseguitava) ed uccidevali , : ornai disordinati e sena’ arme , quelli che
erano venuti ad assalire il campo romano^ Morirono in teli òombaltimenti circa
tredici mila tra Sabini ed al* leali, rimanendone prigionieri! quattro mila
dugento: ed il campo loro fu preso nel giorno medesimo. la stoltezza , e chia- mandoli degni di morte
quanti ve ne erano , giacché nè erano grati pe’ beneGzj , nè faceano senno pe’
mali ; ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi vi uccisero i
più cospicui per nobiltà. Quanto agli altri lasciarono che albergassero come
prima , ponendo a coa- bitare con. essi la guarnigione che era decretata dal
Se- nato , e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo ciò ritirarono le
truppe dalle teiTe nemiche ,■> e trionfa- «• rono secondo il decreto del
Senato. E tali furono le geste di , questo consolalo. Creato consolo Publio
Postumio Tuberto per la seconda volta , e con esso Menenio Agrippa Lana- to (i)
, fecesi ma con piu schiere la tersa Irmzione dei Sabini prima che i Romani se
n avvedessero, e pro> cedette 6n presso le mura di Roma, Risultarono da
questa molte uccisioni non solo di agricoltori romani , colti repentinamente da
nembo che non aspettavtno prima di ricoverarsi ne’ castelli vicini , ma di
quelli eziandio che in città dimoravano. Imperocché Postumio il console
riputando insopportabile quella ingiuria; uscì di tutta fretta , con truppe
comunque per soccorrere i suoi , pih animoso in vero che savio. I Sabini ,
visto con quanto dispregio , disordinati , e sbandati si avan- zassero verso
loro , e latto disegno di ampliarne ancor più la negligenza , partirono con
marcia più che ordir naria , quasi fuggissero addietro , finché giunsero ad una
selva profonda ove il resto celavasi delle loro milizie. Or qui voltando faccia
contrastettero a chi gl'inseguiva; ^ come pure gli occultati nel bosco ne
uscirono , vocife- rando. Ed essendo essi in buon ordine e molti , pro- stesero
gli altri che combattevano disordinati , sbandati , ansanti per lo viaggio ; e
rinchiusero in una pendice deserta quanti ne fuggirono , con preoccupare le vie
che menavano a Roma. E perocché già la luce era mancata ; posero le arme presso
di quésti invigilandoli tutta la notte , sicché taciti non s’ involassero.
Saputosi in città r informnio , vi fu gran turbamento , e concorso * ai muri,
e. timor comune, che i nemici trasportati, dal successo propizio , si
presentassero in quella notte a (i) An. di Rom. aSi secoado CaioDe, a53 secondo
Varrone, e Sol av. Crino. . 1 5g Roma: e là com piange vans! i morti; qua »i
commise- ravano li sopra vanzatt , come quelli che 'se nop erano immaniineote
soccorsi , caderebbero prigionieri per la penuria. Passatasi con tanto mal' in
cuore senza sonno la notte, Menenio , nato il giorno , armò li più floridi per
anni , e li guidò ben forniti e con ordine a liberare gli assediali nel monte.
I Sabini al vedere che ti avan> cavano non li aspettarono ; e tolto il campo
si ritira- rono , pensando che bastassero loro i vantaggi presenti: e senza
indugiarsi gran tempo , tornarono festeggiando alle patrie , ricchi di bestiami
, di schiavi , di danari. XLV. Rattristati i Romani dal danno , e credendolo
causato da Postumio il console ; deliberarono di mar> ciane sollecitamente
con tutte le forze contro la Sabina, desiderosi di rifarsi della perdita
inaspettata ' e turpe j molto più che assaissimo gli aveva esulcerati 1’ amba-
sceria recente e contumeliosa e superba colla quale i nemici , come già
vincitori , e prenditori senza contrasto di Roma se non erano ubbiditi ,
comandav.vno che ren- dessero ai Tarqninj la patria, cedessero ai vincitori r
imperio , e stabilissero il goverho e le leggi , come sarebbero ordinate da
questi. Aveano i Romani replicato a tali messaggi , che annunziassero alle loro
comuni che i Romani comandavano ai Sabini , di deporre le armi, di sottomettere
le loro città , di ubbidire ,come per addietro , e ciò fatto di venir
supplichevoli per iscusarsi dalle ingiustizie e da’ mali onde gli aveano violati
nelle incursioni passate , se voleano pace ed amici- zia : ma se ricusa vansi a
tanto, aspettassero tra non molto la guerra su le loro città. Cosi comandando e
comandati a vicenda, quando ebbero tutto in pronto ; uscirono per la guerra.
Conducevano i Sabini il -fiore de’ giovani di ogni città con arme bellissime :
e li Ro- mani tutta la milizia urbana e le guarnigioni , conce- pendo che i
domestici e li schiavi , e quanti superavano ^ la età militare, bastassero in
difesa di Roma e dei ca- stelli della campagna. Cosi concentrati si accamparono
ambedue con breve intervallo fra loro non lungi da Ereto , città de’ Sabini. Come
gli uni sepper degli altri o per con~ gettura dall’ampiezza degli
alloggiamenti, o per ciò che ne udivano da’ prigionieri ; si eccitò ne’ Sabini
confi* denza e disprezzo inverso la scarsezza degl' inimici ; ma timore ne’
Romani per la moltitudine di essi. Pur fe- pero cuo^e , e pigliarono qualche
speranza su la vittoria pe’ segni mandati loro dal cielo, e per 1’ ultima
visione , quando erano 'per ischierarsi , che fu questa : Su le punte dei
lanciotti (sono queste le armi che i Romani scagliano nel farsi alle mani;
bastoni grossi che ti em- pion le mani , e lunghi , con ferrei spuntoni nell’
uno e nell’ altro estremo , diritti , nè minori di tre piedi , tanto che le
armi , compresovi il ferro , somigliano ad aste mezzane ) su le ferree ponte di
. questi lanciotti , piantati tra padiglioni , brillarono delle fiamme ; talché
per tutto il campo fu luce continua come di accesi fa- nali , gran tempo delia
notte. Ora come gli auguri - di- chiaravano ( nè già era difficile intenderlo )
, concepirono che gli Dei con tal visione annunziassero loro una sol- lecita e
luminosa vittoria : imperocché tutto cede al fuoco , nè cosa vi è che per esso
non consumisi. E _ Dpercfac le fiamme brillarono su le armi loro; uscirono con
assai fiducia dalle trinciere , e nell’ estero di tale fi* ducia , attaccatisi
combatterono , sebbene di tanto mi- nori , co' Sabini. La sperienza eh’ era in
essi col vivo amor dei travagli , elevava li a spregiare ogni pericolo.
Postumio il primo ebe guidava 1’ ala sinistra , inteso a riparare la passata
disfalla urtò 1’ ala destra de’ nemici , non curando la vita per la vittoria :
e come chi rapito è da furore , e fermo per ogni via di morire, si lanciò nel
mezzo di essi. Allora i soldati i quali erano nell’ al* tr’ ala con Menenio
ornai stanchi , ornai cacciati di po* sto , al conoscere che que’ di Postumio
prevalevano su gli emoli , rimbaldanzirono e turbinaronsi su gli avver- sar]
loro. Cosi piegò 1’ una e 1’ altr’ ala de' Sabini , e diedesi pienamente alla
fuga. E dopo la perdita delle ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro
per* sislerono , ma forzati dalla cavalleria Romana che gli assaliva si misero
in volta. Tutti al proprio alloggia- mento si riparavano , ma i Romani seguendo
e inve- stendo , ne invasero 1’ uno e 1’ altro. C se l’esercito ne* mico non fu
totalmente distrutto , ne fu cagione la notte ed il luogo della sconfitta , che
era nella Sabina. Impe- rocché per la perizia de’ siti chi fuggiva salvavasi in
casa più facilmente di quello che lo potesse , per la imperizia sua ,
sorprendere chi 1’ inseguiva. Nel prossimo giorno i consoli , bruciati i ca-
daveri dei loro , e raccolte le spoglie , e tra queste le armi abbandonate dai
vivi nel fuggire, e trasportando seco non pochi fatti prigionieri, c le robe
invase' (non compresevi quelle tolte da’ soldati ) colla pubblica vendita delle
quali cose ogaaao riebbe i prestiti , contri'* baiti per la spedizione ;
tornarono con una luminosa vittoria nella patria. Quindi per decreto del Senato
Tubo e r altro ne trionfarono ; Menenio col trionfo primario sedendo su regio
carro, Postumio col secondario, e men grandioso , che chiamano della ovazione ,
altera'- tone il nome che era greco, sicché più non distin- guesi (i).
Conciossiaché per quanto io ne concepisco o ne trovo in molli degli storici
Romani questo trionfo chiamavasi nelle origini Evezione da ciò che vi si pra-
ticava : ed il Senato , come Licinio racconta , ora per la prima volta ne ideò
la pompa. Differisce quest’ onor secondario dall’ altro, primieramente perchè
chi sei gode, entra la dttà colle schiere a piedi e non sul carro come in
quello: e poi , perchè non porta come l’altro la toga contraddistinta pe’
ricami varj e per l’oro ; nè la corona pur di oro; ma la toga candida
contornata di porpora, la quale è l’ abito nazionale de’ comandanti e de’ con-
soli , e la corona di alloro (a) : e se tien le altre cose ; in questo cede al
primo trionfante , che noU va collo sceturo. Postumio poi , sebbene più che
altri segnalato (i) OTaxione tu detta originalmente evatio ; qnindi % !a voce
di Virgilio I. 6. Ea. Evantes orgia circum ducehat Phrygias. Questo ovari era
dal greco tva^nt il qnale esprimeva le accismasioni fotte con dire s«s lasserò
Tarquinio , Mamilio , gli Aricini , e cbiunqae davasi per accusatore di quella
, iìuchè uditili tutti , seu- tenziarono essere stata l’alleanza rotta dai
Romani; e fecero intendere a Valerio che col suo tempo discute- rebbero come
aveano a vendicarsi di loro che aveano i diritti calpestati del sangue. In
mezzo a tali vicende congiurarono molti servi d’ invadere i luoghi riguarde-
voli di Roma , e d’ incendiarla in più parti. Se non che datone indizio da’
complici , ne furono ben tosto chiuse le porte dai consoli , e preoccupati i
siti forti dai ca- valieri. Allora quaiiU erano denunziati partecipi della
congiura presi immantinente tra i domestici , o portati dalla campagna ,
perirono tutti , battuti , tormentati , crociGssi. E tali sono le cose operate
in quel con- solato. Sotlentrati a tal dignità Servio ^ Sulpizio Came- rino , e
Manio Tullio Longo (i), alcuni di Fidene con* vooando de’ soldati dal popolo
de’ Tarquiniesi occupa- rono il castello di essa , e parte uccidendo , parte
esi* liando quelli che si opponevano , ribellarono di nuovo Fidene ai Romani.
Venutivi degli ambasciadori da Ro- ma, erano per malmenarli come nemici: ma
contenutine da’ seniori , gii esclusero dalla città senza udir nè ri- spondere.
Il Senato quando seppe tali cose' non voleva ancor far guerra co’ Latini ,
perchè aveva udito che non a tutti piaceano le risoluzioni del congresso , che
i po- ti) An. di Roma 354 secondo Catone, aS 6 secondo Varrone, a 498 STtnli
Cristo] poli ia ogni città vi si ricusavano , e perchè certo di- ceansi più
quelli che voleano mantenere 1’ alleanza , che gli altri i quali sciogliere la
voleano. Pertanto decretò che Manio un de’ consoli marciasse con armata
poderosa contro Fidene: e questi, depredatane impunissimamente la campagna
senza che niuno gli si opponesse , ne andò coir esercito fin sotto le mura , e
provvide che non più vettovaglie vi s’ introducessero , nè armi , nè soccorso
niuno. Ridottisi i Fidenati a guardare le mura , spedi- rono alle città de’
Latini per implorarne solleciti ajuti. Convocarono i capi di quelle un
congresso comune di tutte : e datavi di bel nuovo facoltà di parlare ai Tar-
quinj come agli altri che venivano dagli assediati, invi- tarono i consiglieri
, cominciando da’ seniori e più co- spicui , a djcbiarare il lor voto , e come
aveasi a far guerra ai Romani. Dicendovisi molte cose , e prima su la guerra se
dovesse ratificarsi , i più torbidi fra i con- siglieri insistevano perchè si
riconducesse Tarquìnio al trono , e sì volasse in soccorso di Fidene. Essi
miravano con questo ad ottenere cariche di comando militare , e mescersi ai
grandi affari ; e quelli vi miravano soprat- tutto , i quali cercavano in
patria preminenza , e tiran- nide , lusingati che avrebbero ad essi ciò
procacciato i Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i più agiati e miti ( ed
eran questi i più accreditati nel popolo ) chie- deano che si stesse ai patti ,
non si corresse ciecamente alle armi. Respinti quei che brigavansi per la
guerra dai consiglieri di pace , persuasero all’ adunanza che mandasse almeno
oratori a Roma perchè la pregassero, ed esortassero a ricevere i Tarquinj e gli
altri fuoruscili senza pena e senza memoria d’ Ingiurie : giurasse que» ' sto ,
e si governasse poi di suo modo. Ritirasse però r armata da Fidene ; non
potendo essi guardare con Indifferenza che i parenti ed amici loro si
spogliassero della patria.' Ma se ricusasse far 1’ una e l’altra di que- ste
cose , le s’ intimasse , che deciderebbonsi per la guerra. Non ignoravano
costoro che Roma non pieghe* rebbesi nè all’ una nè all’ altra dimanda : ma
cercavano pretesti decorosi onde romperla , sperando Intanto di rendersi col tempo
e colla buona grazia benevoli i loro contrarj. Concluso questo , fissarono un
anno , ai Ro- mani per deliberarsi , come a sè per apparecchiarsi : e nominati
gli ambasciadori come parve ai Tarquinj; sciol* sero r adunanza. Separatisi i
Latini , ognuno per la sua patria , Mamilio e Tarquinlo vedendo che i popoli
propende- vano alla pacej deposero le speranze che aveano su loro come istabili
in tutto. E cangialo consiglio si rivolsero a mettere in Roma stessa una guerra
interna , nè pre- veduta , svegliandovi sedizione tra’ ricchi e tra’ poveri.
Imperocché già disunita vi si era , nè più riguardava al ben pubblico una gran
parte del popolo, quella princi- palmente dei bisognosi e degli oppressi dai
debiti; e ciò appunto per 'gli usura) che non usavano moderazione ne’ crediti ,
ma fin carceravano e malmenavano i debi- tori come schiavi comperati. Su tale
notizia spedì Tar- quinio a Roma Insieme co’ messaggeri latini persone non
sospette con oro. Intramettendosi questi co’ poveri e coi baldanzosi , e parte
dando , e parte promettendo se ivi il re sen tornasse; aveano subornato
moltissimi. Àdunque fecesi contro i3e’ potenti una congtnra de’ poveri ingenui
, e de’ servi màlvagi , i quali stimolati dal desi- derio di esser liberi , e
disamoratisi de’ padroni perchè aveano punito nell’ anno antecedente i loro
conservi , gl’ insidiavano. Ed essendo malcreduti e sospetti , come se venutone
il tempo essi pure gli assalirebbero ; con piacere si diedero a chi gl’
invitava. Il disegno poi della congiura era tale. Doveano i capi di essa
occupare in una notte senza luna i luoghi eminenti e forti della città ; gli
altri poi come intenderebbero dai gridi che gitteriano , aver loro già preso
que’ siti opportuni , do- veano uccidere tra ’l sonno i proprj padroni ,
saccheg- giare le case doviziose, e spalancare ai tiranni le porte. Ma la
providenaa celeste la quale in ogni tempo ha salvato , e salva tuttavia Roma y
fe’ traspirare i di- segni al consolo Sulpizio. À lui ne diedero indizio due
già propensi a Tarquinio, anzi principalissimi nella con> giura , Publio e
Marco fratelli , della città di Laurento necessitati da impulso divino.
Imperocché si presenta- rono loro tra’l sonno visioni spaventevoli,
minacciandolt di pena gravissima , se non si chetavano e toglievansi dall’
impresa. E già parca loro che i rei genj gl’ incal- sassero, li battessero, e
sterpassero loro gli occhi, col- mandoli di altri mali terribili. Dond’ è che
spaventati e tremanti destaronsi , nè più poterono pel turbamento aver calma
nel sonno. E su le prime per togliei'si ai genj rei che li conculcavano ,
tentarono i sagrifizj di propiziazione co’ quali si allontanano i mali. Non
traen> done però niun frutto , si rivolsero alla divinazione : e celando lì
disegni, perchè non eran da dirsi, cercarono solamente d’intendere se tempo
fosse da compiere cioc' chè volevano. Ma rispondendo l’oracolo eh’ essi teneano
via di delitto e di perdizione , e che se non mntavan proposito, ne perirebbero
infamissimamente; investiti dal timore che altri non li prevenisse nel portare
in luce l’arcano, lo indicarono essi medesimi al consolo che in città si
trovava. Costui lodatili , con promessa grande ancora di beneficarli se il dir
loro a’ fatti corrispondesse; li ritenne ambedue presso di sè y tacendone con
chiun- que. Allora introdotti in Senato i deputali latini , tenuti a bada fino
a quel giorno per la risposta, disse di con- certo co' padri : amici , compagni
, andate , riferite al comun dei Latini che il popolo di Roma non condi- scese
prima il ritorno al tiranno su le istanze dei Tdrguiniesi , nè punto appresso
vi si commosse irt forza di tutti i Tirreni che ciò domandavano, e gui- dati da
Porsena ci portavano la pià orribile delle guerre; ma che seppe vedere i suoi
campi manomessi, ed arsivi li casolari , e perfino ridursi a difendere le sole
sue mura per esser libero , e non comandato a fare ciò che non vuole. Dite ,
che meravigliati ci sia^ mo che sapendo voi ciò , siale venuti a comandarci che
ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dall assedio di Fidene , con intimarci
la guerra se ricusassimo. Cessino di opporci ornai più tali pretesti, fiacchi,
im- persuasibili, di nimicitia. Nondimeno se vogliono per questo scindersi
dalla nostra alleanza e far guerra , più non s’ indugino. Data tale risposta
agli ambasciadori , ed accom- pagnatili per significazione di onore fuori della
città , poi disse in Senato delia occulta cospirazione ciocché aveane appreso
dai delatori : ed avutane autorità piena d’ investigare L complici , e trovarli
, e punirli , non tenne già mezzi orgogliosi e tirannici , come un altro
ridotto a tale necessità gli avrebbe tenuti, ma si rivolse a mezzi ragionati ,
salutevoli , e convenienti al governo d' allora. Imperocché non deliberò che i
satelliti snoi svellessero per le case i cittadini dall’ amplesso delle mogli ,
de’ figli , e de’ padri , e li traessero a morte ; considerando quanta pietà ne
sarebbe tra gli attinenti nel distacco de’ cari lor pegni , e temendo che
alcuni , disperatisi , corressero alle arme , e si necessitassero ai male a
costo di sangue civile. Non deliberò che si eri- gessero de’uribunali contro di
essi; riflettendo come tutti negherebbero , e come non avrebbero i giudici
argo- menti incontrastabili e saldi , ma semplici denunzie , e colle quali , se
credeansi , dovrebbero sentwaziare la morte de’ cittadini. Ma per sorprendere i
novatori ideò tal metodo , per cui li capi si adunassero prima spon- taneamente
in un luogo , e quindi arrestati vi fossero per argomenti indubitabili , che
non lasciavano mezzo a discolpe : ideò che fosse questo luogo di unione non una
solitudine , o ritiro , dove pochi osservassero , e convincessero; ma il Foro,
talché scoperti alla presenza di tutti ne fossero in proporzione puniti , nè
sorgesse in città turbamento nè sollevazione degli altri , come suole ne’
castigi de’ congiurati , massimamente in tempi pericolosi. Forse un altro,
quasi poco sia bisogno di pre- cisione in tai cose, penserà che basti dir
sommarianieute che arrestò tutti i complici de’ maneggi secreti , e gli uccise;
ma io riputando degna che ricordisi la maniera onde furono presi, ho risoluto
non tralasciarla; percioc- ché giudico che non basti all’ utile di chi legge le
storie conoscere il termine solo de' fatti, (piando brama piut- tosto ognuno
che gli si espongane le cagioni , le guise delle operaxioni , i pensieri di chi
praticavate, e come i Numi li favorissero ; nè gli si taciano le conseguenze
che per natura vi si congiungono. Molto più ch’io vedo essere tali cognizioni
necessarie agli uomini di Stato , perchè abbiano d^lì esempj co’ (piali
dirigersi ne’ varj casi. Or questa fu la maniera ideata dal console per
l’arresto de’ congiurati. Chiamati i più validi de’ senatori ordinò che al
segno convenuto occupassero in città con seguito di amici e di parenti i luoghi
forti ne’ (piali per avventura abitavano : istruì poi li cavalieri a tenersi
ar- mati nelL' case più acconcie intorno del Foro, e com- piere ciocché sarebbe
lor comandato. E perchè nella presa de’ cittadini i loro fautori non si
elevassero , nè ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse al console che
assediava Fideoe , perché al far della notte mar- ciasse col fior dell’
esercito alla volta di Roma , e lo accampasse nelle alture intorno de’ muri. Ciò
preparato; impose ai delatori che venissero circa la mezza notte nei Foro ai
capi de’ congiurati con i compagni loro più fidi come a ricevervi 1’ ordine ,
il posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno ciocché avrebbe egli a
fare. Or ciò appunto si fece. E poiché tutti questi si furono accolli nel Foro;
imman- tinente al darsene di un segno arcano per essi, i luoghi foni farooo
pieni di uomini , armatisi per la patria ; e r intorno del F oro fu guardato
da’ cavalieri , sen.ia che via vi lasciassero per chi volea ritirarsene.
Intanto Manio r altro console si presentò coll’ armata in campo Marzo. Nato
appena il giorno i consoli , cinti da uomini di arme , recaronsi ai tribunali ,
e fecero che i banditori ~ invitassero pe’ quadrivi il popolo a parlamento.
Concorsa la moltitudine , le rivelano il maneggio sul ritorno del tiranno, e le
presentano i delatori. Quindi concedendo che si difendesse chiunque volea per
ambigua 1’ accusa, nè volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal Foro in
Senato per chiedervene la sentenza dai padri: e presa e scrittavela ; tornati
al popolo gliela pubblica- rono, e tale ne era il tenore. Si desse ai due
denun- ziatori la cittadinanza , e dieci mila dramme di ar- gento a testa, e
venti jugeri de’ terreni del pubblico ^ e se così ne paresse al popolo si
prendessero i com- plici della congiura , e si uccidessero. E ratificando il
popolo quel decreto, ordinarono che uscissero dal Foro quanti vi erano per 1’
adunanza : e chiamati i littori colle arme , intimarono che dessero morte a
tutti li congiurati : e quelli , circondandoli ; appunto ov’ eran già chiusi ,
trucidarono li colpevoli. Uccisi questi , non che ammettere le incolpazioni su
degli altri partecipi , ne assolvettero qualunque era salvo ancora dal suppli-
zio ; e ciò per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi finirono quei che aveano
macchinata la congiura. Ap- presso il Senato ordinò che tutti si purificassero
per essere stati ridotti a sentenziare la morte de’ conci ttadini : nè
concedersi loro d’intervenire alle sante cose ed ai sagrifizj , prima di
esserne rendati mondi e tersi colle espiazioni consuete. E poiché da quei che
dirigono le cose divine , a norma delle leggi della patria fu com- piuto quanto
ricercavasi per sanliGcarli , decretò che ia rendimento di grazie si facessero
sagriGcj e giuochi agonali per tre giorni. In questi giuochi sacri e deno-
minati di Roma Mauio Tullio 1’ uno de’ consoli caduto tra la pompa dal carro
sacro nei circo , ne mori da indi a tre giorni : e perchè poco rimaneva dell’
an- no , Sulpizio tenne in questo tempo il consolato senza collega. Furono
designati consoli per l’anno seguente Publio Veturio , e Publio Ebuzio Elva
(i). E di questi Ebuzio fu incaricato delle cose politiche le quali sem-
bravano abbisognare di cure non tenui, perchè i poveri non facesservi
mutamento. Veturio poi menando seco metà dell! esercito , devastò le campagne
de’ Fidenati senza che ninno gli ostasse : e postosi all’ assedio della città,
davate assalti continui. Ma non potendola espu- gnare con questi , la cinse di
vallo intorno e di fosse per sottometterla colla fame. E già ne eran gli
abitanti nelle angustie , quando venne un soccorso di Latini spedito da Sesto
Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre cose utili per ia guerra. Cosi
ringagliarditi osarono uscire dalla città con forze non piccole , e mettersi in
campo aperto. Allora non più giovò pe’ Romani la cir« convallazione ; ma parve
che vi bisognasse una battaglia. Diedesi questa vicino alla città ; pendendone
qualche (i) Ad. di Roma aS5 secondo Catone , 357 secondo Varrone , s 4 o 7 av.
Cristo. . l'jj tempo dopo l’ esito incerto. Infine , quantunque più co- piosi
di numero , sopraiTatti i Fidenati dalla fermezza Romana ne’ travagli ,
acquistata col molto esercizio, fu> rono ridotti alla foga. Non fu la strage
loro copiosa , per essersi tra non molt^ ritornati in città mentre gli altri
respingevano dalle mura chi gl’ incalzava. Dissipa- tesi dopo ciò le truppe
ausiliarie sen partirono senza avere punto giovato gli assediati ; e la città
ricadde ne’ mali e nella penuria di prima. Intanto Sesto Tar- quinio marciò con
un armata Latina sopra di Segni do- minata da’ Romani come per occuparla a
prira’ impeto^ Ma resistendogli da entro generosissimamente , tentò di
stringerli ad abbandonarla almeno per la fame. Se non che spesovi gran tempo
senza opera niuna degna di ri- cordanza , e giunte vettovaglie e rinforzi dal
canto ? dei consoli ; ne perde la speranza ; e ritirandone 1’ armata , ne
sciolse l' assedio. > • LIX. Nell’ anno seguente i Romani elessero consoli
Tito Largio Flavo e Quinto delio Sicolo. delio , dolce per indole e popolare ,
fu messo dal Senato con metà dell’ armata su le cose politiche per vegliare
contro dei novatori: Largio ordinate milizie e stromenti da impren- der gli
assedj , parti per la guerra co’ Fidenati (i); E spossatili colla diuturnità
dell’ assedio , e col disagio di ogni cosa , desolavali ognora più , minando i
muri , ei^ gendo terrapieni , avvicinando macchine, nè lasciando di e notte di
stringerli , tanto che sen prometteva in breve il t. I i (i) All. >li Roma
lS6 secondo Catone, aSR eecondo Varroue , • /Jg6 avanti Cristo] di espugnarli.
Né le città Latine, su le quali contando ì Fidenati trovavansi in guerra ,
potevano ornai più sal- varli. Imperocché niuna città bastava sola da sé per
li- berarli dall' assedio: nè le forze comuni di tutte si erano riunite ancora
: ma li capi del|e città Latine a’ frequenti messaggi de’ Fidenati rispondeano
sempre di un modo , cioè che presto giungerebbe loro il soccorso: non però mai
nino fatto moveasi pronto su le promesse , né le speranze scintillavano più in
là delie parole. Nondimeno i Fidenati non diffidavano in tutto de’ Latini: ma
per- sistevano su la espettazione di essi affronte di tutti i mali ,
sopialtutto della fame , la quale facea senza com- battere strazio grande degli
uomini. Spedirono , è vero, alfine come stanchi da’ mali a chiedere al console
tregua di un numero certo di giorni per deliberare intanto su la pace co’
Romani , e sui modi onde riordinarla. In realtà però ciò non cbiedeano per
deliberare , ma per fornirsi di compagni di arme, come alcuni diser- tati di
fresco da essi indicarono , giaoché nella notte innanzi aveano spedito i
cittadini loro più cospicui , e più validi tra’ Latini , perchè iu forma di
oratori sup- pbcassero quel popolo. Largio , ciò saputo , ingiunse agli ora
tori che deponessero le armi e spalancassero le porte, e poi fa- vellasser di
tregua : iu altro modo non pace , non armi- stizio , non moderazione , non
umanità presumessero dai Romani. Frattanto provvide che gli ambasciadori
deputati ai Latini . non rientrassero in città ; preoccupando con guardie
rigorosissime le vie che vi conducevario. Tal che diffidatisi gli assediati di
un ajuto qualunque degli alleali si videro astretti a pregar veramente
l’iaimico. B riunitisi , conohiusero di soiTrire la pace , comunque il
vincitore la desse. Altronde il console ( tanto i costumi de’ capitani di que’
tempi respiravano 1’ amor della pa> tria , e tanto erano lontani dalle
maniere tiranniche che pochi san fuggire de’ capitani presenti , invaniti dal C
0 i mando I ) il console sebbene prendesse la città niente vi permutò di voler
suo : ma fattala deporre le armi , e presidiatala , conducendosi a Roma e convocando
il 3^ nato , lasciò che esso ne deliberasse. Lieti i Padri del rispetto del
valentuomo verso loro dichiararono che i più nobili dj Fidene secondo che il
console li giudi» - casse capi della ribellione , si battessero colle verghe ,
e ei decapitassero : su gli altri poi disponesse egli stesso come glien
parrebbe. Largio divenuto 1’ arbitro di tutti sparse in vista del pubblico il
sangue, e confiscò li beni di alcuni pochi accusati dal partito contrarlo; ma
con- cedè che gli altri ritenessero la patria e le robe loro , e solamente ne
dimezzò le campagne , poi dispensate a sorte tra’ Romani lasciati in guardia
della fortezza. Alfine dopo ciò ricondusse in casa 1’ esercito. LXI. Risaputasi
fra’ Latini la espugnazione di Fidene, ogni città ne fu sospesa e tremante , e
mal soddisfatta de' capi suoi ; come tradito avessero li confederati. C fattosi
consiglio in Ferentino, quei che persuadevano la guerra , assai vi accusarono
gli altri che la dissuadevano. Erano de’ primi Tarqulnìo , e Mamilio il genero
di lui e li capi tra gli Aricini. Rapiti dal dir loro, quanti erano i Latini,
vollero generalmente la guerra contro de' Ro- mani , e diedero scambievole
giuramento , che tiiuua l8o città tradirebbe il comune , nè farebbe pace sema
il consenso delie altre decretando : che qualunque non os-> servasse i patti
decadesse dalla lega alla esecrazione e nimicizia di tutti. Sottoscrissero e
giurarono questi patti i deputati degli Àrdeati , degli Aricini , dei Boiaiani
, dei Bubentani , dei Coresi , dei Corventani , dei Gabj , dei Lavrentini , de'
Laviniesi , dei Labiniani , de' Labi- cani , de' Nomentani , de' Moreani , de'
Prenestini , de' Pedani , dei Querquetulani , de' Satricesi , de' Scap- tini ,
de’ Sezzesi , de' Teliini, de' Tiburtini , de'. Tu- scolani , de' Tolerini ,
de' Trienni , de' Veliterni (i). Doveansi scegliere tra gl’ idonei alle armi ,
tanti in ogni città quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto ^ Tarquinio
, i quali erano generalissimi nominati. E per giustifìcare ancor più li titoli
della guerra spedirono a Roma da ogni città li personaggi più insigni come ora-
tori. Venuti questi in Senato dissero : che quei della Riccia si richiamavan di
Roma , perchè ■ qucuido i Tir- reni mossero contro loro la guerra , essa non
solo die a’ primi libero il passo per le sue terre , ma li coadjuvò su quanto
era d' uopo , ricoverandoli mentre poi ne fuggivano e salvandoli tutti , inermi
e feriti : eppure non ignorava che quelli portavano guerra al corpo tutto della
nazione : e che se avessero domalo (i) Dioaigi nel namerare questi popoli
siegue l’ordine dell’ alfa- beto latino e non del greco : del resto numera
popoli quando nn tal Bruto nel lib. VI. di quest' opera § 74 dice ebe furono
trenta i popoli latini concorsi a tal guerra. Dovrebbero dunque additarsene
altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi abbiamo
ugualmente allegali nel testo. La nomenclatura per quanto aia stata emendala
non par libera ancora da ogni storpiatura. . ' i8r la Riccia; niente pià gli
avrebbe impediti , sicché non soggiogassero le altre città. Pertanto
annunziavano che se Roma voleva darne conto a quei della Riccia nel tribunale
comune de’ Latini , e rimettervisi al giu- dizio di tutti, non avrebbon essi
cagioni di guerra. Ma se tenendosi all alterigia sua consueta ricusava affatto
condiscendere sul giusto e su V onesto inverso de’ confederati ; minacciavano
che i Latini tutti la moverebbero con tutte le forze la guerra. LXn. A tale
invito il Senato alieno di fare cogli Ari* cini una causa dov’ essi
giudicherebbero , e dove preve- deva che i nemici non sentenzierebbero di
questo sola* mente , ma vi aggiungerebbero ordinazioni ancora più gravi ,
decise che accettava la guerra. Argomentava dal valore e dalla sperienza de’
suoi tra le arme che Roma non incorrerebbe in danno ninno: apprendendo però la
moltitudine de’ nemici , sollecitò più volte con ambascia* tori le città vicine
per confederarsele ; se non che spe* divano i Latini ancora nelle stesse città
legazioni che accusassero a lungo Roma , e la contrariassero. Gli Err nici
adunati a consiglio di stato diedero all’ una e al- r altra ambasceria risposte
sospette nè salutevoli , dicendo che per ora non si vincolavano con alcuno; ma
voleano posatamente discutere qual de’ popoli seguisse causa più giusta , e
prendeansi per discuterne un anno. I Rutoli in contrario promisero senza arcano
mandare soccorsi ai Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le ini-
micizie , essi mansuefar ebbono i Latini , e ne concilie- rebbono gli accordi.
Risposero i Volaci che si stupivano della impudenza de’ Romani ; perciocché
sapendo essi quante volle gli avessero offzzl conTenlftnti a «pcgnere ^elfa
tnrblo ratiBcò; dando t principj certi di una tirannide a norma : Quindi i capi del Senato si fecero a
conside- rare lungamente e providamente il personaggio che avreb- be a
comandare. Paiea loro che vi fosse necessità di un nomo espedito negli affari ,
più che perito nell’ arme, e savio , e temperato , sicché poi non >
delirasse per l’am- piezza del comando; insorama di uno il quale oltre le belle
doti , quante ai buoni comandanti si convengono , sapesse presieder con
fortezza, nè cedere mollemente alle istanze. Di un uomo tale appunto
abbisognavasi allora. .Videro concorrere doti siffatte quante seu chiedeano in
Tito Largio, uno de’ consoli ; laddove delio il colle- ga, uomo altronde
buonissimo, non era nè attivo, nè bellicoso , nè imponente , nè temuto , ma
edite troppo in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato pren- dea
.verecondia di levare a que^o un’autorità che aveva secondo le leggi, e di
concentrare .nell’ altro il potere di ambedue , anzi un poter più che. regio.
.Teniea per qualche maniera che delio riflettendovi, non si gravasse della
rimozione sua , come disonorato dai Padri ; e camhiale le maniere del vivere ,
si ponesse alla testa del popolo , c turbasse dal fondo la repubblica. Esitando
tutti , e gran tempo , per la verecondia di proporre ciocché ideavano, un
seniore, venerabilissimo tra gli uo- mini consolari , diede un tal suo parere ,
per cui fu salvo l'onore di ambedue li consoli, scegliendo essi ap- punto il
personaggio più acconcio al comando. Diceva : Poiché il Senato ha risoluto , ed
il popolo ha ratifi- cato che il poter del comando si affidi ad un solo ,
restano ai Padri due cure non picciole : chi debba sottentrare ad una autorità
pari alia monarchia , e chi possa legittimamente nomiruuvelo. Or egli suggeriva
che l’uno de’ consoli sia per cessione, sia per sorte', eleggesse il romano più
idoneo , a far 1’ utile e il bene della patria: giacché trovandosi allora in
città magistrati sacrosanti , non vi abbisognavano gl’ interré come nella
monarchia , per eleggere di accordo chi succedesse al comando. ' i Applaudivano
tutti al partito , quando leva- tosi un altro disse : Ali sembra o Padri che
debbasi alia sentenza aggiungere: che reggendo di presente la repubblica, due
valentuomini, de’ quali non trovereste i migliori , V uno 'debba dare la nomina
, e l’ altro riceverla , talché scelgati essi fra loro il più idoneo ; e C uno
e i altro se ne abbia onore e soddisfazione uguale, quello perchè sceglie nel
collega il più degno, c questa perchè scelto sen trova : dolcissime e bonis-
sime cose ambedue. Ben vedo che sebbene io non avessi ciò aggiunto ; pure
avrebbono i consoli così DWaiGI , toma II. il praticalo ; egli è meglio^
nondimeno che il facciano eziandio col vostro volere. Parve a tutti ciò detto a
proposito , e niuno più notandovi altra cosa , ne decre- tarono. I consoli
ricevuto il potere di eleggere fra loro il più idoneo al comando , fecero una
mirabilissima cosa , e ben varia dalle affezioni dell’ uomo. A vicenda r uno
dicea 1’ altro , e non sè , degno del comando : così passarono tutto quel
giorno , encomiando l’ un l’altro, e insistendo ciascuno per non comandare:
tanto che gli astanti in Senato ne furono in grandi perples- sità. Sciolto il
Senato , i parenti più prossimi di cia- scuno , e li Padri più venerabili
recatisi a Largio assai lo stimolarono £no a notte avanzata , dichlaraùdogli
come il Senato poneva in esso ogni speranza , e di- cendo che le sue ritrosie
volgevansi in pubblico danno: egli tuttavia ricusava , ora supplicando , ed ora
contra- dicendo. Adunatosi nel prossimo giorno il Senato , mentre colui
ripugnava, nè levavasi ancora dal suo pa- rere su le istanze comuni , Clelio
sorge , e lo nomina , come gl’interré solevano nominare, e lascia il consolato.
Fu questi il primo che, solo, fu reso àr- bitro in Roma della guerra , della
pace , d’ ogni affare, col nome di Dittatore (i) sia per la podestà di ordi-
nare e dettare leggi su’ diritti e sul bene degli altri , come glien pareva e
piaceva , chiamandosi da’ Romani Editti gli ordini e prescrizioni sul giusto e
su l’ ingiu- sto : sia per essere allora un tal. uomo detto e dichia- rato da
un solo e non dal popolo secondo i riti della (i) Ad. di Roma aS6 socondo
Catone, a58 secondo Varrone , • ar. Cristo] patria , perché comandasse.
Guardaronsi dal dare al magistrato di una città libera un nome esecrabile e
grave per rispetto di quelli che ubbidivano , sicché in odio del titolo non si
conturbassero , e per rispetto di chi prendeva il comando , sicché nè fosse
costui offeso dagli altri senza saperlo, uè gli offendesse egli co’ modi
consueti nel grande potere. E certo il nome di dittatore non bene l’ ampiezza
ne significa del potere ; non es- sendo la dittatura che un Dispotismo
elettivo. Sembra che i Romani ne traessero pur da’ Greci la istituzione.
Imperocché gli Esimneti che chiamavansi antichissima- mente tra loro erano,
come dichiara Teofrasto nel libro intorno del regno , despoti elettivi. Li
creavano le città non per tempO' indefinito o perpetuo , ma nella circo- stanza
, e fin quando sembrava che giovassero loro , come li Mitilenei già scelsero
Pittaco contro gli esuli , compagni di Alceo poeta. Tennero questo metodo I
primi che aveano appreso per esperienza ciò che giovava. Imperocché nelle
origini era ogni greca città sovraneggiata , non però dispoticamente come tra’
barbari , ma secondo le leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea tanto
più per potente quanto era più giusto , e più fido alle leggi , e men schivo
de’ patrii costumi : ciocché s’ in- tende per Omero il quaì nomina i sovrani,
vindici del diritto , e de/f onesto (i). Tennesi lungo tempo la si- gnoria dei
re come quella de’ Lacedemoni sotto fisse (i) Mèi testo: intarrtXnt , e
SiftttTttrtXuf. cioè che si rer- uuio sul giusto e su C onesto . costituzioni. Ma cominciando poi taluni di
questi a tra- scendere gli usati poteri , poco concedendo alle leggi e molto ai
genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgu- stati , e rovesciarono 1’
autorità de’ monarchi , e le loro maniere : e stabilendo leggi e creando
magistrati , as- sunsero questi come custodi delle città. Ma perciocché non
bastavano nè a proteggere il giusto le leggi poste da essi , nè a coadjuvare le
leggi li magistrati o li co- missarj che avean cura di queste ; e percioccliè
il tempo col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a fare
stabilimenti non ottimi si , ma certo i più consen- tanei alle vicende che li
sorprendevano o di sciagure abborrite , o di smoderate prosperità. Per le '
quali con- fondendosi ' lo stato della città, e bisognandovi un pronto riparo
ed un arbitro immediato , furono necessitati a rialzare l’autorità dei monarchi
e dei re, velandone coi nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tettar'
~ chi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armosti per timore d’
intitolarli tiranni o monarchi : aggiungi . che teneano per cosa scellerata
rinovare poteri abattuti tra giuramenti ed esecrazioni su 1’ oracolo de’ numi.
Quindi , come ho detto , a me sembra che i Romani prendessero da' Greci
l’esempio: Licinio però crede che i Romani ideassero un dittatore a norma degli
Albani ; scrivendo cbe questi, venuta meno la regia discendenza dopo la morte
di Numitore e di Amulio , eleggessero annui presidenti col potere appunto dei
re, ma con ti- tolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Ro- ma
derivasse il nome, ma sibbene onde pigliasse la idea dell’ autorità che in tal
nome si ' addita. Se uon che forsb non è pregio dell' opera che scrivasi di ciò
più luDgameate. Ora dirò brevemente ciocché Largio il primo dittatore facesse ,
e con quale apparato decorasse la sua dignità ; persuadendomi che siano più
utili ai lettori le materie appunto che porgono in copia esempj splendidi ed
opportuni pe’ legislatori, e capi de’ popoli, in somma per quanti vogliono
governare e maneggiare il pubblico» Imperciocché non io prendo a descrivere le
istituzioni > e li modi di una città vite e negletta , né li consigli e le
pratiche di uomini ignobili e di niuna espettazione, sicché lo studio mio su
tenui e volgari cose paja ad altri frivolezza e molestia : ma di una città
legislatrice di tutti, e di capitani che la sollevarono a tanto potere; cose
tutte che se un amante della sapienza giunga a non ignorare ; ne sarà per
politico ravvisato. Investito Largio appena del suo potere dichiarò maestro de’
ca- valieri Spurio Cassio , già console nella olimpiade 70.* Osservavasi tal
costume da’ Romani fino a’ miei giorni , e ninno mai , scelto per dittatore ,
ne tenne la dignità senza maestro de’ cavalieri. Quindi a rilevare la potenza
di una tal dignità, per imporre piuttosto che per osar- ne , ordinò che i
littori marciassero per la città con fasci e scuri secondo il costume ivi
proprio de’ re , tra- lasciato poscia da’ consoli , e primieramente da Valerio
Poplicola per diminuire la odiosità del comando. Spa- ventati con questo ed*
altri segni di regia dominazione i turbolenti eà i novatori , comandò a lutti i
Romani di adempiere la migliore delle leggi .di Servio Tullio , sovrano
popolarissimo , cioè di assegnare per tribù li loro beni, li nomi delle mogli e
de’ figli , e la età loro e de’figli. Terminato in breve il registro per la
severità de’ castighi , perdendosi da’ contravventori i beni e la cittadinanza
; si rinvennero cento cinquanta mila sette- cento e più Romani adulti. Poi
separando gli uomini di età militare dai provetti , e riducendoli in centurie ;
li divise tutti , fanti e cavalieri in quattro parti : e ri- tenutane una , che
era la migliore , per sé , fece che delio già suo collega nel consolato se ne
eleggesse un altra qualunque tra le rimanenti : che Spurio Cassio il prefetto
de’ cavalieri avesse la terza , e Spurio Largio il fratello la quarta ; la
quale fu comandata trattenersi e presidiare insieme co’ vecchi la città. Egli
poi , com’ ebbe pronto quanto biso- gnava per la guerra, menò le milizie in
campo aperto; appostando tre armate ne’luoghi appunto donde sospet- tava che i
Latini uscirebbono. E considerando esser proprio de’ savj capitani fortificare
le sue cose come debilitare quelle del nemico , e terminare le guerre senza
battaglie e stenti, o certo col minimo danno delle milizie ; anzi considerando
che sciauratissime e luttuo- sissime più che tutte sono le guerre tra’ popoli
amici e congiunti ; concludeva che si aveau queste a finire con tratti di
clemenza piuttosto, che di rigore. Adunque spedendo occultamente persone non
sospette ai più ri- guardevoli de’ Latini, li persuase a rendere la pace alle
loro città: e spedendo insieme apertamente ambasciadori ad ogni città , come
alla rappresentanfa generale di tutte; ottenne senza difficoltà che non tutti
avessero più l’antico ardore per la guerra; alienandoli principalmente cogli
ossequiosi modi e co’ benedzj dai duci loro. In opposilo Mamilio e Sesto , che
aveano da’ Latini rice« TUto il generai comando , riunite nel Tnscolo le forze
, si apparecchiavano come per piombare su Roma ; se non che spesero su ciò gran
tempo o che aspettassero le città le quali tardavano , o che non buoni apparis-
sero loro gli auguri santi. Intanto alcuni di loro spic- catisi dall' esercito
devastavano la campagna romana. Largio , risaputolo , spedi delio su loro col
fiore dei cavalieri e de’ soldati leggieri : e costui , presentatosi
inaspettatamente , gli assalì , e ne uccise , imprigionan- done la più gran
parte. Largio curatine li feriti, e gua- dagnatiseli con altre amorevolezze li
rinviò senza offesa o prezzo al Tuscolo ; mandando riguardevolissimi ro- mani
ton essi per ambasciadori. Or questi operarono che si sciogliesse l' armata
latina , e si facesse tra le città la tregua di un anno. Largio, ciò fatto,
ricondusse l’ armata dalla campagna: e designando i consoli depose prima che ne
spirasse il tempo la dittatura senz’ avere ucciso , o ban- dito , o ridotto
comunque a gravi mali un romano. Cominciato T invidiabile esempio da un tal uomo
si mantenne in quanti ottennero poi quella dignità fino alla terza generazione
prima della mia. Imperocché la storia fino a quest’ epoca non presenta ninno il
quale non esercitasse quella dignità moderatamente e qual cit- tadino ,
quantunque Roma fosse astretta più volte a sospendere le magistrature
ordinarie, e concentrare tutto nelle mani di un solo. E non sarebbe gran
meraviglia se personaggi ottimi della patria pigliando la dittatura solamente
nelle guerre cogli esteri si fossero tenuti in- corrotti nella grandezza del
potere: ma pigliandola nelle sedizioni interne, grandi e molte, per togliere I
sospetti di regni e tirannidi rinascenti , o per altra sciagura , lutti ,
quanti la ottennero , conservaron sestessi iqinia- colati , e simili al primo
dei dittatori. Tanto che tutti unanimemente conclusero che la dittatura era 1’
unico rimedio contro de’ mali intrattabili , e 1’ ultima speranza dii salute
quando sparse sono le altre speranze . dalla procella. Quattrocento anni però
dopo la dittatura di Tito Largioj a memoria de’ Padri nostri parve tal carica
biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che primo ne abusò ,
vendicativo e 6ero : talché li Romani allora sentirono a prova , ciocché aveano
prima igno- rato , che la signoria de' dittatori non era se,, notk liran* nide
: imperocché costui ordinò un* Senato di uomini comunque , infìacchi 1’
autorità del tribunato , devastò città intere , distrusse e creò regni , ed
altre cose fece e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a rac-
contare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia , ne trucidò nemmeno di quaranta
mila , datisi a lui prigionieri , dopo averne prima tormentati alcuni. !Non è
questo il tempo di discutere se egli fe’ ciò necessitato o per utile del comune
: solamente ho voluto dimostrare che ne divenne abominato c spaventevole il
nome di dittatore: ciocché pur succede ad altre cose ammirale e disputate dagli
uomini, non che alle sole dominazioni: perciocché tulle le cose appariscono
belle e giovevoli se bene si .adoperino , come danncvoli c turpi se mal si
dirigano ; di (he ne è causa la natura che in lutti i beni ha sparso i germi
dei male ; se noa die di tali cose di- remo altrove più propriamente. L’ anno
prossimo a questo nella olimpiade 'j i ^ nella quale vinse allo stadio
Tisicrate Croloniatej- essendo Ipparco F arconte di Ale* ne , presero il
consolato Aulo Sempronio Atratino e Marco Minucio. DELLE ANTICHITÀ ROMANE D I
DIONIGI ALICARNASSEO Li anno prossimo a questo nella olimpiade 71.* nella quale
vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo Ipparco arconte di Atene ,
presero il consolato Aulo Sempronio Atralino e Marco Minucio (i), ma niente vi
operarono degno di ricordanza , nè in città nè fra le armi : perciocché la
tregua co’ Latini dava loro placida calma cogli esteri , e la legge decretata
dal Senato di sospendere la esazione dei prestiti , finché la guerra imminente
avesse buon termine , avea sopito le som- fi) Àn. di Roma aS7 secondo Catone,
259 secondo Vairone, • 4 recchi per la guerra. Il complesso de’ Romani era vo-*
lentei'oso e propensissimo a combattere ; ma il più dei Latini eravi disanimato
e forzato : dominando per le città uomini quasi tutti corrotti dai doni e dalle
prò» messe di Tarquinio , e di Mamilio , rimossi dalle cure pubbliche quanti
favorivano il popolo e ripudiàvan la guerra. Cosi non più dandosi a chi la
volea la facoltà (li discorrere , si ridussero i più corucciati a lasciare in
copia la patria , e fuggirsene in Roma. Nè quelli che dominavano ve gl’
impedivano , ma teneansi obbligatis- simi ai competitori , dell’ esilio
spontaneo. Li riceveano i Romani e compartivano tra le milizie interne, e me-
scbiavano alle coorti urbane quanti ne venivano con mogli e figli , ma
spedivano gli altri a' castelli intorno e per le colonie , sopravvegliando
intanto che non fa- cessero' mutamenti. E consentendo tutti che bisognavaci
novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare a suo modo ogni cosa ,
fu nominato dittatore Aulo Poslumio il console più giovine da Virginio il
collega : e costui , come già 1’ altro dittatore scelse per suo maestro de’
cavalieri Tito Ebuzio Elva , e registrati in poco tempo tutti i Romani già
puberi , ordinò la mi- lizia in quattro parti , reggendone egli 1’ una ,
dandone a reggere la seconda a Virginio il compagno nel con- solato , la terza
ad Ebuzio il maestro de’ cavalieri , c (i) An. di Roma aSS secoado Catone, aCo
secondo Varrone, • 4e essi agevole- rebbero ossea più le cose loro. Se non che
mentre de- liberavano ancora giunse coll’ armata sua da Roma Tito iVirgiuio r
altro console , marciato improvvisamente nella notte dinanzi : e prese anch’
egli campo in altra altura assai forte. Di modo che i Latini rimasero
intracchiusi , nè più idonei ad un assalto , avendo a sinistra il con- sole e a
destra il dittatore. Adunque tanto più sen con- turbarono tra quelli i capitani
i quali non voleano se non partiti sicuri , e temerono che tardando si ridu-
cessero a consumare le loro provvigioni , le quali non erano molle. Postumio
notando quanta fosse la impe- rizia loro nel comandare spedi Tito Ebuzio
maestro dei cavalieri col nerbo de’ cavalli e de’ soldati leggeri ad .occupare
un monte rilevantissimo in su la via , per la quale recavansi i viveri dalle
loro terre ai Latini. Andò questa milizia espedita con la cavalleria , e
condotta di notte tra selve non frequentate ; prese il monte prima che i nemici
se ne avvedessero. V. I capitani nenuci osservando invasi anche i posti forti
che erano loro alle spalle , nè più avendo spe- ranze buone sul trasporto
indubitato de’ viveri da’ paesi loro , deliberarono respingere i Romani dal
monte prima che vi si assicurassero ancora cogli steccati. Adunque Sesto r un
d’ essi presa la cavalleria vi si lanciò con impeto ; quasi la cavalleria
Romana non si tenesse a ribatterlo : ma tenendosi questa bravissimamente contro
gli assalitori , Sesto durò qualche tempo ora dando voi* ta , ora tornandole a
fronte. Ma perciocché quel luogo riusciva opportunissimo a chi ne avea le
alture , e co- stava assai travagli e ferite a chi vi si recava dabbasso ; e
perciocché giungeva ai Romani un soccorso di milizia legionaria mandata
appresso da Postumio ; egli ritirò , non potendo altro fare, la cavalleria
negli alloggiamenti. I Romani impadronitisi appieno del luogo , si misero a
fortificarlo pubblicamente. Dopo ciò parve a Sesto e Mamilio ndn essere più da
indugiare gran tempo , ma doversi decidere la sorte con una pronta battaglia :
e parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque avesse ne’ principi
ideato di dar fine alla guerra senza combattere , sperando giungere a ciò ,
specialmente per la imperizia de’ capitani. Imperciocché da’ cavalieri cu-
stodi delle strade furono sorpresi de’ messaggeri che an- davano dai Yolsci a’
Latini con lettere di avviso che , indi a tre giorni al più , verrebbe milizia
copiosa di rinforzo da loro , come altra dagli Eroici. Or ciò ri- dusse i duci
Romani a venire , sebbene contro il proposilo , a pronta giornata. Datosi da
ambe le parti il segno della battaglia ; si avanzarono gli uni e gli altri al
campo intermedio , e cosi vi ordinarono le armate. Sesto Tarquinio ebbe a
reggere 1’ ala sinistra de’ Latini, ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1’ altro
figliuolo di Tarquinio comandava il centro óve erano i disertori e fuorusciti
Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu dispensata alle ale ed al centro.
In opposito Tito Ebuzio ebbe 1’ ala sinistra de’ Romani contro di Ottavio Mami-
lio , e Tito Virginio il console si contrappose colla de* stra a Sesto
Tarquinio; Empiva de’ genj suoi Postumio stesso il dittatore 1’ armata di mezzo
, e moveala contro Tito Tarquinio ^ e gli esuli da Roma j i quali eran con lui.
Il complesso delle milizie venute a combattere erano ventiquattro mila fanti e
tre mila cavalieri nella parte Romana , e quaranu niila fanti , e tre mila
cavalieri nella Latina. VI. Quando erano per andare a combattere i capitani
Latini , aringando ognuno i suoi , diedero mille ecci- tamenti di coraggio , e
ricordarono lungamente cioc- ché bisogna al soldato. Dall' altra parte il
Romano ve- dendo cbe i suoi temeano come quelli che cimentavansi con gente
assai più numerosa , e volendoli sollevare da quella paura , fe’ radunarli , e
poi tra corona di sena- tori , onorabili per anni e per credito , cosi concionò
: Gli Dei cogli aitgurj , colle viltime , con ogni segno divinatorio promettono
alla nosti'a patria Li libertà , ed una propizia vittoria; contraccambiandoci
della pietà verso loro , e della giustizia esercitata da noi verso gli altri in
tutta la vita : per lo contrario , inìmici sono , come deano , de' nostri
nemici , perchè tante volte e tanto da noi beneficali , essi parenti , essi
amici nostri ', essi legatisi a noi di giuramento per avere appunto gli amici
stessi ^ i nemici , ora spregiato ogni vincolo , ci movono una guerra ingiusta
non per decidere qual di noi si abbia la preminenza e il comando , ciocché
sarebbe il meno de mali ; ma in favor dei timnni , e per fare la patria nostra
che è libera', schiava ai Tarquinj. Ora intendendo voi o centurioni e soldati ,
che militano con voi gli Dei , quelli stessi che hanno sempre difesa Roma , si
con^ viene che rnagnanimi vi dimostriate in questa bat- taglia : molto più che
ben sapete che gli Dei fa- voriscono i bravi combaltitori , quelli che quanto è
da loro fan tutto per vincere , e non quelli che fig- gono i 'pericoli, md
quelli che li sostengono per sal- vare' sè stessfi Inoltie a voi sono
apparecchiati dalla sorte altri mezzi non pochi per la vittoria , e tre so-
prattutto manifèstissimi. Vn. Il primo è la fedeltà scambievole , requisito
principaliss'tmo in chi disegna vincere l’ inimico ; im- p^ciocchè non' dee già
cominciar • questo giorno a rendervi amici fidi e costanti; ma la patria ha da
tanto tempo preparato' a voi tutti un tal bene. V oi allevati in urta terra,
educati di una maniera sagri- ficate agl’ Iddj su di altari medesimi : . e voi
avete fin qui partecipato i tanti beni e sperimentato in- sieme i tanti mali, i
quali rinforzano, anzi rendono indissolubili, le amicizie fra gli uomini ,
quante volte presentasi loro un cimento comune su gravissime cose. In secondo
luogo , se voi soggiacerete .ai nemici , già non sarà che alcuni di voi restino
immuni , altri su- biscano r estrema degl' infortunj ; ma tutti, sì, tutti
perderete la gloria vostra , f impero , ' la libertà j noit più padroni delle
mogli , non più de' figli , non più _ •' delle sostanze, non più altro bene
vostro qualunque. ^ E li vostri capi, li vostri pubblici magistrati ‘ miseran-
damente moriranno tra flagelli e tormenti. Se già non offesi da voi punto nè
poco , fecero a voi tutti ogni maniera cT ingiurie ; e che mai potete
aspeltarvene ora se vincano , nella memoria che hanno de’ mali ; che gli avete
ridotti fuori della patria , che gli avete spogliati de’ beni , nè consentile
che tornino alle case , paterne ? L’ ultimo de’ mezzi indicàtir, nè minore de-
gli altri se rettamente sen giudichi,, è che noi troviamo le cose tra’ nemici
men prospere che non pensavamo. E certo vedete voi da voi stessi che tolto gli
Anziati, niuno è qui per soccorrerli nella guerra. Noi conce- pivamo che
verrebbero per essi tutti i Eolsci ; e Sa- bini ed Ernici in copia , e mille
altre vane paure ci i fingevamo. Erano questi tutti sogni de’ Latini , imma- I
ginati su promesse vane , su speranze senza base. Quindi altri nel meglio ne
abbandona la causa, spre- giando r euUorità de’ sì belli capitani:, altri li
terranno ^ anzi a bada che li soccorreranno , temporeggiandoli con lusinghe ; e
quelli che or si apparecchiano , come tardi per la battaglia , inutili diverranno.
■ I Vili. Che se alcuni di voi pensano che giusto sia I ciocché io dico , eppur
temono . la quantità de' nemici, j . a I I ■ €onoscanò per una breve
iilruzione, o piuttosto ricordo, che essi temono non temibili cose. E prima
conside\ tino che il pià di' loro è stato forzato alle arme con- tro di ìtoi ,
come ce lo ha con tante opere e detti mànìfestato ; e che gli spontanei ,
quelli che di lor pia- cere combattono pe’ tiranni sono ben pochi , e piut-
tosto una parte insensibile rimpetto di voi. Appresso considerino che le guerre
guidale a buon successo non la superiorità' nel numero , ma nella fortezza. E
lun- ghissima opera sarebbe ricordar quanti eserciti di bar- bari, quanti di
Greci, tuttoché preminenti di numero, siano stati disfatti da piccioli corpi e
quasi non cre- dibili a dir. Ma tralascio gli esempj altrui : dite ^ quante
guerre non avete voi ben guerreggiato con ar- mata minore della presente, e
contro apparecchi assai pià potenti di questi ? Dite ; voi fin qui teiribili
agli altri che avete combattuti e vinti, siete ora voi dispre- geiSbli a questi
Latini, ai Folsci loro alleati, perchè non vi han essi mai sperimentato Jra le
arme ? Sa- pete pure voi tutti quante volte i nostri padri gli hanno in campo
superati ambedue. E vi par verisimile che la condizione da’ vinti sia dopo
tante perdite migliore, e peggiore sia quella de' vincitori dopo tanti bellis-
simi fatti ? E chi ,' se abbia mente , chi mai dirà questo ? Anzi ben io mi
'stupirei se alcuno di voi paventasse questa turba ove si pochi sono li bravi,
e spregiasse la milizia nostra si forte e si numerosa ; che nè pai' numerosa nè
pià forte mai ne abbiamo finora schierato in battaglia. Che pià : deve , o
cittadini ì esservi impulso grandissimo a non temere , nè ricusare i pericoli t
ej- sere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con voi la sorte stessa
delle arme i primarj de’ senatori , quelli che la età o la legge gli esenta
dalla milizia. Che^sl; che egli sarebbe vituperoso che -uomini nel fior degli
anni temessero i pericoli quando i provetti gli affrontano, Avran cuore i
vecchi di ricevere per la patria la morte se dare non là possono ai nemici; e
voi li sì . vegeti , voi che ben potete • f una e l’ altra cosa , o salvarvi e
vincere senza danno , o certo ma- gnanimamente operare , e soffrire , voi non
vorrete nè cimentare la sorte , nè la Jama .procacciarvi de’ va- lorosi F No ,
ciò di vói non è degno , o Homani , ai quali sopravvanzan tante mirabilissime
gesta degli an- tenati , le quali niuno loderebbe mai quanto basta : e se voi
vincerete questa guerra, i vostri posteri an- cora si gioveranno di tante
vostre gloriosissime im- prese. Ma perchè nè sia senza frutto chi si delibera K
alle grandi azioni ; nè si trovi col danno chi ne teme i rischj oltra il debito
, udite prima d incorrerla, Indite qual sarà la sorte dell’ uno e delt altro.
Chiun- que ìlei combattere imprende belle e magnanime gesta ne sarà da chi ’l
vede encomiato ; ed io, quando di- spenserò li premj che .ciascuno' -dee
raccoglierne. se- condo il costume della patria j quando. darò insorte le,
terre pubbliche , io costui ne appagherv, sicché pià di nulla abbisogni. Al
contrario chiunque nel cuor suo vile, offensivo de’ numi , si deciderà per la
fuga , costui si troverà per me colla morte che fogge ; chè ben è meglio per
esso e per altri che un tale cittadina perisca : e così perendo , non che
attere i fune- bri onori eia tomba ^ si resterà, non emulato' nè pianto , in
abbandono agli uccelli e alle fiere. Con ioli previdenze , andate : combattete
alacremente ; e V abbiate per guida alle grandi azioni la speranza buona , chè
dato a questo cimento un termine gene- roso , come tutti desideriamo , avrete
ottenuto amplis- simi beni, avrete liberato voi dal timor dei tiranni , avrete
, come doyeasi , corrisposto alla patria , che chiedea la gratitudine vostra
per avervi generati e nudriti , avrete operato eh» i teneri vostri figli , le
vostre mogli non sqffrano oltraggio da nemici, e che ì vecchi vostri genitori
vivano in calma il picciolo avanzo di vita. Felici voi d quali riservasi
tornare da questa guerra col trionfo, mentre li figli vostri' ve ne aspettano ,
e le spose , e li genitori. Quanto sa- rete celebrati , quanto ' invidiati pel
coraggio di dare voi stessi per là patria ! Tutti deano morire valen- tuomini o
no] ma il moribe con dignità' e CON GLORIA NON È PROPRIO CHE DE' VALENTUOlilNI-
Ancora egli continuava tali detti magnanimi ; quando ecco spargersi nell’
esercito un ardore divino , e tutti ad una voce gridare : ardisci , e guidaci.
E qui Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi agl’ Iddj , se avea
buon successo nella guerra , di fare grandi e sontupsi sagrilìzj , e
^lendidissimi giuochi da rinnovarsi in. Roma ogn’ anno rilasciò le milizie
perchè si oi'dimssero. Quindi come i duci diedero il segno e le, trombe
l’invito a ^mbattere; lanciaronsij gridando, quinci c quindi prima i soldati
leggeri e li oavalietà , e poi le lej^ioni le quali aveano schierameotd ed armi
consimili. Fecesi di tutti una mischia vivissima , ^dottasi tutta al dar delle
mani. Tennesi questa lungo tempo contraria alla espcttazione di ambedue,
sperando gli Ubj e gli altri che non avrebbero nemmeno a combattere , ma che a
prim’ impeto forarebbero , ed intimorirebbero rinunieo; i Latini alhdati alla
cavalleria loro numerosa quasi i’ urto ne fosse irreparabile alla cavalleria
Romana; e li Romani aU’andarne audaci c spregianti ai perìcoli , quasi cosi
avessero a soprailare l’ inimico. Non ostanti tali primitivi concetti degli uni
su gli altri , vedeano tutti seguire il contrario. Quindi considerando che il
mezzo di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la paura de’ nemici
; militarono bravlssimamente anche so- pra le forze ; e varie ne furono le
vicende e le sorti. XI. Primieramente li Romani del centro dov’ era il fiore
de* cavalli con Postumio dittatore, e'dove combat- teva egli stesso tra’ primi
, cacciano di posto i loro com- pettitori dopo ferito con uno strale in una
spalla , cd inabilitato a valersene , Tito l’ uno de’ figli di Tarqur- nio ;
sebbene Licinio c Gellio senza esaminare le cose verisimili e possibili,
suppongano esser questo che mili- tando a cavallo restò ferito lo stesso re
Tarquinio, uomo più che nonagenario (i). Caduto Tito , le sue milizie (i)
.\nofaa Tito Lhrio i di - questo parere, quantunque avesse considerata la
difficoltà degli anni : ^li scrìve in Postumiwn prima inacìesuos aiihortantem
i/utruentemtfua , Tarquinius super but quam- quam jam alate et viribus crai
graiùar equnm infestas admitil. Nà SODO mancsti altri re che in quella ^
fornivano tutti gl' incarichi del regno o còmbattevano. Massiuissa fu I’ uno
di.questi, cd .àntea re degli 'Setti mori combattendo, vecchio pi4 (he di
novant’anni tennero fronte alcun tempo , e sollecite ne raccolsero vivo il
corpo , non però fecero altro più di generoso , ma rinculavano incalzate via
via da’ Romani , 6nchè soccorse da Sesto l’ altro 6glio di Tarquinio co’ fuoru-
sciti Romani , e da truppa scelta di cavalieri si arresta- fono , e tornarono
su l’ inimico. Cosi ripigliato Corano combattevano questi nuovamente. Intanto
negli altri coi> pi (i) segnalandosi più che tutti i duci Ebuzio e Ma- milio
, fugando ovunque volgeansi chi resisteva , e rior* dinando i loro se
scompigliavans! ; vennero a disfida in fra loro : lanciatisi 1’ uno su l’ altro
portaronsi colpi gra- vissimi , ma non mortali , Ebuzio spingendo 1’ asta per
la corazza al petto di Mamilio , c Mamilio traforando il braccio destro di
Ebuzio: tanto che ne caddero ambedue da cavallo. Portali amedue fuori della
battaglia Marco Va* lerio che era un’ altra volta luogotenente anzi il più
vecchio, prese le veci di Ebuzio maestro de’ cavalieri : ma contrastando colla
sua la cavalleria nemica , e contenen* dola per breve tempo , infine fu violentato
e respinto assai lungi ; perocché gèinsero in ajuto al nemico i fuorusciti
Romani a cavallo , o di milizia leggera: e Maiadìo stesso riavutosi dalla
percossa era tornato in campo con caval- eon Filippo Macedooe. E Luciioo scrive
che Tarqptinio superbo più che nonagenario viveva robustissimo in Coma. Forse
Licinio e Gellio non son dà riprendere. Dee poi notarsi, che Tarquinio; anche
secondo Dionigi , visse più di novani’anni. Vedi § ai di questo libro. ' (i)
Cioù Mamilio nell’ ala destra de’ Latini ed Ebutio nella si- nistra de’ Romani
, percbù già stavano appunto in queste aie ; uù Diouigi lia (inora dello che
avessero cambiato posto. Digitized by Googlc 2i6 delle Antichità.’ romane lerla
numerosa e col nerbo de’ soldati espeditì ; anai in questa pugna cadde trafìtto
da un’ asta Io stesso luogo- tenente Valerio (i) quegli che il primo avea
trionfato de’ Sabini , e rialzato lo spirito di Roma infìacchito pei danni
ricevuti da’ Tirreni : e con lui pur caddero altri molti nobili e valorosi
Romani. Sorse sul caduto corpo di esso una lotta vivissima facendosi scudo allo
zio li due Publio e Marco , fìgli di Poplicola. Or questi con- segnandolo
intatto colle armi sue , mentre respirava an- cora , ai scudieri perchè Io
riportassero agli alloggia- menti; lanciarono sestessi in mezzo al nemico
spinti dall’onta ricevuta e dall’ardore dell’ animo : ma piom- bando d’ ogn’
intorno i fuoruscili su loro , alfine carico r uno e r altro di ferite mori
(a). Dopo tale infortunio r armala Romana fu cacciala di posto , ed assai mal-
menata dalla sinistra fino al centro. Il dittatore al co- noscere che i suoi
fuggivano , ben tosto si staccò per soccorrerli con i cavalieri che aveva d’
intorno : e dato ordine a Tito Erminio di andare coll’ ala della caval- (i)
Intende il Valerio fratello di Valerio l’oplicola: però il pri- mo Valerio è
detto tio de’ fìgli di -Poplicola. Il Valerio del i- gotliti , li menò contro
1’ armata di IMamilio , ed egli stesso avventandosi addosso di lui die era il
più grande e più gagliardo di quanti gli erano a fronte, lo uccise; ma
fattosene a spogliare il cadavere, egli ancora vi soc- combò trafitto .dal
brando di un tale in un lato.* Sesto Tarquinio, duce dell’ala sinistra Latina,
resistendo tut- tavia tra tanti mali , avea cacciata di posto 1’ ala destra de’
Romani : come però vide Postumio venire su lui col uei'bo de’ cavalieri ,
disperatosi corse in mezzo a’ nemici. E qui circondato da’ fanti e da’
cavalieri ed investito , quasi una fiera d’ ogu’ intorno , mori , ma non senza
averne anche egli stesi molti di quelli che lo investi- vano. Caduti i duci ,
pienissima fu la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro alloggiamenti ,
abbandonati pur dalle , guardie. Dicchè i Romani se n’ebbero molti e belli van-
taggi. Gravissima fu la perdita de’ Latini , tanto che moltissimo ne decaddero
: e la strage fu tanta , quanta mai più per addietro ; imperocché di quaranta
mila fanti e tre mila cavalli , come ho detto di sopra , nemmeno dieci mila
tornarono salvi alle case. XIII. È fama che in questa battaglia si rendesser
vi- _sibili al dittatore, ed al seguito suo due cavalieri adorni del Gore primo
di giovinezza , grandi e belli assai più 2i8 delle antichità.’ romane che la
condizione non sostiene dell’ uomo ; e che po- nendosi alla testa della
cavalleria romana , peKotessero colle aste i Latini che le si avventavano , o'
li sospin- gessero a rapidissima fuga. E fama è similmente che dopo la fuga de’
Latini , e la presa de’ loro alloggia- menti, presso al crepuscolo vespertino,
appunto quando la zuffa ebbe fine, si dessero a vedere in abito militare nel F
oro romano due giovani altissimi , e vaghissimi ', spirando in volto ancora 1’
ardore della battaglia , dalla quale venivano , e reggendo cavalli , molli di
sudore. Dicesi che smontati l’ uno e 1’ altro da’ cavalli, lavavansi nell’onda,
la quale sorgendo presso il tempio di Vesta forma una lacuna , picciola si ,
ni» profonda : ma che fattisi molli intorno di loro , e chiedendone se punto
recassero di nuovo dall’ esercito , rilevarono ad e»i Ciocch’era della
battaglia, e come 1’ aveano guadagnata: e che partiti poscia dal Foro non più
furono veduti da alcuno , tuttoché seu facesse ricerca grandissima dal
comandante lasciato in Roma« Come però nel giorno appresso riceverono i capi
della città lettere dal ditta- tore , e conobbero 1’ assistenza dei due numi ,
e tutti i successi della battaglia ; giudicarono che i .due perso- naggi
apparsi fossero , com’ era verisimile , gl’ Iddii stessi , e conchiusero che
erano le immagini di Polluce e di Castore. Attestano la comparigione
inaspettata e meravigliosa di questi Numi , molti segni ancora, come il tempio
fondalo a Castore e Polluce nel Foro , ap- punto dove comparvero j e la fonte
vicina , chiamati c creduta sacra finora , e li sagrifizj magnifici che il po-
polo ne celebra ogni aqno per mezzo de’
a fare nè 1’ una nè l’ altra di queste due cose: che. era bensì, da
giovine iL trasporto d’ allora per combattere ; ma che assai più biasimevole
sarebbe' il fuggirsene a casa : e che qualunque de’ due parliti seguissero ,
andrebbe a genio de’ nemici. Era il parere di questi , cbe di presenta 'si
triucierassero e preparas- sero quanto bisognava per la battaglia , e clic
intanto spedissero ai Volaci per chiedere che inviassero nuove forze onde
pareggiare quelle de’ Romani , o che richia- massero le altre già’inviate. La
sentenza però sembrata più persuasiva e ratificata da’ capi fu di mandare al
campo romano alcuni osservatori col nome di amba- sciadori onde preservarli ,
li quali , complimentandolo , dicessero al capitano, che il comune de' Volsci
man- davali per ajuto de'Bomani: si doleano però che giunti tardi per la
battaglia non troverebbero uemmen grati- tudine di tanto amore, vedendo come
l’aveano già vinta a grande lor sorte , anche senza degli alleati. Con tali
dolci maniere illudendo , c dandosi per amici , andas- sero , spiassero ,
conoscessero la moltitudine de’ nemici, le arme , gli appareccbj , i disegni.
Conosciuto ciò , discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove
truppe , o menare le presenti all’ assalto. Poiché si riunirono tutti in questa
sentenza, ne andarono gli oratori eletti da essi al dittatore : e poiché recati
nell’ adunanza vi esposero gl’ insidiosi loro discorsi ; Postumio soprastando
alcun tempo, alfine ri- spose: Voi siete o Volsci venuti qua con rei consigli
sotto belle parole,: nemici nelle opere , volete presso noi la stima di amici.
Voi foste inviati dal vostro comune ai Latini per combatterci. Ora. non essendo
voi giunti a tempo per • la bat&iglia ; anzi vedendo questi già vinti, cercale
deluderci con dirne cose con- trarie a quelle che eravate per Jdré. Ma nè
sincera è r amicìzia del parlare che assiunete in vista del tempo presente , nè
sincero il titolo della vostra le- gazione ; ma pieno è di malizia e d’
inganno. Non voi veniste sensibili pe nostri beni , ma per investi- gare qual
sia lo stato tra' noi di debolezza 'e di forza. Messaggeri ne' detti , voi non
siete che esplo- ratori nè fatti. E negando questi, ogni cosa , soggiunse che
presto li convincerebbe. E qui produsse le lettere dei Volsci intercettate da
lui prima delia battaglia, e chi le portava ai duci dei Latini , nelle quali
prometteano mandare a questi un soccorso. Riconosciute le lettere , e palesato
dai prigionieri il comando che aveano ; arse la moltitudine di manometter que’
Volsci , quali spie sorprese nel delitto. Non però volle Postumio che essi,
nomini probi , si diportassero come i malvagi ; dicendo esser meglio
serbare permesso a quelli a’, quali
solcasi , che die^fes^ i loro pareti ; Tito Largio, il primo de’ dittatoti
create già per l’anno antecèdente (i) consigliò che ■usassero'*^ la sorte sobbria-
mente. Diceva ' essere encomio grahdissimo per una città come per un uomo se
rion lasciandosi corrom- pere dalle prosperità , le sostiene con regola e con
dignità : odiarsi tutte le prosperità , quelle principal- mente per le quali
possono ingiuriarsi , e gravarsi i (i) Vuol dire tre anni addietro: come fu
notalo da Silburgio. miseri e li sottomessi. iVon confidassero su la sorte ,
essi che àveano sperimentato tante volte ne’ beni, e ne' mali proprj , quanto
fosse mal ferma e mutabile: nè Kiducessero i nemici 'alla necessità di pericolo
estremo per la qualè ipesso gli uomini s’ innalzano , e combattono sopra le
forze. Temessero , se prèn- deano pene irreparabili e dure su chi avea mancato,
di provocarsene f ira comune di ogni popolo sul quale aspiravano di comandare ;
imperocché decaduti dalle maniere consuete colle quali eransi rendati chiari di
oscuri parrèbbono aver fatto ' della sovranità una ti- rannide, nqn lìn governo
éd un patrocinio. Dieea che mezzana non irremisibile è la colpa , se città già
li- bere ,• anzi usate al comando, nOn sanno dall’ antico grado discendere. Se
quei che anelano il meglio , siano sé falliscono il colpo , vendicati
immedicabil- mente ^ niente ipipedirà, che gli uomini, generati tutti con
intimo amore della libertà si distravano gli uni cogli altri. ^AggiuDgefra che
assai piti nobile , assai piti fenho è il principato^ che amministrasi tenendo
i sudditi colld beneficenza ' non co’ supplizf : perciocché dà quella' nasce la
benevolenza , e dà questi il timore ■> e ciocché si teme , ^^si odia
vivàmente per ne- cessità di natura. Da ultimo pregayali a pigliar per esempio
le opere bellissime pqr le quali gli antenati loro'tajfto erano encomiati'^ ' e
qui ridiceva com' èssi aveano niàgnificatò" Bonia ^à piccola , non
diroccando le città prese',' nè Spopolandole nè spegnendovi al- meno gli adulti
, ma riducendqle colonie di Bofna , e concedendo la cittàdLinanza a tutti i
yinti che in Jtoina vollero domiciliarsi. Tilo Largib mirava col dir sao
principalmente a questo , che si riqovasse co’ Latini l’alleanza, com’ eravi
staU,'nè più ingiuria dcun% di qualunque città si ricordasse. Servio Sulpizio
punto non contradisse intorno la pace e la rinovazione dell’ alleanza. Siccome
di oomini che aveano tr^viatot E costui pigliandone -vesti e cibi per r
esercita, ^e . scegliendone trecento .. ostaggi, dalle famiglie più cospicue ,
_ parti come ^ avesse dissipata la guerra. Non però fu, questo un dissolver!^
'ma .piuttosto un dlHerirla , e dar causa di apparecclij ad essi, preoc- cupati
dal giungere loro inaspettato. Ritiratosi l'esercito romano, si accinsero i
Volaci di bel nuovo alla guerra, e munirono e meglio presidiarono le città , ed
ogni luogo acconcio da rifuggirvisi. Si consociarono con essi per l'impresa i
Sabini, e gli Ernie! svelatamente ; ma segretamente molti altri ancora. I
Latini, essendo venuti ad essi a,mbasciadori per chiederne 1’ alleanza , li
lega- rono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla / costanza della lor
fede , e più ancora alla prontezza colla quale > solcano spontaneamente per
esso cimentarsi, e combattere, ^^iudi restituì loro gratuitamente, cioc- ché
pur vedea di’ essi desideravano , ma vergognavansi dimandare, intorno atbeimila
fatti prigionieri nelle guerre eoa essi : e perchè il dono, prendesse una forma
degna de’ parenti , -li rivestì tutti con abiti proprj di uomini liberi. Del
resto fece intendere che non abbisognavasi di sòccorso latino , dicendo che
bastavano a Roma le proprie forze . per vendicarsi de’ ribelli. E cosi risposto
- ai Latini'^ decretò la guerra contro de’Volsci. Ancorò il 'Senato sedeva
nella Curia, ancora considerava quali milizie destinasse a marciare ; quando fu
visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni , sordido ne’ vestimenti , e
ha^'buto ^ capelluto ., gridava ed invocava soccorso dagli uomini, Accorsa la
moltitu- dine Intorno; égli postosi in luogo donde fosse visibile disse: Io.
generato libero y dopo. 'èssere finché n era la ptà., marciato in tutte le
spedizioni , dopo averi' sostenuto vent’ otto battaglie ^ e riportato pià volte
,i premj militari.,' alfine quando sopravvennero i tempi che strinsero Jìonm
alle ultime angustie fui necessi- tato a prendere wi prestilo per supplire al
tributo che mi si chiedeva: perchè il mio campicetlo' era desolato da’ nemici ,
e le' rendite urbane tutte. per la penuria de’ viveri mi si consumavano. Cosi
non avendo come più redimere il debito , fui condotto dal pre- statore con due
miei figliuoli a servire. Comandan- domi poi quel padrone non facili cose io
contraddis- si ; e ne fui con moltissimi talpi battuto^ E così di- cendo
squarciò la lurida veste ; ,e mostrò pieno il petto di ferite, e grondanti le
spalle di sangue. E. qui ulu- lando , e piangendone la moltitudine .?■' ^1
Serrato si di- sciolse : e tutta la città fu percorsa da’ poveri che. de-
ploravano la infelice lor swte , ^ cliiedeano soccorso da’ vicini. Uscirono
allora dalle Case (i) tutti quelli che erari servi pe’ debiti, «abbuffati le
chiome, e la maggior parte colle catene alle mani,,' e co’ ceppi nei piedi,
senza che alcuno osasse reprimerli: e so altri osava pur toccarli, erane manomesso
co’ dU'ittL della, forza. Tanta rabbia in quel punto invase il' popolo ! Nè
molto dopo il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di chi
signoreggiavali.. Appio a, come .autore non ignoto de’ mali , temette coutfa di
sè le ffe della moltitudine , e s’involò, fuggendo, dal-Foro. Ma Servilio
deposta la veste contornata di porpora , e gettatosi lagrimando ap- pie di
ciascuno ; a stento li persnase a contenersi per quel giorno, e tornar; nel
seguente, mentre il Serrato provvederebbe iij qualche modo su loto. Cosi
dipendo , Ds’ creditori e comandando al banditore di proclamare , die ninno de’
creditori potesse trar seco pe’ debiti alcun cittadino , finché il Senato su
ciò deliberasse , e che tutti gli astanti 'ne andassero ove più /deano senza
timore ; chetò la turbolenza. Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo giorno
vi' si riunì non solo la moltitudine della città , ma r altra ancora de’ campi
vicini; tanto che sull’ alba già .il Foro ne ribolliva. Adunatosi il Senato per
discu» te re ciocché era da fare , Appio chiamava il compagno adulatore del
popolo e capo' della insolenza de’ poveri : e Servilio rimproverava lui come
austero , caparbio , e fabbro de’ mali che pativano: nè ci avea niun fine alla
disputa; Intanto latini cavalieri spronando vivissimamente i cavalli si
apprésentarono al Foro , annunziando essere già usciti 1 nemici con -.esèrcito
poderoso , e già sovra- staìre alle cime -de’ monti loro. Cosi dissero questi :
e li cavalieri , e quanti avéano ricchezze e gloria ereditaria , armaronsi in
fretta, come.su. pericolo estremo; laddove i poveri ;• sjngolarmenle gravati
da’ debiti, nè toccavan armi, né -soccorrevano in alcun* modo a’ pubblici biso-
gni: anzi gioivano , ed accoglievano con desiderio la guerra esterna , come
quella che redimerebbe loro dai mali presenti. E se altri, gli' esortava a
respingere gli inimici , mòstràvanò a lui le catene é. li ceppi , e lo
confondevano addinrtandando , se Cosse mai degno com- battere per difendersi
tanto benefizio. Anzi taluni osa- rono perfino dire., esser meglio servire ai
-Volsci , che soffrire i vilipendj de’ patrizj. Infine., era tutta la città
ripiena di ululàti; di tumulti , e di ogni lutto di femmine. A tale spettacolo
i senatori pregarono ii console Servilio, come più autorevole presso del
popolo, a soccorrer la patria. E costui convocandolo al Foro , dimostrò la
urgenza del tempo presente , e coiùe non ammettesse discordie civili : pregava
e supplicava che piombassero unanimi tutti sul nemico , non che tol- lerassero
che rovinasse la patria , ov’ èrano le divi- nità paterne, e le tombe. degli
antenati, cose prezio- sissime tutte presso i mortali. Sentissero verecondia pe
genitori incapaci a difendersi per la vecchiezza ; e pietà delle donne che
bentosto sarebbero astretti a subire gravi ed inesplicabili affronti :
ioprattiitto commiscrassero che teneri figliuoletti , cèrto non edu- cati a
tale speranza , avessero a finir tra' le ingiio'ie e i vilipendj spietati.
Quando tutti al paio concordi, tutti al paro infiammati , avessero tolto il
rischio presente; allora discutessero comèra da ordinare un governo eguale,
comune, salutevole a tulli, e 'tale, che nè i poveri insidiassero ''agli averi
, del. ricco ,, nè il ricco i poveri ne conculcasse ^ cose tutte in società
dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica discrezione fosse da
provvèdere ai poveri, con quale agli altri li quali dopo - dati i prestiti per
soccorrere, ora ne erano ingiuriati : nè dalla sola Roma si le- verebbe la fede
do contralti, bene principalissimo tra gli uopiini e cuslóde dell' armouia nel
corpo delle città. Dette queste e slmili cose , quali convenivano al tempo, da
ultimo provò com’ era la benevolenza sua stala sempre costante verso del
popolo^ e.pregò'che in contragcamblo , almeno di questa , si unissero per la spedizione
j essendo a' lui data ^'.amministrazione della guerra, e quella di Ron^a alt
compagno. Protestava che la sorte avÉvd così destinate a Ipro le. parti : che
il Senato tn>evalo\ assicurato di cpncedere quanto egli prometteva al popolò
■; ,.'e- che egli aveva assicurato il Senato cìie\ il .pòpolo non tradirebbe la
patria ai nemici. Ciò detto ido^ose al banditore dì pubblicare che hiunof
poiessé- arrogarsi le case di quelli che rnilitassètó. oon lui. ccfntro.^i
Vblshi , nè venderle , nè impegnarle^ nè. rendet .sérVQ' pe' contratti alcuno
della stirpe di èostbro, np impedire : veruno a guerreggiare : perwtessero
pei^' Sècjondò^ i patti le 'azioni de’ pre^ stamri.'coutre'qaellijche -noli,
prendeano le armi. Co- me i pòveri ódirono tiòj. decisero, e lanciaronsi tutti
, pienirdi ardore aUa guerra'; vchi stimolato dalla ape- rto» dì, guadàgnare ;
cbi ..dalla benevolenza pel capi- tano,,^ et gVan'.-p.firte' per. levarsi da
‘Appio e dai vilipendi; ^ersQ q^^rv lllnrra et » ! màli : finché , vinsero no-
Ro- fecero che lungo tempo si 'oppo’neàiercr ai sopravvenendo’ ài
^Rqmani'laVlèro cavalleria vamente 'i, Sabini r ’e fatta'assai' strage ,
ttfrnaroho a Ro- ma conducendo seéo'in’’cópia li prigidhl«n.''ETmpnb^oi
cei/cati e messi nella 'carcere feSabln^éhefècaùsi a. Roina sul titolo, di
veder gli ^spettàcoli , dóveariq’ se^rido Tac- cordo all’ avvicinàrsi*'aéi
lóro, prebccuparne ^ T luoghi piu forti :* e li sagnfizj ihterrbttK per' (a
guerra fiiroho per decreto del Senato raddoppiati ; talché oc fu ^oju e riposo
nel popolo. Ancora festeggiavano 1 quand’ ecco ambascia- dori dagli Arunci ,
popolo che occupava i più be’ luo- ghi della Campania. Presentatisi questi in
Senato diman- davano' il territorio tolto dai Romani ai Volsci Eccetrani e
dispensato agli nomini mandativi per guardia della nazione : dimandavano
insieme che tal guardia si richia- masse; altrimenti verrebbero quanto prima
gli Arunci su’ Romani, e vendicherebbero tutti i mali che aveano causato ai
loco vicini. Replicarono a ciò li Romani. Ambasciadori , annunziate agli Arunci
che noi Tlo- mani teniamo per ^uslo che altri lasci a’ posteri suoi ciocché ha
conquistato per valore su nemici : che la guerra degli Arunci non la temiamo ;
giacché non è questa per noi nè la prima nè la più terribile : che noi
costumiamo combattere con chi vuóle per t impero e pel bene ; e se la cosa
riducasi ora all arme , in- trepidamente all arme verremo. Dopo ciò movendosi
gli Arunci con esercito poderoso, e li Romani con quello che aveano sotto gli
ordini di Servilio ; si scon- trarono presso la Riccia città lontana centoventi
stadj (1) da Roma. Accamparonsi ambedue su di alture forti , e poco distanti
fra loro: e poiché vi ebbero trincierati gli alloggiamenti , scesero al piano
per combattere. Avendo Appio cosi detto , ed acclamando- velo strepitosamente i
giovani , quasi egli desse il ben della patria ; Servilio ed altri seniori
sorsero per con- traddirlo : furono però sopraffatti da* giovani che erano
venuti preparati ed insistevano con forza grande; tan- toché prevalse inGne la
sentenza di Appio. Dopo ciò li consoli , sebbene i più volessero Appio per
dittatore , come l’unico da por freno alle sedizioni, pure lo esclu- sero di
concerto , ed elessero Marco .Valerio frateDo di Pubblio già primo console ,
uomo anriano e popolaris- simo di credito , persuasi che a lui basterebbe la
terri- bilità della sua carica; e che si abbisognasse più che tutto di un uomo
placido , perchè non si ^cessero delle innovazioni (i). ^ XL. Valerio investito
della sua dignità, e scelto per maestro de’ cavalieri Quinto Servilio fratello
d> Servi- lio , collega di Appio pel consolato ; ordinò che il po^ polo si
radunasse a parlamento. E raduna tovisi albra la prima volta ed in gran
moltitudine , da che guidato all’ armata erasi poi scisso manifestamente al
dimettersi di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e (i)
Qursto Valeria nel § 13 delMibro presente si dice ucciso in baiiaali* ; ed ora
si desorWe colile diitaiore. Vedi la nota al S 11 ciiaia. disse : Sappiamo o
cittadini che sempre di vostro buon grado hanno a voi comandato alcuni della
stirpe dei p^alerj , da' quali liberati dalla dura tirannide , non foste mai
rigettati nelle' oneste domande^ nè temeste violenza ; affidandovi a quelli che
sembravano e sono popolarissimi infra tutti. Pertanto non io qui parlo y quasi
voi abbisognate di essere illuminati che noi convalideremo al popolo la libertà
la quale gli ab- biamo da principio vendicato : io parlo per ammo- nirvi solo
brevemente affinchè siate pur certi che vi manterremo quanto promettiamo. Non
ammette che vi deludiamo V età nostra venuta alla perfezione ^e men sostiene
che vi ri^riamo , il grado supremo che ab- biamo , e finalmente dMbianm pur
vivere V avanzo dei nostri giorni tra voi per iscontarvela se parremo di avervi
abusati. Io tralascio però queste cose giac- ché non abbisognano di molto
discorso tra voi che le conoscete. Ma ciò che avendo voi sopportato dagli
altri, pormi che dobbiate ragionevolmente temerlo da tutti, nel vedere che sempre
il console che v’invitava contro i nemici , prometteavi dal innato, senza man-
tenervele mai , le cose , per voi necessarie ; questo io vi convincerò che non
dovete di me sospettarlo , principalmente per tali due argomenti : prima perchè
a deludervi in tal modo' mai sarebbesi il Senato abu- sato di me che
amantissimo sono del popolo, aven- done altri più. acconci : e poi perchè non
mi avrebbe mai condecorato della dittatura per la quale io posso concedervi
anche senza di lui ciocché il vostro meglio mi sembra. Digitized by Googli !ì5o
delle Antichità’ romane. Non crediate che io dia mano al Senato per ingannarvi
f nè che io consultando con esso vinsidii. E se voi così giudicate ; fate
ciocché pià volete di me, come del più, scellerato tra’ mortali. Ma liberate,
datemi udienza , da tale sospetto gli animi vostri : ripiegate la collera dagli
amici su vostri nemici che vengono per levarvi la patria , e per fare voi
schiavi di liberi , sollecitandosi a premervi con tutti i mali y riputati
gravissimi dagli uomini. Già non lontani si dicono dalle nostre campagne. Sorgete
, accingetevi , mostrate loro che la milizia Romana in discordia , tissai pià
vale della loro , tutta unanime. Se presi noi tutti da un ardore , piomberemo
su loro ; o non ci aspetteranno , o prenderanno le pene degne del^ r audacia
loro. Considerate che i nemici che a voi portano la guerra sono i Fblsci, sono
i Sabini, quelli che tante volte avete combattuti e vinti: e che non ora han
fatto pià grande il corpo nè pià generoso di prima il cuore ; ma che ben altro
se lo hanno ; tuttoché ci disprezzino per le patrie gare. Quando avrete punito
V inimico , io vi prometto che il Senato darà buon fine alle vostre contese pe’
debiti, ed alle oneste dimando secondo la virtù che mostrerete nella guerra.
Intanto libere siano le sostanze , libere le persone , libera la fama de’
cittadini Romani dalle azioni de’ prestiti , e di ogni altro contratto. Per
quelli poi che combatterai!, con impegno bellissima corona fia la patria
ridiriaata , luminosa la gloria tra com- pagni , e pari la nostra ricompensa a
vivificar le fa- miglie , c magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi aSi esempio , ve n’ esorto , V ardor nùo verso
de' pericoli : io stesso come imo combatterò de’ pià robusti tra voi. Udì tali
detti , coDsoIandosi il popolo , e come quello che non più sarebbe deluso,
promise di arrokrsi per la guerra; e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno
di quattromila uomini (i). Prese ogni console tre di questi corpi con quanta
cavalleria gli fu compartita. Il dittatore prese gli altri quattro col resto
de’ cavalli. Ed apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito
Velurio contro gli Equi, Aulo Verginio contro i Vol- aci, ed il dotatore
Valerio contro de’ Sabini; rimanendo a guardia della città Tito Largio co’ più
vecchi , e con piccolo corpo di giovani. La guerra co' Volsci ebbe prontissima
risoluzione : imperocché necessitati a com- battere , pensando gli antichi mali
, e come aveano mi- lizia più numerosa , piombarono i primi , anzi pronti che
savj , su’ Romani , appena si videro accampati , gli uni dirimpetto degli
altri. Attaccatasi vivissima la batta- glia , fecero molte magnanime cose ; ma
scontramdone ancor più terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo fu preso
, e Velletri loro città principale fu ridotta per assedio. Lo spirito poi de’
Sabini fu invilito ancor esso in brevissimo tempo , essendosi 1’ una e 1’ altra
parte deliberata a campale battaglia. Dopo ciò la campagna fu saccheggiata , e
presi alcuni villaggi , ove i soldati acquistarono schiavi e roba in copia. Gli
Equi all’udire la fine de’ compagni , riflettendo la propria debolezza (i) An.
iti Roma a 6 o secondo Catone, 363 secondo Varrone, a Ì93 av. Cristo. si misero
su luoghi forti ; e ritirandosi alia meglio per le cime di monti e balze
presero tempo e mantennero alcun poco la guerra. 'Non però poterono ricondurre
illeso r esercito , perchè sopravvenendo i Romani ardi- tissimamente su pe’
dirupi ; ne espugnarono a forza il campo. Dond’ è che fuggirono dalle terre de’
Latini , e le città si ridiedero colla facilità , colla quale erano^ già state
prese al giungere del nemico. Alcune però furono espugnate , non cedendone le
guarnigioni ostinate il comando. Riuscitagli la guerra secondo il disegno , Va*
lerio trionfò , com’ era 1’ uso, per la vittori^ e congedò la milizia ,
quantunque non paressene al Senato tempo ancora, afBnchè i poveri non
esigessero le promesse. Quindi a diminuire la sedizione in Roma , scelse al-
quanti di questi, e li mandò nelle terre acquistate colle arme 'e tolte ai
Volsci , perchè le possedessero , e le presidiassero. Ciò fatto chiese ai Padri
che avendo avuto il popolo tanto pronto a combattere , gli osservassero le
promesse. Non però davano questi udienza , ma si op- ponevano come dianzi all’
intento,; perchè li giovani e più violenti e più numerosi tra loro , fatto
partito , brigavano ancora in contrario, e chiamavano con alta voce la prosapia
di-^ lui adulatrice del popolo , e con- duci trice alle ree leggi, tanto care
ai Valer] su le adu- nanze e su’ tribunali; 'malignando che aveano con queste
annientato tutto il potere de’ patrizj (i). Esacerbatone (i) Allude alla legfi^
falla da Valerio 1’ aano 347 di Roma se- condo Catone , colla quale davasi ad
un privato il diritto di ap- pellare al popolo dai magistrali che lo aveano
condannalo. Vedi 1. 5, S «9- molto Valerio , e dolutosi come se calunniato a
torto patisse pel popolo , compianse il vicino fin d’ essi cbe cosi
consigliavano : e com’ è verìsimile nel suo caso , presagendo loro pi& cose
, altre per passione , altre per intendimento maggiore degli altri, s’involò
dalla Curia, « convocato il popolo disse : Cittadini , dovendovi io piena
riconoscenza per la prontezza colla quale mi vi deste per In guerra ; e più.
per la virtù la quale dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai perchè
foste voi ricompensati con ogni modo , princi- palmente col non essere delusi
nelle promesse che io vi feci a nome de’ Padri , quando fui scelto con-
siglierò ed arbitro di ambe le partì, onde ridurvi al- lora scissi, a
concordia. Nondimeno ora sono impe- dito di soddisfarvi da uomini che non
mirano il bene della 'comune ma solo il proprio, almen di presente. Questi
prevalendo di numero prevagliono con una potenza che ad essi la gioventù
concede più che la perizia degli affari.' Ed io , sono vecchio come -.vedete e
vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel consigliare, ed invalidi per
eseguire, e la provvidenza su la repubblica sembra ridotta propriamente a que-
sto , che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro al Senato un vostro
fautore, e voi mi accusate come benevolo troppo verso del Senato. 5e il popolo
innanzi carezzato da me fosse venuto meno alle promesse del Senato , sarebbe la
giustif razione mia, che voi. siete i mancatori, e non io. Ora però non
mantenendosi i patti dal Senato , mi è necessario dichiarare che è senza mia
parte quanto patite , e che io medesimo sono come voi , anzi più, di voi,
circonvenuto e deluso. Imperocché . non solo io sono offeso con ingiuria a
tutti comune, ma in ispecie con quante mormorazioni di me vanno facendo. Di me
si mormora che io per far f utile de’ privati dispensai senza il voto del
Senato a’ poveri Va voi le spoglie prese nella guerra ; che io rendei del
popolo ciocché era di tutti , e che per impedire che il Senato vi malmenasse ,
licenziai , ripugnandovi lui, la milizia che dovea tenersi ancora nelle terre
nemiche fra le marce, e i Vavagli. Mi si rimprovera la spedizion de’ coloni
nella regione de’ V^olsci , per- chè ho io comportilo una terra ampia e buona a
po- veri Va voi , piuttosto che donarla a pcUrizj ed a ca- valieri. Soprattutto
mi si provoca indignazione moltis- sima perchè io nel fare la leva ho assunto
più che quattrocento do’ vostri tra cavalieri ; don^ è che ricchi ne son
divenuti. Se ciò mi avveniva quando fiorivano gli anni , ben avrei insegnato
co’ fatti a’ nemici , qual uomo avessero vilipeso. Ora essendo io più che set-
tuagenario , invalido a provedere fino a me stesso , e reggendo che non più la
vostra sedizione può da me racchetarsi ; rinunzio la' dittatura : e chi vuole ,
io gliel concedo , faccia di me come giudica , se crederi comunque da me
danneggiato, XLY. Intenerirousi tutti a que’ detti e gli fecero se* gulto
quando parti dal Foro. Ma questo appunto esa- sperò contro lui li senatori: e
ben tosto ebbe tali con- seguenze. I poreri non più celatamente nè di notte , come
per addietro, ma pubblicisshnamente riunÌTansi,c trattavano di scindersi da’
patrizj. Il Senato , disegnando impedirneli , diede ordine ai consoli di non
dimetter r esercito. Certamente eran questi arbitri ancora delle reclute , come
sacre pe’ ligami de’ giuramenti militari. £ per questi vincoli ninno attentavasi
di abbondonaroe le insegne ; tanto la riverenza potea de’ giuramenti ! Alle^
gavasi per titolo della ritenzione , che gli Equi e li Sa^ bini eransi
convenuti per la guerra contro de’ Romani. Ora essendo i consoli usciti colle
schiere , ed essendosi accampati non lontani 1' uno dall’ altro , i soldati
radu* naronsi tutti in un luogo colle arme , e per istigazione di un tal
Sicinio Belluto se ne ribellarono ; appropian- dosi le insegne , cose tra’
Romani onoratissime e sante , come simulacri di Numi (i). E creatisi nuovi
centurioni, ed un capo in Sicinio Belluto; occuparono non lontano da Roma
presso 1’ Aniene un monte che sacro si chia- ma 6n da queir epoca. Pregando ,
sospirando , prornet- tendo , li richiamavano i consoli ed i centurioni ; ma Sicinio
replicò: Qual fare è il vostro o Patrizj che ora vogliate richiamare quelli che
avete espulso dalla patria , e che di liberi gli avete schiavi rendati ? Con
qual credito mai ci assicurerete le promesse, le quali siete rimproverati di
aver tante volte tradito? Piutto- sto , poiché volete in città , soli , aver
tutto ; andate ; abbialevelo : non vi angustiate pe' bisognosi, e pe miseri.
Per noi sarà buona ogni terra; e qualunque ne terremo per patria , solchè vi si
abbia la libertà. Annunziatesi tali cose in Roma , tutto vi fu (i) .\n. dì Roma
a 6 o tccoudo Catone, 263 secóndo Varrone, e 49 ^ «T. Cristo. romore e pianto:
e là correva il popolo, intento a la> sciar la città , qua li patrizj cbe
voleano alienameli , colla forza ancora , se ricusavano. Soprattutto eravi clamore
e pianto alle porte ; ed ingiurie vi si facevano , come tra’ nemici , con
parole e con opere , niun più riverendo nè la età , nè l’ amicizia , nè la
gloiia della virtù. Non potendo però, come scarsi , i soldati di guar- dia
destinativi dal Senato custodire le uscite, le abban- donarono , sopraffatti
dalla moltitudine. Allora versando- sene fuora gran popolo ; parca lo
spettacolo , còme la città fosse presa. Gemeano, si rimproveravano quelli che '
restavano , vedendo che desolavasi. Dopo ciò si fecero molte consultazioni ; si
accusarono gli autori delia sepa- razione; ed intanto correano li nemici ,
depredando la campagna , 6no a Roma. Li fuorusciti presero i viveri necessarj
drile terre intorno , nè punto più le danneg- giarono. Tenendosi in campo aperto
accoglievano quanti venivano da Roma , o da’ castelli intorno ; tanto che ne
divennero numerosi ; perciocché vi concorrevano , non solamente quelli che
voleano levarsi dai debiti , dai giu- dizj, e da altri; angustie imminenti, ma
tutti eziandio gl’ inBngardi , gli oziosi , i malcontenti ; quelli che in
malfar si emulavano, che Invidiavano l’ altrui ben essere, o che per altri mali
, e cause comunque , discordavano dal governo. XLVII. Adunque si eccitò ne’
patrizj turbazione , ed angustia grande , e paura , come se li fuorusciti e li
ne- mici stranieri fossero per venire quanto prima contro di Roma. Poi , quasi
tutti ad un segno , prendendo coi loro clienti le armi , altri corsero alle
strade donde pensavano clie giungessero gl’ inimici , altri ai castelli per
difenderne i posti forti , ed altri ai campi innanzi la città per trincerarvisi
, e quei che per la vecchiaja non poterono iàr nulla di ciò, furono distribuiti
per le mura. Come però seppero che i fuoruscili nè si univano coi nemici , nè
saccheggiavano la campagna , né faceano al- tro danno considerabile ,
respirarono dalla paura ; e mu- tato pensiero , esaminarono come si
riconciliassero. Sug- gerirono i capi del Senato mezzi di ogni genere , di- versi
per lo più fra loro; ma li più anziani suggerirono i più discreti , e più
convenienti ai tempi ; facendo ri- flettere che il popolo twn ti era separalo
da loro per malizia , ma in forza de proprj mali , o delle pro- messe non
mantenutegli , e che auca così risoluto V u- tile suo piuttosto tra la collera
che tra la calma della ragione , vizio consueto nella ignoranza. Aggiungevano
che i più di questi conoscevano di avere mal delibe- rato , e cercavano
emendarsene , se il buon punto ne avessero iiche già ne' ei^an le opere come di
chi si pente ; e che volentieri tornerebbero nella patria se potessero,
augumrvisi un avvenire felice , dando loro il Senato perdono , e pace decorosa.
In mezzo a tali consigli supplicavano che essi che erano i gratuli non sentisser
la ira più che i minori’, nè differissero stolti a riconciliarsi allora .quando
fossero necessitati a far senno , e curare il male più piccolo col più grande ,
vuol dire , quando' avessero a tedere le armi, e le per- sone , e togliersi da
sè stessi la libertà : cose tutte quasi impossibili a farsi. Usassero
moderazione , pròponessero i primi gC ulili consigli, e la riunione , av-
vertendo che se era proprio de' patriiù] comandare e dirigerò ; era propria
ancora de' buoni C amicizia e la pace. Mostravano che la dignità del Senato non
mi- norasi quando provede alla sicuiozza col sopportare pazientemente le
perdite necessarie ; ma quando op- ponesi tanto ostinatamente alla sorte che la
repub- blica ne rovini : gli stolli trascurare la sicurezza per amor del decoro
: ben essere da ceivare ambedue queste cose : ma dove sia da cedere V una o C
altra, doversi la salvezza riputare più necessaria. Era l’intento «li tali
consiglieri che si mandasse a fuorusciti per trattar della pace non altrimente
che se la colpa loro non fosse insanabile. Piacque cosi appunto al Senato ; e
scelti per- sonaggi accontissimi , li diresse a quelli che erano in campo con
ordine d’ intenderne i bisogni e le condi- ' zioni colle quali volessero in
cittlt ritornare ; perciocché se fossero discrete e fattibili, jl Senato non le
rigette- rebbe : intanto se depenessero le arme , e tornassero in Roma ,
promettea loro perdono e dimenticanza perpe* tua di tutto il passato : come
belle ed ntili le ricom- pense a chi servisse valoroso , ed affrontasse
ardente- mente i pericoli per la patria. Recarono gli oratori e comunicarono
tali voleri al campo , aggiungendovi cose consentanee. Non accettarono' i
fuorusciti l’ invito : anzi rimproverarono a’ patrizi T orgoglio , la dnrezza ,
le si- mulazioni loro perchè fingevano ignorare i bisogni del popolo, e quelli
pe’ quali si era separato. Ci assolvono, diceauo, da ogni pena per la
ribellione , come fossero i padroni, essi che abbisognano dell’ ajulo nostro.
Quando giunga su loro , e sarà tra non molto , con tutte le forze il nemico ;
non potranno alzare nem- men lo sguardo contr esso , e pur ci voglion far cre-
dere che non sia bene loro t esser difesi ; ma felicità di chi si unisce a
difenderli. Aggiunsero a tal dire che se vedevano già le angustie di Roma ;
comprendereb-* bero poi meglio con quali nemici avessero a guerreg- giare : e
qui minacciarono molto e veementemente. Non contraddissero a ciò, ma partirono,
e dichiararono i legati a’ patrizj le risposte dei segregati: e Roma, uditele,
se ne turbò ; e temette più che per addietro. Il Senato non sapendo come
espedirsi o diffenrc , si disciolse , dopo avere più giorni ascoltate le
infamazioni e le ac> cose vicendevoli de’ suoi capi fra loro. Il popolo
rimasto in Roma per benevolenza verso de’ patrizj , o per de- siderio della
..patria più non somigliava sestesso; dile- guandosene gran parte nascostamente
o in pubblico > nè sembrandone il resto affatto più stabile. Fra tali vi-
cende i consoli , avendo poco più tempo per coman- dare , fissarono il giorno
pe’ comizj. Venuto il tempo nel quale aveansi a riunire nel campo Marzo e
scegliere i proprj magistrati; ninno ambiva , nè sostenea di esser consolo.
Adunque nella Olimpiade setlantesÌDa seconda nella quale Tisicrate da Crotone
vinse allo stadio, essendo arconte in Atene Diogneto ; il popolo rielesse al
consolato due vecchi consoli Postumio Gominio e 'Spurio Cassio, uomini cari
alla moltitudine ed ar grandi , da' quali già domati i Sabini aveano lasciato
di competere dell’ impero con Roma. Or questi riassumendo il loro grado alle
calende di settembre, vale a dire prima del tempo consueto ai consoli
precedenti , convocarono innanzi tutto il Senato per deliberarvi sul ritorno
del popolo (i). CbieslO' il’ parere di tutti ; invitarono a dire Menenio
Agrippa , uomo allora venerabile per età, credulo più che gliaU tri insigne in
prudenza , e lodato principlmente' per loi scelta de’ suoi regolamenti, perchè
teneasi^al mezzo non fomentando 1’ arroganza de’ nobili , nè lasciando che i|
popolo operasse tutto a suo modo. Or questi esortando il Senato alla
riconciliazione , disse r Se quanti qui siamo o Padri Coscritti fossimo tutti
di un animo; e se niuno si opponesse a far pace col popolo , comtm- que la
facessimo , per giuste o per ingiuste condizùy- ^ ni ; e se questo fosse
proposto unicamente d diseu^ tere ; dichiarerei , con poche parole dà che ne
penso. Ma perciocché alcuni giudicano che sia dà ponderare ancora se forse
riesca più utile far guerra a fuoru- sciti ; non credo che io possa in ^ poco-
insinuare dà che dee farsi: ma sento il bisogno tt istruir ampia- mente su la
pace quanti tra voi ne discordano. Im- perocché questi conducono a cose
contraddittorie ; spa- ventano voi , che già ne temete , su mdli da nulla o
lievi a curarsi, e trascurano gl' immedicabili e gravi. Certamente cosi
propongono perchè non decidono del- r utile colla ragione , ma col furore e
coll’ impelo. E come si direbbe che essi provvedono le cose proficue, o
fattibili almeno , quando stimano che Roma , una (i) A^oi di Roma a6t «ceoodo
Catóne, o63 secondo Varrone,e 4{)t arami Critu». a6i città si grande , ed arbitra di tante
genti ^ e già in~ yidiata e molestata da’ vicini , possa ritenerle e difen-
derle facilmente senza il suo popolo , o che possa in luogo del suo sì
scellerato introdurre altro popolo che per lei combatta del principato ; che
con lei sia di buon accordo su la repubblica , e sempre moderato in pace ed in
guerra ? Eppure non altro potrebbono dirvi quei che tentano dissuadervi dalla
pace. L. Ma qual sia la più stolta di queste cose, vorrei che voi stessi lo
decideste dalle opere. Considerate , che alienatisi da voi li più poveri perchè
abusaste della loro infelicità senza modestia e senza politica , e che recatisi
appena fuori della città senza farvi o macchi- narvi altro mede , col solo
intento di averne una pace non ingloriosa , molti de’ vostri nemici
abbracciarono con trasporto questa occasione come dono della sorte, e riedzan
lo spirito , e credono venuto per loro fitud- mente il tempo felice da battere
il vostro impero, di Equi , i Eolsci , i Sabini , gli Etnici , questi che mai
si alienano eìal farci la guerra , esatperali ora dalle sconfitte recenti, già
devastano le nostre campagne. Que’ Campani , que Tirreni die vacillavano nella
no- stra soggezione ora parte fi abbandonano matdf està- mente , parte in
occulto • vi si preparano. E gli stessi LeUirti , quantunque nostri congiunti,
a me non sem- ■hran procedere di buona fede, costanti neW amicizia; ma odo che
guasti sono in gran numero per amore di un cambiamento , che tanto gli uomini
alletta. Noi die abbiamo fin qui portato in campo aperto la guerra su gli
altri; noi ci stiamo or qui dentro , difensori delle mur^; lasciando senza
seminarli i nostri terreni, anzi 1 vedendovi saccheggiali i villaggi , via
levale le predo , e fuggirsene di per sestessi gli schiavi , senza che abbiamo
rimedj a tanti mali. Non pertanto noi ' tutto soffriamo , perchè speriamo
ancora che il popolo ci si riconcilj , ben sapendo che da noi dipende il
togliere- con un solo decreto la sedizione. Ma se pessimo è lo stato nostro in
campagna;, non è meno funesto e terribile dentro le mura. Noi ' non ci siamo
.apparecchiati già da gran tempo , come per un assedio , nè bastiamo di numero
contro tanti nemici. La nostra gente è poca, nè da guerra, e ple- bea, per gran
parte, merce nar f , clienti, artefici, cu- stodi tton affatto saldi dello
stato turbato degli Otti- mali : e le continue loro diserzioni verso de’
fuorusciti ce li hanno rendati tutti sospetti. Soprattutto essendo le nostre
campagne dominate da nemici, ed impossi- bilitato il trasporto de’ viveri ;
abbiamo a temer di una fame : e quando a tal disagio saremo; tanto più ci
spaventerà la guerra , la quale senza questo ancora non concede mai calma allo
spirito. Quello poi che supera tutti i mali è vedere le donne dei segregati,
vedere i teneri figli , i padri cadenti , che sqqallidi e miserandi si rigiran
pel Foro e per le vie , che pian- gono e supplicano e stringono a ciascuno la
destra e i ginocchi, e deplorano la solitudine loro presente e più ancor la
futura, spettacolo in véro desolante ed insopportabile ! Niuno è si barbaro che
non s inte- nerisca a mirarlo , e non si appassioni sul destino de- gli uomini.
Che se abbiamo a diffidar su plebei ; dofremo rimoverne gt individui, altri
come inutili nel- r assedio , ed altri come amici non saldi. Or se questi
rimovansi , quid forza rimane in guardia di Roma ? o da quale soccorso animati
ardiremo star contro dei mali ? V unico nostro rifugio , P unica nostra buona
speranza è la gioventù patrizia : ma poca come vedete ella è questa , nè
bastante a darci i grandiosi disegni. Che dunque impazzano , quei che propongon
la guer^ ra , o perchè mai ci deludono , e non consigliano piut~ tosto di
cedere fin da ora senz ar^ustie , e senza sangue Roma ai nemici ? Ma forse io
ciò dicendo son cieco , e predico per terribili , cose che non son da temere.
Roma non corre altro rischio che di un cambiamento , cosa certo non difficile ;
potendovisi facilissimamente introdurre mercenarj e ' clienti in copia da ogni
gente e luogo, posi van divulgando molli de* contrarj al popolo, uo- mini ,
viva . Dio y non dispregievolì. A tanta stoltezza vengono alcuni ; che non
propongono già consigli sa- lutevoli , ma desideri impossibili I Ora io
volentieri dimanderei questi uomini quode tempo mai ne si, dia per far tali
cose , essendone tanto vicini i nemici : qtude condiscendenza alt indugio o al
ritardo del giu- gnere degli alleali in mezzo à mali che non tempo- reggiano ,
nè aspettano ? Qual uomo , o qual Dio mai vi terrà sicuri , o congreghem da
ogni luogo in gran calma , e qui ci porterà de’ sussidj ?. Inoltre e quali tuoi
saran. ' quelli che lasceranno la patria per venir- sene a noi ? Quelli forse
che haruus case e Dii Lari € viveri ed onori tra proprj cittadini per la
nobiltà degli antenati, o quelli che per la gloria risplendono de' pnoprj
meriti ? E chi mai sosterrebbe di abhem- donare i proprj commodi, e partecipare
vergognosa^ mente i mali altrui ? Eppure a noi si verrebbe non per dividere con
noi la pace e le delizie, ma la guerra e i pericoli, e questi incerti, se a
bene riescano ! Convocheremo forse una -turba, qual fu quella riget- tata da
noi, plebea e senza lari? Ben è chiaro che pe' disagi suoi , io dico pe’ debiti
, per le penalità , c per cause altrettali prenderà volentierissima . dovunque
una sede : ma sebbene questa plebe sia utile , c ( per concederle questo ancora
) sebbene sia moderata ; tuttavia ci riuscirà generalmente , assai, meno 'buona
della nostra , perchè non è rutta tra nci, nè come noi disciplinata , e perchè
ignora i nostri costumi, le no- stre leggi , e le nostre maniere. celebrasi la vostra clemenza , il quale nè manda a noi per conciliarcisi
esso che à C offensore , nè porge risposte umane e socievoli a quelli che noi
stessi gli abbiamo inviati : ma s’ inal- bera e minaccia , nè lascia conoscere
quello che vo- glia. Udite voi dunque ciò che iò consiglio che^ fac- ciasi. lo
nè penso il popolo irreconciliabile a noi > nè > ohe mai farà quanto
mincucip, ; dióchà mi sono buon argomento le opere sue che a’ detti non somi-
gliano. -Dond’ è che io lo credo assai piò che ■ noi sollecito di pacificarsi.
Certamente noi abitiamo una patria onoratissima , e teniamo irt poter nostro le
so- stanze di lui, le case, i genitori, a tutte le cose pià preziose : ed egli
si trova senza patria , senza ma- gioni , senza i pegni suoi più, cari , e
senta V abbon- danza ancora del .^vivere quotidiano. Che se alcuno mi chieda
perchè mai fra tanti patimenti egli nè ac- cetti gl inviti nostri , nè mandi a
noi per istanza niuna , rispondo s ciò essere manifestamente , perchè Digitized
by Google 2G8 delle antichità’ romane fin (jid mn intese dal Senato che parole
senza ve- derne poi le opere o di benevolenza o di modera- zione ; e perchè
crede di essere stato molte volte in- gannato da noi che promettevamo di
provvedere su lui, senza avervi mai provveduto. Non ci spedisce am- basciadori
perchè son qui tanti che ce» lo accusano , e perchè teme non ottenere ciò che
dimanda : e forse così gli suggerisce un ambizione non bene conside- rata; nè
già è meraviglia. Imperocché son pure tra noi non pochi , difficili ,
contenziosi , i quali colle brighe loro non vogliono che cedasi punto ai
cóntrarf , e cercano per ogni via di sopraffarli senza mai con- discendere essi
i primi , finché loro non sottomettasi chi vuole essere beneficato. Or ciò
considerando io penso che debbansi spedire al popolo ambàsciadori ,
principalmente di stia confidenza : e consiglio che questi ambasciadori siano
plenipotenziarj , perchè le- vino la sedizione coi patti che essi terranno per
giu- sti , senza rimettersene al Senato. Questo popolo che ora vi pare sì
spregiante e grave , questo darà loro utlienza , al vedere che voi cercate
veramente la con- cordia , e ridurrassi a condizioni più mitij senza chie-
derne alcuna vituperosa , o non fattibile. Imperocché tutti, e specialmente i
plebei, ne’ dissidj s' irf urtano con chi su loro insolentisce ; ma si
ammansano con chi li blandisce. Cosi disse Menenio; e levossene in Senato gran
romore , parlandovi ciascnno alia sua volta. I fautori del popolo esortaVansi a
vicenda a dar tutta la mano per- chè rlpatriasse, avendo per capo di questo
consiglio il pii riguardevole de* patrizj. Per Topposìto quegli ottimati die
cercavano che nulla si alterasse de’ costumi della patria mal sapeàno ciò che
avessero a fare , nò voleano condiscendere; nè poteano ostinarsi. Nondimeno
uomini integerrimi né caldi per l' uno o 1’ altro partito voleano la pace ,
intenti a questo di non essere assediati tra le mura. Or qui fattosi da tutti
silenzio il più anziano dei 'ìonsoli encomiò Menenio della sua generosità ,
stimo» landò anche gli altri a somigliarlo nella cura della re- pubblica , a
dir francamente ciocché ne sentissero , e compiere senza strepitò ciocché sen
decidesse: indi nel modo stesso cercandolo dei suo parere , chiamò per nome
Manio Valerio, nomo infra tutti gli ottimati ca- rissimo ài popolo, e fratello
all’uno di quelli che aveano liberato Roiòa dai tiranni. Costui levatosi in
piede ricordò ai Padri i suoi provvedimenti , e come avendo egli presagito più
volte i terribili casi avvenire , ne tennero pochissimo conto : poscia esortò
li contrari discutere ornai su la moderazione , ma solo a vedere ( giacché non
aveano permesso che si estirpasse quando era ancor piccola ) di racchetare ora
, comunque , il pià presto , la sedizione , perchè , trascurata , non proce-
desse pià oltre , e non divenisse incurabile f o presso che incurabile , e
sorgente di mali senta fine. Di- chiarò che le dimande del popolo non sarebbero
come per r avanti; e pronosticò che non si accorderebbe colle condizioni di
prima insistendo per la sola re- missione dei debiti , ma che vorrebbe forse un
qual- che difensore , onde tenersi illeso nell' avvenire : af- fermava che dopo
introdotta la dittatHra era venuta- meno la le^e tutelare della Uhtrià la quale
non per^ metteva a’ patrizj di uccidere alcun cittadino non giu- dicato , nè di
cederlo giudicato reo nelle mani de’ loro- contradditori , e la quale concedeva
a chi volea V ap- pelto f di portare le cause al popolo da’ patrizj f tanto che
quello si eseguisse che il popolo ne decidesse^ Poco mancarvi che non fosse
statà tolta al popolo tutta la potenza esercitela già da esso ne' tempi ad*
dietro , quando non potè ottenere dal Senato per le imprese rmlitari il trionfo
a Pubblio Servilio Prisco, uomo infra tutti degnissimo di quest’ onore.
Pertanto- ben essere verisimile che il popolo cosi ojfeso sconfortisi nè abbia
se non triste speranze della sua sicurezzaj Non il console , non il dittatore
aver potuto soccorrerà il popolo , quantunque il volessero,; .anzi averne par-
tecipale le incurie e V avvilimento , perchè studia» vansi provvedere su lui.
Essersi poi cospirati per im» pedirli non uomini autorevolissimi fra li patrizj
, ma uomini oltraggiosi , avari , . acerrimi ne’ rei guadagni, « quali , pe’
grandi prestiti a grandi usure , aveano ridotto schiavi ì pià de’ cittadini ;
dicea che questi facendo loro leggi dure , orgogliose . aveano alienata tutta
la plebe da patrizj ; e che datosi per capo Ap- pio Claudio , odiatore della
plebe , e propizio ai po- chi y rimescolavano tulli gli affari di Roma. E se la
parte savia del Senato non si contrapponesse , la repubblica pericolerebbe di
essere schiava o distrutta. Da ultimo dichiarò ben fatto valersi del parer di
Me- nenio , e chiese che si spedisse al popolo qiumto prima: procurassero i
deputati quanto volessero la calma della sedizione : ma se il popolo non accet-
tava le dimando loro , essi quelle accettassero del LIX. Sorse , invitato ,
dopo lai Appio Claudio , uomo contrario al popolo, e grande estimatore di sestesso,
nè senza cagione. Perocché nel vivere suo quotidiano era moderato e santo ,
nobile nella scelta de' provvedimenti, e tale da conservare la dignità de’
patrizj. Costui pren« dendo occasione dell’ aringa di Valerio , disse : Certa-
mente sarebbe Valerio men riprensibile se palesava unicamente il suo parere ,
senza condannare quello de’ contrarj ; giacché non avrebbe nemmen egli ascoU
tato i suoi vizj. Siccome però non fu pago di dar consigli onde renderci
schiavi ai cittadini pili vili, ma sferzò pure i suoi contrarj , cimentando
anche me ; così vedomi necessitato assai di rispondere , e di respingere
primieramente le calunnie a me fatte. Son io rimproverato di una condotta nè'
sociale , nè decorosa , quasi io cerchi per ogni via far danari , quasi spogli
molti de’ poveri della libertà, e quasi da me sia derivata in gran parte la
separazione del popolo. Ben vi è facile però di conoscere che niente di ciò è
vero , niente probabile. Or su , dimmi , o Valerio , quali sono quelli che ho
io ridotti servi pei debiti , quali i cittadini che ora tengo nella carcere ?
(filale dei fuorusciti si è privato della patria per la durezza e per V
avarizia mia ? Certo non potrai tu dirlo. .Anzi tanto è lungi che alcuno sia da
me ri- ilotto servo pe’ debiti che. io sparsi tra molti V aver mio , nè mi
rendei schiavo , nè disonorai niuno di quei che mi hanno defraudato : ma tutù
ne son U- beri, e tutti me ne ringraziano , e stansi nel numero degli anici e
de clienti miei pià familiari. Nè ciò dico per incolpare chi non opera come me,
nè per ingiuriare chi ha faUo cose concedute dalle leggi; nta solo per levas'e
da me le calunnie. In ciò poi che mi accusa della durezza e del patrocinio mio
sui scellerati, chiamandomi odUpopolo ed oligarca perchè favorisco il comando
de’ pochi , in ciò son io da riprendere quanto voi che avete ricu- sato , come
pià riguardevoU , di soggiacere ai men degni , e di lasciarvi togliere il
comando dei vo- stri antenati da una democrazia , pessimo infra tutti i
governi. Nè già perchè egli soprannomina oli- garchia il comando de’ pochi
dovrà questo disciogliersi per le beffe del nome. E pià giustamente e propria-
mente possiamo noi riprendere lui come un adulatore del popolo , ed un
ambizioso di tiranneggiare. Per- ciocché niuno ignora che la tirannide nasce
dalle adu- lazioni della plebe : e che la via speditissima a ren- dere le città
schiave è quella che mena al comando col mezzo de’ cittadini peggiori. Or egli
ha fin qui carezzato costoro , nè tuttavia cessa di carezzarli. Ben vedete che
questi abietti , questi miseri , non avreb- bero . mai ardito d’ insolentire in
tal modo se non fossero stati eccitati' da questo sì riguardevole e bello
amatore della patria , come se l’ tali
trattare, Abhiam per ostaggi le loro mogli, i loro padri, e tutto il parentado
, dei quali non potremmo ckiedtrne altri migliori dd\Numi, Questi , li
collocheremo • nói, questi al cospetto dei loro congiunti , minacciando , se
tentano assafirti , di uc- ciderli con estremi supplizj: ina, credetemi, dove
ciò sappiano , voi li riceverete inermi', supffikhevoli, pian- genti , pronti
ad ogni pena. Terribili sono tali neces- sità , e frangono , ed annientano ogni
baldanza.E questi sonod riflessi -^pd quali non dob- biamo la guerra temere
degli esuli. Le mirtacce poi di altri popoli rum ora Ut prima volta si
trovarono fnire in paroUf; ma 'per ^addietro ancora ci si sco- prirono sempre
rtùnori delt apparenza quante volte i popoli fecero di noi paragone. M quelli
che tengono per insufficienti le intime nostre forze, e però temono appunto la
guerra , quelli non bene le han calcolate. Ai citrini da noi separati, se il
vogliamo , possiamo contrapporre scegliendoli e liberandoli , il ' fiore de’
servi. Certamente vai meglio donare a questi la libertà , che lasciarsi torre
da quelli il comando : tanto più che stati essendo questi tante volte presenti
ne’ nostri campi hanno sperienza che basta di guerra. Per com- battere poi
cogli esteri usciremo ' noi stessi pieni di ardore e meneremo con noi tutti i
clienti, e tutto il resto del popolo : e perchè sia questo ' cspedito a ci-
menti , rilasceremp ciascuno privatamente , e non max per legge , ad esso i
suoi debiti. Se dobbiamo in vista de’ tempi cedere in parte e temperarci; non
dee mai farsi questo con cittadini che ci s' inimicano , ma cogli amici ,
perché sappiasi che noi concediamo grar zie, eomthossi e non violentali’, che
se queste non bastino, se bisognino altre fòrze , f arem venirne dai presidii e
dalle colonie: e quanta sia- la moltitudine loro , è facile raccoglierlo dalC
ultimo censo. 1 .Romani atti (die arme son cento trenta mila, e di questi
appena la settima tparte è fuggita ' da noi ( 1 ). Non commentoro qui le'
trenta città de’ Latini , le quali come voitre alleate ^ combatteranno di
bonissima vo- glia per voi, sol che decretiate di ammetterle alla vostra
cittadinanza che > sempre .vi hanno domandata. Ora vi aggiungo' (.e finisco
) quello che ri- leva fra le arme assaissimo , e che voi non avete av- vertito
, o certo niun dice de’ Padri. Chi cerca il buon esito delle guerre, di niente
ha tanto bisogno, quanto di egregi capitani. Or di questi la nostra città
soprob- [Questo ceuso non par quello fatto da T. Largio primo dituiorr, ma
l’altro fissato da Sigouio oell’ anno sGu di Roma, ov« dice eba furono numerati
più che centodieci mila ciuaUini. benda , ma scarsissime ne sono quelle de'
nemici. Lè grandi milizie se ricevano duci mal atti alle arme, si svergognano ,
e rovinano di per sestesse con danno tanto maggiore, quanto sono più numerose:
ma i buoni condottieri presto rendono grandi anche picciole ar- mate. Di qua
seguita che fiiìchà avrem uomirU buoni al comando, mai avremo penuria di quelli
che fac» cianci comandare. Or ciò considerati^ , e ricordando voi le imprese di
Roma ; certo mai non porrete de- creti meschini , vili , indegni. Che dunque ,
se alcuno tnel chiede , ( e già forse bramate da gran tempo sa- perlo ) che
dunque io propongo che facciasi ? Io pro-> pongo che nè spediscansi
ambaseiadori d fuorusciti ^ nè sen decida arti , finché raccolto il voto de’
se- natori SI dedicassero ai voleri dei più. Se violato 1’ uno e r altro di
questi cousigli, faceano di lor voglia la pace ; protestavano che noi
permetterebbero , ma vi si opporrebbono di tutto lor animo, colle parole finché
dovevasi , o colle arme in ultimo se bisognava. Era que> sto partito J1 più
forte , aderendovi quasi tutta la gio« ventù palriaia. In opposito piegavano al
partito di Me-s uenio e di Valerio tutù quelli che aveano cara la pace, p cbe
torneano soprattutto per 1’ età loro, considerando quanti siano .nelle città li
mali delle guerre civili. Mossi però dai clamori e dai tumulto dei giovani ,
adombrati dall’ ambizione loro , e dall’ arroganza contro de’ consoli , e
timorosi che indi a poco si venisse alle mani se nou cedevano; si volsero in
ultimo a piangere, e supplii care , piangendo , i conirarj. Sopitosi coi tempo
lo strepito, e tornato il silenzio , i consoli abboccatisi fra loro, cosi
conchiusero. Noi vorremmQ primieramente o Padri Coscritti , che voi tutti foste
unanimi d intelligenza e di volere in^ torno la salvezza del comune : se no ,
che i più gio^ vani almeno cedessero , non ripugnassero d seniori ,
considerando , che ancK essi giunti alT età di questi avran pari onori dai
discendenti. Ora siccome vediamo voi caduti in una discordia , rovinosissima
fra i mali umani , e sorgere qui mollo f arroganza de’ giovani ; e siccome poco
ornai soprawanza del giorno, nè pos- sono aver fine le discussioni ; ritiratevi
dal SeruUo : tornerete in cUtra adunanza più placidi e con sentenze migliori.
Che se qui persevera l’ amore delle contese, non più ci varremo de' giovani por
giudici , né per consiglieri su ' quello che giova : ma precluderemo il disordine
con una legge ; determinando la età che aver dee chi consiglia. Quanto a’
seniori se non si uniscono ne' sentimenti ; torneremo a dar loro la pa- rola ,
e ne risolveremo le dispute per una via spedi- tissima , la quale è meglio che
voi udiate e conosciate precedentemente. Voi sapete che noi abbiamo fin dalla
fondazione di Roma , che il Senato è t arbitro, è vero , di ogni cosa , ma non
di creare- i magistrati, rum di fare le leggi , rum di portare ■ o cesseue la
guerra ; le quali tre cose il popolo le difinisce in "ul- timo col suo
voto. E siccome ora non consultiamo che su la guerra e la pace ; cosi debbe il
popolo, li- berissittur ne' suoi voti ratificare indispensabilmente i vostri
decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i vostri pareri , ru>i
scguerulo questa legge , inviteremo la moltitudine al Foro , perchè ne
sentenza. Così le' contese avran fine ; mentre ciò che la pluralità dei voti
destinavi , quello abhracceremo. Senza dubbio son degni di quest’ onore quelli
che si tennero finora he- naffetti alla patria , io dico i compartecipi de'
nostri beni e de mali. Sciolsero, ciò detto, radunania. Fecera nei giorni
appresso annunziare a tutti de’ villaggi e della campagna che si presentassero,
e similmente al Senato che si riunisse nel di stabilito ; e qnaudo videro la
città riempita di popola, e gli animi de’ patrizj mossi dalle preghiere fatte
tra le lagrime , e tra’ lamenti de’ vecchi genitori , e de’ teneri '6gli de’
profughi , recaronsi nel tempo destinato sul finir della notte al Foro ,
angusto a tutta ia moltitudine. Venuti al tempio di Vulcano donde solcano
aringar l' adunanza , lodarono primiera- mente Il popolo dello zelo e della
prontezza nell* accor- rere in tanta frequenza: quindi lo esortarono che aspet-
tasse in calma la risoluzione del Senato; animando in- tanto gli attenenti de'
profughi a buone speranze, come quelli che riarrebbero tra non molto i loro
pegni dol- cissimi. Dopo ciò passando in Senato vi tennero benigni e modesti
ragionamenti , ed invitarono ancor gli altri a proporre consigli vantaggiosi ,
ed umani. Chiamarono innanzi tutti Menenio , il quale alzatosi in piede rivenne
ai suggerimenti di prima stimolando il Senato alla pace : e riproponendo che si
deputassero ai segregati bentosto de’ personaggi , arbitri di concordare. Invitati
poi secondo 1’ età sorsero a mano a mano gli uomini consolari: parve a tutti
questi che fosse da seguire il parer di Menenio ; finché toccò ad Appio di
favellare. Or questi sorgendo t'eggo , disse , o Padri Coscritti che piace ai
consoli e poco meno che a tutti di rimpatriare- il popolo colle condizioni eh’
ei vuole: che fra tutti i contrarj della pace or io rimangomi solo , esposto
aie odio di quello , e niente utile a voi. Ala non per questo rimovomi dalle
mie prime deli- berazioni : nè ripudio da me stesso ciò che intendo su la
repubblica. Quanto piò. restomi derelitto da quelli i quali come me ne
sentivano ; tanto piò col volger degli anni ne sarò pregiato tra voi , sarò in
vita coronato di gloria , e morto sarò benedetto dalla ricordanza de posteri.
Sia pure o Giove Capitolino , o Dei presidenti della nostra città , o eroi e
genj , e quanti in guardia avete il suolo Romano, sia pur Diomcj, urna IT. i**
a8a . hello ed utile a tutti il ritorno
de fuorusciti , e de- lusa resti la espettazione eh’ io ni' avea su 1’
avvenire. Ma se pe’ consigli presenti dee venire (e fia ciò pa- lese tra non
molto ) alcun disastro su Roma , deh ! rettyicateli voi prestamente , e fate la
nostra salvezza. Deh ! siate benevoli e propizj a me che non avendo mai voluto
dir le piacevoli per le utili cose , non tradirò nemmen’’ ora il comune per la
mia sicurezza. Io così volgomi a pregare gV Iddj ; perchè non abbiso- gnano
più, parole. Ripeto la sentenza di prima : as- solvasi IL POPOLO RIMASTO IN
CITTa’ DAI DEBITI ; MA COMBATTANSI CON TUTTO L ARDORE I FUORUSCITI TINCBÈ
STARANNO SU LE ARMI. E ciò detto Gnl. Poiché le sentenze de’ seniori
concordaronsi con quella di Menenio , e poiché venne il discorso ai giovani ;
standosi tutti in espettazione , sorse Spurio Nauzio , un rampollo della
prosapia nobi- liasima originata da quel Mauzio compagno di Enea nel guidar la
colonia, e sacerdote di Minerva m'bana, il quale nel trasmigrare aveane portato
seco il divin simu- lacro , dato poi successivamente in custodia a’ suoi di-
scendenti (i). Ora Nauzio che parea per le sue belle doti più nobile ancora di
tutti i giovani , nè lontano mollo dall’ ottenere la dignità consolare ,
cominciò la difesa comune di questi : diceva che quando nel Senato (i) Anche
Virginio fa meniioue di questo Nauxio , che egli chia- ma Pfautt , nel libro 5.
Tum senior PfaMes , unum Triionia Paìlas , Quaeitt docuit , muUaqus insignem
reddidit arte , Haec responsa datai precedente avetmo pronunziato in contrco'io
de' padri non fu già per amore di contendere o insuperbire con essi, ma solo
mancando , se aveano pur mancato, per inesperienza di anni : e qui soggiunse
che fareb- bero fede di ciò col variar sentimento : che lascia- vano a loro
come più savj decidere co’ voti il ben del comune : essi non contrarierebbono ,
ma secon' darebbero i seniori. E dichiarando Io stesso ancor gli alni giovani ,
toltine pochi , legati di parentado con Appio ; i consoli ne lodarono la verecondia
; ed esorta» tili ad essere sempre tali ne' maneggi ' pubblici , elessero tra’
seniori piÀ cospicui dieci deputati , uomini consolari tutti, fuori che uno.
Furono gli eletti, Manio Valerio, Tito Largio , Agrippa Menenio figlinolo di
Gajo , Publio Servilio figliq di Publio, Postutnio Tuberto figlio di Quinto,
Tito.Ebuzio Flavio figlio di Tito, Servio Sul» picio Camerino figliuolo di
Publio, Aulo Postumio Albo prima alle
tose loro quei che le aveano lasciate. Presi tali ordini, partirono i deputati
nel giorno (1^ Nel testo si omeltoDO Maoio Valerio , Tito Largio , e si no-
lano altre maacaaxe in questo luogo. Noi alitiamo seguita la lesione di Porlo medesimo.
Precedè la fama il giunger loro, divulgando nel campo tutte le cose fatte in
città : dond’ è che la- sciando tutti le fortificazioni uscirono immantinente
in- contro a’ deputati che erano in via. Aveaci nel campo un uomo turbolento
affatto \ e sedizioso, acuto a preve- der da lontano ciocché avverrebbe, nè
insufficiente , come parlator lusinghiero , a dirne quanto ne pensava.
Chiamavasi questi Lucio Giunio col nome appunto di lui che tolse i tiranni : e
voglioso di assumerne il nome per intero , facessi intitolare Bruto ancora.
Rideano i più su la cura vana di esso^ e Bruto il chiamavano quando pungere lo
volevano. Or questi mise in cuore a Sicinio , duce dell’ esercito , che il bene
del popolo non istava nel rendersi troppo facilmente , sicché men degno ne
fosse il ritorno per le umili condizioni ; ma nel re- sistere lungamente ,
simulando come in tvia tragedia. E profferendosi egli a Sicinio di parlare in
favore del po- polo , e suggerendogli altre cose che erano da fare o dire , lo
persuase. Dopo ciò Sicinio , convocato il po- polo , impose a’ legati che
dicessero le cagioni per le quali venivano.Recatosi in mezzo Manio Valerio come
il più provetto e popolare , e contestatagli dalla moltitudine la sua
benevolenza con grida e saluti amichevoli , alfine , fatto silenzio, disse:
Niente, o popolo proibisce che vi riconduciate alle vostre case , niente che vi
paci- fichiate co’ Patrizi . Il Settato ha per voi decretato' un ritorno utile
e decoroso j e di non pià ricordare o vendicare il fatto finora. E noi che
vedeva propen- sissimi per voi , come da voi rispettati , ha qui deputato con
poteri assoluti di concordare : affinchc noi non opinando nè congetturando su
vostri desiderj , ma udendo da voi stessi con quali condizioni chie- dete
riconciliarvici , ve le accordassimo se moderate , se non impossibili , nè
impedite da indecenza insa- nabile , sene’ aspettare il voto de’ Padri , e
senza in- tristire V affare colle dilazioni , e colla invidia dei contrari (i).
Avendo il complesso de’ Padri così per voi decretato ; ricevetene il dono lieti
, pronti , e benevoli s pregiandone degnamente una sorte sì bella , e rin-
graziando vivamente gV Iddj che Roma , la domina- trice di tanti popoli , che
il Senato , regolatore di tutto il bene che è in essa , mentre V usanza della
patria non permette che cedasi ad alcuno , cedano alle istanze vostre solamente
, nè pretendano come i più. grandi su’ men grandi discutere minutamente quanto
conviene ad ambedue , ma primi essi vi spe- discano per . la pace : che non
piglìasser con ira le risposte imperiose da voi fatte ai primi ambascia- dori ,
ma pazientassero alt orgoglio e fierezza di una ostinazione giovanile , come il
buon padre sul figlio non savio : che volessero indirizzarvi una seconda
ambasceria , diminuire i loro diritti', e rimettervisi dove la moderazione il
consente. Giunti a tanta felicità non esitate a dime ciocché bisognavi, e non
esorbitate o cittadini : lasciate le sedizioni : tornatevi giubilando alla
terra che vi ha generati e nudriti : (i) Allude ai scDatorì che arrebbono
perorato in contrario nei Senato. Già non le deste voi li trofei e le
ricompense pià belle , riducendola quanto è da voi solitaria, o come un campo
da pascolarvi. Se trascurate questa oc- casione , forse ne richiamerete pià
volte la somi- gliante. Taciotosi Valerio fècest innanzi Sicinio , e I disse ,
che chi ben consulta non riguarda V utile da una banda sola , ma lo contempla
nel suo rovescio ancora , principalmente in affare di tanta importanza.
Pertanto comandò che chi volea rispondesse a ciò , deponendo ogni verecondia e
timore. Non permettere la natura delle cose che essi benché ridotti a tante
angustie cedessero per paura o per vergogna : E qui, fatto silenzio , e gli uni
riguardando su gli altri , e cer- cando chi perorasse pel comune; ninno si
presentò. Ma replicando Sia aio altre volte l’ istanza venne alfine in mezzo
secondo gii accordi quel Ludo Ginnio desideroso di essere cognominato Bruto :
ed avuto a far dò grandi significazioni dalla moltitudine , tenne questo
ragiona- mento : Il timore che avevate de’ Patrizj o compagni è scolpito ancora
per quanto vedo , e triorfa negli animi vostri. Abbattuti da questo timore
esitate far qui , udendovi tutti , i discorsi che usavate tra voi. Forse
ciascuno confida che il vicino suo aringherà sul comune , e che piuttosto
incorrerà tra’ perìcoli ogni altro e non egli : ami che egli tenendosi in sal-
vo , goderà senza perìcoli parte del bene che possa mai nascere dall ardire
degli altri : ma stolto è que- sto concetto. Imperocché se tutti aspettiamo la
stessa cosa , la codardia di ciascuno sarà nocevole a tutti; c dove ognuno
figurasi la sua sicurezza; ivi insieme con tutti rovinerà la comune. Ma se non
avete ap- preso finora che per le arme ci togliemmo la paura, e per le arme
avete consolidata la vostra libertà ; conoscetelo ora almeno , ed i Patrizj ,
essi stessi ve 10 insegnino. Questi orgogliosi, questi durissimi uo~ mini , non
vengono come prima comandando e mi- nacciando , ma supplicandoci , ed
esortandoci a tor- nare alle nostre case : e già cominciano a trattarci come
liberi veramente. Che dunque or più vi anne- ghittite e tacetq ? Che non la
Jote da liberi uomini ? c se avete già scosso il freno : che non dite qui ora
pubblicamente ciocchò avete sopportato da loro ? O miseri ! e quali patimenti
temete ? se io stesso v in- vito a parlar francamente ? Io dunque , io stesso
mi rischierò di dire liberamente per voi ciocché è ffusto, senza niente
occultare. E poiché Valerio dice che niente proibisce che vi rendiale alle case
vostre conceden- dovisi dal Senato il ritorno , ed essendosi decretato di non
perseguitarvi ; io risponderò a lui cose nem- meno vere che necessarie a dire. Oltre
i motivi ben grandi e varj , tre ne sono o Valerio fortissimi e chiarissimi che
c impe- discono di rimetterci a voi deponendo le armi. Il primo è che venite a
noi per esortarci come traviati; e Radicate beneficenza vostra accordarci il
ritorno : 11 secondo è che invitando noi a pacificarvici , niente dichiarate le
condizioni compiacevoli o giuste su le quali possiamo ciò fare : è poi ! ultimo
che niente di quanto ci promettete sarà per essere stabile , giacchè avete
continuato a rigirarci e deluderci tante volte. Discorrerò di ciascuna di
queste cose , incominciando dai diritti ; giacché sempre dai diritti si vuol
comin- ciare sia che trattinsi le cose private, sia che le pub- bliche. Noi
dunque se ve ne abbiamo mai fatte , noi non chiediamo nè impunità nè
dimenticanza delle in- giurie. E non yorremo piò. rio starci a parte della
vostra città , ma dandoci in balia della sorte e dei genj che ci guidino , ci
fermeremo là dove .porta il destino. Ma se per colpa vostra noi siamo ridotti
alla condizione in cui ci troviamo ; e percpè non confes- sate che voi li quali
foste gli oltraggiatori , voi abbi- sognate anzi di perdono e di dimenticanza ?
Come dite di accordarci voi questa ; quando avreste a di- mandarcela ? Come
così vi magnificate quasi voi cal- miate lo sdegno verso di noi , quando
dovreste cer- care che noi verso di voi lo placassimo ? Cosi con- fondete la
natura della verità , così la dignità dei diritti pervertite ! Che poi non
siate voi gli offesi ma offensori; che voi beneficati tante volte e tanto dal
popolo per fondare la libertà e V impero, lo abbiate non bene contraccambiato ;
uditelo , e convincetevene. Io non parlerò se non di cose che voi sapete , e se
alcuna mai sarà falsa ; reclamate per gli Dei ve ne prego , non che stiate a
bada pazientando. Il nostro governo primitivo fu monarchico, e lo abbiamo
conservato per sette generazioni. In tutti que’ principati il popolo non fu mai
conculcato dai re , specialmente dagli ultimi. Anzi lascio di dire che derivò
da quel dominio molti e segnalati vantaggi; . a8g impemcchè per obbligarlo a
sestessi e console porgeva al popolo, noi non più memori verso di voi dei mali
antichi, noi pieni di lusinghiere speranze per f avvenire , ci dedicammo tutti
a voi stessi; e dissipate in poco tempo tutte le guerre , tornammo con seguito
folto di schiavi e di prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense
giuste , o degne de’ pericoli ? ma quando mai ? troppo lungi ne siamo. Anzi ne
avete tradito le promesse che imponevate al console di farci a nome del co-
mune. E quest’ uomo bonissimo , del quale abusavate per deluderci , lo avete .
questo privato del trionfo , quando degnissimo ne era più che tutti i mortali.
Nò già per altra cagione così ancor lo spregiaste , se \ non perchè vi
dimandava che adempiste le pro- messe , e perchè sdegnato mostravasi che ci
bef- faste. Ultimamente ( vi aggiungo questo solo intorno al diritto , e
finisco ) quando gli Equi , i 5a- bini , i Volsci insorsero di comun voto , e
concitarono ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e gravi , a
ricorrere a noi negletti e vili , colmandoci di promesse per iscamparvela ? e
non volendo parer d’ ingannarci come altre volte , trovaste per coprir la
impostura questo Mania Falerio , uomo amantissimo della plebe. E noi
credendogli come a uomo dal quale non saremnw traditi perchè dittatore , ed ami-
cissimo nostro f ci consociammo novamente a voi per questa guerra , e vincemmo
i nemici con ‘ battaglie non poche , nè pieciole , nè ignobili Ridotta la
guerra a bellissimo fine prima ancora delle sperante comuni, tanto foste alieni
da renderne grazie , e ben copiose al popolo , else cercavate ritenerlo anche
senza voglia, sotto le insegne e fra V armi , per trasandar le pro- messe ,
come trasandarle destinavate fin dal princi- pio. E non tollerando il
valentuomo la beffa, nè la infamia delV opera , e riportando in città le
bandiere, e rilasciando tistti per le proprie case ; voi , presone motivo onde
non far la giustizia , ingiuriaste lui , nè serbaste a noi veruna delle
convenzioni con tre abusi gravissimi , perchè profanaste la maestà del Senato,
annientaste il credito di un tal uomo , e rendeste inutile cC vostri
benefattori il merito delle fatiche. Omj potendo noi dir queste e simili cose
non poche , non abbiamo o Patrizj voluto piegarci (die umiliazioni ed alle
preghiere, nè accettare come i rei di gravissime colpe , il ritorno su la
obblivion del passato. Seb- bene , essendoci noi qui riuniti per concordare ;
non dobbiamo ora investigare pià sottilmente queste cose, ma vociamo
trascurarle e dimenticarle , • e tener- cele. Che non dite voi dunque
palesemente a qual fine siete qui deputati, e qual cosa venite per chiederne ?
Su quali speranze volete in città ricon- durci ? Qual sorte abbiamo a prendere
per guida del nostro ritorno ? Qual giubilo , quale benevolenza ci aspetta ?
Fin qui non abbiamo punto ascoltate esibi- zioni umane e benefiche , non onori
, non magistra- ture , non sollevamento dalla indigenza, nè altre cose
qualunque , sebbcn tenuissime. Quantunque non dovea già dùcisi ciocché siete
per fare , ma ciò che fate , perchè sperimentandovi subito benevoli nelle opere
vostre , vi argomentiamo ancor tali per l’ avvenire. Ma io penso che voi
risponderete a ciò , che voi siete qui plenipotenziari , e che qualunque^ cosa
ci persua- deremo a vicenda, sarà stabilita. Or_ sia ciò vero; e ne sieguano
conformi gli effetti ; niente vi contraddico. Bramo però sapere le cose che da
loro ci si faranno dopo queste. Vale a dùe , quemdo avremo noi detto su quali
condizioni vogliamo il ritorno ; e quando ci saran concedute ; chi ci sarà di
esse - mallevadore ? Su quale sicurezza deporremo le armi , e metteremo le
nostre persone di bel nuovo nelle lor mtmi ? Su quella forse dei decreti che si
faran dal Senato , non essendovene ancora ? Ma qual cosa mai impedirà che
annullino questi con altri decreti , quando così paja ad Appio e ad altri che
pensan com’ egli ? Con^ teremo forse su la dignità dei deputati che ne por-
gono in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han deluso colla interposizione
di tali uomini. Riposeremo forse ne trattati fatti innanzi agV Iddj , e
confermati da loro co' giuraménti? Ma io temo di ogni fede umana consimile ,
vedendola da quei che comandano vilipesa. E so , nè già ora per la prima volta
, che i trattati forzosi tra chi brama esser libero e chi vuol dominare han
vigore soltanto finché la necessità così porta. Or quale è queir amicizia e
quella fede nella quale siamo costretti ad ossequiarci contro voglia ,
insidiando t uno il tempo dell' altro ? Allora inces- santi i sospetti e le
calunnie; allora le invidie e gli od] ed ogni maniera di mali: allora la gara
di preoc- cuparsi a distruggere V emolo ; riuscendo ogn indugio a mal termine. Non
vi è , come tutti sanno , guerra più. trista della civile : questa i vinti fa
miseri, ed in- giusti li vincitori : e li 'vinti han dagli amici i lor mali, i
vincitori agli amici li causano. Or voi dun- que o Patrizi vogliate chiamar noi
a pari cir- costanze , a pari bisogno non desiderabile ; e noi o plebei non ci
rendiamo loro mai più: ma come la sorte ci ha divisi , così teniamoci in calma.
Abbian pur essi tutta Roma , senza noi se la godano , e ne raccolgano soli ogni
bene , essi che han ridotto fuor della patria noi miseri, noi disonorati
plebei. E noi andiamocene pure dove gt Iddj ei guidano , conside- rando che non
la nostra ma t altrui città lasciamo. Niuno di noi qui lascia non campagne
proprie , non abitazioni paterne , non sacerdozi , non ‘ magistrature comuni
come in sua patria per t esercizio delle quali siavi ritenuto pur contro voglia
; anzi nemmeno la- sciammo qui per noi la libertà, quella che ci ave- vamo
colle arme e con tanti travagli acquistata. Im- perocché parte i nemici , parte
la miseria quotidiana, parte V alterigia degli usurieri ci han guasto e con-
sunto e tolto ogni cosa : tanto che noi- miseri eravamo ridotti a coltivare le
terre di questi zappando , pian- tando , arando , pasturando , divenuti
conservi degli schiavi loro da noi presi colle arme; e chi di noi portavamo
catene alle mani , chi ne piedi , chi nella cervice finalmente , come fere
intrattabili. E qui non ricordo le ferite , gli avvilimenti , le battiture , le
fa- tiche da notte a notte (i) , ed ogni altra sevizia , e non le ingiurie , e
non C orgoglio che ne abbiam so- stenuto. Liberati , la Dio mercè , da tanti e
sì gran nudi , fuggiamo ben contenti quanto possiamo e sap- piamo , e prendiamo
per. duci della fuga la sorte e gl’ Jddj li quali veglian per noi, considerando
come patria nostra la libertà , e la virtù còme nostrà ric- chezza. Ogni popolo
nè, ammetterà, sì perchè non molesti, come perchè utili a chi ne riceve. E ci
siano in ciò' di esenqtio molti Greci, (i) Dal tempo prima dell’alba fiuo a
aera. e molti barbari , e principalmente
gli antenati tii quelli e di noi. Gli antenati nostri passando con Enea dal£
Asia nelC Europa fondaronsi nel Lazio una patria : e poi spiccandosi da Alba
sotto gli au» spicj di Romolo che guidava la colonia , pigliarono sede ne'
luoghi appunto abbandonati da noi. Abbiamo noi forze non già poco maggiori che
essi, ma tripli- cate, e celione molto più giusta di trasmigrare. Quelli
partivan da Ilio perseguitati da nemici, e noi di quà dagli amici : e ben è più
misera cosa essere espulsi dai domestici , che dagli estranei. Quei che a
Romolo si ligaroho per compagni trascurarono la patria per cercare terre
migliori : ma noi lasciamo un vivere senza città , un vivere senza case paterne
quando re- chiamo la colonia : e certo la rechiamo non odiosa agl Idàj , non
molesta agli uomini , nè gravosa a terra niuna ; non rei' del sangue e della
strage de’ cit- tadini che ci han discacciati , non rei del ferro o del fuoco
messo ai campi che abbandoniamo, nè di altro monumento qualunque fondatovi di
eterna inimicizia; come spinti da necessità sconsigliata rei se ne fanno i
popoli traditi nett aUeanza. Noi chiamati in testi- monio i genj e gl' Iddj che
guidano con giustizia le cose mortali, e lasciandQ'che essi prendano per noi la
vendetta , abbiamo chiesto unicamente di riavere i nostri teneri figli, i
(secchi Padri, che in città si ri- masero , e le mogli in fine , se alcune pur
vogliono dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere questo, non
altro dimandiamo da Roma, E voi tanto impolitici f tanto insocievoli verso de'
miseri , vivete felici, e come più desiderate. Appeaa Bruto ebbe ciò '' detto
si tacque. Parve agli astanti tutto vero quanto disse intorno ai diritti , e
quanto per accusare la superbia de’ senatori , principalmente quando dichiarò
che la semplicità dei patti era tutta piena d’ intrico e d’inganni: ma quando
infine delineò gli alTronti che aveaoo patito dagli usucierì, e ciascuno
ricordò li suoi mali ; niup v* ebbe sì fermo di animo , che non si desse a
piangere , e lamentare i danni comuni. Nè impietosirono già sol essi, ma fino
gl’ inviati dal Senato. Non poteano que’ seniori conte- nere le lagrime ,
pensando la calamità per la separazione de' citudini : e rimasero gran tempo
tra 1’ afflizione , e tra ’l pianto senza sapere ornai che più dire. Cessali
gli alti gemiti , e tornato il silenzio nell’ adunanza , proce- cedelte per
farvi le difese Tito Largio autorevole sopra tutti i citudini per anni , e per
dignità , come lui che due volte console , e già rivestito della ditutura ,
avea con esercitarla bene più che gli altri , renduu venera- bile, e sanu una
carica altronde odiata. £ datgsi a par- lare sopra i diritti , e ulvolta
incolpando gli usuraj per- chè aveano operate cose durg , e disumàne ; talalira
rimproverando i poveri come non giusti nel' chiedere che si rimettessero ad
essi i debiti per forza anzi che per grazia, e nell’ esacerbarsi col Senato
piuttosto che con quelli che impedivano che si'ccmcedesse loro alcuna cosa
anche moderaU; e dippiù tentando mostrare cl^e pic- ciola era la parte del .
popolo, .ingiuriosa suo mal grado, e necessiuta a dimandate per la igopia
gravissima la condonaeione dei debiti , ma più grande assai la parte la quale
esigeva ciò perche viveasi scorretta , insolente , voluttuosa , e preparata a
supplire co’ furti alle sue pas- sioni , talché ' doveansi ben distinguere i
poveri dai ri- baldi, quelli che erano da compatire da quelli che erano da
odiare ; ed aggiungendo in (ine discorsi consimili , veri si ma non grati
generalmente; non soddisfece tutta la udienza. Dond’ è che sorsene strepito
grande di voce, altri sdegnandosi . quasi rincrudisse loro gli affanni , ed
altri confessando che dicea pur troppo il vero. Ma per- ciocché gli ultimi
erano assai minori di numero , scom- parivano tra la moltitudine degli altri ,
e prevaleano soprattutto i clamori degli adirati. À queste cose ne aggiugnea
Largio poche altre su la partenza e precipitanza loro , quando ripi- gliando la
parola Sicinio il capo del popolo ne riaccese assai più lo sdegno con dire :
che ben poleano da un tal parlare, comprendere quali onori e quali ringra-
ziamenti ne avrebbero , se tornassero nella patria. Se quelli che slansi nel
colmo de’ pericoli , ed abbiso- gnano del braccio del popolo , e per questo a
lui vengono , non san trovare nemmen ora discorsi mo- derati ed umani; qual
animo dee credersi che avranno quando siano .le cose riuscite loro secondo il
disegno, e quando chi offendono ora colle parole , sia sotto- messo loto ancora
nelle opere ? Da quali insolenze mai si conterranno ? da qual; flagelli , o da
quali tiranniche sevizie ? Se a voi dà il cuore , ei dicea , di servire tutta
la vita incatenati , battuti , straziati col ferro , col fuoco , colla fame ,
con ogni guisa di maU; su , non perdete
tempo , gettate le armi , seguitateli. Ma se V è pure in voi desiderio di
libertà ; non pa- zientate ornai più. Ambasciadori ! o dite su quali corti-
dizioni ci richiamate ; o partite daW adunanza ; per- chè non lasceremo più che
vi parliate. E qui tacendosi lui , tutti gli astanti ne strepitarono ,
acclamandolo , perchè area detto a propo- sito. Restituitasi quindi la calma
Menenio 'Agrippa il quale areva interloquito in Senato sul popolo , e pro-
posto e fatto principalmente che gli s’ inviasse un’ am- basceria
plenipotenziaria , fe’ cenno di volere aneli’ egli discorrere. Riuscì la
richiesta gratissima ; e parea come r augurio che udirebbe nsi allora Analmente
condizioni giuste , e salutevoli ad ambe le parti. E subito escla- marono tutti
a gran voce , che parlasse. Poi si chetaro- no , e si profondamente , quasi
fessevi solitudine. Parve uu tal uomo , com’ era verisimile , assai persuasivo
nei suoi discorsi, e tutto confacevole ai voleri della udienza: è' fama però
che in ultimo proponesse una tal favola sul gusto delle Esopiane
espressivissima delle circostanze, e che con questa principalmente li
guadagnasse. Dond’ è che la favola fu creduta degna di ricordanza , e rap-
portasi io tutte le storie antiche. L’, aringa di lui fu questa : Popolo , noi
veniamo dal Senato a voi , non per difendere lui , nè per accusarne voi: nè già
pormi che il tempo ciò chieda , nè che ciò sia prosperevole per la sorte della
.repubbUca. Ma noi veniamo con tutto f ardore e V efficacia per 'levar le
discordie , e rimettere la > repubblica nel 'buon ordine primitivo^
rivestiti per ciò fare di^ un potere assoluto. Pertanto non pensiamo che ,sian
ora da esaminare i diritti > come fece con orazione lunghissima questo
Giunio ; pensiamo piuttosto che debbansi con gli amorevoli modi ricongiunger
gli spiriti. Qual fede sia poi per garantire le nostre convenzioni , ve lo
esporremo , appunto come ne cibiamo deliberato. Considerando noi else le
sedizioni si curario in ogni città col to« gliere i semi delle discordie ,
abbiamo giudicato ne» cessarlo di conoscere e spegnere le cause produttrici
della divisione. Or trovando noi che le esazioni dure de’ presuli sono la
origine de’ mali presenti ; così le correggiamo. Decretiamo che quanti
soggiacciono a debiti , nè possono estinguerli , ne siano del tutto as- soluti.
Decretiamo Uberi tutti , quanti son detenuti per aver differite le paghe oltre
i tempi legittimi , e de- cretiamo liberi infine quanti furono in mano conse-
gnati dei creditori per sentenze speciali di giudici^ annullando noi queste
totalmente. Cosi ripariamo ai contralti precedenti tenuti come causa della
sedizione: ma quanto a centratti avvenire facciasi come ne or- dinerà la legge
che sarà costituita da voi, da tutto il popolo , dal Senato. Dite , non erano
queste le cose che vi alienas>ano da’ Patrizf ? Non giudicavate voi che
sareste conienti , e che altro di più non brame- reste , se le impetravate Oggi
vi si concedono ; an- date , tornatevi' gittiilando alla patria. I riti poi-
che convalideranno ed assicu- reranno questi trattati saran quelli appunto
delle leggi, usati nel depórsi delle inimicizie. Il Senato appro- verà pur egli
questi trattati ^ e darà loro forza di Digilized by Google 3o2 delle Antichità’
romane leggi quando scritti gli avremo. Anzi schiviamoli qui noi come ne piace
; ed il Senato vi sarà sottomesso. E che questi si rimarranno indelebili ; che
il Senato non potrà mai sopraggiungervi nulla in contrario , noi qui deputati ,
noi li primi ne facciam garanzia sul corpo , e vita , e stirpe nostra , e con
noi pure ve ne fan garanzìa li senatori che firmeranno il decreto. Imperocché
mai , ripugnandovi noi si decreterà cosa niuna contro del popolo ; giacché noi
-siamo li primi del Senato , e noi li primi a dichiarare i nostri pa- reri’.
ven farà da ultimo garanzia la fede comune atutti i Greci, e a tutti i Barbari,
quella che niun tempo mai potrà cancellare , quella che con giura- menti , e
libagióni rende i Numi vindici degli accordi, e su la quale chetaronsi tante, e
non picciole nimi- cizie de’ privati , e tante guerre di repubblica con re-
pubblica. Or questa fede ricevetela ancora voi ; sia che vogliate permettere a
noi, pochi si , ma capi del Senato , di giurarvi a nome di questo ,^sia che vo-
gliate che tutti i Padri sottoscrivano *e giurino con rito santo di serbarvene
i patti inviolati. E tu, o Bruto , non incolpare il pegno delle destre , non le
libagioni, non la fede data invocandone i Numi, né togliere tali espedienti
bellissinii degli uomini: e voi non vogliate tollerare che costui ricordi le
promesse tradite dai scellerati e dai tiranni , da quali tanto è lontana la
virtà de’ Romani. Or lasciate, che io soggiunga (e terminò) una cosa non
ignorata i fiè controversa da rtiun dei/ mortali. Ma quale è mai questa? Essa
importa >'t utit colmine , . e saU/a le parti f una colt altra : essa è r
unica e sola che ci raccolse già tutti in un corpo , e che mai farà separarci.
Abbisogna , nè mai cesserà di abbisognare la moltitudine imperita di sas>j
che la dirigano ; come un complesso di savj idonei a dirigere abbisogna di chi
lascisi governare. Nè ciò per imma- ginazioni sappiamo , ma per esperienza. Che
dunque ci riduciàmo a tremare brigandoci gli uni con gli al- tri ; o che ci
logoriamo in triste ^parole ; essendoci facilissimo tornare alt utile nostro ?
Che dunque non ci espandiamo , ed abbracciamo , e voliamo (dia pa- tria , aUe
antiche delizie , agli oggetti di tanti dolcis- simi e soavissimi nostri
desiderj ? A che cercare im- possibili assicw'ozioni? A che fidanze malfide^
come in guerra nemici fierissimi che in tutto sospettano il peggio ? A noi, o
plebei , a noi membri del Senato, basta la sola vostra parola , clte non sarete
se tornate iniqui con noi: e perchè ? perchè sappiamo il vostro buon
allevamento , la istituzione legittima , e le altre virtù che avete in guerra
ed in pace dimostrate. E se i contratti oggi ottengono a nome del comune una
riforma , così dimandando la fedeltà , così la speranza , degli uni verso degli
altri ; teniam certo ancora che siano per corrispondere in voi le altre buone
doti : e niente da voi cerchi (uno ^i giuramenti, niente gli ostag- gi , nè
altro pegno qualunque di sicurezza ; nè però mai contrarieremo le vostre
dimande. Ma ciò basti su la fedeltà intorno • la quale Bruto c incolpava. Che
se in voi resta aricora alcuna, invidia non degna , che vi àccita a pensar'
pravanten^s del Senato •, io dùò pur. di questa : e voi attenti , in calma ,
ascoltatemi o plebei. 1 ' Somiglia ad un corpo umano una repub- blica :
perciocché l uno e t cdtra risultano da più par- ti ; nè ciascuna delle parti
in essi ha forze eguali , né porge un uso medesimo. Adunque se le membra del
corpo umano ricevessero tutte , come il senso , la voce , e poi nascesse
discordia fra loro congiurandosi tutte le altre ad una ad una contro del
ventre, e, li piè si dolessero che il corpo intero poggia- su loro , le mani
che solo esse traltan le arti , procacciano il ne- cessario , combattono co’
nemici, e pongono molti t^ri beni in comune-, gli omeri perchè p'orVan essi
ogni peso , la bocca perchè parla , la testa percitè vede , perchè ode, e
perchè comprende tutti i sensi onde il complesso vive del corpo ; e se quindi
dicessero , or tu buon ventre fai tu niuna di queste cose ? quale riconoscenza,
qual utile tu ci rendi? Anzi tanto sei lon- tano dal cooperare e dal compiere
con nei alcun utile comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel che è più
intollerabile , ci necessiti a servirti , e portarti di ogn intorno quanto ti
sazj negli appetiti tuoi. Orsù; chè non ci rendiamo noi liberi, nè cessiamo
dalle cure che .in grazia di lui sosteniamo ? Se così piacesse loro , se nhtna
parte più fornisse le proprie funzioni-, or potrebbe il corpo a lungo
'sussisterne ? Anzi in pochi dì consumerebbesi dsdla fame , pessimo fra tutti i
mali ; e niuno può dirne il contrario. Or concepite pure altrettanto di una
repubblica. Compiono questa molti generi di persone niente, infra li>r
,sornigUanti'; e ciaicùno le porge un uso proprio di lui t come le nsembra lo
porgono al corpo. Chi coltiva i campi f chi pe' campi combatte co' nemici : chi
ne reca assai beni tr^Jicando pe' mari ; e chi travaglia in su le arti
necessarie. Se ciascun genere di queste persone- insorga contro il Senato , che
è l’ ordine degli otti- mali , e dica ; qual cosa , o Senato , tu ci fai di be-
ne ? e per qual causa, non avendone tu alcuna; vuoi, comandare su- gii altri?
Non ci terremo una volta da questa tirànnide tua ? nè vivremo indipendenti ? Se
con tali pensieri si levasse ognuno dalle usate incombente ; cosa impedirà che
una tale sconcia re- pubblica miseramente- perisca per la fame, per la guerra ,
per ogni male ? Istruiti dunque , o voi del popolo , che come ne' corpi nosU'i
il ventre accusata a torto da molti, nudrito nudrisce, conservato con- serva ;
e quasi uim dispensa universale , porge ad ogmino il' suo bene , e la
sussistenza in un tutto ; così nelle repubbliche il Senato che matteria il co-
mune e provvede a ciascuno V utile suo , tutto salva e custodisce e dUrige ;
cessate di lanciar contro lui voci ccUunniose , quasi per lui siate fuori della
pa- tria , e ne andiate raminghi e mendici. Il Senato non volle mai questo, nè
farawelo : anzi vi chiama, evi supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le
porte, e raccoglievi. Intanto che Menpnìo concionava, sorgeano ad ora ad ora
voci varie e molte da^i astanti. Ma pai> chè sul fine del suo ragionatiteoto
si diede a comma» veri! , e 'deplorare le disgrazie e la sorte immiucnle su
DlOUtai, lomo II. a* di ambedue , su quelli rimasi in città e su gli altri che
ne erano usciti ; si misero tutti a piangere , ed unanimi ad una voce gridarono
che li riconducesse alla patria , né più s’ indugiasse. E poco mancò che
partissero tutti a furia dall’ adunanza ; rimettendo ogni cosa ai deputati
senea brigarsi più oltre della sicurezza. Se non che Bruto facendosi innanzi
ritardò l’ impeto loro , dicendo : che erano pur buone per quei del popolo le
promesse del Senato , e chiedendo che grazie appieno gli si ren- dessero per le
cose a loro concedute. Aggiungeva an- cora di temere per l’ avvenire che uomini
una volta oppressivi, si dessero, venutone il tempo, a ricor- dare , e punire
le cose operate dal popolo. Jtimanervi una sicurezza sola per quelli che temono
questo dagli Ottimati , cioè quella di rendere indubitato che , se vogliono ,
non posson piii offenderli. Finché sta in essi il poter danneggiare , non
mancheran de mal- vagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga tal
sicurezza ^ -non altro resteragli da chiedere. Ripi- gliando Menenio , ed
invitandolo a dire qual sicurezza pensava che al popolo bisognasse ,
concedeteci , disse , che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro alcuni
magistrati i quali non siano ad altro autoriz- zati che a proteggere gli
oltraggiati , e gli oppressi nel popolo , nè lascino che alcimo sia defraudato
de' suoi diritti. Alle^ cose accordateci aggiungete in grazia ancor questa , ve
ne preghiamo , ve ne suppli- chiamo , se la pace esser dee non in parole , ma
in fatti. . 11 popolo udendo un tal dire lo accompagnò con grandi e lunghe
acclamazioni , raccomaiidau* dosi ai deputati che gli concedessero anche
questo. I deputati ritirandosi daU’adunanza, e conferendo alquanto in fra loro
, vi ritornarono dopo jion molto. Taciutisi tutti , Menenio fattosi iunanzi disse
: La dimanda è grande e piena o plebei di enormi sospetti. A noi viene timore
ed ansietà che non abbinasi a fare due città di una sola. Quanto è da noi ,
nemmeno in ciò vi ci opporremo , or voi compiaceteci (tende anche (Que- sto al
ben vostro ) date a tre deputati che tornino in Aonuif e narrino al . Senato la
richiesta. Non ci arr roghiamo noi di risolverne > quantunque abbiamo da
esso U potere di concordare come ne piace , arbitri in tutto di prafnettere..
Siccome il caso che ci occorre è inaspettato e nuovo ; così ce ne riportiamo ai
Pa- dri , quasi in esso V autorità ci si limiti. Ci persua- diamo, pelò ‘ che
essi ne sentiran come noi. Frattanto io qui resto >, e con me parte dei
deputati. Valerio e gli altri onderanno. Stabilito ciò gl’ incaricati d’ infor-
mare il - Senato spronarono i cavalli alia volta di Roma. Proponendo i consoli
in Senato la richiesta; Valerio opinò che si concedesse. Appio , nimico Gn da
princi- pio di ogni, accordo , contraddisse anche allora chiaris- simameute ,
esclamando e rilevando , chiamatine in te- stimonio i Numi , i germi dei mali
che impiantavano alla repubblica. Non però convinse la pluralità , desi-
derosa, come ho detto, di .spegnere la discordia. Adun- que il Senato autorizzò
con suo decreto lè promesse dei deputati ai popolo , come pure che gii
accordas- sero la sicurezza che dimandava. Fatto ciò tornando il giorno
ap|>resso i deputati nei vi eapoM0a4.";^HH Ieri del Senato. Quindi
esortando ' Menenio- U'^poii^lD d’inviare alquanti a’ quali il Senato desse la
Sull' ftdé ; fu spedito Lucio Giuùo Bruto, del qnale abbiÀtt'i^no di sopra , e
Marco Decio , e Spurio Icilio con esso. Andò metà dei deputati compagna di
Bruto in Roma. Agrippa , pregatone , si rimase nel campo , per istender la
legge a norma delia quale il popolo creerebbe i suoi magistrati. 'Nel di
seguente Bruto rìlortiò già fatti i patti col Senato per mezzo de’ Feciali ,
che cfaia> mano. Divisosi allora il popolo in Fratrie , * come ah tri qui
nominerebbe quelle che essi dipono Curie , dichiarò suoi, magistrati dell’ anno
Lucùr Gìnnio Bruto, « Cajo Sicinio Belluto, 6 no a > quel di loro capi, e
con essi ancora Ca}o e Publio Licinio ì e Cap Icilio Ru- ga (i). Assunsero
questi cinque- i primi' la^ potestà tribu- nizia , quattro giorni avanti le idi
di ’decembre {%) , CO 7 me pur nel mio tempo si pratica. Firttterle
’eiéEÌoni'parve a’ deputati del Senato, adempito l’ intento della loro mis-
sione. Ma Bruto , convocata l’ adunanza ' del popolò, con- sigliò che
dichiarassero i suoi magistrati Santi ed: invìo- (1) Lìtio, Dionigi, ed altri
storirn antichi non ben si accordano sn la nomina di questi magistrati. Livio
dice che i due i primi no- minati furono Cajo Licinio, e L. Alhiud . e che
questi poi si scef- aero tre colleglli tra quali fiv Sicinio V autore delia
seditìone. -Ma^ Dionigi pone per primi Lucio. _Giunio Bru^o , e C. Sicinio
Bellirto : a quindi C. e Fuhiio Liciuro , e C. Icilio Ruga. (3) Anni di Roma
361 secondo Catene , s63 aeeondo Varrona , a 491 avanti Cristo. . 3o9 labili
slabilenilone la sicurezza colle leggi e co’giiiramenti. Piacque ciò a tutti ,
e si fece su lui e su collcghi la legge : che niuno forzaste un tribuno ) come
un altro qualunque a far mai cantra sua voglia ; ni lo bat- tette , ni lo
uccidesse , né ordinasse ad altri di bal- te rio , o di ucciderlo. Che te
alcuno a dà contravvenga anche in parte ; itane reo capitale ; se ne diano a
Cerere -i beni : e chiunque lo uccide , abbiasi coma puro dalla strage. E
perchè non si potesse mai più far cessare questa legge , ma restasse immobile
iu ogni ar« venire ^ si stabili che ì Romani giurassero tutti co’ riti santi dì
osservarla ' essi , ed i posteri loro perpetuamente.E si aggiunse ai giuramenti
la preghiera , che gli Dei superni , ed inferni fossero propizj a' chiunque
favoriva la legge , ma contrarj a quanti la violavano, come coo- taminati di
delitto gravissimo. Da indi sorse ne’ Romani il-cosWme che persevera pur ne’
miei giorni, di riguai^ dare le persone de’ tribuni come sacrosante. XC.
Concordato dò, fecero un aitare su le dme della montagna ovo s’^erano
accampati, e lo denomina» rono nell’ idioma, loro , l’altare di Giove la cito
su la fiducia di respingere i nemici che si avan* zavano ; ma costretti
bruttamente a fuggire^ prima di dare alcuna nobile prova , nemmen fecero punto
di ger nevoso combattendo poi su le mura. Adunque i Ro> mani in un sol
gioruo s’ impadronirono sehzà tere dei lor territorio , e , ne presero a forza
la citti , nè con molto travaglio. Il comandante Romano concedè ' . .. 'V (t)
Vuoi' (lire Edile. Era qacsto vócaboìo proprio d«’ RoroasK' che le miline si
approp lasserò le robe invase; e presi» diala la città , ne andò col resto
deli’ esercito contro l'altra città de’ Volsci , chiamata Polusca, non molto
lontana da Longola. Nè osando alcuno di uscirgli in- contro , percorse
facilissimamente U campagna , e ne investi le maia. E datisi i soldati , chi a
spezzare le porte, chi a scalare le mura ed ascenderle; Polusca anch’essa fu
presa nel giorno medesimo. Il console scel- , tivi alcuni pochi, autori della
ribellione, li fe’ morire : e multati gli, altri in danari, e spogliatili delle
arme; gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani. Lasciato anche in
guardia di Digitized by Google 3aa Delle
antichità’ romane ni. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta , in-' tanto
che Milziade 'era arconte di Atene, i Tirreni dei contorni del golfo Jonio , cacciati
poscia di là dai Galli, e gli Umbri con essi , e li Dauuj , ed altri barbari in
copia tentarono distruggere Cuma , Greca città tra gli Opici fondata dagli
Eretrj e da’ Calcidesi (i) , senz’ al- tra vera cagione, se non che ne odiavano
la prosperità. Imperocché Cuma famosissima di quei tempi in tutta r Italia per
la ricchezza , per la potenza , e per molti altri beni , avea le terre le più
fruttuose della Campa- nia , con porti utilissimi presso al Miseno.
Invidiandone i barbari il si gran bene, le mossero incontro con di- ciotto mila
cavalli e con cinquecento mila fanti (a), e non meno. Accampatisi questi non
lungi dalla città surse un portento meraviglioso, quale non ricordasi accaduto
mai nè tra’ Greci dovunque, nè tra’ barbari. I fiumi che scorreano presso gli
alloggiamenti ( Volturno no- minavasi 1’ uno , e l' altro il Ciani (3) )
lasciando lo (i) Gli Eretrj ed i Calcidesi erano popoli dell’ Eukea o Ne^o*
ponte. Elrelrìa era distante venti miglia da Calcide. Vi erano dus altre
Eretrie. Vedi tom. i , la not. al S 4^» parla della prima. (a) Par troppo
torrente contro di una città : forse vi à d>aglio nei numeri . (3) Vi sono
altri lìami di pari nome. Questo à quello additato da Virgilio 1. a, Georg. ,
Vicina Veitvo Ora jugo ,el vaeutt Ctanius non aeqmt acervis. Antonio Boudrand:
(vedi novum Lexicon Geographic.) chiama que- sto fiume Agno ; e dice che passa
presso di Acerra , di Aversa e Mintomo. Forse il Ciani h quello stesso fiume
che ora chiamasi JPatria nelle catte geografiche scendere lor natarale » si
ripiegarono , rifluendo gran tempo dall’ imboccatura alle fonti. Vista la
meraviglia , fecero core i Cnmani di piombare su’ barbari , come se i Numi
fossero per deprimere l’altezza di quelli , e per sublimare loro che depressi ornai
ne pareano. Pertanto dividendo in tre corpi la gente militare , con uno guaiw
darono la città , con altro le navi , e coi terzo , «:hie- ratoio avanti le
mura , aspettarono l’ inimico che inoU travasi. Seicento erano i cavalli
Cumani, e quattro mila cinquecento i fanti : pure si pochi di numero tennero
fronte a tante migliaja I IV. Ck>me i barbari seppero che eransi
appareo:hiati per combattere , dato un grido , coi*sero in barbara for> ma ,
disordinati e misti , cavalli e fanfl , appunto per annientarli tutti in un
colpo. Il luogo, dove innanzi la città si affrontarono, era una valle angusta ,
rinchiusa da lagune , e da’ monti , propizia al valor de’ Cumani , ma nemica
alla fdUa de’ barbari. Dond’ è che, travolgendosi e calcandosi questi , gli uni
gli altri in più luoghi , e principalmente su pel fango intorno la palude , si
di- strussero in gran parte fra loro , senza pur venire aUe mani colia Greca
milizia di Cuma : e quell’ esercito ap- piedi si numeroso , e disfatto , e
sbaragliato da sestesso, fini qua e là fuggitivo , senz’ avere operato nulla di
generoso. Li cavalieri però si avventarono , e molto tra- vagliarono i Greci :
ma non potendo circondar l’ inimico per r angustia del loco , e temendo i
destini che com- batteano per Cuma colle piogge, co’ tuoni, co’ fulmini , si
diedero anch’ essi alla fuga. In questa battaglia i ca- valieri Cumani
militarono tutti luminosamente, ricono- Digiiized by Google 3a4 delle
Antichità’ bomane sciutine quindi come autori della vittoria. Si distinse so»'
pra tutti Aristodemo cTiiamato Màlaco ; imperocché solo opponendosi , uccise il
capitano nemico , e molti valo- rosi. Finita la guerra porgeansi sagriGzj di
ringrazia- mento ai numi , e davasi magnifica sepoltura agli estinti in
battaglia : ma quando si ebbe a decidere a chi si dovesse la corona , come al
più forte ; assai se ne di- sputò. Li giudici più ingenui , e con essi anche il
po- polo , voleano che ad Aristodemo si concedesse ; ma i più potenti , e con
loro tutto il Senato , ad Ippo'me- donte , duce de’ cavalieri. Di que’ tempi
era in Guma il governo degli ottimati , nè molto il popolo vi potea : ma natavi
sedizione appunto per tal controversia , i se- niori temendo che tanta
ambizione finisse colle armi e colle stragi , persuasero ambedue li partiti di
dar "pari onore all' uno e all’ altro di que’ valorosi. Da quell’ ora
divenne Aristodemo Malaco il protettore del popolo : e poiché ‘si avea
procacciato una persuasiva nei discorsi di Stato , commovea con questa la
moltitudine , allet- tando lei con stabilimenti gradevoli , beneficando
coll’aver suo molti ' de' poveri , e rimproverando i potenti che si
appropiavano ciocché era del comune. Dond’ é che ne divenne ai primi degli
ottimati molesto e terribile. , V. Venti anni dopo la battaglia co’ barbari
vennero ambasciadori dalla Riccia co’ simboli di pace al Cumani per supplicare
che li soccorressero nella guerra contro i Tirreni. Imperocché Porsena re di
questi dopo la pace con Roma dando metà dell’ esercito , come esposi ne’li- bri
antecedenti, ad Arunte suo figlio, lo aveva inviato, voglioso che n’era, ad
acquistarsi un dominio : e costui di quel tempo appunto assediava gli Arieini
rifugiatisi tra le ;nura , sulla idea di prenderne tra non molto la città colla
fame. A tale ambasceria li primi degli otti- mati odiando Aristodemo e temendo
che non causasse alcun male al governo ; concepirono di avere il buon punto di
levarsel d’ intorno con delicate maniere.v Per- suadendo il popolo a spedire
due mila per soccorso de- gli Aricini , e nominandone capitano Aristodemo come
il più insigne nelle armi, fecero poi tal maneggio , nde iusingarsi che colui
perirebbe o per le battaglie co’ ne- mici , o per le fortune di mare.
Imperocché resi dal Senato arbitri di scegliere quei che dovrebbero andare di
rinforzo , non v’ inchiusero alcuno de’ più famosi e più riguardevoli ; ma
reclutando i più poveri e più scel- lerati .da’ quali aveano sospettato sempre
delle sommosse, ordinarono con questi l’ armata , e riducendo in mare dieci
navi antiche , pessime a correr le acque , e dan- done il comando a Cumani
poverissimi , ve la soprap- posero , con minacciare di morte chiunque ne
disertasse. VI. Aristodemo , dicendo unicamente che non igno- rava le mire
degli avversar) che in apparenza Io man- davano per soccorrere , ma in realtà
per farlo soccom- bere ; assunse il comando dell’ esercito. E facendo ben tosto
vela co’ deputati Aricini , e superando a stento e con pericolo il tratto
interposte, di mare , approdò sui lidi più prossimi dell’ Aricia. E lasciata
guarnigione sufBciente alle navi , e fatto nella prima notte il cam- mino il
quale vi restava , che certo non era lungo , si presentò su 1’ alba inaspettato
agli Aricini. Accampatosi presso di loro , e persuasi gli assediati di uscire
all’ aperto sfidò ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi ed attaccatisi ,
gli Aricini resisterono piòciolo' teinpo , e piegarono e rifuggironsi in folla
tra le mura. Aristodemo però coi pochi scelti Gumani che avea d’ intorno , so~
Bienne tutto il forte della battaglia , ed uccisone di sua Diano il duce , mise
in fuga i Tirreni , riportandone una vittoria nobilissima. Ciò fatto , e
magnificato dagli Aricini con doni copiosi rinavigò speditamente verso Cuma
peressere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a lui molte barche
Aricine colle spoglie e coi schiavi presi ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e
messe a proda le navi , concionò tra 1’ armata. E molto accusando i capi della
città , e molto encomiando quelli che si erano se- gnalati nella battaglia, e
dispensando argento e parteci» pando a ciascuno i doni degli Aricini; pregò che
di tali beneficenze si ricordassero , quando sbarcherebbero nella patria , e lo
fiancheggiassero se mai gli ottimati gli creavan pericolo. Confessandosi tutti
obbligatissimi per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta , come
perchè tornavano colle mani non vuote in fami- glia ; e protestando che
darebbero a' nemici anzi sestessi che lui ; Aristodemo , rirtgrazionneli , e
sciolse 1’ adu- nanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i più ma* liziosi e
prodi , e guadagnandoli tutti co' doni , co' bei discorsi, e colle spc>anze
lusinghiere, li fé* pronti a mutare il governo che vi era. VII. Presi questi
per ministri e per combattitori , istruitili parte a parte su ciò che avessero
a fare , e messi in libertà gli schiavi che conduceva per obbligarsi ancor
essi, viaggiò piò oltre colle navi coronate (i) 6no ai porti di Cuma. I padri e
le madri de’militari , tutto il parentado, i Ogli insieme e le mogli, venutili
ad in- contrare mentre scendevano a terra , lagrimavano , gli abbracciavano ,.
li baciavano , li chiamavano con teneris- simi nomi. Tutto il resto della
moltitudine urbana rice- vette fra tripudj ed acclamazioni il capitano ,
accompa- gnandolo fino alla casa. Di che dolenti i capi della cittò, quelli
principalmente che gli aveano affidato 1’ armata e ne aveano con altri modi
tramato la rovina, facean tristi colloqui su T avvenire. Aristodemo lasciati
decor- rere alquanti giorni onde rendere agi’ Iddj li suoi voti ^ e ricevute
intanto le sue navi da carico rimaste indietro, alfine venutone il tempo ,
disse voler esporre in Senato le cose operate nella guerra e mostrargli le
prede ripor- tatene. Riunitisi in numero i primarj , ed i magistrati nel
Senato, egli fattosi innanzi prese a dire e narrare tutte le cose operate nella
battaglia : quando gli uomini apparecchiati da lui per 1* impresa , accorsi in
folla nel Senato co' pugnali sotto gli ‘ abiti , vi uccisero tutti gli
ottimati. Si diedero allora a fuggire e correre , chi alle proprie case, chi
fuori delia città, quanti erano al Foro, eccetto i complici del disegno , i
qnali avevano occupato la fortezza , il porto , ed ogni luogo monito delia
città. Nella notte seguente sprigionando quanti vi erano ( e molti ve ne erano
) dalle pubbliche carceri , destinati alla morte, ed armandoli con altri suoi amici,
tra* quali (t) In segno della -riltoria riportala. G>si ae’trionfì ai
coronavano ancora LI FASCI erano gli Schiavi Tirreni , ne fece un corpo di
guardia per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo a parlamento , ed
accusativi a lungo gli uccisi , disse che erano stati meritamente % puniti ;
avendo per tante volte insidiata a lui la vita : ma che , quanto agli altri
.cittadini , egli darebbe loro la libertà , la eguaglianza .dei diritti , ed
altri beni copiosi Vili. Ciò dicendo , ed elevando tutto il popolo a speranze
meravigliose , stabili due regolamenti , pessimi tra tutti i regolamenti ^ ed
iniziativi di ogni tirannide , io dico la nuova division delle terre e la
remissione dei debiti. Figli promettea provvedere su l’una e l’altra cosa,
purché fosse eletto comandante assoluto , finché il comune fosse in salvo, e
v’ordinassero uno stato popolare. Con piacere ud) la plebe e tutti i peggiori
che avrebbonsi a ghermire i beni degli altri: ed egli, avutone un potere
indipen- dente , aggiunse un nuovo decreto col quale deludendo ancor essi ,
alfine tolse a tutti la libertà. Imperocché fingendo temere torbidi e sedizioni
de’ nobili contro dei .plebei per le assoluzioni dai debiti e per le divisioni
nuove de’ terreni , disse che a precludere una guerra ed un eccidio civile ,
trovava un solo rimedio, cioè che , tutti prima di ridursi a tal male ,
recassero dalle loro case le arme , e le consacrassero agl’ Iddj per averle nel
bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano , e non contro sestessi:
pertanto esser bonissima cosa che stessero quelle presso de' Numi. Persuasi di
tanto i Cu> mani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti , e negli
altri appresso fe’ cercare le case di • ognuno , \ic- cldendovi molti buoni ,
sul pretesto che non avessero portate ai Numi tutte le armi. Dopo ciò fortificò
la ti- rannide sua con tre generi di guardie : il primo fu di que’ vilissimi e
reissimi cittadini co’ quali tolse 1’ auto- rità degli ottimati : il secondo fu
de’ servi indegnissimi renduti liberi da esso perchè aveano trucidati i loro
pa> droni : ed il terzo furono i militari assoldati da’ barbari più inumani.
Erano questi nommen di due mila , e va- lidissimi più che gli altri nelle arme.
Tolse le immagini degli uccisi da ogni luogo sacro e profano supplendovi in
vece loro le sue. Le case , i campi , ogni avere di questi lo donò tutto ai
complici suoi nel preparargli la corona , riservando per sè l’ oro e 1’ argento
, e quanto altro è base della tirannide. Ma li doni più numerosi e più grandi
li profuse tra gli assassini dei loro padroni ; i quali chiesero perfino in
moglie le donne e le figlie de’ padroni medesimi. Quantunque però niente avesse
in principio cu- rata la stirpe virile degli uccisi , alfine si accinse a ster-
minarla tutta in un giorno , sia che per un qualche oracolo , sia che per
computi verisimili concludesse che perpetuava con questa a sestesso uno
spavento non pic- colo. Ma perciocché vivamente nel distoglievano quelli (i)
presso a’, quali dimoravano i figli e le madri , egli vo-lando concedere loro*
un tal dono, gli assolvè, sebbene contro sua voglia , dalla morte. Per
cautelarsi però da loro sicché congiurandosi non .insorgessero contro il suo
regno ; comandò che uscissero tutti dalla città chi verso r uno e chi verso l’
altro luogo : e vivessero per le (i) I Saidliti del tiraoDu alli quali egli
stesso le area mariiate campagne senza istruzione e coltura , propria di liberi
giovinetti , con pascer le greggi o con altri campestri esercizi , minacciando
di morte chiunque di loro in città fosse preso. Cosi quelli , abbandonati I
patri > so- steneansi come schiavi per le campagne, servendo agli uccisori
medesimi de’ padri loro. E perchè niente) pi& ci avesse di virile o di
generoso prese ad effeminare colle Istituzioni sue tutta la gioventù Cumana ,
toglien- dole I ginnasi e gli esercizi militai , e variandone le maniere già consuete
del vivere. Volle che I giovani come le donzelle nudrisser la chioma , e bionda
la ri- ducessero e ricciasserla , e ricciata di reti lievi la cii^ condassero ;
e portassero toghe talari e ricamate , e clamidi sottili e molli , vivendosi
all’ ombra. Donne , educatrici loro , li accompagnavano, recando parasoli e
ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti musiche dissolutezze: ed
esse li lavavano , esse porta- vano ai bagni i pettini , e gli alabastri con
gli unguenti, e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani fino ai venti
anni, concedendo allora che passasser tra gli uomini. Ma egli che avea cosi
vituperato e danneggiato i Cumani , egli che non avea risparmiato loro nè im-
pudenze , nè sevizie , egli alfine già vecchio , quando si credea sicuro nella
tirannide , Sterminato con tutti, i suoi , ne pagò le giustissime pene ai Numi
ed agli uo- mini. X. I prodi che insorgendo liberarono la patria dalla tirannia
di lui furono i figli de’ cittadini uccisi : quelli che egli avea risoluto in
principio di trucidare tutti in nn giorno, ma che poi risparmiò, come ho detto,
vinto dalle istanze de’ satelliti suoi , maritati da lui colle ma- dri loro,
comandando che abitassero per le campagne. Pochi anni appresso viaggiando egli
pel contado e ve- dendoli già adulti e molti e floridi ; temè che non n
congiurassero ed assalisserlo : e macchinò di prevenirli ed ucciderli tutti
prima che niuno se ne avvedesse. Adunque consultandosene • cogli amici ,
deliberava con essi le maniere sollecite e piane ma occultamente, onde
spegnerli. Sepperlo que’ giovinetti per indizio forse di alcuno che ne era
consapevole, e, forse mossi da con» getture probabili , fuggironsi ai monti ,
dando di piglio ai fèrri degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto loro i
fuorusciti Cumani rifugiati in Capua , tra’ quali erano i più cospicui , e
seguiti in gran parte dagli ospiti loro Campani , i figli d’ Ippomedonte , di
quello che nella guerra Tirrena avea comandato la cavalleria. Essi armati
recavano a’ compagni le armi con una truppa non picciola di amici e di
mercenarj della Campania. Alfine riunitisi scorrevano e turbavano predando i
campi nemici , ritoglievano gli schiavi dai padroni , ed ogni altro qualunque
dalle carceri , e gli armavano , e quanto , non poteano trasportare o menar
seco lo davano alle fiamme , o alla mòrte. Ansio dubitava il tiranno come avesse
a combatterli , perchè nè sapeasi quando impren» derebbero , nè teneansi fermi
sempre in luoghi mede- simi , ma regolavano le loro incursioni o colla notte
fino all’ aurora , o col giorno fino alla notte. Avendo più volte spedito
milizie ma' indarno a guardia delle cani» pagne , a lui ne venne un tale degli
esuli malconcio di battiture , spedito ad arte da essi quasi un disertore. Costui
chiedendo la impunità promise al tiranno di guidare 1’ armata che manderebbe
con lui , nel luogo appunto ove quelli sarebbero nella notte imminente. In-
dotto il tiranno a credergli perchè non chiedea verun premio , e porgea
sestesso in ostaggio , spedi li suoi duci più fidi , seguiti da molli cavalieri
e da’ mercenari , con ordine di conduire a lui , legati almeno , i più , se non
tutti quegli esuli. Il disertore eh’ erasi a ciò posto menò tutta la notte 1’
armata a disagi gravissimi per vie non trite e per boschi , in parti le più
lontane dalla città. Come i ribelli e l profughi posti per le insidie intorno
all’ Averno , monte vicino alla città , conobbero pe’segnali dati dagli
esploratori che l’armata del tiranno era uscita, mandarono circa sessanta i più
arditi di loro che cinti da irte pelli portavano fi)sci di sarmehti. Or que-
sti nell’ ora , quando accendonsi i lumi , chi per l’ una e chi per 1’ altra
parte entrarono, quasi opera) , la città senza essere conosciuti; ed entrali
cavarono da’ sarmenti le spade che vi occultavano , e si raccolsero tulli ad un
luogo. Donde marciando in schiera alle porte che me- nano all’Averuo, ne
uccisero i custodi che dormivano, e spalancatele , v’ introdussero tutti i loro
che v’ eran già prossimi, nè per tanto il fatto ^ ravvisa vasi ancora.
Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa, ond’ è che tutti
oziavano per tutto in città tra le bevande ed altri diletti. Or ciò diè loro
gran sicurezza di trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del ti-
ranno : e nemineu qui trovando nelle entrate molti , nè .vigilanti , ve gli
uccisero senza stento , oppressi dal sonno o dai vino : ed internatisi in folla
trucidarono nell’ abi- tazione , quasi una greggia, tutti gli altri, ornai pei
vino non più arbitri de’ corpi nè degli animi loro. Or qni preso Aristodemo , i
figli , e tutti i parenti , e battutili gran parte della notte , e torturatili
, e devastatili con ogni male , gli uccisero finalmente. Cosi sterminando dalle
radici quella stirpe di tiranni fino a non lasciarvi non fanciulli , non donne
, non consanguineo ninno ; e rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a
fondar la tirannide ; andarono , nato il giorno , nel F oro , e con* Tocatovi
il popolo , e depostevi le arme , renderono la patria a scstessa. Or questo
Aristodemo nel quartodecimo anno della sua tirannide in Cuma , questo vulcano
gii esuli compagni di Tarquinio cbe giudicasse tra loro e la pa- tria.
Ripugnarono alcun tempo i deputati de’ Romani , come quelli cbe nè erano a tal
fine venuti, nè avevano dal Senato i poteri per difendere ivi Roma. Non pro-
fittando però niente , anzi vedendo quel despota pro- pendere in contrario per
le brighe , e per le istanze degli esuli ; chiesero un tempo per le difese , e
deposi- tarono una somma per garanzia di eseguirle essi stessi. Ma poi nel
correre di questo tempo, quando niuno più vegliava su loro , fuggirono ,
ritenendosi il tiranno gli schiavi , li giumenti , e li danari che aveano
portalo per comperare de’ viveri. Tali furono gl’ incontri di queste legazioni
, e così riuscì loro di tornarsene in patria seb- bene senza l’ intento. Ma la
legazione spedita neU’Etruria comperatovi miglio e farro lo trasportò su barche
fluviali a Roma , e Roma ne fu nudrita sebbene per poco ; fiocbè consumatili , ricadde ne’ disagi
medesimi. Non erari genere di alimenti a cui non si rivolgesse. Dond’è che non
pochi tra la scarsezza, e la inconve- ' nienza de’ cibi non soliti , s’ avean
male nella persona , o diventavano a tutto impotenti , non soccorsi nella pcv-
vertà. Come ciò seppero i Yolsci domati di fresco, s’ isti- garono con
vicendevoli occulti messaggi a riprender le armi , quasi fosse impossibile che
i Eomaui resistessero bersagliali dalla guerra e dalla fame. Ma i numi propiz)
che vegliavano perchè non rimanessero in preda a’ ne- mici , ne dimostrarono
allora più chiaramente la prote- zione. Di repente si mise tra^Volsci una tal
pestilenza, quanta non leggesi mai stata in Greche o barbare terre,
disfacendoli promiscuamente di ogni età, di ogni fortu- na , di ogni
temperamento , validi o invalidi. Mostrò soprattutto gli eccessi del, male
Yelletri, città insigne, de’ Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste
appena ne rispailniò la decima parte , investendovi e consu- mandovene le
altre. Ond’ è che i superstiti a tanto in- fortunio , mandati ambasciadori , e
dichiarata a' Romani la loro solitudine , sottomisero fa città. E siccome
aveano prima ricevuto de’ coloni da essi ; ne chiedeano di pre- sente ancor
altri. XIII. Impietoùrono, sapendoli , ai loro mali i Ro- mani ; nè pensarono
che si avessero a premere come nemici fra tanta sciagura , dacché pagavano agl’
Iddj le pene per ciò che voleano fare su Roma. Piacque loro , di riammetter
Yelletri, e spedirvi numero non picciolo di coloni presagendone sommi vantaggi.
Parea che il posto , se presidiavasi acconciamente , sarebbe ostacolo grande e
ritardo a chiunqae si voleva rimescolare e sommoversi. E concepivasi che la
penuria di Roma non poco si scemerebbe se una parte notabile di popolo al-
trove si trasferisse. Inducevali soprattutto a spedire una colonia la sedizione
che vi si riproduceva , non essen- dovi ancora sopita in tutto la prima.
Imperocché il po- polo discordava un altra volta come per addietro , e ne
odiava i Patrizj : e molta era 1’ amarezza dei discorsi co' quali accusavano la
poca cura, e la scioperatezza di essi perchè non aveano a tempo preveduta nè
riparata la penuria futura , dicendo alcuni perfino che ad arte aveano
procurato la caresua per astio e desiderio di af- fliggerne il popolo in
memoria della ribellione. Per tali riguardi sollecitissima fu la spedizione della
colonia , de* slinativi dal Senato tre condottieri. Da principio udiva il
popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni, perchè sarebbe cosi
levato dalla fame , e perchè vive- rebbe in terra felice : ma poiché rifletté
che la peste ge* aeratasi nella città che gli avrebbe a ricevere aveva di-
strutto i suoi cittadini , e temè che in tal modo ancora maltratterebbe i
coloni, variò poco a poco di sentimento. Tantoché non molò , anzi meno assai
che il Senato ne permetteva , esibironsi per la colonia : e questi bentosto ne
furon pentiti come sconsigliati, e scansavano di usci- re. Da tale vincolo
erano trattenuti questi e quanti al- tri non più si acconciavano ad andare. Ma
dertretato avendo il Senato che la colonia si ricavasse dal com- plesso di tutti
i Romani secondo le sorti , e stabilendo dure ed irreparabili pene per chi
ricusava ; alfine fu per tale necessità condotto il numero conveniente in
iVelle- Digitized by Googl 336 DELLE antichità’ ROMANE tri. Noo raoUi giorni
appresso un’ altra colonia fu tra> sferita in Norba, città non ignobile dei
Latini -(i). XrV. Non però segui da ciò ninna delle cose con~ gbietturate da’
patrizj secondo la speranza di spegnere- le discordie. Imperocché la plebe
rimasta intrisi più an- cora, vociferando con assai clamore contro de’ padri
nelle adunanze prima di pochi , indi di molti , per la fame divenuta
gravissima; e concorrendo al Foro vol- geasi lamentosa ai tribuni suoi perchè
1’ aiutassero. Or tenendo questi adunanza , fattosi innanzi Spurio Icilio
allora capo di essi perorò lungamente contro de’ padri aumentandone quanto potè
la malvolenza. Egli istigò pur altri a dire pubblicamente ciocché sentivano , e
prin- cipalmente Siccinio e Bruto allora edili , invitandoveli a nome, appunto
come capi già del popolo nella prima sedizione , ed inventori , anzi magistrati
la prima volta della podestà tribunizia. Presentatisi dissero anch’essi,
udendoli il popolo vogliosissimamente , malignissime cose già da molto tempo
premeditate , come se la carestia fosse procurata per malizia de’ ricchi ,
perchè il popolo- avea loro malgrado , ricuperata colla sedizione la libertà.
Dissero che i ricchi non aveano pur la miaima parte del disagio dei poveri :
molta essere la loro non curanza de’ mali , perchè aveano cibi occulti e danari
onde com- perarli se introducevansi , laddove i plebei mancavano di ognuna di
queste due cose: protestarono che mandare i coloni a’ luoghi contagiosi , era
un avviarli a rovina visibile e funestissima, aggravando quanto più poteana (i)
A tempo di Plinio era nn ammasso di rovine. Restava circa sei miglia lontana da
Segni a- measogiomo. con parole il male. Chiedeano qual sarebbe il fine a tante
sciagure , e richiamavano loro in memoria gli an> tichi Hagelli , ond’ erano
stati malmenati da’ ricchi ; ag> giungendo ancora iinpuuissimamenie cose
consimili. Da ultimo Bruto la Gni minacciando , dicendo cioè , che se
secondavano , egli necessiterebbe quanto prima a spe- gner r incendio quelli
stessi che eccitato Taveano. E così r adunanza fu sciolta. XV. Intimoriti i
consoli su tali innovazioni , e solle- citi che le adulazioni di Bruto verso
del popolo iiou terminassero in grandi sciagure , intimarono nel prossi- mo
giorno il Senato. Ivi si fecero discorsi molti e varj da essi , come dagli
altri seniori. Pensavano alcuni che si dovesse blaudire i plebei con ogni
dolcezza di parole e promessa di opere , e renderne i capi più moderali con
esporre lo stato delle cose , e convocarli e consul- tare insieme il bene
comune : io opposito altri consiglia- vano che non cedessero , uè si
abbassassero verso del popolo : essere la moltitudine, imperita , e caparbia :
in- solente , incredibile 1’ ardore dei capi che 1’ adulano : facessero
piuttosto costare che non ci avea ne’ patrizj colpa ninna , c promettessero
ovviare , quanto potè vasi , al male. Redarguissero e miuacciassero di pene
conde- gne i sommovitori dei [K>polo , se nou si chetavano. .\p- pio era il
primo in tal sentimento , e prevalse in mezzo alle grandi opposizioni de’
padri. Tanto che il popolo turbalo all’ udirne tanto da lungi i clamori accorse
alla curia , e tutta la città fu sospesa nella espeltazione. Dopo ciò li
consoli usciti adunarono il popolo , restandovi breve DlOXlGi t Zumo 21.parte
del giorno , e tentarono di esporgli i voleri del Senato. Contraddissero i
tribuni , nè già fu vicendevole nè ordinato il colloquio. Gridavano,
interrompevansi ; tanto che non era facile agli astanti distinguere i loro
pensieri , e ciò che volessero. Diceano i consoli cb’essi come di autorità pre-
mineute doveano comandare in tutto alla città ; laddove i tribuni replicavano
che i consoli avean dritto in Se- nato , ma su le adunanze del popolo i tribuni
: questi aver tutto il potere su quanto si dee discutere e sen- tenziare da’
voti del popolo. Prendea parte , vociferava per essi la moltitudine , pronta ad
assalire se bisognava, chiunque ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano ,
e davan animo ai consoli , circondandoli. Vivissima era la contesa per non
cedere gli uni agli altri ; quasi allora appunto si cedessero i diritti una
volta per sempre. Già il sole era per tramontare , e tuttavia concorrea dalle
case nuovo popolo al Foro: e se la notte non li tron- cava, forse i dissidj*
finivano a colpi , ancora di pietre. Bruto perchè ciò non seguisse , fecesi
innanzi , e chiese ai consoli di parlare ; promettendo di sedare il tumulto.
Concederono questi che parlasse , parendo loro che si deferisse ai consoli
mentre quel capipopolo ciò chiedeva da essi , presenti i trihuui. Fatto
silenzio , Bruto senza dir altro interrogò li consoli di tal modo: Ki ricordale
voi che lasciando noi le divisioni, ci accordavate per^ diritto che quando i
tribuni adunassero sotto qualun- que fine il popolo , i patrizj nè intervenissero
all’ a- dunanza , nè la turbassero ? Ce ne ricordiamo , disse Geganio. E Bruto
ripigliò : qual male aveste voi dunqué da noi che c impedite , nè permettete
che i tri- buni dicano ciocché vogliono? E Geganio rispose: per- chè non voi ,
ma noi consoli avevamo chiamato il popolo a parlamento. Se fosse stalo invitalo
da voi, non V impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brighe- remmo in ciò che si
tratta : ora essendo da noi con- vocalo , non v' impediamo che Jdvelliale ; ma
che noi ne siamo impediti , ciò non è giusto. Allora Bruto , abbiamo vinto ,
disse, o popolo: concedesi a noi dagli awersarj q> anlo chiedes’amo : ora desistete
, chetatevi, ritiratevi : domani promettevi dichiarare quanta forza V abbiale.
E voi tribuni cedete ad essi di presente nel Foro : non sempre già qui cederete
qiumdo ab- biate compreso ( e presto lo comprenderete , io pro- metto
chiarirvene ) il potere del vostro magislialo. Abbasserete cotanta loro
preminenza : e se troverete che io V abbia deluso , fate ciocché vi piace di
me. XVII. E uiuno più contraddicendo, ritiravausi tutti dall’ adunanza : non
però gli uni e gli altri con pari divisaniento. Credeano i poveri che avesse
Bruto ideato qualche nobile impresa , e che non indarno la promet' lesse : ma i
patrizj trascuravano la leggerezza di lui , pensando che T audacia delle
promesse non andasse più in lò delle parole; non essendo conceduta dal Senato
ai tribuni altra autorità che di proteggere il popolo , se non facevasi ad esso
ragione. Non però la cosa parca spregevole a tutti , specialmente ai seniori ,
ma che do- vesse attendersi che la manìa di un tal uomo non ge- nerasse mali
insanabili. Bruto la notte appresso svelato il parer suo fra i tribuni , e
raccolta una massa non tenue di popolo , ne andò di conserva nel Foro : e prima
clie si facesse di chiaro, occupato il tempio di Vulcano donde eglino soleano
concionare , invitarono il popolo a parlamento. Empiutosi il Foro di un
concorso, quale mai più V* era stato , presentasi Icilio il tribuno, e par-
lavi luughissimamente contro de’padri. Egli commemora quanto han latto in danno
del popolo , e come nel giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare con-
tro i poteri ancora della sua dignità. E qui disse : e di che altro tarem più
padroni se noi siam di parlare ? Come potremo soccorrere voi se ojffesi ,
quando ci si toglie la libertà di adunarvi ? Son le parole i preludj delle
operazioni : nè ignorasi che quelli che non pos- sono dir ciocché pensano ,
nemmen possono far cioc- ché vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la
potestà che ci deste , se non volete mantenercela inviolabile; o proibite con
legge che alcuno più ci si opponga. A tal dire provocavalo il popolo che egli
stendesse la leg- ge : e siccome teneala già scritta , la lesse. £ , dispen-
sati i voti , fe’ che il popolo immantinente ne decidesse ; parendogli non
esser questo un affare da esitarne , o differirlo , perchè non avesse altri
inciampi dai consoli. La legge era questa : Concionando un tribuno al po- polo
, niuno aringhi in contrario , nè interrompalo : e se alcwio contravvenga , dia
mallevadori ai tribuni di pagare , chiamatone in giudizio , la multa che gl im-
porranno : e non dandoli, egli sia punito di morte, li beni di lui sien sacri ,
e tutte le controversie su tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata
coi voli la legge dimisero 1’ adunanza : ed il popolo si ritì rò , tatto di bu
on anirno , e pieno di riconoscenza per Bruto , come per 1’ autore della legge.
Dopo ciò li tribuni ripugnavano ai consoli molto , e su molte cose : nè il
popolo ratificava i de- creti del Senato , nè il Senato approvava decisione
niuna della plebe. Cosi teneansi contrapposti e sospetti. Non però r odio loro
, come avviene in simili turbolenze , procedette a danni irreparabili.
Imperoccbè nè i poveri investirono mai le case de’ ricchi ove concepivano che
troverebhon de’ cibi riservali ; nè mai si lanciarono su pa- lesi merci per
involarle : ma pazienti comperavano a gran costo il poco , e sostcneansi di
radici e di erbe se pe- nuriavan di argento. Nè mai li ricchi per dominare soli
nella città violentarono colla forza propria, o de’ clienti, (eh’ era pur
molta) la classe indigente, esiliandone o trucidandone ; ma conduceansi come
padri savissimi in- verso de’ figli , con cuore sempre benevolo e premuroso tra
le lor delinquenze. Or tale essendo lo stato di Roma, le città vicine
invitavano qual più volealo de’ Romani tt traslatarsi nel seno di esse ,
allettandoli con dar loro la cittadinanza , ed altre propizie speranze : ma le
une in- vitavano mosse dai bei genj per benevolenza e pietà nei mali altrui ,
le altre (ed eran le più !) per invidia della prosperità passata della
repubblica. E furono ben molli quei che partirono con tutte le famiglie, e
posero al- trove il soggiorno : ma taluni di questi , riordinato lo stato ,
ripatrìarono , e tal’ altri mai più. Or ciò vedendo i consoli parve loro , per
voler del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati, e porre in
campo un esercito. Prendeano occasione speciosa a tanto dall’ essere la
campagna tante volte dan- neggiata dalle scorrerie , e saccheggi de’ nemici ;
calco- lando ancora i beni che nascerebbero dall’ inviare un esercito di là da’
confìni : mentre quei che restavano avrebbero , come diminuiti , le vettovaglie
in più copia: e gli altri colle arme vivrebbero io siti più abbondanti a spese
dell’ inimico , e la sedizion tacerebbe , almen quanto si tenesse in piedi
l’armata. Tanto più poi sem- brava che resùiuirebbcsi la calma tra patrizj e
plebei , quanto che dovrebbei'o militare insieme , e partecipare i beni e i
mali a fronte de’ pericoli. Non però la mol- titudine ubbidiva , nè si
presentava spontanea , come al- tre volte , per essere iscritta. Non vollero i
consoli foi^ zare secondo le leggi i renitenti : ma alcuni patrizj s’iscris-
sero volontarj co' loro clienti , congiungendosi ad essi che uscivano , anche
picciola parte di popolo per mili- tare. Era duce di quest’ esercito quel Caio
Marcio , il quale espugnò la città de’ Coriolani , e riportò la corona dei
forti nella pugna cogli Anziati. Or vedendo lui per capitano , i più de’ plebei
che aveano piglialo le anni vi si confermarono , altri per benevolenza , altri
per la speranza di esserne diretti a buon fine. Imperocché famosissimo egli era
quest’ uomo , e gran- tal esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi ^
e di bestiami in copia , senza dirne il mollo grano che era ne’ campi ;
tornandone indi a non molto ricchissimo fatto di viveri : tanto che quei che s’
eran rimasti, eran mesti e dolenti verso de’ tribuni, pe’ quali sembravano
privi di un tanto bene : cosi Geganio e Miuucio consoli di queir anno trovatisi
in tempeste varie e grandi , e più volte in pericolo di rovinar la cilli, non
operarono nulla con troppa efficacia : pur salvarono la repubblica più savj che
prosperi nell* uso delle circostanze. XX. Marco Minucio Augurino, ed Aulo
Sempronio Atraiino eletti consoli dopo loro , presero per la se- conda volta
quel grado (i). Non imperiti nell’arme, e nel dire , empierono con assai
provvidenza la città di grano e di ogni maniera di viveri , come si
ristringesse all’ abbondanza la concordia del popolo. Non però po- terono
ottenere 1' uno e 1’ altro bene ; ma venne colla sazietà pur l’orgoglio in
quelli eh’ eran saziati. E quando meno pareva , allora fu su Roma il pericolo
maggiore che mai per addietro. I commìssarj spediti pe’ grani , comperatone
negli emporj entro terra o sul mare , lo aveano già trasportato a' pubblici
serbato)'. Quand’ ecco i negozianti pure di viveri ne condussero d’ ogn’
intorno in Roma : e Roma comperando a pubbliche spese i lor carichi , li
custodiva. Vennero i primi i commissarj spe- diti in Sicilia , Geganio e
Valerio con piene assai bar- che ; portavano in esse cinquanta mila moggia
siciliane di grano , metà procacciato a lievissimo costo , e metà regalato e
mandato a spese sue dal tiranno. Nunziatosi in città 1’ arrivo delle navi
portatrici de’ grani siciliani ; discussero i patrizj longamente come avesse a
dispor- sene. I più moderati e popolari fra loro , considerata la pubblica
calamità , consigliavano che il grano donato dal re si donasse ancora a tutti
del popolo , e che 1’ altro (i) Anni iti Roma 263 seconda Catone , 265 secondo
Varone , e 469 avanti Cristo. tìet.le
Antichità’ hotmane comperato coll’ erario , si vendesse loro a picciol mer-
cato , ricordando clie per tali beneficenze principalmente si ammansano gli
onimi de’ poveri verso de’ ricchi. Per r opposito i più arroganti fra loro , ed
amici del co- mando dei pochi , sentenziavano che aveasi con tutto r ardore e
l’ ingegno a deprimere il popolo, ed eccita- vano a non fargliene se non
carissima la vendita , per- chè la necessità li rendesse per innanzi più savj e
più conformi alle leggi. Fra questi amici del comando de’ pochi era pur quel
Marcio , chiamato Coriolano , uè già dicea come gli altri in occulto e con
riguardo i proprj sentimenti , ma di proposito , e con ardore , sicché molti
del popolo lo udirono. Avea costui non che le cause comuni con- tro del popolo,
motivi privati e recenti onde parer di odiarlo meritamente. Cercando esso ne’
comizj ultimi il consolato , il popolo se. gli oppose, ad onta de’ padri che lo
sostenevano , nè permise che lo conseguisse ; per- chè sospettava che un tal
uomo colla chiarezza ed ar- dire suo prendesse ad abbattere il tribunato ; e
tanto più ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a lui , come a
niun altro mai per addietro. Inbammato costui dalla ingiuria , e macchinando
riordinar la repubblica su le antiche maniere , adoperavasi , come ho detto ,
pale- semente , incitandovi pur gli altri, aU’annientamento del popolo. Lui
cingeva un seguito di molti nobili e ric- chissimi giovani , e per lui stavano
molti clienti , pro- speratine già nella guerra. Esaltato da questi , andavano
fastoso, e minaccievole , e fra tutti chiarissimo; non però ne ebbe termine
fortunato. Adunatosi pe’ casi presenti il Senato e proponendo , com’ è costume
, il pro- prio parere prima li seniori , tra quali non molti con* trariarono
manifestamente la plebe ; alfine ridottasi la disputa ai giovani , egli chiese
da’ consoli il poter dire ciocché voleva : e tra ’l favor grande , e la grande
atten- zione di tutti cosi contro del popolo ragionò. Che U popolo non siasi
ribellato per neces- sitA e per disagi , ma sollevalo dalla rea speranza di
abbattere il comando de' pochi , e farsi egli stesso l’ arbitro del comune ;
credo ornai che lo abbiate o padri compreso voi tutti , considerando la inconten-
tabilità sua nel pacificarcisi. Non era il solo disegno suo di violare la fede
de' contratti, e di abolire le leggi che la garantivano , senza passare più
oltre. Esso per levare il magistrato de' consoli , ne fondava un altro nuovo ,
c lo rendeva sacrosanto ed immune per legge, ed ora, e voi non vel conoscete,
lo ha con un ple- biscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E per
certo , quando gC incaricati di un tal magistrato col pretestare i bei titoli
di proteggci'e i plebei mal- menati opereranno con esso e disporranno come a
lor piace , quando niuno , non uomo privato , non pub- blico , potrà impedirne
gli abusi per timor della legge la qual toglie anche il dire non che il fare ,
minac- ciando la morte a chi pur lascia fuggirsi una libera voce in contrario ;
dite , e qual altro nome dee met- tere allora chi ha senno a tal magistrato se
non quello di ciò che è veramente , e che voi tutti confesserete , quello cioè
di una tirannide ? Siasi un solo che tiran- tt^ggia , siasi il popolo tutto , e
qual divario ? quando uno appunto è l’operar di ambedue? Era ottimissima cosa
non lasciare mai che il seme s’ introducesse di un simil potere y e soffrir
prima tutto, come il valo- rosissimo jéppio voleva, antivedendone da lauto
tempo le ree conseguenze. Ma giacché ciò non si fece , ora almeno sradichiamolo
, gettiamolo dalla città mentre è debole ancora, e facile da superarlo. Certo
voi non siete , o padri coscritti , nè i primi , nè i soli a’ quali tocchi ciò
fare ; quando molti già tante volte deviando dalle buone risoluzioni su di
affari gravissimi ; e rav- voltisi in necessità sconsigliate , tentarono
estinguere il mal già cresciuto , se impedito nel nascere non lo avcano. E
quantunque la penitenza di chi lardi fa senno sia da meno della previdenza ;
tuttavia sott’ al- tro rispetto apparisce non inferiore , rmnullando V er- rar
già commesso coll’ impedir che si termini. Se alcuni di voi han per gravi le
opera- zioni del popolo , se pensano doversi lui prevenire sicché più non
esorbiti, ma vien loro la verecondia di parere i primi a rompere i patti e li
giuramenti; sap- piano , che se fan ciò, saranno incolpabili innanzi gl’ Iddj ,
e compiran la giustizia col? utile proprio ; giacché non eomincian essi /’
oltraggio ma lo respin- gono , non tolgon essi i patti , ma chi prima li tolse
puniscono. E grandissimo argomento siavi che non voi cominciate a rompere i
patti, non voi l’alleanza, ma il popolo il quale non più soffre le leggi colle
quali ottenne il ritorno. Non chiese già egli i tribuni per danneggiare il
Senato ; ma per non essere dan- neggiato. Eppure or ne usa non per ciò che lo
dee^ nè per ciò che fu crealo , ma per turbare e confon- dere lo stalo della
repubblica. Ben vi ricorda dell ul- tima adunanza , e delle cose dettevi dot
tribuni , e quanta euroganza e quale disordine vi dimostrassero. Ed ora ,
niente più savj , quanto fasto non menano al vedere , che tutta la forza della
città sta ne’ voti , e ne’ voti ci vincon essi , tanto maggiori di numero ? Se
dunque han essi incomincialo a frangere i patti e le leggi; che dobbiamo noi
fare se non rispinger la ingiuria p se non ripigliarci giustamente ciocché
ingiu- stamente ci han tolto ? e frena' tante lor pretensioni ognora più
grandi? e ringraziare gl Iddj che non han permesso che essi coll acquisto del
primo potere di- venissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal
vituperio e briga per la quale voi di necessità tentaste ri- cuperare il
perduto, e custodir ciocché resta, come si dee? Se volete riavervi; non altra
occasione mai fia così buona, quanto la presente. Ora la più parte di essi è
vinta dalla fame , e /’ altra non potrà resi- stere lungamente per l indigenza
, se abbia i viveri scarsi e cari. Li più rei , quelli non mai propensi al
comando de’ pochi , ridurransi a lasciarci, ma gli altri più miti diverranno
ancora più docili , nè mai più vi turberanno. Custodite dunque , non iscemate
di prezzo i viveri, e fate che vendansi il più caro che mai. Voi ne avete
oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella ingratitudine di un popolo che
mormora , quasi ab- biate voi prodotta la carestia , nata dalla ribellione loro
, e dal guasto che diedero alle campagne, levan- done e trasportandone ciocché
vollero come da terre nemiclie , e nelle spese dell’ erario per la spedizione
de’ commissarj in cerca di viveri , e nelle tante altre ingiurie , onde foste
oltraggiali. Conoscansi fin da ora quali sono i mali co’ quali ci afliggeranno
, se non facciamo tutto a piacere del popolo, come i capi loro dicono per
atterrirci. Se vi lasciate fuggir di mano questa occasione ; ne sospirerete le
mille volte una simile. E se il popolo sappia una volta che voi mac- chinavate
di abbattere tanta sua forza , ma ne desi-, steste ; tanto più vi si renderà
gravoso , tenendovi nei vostri voleri come nemici, e come impotenti ne’vostri
timori. Si divisero a tal dire di Marcio i pareri , e molto si romoreggiò nel
Senato. Imperocché quelli che da principio contrariavan la plebe , e ne
ammisero mal- grado loro la pace , tra quali erano i giovani , quasi tutti , e
li più ricchi e più riguardevoli de’ seniori ; esasperandosi della impudenza di
essa , encomiavan que- st’ uomo come generoso , come amico della patria , e che
parlava il ben del comune. Ma quelli che propen- deano , come prima , verso del
popolo , nè stimavano le ricchezze oltre il dovere , nè credevano cosa alcuna
necessaria quanto la pace, eransi corucciati a tal dire, non che vi aderissero.
Volevano che si vincessero i po- veri colle dolci , non colla violenza : essere
la dolcezza una cosa non solo conveniente ma necessaria ; prin- cipalmente per
la benevolenza verso de’ eittadini : e chiamavano que’suoi consigli non libertà
di detti, e di opere ; ma delirj : nondimeno questo partito , come pic- ciolo e
debole , era sopraffatto dall’ altro più forte. Oi! dò vedendo i tribuni ( eran
questi presenti , invitati in Sonato da’ consoli ) gridarono e fremerono ,
chiamando Marcio peste e rovina della città ; come lui cbe usciva in discorsi
si rei contro del popolo. E se i patrizj non lo frenavano coll’ esilio o con la
morte , mentre svegliava in Roma una guerra civile , essi , diceano , che lo
pu- nirebbero. Or qui nato un tumulto ancora più vivo pei discorsi dei tribuni
, principalmente dal cauto dei gio- vani cbe mal sopportavano quelle minacce ;
Marcio ani- matone parlò più veemente ancora e più risoluto. Io , diceva, io se
voi non la finite di far qui turbolenza, e di sommovere i poveri; io da ora
innanzi mi farò can- tra voi non colle parole , ma colle opere. Or qui
riscaldatosi più ancora il Senato, i tri- buni vedendo che più erano quelli che
volevano richia- mare , che serbare i poteri conceduti alla plebe , fug- girono
dal Senato gridando , e protestando gl’ Iddj , vin non fate voi parer vere le
calunnie che di voi si spar^ gono ? e che savj sono pel pubblico , quanti
consi- gliano che non pià crescer si lasci questa vostra po- tenza violatrice
delle leggi ? A me così par certa- mente. Afa se vorrete far cose , contrarie a
quelle delle quali vi accusano , moderatevi , ve ne consiglio : ricevete a cor
placido , e non con ira , i discorsi dai quali siete investiti. F’oi se così
fate, ne parrete uo- mini dabbene , e coloro che vi odiano , ne saran/w
pentiti. Avendovi cojè noi fatto ragione amplis- sima come pensiamo , non siate
, ve n esortiamo , indegni di voi. Folendovi noi implacidire non esa- sperare ;
miti , umane furono le opere colle quali vi abbiamo trottato : io dico , per
tacere le antiche , quelle fattevi di recente pel vostro ritorno. Certa- mente
sarebbe pur giusto che voi vi ricordaste di queste ; mentre noi vorremmo
dimenticarcene. Tuttavia la necessità ci stringe a ricordarvele per chiedervi
in contraccambio di tanti e grandi benefizj che noi già concedevamo alle
istanze vostre , che nè si uccida , nè bandiscasi Un uomo amantissimo della
patria , e nobilissimo infra tutti nella guerra. Non poca sarebbe la perdita ,
voi lo vedete , se Roma fosse privata di tanta virtà. Egli è giusto che
mitighiate lo sdegno verso lui , risgiiardando almeno quanti ne salvò di voi
nella guerra , e ripetendone le belle sue gesta , non perseguitandone lé vane
parole. Niente vi hanno i detti nociuto di lui, ma moltissimo i fatti vi giovarvno.
' Che se pur siete inflessibili in suo riguarda, donatelo almeno a noi,
donatelo al Senato che vel chiede : rendete una volta la stabile calma, e la
sua unità primitiva alla patria. E se voi non vi piegherete alle nostre
persuasive ; riflettete che neppur noi ce- deremo alle vostre violenze. Così il
popolo messone a prova o sarà cagione a tutti di amicizia sincera e di beni
maggiori; o nuovo principio di una guerra civile , e di gravissimi mali. I
tribaoi , avendo Minuzio cosi perorato , consideratane la moderazion del dire ,
e come la plebe mossa dalia dolcezza delle sue promesse , ne furono sdegnati e
dolenti , e soprattutti Cajo Sicinio Belluto , quegli che avea suscitato i
poveri a ribellarsi da’ patrizj ed erane stato nominato capitano , 6nchè fìiron
su Tar- mi. Nemicissimo degli ottimati, era perciò stato portato a grande
chiarezza da’ cittadini. Ora creato per la se- conda volta tribuno giudicava
che a ninno giovasse men che a lui che la città fosse appieno concorde, e
ripigliasse la forma antica. Imperocché vedeva che se governavano gli ottimati,
egli nato e cresciuto ignobile , senza luce alcuna d’ imprese in pace o in
guerra , non avrebbe più gli onori , nè la influenza medesima ; anzi che
correrebbe pericoli estremi , come sommovitore dei popolo , ed autore di tanti
suoi mali. Fissato adunque ciocché avrebbe a dire e fare , e consultatosene co’
tri- buni compagni , poiché li ebbe unanimi , sorse , e la- mentata brevemente
la disgrazia del popolo, lodò li consoli perchè degnati si fossero di rendere
ragione ai plebei , senza spregiarne la loro bassezza : e d'sse che rìngraziava
i patrizj ancora , perchè nasceva finaluaente in' essi la cura della salate de'
poveri ; e che molto più egli ciò contesterebbe 'a nome di tutti i colleghi,
quando darebbero pur le operc> simili ai hitti. Cosi proemiando , e
parendone anzi sedato, e propenso alla pace , si volse a Marcio presente ai
con- soli V e disse i E tu o valentuomo niente ti difendi coi tuoi cittadini su
quanto hai detto in Senato ? Chè non supplichi piuttosto , e ne plachi lo
sdegno , sic*’ chò miti sieno nel sentenziartene ? Già non 'vorrei che tu
negassi un tale tuo fallo , avendolo tarili ve* ; nè che , tu Marcio , tu pià
altero in cor tuo che un privato , ti volgessi ad invereconde difese. Sarà
parato non indegno ai consoli ed ai patrizj di aringare essi in tuo bene , nè
parrà per te degno che tu lo facci su te stesso? Or ■cosi parlava -costui ; ben
conoscendo che quel generoso non soffrirebbe mai di essere T accusator di
sestesso , e chiedere come col- pevole la esenzion della pena , nè mai contro
l’ indole sua ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche: ma che o
ricuserebbe fare ogni difesa ; o facendola coll’ in- nato ardimento suo ,
niente tempererebbe nè il popolo , nè il dire. E cosi fu ; perchè taciutisi , e
presi i plebei, quasi tutti , da bel desiderio di liberarlo , purché- egli ne
&vorisse la occasione , manifestò tanta insolenza e dispregio per essi ;
che nè , presentatosi, negò le parole da lui dette in Senato , nè come
pentitone , si diede ad impietosirli e placarli: ma fin sul principio non li
volle, come privi di autorità competente per giudici di cosa ninna , pronto per
altro a sottomettersi , com* era la legge , al tribunolc de’ consoli , se alcuno
volesse ac> cusarvelo , e cbiederoe soddisfazione pe’deui, o per le, opere.
Diceva eh’ egli era, colà venuto , giacché vel chia- marono , parte per
riprendere le loro prevaricazioni , e la incoutentabiUlà j manifeslala
aemprepiù nella separa- zione y e dopo il riiomo ; e parte per consigliarli,
per fiammata , soffiandovi , 1’ ira del popolo , concluse l’ao cosa , che il
tribunato ne sentenziava la morte , per r oltraggio fìtto agli edili , che egli
percosse e respinse, mentre per ordin suo lo arrestavano il di precedente: non
finire che su chi gC incarica, gli oltraggi de’ mi- nistri, E così dicendo
ordinò che portassero Marcio al* l’altura che sovrasta sul Foro. È questa un
dirupo ro> vinoso e vasto donde solcano precipitare i rei condan* nati alla
morte. Corsero gli edili per prenderlo: ma dato un altissimo strido , si
levarono conira loro in folla i patrizj , e quindi contro de’ patrizj il popolo
: e molto era in arabe le parti il disordine , molto lo in* giuriarsi. Io
spingersi, Tassalirsi. Se non che gli autori di un tanto moto furouo rattenuti
e necessitati a mo- derarsi dai consoli i quali , cacciatisi in mezzo, coman*
darono ai littori di rimover la turba. Tanta era allora negli uomini la
riverenza per quel magistrato, e tanto il pregio deir autorità suprema !
Intanto Sicinio non piò saldo , ma perturbato , e timoroso di ridurre i partiti
a respingere forza con forza , non volendo lasciare , nè potendo continuare la
impresa una volta tentata , era pensierosissimo su >ciò che fosse da fare.
XXX VL Or lui vedendo in tanti dubbj Lucio Gin* nio Bruto , quel capipopolo che
ideò le condizioni della concordia , uomo acuto specialmente in trovare , ove
mancano, gli espedienti, venne, e solo con solo, sug- gerì che non si ostinasse
in una disputa ardente , nè legittima : mirasse tutti i patrizj irritati , e
tutti pronti alle armi se vi fossero invitati dai consoli , ma dubbiosa la
parte migliore del popolo , nè ben animata a permettere senza previo giudizio
la morte dell' uomo più. insigne di Roma : cedesse per allora , egli così
consigliava; badasse a non combattere i consoli per non eccitare mali manieri :
piuttosto in- dicesse a un tal uomo , fissandone un tempo qua- lunque , di
perorar la sua causa , i cittadini votas- sero per tribù su lui: e ciò sen facesse
che la plu- ralità de’ voti dichiarerebbe. Non competere che ai tiranni la
violenza che ora minacciavasi , facendosi il tribuno accusatore in un tempo e
giudice ed arbi- tro della pena : ma in una repubblica doversi agli accusati le
difese come voglion le leggi , ed il gastigo secondo il voto dei più. Cedette
Sicioio a tale consi- glio non trovandone altri migliori , e fattosi innanzi
disse : Foi vedete o plebei V entusiasmo de’ patrizj per la violenza e le
stragi : vedete come tengon voi tutti da meno che un solo caparbio che oltra^a
una intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo e corriamo alla
nostra rovina, cominciando o respin- gendo una guerra. Ma perciocché alcuni di
loto al- legano , come onorevol pretesto , la legge la qual non permette che
uccidasi un cittadino ' senza previo giu- dizio , ed allegandola ci tolgono d
infliger le pene ; diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne’ nostri di- sagi
abbiamo noi mai sofferto nè cose giuste , nè secondo le leggi da essi.
Dimostriamoci anzi probi colle clementi maniere , che del numero de’ vostri of-
Digitized by Google Linno VII. 36 1 Jénsori colla violenza. Ritiratevi ;
aspettate , nè già sarà molto , il tempo avvenire. Noi preparando in^ tanto le
cose che importano , fisseremo a codest’ uomo un tempo perchè si difenda , e
non eseguiremo se non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i suffragi
secondo la legge , votatene allora la pena che merita. E ciò basti su questo
proposito : Che poi giustissima facciasi la compra e la distribuzione dèi grani
, noi vi provvederemo , se questi (\) ed il Se- nato non vi provvedono. E ciò
detto disciolse i' adu- nanza. Dopo questo evento i consoli convocando il
Senato considerarono posatamente come dar fine alla discordia presente. Sembrò
loro primieramente che do- vessero cattivarsi il popolo con vendergli i viveri
a pic- ciolo e fàcil mercato , e poi persuadere i lor capi a che- tarsi in
grazia dei Senato , nè astringere più Marcio al giudizio , e temporeggiare in
fine lunghissimamente , se non lasciassero persuadersi , finché l’ ira del
popolo si diminnissc. Ciò decretato portarono e proclamarono al popolo tra pubblici
applausi l’ editto su i viveri cosi concepito che : sarebbero i prezzi de'
generi necessari al vitto quotidiano , tenuissimi come innanzi la sedi- zione.
Poi col molto insistere presso de’ tribuni ebbero per Marcio dilazion quanta
vollero, se non piena asso- luzione. Anzi essi stessi gli procacciarono altro
indugio , valendosi di questa occasione. Gli anziati , spedita una banda di
pirati , aveano predato non lu ngi dal lido , (i) I CoDsvii.mentre tornavano in
casa , le navi e i deputati del re di Sicilia , che aveano recalo i grani in
dono ai Ro- mani , e volgendone ogni cosa come di nemici ad olile , ne teneano
in carcere le persone. I consoli , ciò saputo , spedirono agli Anziati : ma non
potendone per ambasciadori ottener la giustizia , decisero marciare colle armi
su loro. Adunque fatto il ruolo di tutti gl’ie- gli ninna delle cose ordinate
dalle leggi su de’ giudizj. Pareva ai consoli , deliberatisi col Senato, che
non fosse da permettere che il popolo s’ impadronisse di un tanto potere. Or si
diè loro un titolo giusto e legittimo d’im- pedirneli ; e credeano, usandolo,
di renderne vani lutti i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i
capi del popolo. Congregitisi cou quanti erauo gli opportuni per essi , Minucio
disse : Tribuni , ci è piaciuto decre- tare che bandiscasi la sedizione da
Jloma con tutte le forze , nè più nudrasi contesa ninna col popqlo ; vedendo
voi principalmente che tornavate dalla vio- lenza alla giustizia ed alla
ragione. Or noi lodando voi di questo proposito , abbiamo reputato che il Se-
nato , come è patria usanza, vi precedesse co’ suoi decreti. E potete
contestare voi stessi che dalP ora che i nosU'i avi fondarono Roma , il Senato
che la ebbe , ritenne sempre questa precedenza : e che il popolo senza la
previa risoluzione idi lui mai nò giu- dicò , nè votò non solo in questi tempi,
ma nemmeno in quelli dei re. Tanto che li re non rimettevano al popolo , se non
le cose decise in Senato , e così le confermavano. Non vogliate dunque levarci
questo di- ritto , nè abolire tal bella istituzione primitiva. Preanv- monile
il Senato, se avete il bisogtto di cose mode- rate e giuste , e quello che il
Senato ne avrà giudi- cato , quello notificate al popolo , e ne decida. Cosi
discorrendola i consoli , Sicinio mal sopportavali , nò volea render aibitro di
cosa ninna il Senato. Ma gli altri , eguali a lui di potere , seguendo i
suggerimenti di Lucio (i) consentirono che si facesse questo previo decreto.
Imperoccbé ancor essi avevano (i)- Lucio Bruto: forte come pensa il Ccleoio ,
dee leggersi Decia in luogo di Imcìo, .Certamente in questi affari elibe parte
anche De- ciò nominato prima e poi da Dionigi: vedi I. fi, § 8S. Bruto aveva,
tt vero il pronome di Lucio ; Ma Dion'gi nou lo ha mai contratte* guato ancora
col solo pronome. r)ELLr* antichità’
romane falla ( nè i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ; Che il
Senato desse la parola anche ai tribuni, che sono i procuratori del popolo ,
come agli altri che volevano aringare favorendo, o contrariando; e che infine ,
dopo udite le discussioni di tutti , -allóra cia- scun padre porgesse il suo
voto , premesso il giura- mento legittimo , come ne’ giudizj , e dichiarasse
cioc- ché gli paresse il giusto e V utile della repubblica : e quello si
tenesse per valido che i più. preferissero. Concedendo i tribuni che si
decretasse come i consoli dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno
appresso i padri in Senato , i consoli vi esposero le convenzioni: e quindi
chiamando i tribuni gl’ invitarono a dire le cause per le quali venivano. £ qui
fattosi innanzi Lu- cio , colui che avea condisceso che si facesse il previo
decreto , disse : Potete ravvisare o padri ciocché sia per suc- cedere , vuol
dire che noi saremo accusati appresso il popolo dell’ essere qui venuti, e che
V accusatore sarà quel nostro collega , per quel previo decreto che V abbiam
conceduto. Pensava costui che -non doves- simo noi chiedere da voi quello che
ci attribuiscon le leggi , nè prendere per benefizio quanto avevamo per
diritto. Chiamali in giudizio correremo in rischio non tenue , che condannati ,
abbiamo a soffrire bruttissi- mamente come chi diserta , e tradisce. Ma
quantun- que ciò sapessimo ; noi siamo qui venuti , superiori a noi stessi j
confidando su la rettitudine della cau- sa , e mirando ai giuramenti secondo i
quali voi do- ' 'vete dirigere le vostre sentenze. Noi tenui siamo , e disacconci
pià assai che non conviene , a parlar di tali cose, che piccole certamente non
sono. Porgeteci non pertanto udienza y e se queste vi parranno giuste ed utili
, e vi a^iungo , necessarie ancora pel conw ne , vogliate spontaneamente
concedercele. Primieramente dirò sul diritto. Quando o se- natori cacciaste i
monarchi avendo noi compagni nel- r opera, e fondaste il governo nel quale ora
siamo, ed il quale noi non riproviamo , voi vedendo i plebei aggravati ne’
giudizj se mai li facevano ( e molti scn facevano ) co’ patrizj , emanaste per
suggerimento di Publio Valerio consolo una le^e per la quale per- mettevasi a
tutti i plebei sowerchiati da quelli di ap- pellare al popolo : e per niun
altra, quanto per que- sta legge , procacciaste la concordia di Soma , e re-
spingeste i re che vi tornavano in seno. Jn forza di questa l^ge citiamo
codesto Caio Marcio dinanzi al popolo , e gli prescriviamo che risponda su cose
nelle quali tutti ci diciamo da lui sowerchiati ed offesi. Nè su questo
abbisognavi previo decreto del Senato. Imperocché voi siete gli arbitri di
deliberare i primi, ed il popolo di confermare co’ voti quello su cui le le^i
non pollano ; ma dove ci han le leggi , sono immobili , e debbono osservarsi ,
quantunque niente ora voi , perchè si osservino , decretaste. Già non dirà
ninno che in caso di aggravio ne’ giudizj un privato appelli validamente al
popolo , nè valida- mente v’ appellino i tribuni. E forti per tale conces- sion
della legge , veniamo qui , non senza pericolo , ad esser sotto voi giudici.
Pel diritto della natura , diritto che non è scritto , nè introdotto come le
altra leggi , noi vogliamo che il popolo non sia nè da pià nè da meno di voi :
mentre con questo diritto ha con voi sostenute molte e grandissime guerre, e
mostrato ardore vivissimo per compierle , contribuendo non poco perchè Roma le
desse , non ricevesse da alwi le leggi. Or voi farete che noi non siamo da meno
che voi se frenerete col terror di un giudizio chiunque attenta contro le
nostre persone e la libertà. Pen- siamo che i magistrati , le precedenze , gli
onori deb- bansi compartire ai primi e pià virtuosi tra voi : ma pensiamo pure
ben giusto che essendo tutti sotto un governo , tutti dobbiamo ugualmente e
senza riserva o non essere offesi ^ o riceverne pari soddisfazione. Come dunque
a voi concediamo que’ gradi sublimi e luminosi, così non vogliamo esser privi
dei diritti eguali e comuni. Ma sebbene potrebbero aggiungersi le mille cose ,
bastino le dette fin qui sul diritto. XLII. Or quanto sian utili queste cose,
quanto il popolo le apprezzi se faccianst , lasciate che io bre- vemente ve lo
esponga. Su dunque : se alcuno vi di- mandi qual pensiate il pià grande de’
mali, quale la cagioH pià pìonta della roiàna delle città ; non di~ reste che
sia questa la dissensione? certo che sì. Or chi è si stolido , chi sì fatto a
rovescio , chi ■ sì ne“ mico della eguaglianza , il qual non veda, che se
concedasi al popola di giudicare le cause che gli spettano , avrem la concordia
; ma se gli si neghi , leverete a noi per fino la libertà ( chè la libertà si
toglie , a chi le leggi si tolgono e li giudizj ), e ci ridurrete ad insorgere
nuovamente , e combattervi ? Certo che nelle città dalle quali si escludono i
giu- dizj e le leggi , la discordia soUentra e la guerra. Chi non si è trovato
in guerre civili non è meraviglia che per la inesperienza non senta ribrezzo de
mah antecedenti , nò precluda i futuri. Ma quelli , che caduti come voi tra
pericoli estremi , felicemente se ne liberarono , sgombrando i mali come
permetlevasi dalle circostanze ; quelli , io dico , se vi ricadono , qual mai
scusa aver possono sufficiente e decorosa ? Chi non condannerebbe la stoltezza
e delirio vostro grandissimo , considerando che voi li quali per non avere la
plebe discorde vi piegaste , non ha gìiari t a tante concessioni , forse non
tutte convenevoli ed utili , ora vogliate in discordia tornarvela , tutto che
non siate offesi negli averi , nelf onore , o in altre pubbliche cose , e solo
per favorir chi la odia ? Se non che voi ciò non farete se savj. Con piacere io
V interrogherei quali concetti erano i vostri quando ci concedevate il ritorno
colle condizioni che chietle- vamo. Ne apprendevate voi forse ragionando un be-
ne ? o fu necessità che vi ridusse a cedere ? Se ne apprendevate il bene di
Roma , e perchè ora non vi ci attenete ? se fu necessità , se impossibilità di
es- sere diversamente , or che vi dolete del fatto ? Biso- gnava , se pur tanto
potevate , non cedere forse da principio ; ma ceduto avendo una volta , non
dovete più rimproverarvene. A me sembra o padri che voi seguiste il vostro
migliore nel paci/icarvici : ma se fu necessità di scendere a condizioni; ella
è pure necessità man- tenercele. Voi gV Iddj chiamaste vindici degli accor- di
, imprecando molte e terribili pene a chiunque li violava di voi o de nipoti in
perpetuo. Ora io non Pedo perchè dobbiamo tediare pih a lungo voi che tanto
bene il sapete , con dire che giuste ed utili sono le nostre dimande , e molta
la necessità che vi astringe a corrisponderle , se memori siete de Mura- menti.
Voi capite , o piuttosto ( giacché io non dico cosa che voi non sappiate ) voi
tenete presente che rileva per noi non poco il non desistere dalla impresa per
violenza o per inganno, e che un fortissimo sti- molo ci ha qui condotti ,
offesi gravemente , e pià che gravemente , da quest’ uomo. Date dunque su
quanto ho detto il vostro voto , ma, dandolo , consi- derate qual sarebbe il
vostro animo verso quel ple- beo , se alcuno pur ve ne fosse , il quale
tentasse dire o fare centra voi nelle adunanze , ciò che qui codesto Marcio ha
pur tentato di dire. Le convenzioni della pace sacrosante al Senato , quelle
che munite più -che con vincoli ada- mantini j ninno di voi , per averle
giureUe , nè de’ vostri discendenti può sciogliere , finché Roma fia Ro- ma ;
quelle ha il primo codesto Marcio tentato di rovesciarle , non essendo nemmen
quattro anni che si conclusero , e tentato ha di rovesciarle non col silen- zio
, non da oscurissimo luogo , ma qui , pubblicissi- mamente , al cospetto di voi
tutti', sentenziando, che non dovea più lasciarsi , ma ritogliersi a noi la po-
destà tribunizia, che è la primaria ed unica difesa della libertà , e col mezzo
della quale potemmo ri^ congiungersi. Nè qui C ardinsento finì del suo dire ,
ina vi consigliava a ritorcela ; divulgando come una ingiuria la libertà dei
poveri , e tirannide nominando r uguaglianza. Risovvengavi ( era questa la più
infame delle istanze sue ) com’ egli disse allora , che era pur venuto il tempo
di ricordar tutte le ingiurie del po- polo nella prima discordia , e come
esortava quindi a mantenere la stessa penuria di viveri , giacché il popolo ,
logoro dai disagf diuturni si ridurrebbe a cedere in tutto ai patrizj. Non
resisterebbero i poveri gran tempo comperando a carissimo prezzo cibi scar-^
sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la cUtà, e parte rimanendovi,
perirebbero infelicissimamerUe, E così delirava , così era in ira ogF Iddj ciò
persua~ dandovi; che non discerneva che oltre i tanti mali co* quali
travagliavasi per annientare i trattati del Se- nato , quando avrebbe ridotto i
poveri i quali eran pur tanti , alle angustie de* viveri , questi poveri ap-
punto farebbonsi addosso agli autori delle angustie, non più tenendoli per
amici. Tanto che se voi pur delirando approvavate il suo parere; non restava
più mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo , o de* patrizj.
Imperocché non ci saremmo già dati quasi schiavi a spatriare o morire : ma
chiamando i genj ed i numi in testimonio de' mòli che soffriva- mo ; avremmo
riempiute , ben lo intendete , le piazze, e le vie di ukdergogne ; sin che tu
abbi un altra difesa qua^ Itlnque; scendi da quel tuo enlusiatmo orgoglioso e
tirannico , toma , o sciaurato , ai concetti del popolo : renditi simile agli
altri', prendi come chi ha peccato e raccomandasi , un abito dismesso ,
addolorcvole * conforme ai disastri , e cerca il tuo scampo ; umilian- doti,
non insolentendo dinanzi gli oltraggiali da te. Sianti esempio di bella
moderazione^ le opere , le quali se tu avessi ùnitalo , non saresti ora ripreso
dai tuoi cittadini , io dico, quelle di tanti buoni , quanti qui ne vedi,
segnalati per tante virtù militari e ci- vili, quante non sarebbe facile
nemmeno in grati tempo pen.orrere. Li quali quantunque grandi e ris- spettabili
; niente mai fecero di duro , niente di or^ goglioso contro noi si tenui e
bassi , e primi intromiì- sero discorsi di pace , primi la pace offerirono ,
quando la sorte ci avea separati, e concedcron la pace non su le condizioni che
essi riputavan migliori, ma su quelle che noi chiedevamo ; dandosi infine
premura grandissima di levcu'e i disgusti recenti su la dispenstt de' grani per
la quale noi gli accusavamo. Ma tralasciando le altre cose , quali ptc*- ghiere
non fecero per te , nel tuo superno acceca- mento , presso tutti , e presso
ciascuno del popolo per involarti alla pena? Appresso i consoli ed il Settato,
i> quali invigilano su questa , tanto grande città , cre- deron bene che al
giudizio ti sottomettessi del pò- polo , nè tu o Marcio a bene lo tieni ?
Questi tutti non han per un biasimo il pregare per tuo scampo il popolo , e tu
per biasimo tei prenderai? JVè ciò li bastava , o magnanimo ; ma quasi fatta
una belV o» pera , ne vai con fronte altera e magmfìcandoti , e niente
adoperandoti a mansuefarli? per non dire che insulti , che rimproveri , che
minacci la plebe. E pre- tendendo lui quanto niuno di voi ; non vi sdegnerete ,
o Padri , a tanto orgoglio ? Se voi tutti risolveste di accingervi ad una
guerra per esso ; egli dovrebbe amarvene , e tenersi tutto pronto per voi, non
accet- tar però mai un tal bene privato col danno comune, ma sottomettersi alle
difese , alla sentenza , a tutte infine le pene , se bisognasse. Questo-
sarebbe l’ ob- bligo di un vero cittadino , di uno che vuole il bene colle
opere , non colle parole. Ma le violenze pre- senti qual ne additano mai C
indole sua , quale la inclinazione ? quella appunto di violare i giuramenti , di
tradire la fede, di rescinder gli accordi, di far guerra al popolo , di
oltraggiare le persone dei ma- gistrati , di non sottometter la propria per
niuna mai di queste cause , e di girarsela franchissimamente, non come un
eguale di tanti cittadini, ma come uno che niun teme , e di niuno abbisogna ,
immunissimo in tutto da tribunali e discolpe. Or non è questo un vi- vere alla
tirannica? certo che jì / Eppure a conforto di quest’ uomo spargono aure lievi
e suoni dolci, al- cuni tra voi che pieni di odio implacabile verso del popolo
non san vedere che questo male si termina anzi contro de’ nobili che degl’
ignobili , e credonsi affatto sicuri, sol che deprimano il partito che è loro
contrario per natura. Ma non così sta il vero , ingan- nati che siete. Prendete
a maestra la esperienza che Marcio stesso vi somministra , prendetene il corso
dei tempi: illuminatevi per gli esempj stranieri insieme e domestici.^ e
ravvisale , che la tirannia la qual nu- dtesi contro i plebei , contro tutta la
città si alimene ta: e che la tirannia che ora contea noi s’ incornine eia ,
fortificatasi , contea tutti ruggirà. Ragionate queste cose da Oecio , e
supplite da’ triboni compagni quelle che mancar vi sembravano , quando il
Senato nè dovè sentenziare , levaronsi i primi in piedi i seniori tra gii
uomini consolari , inviati se- condo r ordjne consueto dai consoli , e quindi
via via gli altri men riguardevoli per queste qualità : seguirono ultimi i
giovani , ma non disser parola ; perocché ci avea di que’ giorni ancora tra’
Romani la verecondia , che niun giovane si arrogava saperne più degli anziani.
Pertanto accostaronsi essi alle sentenze de’consolarì. Erasi preordinato che i
senatori presenti giurassero prima , come ne’ tribunali , e poi dessero il
voto. Appio Clau- dio il patrizio , come ho detto , più acerbo col popolo, e
che mai non aveva approvato che si concordasse con esso, mal soffriva che ora
si facesse un pari decreto, e disse : Avi'ei veramente voluto , e più voltf ne
ho supplicato i numi , essermi sbagliato io circa il sentimento su la pace col
popolo , vede a dire che il ritorno de’ fi frusciti non era nè giusto , nè
decoroso , nè utile; tanto che quante volte sen prese a trattare^ tante io
primo ed ultimo mi vi opposi , anche abbona donalo da tutti. Anzi avrei voluto
o padri , che voi li quali per le speranze concepute del meglio , cora-^
Digilized by Google 3-y4 delle Antichità.* boriane (UscendesCe ed popolo sul
giusto e su t ingiusto , He compariste ora più savi di me. Hiuscitevi però le
cose, non come io desiderava , anche pregando_ne i numi , ma come io prevedeva
, e cangialevisi le beneficente in vilipendio ed odio ; io lascerò , come
estraneo a ciò che dee farsi , di riprendervi e di contristarvi in vano per le
vostre mancanze , quantunque sarebbe pur facile , ed è pur questo f uso dei
più. Dirò piut- tosto ciò che può rettificare le cose passate , quelle almeno
che non sono in tutto insanabili, e renderci più savj circa le presenti.
Quantunque non ignoro , che dicendo io liberamente i miei sentimenti , parrò
farneticare e sagrifìearmi , ad alcuni di voi , li quali considerino quanto sia
disastroso il parlar francamente, e riflettano la calamità di Mcuxio, il quale
non per altra cagione ora corre perìcolo della vita. Ma io non penso che la
cura della propria salvezza sia da pre- giarsi più che il pubblico bene. Già
questa mia per- sona è tutta pe’ vostri pericoli , tutta pe' cimenti della
patria ; tanto che gl’ incontrerò generosissimamenle , come piace agl’ Iddj ,
con tutti voi , o con pochi ^ e solo ancora , se bisogna. Nè finché io vivo ,
mai mi terrà la paura dal dire quello che io penso. E primieramente io voglio
elte vi persua- diate una volta senza eccezioni che il popolo è ma- laffetto ,
e nemico al governo presente f e che qua- lunque cosa gli avete , coma deboli ,
corueduta , £ avete spesa vanissimamente , e vi è stala cagione di vilipen- dio
, quasi conceduta £ abbiate per forza , non a ra- gion veduta , c per
beneplacito. Considerate come il popolo si appartò da voi , pigliando le armi ,
e come ardi mostrarvìsi palesissimamente per inimico , non o^eso da voi
realmente , ma fingendosi offeso : per- chè non polca corrispondere a suoi
creditori, e di- cendo , che se decreten ate la remissione dei debiti, e la
condonazione delle colpe commesse per la sedi- zione , non desidererebbe più
oltre. 1 più di voi, non però tutti , sedotti da vani consiglieri ( cosi /atto
mai non lo avessero ! ) deliberarono di anntdUire le leggi, mallevadrici della
fede pubblica , nè più ricordane , nè perseguitare l’ esorbitanze passate. Egli
però non si tenne già contento di questa concessione , pel solo bisogno della
quale diceva di essersi ribellato ; ma ben tosto pretese altra prerogativa più
grande, e meno legittima : io dico quella di eleggersi ogni anno dal- t ordin
suo i tribuni , pretestando il troppo nostro potere, peichè fossero scudo e rf
i^io d poveri oltrag- giati ed oppressi, ma in realtà tendendo insidie alio
stato delta repubblica , e volendola ridurre democra- tica. Adunque vi
persuasero questi consiglieri a la- sciare che entrasse in repubblica il tr
ibunato ; come in fatti vi entrò per isciagura comune , e princìfxd- mente in
onta del Senato , mentre io , se bene ve ne ricorda , tanto ne schiamazzava , protestando
ai numi ed agli uomini , che introdurreste tra voi una guerra interna ed
implacabile , e presagendovi tutti i mali, quanti ve ne avvengono. E questo
buon popolo che vi ha egli fatto dopo che gli avole conceduto il tribunato? Non
ha già va- luta’o degnamente tanto dono , anzi nemmeno da voi prese con
prudenza , e con verecondia , come so glie lo abbiate accordato , premuti e
costernali dalle forze di lui. Ha detto che aveasi a rendere sacro ,
inviolabile, sicuro pe giuramenti , ed ha pretesa un autorità migliore che rwn
quella da voi destinata pei consoli. E voi avete tollerato ancor questo, e là
tra le vittime giuravate la roidna di voi e de’ vostri di-- scendenti. E dopo
questo ancora che vi ha fatto egli mai questo popolo ? In luogo di
riconoscervene , dolora per le altrui
sciagure, e sa compatire gli uomini costituiti in dignità, se la sorte loro
travolgasi. Tuttavia diresse a Marcio la maggior parte del discorso mista di
ammonimenti , di esortazioni , e di preghiere che face- vano violenza. E
giacché egli era la causa . della discor- danza del popolo dal Senato , e
calunniavasi come ti- rannica la esuberanza delle sue maniere, e temeasi che
per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gra- vissimi, quanti ne
sorgono dalle guerre civili; pregavalo a non verificare , o non confermare almeno
le incolpa- zioni e le paure con quel suo nou gradito contegno : assumesse un
abito più umiliato : sottomettesse la sua persona per dar conto a quelli che
chiamavausi oltrag- giati da lui : si presentasse alle difese contro di un ac-
cusa ingiusta si , ma che in giudizio appunto si annul- lerebbe. Sarebbe un tal
fare più sicuro per la salvezza, più splendido per la fama che desiderava , e
più con- sentaneo colie opere antecedenti. Dichiarava che se ostinavasi anziché
raddolcirsi , e se riduceva , persua- dendoli , i padri a subire ogni pericolo
per òsso , mi- sera sarebbe per loro se vinti la perdita, ma turpissima se
vincitori , la vittoria. E qui tutto davasi al pianto , riepilogando i mali
gravi e non dubbj che straziano nelle discordie le città. LY. Tali cose
esponendo con molte lagrime non artificiose 'e noa finte , ina vere , egli
venerabillstima per anni e per meriti , come videne commosso tutto il Senato ,
cosi con più confidenza seguitò , dicendo : Se alcuno di voi conturbasi , o
padri , pensando che in- troducesi un tristo costume nel concedere al popolo di
votar su patrizj , e che non produrrà niun bene f autorità de' tribuni che
tanto si fortifica , sappiate che voi siete errici , e v ideate il contrario di
quel che conviene Imperocché se mai vi sarà metodo sa- lutare , metodo per cui non
si tolga né la libertà nè le forze a Romec, e per cui le si conservi in
perpetuo la concordia ; senza dubbio il metodo principalissimo sarà quello che
assumasi anche il popolo al goverrto, talché non sìa questo nè pretta
oligarchia , nè demo- crazia, ma un tal misto di tutti. E questa la forma che
più che tutte ne giovi ; perchè ciascuna delle al- tre , applicata sola , com*
è per sestessa , scorre faci- lissimamente alle insolenze ed alle ingiustizie;
laddove quando una forma si abbia ben contemperata da tutte , allora se una
parte commovesi ed esce dal- r orditi suo , vien contenuta sempre dall altra,
che è savia, e tiensi al dovere. La monarchia divenuta dura^ superba ,
tirannica , suole abbattersi da pochi valenti uomini : la oligarchia , qual voi
t avete al presente , se troppo s' innalza per le ricchezze e per le ade-
renze, nè più tien conto della giustizia e della virtùf si annienta da un
popolo savio : un popolo savio e che vive secondo le leggi , se poi volgesi ai
disordini ed alle ingiustizie; è sopraffatto dalle arme, e rimesso piomat ,
tamo II. ' . j5 Digìtized by Google 386 DELLE antichità’ ROMANE in dovere dal
pià forte. Voi trovaste, o padri, rimedj efficaci perchè il potere di un solo
non si mutasse i n tirannide. Voi scegliendo in luogo di un solo due capi della
repubblica , e dando loro il comando non per un tempo illimitato, ma per un
anno; destinaste oltracciò per invigilarli i trecento patrizf, i più anziani e
più grandi , da' quali è composto il Senato. Ma voi , per quanto si vede , non
avete fin qui messo per voi niun che vi osservi , e tenga in dovere. CeT’~
tornente io finora non temei che vi corrompeste ancor voi tra t abbondanza , e
la grandezza dei beni, per-- chè non è molto che avete liberato Roma da una
vecchia tirannide ; nè aveste mai comodo di scapric- ciarvi e cC insolentire
per le guerre continue e lunghe. Ma riflettendo io ciocché può succedere dopo
voi , e quante mutazioni suol produrre la diuturnità dei tempi ; temo che i
potenti del Senato si rimescolino, e riducano per occulte vie finalmente il
governo in tirannide. Ma se comunicherete il comando col popolo, non sorgerà
quindi alcun male. E se altri ( giacché tutto dee prevedersi da chi consulta su
la repubblica) se altri tenti elevarsi più de’ colleghi e del Senato ,
procacciandosi un seguito di uomini pronti a congiu- rare e ad offendere ;
costui citato dai tribuni al po- polo, per quanto egli sia grande e magnifico,
renderà conto ai negletti ed ai poveri : e trovatosi reo , ne subirà le pene
che merita. Ma perchè il popolo con tal potere non insolentisca nemmen esso ,
nè guidato da capi rei s’ inalberi contro de' buoni, tiranneggiando che nasce
tmcìie nel popolo la tirannide ) ; lo invi- gilerà , nè pennellerà che ne abusi
un uomo distin- tissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con potere
assoluto, inappellabile , separerà dalla città la parte infetta di popolo, nè
lascerà che la sana se ne corrompa. Egli , riordinati i costumi e le preclare
maniere del vivere, nominati i magistrali, che giudica savissimi per la cura
del pubblico , ed eseguili tali cose in sei mesi , rientri di bel nuovo nella
classe de’ privati , conservando per sè t onore , e non più. Pertanto
considercutdo vqì questo , e giudicando bo- nissima tal forma di repubblica ,
non vogliate da ciò che chiede escludere il popolo. Ala come avete attri- buito
al popolo che scelga ogni anno i magistrali che regolino , che ratifichi o
annulli le leggi , e decida della guerra e della pace, cose tutte
rilevantissime e principali tra quante in uno stato sen facciano ; nè avete di
niuna di esse lasciato cubitro indipendente il Senato ; cosi chiamale anche il
popolo a parte dei giudizj , massimamente se alcuno sia accusato di of- fendere
la stessa repubblica, eccitando sedizioni, pre- parando la tirannide,
convenendosi co’ nemici di tra- dirci, e macchinando mali consimili. Imperocché
quanto più renderete terribile agl indocili ed ai superbi la trasgression delle
leggi , e le innovazioni di Stato , mostrando intenti su loro più occhi e più
guardie ; tanto più la repubblica starà nel suo fiore. Dette queste e cose
consimili , tacque. Con- vennero nel parere medesimo gli altri senatori sorti
dopo lui , eccettuatine pochi. E standosene ornai per formare il decreto ;
chiese Marcio la parola e disse : Quale, o padri coscritti , io sia stato verso
la repub^ blica , come io sia venuto in tanto pericolo per la benevolenza mia
verso di voi , e come ora io ne sia da voi contraccambiato fuori della mia espettazione
, voi tutti il vedete , e meglio lo intenderete ancora dopo dato un fine alle
mie cose. Ed oh ! se come la sentenza di Valerio prevale ; così vi giovasse ,
ed io mi sbagliassi nelle mie congetture sul futuro. Al- meno però perchè voi
che siete per emanare il de- creto , conosciate le cause p^r le quali mi
consegniate al popolo , nè io ignori su che sarà combattuto nel- t adunanza di
esso ; intimale ai tribuni che dicano alla presenza vostra la ingiustizia su la
quale mi ac- cuseranno , e qual titolo diasi a questo giudizio. LVin. Egli cosi
diceva , perchè congetturava che a* vrebbe a difendersi appunto pe’ discorsi
fatti in Senato, e perchè voleva che i tribuni convenissero che su que» sto
appunto verserebbe l’azione. Ma i tribuni consulta- tisi lo accusarono che
brigato avesse la tirannide, e su. questa accusa chiedevano che venisse a
difendersi. (Schivi di restringere 1’ accusa ad una sola causa , e questa nè
valida nè cara ai Senato ; riserbavansi il potere di ac- cusarlo su quanto
volevano > pensando che resterebbe così Marcio spogliato di tutto il
soccorso del Senato ). Marcio dunque replicò: se io debbo essere giudicato su
questa calunnia , mi sottometto ed giudizio del popolo , nò mi oppongo che ne
stenda il Senato 'il decreto. Piaceva al più de’ padri che su ciò si rigi-
rasse l’accusa e per due fini: perchè da indi in poi non più sarebbe un
senatore incolpato per dire cioc> chè pensava nelle consultazioni ; e perché
di leggieri quel valentuomo se ne purgherebbe, sobbriissimo altron« de , ed
irreprensibile nella vita. F u dunque , secoudo ciò , steso il decreto pel giudizio
: e dato a Marcio tem* po per preparar le difese da indi al terzo mercato. Te-
nevasi allora , e tuttavia si tiene da’ Romani il mercato in ogni nono giorno.
In questi adunandosi i plebei dalle campagne in città ; vi cambiavan le merci,
e vi discu- tevano le liti private : e ricevendo i voti ; sentenziavano su le
cause pubbliche , riservate loro dalle leggi , o dal Senato. Negli otto giorni
intermedj a’ mercati viveansi nelle campagne , essendone i più di loro
lavoratori e poveri. I tribuni preso il decreto, e recatisi al Foro,
v’adunàrono il popolo : e lodatovi con ampj encomj il Senato , e lettavene la
sentenza ; intimarono il giorno nel quale si finirebbe quella causa ;
raccomandando a tutti d’ intervenire , perchè discuterebbono importantis- sime
cose. LIX. Divulgato ciò ; vivissime furono le cure e i ma* neggi de’ plebei e
de’ patrizj ; di quelli come per punire un arrogante , e di questi perchè non
restasse all’ arbi- trio de’ loro avversar] il difensore del comando de’ po-
chi. Pareva ad ambi che si mettessero in quella causa a pericolo i diritti
tutti della vita e della libertà. Giunto il terzo mercato , si ridusse dalle
campagne in città tanta moltitudine , quanta mai più per addietro , occu- pando
infino dall’ alba il Foro. I tribuni la invitarono a riunirsi per tribù ,
separando con funi il sito dove ciascuna si alluogherebbe. L’ adunanza su
quest’ uomo fu la prima la quale votasse per tribù ( i ) , sebbene as- sai si
opponessero i palrizj perchè ciò si facesse ; chie- dendo che si tenessero,
com’era l’uso della patria, i comizj per centurie. Imperocché ne’ primi
ten>pi se il popolo dovea votare su di una causa qualunque rimes- sagli dal
Senato ; i consoli adunavano i comizj per cen- turie, compiendo prima i
sagrifìzj legittimi , che in parte si compiono ancora. Il popolo ordinato come
nei tempi di guerra sotto i centurioni e le insegne , adu- navasi nel campo di
Marte posto innanzi della città. Quivi non prendevano e davano tatti insieme il
lor voto ; ma ciascuno nella propria centuria , secondo che eran chiamate dai
consoli. Ed essendo le centurie cento novanta tre , e dividendosi queste in sci
classi , chiama- vasi innanzi tutte , e dava il suo voto la prima classe , la
quale formata dei più riguardevoli per sostanze , e primi negli ordini militari
, comprendeva diciotto cen- turie equestri , ed ottanta appiedi. Appressò
votava 1’ al- tra classe la quale men comoda per sostanze , seconda nell’
ordine della battaglia , e men cospicua de' primi per armatura , formava venti
centurie; aggiuntene ancor due di artefici , i quali apprestano legni e ierro ,
ed ogni altra macchina militare. Costituivano i chiamati nella terza classe
venti centurie , inferiori tutte nell’ onore , nell’ ordine della battaglia , e
nelle armi , non simili a quelle de’ precedenti. Gli altri chiamati appresso ,
rispet- tabili anche meno in pregio di sostanze e di armi , ma più sicuri di posto
nella battaglia , divideausi ugualmente (i) Anni di Roma a63 secoado Catone,
aR5 secondo Varrone , a 4^ ae- Cristo. ia venti centurie ; alle quali se ne univano
altre due y di suonatori di corni e di trombe. Qiiamavasi per quIn-i>. 4 t
S'So j ù tratta la materia medesima. I soldati che qui si dicoDo immuni dai
cataloghi militari, erano certameule liberi dalle coscrizioni: peral- tro
potevano militare se volevano. (a) Nella prima classe ci aveano ottanta
centnrie appiedi a diciotto a cavallo, ìu lutto novanlollo vedi loco citato. Le
altre classi in tutto costituivano novantacinque centurie : perchè la seconda
classe com- prendeva venlidua centurie: la terza venti: la quarta di nuovo ven*
lidne : e la quinta trenta; risultaudo la sesta da una sola. Digitized by
Google 3q2 delle antichità’ romane bio da ricorrere al voto fioale de’ poveri.
Era questo il refìigio estreirio , se mai le cento novantadue centu- rie
scindeansi in parti eguali ; e ne preponderava la parte alla quale quell’
ultimo voto si volgeva. Chiedeano i difensori di Marcio che si adunassero i
comizj ordinati secondo gli averi, immaginandosi forse che il valentuomo
sarebbe liberato dalle novantotto centurie' della prima classe quando le
chiamavano, o dalie altre almeno della seconda o della terza. Ma sospettando
eziandio ciò li tribuni , conclusero che si avesse a riunire il popolo per
tribù , e così renderlo giudice della contesa ; perchè nè i poveri ci avessero
men potere dei ricchi , nè i soldati leggeri men di quelli di grave armatura ,
nè la molti- tudine , differita per 1’ ultima chiamata , fosse impedita a dare
egnal voto. Divenuti tutti pari nell’ onore . e nel voto , avrebbero ad una
sola chiamata dato i loro suf- fragi tribù. Or pareano i tribuni più giusti che
gli altri , col pensare che il giudizio del popolo fosse ve- ramente del popolo
, non della parte fautrice degli ot- timati ; e che su le offese di tutti ,
tutti dovessero sen- tenziare. Conceduto ciò con stento da’ patrizj , essendosi
ornai per disputare la causa , Minucio 1’ altro de' con- soli ascese il primo
in ringhiera , e disse quanto eragli stato commesso dal Senato. E prima ricordò
tutte le be- neficenze , quante il popolo ne avea ricevute da’ patri- zi : e
poi chiese in contraccambio di queste , eh’ eran pur tante, che il popob
concedesse una grazia, neces- saria ad essi che la domandavano , pel pubblico
bene : quindi lodò la concordia e la pace e rilevò di quanti beni Sten causa I’
una e T altra nelle citUi: condannò le sedizioni e le guerre intestine; e
mostrò, che ne erano stale distrutte le città con gli abitanti , anzi le •
intere nazioni : raccomandò che secondando l’ira non isceglies* sero il peggio
per lo migliore: che provredessero il fu- turo con saviezza , non si valessero
in consultazioni gra» vissime dèi consiglio de* cittadini più tristi , ma di
quelli che tenean per bonissimi , da’ quali sapeano «sere stata tanto giovata
in guerra ed in pace la patria , e de’ quali non era giusto che diffidassero,
quasi avessero già mu- tato > natura. Era 1’ intento di tanti discorsi , che
non dessero niun voto contro di Marcio , ma in vista prin- dpal mente di essi
assolvessero quel valentuomo ; ricoi> dandosi quale egli era stato per la
repubblica, quante guerre avea portato a buon termine per. la libertà e per r
impèro di Roma , e come non farebbero cosa nè pia; nè giusta, nè degna di .
loro, se ingrati alle opere segna- late di lui ne punissero le vane parole.
Esservi bellis- sima la opportunità di dimetterlo ; giacché egli presen* tava
la sua pmeona ai nemici , per subirne in pace il giudizio che di lùi
formerebbero. E se non che ricon- ciliarsegli , persistevano duri , implacabili
con esso , al- meno giacché il Senato trecento i: più insigni della città,
facevasi a supplioudì , s’ impietosissero e mansuefacessero, ciò considerando ;
nè per punire un nemico ributtassero le {««ghiere di tanti amici , ma in grazia
di tanti va- lealuomini condonassero la pena di un solo. Dette que- ste
consimili cose , aggiunse in ultimo , che se assol- vesserò dopo dati i voti un
tal uomo , parrebbouo ril.i- aciarlo per non esser stato un ofTeusore del
popolo : ma se proibivano di prosegniroe il giudieio , mostrerebbero di donarlo
a tanti che per lui supplicavano. E qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi
Sicinio il tribuno, e disse: che. uè egli tradirebbe la libertà del popolo , nè
permetterebbe di buon grado che altri la tradissero. Pertanto se i patiizj
sottomettevano realmente un tal uomo al giudizio del pòpolo , iàrebbe che su
lui si votasse, nè punto da ciò i si scosterebbe. ^ E; qui su- bentrando
Minucio replicava : Poiché- siete o tribuni fermi in tutto eli dare il voto su
quest’uomo; almeno non lo accusale di altro che della offesa imputatagli. K
poiché lo dinunziaste reo di ambita tirannide di* chiarate e convincete, ciò
con gli argomenti t ma' non vogliate .nè ricordare nè accusare le parole , le
quali 10 incolpavate, di^ carer . detto in Senato.^ Imperocché 11 Senato lo
dichiarava immune da que'sta colpa j e sentenziò phe al popolo si. presentasse
'..per le cause convenute. E qui lesse la seuteoBa. E pò ,bn gli altri più
potati de’ tfibutii. Ma- non eà' tosto' tocoù atMarciu-di perórare ,
combaciando da capo , numttò quante spedizioni mili- tari avea sostenuto dalla
prima età sua>per.^ blica , quante corone trionfali avea' riportate da saoi
cc.^^ mandanti , quanti erano i nemici presi da lui prigionie- ri , quanti li
Cittadini salvati nelle battaglie. E ad ogni dir suo mostrava i premj dati al
suo valore, e ne profferiva io testimonio I capitani , e ne chiamava a nome i
cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e supplicando i
cittadini a non uccidere , nè distruggere come nemico chi era la causa della
loro salvezza ; chie- dendo la vita di un solo per quella di tanti , ed esi-
bendo in luogo di lui sestessi , perchè come più vo- leano ne disponessero.
Erano i più di loro del popolo » anzi al popolo utilissimi. E preso il popolo
da verecon- dia all’ aspetto ed alle lagrime di tanti ne impietosi , e ne pianse.
Quando Marcio squarciandosi 1’ abito , mo- strò pieno il petto , piene le altre
membra di cicatrici , e dimandò se credeano poter esser le opere di un uomo
stesso salvare il popolo in guerra dà nemici, e saU alo opprimerlo nella pace :
e se chi fonda una rannlde , caccia dalla città una porle del popolo, dal
(filale principalmente la tirannide si alimenta e cor- rohora. E lui parlando
ancora , tutti i più mansueti , e più umani del popolo esclamavano, che si
rilasciasse: e vergognavansi che stesse fio dal principio in giudizio per simil
cagione un uomo che avea tante volte spre- giata la propria salvezza per quella
di tutti. Ma tutti i più invidiosi , tutti i più malevoli ai buoni , e più
pronti alle sedizioni , soffrivano di mai in cuore di avere a li- berare un tal
uomo : tuttavia non sapeano che più fare, non apparendo in esso indizj nè di
tirannide , nè di ambizion di tirannide , e su ciò dovessi giudicare. Or ciò
vedendo quel Decio che avea ragio- nato in Senato , e procurato che si
stendesse il decreto per la causa , levatosi in piede fece silenzio e disse :
Poiché , o popolo , i patrizj hanno assoluto Marcio dalle parole dette in
Senato , e da fatti violenti e superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato
mezzi onde accusarlo ; udite , non le parole , no , ma la egregia cosa che
questo valentuomo vi apparecchiava ; uditene £ orgoglio , la sovverchieria , e conoscete
qual vostra legge , egli privatissimo uomo , violasse. Koi tutti sapete che
quante spoglie nemiche ci riesce di acquistar col valore , tutte per legge son
del comune, e che niuno, nemmeno lo stesso capitano , non che un privato , ne è
£ arbitro ; sapete che il questore le prende , le vende , e , fattone danaro ,
lo versa nel pubblico erario. Or questa legge che niuno da cheRoma è Roma non
solo non ha mai violato , ma nemmeno ha ripreso come non buona ; questa già
firmala , invalsa , questa ha £ unico Marcio con- culcata, appropriando le
prede che erano del comune, £ anno scaduto , e non prima. Imperocché essendo
noi scorsi su le terre degli Anziati , e pigliato aven- dovi prigionieri , e
bestiami , e frumenti , ed altro in copia ; egli non depositò già tutto' nelle
mani del questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo nel£ erario : ma
divise in dono agli amici suoi per cattivarseli, tutta la preda ; or questo io
dico eh’ egli è argomento certissimo di tirannide. E come no ? Costui
beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori, li custodi della sua persona
, li cooperatori della ti- rannide. E vi affermo che questo fu come un abro-
gare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure innanzi Marcio , e dimostri
£ una o £ altra delle due; omelie egli non compartì le belliche prede a’ suoi amici
; o che se bene ciò fece , non ruppe la legge. Ma egli non potrà dire ninna di
queste due cose. Imperocché voi sapete ( una e V altra , la legge e t opera :
Nè mai potrete coll assolverlo , dar vista di conoscere i diritti ed i
giuramenti. Lascia o Marcio le corone ed i premj , lascia le ferite ed ogni
osten- tazione , e rispondi a questo , su che li concedo ornai che tu parli. Cagionò
tale accusa grande mutazione; e li più dolci, e più premurosi per I’
assoluzione di questo uomo si rallentaron ciò udendo. E li più perfidi , quali
erano i più della plebe , deliberati allatto di perderlo , vi si ostinarono
ancor più , per una occasione si gran- de , e si- manifesta. EU’ era ben vera
la distribuzion della preda , non era però fatta per mal genio , nè in vista di
una tirannide , come Decio calunniava, ma solo con fine benissimo , con quello
cioè di riparare ai mali della repubblica : perchè essendo allora il popolo di-
scorde ed alienato da’patrizj , i nemici dispregiandoli, ne scorrevano e ne
predavano di continuo le campagne. E quante volle parve al Senato di spedire
una forza che li reprimesse , ninno usciva del popolo , anzi giubbilava
contemplando i casi d’ intorno , nè le forze dei patrizj ba- stavano a
contrapporsi. Or ciò vedendo Marcio promise ai consoli, se lo creavano
capitano, di portar su' nemici un’ar- mata spontanea, e di pigliarne ben tosto
vendetta. Ottenuto Marcio il potere , congregò li clienti, gli amici , e quanti
voleano partecipare le sue fortune , e la sua gloria nelle armi. E quando
parvegli che si fosse raccolta milizia suf- ficiente ; la menò su’ nemici che
niente ne prevedeano. Scorso in region doviziosissima , ed arbitro divenuto di
amplissima preda , permise alle sue milizie che tutta se la dividessero ,
afUnchè li compagni dell’ impresa , rac- coltone il frutto , andassero pronti
anche agli altri ci- menti : e quelli , che impigrivano in casa, considerando
da quanti beni , a’ quali poteano partecipare , gli allon- tanasse la
sedizione; divenissero più savj per le spedi- zioni seguenti. Tale era su ciò
la idea del valentuomo. Ma la turba invida e tenebrosa , considerandone con malvolere
le operazioni, credette vedere in esse un pre- dominio , nna largizione
tirannica. Dond’ è che il Foro si riempié di clamori e di tumulto : nè più
Marcio , nè il consolo , nè alcun altro sapeano che rispondere , riu- scendo la
incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poi- ché dunque ninno più faceane le
difese; i tribuni di- spensarono alle tribù li suffragi , proponendo per pena
del delitto Y' esilio perpetuo , io credo perchè temevano, che se proponevano
la morte, non sarebbevi stato con- dannato. Dato da tutti il voto , e
numeratili , non vi fu gran divario. Imperocché essendo allora ventuna le tribù
le quali ottennero il voto , nove si decisero per la li- berazione di Marcio ,
tanto che se altre due vi si ag- giungevano , sarebbe stato , còme ordina la
legge , libe- rato per la uguaglianza (i). (i) Se le trìbCk erano at , e nove
si dichiararono per Marcio: dunque dodici lo condannarono; e però ire o non due
altre trilnt ci Toleano per uguagliare i Voli della condanna e dell’
assoluzione. Forse Dionigi Tuoi dire che se la tribù condaunaTauo cd undici
assolvevano, l’efHcacia de’ voli era la stessa in guisa, che per uu voto di più
non cnndannavasi il reo, ma si rilasciava. Se ciò è, nel lesto non vi è
discordia , ma la voce dovrà tradursi I Fu questa la prima oitasione di un
patrizio al popolo per esserne giudicato : e d’ allora in poi fu stabilito il
costume che i tribuni chiamano chi lor piace de’ cittadini a subire il giudizio
del popolo. £ dopo tal fatto ancora assai il popolo si elevò , decadendo nom-
tneno il potere de’ pochi , perché ne furono ridotti ad ammettere > plebei
nel Senato , a concedere che aspi- rassero agli onori , a non vietare che
prendessero i sa- cerdozi , e a dividere con essi per forza e loro malgra- do ,
o per provvidenza e saviezza , i tanti bei pregi , un tempo proprj solo de’
patrizj , come ne’ luoghi op- portuni diremo. Del resto l’ uso di citare i
cittadini pri- mai'j al giudizio della moltitudine può somministrare ma- teria
ben ampia di discorso a chi vuol biasimarlo o lo- darlo ; perciocché molli
uomini probi ed egregj ne so- stennero cose non degne della loro virtù , fatti
inglòrio- sameute uccidere e malvagiamente pe’ tribuni : e per r opposito ne
pagarono pnre la debita pena molti uomini aiToganti e tirannici , astretti a
dar conto del vivere e procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor
buono le discussioni , e vi si reprimevano le esorbitanze dei graudi , quella
sembrava mirabilissima cosa, ed erano da tulli lodata : ma quando a torto il
merito vi si pro- strava de’ valentuomini egregj nel governo del comune ;
sembrava orribilissima , e gli autori se he accusavano non per la uguaglianza
de' voti come abbiamo (allo ma per la effi- cacia de’ voti. Sappiasi in fioe
che talono de’ critici afferma che le tribù allora erano 3i, e non 3i ; ma il
Sigonio de civiiate Rom. G. 3, ed Onofrio Vanvlno al c. 8 , sostengono che
erano realmente Tcntuna. della coDsnetudtne. Esaminarono , evvero , più volte i
Romani se la dovessero annullare , o custodire come r aveano ricevuta dagli
antenati ; ma non diedero mai fine all’ esame. E se pur io debbo dirne ciocché
ne pen- so, a me ne sembra la istituzione, se per sé si consi- deri ,
vantaggiosa , anzi necessariissima a Roma ; esservi però più o mcn bene
riuscita , secondo il carattere dei tribuni. Imperocché se scontravansi savj ,
giusti , e sol- leciti del pubblico , più che del proprio lor bene , e se chi
offendeva la patria ne era , come dovea , castigato; in tal caso un timor vivo
frenava ancor gli altri dai fare altrettanto. E 1’ uomo buono , 1’ uomo
avvanzatosi eoo cuore puro ai maneggi pubblici né subiva pene vergo- gnose , né
gìudizj , alieni dal procedere suo. Ma quando aveansi il poter tribunizio
nomini scellerati , intempe- ranti , avari , succedeane tutto l’opposito.
Tantoché non dovessi rettificar come erronea la consuetudine , ma curar
piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza che tanta autorità
temerariamente si conferisse. Tali furono le cagioni , e tale il termine della
prima sedizione de* Romani dopo la espulsione dei re. Io ne parlai lungamente ,
perché ninno si meravigli come i patrizj permisero che il popolo si attribuisse
tanto po- tere , nè succedessero intanto come in alure città , gli eccidj e le
fughe degli ottimati.' Ciascuno brama cono- scere delle insolite cose la
cagione ; proporzionandosene a questa la credibilità. Dond’è che io conclusi
che non sarei stato creduto in gran parte o in tutto , se io di- ceva nudamente
, e senza allegarne le cause* , che i pa- trizj aveano ceduto ai plebei la
primazia ; e che polendo dominare come nei comando dei pochi, aveano fenduto il
popolo arbitro di affari gravissimi: e cosi concludendo ; volli esprimerle
tutte. E poiché ira loro non si violentarono e necessitarono colle armi, ma
coo- cordaronsi colla persuasiva , giudicai portare il pregio dell’ opera , che
si esponessero soprattutto i discorsi te- nuti allor dai primari ciascun dei
partiti. E ben io mi stupirei che taluni pensassero doversi i falli della
guerra descrivere minutissimamente , e taivoha consu- massero tante parole
intorno di una sola battaglia di- cendo la natura de’ luoghi , la proprietà
delle armi , la forma delle ordinanae , le ammonizioni del capitano , e tatti i
motivi , quanti coadiuvarono la vittoria ; nè poi credessero che narrando i
movimenti, e le sedizioni ci- vili sen dovessero insieme riferire i discorsi
pe* quali si operarono impensate e maravigliosissime imprese. Certa-' mente se
nel governo de’ Romani vi fu portento degno di encomi, e della emulazione di
tutti, fu questo a parer mio , famosissimo più che i tanti , che pur vi fu-
rono stupendissimi , vuol dire che i plebei spregiando i patrizi non si avventa
sser su loro, uccidendone in co- pia i più insigni , ed usurpandone i beni , e
che quelli che esercitavan le cariche non conquidessero di per sestessi o co’
soccorsi di fuori tutto il popolo , rimanen- dosene poi liberi da paure in
città ; ma che a guisa di fratelli co’ fratelli , e di figli co' padri in una
savia fa- miglia , la discorresser fra loro su’ diritti comuni , e finis- sero
le controversie col dialogo e colia persuasione, senza permettersi gli nni
contro degli altri azione alcuna inir DtOSttGl, tomo //• iG qua ed insanabile ,
come nelle loro sedizioni ne fecero i Corciresi , come gli Argivi , i Milesj ,
e la Sicilia in- tera , e tant’aliri. E jier queste cause io volli anzi esten-
derne che ristringerne la narrazione ; e ciascuno ne pensi come glien pare. . Avuto
allora il giudizio un tal esito , il po- polo si parti con una vana ghiattauza;
concependo aver tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne an- davano
umiliati e mesti , ed incolpavano Valerio per suggerimento del quale avevano
rimessa al popolo la sentenza. E quelli che riconducevano Marcio , impieto-
siti , ne sospiravano e ne lagrimavano : non però ve- deasi Marcio né piangere
, nè lamentare la sorte sua , nè dire o fare cosa qualunque , non degna de’
sublimi suoi genj : anzi dimostrò più ancora la generosità e for- tezza deir
animo suo , quando giunto in casa ridevi la moglie e la madre che aveansi
squarciata la veste , e pesto il petto , e gridavano , come sogliono in simili
casi, donne separate dai loro più cari per 1’ esilio , o per la morte : niente
invili tra le lagrime , niente tra’ clamori delle donne. Ma dato loro un
amplesso , le animava a tollerar virilmente la disgrazia , raccomandando ad
esse i suoi figli. Grande era 1’ uno di dieci anni , ma sosteneano l’ altro
colle braccia ancora. E senza dare al- tri pegni della sua benevolenza , e
senza tor seco cioc- ché bisognavagli per 1’ esilio , usci sollecitamente dalle
porte , non indicando a ninno , dove si trasferiva. ,Venuto pochi giorni
appresso il tempo de’co- mizj , furono dal popolo scelti consoli Quinto
Sulpicio Camerino e Spurio Largio Flayo per la seconda volta. Turbarono
quest’anno la città molti segni di ce- lesti terrori. Imperocché apparvero a
molti visioni inso- lite , e voci si udirono senza niun che parlasse ; le ge-
nerazioni degli uomini e delle bestie assai scostandosi dal naturale tendevano
al mostruoso ed all’ incredibile: e si udivano m più luoghi risonare gli
oracoli , e donne da divino furor sorprese annunziavano alla città lamen-
tevoli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un tal contagio nella-
moltitudine. Fece questo assai strage di bestiame , ma non molta fu la
mortalità degli uomini , non esten- dendosi il morbo più in là che a far dei
malati. E chi diceva succedere l’ infortunio per disegno de’ numi i quali si
vendicavano dell’essere espulso dalla patria il migliore de’ cittadini ; e chi dicea
che gli eventi non erano opera divina , ma fortuiti , come tutte le vicende
degli uomi- ni. Poi si presentò , portatovi in una lettiga , un infer- mo ,
chiamato Tito Latino di nome , vecchissimo d’anni, fornito a sufficienza di
beni , e che avea per lo più vi- vuto nella campagna, lavorandola colie sue
mani. Co- stui venuto in Senato rivelò che avea tra il sonno ve- duto Giove
Capitolino che standogli a fronte, ua , disse ; fa intendere d tuoi cittadini
che nelT ultima pompa che mi celebrarono, non mi diedero un buon capo per la
danza. Pertanto mi ripetano , e compiano un altra festa di nuovo , non avendo
io accett ata la pri- ma. Dicea costui che risvegliatosi non faeea verun caso
delia visione , ma teneala come una delle comuni ed il- lusorie. Quando ecco
infine gli si presentò nel sonno (i) Anni di Roma a64 secondo Catone, *66
secondo Varrone, e 48iS av. Cristo. la immagiue stessa , e bieca e sdegnata ,
che non avesse annunziato i comandi al Senato , e minacciandolo , se non gli
annunziava immantinente che apprenderebbe con grave suo danno a non trascurare
gt IddJ. Que- sta seconda visione, egli disse , che la riguardò come la prima,
vergognandosi di assumer rincarico , egli vec- chio e lavoratore , di portare
al Senato i sogni suoi , pieni di augnrio e di terrore , perchè non vi fosse
de- riso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo figlio , senza
malattia , e senza niuna causa sensibile fu rapito da morte improvvisa. E ben
tosto il simulacro stesso del nome apparendogli nel sonno gli dichiarò che egli
area già colla perdita del figlio subita la pena della sua trascuraggine , e
del dispregio delle celesti voci , ma che ben tosto ne subirebbe ancor altre.
Udendo tali cose disse che contentissimo ne accettava Uannun- tio , Se avesse a
morirsi , non più curando la vita: che non gli diede il nume però questa pena ,
ma che gl'in- ternò per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoffri-^ bili ,
non potendone movere parte alcuna senza tor- mento estremo. E che allora infine
comunicato ^evento agli amici , venivane per consiglio loro al Senato. Pa- t^a
, ciò dicendo , che poco a poco si riavesse dal do- lore. Alfine compiuto il
discorso , usci di lettiga, ed in- vocato il nume , ne andò per la città libero
e sano in sua casa. Il Senato ne fu spaventato ed attonito (i) , (i) Questo
fatto è riportato aoclie da Livio. Cicerone Io allega nel lib. I de
Dininalione. Quanto è facile sognare con chi sogna l Ma il Senato avea bisoguo
d’ illudere un popolo superstiiiuso , e ne secoudò li delirj . Per tali vie la
verità si confonde , e si allouuna! nè sapeva inf]ovinare ciocché il nume
signifìcasse , e qual fosse nella festa antecedente il duce, de’ salti che
buono a lui non paresse. Àlfìne un tale , memore del- r evento , lo disse ; e
tutti se gli accordarono. Qr fu r evento cosi : Un Romano non ignobile
consegnando un suo schiavo agli altri conservi perchè lo menassero alla morte ,
ordinò per renderne più romorosa la pena, che lo traessero , flagellandolo ,
pel Foro , e per tutti , quanti erano , i luoghi più insigni della città.
Precedè costui la festa che la città avea prescritto che si facesse in quei
tempi a tal nume. Coloro che lo spingevano al supplizio slargandogli e
legandogli ambedue le mani ad un legno, postogli dietro il petto e diretto per
le spalle fino agli estremi delle braccia , lo seguivano , e lo bat- tevano
nudo co’ flagelli. Stretto costui da tale necessità gridava e con sconce voci ,
quali il dolore gliele sug- geriva, e tra salti indecenti, per le battiture. Or
questo giudicarono tutti che fosse il saltatore non buono indi- cato dai nume. E
giacché sono a tal parte d’ istoria penso non dover tralasciare i riti che
nella festa si tengono dai Romani: non perchè più bella ne sia la narrazione
per giunte teatrali e per fioriti discorsi , ma perchè sia più credibile il
proposito rilevantissimo , vuol dire , che greche furono le colonie fondatrici
di Roma , e venute da famosissimi luoghi , e non barbare e non prive di case ,
come alcuni hanno esposto. Imperocché nel fine del primo libro, tessuto da me
su la origine sua , pro- misi convalidarla con mille forti argomenti di leggi,
di costumi , d' industrie che vi persistono ancora , quali si ricevette dagli
avi ; nè giudico che basti a chi scrive le storie antiche de’ luoghi delioearle
come degne di fede perchè tali si odono da’ paesani , ma per l’ opposito
giudico che a renderle credibili abbisognino queste di altri documenti
invincibili , quali 'sono principalissima* mente le cerimonie , ed il cullo
usato in ognr città verso i numi e i genj patrj. Certamente li Greci e li
barbari custodiscono queste gelosamente per lunghissimo tempo frenati dalla
riverenza de’ numi vendicatori. E ciò fanno i barbari soprattutto per molte
cagioni da non essere qni ricordate. E ninno ha mai persuaso a dimenticare o
corrómpere alcuna delle divine cose gii Egizj , i Lìbj , li Celti j gli Sciti ,
gl’ Indi # e general- mente tutti i barbari, seppure caduti sotto il comando di
altri non furono necessitati ancora di volgersi ai riti loro. Roma però non fu
mai ridotta a tal sorte , anzi essa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se
traeva da’ barbari l’origin sua, dovette pur da’barbari derivare s le
istituzioni nazionali, per le quali g[iunse a tanta for- tuna : e quindi
dovette astringere tutti i sudditi a ve- nerare gl' Iddj con le forme Romane
come niigliori. Se dunque i Romani eran barbari , niente poteva ritardare che
barbara si rendesse tutta la Grecia che ornai da sette generazioni ne porta il
giogo. Alcuno forse crederà che bastino per segno non piccolo delle pratiche
antiche, quelle che ancor vi si usano. Ma perchè altri noi prenda come
insufhciente per la opinione non giusta , che i Romani quando vinser la Grecia
, con piacere ne assunsero i costumi come migliori , ripudiando i proprj ; ho
deliberato aiv _ gomentar dal tempo quando essi non ci dominavano ancora , nè
avevano olire mare 1’ impero , valendomi deir autorità di Quinto Fabio senza
che altra me ne bisogni. Imperocché antichissimo tra quanti scrissero le cose
ror.. .u. , ce le accredita -non solo perciò che ne ha udito , ma perciò che ne
ha veduto ancora. Il Senato , come ho detto di sopra , aveva decretato quella
lesta , per adempiere il voto fattone da Aulo Postumio dittatore , quando fu
per combattere le cittàribellatesi de’Latini, che tentavano rimettere Tarquinio
sul trono: ed aveva decretato che si applicassero ogni anno pt*r li sagriGcj e
pe’ giuochi cinquecento mine di argento ; e puntualmente ve le applicarono fino
alla guerra con i Cartaginesi. In questi sacri giorni si faceano molte cose
conformi alle greche usanze circa il concorso , 1’ acco- glienza de’ forestieri
, e le immunità, cose tutte > ben difficili a descriversi. Le cose poi , che
concernono la pompa , i sagrifizj , ed i certami, erano come sieguono, e ben da
queste si possono argomentare , quali fossero ancora , le tante cbe sen taciono.
Prima cbe si desse principio ai giuochi , le persone che aveano il potere più
graude, avviavano dal Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo
Massimo : e nella pompa eran primi i lor figli prossimi alla pubertà : ma que’
garzoncelli che poteano per 1’ età far parte della pompa ne andavano a cavallo
se fossero di equestre famiglia , o a piedi , se a piedi dovessero mili^'U'e; e
.quali nc andavano ad ale e caterve, e quali a corpi ed ordinanze maggiori come
per essere istruiti: e ciò ptrcliò fosse visibile ai forestieri la gioventù Romana
che era per giungere alla età militare , e quanto ne fosse il numero^ e quanta
la bellezza. Venivano ap- presso loro i guidatori di quadrighe , di bighe, ed
altri che pompeggiavano su cavalli non aggiogati. Seguivano quindi i
combattitori di certami leggeri o gravi; e nudi si vedevano, se non quanto
velavano le parti del sesso. E tal costume conservasi ancor tra' Romani come
nei prìncipi aveasi pure tra’ Greci , finché tra’ Greci vi fu tolto dai
Spartani: Perchè il primo che prese a nudarsi il corpo e nudo corse ne’ giuochi
Olimpici nella olim- piade decimaquinta fu Acanto di Lacedemonia; laddove
innanzi lui vergognavansi i Gi'eci di avere tolto nudo il corpo ne’ spettacoli
, come certifica Omero scrittore antichissimo e degnissimo più che tutti di fede,
il quale introduce gli eroi cinti da una zona. Quindi descrìvendo il certame di
Ajace e di Ulisse ne’ funebri onori di Pa- troclo disse : Sceser cimi di zona
ambi alla pugna. E ciò dichiara ancor più nell’ Odissea , narrando il pu-
gilato di Irò e di Ulisse in tal modo : SI disse ; e tulli encomiaro Ulisse , E
di una zona circondàndo i lombi , Gli ampi e voghi suoi femori scopria , ' E
nude Sen vedean le vaste spalle , , Nudo il petto t e le braccia. Ed
introducendo quel misero che non volea combattere, ma ne temea ; scrive : Cosi
diceano : ad Irò il cor si scosse .• . Cinserlo i proci di una zona , e tutto
Tremante lo sospinsero alla pugna. Tal costume primitivo de’ Gred serbato fino
ali’ ultimo tempo dai Romani dimostra che questi non lo appresero ultimamente
da noi , anzi che non lo mutaron col • tempo , come abbiamo noi fatto. Teneau
dietro agli atleti , cori di saltatori divisi in tre bande : erano i primi
adulti , imberbi gli altri , e giovani gli ultimi ; venivano quindi sonatori
che davan fiato a tibie di an- tica forma , e picciole , come costumasi ancora
, e cita- redi che toccavan col plettro lire eburnee di sette corde, ed altre
ancora di più , barbiti nominati. DI questi era mancato l’uso ne’ miei tempi
tra’ Greci quantunque fosse lor proprio : ma tra’ Romani conservasi In tutti i
sagri- fizj 'di antico rito. Erano 1’ apparato de’ saltatori pur- puree toniche
, cinte con metalliche fasce , e spade che ne pendeano , ed aste anzi corte che
giuste : vedeasi negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi , e
pcnnacchj che P adornavano. Era di ogni coro il duce un uomo il qual dava agli
altri la forma del ballo ; rappresentando moti marziali e vivi , con ritmo per
lo più proceleusmatico. Era greca antichissima pratica anche quella di saltare
colle armi e Pirrica si chiamava, sia che Minerva cominciasse la prima dopo la
disfatta de’ Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici trionfali per la
vittoria ; sia che prima ancora fosse il (i) Proceleusmatico cbiamaTasi no piè
metrico di quattro sillabe brevi : e quiudi si diceauo fttrfi i versi che
conteueano que' piedi. Forse furono cosi detti perché soleano pre- mettersi,
caulandoli , r»7r rttXtvrfitiTt vuol dire alle esortazioni o comandi. Quindi il
ritmo proceleusmatico ne’ balli dovrebbe avere allusione a tali piedi o versi ,
ed esortazioni. rito Introdotto da’ Cureti , quando educando Giova vo- leano
carezzarlo col suono delle arme, e con lièti moti e cadenze , come la favola
narra. Omero più volte , e principalmente nella foiDiazione dello' scudo che
dice * donato da Vulcano ad Achille, mostra l’ antichità • di questo rito, e la
nascita sua tra’ Greci. Imperocché rap- presentando in esso due città , l' una
ornata di pace bella, e l’ altra straziata dalla guerra, delinea, com’era
naturale, la felicità di quella con feste, con matrimonj, e conviti , e dice :
Faeton la danza i (Rovani , e frattanto Vdiati il suon di tibie , e cetre ; e
tutte , Meravigliando ai limitar di casa , Stavan le donne. E di nuovo
elogiando con vago ornamento nello scudo un altro coro di giovani e di vergini
Cretesi dice : Aveaci espresso V inclito Vulcano Un vario coro somigliante a
quello . Che Dedalo formò per Arianna , Che in si bei ricci avea la chioma
attorta : Qui giovinetti e ver^nelle vaghe. Tenendosi per man , facean lor
dama. Ed esponendo 1’ ornamento di questo coro per dichia- rare che i giovani
saltavano colle arme , scrive ' E quelle 'avean vaghe ghirlande, e questi
Aurate spade a cinti argentei appese. E parlando dei duci del salto loro , di
quelli che da- vano agli altri le prime mosse , dice : . Il popolo prendea
dolce diletto Intorno al coro; e due de' saltatori Clan cantando e danzando a
tutti in mezzo , Nè solo potrem yedere la somiglianza co’ greci riti da qnf*sie
danze marziali ed ordinale , usate da' Romani ne’sagrifìcj e nelle pompe, ma
dalle danze ancora sati* ricFie e derisorie. Dopo i cori armati vedeansi in
mostra cori imitatori de’ satiri , non dissimili dalla greca Sicin- ne (i).
L’abito in chi Vappresentava un Sileno erano ispide vesti , chiamale da alcuni
Cortee (2) ; e manti con ogni varietà di fiori: in quelli poi che somigliavano
un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sui capo criniere irte di lioni , e
cose altrettali. Or questi beffa- vano e contraffaceano serj moti , spargendovi
del ridi- colo : e gli andamenti de’ trionfi assai palesano che era antico e
proprio de’ Romani il motteggio e la satira. Imperocché permettevasi u quelli che
segui van la pompa lanciar beffe e giambi so gli uomini più riguardevoli , c
fino su’ comandanti ; siccome un tempo in Alene era^ permesso che nè lanciasser
quelli che sul carro se^i- tavau la pompa , e che ora cantan versi improvvisi.
Eid io ne’ funerali di personaggi cospicui , specialmente se già fortunati ,
vidi tra le altre pompe cori in forma di satiri che precedevano il feretro, e
saltavano come nella Sicinne. Che poi il gioco e la danza alla guisa de’ satiri
non fu ritrovamento de’ Liguri nè degli Umbri nè di altri barbari , abitanti
dell’ Italia , ma de’ Greci ; temo di sembrare molesto , volendo a lungo
convincere una cosa della quale già si conviene. Dopo questi cori pas- A (1)
Vossio scrive più cose intorno a qeeslo genere di saltasione nel I. a c. 19.
lusiiiul. Poei. (a) Cortee proviene questa voce da ^cfTts r:hc siguitica Jìeno,
er- ba CC. ’ » e savano molti sonatori di tìbie e di cetere : e poi quelli che
portavano profumi di aromi e d’ Incensi , e quelli che portavano lavori
meravigliosi di oro e di argento sia de’templi, sia del comune. Venivano In
ukimo della pompa recati su le spalle di nomini I simulacri divini foggiati
come quelli de’ Greci quanto alla forma , agli , abiti , al simboli ed al doni,
secondo che que’ numi es-‘ sendooe stati I trovatori , gli aveano , ciascuno. ,
donati ai mortali , nè solo v’ erano I simulacri di Giove , di Giunone , di
Minerva , di Nettuno , e degli altri che li Greci contano tra I dodici numi
(i); ma di altri più antichi da’ quali la favola origina i dodici ; io dico i
simulacri di Saturno , di Rea , di Temide , di Làlona , delle Parche, di
Miiemosine , in somma di lotti, quanti hao templi , ed are fra i Greci , come
quelli de’ numi che favoleggiansi nati dopo che Giove ottenne l’impero, vuol
dire quelli di Proserpina , di Lucina, delle Ninfe, delle Muse, delle Ore,
delle Grazie, di Bacco, e quelli de’ semidei, l’ anime de' quali spogliate de.l
corporeo frale diceansi andate in cielo, e goilervi onori simili ai divini,
cioè quelli di Ercole , di Esculapio, di Castore e Poi* luce , di Elena , di
Pane , e di altri mille. Se dunque i fondatori di Roma eran barbari, e se
v’istituiron tal festa; com’era possibile mai che adorassero tutti I numi e
genj della Grecia , negligentando I propr) ? Almeno mi si dimostri un altra
gente non greca, la quale avesse (i) Erodoto narra nel libro seconda che: i
Greci derivarono que- sti dodici Numi dagli Egiij. L’interprete di Apollonio
scrive die questi erano : Giove , Apollo , Mercurio , Nettuno , Marte, Vulcano,
Giunone, Diana, Pallade, Cerere, Venere, e Vesta. tali sante cose come
nazionali ; ed allora si condanni la mia dimostrazione come non buona.
Terminata la pompa facean sagri Gzio i consoli e que’ sacerdoti a’ quali spet-
tavasi, e la forma del santo rito era quale appunto tra noi. Lavatesi le mani ,
lustrate le vittime con acqua pura , sparsi i frutti di Cerere sul capo di esse
, e poi fatti de’ voti, comandavano infine ai loro ministri d’ im- molarle. E
quale di questi mentre la vittima era in piede ancora ne percotea le tempia
colla mazza , e quale nel cadere la trafiggeva colle coltella. E poi scor-
ticandola c squartandola prendean le primiziedi cia- scuno de’ visceri e di
ogni membro : e sparsele con fa- rina di fiiTo , le portavano ne’ bacini a
quelli che sa- grilìcavano : e questi soprappostele all’ altare , le arde-^
vano, e spruzzavano intanto di vino. E poi facile in- tendere dalle poesie di
Omero essersi ciascuna di queste cose fatta secondo le leggi istituite da’
Greci pe’sagrifizj: perciocché descrive gli eroi che si lavan le mani ed usano
farina di farro con sale dicendo : E lavaron le mani, e sparser farro : E che
ne tagliano i capelli e li gittano al foco in quei detti : Ma cominciando il
santo rito getta 1 capelli sul foco ; E li descrive che colpiscono colle mazze
in fronte le vittime , e che cadute le immolano come fa nel sagri- fizio di
Emeo. Percotela , di quercia alzando un tronco , Cui rapido poi lascia ; e
lascia insieme Lo spirito la vittima , e qui gli altri Miseria in inani , e ne
arrostino. E descriveli che pigliano le primizie delle viscere , e di altri
membri , e le infarinano , e le bruciano su gli altari: come fa nel sagri fì
ciò medesimo. E da ogni parie le primìzie piglia Be’ membri tutù, e crudi ancor
li copre Di grasso , e di farina ; e dagli al foco . Ora io so per averlo
veduto , che i Romani osservano ancora tali riti ne' loro sagrificj : e su
questo argomento, anche solo , mi rendei certo, clie i fondatori di Roma non
furono barbari , ma grecivenuti da tutte le parti. Ben può essere che alcuni
baiiiari somiglino in pane ai Greci nelle istituzioni de’ sagriliz) , e delle
feste ; ma che in tutto somiglino loro , ciò non è verisimile. Mi resta ora di
dir brevemente de’ giuochi che faceano dopo la pompa. Era prima la corsa delie
quadrighe , delle bighe , e dei cavalli sciolti, come nei giuochi Olimpiaci e
Pitiaci de’ Greci in antico , e fiu di presente. Ne’ certami equestri si
conservano ancora tra’ Romani due istituzioni antiche , come furono fon- date
in principio , quella cioè de’ carri a tre cavalli , la quale ora in Grecia è
cessata ; sebben vi fosse an- ticbissima e già ne’ tempi eroici ; introducendo
Omero de’ Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocché essendo due cavalli
congiunti come nelle bighe un terzo accompagnavali contenuto e tratto colle
redini , e chia- mato parioron appunto dall’ esser più libero ; e non come gli
altri in biga. L’ altra cosa di cui restano an- cor le vesiigie ne’ riti
aniichi di alcune poche città di Grecia è la corsa di quelli che anduvau su’
Carri ; peroccliè finite le gare a cavallo , smontati dal carro quelli clt e
sedere presso del
focolare in silensio
era un aulichissioia maniera
di supplicare. Addita
anche ciò Tucidide nel
t libro, discorrendo di
Temistocle: e si vede
un tal rito
piò chiaramente io Plutarco nella vita
di Coriolano, appunto
iu questo luogo. le
calamità che lo
(lageilavaDO , e lo
ìnchinaTano a ri- correre
perfino ai nemici , pregavalo ad
avere idee miti e benevole verso
chi rivolgevasi a lui , non
a tenerlo , mentre davaglisi nelle
mani , come avvemrio , nè a mostrar
la sua forza
contro gl' infelici
e depressi , e ri* flettere
piuttosto quanto istabili
fossero le sorti
degli uomini. £ ciò puoi ,
disse , apprendere principidmente da me , che
già potentissimo fra
tutti in città
grandis- sima, ora derelitto,
infelice , bandito , senza
patria, debbo correr la
sorte che vuoi
tu destinarmi. Io , se tu
amico me ne
rendi , io ti prometto
far tanto bene ai
Volsci , quanto male ad
essi cagionai , mentre ne era
nemico. Ala se
prevedi tuU' altro
di me , siegui r ira tua , dammi
in sulC atto
la morte , immolando colle stesse
tue mani il
supplichevole tuo , presso a’ tuoi
focolari. IL Or lui
cosi dicendo , Tulio
gli stese la
destra , e sollevandolo , animavaio
a confidare ; perocché non
sof^ frirebbe cose indegne
della sua virtù
: professavasi in- sieme
obbligatissimo che avesse
ricorso a lui, per
essere questa non picciola
significazione di onore
: promise che renderebbegli amici
tutti i Volsci , cominciando dalla patria
sua , nè mentite
ne furono le
parole. Dopo non molto
tempo deliberandone da
solo a solo, Marcio e Tulio, conchiuscro
di movere la
guerra, Tulio, con- centrando tutte le
forze de' Volsci, voleva
marciare im- mantinente su Roma,
mentre era agitata
ancora dalla sedizione , e
sotto consoli imbelli.
Marcio in opposito pensava che
vi abbisognasse prima
un titolo onesto
e giusto di guerra
; dicendo che gl’
Iddj mcschiavansi a tulle
le cose , e panico
Urmenle a quelle della
guerra quanto sono più
rilevanti , ed oscure nell’
esito. Aveaci allora tra’ Volsci
e tra' Romani sospension d’arme,
e tregua ed amicizia , conchiusa poco
innanzi per due anni.
Se tnovi , disse ,
inconsideratamente e precipito- samente
la guerra , tu sarai
colpevole di aver
rotti gli accordi, nè
te ne avrai
propizj gVIddj ; ma
se aspetti che i Eomani
ciò facciano ; si
giudicherà che tu ri-
sospingali, e protegga la confederazione che
violano. Ben ho io
con assai provvidenza
trovato come ciò
fac- ciasi , e come essi i primi
volgansi alle arme , e noi siam giudicati
et imprendere una
guerra giusta e san- ta. Bisogna che
per maneggio nostro
essi i primi of- fendano il giusto
: e tale è questo maneggio
che io finora ho
celato profondamente ,
aspettandone il tem- po , e che ora di necessità
, sollecitissimo , ti svelo , procurandone tu
la esecuzione. Debbono
i Romani far sagrifizj e giuochi
assai sontuosi e magnifici,
e molti accorreranno di
fuori agli spettacoli.
Attendi la occasione, ed
accorri tu pure a
tanto apparato , dando opera insieme,
che vi accorra , il
più che per
te si possa de’
Volsci. Come tu
sia in città , fa
che alcuno degli intimi
tuoi vadane ai
consoli , e dica loro secretissi- mamente , che i Volsci
tra la notte
assaliranno Ro- ma , e che perciò
vengono in tanta
moltitudine. Tu ben sai
quanto apprezzeranno la
nuova : vi cacceran senza indugio
da Roma , e vi
porgeranno un titolo giusto
di risentimento. HI. Esultò
Tulio meravigliosamente , ciò
udendo : e differito il
tempo d’ imprendere ; diedesi
ad apparecchiare la
gnerra. Approssimatisi poi
gli spettacoli, ed essendo
già consoli Giulio
e' Pinario ; am>rsevi
da tutte le città
la gioventà più
florida dei Yolsei , come
Tulio bramava. La maggior
parte non avendo
ricetto ndle case e pre»o
degli ospiti , presero alloggio
in sacri e pubblici
luoghi; e quando giravansi
per le strade,
ne andavano a crocchi e moltitudini
: tantoché già su
loro in città si
faceauo discorsi e sospetti
non buoni. In
que- sto mezzo venne ai
consoli un delatore
apparecchiato da Tulio ,
come avea Marcio
suggerito : e quasi avesse a svelare a'
nemici una pratirà
arcana in danno
degli amici suoi , strinse ’i
consoli a giurare di
salvar lui , né mai
dire ad alcuno
de’ Yolsei chi avesse
ciò pale- sato, e poi dinuneiò
gli assalti mentiti.
Parve ai con- soli vero il
racconto , e ben tosto invitati
i senatori ad uno ad uno
, si congregarono. Presentatovi
il delatore , ed avutene
le eguali promesse , replicò la
dinunzia me- desima. Coloro a’
quali parea già
cosa piena di
sospetto che venuta fosse
agii spettacoli tanta
gioventù di una sola
nazione nemica , assai più
ne temerono , aggiun-
gendovisi ora una
dinunzia della quale
ignoravano la frodolenza. Parve
a tutti che si
cacciasser di città
quei forestieri prima che
il di tramontasse
con bando di morte
a chi non ubbidisse;
e che li consoli
invigilas- sero sicché
tranquilla ne fosse
la uscita , e senza offese. lY.
Decretato ciò dal
Senato , altri scorrendo
le strade intimavano ai
Yolsei di partire
immantinente tutti per la
porta detta Capena
, ed altri con i
consoli li scor- tavano , mentre partivano.
Or qui più
che altrove si conobbe
quanta mai fosse , e quanta vigorosa
quella moltiiadine ; uscendo In
un tempo tutu
per una porU. Usci
sollecitissimo Tulio prima
che tutti , e prese non lungi
da Roma un
tal posto , dove
raccogliere gli altri che
seguitavano. E quando tutti
furono giunti , convo>
catane l' adunanza , assai v’ incolpò li
Romani , dichia> rando grave
ed indicibile 1’
affronto de* Volsci , unici ad essere
espulsi fra tanti
forestieri : ed eccitandoli
tulli perchè ciascuno lo
raccontasse in sua
patria , e vi trat- tassero
le maniere di
vendicarsene e reprimere per
l’av- venire tanta insolenza ne’
Romani. Cosi dicendo
ed in- fiammandoli , dolenti già
per 1’ oltraggio , sciolse 1’ u-
dienza. Ricondottisi in
patria , ridissero ciascuno ai compagni
la ingiuria , esaggerandola , unto che
ne fu- rono tutti esacerbali
, nè poleano rattemperarne
lo sde- gno. E spedendo una
città all’ altra
degli ambasciadori ,
chiesero un congresso
generale , per concordarvisi in- torno la
guerra. Succedeva tutto
ciò per briga
di Tulio principalmente. Cosi
li magistrati di
tutte le città , e moltitudine grande
ancora di altri
adunaronsi nella città di
Eccetra , ripuUU la più acconcia
per congregarvisi. Dettevi assai
cose dai capi
di ogni città , si
dispensa- rono i voli finalmente
, e prevalse il partito
di mover la guerra
, avendo primi i Romani
conculcato gli ac- cordi. Y.
E qui proponendo i magistrati
varj che si
discu- tesse la maniera di
fare la guerra,
presentatosi Tulio consigliò che
si chiamasse Marcio , e da
lui si udissero i metodi di
abbattere la potenza
Romana ; giacché ninno più
di lui conoscea
da qual lato
questa fosse inferma , e da quale
vigorosa. Il consiglio
piacque e tutti cscla- I I tnarono
che si chiamasse
immantinente il valentuomo. Marcio ottenuta
l’ occasion che volea
, presentatosi mesto e
piangente (i) soprastette
alcun tempo e poi
disse: Se 10 vedessi
che tutti pensaste
ad un modo
su la mia disgrazia , giudicherei non
essere necessario difender- mene. Ma considerando
che Ira indoli
tante e varie ev- vene
forse alcuna che
forma concetti né
veri nè degni sopra
di me , quasi
il popolo m'
abbia per cagioni
so- lide e giuste espulso di
patria ; debbo innanzi
tutto dir qui tra
voi circa il
mio esigilo. E voi
che ben sapete P infortunio
che io m’ ho da'
nemici , e come indegnamente
io sia perseguitalo
dalla sorte, voi, mentre
qui lo espongo,
contenetevi, prego, nè
vogliate desiderare d
intendere ciocché dee
farsi , prima che ne abbiate
compreso chi sia
che i^i consiglia.
Breve ne sarà il
discorso quantunque pigliato
dalle origini. Era 11
governo Romano da
principio un tal
misto del co- mando di
un solo e dei
pochi ; fnchè Tarquinio
, r ultimo de' monarchi , tentò volgerlo
tutto in tiran- nide. Adunque i capi
nel comando de’
pochi insorgen- done , lo espulsero
: e subentrando essi al
maneggio del pubblico , basai
orto una reggenza
più savia per confessione di
tutti , e più buona. Ma
da ora in
die- tro non più che
Ire o quattf anni , i più
miseri , e li più oziosi de'
cittadini , dandosi capi scelerati,
ne co- perser d ingiurie
; tentando infine di
abbattere l' au- lì] Queste lagrime
forse le TÌile
più Io storico
che Marcio. It contegno
Ji >{uesto valoroso
era stalo hen
altro coi tribuni
e col popolo «li Roma
come apparisce dal
libro antecclcnte j e 'come
può coucloJersi dal $ del
presente. /oriUÌ de
pochi. I capi del
Senato ne incollerirono tutti , e cercarono
come reprimere la
insolenza de' ri- voltosi. Di mezzo
a c/uegli ottimati udppio
C uno dei seniori , degnissimo di
lode per tanti
titoli , ed io V uno de’
giovani , parlammo sempre liberissimamente non per
combattere il popolo
, ma perchè sospetta
ci era la prepotenza
de' ribaldi; non
per rendere schiavo niuno , ma per
garantire a tutti la
libertà , come ai migliori
il comando sul pubblico. VI.
Or ciò vedendo
que’ tristissimi capipopolo
vol- lero in priruipio tor
di mezzo noi
franchissimi oppo- sitori : e
gittarono le mani , non
già su tutti
due in un tempo
perchè il fatto
non fosse grave
troppo ed esoso , ma su
me primieramente che
era il più
gio- vane , e men dijfcile da
opprimere. Cosi tentarono
di perdere me prima
senz' (uUorità di
giudizio , e poi mi chiesero dal
Senato per la
morte. Ala venuti
lor meno ambedue que tentativi ; mi
citarono ad un
giu- dizio ( ed essi aveano
ad esserne i giudici ) per in- colpazioni di bramala
tirannide ; nè videro
che rùun tiranno tenendosela
co’ pochi combatte
il popolo , e che
piuttosto egli col
popolo conquide il
partito più valido nella
città. Un giudizio
mi destinarono non per
centurie , com’ era C
uso della patria,
ma un giu- dizio come tutti
consentono , iniquissimo ,
e, la
prima e f unica volta , su me
praticato , un giudizio
dove i merccnarj , li
vagabondi , e quanti insidiano gli
averi altrui , preponderavano
su' boni che
voleano salvi i diritti
ed il pubblico.
E tante erano in me le
ragioni per non esserne
condannato , che sottomesso
ai giu- 1.3 ditj
di una turba
, odiatrice in gran
parte de' buoni , e però mia
nemica^ non fui
sopraffatto che per
due voti: sebbene i tribuni
divulgassero che assai
sareb- bero disonorali nel loro
comando , e patirebbono da me
l estremo de mali
se io fossi
assoluto , ed insi^ stessero intanto
contro me con
tutto F ardore e la sollecitudine nella
causa. Così malmenato
damici cit^ ladini , reputai che
più non sarebbe
vita la mia ,
se non prendessi di
loro vendetta. Quindi
sebbene il potessi, ricusai
vivere senza cure,
o tra’ parenti nelle città de’
Latini , o nelle colonie fondale
di recente dà miei
maggiori : e tra voi
mi ricorsi , che
io ben sapeva essere
tanto -offesi da’ Romani
e nemicissimi loro , per
farne con voi
quanto -potessi le
vendette colle parole, se le parole
vi bisognavano ; o colle opere, se
le opere. Intanto
io vi rendo
amplissime grazie ; perchè mi
avete voi ricevuto
, e perchè mi date tali
significazioni di onore , niente ricordando , nò contando i mali
che un tempo
voi rtemici miei,
avete da me sostenuto
fra le arme. VU.
Or dite , e qual genio
sarei io mai
se spo- gliato da uomini
per me beneficati , della riputazione e degli onori
quali tra miei
mi si competevano,
e privato della patria , della famiglia , degli amici , dei numi patemi , delle tombe
avite e di ogni
altro bene; se ritrovate
tra voi tutte
queste cose per
le quali già in
grazia ài essi v
infestai colia guerra
; ora terribile non mi
dimostrassi con quelli
che nemici mi
furono in luogo di
cittadini, e propizio agli
altri che amici mi
si rerìdono di
nemici ? Io sicuramente
non terrei nemmeno per
uomo chiunque nè
ax>esse nitnicizia per chicli
fa guerra, nè
benevolenza per chi
lo ha salitilo
:■non iilitno mia
patria una città
che mi ha
ripntliato, ma quella , dove sehben
forestiero divengovi cittadino
: nè già reputo
amica la terra
ove sono oltraggiato
, ma quella ove trovo
la sicurezza. E se
Dio ne porga
il favor suo , e voi
pronta , com’ è giusto , C opera vo- stra ; seguiranno , spero
, grandi e subiti cambiamenti, foi ben sapete che i
Romani cimentatisi con
tanti nemici non han
temuto niun più
che voi ; e che
niente cercati più attenti
quanto indebolire Ya
vostra nazione. E pigliandole colle
arme , e devUmdovele colle spe- ranze di
amicizia , ritengonsi le vostre
città per que- sto, appunto , perchè unendovi
tutti in un
corpo non portiate su
loro la guerra.
Se voi dunque
a vicenda persevererete
procurando il contrario
; e se avrete co- me ora , tutti un
animo per la
guerra ; Jacìlmente
abbcUterete la loro
potenza. Vili. E poiché ricercale
il parer mio
sul modo di entrate
in campo e dirigervi,
sia per attestato
della esperienza mia , sia della
vostra benevolenza , sia per [ uno
e { altro ; io dirò
tutto , e senza velo. Primie- ramente vi esorto
a vedere che vi
abbiate una causa religiosa e giusta
di guerra. E come
religiosa, come giusta ,
come utile insieme
ve l’ abbiate ( in
udite. Pic- ciolo , sterile ,
aveano da principio
i Romani il lor territorio , ma vasto
, e buono è quel che
vi aggiun- seio , togliendolo
a’ vicini ; e se ciascuno dei
derubati tipela il suo,
tiiutia città diverrà
quanto Roma pic- ciola , debole , bisognosa.
Or io penso
che voi doiHate
i primi cominciare. Spedite
ambasciadori che richiedano le
vostre città , quante ne
tengono , e che intimino
loro di abbandonare , quanto han
fabbricato per le vostre
campagne , e li premano
a rendervi , quanto si hanno
di vostro appropriato
colle armi: nè vogliate
prima che vi
rispondano , romper la guerra. Cosi
facendo otterrete V una
o t altra delle cose
che più bramate. Vuol
dire , o ricupererete le cose
vostre, senza pericoli e spese
; o rinvenuto avrete il
titolo onesto e giusto di
prender le arme :
giacché tutti confesseran per
bellissima la condotta
di non chieder r altrui , ma il
proprio; e di combattere
in fine se non
ottengasi. Or su , qual
cosa pensate , faranno i Eomani
a tali vostre proposte
? che renderanno forse le
vosUe regioni ? ma
qual cosa impedirebbe
più mai che lasciasser
tutto t altrui? se
verrebbero poi gli Equi
e gli Albani , se i
Tirreni e tanti altri
a ripe- tere ognun le sue
terre. O pensate che
riterranno le vostre cose , nè
vorranno affatto la
giustizia ? Così appunto io
ne penso. Voi
dunque protestandovi , i primi ,
offesi da loro;
e volgervi per sola
necessità alla guerra ; avrete
compagni , quanti spogliati de’ beni hanno fin
qui disperalo ricuperarli
altrimenti , che per le arme.
Bellissima è poi la
occasione, e di cui non
avrete mai più
la simile per
andar su Bomani , preparata fuori
di ogni speranza
dalla sorte propizia agli
offesi; perciocché li
Romani, discordi e sospetti fra loro a
vicenda, nemmeno luin
capi idonei per la
guerra. E questo è quanto
io poteva suggerire
e rac- comandar con parole agli
amici, detto lutto
con cuor sincero e benevolo
: quanto poi si
dovrà provvedere e compier
colle opere, lasciate
che i duci deli
armata lo curino. RispeUo
a me son per
voi , comunque di me disponiate;
e mi sforzerò di
non riuscirvi U pm ignobile
sia de’ soldati
sia de’ centurioni
, sia de' ca- pitani. Spendetemi dove
pià vi son
uUle , e tenetevi cerio, che
io, che già
contro voi guerreggiando, tanto vi
ho danneggiato; ora,
per voi combattendo altret- tanto vi gioverò. IX.
Marcio cosi disse
, e U Volsci , menlre parlata
ancora , davan segno di
gradirne i discorsi : ma
poi che ucque , miti a gran
voce allesUrono che
benissimo consigliava ; e
senza concedere che
altri più disputasse, ratificarono il
parer suo. Quindi
stesone il decreto,
e scelti immantinente i personaggi
più riguardevoli di
ogni cillA , gl’ inviarono
ambasciadori a Roma : dichiararono Marcio membro
de’ consigli in ogni
città, e lo auumz- zarono
a conseguire in ciascuna
le magistrature e gli onori
più grandi che
vi erano. Per
altro anche innanzi le
risposte de’ Romani , si
diedero agli apparecchi
di guerra. E quanti erano
ancora disaaimali per
le perdite nelle battaglie
antecedenti , tutù si rincorarono
quasi fossero per abbattere
la potenza Romana.
Gli oratori spediti a Roma , presentali al
Senato , dissero , che sa- rebbe
a’ FoLsci carissimo
cessare le controversie
coi Romani , e viverne da ora innanzi
alleati ed amici senz
artifici ed inganni
: e dichiarano che stabile
sarà questa fede e quest'
amicizia , se riabbiano le
terre e le città
che furono tolta
loro da’ Romani
: laddove in altro modo
nò pace mai
vi sarà , né amicizia
coslan- . 1-j te ; giacché
V offeso è naturalmente in
guerra perpe- tua colf offensore.
Cliiecleaao pertanto di
non essere colla esclusione
delle giuste dimcuide
necessitati alla guerra. X. Detto
dò , fecero i padri ritirar
gli oratori , e consullaron fra
loro. E cónchiusa la
risposta ^ li riobia> maroQO in
Senato , e dissero : Conosciamo o Fólsci che
voi non f amicizia
cercate ; ma pretesti
splendidi di guerra : perocché
ben vedete che
mai vi saran concedute le dimande
, per le
quali venite , indegne ,
inammissibili. Se voi
date ci aveste
da voi stessi
e pentitine' poi ci
raddomandaste le vostre
terre ; non sareste affatto
oltraggiati , non
riavendole. Ora però voi
oltraggiate noi ,
pretendendo ciocché è degli
altri: giacché non eravate
voi gli arbitri
delle terre , se
la légge delle armi
ve le toglieva.
^ noi teniam per giustissimo quanto
possediamo . per le vittorie
: nè primi noi abbiamo
fondata questa legge
, nè la cre- diamo degli uomini
, anziché degli Dei. E
se i Greci, se i barbari
tutti se ne
valgono ; noi non
tlaremo già in ciò
segrà di debolezza , nè renderemo
punto delle nostre conquiste.
Imperocché ben sarebbe
vituperosis- sima cosa lasciarsi per
timore e per stoltezza
rito- gliere ciò che per
senno e per nuignanimità
si pos- siede. Noi nè a
combattere vi necessitiamo , se non volete
; nè se volete , ve
ne ritiriamo. La
rispingere- mo , se ce la
incominciate , la guerra. Riportate
ai Folsci queste risposte,
e dite, che se
pigliano essi i primi le
arme , noi gli ultimi
lo deporremo, Diomai , tomo ut. Prese
qpeste risposle Je
riferirono gli tmibascia* dori al
Comune de* Volaci.
E convocato di bel
nuovo U Consiglio, si concbiuse
in fine d’ intimare
a nome di tutta la
nazione la guerra
ai Romani. Quindi
scelsero Tulio e Marcio con
assoluto potere capitani
di tutta 1’ ar-
mata, e decretarono che si
ascrivesser milizie , si
con- tribuisser danari, c si
facessero altri apparecchi,
quanti ne vedean necessarj
per la impresa. 'E
già essendo per isciogliersi l’ adunanza
; Mar*.io levatosi in piè disse
e Bonissimo è quanto si è
qui decretato dal
vostro Co- mune ; e facciasi pur
tutto a suo tempo.
Intanto però che qui
scrivonsi le milizie , e preparansi le
altre cose che dimandano
cura e tempo ; io e
Tulio ci
porremo in su r opera..
Seguite noi, quanti
volete , saccheg- giando le campagne
nemiche , partecipare a gran prede. Io
vi prometto , se
il del ne
ajuta , molti e grandi
vantaggi. Li Romani
non sonasi ancora
apparecchiati, vedendo che noi
non abbiamo riunito
le forze; sicché potremo senza
paura scorrere a nostro
bell agio tutte le
loro campagne. Accettato da’ Volsci
anche questo partito,
j duci uscirono immantinente , e
prima che in
Roma se- ne sapesse , con molta
soldatesca volontaria. Tulio
si gettò con parte
di essa nel
territorio latino per
impedire i soccorsi che
di là ne
andrebbero al nemici , e Marcio guidò le
altre aUe campagne
di Roma. 11
male giunse improvviso a quelli
che vi erano
; e . caddero in poter de' nemici molti
ingenui Romani e molti
schiavi; e bovi e giumenti’,
ed altro bestiame
non poco. Quanto era
derelitto di grano
, di ferramenti , o di altro
onde la terra cohirasi , tutto fu
predato , o disfatto. Dii uU
timo recando 'fino
il fuoco , lo
gettarono i Volscl pe’ca» sali
; tanto che quelli
che ne furono
spogliati , non po3 secondo
Varrone c 486 aranii
Cristo. perocché ne andarono
ai Volsci appena
si ebbe la
guep. ra , e concordarono , e
giurarono T alleanza. Or
questi spedirono a Marcio la
milizia più numerosa
e più riso- lutai. Dato
da questi un
principio , molti altri
ancora favorivano
occultamente i Volsci ; mandando
loro dei sussidi non
però per decreto
o pubblica approvazione. E
se taluno de’
loro voleva a quelli
coogiungersi', 've gl’ incitavano
, non che gl’
impedissero. Dond’ è che
i Volsci accozzarono in
breve tempo tanta
milizia, quanta mai più
per addietro , nemmen quando
le loro città
più 6orìvano. Marcio che
ne era il
duce la gittò
di bel nuovo su
le campagne di
Roma ; e tenendovisi molti
giorni , devastò quanto
crasi lasciato nella
prima incursione. Non prése
però questa volta
prigionieri molti ingenui
uo- mini , giacché, raccolte le
cose più pregévoli,
«ransl questi ritirati^ in
Roma o ne’ castelli più
vicini , e me- glio fortiGcalj.
Ma depredò il
bestiame che non
arcano potpto ridurre altrove , e gli uomini
che lo pasturavano, come il
grano tenuto ancora
nelle aje ed
altri prodotti che raccoglie vanSi o che erano
già pe’ grana). Cosi
de- rubata 6' guastata ogni
cosa , non osando alcuno
di conlrapporglisi, riportò nuovamente
in patria 1’
esercito , carico di
grandi acquisti, e quindi
lento in sua
marcia. I Volsci veduto'!’ ampio guadagno,
e convin- tisi dell’ abbattimento de’
Romani , che predatori già delle
robbe altrui , miravano
ora devastarsi impunemente le proprie;
ne imbaldanzirono soprammodo,
e conce- pirono pur la speranza
di dominare , quasi
fosse per loro facilissima
e vicinissima cosa annientare
il potere degli avversar].
Adunque facaano agl’
Iddj sacriBzj di nngrauamento , oraavapo i templi
ed i pubblici fori di
spoglie che dedicavano.
E tutti iu feste,
in sollazzi, ammiravano e celebravano
Marcio , qual uomo ipsignit- ■ aimo fra
gli altri nella
guerra , e qual duce cui
ntun pareggiava non Romano,
non Greco, non
barbaro cajii- tano. .
Soprattutto lo felicitavano
della sua prosperità
; vedendo che quanto
intraprendeva , riuscivagji tutto
speditissimamenle , secondo i
disegni. Tanto che ninn
v’era di
età militare il
qual, volesse non esser
con lui; ma spiccavansi,
e venivano da tutte
le città per
aver parte nelle sue
gesta . Il duce ,
corroborato ]’ ardore
dei Volici , e depresso il coor
de’ nemici , e ridottolo ad irrisolutezza indegna
de’ valentuomini , marciò coll’
e- sereito contro le
città che alleate
di essi teneansi
ajncora fedeli:. ed avendo ben
tosto apparecchiato quanto
ricer- cavasi per gli
assedj , piombò su’
Tolerini , gente del , Lazio.
I Tolerini , preparatisi
molto prima per
la gueiv ra , e portalo in
dllà , quanto^ bisognavacl
della cam- pagna , ne scontraron
l’ assalto. Ben resisterono
alcup tempo , combattendo e ferendo
ip copia i nemici,
dalle mura , ma risospinti
è travagliati poi fino a
sera dai feombolierì , le
abbandonarono in gran
parte. Marcio , compreso ciò , diede
ordine ad altri
che applicasser le scalchila
parte derelitta del
ricinto: ed egli
ne àndò col fior
de’ bravi alle
porte ; sebbene infestato
cogli strali dalle torri
: e là ^^zzali *i
serragli , il primo si mise
in città: ma
perciocché si era
disposta alle porte una
schiera folla e poderosa
di nemici; questi
lo rice- verono virilmente ; disputandogli lungo
tempo intrepidi r intento ,
finché perdutine molti , dieder volta , e sbanduiì fuj^ronsi
jier le vie.
Gl* insegoi Marno , acciden- (Ione c|uanli
ne sopraggiangeva ; se
'gettate le anni
non volgeansi alle preghiera.
lolanto gli asc^i
per le scale impadronironsi delle
mura. Cosi la
città fu presa , e Mar- cio separò dalle
prede quanto era
donativo pe' numi , o decorazione per
le città de’
Yolsci , abbandonando il re- a’
soldati, Aveanci nell’acquisto
uomini , danari , grani; tanto
cUe non riuKl
facil cosa a vincitori
tor via tutto in
un giorno. Adunque
menandoselo , o trasportandolo successivamente di
per seslessi , assalto
, prese ad investirne
in gran parte le
mura. I Bolani , aspettatane 1’
ora conveniente , spa- lancano
le mura
; e sboccandone in numero , a schiera, e con ordine
; si avventano su
quelli che stavano
a fronte: ed uccisone molti , e più
antera feritine , e ridotti gli altri
a turpissima fuga ,
cioulraron le mura.
Marcio , che non era
presente al sito
dell’ inforinnio , conosciuta
la fuga de Volsci
accorse di tutta
fretta con pochi
: e raccogliendo quei che vagavan
dispersi , li ticongiun^ e rìaoimò
: poi riordinatili, e-
dimostrato ciocch’ era da
fare; comandò loro di
attaccar la città
verso le porte
appunto. Ricor- sero i Bedani a’
tentativi medesimi ,
emergendo in gran mollitudine dalie
porte. Non gli
aspettarono i Volsci, ma ripiegandosi
fuggirono giù pel
declivio come il
duce avea già suggerito.
Non videro i Bolani
l’ inganno , e tnoltissime
li seguitarono : quando
slontanatisi già dalle mura
; Marcio che avea
seco il fiore
de’ giovani , diede su loro :
e qui molta ne
fu la uccisione
; fuggissero o resistessero. Seguitando
poi li respinti
fino alle porte , li prevenne; internandovisi a 'forza,
prima che si
richiu- dessero. Impadronito^si
il duce appeua
delle porte ; ecco giugnere altra
moltitudine di Volaci.
Li Bolani abban- donate le mura , rìpararonsi nelle
case. Divenuto in tal
modo r arbitro anche
di questa città , concedette a’
sol- dati di farne schiavi
gli uomini , e di porne
a sacco le robe. E trasportatane , come altre
volte , successivamen- te, a
grand’ agio , tutta
la preda , abbandonò
la città finalmente alle
fiamme. Pigliando quindi 1’
esercite , ne andò su’
Labi- càni. Eran questi,
come altri , 'Colonia già
degli Albani, ma popolo
allora ancb’ esso
dei Latini. Or
egli per at- terrirli fin denti*o
le mura , sparse , giuntovi appena
, su’Joro campi il
fuoco, principalmente in
quelli donde era .per
essere più visibile.
Ma i Labicani , avendo ben fortificate le
mora nè sbigottirono
p?r 1’ arrivo
di lui , nè diedero
segno alcuno di
debolezza : ma si
opposero e pugnarono
generosamente; trabalzandoli piùjvolte
fin da sopra le
mura. Non però
resisterono ' con successo;
combattendo pochi contro
di molli , e senza requie
mai, nemmen picciolissima i giacché 'frequenti erano
intorno la città gli
assalti successivi de’
Volsci ; ritirandosene via via
gli stanchi , e cimentandosi altri
l'ecpnti. Adunque data per
un intero giorno
battaglia, nè fattasi
pausa «emmen su la
notte-, furono dalla
stanchezza astretti a lasciare
in fine le
mura. Marcio, espugnatele,
ne rendè é schiavi li
cittadini , e dté tutto
in preda a’
soldati. Di là trasferendo 1’
esèrcito io ordinanza
contro la città'
de’ Pe- dani , Latina anch’
essa di popolo
, la pigliò di
forza , giuntovi appena. E trattatala
come le' altre
già prese , levandone
in su 1’
alba le truppe
, le menò béntotfto
sa Corbione. Ma nell'
approssirharvisi gli abitanti
1’ apersero, ed uscirongli
incontro , presentando simboli
di pace , e la ' resa
loro senza combattcrè.
Ed egli , encomiatili come savj
nel provvedere a séslessi , comandò che
gli portas- sero grano ed
argento , come l’ esercito ne
bisognava ; e ricevuto tutto
secondo i comandi , marciò co*
snoi con- tro Coriolo. Gederonò
gli abitanti pur
questa senza re- sistenza ; ma perciocché
con pienissima propensione
sup- plirono viveri, danari, e quanto
Kn chiese , nè
ritirò 1* armata ; come
su territorio àmico.
E per fermo ; egli procurava! con
ogni sollecitudine che quelli che
si ren- devano non subissero
i mali causati dalla
guerra ; ma riacquistassero, intatte
le loro terre , e li
bestiami , e gli schiavi che aveano
lasciati ne’ loro
poderi : nè permet- teva che le
truppe alloggiassero belle
città di essi ;
per- chè non fossevi danno
di furti o prede , ma
le accam- pava presso' le
mura. XX. Di 'qua mosse
l’esercito verso Bovilla
(1) città cospicua allora
è contata tra le
primarie de’ Ladini, che (1)
Nel lesto dice
Boia: ma forse
dee leggersi Bovilta
\ percbl;' Co- riolgoo già era
stato ai Toleriai , a Bota , a Labico , a Pedo,
a Cor- bipne , ed a Coriolo.
-Potrebbe dubiigrsi se
sia scritto Bovilla
nel $180 nel presente
di questo libro
: Si descrivono tulle
due come so r alture
; parlandovisi di declivj
; e Boriila eia nella
via Appia in piano
, secondo Cloretio. erair pochissime.
Nod Io accolsero
già quei che
v’ erano dentro,' confidati
nelle fortificazioni 'assai vàlide,
e nel numero dei difensori.
Adunque egli eccitando
le trupper a combattere generosanaente , e proponendo amplissimi premj . a’ primi che
ne salisser le
mura; si accinse
all’as^ salto. Or qui
vivissima sava ; n^i
perchè , spalancate le
porte ne uscirono in furia
ed in copia , e ne
incalzarono' abbasso quanti
ne erano a fronte. Assai
perirono di Voisci
in quella sorti- ta , e diuturna fu
la zuffa sopra
le mura ; sicché
mai più speravano d’ invaderle.
Ma il duce
supplendo nuovi soldati non
fe’ conoscere la perdita
degli altri: e raccese l’ardore dei
vacillanti; portandosi egli ‘stesso
alla parte di esercito
che pericolava : Nè
spiravano coraggio i delti soli , ma i fatti
ancora 'di lui :
corse a tutti I pericoli , nè lasciò
tebtativo , finché non si
preser le mura.
Iril- padronitosi poi della città, messa
parte dei vinti
a 61 di spada per.
le leggi dei
forti , e parte rendulala schiava , ricotadusse f esercito.
E^Ii rimenavalo dopo
una segnalala vittoria c^'co
di spoglie bellissime,
e ricco de’ tanti
da- nari , ivi presi ,
quanti in ninna
delle città coqquistate. Dopo ciò
tutta la regione
percorsa 'Era in po*
ter sùo , nè più
gli resisteva ninna
'città se non
Lavinia, la -prima delle città
fondate da’ Trojani approdati
con Enea nell’ Italia , dalla quale
dm vano i Romani
come di sopra fu
dichiarato. Gli abitanti
pensavano dover pri- ma incontrare ogni
male, che 'mancar
di fede ai
discen- denti loro. Adunque vi
ebbero attacchi terribili
su le mura, e battaglie
veementi per le
forltficazioiu:^non però sì espugnarono
a prini* impeto ; ma
parve abbisògnarvt assedio , e
tempo. Postosene Marcio
all’ assedio cinse intorno
la dtià di
vailo e fossa , e guardò le
strade , perché non
le si recassero
esterni soccorsi e viveri.
I Romani udita la
rovina delle città
vinte , compresa la
necessità delle Fendutesi
a Marcio , pressati da’ messaggi quoiidiaid delle
altre , fedeli ancora , che
imploravano ajulo,, spaventati insieme
dalla circonvallazione che
tira- vasi intorno Lavinia , e convinti che
se cadea questo iurte
> la guerra verrebbe
addirittura su loro , crederono uno solo
il rimedio a tanti
mali , decretare il ritorno
di Marcio. Tutto il
popolo, gridava questo
, e li tribuni voleano lare . una
legge per annullarne
la condanna : ma^ li
patrizj si opposero,
ricusando che si ' annullassé al- cuna sentenza enianàta.
E petuo. Che dunque
impedisce che rivenghi
alla dolce, alla carissima
vista de' tuoi pià
congiunti, e ricuperi t
amatissima patria , e comandi, come
ti si conviene, a chi comanda,
e sii duce de' duci,
e ne lasci C am- plissima gloria a'
tuoi figli e nipoti
? E che tali e tante
promesse avran prontissimo
effetto, noi, quanti qui
vedi , noi tutti ne
siamo i mallevadori. Finché
nè stai di fronte
col campo e colla
guerra , non parve al Senato
nè al popolo
far su te
decisione ninna di clemenza
e di moderazione ; ma
se ti levi
dalle ar- me , avrai , né tardi , e noi
lo porteremo , il decreto del
tuo ritorno. Tali sono i
beni se
alla patria ti
riconcilii: ma se ti
ostini , se t odio non
deponi verso noi ;
dure e molte ne
saranno le conseguenze
: ed io due le
pià manifeste te
ne addito ; vuol
dire : la prima che
avresti il barbaro
amore di un'ardua
anzi im- possibile cosa , di abbattere
cioè la potenza
di Ro- ma , e colle arme
de' Volsci : C altra
che quando pure tu ben ^ indirizzi
e riesca alf intento
, ne sa- rai creduto il
pià sciaurato de'
mortali. E perchè io così
congetturi su te ;
lo ascolta o Marcio , nè
t’ ina- cerbare sul
franco mio dire.
E prima ne intendi
la impossibilità. Molta è in
Roma , e tu U> sai,
la gio- ventìi paesana
: e se le si
tolga ( e torrassele per la
necessità presente in tal guerra
) la sedizione , rac- chetando
il timore comune
tutti i dissidj , non pià li
V jIscì , ma niuna
gente d’ Italia ci
abbatterrà. Molte sono le
milizie de* Latirù , molte quelle
degli alleati, coloni di
Roma , le quali aspettati
che in breve
giun- gano per soccorrerci. 1 capitani , come te , seniori
o giovani , tand sono di
moltitudine , quanti in tutte
lo altre città non
sono. Ma t ajuto
pià grande di
tutti, quello che non
ei ha mai
deluso ne’ grandi accidenti, e che pili
vale di tutte
le forze degli
uomini, è la beneifolenza de’
numi , per la quale
teniamo questa città già
da otto generazioni
non pur libera,
ma fe- lice , ed arbitra
di tante nazioni,
JVon pareggiarci ai Pedani
, ai Tollerim , agli
altri popoletti , de’ quali sormontasti le
cittadelle. Anche un
altro duce minore di
te , e con esercita minore
che questa tuo ,
violen- tato avrebbe tali fiacche
e poco presidiate munizioni. Ma
considera la grandezza
della nostra città
, la luce sua per
tante imprese guerriere , e C ajuto di- vino pel
quale , già picchia , tanto s’ inff-andì : nè concepire che
si diversifichi codesta
tua forza colla quale
vieni a tanta cimenta
: anzi ricordati che un
esercita meni di
Folsci e di Equi
che noi stessi
ab- biam vinta in
tanto battaglie in
quante osarono di affrontarci : Talché
ben vedi che
porti a combattere i men forti
contro i pià valorosi,
e chi sempre per- dette contro vincitori
costanti, E quand’ anche
fosse il contrario ; pur
sarebbe da meravigliare
, che tu perita di
guerra non sappi , che
ne' pericoli non è
pari r artlire in
ehi difende i suoi
beni , ed in chi cerca
gli altrui ; che
questi se non
vincono , niente vi
scapitano; ma niente
agli altri pià
resta, se perdono- E questa principalmente è la
causa che le
grandi armate svaniscono contro
le piccole, e le
migliori . contro le men
buone. Chè può
la terribile necessità , ponno i pericoli
estremi spirare' corono
anche ad indoli che
non ne abbiano.
E quanto alC arduità deb r impresa
potrei dire piò
cose , ma bastino queste. Mi
resta a fare un
solo discorso, cui se
accompagnerai colla ragione
non colf ira , vedrai
che esso è giusto , e ti verrà
pentimento del procedere tuo
: ma quat è mai
questo discorso ? Gli
Dei non concessero a niuno
che nasce mortale
solida scienza delt avvenire
: nè troverai da
tutti i secoli alcuno
cui tutto riuscisse propizio
senza mai contrarietà
della sorte. Perciò li
piò awanzati in
prudenza , quale il vivere lungo
e la molta esperienza
la recano , deano prima di
accingersi ad una
impresa considerarne il termine,
non solo se
riesca come pur
lo vorrebbono, ma nel
caso ancora che
devii dai disegni:
e ciò deano i comandanti principalmente delle
‘ guerre , a' quali , quanto piò
essi dispongono gravissimi
affari, tanto piò tutti
ascrivon la origine
de' buoni o tristi
suc- cessi ; tal che se
vedono esser niuno , o ristretto e piccolo
il danno dell'
azione se la
sbagliano , allora la
intraprendono , ma se
vario e grande lo
vedono , la tralasciano. Or
fa tu similmente
; prevedi avanti di operare
ciocché sia per
incontrarti , se manchi , o
se tutto
non ti viene
a seconda nella guerra.
Tu sa- rai colpevole presso
gli ospiti tuoi
di aver tentato
im- prese , grandi piò che
eseguibili. Concepisci ( nè
già lasceremo impuniti quelli
che han preso
ad offen- derci ) che r esercito
nostro vengavi novamente
^ e devasti le loro
campagne : non potrai
evitare , 0 di essere
obbrobriosamente trucidato da
quelli a’ quali sei
causa di mali
sì grandi , o da noi
che ora vieni per
uccidere e per soggiogare.
Forse essi stessi
in- nanzi di patirne alcun
male , tentando far
pace con noi dovran
consegnarti alla patria
che ti punisca
: e già Greci e barbari
assai, ridotti a pari
vicende , dm'ettero ciò
sopportare. Or ti
pajono queste picciolo cose
, non degne a discorrerle , o tali che
debbansi trascurare , o non
piuttosto mali estremi
a patirsi ^ fra tutti
i mali? XXVni. Ma via; n
abbi tu
pure il buon
termine; e qual frutto allora
ne avrai così
desiderabile , così meraviglioso
? qual mai gloria
ne avrai ? Deh
! con- sidera questo ancora. Ti
succederà primieramente di esser
privo degli obbietti
che piò, ami , e piò
ti ap- partengono ; io dico
della madre alla
quale porgi amara la
ricompensa di averti
generato e nudrito, e de'
tanti travagli che
sostenne per te :
dico della sa- via consorte la
qual vedova e solitaria
sta desideran- doti , e
deplorando dì e notte
il tuo esilio
: e final- mente de' due tuoi
figli a quali aspettavasi , come ai posteri
di egregj progenitori , che ne
percepissero pieni di fama
buona gli onori
se la patria
fosse fe- lice. Di questi
tutti sarai costretto
a vedere le dolo- rose e sfortunate catastrofi , se ardirai
sospingere fino alle mura la guerra
; giacché a ninno de'
tuoi perdo- neranno gli altri
che temono pe'
ctai loro , e che pa- tiscono disastri eguali
da te. Concitati
dalla propria calamità doranti
terribilmente e
spietatamente a balterli, ad
ingiuriarli, e far loro
ogni specie di
vili- pendj : e di ciò
non questi che
il fanno ma
tu ne sei r autore , che ve gli astringi.
Tali i frutti sono che
gusterai , se ti giunge
V intento. Or su
contempla la lode che
te ne avrai , la
emulazione, gli onori,
cose tutte desiderevoli a buoni:
Z’ uccisore sarai
nominato della madre , C
uccisore de' figli , il
traditore della consorte y la
rovina della patria.
£ ninno buono , niun
giusto vorrà , dovunque
tu capiti, partecipare
ai tuoi sagrifizj , alle tue
libagiorU , al tuo consorzio
: nè sarai caro a
quelli nemmeno per
la benevolenza de’ quali
ciò fai : ma
godendo dascun d'essi
il frutto della tua
empietà , detesteranno la
ostinazion del tuo cuore.
Lascio di dire
come senza /’
odio che avrai
fin da piò miti , ti
sarà intorno la
invidia [non piccola degli
eguali , il sospetto degl’
inferiori , e per queste due
emise , le insidie
, c ta/ui altri infortunj , quanti è verisimile che
sopravvengano ad un
uomo, privo di amici
in terra di
estranei. Lascio di
dire le furie
che ispiransi da’ numi e
da’ genj
negli empj e ne’
faci- norosi, dalle quali, straziati
ne’ corpi e nelC
anima, vivono sciaurata la
vita , aspettandone misera
ancora la fine. Tali
cose considerando o Marcio
' correggiti ; e cessa d’ inseguir
la tua patria.
Riguardando la sorte come
autrice de’ mali
che hai da
noi tollerato , ■ o fatto a noi
, toma felicissimo a'
tuoi , ricevi gli empiessi
carissimi della tua
madre , le amorevolezze soavissime della
tua sposa , ed i baci
dolcissimi dei • tuoi figli
: almen simili
cose di sè.
Ma qual altro
può gloriarsi o centurione , o comandante d aver
presa come io la
città de’ Coriolani
(i)f O qual altro
in un giorno stesso
ruppe f annetta nemica
come io ruppi quella
degli .daziati, che
veniva per soccorrere
gli assediati 7 Lascio di
ricordare che dopo
tesi pegni di tnrtà
potendo io prendere
in copia dalle
prede oro , argettto , schiavi, giumenti,
gceggie , e terre vaste, e feconde
, non volli : ma
intento a serbarmi principal- mente senza invidia,
pigliai per me
solamente dalle prede un
cavallo militare , e da
prigionieri t ospite mio ,
ponendo tutto il
resto ad util
comune. Dite : era
io per tanto
degno di premj
o di pene ? Dovea subire la
legge da’ vilissimi
cittadini , o darla io lo- ro ? O non mi
espulse il popolo
pcf questo , ma per- (i)
La lode h,
perebt Coriolano prese
con pochi la
città, sema essere ni
ooniaodanle, nà tribuno,
a' qMii sarebbe alato
unto piti facile invaderla
colle milisie dipendenti.
chè io era
nel retto della
vita, un intemperante , un suntuoso, un
senza leggi? Ma
chi potrà dimostrarmi un solo,
pe* miei piacer
non legittimi esule
dalla pa^ trio, spogliato
dalla libertà, privato
degli averi, o ridotto
ad altra sciagura
qualunque ? se nemmeno
i nemici mai di
tali cose m’
incolparono o calunniaro- no,
contestando anzi tutti
come irreprensibile la
vita mia quotidiana? La
scelta, dirà taluno,
abbonila de tuoi governamenti
ti procacciò questo
male ; Ut polendo eleggere
il meglio ti
appigliavi al peggiore
: e dicesti e facesti tutto
perchè in patria
cadesse il comando degli
Ottimati, e s' impadronisse del
comune la moltitudine imperita , e scellerata, O Minucio
! Ben io mi
adoperava in contrario
, e provvedeva che il Senato,
maneggiasse in perpetuo
il comune , e re- stasse la patria
forma di governo.
Per tali belli
sta- bilimenti , creduti sì pregievoli
da’ nostri antenati , io me n ebbi
dalla patria la
si fausta e beata
ricom- pensa , cacciatone
non solo dal
popolo , o Minucio , ma molto
innanzi pur dal
Senato , il quale,
quando io mi opposi
a' tribuni che m
incolpavano di tiran- nide, mi animò
da principio con
vane speranze, quasi osso
fosse per operare
la mia sicurezza
, ma poi te- mendo de’
plebei mi si
distolse , e mi cedette
a’ ne- mici. O Minucio ! tu
eri console quando
faceveui il previo decreto
pel giudizio, e quando
Falerio, cita tanto ne
fu lodato , esortava
col dir suo , che
io fossi al popolo
consegnato. Ed io
temendo dal Se- nato un
decreto che mi
consegnasse ; condiscesi , e promisi di
andare f e presentarmi io
stesso in giudizio. Ma
dP Minucio , rispondi : parvi
al po- polo solo , o pure al
Senato ancora io
parvi degno di castigo
per lo buon
inaneggio e condotta mia
pub- blica ? Se così edlora
a tutti ne parve
; e tutti mi scacciavate; egli è
chiaro che quanti
così deliberavate, odiavate allora
la giustizia, nò
restava in Roma
al- cun luogo che sostenesse
il bene. Che
se il Senato
, violentato , si rendette
al popolo , e quella
fu /’ o- pera
della necessità non
del cuore ; confessate
che siete il gioco
degli scellerati, nè
resta al Senato
podestà niuna su qurmto
mai scelga, E ciò
stando , mi chie- derete che io
men venga ad
una città dove i
buoni son vittima dei
ribaldi? Troppo di
stolidità mi con- dannate ! Or su:
diamo che io
persuadami, e che deposta , come chiedete
, la guerra , ne
andiamo ; qual sarà
dopo ciò f animo
mio ? quale la
vita ? Sebbene eletto
il partito piò
sicuro e meno pericolo- so t cercando io
poi li magistrati,
gli onori, ed al-
tro che io credo
competermi , soffrirò di
adulare la turba che
li dispensa? vilissimo
diventerei di magna- nimo , e niente più V
antica virtù mi
gioverebbe. O restando ne’
miei costumi , e serbando le
istituzioni mie del viver
civile mi opporrò
a quelli che diverse ne
sieguono ? Or non è
manifesto che il
popolo di nuovo mi
combatterebbe , che a nuove
pene mi cite- rebbe, cominciando l'accusa
da questo, che io rido- nato da
esso alla patria
, pure ai piaceri
di lui non mi
conformo ? Certo non
dee dirsi cdtrimente.
E qui sorgerà tal altro
insolente tribuno che
simile agl'Icilj ed ai
Decj m incolpi di
scindere i cittadini fra
lorOf d insidiare il popolo , di
tradire la patria
a' nemici , di tentare
, come Decio me
ne imputava , la tiran- nide, o taC altra
ingiustizia , come ad
esso ne paja; giacché
non mancano a chi
ti odia i pretesti.
Pro» durransi dopo queste
, nè già tardi , le
imputazioni ancora su le
cose da me
fatte in tal
guerra, che io percossi
la vostra regione,
che rapii prede,
che espu- gnai città, che
di quelli che
le difendevano parte
ne uccisi, e parte a’
nemici li consegnai.
E se gli accu- satori allegheran tali
cause ; che dirò
io per ispedir- mene
? o con quale soccorso
sosterrommi ? Non è dunque
chiaro o. Minucio
che belle v' avete , ma
pur finte le
parole , e che un bel
velo date ad un
impuro disegno ? Non
a me concedete il ritorno
; ma vittima al
popolo me portate
; e forse ( giacché buone idee
su voi non
mi vengono ) vi
siete concertali a ciò fare , seppure ciò
non voleste, senza prevedere ( e vi
si accordi ) i mali
che ne avrei
da soffrire. Or che
varrebbemi la vostra
ignoranza ? che la
vostra stoltezza ? se
non potreste , anche
vo- lendo , niente impedire , necessitati
di concedere an- che questa colle
altre cose alla
plebe. Se non
che non piti bisognan
parole a mostrare che
questa, che io chiamo
via prontissima di
rovina : niente , sebben voi
la chiamate ritorno , gioverammi per
la salvezza. Che poi (
giacche m' invitavi
a riguardare ancor que- sto ) niente o Minucio
mi giovi per
la buona fama , niente
per P onore , niente per
la pietade , anzi
che io opererei turpissimamente ed
empiiss imamente se a voi
mi rendessi; ascoltalo
dalla mia parte.
Io mili- tai già contro
questi Folsci , e molto nel
militare li danneggiai ; procacciando alla
patria impero , forza
, chiarezza. Non convenivasi
thè io fossi
onorato dai beneficati , ed abborrito
dagli offesi ? jdppunto
; se a ragion si operava.
Ma la sorte
perverti tutto , e rivolse ciocché
t uno e C altro mi
doveano in con- trario. Voi per
le cose onde
io era a questi
nemico , mi spogliaste di
tutto il mio, e
, quasi ciò fosse
nul- la , mi bandiste : laddove , questi che
avean tanto infortunio da me
, mi raccolsero questi
nelle proprie città povero
, abbietto , senta casa e senza
patria- Nè bastando loro
questo splendido , questo
genero- sissimo tratto ; mi han
conceduto cittadinanza , ma-
gistrature y onori , quanti ven sono
piti grandi in
tutte le loro città.
Ma lasciamo questo
: ora mi han
fatto comandante assoluto delV
esercito posto oltra
iete a chiedere , e non
4^ me , la pace o
la tregua. Tuttavìa non
vi do questa
risposta : ma venerando gl’
Jddj patenti , rispettando le
tombe avite , commi- serando la terra
ove nacqui , le femmine , i fanciulli non degni
che su di
essi ricadano le
colpe de’ geni- tori e degli altri
; e j nommen che per
questo o Mi- nucio , in grazia
di voi che
foste qua deputati
dalla città ; vi rispondo , che se i
Romani rendono ai
fol- sci le terre
tolte loro , e le
città che ne
tengono , ri- chiamandone i
proprj coloni; se
fanno pace con
essi « comunanza perpetua di
diritti , come co’ Latini , e giuramenti ed
esecrazioni contro de’
violatori de’ patti; io
do fine alla
guerra. Annunziate primieramente
ad essi questo , poi , come avete
presso me perorato
, aringate presso loro
sul giusto : e quanto
è bella cosa che ognun
s’ abbia il suo , e vivasi in
pace : quanto pregevole
che niun tema
nè i nemici , nè i tempi
: e come è biasimevole che
chi ritiene l’
altrui si esponga senza
necessità alla guerra
con pericolo delle cose
anche proprie. Dimostrale
loro che non eguali
sono i premj vincendo
o perdendo per chi
ap- petisce r altrui : e se vi
piace aggiungete , che
quelli che han voluto
prendere le città
degli oltraggixti , se infine poi
non prevalgono , perdono pur la terra , e la
città loro , e vedono
malmenate obbrobriosamente
le mogli, portati
i figli agli affronti,
e li padri lorOj fatti
schiavi di liberi
, nelC estrema vecchiezza
; Per- suadete insieme il Senato
che dovrà tanti
mali alla stoltezza sua
non a Marcio. Terocchè
potendo fcàre il giusto
; potendo non incorrer
ne’ mali ; corrono
agli ultimi rischi ,
aspirando sentpre alC
altrui. Questa è la
risposta; nè potreste
altra averne dame:
andate, ponderate ciocché a fare
v abbiate : io vi
do trenta giorni per
decidervi. In questo
tempo ritiro o Minw- ciò
in riguardo tuo e
degli altri t esercito
da questi campi, che
asscù se vi
rinuuiesse, ne sarebbero
dan- neggiati, Al ventesimo giorno
mi ci aspettate
a pi- gliarne la risposta. Ciò detto
sorse , e sciolse 1’
adunanza : e nella notte
seguente presso 1’
ultima vigilia levò
l' eser- cito , e lo condusse OMilro
le altre città
Latine , sia ebe realmente fosse
persuaso che di
là verrebbono de’
sussid) a’ Romani , come 1’
ambasciadore avea detto , sia
che egli ne spargesse
la voce per
non sembrare d*
interrom- per la guerra in
grazia de’ nemici.
E piombando sopra Longola , ed impadronitosene senza
fatica , e fattovi come
nelle altre, dei
schiavi , e delle prede; venne
alla città de’ Satrìcani.
Presala , e tenutovisi pitxiolo
tempo , ordinò che parte
dell’ esercito recasse
le spoglie raccolte da
ambedue queste città
in Eccetra , ed egli
marciando coir altra parte
venne a Ceda, che
chiamano. Otte* nutala , e derubatala -,
si gittò nel
teiritono de’ Polu« scani
(1). Non valsero
nemmen questi a resistere
; ed espugnatili , si avanzò verso
le altre città
: prese di as- (i)
Questa Toce è aiqbigaa.
Lirio nooiioa Tiebbia
; ed altri ia questo
luogo di Oiooigi
vorrebbe por Silia
Seste : ma questa
par troppo lootaaa pel
viaggio di Marcio. (ij
Lapo parve leggere
Ttuelarù. salto gli Albieti
ed i MugiUaui ; e ricevette
a patti i Corani. Divenuto in
trenta giorni padrone
di sette citti ; si
rivolse a Roma con
più milizie che
prima : e fermandosene lontano
poco più che
trenta stadj , si ac- campò presso la
via Tuscoiana. Intanto
che prendeva ed univa
a sé le città
de’ Latini , parve ai
Romani , con- sultale lungamente
le proposte di
lai , di non
far cosa indegna della
repubblica. Pertanto , se i
Yolsci partis- sero dal territorio
loro , degli alleati e de’
sudditi , e lasciasser la guerra
e spedissero ambasciadori per
trattare la pace ; il
Senato decidesse allora
e ne riferisse al po-
polo le condizioni : non
decidesse però mai
nulla di umauo su
loro , finché stavano con
ostili maniere su le
campagne di Roma e
degli alleati. Couciossiachè
li Ro- mani (Muervarono sempre
altamente di non
far mai nulla pe*
comandi , nè pel terror
de’ nemici ; ma
di compia- cere, e
contentare gli avversar]
pacificatisi, e rendutisi,
nelle dimande se
fosser discrete. E Roma
ha mantenuto tale sublimità
di carattere in
molti e grandi pericoli , nelle guerre
co* cittadini e cogli
esteri , e tuttavia lo mantiene. Deliberate tali
cose , il Senato scelse
am- )>asciadori altri dieci
tra’ consolari , perchè dimandassero a Marcio che
non desse ordini
duri nè indegni
di Ro- (i) Silbnrgio
sospetta ebe io
luogo di Albiètì
debba leggersi La- hitiiati
ciot Laviniaui di
Lauinio , la presa del
quale era stata
tra- lasciata , come si t veduto
di sopra. Il
cognome di Lucio
l'apirio Mugillaoo prova che
vi ebbe una
città Multila di
nome , donde tono i MugiUani. montai . ama Ili. t
Digitized by Google 5o
DELLE Antichità’ romane ma , ma deponessc
le nimicizie , ritirasse le
truppe dal territorio , e cercasse
di trattare con
modi persuasivi e conciliativi , se voleva
che gli accordi
tra due popoli fossero permanenti
ed eterni ; giacché
gli accordi sia privati , sia pubblici , conceduti per
la necessità e pei tempi,
finiscono appunto co’ tempi
e colla necessità. Or questi , eletti ambasciadori , non si
tosto . udirono l’ ar- rivo di Marcio , andatine a lui , dissero assai
cose atte a guadagnarlo ,
badando di non
offendere co' discorsi
la maestà della repubblica.
Marcio però non
rispose altro se non
che consigliavali ( e questa
era 1’ unica
tregua che dava ) a tornar
fra tre giorni
con deliberazioni mi- gliori. E volendo essi
replicare ; non lo
permise : ma impose che
partissero immantinente dal
campo. E mi- nacciando che li
tratterebbe come spie
se non ubbidi- vano ; quelli ammutoliti
partirono incontanente. I sena- tori quantunque udite le risposte
ostinate e le minacce di
Marcio , pnre non decretarono
di portare 1’
esercito di là dai
confini , sia che ne
temessero , come raccolto in
gran parte di
fresco , la inesperienza
, sia che 1’ ab-
battimento temessero dei consoli
, poco intraprendenti per sestessi
, e giudicassero pericoloso il
cimento ; sia che i segni
celesti interdicessero loro
quella uscita per mezzo
degli uccelli , degli oracoli
Sibillini , o di altra visione
: cose che non
sapeano gli uomini
di allora , come
i presenti , trascendere. Adunque
deliberarono di guardare la
città con vigilantissima cura,
e di respingere dalle fortificazioni gli
aggressori. Ciò fatto e preparato
; nè tuttavia dispe- rando di piegar
Marcio , se lo
pressassero con deputazione
più augusta e più
grande , decretarono che pon- tefici ed auguri,
e quanti arcano sacri
onori e ministeri nelle pubbliche
divine cose ( e molti
sono fra loro e
sacerdoti e santi ministri , e questi i più
cospicui pel sangue paterno,
o pel merito proprio)
andassero in copia co’ simboli delle
divinità riverite e festeggiate
in Roma, e cinti di
sacre vesti , al campo
nemico , e vi replicas- sero
gli stessi discorsi.
Giunti questi , e dettovi quanto aveano dal
Senato , Marcio non rispose
nemmeno ad essi per
ciò che chiedevano;
ma consigliò che
partendo adempissero gli ordini
se volevan la
pace; o la guerra in
città si aspettassero
: del resto intimò
che non più ritornassero a lui
per far parlamento.
Caduti ancora di questo
tentativo , e deposta ogni speranza
di pace , si apparecchiavano i Romani
per 1’ assedio
; , collocando i giovani più
vigorosi alle fosse
ed alle porte
, e li ve- terani già licenziati
ma pur buoni
ancor per le
armi , alle murai Le mogli
loro , quasi approssimatasi già la
tempesta , lasciato il decoro
col quale si
tenevano in casa , correano ai
templi piangendo ed
abbracciandosi a’ simulacri de’
numi. Ed ogni
sacra magione , special- mente quella
di Giove in
Campidoglio, risonava di ie*
minei ululati e di
suppliche : in questa
una matrona preminente per
lignaggio e per dignità
trovandosi allora nei meglio
degli anni , attissima
a provveder ciocché deesi (Valeria
ne era il nome) sorella
di quel Popli- cola
il quale aveali
già liberati dai
tiranni', eccitata da istinto
divino , si fermò nel
grado più alto
del tempio , convocate
le donne compagne
, primieramente le consolò
ed animò a non
smarrini ne’ mali , poi
diede a vedere che
restavaci una speranza
di scampo, riposta in
loro nniramente , se faceano
quanto era d'uopo.
Al- lora r una di esse
ripigliò : Con quale
opera nostra mai potremo
noi donne salvcwe
la patria , non sa- pendo
più fare ciò
gli uomini ? E qual
forza ah- hiam noi,
deboli, sciaurate F E
Valeria, non le
arme, disse , abbisognano , non le
mani ; dispensandoci da ciò
la natura, ma
le arnorevolezze e la
persuasiva. Or qui , fàltusi
clamore , e pregandola tutte
a svelarlo se pur ci
avea rimedio alcuno , disse : In
questo lutto , in questo
disordine di vestimenti
prendete compagne anche altre
donne, e menando con
voi li vostri
figli, ne andiamo in
casa di Veturia
la madre di
Marcio. E ponendo i nostri figli
dinanzi le ginocchia
di essa, e lagrimando ; scongiuriamola che
impietosita di noi non
colpevoli di male
ninno, e della patria
ridotta in pericolo estremo , vada al
campo nemico ; e vi
meni i suoi nipoti, la
madre loro e noi
tutte, le quali
la seguiremo co' nostri
figlioletti : e che interceditrice presso del
figlio, lo dimandi,
lo supplichi a non
fare la calamità della
patria. Lei piangendo
e rimovendo- lo; nascerà
forse alcuna compassione
o mite pensiero in quesF
uomo , che già non ha
si duro ed
impene- trabile il cuore da
respingere fin la
madre che ab- braccigli le giruscchia. XL. Poiché
le astanti ne
approvarono il dire;
ella supplicando i numi di
dare persuasiva e grazia
alle istanze, loro pari)
dal tempio. La
seguitarono le altre
; e prese dopo ciò per
comp-igne alti’e donne
, ne andarono in fòlla
alla casa della
madre di Marcio.
Volannia la mo» glie
di Marcio seduta
presso la suocera
si meravigliò nel vederle
, e disse : E che possiamo
noi farvi , o donne , cito in
tanta moltitudine venite
ad una casa di
sciagura e di aflizione?
E Valeria soggiunse: i?t- doUe
a pericoli estremi noi,
con questi fanciullelli , veniamo a te
supplichevoli, o Feturia, per
implorare^ tonico e solo ajulo,
e primieramente che abbi
pietà della patria non
mai fin qui
stata in man
de' nemici, eicchè non
vegli soffrire che
ora la libertà
le si tolga dai
Folsci; seppur conquistando
la patria la
rispar~ mieranno, non la
struggeranno dai Jondamenti.
Dipoi per noi preghiamo
e per questi miseri
fgU, sicché non veniamo
tra gli strazj
degf inimici, noi
niente ree de mali
accaduti. Se un
cuor ti resta
in parte al- meno, clemente ed
umano; deh! tu
ne compassiona, o F fluria ,
tu donna , e tu partecipe
de' diritti sacri , inviolati delle
donne (i): prendi
teco Folunnia, que- sta ottima donna,
e con essa i suoi
figli, prendi coi figli
nostri pur noi
supplichevoli a un tempo
e ma- gnanime , e vieni al tuo
figlio , persuadi , insisti , ni dar
fine alle suppliche
, finché pe' tanti
benefizj tuoi non ottieni
da lui che
si rappacifichi co’
suoi citta- dini, e rendasi alla
patria che lo
ridomanda'. Ut, ben 10
sai, trionferai di
lui, che pietoso,
certo te non dispregierà prostrata
a’ suoi piedi.
E tu riconducendo 11 figlio
tuo alta patria,
ne avrai, corni
è giusto, splendore sempiterno , perchè
C avrai liberala da
tale ()) Meli’ uso
della Religione comune rischio e terrore:
e sarai cagione a noi
di essere oHo~ rate
presso degli uomini
; perchè avremo sciolta
la guerra che non
potè da essi
dissiparsi. Parremo cojI le
discendenti veramente delle
femmine che mediatrici terminarono la
guerra di Romolo
co’ Sabini ; e conm giunsero duci e
nazioni, e grande renderono
di pie— dola la
città (i). Magnìfica
sarà t impresa, o Fetu- ria , d' aver seco
riportato il figlio
, d’aver liberata la patria
> salvate le sue
concittadine ; e di lasciare
ai posteri suoi luce
indelebile di virtù.
Dacci, o Fetum ria , con cuore
spontaneo e vivido questa
grazia ; vieni , ti
accelera ; poiché grande , imminente il pe-
ricolo non ammette più
indugio , o consiglio. XLI.
Giù detto , tutta
in pianto , si
tacque. E pian- gendo pur esse,
e pregando vivamente le
compagne; iVeturia, vinta dalle
lagrime, dopo breve
silenzio, disse: Foi seguite
, o Falena , leggera e
fiacca speranza ; promettendovi un
ajulo da noi ;
donne infelici. Ben abbiamo
tenerezza per la
patria , e volontà di saL'ore I cittadini, qualunque
mai siano; ma
la potenza e la efficacia ne
mancano per compiere
ciocché vogliamo. Marcio , o F ileria , ne rifugge
da che il
popolo fe’ di lui r
amara condanna , ed
odia tutta la
casa in- sieme colla patria.
E ciò diciamo , sapendolo da
Mar- cio stesso', non da
altri; perocché quando
soggiaciuto alla condanna venne
in casa in mezzo
agli amici , trovando noi
addolorate , abbattute , co’
figli suoi su le
ginocchia , e che piangevamo , corri
era giusto , e (i) Vedi
1. a, $ 4^ »
espone disicsantenle tale
storia deploravamo la sorte
che ci soprastava
nel perderlo ; egli
fermatosi alquanto da
noi lontano, insensibile
come una pietra, e co’
sguardi fissi, partesi,
disse ^ Marcio da voi,
o madre, o Volunnia donna
bonissima, cacciato dai suoi
cittadini perchè prode,
perchè amico della
repubblica, e perchè subito ha
tanti travagli per
la patria. Voi
so- stenete , come si conviene
a femmine virtuose , tanta
calamità , non facendo
mai nulla d’ indegno , mai nulla di
vile: consolandovi in
questi fanciulli sulla
mia priva- zione , educateli degni
di noi , e della
stirpe. Gli Dei concedano
ad essi , uomini divenuti , sorte più
buona ; ma virtù
non minore. Addio.
Io vado , e lascio questa città
che più non
cape gli onesti
uomini. Addio numi tutelari, e tu
Vesta, paterna divinità,
e voi quanti siete Dei
di questo luogo.
Appena ciò disse , noi
misere , noi dal
dolore impedite, scoppiando
in gemiti, e per^ cotendoci il
petto portai'amo a lui,
per riceverli an~ cara , gli amplessi
estremi : ed io
menava meco il maggiore
de’ figli , e la madre
avevasi in braccio
il minore. Quando egli,
ritirandosi e rispingendoci, disse: Da
ora innanzi Marcio
non più sarà
tuo figlio , o ma- dre,
togliendoti la patria
in esso il
sostenitore della tua cadente
età , nè più
sarà da questo
giorno il tuo
spo- so, o Volunnia: ma sii
pur felice, un
altro cercan- dotene più di
me fortunato : nè
più sarà padre
vostro o figli carissimi: ma
orfani e solitarj presso
queste cre- scete fino agli
anni virili. Ciò
detto , nè soggiungendo altro, nè
comandando, e non significando
nemmeno ove andasse , uscì di
casa , o donne , solo , senza
servi , in disagio , senza
portare seco delC
aver suo neppure il
vitto di un
giorno. E già volge
t anno quarto eh’ egli
fuggì dalla patria,
e riguarda noi tutto come
straniere , niente scrivendo , niente
mandandoci a dire, e niente volendo
di noi risapere.
Or presso un cuore
si duro , si impenetrabile
, o Troieria , qual forza
avranno le preghiere
di noi alle
quali non dava, partendo £ ultima
volta , non un amplesso , non un bacio , non significazione niuna
dì affetto? Che se
tuttavia domandate voi
questo , e vo- lete in tutto vederne
wniliate ; concepite , che
io e Volunnia a lui
ci presentiamo co’
figli. Quali discorsi io
madre , dirìgo la prima , quali
preghiere porgo al mio
figlio ? Dite , ammaestratemi. Chiederò
che per^ doni a suoi
cittadini da quali
( e senza che offesi
gli Oi’esse ) fu privato
della patria F Chiederò
che inte- neriscasi o
compassioni la plebe,
che su lui
non seppe intenerirsi , tré compassionarlo? Che
abbandoni e tra- disca
quelli che esule
lo hanno raccolto , i quali seb- bene malmenati già
un tempo da
lui tanto e sì
fe- ralmente , pur non £ odio
gli mostrarono di
nemici , ma la benevolenza
di amici e di
congiunti ? E con qual cuore
pregherei io mai
questo mio figlio
che amasse chi lo
sterminava, ed oltraggiasse
chi lo sal- vava ? Non sono
questi i discorsi di una madre
savia al suo figlio
, non di una
moglie al marito
: nè voi ci astringete , o donne , che imploriamo
da lui cose non
giuste presso degli
uomini, nè pietose
presso gli Iddii: piuttosto
lasciate noi misere
nella umiliamone ove siamo
per la sorte
, senza che noi
pure svergfs- gniamo piu
ancora noi stesse. Taciutasi lei,
surse un tanto
lamentarsi di femmine, e tale
un pianto ne
riinbotnbò, che udendo- sene i • clamori per
gran parte della
cUlà , si empierono di popolo
le vie d’ intorno
la casa. Poi
rinovando Va- leria più lunghe
e più commoventi preghiere , le altre donne , com’ erano
congiunte di amicizia
o di sangue con r una
o l’ altra di loro , supplicavano ancora
in atto di stringerne
le ginocchia. Tantoché
non più re«- stendo
per l’ afflizione fra tanto
piangere e supplicare;
cedette infine Vetutla
, e promise di andarne
oratrice per la patria
co' figli e colla
moglie di Marcio , 'e^
con quante cittadine voleano.
Racconsolatesi allora vivaiùeuté, ed invocati
i numi a favorire le
loro speranze , parti- rono dàlia casa , e nunziarono ai
consoli il fatto.
E questi, lodandone là
buona volontà, convocarono
ed interrogarono i padri ,
se fosse
da concedere che le
femmine ^uscissero. Or
molto, e da molti se ue
disputò; tanto che giunti
a sera dubitavano ancora
ciocché fosse da fare.
Dicevano molti non
essere piccolo cimento
per- mettere che le donne
andassero co’ figli
al campo dei nemici;
imperocché se questi,
spregiando le leggi
sacre degli ambasciadori e de’
supplichevoli , volessero
che le femmine non
più 'rìtornassero , prenderebbono Roma senza
combattere. Pertanto consigliavano
che si lascias- sero andare a Marcio
solamente le donne
che a lui si appartenevano insieme
cu’ figli. Altri
però giudicavano che non
si concedesse che
andassero nemmeno rpieste; anzi
esortavano di custodirle
gelosamente , e di consi- derai le come
ostaggi sicuiissimi, perchè
la città nou subuse grave
disastro. Per l’ opposito
altri proponevano che si
accordasse a quante donne
volevano , di uscire
, perchè^ le donne
congiunte a Marcio , fornissero
con ' più dignità
la mediazion per
la patria. Dicevano
che non succederebbe ad
esse niente di
sinistro; giacché ne sarebbero
mallevadori primieramente i numi
col favore santo de’
quali si moveàno
ad intercedere ; e poscia
il duce stesso al
quale ne andavano , come uomo
puro ed inviolato in sua vita
da ogni ingiusto
ed empio at- tentato. Vinse finalmente
il partito che
accordava alle dònne di
andare, e còn decoro
amplissimo di ambedue; del
Senato come savio , perchè vide
ciocché era a farsi il
migliore , senza punto turbarsi
al grande perìcolo
; e di Marcio finalmente
per la sua
pietà, perché fh
confi- dato, che niènte oliraggerebbe
tal parte imbelle,
espostasi a lui quantunque egli
fosse nemico. Steso
il decreto , e recausi l consoli
al Foro, e raccoltovi
il popolo, essendo già
notte , vi palesarouò il
voler del Senato
, e preor- dinarono , che
tutti al nuovo
giorno accorresserò alle porte
per accompagnarvi le
donne che uscireld)ero.
Busi frattanto, diceano, che
curerebbero quanto era
d'uopo. Era ornai l’alba
vicina;, quando le
donne por- tando i figli loro , andarono colle
faci , e presa in sua casa
Vcinrìa , la condussero
alle porte. I consoli
idle- sUte mule da
tiro, e carri , ed altri
trasporti moltissi- mi, ve le
acconciarono, e seguironle per, lungo
tratto: le accommiatavano intanto
i senatori ed altri
in buon numero con
auguri, con preghiere,
con eocomj , ren- dendone
cosi più
dignitoso il viaggio.
Come si potè dal
campo distinguere , che donne , lontane ancora , si àvanzavano , Marcio
spedi de’ cavalieri
per apprendere che fosse
quella moltitudine , e
perehé dalla catti
ne veoisse. E risapendo da
loro che venivano
le donne Romane oo*
6gli , e che innanzi -di
tutte era la
madre di lui, e la
moglie co’ figli
suoi; stupì da
principio che femmine potessero
aver cuore di
avanzarsi co’ Ggli
senza guardie al campo
nemico , e darsi a vederè ad
uomini insoliti , lasciata
la verecondia conveniente
* a matrone ingenue e pudiche , e
la paura
del pericolo nel
quale incorrerebbero , se
questi volgendosi airutile
più che al giusto
, volessero acquistarle , . e
giovarsene. Ma poscia- cbè
furono vicine , deliberò di
uscire* dal campo
con alquanti ' verso la
madre , comandando ai littori
che quapdo le fossero
dappresso deponessero le
scuri , e le abbassassero i fasci. Usavano
i Romani questo rito
quando i magistrati minori s’
incontravano co’ maggiori
; ed il rito persevera
ancora. Osservò Marcio
allora tal pratica, e rimosse tutti
i segnali dell’ autorità
sua ; quasi egli dovesse
presentarsi ad una
autorità maggiore : tanta
fa la riverenza , tanta' la
sollecitudine sua per
la pietà verso la
madre.' XLV. Fattisi ornai
vicini , si avanzò
la prima per riceverlo
la madre , ahi ! quanto
miseranda , squallida vestunenti
, e logora gli occhi
dal piatito. Come
la vide , Marcio , duro , imperturbabile
fin’ allóra contro tutti
gli assalti , non più
valse a persistere nel
propo- sito suo: ma vinto
dagli affetti del
cuore umano corse, la
strinse , la baciò , la chiamò
con tenerissimi nomi:
e molto lagrimandone , e
curandone ; la sostenne,
mentre venuta meno abbandonavasi
a terra. Soddisfiitta la
tenerezza sna verso
la madre , ricevendo la
donna sna che sea
veniva co’ figli
disse ^ Fornisti o Koluimia
gli of- fizj di
ottima donna , >
uh’endoli presso la
mia geni- trice: ed io
godo come su
dono dolcissimo infia tutti,
che non t qhbandonasli nella
sua solitudine. Dopo ciò
chiamato a sé 1’
uno e l’altro de’
figli , e ca- rezzatili come si
conveniva ; si rivolse
noVamente alla madre, invitandola
a dire per qual
fine veniva: ed
ella soggiunse che il
direbbe , udendola tutti ; giacché
non chiederebbe se non
giustissime cose. Lo
esortava dunque che sedesse
nel luogo appunto
dal quale solea
far giu- stizia a’ suoi
militari. Con piacere
udì Marcio la
propo- sta , pen hé varrebbesi
di assai più
regioni per rispon- dere alle istanze
.di essa , e darebbe
dv opportunissimo luogo fra
la turba la
risposta (i). Adunque
recatosi al tribunal militare
fe* da indi
rimovere e calarne al
pian- teiTeno la sedia
, giudicando non dover
lui tenersi p’ù alto
che la madre , nè
còn maestà niuna
contro di lei. Poi
fatti sedere presso
di sé li
più cospicui de’
capitani e dei centurioni , e lasciando che
intervenissero quanti
volevano ; significò alla
madre che incominciasse. Veluria , poste
innanzi del tribunale
la donna di Marcio
co’ figli e le
altre più ragguardevoli
tra le Romane , ' pHmieramente rivolti
gli occhi alla
terra , pianse lungamente , p mosse tenera
compassione negli astanti : poi
raccogliendo sé stessa
disse : Le donne
, o (i) Perché sarebbe
siala risposta pubblica;
udendolo cbi Tclcea
; e perché cjuel luogo
stesso, di dignità
e di comando aerebbé
ricor- dalo «Ila madre le
ubbligaiionf Che egli
arcTa co' Votaci. (a)
Anni di Roma
a06 sccoodu Calorie,
a63 secondo Varoue, e 4^
arami Criaio. Marcio figlio,
considerando gC info rtunj
che su di esse
piomberebbero se la
città divenisse de
nemici , diffidatesi di ogn
altro soccorso , poiché
tu davi le sì
dure, le
jì ostinate risposte
agU uomini che
chiedeano un fine alla
guerra ; queste donne
, o Marcio ^co’ /?- glioletti ,
in questo lugubre
apparato ricorsero a me tuà
madre , ed a V olunnia tua
sposa per supplicarci 'a non
permettere che avessero
tanto male ‘da
te, più che da
ogn altro , esse cfie
non ci aveano
offeso punto nè pocO',
e che grande ci
aveano dimostrata la benevolenza
nella nostra sorte
felice, e viva nom- meno
la compassione quando
ne dec'ademmo. Noi
ben possiamo testificarti che
dalf ora che
tu lasciavi la patria , daW ora
che noi restavamo
derelitte nella so- litudine , e nel nulla
, esse di continuo
ci visitarono , ci consoletrono
, e piansero al pianto
nostro. Memori di tanto
io e questa tua
donna , coabilatHce mia ,
non abbiamo già
ripudiato le loro
preghiere , ma preso abbiam cuore
di cercarti ; e pregarti
, corno ci atìdimandavano , per
la patria. E lei parlan(h>
ancord , Marcio ripigliava
: rnadre ! se' tu
venuta per un
impossibile , venendomi a
chiedere , che io Iralisca
quelli che mi
hanno ri- cettato a quelli che
mi bandivano , quelli che
mi do- navann i beni,
più grandi fra
gli uomini a quelli
che tutto il mio rn involavano.
Io pigliando questo
cofnan- do, dos a malle\'adori i genj
ed i numi,, che
non avrei tiadito gU
ospiti miei, nè
finita la guerra
se cosi non fosse
piaciuto a tutti i Volsci.
Pertanto adorando gt Iddìi
su quali giurai,
riverendò gli uomini
a quali vincolai la mia
fede, guerreggieiò fino
alla decisione co' Romani.
Se renderanno mì
f^olsci le terre
che" ne possiedono colla
forza ; e se amici
se ne fwanno
, accomunando ad essi
tutto , come co' Latini
; deporrò ' le armi : altrimente
mai contro di
essi le deporrò
/ Voi dunque andatene.,
o donne, riferite ai
vostri un tal dire ,
e persuadeteli a non pretendere
ingiusta- mente [ altrui, ma contentarsi
del prpprio , quando altri lascia
che lo abbiano.
Non aspettino che
si ri- tolga loro colla
guerra , quanto colla
guerra usurpa- rono ai. Volsci;
perocché li vincitori
non saranno già paghi
di ricuperate i lor
beni, ma vorranno
quelli ancora de’, vinti.
Se ritenendosi, e difendendo
ostina- tamente ciocché lor uon
si spetta, vanno
incontro m pericoli, accusino
sestessi, e non Marcio,
e non altri de' mali
che piomberanno su
loro. E tu -daW
altra parte', o madre , io figlio
tuo le ne
prego , non mi sollecitare a cose
non degne, nè
giuste; nè, unendoti d miei e tuoi
malevolissimi , volete credere a te
con- trarj quelli che
■'ti sono per
natura amicissimi : ma standoti , coni è ragìc^nevole , presso me , vegli
riguar- dare per patria quella
che io riguardo',
e possedere per' casa quella
che io possiedo,
e godere con me gli
onori miei , e la mia
riputazióne , presi per parenti , per
amici e nemici tuoi,,
quelli appunto cK io pren- dami. Bandisci, o misera , f afiìanno sostenuto
finora per la mia
fuga, e pesfa in
tale tua forma
.di aflig- germi. Gli altri
beni , o madre , più belli
della spe- ranza, più grandi
del desiderio mi
son dati da
mimi, e dagli ùomini. L’affanno
che io prendea
su te, non contraccambiandoti col
nudrirli ne' senili
tuoi giorni, diffuso per
le mie viscere,
amareggiava e levava la mia
vita da ogni
bene. Se meco
ti rimani, se
parte- cipe ti fai di
ogni mia cosa;
più non mi
mancherà alcuno -tra L mortali.
XLVIII. E qui taciutosi
lui , Veturia sopraslando breve tempo
&nchè , cessassero le
lodi cbe molte
e grandi gli si fecero
da’ circostanti, soggiunse: Non
io. Marcio figlio , ti
voglio il traditore
de' Volsci , che ricevitori tuoi nelC
esìlio , ti onorarono
in iMtte guise
, e ti affidarono il comando
di ses tessi ; nè
voglio che. tu da
te solo finisca
senza il voto
comune, la guerra contro
i patti e i giuramenti, chè
facevi loro, quando prendevi armata
: nè temere che
la madre tua
siasi di tanta malvagità
riempiuta ; ‘ che inviti
C unigenito e carissimo
figlio a cose vituperose
e non giuste: ma cJtiedo
che tu levi
col pubblico voto
la guerra , ridu^ cendo i V ytsci
a temperanza , e ponendo tra le due
genti pace ì>ella
e decorosa. E ciò sarà
fatto , se al presente
movi t armata e la
ritiri, e fai tregua
per un anno ; perocché
spedendo e ricevendo in
questo tempo ambasciadori ,
procaccerai pace stabile
, e vera amicizia. Tu ben
-sai che f Romani
, se il disonore , o la impossibilità
non lo vieta
; faranno vinti dalle persuasive ogni
cpsa : laddove violentali , come ora vuoi
tu violentarli , non
concederanno mai cosa
pic- ciola o grande , come puoi
tu conviruertene da
tanti esempj , ed ultimamente
dalle cose concedute
ai La- tini che deposeco
le ormL 1 Volsci,
dirai, sono assai
' più pertinaci, come
avviene ai gran
fortunati. Ma se ricordi
loro che ogni
pace vai più
della guerra: e che più
stabile è quella che
si fa per
amicizia la quale rende
i cuori propizj , che
non, f altra la
quila per necessità si
riceve: esser proprio
de’ sa>’i moderare la sorte,
quando stimano averla;
non però mai
ft^ cosa indegna nelle
vicende infelici e meste
; se dirai loro gli
altri documenti quanti
sen trovano ( notissimi
a voi che il pubblico
maneggiate ) per indurre a dolcezza
a mansuetudine ; scenderanno dalt
eUterigia ove sono ,
e concederanno che facci
quanto credi a loro
giove- vole, Ma se resister^anno
, se non ammetteranno
il dir tuo , sollevati
dalle belle Jbrluna
provenute da te e dal
tuo comandare , cqme siati
quéste immutabili ; rendi
loro palesemente co
lesto tuo capitanato
, nè il traditore sii
di chi te
lo afJidcR>a , nè
il combattitore de’ congiuntissimi tuoi ;
cose , T una e t altra
inde- gnissimo. Queste soao , o
Marcio figlio , le cose
che io vengo a supplicarti
che sian fatte
da te , non
im- possibili come tu dici,
ma pure da
ogni '' rimorso di
ingiustizia , e di malvagità. Tu
temi '( sono
questi i titoli che
vai ma- gn'ficanio col
discorso ) tu temi
d’ incorrere sé fai
quanto consiglioU, la
taccia rea come
d’ ingrato versa i tuoi benefaUori , i quali ti
accolser nimico , e ti a nmisero a tutti
i-loro beni , quali se
gli hanno co^ loro
che nacquero cittadini.
Ma dì j non
hai tu len- dulo
toro il molliplice
e bel contraccambio ? non
hai suj'ferato i benefizj loro
colt amplitudine immensa dei tuoi?
Costoro che leneano
pel sommo e pel
più ama- bil de
beni viversi liberi
usila patria ; gli
hai tu ridutU
(fuesti non solo
arbitri stabilmente di
sestessi , ma tali infine
da bilanciare , se
tornasse lor megliò, di
abbattere la potenza
de' Romani, o di partecipare, ugualmente alla
repubblica che Roma
ha fondato. Lascio' di
dire con quante
spoglie abbi ornalo
le loro città per
la guerra, e con
quanta ricchezza premiato quelli che vi militav vedo
che^ gU orgogliosi
che quei che' spregiano
le preghiere -de
supplichevoli, cor- rono all ira
de' numi ed
alia sciagura finalmente. Certo gl'
Jddii • istituirono e ne
dierono tale costume
,- essi i pruni ptrdanano
s e fqcili si rappaciane';,
e molti si. placarono già
pe’ voti j e'
pe' sagrifizj verso di
uomini, lontani per
grandi reità da
loro". Quando o A/arcio tu
tioti vagli che.
l’ irà de’
celesti sia mor-^ tale , ma immortale
quella , degli 'uoniini
; • forai con rettitudine f e con
dignità tua o della
patria , se ne condoni gli
errori , essa già correggendosene , e pla- candotisi , e
rendendoti quanto prima
ti levava. LI. Che
se implacabile ti
rimani , rendimi questo deposito, questo
benefizio y i quali niun altro
può ri- peterti i e pe’ quùli
hai tu non
le minime , ma*
le auiplissinte è
pregiatissime doti ,' onde tutto
ottenesti,, rendimi il corpo
tuò e l’ànima. Derivate
le hai que- ste da
ma; ; nè luogo
o tempo , nè beneficenze
, nè • grazie di
Fblsci o di altri
mai tanto ' eccederanno
e saliran fino^ ai
cieli ;. che
tu possi» csmcellar
la natu- ra, ,nò pù't
udirne i diritti. Mio
sarai pur tu
semproj e sempre il bene
del vivere a me
dovrai per- la pri- ma, e 'farai senza
scusartend quanto ti
additnando- Ciò prescrive la
natura ai viventi
che sentono e che ragionano { >e
di ciò confidata
puf io , ti
supplico o Marcio figlio
a non portaré guerra
alla patria;, o qui
sto per oppormiti
se le fai
violenza. O me tua madre
che mi ti
oppongo sagrijicherai prjma
di tua mano alle
furie , e cosi darai principio
alla guerra; o, se
temi la infamia
di matricida, cedi o
figlio alla madrfi tua ;
dammi , flie il
puoi , questa grazia. Se questa
leg^e che niun
tempo ha mai
tolto, mi assiste, mi
protegge > non è giusto
o Marcio che io
sola sia da te
priva degli onori
che essà mi
concede. Ma Ics- sciando
questa legge , ricordati
la tanta e gran
sc^ie de'miei benefizj. Io
prendendo a curar te
fanciulletto, orfano del padre
tuo védova me ne
rimasi , e gli stenti tutti soffersi
onde allevasi, madre
tua non solo , ma padre
in ur[ tempo
, educatore é sorella
dimoetrandomiti , ed ogni
altra spficie . di
teneri .og- getti. Divenuto tu
grande, potendo io
liberarmi dalle • cure , nutritandomi ad
•altri , e darmi nuovi figli
e nuove speranze sostenitrici
della vecchiezza; non
volli, hià restài ne'
tuoi lari 'domestici , contenta della
vita medésima, e ristringendo a 'te
sólo ogni mia
conso- lazione, ogni bene. Di
questi ine. ne privasti-
tu, parte di voler
tuo , parte senza volerlo
, rendendomi infe- licissima
tra le
madri. ^ qual tempo,
da che toccasti l' età •virile , qual tempo
io pissr mai
sene’ agitazioni e terrori? e quando
ebbi, mai l' anintà
tranquilla so- ' pra di
te , vedendo che
acciimolavi guerra a guerra
, che passavi da
battaglia a battaglia, e ricevevi
ferite su ferite ? . . Lll.
E quando ti desti
alla repubblica cd
al ma- Digilized by
Google ’ - Lifino vm. 69 ncggìo
de' pubblici affari , gustai forse
io tua madre diletto
alcuno ? Eh ! Che
ne divenni allora
più mi- sera , mirandoti in
mezzo alla civil
sedizione. Impe- rocché le uìe
provvidenze pér le
quali più sembravi valere , e per le
quali sostenendo i patrizj , spiravi indignazione contro
del popolo , queste mi
spaventa- vano tutta , considerando
, per quanto tenui
motivi tramutasi la sorte
degli uomini: e sapendo
dai tanti casi uditi
che qualche ira,
divina traversa i valentuo- mini , e la invidia
umana li perseguita.
E_ così non fossi
stata , come io '
m' era
troppo vera indovina degli eventi!
fa civile, invidia t' assalì,
ti sopraf/kee, ti sifclse
dalla patria,. Il
refto della vita
mia, se vita può
dirsi da che
partendoti ' mi lasciasti
co' figli tui , passò
tra questa desolazione.,
Va questo apparato
di lutto. Per tutto
questo io che
molèsta mai non
ti fui, nè ti
sarò finché vivo ,
ti prego
che vagli serenarti una
volta co' tuoi cittadini
f' c finir C Ira acerbissima che nudri
contro la paù'kt.
E con ciò di
cosa io ti prego
non buona per
me solq, ma per ambedue.
Per le Se tea
persuadi , nè scorri
ad azioni non
degne ; perchè avrai
C anima immacolata e libera
da ogn’ ira, da
ogni^ terrore di
furie persecutrici , e p6r me
poi , perchè la
fama che men
yetrà , mentre vivo,
dai cittadini, e dalle cittadine.
Tenderà beati i miei
.gior- ni f e quella che mi
sarà dispensata come
io presa- gisco , dopo^ morte
, renderà sempiterno il
mio nome. E se 'dopo
morte riceve alcun
luogo le anime
sciolte da corpi; riOn
riceverà già la
mia quel sotterràneo rp tenebroso ove
dicono che i detnoni
soggiornano ; nq 1 il ampo
che chianìdn di
Lete; ma C etere
sublime e puro, ove
dicono che albergano
con prospera e beata sorte
i JigUifoli de’ numi.
JB’ià divulgando anima min
la pietà e le
grazie onde m’hai
riverita, ten chie- derà per sempre
dagt Iddii la
degna- ricompensa. LUI. Ma
se dispregi la
madre tua , se
inonorata la' rimandi n
per me fortunata nò
per le, la
quale hai salvato
la patria, e perduto insieme il
pietoso ed amantissimo
tuo figliuolo. Cosi detto , si ritirò
ne' siioi padiglioni
; comandando che lo seguitassero la
inoglie; la madre
-,, i fi^i : é vi
si. tenne tutto il
resto dei giorno , eonsultaudo , con esse
ciocché era da fare.
Enrono le risoluzioni
: che nè il
Senato proponetse al popolo
, nè il popolo
decretasse nulla del suo
ritorno , prima che
.si persuadesse aWolsci r amicizia e la
cessaziofs della guèrra.
Egli leverebbe e ritirerebbe /'
esercito , marciando cofne tu
terre di amici: Dato
conto del suo
capitanato, e dimostratina - i beni;
pregherebbe quelli. che glie
lo aveano càtfi» flato,
a’ volersi ricongiungere
per giuste condizioni
ai nemici ,. ed incarieore
lui pefchè vi
fosse ne patti
t o- fpùtà , senza niuna
fmdolenza. Che - se
protervi pei successi filici
non aecettósser la. pace;
egli si spoglie* rebì>e del
comando. In. tal
caso o non sosterrebbero essi di
^leggete un altro
per ^mancanza di
buoni capi* ioni ; o cimentandosi di
'affidare le forze
ad un altro qualunque, imparerebbero
a grande lor danno,
ciocchi era V utile a Jare.
Tali sono le
deliberazioni ira loro tenute,
e riconosciute per eque e
giuste, e capaci presso tutti
di buona faina,
oggetto principalissimo delle
cure del valenluomo. Ben
erano essi agitati
da- un timido
sospetto che la turba
irragionevole speraozala di
debellar riiiinii* co, delusane,
alfìne infuriasse; e setiz’amihctter discorso trucidasse come
traditore' quel suo capitarlo;
tuttavia deli- berarono
d’inedutrere non pur
questo ma ogn^allro
più tetro pericolo, e serbare
vh-tuosameule la fede.
E poiché il giorno piegava
a sera; datesi vicendevoli
signiflcaziout di affetto ,
uscirono da' padiglioni , e quindi le
donne tornarono a Rema. Esitose
Marcio agli astanti
le cause che lo
inducevano a scioglier là
,guerra , e pregò lun- gamente t sòldan che'gb'el
condqnassero , e che tornati
in patria , ricordevoli
de’ suoi beneQzj ,.
non'' permettes- sero essi compagni
suoi , che subisse alcun
reo tratta- mento dagli altri.
Ej ragionate altre
cose , tutte persua- sive ,
t:omandò che iaces^erq
le b^gagHe , oude partire la
notte 'seguentPi LVi Coinè
seppero dalla fama
,' percorsa alle, donne, die Icvavasi
il pericolo loro , uscirono lietissimi
i Ro- mani dalia dtlà per
incohlcarle; dicendo e fàcendo
ora a cori, ora ad
uno ad uno, salutazioni e' cantici
e tri- pudj , quali gli latino
e li dicono quelli
che' da rischio terribile passano
» prosperità non pensata.
Si menò poi Ja
notte tutta' In
feste e conviti : nel
giórno appresso il Senato
adunato da consoli
su Marcio dichiarò
che si differisse in
tempo più acconcio
a risolver gli onori
da farseglt : ma. che
per lo zelo
ditnostrato sì desse
alle donne nc’ pubblici antichi
registri un elogio
che ne'por- tasse eterna
la memoria , tra’
posteri , ed un donativo
, Digitized by Google / LIBRO Vili,
, -)3 qual sarebbe il
pti\ car ed ' ' i Romani
-colende ; giorno appunto
che disciolse la 1 “ ^ , (i) Cotiolano
si approssioiò.due volte
a Roma j 'la prima
volU ai accampò preaso
le fosse delle
Cluvìlie.-io distaosa di
ciitipie mi- glia, e la seconda
io luogo anche
piò vicino a Roma,
iiitburgio scrive, che io
questo secondò luogo
appunlo fu eretto
il tempio delta Fortiuia Mulirhrc.
A questa sci\tei]sa sembra
corritpondero ricchezze ,
noh ricéVò con
dispiacere la iùtérro* zvon
della guerra , e^ favorendo
il valentuomo , escu- savàlo se
non la dltlmava,
mosso daUe prègbieve
e dalla compassion della madre.
Ma la gioveUtù
rimaka nelle città,, tocca
da invidia per.
le grandi prede
fatte dalFe» scrci'to, e’
delusa delle speranze
che aveva, se
prendei»^ dosi Roma ne
era Oaccàto l’orgoglio;
ne fremette , e fi esulcerò
contrd'del capitano. £ finalmente
assunti, per ca|)i della
scellcrsgginc uomini- .potentissimi
tra quelle Digilized by
Google DELLE A^ITICHITA’ BOMANE genti , imbarbarì , e commise
nn indégnissimo fatto.
Isti- gavala aoprattattO Azzio
Tulio circondato da
non pochi di ogni
città. Costui non
polendo più la
invidia sua contro ‘Marcio*; aveva
già da uii
tempo risolato di uc-
ciderlo occultamente e frt^dolentemeote
, se quel duce xiuscendo ne’
disegni e 6accando Roma tort^Va
- dal sottometterla ai Volsci
, o di darlo manifestamente ai suoi
partigiani ^d ucciderlo
come traditore, se
falliva nella impresa , è
tornavane senza l’ intento.
Ora ciò fece appunto.
Imperocché ' convocando
gente non poca;
le accusò quel .valentuomo
argomentando dal vero
il falso, e conghietturando dalle
cose già' state, quelle -che
non sarebbero mai t poi
comandò che deponesse
il comando, e desse conto
del suo capitanato.
Once costui delle truppe
rimaste nelle città , come
ho detto di
sopra, ‘era l’arbitro di
raccogliere le adunanze,
e di chiaipare chi voleva
in giudizio. Marcio
giudicava non* dover
contrapporsi a ninna delle
dué intimazio.ni ; solamente
discordava nel metodo di
soddisfarvi ; 'credendo che
égli dovesse prima dar
conto de’ fatti
della ' guerra , e pqi deporre , se così paresse
a tutti i 'Volséi , il comando.
Affermava che non dovesse
di tanto esser
arbitra una sola
città corrotta in gran,
parte 'da Tulio; ma
tutta la nazione, raccolta in
comizj legittimi , ove fossero
spediti deputati da 'ogni
. città, come portava
il 'costucrie, quando
aveansi a discutere i grandi jeffari.
Opponevasi a ciò Tulio,' ben vedendo cbe
se Marcio , ahroòde parlatore , facciasi tra la
pompa di capitano
a dar conto delle 'tante
e belle sue gesta trionferebbe^ della moltitudine
; c non' cbe suhire le
pene • de’ traditori , ne diverrebbe
più onorato e )>iù
grande. Impe^occbé ’ sarebbero
per concedergli tutti che
solo finisse a piacer
suo la guerra
, ed arbitro re» stereljbe
di ogni cosa.
Adunque per molto
tetnpo se no suscitarono ogni
giorno dicerie vicendevoli , e reclami in Senato,
éd altercazioni vive
nel Foro ; uou
essendo lecito a niun di
essi 'far violenza all’ altro
, garautito dalla dignità pari
della magistratura,. Or
poiché non dovasi fine,
alla disputa ; Tulio
comandò a Marcio di venire
in dato giorno
a deporre il suo
gradò, e sotto- mettersi ai proressi
di tradimento, E sollevati
eon lu- singhe' di benefizi
> uomini audacissimi , e
messili per capi della
scellcraggiuc indegna; si
portò nel Foro
de- stinato. 'Asceso ' nel tribunale
accusò Marcio con
tòòlte incolpazioni ; ed istigò
la moltitudine a'
degradarlo a fo4'za , se spontaneo
non lasciava il
comando. ' LIX, Accese Marcio
anch’ esso per;,
far le difese
; ma ì grandi clamori de’ seguaci
di Tulio gli
tolsero di par- lare. Dopo ciò
gridandosi: {ira , ferisci ,
lo efreonJa- ' rouo , e con .nembo
di sassi lo,
uccisero uomini inso-, lentissimi. Ed
essendo lui strascinato
Foro , quelli che erano
presenti allo spettacolo,
e quelli che Vi so-
pravvennero dopo eh’ egli
erst spirato , deplorarono
il valeniaoiiio ; perchè' non
degna avea da
loro la ricatu- pensa. E Hdiceano
quanto bene avea
fatto al comune, e r arresto' .voleanO degli
uccisoci, perchè dato.aveano esempio di
opèra. ingiusta, e lesiva
delle '.città, spe- gnendo senz’iimmelterne le
difese violentemente un di
loro , c questo , , comaudante. Ne fremeauo
soprattutto i compagni di lui
uclle spedizioni. Epoiché
non erano stati da
tanto d’ impedirne i mali-
mentre viveva ; delU berarono riconoscerlo
de’benefizj, almeno dopo
la mor- te; recando al
Foro quanto alla
deliha onorificenza ri- cluedesT
de’'valentoomini. Quando lutto
fu pronto > col- locarono lui con
veste di capitano, su
letto vaghissima- mente
ornato : poi facendo
precedere quelli che
reca- vano le prede, le
spoglie, le cotone,
le immagini delle citli
prese da lui ;
ne sollevarono il
feretro i giovani più segnalati
fra le armi.
Lo portarono al
sobborgo più ragguardevole , accompagnandone il
cadavere i 'cittadini tutti con
gemiti e la^inDe. uomo
il. più grande di
tutti 'al suo
tgmpo' nelle armi.
Continente da lutti
i pacetri che traspòrUmo
i giovani , seguiva 'la giustizia ifon involontario
per le leggi
che forzano col
timore de’ supplizi', ma spontaneo,
come per inclinazione
d’in- dole bennata. Non tenea
per virtù non
offendere ; e bramava non
solo di esser
puro egli stestd
da ogni malfare, ma
credea giusto di
astringervi -anche gli '^allri.
Magnanimo' , liberale , intentissimo a
soccorrere quando cpnoscevalo , il bisogno
degli amici , npn era
inferiore a ninno de’ patrizj
nel roaneggio.del- pnbblico.
C se fa sedizione della
città non lo
avesse impedito da'
pubblici Digitized by LIBRO Vili.•(Tari , forse' Roma
preso avrebbe da'
regolamenti suoi grande aògumeolo
d’iiQpero. Ma'già. non
può farsi cbe tuKe
le virtù si
uniscanó nella natura
di un nomò ;
nè da seme mortala
e caduco sorgerà mai
niutlo per ogni parte
peidetto. LXI. Il ‘destino
che ' propizio area
sparso in esso i
germi di
tali virtù«^ vé
ne mise alfiri
ancora di sciagure e dì
mali. Non era
dolcezza nè illarità
ne’ suoi modi, non degnevolezza
ne* salmi e ne’
colloqui , .. non' facilità di
placarsi , non moderazione nell’
ira se contro
alcnno la concepisse ,
grazia in6ne, quella
«die adorna tmte le
nmane cose. ¥élnto
lo avresti sempre
difficile, e sempre acerbo,
f^ocquero a lui mólto
tali maniere, e soprattutto
la severità sua
^moderata,' incredibile, e senza
scintilla mai di
chnuenza ne|)ar custodia
dei giusto e delle leggi. Ma
ben sembra vero
il detto^d^ filosofi
antichi , che le virtù
specialmente quelle delia
giustizia , . sono moderàzioni , e non
estremità de costumi
: perocché sia che la
ginstizia manchi dal
mezzo , sia 'che
lo ec- ceda ; non più
giova i mortali , cagionando talvolta
gran danni , e ridùcendo a
stragi > miserande , ed immedica- bili inali. Nè
fu cbe la
troppo sollecita e troppo
austera esigenza del giusto
la quale ridusse
Marcio fuori della patria,
e senza il frutto
delle altre belle
sue doti. Po- tendo- piegarsi per
atòunà maniera al
popolo, e lasciare qualche cosa
af loro desiderj
e divenire il primo
fra loro ; non volle
: ma contrariandoli in
qualunque cosà ' la
quale ad essi
non si dovea,
se ne concilò
l’ odio , c fu cacciato dalla -patria. Potendo,
appena ^ sciolse la guerra, lasciare
il comando deifarmata,
e trasferire al- & 8o trove
la sua dirnora
, Gncbè gli fossi!
conceduto il ri« torno
alU patria, anzi 'che
esporre ^ stesso à nemici, ed
alle stoltezze della
moltitudine ; ne vide
la necessità di ‘farlo , e non
volle. Ma giudicando 'dovere affidare sè
stesso a chi gli
aveva affidata T armata , .c
conto del suo capitanalo,
e se irovavasi. reo
di co.sa alcuna subirne le
pene secondo le
leggi; raccolse amaro
U frano di tanta
giustizia. Pertanto sé
col disciogìiersi de’
corpi aiicUo l’anima, qualunque' cosa ella
sia, si discioglic,
né punto ne so^ravvanza;
io non vedo
come.- chiamare beati quelli elle
non goderono della
loro virtù niun
frutto, anzi pci*^ essa
perirono. M.i se
le anime nostre
’Soprav-* vivono Immortali affatto
come pensano alcuni
;'0 qùal- ebe tempo
almeno dopo la
.-partenza' loro dal
corpo, il più lungo
quelle do’, buon;
, ed .il più
breye quelle dei malvagi
(it; certo parrà
beq grande ai.
virtuosi l’ onore che li
seguita, loipérocclié sebbene
la fortuo»' stasi loro contrapposta; avranno
buona fama e langbissima
la ri« cordanza tra’ vi vanti, come
appunto ' accadde a questo uomo. Perocché
non solaincute ’mofto
io piansero e Io onorarono, i Yolsci
come virtuosissimo; ma
li Romaui , conosciutone appena
il caso , riputandolo sciagura
altis- sima di Roma , ne fecero
pnvalo e pultbJ/co lutto.
Le donne come usano
in morie dei
domestici loro amaiis- s.ifni , lasciarono da
un canto l’ oro , la
porpora , ei • V . (i) [1
Vossio nel lil>*
i ^ de IJoloturia dctltice
d» f|iicslo passo ch^
Diouigi crcdctle che
le auhne esùtono
J«pu !a tnofie
del colpo ma solo
-per un tempo
limitalo ; e per ciò
lo ridice nella
classe dt (|iicl!i che
pensavano quaulu alla
durazioue delle anime
come gU Stoici» \ 8 I atterono
fra loro senza
re- gola, senza comando, misti
e confusi: tanto che
grande ne fu la
strage in ambe
le parti ; e forse
totale ne sa- rebbe stata la
rovina , se il sole
non tramontava. Ma cedendo
, loro malgrado , alla notte , che
inipedivali di contendere , separaronsi , ed alloggiaronsi
ciascuno nel (i) Aa.
di Ruma aGG
secondu Catoue, aGS
secoudu V'arrooe , e 48G 8T.
Cristo.DJONICI . tomo Iti. fi proprio
campo. La maltina
i duci lerando le
truppe si ricondussero alle
loro case. Udirono
i consoli dai diser.- tori
e da altri divenuti
prigionieri col fuggire
dalla bat- taglia , qual furia
e quale flagello divino
fosse nell’eser- cito; non però
colsero la occasione
tanto a proposito per essi
non lontani più
di trenta stadi,
nè gl’ incalza- rono nella ritirata
: nel qual tempo
se essi freschi , in buon ordine , avessero perseguitato
gli emoli stanchi , feriti, confusi,
e già pochi di
molti, di leggieri
gli avrebbero totalmente distmtu.
Sciogliendo aneli’ essi
il campo, tornarono in
patria sia che
fossero paghi del bene
dato loro dalla
fortuna , sia che non
fidassero su r annata loro
non disciplinata , sia che
assai valutassero il perdere
anche pochi soldati.
Ma giunti in
città vi furono vituperati , riportandovi fama
di pusillanimi per tale
condotta. Mè facendo
altra spedizione , rassegnarono
il poter
loro a’ consoli
susseguenti. Presero l’ anno appresso
il consolato Cajo i^quilio
e Tito Siccio , uomini
periti di guerra
(i). E facendo questi
proposizioni di guerra;
il Senato decretò che
si spedisse un’
ambasceria per chiedere
soddisfazione secondo le leggi
dagli Ernici, popolo
amico e confede- rato, il quale
aveva offesa Roma
nel tempo della
guerra de’ Volsci e degli
Equi con prede
e scorrerie su le terre
contigue : e decretò che
intanto che ne
avessero la risposta i consoli
iscrivessero milizie quante
ne pote- vano , convocassero con
messaggi gli alleati
, ed appa- recchiassero
sollecitamente col mezzo
di molti ministri (■)
Ao. di Roma
a07 secondo Catone,
369 secondo Varrooe, e 485 av.
Cristo. Digitized by Google LiDno
vili. 83 armi , grano , (lanari , e quanto è necessario
()cr la guerra. Tornali , cspcKero gli
ambasciadori le risposte degli Ernia,
i quali diceano non
esservi pubbliche con- venzioni tra loro e
tra’ Romani , e che
pensavano già sciolte quelle
che vi furono
tra loro e tra
Tarquinio , come detronizzato
, e morto in terra
straniera : che le prede
e le incursioni non
furono ingiustizie del
pub- blico, ma di privati
intesi al guadagno:
e che non do- veano
però nemmeno gii
autori di quelle
consegnarsi al supplizio: e lamentandosi che
avessero anche gli
Eroici patito altrettanto ; signiQcavano che
volentieri accette- rebbero
la guerra. Il
Senato , ciò udendo , decretò che si
dividessero in tre
parti le nuove
reclute descritte: che il
console Cajo Aquilio
marciasse coll’ una
sugli Eruict già in
arme aneli’ essi: che
Tito Siccio, l’altro
console, ne andasse coll’ altra
su i Volsci : che
Spurio Largio , nominato
da’ consoli comandante
della città , prend cero
ciò primi li
Volsci ; e ben tosto
la ottennero ; dando
l' argento multato dal
console , e somministrando quani’
altro bisognava all’
esercito ; dopo avere
promesso che sarebbero ì sudditi
de’ Romani, né
più da tali
ao> cordi si leverebbono.
In ultimo gli
Eroici vedutisi rima- sti soli , trattarono coi
console di amicizia
e di pace. Ma Cassio
assai richiamandosi di
essi con gli
ambascia- dori , disse , che
prima doyeano far
quanto conviene ai vinti
ed ai sudditi,
e poi discorrer di
pace; e soggiungendo gli
ambasciadori che lo
farehhono se moderata e possibile
ne fosse la
esecuzione , co- mandò loro che gli
portassero in grasce
i viveri di un mese,
ed in argento
la somma onde
stipeudiarue t sol- dati
secondo il solito
per sei mesi:
e definendo un nu- mero di
giorni entro cui
potessero tutto apprestatali
; concedette intanto ad
essi una tregua.
Presentarono gli Ernici ogni
cosa con prestezza
ed impegno, e spedirono di bel
nuovo i parlamentar] di
pace. Li lodò
Cassio c li rimise
al Senato. Ne
deliberarono i padri a lungo;
e piacque loro che si ammettessero
questi all’ amicizia, c Cassio
il console esaminasse
, e decidesse le condizioni de’ trattati
da conchiudersi. Approverebbero i padri
cioo- ch’ egli ne
stabiliva. Prescritto ciò dal
Senato; Cassio tornando
in città chiedeva un
secondo trionfo per
aver sottomesso i popoli più
riguardevoli : ant>gavasi però
quest’ onore per le
aderenze , piuttosto che di
giustizia lo ricevesse tinperocchc non
avendo nè prese
città per assalto,
nè disfatti eserciti in
campo aperto ; non
potca menar seco in
spettacolo i prigionieri e le
spoglie che sono
gli or- namenti dei trionfi.
Ma lo amare
il piacer suo ;
non le risoluzioni simili
a quelle degli altri , gli
concitò subi- tissima
invidia. Impetrato il
trionfo pubblicò la
concor- dia , com’ aveala firmala
con gli Eroici.
Erano le con- dizioni trascritte da
quella conchiusa già
co’ Latini. Dicchè mollo
si dolsero i più
provetti ed autorevoli , e tennero lui
per sospetto , sdegnati che
gli Eroici , estra- neo popolo ,
fossero pareggiati di
onore ai Latini
loro congiunti ; e quelli che
dato non aveano
neppur minimo segno di
benevolenza partecipassero le
cortesi retribu- zioni di chi
tanti dati ne
avea. Soffrivano ancora
di mal' animo la
superbia di quest’
uomo , perché onorato dal Senato
non aveali a vicenda
onorati , fissando e pultblicando i patti
come glie ne
parve ; non di
concerto comune coi padri.
Così la troppa
felicità nuoce , non giova ; divenendo
insensiòilmente per molli
cagione di orgoglio incredibile,
e stimolo di desiderj
superiori alla natura; come
avvenne a costui. Condecorato
al- lora dalla città egli
solo fra tutti
con tre consolati
e due trionfi ampliava l’ onorificenza sua , ambizioso del
regio potere. Considerando però
che la via
più sicura per
chi ambisce il regno e
la tirannide è quella
di guadagnare il popolo
co’benefizj, e di costumarlo
ad essere alinien» tato
da chi dispensa
le pubbliche cose ;
a questa si ri- volse , e senza manifestarsene ad
alcuno. E perocché ci aveva
un terreno amplissimo
del comune ma
trascurato e goduto da^ ricchi
; deliberò di compartire
questo tra’l popolo. E se
contentato si fosse
di procedere fin
qui ; forse riuscito
sarebbe ue’ disegni. Ma
trasportatosi a trop- po ;
cagionò sedizione nou
picciola , e fine sciaurato a sestesso.
Imperocché presunse congiungere
alla divisioa del terreno
non pure i Latini
; ma gli Ernici , ricevuti ultimamente per
cittadini. Tali cose ideando
a conciliarsi quelle nazioni, convocò nel
glotoo dopo il
trionfo il popolo
a parla- mento. Quindi
asceso in tribuna
com’ è 1’ uso
de’ trion- fatori , prima dié
conto delle opere
sue, delle quali
era la sostanza : che
fatto console Ut
prima %>oUa vinse
i Sabini, e li rendè
sudditi a Roma alla
quale dispu- tavano il comando
: che fatto console
per la seconda, racchetò la
civil sedizione , e restituì la
plebe alla pa- tria : e ridusse amici
e (compartecipi della cittadinanza di Roma,
i Latini che erano
consanguinei, ed emoli eterni
delt impero e della
gloria di lei;
tantoché non più la
contrariarono , ma
riguardarono Roma come patria
loro. Chiamato la
terza volta al
consolato ne- cessitò li V ilsci
ad essere amici , di
nemici che erano, colle
armi, e sottomise spontanei
gli Ernici, popolo vicino, grande,
potente, ed attissimo
a nuocer molto, o giovare. Eisponendo
queste e simili cose
chiedeva al popolo che
attendesse a lui , provido soprattutti
ora e per sempre
della repubblica , e
chiudendo il discorso disse che
farebbe e tra non
molto tali e tante
benefi- cenze che
supererebbe quanti erano
encomiati di aver amato
e salvato il popolo.
Oisciolta 1' adunanza
invitò nel giorno appresso
a raccogliersi il Senato
sospeso e timoroso pe’ delti
antecedenti di lui.
Prima di ogni
altra cosa propose un
tal suo sentimento
tenuto occulto alla plebe
, e chiese ai padri
che giacché questa
era stata si utile
per la libertà
dando mano a farli
dominare su gli altri , prendessero cura
di lei e le
dispensassero il ter- reno , pubblico in
sestesso per essere
acquistalo colle armi , ma goduto
in fatti senza
niun dritto da
patrizj impudentissimi : e
poi chiese che si rendesse
dal pubiuale fu
sopraimominaiu Poplicola. potenti per
aderenze e ricchezze , e tutto
che giovani , non
inferiori a niun pari
loro nei trattare
le pubbliche cose esercitavano
la questura. Ed
arbitri per questo -di intimar le
adunanze accusarono al
popolo con incolpa» zioni di
tirannide Spurio Cassio
il console dell’
anno precedente, che osò
d’introdurre le leggi
su la partizione delle campagne
; e • preGggendogli il giorno,
lo citarono a giustiCcarsene presso
del popolo. Adunatasi
nei giorno prescritto gran
gente essi invitandola
ad ascoltare di- mostrarono che le
opere manifeste di
quest’ uomo non comprendeano nulla
di buono : primieramente perchè mentre
i Latini appagavansi di
essere ammessi alla
cit- tadinanza , e riputavano
sommo il favore
se la ottene- vano; egli console
non solamente concedè
la cittadinanza che dimandavano,
ma decretò che
si desse loco
il terzo delie spoglie
della guerra, se
in comune la
sostenessero: secondariamente perché rendette
amici in luogo
di sud- diti , concittadini in
luogo di tributar)
gli Eroici che , vinti , doveano ben
esser contenti se
non erano dan- neggiati
collo smembramento delle
lor terre; anzi
ordinò che si desse
loro pur la
terza parte delle
prede e 'Tlelle campagne che
fossero mai per
conquisure. Tanto che divisa
la preda in
tre parti doveano
i sudditi e foresuerì
pigliarne due parli
, ed i paesani e padroni
una sola. Dimostravano che da questi
due assurdi ne
segnirebbe r uno o altro ,
se volessero pe’
molti e segnalati servigi condecorare un
altro popolo come i
Latini, o come gli Eroici
che ninno prestato
ne aveano, vuol
dire: o che non avrebbero
che dar loro
(i) , o se volessero
pareg- (i) Il lesto
di Rciske si
togUmero e confiscassero i
beni del
padre che ne
avea svelato le brighe
per la tirannide
; e per questo io
decidomi piut- tosto per la
prima narrazione. Le
ho nondimeno riferite ambedue, perchè
coloro che leggono
aderiscano a quale più vogliono. Insistendo poscia
alcuni perché si
uccides- sero i figli ancora di
Cassio; parve al
Senato aspra la inchiesta
nè utile. E congregatosi decretò
che si rila- sciassero , c vivessero sicurissimi
da esilj , da
infamie , da ogni
sciagura. Da quel
fatto si stabili
tra’ Romani r uso , custoditovi
fino a’ miei
giorni , che vadano im- muni da
ogni pena i figli
di padri delinquenti , sian essi figli
di tiranni , di parricidi
o di traditori , che tra loro
è il massimo dei
delitti. E quelli che
vicini al no- stro tempo , circa il
fine della guerra
Marsia , e della guerra civile
dandosi ad abolire
quest’ uso , impedirono
finché dominarono che i
figli dei proscritti
da Siila giungessero agli
onori paterni e prendessero
posto in Senato , sembrarono
far opera degna
della esecrazione degli uomini , e della vendetta
de’ numi. Perocché
col volger degli anni
raggiunse loro la
giustizia , vendica- trice non
riprovata , per la quale
furono dal colmo
della gloria precipitati ai
fondo delia miseria;
non lasciandosi del lignaggio
loro se non
la prole nata
di femmine. E colui
(i) che li
distrusse riordinò quei
costume com’era ne’
prìncipi. Pfeaso di
alquanti greci però
non è così mite il
costume; perchè alcuni
credono giusto che i
gli de’
tiranni co’ tiranni
finiscano; ed altri
con perpetuo esilio li
punistxtno; quasi non
consenta la natura
che sorgano figli buoni
da’ padri rei ;
nè figli
rei da buoni padri.
Ma su ciò
lascio che altri
discuta, se migliore
è l’uso; de’ Greci
o migliore quel de’
Romani : ed io
pro- sieguo la storia. Dopo
la morte di
Cassio i fautori del
co- mando de’ pochi
divennero più baldanzosi,
e spregiatori del popolo. Laonde
gl’ ignobili per
nome e sostanze se ne
abbatterono ; accusando molto
sestessi di stoltezza
, perchè aveano colla
condanna' di lui
distmito il custode fidissimo della
fazion popolare. Era
questa la causa
per la quale i consoli
non eseguivano il
decreto de’ senatori pel quale
doveano eleggere i dieci
che determinassero la terra
pubblica , e riferire in
Senato quanta parte
ne fosse da dividere , ed
a quali persone. Adunque
si te- nean de’
crocchi mormorandovisi in
ciascuno so l’ in- ganno , ed incolpandovisi più
che tutti i tribuni
pre- cedenti come traditori del
comune ; slmilmente faceansi dai
tribuni d’ allora
continue le adunanze
e le richieste della promessa.
Or ciò vedendo
i consoli deliberarono rimovere col
pretesto di guerra
la parte sediziosa
della (1) Aagatto. città ; percccbé
di qae* tempi
il territorio era
iofesiato da’ ladronecci , e
dalle scorrerie de*
popoli circonvicini. Adunque per
far la vendetta
degli aggressori aveano inalberato i segnali
di guerra , ed iscriveano
le milizie della città.
Ma , non dando i poveri
il nome loro,
non • potevano astringervi
a nonna delle leggi
gl* indocili , {jerocchè
li tribuni proteggevano
la moltitudine , e lo
avrebbero impedito, se
altri tentava portar
la violenza su le
persone , o le robe
di chi ricusava.
Adunque lanciarono i consoli molte
minacce , che non permette» rebbero che
alcuno rivoltasse la
moltitudine ; e sveglia- rono
ne’ cuori un
secreto sospetto che
nominerebbero un dittatore il
quale sospendesse tutti
gli altri magistrati, ed avesse
egli solo un
potere supremo ed
irrefragabile. In tale apprensione
i plebei temendo che
il dittatore fosse Appio , uomo
duro e dlflìcile , piegaronsi a sof- frire ogni cosa , piuttosto che
questa. Descrittone il molo , i consoli presero
le milizie , e marciarono su l’ inimico.
Gettatosi Cornelio nel territorio
de’Vejenti ne portò
via la preda
sorpre- savi. Allora i
Yejenti spedirono ambasciadori , ed egli rilasciò
loro i prigionieri per
date somme, e concedè la
tregua di un
anno. Fabio coU’altr
armata piombò su la
terra degli Equi ,
e quindi su quella
de’ Volsci. Pa- zientarouo i Yolsci
alcun tempo, ma
non molto, che fossero
i campi loro predati
e devastati: poi spregiando i Romani come venuti
con armata non
grande impu- gnarono in buon
numero le armi , ed
uscirono su le terre
degli Anziati per
Incontrarli : se non
che ne an- darono anzi precipitosi
che savj : perocché
se giungevano inaspettati,
e K>rprendeano i Romani mentre
erano qua e là dispersi;
ne avrebbero assai
variato le vicende; ma
il console istruito
del giunger loro
dagli esploratori, richiamò bentosto
i suoi , sbandati com’ erano , da’
fo- raggi , e dié loro la
ordinanza conveniente alla
guerra. Come i Volaci che
.-venivano confidando e spregiando, videro fuori
dell’ imaginazione tutte
le forze nemiche ordinate e raccolte , sbalordirono alio
spettacolo inopi- nato : nè più
curando la salvezza
comune , provvide ognuno alla sua, e
dando volta, con
quanto aveàno di velocità,
fuggirono tutti chi
per una e chi
per altra via; salvandosene la
maggior parte nella
città (i). Solamente nu
picciolo corpo il
quale era più
che gli altri
ordinato ritirandosi alla cima
di un monte
, quivi pose le
armi e vi pernottò. Ma
ne’ giorni seguenti
essendo dal con- sole circondala 1’
altura e chiusene tutte
le uscite , ne- cessitato dalla fame
si sottomise , e cedette
le arme. 11 I console
fe’ vendere pe’
questori quanto vi
era , prede , spoglie,
prigionieri, onde riportarne
danaro alla patria. Non
molto dopo levò
1’ esercito dalle
terre nemiche e a suoi
lo ricondusse , ornai
standosi 1’ anno
per termi- nare. Giunto il
tempo da creare
i magistrati , i patrizj che
vedevano il popolo
irritato e pentito della
condanna di Cassio , deliberarono di
sopravvegliare perchè non facesse
movimenti elevato di
nuovo a speranze di do-
nativi e di divisioni di
terre da taluno
che prendesse gli onori
consolari pieno della
facondia per aringarlo e travolgerlo. Parve
loro che se
il popolo desiderasse ponto di
ciò, potesse impedirsegli
con eleggere un console ad
esso non £tvorevole.
Ck>nchiuso ciò confortano perchè aspirino
al consolato Fabio
Cesone 1’ uno
degli accusatori di Cassio»
fratello di Quinto,
console attuale^ e Lucio Emilio
» altro patrizio propensi^mo
agli Otti» mali. Non
potendo il popolo
impedir questi due
che aspirassero al consolato , usci dal
campo e si levò
dai comizj. Perciocché ne’comizj
centuriati tutto il
poter de’snfiragj assorbivasi da’ cittadini
più illustri e primi
di ordine ; e di raro
cosa alcuna si
decideva col voto
an- cora delle centurie intermedie
di ordine: la
classe estre- ma poi nrila
quale votava la
parte più misera
e più numerosa non avea , come
innanzi fii detto,
se non un voto
solo , il quale
era 1’ ultimo. Adunque negli
anni dugento settanta
dalla fondazione di Roma
(i) essendo Nicodemo
1’ arconte di Atene
divennero consoli Lucio
Emilio figliuolo di Ma-
merco, e Fabio Cesone
figliuolo 'di Cesone. Ora
suc- cedette loro secondo il
desiderio di non
essere pertui> bati da
sedizioni civili; per
essere la repubblica
investita di fuori. E le
cessazioni delle guerre
esterne sogliono rieccitare le
nazionali , e dimestiche
tra’ Greci , tra’ bar* bari,
e dovunque, principalmente tra’ popoli
che vivono Ira le
armi e i travagli per
amore della bbertà
e del comando ; perchè gli
animi avvezzi a bramare
ognora più , ridotti senza gli
esercizj consueti difficilmente
si contengono. Su tal
vista comandanti savissimi
fomentano sempre alcuna discordia
cogli esteri; giudicando
migliori le guerre nelle
regioni altrui che
nella propria. Allora (i)
Anni di Roma
^70 secondo Giatonc,
373 secondo Varrone, e Cristo] I 1 I fecondo
il genio appunto
de’ consoli , occorsero come bo
detto, le insurrezioni
de’ sudditi. Imperocché li
Volsci sia che hdassero
ne’juoti interni di
Roma, contendendo il popolo
co’ magistrati ; sia
che fremessero per
la infa- mia della precedente
disfatta, ricevuta senza
combattere; sia che insuperbissero per
le forze loro
che eran gran- dissime;* sia che
seguissero tutte insieme
queste cagioni; aveano deliberato
ikr guerra ai
Romani. E raccogliendo i
giovani da tutte
le dtté marciarono
con parte dell’e- sercito contro le
città de’ Latini
e degli Ernici , e col- l’
altra che era
la più numerosa
e più forte teneansi pronti a ribattere
chiunque si avanzasse
contro le loro. 1 Romani ciò
saputo deliberarono dividere
1’ armata in due
corpi, e guardare con
uno le terre
degli Ernici e de’
Latini , e correre coll’
altro a depredare quelle
dei iVolsd. Avendo i consoli ,
com’ è loro costume
, tirato a sorte le
milizie ; Fabio Cesone
assunse il co- mando di
quelle che andavano
a soccorrere gli alleati
, e Lucio marciò colle
altre contro la
città degli Anxiati. Avvicinatosene ai
confini , e vedutevi le armi
nemiche, si accampò su di un
colle a fronte di
^e. Ma uscendo i nemici ne’
giorni consecutivi più
volte in campo
, e sfidando alia battaglia;
egli credette avere
il buon pun- to, e cavò le
sue schiere. Ed
ammonitele , e riammo- nitele prima
del cimento ; alfine
diedene il^egno e le avventò.
Bentosto i soldati alzato
il grido consueto
della battaglia pugnarono folli
, a schiere e coorti. Esaurite poi
le lance , i dac;di
cd ogni arme
da tiro si
scaglia- rono, rotando le spade,
gli uni su
gli altri con
ardire e desiderio eguale di
misurarsi. Era iu
ambedue simi« lissima la
maniera di combattere
: nè maggiore tra*
Ro* mani la saviezza
e la sperieuza che
gli aveva rendati già
più volte vincitori , nè maggiore
la costanza e la sofferenza per
1* esercizio di
tante battaglie ; ma
le doti stessissime brillavano
pur tra’ nemici
6n dall’ ora , che fu
duce loro Marcio,
famosissimo duce romano.
Adun- (jne gii uni
resistevano agli altri
senza cedere il
posto preso in principio.
Ma dopo alquanto
i Volaci a poco a poco si
ritirano , schierati , e con ordine
, tenendo fronte ai Romani.
Tendea quel movimento
a dividere le milizie di
questi e combatterle da
lut^o elevato. In opposito
i Romani credendo che
questi principiasser la fuga
tennero anch’ essi a
passo a passo in buon
ordine dietro loro
che si ritiravano.
Ma poiché videro che a
rilancio conevano agli
alloggiamenti an- ch’ essi rapidissimi , in disordine
li seguitarono. Intanto le
centurie estreme e la
retroguardia , quasi già
vinci- trici , spogliavano i
morti , e davansi a predare la re-
gione. Vedendo ciò li
Voisci che facean
credere di fuggire , giunti appena
alle Urincee , voltata faccia
, si contrapposero : e
quelli che erano
negli alloggiamenti ,
spalancate le porle
, accorsero numerosi da
più parti. Or qui
cambiarono le vicende
della battaglia : chi
per- seguitava fugge , e chi
fuggiva perseguita. Perirono , com’ è naturale , molti bravi
Romani incalzati giù
pel declivio , e circondati ; essi
pochi , dai molti. Non
dis- simile sorte
incontrarono quanti eransi
dati a spogliare e predare , impediti
di retrocedere schierati
e con oi^ dine ; imperocché
sopraHatti ancor essi
da' nemici restavano
iracidali o prìgiooierì. Quanti
però di questi
o di quelli respinti giù
pel monte fuggivano
in salvo ; soc- corsi , benché tardi,
dalia cavalleria, tornavano
al6ne a’ proprj alloggiamenti
: e parve che a non
essere intc-ramenie distratti
giovasse loro un’acqua
dirottissima dal cielo , ed un
bujo qual formasi
per nebbia profondissi- ma ; perocché non
potendo i nemici vedere
più di lon« tano
, infkslidirottsi a
seguitarli più oltre.
La noue ap- presso il
console movendo l’ armata
la ritirò cheta , in buon ordine
, sicché 1’ inimico
noi comprendesse. Al tornar
della sera mise
il campo presso
la ciué di
Lon- gòla t scegliendo un’altura
idonea, onde. respingerne gli assalitori. E qui
fermatosi curava gli
egri .dalle ferite, e rianimava gli
aiHitti dalla vergogna
delia disfatta im- pensata. Tale er^
lo stato de’
Romani. Li Volacipoi
come al nascere
dei giorno conobbero
che quelli eransi di
loggiati; portarono più da vicino
il campo loro. Quindi
spogliato avendo i cadaveri
de’ nemici , raccolto i
semivivi che davano
speransa di guarigione , e seppel- lito gli estinti
loro compagni , rientrarono
la città di Anzio
che prossima rimaneva.
Qui cantando inni e
por- gendo in ogni tempio
sagrifìzi per la
vittoria , si diedero ne’ giorni seguenti
ai conviti e piaceri.
E se teneansi a quella
vittoria, né intraprendevano altra
cosa; la guerra avrebbe avuto
per essi nn
esito fortunato. Imperocché li
Romani non aveano
cuore di uscire
dagli alloggiamenti per combattere
; anzi desideravano di
lasciare le terre nemiche , anteponendo nna
fuga ingloriosa ad
una morte DIOIfJGI , tomo ut. manifesu.
Infiammati però da
speranae maggiori , per-
deroDO la gloria
ancora della prima
vittoria. Udendo da- gli eipioratori e dai
disertori che i Rbmani
andati salvi eran pochi , e per
lo più feriti
; ne concepirono disprezzo grandissimo , ed impugnate
le armi marciaron
sa loroi Li seguitarono
senza 1’ armi
moiri della città
per vedor la batuglia , e per fare
insieme prede e guadagni.
Ma quando giunti all*
altura circondarono gli
alloggiamenti , e presero a
svellerne gli steccati
; proruppero prima su di
essi i oivalieri Romani , postiti a piede
per la con- dizione del luogo,
e poi li triarj , schieratisi strettissimi. Sono questi
i veterani a’ quali
si dà la
guardia degli al- loggiamenti , se le
milizie escono per
combattere , ed a’ quali
per mancanza di
altri ripari si
ha restrerao in- dispensahil ricorso
quando avviene strage
funesta de’ gio- vani. Ne
sostennero i iVolsci la
irruzione e pugnarono gran tempo
pieni di valore.
Ma non favoriti
poi dalla natura del
aito se ne
rimossero : e fatto a’
nemici danno tenue, nè
degno di memoria,
e ricevutolo essi più grande
ancora; calarono alia
pianura. Messi quivi
gli alloggiamenti , schierarono
ne’ giorni appresso
1’ armata, e provocarono i Romani
alla battaglia : nè
pertanto usci- rono questi al
paragone. 1 Volsci vedendo
ciò li spre- giarono : e convocate le
milizie dalle loro
città ; si ap* pareccbiarono per
espugnarne le trincee
colla moltitu- dine. E ben erano
per fare alcuna
cosa di grande
ri- ducendo per patri e colla
forza il console
e i suoi che già penuriavano
; ma giunse prima
di loro il
soccorso Romano , e furono traversati
da compiere con
bellissimo (ìpe la guerra.
Imperocché Fabio Cesoue
l’altro console, . I I 5 Mpen rono compartiti
pe’ corpi varj.
I consoli dopo avere
sup> plite le coorti
mancanti , tirarono a sorte il
comando degli eserciti. Prese
F abio l’ esercito sostenitore
degli alleati , e Valerio 1’ altro
che * accampava tra’Yolsci
; re- candovi le nuove reclute.
I nemici saputo il
giugner di lui ,
deliberarono far venir
nuove troppe , trinderarsi in luogo
più forte, nè
coìrere, come prima
, per lo di- spregio rovinose vicende.
F orqirono i duci tutto
ciò spe- ditissimàmente , intenti
l’ uno , e l’ altro a
guardare le trincere sue
dagli assalti , non
ad assalir le
inimiche , per espugnarle. Cosi
decorse non poco
tempo fra ter- ror
vicendevole che 1’
ano 1’ altro
investisse. Non pote- rono però l’uno
e l’altro osservare sino
al fine il
pro- posito. Imperocché quante volte
spedivasi alcuna parte di
esercito pe’ frumenti
o per altro bisogno
; davansi at- tacchi e
percosse, con esito
non sempre vittorioso
per ' (i) Cesare (a) Altenlare
so’ Iribaoi era
delitto graTÌssimo , perchè le
per- sone loro si riguardavano
come sacre ed
inviolabili : Quindi Cice- rone nel lib. 3
de legibns scrive:
quodque ii prohibessint , quod- que plcbem
rogaisint ralitm està ^
taneiique turno. vin. I
ig UD de' partiti.
Ne perirono in
tante scaramacce non
po- chi ; restandone feriti ancor
più. Non riparava
le perdite Romane alcun
nuovo rinforzo venuto
altronde ; mentre i Volsci ,
sopravvenendo ad essi
schiere su schiere , si erano moltissimo
ampliati. Dond’è che
animatine i duci loro , cavarono dalle
trincee 1’ esercito
per la battaglia. Usciti i Romani
nommeno e schieratisi a fronte,
insorse una mischia
grandissima di cavalli,
di fanti, di soldati
leggeri , pieni tutti
di ardore e di
> sperienza e ciascuno
col disegno che
dipendesse da lui
solamente la vittoria. Cadutine
dall’ una e dall’
altra parte molti estinti , e piò ancor
semivivi ; si ridussero
a pochi quelli che tuttavia
rimanevano tra la
mischia e il pericolo.
Or non potendo questi
fare le azioni
di guerra perchè
gli scodi destinati a difendere , pieni di
dardi conGccativi ^ aggravavano
la sinistra , né
permettevano che si
tenesse ferma in atto
di ripercotere i colpi , e perchè le
spade erano ornai spuntate,
rotte , - inutili ; tanto
più che il combattere
di tutto il
giorno gli aveva
stancati, mer^ vati , illanguiditi a ferire , e la sete,
il sudore , l’aiTanno
travagliavali come chi
combatte a lungo nelle
ardentis- sime ore di estate;
la battaglia non
prese termine me* morando
, ma 1’ nnò e
l’ altro duce ritirarono
ben vo* lentieri le
armate : e tornarono a’
proprj alloggiamenti^ Non uscivano
più gli uni o
gli altri a combattere,
ma standosi dirimpetto spiavano
a vicenda le sortite
degli emoli pe’ bisogni
■ di guerra. Parve
nondimeno , e molto in Roma se
ne discorse , che
la milizia Romana
, po- tendolo , non facesse nulla
di luminoso per
odio contro del console
, e per indignazione su’
patrizj , mentitori nella dÌTÌsione
delle terre. In
opposito i soldati acctisa» vano
il console come
insulficiente ; scrìvendone ognuno lettere ai
suoi. Tali furono
gli eventi nel
campo in Roma intanto
molti segni celesti
annunziarono l’ira divina
con voci , e viste inusitate. E tutti
i segni concorrevano a questo , come i vati
e gli spositorì delle
sante cose , te» nutone consiglio
, interpretavano , che alcuni
de’ numi erano esacerbati , perché non
riceveano gli onori
legit* timi, o riceveano sagrifizj
non puri, nè
pii. Faceasi dunque grande
ricerca, 6nchè diedesi
indizio a’ sacerdoti che
l’ una delie vergini , custodi del
fuoco sacro ( Opi- mia
n’ era il nome)
avea la verginità
contaminato, e con la
virginità le sante
cose. Or questi
con indagini e discussioni chiarìtlsi
.esser vero pur
troppo il fello
in- dicato , spogliarono
quella delie sacre
bende, e condot- tala di su
|»1 foro, la
seppellirono viva tra
sotterranee pareti.
Flagellarono poi nella
pubblica luce ed
uccisero due convinti del
fello con essa.
E ben tosto favorevoli le
sante cose , e favorevoli si
ebbero le risposte
degl’in- dovini , come per la
pace venduta da’
numi. - XC; Giunto il
tempo de’comizj , e venutivi i consoli, ebberì briga
e contenzione assai viva
tra’ patrìzj e tra
’l popolo su’ personaggi
che avrebbero da
pigiare il co- mando. Voleano quelli
promovere al consolalo
giovani intraprendenti né amici
della plebe ; e per
insinuazione loro chiedevalo il
figlio di Appio
Claudio , di quello ri- putato già si
contrario al popolo
; ed era questo
figlio pieno di orgoglio
e di audacia , e potente
per amicizie e clientele più
che lutti dell’
età sua. Per l’
opposito il popolo nominava
a far l’ utile pubblico
e volea per con- vm: 1
3 1 soli personaggi anziani , notissimi per
le d^ci maniete sole
vi marciasse colle
armate. Fu tal
decreto un sub> bjetto di
contraddizioni : perocché molti
non lasciavano che la
guerra uscisse , ricordando a’
plebei la partizion delle terre
decisa già da
cinque anni dal
Senato , e come tra le belle
speranze furono defraudati , e protestando che non
particolare ma comune
sarebbe quella guerra , se
la Etruria tutta
levavasi unanime a soccorrere
ì suoi nazionali. Non poterono
però nulla tali
sediziosi discorsi;
imperocché per le
insinuazioni di Spurio
Largio anche il popolo
ratiScò la sentenza
de’ padri : pertanto
i con- soh* cavarono gli
eserciti , e gli accamparono separati r uno dall’
altro , non lungi da
Yejo. Si tennero
in tal modo più
giorni: non uscendone
però l’inimico coll’ar- mata
; datisi a saccheggiarne i campi , sen
tornarono con quanta poteano
più preda in
patria. Or ciò e
non altro vi ebbe
di memorabile sotto
questi consoli. DELLE
ANTICHITÀ ROMANE n I ALICARNASSEO L JLj
anno appresso nacque
disparere tra ’l
popolo e tra i senatori
su la scelta
de' consoli : imperocché
que- sti voleano promovere al
consolato due di
cuore patri- zio , laddove la
moltitudine due ne
volea popolareschi. Arse la
disputa finché tra
loro si persuasero,
che am- bedue le parti
dovessero nominare ,
ciascuna , un console. Pertanto il
Senato elesse Fabio
Cesene per la
seconda volta , quello
appunto che aveva
accusato Cassio come reo
di tirannide, ed
il popolo creò
Spurio Furio (i) (i)
Anno di Roma
s;3 tecoado Catone,
375 Mcoodo Vairone,
c 479 av. Cristo. .
laS nella olimpiade settantesima
quinta ; essendo Calliade Arconte in
Atene , al tempo appunto
che Serse fece
la sua spedizione contro
della Grecia. Or
avendo questi preso appena
il comando , yennero
in Senato gli
am- basciadori Latini per
supplicarvi, che si
mandasse loro coir esercito
l’ uno de’ consoli , il
quale non permettesse che la
insolenza degli Equi
procedesse più oltre.
An- nunziavasì insieme che
la Etruria tutta
era in moto , e che
tra non molto
uscirebbe colle armi
per essersi già riunita
in (x>mizj generali
: come pure che
avendo i Vejenti insistito
per congiungersele contro
i Romani, ne aveano Gnalmente
ottenuto , che potesse ogni
Tirreno parucipare alla impresa:
dond’ è che fatto, si
era un corpo riguardevole
di Vejenti volontari , per militarvi. Or
ciò vedendo i magistrati
Romani deliberarono che si
recintasser le armate , e che li
consoli uscissero con
esse r uno per combattere
gli Equi , ed esser
il vindice dei Latini
; e l' altro per marciare
contro l’ Etruria. Oppo- nessi a ciò Spurio
Sidnio (i) l’uno
de’tribnoi, è con* gregando ogni
giorno il popolo
a conclone raddoman- dava le
promesse dal Senato , e protestava che
non pen> metterebbe , che si
eseguisse niuna delle
cose decretate da’ padri
su’ nemid o su
la dttà, se
prima non creavano i Died , per
deBnire le terre
del pubblico , e non
le compartivano , come eransi
obbligati in verso
dd popolo. Implicavasi , nè sapeva
che fare il
Senato ; quando Ap> (i)
In atconì codici
ti legge Icilio:
e Lirio stesso nel
lib. 4, dice : auetoret
fuitte tam Uberi
popolo mffrayì leitios
accipio , ex famitia
i/ifeetUtima patribue Irei
in eam antuun
Uibunot plebù ereaioi. Digilized by
Google 156 DELLK Antichità’
romane pio Claudio suggerì
che si procurasse
la dissensione tra questo
e gli altri Tribuni
; perciocché vedea , eh' essendo r oppositore inviolabile,
ed impedendo col
poter dei^ leggi i decreti
de’ padri, non rimaneva
altra via da
rin- tuzuraelo, se non
quella che un
altro di eguale
onore e potenza operasse in
conurario , e proibisse
ciocch’ egli proibiva: consigliava
inoltre che quanti
prenderebbero successivamente
il consolato si
adoperassero , e mirassero sempre
ad avere iàmigliari
ed amici de’' tribuni , ripe» tendo non
esservi altr’ arte
da iuvalidame il
potere , se non quella di
ridurli discordi. II. Parve
ai consoli che
Appio ben consigliasse,
ed essi , e gii altri de’più
potenti si afiàticarono
vivamente, perchè quattro de’
tribuni si dessero
ai voleri del
Se> nato. Or questi
cercarono alcun tempo
persuadere colle parole Sicinio
a desistere dalla mira
che i terreni si' di- videssero innanzi la
fin della guerra.
Ripugnando e giu- rando , e
dicendo però costui
protervissimamente , che vorrebbe
piuttosto vedere la
città caduta in
poter dei Tirreni e di
altri nemici , che lasciare
placidi a sestessi que’ che
godeansi le terre
del pubblico , pensarono di prender
quindi la bella
occasione di parlare
, e di ope- rare contro tanta
arroganza , non udita con
piacere , nemmeno dal popolo.
Adunque dichiararono che
gliel proibivano ; e fecero svelatamente , quanto piacque
al Senato , ed ai consoli.
Dond’ é che Sicinio
rimasto solo non era
più 1’ arbitro
di cosa niuna.
Fecesi dopo ciò la
iscrizion dell’ annata , e si
apparecchiarono dai pri- vati , e dal pubblico
con ogni diligenza
le cose tutte necessarie per
la guerra. I consoli , tirata a sorte
la spe- . 127 dÌEioQ
loro, uscirono ben
(osto all'aperto, Spurio
Furio contro le città
degli Equi , e Fabio Casone
contro i Tirreni. Corrispondevano i successi
appunto ai disegni
di Spurio ; non avendo
i nemici nemmen cuore
di venire alle mani :
e potè di quella
spedizione raccogliere da- nari e prigionieri in
buon numero ; imperocché
per poco non scorse
tutto il territorio
nemico , menando o por- tando via. Concedè
tutte le prede
in dono ai
soldati : e se parea
già da gran
tempo l’amico del
popolo; più che mai
se lo accarezzò
con tal suo
capitanato. Del quale ,
finito il tempo , ricondusse l’ esercito
intero, in- violato ,
ricchissimo divenuto , alla patria. IIL
Fabio Cesone diresse
nemmeno bene il
comando deir armata , por
andò privo delle
lodi delle opere , non per colpa
sua , ma perchè fin d’
allora che fe’
giudicare, e dare a morte Cassio
il console, come
intento alla ti- rannide , non avea
più lafiètto del
popolo. Donde che li
soldati suoi non
erano disposti nè
ad ubbidire colla prestezza la
quale abbisogna al
duce , che ordina , nè ad espugnare
con ardore quantunque
muniti di fòrze convenienti , nè a
guadagnare colle insidie
i posti op- portuni al buon
successo , nè a fare
cosa niuna dalla quale
raccogliesse onore e fama
buona pe’ comandi
che dava. Le altre
iocongruenze poi colle
quali spregiavano esso capitano
erano per lui
meno gravi , nè di
tanta ro- vina per la
patria. Se non
che quel che
fecero in ultimo creò
pericolo non lieve,
e grande ignominia per
ambe> due. Imperocché scesi
a battaglia campale fra i
due colli su quali
alloggiavano diedero molte
e splendide prove di valore , fin
a scingere i nemici a dar
volta ; non però gl'
inseguirono nella fuga , sebbene il
capitano ve gli scongiurasse , né vollero
con fermezza asserliame gli alloggiamenli
; ma lasciata la
bell* opera imperfetta , si ritirarono
alle proprie trincee.
Anzi tentando il
con- sole capitano dire alcune
cose (i): molti
a gran voce ne lo
beffarono, e redarguironlo che
avesse per la
im> perizia sua nei
comandare, fatto tra
lor la rovina
di tanti valentuommi: ed
aggiungendo altre maldicenze
e querele , esigerono che sciogliesse
il campo , e li ricon- ducesse a Roma , come insufficienti
ad una seconda
bat- taglia , se il nemico
su loro tornasse.
Nè puntò si
pie* garouo per le
ammonizioni , nè si commossero
pe’ g»> miti , e per le
suppliche di lui , nè
le grandi minaccie ne
riverirono { ma sd^nandosene
ognora più si
osti- narono. Per le quali
cose tanta , e tanto
universale fu la insubordinazione , e il dispregio
pel capitano; che
le-vatisi intorno la mezza
notte , dismisero le tende , e rac- colsero le armi ;
trasportandone li feriti
, senza comando ninno. ly. Il
duce vedendo ciò
fu costretto dare
il segno per tutti
della partenza ; temendo
1* audacia e l’ anarchia loro : ed
essi come salvatisi
colla fuga , pervennero in gran
fretta su 1’
alba presso di
Roma. Le guardie
delle mura ignorando che
fossero amici , brandirono le
armi , e chiamaronsi a
vicenda ; e tutto il
resto della ciltè
si empiè di confusione
e tumulto , come per grande
scia- gura : nè si aprirono
le porte , se non a
di luminoso , quando si
ravvisò eh’ era
1’ esercito loro.
Questo poi , (i)
Secondo ua’ altra leiione
il teaio Mrebbe
: ami tentando ai- euni
dare ai cotuoU
nome d' Imptradore ec. per
tacere la infamia
deli' abbandono del campo,
corse a riscbio non lieve , traversando disordinatamente di notte
le terre nemiche.
Imperocché se gli
emoli se ne avvedevano , e lo inseguivano
, niente impediva che lo
sterminassero. Cagione , come ho
detto , di questa irra- gionevol partenza , o fuga , fu
l’odio del popolo
contr» dei capitano, e la
invidia su la
onoriBcenza di lui,
af> finché più autorevole
non divenisse per
la gloria del trionfo.
I Tirreni conosciutane al
quovo di la
rimozione, spogliarono i
cadaveri de’ Romani , presero e trasporta- rono i feriti , e
saccheggiarono nelle trincee
tutti gli apparecchi , certamente ben
grandi , come per guerra diuturna . Alfine dopo
avere , quasi vincitori, depredate le
terre nemiche più
prossime , ricondussero in patria 1’
armata . V. Creati consoli
dopo questi Cajo
Malllo , e Marco F abio per la
seconda volta , siccome
il Senato decretò, che
marciassero contro Vejo
con armata quanta
po> teano numerosa ,
intimarono il giorno
per la iscrizioa dei
soldati. Ben pose
loro Impedimento per
questa Ti- l>erio Pontificio
T uno dei tribuni
con reclamare il
de-creto su la partizione
delle terre : ma
essi, come aveano fatto
i consoli antecedenti ,
guadagnando altri de’
tribu- ni , disunirono que' magistrati , e cosi diedero
esecnzlone pienissima ai voleri
del Senato. Finita
in pochi di la
coscrizion militare , uscirono contro
de’ nemici ; condu- cendo ciascuno due
legioni , reclutate dalf interno
di Anno di
Roma a^4 secondo
Catone , 376^ tecoado Varrons ■ av.
Cristo] Roma , e milizia non minore
; spedita dalle colonie
e da’ sudditi. Giunse
dai Latini e dagli
Emici il doppio del
soccorso intimato , non però
li consoli lo
usarono tutto , ma
rimandandone la metà , li
ringraziarono am- plissimamente
di tanto
buon animo. Accamparono
in- nanzi di Roma una
terza armata floridissima
di due le- gioni , per guardia
del territorio , se
mai vi si
presen- tasse altro esercito nemico
improvviso ; e lasciarono a difenderne
le fortezze e le
mura gli altri
non più com- presi nella iscrizion
militare, ma validi
ancora per le armi.
Quindi guidando gli
eserciti fin presso
di Vejo ne misero
il campo su due colli
non molto lontani
fra loro. Accampavasi davanti
la città l’armata
nemica , nu- merosa e buona
pur essa ; anzi
maggiore non poco
della Romana per esservi
accorsi i primarj di
tutta la Etmria co'lor
dipendenti. All’aspetto di
tanta moltitudine, allo splendore delle
armi , assai temerono i consoli
di non listare a vincere
, se metteano l’ esercito
loro non bene concorde
a fronte dell’ esercito unanime
de’ nemici. Adun- que
deliberarono i consoli fortificare
il campo , e pren- der tempo , finché l’ audacia
nemica , elevata da un ir-
ragionevol disprezzo , desse loro
la opportunità di ben
fare. Seguivano dopo
ciò preludj continui
di battaglie, e brevi scaramucce
di soldati leggeri
; non però mai nulla
di grande o di
lumino»). VI. Mal soffrendo
t Tirreni la dilazion
della guerra accusavano i Romani
di viltà perchè
non uscivano a bat- taglia , e magnifica vansi ,
quasi avessero questi
ceduta loro r aperta campagna.
Anzi tanto più
si elevavano a spregiare
le milizie nemiche
e vilipenderne i consoli ; . 1
3 I quanto che credeano
gl’ Iddj combattere
pc’ Tirreni. E certo
caduto un fulmine
nel quartiere di
Cajo Mallio ]' uno
de’ consoli, ne
abbattè la tenda , ne
mandò sosso* pra i focolari , ne macchiò
le arme , le
bruciò d’ intor* no , o in tutto
glie le distrusse
; e ne uccise il
più co» spicuo de’
cavalli dei quali
valessi nel combattere , ed alquanti de’
servi. E condossiacbè gl’
indovini diceano che i numi
annunziavano la presa
del suo campo,
e la rovina de’ personaggi
più riguardevoli ; Mallio
levò l’ e* centrò nel campo
stesso del compagno.
I Tirreni co- nosciuta la traslazione , ed uditane
la causa da’
prigio- nieri , s’ ingrandirono
tanto più nel
cuor loro, quasi
il c*ielo ancora guerreggiasse
i Romani; e moltissimo con- fidarono di vincerli.
E gl’indovini loro i quali
sembrano aver meglio che
quelli di altri
popoli esaminato i segni superni, e d’onde
scoppino i fulmini, e dove
finiscano dopo il colpo,
da qual Dio
vengano , e con quale pre- sagio di
bene o dì male;
esortavano che si
andasse al nemico , inlerpetrando il
segno avvenuto a’
Romani in tal modo :
poiché il fulmine
cadde nella tenda
con- solare ov' è il centro
del comando , e disfecevi
tutto insino ai focolari
; egli è indizio divino
a tutto l’ e- sercilo
deir abbandono del
campo espugnato a forza, e della rovina
de' più riguardevoli.
Se dunque , di- ceano , coloro che
ebbero U fulmine restavansi
nel luogo fulminato, nè
trasportavano ciocci* erano
signi- ficato infra gli altri
; la presa di
un campo , e la distruzione di
un’armata sola avrebbe
appagato lo sdegno del
nume cite U contrariava. Ma
perciocché cercando
precedere col senno
gli Dei si
trassero aiì aluo campo,
lasciato deserto il
proprio, quasi il
segno celeste fosse pel
luogo non per
gli uomini ; quindi è che [ ira
' dà' ina fulminerà lutti
e chi trasmutatasi , e chi li
raccolse. E siccome mentre
la necessità divina prenunziava la
presa del campo
essi non aspettarono, ma lo
cederono di per
sestessi a nemici , così non il
campo abbandonato sarà
preso di forza , ma
quello che ricettò chi lo abbandonava. I Tirreni, udite
tali cose dagl’indovini, invasero con
parte dell’ esercito
il campo derelitto
da’ Romani , per
valersene , contro dell’ altro.
Erane il luogo
ben forte, e mollo accomodato
per impedire chi
da Roma andava all’
esercito. Fatte poi
diligentemente altre cose colle
quali superar l’ inimico
, recarono in campo
1’ ar- mata. Ma standosene
i Romani in calma , i più
audaci fra loro scorsi
e fermatisi a cavallo presso
le trincee , rampognarono tutti , quasi
femmine : e dicendo simili
i duci loro agli
animali più timidi , gli
sbeffavano , e chiedeano l’
una delle due , vuol
dire ; che se
disputa- vano altrui la gloria
delle armi ; scendessero
in campo, e ne decidessero
con una sola
battaglia : ma se
ricono- sceansi per codardi
; cedessero le arme
ai più forti
, subissero la pena
delle opere, nè
più aspirassero a nulla di
grande. Replicavano altrettanto
ogni giorno: ma
per* ciocché niente ne proGttavano
; deliberarono rinserrarli
intorno intorno con
muro, per astringerli,
almeno colla fame, alla
resa. consoli lungo
tempo guardarono so- lamente ciocché facevasi
non per codardia
nè per mol- Icsza,
essendo Tuno e l’ altro
animoso e guerriero; ma perchè
temevano il mal
talento, e la ritrosia
nata e perpetuatasi ne’
soldati plebei fin d’
allora che il
popolo tumultuò per la
division delle terre.
Ancora stavano loro su gli orecchi , e su gli
occhi le cose
che avea fatte nell’
anno precedente per
astio sul console , vitu- perose né degne
di Roma, cedendo
la vittoria ai
vinti, e sostenendo fin gli
obbrobrj di una
fuga non vera ,
affinchè colui non
trionfasse. Vili. Volendo tor
vii» finalmente dall’
esercito la se- dizione e richiamare alla
concordia primitiva la
molti- tudine ; e dirigendo a ciò tutti
i disegni e le providen- Ee
; poiché non poteano
ravvederla uè co’
supplizj par- EÌali come
protervissima ed armata,
nè co’ discorsi come insofferente di
essere persuasa ,
concepirono che due vie
rimarrebbero per la
riconciliazione; vuol dire;
la infamia di essere
vilipeso da’ nemici per
gli uomini (che pur
ce ne avea )
d’ indole moderata , e la necessitò , coi tutti
paventano , per gl’ indocili
al bene. Adunque per
effettuare ambedue queste
cose, lasciarono che i
nemici li disonorassero
colle parole , biasimando la
cal- ma loro come la
calma de’ vili ;
e li necessitassero coi fatti
pieni di arroganza
e disprezzo a tornar valentuo- mini , se tali
non dimostravansi per
sestessi. Speravano, se ciò
faceasi , grandemente che accorrerebbero tutti
al quarlier generale fremendo
, gridando , ed istando
di esser condotti al
nemico. Or ciò
appunto addivenne ; imperocché
non si tosto
prese il nemico
a rinchiudere con fossa e steccalo
le uscite dal
campo , i Romani considerata
la indegnità dell’
opera , ne andarono
prima in pochi , indi
in folla alle
tende dui consoli
, c vi schiamazzarono, e come
di tradimento li
redarguirono; protestando
infine die se
niun de’ due
li guidava , essi di per
sestessi volerebbero colle
armi alla roano
su gli avversar). Ciò
fatto da tutti,
giudicando i consoli venuta alfine
la opportunità che
aspettavano , imposero agli
araldi di chiamarli
a parlamento. Allora Fabio
recatosi innanzi disse : IX.
Sohìati , capitani, tarda è la
vostra indigna- zione su vilipendj
che vi si
Jan da’ nemici
; nè più in tempo
è la volontà che
at'ete di combatterli,
pei'- che m annestatasi troppo
dopo il bisogno.
Allora do- veasi ciò
fare quaruìo li
vedeste la prima
volta scen- dete dalle trincee , e cercar la
batiaglia: jdllora bello era
il combattere pel
comando , e degno della subli- mità de’ Romani.
Ora necessario ne si è reso,
e certo non di egtuile
decoro , quatulo ancora vincessimo. Nondimeno sta
pur bene che
vogliate una volta
ri- ' scuotervi, e riavervi delle
occasioni tralasciate, E molto siete
lodevoli per tale
ardore verso le
nobili gesta ; imperocché
procede da virtù , e vai
meglio cominciar ciocché deesi
aruhe tardi, che
mai. Ed oh!
cosi tutti V abbiate sentimenti
consimili per t util
vostro , e vi animi tutti
uno zelo medesimo
per combattere. Pa- ventiamo noi però
che i trasporti de’
plebei contro de’ magist
rati per la
division delle terre,
siano cagione al pubblico
di sciagure, E ciò
noi paventiamo, perché i clamori , e le istanze , e la insofferenza
per uscire, non è forse
in tutti t ejffctto
di un disegno
medesimo. Ma quali di
voi anelale uscir
dai campo per
punir f inimico ; e quali per
fuggirvenc. E cagione del tintor nostro
non sono già
gl’indovini, non le
conget- ture; ma fetui più
che notorj e non
antichi, anzi fre- schi delt anno
precedente, come tutti
sapete, quando uscendo contro
questi nemici medesimi
un esercito nostro numeroso
e forte , e pigliando fn
la prima battaglia un
esito propizio per
noi , mentre Cesane mio
fratello, console condottiero
poteva espugnare gli alloggiamenti loro e
riportare alla patria
una vittoria luminosa, alquanti
presi da invidia
della gloria di lui
perchè nè era
popolare nè mirava
nel suo governo
a far le voglie
de’ poveri , levarono le
tende la notte stessa
dopo la battaglia , e fuggirono fuori
di ogni comando, senza
valutare il pericolo
che comprendevali nelf andare
privi di ordine
e di capitano per le terre nemiche
, e fra la notte
, e senza riguardare quanta vergogna ri
avrebbero , perchè quanto
era in loro , cedevano C impero
a nemici, essi già
vincitori ai viziti. Tribuni , centurioni , soldati ! in
vista di tali
uomini, non buoni nè
per dominare , nè per
farsi dominare , che pur
sono molti e caparbii , e colle armi ,
non abbiamo noi fin
qui voluto la
battaglia , nè osiamo ancora
per tali compagni
decidere in campo
la somma delle cose ,
perchè non sian
essi tT impedimento
e di danno a chi presenta
tutto il buon
animo. Ma se la
divinità richiami ancor
essi a buon senno,
se, lasciate da parte
le discordie per
le quali ha
il nostro comune tanti
mali e sì gravi , e differitele ai
tempi di pace ,
vorranno redimere ora
col valore { obbmbrio
passalo: niente impedisce che
ne andiamo caldi
di belle spe- ranze al
nemico. Oltre le
tante opportunità di vinrere , le
più. grandi e più
solide ce le
porge la stoli^ dità
degli avversar] medesimi.
Costoro superiori a noi di
molto nel n limerò,
ed atti con
ciò solo a contrah- hilanciare t animosità
e perizia nostra , han privato sestessi fin di quest’
unico vantaggio , consumando il più
delle milizie in
guardia delle loro
fortezze. Ap-presso ,
quantunque dovrebbero fare
ogni cosa con diligenza
e saviezza considerando con
quali e quanti grand uomini
abbiano a misurarsi, pur
vanno conarroganza ed
incuria al cimento
, come sian essi
in- vincibili, e noi
sopraffatti dal terrore
di essi. E le fosse
con che ci
cingevano , e le corse
a cavallo fin sotto ai
nostri alloggiamenti , e
tan^ altre ingiurie colle parole
e colle opere, questo
appunto dimostrano. Or via
dunque, ciò riguardando
e le tante e sì
belle antiche battaglie nelle
quali gli avete
vinti : andatene con ardore
a questa ancora. E quel
luogo dove cia- scuno sarà collocato , quello concepisca
essere la casa, i poderi , la patria
sua : concepisca che
chi salva il vicino
in battaglia salva
sè ancora: e che
abbandona sestesso a nemici chi
abbandona il compagno.
Ilam- mentatevi soprattutto che
di quelli che
persistono va- lorosi e
combattono , pochi no
soccombono ; laddove pochi ne
scampano, e a stento, di
quelli che piegano, e figgano. X. Egli
seguitava ancora , in
mezzo a lagrime co- piose , tal discorso
animatore , e chiamava a nome
cia- scuno de’ tribuni , de’ centurioni , e de’ soldati
, nolo a lui per le
belle prove di
valore date nel
combattere, e prometteva a
chi più
segnalato sarebbesi nella
batlaglia molti e gran
pegni di benevolenza
, onori , r;c> cliezze , soccorsi
d’ ogni guisa
in parità delle
imprese ; quando proruppe
da tutti una
voce che inviuvalo
a con6dare , e portarli al
nemico. Cessata questa , gli
si fece innanzi dalla
moltitudine Marco Flavoleio
, plebeo di condizione ed
arteGcc , non vile
però , ma per le
sue virtù pregiato
, e prode in guerra
; e per tali due rispetti
condecorato in campo
di una presidenza
lumi- nosa , cui sieguono ed
ubbidiscano per legge
sessanta centurie. I Romani chiamano
primipili nel patrio
idio- ma tali condottieri. Or
quest’ uomo , altronde grande
e bello , postosi in parte,
donde fosse a lutti
visibile, al- fine disse: K oi
temete, o consoli, che
le opere nostre non
corrispondano alle parole
? Io per il
primo vi darò su
mestesso le assicurazioni
meno equivoche della mia
promessa. E voi cittadini , voi compagni della sorte
medesima , voi che avete risoluto di pa-
reggiare ai detti le
opere , non sbaglierete
facendo quanto io fo. E
qui , sollevando la spada , giurò
con formola sacra e solenne
ai Romani , per
la sua buona fede , di non
tornare , se non
dopo vinti i nemici,
alla patria. Sorsero al
giuramento di Flavoleio
lodi amplis- sime
d’ogn’intorno. Fecero bentosto
altrettanto i consoli e mano a mano
i duci minori , tribuni e centurioni
; e la moltitudine finalmente.
Yidesi dopo ciò
molto buon animo in
tutti, molta benevolenza
fra loro , molta con- fidenza , e fermezza. Partiti
dall’ adunanza , chi
metteva il freno ai
cavalli, chi le
spade aguzzava e le
lance ; e chi riforbiva
gli scudi ; ond’
è che tra poco
tutta 1’ ar- mala fu
in pronto per
la battaglia. I consoli , invocali gl' Iddìi
con voti, con
ugrifizj , con suppliche, perchè fossero i duci
essi stessi di
quella uscita , portavano
fuori degli steccati
l’esercito, schierato in
buon ordine. I Tirreni vedutili
scendere dalle loro
trincee , ne stu- pirono , e vennero ad
incontrarli con tutte
le forze, XI. Come
furono gli uni e
gli altri sul
campo, e le trombe annunziarono
il seguo delta
battaglia , corsero quinci e quindi
con alti clamori.
E fattisi i cavalieri su i cavalieri,
ed i fanti so i
fanti; pugnarono, e molu fu
la occisione in
ambe le parti.
I Bomani dell’ala de- stra comandati dal
console Mallìo malmenavano
il corpo che li
contrastava , e smontati da
cavallo combattevano
appiedo: ma quelli
dell’ala sinistra erano
circondali dal corno destro
de’ nemici. Imperocdiè
essendo ivi la mi-
lizia tirrena più elevata
e più numerosa , i Romani
ne erano battuti, e coperti
di ferite. Comandava
in questo corno Quinto
Fabio luogotenente e già
due volte con- sole. Egli resistè
lungo tempo , ricevendovi
ferite sopra ferite ; ma
poi trafitto da
una lancia nel
petto fino alle viscere
, esangue ne stramazzù.
Come ciò udì
Marco Fabio il console
che crasi ordinalo
nel centro , pigliò seco i più
bravi, e, chiamato
Fabio Cesone l’uno
dei fratelli , marciò verso 1’
altro Fabio (i). E
proceduto buon tratto, e trascorso
all’ala destra de’ nemici,
venne a quelli che circoudavano
i suoi. Dato l'assalto,
causò strage cupa a quanti
avea tra le
mani, e fuga ad
altri che erano da
lontano. Trovato il
fratello che respirava (i)
Il ferito. Par
questo il senso
migliore. Nel testo
si legge in luogo
di Fabio. Qui
dunque si hanno
tre Fabj, Marco , Quinto
, c Cesone, fiaiclli lutti
tre. ancora, lo
soUcTÒ; ma questi
non molto sopravvivendo, morì. Crebbe
qui l’ira a’ vendicatori suoi
su’ nemici. Nè più riguardando
la propria salvezza
lanciatisi in piccieda sebiera nel
mezzo di essi , dove
erano più folti , vi
al- zarono monti di cadaveri.
Pericolò da questa
|>arte la milizia toscana
, ed essa che
prima incalzava en
incal- zata dai vinti. Per l’
opposto c|oelli dell’ala
sinistra che gii crollavano
, e gii meticvansi in
piega li dove era
Mallio, quelli fugarono
i Romani contrapposti. Imperoo cbè
trafitto Mallio con
una lancia da
banda a banda in un
ginocchi o , c riportato da’
suoi che lo
circondavano agli
alloggiamenti ; i nemici lo
credettero estinto , e se ne
animarono ; ed assistiti
pur da altri
forzavano i Ro- mani , ridotti senza
duce. I Fal^ dunque
lasdalo il corno sinistro
furono di nuovo
astretti a soccorrere il destro.
I Tirreni , vistfli che venivano
con esercito po- deroso , desisterono dall’
inseguire : e strettisi fra
loro , combatterono io
ordinanza , perdendovi molti
de’ loro ; e molti
nocidendovi de’ Romani. XII.
Intanto i Tirreni ebe
avevano invaso gli
allog- gia menti lasciati da
Mallio , aizaione il segnale
dal ca- pitano, marciarono con
gran fretta ed
ardore verso gli altri
alloggiamenti Romani perchè
non bene forniti
di guardie. Era il
loro concetto verissimo
; perché tolti i triarj
e pochi giovani, non v’ erano
se non mercadanii, e servi , ed
artefici. Ma ristringendosi molti
in picciolo spazio presso
le porte, ebbevi
una viva e terribile
zuffa con strage copiosa
e vicendevole. Accotzo con i
cavalieri Mallio il console
per ajuto ; cadde
col cavallo, nò po-
tendo risorgere per le
molle ferite vi
morì. Perirono ancora intorno
a lui molti giovani
valorosi : e per tale infortunio gli
alloggiamenti furono espugnati
; vcriGcan* dosi cosi li
vaticini fatti ai
Tirreni. E se avessero
ben usato la sorte
presente, e guardato quegli
alloggiamenti; sarebbero
stati gli arbitri
delle provvigioni de’
Romani e gli avrebbero
costretti a partire obbrobriosamente : ma datisi
a predare le cose
rimastevi , e li più a
ristorarsi ancora , lasciaronsi
fuggir di roano
una bella occasione. Imperocché nunziatasi
appena all’ altro
console la presa del
campo , accorsevi co'
fanti e cavalieri migliori.
Li Tirreni saputo che
veniva cinsero le
trincee ; e fecesi battaglia ardentissima
tra chi voleva
ricuperar le sue cose , e chi temea
, se ricuperavansi , 1’ ultimo
eccidio. Ma traendosi in
lungo , e riuscendovi migliore
assai la condizione de'
Tirreni , perchè combatteano da
luogo elevato contra uomini
stanchi dal 'combattere
di tutto il giorno;
Tito Siccio legato
e propretore, consigliatosene con il
console , intimò la ritirata
; e che si riunissero ed
attaccassero tutti le
trincee dal canto
più facile. Trascurò la
banda verso le
porte per un
discorso plau- sibile che non lo ingannò;
per questo cioè,
che i Tir- reni sperando salvaf&i
, ne uscirebbero : laddove
se di ciò disperavano
circondati da nemici
senza uscita niuna; sarebbero necessitati
a far cuore. Portatosi
in una sola parte
l’assalto; non più
si diedero i Tirreni
a resistere; ma spalancate le
porte , salvaronsi ne’ proprj
alloggia- menti. II console , rimosso
il pericolo , scese di
nuovo a dar soccorso nel
piano. Dicesi che
questa battaglia de’ Romani
fu maggiore di
tutte le antecedenti
per la mollltudine degli
uomini , per la
durazione del tempo , e per
l’ alleraarvi della sorte
; imperocché venti mila erano
i fanti, tutti di
Roma, floridi e scelti,
oltre mille dugento cavalli
che univansi alle
quattro legioni ; ed
aU trettanta era la
milizia de’ coloni , e degli alleati.
La }>attaglia conunciaia poco
prima del mezzogiorno
si estese 6no air
occaso , e la sorte ondeggiò
quinci e quindi gran tempo
tra vittorie e tra
perdite. Occorsevi la morte
di un
console , di un legato
, stato due volte
console , e di tanti
altri capitani , tribuni , e
centurioni , quanti mai piu per
addietro. Il buon
esito della giornata
fu creduto de’ Romani
non per altro
, se non perché
li Tirreni fra la
notte lasciarono il
proprio campo, e pas- sarono altrove. Il
giorno appresso fattisi
i Romani a saccheggiare il
campo Tirreno abbandonato
, e seppel- lire le morte spoglie
dei loro ,tornarono
agli alloggia- menti. Dove riunitisi
a parlamento diedero i premj
di onore a quelli che
avevano combattuto da
valorosi , e primieramente a
Fabio Gesone fratello
del console, che avea
fatto grandi , e
meravigliose gesta : in
secondo luogo a Siedo, cagione
che gli alloggiamenti
si ricu- perassero ; ed in
terzo a Marco Flavoleio
duce di una legione,
si pel giuramento,
che per la
magnanimità sua tra* pericoli.
Rimasero dopo ciò
per alquanti giorni
nel campo ; ma ninno
più dimostrandosi per
combatterli tor- narono alla patria.
In Roma per
battaglia si grande
laquale prendea fine
bellissimo , voleano tutti
aggiungere r onor del trionfo
al console che
tornava : ma il
con- sole stesso noi consentì , dicendo, non
essere pia cosa, nè
giusta , che egli s’
avesse pompa e corona
trionfale per la morte
del fratello e del
collega. E qui lasciate le
insegne , e congedalo 1’ esercito
, depose ancora i) consolato
due mesi prima
del termine suo ,
non po> tendo ornai
più sostenerlo per
la grande finta
che lo travagliava e riduoevalo
in letto. Il Senato
scelse gl’ interré
pe’ comizj , e convo- cando
il secondo interré
la moltitudine nel
campo Mar- zo, vi fu
nominato console Tito
Yerginio , e per la terza volta
Fabio Cesone, colui
che ebbe i primi
premj della battaglia ed era fratello
insieme del console , che avea deposto
il comando. Questi,
decidendo ciascuno per sé
l’esercito col mezzo
ddle sorti, uscirono
in campo, Yerginio per
combattere i Yejenti e Fabio
gli Equi che scorrevano, depredando,
le campagne Latine
(i). Gli Equi all’
udire che i Romani
venivano , si levarono iu fretta
dalle terre nemiche , e ritiraronsi alle
proprie città, sopportando che si derubassero
le terre loro :
tanto che il console
col subito venir
suo s* impadroni
di danari , di
persone, e di altre
prede in copia.
Si tennero i Ve- jenti
in principio tra
le mura ; ma
quando parve loro di
avere il buon
ponto , usarono su’ Romani
sbandati , ed intenti alla rapina delie
campagne. E perciocché
piombarono numerosi , in
buon ordine contro
di essi , non sedo
ue ritolser le
prede; ma uccisero,
o fugarono quanti si opposero.
E se Tito Siccio
legato non accor- reva , e li frenava , con
soldatesca ordinata appiedi
e a cavallo , niente
.impediva che I’
esercito in tutto
si di- struggesse. Ma giunto
lui per impedir
ciò, si affretta- ci) Adoo di
Room 37S aecaudo
Catone, 377 secondo
Marrone e 479 av.
Cristo] I 43 rono a rlunirsegli , senza eccettuarne
alcuno , tutti i di- spersi.
Coocenlralisi tutti occuparono
a sera un colle,
e vi pernottarono. Animati
dalla prosperità li
Vejenti ac- camparonsi presso
del colle e chiamarono
altri dalla città, quasi
avessero addotti i Romani
in luogo, privo
in tutto de’ viveri , e poiessero tra
non molto necessitarli
ad ar- rendersi. Accorsavi gran
moltitudine , si misero due campi
ne’ lati possibili
ad espugnarsi del
colle ; ed altre picciole guarnigioni
in siti men
facili ; tanto che
tutto ribbolliva di armati.
Fabio l’ altro console
intendendo per le lettere
del compagno che
gli assediati nel
colle erano agli estremi,
e sul punto ornai
di rendersi per la
fame , se alcuno
non li soccorreva
; raccolse 1’ esercito
, e corse su’ Vejenti.
E se giungeva un
giorno più tardi; niente
gli sarebbe valuto
, ma trovato avrebbe
l’ esercito rovinato.
Imperocché quei del
colle costretti dalla
pe- nuria ne uscirono per
correre a morte più
onorata ; e fattisi alle
prese co’ nemici , combattevano esausti
dalla fame , dalla sete ,
dalla veglia , da ogni
disagio. Ma dopo non
molto, quando videsi
l’esercito di Fabio
che giungeva numeroso, in
buon ordine, tornò
la conBdenza ne’ Romani
, e la paura negli
avversar). Dond’ è che
i Tirreni più non
estimandosi acconci per
fare giornata cx>ntro di
un esercito fresco
e potente , abbandonarono l’ impresa , e partirono. Ma
non si tosto
le due armate Romane
si ricongiunsero , fecero un
amplisnmo campo in luogo
munito presso della
città. Trattenutisi quivi più
giorni , e saccheggiatone il
meglio del territorio
di Vejo; rimenarono in
‘patria gli eserciti.
Avvedutisi i Vejenti che le milizie
Romane eransi levate
dalle insegne , presa ia
gioventù più spedita
che essi tenevano
ia arme , e quanta ne
era presente de’
loro vicini , si get- tarono su campi
confinanti , e li
depredarono pieni di fratti , di bestiami , di
uomini ; per essere
i contadini calati da’ castelli
a pascere i bestiami c lavorare
le terre su la
fiducia che aveano
nell’ esercito Romano
trincie- rato innanzi di
loro. Non eransi
questi ai partir
dell’e- sercito affrettati a
ritirarsi colle cose
loro, non temendo che
i Vejenti , tanto danneggiati ,
dessero cosi pronta la
ripercossa a’ nemici. Fu
la irruzione de’
Vejepti pic- cola se se
ne guardi il
tempo ; ma grandissima
per la quantità de’
campi saccheggiati : ed
avanzatasi fino al Tevere
verso il monte
Gianicolo a meno di
venti stadj da Roma ;
le recò
dolore e vergogna insolita
; non es- sendovi sotto le
insegne milizie che
impedissero a quella di estendersi.
Cosi l’esercito de’
Vejenti prima che
que- ste si riunissero ed
ordinassero , corse desolando , e
parti. XV. Adunatisi quindi
il Senato e i consoli
, c datisi a considerare in qual
modo fosse da
far guerra a’ Vc-
jenti ; prevalse il
partito di tener
ne’ conOni milizie
di osservazione pronte sempre
in campo per
la difesa del territorio. Couturbavali
che grande ne
diverrebbe il di- spendio , laddove l’ erario
era esausto per
le imprese continue , nè
più bastavano i beni
ai tributi ; e molto più
contnrbavali la recluta
di tali presidj
da spedirsi * perocché
ninno voleva star
in guardia per
tutti: doven- dosi
travagliare non a volta
a volta, ma sempre.
Essen- do per tali due
cause mesto il
Senato; i due Fabj
(a) (i) 1 due Fabj
sono Marco Fabio,
e Fabio Cesoue nomiaati
di topna.; 145 convocarono qnanti
partecipavano il loro
lignaggio. Con* saltatisi, promisero
al Senato di
andare spontaneamente essi per
tutti a tal rischio , conducendo seco
amici e clienti , e militandovi a proprie
spese ; finché durerebbe la
guerra. Ed esaltandoli
per la disposizion
generosa , e contando tutti di
vincere anche per
(jnesta opera sola , pigliarono essi
famosi in città
le aripe tra’sagrifizj
e tra i voti, e ne uscirono.
Era duce loro
Marco Fabio il console
dell’ anno precedente,
quegli che vinse
i Tirreni in batuglia. Esso
menava presso a poco
quattro mila , clienti per
la maggior parte
ed , amici , ma
trecento sei ve n’ erano
delia stirpe de’Fabj.
Usci non molto
dopo su le orme
loro l’armata Romana,
comandata da Fabio Cesone,
Tuno de’ consoli. Avvicinatisi
al Cremerà, fiume non
molto discosto da
Vejo , fordficaroiio su
di una balza precipitosa
e dirotta un castello
opportuno a di- fendere
tante milizie, e vi
scavarono intorno doppie fosse , e vi elevarono
torri froquenti. Cremerà
fu nomi- nato ancor esso
il castello dal
fiume. E conciosnachè molti esercitavano,
ed il console
stesso coadiuvava quel lavoro , fu terminato
prima che noi
pensassero. Allora cavò r esercito , e marciò su
1’ altra parte
alle terre dei yejenti , poste incontra
al resto della
Etruria , dove quelli
tenevano i bestiami , non aspettandovi
mai l’arme Romane. Fattavi
gran preda se
la recò nel
nuovo ca- stello ,
esultandone per due
cause , cioè per
la vendetta non tarda
pigliata su’ nemici , e per 1’
abbondanza che dava copiosissima
ai soldati che lo presidiavano,
percioc- « chè niente
ne riservò per
l’ erario , o ne dispensò
tra lo DIONIGZ , tomo
in. 1« sue
milizie, ma tulio
concedette a quelli che
guarda^ vano la regione,
greggi, giumenti, gioghi
di buoi, ferramenti , e quanto era
utile per la
coltura. E dopo ciò rlmenò
1’ esercito a Roma.
Erano dopo fondato
il cartello i Vejenti a mal
termine ; non polendo
nè lavo* t^re con
sicurezza le terre , nè
ricevere esterne vetto> vaglie. Imperocché
li Fabj (i)
diviso in quattro
parti la gente loro , con
una difendevano il
castello , e le tre altre
scorrevano la regione
nemica pigliando, e traspor> landò. E quantunque
molte volte i Vejenti
gli assalirono con truppe
non poche nell’
aperto , e se li tirarono dietro in
terre piene d' insidie
; essi nondimeno vinsero r uno
e r altro pericolo ; e fatta
glande uccisione , n ricondussero salvi
al castello. Pertanto
non osavano più li
nemici d’ investirli , ma
tenendosi per Ib
più tra le mura
, np faceano furtive
sortite. E cosi ne
andò quel* r inverno. XVI. Entrati
l’anno appresso (a)
in consolato Lucio Emilio , e Cajo Servilio
, fu nunziato a’
Romani , che i Volsci e gli
Equi eransi convenuti
di portare su
loro la guerra, e d’ invaderne tra
non molto le
terre; e ve- rissimo ne era 1’ annunzio.
Imperocché , armatisi gli
uni e gli altri prima
dell’ aspettazione , corsero , e devasta- rono , ciascuno , la regione
vicina a sestesso , persuasi che non
potrebbono i Romani combattere
in un tempo i Tirreni , e rispiiigere altri
che gli assalissero.
Poi so- (i) Cioè
quelli i quali prcaidiavauo
il casiello aoUo
gli auspicj di Marco
Fabio. (a) Addo di
Roma 37C lecoudo
Catone, 3^8 lecoodo
Varroae ; e 476 *v.
Cristo] {iravveiiendo altri ridicevano
che I’ Elriiiia
tutta levavasi in guerra
coulro i Romani , e preparavasi di
s[>edire ia comune un
soccorso a’ Vejenti.
Or lo avevano
i Ve> jenti f incapaci di
espugnare il castello , imploralo qu»> sto
soccorso ; commemorando la
unità del sangue , 1’
a- micizia, e le tante
guerre che aveano
insieme combat- tute. Anzi aVeano
dimandata l’ alleanza loro
nella guerra co’ Romani
non si per
questi riflessi , come per
quello ancora , che i Vejenti
erano su la
frontiera dell’ Etra- ria ; e frenavano una
guerra , che versavasi da
Roma su tutta la
nazione. Convinti di
tanto i Tirreni promisero mandare tutti
i sussidj che richiedevano.
Per 1’opposto il Senato,
informatone, risolvette spedire
tre eserciti. Ed arrolate
in fretta le
milizie; fu spedito
Lucio Emilio sa i Tirreni.
Usci pur con
esso Fabio Ceso
ne , colui che avea
di fresco deposto
il comando , ottenuta dal
.Senato la facoltà di
ricongiungersi in Cremerà , e partecipare t pericoli
della guerra colle
genti Fabie che
il fratello aveaci condotte
in difesa del
luogo : ma egli
v’ andava co’ suoi
compagni ornato di
autorità proconsolare. Cajo Srrvilio
l'altro console marciò
contro i Volsci, e Servio Furio proconsole
contro gli Equi.
Seguivano ciascun di essi
due legioni Romane
, e truppe alleate non
minori di Eroici , di Latini , e di
altri. Servio il
proconsole espedì la guerra
con termine rapido
e lieto ; perciocché fugò gli
Equi con una
battaglia , e senza stento
; im- paurendoli al primo investirli
: e poi rifuggitisi questi ne’ luoghi forti
; ne devastò le
campagne. Ma Serviliu
il console fattosi a combattere
con fretta ed
orgoglio, in- contrò ben altra
sorte da quella
che ne aspettava:
Opposiiglisi i Volsci bravissimameote , vi
perdette molti va* lentuomini: tanto
che si fidasse
a non far più
battaglia: ma standosi negli
alloggiamenti , deliberò di
mantenere la guerra con
tenui mosse e scaramuccie
de’ soldati leg- geri. Lucio Emilio
mandato nell’ Etruria
, trovando accampati innanzi della
città li Yefenti
con grandi rinforzi di
quella nazione , non indugiò
per imprendere : ma dopo
un giorno da
che erasi trincerato , presentò le schiere
in battaglia. Vi
si lanciarono' i Vejenti
arditis- simamente: ma
divenuta questa eguale
in ambe le
parti; prese i cavalieri , e. gli
avventò su 1’
ala destra de’
ne- mici ; e perturbatala;
corse su la
sinistra, combattendo a
cavallo dov’era luogo
da cavalcarvi, e dove
no, smon- tando , e
combattendo a piede. Venute
in travaglio am- bedue le
ale , nemmeno ' il
centro potè più
sostenersi , forzato dalla fanteria
: e fuggirono tutti verso
gli allog- gitrmenti. Emilio
allora gl’ inseguì
con le milizie
ordi- nate, e molti ne uccise.
Giunto presso gli
alloggiamenti diedevi con mute
continue 1’ assalto , ostinandovisi tutto quel
giorno e la notte
seguente : finché nel
giorno ap- presso languendo i nemici
pel travaglio , per le
ferite , e per la veglia
, se ne impadronì.
Quando i Tirreni videro i Romani
trascendere le trincee
, le abbandona- rono, e
fuggirono quali in
città, e quali a’ monti
vicini. Tennesì il console
per quel di
negli alloggiamenti ne- mici ; ma
nel giorno prossimo
onorò con doni
conve- nienti i più
segnalati in combattere,
e concedette a’ sol- dati
quanto era ivi
stato lasciato , giumenti , schiavi , c tende
piene di ogni
ricchezza. E 1’ esercito
Romano se ne ricolmò
quanto non mai
per altra* battaglia;
impe- 1 4p rDcclièJi Tirreni
vivono vita delicata
e sontuosa in pa- tria , ed
in campo ; e portan
seco , non che le
cose necessarie , suppelletlili
ancora di pregio
e di artifizio , ond’
esserne in piaceri
e delizie. Ne’ giorni appresso
stanchi da’ mali i
Vejenti spedirono ambasciadorì i più
anziani della città
cq^ modi de’ supplichevoli per
trattare intorno la
pace col console. Or
questi sospirando, prostrandosi^
e dicendo,^ tra molte lagrime, quante
cose mai sogliono
impietosire; indus- sero il console
a questo, che permettesse
loro d’inviare oratori a Roma
per dar fine
in Senato alla
guerra : e che non
danneggiasse in tanto
la terra loro ,
finché ne tornassero colie
risposte. Ad ottenerne
però questo, pro- misero , come volle
il vincitore , dar grano
per due mesi , e danari per
sei pe’ stipeudj
di tutta V armata.
E portate , e ricevute , e dispensate
tra' suoi tali
cose , il console conchìuse
con essi la
tregua. Il Senato
, uditi gii ambasciadori ,
viste le
lettere del console
che molto pregava, e raccomandava che
si finisse il
più presto la guerra
co’ Tirreni ; deliberò
dar la pace
che dimanda- vasi : e che
nel darla il
console Lucio Emilio
stabilisse le condizioni che
gli sembrasser migliori.
Il console a tale
risposta si concordò
co’ Vejenti , facendo una
pace anzi umana , che utile
pe’ vincitori , senza riserbare
per essi delle terre , senza
impor nuòve multe,
nè garantire i patti cogli
ostaggi. Or ciò
lo mise in
grand’ odio , e fu causa
che non avesse
dal Senato ringraziamenti, come savio
nel procedere suo.
Imperocché chiese il
trionfo; ed i padri si
opposero ; incolpando 1'
arbitrio de' suoi trattati , definiti senza
il pubblico voto.
AlìGaché però nou sei
prendesse ad ingiuria
, nè sen corucciasse
; lo destinarono a portare le
armi contro de’
Volaci in soc- corso dell’altro console,
perchè, come fortissimo
nomo eh’ egli era , desse
ivi , se poteasi , buon fine
alla guer- ra , e dissipasse 1’
odio dell’ azion
precedente. Ma costui sdegnato sa
la negazion degli
onori fece presso
del po- polo lunga accasa
de’ senatori , cpiasi dolesse
loro che spenta fosse
la 'guerra co’
Tirreni. Diceva , che
ciò fa- cevano ad arte
in conculcaménto de*
poveri , perchè i poveri ,
delusine già tanto
tempo, non insistessero
per la division delle
terre , se tornavano dalle
guerre di fuori. Queste
e simili contumelie lanciò
con indigna- zione vivissima su’
patrizj , e sciolse 1*
armata che avea con
lui combattuto , e richiamò , e
congedò 1’ altra
che era tra gii
Eqni sotto Furio
proconsole. Con die
re- nelle con- ti ricchi i
poveri. Presero quindi il
consolato Cajo Orazio , e Tito Menenio
(t) nella olimpiade
settantesima sesta, quando vinse
allo stadio Scamandro
da Mitilene, es- sendo in
Atene Fedone P arconte^
Il torbido interno impedì questi
a principio ne* fatti
del comune, fremendo la
moltitudine , nè tollerando che si fornisse
niuna pub- blica cosa innanzi
la divisione delle
terre. Ma poi,
vinto il popolo dalla
necessità , lasciò quanto facea
sommossa e tumulto , e ne
andò spontaneo in
sul campo. Impe- rocché le undici
popolazioni Tirrene non
comprese nella ( I ) Anno di
Roma 377 secondo
Catone , 27;) secondo
Varrone , e 4y5 av. Cristo. stimi
molto potere ai
tribuni di malignare doni contro
del Senato ,, e di
alienare n ciò principio
alla guerra. Levaronsi,
ciò convenuto , dal
par-» lamento. Indi a non
mollo spedirono i Yejenti
a raddo» mandare' da’ F abj
il castello , e già tutta
1' Etruria era sa
r arme. I Romani , conosciuto ciò
per lettere spedite da’
F abj , decretarono che uscissero
ambedue i consoli r uno alla
guerra che sorgea
dall’ Etruria , e 1’
altro a quella che
ardeva già co’
Yolsci. Orazio marciò
con due legioni e con
truppe alleate ben
forti contro de’ Yolsci, Menenio dovea
con altrettanta soldatesca
incamminarsi contro r Etraria. Ma
intanto che si
apparecchia, e s’in>
dogia ; il castello
di Cremerà fu
preso , e distratta la stirpe
de’ F abj. La
sciagura de’ quali-
si narra a due modi
r uno non persUadevole , 1’ altro
piò prossimo al vero.
Io gli esporrò
tutti due , come gli
ebbi. XIX. Narraoo alcuni
che sovrastando no
patno sa- grideio che
doveasi porger da’Fabj,
uscirono gli uomini con
pochi clienti per
compierlo , ed andarono , senza esplorare le
strade , non ordinati
sotto le insegne
, ma incauti e negligenti ,
quasi passassero terre
amiche , nei giorni lieti
della pace. I Tirreni , saputane anzi tempo r andata
, disposero tra via
le insidie con
parte dell* e> sercito , mentre 1’
altra parte veniva
in ordinanza non molto
addietro. Approssimatisi i Fabj,
sorsero i Tirreni dalle insidie , e gl’ invasero
di fronte , e di
fianco ; as- salendogli non molto
dopo da tergo
il resto de’ Tirreni. Circondatili d’
ogn’ intorno con
fionde , con archi , e dardi , e lance
; gli uccisero tutti
colla moltitudine dei colpi.
Or tale racconto
a me sembra poco
persuasivo. Imperocché non par
verisimile, che tali
uomini, addetti com’ erano
alla milizia, ne
andassero dal campo
in città senza il
voto del Senato
per sagrìficarvi ; potendo
il santo rito fornirsi
per altri del
lignaggio medesimo, già provetti
negli anni. Che se tutti
erano partiti d»
Roma senza che stesse
ne’patrj lari alcuno
de’ Fabj; nemmeno può credersi , che uscissero
dal castello quanti
di questi il guardavano;
imperciocché se ne
andavano tre o quat* tro , bastavano a compiere
il santo rito
per tutta la
pro- sapia. Per tali cagioni
a me non sembra
credibile questo racconto. L’ altro
che io reputo
piò verisimile su
la di- struzione di essi , come
su la presa
del cartello , così procede. Andando
questi di tempo
in tempo per
forag- giare, e. spandendosi ognora
più da largo,
come quelli che prosperavano
ne' tentativi ; i Tirreni , raccolte gran forze,,
si accamparono, senza
che il nemico
ne sapesse, in luoghi
vicini : poi facendo
uscire da’ castelli
masse di pecore , di buoi , di
cavalli , come per pascere , accen- devano i Fabj ad
invaderli: ond’ è che venendo
questi predavano i pastori , e
menavano seco i bestiami.
Davano i Tirreni di continuo
tal »ca , traendo i nemici
sempre piii lontani dal
campo : or quando
ebbero con gli
allst- lameoti perpetui dell’
utile rallentate le
provvidenze loro per la
sicurezza; misero di
notte gli agguati
in luoghi opportuni , intanto che
altri stavano su
le allure per esplorare. Nel
giorno appresso mandali
innanzi alcuni soldati ,
come per
difesa de’ pastori,
cavarono mollo be- stiame da’ castelli.
Come fu nunziato
ai Fabj , che se andavano
di ià dai
colli vicini , troverebbero ben
tosto il piano ripieno
d* ogni bestiame
senza valida guardia
: lasciarono nel castello
un idoneo presidio
, e vi si di- ressero. E trascorrendo frettolosi , ardenti veri, e
dicendo opera loro,
quanto è l’opera di 'una sorte
improvveduta , ed inevitabile
; li renderono inso- lenti, se già
erano esasperati. Fra
tanti mali i consoli spedirono con
molti danari chi
comperasse grano dai luoghi
vicini : e comandarono che
chi teneane in
casa oltre i bisogni moderati
della vita , lo
recasse al pub- blico: e destinatone i prezzi
convenienti, e fatte queste e cose
altrettali , ammansarono i
poveri che si
sfrena- vano , e si rivobero di
bel nuovo agli
apparecchiamenti delia guerra. E
certo tardando a giugnere
le vettovaglie di fuori , e finite in
breve le interne,
non aveaci altro scampo
da’ mali: ma doveasi
nece»ariamente o rischiare
tntte le
forze e snidare i nemici
dai territorio, o morire tra
le mura per
le discordie e la
fame. Adunque eles- sero farsi incontro
ai nemici , come al
meno dei mali. E levatbi di
città coll'esercito valicarono
circa la mezza notte
su picciole barche
il fiume, e prima
che il giorno fosse
luminoso , già teneano
il campo presso
a’ nemici. Donde cavato
nel giorno appresso
1’ esercito , 1’ ordiua- (i)
Di ani illiberali
• sordide. Silbtirgio inleade
(|r«. Quindi è che
se dividasi 390U per
laS risulta -i6. Casaub. le
trasmutarono in, àlire
di pecore e’
buoi , tassato an- che il numero
di questi per
le ammende avveniife , che i magistrati imporrebbero
su’ privati. La condanna
di Menenio fa causa
che i patriaj si
sdegoas'sero col p- polo , nè
più gli permettevano
di fare la
divisione delle terre , nè voleano
in cosa ninna
condiscendergli. Ma tra non' molto lu
potilo il pplo
de’ suoi giudizj , appunto
nell’ udire la
morte di Menenio..
Imperocché non crasi questi
mal p(ù veduto
nelle adunanze , o" ne’
pubblici luoghi: e polendo pagare
l'ammenda (giacché non
po- chi de’ suoi eran
pronti a soddisfarla pr
esso ) , e con ciò non
perdere' niun pubblico
diritto j non volle
: ma giudicando pri la
ingiuria alla morte;
si tenne in
casa, nè più ammise
prsona , e rifinito dal
dolore e dalla ’ fame ' abbandonò
la vita. E tali
sono le ■ Operazioni
di quest’ anno. Divenuti
consoli Pulsilo Valerio
Poplicòla e Cajo Nauzio,
fa condotto a giudizio
capitale anche un altro
patrizio Servio Servilio,
console dell’anno pre- cedente, non laokò
-dopo che aveva
lasciato il coma'udo. Due
tribuni Ludo Cedicio , e.Tito Stazk)
erano quelli che lo
accusavano’ al popolo-
chiedendo ragione non d' ingiustizia alcuna , ma
degl’ infortuni suoi , perchè nella ballagUa
co’ Tirreni spintosi
egU fin sotto
alle trin- cee nemiche con
più ardirò che
prudenza , e- rincal- zatone da quei
d’ entro' che ne uscirono
in copia , vi prJetle
il meglio de’
giovani. Questo giudizio
parve ai patrizi il più duro
di tutti.' E congregavansì , e
doleansi , (i) Abdo di
Roma 979 Mcoado
Catoast aSi secondo
Varrone, e 473 >r. Cristo] lG5 è teneano per
gran male se il bell’
ardire , e il non ri* cu
sarsi ai pericoli
accusarasi ne’ capitani
che non tro* vavan
propizia la. sorte,
e da quelli che
non erano nemmeno stati
ne’ perìcoli : dicevano
, che qne’ giudizj aarebbero , coni’ era
verìsimile , cagione di timori
e di ignavia ne’ comandanti, e di
non &r loro
mai piu con* cepire
nuovi trovameoti : che
perita ne sa.rebbe
la li- bertà, come annientata.!’ antorità del
capitano. Ed in- sistevano caldamente presso
la plebe >. perchè
non con- rebbe il . danno
se puoi vanti
i dttci > pe’ successi
non buoni. Venuto il
tempo del giudizio , fattosi innanzi Lneio* Cedicio,
uno de’ tribuni, accusò
Servilio di avere per
imprudenza ed imperizia
di comando menata
i’ ar- mata incontro a pericoli
manifesti , e rovinato il
Bore della repubbnca : tanto
ohe se informalo
beo tosto il console ' compagno della
sciagura volando a lui
coll’e- sercito, non respingeva
i nemici, e salvava i suoi;
niente impediva che non
fosse disfatta anche
tutta 1’ altra
mi- lizia , e che in avvenire
per metà decadesse
, non che si ampliasse
la'' potenza di Ronìa.
E cosi dicendo presen- tava per testimOnj
i centurioni , quanti ve n’
erano , èd alcuni soldati, i quali,
volendo rilevare sestessi
dall’ infa- mia della disfatta
e della foga, d’
allora , versavano sul capitano
là colpa degl’
infortito) del combattimetnto. Quindi inspirando
viva compassione, verso
gli estinti in quella
giornata, exl esagerando
quel male, ne
ricordò con. molto .disprezzo
ancor altri , i quali detti
in comune contro i ' patrìzj , scoraggiavano chiunque
di loro volesse intercedere per
Servilla ; é dopo ciò
gli concedè la
dii- E Servilio pigliando a difendersi
disse ^ Cif- tadini , se mi
chiamale al giudizio,
e cìuedete ragione del "mio
capitanalo ; san pronto,
a renderla : ma se mi
oliiàmate ad una
pena già risoluta , e'
mente pift giova eh’
io dimostri che
non v oJ[esi; prendete
fusa-, temi come avete
già stabilito. .Egli'è
pur meglio eh’ io mora
non giudicato cK
ottener le difese,
nè persua-, dervele ; perciocché
■ sembrerei patir con
giustizia ogni cosa che
su me sentenziaste.
Altronde voi meno
sa~ rete colpevoli, se
togliendomi le difese,
jnentre oscura ancora c la
mia colpa , se colpa
ho mai fatta
; secon- date 1 vostri
risentimenti. Il pensier
vostro' dalla vostra udienza mi
-sarà chiaro : il
silenzio o' il
tumulto mi saran d argomento
se m’ avete alle
^scolpo chiamato, o alla pena.
E biò detto si
tacque. E fatto silenzio,
e gridando ben molli
che facesse, cuore , e dicesse ciocché voleva, cosi
ripigliò: Cittadini, se
.voi siete i‘ giudici, non i nemici
miei ; di leggeri
spero XOftVincervi , che non
v’ oj^esì ; e comincio
da ciò cito' tutti
sapete. Io fui scelto
console ’coll ottimo
V-erginio , quando i Tir^ reni fortificatisi
nel colle imminente
a Ronìà , domi» navano,
tutta intorno la
campagna, sperandosi di
abo- lire ben tosto, ambe
il vostro f principato. Eravi
in città fante , discordia
, defeienza onde risolvette. In- contratomi in tempi
così . turbati e terribili ruppi , unito
al collega , due volte
in battaglia i nemici , e gli astrinsi
a lasciare, il castello
, 'che guardavano. Feci dopo
non molto cessare
la fame , ricondotta t abbondanza npl ■
Foro , e consegnai d consoli
susse- guenti sgombro da’ nemici
il territorio che
n’ era pie-HO,
e Roma sana da
tutti i mali politici , i cot pipopoU l’
avea/io inabissata. So
dunque non è de^ litio
vincere gt inimici , e di che
mai son io
’^lpevole presso vai ? O conte
ha Servilio offeso
il popolo', se alcuni
bravi incontraron la
morte col, maU:hio
combai* tere ? Già non
v’ è niun Dio
che asiicuri ai
capitani la vita de*
suoi militari ; nè
prendiamo , d , comando con-
patti e formale di
vincer lutti i nemici
^ e non perdervi aldino de' nostri. E chi
mai , s egli è uomo^ chi si
offrirebbe di riunire
in sè tutti
i bei tratti di consiglio
buono , e di sorte
? Anzi i grandi risuUad con
pericoli grandi s'
ottengono. Nè già io-
sono il primo
éte m’ avessi
tale ÒKonlro in combattere,
ma se l ebbero,
dOei, quanti fecero pericolose
battaglie con poche
schiere contro lè molte
nemiche. Incalzarono alctzni
i nemici , e poi furono
incalzati: ne uccisero,
e ne furono decisi,
an- che in più nurhero.- siri capitani , riuscitici altri
con termine buotto
, ‘altri con doloroso ? E perchè
dunque^ lasciate gli
altri , e me 'giudicale ; se a
norma - ponderale delle
leggi le opere , non degne
della sapienma e del
capitanato ? Quante imprese
più audaci ancor
della' mia cadde in pensiero
capitani^ di compierle , quando la
circo- stanza non ammetteva consigli
sicuri,' é già maturati^ Chi
strappando le insegne
dalle . mgni de' soldati , le gittò fra
nemici , perchè i suoi
scoraggiati ed intimo- riti » d -rìànimassero a-
forza, istruiti , che chi
non salvatale ne avrebbe
morte ingloriosa dal
comandante, jiltri scorrendo sul
territorio nemico ,
ucdicarono e ruppero i ponti
de' fiumi valicati,
perchè i soldati non . vedessero scampo
nella fuga, se
la tramavano , e
com^battessero coji ardore
e ferrnezza. Altri- dando
alle fiamme le bagagUe
e le tende , necessitarono ' i suoi a ritrovare nelle
terre nemiche quanto
lor bisogna- va. 'Lascio' mille
altre imprese', audaci
tutte , ed ideate da capitani , che ió
.potrei pur dire
'su la sto- ria , e su la
sperienza , e per le quali
ninno mai , faUilagli .la
prova, soggiacque alle
pena E già niuno può
redarguirmi che mettendo
i compagni ad aperto pericolo , io xnen
tenessi lontano. Se
io mi vi
esposi cogli .altri , se ultimo
me ne ritolsi
, se vi 'corsi
la sorte comune di
tutti ; e di~che • sono
io reo ? Ma basti
il fin qui
detto su me. Voglio
ora dirvi alóune
poche cose intorno del
Senato e de’ patrizj , perocché f odio
pubblico contro di loro
per la division
sospesa àeUe terre
deot* neggìa eutcora a me,
nè l accusatore mio
occultò que-^ sto
facendomene parte non
piccola delt accusa.
E questo dir mio
sarà libero ; giacché
diversamente nè io saprei
parlarvi, né > voi
profittarne» Popolo! voi nè
giusti siete nè
retti non rendendo grazie
al Senato de' tanti
e 'grandi benefit j che ne
aveste ; e sdegnan- dovi che non
'per invidia ma
per calcolo di
ben pub- blico, vi si
oppone .in cosa
che'- dimandate , la quid conceduta tusai
nocerebbe '.al comune.
Piuttosto do- vevate
accettarne i consigli pome' nati -da principj
sol* dissimi , pel bene di',
tutti , e tenervi dalle
sedizioni'} 0 se non potevate
con tal sano
discorso frenar gli appetiti,
t non sani , dovevate implorar
te dimande , persuadendo , non
violentando, Imfièroechè li
doni spontanei titnpettp de’
violenti son più
cari per chi li
dona y e più stabilì
per . chi. H riceve..
Or • voi , viva Dio
, non ' avete ciò
cónsiderato : nia commossi
ed inaspriti dai capipopolo,. come il
mare dai venti
che insorgano, F un. dopo F
altro , non avete
lasciato che la patria
riposasse, nemmen picciolo- tempo.,, tra la xoima , 'e
il sereno. Dondt
è che. noi. dobbiam
pensare migliore per noi
la guerra, che
la pace ;^iacchà
nella guerra maltrattiamo i nemici,
ma gli amici
nella pace. Se voi
lipulate tutti burnii
e lutti utili, come
sono, 1 decreti del Senato
; perchè, non avete
riputato tale anche questo
? E se credete che
il Senato non
prov- veda con semplicità, mq
che male, e vituperosamente amministri , 'perché noi
degradate / voi tutto
, e ven prendete le cariche
, e consultate e
guerreggiale voi per
la potenza di
Roma , ma , lo stuzzicate , e lo in- debolite poco a poco
, chiamandone i personaggi più illustri
in giudizio? Certo
sarebbe pur meglio
che fos» situo tutti
insieme combattuti , che càìunmati
ad -uno ad uno. Sebbene , non
siete voi , con»’ io
diceva , la cagione di ciò,
ma i capi del
popolo che vi
sommo- vano , non sapet^o essi
nè ubbidire y nè
comandare. E per ciò che
spetta alla loro
imprudenza ed impe^ rizia',
già più volte
sarebbefi la nave
rove^aicita. Ep- pure il Senato
che ha riparato
tante volle i loro
sba- che. fa che
la vostra repubblica
navighi rettamente, ' ascolta
^ peggio della maldicenza
da loro. Or
queste cose , vi piacciano o no-,
le ardisca io
dire con ogni verità:
e vorrei piuttosto morire;,
videndorm di una libertà
'profittevole ab pubblico
{ . che salvarmi adu- landovi. G}si, dicendo ,, senza
volgei^i a lamentare o deplorar
la sciagura , senza uniilianti
a suppliche, e pro-
slrai^ioni non degne
y e senza' ..palesai^ affezione
alcuna men che generosa
, lasciò che parlassero
gli altri , 'do- gliosi di '
coadiuvarlo arringando, o testificando: Lui
di** scolpavano, molti che
eran presenti ,
singoK\rmente Ver* giuio , gii
cpnsòle. co'n euo
lui , riputato l’autore
della vittoria! Coitui non
solamente dimostrò Servilio
irre- prensibile, ma degno che
si encomiasse ‘ed
otiofasse come peritissimo in
guerra , e savissimo tra’ capitani. Diceva che
se credeano buono
iì termine della
gaerra dovevano ringraziar lutti
due ; o tutti dile
punirli se sci aurato
; giacché avevano .tntti;.dne
avuto 'doiiiu ni i consìgli , le opere
, la fortuna. Commovea
non solo il discorso
di lui ma
la vita intera,
speriménUtta in tutte le
belle ationi. A^iungevasi , ciocché ispirò
piò com- passione , la forma
addoloievole , (piai suoL essere
in qiielli che han
sofferto, o siano per-
soffrire tamii ter- ribilL
Tanto che li' congiunti
degU uccisi, quelli
che pareano più . implacabili contro
1* autore tl^l
danuo , Ia sciaronsi vincere-,
e deposer lo sdegno
che ne aveano manifestato ; imperocché
qinna tribù nel
dare il voto
ló diede per la
condanna. E tal fu
la fine de’
pericoli di Servilio. Marciò
non mólto dòpo
contro i Tirreni r armata Romana
sotto gli auspicj
dei console Pubfio Valerio, perocché
si era d^
bei nuovo levau
in arme la città
di Vejo , ubendpsde i Sabini , alieni fino a
quei giorno di unirsele , quasi aspirasse
cose impossibili : quando
però vider(> Menenio
in fuga e presidiato
il monte prossimo a Roma
, giudicando ^ scadute le
forze Romane , e sbaldanzito
1’ animo di
quella 'repuUilica ,
eoncertaronsi co’ Tirreni , spedendo loro
milizie nume- rose. I
Vejenti confidati su le schiere
proprie e su quelle giunte
di fresco^ da’
Sabini frattanto che
aspettavano le ausiliarie degli
altri Tirreni anelavtino
, di volarsene a Roma
col più dell’
esercito , quasi ninno, ne
uscirebbe a combattere , ma dovessero
per assalto espugnarla , o ri- durla con la
fame. Indugiandosi però
essi ed aspettando i confederati, lehti
a ingiungersi, Valerio ne
prevenne i disegni , guidato
contra loro il fiore de’
Romani , .e gli alleati, con
sortita non manifesta,
ma occulta quanto polevasi. Imperocché
.uscito da Roma
sul far della
sera, e valicato il Tevere
; si accampò non
lontano dalla città. Poi
levando F esercito su
la mezza notte , si
avanzò con marcia oi-dinata;
e prima che fosse
il giorno, investi r nna
de’ campi nemici.
Erano due questi
campi ; di^ sgiunti , ma non
molto , fra loro , l’ uno de’
Tirreni , r altro, de’
Sabini. Fattosi primieramente
stil campo Sa* bino,
assalirlo fb prenderlo
; ''dormendovi i più senza' guardia sufficiente,
'come in terra-
amica , e liberi da ogni
sospetto , nwntre non
si annoqziavano in
parte ai* cuna i nemici.- Preso il
campo , quali furono uccisi
tra il sonno , quali
^orti appena’, o mentre
si armavano , e quali armati
già , mal resistendo disordinati
e dispersi: la -più parte peri,
fuggendo verso .1’ altro
campo,' sor- presa dalla cavalleria. Valerio', invaso'
il 'campo Sabino , marciò su r altro
de’ Vejenti , postisi in
luogo non- abbastanza
si- curo: ma non poteano
più gli assalitori
ghingeM oc-' culti , per essere
il giorno già
chiaro ; e datoyi da
fng- gitivi r avviso della
strage Sabina , e di
quella immi- nente ai Tirreni.
Pertanto eca necemario
andar con fortezza al
nemico. 'Ecco dunque
resistere con ardore sommo
i. Tirreni avanti j^i
alleggia'menti , e fervisi' aspra tenzone e strage
vicendevole.; stando 'lungo
tempo in- cert^ e pendendo
or quinci Or
quindi la sorte
della guerra. Alfine dan
volta i Tirreni , sospinti
dalla ca- valleria Rpmana , e ricacciansi tra
le uincee. . Segueli il consolé
, ed approssimatosi alle
trinclere nè* ben
for- mate , nè in. luogo
, come ho detto
, abbastanza sicuro , le assaU
da più parti
; travagliandovi tutto il
resto del giorno , nè
desistendone por nella
notte appresso. I Tir- renivinti da’
mali incessanti / a'bbandonano su l’
alba il CAmpo ; altri
in città iuggeo4o$i , altri dispergendosi
pei boschi vicini. Il
console , invaso par questo
campo, diè riposo ; in
quel giorno all’
esercito : e net seguènte
com> parti la preda
copiosa de’ due alloggiameuti
tra le Site milizie , coronando co*
premi ^ usati chiunque
s’ era più segnalato nel
'combattere. SenrUio il
console dell’ anno precedente , quegli
che sfuggi le
^ne popolari , man- dato ora luogdtenente
di Valerio, parsé
aver pià che tatti
risplenduto fra le
arme,- e sospinto i Vejeqti
alla fuga; è per tale
SUO merito ne
ebbe il primo
i premj, riputati' più
grandi tra' Roiliani. 'Fatti quindi
spogliare i cadaveri nemici , e> seppellire
quelli de’suoi , marciando, e
venendo il console
coll’ esercito ne’
campi prosskni a Vejo;
sfidò quelli d’
entro per la
battaglia. Ma non
pre- sentandovisi alcono , e
conoscendo altronde esser
cosa ben ardua pigliarli
di assalto , come chiusi
in città for- tissima, scorse in- gran
parte il lor
territorio, e si glttò su
s quello dé’ Sabini.
E saccfaeggikto pei^., più
giorni', pur questo , ^ che
era ancora intatto
; ricondusse l’ eser- cito
carico di prede
àmplissimi in patria.
‘ Usci di città molto
a dilungo per incontrarlo
' il popolo cintp
di ghir ciò Furio
(i); il Senalo
decretò che Tnino
de’due mar*, classe ^contro
di Vejo , ed
essi decisero, come
u$ayasi, colle sortì, chi
andasse. E 'toccato a Malliq,
vdlò col- r armata, e mise
il campo presso
a’ nemici. I Vejenti
ristrettisi fra le
mora , resisteroùO intanto
,. e spedirono alle città
Tirrene, _ ed ai Sabini,'
recenti loro ' alleati ,
chiedendone che mandassero
sollecito ajuto, .Ma
percioc- ché non furono secondati -e
consumarono .tra poco i
viveri ; alfine ^ necessitati
dalla fame , uscirono, i perso- naggi più
provetti e 'più veóer;iodi
e co’ simboli di. pa- ce , ne
andarono ambasaiadori ai
console per intercedere
' da esso il
fin della guerra.
M^o comandò che
poetas- sero a lui li viveri
di due mesi
per'.tulta.rarmsui). o tanto di
argento da stipendiamela
per un’anno, e ciò . (i)
Anno di Roma
a&u secoado .fatoae^
aSa secoado Vacroae, 4t
473 av. Cristo. fatto , «perirebbero al
Senato per trattarvi
la pace. Ac> cattarono i Vejenti
le condiaioai, e dati
beu^tosl» gli stipendi , e
per concession del
console , anche in luogo del
grano il suo
prezzo , ne andarono a Roma.
Intro- dotti in Senato cercarono
perdono t delle cose
operate fin’ allora, e
requie dalla guerra
in tu.tio. l’ avvenire. Disputate più
cose per l’una
e l'atra sentenza, al
line prevalse quella che
insinuava la riconciliazione , e ven- nesi ad Una tregua
di quaraot* anni.,
Gli oratori, avuta la
pace, assai de
ringraziarono Roofa , e partirono. In opposito
Mallio vi tornò
finita la guerra , e vi
chiese , e n’ebbe il
trionfo a piede (i).
Fecesi, reggendo questi consoli , il censo
; ed i cittadini che
assegnarono sè Stessi, i beni,
e li figli '^ià puberi,
fotono, poco più. che
cento fneUta' mila; Giunti dbpo
quesU al consolato
. Lucio Emilio Mamertx) per
la terza volta
e Giulio Yopisco nella olimpiade
settantesima settima (a) , nella
quale vinsè allo stadio
Date Argivo , mentre Caritè
era l’a» ' conte- di
Atene ; ebbero assai
travaglioso e turbato il comando , sebben tacesse.
la guerra di
fuori. Standosi ogni nemico
in calma ; ineprsero
per le se4izìoni
in- terne , in pbricoti ,
prossimi a rovinar la
repubblica. Sciolto il popolo
dalia otilizia insistè
ben tosto per la
division delle' lem. 'Imperocché
fra i tribuni aveacene uno
baldanzoso, nè disacconcio
alle arringhe. Gneo Genuzib.eia deiso,
l’ istigatore dei popolo.
Egli ad ora (1)
L’ovatiooe. *' ‘ (a)
Aano di Roma
aSi secondo Catone,
aS3 secondo Varrauc
, e 471 a». Cristo] .
177 nJ ora adunauJolo
, per conciliarsi i poveri
; pressava i consoli all eseguire
il decreto del
Senato sa la
divi» sion delle terre.
E questi ricusavano dicendo , non
es- serne la esecuzione stabilita
pel consolato loro , ma
per quello di Vergiiiio , e di Cassio
a’ quali era diretto
il decreto : similmente che
gli ordini del
Senato non erau leggi
perpetue , ma previdenze , valide
per un anno. In
mezzo a tali pretesti
non potendo costringere
i con- soli che aveano autorità
più grande della
sua ; diedesi a protervi consigli.
Mise in pubblica
accasa Mallio e Lucio
, consoli dell’ anno
precedente , e prescrisse loro
il giorno nel
quale dovésse giudicarsene , pronunziando svelatamente per
titolo dell' accasa
, ch’essi aveano offeso il
popolo col non
avere nominati i decemviri , com'era il decreto
del Senato , per dividere
finalmente i terreni. Che se non menava
in giudizio altri
consoli quando dodici erano
i consolati dalla emanazione
del decreto , ma faceva
rei , questi due soli , della
promessa tradita; davano per
cagione la mansuetudine
sua. In ultimo
disse; che i consoli attuali
allora unicamente ridurrebbonsi
a divìder le terre , quando vedessero
alcuni de’ trasgres- sori puniti dal
popolo , considerando che avverrebbe anche ad
essi altrettanto. Ciò detto , esortati tutti
a venir pel giu- dizio , giurò per
le sante cose , che
egli osserverebbe il proposito
, ed insisterebbe con
tutto l’ardore su
la con- danna di quelli,
e prefisse il giorno
in cui sen
farebbe la causa. I patrizj , ciò udito , caddero in
molto timore e sollecitudine , come
dovessero liberare que’
due , e reprimere 1’ audacia
del tribuno. Deliberarono
resistere DIOXIGI . tomt Iti.
i> al popolo fortissimameote , e bisogoandovi , colie armi ancora , né permettergli
cosa ninna , se
mai la decre- tasse contro la
dignità consolare. Non
però vi bisognò violenza ninna , cessando il
pericolo con risoluzione
ina- spettata e repentina.
Imperocché quando mancava
al giudizio un giorno
solo; Genuzio fu
rinvenuto morto nel suo
letto p senza indizio
niuno di uccisione
non per isu-azio , o capestro , o veleno , nè
per altre insidiose maniere. Risaputosi il caso
, e portatone il cadavere
nel Foro , parve questo
come un impedimento
divino , e ben tostò
il giudizio fu
tolto. Imperocché niun
tribuno osò di riaccendere
la sedizione , anzi molto
condannò le lune di
Genuzio. ' Se dunque
i consoli quando il
cielo chetò la discordia
avessero ceduto, non
insistito in con- trario ; non sarebbero
incorsi in altro
pericolo. Ma da- tisi ad
insolentire e spregiare il
popolo, e fatti vogliosi di
mostrargli quanto era
il potere del
loro comando ; causarono
mali gravissimi. Intimata
una iscrizioa mili- tare , e forzandovi chi
ricusava , con multe e verghe
: ridussero il più
del popolo alla
disperazione, principal- mente
per tali
motivi. Publio Valerone , un
plebeo , d’ altronde
illustre fra le
arme, e già capitano
di centurie nelle guerre
precedenti , fu segnato da essi per
semplice le- gionario. Or lui
reclamando , e ricusando un posto
che lo disonorava quando
non aveva demeriti
anteriori, sde- gnaronsi i consoli
de’ liberi modi ,
e comandarono ai Kttori di
nudarlo a forza , e di batterlo.
Il giovine in- vocava i tribuni , e chiedeva , se era
colpevole , di es- sere giudicato dal
popolo. Ma non
udendolo , ed insistendo i consoli
perchè i latori sei
menassero , e lo bal^
lessero; egli riguardò
la ingiuria come
insoffribile, e divenne appunto
il vindice di
sè stesso. Imperocché, fortissimo eh’
egli era , trae
de’ pugni in
faccia , ed at- terra il littore
che primo lo
investe , e poi l’ altro. Esa- sperandosene iconsoli, e comandando
a tutti insieme i satelliti
di avventarsegli ; parve
raiion superbissima ai plebei
ebe eran presenti.
E congregandosi ; e schiamaz-
zando per istigarsi
1’ uno V altro
alla vendetta; ritolsero il
govane, e respinsero colle
percosse i littori. Alfine si
spiccavan su i consoli , e se questi
non isparivan dai F oro
; sarebbevisi fatto male
gravissimo. Per tale
evento tutta la città
se ne scinde
; ed i tribuni placidi
fin’ al- lora , fremendo ne
accusano i consoli : e le
contese per la ditnsion
de’ terreni cangiaronsi
in altra più
grave su la forma
del governo. Imperocché
irritandosi i paU-isj come i consoli
, quasi fosse l’ antorilà
conculcata di questi ; voleano
precipiur dalla rupe
l’ audace che in- sorse su
i littori. Per 1’
opposi to i plebei riuni vansi , e vociferavano e conciUvansi
a non tradire la
libertà. Si rimettesse la
causa al Senato , vi
si accusassero i con- soli, e se n esigesse
un castigo , perchè non
lasciarono goder de’ suoi
dritti , e traturono come uno
schiavo, e diedero a battere
un uomo libero
, un cittadino , che chiedeva l’ ajuto
de’ tribuni , e di essere , se
fosse reo , giudicato dai
popolo. Fra tali
contrasti e ritrosie di ce-
dere gli uni agli
altri , decorse tutto
il tempo di
quel consolato senza fatti
di guerra, o di
governo, belli e memorandi. Xh. Venuto
il tempo de’comizj
furono dichiarati consoli Lucio
Pina rio e Publio
Furio (i). In
principio di quest’ anno
la cilià fu
piena ben tosto
di religiosi e divini
terrori pe’ molli
portenti e segni che
apparvero. £ li vali , e gl' interpreti
delle sante cose,
dichiaravano tutti , esser
questi gl’ indizj
dello sdegno celeste
per al- cuna sacra cosa , fatta
con ministero non
pio , nè puro. E dopo non
mollo ne venne
su le donne
un morbo , chiamato contagioso
, e tanta moruliià per
le gravide principalmente ,
quanta mai più
per addietro. Imperoc- ché partorendo prole
immatura e già morta , perivan con essa.
IVè le suppliche
ne’ templi e nelle
are de’nu- mi, nè i
sagrifizj di espiazione
fatti a scampo della
pa- tria o delle famiglie ,
portarono un fine
ai mali. In tal
rio stato un
servo diè cenno
a’ pontefici , che una
delle vergini sacre ,
custodi del foco
inestinguibile , ( Orbilia
ne era
il nome ) avea
la sua verginità
estinta , e che non pura sagrificava
; ed essi traendola
dai Santiìario , e dandola a giudicare
; poiché per gli
argomenti fu rea manifesta
, la batterono , e condottala con
pompa lugu- bre per la
città , la seppellirono
viva. Di quelli
poi che ebbero il
mal' affar colla
vergine , 1’ uno si
diè la morte di
per sè stesso;
l’altro fu preso
nel Foro pe’ sopra- stanti delle sante
case , e flagellato come uno
schiavo , ed ucciso. Dopo
ciò fini ben
tosto la infermità
soprav- venuta alle femmine , e la
tanto lor perdita. La
sedizione già si
diuturna in Roma
de’plebet co’ patrizii , vi ribolli
per opera di
Publio Valerone tri- buno , quello che
ntll' anno precedente
aveva disubbi- |i) Anno
di Roma aSa
secoudo Catone, aS;
secondo Varrone, e 4^0
av. Cristo] dito i consoli
Emilio e Giulio quando
il segnavano per legionario,
di centurione che
era. Costui nato
di stirpe vilissima , e cresciuto in
grande oscurità e disa- gio , fu creato
tribuno dal ceto
de' poveri , appunto perchè sembrava
che avesse il
primo tra’ privati
umi- liato il grado consolare
, autorevole Gu’ allora
come quello dei monarchi,
'e molto più
per le promesse
che dava di togliere , giurilo al
tribunato , la potenza de’
patrizj. Costai quando l' ira
del cielo era
cheta , convocando il popolo,
fece uba legge
su le elezioni
popolari trasmu- tando i comizj che i
Romani chiamano per
curie in quelli per
tribù. Io sporrò
qual sia la
differenza degli uni e degli
altrL Li comizj
curiati perchè fossero
va^ lidi , conveniva che precedesseli
il decreto del
Senato , che il popolo
vi desse il
voto di curia
in curia ; e che oltre
questi due requisiti , niun segno , nè
augurio ce- leste vi si opponesse : laddove
gii altri comizj
compi- vansi dalle tribù
con un giorno
solo senza decreti
an- teriori del Senato , senza
sagriGzj , e senza le divinazioni degli auguri.
Due degli altri
quattro tribuni volean
co- m’ egli la legge
; ed esso tenendosi
amici que’ due ;
ne andava superiore a fronte
degli altri che
la ricusavano i quali eran
meno. I consoli , il Senato
, i patrizj in- tendeano tutti
a distoglierla e renderla vana.
E recatisi in folla al Foro nel
giorno preGsso dai
tribuni per fon- dare la
legge , vi furono
aringhe di consoli , di
sena- tori provetti , e di
chiunque il volle , per
dimostrare gli assurdi di
essa. Risposero i tribuni , e di bel
nuovo i consoli ; e prolungandosi mollo
le altercazioni , fecesi notte , e l’ adunanza fu
sciolta. Proposero nuovamente i tribuni pel
terzo mercato la
diacussion su la
legge ; ma concorsavi gente
anche in pi
& copia , se n’ebbe un fine
simile al precedente.
Or ciò vedendo
Publio, de- liberò di non
permettere ai consoli
di accasare la
legge , nè al patrizj
di trovarsi al
dar de’ sufiì'agj.
Perocché questi co’ loro
amici e clienti non
pochi , ingombravano gran
parte del F oro , facendo animo
a chi denigrava la legge
, e remore a chi difendevala
, e cose altrettali che nel
dar dei voti
sono indizio di
violenza e disordine. XLII. Se non che
ne interruppe i disegni
tirannici nn’ altra calamhé mandata
dal cielo. Imperocché
sorse in città nn
morbo pestilente che
infuriò pnr nel
resto d’ Italia ; non però
quanto in Roma.
Nè valeva per
gii infermi soccorso umano , morendovi del
pari e chi era con
ogni diligenza curato,
e chi non lo
era. Nemmeno giovarono allora
suppliche , sagrifizj , espiazioni
private o pubbliche , alle
quali necessitati si
rivolgono gli uo- mini io
tali casi per
estremo rimedio. Il
male non di- stinse non età , non
sesso , non vigore
, non debolezza, non arte ,
non cosa
ninna di quelle
che pajono ren- derlo più leggero;
ma comprendea del
paro Uomini e donne , giovani e vecchi.
Non però durò
gran tempo , e questo impedì
che la città
ne perisse totalmente.
Si gettò come torrente
o incendio su gli
nomini con im- peto furibondo , ma passeggero.
Quando il male
diè requie ; Publio era
per uscire di
carica. E siccome non potea
stabilire in quel,
resto di tempo
la legge ; soprastando
i comizj j chiese di
nuovo il tribunato
per l’anno seguente, fatte
molte e grandi promesse
al po- polo: e di nuovo
se lo ebbe
egli, e due de’ compagni. Per Topposito
i patrizj tentarono far
console un uomo aspro,
odiatore del popolo,
e che non lascerebbe
punto diminuire l’ autorità de’
pochi : io dico
Àppio Claudio , 6glio di
queir Appio eh’
crasi tanto opposto
al ritorno del popolo.
Or quest’uomo che
moltissimo contraddiceva alla scelta
dei tribuni , questo che
non avea nemmeno voluto venire
al campo p«’ comic],
sei crearono con-* sole , quantunque assente , avutone precedentemente il decreto
del Senato. Terminati ben
tosto i comic] > per
esserne partiti i poveri appena
udito il nome
di Appio ; pre^ sero
il consolalo Tito
Qninuo Capitolino ed
Appio Claudio Sabino, nomini
non simili di
caratteri e di voglie (i).
Perocché Appio voleva
distrarre tra le mi-
lizie di fuori il
popolo ozioso e povero
, afGnchè coi suoi travagli
guadagnasse dai beni '
del nemico il
vitto giornaliero , di cui tanto
penuriava , e rendendo UliK
servigi alla patria , non
fosse malafFelto e molesto
a’ pa- dri che governano
il comune. Dicea
che avrebbe puiv le
cagioni plausibili di
guerra una città
che si procac- ciava il comando
, e che era da
tutti invidiata : chie- deva che argomentassero dalle
cose passate le
future , esponendo quanti moti
erano stati' in
città , e come sempre nella cessazion
della guerra. Quinzio
però non pensava di
portare ad altri
guerra : dichiarando che
do- vea bastar loro
quando il popolo
ubbidiva chiamato contro ai
pericoli esterni , che sopravvengono
e strin- gono , e dimostrando , che
se forzassero nel
caso pre- ti) Anno di
Roma a83 secondo
Catone , aSS secondo
Varrone, av. Cristo] sente gl'
indocili , indurrebbero la disperazione
come i consoli precedenti
1’ avevano indotta.
Dont}* è che por- rebbonsi
essi a repentaglio o di
opprimere la sedizione col
sangue e colle stragi , o di
scendere con vitupero
ad appiacevolire la plebe.
Comandava Quinzio in
quel me- se ; tantoché non
potea 1’ altro
console far nulla
senza il consenso di
esso.. Ma Publio
e li compagni ripiglia- rono senza indugio
la legge , che non
aveano potuto stabilire nell'
anno precedente , aggiungendo
a questa , che si
creassero ne' comizj
stessi ancora gli
edili: o che tutto in
fine, quanto si
trattava o risolveva dal
popolo, si trattasse e risolvesse
nel modo medesimo
con i co- mizj per trìbùr
Or ciò era l’
annientamento manifesto del Senato
, e l’ inalzamento del popolo. A tale notizia
mpensierirono , e discussero i consoli
, come togliere pronti
e sicuri la sommossa
e la sedizione. Appio
consigliava che si
chiamassero al- r armi quanti
volean salva la
forma della repubblica
; e che si numerassero
tra’ nemici quanti
si opporrebbero ad essi
che le impugnavano.
Ma Quinzio giudicava
che si dovesse prendere
il po[x>lo colla
persuasiva , e con-
.vincerlo die per
ignoranza de’ -veri interessi
sla nciavansi a rovinose risoluzioni.
Dicea esser t estremo
'della de^ menta estorcere
colla forza da’
cittadini ritrosi ciocché aver
ne poteano di
buorr grado. Ora
approvando pur gli altri
senatori il parere
di Quinzio ; i consoli
ne an- darono al Foro,
e chiesero da’ tribuni un’aringa,
ed il giorno in
cui farla. Ottenuta
a stento l’una e l’altra istanza, venuto
il giorno richiesto,
e concorsa al Poro moltitudine d’ ogni
genere preparata per
opera de’ due magistrati in
favor loro , presenlaronsì i consoli
per cen- surarvi la legge.
Quinzio , uomo altronde discreto , e persuaso che
il popolo avessi
a guadagnar col discor- rere , chiese il
primo udienza , e ragionò cose a
propo* sito , e con piacere
di tutti ; cosicché
li fautori delia legge
impotenti a dir cose
pii^ giuste o benigne,
assai ne furono imbarazzati.
B se il console
collega non la- vasi ancora troppo
gran moto ; forse
i plebei ricono- scendo che non
cercavano nè il
giusto , nò il bene
ri- pudiavan la ■ legge.
Ma perciocché colui
tenne un discorso superbo , e grave ad
udirsi da’poveri ; il
popolo ne fu crocciato , implacabile , e discorde , quanto
mai piò per addietro.
Non parlò costui
come a uomini liberi,
a cit- tadini arbìtri di fare e
disfare le leggi
: ma quasi par- lasse con nomini
vili , forestieri , né liberi
solidamente; vi lanciò detti
amari, insoffribili: vi
lamentò le assolu- zioni dei debiti , e ricordò la
separazione dai consoli
; quando dato di
piglio alle insegne , che
pur sono , san- tissima cosa ,
abbandonarono il campo , volgendosi ad un
esilio volontario. Richiamò
li giuramenti che
avean fatti , quando presero per
la patria le
armi , che poi contro lei
sollevarono. Pertanto diceva
che non sarebbe meraviglia se
essi che avevano
spergiurato gl’iddj , lasciato i
capitani , e diserta , quanto era
in loro , la p^ttria , e che vi
erano tornati, confusavi
la buona fede,
e sov- vertitevi le leggi ed
il governo , ora
non si dimostras- sero moderali ed
utili cittadini : mai
incitati da nuòvi desideri ed
eccessi , talvolta
chiedessero magistrati pro- prj , scelti dall’ordin
loro, e questi iudipendentì
, in- violabih ; tal’ altra
chiamassero in giudizio
per cagioni turpissime que’palrizj
che loro paressero,
trasferendo dal celo più
puro al più
sordido i poteri con
cui Roma faceva un
tempo giudicare sull’
esilio e la morte;
e ta- lora i mercenari e
privi de’ palrj
lari com’ erano , fis- sassero leggi ingiuste
ed oppressive contea
i bennati , senza lasciare al
Senato la facoltà
di proporle prima col
sno decreto , tolta
ad esso una
prerogativa che aveva V sempre avuta
senza contrasto, fin
sotto de’monarchi, e de' tiranni.
E dette molte altre
cose consimili , senza
lasciare indietro memorie
amare, nè risparmiare
nomi ingiuriosi ; alfine pronunziò
questo ancora per
cni tntto il popolo
ne infuriò , vale a dire
che mai la
città che* terebbesi totalmente
dalle sedizioni ma
che sempre in- fermerebbesi per
nuovi mali , finché fossevi
il poter dei tribuni
; affermando che negli
affari politici si
dee ve- dere che i principi
sian buoni e giusti , giacché da
buon seme si ha
frutto buono e felice,
ma infelice e reo
da reo seme. XLV. Diceva
: se questo potere
fosse erttraio in città
di buon accordo
per ulil comune;
venutovi col favor degli
augurj e della religione , sarebbe stalo
a noi causa di
molti e gran beni , di
unione , di leggi savie,- di speranze
belle dal ctmto
dé’ numi, e di mille altre
cose. Avendovelo però
introdotto la violenza,
la prevaricazione , la discordia , il timore
di una guerra interna, e tutti i mali
più odiati fra
gli uomimf come con
tali principii ne
sarà mai fausto
e salutare? Ben è superfìua cosa
cercar farmachi e cure
quante sen possono ai
mali che ne
germogliano finché restavi
la radice viziata. Nè mai vi
sarà termine , mai
requie alcuna dallo sdegno
celeste , finché ques^ invìdia , in» saziabile furia
in città s’
annida , e lorda , ed infra- cida tutto. Ma
per tali cose
vi sarà discorso,
e tempo più acconcio. Ora,
poiché si vuole
rimediare alle còse presenti
; io lasciando ogni
acerbità , vi dico : « N& » questa legge,
nè altra qualunque
non approvata prima » dal
Senato sarà mai
valida nei mio
consolato. Ma so> n Sterrò con
parole gli ottimati , e quaudo anche
1’ o- » pere vi
bisognino , nemmeno in
queste sarò vinto » dagli
avversar). E se non
prima ayete saputo
quanta » sia r /lutorità de'
consoli , nel mio consolato
lo sa- a prete, a Àppio
cosi disse , quando Cajo
Lettorio il piò provetto
e più venerabile de’
tribuni , uomo rico- nosciuto
non ignobile in
guerra , e buono al maneggio degli affari , sorse e replicò
, cominciando da alto ,
e ragionando a luogo sul
popolo , quante diftìcili
spedi- zioni avessero
intrapreso i poveri , da lui
vilipesi , non- solo nel tempo
dei re , quando forse
era necesiiià , ma dopo
la espulsione loro
per acquistare alla
patria la libertà e il
comando. Pur non
ebbero , dicea , ricom- pensa ninna da
palrizj , né goderono alcuno
de' pub- blici beni; ma
quasi presi in
guerra , furono privati injino della
libertà : e se volevano
conservarsela do- vettero .
abbandonare la patria , cercando una
terra ove non fossero , essi liberi
uomini , insultati^ Senza
violentare , senza obbligare colle
arme il Senato
, eb- bero nella patria il
ritorno , condiscendendo a
lui che chiedeva e pregava
che si rendessero
alle abbandonate lor cose,
fi qui spose
i giuramenti , e rammentò gii accordi fatti
per questo ritorno;
tra’ quali v’era I* amni- stia di tutto
il passato, e la
concessione a’ poveri
di eleggersi magistrati i quali
proteggessero loro , e resi- stessero a chiunque volesse
mai conculcarli. Scorrendo su
^li subjetd , aunoverò le
leggi fondate poco
prima dal popolo ; come
quella su la
iraslasion dei giudizj
per la quale il
Senato cedeva ài
popolo che chiamasse
in giudizio qual più
volesse de’ patrizj
; e 1’ altra sul
dar dei suffragi, la
qual rendeva arbitri
de’ voti i comìzj per tribù , non quelli
per centurie. E così ragionato
Sul popolo ; rivolgendosi ad Appio
disse : E tu ardisci
et insultar quelli
pe’ quali la repubblica
divenne di piccola
grande , e luminosa d' ignobile ?
tu chiami sediziosi
gli altri ^ e rimproveri loro tome
fuorusciti ? Quasi non
tutti rammentino ancora ciocché
avvenne tra noi , vuol
dire che gli
avi tuoi levarono il
capo contro de’
magistrati , abbando- naron Ut patria,
e supplichevoli qui s' alloggiarono. Se non
forse voi che
avete abbandonala la
patria per amore della
libertà , voi v avete
fatto un opera
belìa^ fié ^ella è quella
de’ Romani che
han fatto altret- tanto, Tu ardisci
calunniare l’ autorità de’ tribuni
conte introdotta a mal fatto
; e persuadi qui noi
che c in- voliamo questo sacro , questo immobile
rifugio de’ po- veri , confermatoci da
numi a dagli uomini
per tanto grandi cagioni
? Ta tirannissimo , ninUcissimo che sei
del popolo ! E non
giungi nemmeno dunque
a vedere , che ciò dicendo
, oltraggi il Senato , oltraggi la tua
mùgislratura ? Insorse pure '
tutto il
Senato contro dei re , più
non potendo so
ferirne la superbia c gli affronti
; e fondò il consolalo
, e prima di ban- dirli da
Rema f coesi altri
ministri del regio
potere. 2'antochè ciò che
dici contro del
tribunato come in- trodotto mal fato,
per la origine
sediziosa, ciò dici ancora
contro del consolato
; giacché non altra
causa il fé nascere
se rwri lo
scuotersi de’ patrie j contro dei re.
Ma che parlo
io di queste
cose con te
quasi con cittadino buono
e Moderato , quando tutti
sanno che tu sei
di^ stirpe mal grazioso , anzi acerbo , anzi
in- festo al popolo , nè buono
da ingentilire la
salvati- chezea tua ? X)
perchè non pospongo
i detti , e ^ in- vesto co’ fatti
, e ti mostro che tu che
non ti vergogni di
chiamare il popolo
un sordido , e senza casa , tu non
sai quanta sia
la forza di
lui ? quanta quella
del suo magistrato a cui
le leggi ti
obbligano di dar
luo- go e di cedere ? ma
già lasciati 1 rammaricìd
delle parole , comìncio le opere. E ciò
detto giurò col
giuramealo , più rive* reado infra
loro , di sostenere la
legge; o di morire.
E qui taciutisi lutti , e latti empiutisi
di ansietà su ciò
che farebbe : comandò
che Appio ne
andasse dall* adu- nanza. E perciocché non
ubbidiva , ma cingendosi
coi littori e colia turba
che aveasì perciò
condotto di casa, ripugnava ad
andare ; Lettorio , intimato pe’
banditori silenzio,
consigliò che i tribuni
facessero portare il
con- sole nella carcere. E qui
la guardia di
lui si avanzò
, comandata , come ad arrestarlo
; ma il littore , che
il primo se la
ebbe innanzi , la battè
e respinse. E levatosi romor grande
e rammarico; v’accorse lo
stesso Lettorìo, eccitando la
turba in ' suo
ajulo. Se gli
oppose Appio con giovani
bravi e numerosi; ed
eccone quinci e quindi viluperauoni , grida , spinte ; talché
la contesa divenivane
zuflà , ornai
cominciandovisi il trar
delle pietre. Se non
che ripresse tali
colpi , e fece chn il
male non procedesse più
oltre Quinzio l’ altro
console , caccian- dosi egli c
li più
anziani de’ senatori , tra le
minacce , e supplicando e scongiurando tutti
a desistere. Non avanzava allora
se non picciola
parte del giorno,
e però si divisero finalmente
, ma di mal’
animo. Incoiparonsi i
magistrati a vicenda ne’
giorni appresso : il
console accusava i tribuni che
tentassero di annientare
il suo grado col
volere in carcere
chi lo rappresentava
; ed i tribuui il
console , pe’ colpi
portati su persone , sacre ed inviolabili
per la legge
; e de’ colpi avea
Lettorio i segni manifesti
nel' sembiante. Intanto
stavasi la città scissa
e fremente. I tribuni ed
il popolo occuparono
il Campidoglio, non tralasciandone mai
la guardia, giorno' e notte : il
Senato adunatosi tenne
lunga e travagliosa discussione intorno
ai modi di
chetar la discordia , con- siderando la gravezza
del pericolo , e come
nemmeno i consoli fossero
uniti fra loo);
giacché volea Quinzio conr^dere al
popolo le istanze
• moderate , ed Appio vi ripugnava , a costo ancora
della vita. E poiché ninna
cosa avea termine , Quinzio presi nn
per uno i tribuni
ed Appio , orando, scongiurando ,
raccomandava loro di
antepoiTe il ben
pub- blico al proprio. E vedendo
alfine ornai rimplacidili quelli, ma
duro in sua
caparbietà il console
compagno; persuase Leitòrio e i seguaci
di lui, sicché
rimettessero al Senato l’esame
de’ privati e pubblici risentimenti.
ConTocato quindi il
Senato, lodativi ampiamente
i tribuni, e scongiurato il compagno
a non contrastare la
salvezza pubblica , invitò tutti
, secondo il solito , a dirne il pa-
rer suo. Invitato per il primo
Publio Valerio Poplicola, disse: che
doveansi dal pubblico
condonare, non por- tare in
giudizio le incolpazioni
vicendevoli de' tribuni e del
console su quanto
s’ avean fatto o sofferto
nel tumulto; perchè non
erosi fatto per
mal animo, nè per
ben propiro , ma
per gara di
preminenza in re- pubblica: quanto alla
legge poi sen
facesse previo decreto in
Senato ; giacché Appio
console non voleva che
senza questo al
popolo si proponesse.
Del resto provvedessero tribuni
e cofisoli insieme il
buon ordino, e C armonia de'
cittadini nel dar
de' suffragi. Appro- varono lutti quel
dire ; e ben tosto
Quinzio fe’ dare
il volo a’ senatori
su la legge.
AcCusolla Appio per
più capi, e -molto i tribuni
se gli opposero,
ma vinse (ìnal- mente
di gran lunga
il partito per
introdurla ì stesone il decreto
del Senato, ne
tacquero le gare
de’ magistrati, il popplo di
buon grado lo
accolse , e fece co’
sufTragj suoi la legge.
Da>quelip (i) fino a
miei tempi i comizj per
tribù decidono col
volo loro la
scelta de’ tribuni
e degli edili ^enza
dipendenza ninna dagli
augurj^e dalle cose di
religione. E tal fu
la soluzione de’
dissidj che di que’ giorni
conturbarono Roma. L. Piacque
dopo non molto
ai Romani di
arrolar le milizie , e spedire ambedue
^ consoli contro gli
Equi e li Volsci:
perocché nunziavasi loro
eh’ erano uscite truppe (i)
Addo di Roma
a83 secondo Catone,
a85 secondo Varrone, * 4^
UT. Cristo] in gran
numero deli’ uno e
dell’ altro popolo
e depre- davano gli alleati
Romani. Apparecchiati dunque
in fretta gli eserciti , e sceltone colle
sorti il comando
; Quinzio marciò contro gli
Equi, ed Appio
contro de’Volsci. Ma ciascun
dei due consoli
v’ ebbe le
vicende che meritava. Imperocché l’armata
di Quinzio benevola
al vaientQomo per la
moderazione , e per la dolcezza
di lui , ne ubbi- diva pronta i comandi , e le più
volte anche senza
co- mandi affrontava i pericoli ,
per acquistargli fama
ed onore. Dond’è che
scorse in gran
parte, saccheggiando, la region
de’ nemici ; senza
eh’ ardissero questi
venirne alle mani : e raccoltevi amplissime
prede , e vantaggi , e
dimoratavi alcun tempo
scevra in tutto
da mali; si
pre- sentò di bel nuovo
in patria , rimenandovi il
suo capi- tano luminóso per
le belle azioni.
Ma 1’ arntata , anda- tane con Appio , lasciò per
odio di lui
ipulti patrj do- véri; perocché fu
mal animata in
ogni spedizione e poco curante il
suo duce: e quando
le bisognò far
battaglia co’ Volscl , schieratavi
da . esso, ricusò
di venire alle mani.
Centurioni ed antesignani , chi lasciò
la schiera sua , chi gettò
1’ insegna , e rifuggironsi agli
alloggia- menti. E se
gl’inimict, sorpresi dalla
stranissima fuga, ed' intimoriti
per essa di
un qualche inganno , non
de- sistevano dall’ incalzarli ; perivane
il più de’Romani.
Or ciò faceauo a mal
cuore del capitano
, sicché egli sul- r esito
di fauste battaglie,
non crescesse col
trionfo, e con altri
onori. Nel giorno
appresso ora il
console re- darguendoli per la
fuga -ingloriosa , ora esortandoli
a cancellarne la infamia
con un generoso
combattimento, ora minacciandoli che
varrebbesi del rigor
delle leggi se ig3 non
teneansi fermi contro
a’ pericoK , essi
ìadociii tut>' lavia Io
intronarono colle grida , e cltiesero che
li ri«> tirasse dalla
guerra , come invalidi
a pi& resistervi per le
ferite. E quasi feriti
davvero , ' aveansi alcuni fasciate membra sanissime.
Appio adunque , necessitatovi ,
ritirò r esercito dalle terre
nemiche; ed i Volaci
tenendogli dietro, ne ticoisero'non
pochi. Giunti in
terre amiche, il cònsole
convocatili , e fintine i
grandi lamenti , an- nnnrìò che.
punirebbeli come i disertori.
E quantunque seniori e
magistrati militari assai
lo pregassero a tem- perarsi , nè volgere
la patria di
danno in danno
; egli non tenne conto
di alcnno , e stabili la
pena. Quindi i centarìoni le
cui centurie fuggirono
«'e li portatori delie bandiere , che le
aveano peivlute , gli nm
furono decapitati colle scuri , e gli
altri Colle verghe
battuti e morti. Del
resto della diilizia
ne peri , tirata a sorte , la
decima parte per
tatti. Tale fra*
Romani è il castigo per
chi lascia l’ ordinanza
, o getta la insegna.
.Dopo ciò egli , duce odióso
, condocendo 1’ avanzo
dell’ eser- cito mesto è disonoralo
; ornai sovrastando i oomiz)
, si rimise in patria. Dichiarati consoli , dopo questi , Lncio Valerio per
la seconda volta
, e Tiberio Emilio (i); i
Tribuni contenutisi già per
qualche tempo , introdussero di bel
nuovo il
discorso su la
division de’ terreni. £d
andatine ai consoli ,
chiesero supplichevoli ed
insistenti che si mantenessero al
popolo le proihesse
fattegli dal Senato Addo
di Roma 384
*, piacciavi udirle
o no, vi dico,,
veracissimo e libero , come utili
di presente , e sicure per P
avve- nire , se lascerete mai
persuadervene ; quantunque per. me
che affronto pel
pubblico bene l'odio
altrui saran causa di
mali non pochi.
Imperocché ragionando an- tivedo , e presentami i casi
altrui come norma
de'miei. Appio cosi disse
, e consenlendo con lui
quasi tutti , fu sciolto il
Senato. Irriuronsi i tribuni
per la ripulsa : e partitisi , considerarono come
punirne un tal uomo.
In mezEO al
molto discutere piacque
loro di sot- toporre Appio ad
un giudizio capitale.
Pertanto accu» sandolo .nell’
adunanza del popolo , invitarono tutti
a venire in giorno
determinato , per
sentenziare su lui. Sarebbero queste
le incolpazioni , vuol dire
che stabiliva massime ree
cofilro il popolo
; che riaccese in
città la sedizione ; che
alzò viqlento le
mani sul tribuno
ad onta delle leggi
sacrosante ; e che duce
delC esercito , sen tornò
pieno di sciagura , e (T infamia.
Annunziate tali cose al
popolo , e destinato il
giorno in cui
di(^ vano che ne
farebber la causa , intimarono ad
Appio di comparire a difendersi.
Sen dolsero e prepararonsi i padri
Con tutto l’ ardore
a salvarlo. Eid esortandolo
a cedere al tempo , e prender abito
conveniente alle cir> costanze ; replicò
che mai non
farebbe azione vile , nè degna delle
precedenti; e che sosterrebbe
anzi mille morti che
prostrarsi supplichevole ad
alcuno. Rimosse alquanti
‘che eran pronti
d’ Intercedere per lui , dicendo: die sarebbegli
stata doppia vergogna , se
vedesse altri fare per
lui ciocché non'
dovea fare nemmeno
per sè stesso. Dette
queste , e cose consimili , senza cambiar vestimenti, nè
tener di sembiante,
nè llul fìnsero
che per una
Infermità morisse. Portatone quindi
il cadavere nel
Foro , -il Gglio di
lui fattosi innanzi
ai tribuni ed
ai consoli » dimandò che
convocassero Tadananza legittima;
e ^mettessero a lui di lare
sul padre suo
la -funebre laudazione,
usala in morte de’ Valentuomini. Intimarono
ai consoli l’adu* nanzB
; ina vi ripugnarono
itribuni , ed imposero al giovine
di tor via
quei cadavere. Non
sofferse il popolo né
guardò con indifferenza
clte inonorato il
cadavere si rimovesse ; ma
concedette al > 6glU>
di rendere i con- sueti onori al
padre : £ tale fu
la fine di
Appio. I consoli arrotarono, e cavarono
di città le mi-
lizie ; Lucio Valerio per
combattere gli Equi e
Tiberio Valerio i Sabini ; perciocché
gli ultimi ne’
tempi della sedizione entrarono
il territorio romano,
e danneggiatane gran parte ,
ne partirono con
amplissima preda : gli
Equi poi venuti
più volte alle
mani , e presevi molte
ferite, eransi riparati
in luogo fortissimo,
nè più ne scendevano
per combattere. Ben
tec^ò Valerio di
asse- diare quelle trincee ,
ma ne
fu proibito dal
cielo. Im- peròcclié mentre
v’andava e ponessi all’opera;
si mise il cielo
in caligine , in pioggie
, in fulgori , e tuoni spaventevoli. Se ne sbandò
l’ esercito , ma sbandatosi
appena cessò la
procella : e fecesi grande
serenità. Prese il console
come cosa di
religione un tal
fatto : e per- ciocché gl’ indovini
diceano non essere
da por quell’as- sedio ; egli diè
volta, e saccheggiò la
terra; e lasciata in utile
de* soldati la
preda , ricondusse in
patria l’eser* cito. Tiberio
Emilio però scOrrea
fin dal principio
con assai negligenza le
regioni" de’ nemici, nè
aspettavano ornai più le
milizie; quando uscirono
a fronte i Saliini, e sen fece
battaglia ordinata , quasi dal
mezzodì fino a sera.
Sorprese dalla notte
ritiraronsi le armate
ciascuna aoi al suo campo
, nè vincitori nè
vinte. Ne’giorai appresso i duci presero
cura de’ loro
estinti , e munirono di fossa gli
alloggiamenti ; ambedue con
proposito di difender' visi , non di
uscirne per offendere.
Poi col volger
del tempo levarono le
tende , e partironsi cogli eserciti. L’
anno dopo nella
olimpiade settantesima
ottava in cui
vinse nello stadio
Parmenide di Possido> nia , mentre
Teagene «vea l’ annuo
magistrato di Atene, furono
in Roma consoli
Aulo Verginio Cclimoutano
e Tito Numicio Prisco.
Ascesi appena questi
al comando, ridicevasi che
giungevano i Volsci con
esercito poderoso. Nè mólto
dopo fu invaso
da essi , e dato alle
Gamme un posto ne’
dintorni di Roma :
e non essendo questo mollo
lontano ; il fumo
stesso annunziava alia
città l’in» ibrtunio. Immantinente,
essendo ancor notte,
inviarono i consoli de’ cavalieri
per osservare , e misero guardie su
le mura; ed
essi stessi schieratisi
fuori delle pqrte co’
soldati più spediti , v’
a^ettavano i ' rapporti de’
ca- valieri. Fatto giorno raccolta
la milizia che
avevasi iu Roma, andarono
contro a’ nemici: ma
questi, derubato il luogo'
ed incendiatolo, ne
erano ben tosto
partiti. Liberarono r consoli )e
cose che ardevano
ancora , e lasciatovi un presidio
sen tornarono a Roma.
Pochi giorni appresso usci
coll’ armata propria
, e con quella degli alleati
l’ uno e 1’ altro
console : Yergiulo contro degli
Equi e Numicio contro
de Volsci : e ciascuno
se n’ ebbe fra le armi
il successo che
desiderava. Deva- stando
Verginio le terre
degli Equi non
ardirono questi (i) Attuo
di Roma z85
tecondo Calotte, >87
secondo Varroac , e 4^
av. Cristo. di venire
alle mani. Ben
posero nna imboscata
di uo- mini scelti ove
speravano di piombare
su l’inimico sban> dato; ma
vanissima ne fu
la speranza. Imperocché
sa- putosi «ben tosto pe’
Romani , fecevisi vigorosa battaglia: ove gli
Equi tanto perderon
de’ suoi ■ die
più allora non vennero
al paragone delle
armi. Numicio marciò
su la città degli
Anziati , 1’ uua allora
delle primarie tra’VoI- sci , ma non
se gii oppose
armata niuna , riducendosi tutti a rispingerlo
da entro le
mura. Fu dunque
sac- cheggiato gran tratto della
lor terra, e presa
una citta- della in sui
lido, la quale
era per essi
come arsenale ed emporio,
ove concentravano il
molto che andavano depredando sul
mare. L’ esercito
si attribuì per
conces- sione dei console gli
schiavi , i danari , i bestiami , le merci : ma
gli uomini liberi
che non erano
periti tra la guerra
furono presentati all’ incanto.
Si acquistarono nom- meno
su gli Anziati
ventidue navi lunghe
, ed apparec- chi ed armi
di navi. Alfine
per comando del
console i Romani ne
bruciarono le case , ne
devastarono l’ arse- nale, e
ne distrussero da’ fondamenti le
mura; perchè, ritirandosene essi ,
quel luogo non
fosse un castello vantaggioso per
gli Anziati. Tali
furono le azioni
se- parate de’ consoli ; poi.
gettatisi insieme sui
territorio dei Sabini , e
depredatolo , rimenarono a Roma
gli eserciti; e r anno finì. L’anno appresso
fatti appena consoli
Tito Quin- zio Capitolino, e Quinto
Servilio Prisco, tutta
la milizia romana fu in arme , e spontanea si
presentò Auno di Roma
aS6, secondo Catone,
aS8 secondo Varrone, e 4^
av- Cristo. . ao3 quella
degli alleati , prima che
richiesti ne fossero.
Dopo ciò fatte suppliche
ai nami, ed
espiato l’esercito, mar> ciarono i consoli
contro a* nemici.
Li Sabini contro
ai quali era andato
Servilio , non che schierarsi
in batta> glia , non
nscirono nemmeno- all’ aperto:
ma tenendoM dentro del
chiuso, lascravano che
si devastassero loro
le terre, s’ incendiasser ’
le case,
e gli schiavi se
ne fuggis* . sero.
Dond’ i che i Romani
tornarono a grand’ agio dalle
lor terre , carichi di
preda , e risplendenti di glo* ria.
E cosi terminò la
spedizion di Servilio.
Quinzio, ed il seguito
suo , movendosi con marcia
più che mili» tare
contro gli Equi , ed
i Volsci, venuti ambedue
dalle regioni loro in
un sito stesso
a combattere per gli
al- tri , ed accampatisi davanti
di • Anzio : diedesi
a vedere improvviso. E fermatosi non
lungi dal campo
loro in tm luogo , basso
per sé medesimo , che era
quello ap> punto dove
prima fa veduto
e vide gli avversar) , po- sevi le
bagaglie per far
mostra di non
temere i nemici, quantunque superiori
di numero. Or
com’ ebbero am- bedue tutto in
punto per la
battaglia , uscirono in cam- po , cd
avventatisi pugnarono infino
al mezzogiorno. Non cedevano,
non superavano, quésti
o quelli, risto- rando sempre la
parte che vacillava , co’sussidj ordinàli per
questo. Allora quando
come superiori - di nnmero, cominciarono i Yolsci
e gli Equi a vantaggiare
^ e pre> valerne; non avendo
i Romani moltitudine , pari
all’ar- dore , Quinzio
veduti estinti molti
de’ suoi , e ferito il più
de’ superstiti , era per
intima ve la
ritirata : ma te- mendo poi
di dar vista
ài nemici di
fuggire; concluse, ch’egli dovea
cimentarsi. E scelto il
nerbo de’cavalieri.
Digitized by Google 2o4
delle antichità’ bomane vola
in soccorso de'
laoi nell' ala
destra , dove princi- palmente perìcclavaoOi Ed ora sgridando
di codardia li duci
stessi , ora ricordando le
passale battaglie , e di-
pingendo la infamia ed
il pericolo loro
se fuggivano; alfine disse
una cosa Gota
sì , ma cbe rincorò
li suoi più che
tutto , e sbigottì F
ibiiuico. Egli divulgò
che r allr ala sua
incalsava già gli
avversar} , e già stava
prossima agli alloggiamenti
r e divulgandolo, spronò sui nemici
; e sceso di cavallo
co’ bravi suoi
cavalieri, prese a combattere di
piè fermo. Tornò
l’ audacia aUora nei suoi
che ornai si
abbandonavano , e divenuti quasi
altri da quelli cbe
erano, fulminaronsi tutti
sul nemico. Tal- ché li
Volsci contrapposti -appunto
in quella parte,
dopo aver luogo tempo
résislito , piegarono finalmente.
Quinzio fiigaiili appena , rimonta
il cavallo e corre all’
al- tr’ala, e mostravi a’ fanti
suoi disfatta l’ala
nemica, e raccomanda che
non sieno per
virtù minori de’compagni. Dopo ciò
niono più de' nemici 'tenne fronte, ma
fuggirono tutti alle
trincee. Non gl’
inseguirono lungo tempo i Romani , ma
beutoste se he
rivolsero forzali dalla stanchezza,
nè più 'avendo ornai
l’arme, pari al bisogno.
Decorsi alquanti giorni , convenuti per seppellire gli
estinti e curare i mal conci , avendo già riparato
quanto mancava loro
per combattere, fecero nuovo
conflitto intorno gli
alloggiamenti romani. Impe- roccliè
venute nuove reclute
ai Volsci e agli
Equi dalle terre circonvicine,
inanimito il capitano
perchè i suoi erano il
quintuplo de’ Romani
, e perchè vedeva le
trin- cee di questi su
luogo non abbastanza
munito , cre- dette il buon punto
d’ assalirvegli. Con
tal disegno guidò .
. ao5 su la mezza
notte 1’ esercito
intorno al vallo
de’ Roma- ni , e cinseli , e
t«ineli in guardia , percbè inosservati non s’ involassero. Quinzio
saputa la moltitudine
de’ ne- mici , ebbe caro di
accoglierla. Ed aspettaudo
che fosse • giorno,
e principalmente Tura nella
quale il Foro
suol riempirsi , quando vide > che
i nemici venivano ornai stanchi
dalla vigilia e dalle
scaramucce, non per
centu- rie, nè in schiera
, ma confasi e sparsi;
immantinente, spalancale le porte , precipita su
loro col nerbo
de’ ca- valieri , mentre i fanti
lo seguitavano serrati
e stretti. Sbalorditi i
Yolsci dall’ audacia
, dopo aver sostenuta bteve tempo
la furia della
irruzione, rinculano, e la- sciano gli alloggiamenti. E percbè
non lungi da
questi aveasi un colle
alquanto elevato ; vi
accorrono , come a
riprendervi requie ed
órdine. 'Non riuscì però
loro di fermarsi e di
riaversi , giungendo ben tosto
i nemici , stretti quanto poteano
colle coorti , per
non esserne trabalzali ,
nell’ ascendere a forza
la pendice. Fattasi azione vivissima
per gran parte
del giorno, ne
perirono molti diagli ani e
degli altri. I Volaci , 'tuttoché supe- riori nel numero,. e rassicurati dal
posto occupalo, nou goderono
alcuno de’ dué
vantaggi : ma violentati
dall’ar- dore e dalla virtù de’
Romani , abbandonarono il
colle. F uggendo però verso
le trincee , molti ne
soccombe- rono. Imperocché non cessarono
i Romani d’inseguirli , ma tennero
immantinente .dietro loro ,
senza desisterne , finché ne
presero a forza il
campo. Impadronilivisi dei prigionieri e di
ogni cosa lasciatavi»
cavalli , armi , da- nari ,
che erau
pur molli , passarono ivi
la notte. Nel giorno
appresso il console,
apparecchialo ciocché biso- Digitized by
Google 2o6 delle antichità’
romane goava per un
assedio , diresse 1’ esercito
alla città degli Ansiati , uon lontana
più di trenu
stadj. Per avvenlora ivi
slavan di guardia
alquanti Equi ausiliarj
e custodivan le mura , e
questi per terrore
della baldanza romana naacchinavan fuggirsene.
Saputo dagli Anziati , ed
impe- diti partirne , congiurarono
dar la cittade
a’Roraani che si appressavano.
Gli Anziati avuto
sentore pur di
que- sto , cedettero al tempo
: E imnvenutisi cpn loro ;
si die- dero a Quinzio , in modo
che gli Equi
pe^ patto si dimettessero, accettassero
gli Anziati in
città la guarni- gione , e seguissero i comandi
de’ Romani. Divenuto pertanto il
console arbitro della
città, pigliatine stipendi ed
altri bisogni dell’
esercito , e presidiatala,
se ne ritirò. Uscitogli per
tal gesta incontra
il Senato, lo
accolse gratissimamente, e lo onorò
del trionfo. L’anno -appresso
furono consoli Tiberio Emilio per
la seconda volu,
e Quinto Fabio Ggliuolo dell’ uno
dei tre fratelli , duci già
della guarnigione spe- dita in
Cremerà^ ed 'ivi periti
co’ loro clienti. Ora.
fa- vorendo Emilio console ai
tribuni , e rimescendo qu^ti
di bel
nuovo il popolo
intorao la divisione
de’ campi ; il
Senato voglioso di
cattivarselo , e sollevarne i
poveri, stabili di compartir
loro uu tratto
del territoifio conqui- stato r anno avanti
su gli Anziati.
Furono deputati per la
divisione Tito Quinzio
Capitolino , quello appunto a cui
si erano gli
Anziati venduti , e Lucio
Furio ed Àulo Verginio.
Non stumio Albino
per la prima
volta , ■ e Quinto Servilio
Prisco per la
seconda. Nei lor
giorni gli Equi
risolvei* (t) Anno di
Roma -aSS secondo
Catone, 390 secondo
Vsrrone, e 4^4 Cristo.
Digitized by Google 2o8
delle antichità’ romane tero
vioiai-e i patti , recenti co’
Romani , per questa ca- grane.
Gli Aoziati che
avevano case e campi , rimasero nella lor
patria , coltivando le terre
ad essi concedute , come quelle
attribuite ai coloni
, a’ quali davano
con regole Gsse parte
del frutto :quelli
perd che unila
più avevan di questo,
si trasmigrarono. Gli
accolsero di buon grado
gli Equi fra
loro ; ma uscendone
, d^>redav«x> le terre latine
: dond’ è cbe 'i
più audaci , e più poveri ancora
degli Equi , fecero causa
con essi. Lamentarono i' Latini r insulto
in Senato, e'tdiiesero
che mandasse loro un
esercito, o loro concedesse
di ribattere gli
au- tori delia guerra. Il
Senato , udito eiò , nè inviare un
esercito , né permise ai
Latini che lo
menas- sero : ma scelti tre
ambasciadori, capo de*
quali era Fa- ,bio , quegli che l'
anno avanti avea
conchiuso il trat- tato, ordinò loro
di chiedere dai
primarj della nazione, se
mandava il pdbtdico
per qite’ latrocini
ne’campi degli alleati di
Roma , anzi di
Roma stessa , ne’ quali
eransi anche fatte alcune
scorrerie da , quegli esuli
: o se il pubblico non
avea di ciò
colpa ninna : E se
diceano che r opera era
de’ privati senza
volere del popolo
; chiedessero nelle mani
le predé nomuMno
ohe i preda- tori. Venuti gli
oratori , ed ascoltatili ; gli
Equi diedero oblique risposte
, dicendo , che 1’ opera
non era certo fatta
per pubblico voto,
ma che non
istimavano bene consegnarne gli
autori , perché, ridotti già
senza patria, e vaganti , erano
come supplichevoli stati
ricevuti nelle campagne (t).
AddoloravaSi Fabio, e reclamava
i patti (i) Vuol c^ita
pareva loro come
tradire la fede
oepiiale , $e ti conergnaTeoo. Linno
IX. - 209 traditi , pur vedendo
che gli Equi
s’inGngevano , e di- mandavano tempo
a consultarsi , e lo intrattenevano come pe’
doveri ospitali ; si
rimase infra loro
con di> segno di
esplorare le cose
della città. E visitando
ogni luogo sul titolo
di vagheggiarvi le
cose dei templi
e del popolo , gli
opifizj delle arme
da guerra o Gnite o che
si lavoravano , comprese i loro
disegni. Tornato ■n Roma
disse in Senato
quanto aveva udito , e ve- duto. Ed il
Senato , non più dubbioso
, decretò che si mandassero
i F eciali per intimare
agli Equi la
guer- ra , se non cacciavan
da loro i fuorusciti
di Anzio , nè promettevano rintegrare
i danneggiati. Replicarono gli Equi
baldanzosi , Gno a dir che
accettavano , nè già di mala
' voglia, la guerra. Li nigione
su’* turbolenti di
Anzio , onde rassicurarsene , e Spurio
Furio l’altro de’consoli
coll'esercito contro degli Equi.
Marciò ben tosto
1’ uno e 1’
altro ; nfa gli
Equi udendo uscita già
l’armata romana si
mq^sero da’ campi degli Ernici
per incontrarla. Vedutisi
appena fra loro ,
tutto che non
fossero molto distanti
, per quel giorno si
trìncierarono. Nel giorno
appresso i nemici vennero quasi
alle trincee de’Romani
per. esplorarvenè gli
animi. E poiché questi non
uscivano alla battaglia,
fattevi delle scaramucce, e niente
di memorando, sen
partirono assai (i) Allude
ai Romaui' portali non
molto prima iif
Aniio , come coloni pcrchi nel
tempo slesto invigilassero
e lenestero iit soggeunn^ Ig
città proclive alla
ribellione magnificandosene.
Il cohsole lasciate
nel giorno seguente quelle trincee,
come non molto, sicure
, trasposele in sito più
acconcio , e vi scavò
fossa più profonda
^ e vi piantò steccati più
alti. Crebbe a tal
vista il cuor
dei nemici , e molto più quando
ad essi pervennero
altri snssidj de’ Volaci
e degli Equi ; tanto
che senza più indugi
marciarono al campo
romano. Il console considerando
che a lui. non
bastava r>esercito contro le
dpe nazioni, spedisce
alcuni cavalieri con lettere'
in Roma perchè
mandisi a lui pronto
soc- corso , pericolandogli
tutta l’ armata. Giuntivi
questi su la mezza
notte , Postumio il collega
di lui ricevendole, fe’ convocare
per via di
molti araldi i padri
in Senato: e prima che
il di si
chiarisse, crasi decretato
che Tito Quinzio già
console per la
terza volta portasse
bentosto con autorità proconsolare
il fior de’
giovani a piedi ed a cavallo
sul nemico , c che
Aulo Postumio il
console raccolte il più
presto le altre
milizie , a raccoglier le
quali vi
abbisognava più tempo,
li soccorresse. Quinzio riuniti sul
principio del giorno
presso a cinque mila volontari, dopo
non molto marciò.
Gli Equi ciò
sospet- tando non istavansi a bada
: ma deliberati d’
assalir le trincee de’
Romani prima che
vi giungesse il
soccorso , si divisero
in 'due corpi
, e t’ andarono per
espugnarle colla forza , e col
numero. Fecesi per
tutto il giorno calda
battaglia , spingendosi questi
audacemente in più parti
su’ ripari, nè reprimendosene pe’ tiri
continui delle lance , degli
archi , e delle fionde. Adunque , conforta- tivisi a vicenda,
il console ed
il legato spalancando
in uri tempo le
porte , ne sboccano,
e piombando co’soldati più
validi da ambedue
le parti del
campo su i ne* mici,
ne rispingono quanti
vi salivano. Messili
in fuga, il console
insegai breve tempo
i soldati a lui coatra- posti, e poi
si ripiegò: ma
il fratello suo e
Publio F urio il legato
trasportati dalla impresa
e dall’ ardore corsero incalzando e uccidendo
fino al campo
nemico ; e non avean seco
se non due
coorti , numerose in .tutto
di mille uomini. Gli
avversar) loro «be
erano intorno a cinque
mila, osservato ciò,
si avventano dagli
steccati. . E mentre questi vengon
di fronte , la cavalleria
, fatto un giro, prende
alle spalle i Romani.
Publio ed il se-
guito suo cosi circondato
e disunito dal resto
de* suoi ben potea
salvarsi se cedeva
le arme, esibendogli
questo i nemici , cbe assai valutavano
far prigionierì que’mille bravi, quasi
potessero in vista
di essi ottener
pace ono* rata: ma i
Romani spregiato l’invito
ed animatisi a non far
cosa indegna della
patria, combatterono e spirarono tutti Ira’
cadaveri de’ nemici. Morti
questi , gli Equi inebbriati
dal buon successo presentaronsi
alle trincee romane
elevando con- fitto alle aste
il capo di
Publio e di altri
cospicui, per iscoraggirne quei
d’ entro, e necessitarli a ceder
le arme. Ma se
venne ad essi
pietà per la
sciagura degli estinti compagni , e se
ne pianser la
sorte , si moltiplicò
ben anche lo spirito
per combattere e l’ onorato
amore di vincere o di
morir come quelli
prima che andar
pri- gionieri. Circondati
dunque, com’erano de’ nemici,
pas- sarono i Romani senza' sonno
là notte , riordinando le parli
che aveano soiferto
nelle trincee , e quant’
altro mai potea respingere
gl’ inimici se
tentavano un altra volta
investirveli. F ecest nel
giorno appresso di
bel nuovo r assalto , schiaotandovisi lo
steccalo in più
parti. Più volte furono
gli Equi respinti
da quei d*
entro che ne uscivano
a schiere , e più volte
nell’ audacia delle
soi> lite , lo furono
questi dagli Equi.
Durò tutto il
di la vicenda: quando
fu il console
romano ferito nel
femore da uno strale
a traverso dello scudo,
e feriti pur furono
^ molti de’ più
rignardevoli , quanti li combattevano
infoiano. Ornai vacillavano t Romani
, quando su l’ im- brunir della sera
ecco inopinatamente apparire
Quinzio per soccorrerli col
corpo de’ prodi
volontarj. I nemici , vedutili
che avanzavano , diedero di
volta, lasciando l’assedio
imperfetto: ma quei
d’ entro incalzandoli
nella ritirata facean strazio
della retroguardia : se non
che indeboliti per la più parte
dalle ferite, non
gl’ insegui- rono a lungo ; ma
presto si ripiegarono
verso il lor campo.
Dopo ciò si
tennero gli uhi e
gli altri lungo tempo
fra le trincee
, guardando sestessi. Quindi mentre
il nerbo de’
Romani era im- pegnato in campo
, altre milizie di
Equi e di Volaci credendo il
buon punto d’ ime
depredando la regione
, uscirono tra la
notte ; ed invasala
in parte lontanissima dove gli
agricoltori viveano scevri
d’ogni paura, occu- parono non poco
di robe e di
nomini. Non però
ne ebbero bella in
,dné né facile
la ritirata , imperocché Postumio il
console mepaudo agli
assediati nel campo
i soccorsi adunati , appena udì
le operazioni de'
nemici , si presentò loro
contro la espettazione.
Non sbalordironsi essi, nè
tremarono, ma ponendo
a bell’agio le bagaglio e le
prede in luogo
sicuro , e lasciandovi guarnigione delle antichità’
romane che bastasse, marciarono
ordinali al nemico.
Venuti alle mani , sebben pochi
contro molli , fecero memorabili prove. Imperocché
precipitandosi giù dalle
campagne uomini in copia
cinti di lieve
armatura conir’ essi
che eran tutto arme
il corpo , fecero
grande uccision dei Romani
; e per poco non
si ritirarono , lasciando
nel- l’altrui territorio un trofeo
su gli assalitori.
Ma il con- sole e con esso i
cavalieri più scelti
spronandosi a re- dini
abbandonate su’ loro ,
dov^ erano il
forte , e com- battevano ;
ve li
sbaragliarono «e prostrarono
in copia. Battuti que’
pnmi , anche il resto
dell’ armata respinto fuggì : e la
guaniigìone delle bagaglie , lasciatele , s* in- volò di
su pe’ monti
vicini. Cosi pochi
moriron di essi nella
battaglia ; ma moltissimi
nella fuga , perchè ignari de’
luoghi ed inseguiti
dalla cavalleria de’
Romani. Intanto Servio 1’
altro console persuaso
che il collega ne
veniva a lui per
soccorrerlo, e temendo che 1 nemici
^non gli uscissero
incontra e glien traversasser la strada
; risolvè frastornameli ,
con assalirli negli
aU loggiamenti. Questi però
lo prevennero; perciocché
sa- puu la sciagura
de’ compagni dai
predatori salvatisi , levarono
il campoj e nella
notte, che fu
la prima dopo la
battaglia, rientrarono in
città, senza che
avesser po- tuto tptanto aveano
disegnato. Ma se
ne periron di
loro tra le battaglie
e i foraggi ; ne soggiacquero
nella fuga d’ allora assai
più di prima
(ra quelli che
restavano addietro.
Aggravati questi dal
travaglio e dalle ferite
, Iraendosi a stento innanzi , perchè non
.prestavansi ad essi i lor
membri , stramazzavano ,
vinti principalmente dalla sete ,
presso de’ ruscelli
e de’ dumi : e raggiunti da’cavallert romani,
erano trncidali. Netnraeno
i Romani tornarono felici in
tutto da quella
f guerra ; perdutivi molti valentuomini,
ed il legato
che vi si
.era segnalato, più che
tutti , nel combattere. Non
pertanto rivennero in patria
con una vittoria
non inferiore a ninna.
E ciù fecesi in quel
consolato. Sacceduti consoli
Lucio Ebusio , e Pnblio
Servilio Prisco (1); k
Romani plinti da
mori>o con- tagioso , quanto mai
più per addietro , non fecero
in queir anno cosa
ninna degna di
rimembranza nè in guerra
nè in pace.
Gettatosi quel morbo
in prima tra gli
armenti de’ cavalli , e de’ bovi , e poi
delle capre e delle
pecore , disfece quasi
tutti i quadrupedi. Quindi serpeggiando tra'
pastori e tra’ coloni
via via per
tutta la regione , in ultimo
invase anche Roma.
Non è facile ridire quanti
servi, quanti mercenàrj,
quanti della , classe indigente perissero.
Da principio se ne trasportavano
i cadaveri a mucchi su’
carri : ma poi
quelli . de’, men ri- guardevoli si
gettarono nella corrente
del fiume. Con- tasene perito il
quarto de’ senatori , e con
essi i due consoli, ed il più
de’ tribuni. Cominciò
quel morbo in- torno a’
primi di settembre
, e prosegui per un
anno in^ro , investendo e consumandone di
ogni, sesso e di ogni
età. Saputosi tra’ vicini
il disastro romano,
gli Equi ed i Yolsci
lo riputarono occasione
bonissima da levare sene
il giogo , e fecero
patti, e giuramenti, di
alleanza fra loro. Quindi
preparato quant’ era
d' uopo per
1’ as- sedio , uscirono gli
uni e gli altri
il più presto
colle (1) Anno di
Roma 391 secondò
Catone, 39! secondo
Vartoae , e 4^1 av.
Cristo. Digilized by Google 2i8
delle antichità’ romane milizie; inondando su
le prime il
territorio de* Latini e degli
Emici, onde precludere
a Roma il soccorso
degli alleati. E nel giorno
che giunsero ai
Senato gli oratori de’
due popoli assaliti
per ottenerne ajuto
, in quei giorno appunto
era morto Ebuzio
1’ uno de*
consoli » standosi già
Servilio , eh* era
1’ altro , per
morire. Or questo , sopravvivendo anche
un poco , convocò il Sepa
to. Portativi i più
de’ padri malvivi
su le lettighe
di- chiararono ai legati di
annunziare a lor popoli
^ che U Senato concedeva
ad essi di
respingere col proprio
va- lore i nemici , finché il consolo
si risanasse , e fosse raccolto un*
esercito per soccorrerli.
A tali risposte i Latini
concentrato ciocché poteano
dalie campagne , guardavano
le mura, trascurando
ogni altro danno.
Ma gli Eroici non
reggendo al guasto
ed al sacco
de’ campi, diedero all’
armi, ed
uscirono. Infine dopo
fatte luminose battaglie con
perdervi molti ^de’
loro ed uccidervi
molto più de* nemici , fuggirono , necessitati , fra le
mura , né tentarono più di
combattere. Pertanto gli Equi
ed i Volsci, depredatone il territorio,
si avvanzarono impunemente
ai campi Tu- scolani.
E derubati pur questi
senza che ninno
li re- spingesse , scorsero fino
ai Sabini ; e giratisi
impune- mente anche su le
terre loro , avviaronsi a Roma.
Ben poterono essi turbarla;
non però conquistarla.
Quanlun* que languidi nella
persona , e perduta 1* uno e
F altro console, mortone di
fresco ancora Servilio,
armatisi ol- tre le forze
i Romani , si misero su
le mura. Estese allora
per circuito quanto
quelle di Atene,
sorgeano queste parte su i
colli e su. scogli
dirotti, fortissimi per ,
a 19 natura , e bisogoevoli
appena di difesa , e parte assicu- rate dall’ alveo del
Tevere, fiume largo
quattrocento piedi (i), profondo
da navigarvisi con
legni grandi; rapido quant*
altri e vorticoso nel
corso. Non passasi questo appiedi
se non per
vìa de’ ponti , de’
quali ve n* era
allora sol uno ,
e di legno, cui disfacevano
nei tempi di guerra.
Il lato di
Roma men arduo
ad espu« gnarsi dalla
porta chiamata Esquilina
fino alla Collina era
fortificalo eoli’ arte; imperocché
scavata innanzi ci avevano
una fossa , larga , dove' eralo
il meno , più di cento
piedi , e cupa di trenta , è quinci e quindi
su la fossa elevavasi
un moro, cinto
da argine interno
ampio ed alto, talché
né battere quello
si potrebbe cogli
arieti, né rovesciar sbucandone
le fondamenta. Lungo
questo lato circa sette
stadj spandesi cinquanta
piedi per largo. Or
qui schieratisi in
folla i Romani respingevano
1’ as« salto nemico
:perocché noù sapevano
allora i mortali né far
testuggini sotterranee , né macchine
espugnatrict delle mura. Diffidatisi
gli assalitori di
prendere la città ritiraronsi dalle
mura , e devastandone , ovunque
passa- vano la campagna, sea
tornarono in>patria. I
Romani come sogliono
quando restano senza chi
comandi , scelsero gl’ interré
per tenere i comizj , e vi crearono
consoli .Lucio Lucrezio
e Tito Veturio Gemino (z).
Sotto questi ebbe
requie la pestilenza;
puc (i) 'Wel testo:
ntritfit rìkirftr : la
toco rXtrftr »’
interpreta da altri per
jugero : Svida la
interpreta per cesto
piedi. Ma tale cspoiisione noa
corrisponde. ' (a) Aano
di Roma aga
secondo Catone, 394
secondo Varrone, e 46a av.
Qrisio. 1 furono diflerite
le controversie civili
private o pubbliche: e
tentando Sesto Tito T
uno dé’
tribuni >, riaccendere quella su la division
de’ terreni; il popolo
gli si oppose, e rimisela a tempi
più acconci. Eccitossi
in tutti in
vece I un desiderio di
punire quanti aveano
dato guerra alla repubblica ne’ giorni
del morbo. Cosi
decretata la guerra dal
Senato, e ratiScata ' dal popolo,
si arrolarono le soldatesche : e ninno
di anni militari , quantunque pri> vilegiatone per
le leggi, cercò
sottrarsi da quell’
impresa. Diviso r esercito in
tre parti 1*
una fu lasciata
in guar- dia di Roma
sotto gli auspicj
di Quinto Fabio,
uomo consolare ; e le altre
seguirono i consoli contro
i Yolsci e gli Equi. Aveano
gii' fatto altrettanto
i nemici. Riu- nitesi le milizie
migliori d’ ambedue
quelle nazioni , te- neano il
campo aperto sotto
due capitani per
cominciare dalla terra degli
Ernici , dove ' allor
si trovavano , a devastarne quanta
ne soggiaceva ai
Romani : la parte men
atta delle ipilizie
crasi lasciata in
custodia delle città, perchè
su di esse'
ngn venisse irruzione
improvvisa dagli emoli. Avuto
infra loro consiglio , crederono i consoli
il meglio d’ investire
innanzi tutto le
lorp città sul riflesso
che la unione
delle armate si
scioglierebbe, se ciascuno udisse
ridotta in pericolo
estremo la sua
pa- tria ; giacché riputerebbero assai
meglio salivare le
pro- prie cose che guastar
le ini miche.
G)sl Lucrezio piotnbò su
gli Equi , e Yeturio su i
Yolsci. Gli Equi
trascu- rando ogni rovina di
fuòri guardavano la
città e li ca- stelli. In opposito
i Yolsci ardimentosi , arroganti
, spregiando 1’ armata
Romana come diseguale
contro la Lisno
IX. 221 lor ffloltitudiae , uscirooo 4 combattere
pel territorio proprio, e misero
il campo presso
di Yeturio- Ma
come accade a milizie receuti , raccolte per
la circostanza alla rinfusa
di mezzo a villani
e cittadini , privi in gran parte
di arme o di
sperienza , non ebbero
cuore nem- men di
venire alle mani :
e perturbatine i più fin
dal primo avventarsi de’
Romani , non reggendo nè
al suono delle arme
percosse , nè ai gridi , preludio della
batta- glia , tornarono con dirottissima
fuga in città.
Dond’ è che incalzati
dalia cavallwia ne
perirono molti nello stretto
de’ sentieri , e più ancora
mentre a gara si
cac- ciano tra le porte.
A tale disastro accusarono
i Yolsct sestessi d’ imprudenza ,
nè più
tentarono di cimenUrsi. Li
capitani però che
tenevano in campo
aperto le mi- lizie dei
Yolsci e degli Equi
all’ udire , com’ erano
in- vestite le loro città,
deliberano di fare
ancor essi alcuna magnanima impresa , levandosi dalle
terre de’ Latini
e degli Eroici , e marciando
«on quanta avean
furia e prestezza su
Roma. .Ancor essi
avean mira che
rinscisse loro r uno o 1’
altro de’ due
belli disegni , cioè
d’ inva- dere Roma ,improvvista
, o di richiamarvene le
armate di lei dai
loro territori, necessitando
ti consoli a soc- correr la patria.
Su tale pensiero
marciarono a gran fretta per
essere inaspettati su
Rotna , coll’ effetto del- r opera. Avvicinatisi di
nuovo al Tuscolo,
udendo che le mura
di Roma erano
tutte piene di
arme, e che in antecedente aveva
tentalo il primo
d’ iikrodiuTe tale eguaglianza ; ma
dovette lasciar I*
opera imperfetta, tro-; vandosi
U gran numero del
popolo nell' armata
in sai' campi nemici , tenutovi ad
arte. ,da’ consoli
, finché il tempo finisse
del loro governo. IL
Postisi quindi a tale
impresa il uibubo
Aulo Veo- ginio’e li
colleghi , t voleano consumarla: ma i
consoli, col Senato, e . con ■ altri
in città . più potenti
adoperavansi costantemente
per ogni maniera
,, affinchè ciò
non seguisse , nè dovessero
governare secondo le
leggi : e. più volle
sen tenne 1’
adunanza del Senato,
piA volte quella del
popolo ; facendo i lor
magistrati ogni sforzo
gli uni contro degli
altri ; doiid’ era a
tutti viàbile che
verreb!>e da' tanto Jisàdio
alla città disastro
insanabile e grande. A tali |>resagj.
dai canto degli
uomini agglongevansi i terrori
dal canto del
cielo , d’ alcuni
de' quali non
Iro- vavansi L àmili ne’
pubblici scritti , né , par
monumento qualunque. Ben trovavanà
occorse ancora in
antico e coiTuacazioni soorrenti
pelcielo ed. accensioni
fissa in un luogo,
muggiti e scosse continue
delia terra,. e larve qua e-
là vaganti per
l’aere, e voci desolatrioi , e cose alirallali: ma
ciò che non
erasi mai nè
sperimentalo- nà udito, e che
più che lutti
perturbava., era che
il cielo navigò .
dirottamente pQn- già con
nembo , dii neve ,
ma con brani, più o
men grandi di
carne; che tali
cairn momot , ltrio di ''contndirla
fino al ritorno del
terso mercato. Or
molti, d^l Seoatè
giovani e vecch) , nè giè de’
più dispregevoli , la contraddissero per più
giorni cou as^ai
studiati discorsi. Stanchi
poscia 1 tribuoi per tanto
consumarsi di tempo , più
non per> misero che
altri aringasse in
contrario: ma predesti» Dando il
giorno nel quale
espedire la legge , invitarono i plebei a raccogliersi appunto
in quello , giacché non sarebbero
più conturbati dalle
lunghe concioni , ma
voterebbero su di
essa per tribù.
Cosi promisero , e sciolsero 4’
adunanza. Dopo ciò li
consoli e li patrizj
più potenti an- datine più esasperali
ad essi reclamarono , e dissero che non
permetterebbero che introducessero leggi
senza previo decreto del
Senato : SSSMUS IM
lecci t patti DELLE ANTICHITÀ’
ROMANE DSL COMVNS DELLB
ClTtjC IfOTf DI
ONA PARTE DS~. GLI
ABlTAafl DI QUESTE
: CHE QUAWDO LA
PARTE-, MEIf SANA VI da' leggi
ALLA MIGLIORE A PRSf.UDlO MANIFESTO DI
DANNO TRISTO, INSANABILE , SCON» GISSIMO. Quale. , aggiuDgevaQO qtuU
potere avete voi o.
tribuni di far
leggi o distruggerle ? Voi
non avete con questi
diritti ricevuta dal
Senato là magistratura: voi chiedeste
il tribunato in
difesa de' poveri
offesi o soverchiati , non
per altra briga
niuna. Che se
aveste già prima tal
potenza cedendo il
Senato ad ogni
vo- stra pretensione ; non C avete
voi questa, perduta
col mutar dei comizj
? perciocché non i Pereti,
del Sor- nald', non i
voti dati per
centurie destinano voi
per tiibuni: voi non premettete
ai comizj per
la vostra creazione nè i
sagfijicj dovuti per
legge , né altri
os- sequj verso de'
numi , nè pietose
-opere verso degli uomini.
Come a voi si
appartiene far cose (
quali ap- punto sono
le leggi) che
ahbisognavtmo' di culto e di sagrifizj di un dato
rito , se i riti tutti
violate f Coai «lissero ai
tribuni i patrixj seniori , cosi li
giovani , .che andarono
cinti da un
seguito per la
città : e rìcuperà^ rono colle
dolci i cittadini più
miti spaventando i ca-, parbj
e K turbolenti se non
faceano , senno, col terroc de’
pericoli : anzi battendo
come schiavi , ed^ escludendo dal Foro
alcuni de’ più bisognosi
ed abjelti, i qualt non
curavano se non l’
utile proprio. • V.
L’ uno di
quelli ebe ebbe
maggior seguilo , e che
poteva aUora più
di lutti i giovani
fu Quinzio Cesone, figlio di
Lucio Quinzio chiamato
Cincinnato , nobile , Straricco , bellissimo , valentissimo nelle
armi , e nel dire« Or questi
molto allora si
scaricò su' plebei , non
aste* nendosi' nè da
parole , molesiissitne ad
uomini liberi , nè
da’ fatti corrispondenti alle
parole, Pertanto i pairizj lo
onoravano, e ^istigavanlò più a
tener fronte ai
perìcoli , promettendogli
sicurezza essi stessi
: ma i plebei r odiavano più
che ogni altro.
Or da 'un tal
uomo risolverono liberarsi * i tribuni
avanti tutto per
abbattere in esso gli
altri giovani , e necessitarli ad
esser più savj. Ciò
risoluto , e preparati assai discorsi
e lestimon}^ , lo dtardno
come reo di
pubblica * offesa per
punirlo 'di morte. Intimatogli
di presentarsi al
popolo, venutone il giorno , e convocata 1’
adunanza , perorarono a lungo coofra lui ;
nunierando tutte le
violente fatte , ed
alle- gandone gli offesi stessi
per teslimonii. -Or
.qui data li- cenza di
parlare ; il giovine
chiamato a difendersi non ubbidiva
: ma volea soddisfare
ai privati in
'quanto di- ceansi oltraggiati
da loi > secondo
le leggi , tenutone il giudizio
innanzi de’ consoli
: ma, il padre
di lui vedendo i plebei sofferime
malamente le ritrosie , prese a difen- ’^erlo egli
stesso ; dimostrando le
tante delle accuse
coqic false f ed insidiose
, e dimostrandole , . quando
negar non poteansi , come picciole
, leggere , nè dégne
dell’ ira del popolo , e su cose ,
fatte non per
trama o disprezzo , ma piuttosto
per enfasi giovanile
di gloria. Per
questa diceva eh’ eragli
occorso talora di
fare e tal altra
di pa> rire forse
incautamente nelle contese;
non essendo lui nel
fiore degli anni e
del senno. Pertanto
pregava il popolo non
solamente che non
se gli adirasse
pel di- scorrere suo , ma
che giel condonasse
in vista delle
belle gesta di esso
le quali operarono
fra le armi
la libertà de’ privati
ed il comando
della patria , ed
invocavano fin d’ allora
per lai quando
Avesse mancato la
clemenaa ed il soccorso
di tcuti. E qui
narrò le campagne
da lai sosténute , -e
le battaglie nelle
quali avea riportato
dai capitani la corona
de’ prodi , quante volte
eravi stato la diiesa
de’ cittadini , e quante avea
primo salito le
mura de’ nemici : da
ultimo ri rivolse
ad impietosire e scon- giurare il popolo
in riguardo della
modera^'one sua verso tutti , e del
vivere ‘suo conosduto
sempre come innocente ; chiedendo
che in grazia
almeno gli salvas- sero il figlio.
' ' ' VI. Compiacevasi il
popolo* a tali discorsi
, e delibo- ravasi rendere H 6glio
al padre. Se
non che riflettendo Yerginio che
se costai non
subiva le pene ;
ne diver- rebbe intollerabile 1’ audacia, e la caparbietà
de’ giovani, sorse e disse : Contestata
o Quinzio è la tua
virA , la tua benevolenza verso
del Spopolo e te ten debbe
tutta la stima: ma la molestia , e la insolenza
di codesto tuo figlio
verso tutti non
ammette escusàzione o perdono. Egli educato
con la tua
disciplinà sì discreta,
cpme tutti sappiamo , e si
popolare ; ne abbandonò
gli ammae- stramenti e seguì V arroganza
de tiranni , - e la sfre- natezza de' barbari , portando in
città gf incentivi
a tristissiiHe opere. E sia
che tu noi
conoscessi per tale ; ora
che tei conosci
ben dei con*
noi e per noi concitartene : che
se per tale
il sapevi , e lo coadiu- vavi in quanto
egli inviliva ognora
pià' la sorte
dei poveri ; eri anche
tu lo scellerato
, e mal souavati intorno la
fama di uom
probo. Afa tu
non vedevi ( ed io
stesso potrei contestartelo
) quanto egli dalla .
. a3i tma uirtà degenerava.
Sebbene io tenga
però , che al- lora tu non
partecipavi con esso . nelF
offenderci ; dolgomif che
ora come noi
non te ne
sdegni. Ma. perchè tu
meglio conosca qual
niostro' abbi nudrito senza
avvedertene contro la
patria, quanto tirannico, c non . puro
nemmeno tlal sangue. . dk'
cittadini ^ odi la egregia
opera sua , e contrapponi a questa , se puoi , U bellici
suoi prèmji E voi , quanti siete
imo pioto siti al
pianger di un
padre , considerate se
stia bene che risparmisi
un tal cittadino.
' • VII. E qui fe'
cenno a Marco Volscio
T uno de’ suoi colleghi
perchè sorgesse e dicesse
quanto sapeva di
quel giovane. E fatto silenzio
, e grande espettazioiie ; V(d> scio soprastando
alcun poco-, disse
: Oltraggiato , e pià che
oltraggiato che io fui da
quest’uomo , ben avréi
voluto pigliarmene , o cittadini , le pene
che ut erano concedute dalle
leggi : ma impeditovi
allora, dalla mia debolezza
, dalf esser mio di plebeo
, prenderò ora che mi è
dato f le parti
di testimonio , se
quelle non posso di
accusatore. Udite le
acerbità , le inde- gnità
che men
ebbi. Era Lucio
, fraltel mio , ,che
io amava piti che
tutti i mortali Avea \
questi cenato mecò. presse
di un amico
, quando al giungere
della notte di levammo
, e partimmo. E già passavamo
per il Foro , quando
si abbattè con
noi codesto petuUui- ,te , seguito da
giouani pari suoi:
li quali, ebbrj
ed 'arroganti che erano , beffarono ed
insultarono noi , quanto, insultato
e beffato avrebbero i meschini
e gli .ignobili. Così provocati
j V uno di noi
parlò liberis- simamente. Or codesto
Cesane estintando . ria
cosa ttdire ' ciocché non
voleva , gU s'
avventò , lo battè
: e mainìenalolo con i calci
e con ogni guisa
di sevizio^ e cT ingiurie;
io uccise. Ucciso
lui, manomise ancor me , che ne
gridava , e ne repugnava
quanto io po~ tev'a
: nè mi lasciò
, se non dopo
credutomi estinto , ài
vedermi immobile in
terra , e senza voce.
Allora se no' andò
giubilando come per
bellissima prova ; ed
allora' gli astanti
raccòlsero noi lordi
dal sangue j e riportarono a casp
Lucio il fnio
fratello , morto , come
ho detto , e me
presso che morto
, e che certo ornai poco
sperava di sopravvivere.
Occorse ciò. sotto i consoli P^ublio
Servilio , e Lucio Ebuzio
, quando spaziava in Boma
la ff-an-' pestilenza, alla
quale era- vamo soggiaciuti atKor
noi. Quindi non
potei diman- darne ragione , morti
/essendo i consoli tutti
due. Suc- cederono poi
consoli Luaezio e Tito
Terginio. Io voleva allora
' citarlo in giudizio
; ma ne fui
impedito dalia guerra ,
fasciando ambedue per
essa la città. Jiitomati .questi
dal campo , quanto
volte 16 citai presso
de* òiagittrati , quante volte
mi vi accostai , tante ( e ben
molti lo sannò
) fui da esso
ferito. E questo, 'o popolo
, che io ne
ho tollerato, questo
vi ho detto con
tutta la verità.
• ■ ' ' . Vili. Alzarono a quel
dire , gli astanti
le grida , (eo- landone molti
la vendetta colie
lor inani. Ma
vi si op- posero i consoli , ed i più
de’ tribuni , alieni che in città s’
introducesse la tea
consuetudine ; tanto più
che la parte più
sana del popolo
non voleva che
si toglicssero le difese
a chi pericolava in
giudizio della vita.
La cura duirque della
ginsUzut represse allora
gii empiti della
iur scienza , ed il
giudizio fii differito
non, senza conten- zioni e dobbj non
piccioli, se dovesse'
intanto il reo serbarsi
neiia carcere , o dare i mallevadori
per la sua dimissione , come
il padre di
lui dimandava.' Il
Senato adunatosi decretò che
se no desse
malleverìa • sotto ob-> biigazion pecuniaria
; ed egli libero
andasse finché di lui
si giudicasse. Or
mancando il giovine
di comparire • al
suo tempo ; . i tribuni
convocarono il giorno
appresso la molthndine , e contro
lui sentenziarono ; dond’
è che i mallevadori , eh’
eran dieci , pagarono là
multa conve- nuta in sicurezza
delia sua presentazione. Colto
dunque fra tali insidie
dai tribuni che
guidavano tutta la
trama , colle itestimobianze di
Volscio , che poi
false si riconób- bero , Cesone fuggi
nell’ Etruria. Il
padre di lui
venduto il più di
sue cose , e rintegrati i mallevadori
delle multe obbligate visse
tra il disagio
e lo stento in
un poderétto; che aveasi
con picciolo abituro
lasciato di là
dal Tevere, coltivandolo con
ponchi servi, né
più rècandosi in
città per 1’ afflizione,
b la inopia, nè
riabbracciando gli «mici ,
né iniramettendosi -a
festa , o ricreazione niuna. Ai
tribuni però succedé
ben altro che
le loro speranze: imperocché non
.solo qon se ne chetò
pér alcun modo la
gioventù contenziosa ammaestrata
dai mali di
Cesone ; -ma ne
imperversò più ancora , contrastando co'
detti e co’ fatti
la legge; talché
non poterono affatto
stabilirla, cousumandosi in brighe
la loro magistratura.
Pertanto il popolo confermò
pel nuovo anno i
tribuni medesimi. ' fX. Ascesi
ai grado consolare
Valerio Popiicola , e Cajo .Claudio
Sabino (i), Roma
corse in pericoli
« quanti (i) Anoo di
Roma 39! secondo
Catons , 396 secondo Varrone, c 4''8 av.
Cristo. uiai più ^ per
la guerra cogli
i esteri , attiratale dalle d!«i «cordie
domestiche , come af eano j
preoooziato i libri sibillini, e li
segui dimostrati 1’
anno precedente dai numi.
Io sporrò cagione,
che suscitò U guerra , e ciò che fu
per queau operato-
allora da’ consoli.
Li tribuni preso di
nuovo il lor
grado su la
speranza di fondare la
legge , vedendo console
Ca)o Claudio pieno
di odio ereditario contro
del popolo, e sollecito
per ogni guisa nd
impedire quanto facevano
; e vedendo i più potenti de’
giovani trascorsi -iu
fùria manifesta da
non combatterli colla forza , ed
i più della plebe
obbligati da' servigi de’
patrizj , e rimasti senza il
primo ardore per
la leggQ deliberarono spingersi
all’ intento con
mezzi più risoluti , onde atterrire
quei della plebe , e far
desistere il console. Su
le prime procurarono
spargere voci varie
per la città, poi
sederono da mattina
a sera coosultaudosi visibiloRate senza comunicarne
ad alcuno nè
consigli nè parole.
Ma quando parve loro
tempo di .eseguire
i disegni, finsero delle lettere
; facendosele recare mentre
sedeano nel Foro da
un ignoto. E come
prima Je lessero
, , battendosi la .fronte , e contristandosi ne’
set^bi^nti ; levaronsi in
piede. Accorsa gran moltitudine,
ed insospettitasi che
fosse in quelle lettere
indicato alcun grande
infortunio, essi or* dioaroiio ,pe’ banditori silenzio
e dissero; La repubblica o cittadini sta. negli
estremi pericoli. E sé
la benevo^ lenza degl
iddj non avesse
provveduto a chi era
per. incorrervi : noi tutti
saremmo in fetali
sciagure. Chie- diamo che vi
tfiniale qui breve
tempo , finché riferiamo al Senato
eiocohè ne si
avvisa, e facciamo di
cornuti volo oiocché si
debbo ; E ciò detto
, ne andarono ai consoli.
Frattanto che il
Senato si radunava,
faceansi pel Foro molti
e svariati discorsi; ripetendo
altri appo> stalaroente ne’crocchj
ciocché era stato
intimato loro da’ tribuni
; ed altri pubblicando
, come detto ai
tribuni, ciocché temeano essi
stessi , che succedesse.
Chi dicea che i Volsci
e gli Equi aveano
accolto Quinzio Cesone il
giovine condannalo dal
popolo , creandolo comandante assoluto delle
due genti e che
leverebbe .gran forze
e marcerebbe contro di
Roma: echi dicea
che quel gio- vine d’
accordo cp’ patrizj
tornava con esterne . milizie , perché
si abolisce una
volta per sempre
il magistrato che era
il presidio de’
plebei : altri aggiungeva
che eosì non sentivano
tutti i patrizj ma i
giovani soli: e. vi
fu chi ardi fino
dire che colui
si stava occulto
in città , e che
occnpenebbe i posti più
acconci. Ondeggiando cosi tutta
la città per
|a espeUazioue de’
mali , e sospettan- dosi tutti , e guardandosi gli
uni dagli altri
: i consoli convocano il Senato
: ed i tribuni vengono
e palesano ciocché
avvisavasi loro: parlava,
per tutti Aulo
Yerginlo e disse : - „
>> • f > X. Finché
gli annunzj che
ci si davan
de' medi ^ ci
sembrarono non accureUi , ma
vani e senza fondai mento
, sdegnefmmo o padri coscritti , di pubblicarlit tal timore
che non.se ne
eccitassero grandi txirba- menti , come sogliono
, alP udirsi triste
cose , e con riguardo di
non essere da
voi creduti anzi
precipitosi che savj. Non
però lasciammo tali
annunzj , trascu^ rondo li eiffaUo
: anzi ne abbiamo
i investigata la ver rità , quanto per
noi si potè..
Ora . poiché la provit denzu
celeste , la quale ci
ha ‘sempre salvato
la repubblica , ci benefica
p svela i segreti consigli
y e le ree macchinazioni di
uomini nemici agt
iddj , e te- niamo fin delle
lettere che abbiamo
di fresco ricevute in
pegno di benevolenza
da ospiti, che
voi poscia adirete ,* e
poiché concorrono e concordano
gC indizf Interni con
gli^ altri di
fuori , e gli affari che
abbiam tra le mani
non ammettono più.
indugio e riserva i deliberiamo
, com’ è giusto , palesarli
a vói , prima che al popolo.
Sappiale dunque che
hanno contro il popolo
congiuralo uomini non
ignobili , tra' quali di- pèsi-esser parte,
non grande però,
degli anziani, ascritti al
Senato , ma più
grande de’ cavalieri
che ascritti non vi
sono ; e questi , quali siano
, non è tempo ancora
di rivelarlo. Questi , come
udiamo , colta una
notte oscura, sono
per assalirci tra’l
son- no , quando nè può
risapersi ciocché è fatto
, nè va- Uomo a congregarci
e difenderci. Fermi sono
d'in- vestire ‘e di uccidere
nelle case noi
tribuni e quei plebei che
st opposero iy o
fossero mai per
opporsi ad essi circa
la libertà. Quando
avran tolto noi , pensano
di aver da
voi ciò che
resta , sicurissima- ' mente , cioè
che revochiate di
comun voto le
concessioni da voi fatte
alla plebe. Fedendo
però che han bisogno
per compiere ciò
di prepararsi occultamente una milizia
di fuori , e non piccola
, si hanno eletto capo
queir esule nostro,
quel Ceso» e , convinto del- V eccidio di
cittadini , e della discordia della
città , • e pure fatto per
alcuni di qua
entro , fuggir salvo dal
giudizio e da Roma , con
promettere di procurar- gli il- ritorno
, magistrature , onorificenze ,
ed altri, compensi de' servigj.
E questo Cesene ha
protnesso di conduf loro , milizia di
Equi e di Eplsci , quanta abbisognane. Egli
verrà tra non
molto co’ più
audaci, introducendoli a pochi a pochi
e '.sparsamente in ci/r tà:
l^ altre milizie,
quando saremo periti
noi capi del popolo
si avventeranno su
gli alpi del
popolo stesso , i quali
difendessero ancora la
libertà. Queste, o padri coscritti
sono le terribili , le impurissime opere che
disegnano far tra le tenebre , senza temere r ira
degli iddj , nè riguai
dare, la vendetta
degli uomini. Agitati da
tanto pericolo , a voi
ne veniamo supplichevoli , o
padri, voi scongiuriamo
per gf iddj, voi
pe genj adorati
dalla patria , voi per
la memoria dei tanti
e gravi nemici da
noi combattuti in
coma-, ne, affinchè non
lasciate che noi
patiamo le sì
dure, ed indegnissime offese
: ma v’ 'empiate
come noi di risentimento , e ne soccorriate , e puniate , come
delf~ Lesi, tali macchinatori
tutti , o nei capi almeno
della infame congiura. E prima
che tutto , dimandiamo
o padri che decretiate,
come è giusto,. che inquisiscasi da noi
tribuni su le
cose deferiteci; perciocché
oltre, la giustizia , la necessità
dee rendere , inquisitori di-, agentissimi gV
investiti dal pericolo.
Che se alcuni tra
voi son disposti
di non compiacerci
punto , anzi di contrariarne in ,
quanto vi diciamo
del popolo ; volsntieri
conoscerò da essi
quale vi disgusti
delle. nosVe dimande , e ciò che
vogliate da noi
finalmente Che non facciamo
forse niuna ricerca , ma
trascu~ riamo la si
bufa e si rea
tempesta che pende
sul popolo ? E chi direbbe
li sì fatti
decisori esser sani, e non
corrotti) e non' partecipi della
congiura anzi chi non
direbbe che temono
per sestessi , temono
di essere scoperti , e
quindi scansano che si esamini
• il vero ? Perciò non
debbesi attendere a tali
uomini. O vorranno forse
che non siamo
noi gl' inquisitori 'di dò; ma
il Senato e li
consoli? Ma che
impedirebbe che i tribuni pure
dicessero , che a loro che
han preso a difendere il
popolo / a loro si
spetta la in- quisizione de* plebei , se
alcuni mai congiurassero contro de'
padri e de' consoli , e macchinassero la rovina
del Senato ? Or
che seguirebbe da
ciò ? que- sto appunto , che
mai la indagine
si farebbe ma- neggi
reconditi. Noi però
mai ciò nort
faremmo, per- chè sospetta ne
sarebbe f ambizione : e così
voi non bene adopererete
dando mente a coloro
che non vo- gliono che noi
pure slam pari a
voi ne’
casi nostri , per fare F
esame; ma benissimo
adopererete riguar- dando questi
, come nemici comuni.
Al presente , o padri coscritti , niuna cosa
tanto bisogna , quanto
la sollecitudine: glande, imminente
è il pericolo; e C in- dugio a salvarsi è sempre
intempestivo ne’ mali
che non indugiano. Lasciando
dunque le altercazioni , e i lunghi discorsi
decretate ornai ciocché
F utile vi sembra della' repubblica. eraoo
i padri come rìsolfere: e riflettevano seco
stessi, e ripetevano 'fra
loro , come fosse
ugualmente arduissima cosa
concedere e non concedere ai
tribùni di fare
inquisiaione su loro, in
affane comune e gravissimo.
Ma Cajo Claudio
1’ uno ajg de*
consoli , che tenea per
obliqua quella loi^
propo- sta , sorse e disse : iVon
penso , o Kergìnio , che co-
storo sospettino me come
partecipe della congiura
che dite macchinata cantra
voi , e cantra il popolo
e sospettino che io
sorga a contraddire , perchè temo
per me o per alcuno
de miei che n
è complice ; giacché il tenore
della mia vita
esclude in tutto
da me tali sospetti. Io
dirò sincerissimamente e sema
riguardi ciocché reputo £ utile
del Senato c del
popolo. Molta , anzi affatto
s’ inganna Ferginio
, se concepisce che alcun
di noi sia
per dire ohe
si lasci,, sema
discu- terlo , im tal» affare
sì grande e necessario
; e che non debbono aver
parte , nè star presenti
alla inda- gine i magistrati del
popolo. Niuno è sì
stolido , niuno sì
malevole al popolo
che voglia ciò
dire: Che se dunque
alcun chiede , qual ne
ho male , ohe
in- sorgo contra cose che
io concedo per
giuste; e che presumo io mai
col mio dire ;
io , viva Dio , ve' lo esporrò: Io
penso, o padri coscritti,
che i savj deb- bano considerar sottilmente
i germi e le linee
prime di ogni affare
: imperocché deesi di
ogni affare discorrere secondo che
ne stanno i principj.
Ora udite da me
ciocch' è V intrinseco del
subietto presente , e quale
il disegno de
tribuni. Non riesce
ora loro di ultimare
ninna delle cose
incominciate nè proseguite nelC anno
antecedente , perchè voi vi
opponete ad essi come
allora , nè pià il
popolo li favorisce.
E ciò conoscendo cercano necessitare
voi , sicché cediate loro anche
vostro malgrado , ed il
popolo , sicché cooperi a
quanto mai vogliono.
Ma per quanto
se ne consultassero, per
quanto volgessero da,' ogni
banda, V affare , non
trovando mezzi semplici
e buoni per V uno e V altro
intento ; alfine così
la discorsero. . »
Lainenliamoci che alenai
nobili han congiurano
di> abballcre il popolo
/ e di uccidere quanti
ne proca- » nino la
salvezza. E quando avrem
&UO , che tali cose, » preparale da
gran tempo, siano. in
cittA disseminate,; » e
sembrino credibili «I
popolo (e credibili
le renderà a la paura)}
allora fiugeremo delle
lettere da presenti » larcisi per
un ignoto in
presenza di molti.
Ne amdre> » mo quindi
In Senato, ci>
sdegneremo, ci dorremo, » e cercheremo il
poter d’ inquisire su
le dinunzie dateci. » Se
i patria) ci si
oppongono, prenderemo ‘da
indi » ^argomento di calunniaiii
presso del popolo;
ed il a popolo esacerbato
contro di essi
diverrà ^ propizio a X .quanto
noi vogliamo. Che
se cel concedono
leveremo X di città , come trovati
complici , i più misgnanimi frA » loro , e più nemici
nostri , vecch j ^o giovani.
Impe- » rocchè coloro intimoriti
di essere condannati
o pat- » tuiranno con noi
di non più
contrariarci ; o saran »
costretti a lasciare la
patria : e co^ la
fàzipn contrap- » posta sarà
desolata ». XIII. Tali
sono i loro disegni p padri coscritti,
e quando li vedevate
che sedeano o consultavano ^ al~ lora
tesseano C inganno contro
i più riguwrdevoli tra, voi,
allora complicavan la
rete contro i cavalieri
più puri. E che ciò
sia vero ; presto
ve lo dimostro.
Dì , yèrginio , dite voi , su
quali pende il
pericolo , da quali ospiti
aveste la lettera
? dove abitano , come vi conoscono', come
seppero tali nostre
cose ? Perché differiste a svelare
i lor nomi , perchè prometteste dirceli poi , nè
li avete già
detti ? Qual fu V
uomo che vi portava
le lettere ? che
noi menate voi
qui y sicché su
lui cominciamo a diicutere , se vere
elle siano y o se piuttosto
, come io penso
finte da voi ?
E gt indizj interni
che si accordano
co’ segni di
fuori quali sono mai
questi? o chi mai
ve li diede
? Per- chè ne celate , non ne
pubblicate le prove
? Se non. che mal
si trovano prove
di cose che
non furono mai come io
credo , nè mai
saranno. Questi o pa- dri coscritti non
sono indizj di
una congiura contro loro
ma piuttosto delle
insidie e del mal
animo che essi covano
contro di voi ,
come C affare dichiaralo
• per sè stesso.
Ma voi siete -di
ciò la causa,
voi che concedeste loro
le prime cose,
e portaste a tanta po- tenza codesto insano
1 loro magistrato , quando lascia- ste nell’ anno
antecedente che giudicassero
per falsi titoli Quinzio
Cesone y 'e soffriste
che strappasSer dal seno
un tanto difensor
de'patrizj. Da ciò
nasce che- pili non serban
misura , nè tolgon di
mira i no- bili ad ano
ad uno, ma
investono e scacciatio in un
globo tutti i migliori
della città : E- ciò
che è peggio j non
permettono nemméno che
contraddiciate Biro , e V atterriscono con
darvi per i sospetti
, e calunniarvi come
complici de’ segreti disegni
^ con dirvi ben
tosto inimici del popolo
, e citarvi al popolo
stesso , per- chè -subiate la
pena de’ discorsi
qui fatti. Ma
su ciò diremo altrove
pià acconciamente. Ora
per istringere e non prolungare
il discorso , ammoniscavi
che vi PTOIftCr , tomo
in. ' it guardiate da
codesti turbatori di
'Jioma , dti codesti seminatori de’
mali. Nè celerò
già al popolo
quanto qui dico ; ma
gli sporrò liberissimo
che non pendo su
lui niente di.
male , se non
quanto glien fanno
i tristi ed insidiosi
..tribuni , benevoli ne' sembianti
e nemici ne' fatti. Sorse
al dire del
console clamore m» tomo
ed applauso ben
grande , e sciolsero 1’ adunanza senza ^pertncHve
che '^pià i tribuni
parlassero. Dopo ciò Yergiaio
convocato il popolò,
vi accusò il
Senato ed i consoli.
Ma Clandio ve
li escusava apptmio
co’ discorsi tenuti in
Senato. Presero i più
discreti del popolo
per vana quella paura:
ma i più sjolidi
per -vera, credendo le dicerie
: e quanti ne erano
I più soellerali , ^anti i più
bisognosi ognora di
un cambiamento , vi xercaròno un
pretesto -di sedizione , je di
torbido , doù che
mi> ressero a far disceraere
il Vero dal
falso. Intanto un Sabino
non ignobile di
lignaggio , potente in
averi (Appio Erdonio
ih chiamavano.) si pose
in cuore di -
abbattere la potenza
romana , sia che ne
cercasse per sé
la tirannide , sia
che una grandezza ed
un dominio, ai -Sabini,
sia che tina
fama luminosa al suo
nome. Comnni'catosi, in
quanto a tale idea,
con' molti amici , divisata là
maniera dell’ impresa
, ed ap- provatone ; riuni li
clienti , e li più baldanzosi
de’ servi suoi. Concentrati
In poco tempo
intorno a quattro mila uomini , ed apparecchiate
arme, viveri , e quanto
biso- gnava per una guerra,
gl’ imbarcò su
legni fluviali. ?ia- vigando
sul Tevere , gli
approssimò a Roma dalla
ban- da, ove sorge il
Campidoglio , non lontana
nemmeno uno stadio dal
fiume. Era la
notte in sul
mezzo: ed in » Roma
calma grandissima. Egli
dunque al favore
di queo ottenuti
i luoghi piu acconci,
ricever^ gli esuli,,
liberare, gli schiavi, sdebitar con
promesse i poveri , e
consociare a sestesso 4utti gli
akti cittadini clie
dal basso loro
stato invidia- vano ..ed odiavano
i potenti, e seguivano con
diletto la mutazione. La
iipniagine. che deludevalo
intanto che lo isperariziva di
ottenere quanto aspettava , era la
civil sedizione, per la
quale concepiva che più non
vi fosse amicizia , nè
ligame tra i plebei
e tra’ patrizj. Che non
fosse a lui riuscita
ninna di tali
cose r allora dise- gnava chiamare con
tutte le milizie
i Sabini , i Yolsci ed altri vicini , quanti voleano
iredimerst dal giogo
ese- crato de’ Romani. . ^ ' XV,
Occorse, però che s’
ingannasse in lutto
; jmpe«> aocchè nè si
diedero a lui gli
schiavi, dè gli
esuli ripa- triaronb, nè gl’
indebitati q disonorali 'anteposero'!’
utile proprio al comune,
nè i sqcj esterni
ebbero spaziò ab- bastanza da preparare
la guerra: giacché
tale affare, che diede
tanta paura e turbamento
a^ Romani , ebbe
Gne ben tosto ne’
primi tre o quattro
giorni. E per verità
, presa appena la
fortezza , datisi gli
abitanti dei luoglù (1)
Questa porta fu
chiamala ancora scellerata
perchè poterono per essa
uscire ma non
tornare i Pabj che
andarono a Cremerà contro i Toscani
j come iuiUcano Testo
ed Ovidio. Fasi.
a. intorao che non
erano rimasti uccisi
, a gridare e fug-' gire ; il
popolo non sapendo
che mai fosse
, impugnò le armi , e Corse parte
ne* siti eminenti
y o ne’ spaziosi , che
eran molti , della città , e parte ne’
campi vicini. Quanti perduto
il fiore degli
anni erano nella
impotenza delle forze , salirono
colle, mogi) ai
tetti delle case
per combattere di là
li forestieri , parendo loro
ogni luogo pieno di
nemici. Fatto giorno,
come seppesi che 'erano in
città prese^ le
fortezze , e chi prese le
avesse ; i coa- soli
andarono al Foro , e chiamarono i cittadini
alle arme. Li tribuni
convooita la ' moltitudine
dissero che non voleano
far cosa contraria,
alla patria ne’ suoi
peri- coli ; ma che riputavaào
giusto , che il popolo
il 'quale espoùevasi a tanto
cimento vi si
esponesse con patti espressi : Se i
patrìzj , diceano , promettono , chiamarti done mallevadori
gli Dei, che
Jinifa la guerra
cìoon^ cederanno di creare
i legislatori , e di vivere
pari a noi ne
diritti per t avvenire;
liberiamo con essi 'la patria : ma
se ricusano ogni
partito di moderaziode
; e perchè mai cimentarsi
?' perchè gettile
la vita , quando niun
bene' ce ne ridonda
? Mentre cosi dice- vano ed
il popolo se
>ne persuadeva tiè
udiva le voci di
chi altro gli
suggerisse ; Claudio . disse ohe
non tJ>- bisognavasi di
tali che soccorressero
la patria non volontari , ma per
prezzo e non ' lieve
: che i pcurizj armando sestessi
e i clienti, e chiunque univasi
loro spontaneamente
assedierebbero le fortezze
; Che se tali milizie
non pareano sufficienti;
ne chiamerebbero ancora dai
Latini e dagU Ernici
: e se la necessità stringesse , prometterebbero la
libertà agli schiavi
: cAe infine
inviterebbero, tutti, piuttosto
che quelli che in
tal congiuntura profittavano
della odiosità de'
vec~ chj fatti. Contraddiceva
a tanto Valerio 1’
altro console : e giudicando che
non dovesse mettersi
in guerra coi patris)
la plebe già
adirata con essi
.-consigliava che si cedesse
al tempo : si
pretendesse da' nemici
esterni il diritto: ma
si usasse helle
gare domestiche equità
e dolcetta, E sembrato egli
al più dei
padri di aver
dato il consiglio migliore,
ne venne all’ adunanza
del popolo,e tenutovi un '
conveniente discorso , lo ■
terminò , giu> rando , che
se i plebei si
unissero a , lui con
ardore sella guerra, q, riordinassero le
cose della città;
con- cederebbe ai tribuni di
far discutere al
popolo la legge che
essi progettavano su
la eguaglianza ne’ diritti,
e che terrebbe modo onde
ciò che fosse
à questo piaciuto si eseguisse
nel suo consolato.
Ma ‘non portava il
destinò eh’ egli adempiesse
alcuno de’ patti, seguendolo
ornai da presso la
morte. Sciolu i’ adunanza , intorno
a’ crepuscoli ve- spertini
accorse ciascuno a’
suoi posti per
dare a’ capi
il suo nome, ed
il militar giuramento;
e fra tali due
cure si consnmò qncl
giorno e la notte
che lo segui.
- Nel giorno appresso furono
compartiti e còllocati da’
consoli i tribuni sotto le
insegne sante , aiTollandovisi la
niolti- tndine ancora abitatrice
della campagna. Ordinata
così ben- tosto ogni
cosa , i consoli divisero le
milizie, e ne tirarono a sorte
il comando. A Claudio
toccò d’ invigi- lare
innanzi le mura ,
aIBnché non entrasse
in sussidio altr’ armata
di fuori ; perocché
sospettavasi di un
moto assai grande, e temeasi
che piomberebbero forse
tutti i nemici su
loro. Portò la
sorte che Valerio
si mettesse all’ assedio
delle fortezze. Altri
duci furouò destinati
sb I di altri luoghi
muniti, interni alla
città ^ ed altri su le*
vie che
menano al Cartipidoglio
per impedire che vi
passassero al nemico
gli schiavi e li
bisognosi temuti
soprattutto. Non venne
a Roma sussidio di
alieniti , se non de’
Tnscolaili , informati ed apparecchiati
in una notte e guidati
da Lucio Mamilio
, uomo operosissimo , e capo allora
della nazione. Questi
soli entrarono con Valerlo
a parte de’ pericoli
, et dimostrandovi Ihtta
la benevolenza e lo zelo ;
rivendicarono con eSso
le for- tezze. Diedevisi da
tutte le parti
1’ assalto : chi
adattava su le donde
vasi pieni di
bitume e ■ pece incendiaria
, e lanciavali dalle case
vicine in sul
colle : chi recava , fasci di
sarmenti , e fattine cumoli
ben àltj su
lo sco- ' sceso della
rupe gli ardeva , lasciando che il vento
ne trasportasse le damme:
i più magnanimi ristrettisi
nelle Schiere salivan alto
di su per
vie manufatte : ma
la motti(udine colla quale
tanto sorpassavano 1*
inimico , niente giovava
ad essi che
ascendevano per sentiero angusto , pièno sopra
di sassi da
trabalzameli , e tale che i pochi vL
divenivano bastanti contro
i mólti : nè la costanza
acquistala tra le
molle ‘‘guerre incontro
ai pericoli valeva punto
per chi rampicavasi
diritto sa pei scogli.
Pcroccliò facessi la
battaglia con colpi
lontani e Dòn a corpo
a corpo onde moslraiwi
audacia e forza ; le
arme lanciate da
basso in alto
giungevano , cotn -è verisimile , se colpivano , languide e tarde
; laddove quelle scagliate dall’
alto in basso
piombavano penetranti e
piene , secondandone il
peso , \ lor tiri. Non
però invilivano gli assalitori
, ma persistevano , necessitati ,
tra' mali , senza rèquie
alcuna diurna o notturna
: tanto che mancate finalmente
agli assediati le
arme e le forze, dopo
il terzo giorno
gii espugnarono. Perdeèouo
i Ro« mani in questa
battaglia molti valentuomini , ed il
con- sole', valentissfmo , come
tutti concedono. Costui
seb- bene ricevute molte ferite
, non si levava
da’ perìcoli : ma
saliva tuttavia la
rocca , finché gli precipitarono
ad* dosso un macigno
, che gli tolse
• la vittoria e la
vita. Espugnata la fortezza , Erdonid robustissimo
che era di corpo-,
e bravissimo in arme ,
destò strage incredibile idtornct di
sé, ma sopraffatto
infine dai colpi
morì. Tra quelli che -avevano
occupato con esso
il castello, pochi furoRO
pigliali vivigli più
trafissero sestessi, o perirono precipitandosi dalla
rupe. XVII. Finito cosi
l’attacco de’ Ladroni, i tribuni
ri- produssero le ‘interne discordie , chiedendo
dal console superstite che
adempisse le promesse
circa la istituzioa della legge
fatte loro da
Valerio , estinto nella battaglia. Trasse GlandLò
in lungo qualche
tempo, ora con
espiar la città , ora con
fare agl’ Iddii
sagrifiz) di ringrazia- mento , ed ora
dilettando il popolo
con spettacoli e giuochi.
Alfine mancatigli tutti'!
pretesti disse, che
do- vessi nominare. in luogo del
defunto un altro
console, perocché le cose,
fìtte da lui solo non
sarebbero né le- gutime
', né salde,' ma
salde saqebbero , e
legittime fatte da ambedue.
Respintili con 'questa replica,
prefisse il giorno pe’
oomizj ove farsi
un collega. Intanto
i capi dei Senato concertarono
con maneggi occulti
fra loro il console
da eleggersi. Venuto
il giorno de’comizj,
quando il baDclitore chiamò
la prima classe,
le diclotto ceniarie de’ cavalieri e le
ottanta de’fanti ricchi
di più possideusa entrate nel
luogo dimostrato nominarono
console Lncio Quìdeìo Cincinnato,
il cui figlio
Cesone ridotto a già* di^o
capitale da’ tribuni , avea per
necessità lasciato la patria:
>nè più si > chiamarono altre
classi a dare il lor
voto, giacché le
centurie che lo
aveano dato superavano per tre
centone le rimanenti.
Il popolo si
ritirò prono- sticando il suo
male , perché sarebbe il
consolato in mano di
chi lì odiava.
Il Senato spedi
uomini che prendessero e menassero
il suo console
al comando. Quinzio arava
allora per avventura
un campo per
se- minarvi , ed egli stesso
scinto di^ tonica , col
pilco in testa , e con fascia
ai lombi , teneva dietro
ai bovi che lo
fendevano. Or vedendo
i molti che a lui
si recavano, fermò 1’
aratro , e dubitò buon tempo
chi fossero , e perchè
sen venissero ; ma
precorrendo un tale
ed am- monendolo ad acconciarsi
, andò nell’ abituro , e accon- ciatovisi riuscì.
Gli uomini spediti
a riceverlo , lo salu- tarono
tolti non dal
suo nome , ma
come console : e messagli
la veste circondata
di porpora , e dategli le scuri , e le altre
insegne de’ consoli , lo
pregarono che in città
si portasse. £ colui
soprastando alcun tempo
e lagrimandone disse : questo
mio campiceUo. in qilesto anno
restar^ dunque non
seminato, ed io
correrò pe- ricolo di non
avere come alimentarmene. E qui
salu- tata la consorte, ed
intimatole che provvedesse
alle coso dimestiche, sen venne
a Roma. Or questo
mi son’ io condotto
a dirlo non per
altra cagione , se
non perchè sì conosca
quali erano allora
i primarj di Roma,
come operosi , collie savj ;
e come , non che
gravarsi di noa povertà
onorata , ricusavano , non
ambivano i sovrani poteri. Dal
che. sarà manifesto , che i moderni
non so* migliano a quelli
nemmen per poco ,
eccettuatine ai- quanli , pe’ quali
vive ancora la
maestà romana e ser- basi una . immagine di
que* tempi. Ma
basti su ciò. Quinzio
preso il consolato
(i) chetò li
tribuni dalle innovazioni e dalle
brighe su la
legge , con inti- mare , ehe àc
non la finivano
, porterebbe tutti i citta- dini fuori di '
Roma , minacciando una
spedizione sui Volsci. E replicando
i tribuni che lo
avrebbero impe- dito di arrolare
l’esercito; egli convocata
un’ adunanza, disse che
lutti si erano
vincolati col giuramento
militare di seguire a qualunque
guerra fossero chiamati,
li con* soli; come di non
lasciar le bandiere
e di non far
cosa contro Ja legge.
Diceva che con
assumere il consolato, ei
tenevali tutti sotto
quel giuramento. Ciò
detto , giu-> rando che si
varrebbe delle leggi
contro gl’ indocili , fe’ cavar
le bandiere da’
tèmpli. £ perchè disperiate
di ogni aggiramento di
pòpolo nel mio
consolato , non tornerò, disse',
da cnmpi nemici
se non dopo
Jinitone il tempo. Apparecchiatevi dunque
in quanto v è ne- cessario , come per isvernare nel
campo. Sbalorditili con tal
parlare, quando li
vide alquanto più
mansuefatti supplicarlo di esser
liberi dalla spedizione,
dichiarò che sospenderebbe in
grazia loro la
guerra, purché non
fa* cessero movimenti, lasciassero
eh’ egli reggesse
il con- [fi) Aanb di
Roma 394 secondo
Catone, 996 secondo
Varrone', a 4S8 av.
Cristo] -solato a suo modo,
e dessero ed esigessero
scambievole mente il giusto. Calmata la
turbòienza, ristabilì su le istanze loro
li giudizj interrotti
da tanto tempo
, ed egli straso decise
il più delle
cause colla equità
e colla giustizia, sedendosi quasi
tutto il giorno
nel tribunale , > io atto sempre
compiacevole , mite , umano
verso de’ ricorrenti. Operò con
questo die il,
governo non sembrale
aristo* cratico , che i poveri ,
gl' ignobili , ed altri
infelici co- munque
conculcati da’ potenti, OOn
avessero bisogno dei tribuni, 'nè desiderassero
piu nuova legislazione
per es- sere trattati cOn
eguaglianza , anzi che
amassero e gra- dissero
tutti il
ben essere attuale
delie leggi. Fu
iodato nel valentuomo questo
procedere, òome pure,
che fluito il suo
comando , ricusasse non che
lieto riaccettasse il consolato
offertogli nuovamente. Imperocché
il Sanato che vedea
la moltitudine non
alièna di obbedire
aU’uom buono , rivolealo a grand’
istanza nel consolato , perché li tribuni
brigavansi a non lasciare
uemmen pel terzo anno
il magistrato, ed
egli sarebbesi ad
essi contrapposto
rattenendoli dalle innovazioni
colla verecondia o col
ter- rore. Disse che non
appcovava cJte i tribuni
non ce- dessero il grado
loro ^ ma che
egli non incorrerebbe ' neir acciua
di essi. E convocato
il popolo e lamenta- tovisi lungamente
de’ riottosi a deporre
, il comando , giurò
solennissimamente di non
ricevere il consolato
in- nanzi di averlo ceduto.
E prefisse il giorno
pe’ comizi, e designativi i consoli , si ritirò
di bel nuovo
nel suo picciolo abituro
, c visse , come dianzi , col
travaglio delle sue mtini.
> X - aSi XX- Divenuti
consoli Fabio Ylbolano
per la terza volta
, e Lucio Cornelio (i), e
celebrando i patrj spet> tacoli , frattanto
circa eeì mila
Eqof , uomini scelti , marciarono in
lieve armatura nella
notte , e la notte durando
ancora giunsero al
Tuscolo , città latina
, di*- stante nemmeno di
cento stadj da
Roma. Trovatene aperte come
in tempo di
pace , le porte
, nè '"custodite le mura,
la invasero al
giunger primo, in
odio de’Tu- scolaci > perchè
erano gli ardenti
cooperatori dei Ror mani , e principalmente perchè
essi gli unici
aveano fatto causa - di
guerra con loro
nell’ assedio del
Campi- doglio. Uccisero
certo degir^uomini , non però
molti nella- invasione della
città ; perocché mentre
prendeasi quei che v’ -erano
, eccetto gl* invalidi
per vecchiezza e per
mali , fuggirono ^ spingendosene
fuori per le
porte. Fecero prigionieri ,
le donne , i fanciulli, i servi,
e diedero il sacco
alle robe. Nunziatasi
in Roma la
espu- gnazione,, i consoli
conclusero che si
dovesse bemosto provvedere ai
fuggitivi e rendere loro
la patria. Oppo- nendosi però U tribuni,
non permettevano che
si arro- lasscr soldati,
se prima non
si desse il
voto su la
legge. Cònlurbandosene il Senato,
e ritardandosi là spedizione, sopravvennero altri
messi 'da’ Latini colia
nuova che là città
di Anzio erasi
manifestamente ribellata, accordan- doviki i Volsci
, antichi abitatori di
essa, e, li Romani venutivi come
coloni , e compartecipi de’
terreni. Giun- sero contemporaneamente de’
nunzj ancora dagli
Eroici e dissero , che già era'-
uscita , e già stava
nel lor ter- (i)
Adqu «li Roma' 395 secondo Catone
, 397 secondo Varrone-,
« 457 av. Cristo] -ritorio un
armata grande di
Volaci e di Equi.
A tali a^unzj parve al
Senato che dovesse
> ornai ,non indù* giarsi
, ma corrersi con
tutte le forze
da entrambi i consoli
: e che chiunque ciò
ricusasse , romano o con- federato : si avesse
per inimico. Or
qui li tribuni
cede- rono , e li consoli
descrissero quanti aveano
età milita- re, e* convocate le
truppe alleate, uscirono
bentosto in campo ; lasciando
il terzo delle
milizie urbane in
guar- dia di Roma. Fabio
n* andò di
fretta coIF esercito
su gli Equi fra’
Tuscolani : li più
di quelli saccheggiata
la città , sen’ erano
già ritirati : ma
pochi ne difendevano ancora il
castello. E questo assai
forte , uè bisognavi molto presidio.
Adunque alcuni dicono
che le guardie del
castello , dal quale, come
elevato , scopronsi dj leg- geri tutti i dintorni , vedendo uscire
da Roma un’
ar- mata, lo abbandonassero spontaneamente: altri
però di- cono , ebe postovi
da Fabio l’ assedio
si renderono a patti , e passando sotto
giogo ebbero in
dono lai vita. XXI.
Fabio venduta la
patria ai Tnscolani,
levò l’e- aercito sul
far della sera , e marciò di
tutta fretta coiv tro
a’ nemici ^ Equi e Volsci
che accampavano, come udiva
, con armata numerosa
intorno alla città
dell’ Al- gido. Viaggiando tutta
la notte si
trovò su l' alba
a fronte dei nemici
alloggiati nel piano
senza vallo , senza fossa, come
nel proprio territorio',
con disprezzo degli avversar). Or
qui confortati i suoi
a farla da valentnq- mini , piombò prima
sul campo nemico
con la cavalle- ria , mentre i frati
alzato il grido
militare la seguita- vano- Altri furono
uccisi che dormivauo , altri che
sorti appena davano all’
armi , e volgeansi a resistere : ma
li . a53 più gettaronsi
alla fuga e si
dispet^ro. Presi con
molta fiicilltà gli alloggiamenti, concedette
a’ suoi che vi
s’im- padronissero di robe e persone,
salvo quanto era
dei Tuscolani. Non istette
quivi gran tenapo
, e menò 1’ ar- mata'su
la città degli
Eccctrani, riguardevolissima allora tra
quelle de’ Volaci,
e fondata in fortissimo
luogo. Te- nutovisi più
giorni da presso
coll’ esercito su
la Speranza che quei
d’ entro uscissero
per combattere , nè
uscen- done ; diedesi a
devastare la loro
campagna piena di bestiami
e di uomini; non
avendone gii assediati
ritirato prima ciò che
v’ era pel troppo repentino
giungere dèi nemici. Fabio
'lasciò che i soldati
facessero anche qui le
prede per loro , e consumati più
giorni nel farle
; alfine con essi
ripatriò. Cornelio T altro
console mossosi contro i Romani
di Anzio, e li
Volsci sen’ imbattè col- r esercito loro
che l’aspettava a’ confini.
Fattovisi alle mani , uccisine
molti , e fugatine gli altri , s’ avanzò col campo
fin presso fe
mura: ma non
osandovisi più uscirne a combattere ; prima
desolò la lor
terra , e poi ne rin- chiuse la città
con fossi e steccati.
Vinti allora dalla necessità , ne
uscirono novamente con
tutte le forze
, che erano molte
si , ma disordinate. Paragonatisi
in bat- taglia , sostenutala , ancor
peggio , e fuggitine scoraggiti e
svergognati , si rinserrarono un’
altra volta tra
le mura. Il console
non dando ad
essi tempo di
riaversi , portò le scale alle
mura,, e ne abbattè
con gli arieti
le porte: e cenciossiachè da
entro vi resistevano
affaticati e lan- guidi; ve li
espugnò senza molto
travaglio. Quanto eravi monetato , quanto
di oro , di attuto , di
rame, fe’ por- tarlo neU'erario : gli
schiavi , e le altre prede
le fe’ raccogliere
e venderle da’ questori
; lasciando a’ soldati , quanto ve n
era , alimenti , vesti , e cose • altretuli
di lor giovamento. Poi
scelti tra i coloni
e t^a gli Anziaii nativi i capi,
clie eran, molti, più
cospicui della rivolta, e battutili lungamente
e decapitatili inSne , si ravviò coir
esercito alla patria.
Il Senato usci
all* incontro dei consoli
che tornavano , decretando
che ambedue trion» lasserò: si
concordò, per finire
la guerra, cogli
Equi, che aveano perciò
spediti oratori , e nei patti
fu , che ritenessero le cittò , e eie
terre che *aveauo
nel tempo che si
conehindeva la pace , ma
ubbidissero ai Romani; non
pagassero tributi, ma
somministrassero ideile guerre, come
gli altri alleati
, truppe ausiliarie. secondo
>1 biso- gno : e con ciò l’
anno spirò. XXII. L’anno
appresso (i) fatti
consoli Cajo Nauzio per
la seconda volta,
e Lucio Minu^io ebbero
per qual- che tempo guerra
domestica su’ diritti
civili con Vergi- nio
e li compagni di lui
, tribuni già da
quattro anni. Ma poi
venendo alla città
guerra da-’ popoli* iotorno , e paura che
le tógliessero il
régno ; presero con
trasporto l’ evento come dalla
fortuna : e fatti i cataloghi
militari , divise in tre
parti le milizie
interne e confederate, e bsciatane
una in città
sotto' gK ordini di
Fabio Vibo- lano ; essi
alia testa delle
^ altre uscirono immantinente
, Nauzio contro de’ Sabini , e Minucio contro
degli Equi. Iniperoccbé questi
due popoli s’ erano
di que’ giorni
ri- bellati a’ Romani : li
Sabini manifestamente tanto,
che si erano avanzati
sino a Fideue, città
dominati da Roma, (i)
Anno di Roma
396 secouòo Catone,
398 secondo Varrouc
, e 456 av. Cristo. I.
a55 che ne era
distante quaranta stadj
; laddove gli Equi ferbavano colle
parole i ^diritti dell’
ultima pace ; facen- dola nelle opere
da nemici, con
movere guerra ai La-
tini , confederati di Roma , quasi
i^el trattato di
pace non «ressero mcbiuSo
ancor essi. Comandava
l’armata loro Gracco delio
^ uomo intraprendente , che
avea renduto quasi regio
il potere arbitrario
di cui era
stato adornato. Costui ne
andò fino al
Tuscolo , città pigliata
e sac- cheggiata ancora
nell’ anno antecedente
dagli E^ui, che poi
ne furono espulsi
dai Romani , e rapi dalle
campa- gne quanti uq sorprese‘ uomini in
copia- e bestiami ,
guastandovi i fruiti , buoni
già da ricoglierli.
E giunta un’ ambasceria, dal
Senato per intendere
le cause per le
quali guerreggiavano contro
gli alleati de’Romani
quando erasi di fresco
giurata pace^con essi , nè
frattanto era occorso disturbo
alcuno tra’due popoli , e dovendo que- sta ammonir Clelio
a dimettere i prigionieri che
avea di quelli , a ritirare 1’
armata , e ‘ subire il
giudizio su le ingiurie
o danni fatti a’ Tuscolani
; colui s’ indugiò lungamente scuz’
abboccarsele come impedito dalle
oc- cupazioni. Alfine quando gli
parve tempo di
ammettere r ambasceria, e
quando i. membri
di essa ebbero
espresso gli annunzi del
Senato $ egli Soggiunse:
Mi meraviglio, o Romani, come
voi per^dominare e tiranneggiare., temale per
Turnici lutti gli
uomini , anche senza es- serne
offesi. Voi non
permettete che gli
Equi si venr dichino
de' Tuscolani, contrarj
loro., senza che
ciò si concordasse nella
pace, firmala con
voi. Se dite
che abbiamo oltraggiato e danneggialo
voi ; vi rinlegre- temo a norma
de' patti : ma
se venite a chieder
conto Digilized by Goc^le 2 56
dell?: Antichità.’ romane su
Tuscolani ; nienle vale , che
a me parliató , o vai quanto parliate
con quella pianta;
e frattanto additò loro un
&ggio (i) , che prossimo
frondeggiava. I Romani cosi vilipesi
da colui non
cavarono subito , abbandonandosi
all* ira , gli eserciti
: ma repU- carono un
altr ambasceria , e
mandarono i Feriali che chiamano
, uomini sacrosanti , . per attestare
i genj ed i numi , che
essi porterebbero , necessitati ,
una guerra legittima , se
non erano soddisbuti
; e dòpo ciò spedi- rono il console
colle milizie. Gracco
all’, intendere che i Romani
venivano, levò l’esercito,
e lo portò più
ad* dietro, seguendolo pasto
passo i nemici. Egli
volea ri- durli in luoghi
da vantaggiarsene ^ come
addivenne. Imperocché
tenendo in mira
una valle cinta
da monti, non si
tostò i Romani vi s’
internarono , egli voltò fac- cia , e si accampò
su la strada
che conduce fuori
di quella. Segui da
questo ,.che i Romeni
misero il campo non
dove il volevano
, ma dove la
circostanza lo per- metteva. Ivi nè
era facile il
pascolo pe’ cavalli , per. es- sere il
luogo chiuso da
monti ripidissimi e nudi
; nè facile I dopo aver'
consumato quelli che
portavano , pro- cacciare a
sestessi gli idimenti
dalle terre nemiche
, o mutare il campo;
standogli a fronte i nemici,
e, proi- bendone r uscita.
Risolverono dunque usar
la violenza , e cacCiaronsi avanti
per la battaglia
: ma respinti e feri- tivi largamente si
richiusero fra le
loro trincee, delio inanimato dal
buon succedo li
circondò con fosse
e steccali , su la
fiducia che premuti
dalla fame gli si
« (>) Lìtio chiama
quèrcia quella che i
delta fiisgìo da
Dioiùgi.. 2,5'J
reoJerpbbero. Giupta* in
i\oma la ao|i»a
di ciò. Quinto FabÌ9
lasciatovi comandaute, scelse
il fiore ed
il nerbo suoi militari, , e li spedi
per soccortere il
console , sotto gli
ordini- di -Tito Quinzio
uome cousoUre , e questore.
Mapdò , oopomeno letiére a rCsuaio
ra , e le .altre
insegne ornamento un tempo
de\. re. Saputo^
che Roma .oIeggeval(> diltàtore
, non solo non ' si
rallegrò di up
4anio onore, ina
conr tuebandoseoe disse ,
adiaufue per io
mio occupdzioni perud',pw e il
fi allo di
ifUest' unno e noi.tidti
rje avremo grande il', disàgio
! Dopò ciò recatosi
a Ro- ma ( 1^, confortò su le prime
i cittadini con discorso
al (•y'-Amio «li Roma
agS secu'mla Caloof
, ajS fecondo Vsernas, t 4^
sv. Lfista. • . ZJYw.v/(;/ . /tZf 'popolò'
dà'enapierlo di beile
speranze! Poi'^coavocAti mai i giovani
dalia Oittà' e dalia
campagnì , soncenlrate le
truppe ausiliarie , e
nominalo maestret de’
cavalieri .Lucio ' Tarquinio , 'ignobile
per la povertà
ma nobilis- simo in arme,
Usci coll’esercito riuaiio
e gianto >af questore Tito
Quinzio c6e io
aspettava , prese ' pur le sue
schiere , e né andò'
sul nemico. Appe'Oi#
ebbe con- siderata la natura
de' luoghi ov’ erano gli
accampamenti cOilooò parte dell'armatA
ntdie aliuiié onde
precladerc agli ^quà i sussidi
ed i meri, e' riieneodo 'seco le -
ah re naHizie lé
avanzò cOn -ordiqe
de 'battaglia, ■ GleliO
phnto tion si sbietti , perocché nè la sua
gente era poca , 'Oè poco il
cor suo nella
guerra, e lo seooti^
nel sUo^ gia- gnerè , e ne sorse
■una pugna ostinata;
Era decorso buon tempo,
e li Romani oom'e
cresciuti ’fi'à''' le arme rinovavansi Ognora
al travaglio, *e
la cévallérià soccorrea |yron;a ove
erano ì iaHti'*iti pericolo.
Criccò dunque Eopra0altone , si
ritirò nel suo
cantpo. Quinzio ' éllora 10
cifis^e con aho
steccato e torri frequenti ,-
e' quando seppe a!6nc
che penuriava' de’ vivevi, lo
investi con as- salii contigui nel
stio oéntfpo,' ordinando a hSinucfó
che uscisse dall^altVà parte.
Esausti gli Equi
di viveri , di*- speraii di
un soccorso ,*
-e streiii per
ogn’ intorno Hal- r assedm
, furouo nécéssitéti à prender
ibr&a *dì ' su[^ {tlichevbli , e spedire a Qoìozìq
per la pace.
E- colai replicò che
la daitebbe , 'e lasccrebbe*
agli Equi iSalva
la persona , se deponessero
le arme , é-
passassero ad' uno ad
uno sotto giogo:
traliersbbe però' qual nemico
Gracco 11 capo tkUa
guerra,, e gli altri
consiglieri delia rivolu. £ qui
comandò che gli 'recassero tali
'^ùoraiai in ferri. Digilized by
Googl turno X. a59 [/milìaVaiui gli
Equi' a lutto; quando' egli ordioó,
che giacobè aveano senza
"esserne oilest previamettie , sog- gettilo e derubato il
Tuscolo città coufederau
di Ruma, essi consegnassero
a lui ' CorbioBe -, città
loro perchè ne lutasse
altrettanto. Prese tali
-rrsposta partirono gli
ora- tori , e dopo non molto
tornarono traendo .con
st Gracoo è i Compagni incatenali.
Essi poi cedute
le arme, e lasciate 'le trincee
t ne andarono ^so
t(o ^iogo, come era
il volere del
diltaiort , . à traverso .del.èaiupo
ro- mano. Consegnarono
tiorbione , e ebn restituire
,i pri- gionieri tuscolaai ottennero
soUmeotè che ialiti
prima ne uscissero gli
uomini iagfenai. Quinrio ricevuta
ht" città, comaodd
■ che. le prede pià -wgqardevoU sr
trasportassero in Roma ,
.concedéndo che le
altre si dispensassero
tra’ soldati venuti con
esso, e tra- gir altri
spediti prima con
Quinzio il questore ;,
e" soggiungendo , che
a^ soldati rinchiusi
«mi console. Miiiudo avea
dato ànjplissimó «lono , quando li rivenaiet-
dajla- morte. Ciò
'fano , obbligando Minucio.a dhnettérsi djl
suo grado, si
ripiegò verso IVoma,
e'ne menò. Uionfo luminoio,
più. che tutti
.i duci meuato- Io avessero perche in
sedici giorni de’ die
avea preso il còniaotfo , 'uvea salvalo
l’ esercilò anaico,
disfatto i’ altro
floridissilno de’ nemici
; saccheggiata la loto
città , mes- savi
guarnigione, e comku» va • séco In
catene il capo, e.
gli altri primarj
di’qneUa gueira. . FaoeVa
soprattutto ùieravigliu die avtmdo
ricevuto quel magistrato
per sci mési non
sei tenne quuito
eonòedeva la'> legge
: • ma coni vocata la
plebe , e ragipjiatuJe delie
cos«r operate ; lo depose.
E pregandolo il Schato
che prendesse quanto vote»
delle- terre , degli schiavi
delle prede conquistate colle armi , e pressandolo che
vivificasse la tenaiti
sua con ricchexaa ginata,
ché egli possederebbe
'glónosrsaitna, come 'tratta
colle proprie iàticbe
dal nemico', ed=o(fe« rendo'gli' amici-
e pai'enli amplissimi doni , e
pregiando più che tutto'
adagiare un tal
uomo , egli ' lodatane
la cortesia, non prese
nulla, ma si
ricondusse nel piodolo suo
campicello „ ' ed antepose
ad nna splendida
vita la vita 'tua travagliósa,-
nobiliubdosi per la
^povertà, più che altri
.non. sogliaho per l’
opulenta. Dopo non
molto Nanzio f altro console
vinse in battaglia
i vamente le armi
contro de’ Romani, e scorKro- «accheg- jgiando assdi
della lòr terra
tanto che quei
che' veai« vano int.copia
fuggendo dalle campagne,
dicevano tatto in poter
loro , quanto è tra
Fidene e Cmstumera^ An- che gli
.Equi sottomessi ultimamente
sorsero^ im’ afira volta
alle armi: e recandosene
> tra la notte
i più robusti a Corbìone , città ceduta
da essi Panno
antecedente ai Romani, c sorpresavi, la gnamigioDe
nel sonno >; ve la
uccisero, salvo podhi‘^
che" per .ventura
non v’ erano.
Gli altri marciarono ju
gran moltitudine contro 'di
Ottona, Anno di Roma
397 'secondo Catone,
399 seconda Varronc,
a 4S5 Cristo. ■' .
olimpiàde otlan» dr Gitene
vinse cìni de* Latini
, e -presala a prim’ impeto, fecero
per la rabbia su
gli alleati de’ -domani , docebè non
potevano su’ Romani medesimi
' uccisero tutti > puberi , eccetto quelli -ette efan fuggiti udì’ invadersi della' cillà-r rende-, rono
prigionieri, donne, fanciulli,
vecchj,, e raccoltovi in fretta
quanto poteano trasportar
di pregevole ,' ripar*
tirono prima'' che v’accorressero tutti.!
Latini. ,11 Senato saputo ciò
da’ Latini , e da’ militari
salvatisi della guarr. nigione , decretò di 'iàr
uscir le milqsie
y e con ùse i due
consoli. Ma Verginio
e i colieghi , tribuni già da cinque
anni davano a ciò
ritardo , opponendosi come negli
-anni antecedenti alla
scelta militare , , che
faceasi pe’coqsojij.u
reclamando che. si
Sdisse prima la
guerra domestica, -con rimettere
al popolo l’esame
della. legge, che davano sò
la eguagliauaa .dei
diritti : e la plebe ooadjuvava t ttibaui
che asiaf malignavano
, contro, del Senato. Imapto
temporeggiandosi , nè
comportando i consoli,’ che si
facesse in Senato
il previo decreto
su la legge e si
proponesse al - popolo
né volendo i tribuni concedere la
leva e la marcia
delle, milizie, an^i
facen- dosi accuse inutili e dice^e
vicendevoli belle concioni
e nella curia,, alSne
fu ideato da’ tribuni -uu altro
disegno^ che sorprese l padri
e chetò >U sedizione attuale,^~ma fu* causa di
molto ingrandimento per il popolo:
ed io sporrò .come
il popolo se
lo ebbe questo
incremento. Essendo
manomesso e predato il . territorio de’ Romani
e de’ cOufederati , e
spaziandovisi i nemici come per
una solitudine su
la speranza che
nou 'Usci- rebbe oontr’ essi esercito. alcuno a causa
dcHe sedizioni di Róma,
i consoli -adunarono- il
Senato per consultare come sy
pericolo estcetno. Tenutisi
raoUi discórsi , li- ichestò il
primo dei* parer
suo Lucio- (^uiozio , il> dit* latore
dellVarìBO, aotecedents , >ttomq
,noo/^solo -il più grande
allora fra le
armi',*; ina creduto ancora-
savissimo nel govefoo', propose
il coniglio d ^ale
poi persuase più che
tnttq'i tribuni e gli
altri, che si
dij^erine in tempo più
accóncio t esame allora
‘non riecessario della legge,
è si /accise con
tutta prontezza la
guerra alfutJe’, scorsa ornai
/no, su la
etllà r nè si
perdesse imbeflemente e
Mtuperosasnente il comando
con tanti stenti acqmstato.
H che se il
popolo non -ià-s'
tmi*- ceva; si armassero
patrizj e clienti, con- guanti
altri vòleano far causa
con essi in
qaeil aringo ‘nobilissimo della patria,
e ne andassero ardenti
al nemico,- pren^ dendo per
duci dell andafpiento
i Numi 'protettori di Roma. Imperocché
ne verrebbe lune
'o laUi^ buono e bel
fratto^ vuoi dire ò
che riporferebbefo ima
vit- toria la più gloriósa
fra tutte le
riportate "dai loro ptaggiori , o che
magfianimi' niorirebbero pe'
beni che sìeguòno la
vittoria. 'Annnnzìaira c4e>
egli stesso ^n si
ricuserebbe a tanto .esperimento , ma presento
vi pugnerebbe' qeaniq i più
coraggiosi', e ‘che rpempieno manchérebbevi alcuno
seniori che amasse-.la
libertà e li buon nome. Così
piacitito a tutti , Senza che
alouna vi ù -óppon%sc , i consoli
convocarduo il popolo.' Cbacorsi quanti erano
in Roma come
per ndieofa di
nuov^ co* se, fattosi
innanzi Cajo Orazio,
l’uno de^ consoli, tentò volgere
spontaneamente i plebei anche
alia guerra pre* sente.
Ma perciocché i tribuni
vi 'ripugnavano, 'ed i
LTUno X.
, 263 plebei ,!a> senti v«n coq
essi; recatoseli console
Un altra volta in
tneszo disse- : Beìia marlwigliasa impr^a
ifi vero é^la vostra -o
f^ejrginìo ck^. abbiale
stacpatò U popolo dal
Senato ! e cho. dal^
canto vostro avesstmo già
perduto quanto abbiamo,
ereditato dagli .avi , e ffuanlo .oUepiUo
co')Ttoftrì sudori Ma
noij npn, cede- remo noi questo,
senza lordarsi nemmeno
di polvere) ma impugnando
le orini con
.quanti vprrap salva
la patria ne andremo
al cimento, i^erantiti
su la bontà dell’impresa. E se
àLui}' Dio rimìui. le
belle.,, le' giu- stissime
imprese') se la
sorte che da
tanto ' tc/Apo prò- •
spera questa cillà
-, non t ahbqndona
sqibnonte- reniò il nemico. , Ma
se alcun, Dio
me gravita . sopra 4 c’
ci si oppope
per , bt salvezza . di
-Jiqma ) certo JC voler
nostro x di nostra
propensione non perirà-;
che Jortissimamente per la
pat/ia moriremo. 'E
voi li belli, U generosi capi
che siete di '
Roma , guardata pure colle
vostre mogli le
case, abbandonando e tradendo noi:,, ma
nà te noi
vinciamo onoràta- sarà
la vostra vita, nè
sicura se perderemo.
Se pur non
siete ■‘ani- mali (lidia misera
speranza che inémici
dàpo.' rovinati i patrizj , preserveranno voi
per gratitudine , a cori- cederànuo che
godiate la vostrd
patria, la libèrtà,
il comando , e tuUi t befù
-^/ie ora v’
avete. Sb, questo appunto a voi
copeederanao cfue’ nemici a' quali men- /
tre vói
pensavate pìà 'saviamehte
avete levato tardo iersìtorio, distratte
ttgtle c'ktà, JaUine' schià^i i >popoli, ed irudzati
toni i- trofei, tanti manUmérUi
di nemicizfa, e sì luminosi,
che mai^per età
non perirahpo. Ma perchè
io mi addoloro
còl popolo il
qtude non fu mqi
taUù’o ài voter
non piit tosto
o Vt^fginìo con Voi che
per si bella-
maniero, io dirigete
? Noi' certo necessitali b. non
-pensar bassamente noi
deliberata abbiamo , e ninno
cel vielirà , 'di- farci
a combattere per la patria:
jna voi che
abbandonate, voi che ^ tra- dite il comune,
voi ne- avrete condegna,
irreprensibil vendetta dal cielo:
nè' fuggirete ‘già questa, se
quella fuggite degli uomini.
Nè crediate già
che io ciò
dica pertatterrirvi : 'ma sappiate
che quanti siano
qui la- sciati per guardia
dèlia città, se mai gf
inimici pre- valilo Ho ^ ne
destineremo come a noi
si conviene.' Se od
alcuni^ ìfarbatì , ornai
tra le unghie
de' nomici , venne
in cuore di
non lasciare ad
essi' non le
mogli, ~hon i figli , non
le cùlà, ma
di ardere .gueste
, e di uccidere 'quelli; non farànno
altrettanto sé" li Èo-
mani de' quali è proprio
il dominare.? ' Certo' degeneri non saratmo
: ma còmi notando
da vqi > che'
nemicis- simi Stata ,s. ogrii
amica\lor cosa distruggeranno.- ^on- sidarMe
ora up'i questo
, ié> considerandolo ; fatevi -le adunatvte e-
le leggi. - ' ~ • Detto
tali ^ose e ‘molte
consimili, presentò li più
provetii de patrie]
che piangevano. A tale''s[>euaoolo molti del
popolo boa contennero
nemmeno essi le la»
gtime: t destatasi grande
commoxlone per gli
acmi e per la maestà
di tali uomini,
il console sopraÀandò
alquanto disse :
'Impugneranno questi seniori
le 'armi per
voi giovani nè' voi ve nè'
vèrgognelete , occultandovi' fin .sollotarm é"
vi terrete lontani
da questi duci,
che padri sempre , avete
nominati ? 'Sciaguo^i voi !
nè degni pure di
èsser detti- cittadini
-di questa èittà
fonSala "da c'olbro
che àveano por
iole fpaile il pa-
dre, aperto loro dà
numi lo teatnpo
^ra le armi e
le fiàmmè- Catm Yergioìo
temè ciré il
pòpolo fosse com- mosso dà) quel
discorso per non
SDfhii{V 'dl dover
met- tersi « quella guerra coOlro
il sub dire,
fecési avanti' e soggiunse;-
Noi non vi
abbandoniamo'- né. Vt' 6-adiamo, Hè
mai vi .abbandoneremo o padrii
come per addietro mai'^ foste da
noi derelitti su,
et impresa niurtae
di met- tere custodi' delia
libertà te leggi
a cui tutti ubbidi- scano^ Che se
ciò vi .sa
male p, Se
sdegriate- concederle a'
vostri cittadini questa
grazia,' e'^ riputate
com’ essere la mocte.
vostra ammetlére- il
popolo nelC eguaglianzd;
non' pià
vi darem briga
su dà ,■
ma vi chiederemo
' altro' dono , avuto
il quale farse
noh avrem pià
bi- sognò di nuova legislazione:
se nonché ci
vien paura che non
ottérremo nemttten questo
, sebbene non sia ponto
lesivo dei Senato,-
e sia ^uUo* bmief
ce- ed- ono- revole al popolo. E replicando
il 'console- che se rimetteanb
la istanza vai Senato , non
sarebbe oegata loro
cosa, che discrcia fosse-;
ed invitandoio a dire
ciocché dimanda*- sero , '
Verginio abboccatosene alquanto
^co’-suoi colleght rispose ,
che lo
dirèbbe - al Senato,
'fiopo ciò Ji
consoli adnnarooo il Senato
, ed egli - venutovi
^ e divisatovi quanto
edmpetevasi al po>pólo,
chiede che si
duplicassero i magistrati
del pòpolo, ed
.ogni anno in
luogo ;d> ciò que
ài nonaipaiserD dieci',
tiibuni. Alcuoi, ca{>0
de’qaaii era Laoio QuipzioV
àatorevolissinto Pilota , in v
Senato , pensavano clie.ciò
pon. offenderebbe* Ja
repubblica e ooDsigll nico vi si'dppose
Cajo Claadio , figlio
di Appio /dau* dio , deir avvertano
'perpetuo a voleri del
popolo , se non erano
^a nórma 'delle,
leggi. Egli ereditati
i ' senti- menti del padre, impedì
quando. fu console che
si con- cedesse ai' tribpni
d.* inquisire contro
de’ cavalieri, calun- niati di congiure,
ed ora con
iuiligo ragionamento di^ mostrava
, che il popolo
non diverrebbe più
moderato e più docile y ma
più incansiderato e più
grave. lùipe- rocchù appelli
che sarebbero ' dt
poi giunti 'al
iribonaio noi prenderebbero gii'
per* questo* eoa.-
legame'* .che li tenesse
ai patti, ma
beP. presto tratter^bero di
divìsioue di 'terre 4^ « dl,e^[}ia|ità dì
drritir',,e certdtei;ebbera par- lando e ..brigando de
cqiUe cose , estensive
'delia potenta del popolo,
eotne dmpaqenti 1*
onor del .Seoato^.-ìlfosse ntolti* tH^
tal dire graodemeote
i. ma Quinzio
a ri- trasse ammaestrandoli voler
1’ otite del
Sedato che i tribooS
si moltipKcttseil» , giacché i molti
men *8’ at^r- dan dei
poclii t esser rocspediziooe>^ Toccò
a MìducÌo Ja gaem
co’ Sabfm ad*
Orazio 1* altra'
eoo gli Eqaiy- e ben lostb
marciarono ‘atubedi^e. L
Sabini gtuuy* dando le
Idko città.; non
curarono .'che' ì Romani si menassero
>6 portasae.ro quanto
.r’ era pez le
campagne. Gii Equi a|ledirono
'Ito’ armala' per
coalrxitarli; ma -tutto ebe pugnassero
nobilissimamente / non poterono
supe- rarli, e si -
ritirarono ne^sitatt oeile
loro^ città,* perduto il
castello pel quale
avaano co/nbattùlo'. Orazio
respinti i nemici , -iPatto assai
danno alle, lor
itette.^ abbattè le mura
di Corbinne r ne
rovesciò da’ fondamenti'
le mse , e -ricondusse in
Roma l» e(wreito. Sotto Marco
Vaieriòy* e Spurio Verìpoio
con- soli delH anno segne'nte ,(i) non
osci dà’ confini nato,
e • convoràlv. il Senato.
E condosslachè un littóre, comandatone, rispinse
T- araldo ; icilio e i suoi
coUeghi ■degnatine presero e trassero 'il littore
me per balzarlo ^la
‘ rupe I consoli tuttoché
sen tenesseró 's[^giatls$inù non poteano.fiir
violenza, e redimere quel
prigioniero: e''^i volsero ptf
ajuto agli altri' tribuni-: 'Perooché niuu pifò
sospendere p proibire gli
atti di- alcun
tribuno, se non quegli
che tribuno, sia
parimente giaqchéji tribuni s’ erano preoccupati già, da molti
e potenti. Unico -contraddisse
.a.tal dire Caju Claudio
, comprovandolo molti ; ma
-si decretò che il
silo al -popolo sì
concedesse. Dopo ciò.
presenti i pon- tefici,‘ gli auguri,
e due sagrificatori , fatti
secondo il rito.sà^ifizj e preghiere
, e convocati da’ consoli
i 00- niizj centurìati si
'confermò la leg^e
, e descritla sQ co- lonna^ metallica , e portata
ne|l’ Avventiòq ' fu
collocata nel tempio di
Diana. Poscia- coqgregatisi
J plebei tira- rono a sorte il
suolo dove fabbricare
e fabbricarono , occupando ciascuno , lo
spa^o che poteva.
Unironsi al-r . • i r edifiso
dì qò^lcke cak
due o M' pèrsone , e talvoiu più- ancora, prendendosi
uno i pianterreni ». e
gl! ahri i piani ,'àupdnori.
E 'cosi tl’. armo
si consumò eoj^i^b- bricare. Riusoi
pesò complicatò e varìo e pie*o di grandi
avVenluee l’ anno
seguente (j)’, nel
optale eletti consoli .T'ito' Ro™iliO e Cafo
Veturio, furono riassunti al
Hribanale ‘Icilio e i
coUegbi. {mperoccfaè fu
di nuoro suscitata da’ tribuni
la d*ril sedizione
ebe parea venuta ihene;
e sorsero guerre dagli' esteri
: ma queste non 4^e
danneggiarla , ' giovaróno non
poco la repubblica
, non toglierne gl’
in^rlH diSsidj ; essendole’
consueto e viceodevole di '
esaére ’anaoime tra
le guerie, * ma
discor> diosa' nella pace,
distraiti - di ciò
quanti salirano al
con- solato» prendevano eoo trat^rtOi
se nascevaoo,Te guerre cogli
esteri. E ce i ^oemìd
erim' 'cheti ; essi
stèssi finge- vano’ manoanze pretesti
0' debi- ^litavasi tra lo
sedizioni.' Animati nel
modo 'stesso i-'oOn* soli 'di quest’'am^,
deliberarono cavar 1' esercito'
contro L taemìci spi timore che
i' poveri e gli
oziosi . qoaiìn- ctassero a
perturbare - la pacel
Or essi- ben
la rutebde* vano ,'cbe
'vuoisi- distrarre la
mollitudioe ndle gtiè'rre cogli esteri
i’hia non beò
intendevano com’ eseguiscasi.' '
Quando avrebbero dovuto
flir leve moderate
ì Qotìae ilo città mal
affetta ; si diedero
a 'castigarvi colla forzà
tùtii i ’ranitenti i senza Cfonsazione
o dispensa, iriando ine- sorabili ^il rigor
4elie. leggi sù
gli àVen> e su
le persone. 'ny Anqo
di' Roma agg secoodo
Calooc , joi seoondo Varroue,
a 453 av. Critto.. Presero da
tal proceder^ ■ occasioae
di bel onovo
i tri* buoi di concitare
la plebe ; e radonatala , vi
strepitarono per più cause,
come ancora, perchè aveano. .fatto portar nella
carcere molti che
reclamavano 1’ ajuto
de’ iriboni: e dissero che'
essi che soli
he aveano l’ autorità
dalle leggi , gli assolveano da
quel rechi [amento. ' Vedendo però che
niente ne profittavano , anzi ' che
laccasi la coscrizione piti
severamente , incominciarono*
ad oppor» visi co’
fatti. E resistendo I conscM
.colla forza del
grado loro ; sen fecero
altercazioni e scaramnCce. La
tenea pei consoli la .
gioventù patrizia , ma
teneala • pe’ tribuni
la turba oziosa e povera
: e quel giorno assai-
prevalsero i LODSolif su'
tribuni. Ne' giorni
appresso - versandosi in>
città più turba. dalle campagne
, i tribuni , vedutisi òmai con forze'
da contrapporsi , convocarono assai
spesso il po- polò-, ^e
mostratigli'! ‘minbui loro malconèr
' dalle pia- ghe ,
prolestaropo che deporrebbero
il magistrato se non
erano da esso
gàraoliti. Irritatasene la
nioltitudiée ; dt^'no i coiv* soli
a ' dar conto al
popolo del procedete'
loro. Nóp gli attesero
questi; ed andatine
i 'iribòni alia curia* ove
il Senato ^a^e va 'già consultandoqe
lo.aupplicaroooi a non
trascurare essi tribuni,
offesi -bruttisiihiàmrate ,
uè il spopolo, che
era dell’ aita
loro privato. -^E qui ùàrracono quante ne
aveano sopportate da’
consoli , e le mapohi-
nazioni di quesb
contr* essi ond’
erano svergognati' non pure
flel grado ) ma'- nelle
penonc. Laonde chiedeaao che
^.consoli facessero l*
Una delle due ,
vuol- dire , se negavano
di aver fatto
. cesa vietata datie
leggi controde’ tribuni
« vemsserò e giurando* Ift
negassero all’ adoaaaza ; se
di giurare non
sostenevano , venissero , c vi
rendessero, conto ; e le
tribù «entenziereLbero su
loro. Si difesero i cousoli , . dando a vedere
ebe i tribuni erano la
origine de’, mali, per
la caparbieti , per
l’auda- cia di profanare Je
persone de’ consoli, prima
con avere imposto ai- satelliti
jorp 'e agli edili
di portare in
carcere uonjini rivesliti di
ogni potere, e poi
con tentar di as-
salirli col raeazo de'
plebei più temerarj
; e qui sponeano quanto fosse
il^ divari a dalla
tribunizia alla, consolar di- gnità, piena 'questa di
regio potere, e nata
l’altra solo per protegger'
gli ttppressi. Tanto
esser lungi che
po- tes^ro far votare
la moltitudine contro
de' consoli, che noi póteauo
nemmeno contro il
minimo de’ patriz|
senza un decreto espresso
del Senato. Pertanto
'minacciavano, se i, tribuni
faceano' votar la moltitudine
di dàr. rju’me a*
patria). Continuandosi ‘ppr
tutto.il giorno i
pochi contro de) ' r • . (0
Vedi Ii che
si ripiegasse lo sdegno
su’ lor fautori , castigandoli a norma
delle leggi. Se quel
giorno i tribuni trasportati
dall’ira lan- ciavansi a far
cosa alcuda contro
del Senato, p de* con- soli , niente avrebbe
impedito che la
città di per
sé ro- vinasse. Tanto eran
tutti pronti per
armarsi e .combat* Uni t Ma
perché sospeser 1’
afiàre , dando ' a sé tempo per
meglio consigliartene; serbarono
essi ' moderazione , e r fra del
popolo n'n fu mitigÀa.
Intimarono pel tc^'zo mercato dopo
quel giorno una
assemblea popolare- ove
condannire; i consoli ad
una emenda in
mgeoto, e sciol- sero 1’ adunanza.
Approssimandoti pe^ò quel
-giórno de- sisterono anche da
lah* intrapreta dicendo,
di coneedecp ciò alle-
istanze di uomini
i più 'venerandi per
anni e • per grado.
Poi congreg-indo il
popolo; dichiararono die essi
rimettevano le offese
proprie , sul desiderio di
motti buoni, a’ quali nop
era lecito contraddire
: ma che le ingiuri^
fette al popolo
e punirebbero queste , anzi
le toglierebbero. Imperocché diretumente aggiùngereb- bero tra le
leggi pnr quella
su la divisiori
delle terre differìlit ornai
da treni’ anni , e quella su’
diritti eguali r • N. ’ (i)
Kel lesto »v^it
nuot’aiiante , forse ot nè per dono
,> nè per compera
, nè per altro
legittimo mezzo che^ possa
dimòstrarvisi. Se ne
avessero questi dimandata parte pià
grande , che noi dopo •
avere come noi
tra~ vagliato neW acquistarle
; certo non sarebbe
stato de» gno di
uomini , degno di
cittadini che pochi
si ap» propiassero" ciocché
era di tutti;
ma pur stata
una causa vi sarebbe
a tanta ingordigia^ Ma
quando non potendo dimostrare
alcuna opera grande
e magnanima per la quale
si tengono ciocché
è nostro , non sen vergognano
'né lo
rilasjdano y nemmeno convintine
; chi potrà comportarli? Or su,
per Dio, se
io nfetilo in
ciò , venga chiunque
di questi onorandissimi , venga , e dimostri per
quali splendide- e belle
gesta presuma pià parte
di me. Forse
ha guerreggiato pià
anni, in pià battaglie
, con pià ferite
, con pià onore
di po« rotte di
spoglie , di prede , o di
cUtre marcfm da vincitore , per le
quali /’ inimico
se ne umilia , e la
, patria > magnificata ne
sfol^ra ? Dimostri il
decima almeno di quanto
io v ho dimostrato.
Per, certo i pià d’ essi
non potrebbero allegare
nemmen. la minima parte
delle mie gesta
: anzi alcuni di
loro non par.^ rebbero
di' avere sofferto nemmen
quanto il popoletlo pià
basso. Grandi essi
ne detti , noi
sono certo nelle armi, pià vagliano
contro l' amico , che
a fronte dell' inimico : non
pensano essi di
avere una patria a tutti comune , ma
propria di loro , quasi
non siano stati per
noi liberati da’
tiranni , ma dà tiranni
ab-^ biano noi preso
come un lòt
bene. Questi (perocché bacaselo /e
ingiuriò continue pià o
men ^andi j eh» tutti
sapete ) sono giunti
a tanta in scienza
^ efu^.non soffrono che alcuno
di noi dica
libere yoci, o che solo
apra la bocca
su la patria.
E 'Sputió Cassio , quello
che ptimó^ parlò
su la le^e
agraria-, quello che illuitre
per tre eonsólati,
e per, due trionfi
glo- riosi, e che avea dimostrato
tanta solerzia nel
co- mando nplitare e civile , quanto
niun altro in
quei tempii qùeH' uomo
si grande lo
accusarono i con- •soU’j come
intento alla tirannide,
lo sopraffecero con falsi
teslìmonj , e, Jìnalniente^ precipitandolo dalla rupe ,, Io uccisero',
nè per altra
cagione se iwn
per- ché era V amico della
patria e del popolo.' E Cajo Genuzh) tribuno'
vòstro- che riproduceva - dopo
undici anni la stessa
legge , e citM>a- in giudizio
i consoli deir anno antecedente
come trascurati 'a
compiere i v decreti del
Senato tu la
partition delle terre
, lo lè- varon di
mezzo appunta il
giorno avanti, il
giudizio con occulte maniere
i non potendolo colle
manifeste. Donde tte venne
.a* successori grave
timore, e niun più st
mise a quel rischio
: e già sono trend
anni che sopportiamo , quasi perduta
il nostro potere
nella tirannide. Ma lasciamo il
resta. I magistrati vostri attuali , quelli che
voi avete rendati
siseri per le^e ed
mvMabili , a quanti mali non
incorsero per vo- glia di
difendere gli oppressi
tra 7 popolo ? Non
fu- rono questi ètpulsi dal
Foro a pugni e calci,
e con ogni altra guisa
di vilipendj ? Vò
'siro era V affronto; e voi vel
comportaste nè cercaste
vendicarvene con. , i'^g darne
i voti almeno , in che
solo vi resta
la libertà. e Ma su
prendete spirita o miei
cpmpopoUiri. Presene tino i tribuni
la legge su
la partizione delle- campa- gne'; _e
voi la confermate
co’ voti vostri , nè
soffrite pur voce chi
reclami. Voi non
abbisognate o tri- buni di esortazione
a questi opera ; voi
posti vi ci siete , e benissimo fate a
non desisterne. E se
la caparbietà', se là
insolenza de’ giovani
vi' si opponga, e rovesci le urne in'' che
i voti raccolgonsi , o./i
voti vi levino, o scondita
tal , altra cosa nel' dar
de sofì fragi ntastrate
-loro quanta ' il
potere siasi del
tri- i bunato. Che
se non è lecito
degradar^ i constai, sot* topOnete
ai . giudizio i privati ,
de’ quali si
vatgonó per le violenze
; e fate che il
popolo' voti su
loro come su conculcatori
delie leggi sacre
y e distruttori del dostro magistrato.
Or Jui cosi
dicendo, ta moltiludibe nè
fa cóm> mossa tanto
intimainente , e manifestò
tanta ira contro gU
oppositori, che, copie
ho divisato dai
princt[yio, non vofesa memmen
tollerarne t discorsi. Quaodo
sorgendo Icilio tribuno dii^e
: che eran pur
buoni *1 suggerimenti di Siccio,
e lan^mcnte lo encomiò,
tuttavia dimostrò cìie non
era cosa nè
giusta , nè sociale negar
la parola a chi vojeya
perorare in contrario , prìncipalmeote' di> acutendosi una
legge colia quale
far prevalece il
diritto alla Ibraa
varrebboosi di occasioni
consitnili , qpelK che non avevano
pensieri eqni uè
ginstì sul popolo
, a turbar la pUè
novamentp, e'rimovetae ciocché
le gio* /asse. E ciò
detto prescrivendo ^ il. giorno
seguente ai , contraddittori della
legge , sciolse 1’ adunanza.
I consoli a4umildjili «oiuiglio
privato de^'pairìxj più
energici al» lora e più
floridi , dimostrarono cbe dovea
leg^ impedirsi per ogni
modo prima' colie parole,
è poi colle opere, se
il popolo non
lasciasse persuadérsi. AdunqH^ raccomandavano a tutti
che andassero la
ma^a al poro ciascuno
quanto più poteva
con amici e cliènti:,
e quindi che alcuni ài
stessero .ed aspettassero
intorno la tributiti onde parlasi
all’ adunanaa , ed
altri in più
crttcchj tna>. versassero il
Foro , per intraccbiudere, il
popolo, é vie- tarne la riunione.
Parve questo U partito
migliore , e prima cbe il
di si chiarisse
, erano molli posò
del Forò presi gii
'da’ patriÉj. Vennero dopo
^ciò li' Iriboni
e li consoli, quando il
banditore invitò chiunque
voleva dir contro la
legger Presemaronsi perciò
molti onesti uomini , ma il remore
e il disordine non
lasciai ascoltarne le
voci. Imperocché qoal déflli
astanti esortava 'ed animava
i di* ^ cuori, e quale gli
urlava e'rigettavali nè la
lode'pre- yalèva de’fautori, né
lo strepito degli
avversar):* Sdegna* ronsi « .protestarono r consoli,
che il popolo
dava prìn* cipio alla
vioTenza col non
volere ascoltare : ma
repli- carono i triboni che avendo* essi
ascoltato ben per
cin- que anni , non laceano cosa
da odiarnéli , se non
voi- leaoo più* tollerare
trite contraddizioni , e
rant^de. Còsi ne andara
il più delia
giornata, quando il
popolo chiese di votare/
Allora i giovani patria)
credendo che più
non iCoise da sufferire , impedirono il
popolo che si
racco- gliesse in tribù, tolsero
a chi li portava
i vasi de' voti, e battendo e spiugendo,-
cacciarono quanti erano
a ciò deputati, nè $en
parlivauo. Alzarono le
grida i tribadi e géttaronsi nel _
méz^o di
essi : e questi cederono
e là» sciarono die ipvioiati
' passassero ovnnqne, ina
passare ovnnque nob Isàdavano
il popolo'xbe li
seguitava , o quello che
tumultuando e disordinandosi qua e
là per lo Foro
moveasi verso di
loro. Cosi divenne
inutile al popolo il
soccorso de’ tribuni : ed i
patrizj ila. vinsero
, nè lasciarono che
si ammettesse la
legge. Le famiglie che
più sembrarono coadjuvare
i consoli furono le tre
de’ Posiumj , de’ Sempronj , de’ Clelj,
cospicuissime tutte per lo
splendor de’ natali,* e
potenti assai per
amicizie; per ricchezze , e riputazione , .come insigni
per le im- prese nella guèrra.
Si consente che
da questi -dipendè
prìncipalmebte che la
legge non si
ammettesse. Nel giorno, appresso
i tribuni prendendo i l>le* bei più
rlguardevolT discùssero ciocché
fosse da ‘fare: e tutti
di comun voto
statuirono di non
citare in giudizio i cposoli , ma
i' privati che
erano stati loro!
minjstrij; la punizione de*
qudi ecciterebbe come
Siccio' avvertiva meno diceria
contro del popolo.
Adunque cominciarono
dih'geotemcnte a discutere, quabti 'fossero da :
processare, qpal titolo Ressero
al giudizio « e qtialé.
ne sarebbe, '.e quanta la
pena. 1 più buj
di carattere consigliava
nò che si desse
a tutta un aria
di graveùa e di
terrore f in opposito i' più
miti voleano moderazione
e ^clemenza, é Siccio era
,il' capo di
questi , e- ve li
persuase ; io djco colui
che perorò per
la partizion delie
terre diuonti del popolo.
Parve loro che si trascùraasero- gli àitri
patrizi, e si menassero al
popolo i Clelj, i Posiumj,
i Sempronj a subirne le pene 'delle
opere' fotte : *si ! accusassero,’ .di aver soverrbiato
.ed rnipedUo i tribuni
dal forc'uliiiiutre la deftsioQ 'della legger
qa«ido lè l^gt
facre -dei Senato-- e del popolo
,hqn tsoucedoM ad;
alcuno , di p/dl^i ri chiuso
t ed alfine sen
venne il tempo
di giudicare co- loro. I cooteli ed i ,
patria] («rau questi
i migliori) a^^ sunti per
consultatvisi -opinavano che si
dovesse con- cedere a! tribuni , la
punigione , affinché i|upedki
Uoa causassero male tpaggiore
1 e lasciare che i ^plebei
furi-' Ixmdi versassero* r ira
loro sù le.soÀanxe
degli accusati affiprhè paesane
arendeita quanta ne
voleanp , V iirq>U- cidnsero pér l’
avveAire prinoipalmente ché il
danno negli averi potrebbe
risarcirai a chi aosteuevalo.
Or Unto appunto àddivénne.
Imperocché condannati questi,
scnaa- apptfrìre in giudizio,
il popolo Inasprito
se ne^raddolci,- ì tribuni pensarono
che fossè rendalo,
loro un moderato eivil potere
e sostegno: ed i'patrizj -restituirono ai-
con- dannati le lo'to ^stanze
reiHmendole, a prezzo eguale da
chi areale dal
pubblico comperate. Con
tali riparisi- dissiparono i mali
imminenti ^lla repubblica.
Dopo non molto
riprodussero i. tribuni
il di- scorso su la
legg^y àia l’avviso
delia- irmzioae repeatina
de’ucjidci sul Tusoolo
fu causa bastante
ad im^edirneli. ^ceeiuccliè precipitandosi li
Tuscolani in folta
a , Roma «'dicendo essere giunta
una artnaNi grande
di Equi, che av«a-
già devaatatq le
foro campagne , e ohe
tra pochi gieini ne
espugnerebbero fin k ciwà
se ben tosto non
sibccorpeTauo ; iK Senato
decretò ‘che v’ andassero entrambi U consolù
.ed i consoli, intimata
la leva, fchk* tnarono
tutti i dttsdini alle
anni. Ebbevi anche
allora del snsurro, oppibnendovisi i tribnni
alla iscrizion mili^ tare , né. volendo
die gl’ indocili
si pòm'ssei'O col
rigor delie leggi: ma
tutto io indarno.’ Imperocché -il Senato, raccoltosi, decretò
che uscissero alia
guerra i ' patck) coi loro
clienti : che quanti
voleano avér parie
nel aalvaro la patria,
avessero ancor parte
nelle sante cose
de’ numi, ma che niuna
più ve n’
avessero quei -che
lasciavano i consoli. Saputosi
il decreto del'Sen^o
nell’ adunanza del popolo
mólti si misero
spontaneamente all' impresa. Vi
si misero i p{ù
ingenui per la
verecondia 'di non soccorrere toha
città confederata ,'
diauuta wmpre per r aderenza sua
con Roma : tra
questi fu Siceio
1’ accu- satore presso del
popolo degli usurpatori
delle 'pobblidie terre , -il
quale menava seco -ottocento uomini,
timi co» me -lui
di età superiore , nè piè
vincolati dalla legge
^a combattere ma pieni
della riverenza del
valentuomo pe’ grandi benefizj
ricevutine aveano ripntato
cosa non degna di
abbandonarlo, mentre rinsciva
egli* a fitr guerra. Òr
questa tra la
milizia d’ allora
fu di gran lunga
la' migliore per
la perizia iu
combattere , Come per T'ardire
tra’ pericoli. Seguitarono anepr
altri T eaer- cito- vinti
dall’ aderenza e dalle istanze
de' seniori. - E il èri pur- k
milizia 'pronta «sempre a tnui {.pericoli
per amor deUe prede
, che si fan
tra4e arme.. Pertanto
in poco tempo ebbest
un armata numerosa
, e .'fornita splendidissimameute.
.!■ nemici udite
che i Romani marcercbbero
contre ^ essi , ravviafóQO
terso la" patria r esercito : ma i
consoli avanzando ,a
.gran >freilao per 6eno,
e gl* investirono improvvisi,
mentre scendevano a tor r acqua
; e più volte a battaglia
li provocarono. XLIV. -Or
attagiia ; e cavò le milizie
dalle trincee#. e comparti fcavslieriie
fanti per coorti, ciascuno
ne’luoghi' Convenienti ; alfine
chiamando Siede gli disse
: iVbi combattiamo da
quindi o Succio, 1 nemicL Tw-
mentre noi ed
efsi ci risparmiamo
ap- parecchiandocip va di
fianco per- quella
via sul monte ove
è il.eaatpo nemico, e v assalùci
quei che ilo guardano
, affinchè gli altri
che slan contro’
noi ne teman la
perdita, e tentando soccQnjerlo
ci volgari le spalle
; e cor/ie. avviene ^in
una subita ritirata , si
affi. foUirt tutti per
una strada , e con
fUcilità li., conqui- diamo : o se qui
si rimangono ; lo
perdano il^ campo
^ loro. La milizia
che -lo presidia,
per quanto seti
con- cepisce, già non è.
per sè foige,
ma pan mettere
tutta la fiducia bliquamente
per quella slracbi , impossibile a salirsi di,
rutscosòr dei nemici:-
ma io vi
condurrò per vie non, visibili ad
essi; e ben mi
presagisco trovarle tali òhe
ci -guidino sul morite,
e sul campo. Inanimiìevi Digitized by
Googlc « . , LlDnO X. ‘ 387 dunque
i e speràlCk Ciò detto
s* avviò Wk
fa selva , '>« eorsooe buoa
tratto, a’ imbattè con un
'cHtadioo , parti» tosi non so
d’ onde , e fattolo
arrestare ; , sei prese
a guida. E colui rigirandoli
gran tempo attorno
del mon* te , li pose
al fine su
di nn colle
rimpetto degli aHog la
battaglia ebb^ un fine
decisoli Imperocché -Siccio
co’ suoi, non
Si toifo - fu -presso
degli alloggiamenti , trovalbne'' il danto
verso di sè derelitto
dalla iniliiia , intenta tutta,
come n spetta» cólo dal
canto verio del
combattimento > vi diede
faci» lissimitmente assaltò ,
-e sonrontpvvi : . e prorompendo in grida
; corsele come dall’ alto
^ addosso. Sopraffatta
quella dal mate
impensato e concependo che
venisse non qne’ pochi
ma l' altro console
colle > sue schiere
si precipitò fuori delle
trincee, per la 'più.
gran parte senz’arme. Que’di
Siccio ne' uccisero 'qua
uà ne presero, e signori già
degli alloggiamenti , ripiombarono sa gli
altri nel piano.
Gli Equi , conoscinta- dalla foga e
dar damori la presa
degli alloggiamenti,’ e veduti
dopo non molti^.i nemici
correre loro alle
spalle, noo 'mostraùlno .già cnof 'generóso , ma
dnordinadsi , ceecàrono scanapo
per varj
sentieri. Ma iu
questi appunto fecesi
strage copiosa , non avendo
i Romani lasciato d’
iusegnirli a trucIdarvegU fino
alla notte. Siccio
ne era l’uccisor-
più graude Ira Ilice
d’imprese bellissime: e quando
vide le cose. nemiche ornai
ridolte al suo
temiihe, egli già
fatta notte , tripudiando e forte
magnificandosene rimenò la sua
coorte agli alloggiamenti
espuguati. 1 suoi npn
sedo illesi ed inviolati
da’ mali che
ne temeyanó „ ma 'em- piutisi tutti di
gloria vivissima , lo
chiamavano padre y salvatore,
Dio, ed ogni
altro bel nome,
nè finivano di felicitarlo con
amplèssi ed -altre
esuberanze di 'gioja. Intanto r altra . milizia romana
tornava al campo
tuo ‘ dall’ inseguire i nemici.
> , . . XLVIL Era già
la mezza notte
, quando' Sfecio ra- minando
1’ odio suo
'bontro de’ (Gasoli
che ,lo oveano spedito alia
morte -, si
pose in ' animo , dì
tor loro la gloria
4el buon' successo.
Rivelato il cor
suo tra’ com- pagni , e sembratone a tatti
benissimp , anzi ammiran- done Ognuno i concetti
e F ardire, .^li prese
e fe’' prender le armi ,
e prima uccise guanti
trovò 't|tnvi nomini,
cavalli, ed altri
animali degli Equi,
e pòi mise in fiamme
i padiglioni , pieni di arme ,
di vesti
, di apparecchi di guerra
, e di robbe moltissìmé , recàtevi dalla [ureda
tascoiaua : al fine , dopo
svanita ogni cosa tra
r incendio, parti su
I’ alba senza
altro che le
arme, e rientrò con marcia
rapidissima in Roma.
Osservativisi questi appena , solleciti
tra le arme , tra
’b sangue , tra i cantici della
vittoria , eccovi grande
il concorso , e la smania di
visitarli , ed intenderne
le cose .operate.,
Ed essi, andatine al- Foro,
ve le narrarono
ài tribuni: ed i tribuni,
intimata un’adunanza; comandarono
loro che vi favellassero.
Era già grandè
la moltitudine ; quando Siedo recatolesi
iunanzi narrò la.
vittoria \ e' le maniere del
combatlimentp j >e come
il campo nemico
era preso per ie '
forze sae>e degK
ottocento suoi, spediti
dal con- sole a morire, e come
infine le altre
• milizie combattute^ dai
-consoli ne ifurono
ridotte a fiìggjre, Chiedea
per« tanto che non
sapessero grado , se
non a luì dèlia vittoria dicendo
in' ultimo : noi veniamo
sMve le per- sone e le arme ,
nè pattiamo coià
ninna grande o picciola
delle involate ài
'nemico. Il' popolo
-alf udirli', impietosì, lagrìmò
, vedendo la età ,
considerando la fortezza de’
valentuomini , e crucciandosi , • e smabiandó so chi
voluto ne aveva
privare la patria.'
Sorkène, come era l’intento
di Siccio , l’odio
di tutti contro
de’ con* soli. Il Senato
srésso'non soffrì ciò
di buon animo,
nè decretò per essi
il trionfo' o altro
pe’ fausti cornetti- menti. H popolo
poi veduto if
tempo della scelta
dei magistrati , nominò 'Siedo tribuno
; conferendogli la di- gnità della • qpale
erà' 1’ arbitro.
E tali furono le
cose più rilevanti operate
in qòeiranno. '• 1
XLVllI. Spurio Tarpeo , ed
A11I9 (i^ Térmipio
pr^ sero il consolato
per l’ anno
seguente (0). Questi
carezzarono di continuo il
popolo con più
medi , ccène col previo
decreto del Senato
su’ magistrati (3); imperocché “ * » * (i) Si
coniulti SigoDÌo su
Livio. Di là
si raccoglie cìie
forse dea Irggtt ti' jfterh. \ ' (a)
Anna di 'Roma 3ao. secondo Catone.. ^o»
secoado Varrone, e av'. Cristo.
, . ' (3) Cioi che
si potessero multare
i magistrati arrogami o clie trascendevano i limili^dei
loro poteri. Vedi.g
5o^i rjueito libro. Nondimeno vi è
chi crede che
vi si parli
del senatusconialto fallo emanare
dai consoli perchè
li tribuni potessctp
ìar approvare dal DlOillGT,
amo Iti. • ' » ' ' nsoli ultiini.
Intanto prima che*
d* di Sén Venisse 'di' quella causa.^
facendo l’uno e^l’ altro
d^li accusati calde brighe
e raccomandaziodi, essi, come
già consoli , assai speravano su
del $éQato ; • e teneano
per leggero., il pericolo , promettendo i seniori
di quel ceto ed
i giovani che ilon
lascerebbero far- tal
giudizio. Ma ì tribuni prevependo
tutto da lontabo,
e non valutando preghiere; non
minacce, non pericoli
; a{q>ena giunsene il tèmpo,' convocarono .il
popolo. Eransi già
riversati da’ campi in
città poveri e lavoranti
in gran numero
: or .-questi aggiunti
alla moltitudine interna
'empierono il Foro, e le
vie che vi
conduconp. popolo il progetto
sa la formasione
del.le leggi , eguali
per tatti ; 'argomeaio
allora di controTeraie , -come apparisce
dalle, coa'e pre- cedenti/'’ -• (r) Forae
Icilio tribuno dell’
anno precedente. .- ».r-XLIX.,
laQ^oUo.per il primo
il gÌRdluo' tU' Romi« lio ,
.Sieda fattoti (^vaati
.accurà le> violenze
di lui nel •DO
consolato contro de’
tribuni , e le insidie contro
di aè e della sua
coorte nel suo
capitanato. E endo egli
voluto esimere' da
quella spe- dizione. Matxo .Jciiio
, coetaneo ed qmico'SUOf
figlio di' uri tale
dellfi coorte^, perchè
qifesti non ujttme.
ài un tempo col
^adre -à morire
^ e che avendo ottenuto da
Aulo V srginio , zio suo , e luogotenente afiqrq delle
nfilizie di recarsi' ai
consoli^ chiederne quésta grazia
; i coruiyli ebbero cuore
di .coatraddirh , ed egli, fa
ridotto al conforto
nùsero delle lagrime
^ non restar^do à (iti che
dèplorare- la calamità, delf
amico : che t antico
pel quale pregqvaf
udito ciò, se_n
venni, 9 chiesto di parlate
protestò choj avea
pur grandi gli obblighi
agi inteAiessori suoi,
rna che. mai grad^ebbe anche ottenutala
una concessione che
levavagli d' esser pietoso inverso
del sangue suo :
nè nidi
si Hmove/ubbe dal padre
quanto più si
avyiava a. morte, certa
come tutti sapeane : anzi
ne andrebbe con
lui pey difen- derlo fin dove
potrebbe , e correrne, la
sorte medesi- ma, Or costui
ridicendo tali cose , niun
fu " che nou commiscrasse la
sorte di tali
uomini : ma quando
poi chiamati , comparvero
per attestarla , (cilio
' padre , e figlio, e oarrarono
cioochè era. di loro;
non poterono i più del
popolo contenere le
lagrime. 'Perorò, se ne difese Ròmilk>,'non ossequioso,
non pi^érole-ai tem« pi
; ma fastoso , e, grande
ne’ concetti ' suoi , coÉàe non si
avesse a dar cónto
del consolato. ■ Adunque
l’ira ne crebbe* de’ cittadini , e
rendati arbhri di
sentenziame , deliberarono ripercoterlo,' e condannarlo co’voti
di' tutte le tribù
; . talché la' condanna
fosse una ' multa
di assi dieci mila.
Siccio, 'sembrami, risolvè
ciò non senza
nna .provi denza : ma
perchè scadesse il
favór de' patrizj
su costui, nè facessero
broglio nel darsene
ih voto, consi- derando che la
emenda era * in
danari e non ‘altro
; e perchè li plebei
fossero più pronti
a .pronunziarne la pena, non
dovendo spogliare l’àom
consolare di patria, nò
di yita. Condannato
Romilio fu dopo
pochi giorni condannato eziandio
Yeturio.' Anche la
multa sua- fa pecuniarìa, ma
suddupla di quella
del consolato. Adunque
non \ più governavano
misteriosa- mente, ma Con intento
manifesto ai vantaggi
del popolo. E priipa stabilirono
ne’comizj benturiati per
legge: che tutti- i magistrati
potessero punire quelli
i quedi ecce* devono o disordinavano i loro
poteri , perchè per
ad- dietro non altri che i
consoli pòteano far
questo. Per (i) Qoi
di'cinqoa mila aui.
Ora ciò sembra
ragionevòle; per- chè
esseodo Romilio oppositore
più che Velario
de’ tribooi , dovea sentirne danno
maggiore. Nondimeno Livio
afTerma che Romilio
fa condannalo per dieci
mila assi , e Velario per
(piiadjci mila ; il
che ha -fallo, interpreiare la
voce a/oUssi qui dire
minatamente , a voi , che
vef. sapete , quanto ho
sofferto dal pòpolo
non per mie
private ingiusti- zie i ma per
la henevolenza mia
verso di voi;
tuttavia ciò ricordo per
neceisità, affinchè vediate
che io parlo per
lo migliore ,,
non per adulare
il popoìp , che
mi è eontrarioi Nè alcuno
si meravigli , -je- io che fui d altro
asviso più volte , e quando fui
^console e prima, ora
mutato mi sia
sttbitamenté ;J nè
vogliate concepire che non
bene consigliassi allora , , o non bene mi
ritratti ah presente.
Io finché vidi , o padri , , superiore
lo .stato de
nobili, lo favorii,
come doveasi, non. curando quello
dei popolo. Ma
poiché fatto savio da’
mali miei, vidi. a gran
costo che il
poter vostrq è minore
dei vostri voleri
; e che piegaridovi alta
necessild più volle
avete lasdèUo manometter
dal popolo quelli che
vi sostetievimA , rdiora
più ,non tenni
gh antichi pensieri. E ben
vorrei che rion
fossero a me, nè al
collega mio succedute
le cose per
le tjtiali voi tutti
su noi'vi condolete.
Ma poiché finite
sono, tali nostre vieef^e,
e possiamo solo curar'
t avvenire, prov- vedendo 'che ailri
non soffran Iq
stesso , v'i esorto
ad uno. xid uno I
é tutti insieme che órdinialé
m bene, almeno il presente:
àmpcrocchò'JèUcissimamente go-
vernasi una repubBlica , la
qual si èontempera
alle sue cose; quegli
è il consiglierò migliòre
che pòrge il parer
suo per cònio
di utile pubblico^ -non di
nirnid- xte private o furóri;
e benissimo lei. porgerà
su'tempi di poi chi
pigha esempio delle
cose JWhtre dalle
pas- sale. Noi., o padri, quante
sfolte si ■ disputò , si 'don- lése
tra'l Senato e tra ’l
popolò ; tante ne
àvemmo per alcun modo
la- peggio con morti,
«v» esilj , con sfingi' (T Uomini
insigni. Or quale
sciagura maggiore per una. repubblica che
le si tolgano
i cittadini mi- gliori , ò
senza Una cauia
? Pertanto io vi
esorto che questi ve ù
risparmiate; nè gettiate
i consoli presenti
a''màmfesti pericoli , abbandonaisdoli poi
tra la tem- pesta, al pentimento.
Deh! che non
gettiate ai ‘peri- coli niim altro
qualunque, e sia pur
egli piccolissimo per la
repubblica. La principale
fierò delle cose
che vi' raccomando , è che mandiate
deputati ,'qiusli nelle grecite
città d" Italia , e quali in
Alene ; perchè vi cerchìn
le leg'gi migliori
, e più confacevoli a’ nostri costumi, e Sce
le fìpot'i.iio: che
Ibrnnti questi, i con- soli propongano al
Senato , quali debbansi
'scegliere per legitlatori con
Jfual potere , , per
quanto tempo , e cosp
altrettali come - egli
le crederà spedienti
: fi- nalmente che lasciate le
discordie col popolo
, e di cofinetlervi
disgrafia a disgrazia , principalmente per una
legislazione , la quale
ha seoo , se tiòn
altro » uM apparqto 'almeno
di maestà. . - LU.
Seooodarooo i dpe consoli
ài parer di
Rqntiliò con più ragioni
premediut^ e , molti altri
xonsiglieri lo secoodaronof; tanto
cbè la plorftità'vi
^ deprsj^. E già già se-
ne slendeva ài
decreto, quando Slocio'.il^
trtbimot quegli cbe zyevz
accusalo iLomilio sorse,
e fattone ekn gio copioso , ne
laudò la mutazione
, e cbe non ayesse anteposto Je
nimicizie sue all’
util comune ,-,ma
^tto ingennào^entè 9ÌÒ. eb’era
il bene. Peritai
meritp^ sog- giunse , IO gir
rendo qvesC ossequio , 0 ^ptesta ricono^ saenza : io
U> assolvo dalla
multa impostagli' nel giu- dizià
, e dà pra in
poi, me ^ riconcilio
: perocché ci ha sopra^atlo
ftel .bpne. Egli
disse } e già altri tribuni presenti acconsenlironò. I^on
sostenne RomiUo- dà, pren- derne quel conlnccambio
; ma lodati i .tribuni
protestò cbe pagherebbe la
multa, essere questa
sacra ai numi: e non
fare ■ cosa né
giusta nè pia,
chi spoglia h numi di
quanto si dee
laro per legge
: e. coti £e$;9.
Steso il decreto dal
Senato , 'e confermato dal
popolo , ' furono eletti a prendere
le leggi da*
Greci Spurio Posiiunio
, Setvio. Sulpicio , ed Aulo
MalHò (i). Furono,
questi a ' . , " ^ „
(I) In
Lirio si legge
PuM- Sulpicio .in
laog'o di Servio
Salpido come scrivesi '.in
Dionigi. Servio Sulpicio
fu eOosdle l'anno
193, ma Publio non
si trova cbe
'mai lo fosso.
Tanto Liiio quanto
Dionigi numeraao Aulo Manlio
Ua i depùiati, cd.
Aulo Maoliq seooado pubbliche spese
forn^ di triremi- e > di ogni
arredo ; quanto si
convenisse ialia maestà
' dell' impéno ; e cosi l’anno
-spirò. '' ‘ ' LUI.
Nella olimpiade ottantesima
seconda, quando Lieo Tessalo'
di Larissa vinse
allo stadio , e Cherofiino era l’arconte
di Atene, compiutosi
1’ anno ,trecent«imo dalla fondasionb
di Roma, cretti
consoli ' Publio Orazio, e Sesto Qaintilip
j[i) , proruppe nella ^città up
morbo coptagioso , il inaggioi%
di quanti ue
erano ricordatL Vi 'perirono
quasi tutti i sèrvi , e circa .Una
metà di cittadini. Non.
piò i medici avean
cuore d( curare
gl’ in- iermi , non i domestici , non gli
amici di porgere
loro le cose necessarie
; perocché volendo
'assistere gU -altri còl
tatto e col commercio
ne coutr^evan i malu
Donde è che piò famiglie
si^ desolarono per, deficiènza di
assi- stenti. Non era la
minima delle sciagure*
quella so la esportazion de- cadaveri,
^ certo era causa'.cliè
il morbo non venisse
meno subitamente. Su
le prime per
la ve- recondia , e la copia
de’ funebri apparecchi
bruciavano o seppellivano i
-morti : ma poi
curando poco la
vere- condia , o non avendo ciocché
bisognava , ne gettavano
molti nelle chiaviche , e più ancora
nella corrente del fiume.
nd’ è che spinti
ai scogli e alle
arene delle rive , songeane danno
gravissimo ; perchè spiccavasene Oiooipi fu
contotq r aono s8o i
laddove io Livio
leguaai .ia quel- l’anno per coufole
G. Manlio. S;
dunque ì deputali erano,
còm'a veri$imile, tuui uomini
co^olari , il tèsto- di
Dionigi in questi -lue- gbi trovasi
più eastigato che
quello di LCvio.
t .-(t) Aono di
Roma 3oi secondo
Catone ,, 3o3. secondo
Varrone, e 45» av. Crisio.
• ■ • ’ Digilized by Google f ..
"‘uBao x; ' 297 un -odor fetidissimo,
il quf^e col
corso dé’ reali causava subite mutezioni
ai corpi anche
saqi. Nè l’acqua
portatq dal dame era
più buona da
beveme si per
1’ odor tri» sto,
ri per le ree digestioni
a designarvi i consoli, e designatili ', propoiTebbero' io* sieme
con questi ai
padri la scelta
de’ legislatori. ^ Ao- cordativisi i tribuni , essi intimarono
-i- comizj prima assai
deir usato , e destinaieno consoli
Appio Clandio , 0 Tito 'Genuzio. Dopo
questo .omettendo , quasi
già fòsser di altri,
.tutte -li cure {fùbliliche,
più non datano ascolto ai
tribuni ', e solo
miravano a sottrarsi di-
briga nel resto delia
loro raagistratnra. Occorse
intanto cbo Mencaio l’ iroò
de’ consoli- s’
ìnfernuMe di juna'
lunga malattia , e vi fu chi
disSe che il
languore sopravvenu- togli
per -l’ affanno e per
1’ abbattimento, la
rendeva in* sanabile. E'
Séstio sol titolo
che egli non
"potea’ solo per .
. 1 , a()9 aè fiir aiedle,' respingeva 4e
istanzt de’ tribuni,^ e voleva che
si vbigessero a miO^i
niagislrati. E questi non
avendo altoo lYiodó, furono
astretti in privato,
e nelle adunanze pufablicbe dirigersi
ad Appio , e suo collega , quantun> qùe non
avessero ancora preso
il coniando. Or
gli ri- dussero alQue questi
uomini, empiendoli' di
grande spe> ranza di
onori e, di
potere , se prendessero a*” cuore
gli interessi del'popdfo. Imperocché -Appio iu
invaso dal- 1’ ambizione
di avere una
qualche nuova magistratura , di fondare
leggi di cònCordia
e di pace", e di
far che tulli estimassero
'che la patria
sola- comandava^«u‘ citu* dini.
Ornato però di
una' grande magistratura non
vi à contenne; ma
inebbriàtone da’ poteri sublimi
,^^tr^orse ai furori di
perpetuarsela , e per poco
non giuose alla tirannide ; cqme
spbirò ne’ suoi tempi.
- LV.‘ Allora dunque
cosi pensaodota con
cuore -buono, '6no a {lersuademe
il.* collega egl’ invitato più' volte
dai tribupi alle adunanae
, vi 'si (^dusSe
, e 'tenpevi molti ed umani
ragionamenti. I quali rigiravansi . ip t^eslo che
piaceva a hd come
al collega suo',
prÌTtcipalmeiUe che si destinassér
le leggi, e si
chetassero . le ■ discara die civili
su diritti ; e diceano
ciò ' palesissimàmeute ; come
pure che ''essi
', perchè non
entrati al comando
, non aveano 'facoltà
di nominare i cosUtutori' delle leggp ‘ che noH
si opporrebbero per '
mòdo 'alcuno a Menenio’
console e suo ^collega
se dava esecuzione
al decreto del- Senato, anzi’ che
do - coadj'uverebbero e ringràzierebbyo ; che'
se Menenio e il
compiano re- ylica e protesta- ( Soggiungevano) , che trovandoci
noi designati per consoli
f Tton ^uo ' nominare
altre' magislrature lé quali
prendano podestà pari' alla
consola- re ; noi dal canto,
nostro non saremo
V ostacolo della operazione : perchè
sporttanoi cederemo la
nostra so- prastanza, se cosi •
piace in
Senato, ai nuovi
che sce- glieransi in . ^ogo
de' consoli. Elocomiava
it popolo' la buona
volonlà di tali
.uomini ; e spiolMÌ, tutti
ia /olla nella curht , Sesto
( non poiendoviai tcovare
Menenjo per la iufern^ità
) costretto a convocare egli
solo il Se- nato, propose la
deliberazione su le.
leggi. Ben si
disputò qninci e quindi copiosaiaeute da. chi
lodava l’essere coiuanihto dalle
leggi , e da chi chiedeva
che si rite- nessero le* costumanze
paterne: ma prevale
il , parere de’ consoli
designati propostovi da
Appio Claudio , in- terrogatone per il
pritpo : vuol dire
cAe si icegliessero dieci i più
cospicui tra padri
: che forrtandastero su tutta
la repubblica per
un anno dal
giorno deità ele- zione'col potere' che 'ci aveatip
i consoli', e primari re : e che-.fiotànto che
governavanp i decemviri .ces- sasse ogni altra .màgislralura: che
qqesti proponessero le leggi
più utili alla
ivpubblica , scegliendone le mi- gliori da
quelle riportate pe'
deputali dalla Grecia
, e dalle usante. della patria;
che le leggi
scritte da de- cemviri, approvale • che
fissero dal Senato
e ratificate dal popolo ,,
valessero per tutto
f avvenire; e che i magistrati
che si creerebbero
a norma di queste
leg- gi , discutesteror a rtórma appunto
di esso i,
conti atti d'e' privali, e pròvyedessero al
pubblico. - .,LYL. Preso questo
decreto ne anderonò
i tribuni al/ adunanza, e
letto velo; assai
vi encomiarono i padri, ed
Appio che lo
aveva proposto. Giunto
poscia il tempo :^
. ‘ 3oi de’ comizj , i
iribun! convocatovi il
popolo , fecero ve« Dirvi i censoU/ designiti perchè
g[li osservà^ro le
pro- messe: e questi
presentatisi ; deposero il
consolato. Non finiva il
popolo di encomiarli
e lodarli: fattosi quindi a dare
il voto pe’
legislatori scelse a tal grado
-ipiestl due per i 'primi.
Imperocché, ne’ comizj
per centurie furono eletti
legislatori Appio (gaudio,
e>Tito Genuzio^ li due' che
doveano èsser consoli
l’anno seguente :* Pu«
blio 'Sestiò., «insqle ^ dell’ anno corrente,
li tre Publio Postnmió , Cervio
Sulpicio , ed -Aulo
Mallio -, . r qusfli aveano riportate
le leggi da’
Greci; Romilio il
console dell’ anno antecedente
(i) il quale
condannato peo le accuse^
di' Sfócio dal
popolo , fu poi sentito
il primo a dir
senlèDEe fautrici ^ cemVirato • f
LVtll- Dettesi quinci
0 quindi più cose»' vinse' final- tnente.il partito
di chi consigliava
che sì tenesse
ancorsi il ■ decemvirato su
-là repubblica; peroccbè' compilata in picciolo
,t$mpo la legislazione
non pareva La
.tutto ulti- osata., e -pareva
ancora ;che bisognasse
un magistrato assoluto per
.obbligare , volessero 0 no , tutti , a quanta ne èpa
già -stata decretata. Ma
ciò-,cbe gl’. indusse più che
tutto, a preeleggere i dieci. fu, rinlenlo di
spegnere- il tribunato ,
ciocché bramavano sommanaenie.
''Tali fa- tono i risaltati
delle - pùbbliche « cousuUaziom
: ma. in privato i primi
del Senato disegnavano
procurare per sè quel
magistrato Sui timore
che intrqduceodovisi uo- mini turbolenti nen
cagionassero grandi sciagure.
Il po* polo ricevè
con diletto , e ratificò Con
pieno trasporto , dandone
-il voto , le
sentenze -dej Senato. . I dieci pre- fissero il tempo
de’.comiàj-, e li più
provetti e più ri- spettabili de’ patrizi
ambirono quel' magistrato,
b* fptì molto ebeomiato
da tutti JVppio
, il pruno ^allora
del decemvirato , * ed il
popoip vo)ea .couifermarvelo ,-
-come se niou altro
meglip di lui -lo
remerebbe. Egli- fingea su
le prime di
escusarsene e 'cbiodeva ebe
Ip esimessero da
nn incarico , pieno
di travagli e d*
invidia : ma poi Btimolandovelo tutti;
fecesi a chiederlo nottamenle
; anzi dolendosi dei
migliori ' de’ competitori , come
di animo non buono
verso lui per
4a ' invidia ; favori
gli amici suoi palesissimamente. Egli
dunque nc’comizj per centurie
fu crealo per la seconda
volta datore di
leggi: e eoa esso'lai furono
creati' Quinto Fabio detto
Vibo^ lado , già 'per 'tre volte
console; ed- irreprensibile 6no a quel
tempo in ogni
bel costume : e ira
gli altri pa-^ trii)
diletti ^uoi; Mai‘co' Cornelio, Marco
Sergio, Lucio MinuCio , Tito
Antonio , e Manio Rabulejo , .uomiut non molto
chiari : de’ plebei
poi Quinto Poetelio , Ce- sbne Duellio
, e Spurio Oppio. Aveaci
Appio assunti por questi
per adulare il
popolo coi dire
che', 1’ equità voleva
, • «he , stabilendosi una
magistratura uòica su tutte
le -còse ; aves^ro
parie in essa
anche i plebei. Applaudito in unte'
queste cose , . e ‘parendone il mi-
gliore dei re , e de’
soprastand annuali ; prese
la magi.i stratura per l’
anno che
seguiva. Or questo
e non altro ' è quanto si
operò degno di
ricordauza nel primo
de- cemvirato presso de’ Romani.
' ^ LtX. Presero nell' anno
^guente -la podestà
suprema i dieci con Appio
alle* idi di maggio.
Allora i mesi legolavausi colla
Iona , e cadeva in quelle'
idi appunto il plenilooio.
Or prima legandosi
tra sagrifizl , arcani alla plebe
, convennero di non
contrariarsi mai fra loro,
'di ratificare tutti
quanto ciascuno giùdicherebbe: di ritenersi
la magistratura ih
vìta\ nè Jasciare
che altri vi sottentrasse
: di aventi' tutti
onore e potere eguali : di
ricorrere di rarii
, e per necessità sola , ai.
. 3o5 i>oti del Senato
e del popòlo , e di
ultimare per lo più
le cose colC
autorità propria. Poi
jrenuto il gio;^o da
pigliare il comando , ( è questo giorno
sacro ai Ro- mani , e guardansi tutti
di ascoltare o vedere
cose non liete ) ^ fatto
prima sagrifìzio agl’ Iddìi
secondo il rito, uscirono ben
tosto i. dieci
su la mattina
con tutti i di- stintivi di nn
regio potere (i).
Come il popolo
vide, che non osservavano
più |e mauiere
popolari e, modeste di preminenza
, e che non avvicendavan
fra loro come prima
i segni del comando
supremo; assai ne
decadde nell’ aspetto e nell’animo.
Temè le scuri
messe tra’ fasci portati da
dodici licori dinanzi
a ciascuno, i quali fa- cean
largo , dando de’
colpi come prima
ai tempo dei re.
Era stator questo
costume abolito ben
tosto. dopo la espulsione dei
ré da Publio
Valerio , uomo popolare , quando
ne succedette al
comando. E paréndo essere stato
autóre di ottima
cosa; tutti i consoli
posteriore fe> cero come
lui, nè più
misero tra’ fasci
le scuri, se non
quando marciavano, all’ armata,
o per altro intento
usci- vano da Roma’. Or
quando portavano guerra
agii esteri, quando visitavano
i sudditi, assuiueans le
scuri ; .perchè r aspetto terribile
di esse- , . come dirette
contro de’ ne- mici e de’ servi , si
rendeva mec grave
pe’ cittadini. LX. Veduto
ciò, che riputavasi
il segnate di
nn re- gno , si temè , come
ho detto , moltissimo , credendosi pòduta la
libertà , e creati dieci per
un solo monarca. Con.
tal modo sbalordirono
i dieci la moltitudine
: e (f) Anòo di
Roma 394 secondo
Catone, 3g6 secondo
Varrous, e 448 ar. CrJslo.
' '1 PlOStGt , Itipu) in. ■
' - . * IO fermi , cbe avrebbero a dominare
per 1’ avvenire
col terrore ; ciascuno fecesi
Un seguilo dì
^oyanl i più le- Dterarj , e opporiuui per
esso. Ben era
da aspettare , o sperare cbe i
più de’
poveri e sciaurati si
dimostrassero fautori della tirannide
; anteponendo l’ utile
proprio al pubblico ; ma
non era da
aspettare , nè da
sperare , e certo egli fu
meravigliosissimo^ che molli
patrizj potendo grandeggiare per
'sestauze e per , sangue
soffrissero di opprimere co’
decemviri la liberi^-
della patria. ' Costoro datisi a tutti
i piaceri , quanti sottopongono 1’
uomo , comandavano superbissitnamente : e legislatori insieme
e giudici , tcncano per
niente il Senato
ed il popolo,
ed uccidevano e spogliavano , conculcando
ogni diritto. E perchè
azioni illegittime e biasimevoli
sembrassero noux indegne, anzi
operale per giiislizia;
nomsi accingevano a farle se
non previo esame,
ed'uu giudizio. Erano gli
accusatori inandaii da* fondatori
stessi delta tirannide, creali i giudici
dal ceto de’ loro
amici; laDlochè solcano questi in
coniraccaràbio sentenziarne per
compiacerli. Molte cause però',
nè di poco
rilievo, le defìnivano
i dieci per sesiessi.
Cosi quelli che
erano per essere
de- fraudali del loro diritto
, non trovando altro
scampo , conducevansi necessariamente a renderseli
amici. Ood’ è che
col volgere del
tempo videsi la
parte corrotta ed inferma
maggiore della innocente.
Imperocché coloro che v'
erano concul^cati da’
decemviri sdegnavano di ri-
manervi , e si ritiravano «nelle
campagne , Bspettandovi il tempo
de comizj , ^quasi
coloro finito 1’
apno fossèro per deporre
il comando , ed eleggete
nuovi ^nagislrali. Appio intanto
£ i colleghi ^crisscA) le.
leggi che rimanevano
in altre due
tavole, e le aulroao
alle prime. In queste
eravt traile altre
lajegge, che non
concodeàsi a^atrizj il matrimonio
co’ plebei: e ciò non
per altro, io t j * ■ , !• OLGENDO
la olimpiade ottantesipia
' terza nella quale Grisoue
Imero vinse allo
stadio mentre Filisco era
1 arconte di Atene
, i Romani annientarono il de-
cemvirato il quale governava
già da tre
anni la repub- blica. Ora, io
tenterò descrivere dalle
origini per qual modo , quali
nomini , con i|uali cause
e pretesti , se- guendo la libertà , si
lanciassero a schiantare una
si- gnoria che ovea già
profonde le radici
; perciocché ne reputo la
cognizione bella e necessaria
principalmente al Glosofo die
contempla , ed all’ uomo
dr stato che amministra , per non
dire a tutti. E certo
.molti non si contentano
^ conoscere dalia storia , solamente come gli
Ateniesi ed i Lacedemoni
vinsero , per esempio', la ^ guerra
col Persiano , aiTrontandosi in
due battaglie na- vali ed
nna campale contro
- un barbaro che
area tre milioni di
nomini , essi che 'aveano
appena cento dieci mila
nomini insieme cogli
alleali; ma vogliono' por
co», noscere dalla storia
i luoghi ove occorsero
, .ed kiten» dere le
cagioni per lè
quali si compiecono
le meravi- gliose ed incredibili
gesta , come apprendere
quali fos- sero i duci delle
armate greche e persiane
, nè essere , per
cosi dire , defraudati , di cosa
niuna fatta ne’
com- battimenti. Imperocché
dilettasi la mente
dell’ nomo por*, tata quasi
per mano dai
racconti alle opere , e come a vederle
dopo ascoltatele; E quando
gli uomini odono le
civili vicende , non
appagansi di udire
la somma ed il
termine degli ’ affari , per esempio.,
come gli. Ateniesi permettessero el^e
gli Spartani demolissero
le mura , conquassassero le
navi di Atene
, ponessero guarnigionè
nella Iqr cittadella
è vi trasmutassero il
governo del po- polo in
quello de’pochi^ senza
nemmeno combattere (.i); ma.
bentosto dimandano quali
erano le angustie
di 'quella città , onde incorse
in tali orrori
è miserie , quali e di chi li
discorsi che ve
1’ acchetarono , e quanto seguila tali
cose. Dilettarsi poi
della contemplazione totale
di quanto ■concerne gli
affari è cQmifuq a tutti ,.
come agli uomini, pubblici
, tra’ quali colloco
àncora i fUosofì , quelli almeno
che pongono la
filosofìa non già
nelle (i) Occorsero tali
fatti oelf''aoao Hltimo
detta goeri'a del
Pelo- poaneso ; conws pu&
vedersi io Senofoute
nel libro secoado
lAasx- nel lib. -i3
di Di odoro , t nel
LitandrQ di Plutarco., I parole , ma
nelf esercizio delle
opere belle. Cd
oltre questo diletto, ne
segue, > no , e riducendd' quanti ner
credevano IntorTerablle il giogo
; a lasciare colle -mogli
e co’ figli lo^
patria , ed alloggiarsi nelle
città vicine, ricevutivi
da’Lallni in forza de*'- parentadi , e dagli
Eroici per essere
stati di fresco creati- cittadini
da' Romani. DI
guisa teaoo traversarne
'le opere ; nè
vi rimasero nemmeno gli
asciiitl al Sentito
I qu^li doveano per
necessità star pronti pe’
decemviri ; ma l più
trasferendosi con quanto aveano
in famiglia; dimoravano,
abbandonate lo case , per
le carrqiagne. Non
dispiaceano gli allontanamenti de’ grandi
personaggi agli amatori
del decemvirato per più
cause, e principalmente, perchè
I più 'giovani di questi erano
divenuti don che
scellerati, molto insoleati, né
poteauo tollerare. 1’
aspetto di qtielll
, innanzi dei quali doveano
arrossirsi della loro
impudenza. III. Derelitta cosi
la città dal
fior degli uomiai
(^) , e cadùlavi ogni libertà
; gli Equi già
vinti da' Romani , cogliendo la
Occasion propizia di
combatterli , di con» (i) Anuo
di Roma 3o5
Mcondo Caioua, ìof
ascondo Vartoae , c av.
Cristo. Digitized by Googie 3i2
delle antichità’ romane traecambiarlt delle
iogiorie sostennlene , e
riveodicarsi quanto perduto ci aveano , apparecchiaronsi all’ armi , e marciarono con
grandi eserciti contro
di lei', malconcia pel
comando de’ pochi
nè idonea a tener
fronte , nè a concordarsi , nè
a' cura fecesi innanzi
e disse che portavasi
a -Roma, la guerra,
da due parti, quinci
dagli Equ^ , e quindi da’
Sabini ; tenendovi un discorso
ariifiziosissimo* , indirilto a
far votare la
leva delle milizie e condurle
imipzntioeDtc in campagna , 3i4 DELLE
Antichità’ romane non peùnetteodo
T «Ifare che » indagiasse.
Or lui cosi dicendo
insorse Lucio Valerio,
soprannominato Polito , uomo
che grande tenessi
|>e' grandi genitori: certamente era stalo
padre di lui
più, importano, conte sarebbe
il buon ordine
della moltitudine, e che la
cosa stessa apparisca
utile a tutti , rimovendo dalla città
la ingiustizia e la
soverchieria che vi do-
mina, e rendendo l’ antica
forma al governo;
in tal caso sbattuti
quelli che ora
inorgogliano , e gettate le armi,
verranno a noi tra
non molto per
saldarne le ingiurie, e trattare
la pace : e noi,
ciocché i savj tutti desiderano
, potrein finir senza
le armi , la guerra con
essi. Or ciò
considerando, poiché sì
grave tra le mura è
la turbolenza ; io
giudico che debbasi per
ora sospendere ogìti
cura di guerra,
e concedere a chi vuole di
proporre mezzi di
concordia , e buon ordine interno.
Noi chiamati da
queste magistrato non abbiamo
potuto già prima
di essere addotti
a questa guerra , consultare su
lo stato^ de’
nostri pub- blici affari, e conoscere
se scóncio alcuno
ci avesse. Ed ora
assai riprensibile sarebbe
chi, lasciata la occasione
, •cercasse di altro
discorrere : e niuno dir può
con sicurezza che
trascurato questo tempo,
come Digitized by Google 3ao
DELLE Antichità’ romane men
congruo, un altro
ne avremo pià
acconcio. Anzi se alcuno
vuol concludere V avvenire
dal passato ; trascorrerà
gran tempo senza
che possiamo qui
riu- nirci per deliberare.
IX.' Io
prego te , Appio
, e voi tutti presidenti
di Honta , voi che dovete
provvedere non al
bene vostro privato , ma a
quello Ai tutti , a non
corucciarvi , se io parlo secondo
la verità , non secondo
il genio vo- stro. Voi
dovete por mente , che
io parlo , non
per malignare, o vilipendere il
vostro magistrtUo; ma per
additare , se pur
vi è , una via
di salvare , e diri- gere la repubblica
, dopo mostratine i /lutti
da’ quali è sbattuta. Quanti
han cara la
patria, debbono forse qui
tutti discorrere dell’
util comune , ma io
princi- palmente. Imperocché
io debbo per
la onorificenza fattami dar
principia ad opinare
: e saria vergogna e
stoltezza grande, se
io che sorgo
il primo non
di- cessi le cose che
prime son da
correggere : Appresso
trovandomi io zio
paterno di Appio
il capo decem- viro,
accade che più
di tutti mi
consolo, o rattristomi
secondo che bene o
non bene
governano la repub- blica. Aggiungi che
ho io ricevuto
da’ maggiori miei la
civil consuetudine di
curare anzi l'
utile -pubblico che il
mio , senza guartlare
a privati pericoli ; nè
io , la tradirò io
questa civil consuetudine , nè profanerò le
gesta di que'
valentuomini. Orjt , che il
governo presente male a .noi
si conviene anzi
che incomoda , direi
quasi tutti ; siane
questo l’ argomento
gravissi- mo , che quanti trattavano
le cose civili
( nè già po- tete voi
soli ignorarlo ) ràiransi
ogni giorno da Ho -
Digilized by Google LIBRO
XI. 3ai ma, lasciando
le paterne case
deserte. Qual de' plebei più rìguardevoli
trasferisce la propria
sede colle mo- gli
e co' figli nelle città
più vicine , e quale nelle campagne più
lontane da Roma :
E molti de' patrizj nemmen essi
in città se
ne vivono, ma
li più si di-
morano per le campagne.
Ma che giova
parlare degli altri j quando
appena in città
se ne stanno
alcuni pochi senatori uniti
a voi per amicizia
o per sangue, e cercan gli
altri la solitudine
più che la
patria? E quando voi
v'aveste il bisogno
di adunche il
Senato, tornarono invitati ad
uno ad uno
dalle campagne que' dessi
che solcano insieme
co' magistrati guardare la
patria, nè mancare
mai da affare
niuno della re- pubblica. Or tdie
pensate voi che
gli uomini ahban- donande la
patria fugano i beni
o li mali ? certo che
i mali. E t essere abbandonata
da plebei , de- relitta da' pevrizii
senza incontri di
guerra , di pesti- lenze , e di altri
disastri mandati dal
deh , , ella è sciagitra
questa non seconda
a niuna per una
città, massimamente per Roma , la
quale abbisogna di molle
milizie , tutte sue ; se
vuoi dominare stabil- mente su' vicini. X.
Folete udir voi
le cagioni che
riducono i po- poli ad abbandonare
i templi e le tombe
degli avi , e lasciar diserti
i poderi e le case
paterne' ^ e cre- dere ogni
altra terra più
necessaria della patria
? Certamente tali cose
non avvengono^ senza
cagioni, ed io sporrovele
queste , non occulterowele. Molte Appio
sono le accuse
e di molti sul
vostro magistrato : vere
o false che siano
, noi cerco per
ora : certo che
vi si fatino.
Ninno , se non
del vostro se- guito j trova il ben suo
nell' orditi presente. I ^andi, figli pur
essi di grandi
, à quali spettavano i sacer- dozj , le magistrature
, e gli altri onori
goduti dai loro padri , fremono di
essere da voi
respinti e tolti dalle dignità
degli antenati. Quei
del celo di
mezzo che cercati la
calma del vivere
, v imputano lo spo- glio ingiusto de
beni loro , lamentano il
disonore che fate alle
lor mogli, la
effrenatezza verso le
loro figliuole nubili, ed
altri oltraggi molti
e gravi: e la parte più.
bassa del popolo , non
più arbitra per
voi de' voti e delle
elezioni, non più
chiamata alle a4u- nanze , nè, partecipe di
alcuna civile uguaglianza , ve ne maledice
appunto per questo
, e tirannico chiama il vostro
governo. XI. Ora come
voi correggerete questi
abusi, come la lingua , incolpati che
ne siete , accheterete
del po- polo ? questo è ciò , che
rimanemi a dire. Facciane il
Senato previamente il
decreto : fate che
il popolo deliberi, se
torni a lui meglio
ripristinare i consoli, i
tribuni e gli altri
magistrali della patria , o conti- nuare r ordin presente
: se tutti i Romani
avran caro il comando
de' pochi , e dinoteran co’
lor voti , che ve
lo abbiate voi
questo comando ; voi
terrete un magistrato legittimo
, non violento. Ma
se vorranno di nuovo
i consoli, di nuovo
gli altri mostrati
; voi sarete decaduti per
legge , nò più
crediate dominare, se ìton
da tiranni su
gli eguali , non
prendendo gli ottimati il
comando , se non
da' cittadini spontanei. E nel far
questo , o u4ppio , tu dei
dar principio , c tu
disciogliere un comando
da te stahilUo , utile un tempo
, ed ora noceyole.
E m’ odi ciocché ne
guada- gni, se mi ti
arrendi, se ne
deponi codesto malve- liuto
comando. Se li
tuoi colleghi a ciò
s’ indurranno'; ciascwi dirà che
buoni fatti su
/’ esempio tuo
vi si indussero t laddove
se questi si
ostinano a tenere un dominio
illegittimo ; sarai tu
benedetto che volesti , altnen solo ,
compiere il giusto
; mentre i contumaci saran con
infamia e danno gravissimo
degracUtti. Che se mai (
lo che
potria ben essere
) fermato v' aveste infra
voi secreti trattali
e parole , pigliandovi i Dei per
mallevadori , fa pur conto
che siasi empietadv osservarli , e vera pietà
vilipenderli , come contrarf
ai cittadini , e alla patria.
Imperocché sogliono i numi esser
presi mallevadori su
gli accordi buoni
e giusti; non su gV
ingiusti e vergognosi. XII. Che
se tu esiti
lasciare il comando
per timor de' nemici , sicché non
ten venga pericolo , nè
sii stretto a dar conto
delle opete tue ;
certo non è ra- gionevole questo timore.
Non è sì picciolo
, non sì sconoscente il
Romano da ricordare
i tuoi sbagli , c scortlarc
i tuoi benefizj : ma
contrapponendo i beni
presenti ai mali
passati giudicherà degni
questi di perdono , c quelli
di lode. Potrai
tu rappresentare al popolo'
le tante belle
tue gesta innanzi
del Decem- virato , ed in
.vista di queste
ottenerne ajuto e sal- vezza , e difenderti in più modi
dalle accuse , come ad esempio , che
non eri tu
che abusavi , ma un
altro senza tua saputa;
che non bastavi
a reprimerlo come tuo pari:
o che eri necessitato
a soffrire per areme altra
cosa più utile.
Ma troppo lungo
sarebbe il di- scorso , se numerare
volessi tutti i modi
delle difese. Coloro che
non han discolpa
niuna giusta , nè plau- sibile , pur confessando
il delitto , e raccomandan- dosi, ammolliscono il
cuor degli offesi , con
allegare il poco giudizio
degli anni , la pravità
de' tompagnì , la vastità
del comando, o la
sorte che travia
ne cal- coli loro tutti
i mortali. Or tu
se deponi il
comando, tu n avrai , lo prometto , amnistia generale
de’ man- camenti , e
riconciliazione col popolo , decorosa in mezzo
de' mali. XIII. Ma
io temo , che il
pericolo siati pretesto non
vero a non lasciare
il comando ] essendo
a mille riuscito di rinunciar
la tirannide , nè
scontrarne al- cun danno da
cittadini. Le cagioni
non dubbie sono un
ambizione vana che
cerca le apparenze
di una gloria vera , una
propensione pe' rei
piaceri , quali il vivere concedegli
de’ tiranni. Ma
se pià che
andar dietro alte immagini , e alle ombre
degli onori , e de’ piaceri
, ne vuoi tu
ciò che è solido;
rendi alla pa- tria la
tua preminenza , ricevi le
dignità dagli eguali tuoi
, acquistati la emulazione
de’ posteri , e lascia loro in
luogo del mortala
tuo corpo , sempiterna
la fama. Questi sono
gli onori fondati
e veri , questi gt
indelebili e cari nè
rincrescevoli mai. Pasci
V animo ti.'o de’ beni della
patria: già non
parrai di aver- glìt.^e
dato la menorna
parte, liberandola da
signo- ria ce'ti dura. Prendi
esempio dagli antenati , consi- dera chs^ niun
d’ essi mise affetto
ad un potere
di- Digitized by Google LiBBO
XI. 3a5 spotico ^ nè
fu lo schiavo
vilissimo de piaceri
del corpo ; eppur furono
onorati in vita ,
e morti sono celebrati da
posteri ; giacché tutti
fan loro testùno- niama , che
furon custodi fidissimi
delC aristocrazia ^ che
Roma fondò , dopo espulsi
i monarchi. Non di- menticare
i detti ^ non i fatti
tuoi gloriosi; perciocché belle pur
furono le prime
tue mosse nella
repubblicUf e pur grandi per
la speranza ^ che
davano della tua virtù.
Deh ! che siano
consentanee ancor le
altre tue opere. Deh !
ritorna a quella indole
tua Jlppio fi- gliuolo : sii nel
genio del governo
un ottimate , non un
tiranno. Fuggi quelli , che
adulando , ti parlano , quelli pe'
quali , se’ lungi
dalle utili istituzioni
, er- rante dal diritto sentiero,
già’ wotr È rzRtstitiLE , CHS AtTSt
SIA DI SSL
HVOrO SXWDUTO BDOIfO
, DA CHI già’ FSSSIXO
lo RStfDk. Xiy. Quante
volte dir ti
volli tali cose
da solo a solo
j per instruirviti dove
le ignoravi , o per ammo- nirtene, dove vi
mancavi! Nè già
venni, per ciò
sola una volta in
tua casa, ma i
servi tuoi ,me ne
riman- darono , e con dire ,
che non
avevi tu ozio
da inti'at- tenerd con un
tuo
congiunto ; ma clu:
avevi a fare cose più
necessarie ; seppur v è cosa
più necessaria della pietà
verso i suoi. Forse,
i tuoi servi , ciò co- noscendo y mi vietarono
di per sé
stessi t entrata , e non per
tuo comando. E ben
io vorrei, che
così fosse. Certamente questo
mi ridusse a parlarti
di ciò. che io
volea nel Senato , non
avendolo mai potuto
da solo a solo. Ma .le buone
, e le utili cose
dovunque, 0 rippùj y son da
dire tra gli
uomini, piuttosto che 'JaG
DELLE Antichità’ romane sempre
tacerle. E che io a
le rendessi gli
ojfizj do- vuti alla nostra
prosapia ; ne attesto
gl' Iddj de'
quali noi dell’ Appio sangue
veneriamo i templi e gli
altari con sagrifiej comuni:
ne attesto i genj
degli antenati, a’ quali
porgiamo del paro
gli onori secondi , e li ringraziamenti , dopo de’
numi : e soprattiMo attesto questa terra,
la qual tiene
nelle sue viscere
il padre, ed il
fratello mio , che
io dedicava a te
la vita e la voce
per sit^erire il
tuo meglio. Pertanto
desideroso di rettificare ,
per quanto io
posso , gli sbagli
tuoi ti prego a non
rimediare male con
male } à non per- dere le
cose tue mentre
aspiri ad altre
pià gratuli ; e finalmente a non
dominare agli eguali
e a maggiori , ed essere dominato
da' pià vili, c più
tristi. Se noti che,
volendoti io ra^nar
di più cose e
più a lungo, non so
ridurmici : perocché se
Dio ti rivuole
a buon senno; sóprawanzano le
cose anzidetle: ma
seti ab- handona al
tuo peggio , sarebbero
indarno , quante io ne
aggiungessi. Eccovi , o
padri coscritti , e capi tutti di
Poma , il mio sentimento
per dar fine
alla guerra , ed ordine alla
repubblica perturbata.' Se altri
tien cose migliori
a ridirne ; vincano pure
te ottime. XV. Cosi disse
Claudio ; assai speranzandosene i pa- «Iri , che i Dieci
deporrebbero il loro
magistrato. Non replicava Appio
nulla in contrario
; quando fattosi in- nanzi Marco Cornelio
altro Decemviro disse
: Non ab- bisognano, o
Claudio, i tuoi consìgli:
su Futile no- stro provvederemo noi
da noi stessi;
perocché tale appunto ò'
la nostra olà,
da non disconoscere
ciò che ne giova
, nè scarsi siamo
di (uaici , età consul- tar nel bisogno.
Pertanto dispensati da
opera intem- pestiva ; non dare o
gran veccJào consigli , ove non se
ne richiedono. Che
se vuoi di
cosa alcuna ammo- nire t o pià propriamente
, inveire su di
Appio ; in- veisci a tua voglia
y ma quando se’
fuor di Senato. Quivi
entro però di ciò
, che ten pare
su la guerra t co’
Sabini , e con gli Equi ,
circa la
quale se’ chiesto del
parer tuo ; e cessa
da vaniloqui fuori
di argo- mento. Sorse
a lai voci Claudio
nuovamente tutto me- sto, e pieno gli
occhi di lagrime,
e disse: Appio o padri , Appio , presenti
voi , non reputa me ,
lo suo zio , degno
nemmeno di risposta.
Egli precludemi , quanto è da
esso , il Senato , come già
la sua casa. Anzi
levami , a dirlo più veramente , dalla città
; perocché non io
potrei rimirarvi di
buon occhio un indegno
degli antentUi , un
emulatore de' tiranni.
Io dunque raccolti i miei , e le
mie cose , vammene
tra i Sabini , per abitarvi la
città di Jiegillo , dond’ è la oiigine
mia , e tenermivi finché questi
trionfano nel sì bel
magistrato , ma quando ( nè
dee molto tarda- re ) fta di
questo decemvirato , ciocché ne
antivedo ; allora tra
voi mi renderò.
Ma ciò basà
su me. Quanto alla
guerra , e sue cose ,
consigliavi o padri , che non diate
sentenza niuna , finché i nuovi
magistrati non si abbiano.
Cosi dicendo , e svegliando grandi
ap> plausi nel Senato
pel maschio e libero
suo spirito; se- dette. E qi)i rizzandosi
in piede Lucio
Quinzio Cin- cinnato , Tito Quinzio
Capitolino , Lucio Lucrezio , e lutti i primari
1 senatori , seguirono il parere
di Claudio. l Digilìzed by Google 3a8
DELLE antichità’ romane XVI.
Comarbatine i coilegbi di
Appio; risolverono di non
più chiamare , a dir la sua mente , niodo
io vista degli anni,
e dell’autorità sua nel
consigliare; ma solo in
vista delia intrinsichezza , e dell’ aderenza
con esso loro. E qui
procedendo in mezzo,
Marco Cornelio fe’ sorgere
Lucio, Cornelio il
fratello suo, uomo
operoso nè infacondo nella
ragione politica , e già compagno
di consolato a Quinto Fabio
Vibulano , mentre Fabio era. •
console per -la terza
volta. Ora costui
sorto disse: Egli r
è mirabile , o padri , che uomini
di tatua età
quanta ne kan quelli
li quali hanno
prima opinato , e li quali cercano
primeggiar nel SeiuUo , portino per gare
politiche, un odio
implacabile ai capi
dello sta- to , quando dovrebbero , quanto è d'uopo
difenderli , animare i
giovani a combattere intrepidi
per la buona causa,
e tener per amici,
non, per nimici
i sosteni- tori del pubblico bene.
Ma mollo pià
mirabile egli è, che
trasferiscano là malvolenza
privata alle atse della
repubblica , e vogliano anzi perir
co’ nemici , che con
tutti gli amici
salvarsi. Eccesso di
furore , e direi accecamento
divino egli è questo;
eppure cosi li capi
si comportano del
nostro Senato. Sdegnati questi che
nel concoirere al
decemvirato, che ora
ac- cusano , furon vinti da
altri che apparvcr
pià idonei , fan loro
eterna, irreconciliabile guerra:
e sì stolida, e sì furiosa
; da ìovesciare da
capo a fondo la pà-
tria, per calunniare presso
voi li Decemviri.
Vedon essi la nostra
regione in preda
a nemici : vedono che ornai
giungono a Roma , giacché breve
è lo spa- zio che ne li separa
; ed in luogo
di esortare , e di Digitized by
Google LIBRO XI. 339 incitare
i giovani a combattere per
la patria , e di soccorrerla essi
stessi con tutta
la diligenza, e l’ or- dorè
, quanto la età
loro ne ammette
; vogliono che ora voi
provvediate ad ordinare
il governo , a creare nuovi magistrati , e far tutto
piuttosto-, che conqui- dere gC inimici
: nè san vedere
che danno sentenze
, anzi che tengono desiderj
impossibili. XVII. E certo ,
fate cosi ragione
: il Senato emani il
decreto de' comizj
: i Decemviri lo riferiscano
al popolo , destinando il
giorno del terzo
mercato dal giorno presente
) perocché -, e come
staà mai valido ciocché si
vota dal popolo
j se non compiasi
a norma delle leggi ? Poi
quando abbiano le
tribà dato il voto
, prendano i nuovi magistrati
la repubblica , e propongano a voi
la guerra perchè
ne discutiate. Se in
tempo sì grande , quanto ve n
ha da
ora ai co- mizj, si
avanzino intanto i nemici,
e vengano fino alle mura;
noi che faremo,
o Claudio? Diremo loro: « atpettate per
Dio , finché ci avrem
fatti nuovi magi* a straM
? Certo Claudio suggerìvaci
a non decretare , a nè riferire
mai cosa al
popolo , nè scriver
le leve , a se
prima non siasi
deciso come vogliamo
su' magi- a strati. Itene
dunque, e quando udirete
creati ì con- a soli , creati i magistrati , e tutto pronto
per le armi a tornate allora
per trattare con
noi della pace ;
giac- B cbè voi senza
essere offesi da
nei d avete i primi a oltraggiato ; e d ricompenserete , secondo
la giusti* a zia , in danaro
i danni delle vostre
incursioni : non a però vi
conteremo le stragi
degli agricoltori , non le a inginrie , e le insolenze
sperimentate da femmine
in* M g«uuc, nè altro
male insanabile ».
Ed essi li
nemici a tal nostro invito
useranno moderazione , e lasciato che la
repubblica crei li
nuovi maestrali, e faccia gli
apparecchi di guerra
; tomeran poi portando
ùi luogo delle armi , suppliche per
la pace ; ed
arren» dendo a voi sè
medesimi. Xyni. O pur stolti
coloro d- quali
van pel pen- siero tali delirj
! e milènsi noi se non ci
corucciamo con quei che li propongono:
anzi sosteniamo di
udirli, quasi consultino su
nemici , non su la
patria e su noi! Che
non leviamo di
mezzo i cianciatori sì
fatti? che non decretiamo
sul punto , che
marcisi a difen- dere il territorio
, il quale ci
si devasta ? che
non armiamo quanti vi
sono idonei de
cittadini ? anzi , che non
portiamo le armi
contro le città
loro ; ma ce ne
stiamo qui a bada,
ed accusando i Decemviri, ideando nuovi
magistrati , e discutendo forme di go-
verno , lasciamo quant' è nelle
nostre campagne, come nella
pace , esposto al
nemico ? Che sì ;
che infine , se
permetteremo che la
guerra giunga alle
mura , corriamo noi
rischio di essere
schiavi , e che ne sia lì
orna stessa distrutta.
Non sono queste
, o padri coscritti, le maniere
di uomini sani,
non le maniere di
una social provvidenza , la quale
antepone al ben pubblico
gli odj privati
; ma le maniere
piuttosto tli una contenzione
intempestiva , di un disamar
sconsi- gliato, di una invidia
sciaurata, la qual
non lascia esser savio
chi ne vieti
preso. Tacciano per
Dio le controversie ; che
tenterò di esporre
ciò che avete
a decretare salutevole per
la patria , ed espediente
per 1 1*01 , come terribile
pe’ nemici. Stabilite
ora la guerra co*
Sabini f e cogli Equi :
arrolate diligentissinù e prontissimi
le milizie da
guidare contro ambedue
: e quando la guerra
abbia avuto buon,
termine , quando siansi in
città ricondotte le
milizie ^ quando sia
già rinata la pace ;
allora volgetevi ad
ordinare il go- verno , allora chiedete
conto dai dieci
delle opera- zipni loro
nel mostrato , allora
createvi nuovi ma- gistrati , fondatevi nuovi
tribunali ; e quando da voi
dipendono queste cariche
onoratene i personaggi che ne
son degni ; avvertendo
, che pud tboppo
non seb» FONO I TEMPI
Alts COSE MA
LE COSE AI
TEMPI. Spiegatosi Cornelio in
questa sentenza vi
aderirono, toltine pochi, anche
gli altri che
dopo lui ragionarono, altri perchè
la stimavano necessaria , come -convcnien' lissima a'
fatti presenti , ed altri
perchè piegavansi e blandivano
i Dieci per timore
delia loro autorità
, la quale avea costernato
non picciofa parte
de’ padri. XIX. 'Alfine
essendosi opinato dalla
più parte, e cora* parendo quelli
che volcano la
guerra superiori di nu-
mero agli altri ; invitaron
tra gli ultimi
a dire Lucio Valerio ,
quello che volea
fin da principio
proporre la sentenza sua , ma
se fu ritardato , come già
scrissi. Or costui sorgendo
tenne questo ragionamento
: Fedele , o padri j C inganno
dei Dieci] Non
permisero questi che a voi
favellassi , com' io volea , nel
principio , ed ora
tra gli ultimi
mel permettono ! quando
pen- dano che io punto
non giovi la
repubblica, sebbene io segua
il partito di
Claudio , perchè ben
pochi vi si appigliarono.
Che se io
mi dichiaro per
altro consigilo , sia
quanto si vuole
bonissimo , ne sarò va- nissimo difensore ove
io contraddica gli
espósti da loro. Annoverar
si possono facilmente
quei che dopo me
sorgeranno per dire :
e quando pure consentano tutti con
me, che può
mai risultarmene , non facendo essi
nemmen picciola parte
rimpetto ai fautori
di Cornelio ? Ma sebbene
io ciò veda ;
pur non
dubito dire il mio
sentimento: a voi si
spetta, quando udito lo
avrete , di volgervi
al meglio. Quanto
al Decem- virato , e le cure
sue del ben
pubblico^ concepite che io
ven dica le
cose tutte, che
il prestantissimo Clau- dio ven
diceva : e che debbesi
far nuovi magistrati prima che
votisi per la
guerra, giacché pur
questo chiedea con purissimo
'fine quel valentuomo.
Tentò Cornelio mostrarvi impossibili
i cos/.ui su^erimenli , pretestando
il gran tempo
che abbisognavi per
le civili r forme , quando la
guerra ne ò sopra.
Egli mise in burla
, cose niente burlevoli , e con ciò
commosse , ed ebbe
molti di voi:
ma io, fofò
vedervi, che non è impossibile , no , - la sentenza
di Claudio ; come niuno
di quanti la
derisero osò dirla
nocevole : e vi mostrerò come
salvisi il territorio ,' e puniscasi chi temerario
danneggialo : come ristabiliscasi intanto
il comando, che era
qui degli ottimati;
e come tutto si compia , cooperandovi i cittadini , senza che
niuno tenti il contrario.
Nè sarà già
questa una mia
sa- viezza ; ma io non vi addurrò
se non gli
esempli di cose operate
da voi; imperocché
qual luogo hanno tnai
gli argomenti dove
la sperienza stessa
ne am- maestra su ciò
che giova ? Fi
ricorda che i popbli
stessi che ora
le man- ti a/w , spedirono
ancora milizie in
un tempo stesso
, già è r mino nono o
decimo^ su le
terre nostre e de^ gli
alleati, sotto i consoli
Cajo Nauzio, e Lucio
A/i* maio F Foi mandando
allora molta florida
gioventà contro i due popoli
; f uno de' consoli ridotto
a trio- cerarsi in luoghi
disastrosi, non potè
far nulla , anzi videsi assediato
nel >suo campo
medesimo , e, sul
ri- schio di esservi preso
per la penuria
de' viveri. Nau- zio
poi contrapposto a'
Sabini, impegnato da
battaglie continue, non potea
nemmeno accorrere verso
i suoi che pericolavano : non
ignoravasi che se
periva V e- sercito contro
degli Equi, non
avrebbe nemmeno po- tuto resistere V altro
contro de’ Sabini , riunendosi insieme i nemici.
E fra tanti pericoli
intorno della città , mentre
nemmen ci avea
nelC interno suo la
concordia , qual rimedio voi
ritrovaste ? Congregativi su la
mezza notte in
Senato ( lo . che giovò
sicura- mente ogni cosa , e
dirizzò la patria
che rovinava ornai miseramente
) , creaste un magistrato
solo , ar- bitro della guerra
e della pace, sospendendo
tutti gli altri ; e prima
che fosse giorno , ebbesi un
ditta- tore neir ottimo Lucio
Quinzio , sebbene si
trovasse allora non in
città, ma in
campagna. Foi ben
sapete le imprese operate
dipoi dal valentuomo , come ap- prestò forze idonee , liberò V armata
che pericolava , e punì
gV inimici, pigliandone
fino il duce
prigioniero. E fatto ciò con
soli quattordici giorni , e riparlato quan^ altro
pur v era di
male nella repubblica , de- pose il comando.
Così niente impedì,
volendolo voi Digilized by
Google 334 DELLE Antichità’
noiviANE che si creasse
il imovo magistrato , solamente in un
giorno ; e così dovete
> credo , imitarne V
esempio , e scegliere , poiché altro
non potete , un dittatore , pri- ma che di
quivi usciate. Se
trapassiam questo tempo , i Dièci non
pià vi aduneranno
per consultazione al- cuna. E perchè sia
il dittatore nominato
legittima- mente eleggete un interré
nel pià idoneo
de cittadini; come solcasi
fare quando i re
mancavano , o li con. soli , nò si
aveano affatto , come
ora non le
avete , legittime autorità. Spirato
che fosse per
questi il tempo del
comarulo ; la le^e a
sé ne
richiamava i poteri. Or
questo o padri, che è
sì fattibile ed
utile, è ciò che vi
eswlo di fare.
La opinion di
Cornelio porta la dissoluzion
manifesta del comando
degli ot- timati ;
imperocché se i Dieci
divengano una volta padroni
delle arme per
tale occasione di
guerra ; temo che.
valercnisene contro di
noi. (^uei che
non voglion deporre i fasci
,- depotranno essi
mai le ar- mi f Considerate ciò :
"'guardatevi da tali
uomini ; provvedete contro
tutti gC inganni
; poiché vai meglio provveder che
pentirsi; cotne é cosa
pià- savia discre- dere gli empj ;
che , credutili , accusarli. XXI. Piacque
il dir di
Valerio ai più
come potè ri- levarsi dalle voci
loro e da quelli
che sorsero dopo
di lui ; perciocché doveano
opinare ancora i giovani , e questi , eccetto pochi , lenean per
bonissitno ,quel con- siglio. Cosi quando
tutti ebbero opinato
, e le delibe- razioni aver dovevano
un termine ; Valerio
chiese che i decemviri proponessero
la ritrattazion dei
pareri , c che di
nnovo s invitassero a dire
tutti i senatori ; c persuase
ciò fàcilmente , volendo
molti di loro
cangiar eli partito. Cornelio
che avea consigliato
che si desse
a decemviri il tornando
deHa guerra , opponeasi poten- tissimamente; dicendo
esser questo un
affare già discus- so , e portato giurìdicamente al
suo fine col
voto di tutti : pertanto
si annoverassero i voti
nè cosa ninna
si rìnovasse. Alternavansi tali
detti ostinatamente a gran voce
da ambe le
parti, essendone scisso
il Senato; pe- rocché tutti quelli
che voleano riformato
il disordiu ci- vile , favorivan Valerio
; ma peroravano per
Cornelio quanti preferivano il
peggio , e- temeano
de’ perìcoli da un
cambiamento. I decemviri presa
occasione di fare a
lor modo
per la turbolenza
del Senato , si
-attennero al parer di
Cornelio. Ed Appio
, quell’ uno di
essi , re- . catosi in mezzo
disse : JVoi v abbiamo
qua convocati o padri perchè
deliberaste su la
guerra cogli Equi e
co’ Sabini , e per questo
abbiam /alto che
interlo- quissero quanti il volevano
^ chiamando voi tutti
dal primo aia ultimo , ciascuno ordinatamente
, al suo tempo. I tre
uomini • Claudio , Cornelio, e
Valerio in fine , ne diedero
tre pareri ; e voi
tutti , quanti altri qui restavate
, li ponderaste : e ciascuno
, udendolo tutti, espose il
partito al qual
si appigliava Tutto fu
a norma delie leggi
: ed essendo ai
pià di voi parato
che Cornelio abbia
presentata la sentenza
mi^ gliore ; dichiariamo che
questa prepondefa ; e scritta Ut pubblicfdamo.
f^alerio e ti' suoi partitoni,
annul- lino se vogliono , ma quando
sian consoli , i giudizj già finiti
: ed invalidino le
sentenze già firmale
da tutti. E' cosi
dicendo , c comandando che
io scriba legesse
3 decreto del Senato
, col quale ordinava»
che i dieci làcesser
la leva delle
milizie , e ammiuistrasser la guerra
; sciolse 1’ adunanza.
■ XXII. Quei della
panie decemvirale ne
andavano dopo ciò superbi
e gonfi , come vincitori , e come riu- sciti con esser
gli arbitri delie
arme , nell’ intento , che non si
abolisse il loro
comando. Per contrario
quelli che aveano voluto
il bene della
repubblica suvansi ti- midi e mesti; come
se non più
ne sarebbero gli
arbitri in maneggio ninno.
Dond’ è che si
divisero con risolu- zioni diverse ; riducendosi
i meno ' generosi per
indcde a concedere tutto ai
vincitori , e consociarvisi ;
laddove i men paventosi teneansi
in placida vita
lontani dalie pubbliche cure ;
e li più
eccelsi di spìrito
faceansi ua seguito proprio,
intenti a difènder sestessi,
e trasmutare il governo. Capi
di queste unioni
erano Lucio Valerio e Marco Orazio
, que’ dessi appunto
che intrepidi, pro- posero i primi al
Senato di ritogliersi
al decemvirato : e questi
custodivano la propria
casa colle armi , e se- stessi con valida
guardia di 'clienti
e .di servi per
non patir violenza , e non
mostrar di temerla
insidiosa o palese. Quelli
che non voleano
in Roma part^giar
coi più forti , nè
brigarvisi in cure
pubbliche , nè giudica- vano
intanto ben fatto
di starvi in
ozio indolente ; ne uscivano
, . parendo loro cosa
non facile di vincere i dieci
colle arme, anzi
impossibile di abbatterne
la grande potenza ; ed
era lor condottiero
1’ insignissimo uomo Ca)o
Claudio, lo zio di Appio
Clandio capo decemviro^ il
quale adempiva le
promesse fatte in
Senato al figlio del
fratello quando stimolavalo
a deporre 3 comando. xr. ,
337 ne T« Io
indusse (1). Lui
seguivano torbe di
amici e clienti; ma,
datovi da esso
il principio, abbandonarono la patria
ancor altri colle
mogli e co’ Ggli , non
già di nascosto ed
in pochi; ma a
moltitudini ed in
pubblico. Altronde i
compagni di Appio
indispettiti del fatto
si misero ad impedirlo,
cbiudendo le porte,
e ritraendone alquanti de’ profughi.
Ma poi venuti
in paura , che
gli impediti si rivolgessero
alla forza , e considerando più rettamente come
era meglio che
uscissero che rimanes- sero, nemici loro,
a conturbarli; spalancarono le
porte, e lasciarono andarne quanti
mai vollero; incolpatili
però come disertori , ne
invasero le case , i poderi , ed
ogni cosa non potata
portar via per
l’esilio, apparentemente a
conto del fisco , ma
in sostanza beneficandone
i loro fautori, quasi comperata
l’avessero. Or tali
imputazioni date a’ primarj
esasperarono più ancora
i patrizj e i plebei contro
ai decemviri. Nondimeno
se qiiesti non aggiungevano novi
errori ai già
detti; parmi che
avreb- bero tenuto ancora lungo
tempo il comando.
Imperoc- ché stavasi ancora in
città la sedizione,
mallevadrice del poter loro , cresciuta da
tanto tempo , e per tante
ca- gioni : le quali facevano
esultare a vicenda gli
uni pei mali degli
altri ; li plebei
perchè vedevano, mancato
il cuor ne’ patrizj
, e nel Senato ogni
arbitrio su la re-
pubblica; e li patrizj, perchè
vedevano il popolo
ridotto in tutto senza
libertà e senza forze
, fin d’ allora che i
dieci gli tolsero
l’autorità de’ tribuni. Ma
perciocché tali decemviri nè
moderali in campo,
nè prudenti ìu
Roma, (1) Vedi S i5
di questo libro.
4 v ptONlGl > ITI’ , la iasistevaDO con
assai durezza centra
l'uno e Tallro par* ti(o,
lo astrinsero infine
a riunirsi, e deporli colle
arme stesse , avute per
la guerra. Tali
poi furono gli
ulllmi delitti pe’ quali
svergognato il popolo
, ne infuriò. XXIII. Dopo
che ebbero stabilito
.in Senato il de»
creio per la
guerra ; descrissero in
fretta le milizie
, e divisele in tre
parti, ne serbarono
due legioni per
guar* dia deir interno
della città. Piesedeva
a queste due Ap* pio
Claudio il capo
decemviro insieme uon^
Spurio Op* pio. Intanto
Quinto Fabio , Quinto
Poeteiio e Manio Rabuleio nè
andarono con tre
legiodi contro de' Sabini: partirono con
altre cinque per
la guerra .contro
degli Equi Marco Cornelio
, Lucio Minucio , Marco
Sergio , Tito Antonio , e
Cesone Duvilio finalmente.
Militarono con essi le
truppe latine , e di
altri alleati , non
meno numerose delle romane.
Ma con tantb
milizie urbane , con tante
ausiliarie , niente riuscì
loro secondo il
dise- gno. Imperocché li nem'tci
spregiandoli come nuove
re* clute , si accamparono
vicinissimi a loro; e ne
invade- vano i viveri che erano
ad èssi portati
, insidiando le strade , e gli
assalivano mentre uscivano
ai pascoli. E se
mai venivano ordinati
alle mani, cavalieri
con cava- lieri, e fanti con
fami; riuscivano da per tutto
vincitori i nemici ;
perocché non pochi
Romani mandavano alla peggio
ogni cosa , indocili
al capitano , come
restii per combattere. Quelli
che erano tra’
Sabini , renduti sav) da mali
minori, deliberarono da
seslessi di abbandonare il campo:
e levandosene circa la
mezza notte ripassarono con una
ritirata , simile ad una fuga,
dal territorio ne- mico nel
proprio; fino a Crustumero,
città nou lontana Digitized by
Google tiBno jfi. 339 da
Roma. Gli altri
che. teneano il
campo nell’ Algido della
regione degli Equi,
ne riceverono ancor
essi non poebe^ percosse.
Ma ostinandosi incontro
a’ pericoli, quasi a
riaversi' dalie perdite , incorsero in
danni lagrimevoli.
Imperocché spintisi i nemici
su loro , cacciarono quelli che
erano in guardia
degli steccati; e salite
le trincee , occuparono
il campo , e vi uccisero
i pochi che resi- stevano , uccidendone anche
più nell’ inseguirli.
Quelli che scamparono colla
fhga, feriti in
gran parte, e quasi tutti
privi di arme,
ripararonsi al Tuscolo.
Del resto tende , giumenti ,
danari , schiavi e tutti gli
altri appa- recchi furono preda
ai nemici. Saputasene
in Roipa la nuova
i nemici del decemvirato
, quelli ancora che ne
occultavano 1 odio, si
dichiararono, esultando su la rea condotta
de’ capitani. E già
grande era Ja
moltitudine presso di Orazio
e di Valerio, capi ,
come fu
detto, de' crocchi aristocratici. XXIV. Appio
e Spurio somministrarono a quelli
che comandavano in campo
arme , danari , grano , ed ogni bisogno,
pigliandone
superbissimamente da’ privati
e dai pubblico: e reclutando dalle
tribù tutti gl’idonei
a com- battere ; gl’'
inviarono loro in
supplemento de’ morti , e delle schiere.
Invigilarono diligentissimi su
Roma , pre- sidiandovi i luoghi più
acconci; talché il
seguito di Va- lerio non
fosse occulto nel
sommoversi. Commisero per vie
sécretissime ai capi
dell’esercito di sterminare
i loro contrari , in occulto se
riguardevoli , ma palesemente se ignobili,
sempre però con
qualche pretesta, perchè
pa- ressero giustamente
levati. Altri mandati
da essi a fo- raggiare , altri a proteggere
i trasporti de’ viveri
; ed altri ad altre
belliche incombenEe lisciti
dagli alloggia- menti , non furono
mai più vedùti
in alcun luogo.
Ma li più ignobili
accusati _ di aver dato
princi'pio alla fuga, o portato secreto
notizie ài nemico , o non mantenuto r ordine, erano
in pubblico trucidati
per ispavento co- mune. Così le
milizie erano in
due modi disfatte
: le fautrici del -decemvirato
pe’ cimenti col
nemico , e pei capitani le
altre che ridesideravano jl
governo degli ottimati. XXV. Appio
co’ suoi commetteva in
città delitti con- simili e non pochi
: la plebe tenne
picciolo conto di alcuni
estinti quantunque fossero
molti di numel-o
: ma la morte barbara , ingiusta di uno de’
plebei più cospi- cui, celeberrimo per
le belle virtù
sue nel combattere, operata nell’ accampamento ov’ erano
i tre capitani, de- cise quanti vi
erano alla ribellione.
Sicciu fu I’
ucciso , quegli che
avea combattuto le
cento v^nti battaglie
, raccogliendone sempre' il premio
de’ prodi , quegli che disobbligato già
per gli anni
dal > guerreggiàre , si
diè spontaneo per 'la
guerra ,con gli
Equi menandovi per r amor
che gli avcano , altri ottocento,
già liberi ancor essi
a norma delle leggi
da’ servigj militari
: quegli che spedito dall’
uno de’ consoli
contro le. trincee
nemiche a rovina come parea
manifesta; pur le
invase, e preparò pienissima la
vittoria pe’ consoli.
Or quest’ uomo ,
cer- cando Appio co’ suoi di
levarsel d’intorno, perchè
avea molto parlato in
città contro i duci
del campo come codardi
e imperiti» io trassero
a discorsi amichevoli, lo invitarono
a deliberare con essi
intorno le cose
del campo, e dire come
fossero da emendare
gli errori de’ capitani
i e Io indussero infine
ad andare in
forma di legato all’
armata di Crustumero.
È tra’ Romani il legalo
onoratissima e santa rappresentanza , con
l’ auto- rità de’ comandanti, e
con la
riverenza e la inviolabilità de’ sacerdoti.
Lo accolsero al
giunger suo con
benevo- lenza i duci , e lo
stimolarono affinchè stesse
e coman- dasse con essi ; anticipandogli de’
doni , e promettendo- gliene ancora.
L’uom d'arme, tutto
ingenuo in seslesso, deluso dai
scellerati, come lui
che non capiva
i presti gj delle parole , e quanto
erano ingannevoli ; suggerì
loro le cose che
utili riputava, e soprattutto
che trasferissero il campo
dal territorio proprio
a quello de’ nemici
; additando i mali che
ivi soffrivano , c rilevando i beni che
da tale passaggio
nascerebbero. XXVI. Fingeano que’duci
udirne con diletto
gli am- mpnimenti : Adunque
che non ti.
fai tu duce,
gli dis- sero , di questo
transito , preeleggendone il
sito op- portuno , tu si
perito do' f ioghi
por le tante
tufi spe- dizioni ? Noi ti
daremo schiera eletta
di uomini , espediti
per armamento leggiero.
Avrai tu cavallo come
alT età tua
si com’iene , ed armatura
degita . dei tuoi pari. Tenne
Siccio l’invito, e chiese
cento uomini scelti. Quegli,
essendo ancor notte,
spediscono lui senza indugio
, c con lui cento
i più baldanzosi de’
loto fau- tori , istrutti , e
mossi ad
ucciderlo con lusinga ahiplis- sima
di ricompense. Or
questi giunti, ornai
ben, lungi dal campo , in
luogo montuoso , angusto, e difficile
di ascenderlo a cavallo , se
non di passo , ordinaronsi , datone
il segno , in
maniera da serrarsi
in folla su
lui. Un tale , sostenitore e servo
di Siccio , valoroso tra le
34 a, arme , indovinando
il cor loro ,
diedene cenho al pa-
drone. Il quale vedutosi
in tanto disagio
di sito da noa
potervi nemmen slanciar
con forza il
cavallo', ne salta
, e postosi coir unico
sostenitore suo in
una balza per non
esservi circondato , aspetta
che ve lo
assalgano. Or tutti ( ed
erano molti ) assalendovelo ; ne
uccide intorno a quindici, feritone
il doppio : e parca , se
lo assaliva» da presso
, che avrebbe , combattendo
, straziato ancor gli altri.
Ma questi, conceputolo
per invincibile, e come non
era dà prenderlo
a corpo a corpo ; non
vennero in tal modo
alle mani: ma
tenendosi lontani da
lui; lo fulminarono con
dardi , sassi , e legni. Ed
altri avan- zandosi di fianco
in &ul motttc,
e riuscendogli a tergo,
rotolavano dall’ alto
macigni stragrandi : talché
per la moltitudine de’
dardi lanciatigli conira
, e per la enor- mità de’ sassi
che cade.mu romorosi
dall’ alto , lo
op- pressero in 'fine: e
questo fu il
termine incontrato da Siccio. XXyiI. Tornaitono
gli uccisori co’
feriti nel campo
, e vi pubblicarono che
una insidia ióiprovvisa
di nenrici avea spento
Siccio , e gli altri , che assalirono
i primi , e che essi he
erano a stento scampati,
ricevutine molle ferite. Pareano
questi dir vero ;
non però
si giaeque occulta la
loro per6dia : ma
sebbene avvenisse 1’
eccidio in luoghi deserti
e senza testiinonj ; i fati
stessi e la giustìzia che
invigila le cose
umane, lo diedero
a co- noscere per segni indubitati -(i). Imperocché
quei del campo riputando
1’ uom forte
degno di pubblica
sepol- (i) A quella icotenza
somiglia quella lauto
vera di Arioslo
can. 6 e tanto poco
tenuta in peotieio
dagli nomini. Digilized by
Google LIBRO • XI. 343 tara . e di onori
distinti rispetto degli
altri, per più
cau- se , e' principalmente pel
carattere suo di
legato, e per* cbè libero
già da’ servigj
militari, eravisi cimentata di nuovo
per util comune;
decisero di unirsi
dal complesso di tre
legioni e di uscjre
cosi per investigarne
il cada- vere , onde riportarselo
con pieno decoro
e sicurezza. Concederono
questo i capitani per
non dare sospetto alcuno delle
insidie : e prese le
arme uscirono intenti all’^opcra bella
e degna. Giunti al
sito e vistovi non selve
, non valli , non luoghi
consueti per le
insidie , ma una
balta tuttar nuda
ed aperta ,.ed
angusta a pas- sarla; sospettaron bentosto
ciocch’era. Avvicinatisi quindi ai
cadaveri % mirato Siccio
e gli altri derelitti,
ma senza essere spqgliati;
si meravigliarono che-i
nemici, vincen- do , non avessero
levate loro non
le vesti , nè
le anni. E specolando ihtoroo
ogni cosa , nè trovando
vcstigia di cavalli o di
uomini se non
le impresse nel
sentiero; tennero per impossibile
che i nemici fossero
su loro* venuti improvvisi , quasi uccelli.,
o uomini discesi dal cielo.
Ma, più che
questi e simili indi^,
il non trovarsi ivi
cadaveri, di avversar)
fu . loro argomento evidentissi- mo , che gli
amici ne erano
stati gii uccisori
e non i nemici. Imperocché
non parea loro
che Siccio , e quel Miscr chi
maV oprando si
confida , Che ngnor star
debba il maleficio
occulto ; Che quando
ogn’ altro taccia
intorno grida V aria e la
terra ittetsa in
che-d tepultq^ . E Dio
fa spesso che 'I
peccato
guida Il peccator, poi cV
alcun di
gli ha indulto- Che" si medesmo
, seni' altrui richiesta JnavOedutamstnle mastifesla. ■^44
nF.LT,E antichità’ ROMANE sosteuitore suo, e
gli altri, che seco
perìroofi, sarebbero morti inulti , specialmente se
venuta si fosse,
quanto si può , (la vicino
alle mani. Rac(:olsero.
ciò ancora dalle ferite
: perocché Siccio , come quel
suo, sostenitore , ne avea
molte per colpi
di sassi o di
strali e di spade
; laddove gli uccisi
da loro avean
colpi di spade
si, non di sassi , o di
strali e di saette.
Adunque .ne sorse
in- dignazione , e claipore , e
lutto. Alfine compianta
la disgrazia ; raccolsero e portarono
il cadavere ai
campo : e là gridarono
altamente contro de’
capuani , esigendo allora
allora secondo la
legge militare la
morte degli uccisori ; o che
sen fidasse almeno
il giudizio ; e già molti
erano pèr ,farvisi
accusatori. Ma conciossiaché
non davano loro udienza,
e nascondeano gli uccisori,
e^ne differivano il giudizio
, con dire che
in Roma darebr bero
a chi la volea
la podestà di
accusarli ; ben vtdesi che
la trama era
de’ (ùpitani. Adunque
portarono (xm * magnifica pompa
Siccio al sepolcro,
alzandogli una pira meravigliosa, e tributandogli secondo
il loro potere
altre primizie che la
legge concede negli
onori estremi dei valentuomini. Alienaronsi
allora tutti dal
decemvirato; e pensarono
come liberarsene. Cosi
l’ esercito presso
Chistumero r Fideue era
nimico a’ suoi
capi per la morte
di Siccio legato. XXVIIl. L'
esercito acc;impato nell’
Algido della re- gione degli Equi ,
e la molutudiiie in
Roma crasi per tali
cagioni esacerbata tutta
con essi. Lucio
Verginio un plebeo, non
secondo a niuuo nella
milizia, starasi capo di
una centuria nelle
cinque legioni, belligeranti
con gli Equi. Avea
costui per avventura
una figlia vaghissima fra ratte
le donzelle romane.
Ella portava il
nome del padre, ed
avealasi pattuita in
isposa Lucio Icilio,
uomo tribunizio, qome 6glio
(i) di quell’ Icilio
che primo fe’ stabilire
, e primo assunse T autorità
di tribuno. Appio Claudio
il capo decemviro
vista la verginella
che leg- geva in una
scuola ( stavansi allora
le scuole pe’
giovi- netti intorno del Foro)
bentosto ne fu
preso dalla. bel- lezza ;
anzi vinto dalla
passione era così
tòlto a sestes-^ so , che
non potea non
passare più volte
intorno della scuola. Or
non potendo torlasi
sposa come già
sacra ad altri , anzi
perchè egli avea
pur moglie , e perchè
non istavagli bene donna
plebea di lignaggio
contro il suo grado
e la legge scrìtta
da lui nelle
dodCci tavole ; su le
prime tentò corrompere
co’ danari la giovinetta.
Egli mandava ad pra
ad ora delle
donne con doni e
pro- messe maggiori' alle nudrici di essa, orfana
già della madre ^ avea
però comandate le
donne che tentavano le
nudrici a non dire
chi fosse l’amante
della fanciulla, ma solo
eh’ egli erg
un tale che
potea , volendo , -bene- ficare e nuocere. Non
potendo però^ guadagnarle
, anzi vrt.duta la donzella
guardata più che
prima , si mise , caldissimo che
ne era d’
amore , a camminare altra
via con meno ancora
di sénno. Fattosi
chiamare Marco Claudio , r uno
de’ suoi clienti , uomo ardito
e pronto ad ogni servigio , gli additò
la Gamma sua :
e prescrit- (t) Forse nipote’,
perchfc dalla islitusione
del tribonato all' anso prescote decorsero
45 aooi. Pertanto
Lucio Icilio di
cui qui ai ra-
giona o era nipote ni*, Icilio
Ruga, o coOTÌen dire
che di molto
ec- cedesse gli anni di
Virginia destinatagli sposa
; seppure non voglia dirsi
che Icilio Ruga
generasse beo tardi
quel figlio. > togli
cioccliè volea che
facesse, e dicesse ; lo
spedi con allato uomini
impudentissimi. Costui recatosi
alla stuoia, vi tolse
la vergine , b volea
recarsela palesemente pel Ford.
Impedito però dai
clamori e dal grande
«oucor- so, di recarsela
dove avea stabilito;
venne al magistrato. Sedessi allora
nel tribunale Appio*'
solo, rendendo ri- sposte e r&gioni a chi
ne chiedeva. Or
volendo colui dire , sòrsene
rumore e sdegno tra*
circostanti , i quali tutti
reclamavano , perché si
aspettasse 6nchè venissero i parenti della
fanciulla ; ed Appio
ordinò che in tal
modo appunto si
facesse. Passato appena
picciolo tem- po; ecco presentarsi 'Publio Numitore
nomo insigne tra i plebei,
zio materno di
lei, con, seguito di
molti amici e parenti; e dopo
non molto ecco
giungere con numero poderoso di
giovani plebei Lucio
Icilio, quegli che
per le promesse dèi
padre aver dovea
la donzella in
isposa. E questi , tutto sospeso
ed ansio nel
respiro , avanzan- dosi al
tribunale , addimandò chi
osato avesse toccare la
giovine' cittadina , g (die mai ne pretendesse. XXIX. Fattosi
intanto silenzio. Marco
Claudio, que- gli appunto che
avessi preso la
donzella, così ragion:^; O j^ppio Claudio
, niente ho io
fatto di temerario
, niente di violento
contro la fanciulla.
' Signore , come io tono
di lei , secondo le
leggi me la
conduco. Or odi comi
ella siasi la
mia. Ho io
una tal serva
pa- terna che ministrami già
da tempo lunghissimo.
Or questa , familiare che
ne era , usava di
andare alla mo"liè di
f^érginio; e la moglie
di Ferginio persuase lei
gravida a concederle , quando
che fosse , il
frutto del suo ventre.
La donna , partoiita
una figlia , ( ed era questa ) serlà le
promesse ; e àiedela a Numito- ria, con
fingere presso noi
che uscita fosse
la di lei prole
già morta. Numitorià
tuttoché madre non
fosse di fanciulli o fanciulle,
la pigliò, la
fé' sua, la
nudrì, senza che io
sapessi nel principio
la vicenda.' Or la
so per indizj
di molti e buoni
testimonj : io ho fatto
t esame di quella
serva , e ricorro alla legge comune
per tutti ha
quale vuole « che
sia la prole
non » di chi la impostura per
sua , ma di chi 1’ ha
gene- » rata ; e che libera
sia se nata
di libera , e serva , se » nata
di serva , de’ padroni
stessi delle madri
u . Su questa legge esigo
di riportarmi la
figlia della mia serva
, pronto a subirne il
giudizio: Che se
alcuno la reclama per
sua, dia certi
mallevadori di riprodurla
in giudizio : ma se
anzi vuole chi^
ora qui sen
tratti la causa io
lo secondo , voglioso c^e si espedisca
anzi che si procrastini , e che io
mi assicuri con
malleva- doii la vergine.
Scelgano qual più
vogliono di questi partiti. XXX. Claudio
cosi disse aggiungendo
vive preghiere di non
essere considerato meno
de’‘suoi competitori per
amici , e torlasi a forza
quando glie la
ripresent'avano per la
sentenza. E perchè 11 giudizio
fosse con buona
forma , sul pretesto
che il padre di
lèi non erasi
presentato ; diè lettere
a cavalieri fedelissimi , e li
spedi nel campo
ad Antonio , cdroan- dante della
legione ov’ era Verglnio,
con ordine che ritenesse
quest’ uomo cautissima
mente , talché udite
le vicende della figlia , da
fui non s’
involasse. Ma Io
prejr vennero , attinenti che
erano alla donzella
, il figlio di Numitorio,
cd il fratello
d’ Icilio , spediti avanti, sul nascere
appena della sommossa.
Giovani pieni di
corag- gio fornirono prima il
vaggio sferzando i cavalli
ed ab* Digilized by
Google 35a DELLE Antichità’
bomane baudonando loro le
redini j e _ narrarono a Vergitiio l’evento. E Verginio,
^cimane ad ^Antonio
la cagione vera , e fintogli
di aver udita
la morte di
un suo pa« rente
di' cui doveasi
fare il trasporto
, e la sepoltura secondo la
legge , ebbe il
congedo. E presso 1'
ora in cbe accendonii
i lumi ; se ne
andò con que’
giovini , ma per altra
via , temendo , come
avvenne , di essere inseguito da
quei del campo
e della città; perocché Antonio, ricevuta
la lettera circa
la prima vigilia,
spedi contr esso una
banda di cavalieri,
mentre un’altra spe* dita
da Roma guardò
per' tutta la
notte la strada
che vi conduceva dal
campo. Ma non
si tosto un
tale ridisse ad Appio
che Yerginio era
l’unto contro la
espetta- zione; egli, uscito
di' senno , ne andò con
gran seguilo al tribunale , e fece che a
lui si
chiamassero i con- giunti
della donzella. Venuti' questi , Claudio ripetè
lo stesso discorso , e dimandò cbe
Appio senza indugio decidesse l’affare;
dicendo esser pronto
chi lo esponeva, e chi lo
attestava , fin la
serva , madre vera della
fan- ciulla. Simulava in tutti
questi atti . che assai
si sdegne- rebbe , se esso
per essere cliente
di lui non
ottenea come prima la
giustizia egualmente che
gli altri ; e di- mandava che ajutasse
chi dicea cose
più vere, non
chi più lamentevoli. XXXIV. Il
padre della donzella
e gli altri patenti escludcano la supposizione del
parto con molti
argo- menti giusti e veri ,
per esempio che
non ebbe cagion plausibile di
farla la sorella
di Numitorio c moglie
di Verginio maritatasi vergine
ad utl giovine
la quale par- torì tra
non molto : appresso
perchè sebbene voluto avesse
iotradere in sua
casa un 6glio
altrui ; v’ avrebbe intruso non
il figlio di,
una donna schiava , ma
quello di una ingenua,
amica o parente sua,
onde ritener fe- delmente e stabilmente ciocché
TÌce'«’eaiée : ed arbitra
in tutto di Scersela
Come volea ,*
scelta s’ avrebbe
la prole non femipea,
ma > vivile} imperocché la
donna che par- torisce, vinta dall' aderenza pe’ 6gli
che partorisce, ama e nudre
ciocché la ‘natura le
porge: laddove, la donna
che imposturasi un
6g)fO sei' cerca del > sesso migliore, non
del più ignobile.
Contro lui poi
che dava .l’ indi- zio,'e .contro i molti
tesu'monj- edibili da Claudio
come degni di fede . allegavano cagioni
tratte dal verisimile
: vuol dire che
Numitoria non avrebbe
operalo imai pale- semente e presenti molti
ingenui tekùmònj tur
fatto che abbisognava di
silenzio , e che -pbtea' fornirsi
col mini- stero di- un
solo ; e c|ò perché
la prole edncatà
non fosse col tempo
ritolta dai padroni
delia madre. Ag- ginngeano
che la dilazione
non picoiola' era
segno evi- dente che il
calunniatore non prolTeriva
niente di vero: perocché colui
che dié l’ indiziò
'della supposlzioue e gli
altri che la
cooteslano -l’avrebbero molto
'iuoansi svelata, non tenuta
Segretissima per quindi^,
anni. Frat- tanto
redarguivano le pròve
degli accusatori, come
non vere 'né credibili,
e chiedeano che si
paragoudssero colle altre loro,
nominando molte doqpe
non ignobili le quali
dicevano aver veduta
Numitoria gravida cOn pienezza
di utero. Olirà
queste ne additavano
altre che in fom
del parentado venute
pel parto o per
la pimr- pera aveano
mirato k prole , ed iuasievano
perché s’ iu- Viomci , tome
III. .1 »i •
Digilized by Google 354
delle antichità.’ romàne terrogassero. Era-
poi di siderando queste
e simili cose, e fra
lóro discorrendole, ne piangevano.
Appjo altronde , come non
cauto, per matura , e
corrotto dalia grandezto
del potere , invanito di sestcsso , e caldo ' di
amore nelle viscere , non
ohe attendere al parlare
dei difensori , e commoversi alle lagrime
della vergine , adiravasi per
la compassione che di -lèi' Sentivano >i
circostanti (Juasi di
compassitme egli fosse più
degno, e patisse mali
più grandi, ridotto
pri* ■gioniero dì quella
bellezza. Da tali
cause infuriato ardi fin
di 'fare' impudenti discorsi
(pe’ quali, coloro che
già ne sospettavano ,'
foron -chiari , 'che sua
era 1- impostura contro la
donzella ) > e compiere infine
la barbara c ti- rannica azione. Àncora parlavano , quando egli
iu- Uqoò sUeniiio ; e . feoesi.
jbtanlò la moilitudine
che era nel Foro ,
^ntenendo lo adegno
si spinge innanzi
per desiderio d’ intendere ciocché
direbbe ; ed esso
volgeo'. dosi qua c là
per numerare col
guardo i crocchi degli amici
co* quali avea p|:ima
occupato il Foro
cosi favellò: O Verginio j o voi
qui presenti con ,
esso f fiqn io sento
ora la prima
voltd un tal
fatto , ma- lo sentii prima
ancora di giutfgere
a questo magistrato. Or udite
; Come ' lo sentàsL
11 ^ padre di
questo Marco Claudio ornai . spiratido la
fitfl y pregavnmi die io
prendessi la tutela
del figlio lascialo
da lui piccélo
; giqcchò essi fin.
dagli antichi loro
son . clienti della ìiostra
famiglifc. Or mentre
io rn era
il tutore di
esso udii della donzella
e .come Numitoria sala
suppone; prendendola dalla sert>à
di Claudio: ed
esaminatala; trovai che appupto
cosi pava •' dettai
c, giudico esser Claudio
pa- drone della serva.
Digitized by Google 356
1 DELLE antichità’ EOJHAME XXXVII. Udito
ciò , quanti ivi erano
fiomlni iniegrì , sostenitori di
que’ che dicevano
il giusto , levarono
le mani al cielo
, con “"un grido
misto d’ indignazione
, e di pianto : per
1’ opposlto i partigiani
de’ Decemviri , mandavano
voci atte ' a confortarli ed
animarli. Irritatasi però l’adubanza,
e riempiuta» di ogni
guisa di afTetti, e discorri ; Appio
intimo silenzio , e disse
: O tutbo- lenti , o inutìii a
tutto nella guerra
e nella pace !• se
non cessale di
sonunover la' patria , e di
contropor- vici ; farete alfin
senno per forza.
Non pensate , jche abbiamo noi
messo un presidio
nel Campidoglio , e nella
fortezza soltanto contro
i nemici di fuori , e che
lascèremb poi fare
quei iT entro
, i quali scon- ciano ih Roma,
ogni cosa. 'Prendete
consiglio migliore ^ thè
non avete o . voi
tutti a quali non
spetta C af- fare ; andatene per
le cose vostre
in buon ora. £
tu Claudio recati ria
pel toro ' la
donzella : non teme- re ; giacche i dodici
miei Colle scuri
ti saran guar- dia. A ul dire
gli altri ululando,
battendosi la froòte, nè
potendo raffrenare le
lagrime, partirono dal
Foro; e Claudio succò via
la donzella, che
stringeva, che baciava il
padre suo , e con voci
affettuosissime lo in- vocava. Fra tanti
mali , Yerginio si mise
in pensiero un’ azione , amara
, addolorevole ad un
padre , ma de- gna di
ud nomo liberò,
-di un Uomo
generoso. Egli intercedette di
salutare ancora una
volta la 6glia , e di parlare a lei
le cose , che volea
da solo a solo
; prima che dal Foro
la involassero. Condiscesone
dal capitano , e ritiratisene alquanto
i satelliti , abbraccia la
figlia che sviene , che abbandonasi
; e cosi la sostiene , richiamandola, baciandola',
rasciugandola dalle lagnile,
che la inondavano. Poi^
trattala seco un
poco , non si tosto
fu presso la officina
di un niacellajo,
rapiscene di su dal
banco la
coltella, ed immersela
nelle viscere della
figlia gridando: Figlia (i
mando Ubera e casta - ai
nostri sotterra: per colpa
del tìrarmo già
ntm potevi tu
viva serbare questi pregi. . SóHevatisi intanto
■ de' clamóri ; tenendo in
pugno il ferro
insanguinato, egli stesso
gron- dante del sangue ,
sebitaato su lui , nell’
uccidere della figlia , corse
furibondo , peó la
città , reclamandovi la libertà
; de* cittadini. Passate
a fona le porte,
àìcese il cavallo , ebe ■ tenessi
per Ini' preparatp
, e rivelò nel campo ,
riaccompagnatovi dà Icilio , e da' Knmitórlo
, i giovanetti ebe ne
*1 cavarono. Teneano
loc' dietro anche altri plebei
non pochi, Jn numero
quasi di ^attro.* cento. j ' ; XXXVIIT. Appio
al caso della
^giovinetta,. levatosi da
sedere, si slanciò
cpme per inseguire
Verginio , dicendo, e facendo
cose non degne
: ma eiroondandolo , e pres-
sandolo gli , amici a non
traviare , si ritirò
, pieno di rabbia su
tutti : quando ornai
-presso della sua
casa udì da taluni
de' suoi fautori , che
Icilio il .suocero
, e Nut raitore lo zio ,
ridottici con altri
- amici , e congiunti intorno
al cadavere, gridavano
contea- Ini an colpe
no*> te, e non note
concitando tutti a rendersene
liberi una volta. Colui
spedì per la
rabbia» che ne'
ebbe, alcuni de’ littori , -con ordine
d’ imprigionare i maledici , e di levare dal
Foro il cadavere;
opera, insana in
v?ro , « sconvenientissima al
tempo. Imperocché mentre
dovea- carezzar la moltitudine
incollerita giusUmente, e-jóedere 358
* DELLE Antichità’ bomane in
principio al tempo
, e poi rdifendersi ,
pregare , be- neficare onde’ riconciliarsela ; egli
'corso Alla* violenza
, ridusse tutti . a disperarsi. Pertanto
non permisero che gl’
inviati levassero la
estinta , o' portassero alcuno
nella carcere : ma gridando , ed
animandosi gli uni
gli altri ; cacciarono
dai Foro coll’impeto,
e oolle percosse i mi'- nistri
della violenza. Talché
Appio, ciò udendo,
fu co- stretto dì recarsi
con molte partigiani
e clienti nel F oro , e comandare 'che
battessero , e sbandissero ,
chi v*
era ,* ne’ capi delle
vie. Orazio e Valerio,
duci come ho
detto degli altri a riprendere
la libeiné , sentito il
disegno dell’ uscir di colpi,
menarono' con sé molti
bravi gio- vani , e si' misero
dinanzi k estinta. E qpando
ebbero più \icini {'compagni
di ‘Appio, prima inveirono,
(jnanto poterono , su loro cOn
-clamori .ed ingiurie
; é quindi , pareggiando ai detti
le opere , ferirono e rovesciaronoquanti osarono
lanciarsi su lOro.
* XXXiX. Appio mal
.sofferendo l’ostacolo impreve- duto , nè trovando
come trattare tali
nomini \ risolvette di correre
Una viaria più
rOvinOk. Impéròccbè porta- tosi al tempio
di Vulcano ; invitavi
a parlamento la ' plebe, quasi' benevola ancora
verso di esso:
e prendevi ad accasare la
inginslizia, t la dnsojenza
di tali uomini, lusingandosi per l’
autorità sua .tribunizia , e per le
vane speranze , ebe la moltitudine
gli concedesse di
precipi- tarli dalTa' rupe.. Afa i
compagni di Valerio
occupata l’altra parte del
Forò, e postovi il
cadavere della ver- gine visibilissimo a .tutti , ''convocarono un*
altra adu- .'nahza; facendovi
vivissime aCcusé di
Appio e de’ suoi. Occorse, com’era
vcrisimile’,
che*’aUÌt'andovene altri 'la
Digilized by Google LIBRO
XI. . 359 riverenza per
^questi ' nomioi ,, altri
la commiserazioae vereo la
dctazella soggiaciuta a vicènde
dure, ,e più,
che dure per la
sv>a bellezza infelice,
ed, altri H. desiderio stesso della
forma .precedente df
governo , vi si
rioni più gente che intorno di
Appio : tanto che
non rima-c seto presso
questo 'se non
pochi , appunto i partigianir
ira'qtuli cc ne^avéa
pur alèoni , che per
molte cagìoivi ■ mal
più si acconcravano
eoi Decemvirato ,, contèntissimi di rivolgersi agli- avversar)
, sé il partito
loro si fortiG- easse. Appio
vedendosi - derelitto ^ -fo
cpstretio i mutar COtasigHo ,'e '
ritnrarsi dèi Fpro^*cioecll&' moitissiUo
gii giovò. Imperocché prèso
a cólpi- 'dalia moltitadioe pa- gata le
avrebbe le* giustissime
pene. Dopò .ciò
Valerio . acquistata preponderanza, quanta 'ne
volle, si sfogò
pe- rorando contro ai
'Decemvirato , e decise in
favor suo perGno i dubbiosi.
Molto . più' poi conjpccia'rono la moU
titudiiie contro ai
Dètèiòviri i parenti della
vergine, recando -al Foro .il
feretro , -e T altro lagubre
apparato, maguiGco quanto potevano
, è facendo ..la traslazione
del cadavere per le
.vie più illustri,
di Roma , onde
fóssevi più rimiralo; imperocché
còrreabu fuori di
casa matrone e donzelle per
piangere la sciagura
e qual d’esse get- tava su
la bava Gori^e
ghirlande*', e qual veli
e. nastri . e fiV;gi pel
capo di .una
vergine, e quale, in
Gne.te anella de’ Vecisi
capelli : iiratlantor molti
uomini •nobilita* vano 'la liinèbre
pómpa con' doni* convenienti,
presi grsì- tnitamente’ o con
pfeézró dalie prossime
olBcIce. Tanto che divulgaiissima era
per' la citrii la
lagrimevole ceri- mònia , éd avea
tulli acceso il
desiderio di -spègnerti la' lirannlde. Ma
qnei chè la
difeudeano f isirntii che 1 ' ; ‘ ".jd ny erano
di arme , davano grande
spavento ; laddove Va^ lerio
W SUOI non volea
finire col sangue
de’ duadim la disputa.
" . Tale era in
Roma la turbolenza.
Intanto Ver- ginio che
avea^ come ho
detto ^ itccisa di
sua mano la figlia
spronando.' a briglia
sciolta il .cavallo i giunse agli alloggiamenti presse
l' Algido su l’
imbruttir della sera ,
tutto lordo -di
sangue , e . colla ooltelitt ,
in pugno
, ap- punto . com’ era fuggito
da Roma. Vedi^tolo , i soldati che stavansi
a guardia innanzr del
campo ^ non sapeano indovinare ciocché
. avessè patito^ e lo
accompagnarono per
intenderne 1* alto.'
e terribile caso. E colui
tuttavia camminava piàngendo, e significando- a quanti
gli erano intorno di
.seguitarlo. Uscivano fin
di mezzo alJf
cena da’ padiglioni , presso i quali
passava , soldati Jn
folla y con faci e
làmpade, pieni di
mestizia e tumulto, e fa* cendogli corona^
lo accompagn#ano. Alfine
giunto in un luogo
spaziose del campo.,'
e salita una eminenza ov’ essere da
tutti veduto, nar^ò.
le disavventure sue, dandone
per testimou) quanti
erano con esso ,
venati da Roma. E quando
infine videne molti
addolorati e pian- genti-;
fecesi allora a supplicarli
e scongiurarli di non permettere che
restassero ,. egli
invendicato, ^ concai-
cataria patria. E lui
coti dicendo, ecco. in
tutti- grande la voglia di. udirlo
e viva 1». istigazione perchè
parlasse. Adunque tamtx più
animoso 'inveì su’ Decemviri ,
mo- strando di quanti, aveano
essi tolte le
sostanze, di quanti flagellato il
corpo, e quanti ne
aveano ridotti senza colpa
niuna a lasciare la
patria ^ e numerando insieme le
ingiurie verso le
matrone , i ratti delle donzelle . nubili, i '.disoBoramenti de’ liberi > garzoncelli, e, le,
tante altre ingiustizie e tirannidi.
E così, disse, ci
calpestano * (Questi , senza
che ne aibiano
il poterti non
dulia legge , non dal Senato
, non dal popolo.
Imperocché spirato è /’ anno
dflla loro magistratura
; e spirato ; doveano in
altre mani> trasmetterla'.' violentissimi però la
ritengono ; spregiando in noi , quasi
in femmine , la
paura grande e'
la codardia. Ognun
• di voi qui ricordi
quanti^ mali ha
da loro sofferti,
o veduto sof- ferirsi dagli
e^i. Che se
alcuni qui blanditi
da essi mai con' piaceri
o favori , non temete il
Decemvirato, ne apprendete che
eguali mali siano
per., venire un giorno
su voi, sappiate
che non vi è
fede pe
tiranni, sitppicUe che non
donano t' potenti
per benevolenza , e sapendo queste
e simili, cose , Uorreggetévene : ed unanimi
tutti Iterate da
tù'onni la patria , quella dove sono i
templi de\ vostri Dii,
dove le tombe
dei vo.stri maggiori, ! quali
voi riverite appresso
gV Iddj , dove li
veóchi genitori che
.dimandano il premio
dei travasi e delle tante
cure per voi ^ dove
le mogli, vostre legittime
^ dove le figlie
nubili, alle quali
deesi non tenue Id
Vigilanza: dove infine \i
vostri figli ma- schi , che aspettano
da voi cose
degne dèlia natura loro^
e de’ progenitóri. Taccia
le vostre case,
i vostri poderi , i vostri ■
danari acquistati con tome fatiche dagli
antenati e >da^ voi :
, delle, quali cose
tutte pià non pofrtle
essere i certi, padroni 'finché
i Dieci qui tiranneggianox ' . XLI.
Già non è da
savj ,. non da valenùtompii
cer» care colla fortezza
le cose altrui
^ nè curare poi
che Digilized by Coogle 36a
DELLE antichità’ romane per
viltà si rovinin.
le proprie far
co» gli Equi ^
co’ Fblsci , co’ Sabini , a ' con tutti
intorbo i vicini guerre diuturne
» indefesse per la
indipendenza e pel principato ,
nè vbter
poi nemmeno prendere
le armi per la^
vostra sicurezza e la
libertà cantra uomini
il- legittimi che fi comandano.
Che nòn ripigliate
lo spi- rito' delia patria
? Che non tornano
- in voi li
sensi degni degli' antenati?
cU quelli che
per V oltra^ìo di una
femmina solà profanata
da un de
•Tarquìnj ed ucàisasi da
sestessa per le^
vergogna , 'tanto rie incol- lerirono e infierirono , e tanto
comune tipqtaron la ingiuria';
che sbandirono di
Roma non il
solo Tqr- quinio,maJ re-:
nè piti soffersero^
die magistrato alciùfó vi
comandasse in vita,
e senza doverne far conto
: di quelli che
ne fecero altisiunto
giuramento fitto con imprecazione
su paetèri' se
noi' compievano ? Of
essi non avran
sopportata la incuria
di un sol giovinastro su di una
libera- donna' soltanto
; e voi vi state Comportando
una tirannide di
tante teste , •ehé’ scorre ad
ogti ingiustizia e libidine
^ è scorrerawi anche pià se
pià tra vói
la tenete ? Non
la- ebbi io sole una.
figlia vaghissima , che
jippìò-- accirigevasi palesemente
a violentare e lordare : le
avete anche molti infra
voi‘'rhogli o ; figlie e figli
avvenenti: Or chi difhn'dele
mai che ' ' alcuno
de' Dièci nón
fàccia loro come /dppio
? Vi raccertano forse
gt Iddf che so
lasciate impunita la
insolenza ' a me fatta,
no/i si avanzi questa
fin su molti
di voi; e che
^ nmor ti~ tannò , giunto
alla mia figlia , ivi
si 'rimanga e si plachi
rispetto degli altri
fanciulli e faiKÌiille? Quanto stolula , quanto atfena
cosa è dire che
mai tali idee si
-effettuerànno ! Illimitate sono
de' tiranni le
pas- sioni, perchè superiori alle
leggi, e al^ timore.
Su dunque fate le
mie vendette , prepardte la
sicurezza vostra, per non
subire egual male , rompete o miseri una
volta la^ cótena:
riguardate ‘con intenti
sguardi la libertà : ~E
per qual altra
occasione mai fremerete pià
che per queéta;
quando ne si
tolgon le figlie
prè- testandooele per ischiave , e quando via
ne si porlan le
spose" co’ littori?
E se'ora che siete
tutti cinti di arme
la trascurate la
occasione e: quando mài \
quando il genia- di
libertà ripiglierete? -, XLU.
Ma iotaato cKe
egli parlava molti
gli promct- teanò, gridando,
la vendetta: e chiamati
a nomr i dnci delle schiere
gl’ invitaronó a por
mano aff impresa
; molli ancora , se
ne avéano riéeTuto
alcun danno , fa- ceansi coraggiosi innanzi,
e lo rivelavano'. 'Udito
ciò li cinque, capi
come ho detto
delle legioni, temendo
che la moltitudine facesse
qualche soròmossa ' Cóntro di
essi corsero- tutti 'al
pretorio e vi consultarono
con gli amici, se
poteanO chetarne il
tumulto cinti dalle
arme de par* '
tigiani. non si
tosto intesero che i
soldati eransi .tri* tirati
'nelle tende , che
caduto e cessato era
il tumulto , senza sapere
intanto che il
piò de’cènturioni aveva
con- giuralo occultissimamente d’
insórgere e liberare la pa-
tria ; destinarono , appena fosse
giorno , imprigionare
Verginió che istigava
la^ moltitudine , e raccolto
l’ eser- citò condurlo ed acc^parlo
tra’ nemici , . e desolarvi H meglio
elei lor lerritorj
; nè più' lasciare
chè ognuno investigasse Curioso
ciocché facevasi in
Roma , ma tutti perocché
, chiamato Vergioio ai
pretorio , i ceatnriooi non
permisero che v’
andasse pel sospetto
che vi peri» colasse: e scoperto
com’era ne’ratpi 'il
proposito di por- tare l’armata tra’ nemici.
Io riprovavano, dicendo:
Me- ramente ci avete prima
comandato benissimo, perchè ora
isperanzili vi seguitiamo
f Duci voi di
'tanta mili- zia , quanta ninna
ntai ne portò
da Roma f e dagli alleati non
sapeste nè vincere
, nè danneggiare i ne- miti.
V oi dimostrandovici odi , imperiti , colf accam- parci male , e col
desolare , quasi asversarj
, le terre nostre , ci rendes^
poveri , e bisognosi delle cose
le quali noi conqOistayamo
col prev/dere in
bailaglia , quando i nostri
capitani \ eran migliori
che voi. Ora il
nordico inalza contro
noi li trofei i il
nemico si. porta le cose
nostre; saccheggiandoci tende ^ schiavi y ottm, danari. . XLUl. Verginio
per la rabbia
, e perché non più temea
que’ capitani .inveiva
più libero conti»
di essi , 'chiamandoli corruttori
e distruttori delia patria,
ed ani- mando i centurioni a tor
le insegne,, e ricondursi
in Roma colle milizie.
Molti non ardivano
ancora movere le insegne , che
sono inviolabili ; né
riputavano cosa onesta e.
sicura abbandonare i loro
capitani ' e ^i co- mandanti ; perocché il
giuramento militare , die i Ro- mani avvalorano più
che tutti,, (à
che il soldato
siegua i suoi comandanù , dovunque
Io guidino : e la
legge concede a questi di.
uccidere , nemmen giudicandoli . gl’ indocili e li
disertori. Verginio, vedendoli
tenuti an- Digitized by
Google ' LIBRO XI. 365 cora
da tal riverenza , mostrò ' loro
che La le^e
stessa avea sciolto quel
giuramento : giacché dea
ehi có- manda gli
eserciti , esser scelto a norma
delle leggi ; e r autorità de’
decemviri era tutt^
contro le leggi, trapassalo t anno
per cui fu
destinata ; far poi
gli ordini di chi
comanda contro le
leggi non è ubbi- dienza, nè pietà,
ma demenza e furore.
Or ciò aden- do , giudicarono udire
il vero : e suscitatisi a vicenda
; e quasi dato lor
cuore’ dagl’ Iddi!; tolser
le insegne, e ne
andarono.' In mezzo
d’ indoli tanto
varie , nè tutte conoscitrici del
meglio, si rimasero,
co’ decemviri, com’è verisimile, centurioni
e soldati', minori però
molto, non eguali di
numero agli altri.
Quelli clie partirono dal
campo , viaggiando tutto
il giorno , giunsero
al far della sera
in città , seuzaqhè
alcuno ve li
annunziasse ; nè poco
la costernarono , credula cbe
giugnesse il ne> mica.
Adunque tutto tri
divenne clamore , moto
, di- sordine ; ' ma non sì a
lungo , da nascerne
òiale : pe- rocché quelli passando
pe’capi strada, vi
gridavano che eran gli
amici, e venivano in
bene della pàtrio:
e con- formarono le Opere ai
detti , non offendendovi alcuno. Recatisi ali' Aventino,' colle il
piò acconcio entro
Roma per accamparvisi, allogaronsi
presso il tempio
di Diana. Nel giorno
seguente fortificato il
campo, e destinati dieci tribuni
miljtàri , de' quali era capo' Marco
Oppio, sul comune , si tennero
in calma. XLIV. Dopo
non molto giunsero
in* sussidio loro con
molta milizia dal
campo di Fidene
i centuribni mi- gliori
delle tre' legioni
, alienatisi da’ comandanti
fin di allora che
fecero trucidare , come
ho detto , Siedo
il legato ; .e
timidi non pertanto
di cominciare i primi
la ribellione in vista
. delle cinque legioni
delK Algido , quasi
fossero amiclie ai
Decemviri. Ora però
saputane la insurrezione; acceuarotjo
di tatto buon
grado il favor della
sorte :■> anche
di queste milizie
eran capi dieci
tri- buni eletti in mezzo
alla marcia , ma
Sesto Manlio ne era
il più ragguardevole. - Congiuatisi
tutti , e deposte le arme, incaricarono
i venti tribuni a poter . dire e fare quanto
dovessi pel comune.
.Elessero di questi
venti come capi consiglieri
i due più rispettabili,. Marco
Op- pio, e Sesto Manlio. E questi
.formata un coùsigUo
dei centurióni maneggiavano tutto
,cpn,. essi. .Non
essendo ancor c^arl al
popolo i (prò disegni , Appio .consape- róle a ses tesso
di essere la
cagione di quella
turbolenza, e de’ìUali che ne
verrebbero, tenòvasi in
casa, non 'ehe ardisse far
pubblici atti. Sbigottì
su le prime
anche Spurio Oppio , costituito
, come lui , su
la città , quasi fossero ben
tosto per assalirlo
nemici, e fossato appunto per
questo venutL Quando
però vide che‘'uon
fàceano innovazioni]
rallentando le paure
^ convocò li Senatori nell.^ curia
, intimatili ad uno
ad ano per le case.
E ' standovi questi ancora
adunati: ecco giungere
i cpman- danii dall’ armata di
Fidane, irritati che
la milizia avesse abbandonato T uno
e.T altro' campo
, -.ed. insistere col Senato
perché ne prendesse
degna vendetta. Ora
do- vendo ciascuno dare il sno voto
su questo. Ludo
Cor- nelio disse , porlqre
il dovere ,che tornussero
i spillali 'ttcl giorno stesso
daW Avenlitto lot' campi,
ed ese- guissero gli ordini
des comandanti. Con
ciò non sa- 'rebhero
tenuti rei di
quanto s' era
fatto , so noti
gli autori sali , della ribellione
; à qvudi imporrebbe la pena' il
duce ^medesimo : ma
se non ubbidwanq
; il Senato delibererebbe su
loro ,, camq
su disertori dei posti , affidati ad
essi da' capitani
, e come su viola- tori
del giuramento ipiUtare.
Lucio .Valerio gli
contrae riava (i).... Ma
nè conviene che
no» facclaosi af&tto' pa- role delle- leggi
romane ehe troviamo
nello dodici tavole, essendo tanto
venerande e più insigni
delia grecai legi- slazione ; nè conviene
che sen facciano
oltre il dovere , prolungando la
storia delle leggi
medesime. -- - XLV.
Tolto il decemvirato
ebbero i primi ne’oomizj cenluriati la
dignità consolare, dal
popolò come ho ‘detto Lucio Valerio
Potilo, -e Marco
Orazio Barbato (2),
uo- mini popolari per indole,
come per educazione
eredi- tari*'. Fidi alla promessa
che avcan fatta
al popolo quando lo
indussero a, deporre
le armi , di
maneggiare sempre il governò
in suo bene ;
stabilirono ne’ coraizj centuriati, mal
grado i palrizj che
vergognavansi di re- clamarvi , oltre le
leggi che non
rileva qdi scrivere , anche quella
coUa quale ordinavasi , che i decreti
faixi dal popolo ne
comizj per tribù
valessero conìé i de- creti emanati ne'
comizj ceniuriati per
ogni classe di cittadini
;■ sotto pena t
in caso 'di convinzione
, per chiunque^ abrogasse o trasgredisse questa
legge, della (t) Qdì
miaca 1’ aliimo SYÌluppo
de* fatti co*
quali fa tolta
la eppreaaione Decemvirale. -Perdita
non ignobile ; traltSadoYiti di uno
de* graudi oambiameati
di stato. . . , *• (a)
Aeuo 44^ avanti
Cristo , dalla fondaiiooe
di Aoma ,3o6
se- condo Catone^ Quest* anuo è
tralasciato nella cronologia
di Varroue e però/ le dne
cronologie differiscono dopo
questo per un
anno solo, non per
due com^ per
I* addietro. ‘ Digilized
by Google 368 DELLE
Antichità’ romane morie e della
confisca de'heni. Questa
risoluzione levò le controversie
tra’ plebei e tra'
patrizj , i quali ricusa- vano di ubbidire
ai d^eti latti
dai primi , e riguar- davano i
decreti emanati ne’comizj
per 'tribù come leggi singolari di 'esse
non 'come universali
di' Roma intera: laddove ciocché
fosse stabilito ne’comizj
per centurie lo riputavano
ordinato a sestessi come a
tutti i cittadini. Fu gié
détto innanzi che*
ne’ comiz) per tribù
li poveri e li plebei
prevaleano su’ patrizj , come
i patrizj/ quan- tunque assai
minori di numero
, prevalevano su’^plebei ne’ comizj
per centurie. » ' ' . • XLVI. Stabilita
da’ consoli questa
legge con altre leggi , fautrici ’anch’
esse , 'come ho
detto , del popolo
; ben tosto i tribuni
credendo vénnto il
tempo di vendi- cami di Appio
e de’ colleghi di' esso, pensarono
d’ in- timar loro il
giudizio >e chiam'arveli
non tutti insieme perchè gli
uni non giovassero
gli altri ; ma
l’ uno dopo l’altro, su
la idea di
convioceryeli più facilmente.
Ora considerandu su chi
prima incominciassero più a
pro- posito , deliberarono mettere in
istato di accusa
Appio , il più esoso
al pqpolo per
le oppressioni , e per le in-
degnità recenti contrò la
vergine. Parea (oro
che assi- curatisi ''di questo , disporrebbono' facilmente
pur degli altri; laddove
se cominoiassero dai
men furti, parea
loro che l’ira de’ cilladtni , calda oe’ primi
gludizj« s’inde- bolirebbe,
come spesso accadde,
per giudicare in
ultimo i rei più segnalati.
Deliberato ciò , sopravvegliarono i rei
,(j) ordinando a Verginìo
di accusare Appio',
senza , * ' t • • |i) Cioè gli
aliti DeceniTiri aùìaebè
non soccorceMcto Appio. LIBRO
XI. 369 nemmeno decidere
colle sorti chi
Io accusasse. Appio dunque
accusato da Yerginio
nell’ adunanza fu citato
al giudizio del popolo
, e chiese tempo per
giustificarvisi. £ siccome
non si ammisero
per v lui mélievadorì
; ■ fu tratto in carcere
per custodii^elo finché
di lui si
giu- dicasse. Ma prima ' chu
giùngesse il di
prescritto pel giudizio mori
nella carcere , per opera
come molfi so- spettano de’ tribuni
: ma secondo che
divulgarono altri, che li
discolpano , egli, appiccò sé
medesimo. Dopo lui fu
tradotio al popolo
Spurio Oppio da
Publio Numi- torio altro
tribuno : ma', dategli,
le difese , vi fu
con- dannata a pienissimi
voti : e portato in
carcere fini nel giorno
stesso la vita.
Gli altri decemviri
pfima di essere necessitati al
giudizio , ■ condannarono
sestessi all’ esilio. 1 questori incorporarono
all’eràrto i beni degli
uccisi e degli esuli.
Fu nommeno citato
Marco Claudio quegli che
si accinse a tor
via come schiava
la donzella da Icilio
lo sposo : ma
preiéstando i comandi di
Appio fu scampato da
morte ^ e 'gettato' in esilio
perpetuo. Gli altri'
ministri ^elle* ingrastizie 'dèi decemviri
non .subi-' irono giudizio
pubblico ma diedesi
a tutti la impunità. Suggerì pari
economìa Marco Duilh'o
il tribuno per essere
ornai turbati i cittadini,
e. timorosi di -essere
fi- nalinente anch’ essi
giudicati. XLyiI. Chetate le
turbolenze interne', raccolto
il Senato, decretatio che
esca immantinente T armata
con* tro , a’ nemici. Ratificato dal
popolo il decreto
del Se- nato, Valerio l’uno
de’ cònsoli , marciò eoa metà delle schiere
contro gli Equi e
li Yolsci i quali
miliuvano ' PtOSIGt , itmo
III. .- 370 DELLE
antichità’ ROMANE insieme. (Consapevole
però thè gli
Equi , imbaldanzili pe’ vantaggi-
precedenti, elevavansi fino a
sprecar gran- demente la milizia
romana , cercò renderli
ancora più temerari e vani
con'^are di sé
vista ingannevole, pra
de’ Romani r -ma
dimostrando r cavalieri un
ardor sommo ottenne una
segnalata vittoria , - nccisivi
molti nemici , imprigionativene
pii^ ancora , e preso'
i loro alloggiamenti
dereKtti. IvÙ trovò •molte
provvigioni da guerra, e tutta
la preda già
tolta, dal terchoi^'dé’'Ro- mani : anzi' detenuti molti
de’ suoi che liberò;
non. es- sendosi alTretlati i
Sabini pel disprezzo
che aveano del nemico
a riporre in sictirb
4anti loro vantaggi.
'Adunque diede a’ soldati
la roba nemica , preelcggeudone ciocché era
da offerire agl’
Iddii 1 ' ma ‘ rendette
te prede a chi n^era
stato spogliato. ‘ XUX.
Fatto ciò ricondusse
1’ eserdto in
Roms ove giunse)-
contemporaneamente anche . Valerio
: ambedue sentivansi grandi per
là vittoria , e'
se ue auguravano luminosi trioufi.
Non però uiccedette
cobi’ essi ne
spe- rayano .imperocché Raccoltosi
il Senato' per
essi 'dtie- efae stavansi
coli’ esercito sul
campo -Marzo , ed esami- natine'le gesta
, non accordò loro
il sagrifizio per 1»
vittoria : essendo oontrarìati
da molti. , e da alcuni
ma- nifestamente , soprattutto
da Cajo Claudio
, zio come scrissi di Appio,
vuol dire del
fondatore dei decemviri, e tolto non
ha guari di
mezzo .da’ tribuni.
Cajo ricor- dava le leggi
colle quali ajrean
essi ‘ diminuita rautorilà del
Senato , e ricordava le altre
maniere da essi
tenute perpetuamente ' nel gorernare
: ricordava ‘ le morti
o le conCfohe'de’beni
dc’decemviri, traditi da
esu ài tribuni 37»
DELLE ANTICPITA’ ROMANE contro
i patti ed i giuramenti
essendosi in mezEO
alle vittime convendta tra’
patrizi e tra’ plebei
la dimenti« canza, e la
impunità su tutto
il passato. Protestava
cbe Appia non era
caduto morto innanzi
al giudizio di sua
mano , ma per
malizia de’ tribuni
: aflìncbè nell’ essere giudicato non
ottenesse nè difese , nè
misericordia : co* me polea
ben ottenerle , se potatalo
in giudizio metteva ÌDuanzi al
guardo la nobiltà
della sua gente,
e le molle beoefìcenze di
essa verso la
repubblica ; se reclamava
i giuramenti e' la buona
^fede- su la quale
gli uomini ri- posano) e rendonsi a far
pace; se veniva, co’ suoi
figli» co’ parenti., jn
àbito di umiliazione
; in somma con
-gli altri modi pe’
quali uo popolo
si disacerba , s’ intene- risce, e perdona. '{fra tali
rimproveri dati loro
da Cajo Claudio , e da altri
presenti , fu coucluso , che si
con- tentassero i' due, di
non pagarne le
pene: del resto
non essere nemmeno in
picciobssima parte d^gui
del trionfo, o ,di concessioni
non dissìmili. L. Valerio
ed il coUega
esclusi ^al trionfo
,' lenen- dosene ofTcsìssimi , e
sdegnandosene ; convocano il po-
polo , e vi accusano vivamente
il Settato. .Peroravano per loro i
tribuni^ e proposero e ne
ottennero dal po- polo il
trionfo: ed essi
..primi di tutti
i Romani pro> dussero tal
cot^uetudine.* Dopo ciò
rinacquero ‘i dissid), e le
incolpazioni tra’ patrizj
f e tra’ plebei. Li
tribuni raccendeano questi ogni
giorno concionandoti. Irriuyali soprattutto il
sospetto cbe li
tribuui cercavano di
cor- roborare con romori incerti , e di amfdìare
con divina- zioni varie, come
se li patriz)
fossero per' )tnnienUre
le leggi stabilite dai
consoli, Valerio e suo
collega: c quel Digitized by
Google LIBRO ’XI. $7 3
lupetto ornai tanto
prevaleva che degenerava
la fede. E tati sona
gli eventi di
qnel consolalo. LI. Nell’ anno
appresso foron consoli
Laro Erminio, e Tito
Verginio (i). Snccederon
loro Marco Geganio..>(a). LH. Nè
rispondondo essi, ma
sdegnandosene; Scatùo fecesi di
nuovo innanzi e disse
: ecco o cittadini che si
concede dai litiganti
medesimi che essi
pretumonb, parte che a lor
non compete f della noslrà
campagna', or voi considerando
ciò decidete ciò
che é giusto e congruo
co' giuramenti. Scattio
cosi diceva : ma i
con- soli ardevano dalia vergogna
in riflettere , che
il giudi* aio prenderebbe
un ' termine . nè giusto
, uè onorato , se’ il
popolo il quale
qiai non aveast
attribuito ' la campagnar disputata, ora,
elettone giudice, se T
attribuisse , con toglierla ai litigami.
Adunque ad iscansare
èiò si ten- nero dai
consoli" e dai capi
del Senato molli
e molti discorsi ; ma ihvauo.
Impetocchè quelli' che
aveano pi- (i) Ando
di Roma 3o7
fecondo Catone,, 3o3
fecondo Varrone , e 445
*v. Ctifio. .-(a) E C.
Giulio secondo che
si ricava dà
Livio. Net consolato di
Erminio e venissero persuasi in
contrario , annullerebbero alcuna delle
rìso- kizioni proprie. LV.' In
vista di .tali
minacce .adunati gli
Ottimati Ji piu anziani
e principali da' consoli
a consiglio privato , ponderavano
ciocché ''fosse da fare.
Cajo Claudio come U men
popdiarc , ed erede
degli antenati in tal genio di
procedere, inculcava ostinatissimo, che
non si ce- dessero al popolo
né i consolati , nè altro
magistrate qualunque; e che senza
riguardo di persona . privata o pubblica
si frenasse colle
armi , se. non l'eodeasi
per le parole, chiunque
tentasse il contrario.
(mpero.cché chiun- que
tentava sommovere le
patrie costumanze o discio- gliere la forma
primitiva del governo
era non cittadino ma
nimico. Per 1’
opposito Tito Quinzio
non voleva che si
reprintessero gli avversari
colla violenza , .né si
venisse alle armi ed
al sangue civile
colla plebe: tanto
più di- ceva che. -noi
abbiamo contrarj i tribuni , che i nostri padri dichiararono
sacri ed inviolabili;' facendo igenj
e gl' fddj mallevadori
dell’ accordo con
imprecatone gra- vissima
delia rovina loro
e' de’ figli , se
da indi in poi
lo avessero mai
violato anche in
parte. LVI. Accosta vansi . a
questo partito . ancor
gli altri chiamati a'
congresso , quando. Claudio
pigliando la pa- rola disse : Non
ignoi*o quaji Jòndamento
pongasi di mali, per
tulli noi,, se^-concediamo che
il popolo fac- ciasi a volare su
questa legge': ma
non avendo cosa pià
farmi, nè come
resistere a voi; che
tanti siete ; ahbattdonomi ' ai vostri
consigli. Ben è giusto
cJte LIBHOXI. . 377 ognun
dica Ciò che
sente deU util
comune: ma poi siegua
ciò che i più
ne conchiudono. Jar,
eome esortasi in c^fan
che aggravano , nè si
vogliono , vi esorterei che non
cedeste nè ora
nè poscia il
consolato a ninno, se non
ai patrtzj , i quali è giusta
è pia cosa che lo
abbiano : ma qustndo
come cd presente
, siete alla n«- cessità
ridotti di far
partecipi anche gli
altri cittadini del grado
e del potere più
grande ; vi dico
che assu^ miate i tribuni
militari in luogo
de' consoli , defineie- ione un
numero { otto -o
sèi forse, chè
tanti credo bastarne ) riel
quale i patrizj e i plebei
si pareggino. Così Jrscendo
nò renderete il
córuolato magistratura di uomini
indegni ed abbietti
•, oè parrete
per voi f ohe hricare
un comando ingiusto , coll escluderne
affatto i plebei. Ed approvando
tatti , senza reòlamt>
niuno un lai voto}
udite soggiunse , .ciocché restami
a dire a voi consoli. Prefisso
il giorno in
cui^ stabiliate quel
previo decreto ^ e ciò che
daf Senato si
giudica , lasciale che parlino su
Ha legge chi
la difende e chi
C accusa. Fi~ mia la
disputa , quando fio t
ora d’
irttendeme i voti, non. vogliate
da me cominciare , non da,
codesto Quirtr zio , nè' da
altro seniore ma
dsU popolafissimo sena- tore Lucio Valerio;
interrogando appresso Orazio
, se punto vuol dire,
Bicercate così le
.loro .sentènze , or- dinale che noi
seniori diciamo. Jq
sporrò liberissirrta- mente il
parer mio 'contrqrio
ai tribuni ,• e
fa questo [ utile della
repubblica. .Questo Tito
Genuzio , se il volete, dia
la proposta su*
tribuni militari. Parrà
que- sto il partilo più
congruo e meno sospetto
se proget- tisi o Marco Genuzio-
dal tuo fratello.
I( consiglio sena- l Digitized by
Google O'jS DELLE antichità’
ROMANE brò giusto , e parlironsi' dU
oiAigresso. T^merbuo i tri* buui
la secretissima aduuanza,
come intenta a gran
danno de’ plebei , perché fatta
in casa , _ non
in pubblico , e senz'
.ammettervi alcuno de’ capi 'del
popolo. Adunque raccogliendo anch’
essi un consiglio
di uomini , amantis* simi- della
plebe ^ idewono ript|ri
e guardie contro le iusidìe
che aspeitavansi da’
patrizj. . LVIL Giunto il
tempo preacritlo per
fare 'il previo decreto , i
consoli convocato il
Senato , ed* esortatolo
grandemente al buon
ordine ed alla
concordia; invitarono, prima di
ogn’ altro j a parlare
i tribuni deUik. plebe,
i quali propónevano la
legge. Fe^i avanti
Cajo Canule)o, un di
loro ; ma egli
non che dimostrarla , bon mentovò nemmeno la
giustizia e la utilità
della legge. Diceva
c/te si stupiva de
consoli che avendo
fra loro ponderato
ù deciso ' ciocché jsra
da fare , ora
quasi pi abbisognasi sero consigli
e decisioni , metteansì a
proporlo ai Pa» dri
, e 'davano- facoltà di
cBingaxyi con simulakione non cbnvèniente
nè alt età
loro , r\è alla '
grandezza del comando. Diceva
che irttroducevan t esempio
di tristissime' pratiche , quando
umvansi in casa
et con- gressi recondite, jtè
vi chiamavano tutti
i Senatori , ma i soli
favorevolissimi loro. E qui
soggiungeva che poco faceva^li meraviglia
che fossero esclusi
da^quel coa- 1 sigho edtri
sonatori;, ma ^grandissima
gliene ftcevache 'avessero tenuti
indegni da invitarveli
Marco Grazia, e Lucio L aierio , qaell( che
avetìno . tolto il Decemvi- rotò, ambedue
uomini consplari %nè
idonei' -men di chiunque a deliberare
su la repubblica:
lui non poter, concludere appunto
In cauta .di
tal procedere ; indovi- Digitized by
Google LIBBO XI. . 379 nco
iie però quest'
unica: valé^ a direi
cfie essendo essi per
allegare -disegni' ingiusti trovinosi
alla piche, non vollero,
convocarvf persone di
essa amantissime , per- ' chè
sdegnate arti popolaresche
; numerando fin da
principio, tutti i |>ericoli venuti
su Roma per
colpa di quelli
phe vole- vano conU'ario governo;
rilevando come l’odio
versola plebe crasi renduto
dannoso a quanti lo
ebbero; e lo- dando
amplìssimamente il popolo
.come, autor principale delia libertà
e del comando delia
repubblica; alfine ra- gionate queste e simili
cose , concluse non
poter e^ser libera quella
città dalla quale
tolgasi /’ eguaglianza
z e quindi sembrare a lui
giusta, la legge la- qual
vuole che concorrano al
consolalo/ tutti i Boinani
purché siano irreprensibili ne
costumi e degni per
le opere di lai
tanto onore : non
essere però, quello
il tempo oppor- tuno da trattare
legge siffatta in
tanta turbolenza di guerra
per la repubblica.
Pertanto consigliava, ai
tri- buni di permettere che
si réclutassèro i soldati,
e che reclutati uscissero: ai
consoli poi di
pubblicare, appe-j \
Digitized by Coogle V',
i.iBHó xr.' '* 38
1 na detto buon
alla guerra il
previa decreto su la
legge: e si scrivessero
e si corueruissero fin
et alloratali cose
da ambe ’ie, parti.
Ta^è fu la
senteuza di Va- il
secoudo da*' consoli: non ^ però
ne fu pari
1* affetto io tutti
gli astanti. Imperocché
quelli, che voleaoo
preclusa la legge, ne
udirono f!Ot> piacere
la dilazione , non'peré con piacere
ne adirono éhe
essa dovesse decretarsi
dopo la guerra: air
opposito quelli che
volevano che sì ac-
cattasse la legge dal
Senato iotesero con
trasporlo che giusta si
dichiarava : ma con
isdegno intesero che
se ne ritardasse il
decreto. ■ j > LX. filato
taraulto ('oom' è verisimile , perchè
questa sentenza non soddisfaceva
in tutto ad
ainhe le parti , il console fattosi
innanzi interrogò per
il terzo Cajo
Claudio il quale sembrava
ostinatissimo e/ potentinimo
fra tutti i primari della
fazione opposta alla
|>lebe. Costui tenne un
dùtcorso premeditato contro
del popolo-, rilevando
di luì tutte le
cose che gPien
parevano contrarie a begli usi
della patria, fra
lo scopo principale
ove tendeva il dir
suo, che i consoli
non pcoponessero al
Senato l’^esar* me di
quella legge nè
allora' - uè mai , ooine
diretta a distruggere il
comando degli Ottimati,
e confondere ogni buon ordine.
Cresciuto a tal dire
il tumulto , sorse in- vitato il
quarto , Genuzio , fratello
dell* a^tro con- sole.-Costui j discorse
breveménce le circostanze
della città, e come la
cótnplicav^^no all* uno o
all’ altro disastro , o di far
prosperare ^i nemici
per la discordia
e 1* ambiziojie de’ citudinij
e, di dare mal
termine alla guerra
interna e domestica .|>er espedirsi
dajl’ altra che le era
portata DELLE A^ìTICHITA’ ROMANE di
fuori, disse, che
essendo' due i maiì' ed
essendo ne- cessità d’ inwyrreme
, loro mal grado,' l’^udo o Y altro , credeva coufacevole
ai Padri lasciar
che il popolo
urtasse alcune istituzioni proprie,
anzi che rendere
la patria Io scherno
di forestieri' e nemici^
E cosi dicendo" propose la
sentenza approvata nel
congresso di ^elli
che si erano in
casa riuniti , sentenza come
io dichiarai suggerita
da Claudio , che si eleggessero
ift luogo de'
consoli i tri- buni militari , tre
de’ patrizj , e tre dd
plebei , tutti con' potestà
superiore : chè quando
-^nìrebbefo questi il lor
tempo, e si dovrebbero
creare i nuovi magistra- ti ; allora unitisi
di bel nuovo
il SerUUo ed
il popolo decidessero quali
più voleano riassumesre
al cornando li tribuni
militari o li consoli
: che per valido
si tenesse quello che
il voto comune
destinerebbe: e che pari decreto
si rinovpsse ogni
anno. ■ , ' ' LXI. Eu
la opinion di
Genuzto acclamata da
tutti: e gli altri che
sorsero a sentenziar dopo
lui -la tennero, quasi tutti , per
b migliore. ' Se ne
stese dunque da' consoli
il decreto , ed i tribuni
della plebe , pigliatolo , oe
andarono , tripudiando, al' Foro.
E convocatovi il popolò, vi
lodarono amplissimamente il
Senato^ e vi di* nunziaronoV cbe
doncorresse pure a’
magistrati .‘insieme co' patrizj
chiunque il volea
de* plebei. '.Se
non- ohe il desiderio
senza cagione , Speciàlmemc' nel
popolo ^ è per sé" dori
vano, e cori pronto
' a dar luogo arcOnirario
; ohe quelli i quali
facevano ogni prova
per essere a parte
' del magistrato , risoluti
se non concedeasi
ciò da’ patrlz}, di abbandonare
la patria come
1' avevano abbandonata altra volta
, o dì usurparselo colle
armi , ottenutane ap* LIBRO
XI. 383 pena la
pertnissione , rattemperacono
sestessi , e rivolsero altrove i
loro favori. E quantunque
molti de’ plebei
aspi- rassero al militar tribunato,
e" facessero per giungervi insistenze caldissime
; non riputarbno alcuno
degno del grande onore.- Cosi
quando vennesì al
voti nominarono al militar
tribunato tra’ patria)
che yi còneorrevano
, Aulo Sèmpronio Atratino^ Lucio
Attilio Longo, e Tito
delio Sieelo. . ' ; . y ‘ ^ ■ i *
LXn. Questi assunsero
i piWi qu^ grado
in luogo del consolare
nell’ anno terzo
della olimpiade ottante- sima quarta essendo
Di61o arconte in
Atene (i): ma ritenutolo
settantatrè' giorni lo deposerq
secondò gli usi della
patria’ spontan^atOébte ;• perché
alquanti segni ce- lesti vietavano loro
il maneggio de’
pubblici affari. ' Le- vatisi questi dal
comando; il Senato- si
raccolse, e no- minò
gr;ìn(errè. U quali prefìssero
il tempo de’
comizj e proposero; da risolvere
al popolo se
voleat rieleggere li tribuni
o li «008011 1 il popolo
decise attenersi agl)
nsi primitivi; ed essi
cont»derono che chiunque
il volea de* palrizj
concorresse al consolato." Adunque
si elessero di' nuovo
i' consoli’ dell’ ordin patriuo , e fuf'onò' Lucio Papirio
Mugiliano , e Lucio
Sempronio Atratino , fratello
di uti
de* tribuni che
s’ eran dimessi.
Dond* è che furono in
-fiLoma tu un
anno stesso due
magistrature supreme. Non però
comparisce 1’ una e
l’ altra magistratut^ in
tutù gli annali Romani
: ma in alcuni
trova'nsi i 'soli tribuni, (i)
Aodo di Roma
3ii $ècon{lo Catone,
3ia secondo Varronc
, e 44* ^v. Ccisle.
Tilo Livio dice
cbv i tribuni militari
entrarono maghtraii sul termidare
dall* anno 3io ,
e perciò toccarono anche l’inno
3 11. Digitized by Google 384
DELLE Antichità’ romane ÌD
altri i consoli soli , osservandosi in non molti
T .una e r altra. Noi ci
atteniamo agli ultimi
nè senza ragione, affidandoci alla
testimonianza de' libri
sacri «'recònditi. Sotto, questi
consoli nou occorse
altra cosa civile
o mi- litare degna di ricordanza;
fecesi però trattato
di ami- cizia e di alleanza
colla cidi degli
Ardeali , peroccliè spedirono
ambasciadori , pe* qliali , lasciate le
querimonie intorno la campagna
, dimandarono di essere
gli amici e gli alleati
de’ Romani. I consoli
ratificarono questo trattato.
LXIII. 11 popolo
confermò co' suoi
voti che si
cf'eas* s^ i consoli anche
per 1’ anqo seguente
; e nel. pleni- lunio di Dicembre
presero il consolato
Marco. Geganio Macerinó per
la secotula volta , e Tito Quinzio
Capi- tolino per la quinta
(i). Questi rimostrarono
mentre i più inutili
e più svergognati eran
fuori ài ogni registro, e cangiavano
luogo con luogo
affine di viverci come
loro piaceva. , i. (i)
Addo di Roma
3ia se'coado Catone,
3i3 seeuado, Yatione
, 41» ar. Cristo. SUPPLEMENTI E FRAMMENTI DEI NOVE
LIBRI PERDUTI DELLE ANTICHITÀ
ROMANE DI DIONIGI DI ALICARNASSO. DZONlGt, fmo
Ut. Digitized by Google Digitize(J by
Googli 387 IL TRADUTTORE AI LETTORI. U tomai dì
AUcartiosso scrìsse le
Antichità Ro- mane dalie orìgini
di Roma fino
alla prima guerra Punica
in venti libri
estesissimamente , e di questi,
poi diede un
compendio in cinque
libri come fu già
detto nella prefazione
al tomo primo.
De' venti libri perirono qualche parte
deW undecimo , e tutti
i nove ultimi , salvo alcuni frammenti
pubblicati più volle e ridotti in
fine secondo P ordine
de' tempi in ciò
che narrano. ’ Avendo
io trasportato nel
nostro idioma gli
undici primi libri, e li
frammenti già noti
de' rimónéitti, fu tutto
dato in luce U
anno ii5ia per
Fìncenm Pog- gioli, editore in
Roma della Collana
Greca tradotta in Italiano.
Quattro anni appresso
però , cioè nel 1816, apparve
in Milano una
stampa Grecolatina della quale
il titolo latino
è: DiONTsii Halicarnassei RomaDarum AntiquitaUim
pars hactenus desiderata
nunc denique ope codicum
Ambrostanorum ab Angelo
MaJO Ambrosiani Coliegii doctore
, quantam licuit , restitala.
Quella stampa comprende
gli antichi frammenti
dei nove libri smarriti,
e parti riguardevoli derivate
dal compendio, collocate prima
c dopo di essi
frammenti Digitized by Google 388 per ordinare
un tutto il
quale dia compenso
e lume di ciò che
erano i nove libri
perduti di Dionigi. Jn
questo letterario ordinamento
ci si dà
ciò che si è trovato
, e non sopra. Del
resto la versione
la- tina è precisa ,
corrispondente , elegante , buona
, anzi molto : te
note opportune , nè vi
si desidera di- ligenza : e ciò basti
su quell’ opera. Considerando come i
frammenti veri de’
nove libri presentati di
nuovo in quella
stampa erano già
vol- garizzati , C editore
in Roma della
Collana Greca tradotta, cercò
più volte di
avere anche il
volgare di que’ supplementi
raccolti come si
potè dalla Epitome o Compendio di
Dionigi: ed uUirnumente
vi aggiunse pur le
sue premure il
nuovo editore in
Milano della Collana' Greca ,
presa la
occasione dal valersi
egli ancora della mia
traduzione. Su tali
istanze ho con- segnato il volgare
di que’ Supplementi
ordinato coi vecchi frammenti
appunto come si
ha nel testo
Gre- colatino. E ciò è quanto
basta a dar luce
alla giunta seguente. Roma aa.
Settembre i8a3. Digilized by
Google V 389 DELLE ^
ANTICHITÀ ROMANE DI > . • ‘ DIONIGI ALICARNASSEO LIB^lO. DUODECIMO.
• SDPPLEMENTI (i). i • £jglI avendo
radtinato Intorno a sé
uomini di ogni reo
genio, li nudrìva,
quasi fiere, contro
la patria. (i) Suppiementi.
Cos\ li chiamo
per dittiogaerli dai
Frammenti. Qnetti tono parti
vere^ dei libp
perduti f gli altri
tono parti deri- Tite
dal compendio de’ Tenti
libri delie anpchilà
di Dionigi troraio in
Milano ueil’ Ambr*>a°a io
due dodici, l'nno
intitolato: Di Dio- nigi di
jilicarnatto Archeologo Romano
t l’altro: Dionigi di
Ali— tarna$$o Archeologo dplle
cote Romane. E chiaro
che questo titolo i dato
da altri. Li
supplementi avran sempre
doe TÌrgole in
prin- cipio ed in fine
dei paragrafi per
dùtiognerli dai frammenti., DELLE antichità’
ROMANE Tuttavia se ascoltava
me , se confofmavast alle
leggi , egli faceva un
gran colpo per
la difesa , dando
segno non piccolo di
non aver cospirato.
Ma sbattuto dalla sua
cosdenza si ridusse
dove quelli si
riducono, i quali siegnono scellerati
disegni contro dei
loro più congiunti; deliberò di non presentarsi
al giudizio ; e respinse
a colpi di mannaja
li cavalieri spediti
su lui (i)
.... li suolo -della sua
casa i Romani Io chiamano equimelio: conciossiacbè equo è
detto da
loro , ciò cbc non ha
prominenze. Cosi il
luogo soprannominato Mclio
in principio fu di
poi detto Equimelio
alterandosi i dne nómi in
un solo (2) ».
II. « Guerreggiando i Tirreni , i Fidenati , e li Ve- jenti
co’ Romani (3j , « Laro
Tolumuio re de’
Tirreni segnalandovisi
spaventosamente ; un* tribuno
romano , Aulo Cornelio
cognominato Cosso, spronò
il cavallo su lui.
F attisi a combattere già
moveano ai colpi
le aste ; quando
Tolumnio feri nel
petto il cavallo
dell’ emulo , talché
il cavallo ne
infuria e lo atterra.
Ma Cornelio internando I’
asta per lo
scudo e 1’ usbergo
nel fianco di Tolumnio
rovesciò pur lui
da cavallo. Ben
sorgea questi ancora ,
quando fu colto
nell' anguinaja. Con
ciò Cosso Io ucdsc
e lo ' spogliò , non solo
respingendo quanti
accorrevano fanti e cavalieri
, ma disanimando e t . (1)
Qo«sla h parte òel
discorso di Cineinnato
sa Spn^o Melio Deciso
come reo di
ambita lirannido. (a) La
occisione di Spurio
Melio co4) corre con
l’anno 3r5. II libro
XI di Dionigi
non eccede 1*
anno Sia. Pertanto
cib ebe manca a dar
conliuna la storia
delle Àniichiià Romane
con quella del
Coca- pendio b la serie
dei fatti dell’
anno 3i2 e dell!
due sdenti. (3) Anno
di Roma 3i^. •
Digilized by Google • LIBRO XII. '
391 impaurando quanti erano
alle mani neN'
uno e nell* al- tro cornò
»• IH. « Essendo* consoli'
ntiovamenie Aulo Gjmelio Cosso, e Tito
Qtrinzio (i) ; penuriò
la terra per
gran siccità; mancando non
che le pio^e,
fin le acque
nelle sorgenti. Donde nniversaie
fa lo scapito 'di
pecore, di giumenti , di bovi :
e moitè -fra gli
uomini le. malattie , quella principalmente che
scabbia à detta, assai
molesta per lo rosore
nella cute , c più Rtolesta
ancora se inni- ceravasi : infermità
miserabile in vero , e cagione solle- citissima di rovina
». IV. .... « Mal
sembrava a’ primarj
del Senato ad- dimesticare il popolo
alla pace e prolungargliene la
cal- ma , sul riflesso che
per la pace
si schiudono in
città , vizj , piaceri , e
sedizioni , e solean queste
prorompere ad ogni occasione
, difficili nè interrotte , appena si lo-
gliean le guerre
di fuori .... E
meglio superar 1*
ini- tnico beneficando , che punendo
: imperocché di là
sie* gue se ' hon
altro , almeno la speranza
loro più dolce sopra
de’ Numi V. . . a Appena
conobbe che i nemid
Io assali- vano alle spalle
, chioso com’ era
per ogn’ intorno
da, essif disperò di
retrocedere. Egli tenea
grave sul cuore che
nel pericolo comune , essi
pochi contro de'
molti , essi gravati dalie
arme conira milizie
leggere perireb- bero
turpissimamente senza dar
segno di opera
generosa. Adunque vista un’ allora
conveniente nè lontana
destinò di occuparla » VI.
« Agrippa Menenio, e Publio
Lucrezio e Servio (3) Anno
di Roma 3i6. Digitized by
Google ' 392 DELLE Antichità’
romane Nauzio tra gli
ODorì di tribuai
militari scopersero and insurrezione di
servi destinata coaUx>'di
Roma (1). Di- segnavano i congiurati dar
fuoco tra la
notte in un tempo
a più case in
più luoghi, e quando
vedeano gli altri intenti
a reprima. 1* incendio
, allora invaderne il Campidoglio, ed
altre parti munite,
e quindi provocare ad esser
liberi lutti gii
altri Servi, e.
con essi ucciderne i padrom', onde
averae le mogli
e li, beni. Manifestatasi la prauca
, i capi di essa
furono presi , battuti , e cro-
ciassi : e que’ due servi che la
manifestarono, ottennero
essi la
libertà veramente , e miUe (2)
dramme a testa dal pubblico
erario a. . ' . , VII.
Adoperavasi il tribuno
romano a compiere la guerra
iu pochi giorni,
come lui che
credea facilissimo, e quasi posto
nelle sue mani ,
sottomettere còn una batuglia
i nemici. Per contrario.Jl
comandante nemico apprendendo la
perizia de’ Romani
tra le armi , e . la costanza ne’
pericoli , non avea cara
una battaglia in campo
aperto con pari
circostanze; ma Uaeva
la guerra tra le
arti e 1* inganno
, aspettandone chq gli
si pre- sentasse un vantaggio
(3) . . . . ferito e morto
venuto appena ». , , Vili.
« In quest’anno fu l’
inverno rigidissimo, in Roma
(4) , tanto che dove
la neve caduta
era meno , ( i) .tnno
di Roma 335. ^
(a) Il
mille mauca oel
lesto. È presso a pòco
il nomerò pbe
dee supplirai consideralo ciò
che se ne
ha presso di
Livio lib. 4,
o. aS. (3) Questo
racconto consente per
qualche modo con
ciò che narra Livio
net capo 4^
del libro quarto
, intorno la disfalla
dei Romani contro degli
Equi. ' r ^ (4) Anno
di Rema 355. Digitized by
Google LIBRO XII. 393 ivi
era alta li
sette piedi (1).
Vi perirono alquanti
uo- mini, e molte greggi, ed
altro bestiame non
poco, so- praffatto dal gelo o
dalla fame per
mancanza de’pasccdi. Le arbori
firuuifere inusitate alle
grandi nevi o perirono in
tutto, o seccate ne’ tempo
in tali regioni
alquanto più boreali del
mezzo , seguendo il circolo
parallelo il qual viene
per 1’ Ellesponto
sopra di Atene.
Allora, per la prima
ed unica volta
1’ ambiente di
questa regione si allontanò
dalla sua temperatura
fa) a. IX. « I Romani
fecero le feste
dette letxistermi nel- r idioma, dei
luog.o. Or furono
ammoniti a tanto pe’
li- bri Sibillini: giacché gli
astrinse a consultarne l’ oracolo nn
morbo pestilenziale mandato
loro da' Nomi , nè
sa- nabile'per cura umana.
Adunque acconciarono, come voiea
r oracolo tre ietti , T uno
ad Apollo e Latona
, r altro ad Ercole
e Diana , ed il
terzo a Vulcano e Nettuno.
Fot per,s?'tte giorni
fecero pubblici sagrifizj
, come pur fecero,
ciascuno secondo le
forze sue, private offerté ai
Numi , e conviti sontuosi ed
accoglienze di forestieri (3) ».
« ^ , I I ' (1) Livio raeconu
I. ▼, c.
i3 cb« il
Tevere non pelea
navigard. (3) Questo fraocbiaaiUko
tcnvere & desiderare le
cautele dell’aa- tore dei
veoli . libri delle
Aulichità Aooiaae. Le
muiasioai anche rarieeime dcll'elmosfera ooa
perché non sono
scriue pel tempo
paa- laio , può concludersi
che non avvenissero
mai piò . (3j Livio
parla di ul
festa nel lib. t
, 0. i3 , la dice
occorsa 3p4 DELLE
ANTICHITÀ,’ ROMANE X« « Pìsone
il censore fa
negli annaK suoi
quest’ag> giunta : cioè ,
che sebbene fossero
sciolti tutti i servi
^ tenuti io ferri
dai padroni , sebbene Roma
si empisse di forestieri
, ' e sebbene ’si tenessero
dì e notte spalan* cate
le case, penetrandovi
chi volea,-senz* ostacolo ; pur ninno
si dolse che
avessene furio , nè oltraggio
; quan« tnnque i giorni festivi
sogliano per 'le
brìachesze dar largo il
campo a disordini ed
ingiustizie XI. «r Stando
i Romani all’ assedio
di Vejo (i)
sul nascere delia canicola
quando gli stagni
diminuisconsi e tutti li
fiumi all’ infuori
' dell’ Egizio {filo
(a) , il . lago de’ monti Albani,
distante non meno
di quindici miglia da
Roma, presso al
quale fu già
la città madre
de’Ro* ' mani , crebbe senza
piogge , senza nevi , e senz’ altre apparenti cagioni , per
le sole inteMe
sue fonti' a tal dismisura , che 'inondò
buon tratto delle
adiacenze con molte case
di agricokorì. E finalmente
aprendosi a forza , il passo
tra- monti si
versò con terribile
sbocco ne’ campi sottoposti , ■ ' Della
estate contagiosa, la
qual s^cedcltc all' inverao
rigidissimo descritto diantì.
(i) Addo
di Roma 356. (a)
Aie infuori delV
Egitto Nilo- Questa
cceetione , &t cono- scere,
parmi, che l’autore'del
compendio non i Dionigi.
Imperoc- ché egli nato in
Alicamasso città dell’
Asia , e già spettante
al re- gno di Persia , come
tatto il corso
dell' Eufrate , non poterà
, e certo non dorerà
ignorare in tanta
naturai tua diligenia
che P Eu- frate anch* esso
nel luglio assai'
cresce e trabbocca , come
si legge in Arriano
iibro ni, par.
ao, greco per
esso, e scrittore delle
gesta di Alessandro. Lo
stesso Arriano scrire
nel lib. r,
paragr.7 secondo la nostra
tradusione, che anche
i fiumi Indiani nell’estate
ingrossano fuor di modo e
neU’inrerno scemano. Digitized by
Google LIBRO XII. 395 XII.
• Vedalo ciò li
Romaai , da princìpio
, (jQast 10 sdegno del
cielo minacciasse Roma,
decretarono pia* care con
sagrifizj i Nomi ed i
Genj del
luogo , con- saltandovene pur
gl’ indovini , se ne
eressero mai co$a da
significare: .Se non
che né il
Iago ripigliava l'ordine SQO,
nè gTinterpetri sapean
dirne a proposito, ma
sng~ gerirono che si
mandasse per intenderne
P oracolo in Delfo ». '
XIIL « Intanto un
di Vejo perito,
per Ipmc avutone da’ maggiori, dell' arte
divinatoria di' qne* luoghi,
sfavasi per avventura in
gnardiè'deNe mura/ Era
cosini noto ad un
centurione romano. E • quél
centurione venato una volta
presso le mura
lo salutò come
usava ; aggiu- gnendogli di
commiserare Ini come
tutti i suoi pe’mali imminenti nella
espugnazione dellai cittè.'Per
l’opposito 11 Tirreno, il
qual già sapeva
In inóndàziooe del
lago Albano, e sapeva gli
antichi oracoli intorno
di questa , replicò
, sorridendo , guanto é bene conoscere
t ot'tv- nt're. Voi per
non conoscerne sostenete
una guerra senza fine , e travagli irriuscibili , disegnandovi la distruzione di
Vejo. Se alcuno
vi rivelasse portare
il destino di questa
città che allora
sia presa , quandó U lago Albano
impoverendo nelle acque
sue , non più si mescoli
al mare, cessereste
di tenere voi
nella fatica, e noi tra
le molestie. Assai
ne impensierì ciò udendo
il romano , e parti
». XIV. « Nel giorno
appresso il romano , comunica- tone il disegno
co’ tribuni', rivenne
allo stesso luogo
, ma senza le
armi , onde il Tirreno
non sospettasse af- fatto d’ insidie. Ripigliò
I’ usato saluto
, e poi disse in- Digilized
by Google 396 DELLE antichità’
ROMANE nanzi tutto l’ incertezza
la quale agitava
il campo de! Romani , e cose altrettali
da rallegrarne , com’ egli
cre- deva , il Tirreno. Poi
chiedealo spositore di
alquanti segni e portenti occorsi
di recente ai
tribuni. Gnidi- scese colui
' niente sospettando d’ inganni.
E fatto ritirare gli altri
i quali erano con 'lui
si mise egli
solo col .cen- turione : £ questi U passo
a passo lo allontanò
dalle mura con discorsi
diretti a deluderlo ; Or
come fu presso alle
muniuoni romane. lo abbracciò
con ambe le mani , e sei portò
negli alloggiamenti ». XV.
B Quivi i tribuni or
lusihgando or minacciando lo ridussero
a dire quanto celava
sul lago Albano , e poi lo
mandarono al Senato.
Non parvene u tutti
i pa- dri in un modo :
e chi tenea costui
per pno scaltro
^ per un impostore,
per uno che
mente su gli
oracoli de’ Numi, e chi
dicea lui parlare
a punto il vero
». XVI. « Fluttuando fra
tali incertezze H Senato,
ecco i deputati - al Nome
in Delfo riportarne
(i) le divine risposte, concordi
a quelle, date già
dal Tirreno: vncd dire
che gli Dei e
li Genj
li quali aveano
in sorte la città
di Vejo promettevano
mantenervi costante la
pro- sperità trasmessavi
dagli antenati finché
le acque sor- genti del lago
Albano ne Uaboocassero
e corressero al mare : Ma
quando quelle acque
, .mutata la fonte
e il corso antico , deviassero
altrpve , nè più si
mescolassero al mare, allora
pur Vejo ne
andrebbe sossopra. Parve che
potesse pianto ottenersi
da’. Romàni , se
scavando delle fosse intorno
al lago V*
incanalavano l’ acque le quali
sboccavano, dirìgendole in
campi lontani dal
mare. • (i) AjBno di
Homa 357* » L^O
XII. 397 G>DOsc!ato ciò li
Romaai bentosto misero
gli operaj su r intento
», XVIL w Rendutine i Vejenti
consapevoli per nn
pri* gioniero, deliberarono spedire
a chi li assediava,
a fine di toglier la
guerra innanzi ch^
la città soccombesse:
e scelsero de’ seniori per
deputati. Rigettata dal
Senato la pace , lasciavano
questi , taciuirni , la
curia : quando il più
Cospicuo fra loro e
più famoso nel
divinare , fer- matosene alla
porta e girato lo
sguardo su tutti
se- natori disse: bel decreto
v avete voi fatto
o Romani! e degno di voi U
quali cercate dominare
per tutto intorbo , quando
ricusate aver suddita
una città nè piccola
nè ignobile la
qual depone le
armi e si ren- de, e destinata abbatterla
da’ fondamenti senza
te- meme^t ira de'^Numiy
nè la vendetta
degli uomini. Or ne
verrà per questo
su voi la
giustizia punitriea de’ Numi
con pari vicenda
; Voi che spogliate
li Ve- jenti di patria
, voi , tra non molto
perderete la vo- stra (i)
». XVIII. « Prendendosi (a)
dopo breve tempo
Yejo, taluni de’ cittadini
ne andarono, e stettero
da valebtno- mini contro
a’ nemici , e ne uccisero
e furono uccisù: altri diedero
a sé stessi la
morte: ma quanti
per co dardia , e bassezza di
spirito risguardavano ogni
altro successo come più
mite della morte , abbandonarono le armi
e sè stessi al
inncitore ». (i) Anche
Cicerone nel lib.
r, c. 44
èe Natura Deoram
fa men- xione di
quella ambasceria , e dell'annunxio del
castigo, succeduto, ^oni’ egli
scrive , sei auui
dopo la presa
di Vejo, col
piombare dei Galli su
Roma. (3) Anno di
Roma 35K. DELLE ANTICHITÀ.’
ROMANE XIX. « GatniUo sotto
la dittatitra del
quale Ve)o fu presa , stando co’
Romani pili insigni
su luogo elevato donde
tutta quella città
si scopriva, prknieramente
fèli- qitava té stesso^della'
Iiella avventura con
che gli era accaduto
di espugnare e senza
gran costo una
città grande e prosperosa , -
la quale
erà parte , uè
gii la più ignobile
'della Etmria , allora fiorentissima
, e po- tentissvna tra' popoli
dell’ Italia , e la quale
avea dispu- tato |1 principato
ai Romani con
guerre moltiplicate per dieci
generazioni (i) con
cimentarsi alfine a tutti
i mali tra r assedio non
interrotto di nove,
anni (a) ». XX.
a Di poi ponsiderando
per qual lievissimo
bil- lico trascende la
sorte umana , e come nino
bene tien fermezza , alzò
le mani , sopplichevole ' a Giove
e agK altri Nomi, perchè
tanta felicilà non
chiamasse l’invidia su lui
principalmente , nè su
la patria : e se
per Con- trario pubblici disastri
pendeano su Roma,
o privati sa lui, almen
fossero questi i più
lievi e più tollerabili
». XXI. « Non minore
di Roma per
gli cdificj , godea Vejo terreni
■ ampj , d’ assai frutto
, dove piani , e dove montuosi in
aere purissimo e salutevolissimo, senza
pa- ludi vicine , dalle quali
sorgono aliti gravi
ed ingrati , e senza
ninn fiume il
qual dia troppe
fredde le. aure del
mattino: nè scarse
vi son Tacque
(3), nè condot- ti) Ciok per
circa irecento anni
asjegaaado treni' anni ad
ogni generaaione; Imptroccbè Vejo
cominciò tali tae
gaerre con Romolo: poco
prima della aua
morte, e loocomM l’anno
358 di Roma. (3)
Livio ed aliti
dicono durato quello
asi^io dieci anni :
vuol diro nove furono
gli anni' interi
ciocché scrive I’
autore dell’ Epi« tome , ma non
intero fu 1’
ultimo. (3) Dionigi nel
paragr. i5 del
libro iz scrive
che non lungi
da Digitized by Google , , LIMO xil;
399 levi altronde , ma
vi scatnrtacono copiose
• nommeoo , ohe bouissime
a beverne a. ■ * XXII.
«'Dicono, che quando
Enea 'figlio di Anchise e di
Venere approdò nell' Italia
volesse, far sagrìfizio ad un.
tale de’ Numi ;
e che fatte già
le preghiere , stando ornai per
operare su la
vittima apparecchiata , mirasse venir da
lontano tm greco,
Ulisse forse quando
fu per r oracolo di
Avemo , o Diomede quando
si recò per soccorso
di Danno. E dicono
che disgustato Enea
del- l’incontro, tenesse come
inaugurata la vista
dell’ inimico tra le sante
cose, e che volendo
respingerla si bendasse e volgesse altrove
; finché dopo la
sparizione di colui lavatesi di
nuovo le ^ mani fece
il sagrìfizio: e siccome vi
si rendè fàusta
ogni cosa , e^U
ne fu dilettato
per .'nodo da custodihie
di poi nelle
sante cose la
cerimo- nia; conservandola per ciò
li posteri di
Ini quasi legge dei
sacro ministero ». XXUI.
« In conformità de’
patrii riti , fatta
la sup- plica Camillo ancora
si trasse in
sul capo il
manto , e volea rivoltarsi.
Ma travoltoglisi ciò
che avea di
sotto a piedi , nè potendosene
rattenere , ne andò supino
a terra. Or questo
rovescio , indizio che
egli di necessità cadrebbe per
una miseranda caduta , questo rovescio fàcilissimo da
intenderlo senza calcoli
e divinazioni, an- Vejo è il
fiume Cremerà, e che
da questo fiume
fu denomioaio Cremerà il
caetello edificato da
Romani contro di
Vejo. Qui ai •crÌT»
che non vi è
niun fiume il
^oalc dia troppo
fredde le aure del
mattino : che anche
senza fiume vi
abbondano le acque.
Questo esservi e non esservi
un fiume & concepire che
lo scritture del
com'.^ pendio non è Dionigi. 4oO
DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
LIBRO XIlJ che da’
meoo periti , questo egli ■
noi pensò degno
da guardarsene e da espiarsene
f ma lo ridusse
tale da. consolarsene come
se li Numi
avessero ‘esaudito le pre glie
pii\ illustri a' quali
esso era maestro
di. lettere, li \ » * ' • t *
(i) Narrano che
Dionigi divise il
suo campcndie in
cinque libri. Ambedue li
codici trovati del
compendio delle aiilicbilà
non hanno 0 non ritenpoiio
indiaio ninno della
distinsiooa in libii. (a)
Aaoo di' Roma
36o BfOHlGI, urna III. j
,S Digitized by Google 4o2
delle Antichità’ romàne cavò
fuori delie porte
come per passeggiare
dinanzi le mura , e far
loro visibile il
campo romano. Poi
sionla* nandoli poco a poco
dalla città , li ridusse
presso le guardie Romane:^
queste accorsero; ed
egli cedè sé
stesso, e gii altri. Menato
a Camillo disse , che
da gran tempo egli
volea rendere la
città de’ Romani
: ma non avendo in sua
balla nè la
fortezza , nè le porte , nè
le armi , si argomentò di
mettere nelle mani
di lui li
6gli ^e’dtta^ dini primarj , consideràndo cbe necessiterebbe li
padri , solleciti di salvarli , a dar la
città quanto prima
ai Ro- mani. E cosi diceva,
immaginandosene maravigliòsi pre^ mj
pel tradimento, a II.
« Camillo , dati da custodire . il maestro
e (i fan- ciulli, scrisse al
Senato il successo,
chiedendone cièche fosse da
fare. ■ Lasciatogli dal
Senato di lÀrne
il lueglio che a lui
ne paresse , egli
cavò dagli alloggiamenti' il maestro
e li fanciulli, e fece
alzare* il suo tribunale
non lungi dalle porte
, presentandosi immensa la
folla su le mura , e dalle porte.
Quindi primieramente distinse
ai Falisci quanto il
maestro fosse stato
ardito di olTeuderli. Appresso ordinò
che i servi gli
traesscr la veste
, e lo canninasser ben bene
colle sferzate ; e quando
tal pena gli parve
bastare ^ .allóra ‘diè
delle' verghe ai fanciulli
, e fece che sèi
menassero innanzi alla
città, legato colle mani
al t&rgo, battendolo
e malmenandolo per ogni
ma- niera. I Falisci
ricuperalo i fanciulli, e punito
il maestro in proporzione
del suo malfare , sottomisero la
patria a Camillo. «' , I
' . , -• , ^ - , f » III. n Lo
stesso Camillo nella
spedizione su Vejo
(i) (i) Anno di
Homa 36o. Digitized by
Coogle ' ' LIBRO XII. lece volo a
Giunone^ 'Dea sovrana del
luogo, di collocarle se
prendea Yejo , la
statua iu Roma',
istitoendoveue insiemé cpito magnidco.
Pertanto dopo espugnalo
Vejo, man^ò de’ cavalieri
più rìguardevoli a prendere
dalla sua sede it
simulacro. Appena gl’
inviati vennero al
tempio, r uno (K loro
sia. p^erilmeitte e per
beflTarsene , sia per fame l’augurio,
addimandò la Dea
se voleva tra^mn grarsi
a Roma , e colèi soggronsè volere
con chiarissima voce della
statua ; e due volte
lo aggiunse. Impérocchè non potendo
que’ giovani peiiuadersi
che la statua
fosse quella che «vea
parlato , replicarono la dimanda , e ne adirono un*
altra volta la
voce stessa (i). »
IV. «'Tra il
comando de’ consoli
dopo Camillo pro- ruppe in
Roma un morbo
contagioso , apparecchiato dal non
piovere e dall' anura
estrema. Afflitti con
4:iò git' albereti e li
senànati porsero frutti
pochi, e nocevoli' agli uomini
, e pascoli scarsi e malsani
ai bestiami. Odd’ è
che ■ il
male consuase pecore
e giumenti senta numero non
sedo per . • quantunque non
igno- rassero che U multa eccedèVa
non poco gli
averi di ]ui: ma
ciò vollero perchè
messo ' in fcavcere
scapitasse nella riputazione chi
tanta ne avea
per 'hobitissiole guerre , amministrate per^
eecellenia. Li ‘congiunti e li
clienti ac- cozzarono e
diedero la son^ma-
richiesta afBnchè egli non
soggiacesse a vilipendj ; ma H
valentnonio riputando intollerabile la
ingiuria., abbandonò (a
patriq. » VI. « Nel
giungere alle porte
fra gli astanti
• addo* lorati e piangenti per
la perdita che
farebboho, bagnò di largo
pianto anch'esso il
senAbiante, -e lamentò la in-
famia in che era
mesio dicendo : > ^
Adunque disperando i barbari
prendere la fortezza per
inganno o di furto-,
si diedero a trattare del prezzo , cui
dato , i Romani riavessero la
cittù. » XIIL a Dopò
giurati gli accordi;
i Romani portarono r oro , e Vckiticinqae talenti
era la somiina'.la
quale' do- veano ricevere
i Galli. Disposta la
bilancia ècco il
Gàllp imporvi un peso
maggiore deKgiusto: se
ne querelarono i Romani : ma.
il nemicò- tanto
fu alieno dal
rettificarlo, che lo aopmccaricò
delia sua spada,
levatosela dal cinta E chiedendo il
questore che volea
mai significate quel fatto
; rispose , ^ubt pò
vinti. E poi che
il peso ivi
po- sto, ampliato com’ era-,
non si pareggiava , anzi mancava un
terzo' di tanto , i Romani si
ritirarono chiesto tempo da
raccoglier l’ intero. Sosteneano
tanta insolenza ignari delle
cose operate ] come
al>biàm detto , in campo
dpe il 'corpo
ad un tempo
e lo spirito; converseodola oibei Uòndi
nasposto^ma palesemente. Addolorato
Arante per lo distacco
della donzella non
più reggeva alia
in- giuria-, cbe ne avea
da- ambedue : né
potendo pigliarne Vendetta si
mise' ad -ùn viaggio sótto
.vista di liegoziare. Udì con
trasporto il giovine
lo andare , dandogli
ciò che era l^sogao
ai goadàgiii,' e T altro
poftò, nelle Gallie
molli earri eoa Q^i
di vinoV di
olio ^ e 'tnollr.'ata ceste >di fichi, a ' r ‘ . a I Galli di
quel di' non conoseeano
il vino delle, vili,
nè 1’ olio-,
quale fi'a-uoi 1q
danno ie olive: ma.teneano vin
d’orab, festnefatato in
acqqà , ó foglia- me. tetro
all* odore , usando
per olio ^assi
vecebj di porco , ingrati
a odorarne e gustarné/> CoiQe
provarono frutti non prima
gustati ne presero
dilatto masaviglioso,
iuierrogaodo il forestiere , dove e come
ciascuno di questi si
generasse, n -'t ■ XVII.
« E. colai replica*, the.'iimpìa
e buona è la terra che
li produci , è questa posseduta
da uomini , pochi
di numero: uè
punto. migliori delle Jìemraine
in far guen'a. Suggeriva;
,chc'non ricevessero più 'tali
cose dagli altri ad
on péezzq, ma
cacciassero i possessori an- tichi, e se le
appropriassero. ( i ). Mossi
da quel dire
ven mi. Ma i 'GaRii
ne misero in
fuga la molhtudine
, ed occuparono tutta Róma ,
salvo il
Campidoglio. v Con c'ò gran
eommrrcio praesdente. Cioachè
non ti accorda
con la DoTÌlà deacriiia
.dei prodotti recati
da Aruoti nelle
Gallif. Won a facile a connidemi
ube una natione
ai ecciti e commo^a
a tfa- tmtgrare pa’ racpooti dì
un aTTeuttrriero. Livio
tcrive Iv 5.
i4> .Eoa ( Gallt ) ^lu
oppufinavtrunt CUuiunì . non fuh$t
qui primi alpet trantUrint^ latù
óonstat. 0uel .aarii
eo/iitat impoHa Alt
lai «ni- diaione era
comune in Roma
a'iAreno Ira! leueraii
'oi t,empi di
Livio, che sod (joelli
di Augatcn ,,
.nel cui regno^^
anche Dionigi vino,
io Roma luogo tempo.
Panai duiiqae da
coocluderbe che lo
scritto ai risente di
alquanto nosiooi te
'quali .uoo erano
del diligentissimo aa- tore
della aiilicbità : ciot
questo- tjompoodio k di
t>n greco il
quale non essendo £>rao
vivulo nell* Italia
, S compendiando Dionigi , 'vi
lasciava conoscere la vena dell*
ingrfpio ano non ai para
quanto quella di Dionigi.
■ ; ' s * (t) Anno di
Roma. 551. DELLE
’, •! '• * » • f ' ■ ANTICHITÀ ROMANE
- DIONIGI ALIGARNASSEO ) V • » \
, • rodar(7ao, nel lesto
edeltan, donde celtico e poi
ceillca, , , Digitized by
Googlc 4i3 delle Antichità.’
romane dopo V incendio generò
dal ceppo un
tirgnlto , come dì Un
cubito , volendo gli Dei
manifestare ^e ben
presto la' città , ricreando se
stessa, darebbe germi
novi in vece degli
antichi. » ' y. H Anche
in ‘Roma il picciolo
tempio di Marte
in cima al- Palatino ,
'i Romani pensano' chò
debbasi operare ben alirimen)Ì
debbasi a’ vecchj benefìzi sagrificare
la coliéra per
gli oltraggi recenti. IXt
-Cerltmenle della Romana
grandezza ben. fu me-
raviglioso. quel ^axto, che
non malmenarono, pia
lascia- rono ille^ tjttti i Tuscolani
‘^u^ntuòque colpevoli f tna più
meraviglioso ancora fu
quanto eòncedesouo ad
essi dopo* il perdono
(3). Imperocché fattisi
% provvedere che non .saccedesse
più nòlla di
Simile., nella loro
città , né più ci
avessero alcuni comodità
di far cose
nuove , non conclusero già di
mettervi guarnigione nella
fortezza , nè (l'I Anno di
Roma }-4- , ^ (a)
Questo e li tre
seguenti paragrafi sono
fratOmeaii dei venti
libri delle autichltà Romane
acUtte da bioaigt
e àul'' dal Gomptndjo
; aono picciolo parti
dèli’ opera vara' e noi»*
parti* derivata altronde per
supplirla, il tasto
grec» e-la tradaàioqe
latina ai ara
atampata più volte. Li
framosenti ai dislingtsuao
dal non avere
l« virgole nè in
principio nù in
fin^ dei paragrafi.
' (3) Anne di
Roma 3^3 . ' . > . . lasciarono
contro il sangue loco
eccessi ùi oltraggi
che i barbari più
empj potessero sopraggiungervi. . ^ - 'i'
. 'XI.tE potrei allegare’
altri errori' infìnhi 'di
quelle repubbliche ; ma' li
tralascio; giaocbè spiaeemi
; - fino l’aver menzionato gli
ànzidetti. Imperocché vorrei
che la nazione Greca . si
distinguesse '‘dà . quelle de’
barbari non col nome
solo. e col dialetto; ma
per la.inlelligeoza eia scelta
delle utili costumanze;
c sopratthtto che infra loro
noit si desolassero
con ingiurie più
che disumane. E ad
esercitare i lor corpi o faticare
nelle armìv ne
ausavano di con- tinuo, e vi grondavano
dal sudore, costretti
a desisterne innanzi P awiSo de’ capitani
». . XUI. ‘ a Udito
ciò f ' Camillo dittatore
de’ RomaOi , adunò le
sue milizie , e condonò • tra
loro , . assai vivifi- (»ndole ad
imprèndere: 0 ‘Romani ^ e^i
disse, nói abbiamo assai
più cùU it
nemici benfatte le
arme , le corazze y gli elmi,
gli stivali, gli
teuài saldi, coi
tiuaU guardiamo tutto il
corpo , le spade'
d due tagli , ed in luogo
dell asta, saette
iP irreparaòH colpo.
Le armi colle qutdi
ci copriamo son
tali'da ndn> fdcilitare
su noi le ferite:
laddove quelle con
lè quedi nodiamo
'ci abilitano per ogn
impresa. B poi - ruiao
è il càpo dei nemici,
nudo il petto
ed i lati, 'nudo il,fem&re
è la ( 1 ) Aiuio di Roma
S87 . DELLE XNTICHn:A’ ROMANE gamba
mfino piedi. Altro
noti hanno die
li. mu- nisca se nonf lò'
scudo : nè adiro
tanto picchiar degli scudi
, e guani altro ostentano
di barbara e stolido
a bravar t inimico , guai
vantaggio daranno ad
essi i guali assalgono
senza regola , .a-,
guai mai terrore
a chi con tanta
re^la sta tra i
pericoli ? » XVI. , B Considerando tali
cose: voi tutti
guanti ne foste nella
prima guerra cpì
Galli e guanti non vi
foste , non ‘diserrate.' o voi
ohe vi foste
C arUica vir- tù , col temere , e;
vai che non
virfbste non siate
da meno che gli
altri net jegntdarvi
co' fatti (i). Andate (i)
La prima gnarra
ocoqrae l’ aooo 364
I* acMiida ueii’337 Digitized by
Google LIBRO XIV. 4 * 7 bravi
giovani : dimostratevi degni
de' padri valorosi , correte intrepidamente al
nemico ; Sarà con
voi la ' mano
degC Iddìi per
tentarvi à punire • quanto
volete, questi- impìacabili.
Io vi son
duce, al qucde
tanto te- slificate buon
senno e Jbrlunà. Da
ora in poi
saréte felici, sia che
riporterete alla patria
la iwbilo corona della
vostra virtù , sia
che qui finendo
la vita lasco- rete
a’ teneri' figli] e ai
vecxhj padri per
un fragile corpo una
splendida fama immortale.^
Ma già non è
più da
tenervi, Ecco t irUaùco
sen viene ; ofidaie , presentatevi in
schiera ». XVII. « Era ‘'il
combattere de’ Barbari ansi
brutab: e maniaco senza le cure e la
scienza delle e vi ascese.
Accorsa la molUtudine
'urbana allo spettacolo
, egli primieramente fece
voti alBncbè 11
^umi avvèrsa- aero l’ oracolo
, e facessero nascere molti
, eguali a lui di valore
bella patria. Dopo
ciò lasciate le
redini e ' dato di
sprone cavallò precipitò
nella voraginet Sopra lui
furono gittate in
quell’ abisso nioltè.
vittime , nìolti frutti, molte
ricchezze, molte preziose
Vesti ^ «'molti oggetti di
arti di ogni
maniera, e senza più
la terra si ricongiunse ( i ) ■•
' ’ XXn « Il Gallo area
corpo straordinario, il quale
molto eccedeva la
proporzione comnne ....
Li- cinio Stolone stato dieci
volte tribuno , quegli
il ‘‘quale fu capo
alla fstitnzlone delle
leggi , per la
'quale dieci anni fu
sedizione, alfine' vinto
iu giudizio e condannato ad una
multa in danaro
()) disse: che
non vi è bestia alcuna pià
callivà del popolo,
il qutde non
nsparmia nemmeno chi lo sostenta ». XXIII.
B Assediando Marcio console
que’di Piperno , ridotti senz’
altra speranza spedirono
a lui. E Marcio , indicatemi , disse , come solete
voi trattare li
servi li quali dà
voi si ribellano
? tome si dee ,
soggiunse il legato più
anziano , punir chi
desidera ricupenve la r (i)
Sie mai ri
fu questa Toragiae , ciò che
può beo essere,
ta ricoopuDtione di lai
mode ò tutta (àvolosa.
Livio assai propiiio
a tali raceopti aon
la- fiiTorisce. Vedi lib.
7. 4* . (3)'.\nao
di Roma 3^7. Digitized by
Google 4ao DELLE Antichità’
romane liberti ncUiva. DlIetUtosL
Marcio del franco
parlare , e se nei , dicea ,
se noi
ci lasciassimo piegare
a' lispar^ miarvi ogni
cruccio, quali pegni
ne darete voi
di non farla mai
più da nemici
? q V anziano tipigUava. Sta in
te o Marcio e ne'
tuoi Romani' sperimetttm-lo. So con
la patria Uberi
torniamo , vi ci
terremo • pen sèmpre costanti
amici : ma tali
mai vi saremo , 'se
ci astringerete a servire. Marcio
ne ammirò li
magnanimi M‘q^i , e sciolse
1’ assedio ». D^I/LE ANTICHITÀ RÒMÀNE D I DIONlGI ALICARNASSEO t ■ * ^ ^ . . LIBRO DECIMOQUINTO, . -SUPPl^MENTl E FRAMMENTI. L « IV^EMTAE i GaQi
guerreggiavano Roma, un
priil'» cipe di questi
sfidò qm^lunque de’ Romani
a venire con esso al
paragone dello armi,(i).
Un Marco Valerio
tri- buno proveniente da Valerio
PopUcola’ il quale
insieme con altri ' Uberò
la città dai
tiranni , si fece
innansi pel combattimento. Venuti 'alle
mani,' un ooryo
.si. mise in su. r elmo
di Valerio, sgrid^do
e guardando terribil- mente
il barbaro f e se
mai lo. vedeva
portare de’ colpi sul romano
/ gli si avventava
ora colie unghie
alle (i) Addo di
Roma 4»5. j . ' ; Digilized by
Google 422 .DELLE ANTICHITÀ’
ROMANE guance lacerando , ed ora
col rostro agli'
Occhi , pun- gendo. Tanto che il
Gallo ne andava
fuori di se ,
non potendo trovare come
ribatter 1' emolo
, nè come 'guar- darsi dal corvo
»! ' ' II. « Ma
traendosi la zuffa
in lungo, il'
Gallo fu col ft;rro
sU T altro per
internarglielo coll' impeto
nel seno. Corsogli il
corvo agli occhi
Onde forarglieli, colui
alzò Io scudo a respingerlo
: e tenendolo alzato , il Romano che
ne seguiva 1e
mosse , menò da
basso la spada
, e lo uccise, Camillo
(i) il comandante
lo insigni .con aurea
corona soprapnominaudolo Corvino^
dall’ uccello compagno di
lui nel combattimento
; perocchò li Ro- mani chiamano corvi',
gli oicoelll che
noi coracas chia- miamo. E costui da
quel fatto ebbe
1’ elmo ornato-
di un corvo. In
guisa che qùanti
fecero statue o pitture di
lui , lutti gli acconciarono
sul capo quell’
uccello ». III. « Devastavano
le campagne ricche
di ogni bene... nomini sfìaiti
dalla g^uerra • e simili
ai cadaveri , se non quanto
respiravano . . . Essendo calda
ancora la penero come
dicono dell* ucciso
... Fu vittin»
miseranda del- r
inimicO’Uomo il quale
saziava la iuvidia
sua poi san- gue civile . . . Dispensò tra’
soldati parte de’
vantaggi nè questa la più piccola,'
ma tale* da
sommergéK frà le ricchezze
la inopia dt
ciascùtlo . . . diedero il 'guasto ài
seminati’ già colmi per h
' raccolta tnalmetiando il meglio dellB^ terre
fruttifere »: ' i ■ I • , . . . f I * * * • " ' t ,
(i) Queste Cemitlo
il, quale apparisce ora
aalHaaao'4e& Roma i Uli tìglio
del^ftmoso Furio Csmiflo
morto i6 ano,!
adòiciro. .Au- cb'esso viute
S fugò con ifna
iniigue battaglia i Galli,
tuttavia mo- lesti ai Romani.
Livio lib. 7.
aS. aC. 'Ma
percl^è spesso e molto
danneggiavano i Campani come
iorp' amici (i). Pertanto
-il Senato ro« manò
su le istanze
e lamenti replicati dé’ Campani
.con* tro de* Napoletani
spédi a questi ordinando
che non più nòcessero
ai* sudditi della
repubblica ; ma ne
aves- sero e rendessero ciò ch’
era ^usto -: e
nascendo coih- (roversìe fra
loro, le dJscutesserò
co’gindizj non'cqlle armi , '
secQudo le convenzioni
che ne farcbbono
: del resto mantenessero la
pace con lutti
ìnlornó i popoli , non
corseggiassero il mare
Tirreno né tentassero
eséi per sé nè
.cooperassero con altri
imprese disdicevoli ai Greci.
Soprattutto istmi, gli
.ambasciadori che ’ cer- cassero , Se venivano
il destro , di alienare
co’ bei modi verso
de’ potenti la
loro città dai
Sanniti , e renderla amica
di Roma. ' , . y.
Ti-òvavansi di quel
tempo (a) in
Napoli come ambasciadori di
Tatanto uomini rispettabili , e , po’ li- gami
del. sangue, ospiti antichi
di que’ cittadini: ma por
altri ,vi si
trovavano inviativi da’ Nolani , cooSuanti dei Napoletani, e tutti
dediti' ai Greci,
i quali vi brigavano in
contrario onde non
copcórdassero co’ Ifomani
nè co' sudditi di
essi) nè lasciassero'
l' amicizia verso dei Sanniti.
'Che .se r Romani
set pigliassero a pretesto di
guerra { rton temessero
, nè invilissero , come in^ su^rabile
rie fosse la
forza ; ma, perseverassero , e combattessero come i
jbraoi Grecf., confidando-
sù le - » (i) Manca
il principio dj
questo raccolto: puj>
coninliar^i Livio nel lib. 8
, c. aa.
Questo 'pangrafo e tutto il
resto del libto 'sono Frammenti veri
dei libri perduti
delle aatichità di
Dionigi.* . (a) Anno
di Aoina 497. Digilized by
Google /^24' DELLE antichità’
ROMANE schiere proprie ^ e su
le ausiìiane^ che
verrehhono dai Sanniti. Riceverebbero
se ne abbisognavano
, pià delle loro, le
forte , navali dà' TaretUim , le
quali eran tanUs e. si,
buone. VI. Adunato il.
Sanato, e tenutivi molti
dlsconi dai legati « loro
fautori , vi si divisero
i senbmenti : ma li piu
autorevoli parfianO tenerla
' pe’ Romani. Non
fecesi per quel giorno
decréto alcuno , ma
riserbato per, altra sessìonè l’esame
intorno ai legati;
recaronsi a Napoli in folla'
i primarj de’ Sanniti.
Or quésti * Conciliandosi con ossequióse manio:e
i capi del comune-,
pregarono il Senato a far
si che decidesse
il popolo dell’,
utile pub» blico. Quindi
recandosene all’ adunanza , vi
ricordarono i loro benefizj , poi
vi fecero le
mille - accuse di
Roma come di una
ingannevole e perfida : e finalntente pro- misero- le meraviglie
ai Napoletani se
deliberavann per la guerra:
vale a dire che
mauderèbbero loro. milizie , quante
ne bisognassero ‘ per
difender le ptura
, come Tarmata e 4utta la
ciurma per le
na#I. Davano insieme a vedere che
subirebbero tutte’ le
speso guerra non solo
pe’ soldati proprj , m»
pe’ loro.; che
respinto T .e- sercito romano
■ ricupererebbero ,Cuma ,-
occupata dai Campani, erano
già due generazioni
{i), .cén esdnderM gli
abitanti : che renderebbero
la patria ai
Cumani , accolti , quando U perderono
, dai Napoletani , e fatti
partecipi di ogni
lor bene: che
'darebbero ai Napoletani un
trat^ assai grande
del territorio che
tenevasi dai Catppihi. , - , ' r ' , vn. Ih
mezzo a .tal dire,
la parte calcolatrice
dei (i)'Auno di Roma
335. Digitized by Google - . LIBRO XV. .
4^5 Ntpoletani , la quale vedea
da' .lontano i mali
xhe ver* rri>bero colle
battaglie, su la
città , dimandava che ai
conservasse la ^ace:
ma' la parte amante
di :cose nuove ^Ja
quale cercava insieme
un. mezsp .
arricchire nelle ttsbolenze lanciavasi
verso le guerra:
'Pertanto, elevafonsi a
vicenda e -voci e mani
; procedendo la contesa
fino al tiro delsàss).
Alfine prevalendo il. partito
men buono, gli. oratori
di Roma dovettero
tornarsene senza Tintento. Dond’^è che
il" Senato romano
.decreti^ 'd’ inviare un eseacito
contro de’ Napoletani. . , ' .Vln.
1 Romani all’ udire
5^10 i Sanniti apprestavano un esercito,
vi spedirono prima
Rmbasciadori.(i). E di essi quelli
eh’ erano scelti dell’ ordine .. senatorio
venuti ai consiglieri de’ Sanniti
dissero: Voi fatfi
ÌQgiustamonte o Sanniti
violando i p'attati cha
ovate con noi
con^ cordato. Amici vi
eijt^nete di nome ,
nemici che ne siete
di fattL Vìnti,
voi da Romani
in tanti condtat» timenti, sciolti
per le istanze
vostre caldissime dalla • f . . ' guerra j oiténuta
la pace come
la volevate' ^ e desi- derosi poi di
essere gli amici
e gli alleati di
Roma; giuraste, alfine, di
avere amici e nemici
quelli appvinto che per
tali riconosceva la
nostra repubblica. ^ IX. Ed
ora immemori di
tutto questo , e fin
posti in non cale i
, giuramenti , avete abbandonato
noi nella jguerra co'
Latini e ci>i Volsci,,cpn
que’ pòpoli io dioOf
che sono divenuti
nemici nostri appunto
per voi , perchè avevamo noi
ricusqtò di unirci
con essi net dare a
wi guerra. JE
nelt anno. J precedente voi avete 'istigato con
tutta la premura
e f ardore , anzi (1) Addo
di Roma 4’8. Digilized by
Coogk 4? 6 DELLE antichità’ ROMANE. voi. avete necessitato
i Napoletani che temevano
far- lo , a prendere. contro
noi la guerra^
e voi ne sup- plite'le
spese : voi la
loro città ven
tenete. Ed ora tutti
intenti ad apparecchiarvi raccogliete
d' ogn in- torno milizie ,>
coh pretesto , come
pare , innocente , ma: in
realtà con disegno
di guidarle contro' i nostri cotoni. Ed a
tanta ingiustizia invitate
i .Fdndiani e i Formiqni' ed altri,
i (fuaii abbiamo no,i
pOr^^iato ne' diritti ai
nostri cittadini. X.‘ Or
'voi profanando così
scopertamente 9 turpe- mente i
trattati 'di amicizia
e di alleanza ; il
Senato ed il popolo
romano^ deliberarono di
spedirvi amba- sciadori , e iperitnentai'vi colle
parole , innanzi di procedere
ai' fatti. E queste
sono le cose
che ami tutto vi
dimandiamo, queste quelle,
ottenute le quali, crederemo soddisfatti
i nostri risentimertti : Chiediamo primieramente che
ritiriate, le truppe 'inviate in
soc- corso ai Napoletani:,^ e poi
che non mandiate
milizie condro i nostri' coloni
, nè provochiate- affatto
i sud- diti nostri a voglie ambiziose.
Che se dite
che tali cose non
piacciono a tutti fra
voi , ma- che le
fitnno alcuni solamente contro
il ‘votò comune;
cónsegHàteci dunque voi questi
perchè ne giudichiamo
, 0 cen ter- remo contenti: ma
se non gli
avremo noi tjuesti
nelle mani j né prenderemo
in ) testimonia i Numi
, ed i Genj invocati
da voi -nel
giurare i trattati ; e pSrciò siam qua
venuti co* Eeciali.
' • • r • XI: Dòpo H parlar
del romano consaìlatisl
infra loro quei capi
de’ Sanniti diedero*
questa risposta : Non
è già colpa del
comune che i nostri
sussidj giungessero
Digitized by Google •LIBRO
XV. 4^7 a poi tardi
per Ut guerra
'cóntro i Latini, Imperocché si
era appunto decretato
che questi a voi
s’ inviasse- ro : ma i capitani assai
' s’ irtdugiOrono nell
àppre- starveli ; come voi
troppo vi acceleraste
a dar la battaglia ] e coti
giunsero quelli tre o
Quattro giorni dopo il
bisogno.'' Jiispetto' a
Napoli poi -dove sono alquanti, de 'nostri , tanto siamo
lantàni dcUt oltrag- giarvi soccorrendola in
qualche fnodo mentre
perico- ' la-; che
noi pensiamo di 'essere'
piuttosto gli oltrag- giati e gravemente da
voi. Foi, tutto
che non òjfesi, v'
adoperale a soggiogare questa
città , confederata ed amica nostra
non già da
poco , né d^
allora che con voi ci concordammo
, ma da due
generaeioni en>antS , e per
grandi e copiosi ben^tij
ricevutine. XII. .Tuttavia non é
la comun
dei Sanniti che
of- fendavi nepimeno in questo
; imperocché di propria voglia ìóccorpono
Napoli , come udiamo , alcuni
no- stri , ospiti ed amici
loro , o stipendiati , per
la in- di^nta’fbrse del
vivere. Nè abbiam
poi bisogno di staccare
da voi' li
sudditi yostri ; imperocché
senza que’ di Fondi , ^ e . li Formiesi , noi , necessitati
alla guerra , bastiamo a noi
■ stessi. -Apparecchiamo un esercito- non per
levare: a^ yostri colorii
le còse loro ;
ma per
difendere le nostre
propriamente. A vicenda noi dimandiamo
da voi j se -volete
far la giustizia, che partiate
da Fregelli , città da "
noi conquistata tanto priiHa
col mezzo delle
armi, che è mezzo
di- rittissimo di possedere ; e voi
sera alcun titolo
ve t avete , già sono
due- anni , ' appropriata. ' Or
tali Digilized by Google 428
DELLE Antichità^, romane cose
ci si concedano
> nè crederemo di , essere
stati oltraggiati. . • XUI. Allora»
subentrando 'al discorso il
Pedale Ro- mano , ripigliò : Niente
impedisce che violando
voi così manifestamente i trattati
di pacOy i Bomani
pas- sino alle armi : nè
già ponete lepnerUarvi
di essi , ma de'
non- sani vostri
consigli. Ornai da
loro si è /atto
qtuuUo doveàsi per
.le leggi rsacre
e civili della patria , o di pio
verso i Numi , o di giusto
verso i mortali. Gli
Dei che per
sorte soprawegliano alla guerra,
giudicheranno tfuale de
due popoli osservasse i tràttati. £/
qpi recatosi in
atto di partire
, e tiratosi al capo il
lembo onde cingevasi
gli omeri , .alzò come era
il costume j le
mani' al cielo , orando don.
impreca- zione gl' Iddii : che
se Roma ingiuriata
da Sarmio , non
potendo riaversi dalla,
ingiuria cotle jrsfrole
e co' tribunali ^ procedeva
finabnerite alle operé
, U dessero per la
mente ctmsigU bùqni,.
e. condotta, pro- pizia per la
guerra. Afa se
in opposito Rorna
ìrà- scurando i legami santi
delV amicizia,' accattava pre- testi non giusti
onde romperla , -.non la
dirigessero 0 ne consigli o ftelle
opere. XIV. Levatisi gli
uni e gli altri
dal .colloquio ; e di- chiarate alle loro
città le CMe
disputatevi ; dascuno dei due
popoli pensò molto
diversamente su Tabro.
I San- niti come £an essi
quando iqtprendon la
guerra , te- ndano per lent^
assai |e operazioni
de’ Romani; laddove 1 Romani immaginavano
rannata di Sannio. ornai
pros- sima a . piombare ^u i*
Fregèllaui’, loro còloni.
Donde ne avvenne a ciascuno
ciocché erane consentaneo:
Imperocché li primi,
apparecchiandosi e
indugiandosi ro- vinarono la opportunità
’d^ imprendere : per
T opposito i Romani tenendo tutto
pronto , udita appena la
risponsóli. E prima che i
nemici ne udissero la
marcia; tanto le
milizie reclutate V , ‘ i. ' • '
. - ' • ■ , DELLE • • , ^ f » * ANTICHITÀ romane DIONIGI ALIGARNASSEO LIBRO DEGIMOSESTO! r SUPPLEMEÌTTI E FRAMMENTI. / . ■ * ' ■ r ' ' -non. di»:etidere in teiTa
, ma .dalla terra
elevarsi. Imperocché nell’
e^ero stan le sorgenti
del fuoco divino
». II. a Ciò che
si dimo^ra pel
fuora .nostro sia
che lo abbiam 'da. Prometeo
, sia che da
Vulcano. Impe^ rocché quando
è sciolto da’ vincoli
pe’ quali è necessi- uto a»
rimanere fra noi , corre
subitamente per 1’
aria verso 1* altro
fuoco , suo connaturale, ed Q
quale doge d’interno' tutta la
natura del mondo^
Cosi donque l’al.
■■ l6- e Livio
più dislesamente nel
lib. 9. i5. (3)
Il tratto aegnenic
sembra parte della
ri^tosia di Poaaio
ai- rinviato de’ Romani. 4
Digitized by Google 4^2
DELLE Antichità’ /Romane neUe
guerre han ■perduto
i jìgti, quanti i fraleìli, e quanti gli
amici? Ne’> quali
tutti come pensi
che dee traboccatne la
bile ^ se alcuno
' gf impedisca placare ^ue'
morti eoa tante
vite di nemici
le quali sole
son credute un ossequio
in verso gU
estinti ì, V. '«
Ma supponiamo che
•persuasi, o forzali^ o per qualunque maniera
vinti mi si
arrendano , e contxdano che
questi continuino tìi
vita, or ti
pare, che sian
per cqnce'dere'che ritengano insieme
ogni lor cesa,
q sema pur neo di
vergogna' se ne
vadano quando, a tbr
pia» ce , 'quasi eroi . qui
apparsi per felicitàrne
? O non piuttosto
sopravvenendomi j quasi fiere,
mi sbranereb- bero appena tentassi
dit questo? O non
vedi come i cani
da caccia quando
è presa la fiera
la qual chiusa dà
essi va nella
rete , circondano il ceuciatort , chie- dendo parte della
preda ? e se non
ottengono bttntosto il sangue
o le viscere , non yédi
come lo sieguonó , e pressano, e malmenano,
nè. respinti sèn
pdrtono , nè percossi ? » » • , ■
■ VI. ... « Faticarono tuUo'il
di cotnbaltendd, ma^i che
le ombre tobero
di rafhgurare gii
amici e i nemici, tornarono a proprj
alloggiamenti . . . Appio Gaudio
non so per qual
mancanza intorno de*
sagrifizj perdé la vi-
sta, e ne fu denominato ->^f£'eco ; 'perocché
li' Romani cosi chiamano chi
non vede ^ ^ . le
scritluce' custodite tra 1 murs
(i) , formate con lettere/
accuratissime , odo'- rifere per lo misto
in che sono,
presentano tal iloridez* (t)
È diifieite iotarpetrare dove
miri «iitesio rottame.-
Fn detto che alle
«nti Freoettine'. * . • LIBRO,
tVl. ,• i 4^3 u . ^ . I RonUuii ckUmaQO
calende' le ncòmeaie
. come * none dtiamano
la' mezza IbQa , ed
idi il pleoiluaio.
» VII. « Era*. la falange
nel rnsAZO disgiunta
ié. mal piena : cori
quelli che ivi
erano disposti id
òontrario, le furono sopra,
e ne 'respinsero
i>coDÒfc|auenli l’'iaosa, guàra
aitàccò tutto il
fiore dc^ cita Uomini
sacerdoti , onorati Co’ sacri -minirieii'. Quest’ uomo
pien di trasporti
senza consiglro, insolen> tissimo , deliberando e ctmcentrando in
sé tutti i poteri per
la guerra E poi
tu ardisci di
accusare ia sorte, turche
la usavi pessimarnente, postola
su barca già rovesciata
? Così eri stolto
? \ , .^jilcuni i membri
abbisognano di cura,
e tali altri cicalritzcmdosene .> . « ■VQt (i)
Ma vo’ ricordare ancora
un’ arion' dvile -de* gna
degli «noom) di
tutti i mortali , dalla iquale
sia chiaro ai .Greci
quanto Roma ' allora abborrisse
soellerati , e come fosse
inesorabile contro chi
viola i diritti comuni della
natura. |Ca jo Letorìo
soprannominato Mergo , uomo
illtutre pe’^ natali , , còme >non
ignobile per le'
belliche imprese ;
dichiarato trìbW>' militare*
nefia 'guetta -San- nitica^ Ittsiqgò
per un tempo
un giovinetto^ sub
came- rata , vago più eh’
altri di aspetto
, perchè rendere si volesse
agli amorosi diletti
di- lui (a).
Ma perchè noi guadagnava cb’'donl , uè
còlle gentili maniere,*
ornai più non bastando
a sesiesM , cpr§e alla violen^.
Divulgato- sene il disordine tra
le miliziè ,, i
tribuni • della plebe y « ; V » ' ' - (i) Qoaoto
Si«go»Ja questo .libro , er^etlaato. it*
paragrafo lO'A lutto frammenti.
. . ^ *• * V > (r) Anno
di Roma 4^, .
• . > PÌONIGI, lama 111. .
1 ' , . U 4^ DELLE Antichità’
romane • ripuUQ^Io oltraggiò comune
della {repubblica , me
die» dero .accusa .pubblica
al reo-, cpudannatone
quindi dal .popolò a Qiorte
eoo voti pieqi.
Peroécbè non tollerò questo ebe
uomini di grado
,nell',;fsercilo profanassero
con ingiurie ‘ùmpìabili e contrarie
ali^ -natura Tirile, ' persone -iagentté, mentre
esse per la
libertà’ co njballe-; vano (i)i
.• ... . - ' IX.
.Se non che
non molto prima -di
questo fece^ttn’ opera ‘ aaeor
piò tp^evigliosa per T
ingiuria recata ad un
altra persona, quantunque
servile. Il (àglio
di PubKo,io dico t di
uno di que’
tribuni milUari che
umiliarono ai Sanniti l’ esercito
e n& andarono, sotto
giogo , fa co- stiletto, come
lasciato iir grave
pénuria, a ter -danari ad usura
pe’ funerali del padre ,- ^qtfasi ch%
sarebbene quanto prima rilegato
da’ parenti.' Ma
deinsò nelle sue speranze,
e scadutone il termine {vfa
présir'egU Stesso pel: debito, giovinetto
èòm’ era. e vaghissimo
nc’ sem- (t) Valtrìo
Masshiro pirla di
a( capo' primo ' ' ' ' ^ Le deecrjsione
qui «ecala b l' una' de’ tram meati
de’ libri per- doti-di Oiop^i.
,II'£|ito fi narra
pur aél compendio
in. tal modo: Ua
tal Romano^, Cajo
Leutrio , intUleva cpn un
giovine , suo eu- merata,
ond’ avir tUo diletto
da lui y vago
della persona. 'Ma
non essendo il giovane
goodagnalq nb per
doni v né pér
eavetse , alta Jiite divalgato
il disordine dell’uomo,
i tribuni lo condannaranò . ‘-'IXdnigi ,
’Oòm'Vne'^reaiaieoii , leone per ciseostinta
gravissima del fitto la
vipleoia, usala in noe
dg Letorio : -Se
cglf compendiava sè atess >Ta
le carni ^acci&ct^
appena-^ si'riseajtooo e ' commoTOusi ifid
tanto eh*. gli «piriti . nalnrali di
esse yio* lentano i p.ori , e $i dissipa'no.
Questa •>, pur la
cagione de’ terremolwià Roma.
Conciossiaché tutta vuota
di setto per grandi
e contiqùatl canali pe’
quali conducesi T afana tien
m'ohe sflatatoje^ per
le quali sen.esca.il
vento rio- r.hiusovit ma.
quando il vento 'rimastovi prigiohiero
' sia troppo e veemente^ questo^
somioove' Roriù e rompene il
suolo (a), a •' ;
. (iX Si^ consenta in
generata ani liplo
rfi qi|eSto, giATÌnetto : ma
si discorda autonome, su la famìglia',
e sul ten^)0. Valerio' Massimo nel lihA ^
lo chiama *fity
Vetório figlto noa
di Pubblio ma
di quel Tito Veturio
che net aifq
consolato fu dato
ai Saooiti (lal.
cfattaio obbrobrioso
coocluso con essi.
7(10 Livio chiama
it giovine Cajo Publicio, ed
assegna il fauo
all’ anqo .'4^7
di lioma aolto
i oontoli C. Poeleliu fc
Lucjo Pepino, vispi
4irùclusa la pace
co’ Romani , soprastettero breve'
tempo i Saiteiti, e poi,, stimolati
dà un* antiéa
ingiuria, mar* ' ciaróno coll'
armata tra i Lucani,'
loro cónfinauti. Questi affidati da
principio 'alle forze
proprie sosienner la
guér* ra : ma- pòi vinti
in tutte le
battaglie, pelòta gran parte
del territorio , e già prossimi
» perdere^ anche il resto , si
videro necessitali ad
implorare rajuto- di
Roma» J£ quantunque' consapevoli
a sestessi di aver
tradito i patti cdnclusi
Uria volta con
lei di antiòizia
e di allean- zaf non-
disperSròne ch^ concorderebbe
di nuovo, se le
inviassero in ostaggio
insibme òon gli
oratori 'i giovinetti più rignardèvoti
di tutta la
repubblica loro. ■ XU.
Qr questo appunto
ne seguitò. Perciocché
Ve- nutivi gli oratori^ e supplicandovi ca^dissimamente ; il Senato deliberò
di- ricever gli ostaggi
e render^ ai -Lo* cani r amicizia;
ed il popolo
né comprovò- la sentenza. Firmati gii
accordi con- gl'
inviati de'Lh'cani , il Senato elesse
i più provetti per
anni è per onori
^ e li diresse ambasciadori al
consiglio' generale dèi Sanniti;
affinchè dichiarassero 'ad
èssi che ‘i
Luoùni erano git
amici , e gli alleati
.di Bontà , e gli esortassero
a render lóro le terre
usurpatene , nè più
tramarli ostilmente : già non
permetterebbe la repubblica' che alleati
suoi che a ' lei ricorret'àna , rinutnessero esclusi , dal
proprio, territorio. ... • tata
levar tutu levando,
i oaneli. Pìi( volentieri
diremo che le
mosee de' venti ttnterranei seno
éfletlo 4ie'unemoti ausi
che la- priout eafione. * (t) Anno di
Roo» 4^6. Digitized by
Google UBBO XVI, 4^7 , . XIII.
I Sanniti
gli mnbasciadcwi incollerìrono
e replicarono primicramentò ; che
i trattati di pace
non erano Jdtt} 'Con
accordo 'che essi
-non mossero per. amico;
o , nemicò se /ton
^quello che -assegnassero
• loro per tale i Romani
i Appresso , che i Romàni
~s' avje- vano renàuto
amici i Lficani non
già in antico,
ma di recerite quand'
erano questi già
inoolli- nella ~^guerra co' ^Sanniti ; oh A
è che non avevano-
titolo nè, giusto nè
decoroso per- romperla
co' Sanniti Risposero
i Ro- tofiixì'.'che. coloro i quaU
avevano promesso di
soggia- cere, ottenendo appuntò con
ciò- la pace,
dovevano obbedire in tutto,
a chi presedeva.; '.e
minacciavano in caso contrario
di portare sa
essi la guerra.
I 3aimiù ripuianjlo
intollerabile |a ptresunaione
di Roma intima- roflo
agli ambasciadori cht
partiasero su. T istante
; e de- ntarono che sL apparecchiasse spianto
bisognava per la guerra
di tutta .1» fazione,
e di ogni citti^^^
^ XrV. Pèrtanto' la ; cigìon
manifesta, nè ingloriosa
a" raccontarla ,. della guerra
Sanuiliea , fu .la voglia
di soc- Q>rrere i Lucani
caccòmmuidatisi a Roma quasi fosse già
pubblico e^ vecchio
costume * di essa
^difendere gli oppressi, che la
invocavano: ma la
oagion recondiu., e che
più \li sospinse
a romper la pace ,
era la
potenza Saimitica, divenuta già
grande, e la qnal$' crescerebhene ancora, se
domati i.l,ucani ed i
confinanti di questi
si volgessero ad essi
anche le barbare
genti .che stayansf appresso. Cosi
tornati appena gli
ambasciadori la pace fu
rotta , e sì àfrolarono
due armate. XV. Postumio
già console , ■ venuta
1* oca di
esserlo DELLE AJWICHITa’ ROMANE ii«vatneiue - ( i ) , teniasi grande
per to splendor
de*’na- taii , come pel gemino
consdato» Doleasene sa
ie prime il collega
di Ini quasi
escluso' daU’ essergli
Uguale, e più volle ne
fece 'in Senato rimostranxa.
Alfine qUah plebeo venuto
in luce da
poco, riconosoendosegli'
mìAore per gli antenati,
per gli amici,
e per àltre eccellènze,
.n'mi* liossegli , e gli
concedette di per
si stesso il
comandò della guerra Sanuitica.
Diede grande invidia
aPostumio un tal fatto,
come nato dalla
media arroganza sua';
ma poi glien ' diede
un altN , ancona più
indegno di un duce
-Romano. linperoccbè separali
due mila' difi
esercito suo li ridusse
nelle campagne sue
proprie' senza i fèrri con
ordine l'nsieme ebe
potassero "un qùerceto,
leneu- doK gran tempo
in òpere ài
mercenari e dà schiavi. XVI.
E superbo tanto ^ prima
di Uscire |Kr
la s|>è- dizione, apparve,
più InioUeraUle ancora nel
compierla; dando al Senato
ed al popolo
catise* giustissime òndè r abborrissero. E ceno,
• avendo. i| Senato
definitó'che Fabio il console-
dell’ àttnò precedente,
il quale area
vinto i Sanniti cbiamali' ’FeHtri'{i)
si- rimanesse nei
campo .con aniorità proconsolare
per guefreg^are con-
la parte stessa de' Sanniti,
^gli.oon ieiterrs(ia' gl'
intimò di par* tirne
, come spettasse e lui
sólo còmaudarvi.- Spedirono i
FUdtì'a ^chiederlo ebe
non impedisse al
proconsole di stTtre, nè
ripugnaste 'ài loro decreti;
ed 'agli non
diede se nOn. òrgegboae
e* tiranne rlsposfe,
dicèndó:*cAe fin- (■) Anno
(li Roma ' (a)
Aocbe Litio fa
mauaionè di quelli
SaoaÌM : nondimeau Cla- tetio
li tralatoia Della
ina Italia antica. Digitized by
Google LIBRO xn. 43 a . . > . IV.*-* beticippe
IvaocdeaiOBe-ìùteyVÓgÀido
l’oracolo, dove portaste il
destino * che egli
cc/’^stiei '‘prendessero tede, né
ascoltò chè dovessero
Aavìgare-AllMuiia, «divi (i) Caprifico,
fico «ilvcstfe. La
voce greca tigoifica
ca'pro e pr«s$o .glcuui popoli
caprifico. Quindi P ambiguiii
d* iulerprcUrc la voce
per capro o-
capritico. ^ Digilized by
Google LÌfiRO XVII. • 443 ahbìtàre dove
approdati rimanessero un 'giorno
ed una notte. Approdata
la flotta intorno
di Gallipoli 'in un tal
campo de^T^renlinì, dilelliito'Leacippo della
aalbra del luogo , operò
coi Tarenlini .afllnchè
gli isonCedessero di stanisi
ii giorno e la
notte. ^ Cosi passatine
più giorni ; voleano
' i ^Tarentini che ne
partissero ì -ma colui
noti ditd^ lor mente,
dicendo che secondò
^li accordi uvea iU
loì^ quel tUoigo
pel giorno e per
la notte", e però sino
a Umto^che fosse o furio
o f altra non se
ne parti- rebbe.'I Taréalini
vistisi, nell’ inganno,'
coQsentirono che rimanessero (ì). »
> > ' 'V. u I Looresi popolando
Zefirio (3) , «Ina
punta d’ Itali»; ne
flirtino soprannominati' Epizeflrii
.X. . Stav tniropo. che
rimanesse nel hiogo
in che era , soste- nendone la ^ecn.
che ne derivava
.«. furono dissipati tra
selve e valli e ripidezze,
s Vi. « Un TarentiOo,
uomo empio, e deditO/-à
tatti i piaderf p«* la
incpntinenztr e
prostituzione' della Sua bellezza
fln'da ^ovinetto / ne' iu
nominato Taide . . . . Fatta
ià' scelta dal popolò
erano'' partiti .... Vilissimi e petulaaUssìml tra*
cinadini.' » ■ • VII.' (3)
Fu Postumio spedito
ambàsciadore ai Ta- rentinr
: ma' facendovr rimostranza
; questi non-T iitte> sero , nò ' pigliaronp
il contegno de’
saVf i quali -òòmuliino su là
patria che pericola
: anzi , se nieoiotavitno mai
che cóldi non parlava
accuratissimo il greco
'Idioola , ve! (1) Siraboàs
pel libro setto- dà
questo '«Sdetiaid racconto per la
origine di Melapoalo.
■ ^ ‘ r (a) Cosi detto
perebà risolte al
vento Ztflro ciot
di Ponente. (3) Questo
e li tre paragrafi
srgoenti tono frammenti.
- Digitized by Googlc 444
DELLE Antichità’ romane deridevano , ed elevando
1i;m le mani o
la voce
, se ne irritavano, e barbaro
lo chiamarono; jtantt>
che 1q espul- sero infine .dal
teatro (i). E già
costui m ne andava co’ suoi, quandd
per istrada si
avvenne con essi ,.
Fi- lopide , un accattone
(a) di Tasanto
il ' quale sopran-j nomina vasi
Colila dalF uso
che avea, ‘continyo di
bria> carsi. Caldo del
vino, ancora del
di precedente , come ebbe vicini
i Romani , si tirò su la veste
: e scompó- stosi in atto indegnissimo
da «vederlo , sbrufTè sul
manto sacro de’ Legati
ciocché non. pttò
nominarsi ' nemmeno con decenza.
, , Vili. Scoppiatene da
tutto '3 teatro
le .visa', e sbat- tendoglisi per
fino- le mani
da' più protervi ,-
EoStumio riguardandolo disse : accettiamo
o tvtissimo uomo / au- gurio
: giacché ci date
fin le cose
che nòn chiedi/ama. Poi rivoltosi
alla moltitndine ,■
mostratovi contaminato il suo
manto , e sentitevi
uuiversaliN aucora 'e
più, grandi le risa,
anzi le voci
nemmeno , di àlcUni
che'sen compia- cevano , e
lodavansi, della contutUelid
: -ridete f disse , finché
V é dato ; ridete, pure o
"Tarenùni ; ehè assai ne
sospirerete dii j>oi.
Fremendo alquanti 'alla minaccia iò
; replicava , perchè pià
Jremiale vi aggungo
; che assai laverete col
sangue :quesUi , mia Cosi
spre- giati dai 'prijvati e(kl
pubblico, e tosi •pcoaunziatp quasi come
un vaticinio divino
, su loro / sciolsero
,d legati dal porto
dà Taranto. „ ' . • v ' * « ^ ' IX. Giunti
questi sotto Emilio
fiarbula magisti^to (i) Aono
di Roma al Altri-
alla idea-dj acoattone- soatitaiacono quella
*di od aomo brflardo
t garrulo , ellione de** Lucani
e de* Bruzj ‘j e
finch’ era' indomita la' nazione' grande le
bellicosa de* Sanniti
, e 1* altra 'de* questi
son fatti a\dar
buoni auguri , a chi cerca
mantenne i beni pri>prii.
Ma. chi cerca r altra!,
spii queiU augnrf
da uccelli di
pronto e rapido impeto
per lontauT Via^.
Ginciossiaché questi uccelli sieguooo
e pcocacciansi ciò che
nbn hanno : ma gli
altri guardano e''cnstodiscòno ciò
saltité ». ■Pormi
sa- viezza mandar’ lettere
di minàcce aC sudditi:
ma vi&t pendere come
uomini da pocoro
da nulla- Uomini dei quali
non siansi considerate
le milizie -nò
conosciuto il valore , questo
è indizio di forsennato
, o di chi non sa
ciò che è senno.
3Ia noi sogliamo
punire i nemici co
folti , non,, colle
parole. Nè fàteiamo
te giudice de’ nostri
richiami co’ Tapentùti , oo’ Sanniti
, e con altri: nè
prendiam te garante- dà
far valere ciò che
tu . giudichi. Decideremo
colle armi nostre
la di- sputa pigliandone la
pena che ne
vohemo.- Su tali 'notizie . apparecchiati come
nimico ^ noa come
giudice nostro ». - , » ' XVIII. « Vagli
poi considerare quali
’ garanti ne darai per
te da soddisfare
le ingiurie >che
tu ci fai :
non ricevere a carico
tuo che nè^ farentim . né
sdtri nemici opprimeranno i diritti.
Se luti deliberato
di int- prendere per ogni
rqdnierà la. guerra' contro di
nói , tieni certo
che^ti succederà dò
Se di ^ 'necessità
suc- cede a chi vuole combattere
innanzi di, aver
ponde- ralo con’ chi sia-
per .combatterò. 'Abbi 'tutto
in pen- siero , e poi se
cosa ti bisogna
da noi, aìlo'ntàna- le minacce , pon
già. quella tua
regia fierezza V vieni
al Senato , informalo ,,
persuadilo uè' vedrai -mtuteanS non 'il tjlirilto,
e non £ equità a. V
i'»9 • DELtE ' ANTICHITÀ ROMANE n I DIONIGI ALICARNASSEO > • J . ' LIBRO DECIMOTTAVO.
. SUPPLEMENTI E FRAMMENTI.
I. « JLìevino console
ramano (i), preso
un esploratore «li Puro
(e prendorfe alle
sue. milizie le
armi e schie>r rarsì : poi
mostratone a lui lo
spettacolo gl’ impose
di riferirne a cbv lo
mandava, tutta la
verità : e che oltre le
cose vedute dicesse
che Levino il
console de’Komani lo ammoniva
a -non inviare occultamente ‘altri per
os- servare : venisse egli 'e
vede^ palesissipiameate, e spe* rimenlasse ciò
che-gian Tarmi romane
». (■) Addo (li
Roma. 474- n/ÓJV/C/. lówà III. '
' '>9 Digitize(j by Google 45o
DELLE antichità’ ROMANE IT.
« Ua tal Oblaco,
loprannominato.VuUinlo, dace
de'Fereatani, al vedere
che Pirro non
avea posto certo, ma
presentavasi rapido dòvuoqnc.
.tra’ soldati , diresse r
attenzione . a.' lui solo : e dove'
che ,ne andasse
il re cavalcando , ivi piegava
anch’ esso il
proprio cavallo. '
Osservando 'ciò Leonnato
di Macedonia figlio
di Leo- fante , .l’nno de*
compagni del re,
se ne empi di so- spetto, e scoprendolo a Pirro
disse fvMarortaro(^o. Dopo
quell’ incontro il
monarca afEne fidisstihó e valorosissimo fra’
coin|>kgni la da* mide
sua di porpora
e di Oro usata
da Ibi. nel
com- battere, c l’armatura, migliore delle
altre per la
materia e pei 'tavqro , ed Segii
prese la clamide
bruna , e 1’ u- sbergo
e la causia colla
quale , Megacle difendeva
il capo dagli ardori.
E questo fu cagione , sembra , a lui dj
salute a. ‘V. (i).
Dopo (Jbe Pirro
signore degli Epiroti
aveva portato r esercito contro
- ai Romani , deliberarono spe* dirgli
ambasdadoH pel- riscatto
de'^rigiouieri , sia che colui volesse'
restituirii'cambiandoli, sia che
tassando un prezzo per
ciascuuo di essi
(a). Pertanto dichiararono ambasciadori' Cajo Fabrizio
, il quale gii
console , ad- dietro da tre
anni , vinte i Sanniti , i
Lucani , i Bruzj con strepitose
battaglie , e disciolse 1’
assedio ‘di Turi , e Quinto Etnilio
il quale éelTega
un tempo di
Fabrizio fece la guerht
co’ Tircehi«, è Pdbiio
Cornelio il quale gii
console addiètrct da
quattré' atini atuccò
^utti i Galli chiamati
Scnoni, nenvcilsfmi'de’^omani, 'e 'mitene a 61
di spada tutù
gli adulti.' VI. Venuti
quésti a Pirro , e
-discorsogli qninto concerneva il
subjelto , come la
sorte non Imttoposta a calcoli , corno repentini
sOno *i eangiamenti
fra le ar- mi, e .come niun
può' di leggieri antivederne
il futbro; proposera a- lui
che sceglieste dì
rendere i -prigionieri a
p-szzo o permuta. . . • ’ * • ' • - •■ * • (t)
Anno di Roma
47S. ' ( ' 001101 rispose
: jirduo cimento è il
vostror o Romani , . che
ricusate can^iungervi meco di
aiaicieia , e richied/ete i vostri prigionieri da
usarli in altre' battaglie in
mio.dannoi Voi se desiderate
il bene., se intenti siete
tdX utile comune a noi
due ; pacificatevi con
me , e ee’ miei confederati, e ripigliatevi gratuitamente
1 vostri pri- gionieri, alleati,,
0 cittadini che sieno.
In altra moda non
soffrirò che vi
abbiate un' altra
volta- tanti, Je ^ tanto
valorosi. Corì disse
presenti i tre 'legéti
, ma poi prendendo Pabrizio
in disparte soggiunse:, Vili. Odo o
Fabrizio che tu
se prestantissimo nel guidare
una guerra, che
se’ giusto, e sobbrio
e pieno d’^ogni virtù, dell’
uomo privato , ma
che intanto sei povero
di sostanze, e depresso
in ciò solò
dalfis sor- te ; onde noli
vivi tù eoa
più agio cher . gV
infimi se- natóri. Ora io
volendo sollevarti anche
in ciò, ti af-
ferò tanta quantità di
argento e di oro
da superarne il più
facoltoso tra’ Romìmi.
Imperocché io reputo liberalità bellissima. , e degna di
citi presiede , be- neficare i valentuomini i ‘ qiysli . per , la povertà
non vivono con dignità
de’ lor^ genj
bennati, e- questi io reputo
doni, questi monunten{i
luminosi per /una re-: già
potenza. ' , IX. Or tu vedendo
'0 Fabrizio il, voler
mio, lascia ógni verecondia
', vieni ,a
parte de’ miei
beni ; e con- cepisci che mi
farai piacer grande,
. . e. che sarai presso
me riverito come
un amico , o un,
congiunto , o certo coni
uno degli ospiti
più onorevoli. Nè già
per questo mi
dovrai tu p/eslare
l’ opera tha in
cose LIBRO' xvnì.
4'^^ non giuste, o non
degne, md in
coj& onde tu
ne sia piti stimabile
e grande ancora nella
tua patria. E primieramente pròvecherai
spianto puoi perchè
faccia la pace 'cotesto
tu& Senato , fin qui
duro , e privo di niodprati
contigli. Dirai che
ia venni in
danno' di Roma promettendo
soccorrere i Tarentini ed
altri d' Italia : che
ora non sarebbe
giusto, , né decoroso che gli
cdibandonassi io presente
qui coll' esercito',
e vincitore già.,di tuia'
battaglia: che nondimeno
affari imperiosi e molti avvenutimi
poscia -mi richiamano alla reggia.
• ‘ ' X. Ed io
qui ne do ,
sii tu
solo o am gli
altri compagni , le assicurazioni
più. ferme , c&è
io son intento a tornarmene
se ì Romani mi si concordano per la
pace : talché puoi
dirlo pur francamente
ai tuoi cittadini se
alcuni mai - ve
ne ‘fossero d quali mal
suona, il mme di un,re,
come quello di un
fi4o , ne’ trattati, e-témessero
di me similmente
perchè taluni monarchi si. videro,
sorpassare i giuramenti, e tradire
gli accordi.. Fatta
la ■ XV. Magro ò il
nfio poderetto: eppure
amando io di lavorarvi
ed appiicàndomene prudenzialmente ->
i frutti t somministramb tutto
il bisognevole; riè
la na- tura ci viohnUf
a cercare pià che
il bisogiievole. "Soave m’ è f
alimento cui la
fame còridiscemi, dolce la
• bevanda Cui la
seté procurasi , e molle
il sonno cui la
stanchezza precede. '&ijfèientissima rrì è
la vèste Che mi
difènde dal fredda
, come acconcissimo, il -vose
meri prezioso fra
quanti datino P uso
mede- simo. Noti saria ^unquè
giusto accusare la
sorte, la quale mi
pòrge quanto basta
alla natura, e la
quale se 'non dovami
H' abbondanza , non tri'
impresse netn- tnèno desiderf
superflui. • XVL Io
non hb mètri' è vero
da- soccorrere riti- si
debbe ;~'ma nemmeno
diedemi''Dio. su le
ricchezze quella' cognizione . certa
j 'o divinatoria per
la quale gioitasi chi
he' abbisogna , come
nemmeno diedemi tante -altre cose.
Partecipo ciocché ho
colla patria e gli- amici;
porgo loro còme
comuni le cose
mie , be- Digilized by
Google 456 DEixE Antichità’
romane neficando come posso
chi ne abbisogtia
, nà 'quindi io credo
mancare. K quesfe sono
quelle manierp mie che
tu giudichi, prestantissime , e else
sei pronto di comperale
a sì gran prezzo.
- , XVll. Che se
poi la ^ gran
possidenza sia degna che
procqrisi po/t tante
premure , e gare appunto per benefitare chi ne abbisogna
» e se questa rende
più Jelici i pià ricchi
come sembra a voi
re j qaoii vie saran
le migliori, da
pi'ocurarsela, quellè per le quali vuoi
tu 'che io
me l' abbia
ingloriosamente , o quelle
per le
quali io V avrei
prima ottenuta con
decoro ? Certamente gli
affari di stato
mi diedero tante
volte per addietro > mezzi
da arricchirne principalmente quando già
da tre anni
fui • consolo , spedito
col- f esercito cantra , XVIII.
K potendo di^ tali
acquifU applicarmene quanto.io-
voleva ; • non veppi
toccarne I 0 trascurai per amor
della gloria uua
ricbhezza anche giusta
; come, fece falcfio
Poplicola,' e ,come pur fecero,
altri moltissimi pc’ quali
- Roma tante 'ne è
grandiosa, Ma da te
quali doni mi
si, apparecchìanà ? Non
cans- hierei forse il
meglio col peggio
? Sal'ebbe quella prima maiiiera
di possedimento stata_uiùin
colla sod. disj azione del
cuore, con un
apparalo di giustizia,
e Digilized by Google , j LIBRO XVIU.
' 4^7 decoro; ma da
codesta tua Ujopfia
tatto ciò manca. Imperocché qpAttVO^
uquo^accstta dall’ nomò k
cotta ca
knseTiro csb-gu gravita-
iNTOthro riw cuk SOL
oottrairifA i k NAseoaDASf purb .
la etA- TORÀ DBL
PRESTITO .co' tfÙMI SPSCIOSf , DI
DONLf Dt favori ; DI
BiOfBFfCBmBE.' , , o XIX. Or su poni
che io uscendo
da me prenda C oro
che mi offerì,
e ciò divulghisi tra’
Homani. I magistrati irreformabiU , quelli . che
noi chiamiamo censori , a’ quali
spetta esaminare U' vivete
de' ife>« mani e castigar
ehi devia -dalle
cóasuetadini della patria , quelli
mi citino e m’
astringano a- dar
conto de’ doni ricevuti , al
cospetto del pubblico
e, dicano : ;,xt.
« Noi (i) ti
abbiamo inviato o.
Fabticio con due consoUpi
al monarca per
trattare il riscatto
dei prigionieri. Tu rivieni
dalla spedizione ‘ feoza
li pri- gio/tieri , e sene’ altro
bene por, la
eittà : Bitorni col» mà
, e m solo^ e npn. i tuoi
compagni ,, delle regie .( se
non da ciò
die tu ne
tradisci al -ne- mico, sì
che egli coi
tùo mezzo soggioghi
per sè /’/- talia
, e tu col mezzo
di lid tòlga
alla patria la li-
bertà ? Così fan tutti
gli nomini di
una v^tà simu- lata," e non vera,
quando si sono
avanzati al. grande e forte degli
affari «. « . > . , • XX.I. w Che^fe
non -tu- adorno ddla
dignità sena- toria,-e non
da nemici, cnom^per
tradire e far ti- ranneggiare la patria
avessi accettato- que
doni, ma soltanto come
privato da'-un re
cotfederato, e senza ombra di
male pel comune,
dì, non. saresti da pu-
nire anche per questo
che depravi li
giovani , insi- nuando nella loro
vita il genio
per la- ricphezza,
per le delizie , • e per
Its sontuosità dd
monarchi-^quando abbisognavi
condnenza estrema a preservar -la repub- blica? Svergogni, li
tuoi maggiori de'
qu^i niuno de- viò dagli
usi della patria
nè mutò la
povertà deco- rosa con turpi
ricchezze : Si tennero
tutti' nel tenue patrimonio, che
fu riceyesti,'ma poi
“riputasti minore di tC n' . , K ' XXII.
u Anzi tu ' dissipi
la gloria a te
risultata pe’ fatti anteèedenli , la qiiaL
possedevi di uom
tem- perante , e superiore
ai bassi desìderj.
Ti diletterai di' esser
fatto malvagio di
proho , quando dovevi an- che cessare dall'
esSer inalvagió , se
eri mai tale? 'O
sarai da ora in
-poi messo a parte
mai più degli onori
dovuti ai buoni
? anzi levati piuttosto
dalia città, o dal Foro
almeno. E se ciò
dicendo mi cas- i.
' LIBRO XVIII. 4^9 sasserp
dai Senato , e mi
riducessero. disonnati, qual cosa
ftqtrei replicare , o.
quid Jar giustamente in contrario
? E, dopo ciò qital
vita vivrei io
mai, caduto in tanta, infamia t‘~e versatola
in tutti i iniei posteri ? n • , , - XXIlI. u Quanto
a te poi come-
darò segno mai più
di giovarti , se tra
miei perdo la
influenza e Ut riputazione , per
le qatdi ora
cerchi, di afJezionap~- miti ? Quando
non potessi più
nuUa nella patria , non
mi rimarrebbe che
uscirne cottr tutta
la Jìtmiglia, condannandomi da
me stesso ad
un obbrobrioso esilio.' Ma
dove mi starei
da- indi in
poi , qual ' luogo
mi ricetterebbe » ridotto^' ^eom’
è conseguenza , senza la libertà
del parlare ?>
Forse il tue
regno? Viva- Giovo se mi
apprestassi tutta la
règia tua prosperità,,
non mi daresti tanto
bene quanto' mé
ne togli' , . levatami la libertà,
preziosissima innanzi ,n . * XXI-V. u Còihe
potrei tener vita
tanto divérta ^ tardi
ammaestrato a servire? Se
cJù- è nato ne’ regni e nelle tirannidi
quàhdo abbia cuor
generoso , ama la libertà , stì/nando ogni
-benè meno difessa
; come chi è cresciuto ùt
città libbra e consueta
dominare^ su gli altri
, passerà volentieri di
bpie in -mole , di libero
in suddito per
imbandire laàte ogni
giorno le mense, pie
.aver gran seguito
intórno di servi,
e pigliar diletto senza
rifeèya eoa'' femmine
e donzelli formosi quasi 'la
ùmana felicità sia
riposta in questo 0 non
già nella virtù
?-n XXY. u'Ma sùm
pure questo e cose
altrettali de- gnissime \di esser
cercate , or quando
/’ uso ne
sarà Digitized by Google 46o
DELLE Antichità’ romane
/ tnai lieto se
non sono mai
stabili ? Se a voi'
sta concedere tali amabili
còse.; voi le
ritogliete uguale mente ,■
quando vi piace.
Lascio di ridire
le gelosie , le
calunnie , la. vita
sempre- in pericolo
, sempre in timore , e tutti gli
altri sconci , non degni
del wx» lentuomo , quanti
ne porta lo
sfar presso ai
moìiar- chi. Già non
colpirà tanta stoltezza
Fabrizio da ab- bandonare la famosissima
Roma per vivere
nelC E- piro; o da
ridurlo chk merUre
può far da
capo nella città dominante , voglia essere
dominato da un
solo , pien di sestesso,
e .còhsueto di 'udire dagli
altri sol- tanto ciò che
diletHa ». j XXVI.
« Già non potrei
levare il grandioso
nei pensieri t nè impiccolirmiti
, anche volendo, sicché
tu non debba sospettare
niun danno. E rimanendomi come la' natura
e-'glt usi della'
patria mi han
fatto , ti parfè
grave , ■ e quasi tirare, da. ogni
pòrte il co- mando verso di
me. Generalmente debbo
avvertirti ctie non vagli
ricevere nel - tuo
regno, nè . Fabràio, nè altri , sia maggiore
sia .'pòri tuo
nella virtà , . ni
af- fatto chiunque
sia'crescitUò iti, città
Ubère con sensi più
grandi deiiP nomo
privato. Già* non è
sicura ai. principi nè cara
la dimestichezza con
uomini, di mente eccelsa.
• Mà. su: V utile tuo vagli
tu da te,
di- scernere ciò eli è da
fare:.-quaoto a prigionieri nostri scéndi
ai miti consigli,
lasciane aitdare ». . XXVII.
Appena Fabrizio (ìae, maraviglialo della magnanimità
sua, lo prese ‘per
la (lesira dibendo: Già
non mi vlen
maraviglia che la
vostra città sia tanto
celebrala , • la cresciuta
a tanta signoria , dap- Digilized by
Google LIBRO XVllI. 4^1 poiché
dia nudre tali
valentuomini.- Ben avrei
caro che non fosse
stata fra noi
briga ninna fin
dalle origini, fifa poiché
vi fu, poiché
taluno de' numi
volle che noi misurassimo
a vicenda le nostre
forze e iL valore , ^ misuratolo ci
riconciliassimo ; son pronto. E cominciando io
la benignità la
quale dimandate , restituisco
'in dono, e non
a prezzo i suoi prigionieri a Roma n. ^ ,
•' Digitized by Googli 46a DELLE , ANTICHITÀ ROMANE di" ' . I » DIONIGI ALICARNASSEO LIBRO DECIMONONO. r . SUPPLEMEirri B FRAMMEHTL I. « X^ECto,
un. Campano, lasciàtd
da Fabrizio console romano
per capo ddia
gbarnìgione di Regio
(t), invaghito dei beni
di questa , finse venutagli
lettera da un ospite
suo nella .quale
si annunziava che il re
Pirro manderebbe cinque mila
soldati a Reggio per
invaderla, promettendogli li cittadini , di aprir
loro le porle.
Su tale pretesto uccise
cinque di Reggio,
e poi comparti le maritate
e le nòbili tnt*
suoi militari, » vi
si fece (i) Anno
di Roma 47^. Dìgitized by
Google CELLE antichità’ ROMANE
LIBRO. XIX. 4®'^ tiranno
(i). Alfine caduto
nudato degli Occhi
mandò cercando • in Messina
Dessicrate medico » prestaatissimo secondo che
udiva. ...>,.» r II.
« Pirro recitò li
versi che Omero
mise, in bocca di
Ettore verso Achille
,'qnast detti da’
Romani versò di Pirro; . , Ma
te tale e Xaot’
nomo io gHi non voglio
, Cól guardo seguitandoti , di.'forto , ■ ^ Ma
palese ferir^ se
mi riesca i ' • ■ Poi'
soggitmgendo che egli
seguiva forse nn
tristo $u> bjetto di
guerra contro Greci , buonissimi e giustissimi , ma rimanevaci
un solo- e bel
termine ; che li
rendesse 4 amici di nemici
, con'* principio magnifico
di benevo- lenza. n • ‘ III. tt
Quindi fattisi veaire'
li prigionieri de’
Romani, diede a tutti vesti
convenienti" ad uomini
liberi , e le spese- del viaggio, Con
esortargli infine a ricordarsi
quale egli foése staio-
inverso 'di essi,'
a manifestarlo - agh altri, e cooperare con
(utlb 1’ impegno
‘ a .rendergli amiche le patrie
loro , quando vi
giungessero, .'i . 1 Certamenté r oro de’
principi' ticn forza insuperabile,
hè fu dagli uomini
trovato -fin qui
riparo contro di
arme siffatta. »... IV.
CKnia da Crotone
uomo soperchiatore privò
di libertà le cittadi,
'cOn dar fritnehigia
ad esuli e schiavi numerosi' de’ 'luoghi intorno
(a). Fondata là
tirannide (i) Quel di
Reggio '«ve vano cercalo
il presidio Romano,
temendo tanto de* Cariagipeai
quanto di Pirrol
Dacib uccise li
cinque qni si- gnificali in un
convito. Ma li
soldati ne uccisero
assai più per le case, come
sì racc'bgjlie' da
Dione. '' ' (a)
Questo paragraie , e l(
tegajeuti lino al
duodeoimo sono fram- menti. DCLi.E Antichità’
Domane col mezEO di
questi uccise o bandi
li Grotoniati più rìguardevòli. Anassilao
oocopò la fortezza
di Keggio , e ■ ritennela per
tutta la vita,
lasciandola appresso al
figlio suo Leofrone (i'.
Dopo questi anche
altri facendosi' a dominar
le città vi
sconvolsero ogni cosa^ V.
Ma il dispotismo , ultimo a nascere
e massimo ad- opprimere le
città d’ Italia , fu quello
di Dionigi , tiranno della Sicilia.
Imperocché passato nella
Italia in soccorso de’
Locresi che vel
chiamavano a danno di
que’ di Reg- gio , che erano
loro nemici , ebbe incontro
eserciti Ita- liani
numerosissimi ; ma postovisi
in battaglia uccise moltissimi , e presevi a forza
due città. Poi
tornato un’ altra volta
in Italia svelse
dalle loro sedi
gl’ Ipponiesi traendoli nella
Sicilia : invase Crotone
e Reggio e vi tiranneggiò per
dodici anni fiqché
queste città sopraffatte dal timore
di lui si
diedero ai barbariv
Ma poi premuti pur
da’ barbari come
nemici , si rimisero nelle
numi del tiranno. E fluttuando,
come le. acque
dqli’ Euripo , si volgevano senza
requie qua e là
fortuitamente , levan- dosi da
chiunque li malmenasse. VI. Scese
PiiTo di bel
nuovo nell’ Italia,
non riu- scendogli. nella Sicilia
le cose come
le ideava , perchè il
governo di Ini
sembrò dispotico anzi*
che 'regio alle città principali.
E per -vero dire, iutrodoftp
questo in Siracusa da
Sosistrato che allora
vi presedeva , e^da Toinone capitano
della fortezza (a), e
ricevnto da essi r erario
, e presso che dngento
navi rostrate , e sotto- (i) Ciurlino
uel lil>. a fa
mcniione di più zelante
per pubblica ^confessione
e più attivo nel
dar mano a Pirro pèrcbé
scendesse nell’ isola
e vi regnasse , giacché si eca .costui
recate colla. fidUar^er
incontrarlo^ e gli av^a renduta
l’ isoletta , da Idi, presidiata
in Sira- cusa (i).. Ma
tentando sorprèndere ugualmente
Sosistrato fu ddosò.; perocché
costui previde le
insidie , * e fùggì. - ' r ' ‘ • ' ' i * ' ' *’ ,(r) ^irapnsiT'pcr
quatuo rileviamo da
Lucio l^loro era
coma aoa ciùà composta
da tre cittàio
delle quali ngoiina
/ra cir- oonJata di
mora. Vedi le
uote lib.' a , c.
nella faoSlra tlradu- xKltoe ^i
quello' icritìera. • , ' DIÓA’TGI f tomo
///. , i , Digilized by
Goc^le 4G6 DELLE Antichità’
romane Poi coniinciaiKlo a scouyolgeoi
le cose di
Itti ; Carta> gine credette
avere il buon
tempo da riprender
nell’isola i luoghi perdniivt, e' ti
spedi sollecita un’ arinata. . IX. Evagora
figlioolo di Teodoro , ^alacro ' figliuolo di Mieapdro , e Dinarco figliuolo'di
Nicia , tristi , infàmi sopra
tutti gli amici
di Pirro ,*
emoli com’ erano
in dar consigli , alieni da’
Dumi e dal culto , vedendo il mo-
narca in disagio, cercar
vie da conseguire
danari , glie ne proposero una
indegnissitna^ i^e era
quella di aprire i tèsoli sacri
di Prosèrpina (t).
Imperocché nella città stessa
eravene un tempio
aaitvo , il quale serbava
oro in copia , intatto da
tempo antichissimo , e dove altro ven'
era invisibile a tutti,
come posto occnltistimamente sotterra. Sedotto
^da tali adulatori,
e riputando' la neces* sità superiore
a' tutto, si
valse de’ consiglieri
medesimi per lo spaglio
sacrilego. Quindi tutto
riconfortato im- baroò con
altre ricckecze Toro
venutogli'! dal tempio,
spendendolo a. Taranto. X.
Ma la provvidenza
giusta degl’ Iddj
maoifcslò T ef- ficacia sua. Perocché
ariose dai porto
pròcéderono in principio le
nari' col fi^re A t/n.
venm terra ; ma poi
cambiatosi questo iu
altro coo^rìo ii^pestà
per tutta la notte , e quali ne
affondò , . quali ' ne miruse
al golfo di Sicilia
; e spinse ai fidi,
di liocrs quelle
ov’ èra- no portati i doni' , già
votivi ne’ tempj , e P oro 'am- Jtnas&atooe : e qui
disfacendosene i legni foce
perire i nocchieri naufoaghi
pel riflusso deUe
onde , e sparse )’ oro
sacra su la
spiaggia appunto più
prossima a Ix>cri. Donde costernato
rese il mouaroa
alla Dea tulli
gli or- (>} Anao
di Roma 4/8- Digilized by
Google LIBRO XIX. namenti e i tesori , quasi per
allontanare con collera. » 4G7 ciò'
(a Stollo ! che non
vede» t/ùali tormenti Tf«
ìncorrerì* : 'chè facili
non tono , ■ , , . Thnla a mutarti
le celesti menti,
* ' ' Come' Ai détto da
Omero (r). Dappoiché
stese la mano lemerliria su
1’ oro sacro,
onde valersene in
guerra, la Dea lo
iniìitQÒ nè* Consigli
» per esempio' e 'documento de’ posteri.
t XI. E per questo
appunto ' io vlcrto
colle armi da’
Ro praticati don
éagli uomini, ma
dàlie capre per lo
selvoso e scosceso in
che sorto : cd
erano , per andare
senza ordine alcùno
spossandosi dalla sete e
(1) Odissea 111-,
, ):^micllUà Romane di
Dionigi. Tulio il resto
t auppliio col compendio
formala su li
medesimi verni libri. ' , . )Digitized by
Google 4^9 DELLE ■ ANTICHITÀ ROMANE . ' - '01 ,
parecchio. Conciossiachè ivi
crescono in copia
abeti al- tissimi e pioppi , e
la pingue picea , e il
pioppo e il pino > e r ampio fàggio , e il
frassino , fecondati dàlie acque che
vi trascorrono ^ ed
ogni altra sorta
di alberi, la qual
densa ne’ rami
tiene continua 1’
ombra su la montagna
1»). » s - \ VI. a Eh
questa sélva gir alberi prossimi
al mare e ai
fiutni tagliati interi
dal ceppo e recati
ai porti ricini forniscono a tuttà
T Italia materiali^ per navi e
case: gU alberi^ lontani
dal mare e da’
fiumi , ridotti in pezzi , e riportati su
le spalle dagli
uomini somministrano remi V
" (t) Àpao di
Roma 481.' ‘ '• (a)
Stra'bufu nel lilwo
V-I di« che
questa selva eré
lunga tcllc- cento stadj. Digilized by
Goc^le 4 7 "2 DELLE Antichità’
romane e pertiche, e mezzi di
ogni arme, e rasi
domestici: fi* naimcnie la
parte di piante
più grande , e più
oleosa vien preparata a dar
le resine , e scn fornia
la resina chiamata. Bruzia-.,
la più odorata
, -e la piu
soave infra quante io
^ne conosca. Or
dagli affitti di
unto Roma ne ha
ciascon anno cospicue
rendite. » VH. « Io
Reggio, iecesi un’
altra sommossa 'dal pre- sidio lasciatovi di
Romani e di confederati
: seguitatidone da' ciò
stragi ed- esilii
noti pochi. Per
tanto Gajo Ge- micio
r altro de’ consoli usci
coll’ esercito a punir
quei ribelli. Presa la
città colle ardii
rendette ai citudini
prò* fughi gli averi
loro, edarresuto il
presidio lo condusse prigioniero in
Roma. Or su
questi tanta fu' Pira,
c tanto il dispeuo.-Dcl
Senato e uel popolo
che- non vi fu I pietà
di partiti : nm
da tutte le
tribù (ù senlenziau su
tutti la pena
di morte come
presciivono le leggi
su tali malfattori (■). »
> ' ' . Vili, a Stabilita la
sentenza di morte
furono pianUti de’ tronchi-
nel foro e condottivi
e legati trecento a cor- po nudo i quali
aveanq già i cubiti
avvinti dietro le spalle:
e poi battuti, e poi
decapitati con le
scuri. Dopo ì primi vi
furono puniti altri
trecento, e quindi altret- tanti ancora 4 findiè
in t'uttO furono
quaMro m'da dn- (i)
La Irgiooe Campaoa
con Decio capitano
occupi Ecgg'o l'an- no 4/4
Roma poco ifopo
la venuta di
Pirro nM’ ftalia
, occorsa appunto in quell’
ann^. La legione
ribelle fu punita
l’anno 4^^ sotto il
contole Genucioi Livio
XX Vili , aS. dice clic
la pena fu dicci
anni dopo il
delitto , é ebe li
póniti in Roma
furono quattro rada. Nel
testo ai parla
della ribellione come
aeconda. Non k chiaro se
la indicata io
questo luogo eia
detta seconda in
rispetto a quella di Dcciu , o di
altra antecedente. Digitized by
Google V LIBRO, XX. ,47 3 quecento.
Non ebbero questi
sepoltura , ma tirati
dal Foro in luogo
aperto dinanzi la
città vi si
abbandona- rono, pascolo di uccelli
e di cat^i. » IX.
. « La turba mendica
non tenea cura
delPo* nesto nè del
giusto. Però sedotta
dal Sannite (i)
si rac- colse in un
corpo , e su le
prime vivea por
lo . più pei monti
nelle campagne. Ma
poi cbe fu
cresciuta in nu- mero ornai da
tener fronte occupi
una città forte
, dalla quale prendea le
mosse a depredare le
terre ihtomo. ÌÀ consoli, cavarono la
milizia, contro di
questi. Ricu- perata senza gran
briga la città
batterono ed uccisero gli
autori della ribellione , véndendone^ gli
altri all’ in- canto. Era già
1’ anno avanti
stata venduta la
terra e g^i altri- acquisti*
fatti colle' armi e
l’argento risultatone dal prezzo
èra stato comparilo
ai cittadini (1). n
fi) Ano»
di Roma 4^- '
' ' ' - ’ > ’ ' Qui 81 attude
«Ila guerra concitata
da LoUio Sannite
il quale fug- gito da
Roma dove era
ostaggio, raccolse gente,
prese un luogo munito
della sua regione,
e vi padrone'ggiava, e. predata. (a) Dionigi
nel lib. 1. 9
dice di
tessere la storia
sua fioo al
prin- cipio della prima guerra
Punica 1 Questa occorse
Panno 488 di Roma
; e le cose di
quest’ ultimo paragrafo
concernono P anno {85 . Tanto
che il eoiApendio
ha prossima corrispondensa alla
storia delle aSA*itA «Usa
in venta libri.
• > - J '• .. ' • . - • i t , . . PINE/ DELLE iNTICniTÀ*
ROMÀNE ■ ‘ ■ DI ntONir.l DI
ILIClRMASSO. •I r-. ■T —
Digitized by Google 474 INDICE DELLE COSE
PllT NOTABILI IN
DIONIGI DI ALldARNASSO. tl mmero
romano accenna il
libro t P altro numero
iparagnf. A .A-borigeoi.' Sono
porto degli Oeootri
di Arcadia. Tt
36. Se* condo alcani
non diiT ' >.
Agricoltnra. Romolo- conginnge
le cure di
essa con «joelle della
miliaia. II. a8.
Anco Maraio raccomanda
Tagricoltara e li pascoli pinttoato
dié la gneira.
III. 3G. ^ Agilla
cpsi chiamata dai
Pelasgi fa poi
détta Cere dagli
Etra- sci. I. 1 1 . Agrippa
vedi Menenio. f Alba
Lunga, suo fondatore
e sito. I. 5^.
Sua durasione. III. 5i, Albani:
da quali genti
r|snltassero, IL 2.
Catalogo dei loro re.
I. Ga. Dopo
la morte di
A,mnlio e di Nnmitore
ebbero annui magistrati. V. Al)«>nza degli
Albani e de'Romani sotto Romolo,
III. 3. Guerra
tra, i' due popoli;- loro
capi- tani, ed esito della
medésima , 2 e segg. Traflaziqne
degli Albani in Roma,
2q, • Albani, campi
fertili di ave e
frutti, t. 28.
Bontà premi- nente del suo
vino , 5^. 'Monte
Albano, Vili. 87.
Ferie Latine', ivi. 1 > Alceo
, poeta esiliato. V.
^3. ... Algido. I Volaci'»
gli Equi vi
accampano. X. 21.
XI. 3. i Romani
.vi sono danneg^ati
,23. ■ Alsio, Inogo
degli Aborìgeok I.
11. '' Amiterna Inogo
dei Sabini. ’I.
6. IL Amnlio , ipoglia
il ano' fratello Enmitore.
I. €7. Regna
XLII anni, G2. Viene
aaaalito, ^5, ' • Ancbiie , figlie di
Capi -e padre
di Enea. I.
53. Sua tomba, 55.
Porto di Anchise,
4L '^Itri looghi
i qnaR' ebbero nomo per Aflcbise,
64. ' t Ancile o scudo
caduto dal cielo.
II. 70. Digitized by
Google 47^ ■ Anco, prenome
di Marzio re e
di t*ablioio Corano,
Vedi que- sti nomi.
Anfittioni e loro congressi.
IV. 25, Aniene , Game, III.
22. Non era
lontano dal Monte
Sacro. VI, 45. Era
ricino * Fidene. Ili,
55, Si ecarioa
nel Te- vere , ivi.
Anterana, sna fondazione,
l. 8. È tolta
ai Sicoli dagli
Abo- rigeni. II. 35. Fn
resa, colonia Romana
, ivi. Si unisce
a Marnilio TuScolano per
soccorrere Tarqninio contro
i Ro- mani. V. 21. Antistio Petrone
i ucciso per inganno' da
Sesto 'Tarquinio , IV. 57. Ansio
, è fondata da Anzio
figlio di Ulisse.
I. G3. B cittì
pri- maria de* Volaci. VIII.,i.
IX. 56. Fa
lega con Tarquinio superbo. IV.
49. Soccosre quei
della' Ricoia. V.
36. Soc- corre i Latini contro
i Romani.' VI. 3vSoceorre quéi di
Goriolo, f)2. & preso
il, porto e la
campagna di essa.
IX. 56.. Sì rende
a Qoinaio, .5R,. Parte
delle sue terre
divisa tra i Romanì,«5(). Oli
Anziati spogliati delle
terre ne partono
, sono ricevuti dagli
Equi, e fanno scorrerie
su campi de’ La- tini, 60. Gli
Anziati si ribellano.
X. 20. Apiolani espugnati
da Tarquinio Prisco.
III. 40* Appello, la
legge Valeria permise
a chiunque. di appellare dai ' magistrati al
popolo sa le
condanne .di morte
o di battitore. ' V. 20.
Si voglicmò paniti
i consoli perobi impediscono
que- st'appello. IX. 3g. ., ■
Appio, prenome Sabino
de’ Claudi e di
Erdonio. Ve£ ffuesù homi.
: . ^ Aquìdotti magni Gcentisai
mi di
Romq. III. 67. Aqaillo,
C. console. Vili.
64* Vinoe gli
Erpici, ,65. Ne ot-
tiene la ovaz'ione, 67. AquìI),
L. e M. conghirati,
vicende nella loro
pena. V. g. Ara
massima. I. 3i. '
* , Digitized by Google 477 Arcadi, i primi
fra i Grecj veogooo
ad abitare l'Italia.
I. 3. ^ dove
abitassero, 36. Arcadia fa
già detta Licaonia.
II. i.- Atlante
fa ano primo re.
I. Si. Dilario
di Arcadia, Sa,
5g. Ardea è fondata da
Ardeas figlio di
Ulisse, I. 63. È
città del Lazio. V.
6i. Tarqpinió superbo
1* assedia. IV. 6{. Fa
fregna coi Romani, '85.
V. i. È toko
loro parte del territorio. XI. 54
Aurunci, popolo d’Italia.
I. 12. Loro
qualità, ivi, e VI.
Ss. Occupavano la parte
più bella della ’Gampa'oia, ivi.
Sono vinti da Servili 0 , ivL Ridomandano
i caiòpi degli Ecce- tranì,
ivi. . , Ao sonia
era l’Italia. I.
27. Il .seno
Apeonio fu' pei chiamato il
seno Tirreno , 3i Oli
Ausoni cacciati dai
iapigi vanno in Sicilia
, i3. ' . ' Auspizj s’ imprendono
ooA cui le
cose ardne. V.
28. Si de- cide con
essi li' sito di
Roma. I. 77,
Più volle sono
di- sprezzati. Ut G. Digitized
by Google 479 A»io Nevio
Aogare > tua «ccelienu.
I- 6i. E tolto
di mez- 10, 63. Aizio
Tallo capo de*
Volaci. Vili. l.
Accogllè benigoameote,
Coriolaoo, 3. Stimola
i Volaci coìitro i romam
: fa dicbia-' rare Coriolaoo
per (mmandante delle
MÌlicie , i3. Ne pro- oara
la morte, ^7 «
segg.'E uoeiso in
gaeira , 69. Suo olrattere, ivi. *
. . * ; B Babilonia, eoa celebrità.
I> 27. Sne
mora. IV. 25. Bacco , pianto dei
Greci en j caeì
di Bacco. II.
g. Tempio ' inalzatogli
da Fostumio dettatóre.
VI. 17. Coneagrasioae
' fattane, Battaglia
impedità' dai et^ni
celeetì. IX. 55-
Prima \di altóc* caria
fanno preghiere e eagriiiaio,
10. Balia luogo degli
Aborigeni. I. i5. ^
' Bighe, gara delle
roedeeime. VII. 93. Bitumo,
rasi pieni di
bitnme e pece drati
colle Condo eu i
nemici. X.'iC. ' Boario,
Poco. I. 3i.
Servio Tallio vi
forma un tempio
della Fortuna. IV ' t .
Canne raconfilta. II.
17. . . . ‘Capi. I.
,62. ' , ' ' ' . • Capitolino, colle,
già detto Saturnio.
II. O Tarpee. III. 6q.
Perché poi ai
cfaianiasae Capitolino. IV.
Gì. Romolo lo fortiGca.
II. 07. In
citna di qoeato
colle osala Catppidoglio vi i il
tempio di Giove
Feretrio, 5{. Tarqoipio
Prisco vi conaìncia un
tempio , Tarqoinid anperbo ve
lo continua , sua
Innghezza e larghezza. IV.
Ci. È poi compito,
e M. Orazio lo dedica.
V. 35. Vja
in lìàmme. IV.
61. E. riedi- ficato, ivi. * . . ‘ ' Capua , città
della Campania. VII.
10. Eb^e. noMer-da
Capi. I. 64. Carine luogo
di Roma. 1.
5g. III. 22.
Vili. 79. Carmenta. I.
22 a aeg. • - ‘ ^ Carmenlale porta.
I. 22. X.
i4. , v ^ . -f Carsola. I.
C. ' Cartagine. Timeo
Sicolo dice che
fu fabbricata circa
i Xempi Digilized by Google • (li
Roma. I. G5.
Toroa a cercare di
naoTO T Impero. II. 1'^.
I Cariagineai sono eipuUi
dal mare. Proemio,
3. Loro viitime umane/
2r). , • ' Catiandro re di Macedooiar
L ^o. Carvilio (Sp.) il
primo ripadia la
moglie qon prima
delt’anno 5lo di Roma.
II. 2$. CaMÌo (Sp.)
Uscelltoo trionfa dei
Sabini. V. Tito
Larglo Dittatore Io prende
-per maestro de’
cavalieri , 'jb. Senti-
u)eolo doro di
osto circa il
castigo dei Latini
ribelli. VI. 20. E fatto
console di nuovo,
40’ Guarda la
città, gì. De^ dica
il tempio di
Cerere e di Bacco
, g5. Diviene consolo per
la tersa volta.
Vili. C8. Noi
resto di questo
libro sie- gue il
(racconto . dell’ ambisione di lai
, degli Sforai per
in- trodurre la legge Agraria , le
accuse , ed il
suo tkagico fine, 'jg. I
figli di
Castio non sono
privati nA della
pa* tria , nè de’
beni , nè degli
onori pe’ delitti
del padre per decreto
del jSènato. Vili.
8o. Il popolo
si pente di
aveiio condannato , *82. ' ' ~ ^ . Castore e Pollace
diconsi apparsi in
Roma. VI. i3.
Monu- menti in Roma della
loro apparisiooe , giuochi , feste,
ivi. Cavalieri. Servio Tallio
li ordinò in
18 centurie. IV.
18. Piò di quattrocento
plebei souo aggiaiiti
all’ ordine de’'cava- .
lieri. VI. 4i. .
Cecilio IL. Metello)
, suo trionfo e zelo
nel oonservare le
cose di- Vesta, e statua di
lai. nel Campidoglio.
II. 6G. Cecidio (L.^)
tribuno della plebe
accusa Servilio uomo
con- solare. IX. 28. Celeri, origine
del loro nome.
II. i5. .Loro'incoiubenze , GL Tarquinio snperbo
costituisce Bruto prefetto
di eui. VI. 92.
Bruto Uscia questa
prefettura , '^5. Celti o Galli
fanno vittiose umane
a Saturno. I. 2g. Censori , loro uffizio.
IV, Come permettono
il divorzio DIorriGJ, tomo
II/. 3, Digitized by
Coogle 48a di Garvilio. 11. 2
5. CommenUrj o regùtri
de’ oentori. I. 65.
IV. 22.. Cento de’ Romani,
oome ùtitnito da
Servio Tollioi IV.
i5. C latti Bcaaio ne de’ Romani , iG.
VII. 5g. Sfumerò
di citta- dini-IV. 22.
Geiuo fatto ancora
dai contoli. V.
.20. Cento sotto Tito
Largio primo Dittatore,
g5. Altro cento
ove tro- vanti cxxs mila
cittadini. VI. C3.
Cento dell' anno' 261 di Roma.
VI. gC. Cento
dell' anno 2^8
di Roma. IX.
25. Cento dell’anno 280.
IX. 36. Cento
rettituSta dopo ig anni.
XI in fine. Centurie, te
ne fanno ]g3 e
ti dividono in
tei datai. IV. 18.
VII. 5g. Di
raro ti chiedeva
il voto della
tetta clatte. IV. 20.
Luogo tpeciale delle
oentnrie negli tpettacoli. III. «8. -
Ceoturiati, comiaj. IV.
20. VII. $g.
Come differiacano dai comiaj
per tribù. IX.
Ut, XI. 46*
Intimazione dei eomitj oentnriati. V.
10. Loro forza.
XI. 55. I Patrizi
vi preva- levano. Vili. 82.
XI. 4^* I decreti
di qtietti eoli
comizj ' nn ^empo erano
riguardati come leggi
dai patrbi , ivi. L’in- terré-oonvoca queati
comizj. VII. go. Centurioni, loro
scelta. IV. i>j.
Dove collocati. X- iG.
Cecere insegna l’agricoltura
a Triptolemo. I. 4*
Tempio e tacrifitj di
Cerere , ^4- Pottomio Dittatore
le fonda un tempio
per voto. VI.
l'j. Se le' innalzano
tUtne metalliofae. Vili. 2g.
A' Iti ti
contagrano i beni di
quelli che facevano violenza ai
-tribuni. VI. 8g.
X. 4>. ^ Cipria , via in
Roma. III. 22. Circe , dove abitatae'.
IV. G3. Telegono
figlio di essa e
di ditte, 45* Circei
donde denominiti. IV.
G3. Si rendono
a Minio. Vili. i4' Circo
Massimo. lL''3i. Chi
lo incominciaste. III.
68. Vi era tal
termine il tempio
di Cerere. VI.
g4> Citerà, itola. L 4l> Digilized by
Googl 483 Citt;idini romani come
da Romolo. II.
Come Servio Tallio volle
rieaperne il oamero,
il ietto e l’ rià.
IV. l5. Come ne
accrebbe il nomero,
91. Tullio^ vuol
pareggiare il diritto de’
ciUadini , Non era lecito
battere nn citta- dino. IX. 39.
Non poteva nociderai
eenaa cogniaioii della canta.
VII. 3G. Qoali
arti non potette
eiercitare. IX. x5. Claudia,
gente oriunda da
Regillo città di
Sabina. XI. i5. È condotta
in Roma da
Tito Claudio. V.
4o* Tribà Clan- dia
, ivi. Claudio (Appio) Sabino,
nega che potrà
levarti la leditione
con donare i debiti. V.
60. È Contqle. VI.
23. Discorda dal
col- lega'circa dei poveri
i4 , e Sol trionfo
di lui, 3o.
Suo di- ' scorso per
chetare le seditiooi,
38. E chiamato nemico
del popolo , 48- Suo
discorto circa il
ritorno del popolo , C6
e tn la legge
agraria. Vili. ^3.
Suo consiglio per
frenare i tribuni. IX.
10. X. 3o. '
• Claudio (Appio) nipote
di C. Clàudio
per« parte del
fratello, è console. X.
54. È creato Decemviro,
56, (9. E creato
di nuovo Deceniviro , 58 e ritiene
un tal grado
pel terzo anno, Ci.
Seguito delle sue
vioende, XI. 4 • eeg.
Muore in carcere. ^.6. Claudio
(C.) Sabine , sio del
Decemviro è console. X.
9. E contrario anobe
egli alla plebe , ivi.
Sua parlala in
Senato contro i Decemviri. XI.
7. Si ritira
in Sabina, 22 ,
Claudio (M.), cliente
del Decemviro : sue
pretensioni su Vir- ' gioia.
XI. 32, Claudio (Neròne);
console per la
seconda volta. Proemio , 3. Clelia fugge
con gli oslaggj.
V. 53 e teg. Clienti o Clientela.
Proemio, 8. Cloache, loro
grande artificio. Ili,
67. Cluvilio, capo degli
Albani, occasiona la
guerra di questi
coi Romani. III. 2.
Sna morte, repentina ,'
5. ' Cluvilio Graooo,
sommo comandante drgli
Equi. X 21. Sua Digilized
by Coogle 484 riapoaU orgoglioaa
ài Romani. X.
22. Gli arviluppa
, 25. E vinto e portato
in trionfo , 2/(..
, Clovilip (Q.^ Sicoioj
è conaole , e reata alla
gnardla di Roma, e perchè. V. 5
9. Depone il
contolato e nomina Largio
per Dittatore, 92. Fa
prigionieri parte de'
predatori latini , er.
escludere i scellerati dalla
città propria. IV. 2$.
Colonie divenute maggiori
delle città madri.
III. 11. Colonne , vi ai
descrivono le alleanze.
IL 55. Talvolta
si cn- stodivano ne’ teibpi.
III. 33. Vi
s'incidevano li leggi.
X. 32. In tempi
pib antichi le
leggi si scrivevano
ip tavole di quercia.
HI. 36. ' Cominio
(Post.) console. V.
So. Dedica il
tempio di Saturno. VI.
I. È console per
la seconda volta,
49 ed in qnal
epoca. V. 1 1 . Confarreazione. Ilt 2
5-. Consoli , prkni cemioli Brolo
e Collatino. IV. Loro
di- stintivL III. Ga.
IV. V. 75.
X. 5q. Diritto
di convo- car le concioni.
VII. 17. Il
Senato di loro
1* autorità dì crncloder
la pace. Vili.
18, Il oonsole
è privato del con- solato dal Dittatore.
X. 25^ I consoli
si rendono amici
al- cuni tribuni per contrapporli
agli altri. IX. i
, '2. l 'consoli sono citati
al collegio de’
tribuni. X. 3i.
Contrasto coi tri- buni , ivi. Sono
citati dii tribuni
ai popolo, 3^.
Comin- ciano a governare
favorendo la plebe,
^8. 1 consoli tengono nn
Senato privato in
casa, 55. Contesa
dei patrizj e della plebe
per creare consoli
cìascnno della soa'
fazione : Un oonsole si
sceglie fra i fautori
'della plebe, uno
tra i fau- tori dot patrizj.
Vili, qo e a«g.
Si creano i Decemviri
in Inogo dei consoli.
X. 56. Si
terna a creare i consoli.
XL 45. Si creano
i tribuni militari in
luogo de' consoli | Ga. GonsolaH , nomini , citati in
giudizio dai tribuni
finite il con- solato per la
trascnratesza sa le
cose agrarie. IX.
37. Sono multati in
danaht in Inogo
di esporli a pene
personali , e perchè. X. 49'
Ordine nel ohieder
loro i. pareri
in Senato, 5. Limiti
deir autorità consolare.
IV. 75. 4.
Toi*na in potere
degli Equi , 26. È distratto
dai Ro- mani, 80. ■>
' Gorciresi , loro sedizione.^
VII. 66. Cordo, cognome
di Mnzio. V.
aS. ' Digilized hy
Googlc 486 Gorilla 0 Coriola paoae
dei Latini. IV. Goriola , oittà famosa
de’ Volaci tiene
assalita da Poslumio Gominio. VI.
92. Si rende
a Marcio Gnriolano, Vili.
19. Marcio ebbe nome
appunto d*' Goriola. VI.
94* Gornelio (L. Siila)
, durissioio nella sua
dittatura. V. 77. Gornelìo
(L.) console. X.
20. Espufgna Ansio,
21. Suo pa- rere su
le istanze dei
Decemviri. XI. 16 e
aopra i r'Idali che' abbandonavano il
campo dei Decemviri , 44- Gornelio (M.),
fratello di Looio
Gornelio, è Decemviro. X. 68.
Sna risposta a G.
Glaudio. XI. 16.
invita Lucio eoo
fra- tello a dire il suo
parere, iC> Marcia
contro glj Equi,
2Ó. Gornelio (Ser.), console,
fa tregua per un anob
coi Vedenti. Vili. 8a. GorneUnì,
popolo del Lazio.
V. Gz. Gornicolo , città del
Lazio. IV. 1.
Gade in potere
di Tarqoi- DIO Prisco.
III. 5l. ' Gorni
di bove :.
si convocava con
essi la plebe
romana. IL 8. > Corona
di oro donata
dai Romani a Porsena.
,V. 35. Gorona di
oro data a chi
aveva salvate le
bandiere. X. 36.
Gorona civica donata. Vili.
29. X. 07.
Gorona anurale, ivi.
Il po- polo esce coronato
ad incontrare il
vincitore. IX. 35. Gote
, segata cpo un
rasojo. III. 71. Greraera,
castello presidiato dai
Romani contro i Vejeoti.
IXi i5. E preso dagli
Etrusohi , 2Ò. Grotone , quando
fondata. IL 69.. Grotone
nella Etrnria tolta
dai Pelssghi agli
Umbri. I. 1 1* Muta
abitatori e nome, ed A
chiamata Goiornia. 17.
Lingua de* Grotoniati , lo. . **eoe
tiranno , 8. Come
le ne li* bera
, li. Viene occnpat'a
dai Gampapi. Tomo
£e^s/on/. In- contro in Coma
dei, Legati Romaqi. Manda
nn Mocono ■ quei
della Riccia. V.
36. ‘ • Goraxj. III.
iL Loro spoglie
portate in Roma,
21. Cori , sna origine. II.
48- Coreti , loro rili. IL
90. Faroleggiati ohe
educassero Gìore fanciollo. II.
61. 1 Coreti dei
Greci sono gl' istessi
cbe i Salj dei
Latini, 'jo.' Carie erano
parti anbalteme delia
divisione pii generale dei
cittadini in Roma.
IL Se avessero
nome dalle matrone Sabine,
47* Sbotto Romolo
scelsero i Senatori , ed i Celeri,
3, Ordinano coi
loro voli che
ai restituiscano i beni a Tarqainio
superbo. -V. 6. Cariali. Vedi
Comizi e Centurie tì.^ Gnriasj.
Vedi Cumtj.- . il Cnrieni^
capi delle Carie.
IL 7. Facevano
pnbblico sacrifizio per le
Carie. IL 64 Difesa
, non dee negarsi
ad alcuno. V.
4- \Tcmpo acoordato per
difendersi. VII. 58. ,
Dittatore , origine dtl
nome. V. 73..
S'na anlorilà e dnraaione. VII. 56.
Creavasi. nel' tempi diffioili
della repubblica. XI. 20.' Condotta del.
primo dittainre Tito
Largio. V. 75.
Imi- tato dagli altri dittatori
6uo a Siila ,77»
Anio Poslnmie Digitized by
Google ditutor» «econdo. TI.
>. Mjnio TaWrìo
dilUtore terw*. VL ^
3g. Loeio $.
Vinte le Spagne viene
io Italia , ivi.
Uccide Caco , 33 e
.diviene insigne , 34> Abolisce i sagriGsj
umani soliti a farsi
a Sa- tarno, 28- Evandro
gli tributa onori- divini, 3i.
Soci com- , pagiii che
si fissano presso
dèi Pallanteo. II. i.
Alenai
han crednto che egli
lasciasse de’ figK
nell’ Italia. I. 3^.
Ercole, Arconte di' -Atene.
.IV. 4 >• Erdonio Appio
«conpa il Campidoglio^
X. 1 i- Muore
combat- tendo talerosamente ,
iC. ' Erdonio (Turno),
resiste a Tarquinio superbo,
cabala di que- sto per
Deciderlo. IV. e seg. Ereto , città Sabina.
III. 5q. Battaglia
data in Breto
eontro i Toscani. IV.
3. Sua distanza
da Roma. III.
3i. Restava presso del
Tevere. XI. 3. I
Sabini'- vi al aocampanp,
ivi. Vi tono vìnti
da Tarquinio. aoperbo.
IV. 5l. Erinni, venerate
dai Groci.'II. Jj. •
r Elitra , luogo dell’ Asia
minore. IV. 62. Ermmio
(Lar.) conscie. XI.
5i. Erminio (Tito), i latciatò
Inogotenente da Tarqninio
nel cam- po , suo zelo
per liberare la
patria dal medesimo.
IV. 8. E UDO de’ capitani
contro Porsenna. V.
22. Tito Erminio console , 36, Lnogotenente
del Dittatore impedisce
la foga ' \ Digilized by
Goc^le 49* dc'RomaoL VI* Uocide
Manulio, io cpoglia
ed 4 uo> oieo , ifi. , , ' , r-
• firnici , popoli *icini ai
Romani. Vili. Si
collegano eoa Tacqninio , inperbo.
IV. 4q- Ritpondoao
ambiguameote ai Romani che
dimandano loccorto. V.
Promettono ajuto ai Latini
contro i Romani. VI. 5. Risposta
loro superba ai Romani.
Vili. 64* Lasciano
gli alloggiamenlt di
notte a faggono, C6.
Chieggono la pane e
la ottengono, G8 «
seg. Cassio vuol che
partecipino alla ilivisìone
ilelle terre, 90 , 9 ■ . Mandano >i
Romani il doppio
de’ sussidi ricercati.
IX. 5. Dimandano ajnto
ai Romani contro
gli Equi e gli
Er- niciy C9. X. 20.
Ersilia Sabina , antrice della
Legasione muliebre ai
Sabini dopo il ratto.. II.
4^. III. 1. Esequie,
Tarquinio Superbo le
proibisce in,qlQrle.di Servio Tulliò. IV.
4o. Escq uic
per Virgioia. XI,
39. . ' Espiasione. Romolo
fa , saltare ^il popolo
attraverso le Gamme per
espiarlo. I. 99.
Espiazione per acciskme
non volonta- ria. IIL 2 2.
Espiasione pe^ causa
di un morbo
cohtagioso. JX. ^o. Espiasione
o lustrazione di Roma
dopo ia morte di
Erdonio. X. 19. '
Esploratori mandati in
qualità di J/gatu
VI. i5. ' ' ■ Esquilino , colte, il.
5'f. Servio Tullio
lo oniOoe a Roma.’IV. là. Tribù.
Esqnilio'r, ì4- Porta -Esquilioa. IX.
68. Etrunia ; E la stessa
che la Tirrrnia
o Toscana, è fertile in vino.
I. 28. E divisa
in dodici principati
ed à potentissima per terra
e per mare. VI.
95. • Etrnachi delicati
e sontuosi nel vivere.
IX. 16. Mandano
soc- corso ai Latini contro
i Romani. 111. 3>.
Coma ai Sabini, 65.
Sono vinti da
Tarqninio Prisco, ivi, e
da Servio Tal- lio. IV:
29. Sono battali-
da quei delta -Riccia
ed accolti dai Romani.
V. 36. Ricusano
socoot^reàa tanto i Romani , quanto I Latini,
42. Destinano socoòrrere
i Vejentì contro Digitized by
Googte 49» - i Romani. IX. i.
E'K' toecorretto, C. Abbandonano
gli ao campamenti, i3.
Stacenno i Yeieotì dall’ amiciaià ’ mani.
IX. i8. Ocenpano
il OiamenU, 2ó.
Foggono di notte a Vejo,
aG. Etmachì vebati
ad abitare nr
Roma. I. So.
Via Elrnica o Tirrena in
Roma. 'V. 36.
Ré de^i Etmsci
: loro diatiotivi. III. Gl. '
Evandro. L 92. Viene
e prenda sede cOn
gli Arcadi dn Pa-
la tia. I. So.
II.' I. (Inori
che porge àd
Ercole. L'3i. Dina o Lavinia figlia
di Evandro, a3. '
' Eariléone Aacanio figlio
di Enea , re
de’ Latini. I.
5G.‘ i F • ‘ ‘ Fabia , gente cccvi.
Fabj marciano per
difesa di Roma
contro di Vcjo.. IX. 1
5. Il
consoilato fa per
sette anni- contiabi nella casa
dei Fabj fratelli
Cesene, Marco, e (Quinto,
22. Se necièt i trecento^sei Fabj
sopravvanzasse nella gente
F^* bia' nn aòlo
fanoiollo, ivi. ' Fabio
(Cesène), fratello di Q. Fabio,
estendo questore accasa Cassio
di tirannide. Vili.
7^. B fatto console,
83. Va a ■oocorrere
gli alleati di
Roma, S(. Diviene
oonsole per la seconda
volta. IX. 1.
L’esercito non -lo ubbidisce
e lo in- salta’ e mettevi in
marcia senza il
comando di Ini,
3. E Io priva di
una segnalata vittoria , ivù Diviene
console per la tersa
volta, Soccorre il
Collega, ivi. Va
qaal proconsole ai Fabj
che presidiavano Oreoieral,
16. Fabio (M ),
fratello di Cesene,
é console. IX. 21. È'
mandato a soccorrere gli alleati.
Vili. 88. Depone
il consolato e ricasa
il trionfo, iZ. Va
con
gli altri Fabj.
contro Ve- jp, i5. .
• ' , Fabio (Q-), storico
Romano, anlichisshaó.
Proemio, 6. ' Fabio
(Q.), Pittor» cosa
narri dei dne
gemelli di Ilia.
I. 70. Gota del
tradimento 'di Tarpea. IL
38eseg. Si rigetta
Iacea* s Digilized by Google teoz»'di >rai
circa i figli di
Tarquiaio Frjico. lY.
6« Seoti- menlo di
Fabio aa di
Egerio, G4> Foca
ma diligenza nella cronologia^ 3o. ,
Fabio (Q.) r.ooDtole- Vili. 77-.
Marcia contro gli
Eqai ed i Volici,
83. Q. Fabio , figlio di
Ccione , console per la se-
comU Tolte, QO. È
ncciso, 20. Fabio (Quinto),
figlio di uno
dei tre Fabj i
qnali preiiede-* rano alla
guarnigione di Cremerà , diriene.^ console.
IX. 5g. Fa pace.oon
gli Eqni, ivi.
Q. Fabio Vibnlano
& còn- sole per la .seconda
volta. IX. 6i.^.Debella
gli Eqni, ivi. Q-
Fabio Vibolano console
per la tersa
volta marcia contro gli
E delibera sa la guerra
contro i Romani. V. ‘ 5o,
Sa, Ci. ^ • Feciali,
Noma istitnises il
collegio de’ Feciali in
Roma. II. •ji. Sono
impiegati nel 'cènoiliare
la* plebe- col Seiuto.
VI. 89. Loro incombente.
II. 93. ' . Ferelrio , Giove. II.
34- ' Fidene-, è fabbricata
dagli Albani. II.
53. Era lontana
cinque miglia da Roma. 'III.
2ij. X. 22.
Romolo la , rende colonia Romana. III.
2* prende Tar- • qninio
Prisoo, 58. Per
impulso di Sesto
Tsrquinio si ri- ■ bella
dai Romani, V.
4^- 6 riacquistata, 45. I
Sabini ac- campali a Fidene sono
vinti. IV. 5s. Fido
Giova Saiico. IV.
58. Sp. Postnmio
consagra il tempio di
Giove Fidio. IX.
Co. Figli. I delitti de’
figli non privano
il padre de’
propri beni. Vili. 80.
Figli come soggetti
al padre. Vedi
padre. Flanmii , pecchi cbs) chiamati.
IL C4. Ftanleio (M.),
sna bravura, premio,
esortasioni. IX. io. Fortuna.
Ser. Tallio le
fabbrica due te(npj.
IV. 2’j. Uno di
questi tempi s’ incendia , 4^2. Giuochi funebri. V.
jj. Oraiioni funebri
aolite in morte
de* vaien* tuomini. IX.
54* Qual popolo
le intradnceaae. V.
ijt Ora- aio padre
non, rende i funebri onori
al)a figlia percbi
non amica ‘della patria.
III. ai. , Fario
(Lnoio) , console. IX.
36. ~ Furio, triumviro
per dividere i terrenj.
IX. 5g. -* .
Furio (Sta.) , oòniole.
Vili. i6. Furio. (Spor.), oopaole.
IX. i. Corre
e saccheggia le campa'- gne
degli Equi, a. . -
/4g. ■ Geganio. (L.),.
fratello di T. Gegaoio oonsole,
i spedito a com- prare i
grani in
SiciK». VII. i.
Suo ritorno, lo. Gegaoio
(M. Macerino), console.
XI. 5i. Geganio (T.
Macerino), console. VII.
i. Geli) , i dne fratelli,
nipoti di Bruto
congiurati. V. €. '*
Gellio (Gn.), senteosa
di lui oirca
Tanno del'ratto delle
Sa- bine. Il, 3l. Altra
sul collegio de' Feoiali,
gl. Scrisse che Numa
lasciò una figlia,
Suo parere sul
venir di Digitized by
Google Tarqainio a Roma. IV.
C. È oegligeatt' nella
■ oronologia. - VII. I. , ' Gelone,
iuocede ad IppocraU
nella tirannide. VII. i
. Manda ■ framenlo in dono
li Romaoi, so. ‘
Gennaio (On.), tribuno
della plebe, insiete
per la legge
agraria e si ritrova
morto. IX. Z’j,
38. E ohiamato Cajo
in .Inogo di Gneo.
X. 38. 4Tito
Gennaio obiama in
gindiaia Tito Me- nenio. Titn Livio
chiama Gennaio sempre
Tito e non Cneo nè
Cajo. IX. 27. •
' . ' PorseOa lo'
occnpa. V. 22^ Lo
ooonpano gli Etruschi.
IX- 2{. Lo
abbandonano, 2C. Giapigia , promontorio 'Saleolino. I. ^2.
Giove, spoglia Saturno
del comando. IL 1
9. Tarquiàio Prisco comincia a fabbricare
id comune un
tempio a Giove, Giu- none e Minerva. III.
C9. Giove Feretrio.
II. 34. Fidio , vedi
questa parolk. , Giove' Capitolino,
ammonisce i Romani a replicare
i giuochi in suo onore.
VII. 68. Sagrifis)
a Giove nel monte
Albano. Vili. 87. Romolo
alsa un tempio
a Giove Statore. IL 5o.
Giove Terminale. II.
74. Digitized by Google 497 Ginlia, famiglia
traiferiu da Alba a
Roma. III. 29.
Giulio il pili grande
de’ figli di
Ascanto diede origine
e uomo alla gente Giulia.
I. 61. Giulio Proolo
, suoi racconti eu
Romolo. II. C5. Giulio
(Cajo) Cesare rende
alle loro cariche
i tribuni espulsi da Pompeo.
Vili. ^8. Giulio (C.)
Ginlo console. Vili.
i. Giulio (C.) console.
Vili. 90. Giulio Decemviro.
X. 5C. Giulio Vopisco
console. IX. Giulio (L.)
Bruto perchè detto
Bruto. IV. G7.
Sua perora- zione contro la
tirannide ^ 70. Bruto
e Collatioo i primi sono destinati
consoli , 7G. Austerità sua
nel punire i oon- giorati a favorir
la tirannide. V.
8. Fa rimovere
Collatino dal consolato e prende
P. /Valerio per collega,
12. È uc- ciso da Arante
Tarqninio in battaglia
j i5. E riportato in Roma:
aoa pompa funebre,
17 e seg. Giunio (Brolo
L.) , nomo plebeo.
Vedi Bruto. Ginnj (Tito
« Tib.) figli del
console oongiurano e sono
pa- niti. V. 8. Giunone ,
suo tempio. I.
^1. Sul Campidoglio
insieme con quello di
Giove e di Minerva.
IV. 61. Giunone
Luci~ fera, i5. I Icilio (C.)
Ruga, è creato tribuno.
VI. 89. Icilio (L.)
tribuno della plebe
per la seconda
volta. X. 33. Riprova
in parte il
parere di Siccio , 4». Icilio (L.)
destinato sposo dì
Verginia. XI. 28.
La soccorre,' ivi. Perora
in suo favore,
3i e seg. Icilio (M.)
coetaneo e compagno di
Sp. Verginio. X. 49*
mOJSIGI. tomo ut. Si
Digitized by Google 498 Icilio (Sp.)
è spedito dalle plebe
al Senato insieme
con Im Gionio Brolo,
e M. Decio. VI.
88. Sne querele
contro del Senato per
la carestia e per
la colonia mandata
in luoghi malsani. VII.
i4 , 19. Sp.
Icilio Roga edile
tenta di arrestare per
ordine dei tribuni
Goriolano ed ò ri- spinto dai patria),
26. Icilio tribuno
aumenta il potere
della plebe. X. 3i. Itia
figlia di Numitore.
I. 6'}. È falla
Vestale, ed ingravidata, ivi. Partorisce
doe gemelli , 69. Imatiooe, Remo
Gglio di esso.
I. 63. Imperiale, abito.
Vili. Sq. Interri , quando si
creava. XI. 20.
Interri creati , morendo un console
e stando malato 1*
altro. IX. i4* O
morendo tolti dne i consoli,
69. Interri creati
per cagìon de’comis). XI. Ga.
OfGsio degl* interri.
II. 58. IV.
4o> So* Interregno dopo
la morte di
Romolo. II. 5'}.
Dopo la morte di
Tulio Ostilio. III.
3C. Fatto l’ interri
cessarono tolti gli altri
magistrati. Vili. 90. Italo,
Oenotro di origine
regnò nell’ Italia e le
diede il nome. I.
26. Sicolo creduto
figlio d’ Italo diede
nome alla Sicilia, i3.
Ad Italo soccedette
Morgete , 64* Italia ebbe nome
da Italo. I.
26. Fu già
delta VItalia. 2’). E
dai Greci Esperia
ed Ansonia , ivi. Come
Saturnia dai pae- sani, ivi. Bontà
dell* Italia, 2';,
28- Limiti dell’ Italia , a. Antichi limiti
della medesima, 64*
Città Greche nell’Italia. X. 54-
L’Italia si ribella
dai Romani. IL 17.
L Labìcani , popolo del
Lasio. V. 4*.
Erano colonia -degli Al- bani. Goriolano gli
espugna. Vili. 19. Lacedemoni , loro
colonia passala tra i
Sabini. II. 49*
Uno Sparlano il primo
si espose nudo
affatto a compiere i giuo- Digilized by
Goc^le 499 chi olimpici : non
concedevano agli esteri
il diritto di
cit- tadinaosa se non rarissimamente, ij.
S* impadroniscono di Atene.
XI. i. I Re loro
erano dne. lY.
q'S. Sottoposti alle leggi.
V. jii II*
ìAi Autorità somma
nel Senato, ivi. Così
crebbero. IV. Perderono
il comando con
ignomi- nia. II. 7. Largio Sp. , capitano, protegge
l’esercito che si
ritira. Y. 23, 2Ì,
Procura i viveri a Roma,
sf, È console, 3iL
Sp. Lar- gio consolare marcia
a soccorrere Valerio , Sp.
Largio fratello di 'T.
Largio Dittatore /resta in
gnardia di Roma, 7 5.
Sp. Largio Flavio
console per la
seconda volta. VII. 68.
Sp. Largio mandato
ambasciadore oon altri
a Gorìo- laoo. Vili. 23^
Spurio Largio stando
a difendere Roma ne protegge
le vicine campagne.
Sp. Largio interré
, go. Consiglia la guerra
contro i Vejenti , Qi.
Largio (T.) oons.
V. ^ T. Largio
Flavo cons., 5g.
Sua mo- derasione, 60, E
dittatore il primo,
7^. Sna condotta, 75.
Sentenza di lai
sol pacificarsi coi
Latini. VI. ^ Sai ristabilire la
concordia interna ed
esterna, e seg. È la- sciato in guardia
di Roma, 4^.
Sno diacorso alla
plebe ri- tiratasi, 81.
Largio (T.) legato
di Postumo Cominio
espugna Coriola. VI. Larisse,
due, nna in
Italia. I. l2. L’altra
in Tessaglia. X. iL
Latino figlio di
Ercole ma creduto
figlio di Fauno , e per- chè. L 34. Re
degli Aborigini : il
suo regno passa
ad Enea , ivi. Latino Silvio
Re. L Ql, Latini , ebbero questo
nome sotto Latino,
L 1 , 56 , 5_l, Le città
Latine ricusano di
ubbidire ai Romani
dopo la caduta di
Alba. III. 34,
Sono vinte da
Anco Marzio, E da Tarquinio Prisco,
4S: Si collegano
con esso, 54.
Decretano far guerra contro
i Romani per favorire
Tarquinio Super- bo, 61.
Vinti cercano la
pace. VI. 1 Volaci
cercano Digilized by Google 5oò •nmiDOVftre i Latini
, e questi ne portano
gli ambasciailori legati a Roma,
e ne tono premiati.
VI. zi. Sono
infettati dai Volaci. Vili.
L2. E da Curiolano,
^ Catsio vuol che
par- lecipiuo alla divisione
delle campagne come i
Romani, 6r). Cercano toocorto
dai Romani contro
gli Eqni./4X. L.
Man- dano il doppio de*
snttidj dovuti ai
Romani, ^ Sbaragliano gli Equi
ed i Voitci, Sì.
Chiedono di nuovo
ajoto dai Ro- mani contro gli
Equi, Co . 67. Città
Latine. VI. 63 ,
7^. Vedi Ferentino. Ferie
latine istitnite da
Tarqninio superbo sni monte
Albano. IV. ^ Se
ne aggiunge una
seconda per la espulsione
del tiranno stesso
il qnale le
aveva istituite , ed una tersa
pel ritorno del
popolo. VI. q5. Lazio
, era luogo della
regione degli Opici.
L 63. Lavina o Lavinia figlia
di Anio o di
Latino. L Lavina figlia di
Evandro , Lavioio metropoli
del Lazio, e di
Roma. Vili. 3o. E
fon-' data dai Trojani.
I. 36. Vili.
2 1 . Coriolano l' assedia , ivi. Quei
di Lavioio cercano
soddisfasione dai Romani
per l’ol- traggio fatto
ai legati. IL
.*) 2. Lanrento città
d' Italia. L 44 . 46. Era
degli Aborigeni, Situazione di
essa, 36. Legge , si esaminava
prima dal Senato
, e poi si proponeva' al
popolo. IX .45.
Tempo richiesto per
I’ esame, 4j_ì
Di- ritto di formare le
leggi presso del
popolo. II. i_4. 1
pa- trizi tenevano per leggi
quelle sole emanate
dai comiz| cen- toriati.
XI. Ma poi
riconoscono anche le
altre dei Co- mizj
per tribù , ivi.
Leggi di Romolo.
IL z3. Leggi
di Servio Tullio. IV.
i_3. Il tiranno
Tarqninio toglie tutte
le leggi di Tullio,
43. Legge di
Romolo sol matrimonio.
IL £3. Legge del
medesimo circa la
potestà patria, ìQ.
Compilazione delle leggi. Vedi
7)ece/nviro/o.’ Queste leggi sono
proposte all’esame del popolo.
X. 5^ Ne
risultano le leggi
delle dodici tavole. Co.
Le quali furono
stimatissime. XI. 44- Digilized
by Google 5oi L4‘ttorìo G.
tribano della plebe
rttponde al console
Appio Gl. a nome
della plebe. IX.
4^ Suo tumulto
|>er arrestare Appio,
4^ Licinio storico : sue
narrazioni su la
strage di Tazio.
II. 5a « 54.
Su Tarqninio Prisco.
IV. ù± Su
la ovazione. V. Su
Tarqninio superbo. VI. 1
1. Sua
negligenza nell' esame de'
tempi. -VII. u Licaoni , dne. L 1. Licinj
C. e Pab. creati
triboni. VI. 8^ Lioorgo , dà leggi
severe agli Spartani.
II. 42: Divulga
di averle apprese da
Apollo Delfico, f) i .
Lidi o Lydi , inventori di
nn dato giuoco.
II. 'jL. Littori , precedevano il
re con fasci
di verghe e con
scure. III. ILl, Difendono
il console ooniro
il tribuno. IX. Rimovono
per comando dei
consoli la torba
che tumnltoa. VII. IL
Ogni Decemviro fa
precedersi da dodici
littori. X. 5q. I tribuni
risolvono di far
gittare dalla rupe
tarpea oa littore perchè
aveva ubbidito al
consoli. X. 3i, Liguri , loro emigrazione
dall' Italia nella
Sicilia. L lL I Li- cori contrastano il
passo ad Ercole
nelle Alpi , Liri , fiume. L L, Lista,
metropoli degli Aborigeni.
L S, Liti, e cause discusse
ne’ tempi de' mercati. VII.
fiS. Locri , f n tempo Lelegi.
L Q. Longola città de' Volaci
è presa da Postumo
Cominio. VI. qi. • È presa
da Goriolano. Vili.
56. Lucani, infestati dai
Sanniti. Tomo III.
Lfgationi. Sono vinti
5- Perchd chiamati
Aborigeni , 5. Vengono
dall’Arcadia con Oenotro.
II. i. Oenotro , ana nascita
e venata in Italia.
I. 3. Opici , popolo : loro
porto. I. 44*
La regione loro
abbracciava anche il Lazio,
C3. Gli Opici
cacciano i Sicoli, i3. Opimia,
Vergine Vestale; è condannata
per lo stupro.
Vili. 8q. Oppio (M.)
capo dell’ esercito
che si ritira
dai Decemviri. 21. 44. Oppio
(Sp.) Decemviro. 2. 58. Resta
con Appio Glandio
a proteggere la cittii.
21. a3. Convoca
il Senato, 44* R
con- dannato a pieni voti dal
popolo e more lo
stesso giorno in carcere,
4C. Orbilia Vestale è punita
per lo stupro.
12. 4c. Ostia città,
da ohi formata.
III. 44. Ovazione, perchè
cosi chiamata. V.
47 Doao maodato dai
Remaci al medesimo
« 35. Porta Capeoa. TIII.
4- Carmentale. I. 23. Mogooia.
IL 5o. Sacra. X. i4- Trigemina.
I. a3. 3o. Porzio
(M.) Catone, eoo
racconto su dne
gemelii d'Ilùu I. ^o.
Sa l’anno della
fondazione di Roma,
65. Su le
tribù sta> bilite da
Tallio. IV. i. Fostamio
(4.) consolo, è nominato
dittatore. VI. 2.
Marcia contro de’ Latini , 3.
Parla all’ esercito
per animarlo , 6. Trionfa dei
Latini, 17. Lascia
la dittatura e rende
i suoi magistrati alla Patria , 23.
A Postnmio Albo combatte
bra- vamente contro gli Aoranci , 33.
' Fostamio (A.) Albo
console, collega di
Furio lo soccorre. IX.
65. Fostamio (P.) Taberto
console con M.
Valerio , marcia a eoo correrlo. V.
3q. P. Postnmio
Taberto. console per
la se- conda volta, è battuto
per la troppa
audacia, .(4* Ripara r infamia , vince bravamente
i Sabini , gli si accorda
1’ o- vazione , 47> Postnmio
Taberto è legato alla
plebe pro- fuga » 9-
Postnmio (Sp.) Albino
console. IX. 60.
Dedica il tempio
di Giove Fidio , ivi. Spur.
Postnmio va legato
in Grecia a raccoglier
le leggi. X. 52. E creato
Decemviro, 56. Postamj ,
impediscono la legge Agraria , ed
il popolo li
con- danna ad una emenda.
X. 4a> Postnmio , legato vilipeso
dai Tarentini. Tomo
III. Lega- zioni. Preda, parta
data ai soldati
, parte all’ erario.
X. 21. Preda venduta
dai questori con
metterne il denaro
nell’ erario. VIII. 82.
Colle decime della
preda se ne
fan sagrifizj, VI. 17.
Primizie della preda
date ai valentuomini,
q4. Prenestini , popoli del Lazio.
V. 4i* Prenestina
via. IV. 53. Proca
Silvio , Re di Alba.
I. 62. Digilized by
Google 5i2 Prole. È deliUo di
ucciderla. I. 8.
Quando polesse eaporei secondo la
legge di Romolo,
II. i5. Fi'oserpina, «e
ne dedica il
tempio. VI. Punica, prima
gnerra per la
Siotlia. II. 6C.
Suo comincia- mento ,
quando. Proemio, 8. ' Q
Quadrighe, combattimenti con
ewe. VII. 'jz,
'^3. Questori, Vendono la
preda. VII. 05 e
ne portano il
danaro nell’ erario. Vili.
82. Vendono i beni
dei profughi , e ne recano il
prezao nell' erario.
XI. 06. Sono
comandati di fare a spese
pubbliche i funerali di
Menenio. VI. q6.
Ac- cusano Cassio come reo
di tirannide al
popolo. Vili. ^7. Querqnelnla , popolo del
Lazio. V. Oi. Questura
, la esercita un
nomo consolare. X. 23.
Qaintilj trasferiti da
Alba in Roma.
III. 2^. Quintino Sesto
console , muore per la
peste. X. 55. Quinzia , via. I. 6.
Quinzio C. o Curzio
console. XI. 5z. Quinzio
Cesene figlio di
L. Quinzio Cincinnato,
si oppone ai plebei
: è accusato al popolo.
X. 5. Va
in esilio , 8. Qnhizio
(L.) Cincinnato, padre
di Cesene, fa
la causa del
figlio presso del popolo.
X. 5. Venduti
i suoi beni paga
per la sicurtà del
suo figlio , e si ritira
io un suo
poderelto di là dal
Tevere. X. g.
Donde è chiamato al
consolato, l’j. Sna condotta , e seg. £ chiamato
dal suo poderetto
alla dittatura , 24. Soddisfa
al bisogno , e torna privato
al suo rampo , 25.
Suo parere sul
frenare i tribuni, 1'}. E
sol duplicarne il numero
, 3o. Quinzio Tic Capitolino
console , discorda da Appio
suo col- lega. IX. 4i-
Ammansa il popolo,
ivi. Divide la
rissa dei tribuni e del
sno collega , 48> È console
per la seconda Digitized by
Google 5i3 volta. IX. ^ Vince
gli Equi e i Volaci , ivi Ne
trionfa, È console per la
terza volta , Qjj Proconsole
porta ajoto ■ Ser. Furio,
Questore porta ajuto
a Miuuoio circon- dato dai nemici.
X. 22, Parere
di lui su
le richieste dei Decemviri. XI.
i2> E console per
la quinta volta,
02, Quirino, vedi Romolo
e Marte. Quirinale. II. 58. K
congiunto a Roma da
Romolo, e Tazio, 2q, Noma
lo ricinge di
mora , , Quiriti , nome di tatti
i cittadini di Roma
derivato , da Curi patria di
Tazio. II. ^6. .
. Rabolejo (C.). tribuno, come
divise, come dii'
fine alle oou* tese
dei consoli. Vili.
5^ Rabnlejo (M.) Decemviro.
X. 28, Marcia
contro i Sabini. XI. a5. ■
' ‘ ' • Rasena duce Tirreno.
L 21, . . _ Ratto delle
Sabine. II. 2tL
In grazia di
esse lasciasi ai
loro cittadini vinti la
patria, la libertà
, li beni, 55. Reatino
agro, fu tenuto-
dagli Aborigeni. II. I
Reatini ac- colgono i Listani profughi.
L 6* Regillo , città Sabina , patria della
gente Claudia. V. 4°^
Claudio a tempo dei
Decetnviri protesta ritirarvisi
di nuovo. XI. i2, Regillo , lago nel
Lazio. V. ' v Regno , Numa lo
ricusa. II. Ila.
Suo diritto TÌmaneva
nei col- latori. IV. ^
Si regnò
lungo tempo sotto
certe condizioni. . V.
2^ Perchè gli
antichi talvolta togliessero
il governo re- gio ; ivi. Quanto
durasse in Roma.
IV. 82, Re delle
cose sagre, vedi
Manto Papirio. Rea , figlia
di Numitore. L Rea
, ossia Opi , suo tempio.
II. vio.vicr, toma III. ^
' il Digitized by Googlf 5i4 Religione, quanto
ne fouero ouer?aatt
gli antichi. Vili.
o-). Rem uria. 1. ^6.
Ren>o> nome dato
da Fanalaio. I.
^o. È fatto prigioniero,
’ji. £ aoiolto . ^a. Sua morte
e tomba, 78. Roma, Donna
Trojana, vi è chi
scrive che desse
il nome alla città
regia di Romolo.
I. 65. Roma , se ne
additano tre. Proemio , 7.
FondaaioDe fattane da Romolo.
II. 2. Il
suo popolo derivaTa
dai Greci non dai
Barbari. VII. 72.
Romolo e' Tasio
l' ampliSoano. II. So. Servio
Tullin vi aggiunge
i| Viminale., e 1’
Esqnilino. IV. i3. Dividendola
in quattro p.irii,
e tribù ; tanto che i
colli di Roma divennero
sette, i{. Brolo
la rende libera.
Vedi Giunlo Bruto. Re’
suoi pericoli più
grandi conservò sempre ^ la
sua dignità. Vili.
36. Non usava
cedere punto ai
nemici. VI. 71. In
tempo di pace
era sedisiosa , i laddove
era una- Btmc in
tempo di gnerra.
X.. 33. Fa
rifugio a quanti vi cercavano
sede sicara. V. 56. Moltitadine
della colonia che vi
andò con Romolo.
II. 2. Quando
presa dai Galli.
I. 65. Fn dominata
prima dai Re
{'quanto ciasenno vi
dominasse, 66. Quindi ebbe
per capi i consoli,
poi K Decemviri, e di nnnvo
i consoli, i triboni militari,
e di nuovo i consoli. Vedi queste
parole. Romilip (T.^ console.'
X. 33. Gommissioni
(die egli diede
a Siccio, Siocio lo
accusa al popolo,
^ condannato, ivi. Sèntensa di
lui su la
compilazione delle leggi.
So. E creato Decemviro
, 56. Ronsolo figlio di
Enea. I. Nascita
di Romolo e Remo,
6q,'7«. Era decimoseuimo
nella disceadeosa da Enea
, 36. Non ennenrda
col fratello sol
laogo di fabbri- care Roma , 76. Uccide
Remo e se oc
pente , 78. Fonda- aione di
Roma. II. a. È
creato re, dal
16 al 56,
delio stesso libro si
esprime la condotta ‘di
Romolo nel regno; muore,
56. Noma gli
inalza un tempio
e la venerarlo con annui
tagriCzj , 63. Digitized by Google 5i5 Ro*tri nel
Foro Romano. L 20: Rutuli,
fanno guerra a Latino.
L 4^ Si ribellano
di nuovo (la Latino
, Enea niuor* combattendo
con eui , iei. Pro* mettono
di mandare ajulo
ai Latini. V. 4^
S Sabini j cosi denominati
da Sabino o Sabo.
II. 4^ Vi è
chi li crede Spartani
di orìgine in
gran parte. IL
Un tempo erano molli
come gli Etruschi
, 58. Prendono Lista',
me- tropoli degli Aborigeni, Sotto
il comando di
Tazio por- tano guerra ai
Romani , 5iL Condizioni con le quali
con- cludono la pace con
Romolo , 4^ Tallo
Ostilio li debella. 111.
Ili Rompono 1'
alleanza e li debella
di nuovo , Come pure
li vinco Anco
Marzio , 4» . 4-- Promettono ajute ai
Latini contro t Romani
« ìlL, Li vince
anche Tar> quinìo Prisco,
55 , G^. E Tarquinio
so|)erbo. IV. 5o. fi
li consoli. V.
Esultano per una
leggera vittoria e sono
disfatti novamente , i_5.
Ottengono la pace ,
saliscono i Romani mentiv;
erano in festa.
Yi« 3_L. Movono guerra
di nuovo ai
Romani , 34. Promettono soccorrere
i Volaci , e sono vinti ,
4A: Soccorrono i Vejenti
conlro i Ro- maoi. IX. ^
Sono vinti , ìjL Fra
la sedizione di
Roma ne devastano la
campagna , 5^ Tutti
due i consoli deva- stano la loro
campagna , 56. Servilio
consdle li desola
ao- vamente, 5‘j. Scorrono
sino a Fidene. X.
2^ Manomettono di nnovo
I’ agro romano.
X. zfL Di
nuovo fanno s>:orreria ne* coo6oi.
XI. 5 . Combattono co'
Romaui pel comando. VI. Sacro Monte.
VI. 45^ Lai
plebe vi alza
nn altare e vi
sagri- Aca , 90. Via sagra.
IL 4C . 5o. V.'35.
Classi otto di mi-
nistri sagri istituite da
Jfuma , ii. Cause
spettanti a cose sagre deciJevansi
dai Poatefici, ’)5.
Legge sagra: cioè
quella su la inviolabilità
dei tribuni. VI. ^
Cittadini lordi di Digilized
by Google 5i6 sangue sparso
si espiano prima
di accostarti alle
sagre cose. V. ^ Sacrifisj , dopo la
viUoria per render
grazie ai nnmi.
X. Vili. 6^ Sagrifìzi
per il termine
della peste , ivi. Salj , istituiti da
Nama. II. 2^
Tallo Ostilio ne
raddoppia il numero. III.
2l2. Salj Palatini , e Collini , 2^ Ancili
o scudi de’ Salj , 2i_! Saline antiche
all’ iniboccatora del
Tevere. II. 5^ Samotracia
i«o|a , perchil così
chiamata. L iz. Enea
porta Sanniti , sconsigliano i Napoletani
dall’ amicisia de’
Rolnani , loro, guerra
(>oi Lucani eo.
Tomo III. Legazioni. Satirico , giochi
e salti. VII. 2^ Satrieo , popolo del
Lazio , Corìolano lo
riduce colla forza* Vili.
. . Saturnia , colonia degli Aborigeni.
L SiL L’ Italia fu
detta Saturnia , e perchè ,
sJL Saturnio colle
fu detto il
CaunpU doglio , ivi. Saturno
regna io Italia.
Ì. 22* SagriEsj
fatti a Saturno « zq. Ercole
alza un altare
a Satùrno , VI. 1, Tempio
dì Sa- tnmo snl
colle Capitolino, ivi. Saturnali. IV.
i^.- - Scattini popolo
del Lazio. V.
S_L. ■ Scellerata , via. IV.
59. Scola letteraria nel
Foro. XI. a8. Scriba
ucciso in luogo
di Porsena.. V.
z8> Scuri , vedi Fasci. Sedia
Curale. V. 4^
Coriolano fa mettere
a basso la sedia eoa
al venir della
madre. Vili. 4^ ''
Sempronio (Q.) Alratino
console. VI. l.
Postumio dittatore lo lascia
a presedere à Roma , !• Console
per la seconda volta. VII.
20. Sentenza sua
su le cose
agrarie. Vili. Sempronio (A.)
Atratino interré. Vili.
E tribuno militare in luogo
di console. XI.
Ci. ■ ■ Digitized by
Google * 5i7 Sempronio (L.) Atratino
coniole. XI. fìa.' Semprooj , impediscono la
legge agraria , e ne sono
paniti. X. ^ e seg. Senato, donde
cos) detto. II.
1_Z, OfBsj del
Senato, Pri- vilegi. Romolo stabilisce
nn Senato di
cento. II. 1-1_. Vi
si aggiangnno altri
cento dopo cbe i
Sabini farono messi a parte
delle cose di
Roma , ^ Tarqninio Prisco ne
aggiunge altri cento , rendendo il
Senato di trecento. III. ^ -Strazio
del Senato sotto
il tiranno Tarquinia.
IV. 4-2, Dopo espulsi
i re si ascrivono
dei plebei nel
Senato per supplire i trecento.
V. il. Siila
pone in Senato
ogni feccia di nomini , 2Jz
Senato era il
freno dell* antorilà consolare. VII.
55. II console
aduna il Senato
di notte. IX. 65.
XI. 2jk I Senatori
sono convocati ad
uno ad ano in
affari ardui. Vili.
5, I tribuni tentano
convocare il Senato sebbene tal
diritto fosse dei
consoli. X. 3.1 e
seg. I con- soli adunano in
casa loro un
corpo di senatori
pi& scel- ti , 4^ ^ Quali
fossero f primi a dire
il loro pa- rere in
Senato. VI. 84^ I
censori esaminano la
vita dei Senatori. IV.
2^, Seaatusconsnlto avea forza
per un anno.
^X. Ricercavasi il Senatusconsnlto su
cose intorno le
quali non vi
era leg- ge. VII. I'
tribuni presentano alla
pdebe il sefatusoon- snlto scritto
dai consoli. XI.
Gj, La plebe
approva il sena- tnscoosulto. X. 5^ , » ■ ' Sette
acque , luogo. LG, • ' Sette,
pagi. 1 Vejenti li
consegnano ai Romani.
II. 55. I Ko •
mani li
rendono a Porsena. V. 5G,
Sequinio Albano. III.
i5. Serg io (M.)
Decemviro. XI. 25, Servii)
trasferiti da Alba a
Roma. III. 2^ Servilio
(C.) console, poco
felice contro i Volaci.
IX. iG, Servilio (P.)
Prisco console discorda
da Claudio ano
collega VI. 25, Placa
i poveri, 3G, Eccita
i plebei alla gnerra,
28. Digitized by Google UiS Vince i Voitcì.
VI. 19. Si
arro(>a I* ovasione
eenza beneplacito del Senato
a vinca gli Aaruaci
,02. / Servilio (P.)
Prisco console , prossimo a noprte
convoca il Senato. IX.
6'j. Muore di
peste, 68. ' Servilio
(Sp.) console. IX.
25. Più andace
che felice contro gli
Etruschi, 26. È citalo
al gìodiaio del
popolo appunto per questo,
28. E assolalo, 33. È
legato di Valerio
nella guerra co’ Vejenti
e si distiogoe, 35. Servilio
(Q.) è fatto maestro
dei cavalieri dal
dittatore Vale- rio. VI. 4o. Servilio
(Q.) Prisco, console.
IX. 5^. Devasta
la regione Sa- bina, ivi. Q.
^ervilio console per
la aecouda volta.
Co. soccorre i Latini , ivi.
Servi reodoti liberi
nelle grandi urgenze
di guerra. VII.
55. Servo quando torna
di suo diritto.
II. 2^. Cospiraaione
dei servi contro la
fepubblica. V. 5i. Sestio
(P.) , console. X.
5(. Diviene Decemviro,
56. Setini popolo del
Lazio. V. 61.
Coriolano ne prende
la loro città Seizet Sibille Oracoli.
I. .{o. Oracoli
della Sibilla Eritrea , 46*
Libri Sibillini esibiti a Tarquinio
superbo. IV. 62. A
chi dati
in custodia , e quando
consultati , ivi. Si
consultano in una grande
carestia. VI. 17.
Como in caso
di segni portentosi. X. 2. I
libri Sibillini si
bruciavo, e ai procurane
altre col- lezioni di oracoli
e dà quali luoghi.
IV. 62. Privilegi
dei custodi dei libri
Sibillìai , ivi. Sicania fu detta
un tempo la
Trinacria o Sicilia dai
Sicani , popolo delle Spagne.
I. i3. Siccio (L.)
Dentato : sue parole
al popolo per
la legge agra- ria. X.
5u. Propone consigli
più miti di
altri , 4-* Siegue i consoli in
guerra , ma si
scusa dall* adempirne
certi co- niaudt , 4S-
Come si vendicasse
dei consoli, 46 e
seg. PI fatto tribuno
, 47* Accusa Romilie
console al popolo,
48. Si riconcilia con
Romilio , $2. E ncciao per
la perfidia dei Digilized
by Google 5i9 Decemviri. XI.
36. L* eeercito
gli fa iplendidi
fanarali, 2']. Da alcaiii
è chiamalo L. Sicioio
Dentato, Siccio (T.) console
vince i Yolsci. Vili.
67. Ife triooEa,
ivL T. Siccio legato
saggcrisce a Fabin come
riprendere gK ac- campamenti , 68. Ottiene
i premj delia eoa
prodeiaa , ivi. Sicilia fu detta
dai Siedi , popolo italiano , quella che un
tempo ai
chiamava Sicania o Trinacria.
I. i5. Roma
ipe- disCR in Sicilia
a provvedere i grani. VII.
1. La Sicilia
ai ribella ai RomanL
IL 17. Sicinio (C.)
Bellbto nomo sedizioso
prooora di sollevare
ì soldati plebei. VI.
VII, 33. Son
risposte ai legati
dai consoli. VI. 45.
Aduna la plebe
nel i.ionte sagro
e permette che i legati del
Senato vi parlino , e fa che i
plebei rispon- dano. VI. 71 ,
72. E creato tribuno
dai plebei, 8q. E
tri- bnno per la
seconda volta. VII.
33. Sue invettive
contro Goriolano , 3{. Cita
Goriolano al popolo,
38. Fa che il
popolo ne sentenzi
,61. Sicoli , qnal gente fossero
d’ Italia , e dove abitassero.
II. i . Italiani nominati
Sieoli da Sioolo
re. I. 4-
Un tempo abi- tarono Roma, I.
Ne sono cacciati
dagli Aborigeni e dai Pelaighi , ivi. Passano
dall’Italia nella Sicania , i3.
Legati Sicoli assaliti dagli
Anziati. VII. 37.
Vestigi de’ Sieoli
in Italia. II. I. Sicolo
figlio d’italo porta
nna oolooia*di làgqri
nell’Italia. I. i3. Sicolo
re di Ausonia,
ivi. Siedo prologo
da Roma viene a Morgete
, 64. Signia , colonia di Tarquinio.
IV. 63. Sesto
Tarqninio tenta invano di
prenderla. V. 58. Silvio
figlio postumo di
Enea cosi denominato
dalle selve. I. Gl.
Ebbe il regno
de' Latini dopo la
morte di Ascanio,
ivi. Da lui furono
Silvj denominati tutti
i re di A^ba , ivi. Soci del
popolo Romano dovevano
mandargli de’ sossidj
nella guerra. X. 2i.
Leggi date ai
Latini circa i sussid;.
VITI. i3. E Su racquieto
de’ nnovi campi, 74. Digitir.rd by
Googli 520 Sole , ano
(empio. II. 5o.
Fonte dèi aole.
I. 46. Sparla , Spartani. Vedi
Lacedemoni. Spineto j bocca del
Po. I. io. Spoglie.
Vedi Prede. Sterile, moglie
ripudiata. IL 25. Sobarrana^ tribb.
IV. i4. ' • Sneasa
Fomexia^ cittì rignarderole dei Volaci.
VI. 2^ Tarqni- nio
àoperbo la espagna.
FV. 5o. Servilio
la prende. VI.
2g. Abbondansa della ana
preda , I Soeaaani profoghi
ec- citano i Cab) a far guerra
a Tarqniuio. IV. 53. '
- Suffragi. Vedi Ceiftiz/. Solpizio (Q.)
Camerino oonaole. VII.
68. Sitlpiiio (Q.) Uno
dei legati apediti
a Coriolano. Vili. 32. Sulpiiio
(Ser.) Camerino coniole.
V. 52. Sua
prndeoxa nello acoprir la
congiura , 53.'' Dopo la
morte del collega
egli prosiegue aolo a reggere
il consolato, 5^. Sulpizio
(Ser.) Camerino console.
X. i. Ser.
Solpixio mau- dato per
le leggi in
Grecia j Sz. È creato
Decemriroj 56. Sona Soana,
paeae degli Aborigeni.
I. 6. * J T Tanaqnilla moglie
di Tarqnìnio Prisco
perita degli augurj
e d* interpretare i segni
portentosi. III. 4’}-
IV. 2. Sua
pru- densa. IV. 4-
Sno - favore per- Servio
Tullio, ivi. Se
Tana- qoilla seppellisse Arnnte
figlio di Tarquiaio.
IV. 3o. Tareolini ,
sconsigliano i Napoletani dall*
amiciaia de’ Romani. Tomo
III. Legaùom. , Tarpeja
, suo tradimento, morte
e sepoltura. II. 38 e
vg. Tarpeo , colle', poi
detto Capitolino e perchè.
III. 6g. Tarpea, rupe-, aoprastava
al Foro, e vi
ai precipitavano i rei.
Vili. 98. IX. 4a. Tarpejo
(Spnr.) console. X. 48.
Tarquinj , cittì ricca
di Etmria. III.
46. Tarqninieai cospirano co'
Vejenli contro i Romani.
IV. zj. Digitized by
Googic Ss I Intercedono per
Tarqoinio supèrbo. Y. ^
procurano colle armi il
ritorno in Roma ,
Tarqnioio Arante, è messo
dittatore in Collazia
donde prende il nome
di Gollatino , esso
e snoi discendenti. III.
So. Tarqninio Arante , fratello
minore di Tarqniiiio
superbo prende per moglie
Tnllia. IV E fatto re ,
4^ Da
questo § fino al
termine del lib.
Ili si narrano le
imprese di Tarqninio
re , e la morte in
fine. Tarquinio (L.) superbo,
prende in moglie
la* figlia maggiore di Servio
Tullio. IV. Le
òk la morte,
e prende la minore , Come , e
quando s* impadronisse
del regno e perchè
fu chiamato snperbo,
4Ai Da' questo
§ fino al ter- mine del
lib. IV si
espongono le 'sue
azioni fino, alla
per- dita del regno. Esule
tenta più volte
di ricuperare il
trono. V. ^ Porsene si
distacca da lui , Tarquinio incita*
gli Etruschi contra i Romani
, 5i , 6i. Procura
sedizioni in Roma, S3,
Quanto tempo regnò.
L OS, Muore in
Coma. VI. ai, Tarqnioio (L.)
Collatino torna dal
campo in casa.
IV. Gj. La ritrova
piena di lotto , ivi.
E destinato e fatto console
insie- me con Bruto , , 8i.
Rinunzia il consolato
e- si ritira
a Lavinia. V. LI,
Ove muore. Vili.
4^ Tarquinio (L.) maestro
de* cavalieri sotto.
T. Qainzio Ditta- tore. X. 2^. Digitized
by Google r 9 5 Tarquiaio (P.) e
Marno di
Laurealo rivebno una
coapirazio- nr, V. 5^
Premio dato loro , 5^ Tarqoiiiio Sesto
Gglio del superbo
: suo messaggio al
padre da Gabio. IV. ^
£ creato Re di
Gabio , Violenta Lucrezia , ^
Esule fa
guerra par il padre.
V. aa , afL
É creato capitano dei
Sabini , Manda sussidi ai
Fideoati assediati, 5S. E capitano
dei Latini contro
dei Romani ^ (Ll, E ucciso. VI.
L2. Tarquinio (T.) figlio
del superbo porta
una colonia in Si-
gnia. IV. Egli a
Sesto fan guerra
per il padre.
V. aa^ a6. È ferito.
V. 1 1. Tarquinia moglie
di Ser. Tullio
muore d’improvriso. IV. 4^
Strangolala da Tarquinio
superbo , Tazio (T.)
re di Curi e
duce de*
Sabini contro i Romani. II.
2ÌL Fatta la
pace si fissa
in Roma , e regna eoo
Romolu , ho.' Erige
altari a più Dei ,
ivi. Muore , 5l. Telefono figlio
di Circe e di
Ulisae. IV. 4ì_- Tellene
città del Lasio.
III. V. Qì.
Chi ne fosse
l’ autore. L & Anco
Marsio la espugna
e ne porta in
Roma i cit- tadini. III. !>& Tiirsosio (C.)
tribnno della plebe
primo tenta introdnrre
leggi e diritti nella repobblioa.
X. La , Terenzio
Varrone, che dica
su i Sacerdoti istitnili
da Romolo. 11.1 2±,
So la origine
del nomo delle
Curie , 4^ oracoli
Sibillini. IV, fil, Tebaoi
tolgono l'impero agli
Spartani. Proemio, ^ Sono
sol* touessi. II. l 'j. Temistocle Arconte
di Atene. VI.
54» Teologia dei Romani
migliore di' quella de*
Greci. II. Termenio Cossia
Aterio console. X. 4d.
Termini Dii , loro
sagrifisi e festa. IL Testrina
o Testrnna, paese Sabino.
II. Tenero Re della
Teucri.! o Troade nella
Frigia. L ^ Tevere, passa
vicino a Fidcne. 11.
hh, Cliiamavati Albula
e Digitized by Google 5a3 prette altro
nome ila Tiberino
Re orlak> dalla
corrente di esao.
L Gz. Tibnrtini , popolo del Laaio»
V. 4i- Loro
fondatori. L 8* Timeo Siculo,
storico non affatto
diligente, eioccbè scrive
sa gli Dei Penati.
L Gfi. E sa 1*
epoca della fondasiona
di Ro« ma , (15. Tiora,
paese degli Aborigeni.
L 6. Tisicrate Grotooiate vince
nello stadio. V.
VI. 43* Tisio (Ses.)
tribuno della plebe.
IX. Cg. Toga , soB forma.
III. Gì. Intessnta
di oro.' V. 4^!
Tolerini espugnati a farsa
da Coriolano. Vili, Tuoni
e lampi spaventevoli dissnadono
Valerio il console
dal> r assalire il campo
degli Equi. IX.
55. Trabea, o Tibeuna. VI.
i5. Trebnia paese degli
Aborigeni. L IL Triarj ,
quali soldati. V. lL Vili.
SG, Tribuni, prefetti delle
trib&. II. Tribuni dei
Celeri e loro ofGsj.
II. 64^ Tribuni dèi
soldati , venti creati nel
ritirarsi le armate
dai Decemviri. XI. 4i^ Tribuni
militari destinati in
luogo dei consoli.
XI. 6t. Depon- gono
il tribunato militare
dopo acttanlatri giorni
, Ga, Tribuni della plebe
quando creati e quanti.
VI. 8 aegneiize , ^ Si
arrogano Tarbitrio di
accnaare qaalnnqne patrizio, 5g.
Nel caso di
Coriolanoj ivi. Cominciano
a ci- tare al popolo qnalanqne
cittadino « Si oppongono
a Cassio per la
legge Agraria. Vili,
Si oppongono alla leva
de* soldati, 87.
Impediscono col loro
potere i comizj , 90. Nella
penuria de* viveri
incitano la plebe
contro i Con- soli. IX. Chiamano
al gindisio del
popolo i già consoli perchè diano
conto del loro
consolato , ^ , 28. Restano pel
secondo anno nelle
cariche loro , Sforzi
loro per- chè 8* imprigioni
nn console ,' 48^
Insistono sn la
formazione delle leggi. X.'l.
Sono chiamati in
Senato a consnltarvi sa la
salute pubblica , 2., Cacciano
con finti delitti
Quinzio Cesene da Roma.
X. 8. Restano
pel terzo anno nella
loro carica, ^ E per il
quarto , 21, Confermati per
nn qninto anno impediscono
la leva innanzi
che il Senato
decreti per la formazion
delle leggi , 28, Tentano
di convocare il Se-
nato , il che aspettava
ai consoli, 3i.
Il Senato conceda che
L tribuni siano dieci
in luogo di
cinque , 3^ Gitano al
popolo i consoli i quali
non ubbidiscono , ^ Sono
im- pediti nella legge agraria , 4i
° *eg> La peste
ne uccida quattro , 88, Cessano
col crearsi dei
Decemviri , 4^ Vedi
Decemviri. Ristabiliti si
vendicano dei Decemviri.
XI. 46. Istigano di
nuovo la plebe
contro i patrizj , Pretendono che anche
i plebei possano chiedere
il consolato, 82,
Cac- ciati da Roma vanno
a Cesare nelle Gallie.
Vili. 87. Tribè, Romolo
ne forma tre,
-divise in dieci
curie. II. 25.
Anco Marsio li
vince, ^i. Come
poro Tarquioio Prisco, 58. E
Servio Tullio. IV.
2>]. Teotaoo riportare al
trono i Tarquinj. V.
i4> Sono «ioti
dai Ro- mani, i5. Cornelio
accorda loro la
tregua. Vili. 82.
Sac- cheggiano il territorio di
Roma e ne sono
repressi, Qi. Cercano il
soccorso degli Etruschi
contro i Romani. IX. 1,5.
Assalgono i Romani dipersi , 19.
Scorrono frao al Gianoioolo , ivi. Implorano
soccorso dagli Etruschi
contro i Romani , 16.
Appoggiati all* aiolo
degli Etruschi e dei Sabini
riprendono di nuovo
le armi contro
i Romani , 34. Ottengono una tregua
di aoni quaranta
, 3G. Si acuingono a ribellarsL XI.
54. Velia Inogo di
Roma. I. 11.
V. ig. Vellelri , città
dei Volaci si
rende ad Anco
Marno. III. ^2. E presa
da Verginio console.
VI. ^2. Rifinita
dì popolo dalla peste,
chiama dei coloni
da Roma. VII.
iz. Vesbola o Suessola paese
degli Aborigeni. 1. 6.
Vesta è la terra.
II. GG. Perchè
siale consagrato il
fuoco : e a chi siano
note le cote
sacre di essa ,
ivi. Tempio di Ve-
sta , So. Da chi
prima fosso fabbricato
e dove, 65. Perchè vi
si onstodisse il
fnooo e dalle Vergini,
GG. Nel tempio non
potevano pernottare de’ maschi,
G^j. Fonte al
tempio di Vesta. VI.
i3. Vestali , vergini nobilissime.
I. Gl. Da
obi foMero prima
isti- tuite. II. G5. Quante
ne stabilisse Niima
, e qnaute gli altri Re , G7. Tarquiuio
Prisco ne aggiunte
due. III. G’;.
Of- fiij loro. II.
6G. Quanto tempo
dovessero conservare la
ver- Digilized by Googk 5i’j ginilil. I.
C8> IL 67.
Dopo qnetto tempo
poteaoo maritarti. IL 67*
Onori delle Vestali , ivi. Loro
gastigo se lasciavano eorromperai. L C^.
IL C7. III.
G7. Veatale convinta
di etupro aottoposta a pene
solenni. IX. 4*
Vili. 8g. Suppli- xio
dei corruttori delle
Vestali. Vili. 89,
IX. 4** Vetoria, madre
di Corlolano. Vedi
Coriolano> Vetnrio (G.) console.
X. $2. Vetnrio (P.)
console. V.58- Veturio (T.)
Gemino console. VI.
3i. IX. 69.
Marcia contro i Volaci. IX.
G9. Ne trionfa:
ne ottiene la
ovaiione , 71. E fatto Decemviro.
X. 67. Virginio (A.)
Mentano console. VI.
3(. Va oontro
i Volaci, Va Legato alla
plebe profuga , G9. Virginio (A.)
oonsole. IX. i5. Virginio
^A) Celimontano console.
IX. 5G. 1 Virginio
(A.) triumviro. IX.
Sq. Virginio (A.) tribuno
della plebe. X. S e
seg. Virginio (Op.) Tricosto
console. V. /(g. '
Virginio Poolo console.
Vili. 58, 71. Virginio
(Sp.) console. X. 3i. ^ Virginio
(T.) console. VI. J.
Volsci , sono ridotti
in- dovere da Anco
Marsio. III. 4i.
Do* città dei Volaci
ai coliegano con
Tarqninio superbo. IV.
.49. Il quale infetta
il terrtìorio delle
altre, 52. Mandano
am- basciatori a Gabio
perchè voglia far
guerra con essi a
Tar- qninio , 53. 1 Volaci ricusano
socoorrere i Roiiani contro
i Latini. V. 4 A.nsi
apparecchia osi a soccorrere
i Ladini eon- tro i Romani.
VI. 5. Giungono
in soccorso dei
Latini dopo la battaglia , i Mandano ambasciatori
al campo Romano per
esplorarlo, i5. SI
nmiliaoo e tornano a ribellarsi,
25. Servilio li debella,
29. In pena
ne sono uccisi
in Roma gli ostaggi , 3o. Servilio
ne trionfa contro
il voto del
Senato , ivi. Mandano legati
in Roma a richiedere
ciocché era stato tolto
loro, 3{. Sono
costretti a ricevere i coloni
Romani, Dkjiii^tid by Google 528 VI. 43 e
s«g. Dopo la
goerra Latina i primi
fomentano la bellione dai
Romani, >}C. Poatomio
Gominio li debella,
91. In tempo di
fame macchinano contro
i Romani , ma la pe- ate li
raffrena. VII. 13.
Volaci comandati ohe
cacano da Roma tatti
per nna porta.
Vili. 4- Ridomandano
per meazo di legati
le loro cose
ai Romani , q. Intimano
gnerra ai Romani e creano
capitano Coriolano , ii.
Il quale gli
ac- costuma alla disciplina militare
dei Romani , Marciano con gli
Equi contro i Romani
, e si attaccano fra
loro, G3. Chiedono pace
dai Romani, 68.
Q. Fabio li
vince , 9i. Si confederano di
onovo con gli
Eqni contro i Romani.
IX. iC. Resistono bravamente
a Serrilio console , ivi.
Nansio console devasta le
loro campagne, 35.
Sono presi i loro accampamenti , 58. In
tempo di peste
cospirano con gli Equi
contro i Romani, 6'].
Sono respinti, 70.
Valerio li sbaraglia. XI.
47* Volscio (M.) tribuno
della plebe. X. 7.
Voinnnia moglie di
Coriolano. Vili. io.
Come ricevuta da Coriolano , i5. Volnnnio (P.)
console. X. i. INDICE Delle Tavole
a Carte contenute nelli
tre dolami delle
Antichità Romane -dX Dionigi
di AUearnasso. Tom. I.
Ritratto dell'Autore in principio » » Carla delli
Antichi Contorni di
Roma . . . n ivi n li. La
Porca 00' 3o
porcelli; e la Lupa
del Campidoglio o ivi » n Carla topografica
dell’antica Rmna . . . . n ivi M n Ritratta di
Giunto Bruto ....
...» 89 » 111. Tav.
1. eli. Tempia
di Giano e sne
vetligia. FINE. Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature,
Delle cose romane di Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia
di Ampelio, il sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto
verbale – la filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione
dell’evento e l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e
morfologiche e semantiche e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua
Latina. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Masullo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale e la scissione dell’inter-soggetivo – i lottatori della tribuna
– filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo italiano. Avellino, Campnia. Insegna
a Napoli. Ha trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore
del Dipartimento di Filosofia dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia
Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e
dell'Accademia Pugliese delle Scienze. È stato insignito della medaglia
d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del
Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha
ricoperto la carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i
primi anni della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli
studi superiori frequentando il liceo classico Carducci. Fequenta il corso
di laurea in Filosofia a Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su
Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri
personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che
con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a M.. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, M. si addestra al
rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione
originale. Nella formazione e nella costruzione della prospettiva
filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo,
crociano e gentiliano, lo sperimentalismo d’Aliotta, e, tra idealismo e
materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara. M. però, mosso
dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici eventi
bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno
di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad
avvicinarsi alla fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo gli
consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker,
il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf.
anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo
e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro.
Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso è un
testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, M.
si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul
carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. M. in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e
dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito
sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad
un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello
spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo.
Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve
riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono
irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia,
ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani
capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale M. svilupperà
il concetto di "patico". M. stesso, tornato in Italia, traduce e commenta
alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile -- Logica,
psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode
-- il cui contenuto in parte è poi confluito nel successivo truttura,
soggetto, prassi. M. considera Husserl un grande esploratore della
coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento filosofico alle scienze positive
indagando il modo in cui la coscienza costituisce il mondo che la scienza
prende ad oggetto delle proprie particolari ricerche. Masullo però, elaborando
gli stimoli dell'antropologia medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla
fenomenologia alla patosofia. Struttura, soggetto, prassi è il testo che
documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come esperienza
soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può essere
conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze positivo-sperimentali.
Queste possono misurare i processi, ma non possono misurarne i vissuti.
Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura alla prassi e all'etica:
riconoscere il nesso operativo tra senso e significato, crisi e ordine,
«patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza i grandi modelli idealistici
e fenomenologici della soggettività. In particolare, seguendo un'indicazione di
Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il fondamento dell'uomo, cioè la
condizione per la quale l'uomo assume i caratteri della soggettività (libertà,
storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo
fondamento Masullo analizza le modalità di funzionamento. M., con i suoi
studi sulla «intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e
settanta (Lezioni sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria
Scientifica Editrice, La storia e la
morte, Napoli, Libreria Scientifica, La comunità come fondamento. Fichte,
Husserl, Sartre, Napoli, Libreria Scientifica; Il senso del fondamento, Napoli,
Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida),
analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in
base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella
originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il
fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per
permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio
Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi
capitoli di Il senso del fondamento e
raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche
intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. M. pubblica
inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e
aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte,
Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il
sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del
pensiero di M., una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto
alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il
posto ai temi della paticità, del senso, del tempo. In effetti anche i
suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si
dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi
caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della
“difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del
tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della
ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi
su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso,
Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,
Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Melangolo). Sostiene che il
pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la
trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in
Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di
pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è
tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato,
fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di
sé. In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le
modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto
e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il
«diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della sua
prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia. Per
un'etica attiva della salvezza, nel quale M. illustra la sua concezione della
frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui
concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e
moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza
propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere
prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza
meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale
ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il
giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come
avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò introduce a
un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il
cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento
di sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri
viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette
in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia M. segue gli sviluppi di un'emergente
epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del
tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico
e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non
è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue
formulazioni sull'ordine del mondo. L'etica che M. vede in prospettiva
scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè
il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia»,
mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere, l'umano,
che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce intenzionalmente il
proprio futuro. Una volta riconosciuto il diritto del senso ad essere
inteso nella sua irriducibilità al cognitive; una volta esplorato il campo del
senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, M. in Paticità e indifferenza, si
chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della
filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a
fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere
nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico”
ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”». Da un
pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele
etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la
temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di
conoscenza come un qualsiasi ente. M. distingue la conoscenza dalla cura. Egli
inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui
quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli
ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un
saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche
protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative
quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del
“Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante
debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che
danno speranza nel futuro. M. pubblica La libertà e le occasioni, che
sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta
la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento
dell'università italiana. M., per i caratteri originali del proprio
insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli
in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito
Comunista Italiano, ed in seguito come
senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come
parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione
legale. All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti
modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono
istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione,
creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due
mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta.
Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca
filosofica a Napoli. M. si mette
di nuovo al servizio della politica quando dopo la crisi politica e sociale
degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta si verifica un generale
risveglio della coscienza collettiva. A livello locale egli dapprima anima per
oltre un anno, ale “Assise di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva
al progetto NeoNapoli previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del
quale ottenne il rigetto, suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale
dei Quartieri Spagnoli. Forte della popolarità acquistata con questa esperienza
è capolista del PDS nelle elezioni amministrative e poi, protagonista a Napoli
della innovativa esperienza della "giunta del sindaco". A
livello di politica nazionale M. è di nuovo impegnato per due legislature al
Senato. Egli è membro della Commissione di vigilanza dei servizi
radiotelevisivi e, come negli anni settanta, della Commissione per l'istruzione
pubblica e i beni culturali in anni nei quali i provvedimenti relativi a
istruzione, università e ricerca sono numerosi e importanti. Amante dei libri e
della cultura dei bambini, lo spessore del Maestro filosofo emerge inoltre
quando in aula si discutono disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo
o la procreazione assistita. Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good
connection.” (Napoli, Scientifica); “La problematica del infinito del continuo
– l’infinitesmale – la categoria della quantita – flat and variable,” – Grice:
“Excellent philosophical problem.” Napoli, scientifica,
“Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica “La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind
‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli, scientifica, “Anti-metafisica del fondamento” Napoli,
Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del soggetto e diritto
del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo
e la grazia. Per un'etica
attiva della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica:
storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all
‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the
‘physika’!” Roma, Donzelli, “La
potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche, “Gografia e storia
dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr. Grice: “The history of
‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,” Genova, Melangolo, --
Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential – while you may have
self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo” G.
Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e
silenzio” Grice: “This is my reading between the lines – i. e. the implicature”
atti del convegno (Monte Compatri), P. Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del
fondamento,” Napoli, scientifica, G. Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome
immobile. Intervistato, Napoli, Guida, La libertà e le occasioni, Milano, Jaca, I linguaggi della follia e i passi della
salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi, Napoli, Scientifica,.
Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La grazia della filosofia e
della politica, su rainews, Napoli, chi era il più grande filosofo, su
interris, A. Fioccola, Magazine dell'Università degli Studi di Napoli
l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo, la scissione di
Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal – l’innamorato di
Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Matassi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale e la filosofia della seduzione dei giocatori di
calcio – filosofia marchese -- Afilosofia italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo italiano. San
Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “I like Matassi; but then I
like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the
seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è
stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione
Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di
Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza
era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di
Estetica musicale. È stato Presidente
della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo
nazionale della Società Filosofica Italiana. È stato nel comitato d'onore della Fondazione
Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della
sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS
dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della
Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha
diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e
quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto
un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle
dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata
alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato
direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche
membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium
philosophicum, Paradigmi, Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di
studi sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera
Internazionale, Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online,
Civitas et Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il
settore estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale
Ad Parnassum. Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la
presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia. Menzione speciale della giuria al premio di
saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la musica. È stato uno dei principali collezionisti al
mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e della liederistica
di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Si è occupato di filosofia
tedesca, in particolare di Hegel, delle scuole hegeliane, del criticismo
tedesco, del marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Un suo saggio è
stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e
all'interpretazione fornitane da Gans. Si è occupato di Lukács, iutilizzando
per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato
di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e del dialogo
Alessio o dell'età dell'oro. Le sue ricerche
hanno riguardato la filosofia della musica moderna e contemporanea e in
particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema”
(Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo..
In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c.
di M. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di Donà, "Tutti
in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo.
Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano,
s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni
filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice:
“Unfortunately, Matassi, being Italian, or an Italian, is more interested in
Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their coldness, than in Ovid’s ‘ars
amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf. “La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi.
Keywords: la filosofia del calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars
amatoria, desiderio. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Matassi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Matera: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – i segni del zodiaco e la semiotica di Peirce – filosofia basilicatese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “Only in Southern Italy is a
philosopher also responsible for the astrological edification of the city’s
cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori
di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e
successivamente a Napoli. Vive nel
periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo
IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo
zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore
universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti
astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri
potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a
Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello
e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia
di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama
la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il
Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti
ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto
presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due
volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto
studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a
raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni,
il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo
campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di
Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e
Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della
Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per
i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera Morelli, Storia di Matera, Montemurro,Volpe,
Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario corografico del Reame di Napoli,
ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro, Personaggi della storia
materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature, la collina
del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia, astronomia,
dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of astrology, Grice
on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical chart. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mathieu: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’uomo animale ermeneutico – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Varazze). Filosofo
italiano. Varazze, Savona, Liguria. Grice: “There are various things I love about Mathieu:
his idea of the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice:
“Mathieu rightly focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact
that life (or ‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has
emphasised the irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes
an apt analogy between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot
self-reflect, and deontic systems --.” Dopo
il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo, filosofo rappresentante
dello spiritualismo ced autore di importanti studi su Kant (un filosofo che sarebbe stato centrale
nella vita intellettuale di Mathieu). Libero docente nella filosofia, è
stato professore incaricato, e Professore
di filosofia teoretica a Trieste. Primo vincitore del concorso di Storia della
filosofia, è stato ordinario di filosofia fino al ruolo di professore emerito
di filosofia morale a Torino -- è stato membro del Comitato del CNR; è stato membro e poi vicepresidente del
Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi). È stato membro del Comitato Nazionale
di Bioetic; è socio dell'Accademia dei Lincei e membro del Comitato Premi della
Fondazione Balzan. Ha fondato con Berlusconi, Colletti ed altri il movimento politico Forza
Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel collegio di Settimo
Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega Nord), ottenne il
33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo. Con il
sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per il cui
quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa
della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella
scienza e nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche
altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla
cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la
realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla
scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo,
dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della
cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla
filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi.
Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di
Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di
un sistema all'interno del sistema stesso; M. ritiene che, almeno
analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione
di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo
formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non
emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni
fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è
consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica,
ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche
tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il
problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il
problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi
le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è
raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e
des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di
teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.”
La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone; Melchiorre, Gregoriana Libreria,
Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”;
S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e
origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani, Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberi libri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del
portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su
archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del
bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il
demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Maturi: la ragione conversazionale e l’
implicatura conversazionale -- l’io e
l’altro – io e l’altro – i duellisti – filosofia campanese -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Amorosi).
Filosofo. Amorosi, Benevento, Campnia. Grice: “There are
two main things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just
dismiss him as an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they
refer to me as a member of the Oxford school of ordinary language philosophy!
The first is his typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls
‘autocoscienza recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my
conversational theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of
what he calls the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a
sort of pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he
considers each ‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates
that actually the ‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here
‘foundational’ makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather
pompously label the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly
like my soul progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not
surprising that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to
philosophy.” sDocente prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale, si
trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di
Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia
hegeliana destinata ad esercitare nel
suo pensiero un'influenza duratura.
Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per
uditore giudiziario. Ottenuta
l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la
libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea.
Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson,
Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.” Grice:
“Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.” “L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza
assoluta di Dio.” Grice: “For Kant,
and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of my
friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in.
Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme
dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria
Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia hegeliana e religione.
Osservazioni", Benevento, ed. Natan,.
Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G. Calogero, Enciclopedia
Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. LA FILOSOFIA 01 GIORDANO BRUNO DISCORSO
DI f SEBASTIANO MATURI letto nel di della festa
letteraria 17 inarco 1872 nel T{_. Liceo di Trapani
AVELLINO TIPOGRAFIA TULIMIERO ,E C. 1878
' | I
» XAXAXX^^XXXAAÀAAAAAXXAAXXAAAXXXXX^^OOUUUk
» \ Signori, Giordano Bruno
appartiene alla illustre falange degli eroi del Risorgimento . I quali,
scuotendo il pesante giogo, che gravava da lunghi secoli sullo spirito
umano, inalbe¬ rarono la bandiera di quella indipendenza e sovranità
del pensiero, donde si origina tutta quanta la civiltà moderna. La
più parte di questa illustre falange di eroi furono fi¬ gli dell’ Italia
nostra, ma ,la figura più spiccata, il genio più alto e più originale, la
tempra più ferma e più ga- i gliarda, che allora onorasse l’Italia e in
cui si annunzias¬ se più chiara la bella aurora del nuovo spirito del
mon¬ do, fu senza fallo il Bruno. Ma Bruno, o Signori, non fu
soltanto un grande eroe; egli fu eziandio un gran filosofo. Anzi,
esprimendo libe¬ ramente il mio pensiero, aggiungerò che, sotto un
ceno I — 6 — riguardo, Bruno è il
piu g rande filosofo italiano. Impe¬ rocché, fra tutti i nostri
pensatori, quello che è penetrato più addentro nei segreti della scienza,
quello che più pro¬ fondamente ne ha compresa la vera natura , quello
che più d’ogni altro ha sostenuto a spada tratta e a visie¬ ra
levata gli etem.i dirilt i Jclla Ugjfipe si è appunto il filosofo di
Nola. Egli è vero che, se si considera il Bruno per ciò che riguarda la
trattazione speciale e determinata delle singole dottrine filosofiche, si
deve confessare che, per questa parte, egli si trova inferiore a molti
altri; ma, sejij)on mente alla sostanza del pensiero speculativo, bi¬
sogna allora convenire che questa sostanza, come c ò nel Bruno, non c’ è
in nessun altro filosofo italiano. In questo discorso io non posso
trattenermi su tutti gli aspetti del Bruno, perchè, quando si tratta di
un per¬ sonaggio gigantesco e moltilatero come questo, è già ben
troppo, se si piglia ad abbozzarne un lato solo nella bre¬ vità del
tempo, di cui io posso disporre. Costretto adun¬ que a limitarmi, io mi
farò a guardare nel Bruno soltanto la stia dottrina filosofica. E fo
questa scelta tra perchè è la filosofia quella, che costituisce il titolo
maggiore della gran¬ dezza del Nolano, e perchè questa è la scelta, cui
mi a- stringe con debito speciale il posto, che ho l’onore di oc¬
cupare in questo Liceo. — 7 — Signori,
se noi ci facciamo a considerare in un modo generale il carattere proprio
della speculazione nel periodo del Risorgimento, scorgiamo soprattutto
due cose. In pri¬ mo luogo, tutti questi filosofi, quantunque con forze
disu¬ guali, pure, chi più chi meno, combattono la Scolastica. In
secondo luogo, questi stessi filosofi, se da una parte combattono la
Scolastica, dall’ altra ciascuno di essi esplica in certa guisa, o almeno
avvia la esplicazione delle pro¬ fonde esigenze, che in quella si
acchiudono. Ma, fra tutti questi filosofi , ò Bruno quello , che più
fieramente guer¬ reggia la Scolastica, e nel medesimo tempo è lo stesso
Bru¬ no quello, che più di tutti gli altri traduce in atto, per
quanto è possibile ai suoi tempi, le esigenze poste dalla Scolastica
nella storia della filosofia. Per occuparmi adunque, con quella
brevità che sap¬ pia maggiore, della filosofia Bruniana, io devo innanzi
tutto accennare quale sia la posizione del pensiero filosofico
nella Scolastica, e quali siano quelle esigenze dell’attività spe¬
culativa, che in siffatta posizione si rivelano. Ebbene la
posizione del pensiero filosofico nella & |^^ca^ è la seguente. In
questa filosofia l’intelletto con¬ cepisce la verità come es istente
della natura e f dell’ uomo; c quindi considera tanto F una che P altro
co- me affatto destituiti di ogni elemento divino. La natura,
Wi Mimi* /sJaVu'M W” te
1 dinanzi allo intendimento scolastico, non ha
valore di sorta; essa è pura ombra, puro giuoco, e onninamente sfornita
di qualsiasi significazione ideale ed assoluta. Per la
stessa ra¬ gione, l’uomo è considerato come una semplice creatura e
come essenzialmente contaminato dalla colpa: tutto quel¬ lo che riguarda
1’ uomo, tutto che gli si attiene in proprio comecchessia non è altro che
miseria, abiettezza, vanità. Per tal modo, dinanzi allo intendimento
scolastico, Dio re¬ sta spogliato di tutti quei principii ideali, che si
svolgono nella natura e nello spirito umano; appunto perchè tanto
il mondo naturale che il mondo umano sono considerati come una sfera ed
una evoluzione del tutto estrinseca al- 1 assoluto, e non già come la
estrinsecazione propria del- 1 assoluto medesimo e la effettuazione
sempre più verace della sua unità (i). » Intanto,
mentre da una parte il pensiero scolastico (l) « In der
tibersinnlichen Welt war keine Wirklichkcit dcs denkenden, allgeuaeincn,
vernùnftigcn Selbstbewusstseyns anzutreffen: in der umnittelbaren Welt
der sinnlichen Natur dagegen keine Gòtt- lichkeit, weil sie nur das Grab
des Gottes, wie der Gott ausser ihr, war. — Gott war wohl im
Selbstbewusstesyn, dodi von Aussen und zugleich ein ihm Anderes, eint
andere Wirklichkeit: die Natur von Gott gemacht, sein Geschòpf, kein Bild
seiner » (Hegel, Ge- schichte der Philosopliie, Zweiter Theil, S. 178,
204, Zweite Auflage). rimuove in tal guisa e
discaccia la verità da tutti gli es¬ seri, e quindi anche da £è stesso,
dall’altra parte poi ha la pretesa di voler comprendere la verità
medesima colle semplici forme vuote ed astratte della propria attività.
Que¬ sta pretesa è quella che spiega perchè gli Scolastici det-
tero tanta^ im portane d lo^iudio^ldwPgllsi^rg , fletto, cioè, al^)
studio ^ di_g^m^^|^ch£poi a ragione fu appellata lo¬ gica scolastica. Ed
in effetti dovea esser cosi, perchè quante v volte, ad onta che si
sostiene essere la verità estrinseca al pensiero, si fa tuttavia ogni
sforzo per arrivare a de¬ terminarla mediante le forme proprie del
pensiero, egli è giuocoforza che tutto il lavorio preliminare e
fondamen¬ tale della speculazione si faccia consistere nello studio
di queste forme. Considerando però attesamente questa
posizione del- 9 l’intelletto scolastico t non si può
non iscorgere in essa una profonda e radicale contraddizione. Imperocché,
affer¬ mando che la verità è affatto l«ori del mondo, quella ra¬
gione, che è nel mondo, dovrebbe abbandonare qualsiasi aspirazione alla
conoscenza di essa, e quindi rassegnarsi a non cercare altrove il proprio
obbietto che nella bassa sfera della esistenza puran^nte fenomenica e
peritura. Ma la Scolastica, ardente come è dell’ amore della verità,
e profondamente agitata dal bisogno dell’ eterno c dell’ as-
ro — soluto, non potrebbe, per certo, acconciarsi a
questa d- 9 miliante condizione. Ed è per questo die,
quantunque ella abbia collocata la verità fuori della natura e fuori
dello s pirito , tuttavia si fa a, cercarla con un ardore indescrivibile,
e il cielo, in cui intende a trasportarla, si è appunto il cielo del
pensiero. Ma, siccome un simile tentativo — quando si è stabilito un ra
pporto di asso luta estrinseche zza tra la verità ed il pensiero — deve
tornare necessariamenie infruttuoso ed inane, cosi è che, mentre la
Scolastica si argomenta con tutte le sue forze di raggiungere la verità,
non riesce che a notomizzare le forme del proprio intelletto, e, in
vece della verità, non ottiene altro che tritumi, sottigliezze ed
astrattaggini. Sotto questo rapporto adunque si può ben dire clic la j
_^|^srica è una barbara filosofia dell’ intelletto astratto, una
filosofia senza contenuto suo proprio, una fi¬ losofia, che non offre
nessun verace interesse ed alla quale non ò più possibile ritornare
(i). Mi limito a queste poche riflessioni per ciò che ri-
* (!) « So hoch auch die Gegenstàndc waren, die sie (die
Schola- Stikcr) untersuchten, so cdele, tiefsinnige, gelelirte Individucn
es auch unter ihnen gab: so ist doch diess Ganze eine barbarischc
Philosophie dcs Vcrstandes, oline realen Inhalt, effe uns kein wahrhaftes
Interesse erregt, und zu dcr wir nicht zuruckkehren kOnnen » Hegel,
Geschich- te der Philosophie, Zweiter Theil, S. 177-78.
ri ■’uarda il lato debole della
Scolastica. Ma oltre questo lato f? - -L.W -- 4'Ji i k - uli-^ .r-t
- ‘ la Scolastica ne Ita anche un altro, ed è quello appunto
in cui, se io non m’ingannò, cpnsiste il suo vero signi¬ ficato, e-per
cui essa si connette colle filosofie posteriori, e trova nelle medesime
il suo proprio esplicamento. Qui intanto mi si permetta una breve
digressione. Ordinaria¬ mente, quando si fa la critica di una dottrina
filosofica, si crede esser bastevole mostrare gli errori, che in essa si
ac¬ chiudono. Eppure egli è un fatto che, in quella guisa stessa
che nel mondo della realtà etica il male ha la sua ragione e il suo
principio nel bene, cosi simigliantemente, nella realtà storica del
pensiero filosofico, l’errore ha la sua segreta radice nella verità. Per
la qual cosa la semplice confuta¬ zione dell’ errore non può costituire
che il lato meramente astratto e negativo della critica filosofica, il
cui arduo e gravissimo compito' consiste, in vece, nello
investigare quella verità, che si nasconde sotto lo involucro
apparente dell’ errore, e senza di cui terrore stesso non sarebbe
pos¬ sibile. La storia della filosofia, che è appunto 1’obbietto
della critica filosofica, e che ò critica filosofica essa stessa, non è
un’arena di dispute infeconde, non è una vicenda di avventure di cavalieri
erranti, clic si vadan battendo soltanto per proprio conto , che si
agitino e si affannino senza scopo, e le cui gesta si dileguino, senza
che resti di 12 loro la menoma traccia. Egli è,
nella stessa guisa, asso¬ lutamente falso che la storia della filosofia
ci presenti lo spettacolo di tale, che arzigogoli di qua, e di tale
altro, che almanacchi di là a suo proprio talento: egli havvi, all’
in¬ contrario, nel movimento storico del pensiero speculativo, una
continuità ideale e necessaria, ed un procedere deter¬ minato dalle leggi
stesse della ragione (i). Chi non è con¬ vinto di questo vero, chi non
ammette questo governo del¬ la Provvidenza nella storia della filosofia,
come nella sto¬ ria dell’ umanità in generale, non. può intendere affatto
il valore intrinseco di nessun sistema filosofico, e non può
investigare, mediante la critica, quelle ragioni ideali, che fecero
apparire i diversi sistemi, e che, ad onta di tutte le contraddizioni,
fecero passare gli anteriori nei posteriori, come nella loro propria
espressione e nella loro verità. È con questa convinzione adunque che io
mi fo a determina* (i) Die Thaten der Geschichte der
Philosophie.sind nicht nur eine Saramlung von zufàlligen
Begebenheiten, Fahrten ir¬ render llìtter, die sich fur sich
heruraschlagen, absichtlos abmOhen, und deren W’irksamkeit spurlos
verschwunden ist. Eben so wenig hat sich hier Einer
etwas ausgeklfigelt, dort ein Anderer nach Villkùr; sondern in der
Bewegung des denkenden Geistes ist wesentlich Zusamraenhang, und es geht
darin vernùnftig zu (Id. ib. Einleitung, S.
32). — 13 — re brevissimamente
iMato vero della Scolastica, quel lato, cioè, in cui consiste il
significato storico e razionale della medesima. Come ho già innanzi
accennato, la Scolastica fa due cose: da ^yjyyxt^e^one la verità
fujp della natura e fuori dello spirito, e dall’ altra si argomenta,
benché indarno, di trasformare la medesima in contenuto razionale. Ora
io domando in primo luogo: perchè la Scolastica pone la ve¬ rità
fuori della natura e fuori dello spirito? idi*
Ebbene la risposta vera per me è questa. L^^jcok^- stica ha un profondo
sentimento dell’infimtacmKretezza dell’ Idea cristiana; essa sa che
questa Idea è superiore alla natura ed allo spirito finito, e che la sua
realtà non è quella isolata, astratta e fugace, che ha luogo nella
sfera delle cose sensibili £d illusorie. Egli è vero che, mentre la
Scolastica ha questo profondo sentimento dell’ infinita con¬
cretezza dell’Idea cristiana, dall’altra parte poi non si av¬ vede che
questa concretezza si trasforma in una mera a- strazione, qualora le si
sottraggano tutti quei principii, che si manifestano nella natura e nella
spirito; imperocché, in tal caso, in vece di avere 1’ ente realissimo, la
realtà delle realtà, la idea delle idee, non si ottiene altro che un
as¬ soluto indeterminato, solitario e trascendente, un assoluto, a
cui fu tolto tutto quanto il regno della realtà e della
14 — vita. Ma la Scolastica non poteva accorgersi di questo
er¬ rore; imperocché, non essendo ancora sceverata nella na- ura e
nello spirito la esistenza ideale ed eterna dalla e- sistenza empirica e
passeggera, essa non potea fare altro, che quello che fece: dov ea porre
P assoluto fuori della na¬ tura e fuori dello spirito . Però,
se i grandi pensatori della Scolastica ritornas¬ sero in questi tempi,
nei quali la scienza ha messo in ri¬ lievo la forma eterna ed immutabile
delle cose, certamente essi non esiterebbero un istante a riconoscere la
vita stessa di Dio in tutto questo contenuto infinito ed imperituro
della realtà naturale e della realtà umana (i). Se adunque la Scolastica
vilipende e degrada in tal guisa la realtà della natura e dello spirito,
questo sbaglio non appartiene a quel pensiero interiore, da cui essa è
animata e a quelle ragioni ideali, che l’hanno fatta sorgere nella
storia, ma appartiene, in vece, alla semplice posizione immediata e, dirò
cosi, provvisoria, in cui si muove. Quello che appartiene al suo
pensiero Interiore c profondamente speculativo si è il con¬ cetto, benché
vago, di una più alta realtà, si ò il bisogno di un mondo migliore, si è
la esigenza di una natura spi- (i) È inutile dire che questa
scienza, di cui qui parlo, non è certamente il trasformismo,
4 — *5 — i
rituale, redenta, deificata, di una natura, in cui ci sia dato
ravvisare la realtà stessa di Dio e quindi scernere in ogni cosa un’ idea
assoluta ed immutabile. E difatti, se la Sco¬ lastica rifugge dal mondo,
se lo dichiara una vanità, ciò è perchè nella sua coscienza si agita 1*
idea del vero mon¬ do, di quel mondo, in cui ha luogo la vera presenza
del- l’infinito, e in cui perciò si trova realmente conciliato l’e-
lemento mondano col divino. Egli è vero che fu questa stessa idea
quella, che pro¬ dusse nel medio evo la più mostruosa confusione del
di¬ vino e dell’ umano, e la più spaventevole barbarie, che im¬
maginar si possa; ma egli è vero altresì che, in fondo a quella
confusione e a quella barbarie, vi è un significato della più alta"
importanza, vi è la sorgente di quella ve¬ race conciliazione, in cui
consiste il fondamento incrolla¬ bile della vita moderna (i).
La seconda cosa, che troviamo nella Scolastica, si è lo ^ (i)
Es hilft nichts, das Mittelalter eine barbariche Zeit zu nen- nen. Es ist
eben eine eigenthùmliche Art der Barbarei, nicht eine unbefangene, rohe,
sondern die absolute Idee und die hòchste Bil- dung ist, und zwar durchs
Denken, zur Barbarei geworden; was einer- seits die gràsslichste Gestalt
der Barbarei und Verkehsung ist, ande- rerseits aber auch der unendliche
Quellpunkt einer hòhern Versóh- nung (Id. ib. Zweiter Thell, S.
179). sforzo di riprodurre il contenuto della fede in una
forma razionale. Ora io domando di nuovo: che cosa vuol dire questo
sforzo? Vuol dire, naturalmente, che la Scolastica, ad onta di tutte le
apparenze contrarie, non si accontenta affatto di una verità
inaccessibile, di una verità, che non sia fatta per r intelletto umano.
Quello, in vece, che essa cerca, quello, a cui aspira ardentamente, si è
appunto la forma razionale della verità della fede, e tutta l’attività,
tutta l’energia infati¬ cabile delle sue profonde meditazioni non tende
ad altro che a tradurre queste verità nel linguaggio proprio della
ragione. Ed in effetti tutti i grandi pensatori della Sco¬ lastica non si
accontentano della pura e semplice fede: essi vogliono credere e credono
davvero, ma vogliono credere pensando ed intendendo; essi, come dice S.
An¬ seimo , non cercano d’intendere per credere, ma credo¬ no per
intendere; e tutto ciò perchè sanno che la reli¬ gione è fatta per 1’
uomo, non per l’animale e che le verità, che in essa si contengono sono
state rivelate da Dio, che è la ragione assoluta, e che perciò devono
essere necessariamente razionali (i). Egli è vero che gli Scola-
(i) L’ Hegel, parlando di S. Anseimo, dice cosi: Sehr merkwùrdig
sagt er, was das Ganze seines Sinnes enthàlt, in seiner Abhandlung Cur
Deus homo (i, 2), die reich an speculationen ist: « Es scheint
stici fanno distinzione di verità intelligibile e di verità
so¬ vrintelligibile, ma questa distinzione ha tutt* altro signifi¬
cato da quello che si crede ordinariamente. In effetti la Scolastica non
fa questa distinzione, perchè forse ritenga essere davvero
sovrintelligibili in sè stesse quelle verità, che essa chiama con
siffatto appellativo, ma la fa in vece per¬ chè, fino ad un certo punto,
essa supera sè stessa, ed ha una certa coscienza della posizione storica
in cui si muove. % In altri termini la Scolastica si
accorge che quell’ intelletto, di cui fa uso e i criteri logici, di cui
dispone, non sono sufficienti a far comprendere la natura e le
determinazioni della verità cristiana. Ma con tutto ciò ess? non si arrende
e non si scoraggia, ma si fa in vece a lottare gagliardamente colla
sua stessa posizione storica e dichiara, per cosi dire, col fatto stesso
delle sue profonde lucubrazioni, che 1* impo¬ tenza del pensiero non può
essere assoluta ed insupera- mir eine Nachlàssigkeit zu seyn, wenn
wir ini Glauben fest sind, und nicht suchen, das, was wir glauben, auch
zu begreifen ». Utzt erklàrt man diess fur Hochmuth;
unmittelbares Wissen, Glauben hall man fur bòiler als Erkennen. Anselmus
aber und die Scholastiker haben das Gegentheil sich zum Zweck
gemaclit.Dénn der Gedanke, durch ein einfackes Raisonnement zu
beweisen, was ge- glaubt wurde — das Gott ist —, liess ihm Tag und Naclit
keine Ruhe, und quàlte ihn lange. Ib. S. 146.
3 bile. Ed è per questo che il perpetuo tormento,
che tra¬ vaglia quei {orti intelletti di Anseimo, di Abelardo, di
Pie¬ tro Lombardo, di Duns Scoto, e via dicendo, è riposto
addirittura in quelle verità, che chiamano sovrintelligibili. Dal che si
può scorgere che, in quehe mjjjafoU^ri^ ed asmuu^jgmdella Scolastica, vi
è un arditissimo ed immenso tentatm^w ò il tentativo dell’ assoluta
autonomia, del- " .... — 1’ attualità infinita
della ragione. In altri termini, vi è quel colossale tentativo, che poi
produsse, sotto lo aspetto reli¬ gioso, la Riforma, sotto lo aspetto
sociale, la rivoluzione francese, e che alla fine divenne filosofia
tedesca e parti¬ colarmente filosofia Hegeliana. E fu appunto in questa
fi¬ losofia che venne soddisfatta l’aspirazione divina del pen¬
siero scolastico, e trovò il suo adempimento il vaticinio di Cristo: Ego
rogabo Patron et alitivi Paracletum dabit vobis, S piritimi Veritatis :
ille vos docebit omnia. Come è chiaro adunque da questi pochi
cenni, quel- 1’ attività filosofica, che si agitava nella Scolastica,
studiata nelle sue intime ragioni, ha il significato di una duplice
esigenz a, che essa pone nella storia della filosofia. La pri¬ ma è
quella che ho già detta, cioè la esigenza di una na-
t ura ideale, di una natura spiritualizzata e in cui si possa
daddovero ravvisare il regno e la realtà di Dio (i). La seconda
esigenza, la quale deriva dalla prima, si è quella di un intelletto
superiore, di un pensiero tale che, contenendo in sè la verità, sia, per
ciò stesso, in grado di attingerla dal suo fondo medesimo e di provarla
in un modo assolutamente razionale. Ebbene tutta la storia
della filosofìa moderna altro \ non è che 1’ attuazione
successiva e sempre progrediente di questa duplice esigenza; e la prima,
benché parziale, at¬ tuazione df essa si è appunto la filosofìa del
Risorgimen¬ to. A me qui spetta di mettere in rilievo brevemente la
gran parte, che ebbe il Bruno nell’ attuazione di questa duplice
esigenza, £ di chiarire come egli, per servirmi delle sue stesse parole,
sia davvero nella mattina per dar fine alla notte, e notì nellà sera per
dar fine al giorno. (i) È stato detto che ogni scoperta della
scienza È una detro¬ nizzazione di Dio. Questo pronunziato è vero soltanto
per rispetto al falso concetto di Dio. Quanto al Dio vero, al Dio
cristiano la sentenza giusta è, in vece, che ogni scoperta della scienza
non può^ essere che una nuova affermazione, una nuova prova della
esi¬ stenza di Dio. 20 —
cacaXcip ^tf cVi\> Signori, il
principio fondamentale della filosofia Bru- niana è il seguente. Bruno
concepisce Dio come essenzial¬ mente creatore. Il che vuol dire che nella
creazione il Bruno non vede già un fatto accidentale ed arbitrario,
nè una verità di second’ ordine, ma ci vede la essenza stessa di
Dio. Dinanzi alla mente del Bruno, Dio in tanto è quello che^ è, in
quanto crea; se non creasse, non sarebbe Dio, perchè non farebbe atto di
divinità. Il Dio del Bruno, in somma, è il Dio cristiano, è il Dio
creatore, o per dir me¬ glio, è il Creatore (i). Anchejhniobe'p^nj pjqmi
nostri. lia conshi^gw^uestaveritj^igji^J^jjigjj^jj^jjj^jjh^^^la
ma nel Gioberti però questa verità non è ac¬ compagnata da una
chiara coscienza. Il Gioberti dice sem¬ pre che 1 ’ atto creativo è la
verità sup rema. e che nella contemplazione di quest’ atto, tanto in sè
stesso che nelle forme particolari della natura e dello spirito umano,
con¬ siste appunto la vera riflessione filosofica. Il fatto è però
che, quando si* va a vedere, questa grande verità (e che è realmente il
principio e la radice di ogni verità), nella filosofia del Gioberti, si
riduce ad una semplice parola: (0 Sulla imperl'ezioue di questo
concetto come è nel Brnno vedi in fine.
« — 21 — è un detto, di cui egli stesso non si
rende conto, e che perciò non gli giova nè alla sistemazione generale
della sua dottrina, nè, molto meno, alla trattazione speculativa di
una parte qualsiasi della scienza. Nel Bruno in vece almeno fino ad un
certo punto, la cosa non va così. E U v,» per verità il Bruno dice
nettamente: « In Dio il potere e il f are è tutt’ uno . Egli non può
essere altro che quello che è; non può essere tale, quale non è; non può.
.potere altro che que llo che può: non può. volere altro che quello
che vuole, e necessariamente non può fare altro che quello che fa.
L’ ajone^ sua è_ necessaria, perchè procede data- -t~ le volontà che è la
stes sa n ecessità. In lui libertà, volon¬ tà , necessità sono affatto
medesima cosa, e il fare col potere volere ed essere» (i). Ed è per
questo appunto che egli arriva a concepire il principio universale del
tutto come unità di materia e forma ( 2 ). È vero che anche il
(1) De l’infinito Universo e Mondi, Opere itti. Wagner, v. 2, p.
25 — 26. (2) L’ Hegel, dopo di aver citato il bellissimo luogo del
Bruno (De la Causa, Principio et Uno, Dial. 3, pag. 261) dove dice: «
Se sempre è stata l a potenza di far e, di produrre, di creare, sempre
è s tata la p o tenza di esser fatto , prodotto e creato; perchè l’una
po¬ tenza implica l’altra ecc, soggiunge: Diese Simultancitàt der
wir- l ujtl* 4/C [rifa
— 22 — Gioberti ha detto che il
principio universale non è nè l’ idea, nè il fatto, ma il fatto ■ ideale.
Però questo fatto i- deale del Gioberti non è che una espressione diversa
del lo stesso atto creativo, e perciò non aggiunge nessun valore
veramente filosofico al principio medesimo. Questo principio, nella
filosofia del Bruno, è la chiave di tutto il sistema, è il centro vero c
produttivo di tutta la sua dot¬ trina, ed è come la fonte, da cui
scaturisce liberamente e consapevolmente tutta la ricchezza delle sue
meditazioni. Nella filosofia del Gioberti, in vece, quantunque la
parola non manchi mai, tuttavia il principio stesso dell’ atto
crea¬ tivo ci si trova, come dire a pigione, rincantucciato ora in
nn angolo, ora in un altro, senza aver mai la forza di girare la mazza a
tondo, di cacciare via tutte le rap¬ presentazioni della coscienza
ordinaria, e di dichiarare solennemente che la casa della filosofia è
casa sua. Egli è d’uopo però confessare che, anche nella
filosofia del Bruno, questo principio non arriva a spiegare tutto
kenden Hraft und des BeWìrktwerdens ist eine sebi 1 wichtige
Bestim- mung; die Materie ist nichts ohne die Wirksatrilfeit, die Form
also das Verm&gen und innere Leben der Materie. Vare die Materie bloss die unbestimmte
Móglichkeit, wie k-ame man zum Be'stimniten? Ib.
S. jo8. il suo valore. Ciò si può vedere, chiaramente
quando si osservi che, se da una parte il Bruno pone la rivelazione
di Dio come essenza stessa di lui, dall’ altra poi non fa consistere
tutta quanta la essenza di Dio in questa rive¬ lazione medesima. Secondo
Bruno , Dio rivela^ solo una gran parte di sò stess o; un’ altra parte,
quantunque mini¬ ma e quasi ridotta ad un punto microscopico ed
insigni¬ ficante, resta però assolutamente irrivelabile. Dal che si
scorge che Bruno non sa disfarsi in tutto del vecchio so¬ vrannaturale
della Scolastica, e mettersi cosi pienamente d’ accordo con sé medesimo.
Imperocché, quantunque egli, tr asfon d endo la vita di_ Dio nella realtà
della natura , ridu¬ ca quel sovrannaturale a minime proporzioni, lo
assottigli, lo scarnifichi e scheletrizzi in guisa da poterlo anche
met¬ tere in canzonatura ed abbandonarlo quasi balocco alla me¬
ditazione dei teologi, ciò non ostante lo lascia li come qualcosa che non
si estrinseca, che non cade nella crea¬ zione, che non diviene materia di
quell’ atto assolutissimo, nel quale, secondo lui stesso, consiste la
vera essenza di Dio. Quantuque però quest’ultima .ombra del vecchio
Dio tenebroso induca un grave difetto nella filosofia Bruniana,
tuttavia egli è da osservare che la correzione di questo difetto è data
già, implicitamente, nello stesso concetto, che il Bruno si forma del
principio universale delle cose. Ed è
per questo che Spinoza, continuatore di Bruno, potò sbarazzarsi totalmente
di quel caput mortuum del medio evo, e recare così a grado di
esplicamento più compiuto il concetto di Dio, o della verità che dicasi,
come atto crea¬ tivo. La necessità di questo esplicamento storico e
razio¬ nale del principio del Bruno si può vedere agevolmente,
quando si rifletta che la idea di Dio come il Creatore im¬ porta che, non
potendo egli avere una doppia natura, non può, per ciò stesso, nulla
contenere, che rimanga al diso¬ pra dell’ atto creativo, e non giunga a
grado di esplica¬ zione reale e vivente nella realtà infinita
dell’universo. Dire da una parte che al disopra dell’ atto creativo
resta nell’ assoluto qualche cosa, che non si rivela e non piglia
il suo posto nè nella natura, nè nello spirito, e dire poi dall’altra che
la essenza di Dio consiste nella rivelazione ^di sè medesimo, sarebbero
pronunziati contradditori. Spi¬ noza adunque, rompendola assolutamente
con quella falsa idea dell’ estramondano, non fece che esplicare
logica¬ mente il principio fondamentale della filosofia del Bruno.
Da questo principio, di cui ho brevemente discorso e che
costituisce quello, che vi ha di più intimo nella fi¬ losofia Bruniana,
come in ogni vera filosofia, perchè non esprime questa o quella forma
dell’ Idea, ma l’Idea stessa nella sua intrinsechezza ed universalità, da
questo princi- — 2 Ì — pio, dico, ne
scaturiscono due altri, c sono: la esistenza j / eterna ed ideale di
tutte le cose, e quindi la vera imma¬ nenza di Dio nell’universo. Questi
due principii, vera¬ mente, non sono che due modi diversi di considerare,
e direi quasi di esprimere, lo stesso concetto; ma questi due modi
hanno una cosi grande importanza nella filosofia del Bruno e nella
filosofia in generale, che io credo mio de¬ bito fare una parola e dell’
uno e dell’ altro. Cito un bre¬ ve tratto relativamente al primo modo di
considerare il detto principio. Il Bruno adunque dice cosi: « Le
sole forme esteriori delle cose si cangiano e si annullano, per¬
chè non sono cosi) ma delle cose, non sono sostanze, ma delle sostanze
sono accidenti e circostanze. Che se delle sostanze si annullasse qualche
cosa, verrebbe ad evacuarsi ^ il mondo. Nulla cosa si annichila e perde
1’ esserg^eflffi- Jj to che la forma accideittidL£atSàQtS-0^£S2Ì£? P c ™
tiUV to la materia quanto la forma sostanziale di che si voglia
cosa sono indissolubili e non annichilabili » (i). Da queste poche
parole, che ho citato, si può vedere, senza una difficoltà al mondo,
comedi Bruno sia davvero un idealista di prima forza. Per Bruno ogni
cosa, consi- derata nella sua forma interiore, è una natura
determina- (i) V. Dialogo 5-° e 4.° De la Causa, Principio
et Uno. 4 ' — 26 — ta,
eterna ed immutabile; ogni cosa ha la sua idea. Tut¬ to 1’ universo non è
che una trama di principii o for¬ me assolute, le quali si sviluppano e
si rinnovano eterna mente nella loro esistenza esteriore e sensibile, ma
con¬ servano eternamente la loro natura ideale ed incorrutti¬ bile.
Per tal modo la essenza di tutte le cose dell’ uni¬ verso non è niente di
indefinito o di arbitrario. Tutto ciò che è ha la sua legge, in fondo a
tutte le cose vi è un eterno statuto che le modera e governa; ed è questo
sta¬ tuto appunto quello, in cui deve travagliarsi la meditazio¬ ne
del filosofo. Egli ò vero che in tutti gli esseri vi ha numero,
differenze e moltiformiti, ma il numero, le dif¬ ferenze e la
moltiformità di un essere qualsiasi altro non è che lo sviluppo di un
principio unico e fecondo; e quin - di anziché importare mutazione o
cangiamento nella na- . tura di esso, ò in questo sviluppo, in vece, che
si effet¬ tua e s’invera sempre più compiutamente la natura del- 1’
essere medesimo. Signori, se il Bruno avesse spinta più oltre la
inve¬ stigazione di questo principio, e si fosse fatto ad appli¬
carlo alla storia, egli avrebbe potuto porre un secolo pri¬ ma, almeno in
un certo qual modo generale, quel gran concetto, che forma la gloria di
Giambattista Vico. E s^pWtt^rió^che^èhah^uaidea. se tutto quello
— 27 — che si svolge nell’ universo ha la sua
legge, e come dire, il suo codice eterno ed immutabile, anc he la storia
dev e a vere la sua legge e il suo statuto ; e quindi deve esser
possibile la ricerca di questo eterno statuto della storia , deve esser
possibile, io voglio dire, l a^ filosofia della sto - ria. Il Bruno però,
bisogna confessarlo, non ha piena co¬ scienza di tutti quei tesori, che
si acchiudono nella sua dot¬ trina. Ciò derivi, in parte, dal soverchio
entusiasmo, on- d’ egli si abbandona e si dimentica nella contemplazione
della infinita natura; e, in parte e principalmente, dalla profondità
stessa e dalla fecondità inesauribile dei suoi prin¬ cipi , dei quali,
certamente, non si poteva avere ai suoi tempi una chiara e perfetta
coscienza. Confessando però che il Bruno non giunse a questo
gran concetto del Vico, io debbo aggiungere che, con tutto ciò, il Bruno
non è affatto inferiore al Vico; anzi, espri¬ mendo liberamente quel che
penso, dirò che Bqjqq, come metafisico, gli $ di gran lunga superiore.
Nel Vico que. sto gran concetto della storia ideale ed eterna non si
ap¬ poggia su di una metafisica seria e profonda, anzi questo
concetto è in assoluta opposizione colla metafisica del Vico. E per vero
, quanto a metafisica, il Vici) non esce dalla posizione dello intendimento
scolastico; e credo anche non sia ingiustizia lo aggiungere che, se si
paragona il filosofo 1AV la
tettar
napoletano coi più grandi pensatori della
Scolastica, que¬ sto riscontro non può riuscirgli molto favorevole. Dal
che si può inferire, che il gran concetto della storia ideale ed
eterna, se da un lato e per ragion di scoperta è tutto pro¬ prio del
Vico, dall’ altro poi e per ragion di natura, esso fa parte della
dottrina del Bruno. Imperocché, quantunque il Bruno non si sia innalzato
alla contemplazione del di¬ segno ideale della storia, tuttavolta è nella
metafisica del Bruno e non in quella del Vico il fondamento e la
pos¬ sibilità di siffatta contemplazione. Egli è vero che il me¬
rito del Vico non consiste soltanto nell’ avere ammessa una storia
ideale ed eterna , e perciò nell’ avere ricono- | differisce
essenzialmente da quella, che governa la natura.
Nella natura, dice Vico, è Dio che ope ra, mentre nella storia
opera 1’ uomo, e pure, operati lo lui, compie il di¬ segno eterno della
storia, effettua gli eterni decreti della Provvidenza. Cosi l’uomo, in
questa nuova posizione, non è soltanto /’ infinito effetto della infinita
causa, non è sem¬ plicemente /’ eterna genitura dell’ eterno generante ,
ma è eziandio qualche cosa di più. E in questa posizione sol¬ tanto
è possibile la vera filosofia compiuta, la vera con-
templazione di Dio come Causa sui. Questo concetto della Causa sui
, cioè della Causa della Causa non c’ è_^_dav- vero nell' assoluto
Bruniano (come non c’ è neppure in quello di Spinoza), quantunque sia
appunto questo con¬ cetto quello, che travaglia incessantemente la sua
coscien¬ za e quello stesso di cui fa uso, come mostrerò in ap¬
presso, nella sua dbttrina della conoscenza e della libertà. Tutto
ciò adunque non si nega. Ma non si può ne¬ gare però, d’ altra parte, che
questa nuova e più alta po¬ sizione, in cui ci colloca la dottrina del
Vico, è resa pos¬ sibile soltanto dalla posizione Bruniana. Solo
ammetten¬ do l’Idea, come essenzialmente manifestazione di sè me¬
desima, si può e si deve arrivare, quandochessia, al con¬ cetto di quella
tale manifestazione, la quale esprimendo dav¬ vero V Idea , ed essendo
essa proprio quello stesso che è I Idea , e perciò rappresentando non più
una manifesta¬ zione esteriore, ma il ritorno dell’ Idea in sè medesima,
de¬ ve necessariamente essere governata da una legge affatto
differente da quella, che governa le manifestazioni este¬ riori, non effettuatrici
esse stesse del principio assoluto. Stando in vece alla posizione della
metafisica'del Vico, non solo non è possibile ammettere questa legge
fonda- mentale della storia, ma non si può neppure ammettere il
concetto generale di una storia ideale ed eterna. 30 —
f- VK^/ 5 ^ . Passando ora al secondo aspetto
del principio che sto esponendo, cito in prima un breve tratto del
Bruno. Nel primo dialogo della Cena delle ceneri il Bruno si e-
sprime cosi: Noi « conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che
son quelle tante centinaia di migliaia eh’ assi¬ stono al ministerio e
contemplazione del primo, univer¬ sale, infinito cd eterno efficiente.
Non è più imprigionata la nostra ragione con ceppi di fantastici
mobili e motori. Conoscemo che non è eh’ un cielo, una eterea
regione im¬ mensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie
di¬ stanze , per comodità de la partecipazione de la perpetua vita.
Questi fiammeggianti corpi sono que’ ambasciatori che annunziano 1’ eccellenza
de la gloria e maestà di Dio. Cosi siamo promossi a scoprire V infinito
effetto de l’infinita causa, il vero e vivo vestigio dell’ infinito
vigore, et abbia¬ mo dottrina di non cercare la divinità rimossa da noi,
se l’abbiamo a presso, anfi di dentro, più che noi medesimi siamo
dentro a noi ». Signori, questo principio della imma nenza di.Dio
ne^Ja natura e nello j>£Ìrito sorge la prima volta col Bruno
nella storia della filosofia. Fu Bruno il primo che si fece a cer¬
care davvero la Divinità nell’ infinito mondo e nelle infinite cose, e
fece di questa ricerca la esigenza fondamentale e lo scopo unico di tutto
quanto il sapere filosofico. « Di — 3i —
questa infinita presenza di Dio nell’ universo, dirò colle belle
parole del nostro più profondo pensatore vivente , nessun filosofo ha
discorso con tanto entusiasmo e con¬ vinzione , quanto Bruno. La sua voce
era come il primo grido di gioia della natura che ora cominciava a
scoprire sè stessa e a conoscersi n#l suo reale valore » (i).
Premesse queste poche cose, io posso ora determi¬ nare il
significato che ha nella filosofia Bruniana la dot¬ trina dell unita dell
universo. Ciò facendo, resterà meglio dualità la importanza di quel poco
che ho esposto finora. Ma prima cito un breve tratto del nostro filosofo.
« Quan¬ do l’intelletto, dice il Bruno, vuol comprendere la essenza
di una cosa, va semplificando quanto può; voglio dire, da la moltitudine
si ritira, rigettando gli accidenti corruttibi¬ li... Cosi la lunga scrittura
e la prolissa orazione non inten- demo, se non per contrazione ad una
semplice intenzione. I.’ intelletto in questo dimostra apertamente come
ne P u- nità consiste la sostanza de le cose, la quale va cercando
o in verità, o in similitudine.... Quindi è il grado de le intel¬
ligenze, perchè le inferiori non possono intendere molte cose, se non con
molte specie, similitudini e forme; le su¬ periori intendeno migliormente
con poche; le altissime con (t) Spaventa, Saggi di Critica, p.
228. — 32 — pochissime perfettamente; la
prima intelligenza in una idea perfettissimamente comprende il tutto...
Cosi adunque, mon¬ tando noi a la perfetta cognizione, andiamo
complicando la moltitudine, come, discendendosi a la produzione de le
cose, si va esplicando l’unità ». Quindi è che « ogni cosa che
prendemo nell’ universo, perchè ha in sè tutto quello che è tulio per
tutto, comprende in suo modo tutta l’anima del mondo. E cosi non è stato
vanamente detto, che Giove empie tutte le cose, inabita tutte le parti
dell’ universo ». È per questa ragione che « quelli filosofi hanno
ritrovato la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovato questa
unità. Medesima cosa a fatto è la Sofia, la verità, la unità » (i).
La ragione di questo principio nella filosofia del Bru¬ no risulta
già chiaramente da quel poco che ho detto fin qui. Imperocché se Dio è
immanente nella natura e nello spirito, egli è manifesto che quel
principio, che si attua nell’ uomo e che dà luogo a tutte le forme del
suo svi¬ luppo , non può, considerato in sè, essere altra cosa dal
principio che pone la natura. Ammessa la dottrina della immanenza, /’
arte interna del pensiero , per servirmi delle stesse parole del Bruno,
deve necessariamente appartenere (i) De la Causa, Principio et
Uno, pag. 287, 28}, 282. 283. — 33 —
allo stesso artefice- interno della natura; e quindi quel prin¬ cipio,
che forma i minerali, le piante, gli animali, deve essere quello stesso
principio, che pensa nell’uomo. Il che vuol dire che, se da una parte
tutte le forme della natu¬ ra e dello spirito hanno una sostanzialità
loro propria, una loro natura specifica e diferenziale, dall’ altra cosi
le pri¬ me come le seconde non possono essere che gradi diversi
della stessa unità fondamentale del tutto, di quell unità della materia e
della forma, del reale e dell’ ideale, in cui consiste la radice di ogni
esistenza. Ed ò per tal modo soltanto che si può cessare l’assoluta
separazione di spi¬ rito e materia, di realtà consciente e di realtà
naturale, separazione che degrada tanto 1’ una che l’altra, e che
fa dello spirito qualcosa di astratto e d’inconcepibile, e della
natura un mondo senza vita, senza ragione e senza finalità.
Signori, per questa dottrina il Bruno è stato gene¬ ralmente
accusato di panteismo; ed anche in questi ultimi anni la maggior parte di
coloro, che in Italia hanno trat¬ tato del Nolano, si son fatti a
rinnovare questa vecchia accusa, senza però investigare seriamente, e
spogli di pre¬ concetti, il vero senso della dottrina Bruniana e il
signi¬ ficato preciso della teoria panteistica. Io qui, naturalmen¬
te , non posso far la critica di questa accusa. Dirò sol¬ tanto alcune
cose principali. E in primo luogo osservo 5
— 34 — che, anche quando il Bruno non fosse altro che un
sem¬ plice panteista, bisognerebbe sapergli grado almeno per
questo: voglio dire che bisognerebbe sapergli grado perchè, dop o le
astrattezze della Scolastica, egli avrebbe posto al¬ meno il principio
della unità del mondo, e quindi ricollocata la filosofia sul suo terreno
naturale. Imperocché, si dica pure tutto quel che si voglia, il principio
su cui si fonda il pan¬ teismo, c che è l’unità dell’infinito e del
finito, dell’ideale e del reale, è quel principio, da cui appunto
comincia la filo¬ sofia, e senza di cui nessuna filosofia è possibile. E
per ve¬ ro dal momento medesimo che comincia la speculazione
filosofica, e quindi la ricerca della essenza universale di tutti gli
esseri, comincia per ciò stesso una certa unificazione, o
identificazione, se così piace dire, di tutte le cose in un principio
unico ed assoluto. Questo principio adunque è come la prima lettera dell’
alfabeto del pensiero; e chi non ha pronunziato ancora questa lettera,
chi, cioè, non si è ancora innalzato a questo nesso universale in cui si
uni¬ fica e cielo e terra, e che è come il pernio, a cui si ap¬
punta tutto quanto 1’ universo, chi, dirò colla bella imma¬ gine dell’
Hegel, non si è ancora bagnato in questo etere purissimo della unità del
mondo, deve essere ancora cer¬ tamente assai lontano dall’ augusto
santuario della coscien- — 35 — za filosofica
(i). Fino a questo punto adunque la dottrina panteistica, anziché essere
un sistema particolare di filosofia, é la filosofia stessa nella sua più
intima essenza. Onde è che, se una filosofia si differenzia da un’ altra,
questa differenza non può nascere dilli’ ammettere o non ammet¬
tere l’unità, ma soltanto dal modo diverso di concepirla e di
determinarla; imperocché, come ha già detto bella¬ mente il Bruno,
medesima cosa affatto è la Sofia, la ve¬ rità, P unità. La qual cosa è
stata vista lucidamente anche dal nostro acutissimo filosofo Roveretano,
Antonio Rosmi¬ ni. Il quale, pur respingendo da sé ogni possibile
accusa di panteismo, ha tuttavia sostenuto anch’egli un principio
unico universale, ed ha considerato tutte le forme della realtà natur
ale, della realtà upiana, e della realtà di Dio come diversi modi di
essere, come diverse determinazioni del principio medesimo.
Che se poi noi ci facciamo a considerare la dottrina panteistica
non più rispetto a quell’ idea fondamentale che Ile r-
<K (i) « Wenn man anfangt ni philosophiren, muss die Seele zuerst
sich in diesem Aether der Einen Substanz baden, in der Alles, was man fur
wahr gehalten hat, untergegangen ist; diese Negation alles Besondern, zu
der jeder Philosoph gekommen seyn muss, ist die Befreiung des Geistes und
scine absolute Grundlage » Id. ib. Drit- ter Theil, S. 337.
t — 36 — in essa si contiene, e per cui
il panteismo e la specula¬ zione filosofica in generale fanno tutt’ uno,
ma rispetto a quella determinazione particolare della stessa idea,
dalla quale solamente la dottrina panteistica attinge il suo signi¬
ficato e 1’ essere proprio di sistema speciale di filosofia, in tal caso
non possiamo avere che due soli ed opposti con¬ cetti di siffatto
sistema. Imperocché, o il panteismo si con¬ cepisce come identificazione
dell’ infinito col finito nella sua immediatezza e quindi come
deificazione di tutte le cose, ovvero come risoluzione ed annullamento di
unte le differenze ideali dell’ universo nella vuota identità della
pura sostanza. Il primo concetto del panteismo, che è ap¬ punto quello che
hanno avuto in mente i nostri critici del Bruno, non trova affatto
qualsiasi riscontro nella filosofia del Nolano. Il Bruno non ha mai
confuso l’infinito col finito, non ha fatto mai 1’ apoteosi della
esistenza caduca e corruttibile delle cose, non ha mai deificato le forme
accidentali, esteriori e materiali, le quali per lui , come per ogni vero
filosofo, non sono cose, ma delle cose, non sono sostanze, ma delle
sostanze sono accidenti e circo¬ stanze. Il Bruno ha deificato soltanto
/’ infinito mondo, la infinita natura, le infinite cose, ha deificato la
eterna genitura dello eterno generante; la qual dottrina non ha nulla
che fare col panteismo. Questa dottrina è in vece eminente-
mente cristiana, anzi è la essenza stessa del cristianesimo;
e la negazione di questa dottrina non è solamente la ne¬ gazione della
vera filosofia, ma è la negazione altresì di tutti i principii del sapere
moderno, e della possibilità stes¬ sa della scienza in generale.
Ma c’ è di più; imperocché questa pretesa confusione dell’ infinito
col finito non pure non si trova affatto nella filosofia Bruniana, ma non
ha nemmeno il suo riscontro in qualsiasi sistema di filosofia. Tutta la
storia della filo¬ sofia , per quanto è lunga e larga, non ci presenta
al¬ cun sistema, in cui si possa ravvisare questa strana con¬
fusione ; in quella guisa medesima che la storia della re¬ ligione non ci
mostra nessun popolo, che abbia proprio adorato il finito come finito
(i). Lo stesso Bruno, par¬ lando degli Egizi, dice a questo riguardo, le
seguenti me¬ morabili parole: « Non furono mai adorati coccodrilli,
galli, (i) ....Diejenigen, welche irgend eine Philosophie fiiir
Pantheis- mus ausgeben.. batteri.
es vor Alleni aus nur als Faktum zu konstatiren, dass irgend ein
Philosoph oder irgend ein Mensch in der That den Alien Dingen an und fur
sich seiende Realitat, Sub- stantialitat zugeschrieben und sie fur Gott
angesehen, dass irgend einem Menschen solche Vorstellung in den Kopf
gekommen sei ausser ihnen selbst allein. Id. Encyklopàdie, Dritter Theil,
§ 573. Vedi an¬ che: Aesthetik, Zweiter Theil, S: 478.
- 38 - cipolle e rape, ma la Divinità in coccodrilli,
galli, cipolle e rape ». E parlando dei Greci, si esprime cosi: « I
Greci non adoravano Giove come fosse la Divinità, ma adora¬ vano la
Divinità come fosse in Giove » ; il che , come ognun vede, è cosa
assolutamente diversa (x). Quanto poi all’ altro concetto del
panteismo, cioè a quel concetto secondo il quale Dio non è altro che
la semplice unità astratta dell’ infinito e del finito, dell’
ideale c del reale, egli è d’uopo riconoscere che una tal dot¬
trina c’ è davvero nella storia della filosofia. Forse non sarebbe
difficile provare che questa dottrina, considerata nella sua assoluta
purezza non ha luogo, in una forma veramente speculativa, che soltanto
nella filosofia Parme- nidea. Anche la filosofia di Spinoza, quando la si
intenda bene, non è poi addirittura quel rigido panteismo che or¬
dinariamente si crede. Ma, lasciando stare queste rifles¬ sioni, il fatto
è che nella filosofia Bruniana il princip io dell’ unità dell’ ideale e
del reale, il concetto della identità non ha affatto quello stesso
significato, che ha nella dot¬ trina panteistica pnra. Imperocché nel
puro panteismo que¬ sta unità esclude assolutamente ogni qualsiasi
determina¬ zione , ogni differenza, e perciò è la negazione di
tutto (1) V. Spaccio della Bestia Trionfante, Dial. 3. p.
226—27. — 39 — quanto 1* universo
intelligibile, mentre, nella filosofia Bru- % niana, questa unità si muove,
si distingue, si va specifi¬ cando e, come dire, spezzando in tutte le
forme della natura e dello spirito. Ammettere questo dirompimento
dell’unità universale, guardare in tutte le cose un principio eterno
ed immutabile come forma vera e totale dell’ unità medesima,
riconoscere in somma un mondo infinito, tutto questo non è affatto
panteismo; anzi è la critica vera e positiva della dot¬ trina
panteistica. E tale è in fondo, considerata nel suo spi¬ rito, la
filosofia Bruniana. Il che è tanto vero che il Bru¬ no è arrivato fino a
vedere — cosa degna veramente della più alta ammirazione — che la vera
esigenza della filoso¬ fia, che il vero segreto dell’ arte, come egli
dice, consiste appunto, non già nel semplice innalzarsi all’ unità del
mon¬ do , ma nel procedere dall’ unità stessa a tutte le forme
differenziali ed opposte, in cui essa si va esplicando, e in cui si
manifesta la vita tutta dell’ universo. « Profonda magia, ha detto il
Bruno, è trarre il contrario, dopo aver trovato il punto dell’unione »
(i). Se adunque, io dico, (i) L’ Hegel dopo di aver citato questo
passo di Bruno: « Aber den Punkt der Vereinigung zu finden, ist nicht das
Gròsste; sondern aus Demselben auch sein Entgegengesetztes zu entwickeln,
dieses ist das eigentliche und tiefste Geheiranis der Kunst » soggiunge
en- faticamente: « Dicss ist ein grosses Wort, die Entwickelung der
Idee * •. ' — 4 ® —
il Bruno ha visto financo che il segreto della filosofia sta nel
tirare le differenze ideali dell’ universo dalla sua unità, o, in altri
termini, nel contemplare 1’ atto proprio del dif¬ ferenziarsi dell’
unità, quell’ atto, che, come egli dice, non pure è potenza di tutto, ma
è atto di tutto, come si può sostenere che la sua filosofia sia panteismo
? Ha forse il Bruno inabissate, ha forse estinte nell’ unità assoluta
tutte le forme ideali dell’universo? E non è vero in vece che la
esigenza della sua dottrina si è appunto quella di di¬ stinguere nell’
unità assoluta un mondo intelligibile, un u- niverso infinito? Ovvero si
vuol sostenere che il Bruno è panteista sol perchè non ci ha presentato,
ai suoi tempi, in una forma veramente speculativa, tutto questo suo
u- è niverso infinito? perchè, in altri termini, non ci
ha dato una filosofia della natura e una filosofia dello spirito ?
Una simile pretesa non sarebbe certamente degna di una mente sana. Ma
altro è dir questo, anzi altro è anche ag¬ giungere che la dottrina di
Bruno non è nemmeno un sistema nel senso vero della parola, altro è
affermare che so zu erkennen, dass sie eine Nothwendigkeit von
Bestimmungen ist ». Geschichte der Philosophie, Zweiter Tchil, S.
209. — 41 — 1’
assoluto Bramano sia addirittura come la notte, in cui tutte le vacche
son nere (i). Ma io mi avveggo, o Signori, di essermi
soverchia¬ mente dilungato su questo punto. Dirò dunque ora pro¬
prio di volo, prima di conchiudere, pochissime parole sul- P applicazione
di questi primi principi più generali della filosofia del Bruno alla
teoria della conoscenza e della li¬ bertà. Senza fare ciò non si può
vedere la vera impor¬ tanza di questa grande filosofia. (i)
Br uno si può dire pant eista in un senso solo, cioè nel senso che nella
sua filosofia manca il concetto della vera ed assoluta esi¬ stenza di
Dio, manc^lconcettodiDio^conHSjjersonalità assoluta. Il Dip del
Bruno vive nell’ infinito universo, ma non ha una vita sua propria come
principio assoluto, non ha una sua realtà distinta, nella quale si
raccolga tutto il mondo intelligibile; inso mma il Di o * del m Bruno non
è l’Idea come autocoscienza assoluta, e perciò non è ancora realmente
Dio=Dio. Tutto questo è vero. Ma siffatta critica della dottrina Bruniana
si può fare soltanto dal punto di vista del- l’Hegel, non già dal punto
di vista de’nostri critici del Bruno. È l’Hegel soltanto, che ha dritto
di chiamare il Bruno panteista. La spiegazione e la critica del Bruno, a
me pare la seguente. Bruno^con- templa Dio come cosmogonia, come
attivitàcosmogonica (ciclo di o- rigine), ma non contempla il cosmo come
teogonia, come attività teo- gonica (ciclo di ritorno). Egli è vero che
non c’ è cosmogonia senza teogonia, come non c’ è intuito senza
riflessione; ma c’ è teogonia e I
42 — In ordine alla conoscenza il Bruno insegna che
la ve¬ rità di essa non si ha e non si può avere immediatamente,
cioè nella sua forma originaria c primitiva, e finché dura il carattere
proprio della medesima. Il carattere di questo pri¬ mo grado della
conoscenza si è quello di essere legata alla natura esteriore, sensibile,
accidentale, e quindi è la estrin- sechczza del pensiero a sè medesimo.
Per potersi scioglie¬ re da questi legami col mondo esteriore e
fenomenico, e giungere davvero a possedere sò stesso, lo spirito ha d
uo¬ po o della fede o della scienza. Ma, nella fede, l’uomo non
s’innalza alla verità colle sole forze della ragione e in un modo
assolutamente libero: nella fede 1 uomo, fino ad un certo punto, accoglie
in sè la verità come vaso o recipiente, e perciò in guisa non
corrispondente del tutto teogonia, come c’è riflessione e
riflessione. Ora il Bruno non ar¬ riva al concetto di quella forma del
cosmo che non è solamente una certa teogonia, ma che è la vera ed
effettiva teogonia; non ar¬ riva al concetto del cosmo veramente
teogonico; e perciò non ar¬ riva alla vera esistenza di Dio. Dunque la
personalità assoluta di Dio, in questa filosofia, è impossibile. Ma d’
altra parte neppure è pos¬ sibile arrivare a questa idea, uscendo da
Bruno assolutamente. È sulla via aperta dal Bruno che bisogna camminare
per raggiungerla. Chi vuole adunque questa idea, accetti il Bruno, vada
avanti, e la troverà. — 41 —
alla vera eccellenza della propria natura. Nella scienza, al
contrario, lo spirito si eleva alla contemplazione della ve¬ rità colla
sola libera energia della sua mente, e produce la coscienza di essa come
vero artefice ed efficiente. Il processo della contemplazione della
verità consiste nel pro¬ fondarsi nel profondo della mente e nel circuire
per i gra¬ di della perfezione, cioè nel percorrere col pensiero le
di¬ verse manifestazioni dell’ infinito vigore , e perciò nell an¬
dare non già dal finito all’infinito, o viceversa, ma nel¬ l’andare
dall’infinito all’infinito. Lo scopo ultimo di sif¬ fatta contemplazione
si è di capire quell ' atto assolutissimo che t medesimo coll’
assolutissima potenza, e di effettuare così la vera immanenza di Dio in
noi colla virtù stessa della nostra mente. In conformità di
questo concetto della conoscenza, il Bruno determina il concetto della
libertà nel modo che segue. La verità e, la legge sono tutt’uno. Perciò,
come VC/àU la verità è intima allo spirito umano, cosi anche la
legge è intima all’umana volontà. Questa adunque non si può
considerare come una facoltà vuota ed indeterminata. D al¬ tra parte,
nella guisa medesima che la verità non è pos¬ seduta dallo spirito
originariamente c senza la sua stessa attività, così anche la volontà non
è oggettivamente li¬ bera, e quindi non è vera ed assoluta volontà,
finché non si ò elevata alla legge ed alla verità. La
verità adunqne è il fondamento ed il contenuto della libertà. Fuori della
ve¬ rità, fuori della legge la vera libertà non è possibile. Per
tal modo la libertà non è arbitrio, ma è necessità. Que¬ sta necessità
però non è esterna, non è fatalità, ma ap¬ punto perchè s’immedesima
colla stessa verità, è neces¬ sità interna e razionale.
Signori, io non ho bisogno di fermarmi sulla impor¬ tanza pratica
di questo concetto Bruniano della libertà. Senza che il dica, ognun vede
come in questo concetto si acchiuda ad un tempo la critica della falsa
libertà, e della falsa autorità, e come sia appunto in questo
concetto che sta il fondamento della nuova vita sociale e il prin¬
cipio animatore di tutta la civiltà moderna. A me qui spetta soltanto di
chiarire brevemente il valore speculativo di queste applicazioni dei
principi metafisici del Bruno, e di mostrare come in queste applicazioni
si possa scorgere il germe di una più alta filosofia. Ebbene
egli è facile vedere che queste idee del Bru¬ no, relativamente alla
conoscenza ed alla libertà, più che semplici applicazioni del suo
principio metafisico, sono in vece delle conseguenze, che hanno una
portata di gran lunga superiore allo stesso principio. Bruno in
queste applicazioni supera davvero sè stesso, egli va al di là
I — 45 — dello jtesso suo punto di
partenza. E per vero il punto di partenza del Brudo è Dio come semplice
atto crea¬ tivo , Dio come semplice creare, e perciò come ge¬
nerare ; e quindi l’universo Bruniano è si la infinita, la eterna
creatura o genitura di Dio, ma non è altro che la eterna, la infinita
creatura o genitura di Lui. In¬ tanto il concetto Bruniano della _libertà
e della cono¬ scenza ci presenta una vera reazione sullo stesso
principio assoluto : esso importa un’ attività superiore al
semplice creare, importa un’ attività, che non è mera
estrinsecazio¬ ne del principio eterno delle cose, ma ò una
effettuazione vera del principio medesimo, come atto dello stessa
crea¬ tura fi'). Il Gioberti ha detto ai giorni nostri, in un mo-
mento di profondo intuito filosofico, che l’uomo ren¬ de a Dio la
pariglia; anzi egli ha detto anche in genera¬ le che l’atto creativo è
essenzialmente atto teogonico. Ora questo rendere a Dio la pariglia,
questa forma di atto crea¬ tivo, che è nel medesimo tempo atto teogonico
, è appunto (i) O meglio: come atto di Dio stesso, ma in quanto
creatura. Col linguaggio della religione si direbbe: come atto dello
stesso Padre, ma m quanto Figlio. Si sa poi che questo atto del
Padre, che è atto di lui in quanto Figlio, è quello che là la verità del
Fi¬ glio e la verità del Padre ; e che questo atto è appunto lo Spirito:
la vera Ferità. ' < - 46 -
quella idea, che noi non possiamo ravvisare nel principio
metafisico del Bruno, ma che però troviamo adoperata nella sua dottrina
della conoscenza e della libertà. Si può adunque affermare che, nella
filosofia del Bruno, le con¬ seguenze contengono più delle premesse; ma
siffatta con¬ traddizione anziché menomare il merito del nostro
filoso¬ fo, è appunto quella, se io non mi sbaglio, in cui si ri¬
vela la più alta potenza della sua speculazione. Nè var¬ rebbe il dire
che il Bruno non finisce come comincia; impe¬ rocché il Bruno, ha
cominciato bene, come era possibile ai suoi tempi, ed ha finito molto
meglio. E se tra il Prin¬ cipio ed il Fine, tra 1* Origine ed il Intorno
la sua filosofia non pone quell’ accordo, in cui consiste la vera Idea,
di ciò non si può fare un’accusa al nostro grande pensatore, stante
che un tale accordo è il risultato di tutta quanta la speculazione
moderna; e perciò non si può pretendere dal¬ la filosofia del Bruno. Nè
si può pretendere dal Bruno la coscienza della contraddizione, che corre
tra il suo prin¬ cipio metafisico e la sua dottrina della conoscenza e
della libertà, perchè una tal coscienza non poteva sorgere nella
storia, se prima i due estremi, cioè il Principio ed il Fine, 1’ Origine
ed il PJtorno, non avessero spiegato separata- mente tutto il loro valore
e non si fossero presentati dinan¬ zi al pensiero speculativo come le due
somme ed opposte potenze (Teli* universo, 1’ una
predominante nel mondo del¬ la natura, 1’ altra in quello dello spirito.
La filosofia Car¬ tesiana rivelò il potere del Trincipio, la filosofia
Kantiana (precorsa solo dal Vico) mise in evidemza l’attività indi-
pendente ed assoluta del Fine , e fu perciò solamente la posteriore
filosofia tedesca quella, che potè innalzarsi alla contemplazione del
Principio-Fine, dell’ Origine-Ritorno, e porre cosi un nuovo e più alto
concetto di Dio, il con¬ cetto di Dio come Sviluppo, come Spirito, e
quindi una nuova filosofia: la filosofia dello Spirito.
Raccogliendo adesso le fila del mio ragionamento, io posso
conchiudere così. La filosofia del Bruno ha riabilitata e {ligni
ficat a la * e l ia restituito il suo vero valore, 1’ ha innalzata
a manifestazione reale e vivente di Dio; dunque il primo ar¬ dente desiderato
del pensiero scolastico, in questa filosofia, è soddisfatto. Ma c’ è di
più; imperocché il Bruno, aven¬ do concepito Dio come immaii ^q^ nella
coscienza umana in lorza dell’ attività stess^ai^ essa , ha posto in
questo concetto la possibilità di quella intelligenza superiore,
che formava la seconda e più alta aspirazione dei grandi pensa¬
tori della Scolastica, e la cui attuazione non poteva essere che il
risultato finale di tutta quanta la filosofia moderna. Sebastiano Maturi.
Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino, Spaventa, I duellisti, l'io
e l’altro – riconoscimento, la dialettica del signore e del servo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Maturi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale – filosofia campanese -- filosofia napoletana –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano.
Napoli, Campania. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist
approach can be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice:
“Maturi’s ‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic
--.” Grice:: “Even in London, the risorgimento had at least two
interpretations! One in Woolwich, and another one elsewhere! And there is
possibly a gender distinction too with “Speranza,” Wilde’s mother, being
somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione culturale a Napoli dove
si laurea con SCHIPA, uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali
antifascisti redatto da CROCE. Del
suo maestro, per la lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un
commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in
occasione della morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con
attenzione ed interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce
conseguendo una laurea in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre.
Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La crisi della storiografia
politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e
contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita
intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e
le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo
che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e
contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto
storico per l'età moderna e contemporanea. Collaboratore dell'Enciclopedia
italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali quella dedicata al
"Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali. A causa di
questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica attiva, fu
allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea. Nei
suoi saggi di storia politica i suoi punti di riferimento sono Croce, Meinecke,
Salvemini, e Volpe. Dapprima come incaricato di storia del ri-sorgimento
e poi come ordinario tenne le sue lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere
numerosi saggi come alcune importanti voci nel Dizionario di politica a cura
del Partito nazionale fascista, il saggio Partiti politici e correnti di pensiero
nel Risorgimento, e l'accurata biografia Il principe di Canosa. I corsi di
storia della storiografia tenuti a Pisa furono continuati a Torino quando ha la
cattedra di Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche
che occupa sino alla sua inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di
quest'ultimo periodo furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del
Risorgimento considerata di primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni
del Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia
italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia
del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del
Risorgimento. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi.
Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Maurizi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della vendetta di Bacco – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Maurizi; of course his
‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather
recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he
is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia della storia presso
l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e ha conseguito il
dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una tesi su Cusano e
il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia del totalmente
non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di
formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca presso
l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su alcune
prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of
Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera Internazionale, e
collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Partecipa
alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e
pensiero critico (Jaca) ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di
Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di
Acampora, Fenomenologia della Compassione, Sonda, Casale Monferrato,, e ha
tradotto, con Dalmasso, Derrida, Teoria
e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca, Milano,. Ha contribuito
alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal
Studies. Rivista italiana di antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso
i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx,
Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una
visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione
del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno,
quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il
tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale
"essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere
storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità
dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un
relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di
Hegel portata avanti da Adorno, infatti, M. sostiene la leggibilità e
razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come
traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle
vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà,
imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale
che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della
filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una
ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la
critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non
umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da M. come un
antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di M.,
che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei
diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello
specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste
quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare
come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di
trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque
essenzialmente politico e non possiamo
affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una
prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così
affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività
speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di
là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). M. è
stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e
Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo
breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie
alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero
sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia
Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato
sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie
sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo
Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre
di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und
Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e
altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del
non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della
modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la
libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica,
“Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. su questi temi
per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus:
rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.
com. Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista:
youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag
Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube
Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di
Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus. wordpress Intervista di F. Pullia sul
quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia
archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero.
Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma. Antispecismo Diritti degli animali Scuola di
Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal
Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimal studies. wordpress.
Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mazio: la
ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of GIULIO
(si veda) Cesare and Cicerone. He writes on food and trees and takes an interest in the philosophy of
the Garden. Gaio Mazio.
Grice e Mazzarella: l’implicatura conversazionale – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I love
Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I was thinking when
philosophising about conversation, but for Mazzarella, the conversational
motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared to his ‘parola
necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while based in part in
the desideratum of conversational benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I
like Mazzarella. The fuss he makes in translating Heidegger, whom I have
elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he was living then –.”
Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s translation, is
especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets
an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’ Relying on the
cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella
agrees that the translation goes from ‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it
should inspire all philosophers into seeing how similar these two concepts are
– if indeed two concepts they are, seeing that they come from the same Roman
root! But M. would know that – you wouldn’t!” –
Professore a Napoli, è tra i principali interpreti di Heidegger.
Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico
II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico
II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di
Lettere e Filosofia, di cui è Preside. Deputato del Parlamento italiano,
divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera. Opere In una delle sue opere principali,
Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi
decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica
occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso originario,
come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle interpretazioni del
"logos" eracliteo e della categoria aristotelica della
"physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta
"svolta" del pensiero di Heidegger.
In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico,
le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione
tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del
compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un "essere-alla-vita",
categoria che richiama in modo lampante l'"essere-nel-mondo" di
heideggeriana memoria; le questioni teoretiche vengono così ridotte a questioni
etiche riguardanti un'ontologia minima, ove la filosofia prima si trasformi in
filosofia seconda, lasciando il posto ad un programma metafisico-antropologico
di custodia e mantenimento della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita
necessita di intendere la cultura come “endiadi di natura e storia, ma in
questa endiadi natura prima ancora che storia”.
Pensare e credere. Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte
del pensiero di M.; il rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca
sullo sfondo di una prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non
siano esenti dalla riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica
contemporanea. Interessante è la prospettiva di una religione come
"integrazione" e apertura all'amore fraterno, configurato nel
concetto di "agape". I suoi
scritti sono in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di
pensiero napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa
di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia
della vita). In un dialogo costante con
i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Forte, M. si è occupato
specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della
vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita). In Opera media ha inoltre messo in luce un
talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica
e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato
singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città
di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al
Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is
exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie
d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di M., Napoli,
Guida, Archivio degli articoli di
Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae,
pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di
Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a
Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Eugenio Mazzarella. Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzei: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia toscana – filosofia
fiorentina -- -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Poggio a Caiano). Filosofo
italiano. Poggio, Toscana. Grice: “Not every philosopher has a city, ‘Colle,’
named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a philosopher, but the
Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there is a good wine,
“Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas, transplanted a grape
from his paese – the descendants still grow it! In oltre, he was influential in the
‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone e cadetto di una nobile famiglia toscana di
viticoltori, probabilmente risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI
secolo, fu personaggio energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle
libertà individuali, dei diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una
vita avventurosa e movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene
sia sconosciuto al grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra
d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la
Virginia, ed è ritenuto dagli storici uno dei padri della Dichiarazione
d'Indipendenza americana, in quanto intimo amico dei primi cinque presidenti
statunitensi: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e
soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore, vicino di casa, socio in
affari e con cui rimase in contatto epistolare fino alla morte. Iniziato
alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato della rivoluzione
francese. La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie
all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della
rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º
anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta
speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo gli studi
compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello
maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e
poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due
anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di
un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di
difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano,
riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei
prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei
salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi italiana si
concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia
al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”.
L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben
tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà
italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo M.
conobbe Franklin e Adams, che da lì a pochi anni sarebbero stati tra i
protagonisti della rivoluzione americana. Le colonie americane si
autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di
delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era
ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era
probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.
Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita
forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla
prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si
trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si
unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò, e l'amico Bellini che
sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano in un'università americana, il
College of William and Mary in Virginia. Inizialmente diretto in altro
sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Jefferson,
con il quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e
fu da lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km²
della sua tenuta in favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta
di Colle (il nome deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso
ad esempio la campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata.
Lo univa a Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una
vigna nella colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale,
frutto di una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe
protratto per oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane
trascinò velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali,
nella vita politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di
veementi libelli contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla
libertà ed all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese
dallo stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da
ritrovare successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia,
con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di
amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò
per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari
con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in
particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a
Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei
aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il
francese Plumard, Comte De Rieux. La Rivoluzione francese e le vicende
europee Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una
voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les
États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della
rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa
fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.
Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante
attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece venire
in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale,
di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi. Da questa
posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui condannò la
deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si trasferì a
Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della
costituzione. Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito della
spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana,
stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia,
Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e
poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi
intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve
occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno. Ultimi anni M. visse
quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e
limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani
liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia
operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti
della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. M. rimase sempre
nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il
ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i
ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di
affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla
caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel
1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione
Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli
anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è
circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera
statunitense, adottata dal Congresso un
anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza
che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo
e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver
discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera
americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag. In suo ricordo è stato
istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per
celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti
d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la
frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a
Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze,
Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia. Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo,
Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante
italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi
Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della
mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano.
Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore,
giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele,
Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi
Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio
a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio
Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano,
Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei
tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America.
Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba
bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano,
Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo,
Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana
Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del
cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo,
Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di M., Milano, Angeli, Łukaszewicz,
M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione
americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe William
Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America
Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube. com.
Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su
circolo filippomazzei. net. M., chi era
costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano M., su mltoscana. blogspot.com.
Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson M. I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about P.Mazzei and
other famous Italian American, su Cleveland memory.org. M.,
Thomas Jefferson e gli scultori carraresi per la costruzione del Campidoglio
degli Stati Uniti di Nicola Guerra su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei.
com. Memorie della
vita e delle peregrinazioni del fiorentino. Grice:
“The more Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake
patriotic prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the
less I am leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a
vengeance!” – Grice: “As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and
to mine!” -- Filippo Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la
rivoluzione del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Grice e Mazzini: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la giovine italia – filosofia ligure -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Genova,
Liguria. Grice: “Of course it is difficult for an Italian philosopher to
approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be like me approaching the
philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il pensiero filosofico di
Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would be the pretentious
sounding, “The philosophical thought of Sir Winston Churchill,’ say!” -- Grice: “Luigi Speranza loves to cherish the
fact that an old street in Woolwich, of all places, is named after him, in a
way ‘Speranza,’ just because Garibaldi visited!” Grice: “Luigi Speranza also
cherishes the fact that Lady Wilde preferred ‘Speranza’ just to defend
Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo
risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno in maniera
decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in
diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino alla morte.
Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione dei moderni
movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma
repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo
dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre,
Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari, una
cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli
Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura
politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della
precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero
napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli,
un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta
la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta
terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo
Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti
di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato
perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale
austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe,
Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista),
restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire
sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per
la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di
chitarra), la ha per tutta la vita:
oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti
romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas
padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova
dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in
lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della
patria. Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma
l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore
genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La
censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il
saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”.
Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina. Ho
a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo
tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un
brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta,
ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante,
infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe M.. (Klemens von
Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e arrestato
su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar.
Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo movimento
politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato per mancanza
di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in
esilio. I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione, forza e libertà
e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un
governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo
italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza
unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente
destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il
federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo
rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato
la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo repubblicano e
unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta
attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione
con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni
Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il
marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la corte estense,
aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia
polmonare, muore a Montpellier. Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna
condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi
quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti
dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo
il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo
Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata "un italiano",
insieme a Berghini e Barberis, M. fu condannato in contumacia a "morte
ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior
generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo
Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove M. raccolse attorno a
sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di M.), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas
Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la
sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini.
Nello stesso quartiere di M. visse anche Marx. Durante il soggiorno
londinese M. ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia Craufurd,
documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra ebbe rapporti
con la famiglia di Ashurst e con il genero di questi, il politico Stansfeld, la
cui consorte Caroline Ashurst Stansfeld e sostenitrice della società
"Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione
italiana M. collaborò anche con il secolarista George Holyoake. Fondò poi
altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari stati
europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.
Quest'ultima, fondata a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri,
aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti
d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del
popolo italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni
europee. L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico
l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e
democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e
rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa M. fonda anche l'Alleanza
Repubblicana Universale. Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un
forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di
numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio
di Belgiojoso e Saffi, la moglie di Saffi, uno dei più stretti collaboratori di
M. e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. M. continuò a
perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile
costanza, convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno
avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza,
l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il
fallimento dei moti del 1848, durante i quali M. era stato a capo della breve
Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti
italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo
Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione.
Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e
politica invocata da M.. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la
Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello
STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine statale era ben
lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra per reagire alla caduta
della Repubblica Romana e in continuità con essa, M. fonda il Comitato Centrale Democratico Europeo
e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le
cui cartelle portavano appunto lo stemma della Repubblica romana e
l'intitolazione del prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e
l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli
ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia
Montecchi. La diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata
conseguenza la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto
a Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al
nuovo parlamento di Firenze. M. era candidato, nel secondo collegio, ma non
poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due
condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo
grado e in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal
tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III.
Inaspettatamente, M. vinse con larga messe di voti (446). Dopo due giorni di
discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne
precedenti. Il letto di morte di M., distrutto dagli aerei degli
Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa. Maschera mortuaria di M., gesso,
Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di
Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo M. La Camera, dopo una nuova
discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. IM. viene rieletto una terza
volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia,
anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la
carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione
dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a
lottare per gli ideali repubblicani. Lascia Londra e si stabilì in
Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte
inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in
Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti
popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì
in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in
arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di
Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe
in una carrozza Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo
incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo. Costretto di
nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio
Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo,
visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli
Rosselli e zio della moglie di Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta
quando la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della
salma M. morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse
rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato
Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Bertani:
Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa
partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo,
accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al
Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono accompagnate dalla
musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo.
Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di M., onde
pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed
esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana: da
allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo. Mausoleo Benché sia
incerta l'affiliazione di M. alla Massoneria fu l'associazione stessa a
commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Grasso che lo realizzò in
stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici. Il sepolcro
reca all'esterno la scritta “M” e all'interno sono presenti numerose bandiere
tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da
personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "M.. Un
Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e
l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze
di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso M., citati
nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente M.,
a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia
mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli
ideali mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza italiana,
l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia,
afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe
influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita
dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società
segreta, la Giovine Italia. In effetti M. fu carbonaro, ma la Carboneria fu
presto distinta dalla massoneria. Montanelli afferma invece che probabilmente
Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una
"Nota su Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del
grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Erasmo,
Roma), che a119 scrive a proposito di M.: «Iniziato a Genova, secondo G.
Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado
del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita
Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo ricevette
l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo
Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella
d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i
segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di M.
alla Massoneria.» M. stesso sembrerebbe però smentire la sua
partecipazione all'associazione in una lettera al massone Campanella, Sovrano
Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato
di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto
recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza
dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni
scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura
d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o
politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa
dell'uomo, non dello schiavo – M. Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno
la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che
ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero
napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che smentiva quella
degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la
storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo
napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti
e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi
era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella
tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra
delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli
popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità. Secondo questa
visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che
agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica
di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di
conseguire con la loro meschina ragione. Da questa concezione romantica della
storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni
contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio
nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia
degli uomini. Napoleone I è stato, con le sue continue guerre,
l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e
falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato
per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà
dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a
Napoleone restaurando il passato. La concezione reazionaria contro cui M.
combatté strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel
pensiero di Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del
Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del
cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de
Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza
tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali
protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del
razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa
concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire
liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al
bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta
di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di
storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo
in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova
società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della
vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia
nell'opera letteraria di Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il
progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana. Concezione mazziniana
«Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana – M., Istruzione generale per gli affratellati nella
Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svg Mazzinianesimo. Dio e popolo
«Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso.
L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni
grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel
fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo
mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il
pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di
romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione ma che
era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che
proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i
cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con
l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione
religiosa di M. all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista
(almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad
una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo
altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna
religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni
tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della
religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio
panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la
laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se,
come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la
sua concezione teologica da quella politica e l'assenza di intermediari tra Dio
e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, define
il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua
concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione
CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e
pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il
campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e
fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Ricci -- e dalla
massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto
massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo
l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con
altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo L'ateismo, il materialismo
non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del
Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli
crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e
migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o
dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali
Mazzini si era interessato. Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle
società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese
Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza
Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe
rinata, libera dalle dominazioni straniere, come la nazione che avrebbe
esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema
questo poi ripreso da Gioberti nel suo Primato morale e civile degli
Italiani. M. ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli
dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico
sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore per gli ideali
sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.
Religione civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la
politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo
panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel
Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità è il
suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un Dio
solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro
mondo è raggio e l'Universo una incarnazione. Per lui non conta che la sua
intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è
invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non
dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella
storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità
nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo
significava per il M. collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed
accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo bisogna
«mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio,
senza calcoli di utilità. Quello di M. era un progetto politico, ma mosso da un
imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto
indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli
avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il
successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.». La storia
dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza
divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da
Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della
Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per
«procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo
individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha
loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso,
reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria
e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di M. sulla casa
londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la
missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si
realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà
europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni
sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea
immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato
egemonico di Grande Nation. La futura unità europea non si realizzerà attraverso
una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli
per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo M.,
doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità
oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di
quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.
Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia
un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al
processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà
improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace
metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana
che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna
egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per
una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione,
di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa
cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica
attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di
Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di
unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata
dall'associazione di liberi popoli. Funzione della politica Il
mausoleo di M. nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato
dall'architetto mazziniano Grasso. La politica è scontro tra libertà e
dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso:
si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; M. esorta
la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti
gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà
e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno. La logica della
politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze
reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria:
alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più
sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più
accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare
alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare. La
rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali
e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che
incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la
rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere
straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca
temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al
popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima
possibile. La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa
pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento
di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre
la rivoluzione francese si è concentrata esclusivamente sui diritti
individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una
società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene
di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede
nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune
sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo
individuale.Questione sociale M. affrontò la questione sociale negli scritti
più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il marxismo, convinto com'è
che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli
l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. M. fu tra i primi
a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia
la questione contadina, come gli indica Pisacane, ma egli pensava che questa
dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità
nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro
collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però organizzando
l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole. Un
programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia
culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio
cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi
più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei propri
diritti fra gli operai. M. criticò il marxismo e fu da Marx biasimato per
gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti profetici che egli
assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo. Marx,
risentito per gli attacchi di M. al comunismo, da lui definito col termine
inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni articoli
teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica, dandogli anche
sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte
sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di M. (oltre che con Garibaldi
che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il
proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte
negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola
classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere
l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale
all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era
rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero
a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la
Rivoluzione in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni
politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del
socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di
Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi. Mentre per Marx e
Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere
lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato,
Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la
Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento
della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i
più poveri, M. punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà
guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via
crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà
sull'impresa». M. punta sul superamento in senso sociale e democratico
del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie
distribuzioniste sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i
produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà
perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano
acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo
sì che solo il lavoro possa produrla. La
sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto
importante e anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e
socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come terza via
corporativa tra il modello capitalista e quello marxista. Cospirazioni e
fallimento dei moti mazziniani M. in una fotografia con autografo
scattata da Domenico Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia
repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti
da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i
mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre
condannati. «Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia;
pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a
quel giorno, senza capo né coda» (Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna)
Giovine Italia «Su queste classi così
fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine
sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei
giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine
assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non
esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a
mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla
sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour). M. si trova a Marsiglia in
esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa
della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua
colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino
in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e
passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto
con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso
in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei
ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette
carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro
programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era
riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per
le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di
Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli
lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e,
come nei moti dei francesi. Con la fondazione della Giovine Italia il
movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici:
indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare
poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di
pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni
concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi
degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere
dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione
e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più
possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a
difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda,
un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche attraverso
il giornale La Giovine Italia, fondato del messaggio politico della
indipendenza, dell'unità e della repubblica. Durante il periodo dei
processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione
scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra. Dieci anni dopo,
il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da M., che fondò al
suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al
programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria,
in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando
una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e
condanne a morte. Oganizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come
focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli
Ruffini, amico personale di M. e capo della Giovine Italia di Genova,
l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Gioberti. Tutti subirono un
processo dal tribunale militare, e dodici furono condan morte, fra questi anche
il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere
mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga. Tentativo d'invasione
della Savoia e moto di Genova. L'incontro di M. con Garibaldi nella sede della
Giovine Italia Il fallimento del primo moto non fermò M., convinto che era il
momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra,
quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione
militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il
generale Ramorino, che aveva già preso parte ai moti, questa scelta però si
rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per
l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto
che quando si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la
polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta
facilità. Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto
la guida di Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per
svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo
dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così
rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a
morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del
Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli. M., invece,
poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso
dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria
azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e
riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia
debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (M., lettera di risposta ad Angelo
Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo,
nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e
l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che
egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in
gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da
cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri
ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra
austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta,
l'Esperia e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud
Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da Corfù (dove
avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta
della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e
dal corso Pietro Boccheciampe. Era loro giunta infatti la notizia dello scoppio
di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di M.. In realtà
non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già
stata domata dall'esercito borbonico. Quando sbarcarono alla foce del
fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già stata repressa
nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.
Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui
partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i
compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per
la Sila. Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle
guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i
mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno
il brigante Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura)
e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero
fucilati nel Vallone di Rovito. Il re
Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento
dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e
pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta fermezza e da tanta sventura,
restò commosso da quell'efferata barbarie e celebrò la memoria di quei martiri
in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel loro sacrificio la realizzazione dei
propri ideali così scriveva in un opuscolo a loro dedicato: «Il martirio non è
sterile mai. Il martirio per un'Idea è la più alta formula che l'Io umano possa
raggiungere per esprimere la propria missione; e quando un giusto sorge di
mezzo a' suoi fratelli giacenti ed esclamaecco: questo è il vero, e io,
morendo, l'adorouno spirito di nuova vita si trasfonde per tutta l'umanità. I
sagrificati di Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l'uomo deve vivere e
morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno
morire: hanno convalidato per tutta l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi
potete uccidere pochi uomini, ma non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo,
con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla
reazione francese. Fu l'ultima rivolta a cui M. prese parte direttamente.
Moto di Milano e sollevazione in
Valtellina. Ispirato al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto
di Milano, a cui tuttavia M. non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe
la rivolta in Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce
Felice Orsini, che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato
l'attentato a Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché
risoltosi in una strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri.
Pisacane Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano,
prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso
il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno
d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di
Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì
rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri,
che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto
strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.
Pisacane s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Nicotera e
Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a
Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a
liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto
delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari
ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico.
La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle
masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei
contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo
sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º
luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai
contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi
gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a
fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83;
Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati
all'ira popolare furono poi processati. Condan morte, furono graziati dal Re,
che tramuts la pena in ergastolo. Senso dell'impresa Pur essendo quella
di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di
premio», in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era
allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo
libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione".
Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una
soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane
pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e
nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella
della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in
appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la
propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee
nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché
sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero». Vicino
agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso
scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò
nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici...
che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una
gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire. La
spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione
pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno
italiano dal malgoverno borbonico che Gladstone definiva negazione di Dio
eretta a sistema di governo.. Infine il tentativo di Pisacane sembrava
riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione
al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di
Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per
realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.
Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi M. appoggiò moralmente la spedizione
dei Mille di Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour.
Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia
sabauda e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.
Controversie Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a
Staglieno Conflitto con Cavour M., che dopo la sua attività cospirativa fu
esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della
guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli
rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra
voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la
propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria,
senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai
vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un
falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del
cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi
sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, deportati. Quando Napoleone
III scampò all'attentato teso da Orsini e Pieri, il governo di Torino incolpò M.
(Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici
assassini" oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"), poiché
i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack
Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della
loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente
condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al
riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e
condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con
fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così
l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo
Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel
Regno di Sardegna. M., intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e
Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul
giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale
dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di
menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere.
Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi
la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità
nazionale, voi l'ingrandimento territoriale» (M.]) Timori di M. per la
cessione della Sardegna Estratto di articolo di giornale inglese
Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di Nizza, potesse
cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di
altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di una
definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche
l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni
sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia.
Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il
Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla
Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio
italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.» (da Scritti editi
e inediti di M., per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe
Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla Francia, M.
affermava anche. L’opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono
renderlo praticamente impossibile.» (da Scritti editi ed inediti di
Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di M., Roma)
Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo
federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e amico di M.,
confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla cessione della
Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto della penisola:
«Vicino a M. ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il
Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di
meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando circolò
insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla
Francia anche la Sardegna» Anche il giornale britannico "The
Illustrated London News" citava l'inopportunità
di cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella
stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente
energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli
anziani gli sfuggivano. Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento
aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso
profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova
fede, imbrigliava l'azione politica. M. infatti non aveva «la duttilità e la
mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per
questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di
governo come fu Cavour. Il compito di Mazzini fu invece quello di creare l’animus.
Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per
opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I
sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica
italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema
italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma
più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che
avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine
dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo
popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano.
Le idee politiche di Mazzini furono alla base della nascita del Partito
Repubblicano Italiano. Tramite la Costituzione della Repubblica Romana,
ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello per molto tempo, fu uno dei
pensatori le cui idee furono alla base della Costituzione Italiana. Inoltre
ebbe una grande influenza anche fuori dall'Italia: politici occidentali come
Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e Lloyd George e molti leader
post-coloniali tra i quali Gandhi, Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen
consideravano Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri
dell'uomo come la propria "Bibbia" morale, etica e politica. Mazzini
conteso tra fascismo e antifascismo M. sul letto di morte L'eredità
ideale e politica del pensiero di M. è stata a lungo oggetto di dibattito tra
opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza.
Già prima dell'avvento del FASCISMO, il cinquantenario della sua morte e
celebrato con una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista M. e
oggetto di citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere
considerato una sorta di precursore del regime di MUSSOLINI. Secondo un appunto
diaristico (intitolato "Ripresa mazziniana") diBottai, però,
l'utilizzo che ne fa MUSSOLINI e strumentale. La popolarità di M. durante
il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei
Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a MUSSOLINI
durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la
presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa,
l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo
del nostro interventismo». Particolare e il caso di Bologna, città in cui i
repubblicani Nenni, e i fratelli Bergamo presero parte attivamente alla
fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco
dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi repubblicani che
aderirono al fascismo vi furono Balbo (che si era laureato con una tesi su
"Il pensiero economico e sociale di M. e del quale Segrè ha scritto:
«Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani
fino all'ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia
iscrizione»), Malaparte e Ricci, che nel FASCISMO vede la perfetta sintesi fra
«la Monarchia d’ALIGHIERI e il Concilio di M. L'intellettuale mazziniano.
Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad
aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della
rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove
il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito:
nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella
creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal
"parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal
"particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato
l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del
fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il
movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in M. un precursore del FASCISMO. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. M., se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di MUSSOLINI sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione anti-fascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria (che segnò l'inizio della politica del fronte popolare
con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i socialisti),
allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento operaio. I
fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano
anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della vita,
l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e una
dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata nel giorno della
proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che aveva avuto
alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in particolare
i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre
più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse che agiamo
nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la
lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di oggi. A seguito della
caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la lotta contro il nazi-fascismo
vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato sciolto dal
Regime) anche attraverso la formazione di proprie unità partigiane denominate
Brigate M.. Anche un comandante partigiano, proposto per la medaglia d'oro al
valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia
mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di battaglia di
"Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota genovese. Altri
saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe Mazzini, Edizione
nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire
Editore Mursia Doveri dell'Uomo Editori Riuniti university press Roma Pensieri sulla democrazia in Europa, trad.
Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura moderna in Italia,
Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa Mursia Periodici diretti da M. L'apostolato popolare
Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République
Universelle Il tribunoNote La Civiltà cattolica,
La Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos religioso, e sempre
più col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova
divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod,
L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire,
Paolo Rossi, Mursia, Milano; L'uomo nuovo in Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara,
Rizzoli, Milano, Schmid, Michael Rossington, The Reception of Shelley in Europe Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti
di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli
Scritti di M., Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi
anche: Memoriale M.-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita
di M. su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la
religione della libertà, edizioni Dedalo; Felis, Italia unità o disunità?
Interrogativi sul federalismo, Armando editore,, pag. 7. Comune di Savona Liguria magazine in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. M., Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La
tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una
vita per un sogno, Guida, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un
figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (M.: una vita per l'unità
d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a
Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla
supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di
suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Mastellone, M. e la
"Giovine Italia", Domus
Mazziniana, («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a
Ollivier, che pubblichiamo, M., pur parlando di Giuditta come della propria
amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al bambino
come proprio figlio:...») Barberis, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M. a Londra È l'autrice del
romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le
edizioni delle poesie del marito Shelley, poeta romantico e filosofo. Era
figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del
filosofo e politico William Godwin.
Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in
Europe Seymour, Mary Shelley, M., il
cospiratore senza segreti Lettere di
Mazzini ad Aurelio Saffi e alla famiglia Crauford Giuseppe Mazzatinti Soc.
Alighieri Politica e storia Buonarroti e
altri studidi Pia Onnis Rosa Edizioni di storia e letteratura Roma M. «pavese»
e l'Unità d'Europa Quando M. scatenò il
patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe Mazzini, Grafiche
Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il
superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni
Pensiero di M., brigantaggio: la Repubblica nasce nel nome di M., su
pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali
sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. Esule
antico, al ciel mite e severo Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu
solpensandoo ideal, sei vero». La stessa
semplice scritta volle Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla
propria tomba a Firenze Luigi Polo Friz,
La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco
Angeli, Storia della Massoneria in Italia. L'influenza di M. nella Massoneria
Italiana in. La stanza di Montanelli L' unità d' Italia e
la Massoneria M. massone? A.Desideri, Storia e storiografia, IEd.
D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano
fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente
proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve
allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in
A. Desideri, Ibidem «S'identificò la
storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di
storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del
Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte
naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore,
conquistatore, perfezionante.» (cfr. Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini,
Firenze) M., Fede e avvenire, M., Fede e
avvenire. Ha una visione utopica, romantica e anche sincretistica della
religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi
universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri
dell'uomo, M., Dei doveri dell'uomo
Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, M.
il patriota scomodo Reghini a metà
strada tra fascismo e massoneria «Noi
dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore
comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche
dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera questione di
parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano
ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai
inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava forse più
in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti all'ordinamento della
futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di
serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere
l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla
scelta dei rimedi» (M. su Pisacane)
Lettera a Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di
reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle
quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (M., in Bratina). La vita
d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri
che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni
sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita
immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che
cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo). Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto
inaspettato di Mazzini Il Foscolo, che
scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo"
attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la
fama dell'abate era "santissima" tanto che Montaigne, desiderava di
poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les
papes futurs, leurs noms et formes» G.
da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti
manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Sarti, M. La politica come religione
civile, con postfazione di Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, A.Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti,
Mondadori, Milano, «L'Italia trionferà
quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C.
Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano; M.:
comunismo vuol dire dittatura Il
"Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3° M., Doveri dell'uomo, cap.XI (in Baravelli,
L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A.
Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione
generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II,
Imola, M., op. cit. Nome col quale i
greci indicavano l'Italia antica L. Stefanoni,
G. M.: notizie storiche, Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei
loro compagni di martirio in Cosenza Documentati colla loro corrispondenza, Dai
torchi della Signora Lacombe, Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia
del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di M.?, in la stampa. D. Smith, M.,
Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e misfatti
del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, Cappa, Cavour, Laterza, definizione di
Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia,
Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli
scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e M., Cattaneo, M., Francesco Cheratzu,
8pagg. M. La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The Illustrated
London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le citazioni
sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondatori, Milano,
(Fusaro); Benedetti “M. in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa';
Dal diario di Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione
nazionale di M. trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O
meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne
tirava fuori brandelli di M. A quando a quando il brandello anti-francese,
anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai
tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto,
Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista della Società italiana per lo
studio della storia contemporanea (Roma: Viella); P. Benedetti "Mazzini
nell'ideologia del fascismo" G. Belardelli,
“Camerata M., presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti
tentarono di arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato
sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo:
l'itinerario politico di D. Cantimori, R. Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo:
L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del
Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni. Togliatti, Sul movimento di
«Giustizia e Libertà», in Lo Stato operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti);
Fatica, Amendola, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mieli,
"L'Italia impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della
Sera, M. Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della
Sera in Arianna editrice Mario
Ragionieri Salò e l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art.
cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa,
Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano,
Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il
Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); Desideri,
Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione
civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); Galletto,
Nella vita e nella storia” (Battagin); N.
Erba, Unità nazionale e Critica storica, Grasso , Padova. N. Erba, Il
Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava Appendice. Storia e
politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear Kate. Lettere
inedite di M. a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a Londra, Rubbettino;
Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I sistemi e la
democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta di pagine
dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo, repertorio dei
nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche e
incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo, G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. M., sceneggiato RAI, regia
di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di Magni. M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M.
Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ;
interpretato da Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio, regia di Emanuela
Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana Doveri dell'uomo
Mazzinianesimo Monumento a M. (Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano
Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento. su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia. Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere,
De Agostini. hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzoni: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la vita attiva dei romani – filosofia emiliana -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Cesena).
Filosofo italiano.
Cesena, Emilia Romagna. Grice: “Mazzoni is important on various fronts: he
loves Dante, or Alighieri as Strawson calls him – his library in organised
alphabetically; the other front I forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di
filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del
papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire
nella carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa,
dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe
un giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi
rapporti. Invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché
avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini
nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada
del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della
Commedia di ALIGHIERI Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla
notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna
inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome,
in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune
contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri.
Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia
ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia
Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che
risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam preludia. In questo saggio egli sostiene il sistema geocentrico
aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata teoria copernicana
eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché Galilei, dopo averlo
letto, gli inviò una lettera, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie.
Questa missiva rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla
teoria eliocentrica di Galilei. M.,
Prefazione, in Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della
"Commedia" del divino poeta ALIGHIERI, S. Lapi.Saggi: “Discorso de'
dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa della Comedia del divino
Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De triplici hominum vita
ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres, quaestionibus quinque
millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus omnes Platonis et
Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo scientiarum orbe
discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della Comedia di
Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno alla risposta
e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia del poema
Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni
delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni,
o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Toffanin, M. nciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. M., su
sapere, De Agostini. Davide Dalmas, M. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., su
accademicidellacrusca Accademia della Crusca. Opere di M., su ope nMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di M., Benedetto, M. in Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario Enciclopedico Brockhaus Efron, Маццони,
Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et A J de Repub.
ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co- Achen. oss ditione, quàm
probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM FELICITAS cibiadis. VITAE
ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare diligenter, coaciones quoties
opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque maior parsius filler exequio1
quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem disciplinam pertinet, hi
summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic quid visunt eller
imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad haec de his qui sub
corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium fumiere, his praeterea
licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente, publiciaeris, quantum
resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse.
Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus erat atg; administrator:
nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem arbitratu im pensae
fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de quibus iudicium
publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii, caedis,
at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio quod si
vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam, vel
civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his
omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo popularis Rei-pub. fornia
videtur. Consules enim ante quam ex urbe
legions educerentur quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et
có. ,{{1 Pin !! porro tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit,
probaliter dicere videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties
enim Consulum imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem
optimarum admianistratio, quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium
rerum ins, atq; imperi una habebant: his et enim caeterionines magistratus
praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur, hi legationes in curiam traducebant, hic ea
leriter quae errant decidenda ita tuebant, negociaģ; magna ad Senatum: referebant,
et penès ipsos vtquae patres de: creuissent sedulo perficerentur cura omnis et
administratio erat METHODVS. codemq; modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda
esset, vel ad aliquid decidendum, vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel
ad imperandum, aut poftre mo ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec
in yrben venerint agendum, quid eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties
quis ad urbem consulibus ab sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima
tum confilioregi et gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum
per sua sum habuerunt, quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum
tra is incos, qui maiores magistratus gessissent, admittebatur solus autem
capite damnandi potestatem habuit, qua in re illuds anèapudeos commemoratione
dignissinum fuit, quod eorum instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on
ex urbe palan egrederentur, permittebatur, acfi Tribuum una ex his, quae iudicium
exercebant reliqua fuerit, quae in non dum suffragium tulerit, exiliun: reo sibi
arbitratu suo deligendi facultas dabatur, exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene
siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum urbe tuto elle deferebat, lege etiam
comprobandi, ac sanciendi ius habebat et quod caput eitis de pace de bello, defoedere,
decom trouersiis decidendis, aur componendis deliberavit, atque unum quod quem
horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex rebus probaliter pofleta liquis dicere,
populuni si bi maxima min Res Publica partem vindicasse, ac Rei publicae formam
Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere a quid delegationibus ex terarum gentium,
quae ex populi administratione confatam
fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae, in partes diftributa fueritiam sigerentur
suae tianı populo, et eaquidem amplissima pars reli&a est: poterant praeterea
populus ipse magistratus dignissimis quibusque Senatus voluntate, arý; arbitrio
pofitumerat. atq; horum quidem, quae superius
dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica et poenae, et praemiis potestatem
habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus quoties gra priuior alicui maleficijmulata
irrogannda esset et praesertim ditum VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas
idoneus hauderat conttar enim legionibus eorum aliquid missum, quae illis
publice suppeditari solebant, namq; fineS.C.neớ; frumentum , neq; vestimenta, nec
obsonia legionibus administrari poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus
duxissent expeditiones et consilia omnia, quoties eis obstare, cum eila;
maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde rentur, et minimem ad exitum
perducerentur: quin ut quae ili animo et cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant
perficere possent, ili Senatus voluntate positum erat: nam is post quam niannuum
tempus praeterierat, aut successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem
habuit, ac etiam penem se undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere,
atý; ornare, velele vare, ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet
apparere, neġ; ducere cuiquam licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet,
populi certe aflen su opus erat, quodq; est omnium ferem maximum , omnes imperio
deposito, populo eorum quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus,
caeteris; Imperatoribus minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere
rursu siani Senatus quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius
authoritatem approbasset populus, praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit,
nedum Sena erat 1 natus, et ineius fumptum erogasser necessaria. Et siquis
ex prouincia decedere voluisset, quamuis domo pulum tamen intueri, ac illius
rationem habere coactus fuit: in maximis enim ,atg; atrocissimis quaestionibus
eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-. piteple&untur ,nihilSenatus
ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum quae decreuerat perficere: sed ne
sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat: Trib.autí 11 di & um est:
nunc autem quaratione potuerint partes illae quoties voluerint, sibimutuo
repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft: enimuerò Consul poft quameani,
quam superius dixi facultatem adeptus, copias eduxerat, funini o quid e mille
cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus auxilio indigebat, ac sine
his adresge 1 erat officium id femper exequi: quod populo visunr fuerat
ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus cepissent, eos relevandi; siquae
difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo minus ellent foluendi obstitisser,
loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul
ut hac tionibusti midem, ac minime libenter aduers ab an turtum populus, tum
Senatus caniforis, militiaeque; universus exercitus, et singuli, quia fub c o
ad se inuice miuuandun, et impediendum adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione
Polybije aminterse aprem, conue Bodi nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt
hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei pub formare periti potuerit.' name, cum
habeant omnes Res pub. In orbe quandam có 11.4, versionem et mutationem. Nullam
ipse hac firmior emar Essen bitratus eft, fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis,
ac sublatis artibus et studiis, aliquo post tenporis intervallo rursus humanum
genus auctum et propagatum fuit, quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus,
quod etia in in ratione carentium animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum
gregibus fortiffimus quisý; manifestò principatum fibi vendicat: omnes enim
fortissimum et potentissimum fectabantur, aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel
honore illo digni habiti sunt in regnis consenescebant iusta studia fe&
antes nullaq; propter eos invidia, fi qui de m non magna in eis aut v i et tis,
aut verò omnibus Senatus praeerat. idem diem proferendi, fiquam publicani calaniitate
mac rum imperio, ac potestate eflent.i Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium
vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem Senatus metuebat, ad populique
: voluntatem , studi uni et cogitations suas dirigebat. At contra Senatu i populus
ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim, et singulatim colere, arg;
obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent in ITALIAM ul bidid
tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara 33°53.stusd; publicos
locare solebant:in his omnibus conducen discurandis populus implicitus esse
confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus kitus gracatio cernebatur:
verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag cotes, eaem qua populus victus
ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum iam comparata haberent imperio,
essent differre et ad haec licexe etiam spemine
: prae metu contradicente: in concesus concubitus appetore, ató;ita coorta
eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex Cyri, Cam.bylif que imperio,
fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam ducum En suorum consilia multitudine,
atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat forma facile vedelereture ueniebat, atque
indeiam optimatum principalu sortunt, atque initium accepifient, educati abinitio
in poteltate, ang honoribus apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus
inferendam , alijdenių; adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum
principatus ad paucorun dominationem hinc illorum imperioper idem quod tyrannos
oppresserat in fortunium finiş imponebatur, ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac,
qua superiores vsi fuerant metum, neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam
re centi rei malae gestacniemoria ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq,
ita popularis fornia effe et aeft horum postremo filii plus caeteris in Res Publica
posse contendebant; atg; sinhanc cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis
pecuniae largitionibas plebem cor runipebant VITAE ACTIVAE paternis, propter
eaae quabilis, communisų libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam
;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um
pertinentibus,magis quàm pro neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam,
atq; aff.uentiam cupiditatibus obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus
et epulisabijs, quifubeoruni f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi
principes fiebantàgen crofiffimis,& 1 1 tur . duxit . hiprinò administratione
gaudentes commun ivtilitate del nihil antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi
a n i eorum liberi e andem å patribus potestatem METHODUS I rumpebant, quae
affirefacaaliena bonaconselle, vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere
facileducem elaro animo, ace; audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for
mailla, cuius conservatio in flavum fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum
plebs in vnum coactacaldem facere, ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein
Scipiebat, donec facuum tuufus, &erforatum, vniusiruperit *0 um
reperiretur, qua propter his motus rationibus eamprae caeteris lau Res publicae
benainaliam bonam non mutetur quam bona innalam, siquidem ut Aristoteles dicit in
habentibus infi dese symbolum facilior eft tramlitus, an quia fimilitudo ila, ali
neracione. Quam qaog contrarieta temr equirit? quodquidéin Ele's atme mentorum trasmutatione
liquid paret: inhisverò Reip.
niutaionibus, quis fimilitudineni, & contrarietateinnes gabit) FACVLTAS
ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt ROMANI, occur
rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab otoexordientur; &
inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai. vixit .pokea loges quasdam
ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas appellarunt, fequidem
conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas epra constitutis
et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario comitia
curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret, et
dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle: camépo pulo eaporekasrelictaest, vt
plebiscita, & leges comitijs. Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin seconti
not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au & a 1ist. &
prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf cuiufớiroboreac
potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam declinaret, ne
1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit forfan aliquis,curfaciliusa
Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis que legibusparis. H 2
curiaris LECALI vinil 1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO]
hinc et Suetonius ait Tiberium à [GIULIO
CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum, hoc eft suffragiis populi percurias collectis.
quidam retulerunt. pe: TAPE PTA LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t
plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta, et principum placita,exquibus
EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit) iuxta curiatis ferrentur,iii
IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur ybi putabat,cum
quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse t accusam o
m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas responsa
appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum
leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure&
consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis
petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci
lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1
primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,&
itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse
exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum
refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a & iones. Iureconsulti verba vnatantunt
fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur.
:.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone
.I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad
exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui.
fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius Hermodorinon rectè colligitBaldus {,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas
desiderataeprop habent,quodlibet faciendi legenon prohibitum , atý;isto rum , alij
sunt liberti, alij libertini, alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt,
appellabantur. -horun, autem alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s.
: aut testamento nullo iure impediente n i anumis li sunt, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia
interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero, qui propter noxam torti
nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGENVI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt
iuris, alijverò alieno iuri fubie&i.
et savie quialieno iuris ubie et isuntfilij familias appellan-1.1.f.&his
tur, qui inditione, et potestate patris sunt vel natura, velquisútlui
adop. natura sunt qui ex nuptiis uxoris
et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò apud ROMANOS tribus per ficiebantur modis
Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres autem quae in manu per coenuptionem
conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu, velfar reationeminime.
caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem maximam fuisse differentia
adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, & fanèfar reatio Top. Cicerone
folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò cereis solemnitatibus per agebatur,
fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui nullius imperio subie &I facultatem
liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini ex iustaserui. Il convito di Platone.
Discorso de' Dittonghi di M. all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria
de Marchesi del Monte. In Cesena Appresso Raverio. Questo Discorso sitrova
altresì inserito nella celebre Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella
Basilicata. II.Discorso di M. indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante.
In Cesena per Bartolomeo R a verii in4.Ladedicaè AlMoltoMag.mioSig.
Osservandissimo il Sig. Tranquillo Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che
indussero l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discorso, se ne ragiona
qui addietro a cart.19. e segg. III. M. Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii
de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam. in4. IV.M.
Cæsenatis deTriplici HominumVita , Activa nempe, Contemplativa , ei Religiosa
Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus centum etnonaginta septem
distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis, multæveroaliorum Græcorum, Arabuin,
et LATINORUM in universo Scientiarum Orbe discordiæ componuntur. Quaomnia
publice disputanda Roma proposuitAnno salutis Ad Philippum Boncompagnum S.R.E.
Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat in Questo volume contiene le celebri conclusioni
di quasitutte le scienze, che M. difese pubblicamente con meraviglia di
tutta S2 . 1 1 Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante
ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo
letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di
Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante
Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario,
Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.
CommissarioGenerale.In Cesena Per Verdoni. in e V. Della Difesa della Commedia
di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle opposizioni
fatte al D i s corso di M. e sitratta pienamente dello arte Poetica , e di molt
altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere Parte prima ; che
contiene i primi tre libri.Con due Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe
verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In
Cesena Appresso Bartolomeo Raverii in4. . Italia . N o n seguì però questa
famosa Disputa in Roma, com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna
nelFebbrajo dell'anno seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro,
e porvi: Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi
qui addietro ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodi questo libro.Della
Difesa della Commedia di Dante distinta in sette libri, nella quale si risponde
alte opposizioni fatte al Disa corsodiM. M. esitratta pienamente dell' Arte
Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle
lettere. che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata
incuisitrova, cosìpergloriadel M., come per le insigni qualità del Prelato, che
vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla in questo luogo, e dèla seguente.
a beneficio del Mondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD.
Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata Ad Albizzidell'una e
dell'altra Segnatura Re ferendario , Giudice della Sacra Congregazione di
Propagan da, ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc. XI. in Cese na per Severo
Verdoni in 4. Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni , illustre letterato di
Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di
Dante , vedendo che la prima era di già divenuta assai rara , si determinò d i
dover ristampare anche questa , siccome fece, dedicandola a Monsig. Sante P i
laseri Prelato Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi
riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e
favore . M a essendo Monsig. Pilastri passato a miglior vita in tempo che appena
n'eraterminata la stampa, convenne aglieditori procacciarsi un nuovo Mecenate ,
cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di
Monsig. Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è
avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a
questo secondo , ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale
siconserva pres so dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig. Dandini. La
dedica a Monsig. Pilastri è in data, e quella a Mopsig. Dandino è de'17. dello
stessomese edanno. Epoichè questa prima dedica merita assolutamente d'essere
tratta dall'oblivio ne Illuge 'animo fatociperultimare que sta grande
impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo
debito presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta
restituzione , eriman dar (comesidice) questo FiumealsuoMare. Nepunto erriamo, sesottonone
di Mare ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i
tesori delle Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga
che, se sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita,
a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi
Avi, eregga agli Eroi del Paradiso gli Altari;sovvengaleCongregazioni del
Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità
dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami
delpiosuo Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena
del Mondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del
pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso
meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi
Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e
l'altre venerabili doti, che adornano l'animo di V. S. III., puossi senza
veruna nota concludere, che sia sempre stato secondato da segnalatissimi favori
nelli suoi ingegnosi parti il nostro M.; mentre questi sono stati sempre genero
samente accolti, edalle prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi
sino da’Chinesi iportenti di questo grandeingegno. Ondenoiin considerazione
delle grazie tan tevolte compartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo,
nè dobbiamo concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se
non quello, che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1
Præceps illamanus Auvios superaba tIberos, zioni,eprove dell'amore
che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati
della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri
tuttose stesso in olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia ,
proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la
Patria, e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori,
eisovvegni conseguiti dalla bontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens .
A questo Mare adunque, la di cui gentilissima aura hacci sovvenuto a condurre
alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj,
abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro,
col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra
Patria ha saputoprodurre i M., i > Chiaramonti, i Dandini, e gli Uberti,
preseduti alle pri me Cattedre di Roma, di Parigi, di Bologna, e di Pisa, ha
ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli, chegli hanno generosamente accolti,
favoritiegraziati. Egiacche questa
Difesa per se stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore, che ha saputo
mettersi in tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna
offesa; resta perciò liberaa V.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di
noi, che abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e
riverentissimo tributo della nostra divozione al di leigran Nome; che non potrà
mai ricor darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un
eccessivo ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria
in vedere le affettuose dimostra f > mula di quelGrande, neque negavit
quidquam peten tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est.
Cesena. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di M. intorno alla Risposta ed alle
opposizioni fatregli da Patricio , per est . M a vaglia per tutti, e sia
ne' fasti dell eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione ,
che ha fat to alla Patria del suo gloriosissimo, e primo seguace del Redentore,
Martiree Pastore d'EvoraS. Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla
dilei Pietà ravvivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte portare dalle ultime
regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari , così ancora hanno
indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar
ella corona più preziosa di quella , che da' Romani donavasi a chi rendeva i
suoi Cittadini a Roina; ovvero che solamente lapietà di Monsig. Sante ha saputo
accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede
ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena.
Viva dunque il nome di V. S. Illustriss., e fino che i nostri celebratissimi
Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico, resti impressa
negl’animi di tutti la memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti
moteo , a cui non Atene, ma Cesena , che è pur l'Atene della Romagna, ergapertrofeouna
corona di cuori. Mentrenoi. restringendocia supplicarladigradire
quest'attestato delno stro umilissimo ossequio, riverentemente inchinati, la
sup plichiamo anon isdegnarsidi permetterci, che ci pubblichid mo per sempre Di
V.S. Illustriss.e Reverendiss. Vmiliss.e Reverentiss. Servi Obblig. D.Verdoni ,
e D. Buccioli > te 145 tenente alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa
di Sositeo Foeta della Plejade. InCesena appresso Bartolomeo Raverii .in4. VII.
Ragioni delle cose dette , ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel
Discorso della Storia del Poema Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per
Bartolomeo R a verii in4. Del merito
diquesti dueOpuscoli, e della cagione, che indusse l'autore a scriverli , si
vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. Jacobi M. Cæsenatis , in almo Gymnasio
Pisano Aristotelem ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis, in
universam Platonis et Aristotelis Philosophiam Preludia, sive de comparatione.
Platonis et Aristotelis. Liber Primus. Ad Illustrissimumet Reverendissimum CarolumAn
sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .Venetiis Apud Joannem Guerilium in fol.
Questo volume , che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo
capo d'opera, si vede al presente giacere quasi in una totale dimenticanza ,
colpa de' nuovi sistemi di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni
modo è opera dottissima, e quanto mai si possa di -. re ingegnosa, e nel suo
genere affatto singolare; con tenendo quasituttiisistemi degli antichi Filosofi
esa In Exequiis Catherina Medices Francorum Regine. Florentia apud
Philippum Jun ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi Mazonii Oratio habita
Florentia Idus Orazione al Duca di Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea
ricevuti da questo m a gnanimo eliberalissimo Signore;dallacuigentilepro
pensione verso di sè dice, che sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un
giorno cose molto maggiori .mi . T minati ed illustrati in una
maniera sorprendente. Lettere . Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio
Bulgarini si trova impressa a cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo.
Bulgarini sopra il Discorso di esso M. in difesa della Commedia di Dante . In
Siena appresso Bonetti. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono
a carte e delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini
sopra la prima parte della Difesa di Dante di M.. In Siena appresso Luca
Bonetti. Ed una indiritta a Speron Speroni staa cart.355. del volume quinto di
tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in
difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione M,
medesimo alla pag. 20. delsuo Discorso de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio
piacendo, periscamparli, il chepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra
tale materia; giacchè allora, che era molto gio Considerazioni sopra la Poetica
del Castelvetro. Que ste furono mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne
dà ilsuo giudizio inuna lettera scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi.
vane XIII.Commentarj sopratutti I Dialoghi di Platone.P rea se M. a scrivere
questi Commentarj per soddisfazione di Francesco MariaII, della Rovere Duca
d'Urbino, ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Veterani
Ministro del Duca, come pu . re a reinaltraa Belisario Bulgarini,
cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul
garini. M. medesimo poiacart. della DifesadiDante nomina isuoi Commentarj sopra
il Fedone, XIV . Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone. Compose
M. quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e. disse a Roberto Titi
che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante.
Veggasi quan toda mesenediceacart. 44.e98. delpresentevo lume. Censura del
primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Simon in una lettera
a Dandini, che si legge a cart. della sua Biblioteca Critica , afferma d'aver
inteso da questo Prelato , che M. avea scritto contro il primo tomo del Baronio
, tosto che questo uscì in luce , e che
il manoscritto di quest'opera sic onservava nella libreria delGran Duca. Discorso
d'una breve Navigazione, chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia, e nel Paese
del Prete Janni . A Buoncompagni General di S. Chiesa, e Marchese diVignola. Questo
si trova in una Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso sopra le Comete.
Anche questo Discorso, lodatissimo dalSig. Guidubaldo de' Marchesidel Monte
celebre Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici
Urbinati; ma per diligen zefattenon siè potuto rinvenire al num.513., allegato
dal Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del
Zolfo, e dietro a lui da Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi
. Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta
si è da noi detto alla pag. 101. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica
d'Aristotile. Tadini scrive che il manoscritto originale di quest'opera ,
mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono presso ilSig.
Gio: Antonio Al merici Nobile Cesenate. Il medesimo si afferma da Ceccaroni in
alcune memorie mano scritte, comunicateci dal Ch.Sig. Arcidiacono Chia ramonti
, dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca roni avea fatta copia
dell'originale inedito dell' Etica; ma sento che questa copia ancora sia andata
insinistro,epiù non siritrovi. In universam Platonis Rempublicam Commentaria.
Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo M. medesimo nella
lettera di ZQ / 148 ν gata al Sig. GiulioVeterani; dicendo,che quantopri
ma pensava di mandarla , o di recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino. alle
La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore composte in diverse
occasioni , e non mai pubblicate, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera
, prima viene accennata a cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi
in lode della Filosofia . La se conda scrittada lui eloquentissimamente per
movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire il Re Arrigo IV. di Francia a
cart. 99. La terza detta ne' funerali del celebrePierAngelio da Bargaacart. 100.
El'ultima final mente recitata nell'Archiginnasio Romano , facendo una
comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della quale sifavella
acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni altre sì scrive M. sopra che mai non
videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze , due nell'Accademia
Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante; e l'altre in quella
della Crusca sopra i Brindisi ,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi a cart.77.94.95.e97.
Lettere. Di alquante lettere del M. si conservano gli originaliin Pesaro nella
libreria Giordani, delle quali lach.me.del dottissimo Sig. Annibale degli Abati
Olivieri si compiacque giàmandarmi copia; e sono tre scritte al Cardinale Giulio
della Rovere, una al Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo
Giordani. Altre parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in
alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università di Siena. Oltre
aquest'opere ilTadini afferma, essercime moria, che dal Mazzoni sieno state
scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatum Græcorum
Interpretatio. In Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie Arcana.V.
Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati , denari Romani, qual fazione
restasse vittoriosa ne' Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o
Bianca. Tractatus de Somniis. L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che
fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo
Cesenate. Ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si
essendo più trovato. Forse tutti questi mss. dovettero essere in quelle dieci
casse di libri di M., che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo
Mercuriali in Pisa, come il Dottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma
apparire da un pubblico Documento rogato. Per Per ultimo il
sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura, esservi anche al
presente chi sostiene doversi attribuire al M., così la Canzone composta in lode
del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale, la quale incomincia Mostra
l'alterafronte,come la difesa della medesima, che fu pubblicata sotto nome del
Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello
delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la Canzone Mostra
l'altera fronte. In Cesena conlicenza de Su periori Per Bartolomeo Raverii. in8.;
machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non
averei difficoltà di credeCre, che così la Canzone,come ladifesa potesser essere
fattura del nostro autore , essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto
dotta e giudiziosa , e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo M..
Mazzoni. De triplice vita. Mazzni. Keywords: implicature, repubblica romana,
the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mecenate:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio
Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere
d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da
stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a
Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare
con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di
Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro
Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con
poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e
trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli
deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori
filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del MECENATE
in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera
che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di
subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi
epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del
Mecenate. Maecenas wrote
several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not
much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers,
they were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ;
Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros
Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another
'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium,
in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of
these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana,
sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works
include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil,
and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty
clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia
circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos
habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et
Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait
'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae
reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa
¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV
ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ
ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt 1911, 92-93. Perhaps Maecenas's Symposium should
be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//»
ftt.y. !f '8 )>: 9 . ■éffsuz^ncsÉ -
OtjJ A, «a k.Sm i
• • 1 V / /' « ,
j w -3 "■’f
N STORIA DI CAJO
CILNIO MECENATE CAVALIERE ROMANO SCRITTA ,
X DEDICATA A S. A. S. il Signor Principe FEDERICO DI
SAXE-GOTH A DaU’Avv. Sante Viola P. T. ROMA
i8£Ó. Presso Francesco Bourlié _ \ Con Lic. de' Sup. ■
— — — mm. 9 A spese degli Eredi Raggi Libra] al Camita N. 1
89» Digitized by Google /V.';
I Pigjtized byCoggle «1 ALTEZZA
SERENISSIMA / .Allorché io mi occupava a racco-
gliere le Memorie Istoriche della Vi- ta di Cajo Cilnio Mecenate 9
pensai Digitized by Google It di
procacciare al mio Libro un Pro- tettore nella Persona dell’ A. V.
S. sapendo quanto sia benemerita della Letteratura , delle Arti , e
de’ loro Coltivatori ; e sebbene la piccolez- za della mia Offerta
dovesse sgomen- tarmi , tuttavia fatto coraggioso dal- la grandezza
del suo magnanimo cuore , restai fermo nel mio pensie- ro ,
persuaso , che la Storia delle geste civili, politiche, e morali
di quell’ esimio Cavalier Romano , do- veva presentarsi ad un
Principe i nel quale si ammiravano per singo- iar modo trasfuse le
doti più belle \ di cui era quello fregiato . E come non
dovrà celebrarsi P A. V. S. nel vederla animata dal genio istesso
del gran Cibilo riguar- do al progresso, ed al miglioramen- to
delle Arti > e delle Scienze ? In Roma , Capitale di un vasto
Impero, Mecenate avvalorava i talenti , pro- teggeva i Dotti , e
dava così un im- pulso potente alla Civilizzazione del Genere umano
; e F A. V. 5. nell* istessa Capitale , ora Sede , e Maestra del
buon Gusto , e delle Arti , acco* glie con amorevolezza , onora con
discernimento , protegge con costan- za tutti gli Artisti, e Letterati,
de’ quali la stima , la venerazione , e T amore sono ben dovuti
all* A. V. per quella soavità di maniere , ed eminenti virtù , che
in tanta copia brillano i n tutte le di Lei azioni . Se l’A.
Y. S. si degna di accogliere sotto la benefica , e valevole sua
Protezione questo mio qualunque siasi lavoro, andrà esso fastoso
ve- dendosi onorato di qùelNome illu- stre, che ridesta la dolce
memoria de* TI grandi Avi dell’ A. V. S. i quali in
ogni epoca recarono decoro alla Pa- tria , onore , e gloria alle
Contrade Alemanne . Supplico PA.V.S. di aggradire i
sentimenti di quella profonda vene- razione , ed invariabile ossequio
, con cui ho , l’onore di rassegnarmi . .Di V.A.S.
Vino Dmo Obbmo Servo SANTI VIOLA, Digitized by Google
VII PREFAZIONE Nello scrivere la Storia di Caio
Cilnio Mecenate ebbi di mira soltanto la riconoscenza dovuta alla
memoria di questo grand' Uomo , che fù il più zelante promotore delle
belle Let - ter e , l'Amico sincero, il Protettore liberale di
tutti li Letterati suoi contemporanei. Per lo spazio di circa
tredici , o quattordici Secoli il nome di Mecenate fu sepolto , per
dir cosi , nel seno dell' oblio ; effetto della bar-* borie de'
tempi . Giovanni Meibomio fù il pririio a raccogliere tutte le notizie
relative alla Vita di questo esimio Cavaliere Roma- no , e nel
i6Sj. ne stampò in Leida un Libro avente per titolo : Maecenas , sive de
Caji Cli- ni Maecenatis Vita , moribus , et rebus ge- stis . Prima
del Meibomio ne aveva scritta una Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in-
lingua Ca - stigliarla . Ma quest’Opera non potè procac- ciarsi un
incontro felice per le stravaganze , di cui era ripiena , portando l'
impronta piutto- sto di un Romanzo , che di una Storia , con- forme
osserva il lodato Meibomio (l ) . (l) Praeloq. ad Lect. : Historia
Vitae Mae- cenatis a Jo . Paulo Martire Rizzo Lingua Ca- st igliana
de script a . . Tantum enimabest , ut illa sit
historia , ut parum absit ad fabulas abeat . Digitized
by Google Vili Circa treni' anni dopo l’Opera di
questo , cioè nel 1684. , Gio. Battista Cernii diede alla luce in
Roma con le stampe di Francesco Laz- zari una Vita di Cajo Mecenate ; ma
questa Operetta per lo stile inelegante , ed uniforme al gusto di
quel secolo , sembra che non ripor • tasse tutta V approvazione de'
Letterati , es- sendo caduta in una quasi totale dimentican- za ;
ciò non ostante l' Autore , con la scorta del sudetto Meibomio , non
omise di riunire molte notizie sulla Storia di Mecenate , estrat-
te dagli Autpri antichi . Altri ancora posteriormente hanno parlato
, e scritto sul medesimo soggetto . Nel 1 j 46. fu publicata in
Parigi da M Riclier una Vita di Mecenate, e successivamente V Abb.
Souchay fece una raccolta di notizie in una Disserta- zione
inserita nelle Memorie dell' Accademia dell’ Iscrizioni , intitolata
Ricerche intorno Mecenate (1 ) . Avendo profittato de' lumi ,
che questi Au- tori diffusero nelle loro Opere, e non avendo omesso
di esaminare li Scritti di Livio , Dione Cassio, Appiano, Tanfo, e
Vellejo Pater- colo fra li Scorici antichi , non che quelli dì
Seneca, Macrobio , Orazio Flocco , Virgilio, Properzio , ed altri , ho
tessuto questo qua- lunque siasi lavoro , con aver procurato di non
CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal. part. 3. lib.3. ... r j
Digitized by Google IX' deviare nella
narrazione de' fatti dà un ordine regolare , e cronologico . Fra li
moderni ho fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo Echard
(1) , e degli eruditi Catrou , e Rovil- lè (2 ) , nelle quali oltre a non
poche notizie relative al mio assunto , ho toltili materiali sulla
Storia contemporanea , con aver però ri-* scontrati li fonti, in cui
quelli avevano ati tinto , Lapresente Operetta è divisa in IV
Li- bri . N el primo si sono rintracciate le Notizie sull’ origine
, e sulle qualità della Famiglia de' Cilnj ; si fissa l’epoca , in cui il
nostro Mece- nate può essere entrato nella CorQe di Ottavio Augusto
, e si nota tutto ciò che vi ha di più rimarchevole sulle di lui geste e
precedenti al Triumvirato , e dopo di esso fino alla Cuerra detta
di Perugia , cagionata dagl intrighi di Fulvia Moglie del Triumviro
Marcantonio . Contiene ancora le operazioni del medesimo Mecenate ,
e prima , e dopo la disfatta di Bru-> to , e Cassio nelle Campagne di
Filippi , (1) Storia Romana dalla Fondazione di Ro- ma sino
alla Traslazione dell’ Impero sotto Co- stantino scritta in idioma
Francese dall’ Abb. delle Fontane sopra l’Originale Inglese . Vene-
zia 1751. (*) Histoire Romaine depuis laFondation de Rome par
les RR. PP. Catron , et Rovillè . Paris 1735. I X?'
Il secondo Libro comprende la serie de* folti relativi alla Storia
di Mecenate dalla indetta disfatta di Bruto fino alla morte del succe
rinato Marcantonio , c della famosa Cleopatra , Epo- ca , in cui
Ottavio rimase il solo Dominatore della Romana Gran dezza . N
el terzo Libro si vedrà il Congresso tenuto da questo con Agrippa , e
Mecenate per delibe- rare , se , stante V estinzione del Triumvira-
to , dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo il sistema Republicano
, o se dovessero gettar- si le basi di una Monarchia Universale , e
qui si leggeranno li giudiziosi , e politici discorsi, recitati
l’uno da Agrippa , che perorò per la Repuhlica , e l’altro da Mecenate ,
il quale fa di opposte sentimento , ed opinò per lo stabili- mento
della Monarchia ; e come Ottavio ante- pose le ragioni di questo alle
riflessioni di quello . ■ N eli’ ultimo Libro si conoscerà
quale fesse l influenza di Mecenate sullo spirito di Otta- vio ,
divenuto Imperadore , e quale la defe- renza di questo verso di quello .
Si ravviserà inoltre quanto grahde fosse la protezione , c la
liberalità di Mecenate verso i Letterati , e quale impegno avesse per il
progresso dèlia Letteratura , e delle Scienze . In fine sipar- io
della Morte . . Hò creduto di aggiungere , dopo la Storia ,
««Appendice divisa in tre Discussioni , che sonuninistrano de'
schiarimenti , ai altre- me- Digitized by Google
XI morie , che in quella, q erano state omesse , o appena
accennate . Le prime due Discussioni abbracciano Le notizie relative ai
celebri Giar- dini , ed Abitazione , che Mecenate possedeva in
Roma, ed alla magnifica sua Villa situata sulle sponde dell ’ Aniene
presso Tivoli . La terza si aggirerà sulla pretesa Febre perpetua,
e Veglia Triennale , che Plinio il Naturalista attribuisce a Mecenate
« Tutte le volte , che questo grand’Uomo trovò degl' imitatori
nella protezione , e nel favore delle Lettere , e dei Coltivatori delle
medesime si viddero comparire degl ' ingegni prodigiosi , e la
Letteratura fece mirabili progressi , In fatti a questa imitazione siamo
debitori di tante utili scoperte , e di quelle venuste produzioni
dello spirito umano , che viddero la luce sotto i Leoni, sotto gli
Alfonsi , e in tutte le altre epoche , nelle quali le fatiche de' Dotti
furono r.icompcnsate , ed avvalorati li talenti . Se per- tanto
questa imitazione non sarà posta in oblìo, e se il nome di Cajo Cilnio
Mecenate non sarà dimenticato , li Secoli successivi saranno sem-
pre più migliorati , ed illuminati dallo svilup- po delle umane
cognizioni . „ LI Poeta Marziale , che vivgpa in un epoca ,
in cui la Letteratura inclinava alla sua deca- denza , si lagna, e fa
conoscere , che allora non esistevano dei Mecenati , che non erano
le scienze protette , e che perciò non si vede- vano comparire ingegni
sublimi . „ Ti meravi - „ gli > 0 Fiacco , che a tempi
nostri . . . man- „ chino ingegni simili a quello di Virgilio ,,
Marone , c che niuno sappia cantare le mi- ,, litari imprese con una
tromba eguale alla „ sua . Io ti rispondo , che se vi fossero de *
„ Mecenati , come quelli , che vissero sotto „ I Impero di Ottavio
Augusto , vedresti svi- „ lapparsi altri Genj niente inferiori a
quello ,, del Poeta Mantovano . Era stata a questo „ rapita la sua
piccola Possessione presso Crc- „ mona , implorò la protezione di
Mecenate , ,, pianse , e sotto il nome diT itiro cantò in ,, stile
boschereccio le perdute pecorelle . Rise „ al suo flebile , ma
dilettevole canto il To- „ scavo Cavaliere , e tantosto fugò da esso
la ,, maligna povertà . . . Allora Virgilio con- „ copi la
grandiosa idea dell ’ Eneide ... Se „ tu dunque , o Fiacco , sarai
benefico co- „ me Mecenate , e mi ricolmerai di doni , ti ,,
assicuro , che anche io diverrò Virgilio (l). ( i) Martini. Lib. 8.
Epigr. 55. ad Flaccnm. Temporibus nostris ìngenium
sacri miraris abesse Maronis ; Nec quemquam tanta bella sonare tuba
. $int M ae cenate s, non deerunt,
Flacce,Marones. Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae, y
Flebat et adductas T ityrus aeger opes . Jìisit
Tuscus Eques , paupertatemque malignarti Rcpulit, et celeri jussit
abire fuga , Digitized t XIII Nello
scrivere la presente Storia non pre- tendo di aver fatto un lavoro
completo , nè di aver raccolto tutte le Memorie sulle avventure
politiche , morali , e civili di questo esimio Ca- valiere Romano . Se
non vi sono riuscito , non fu colpa della mia volontà , o effetto di
trascu- ratezza . Qualunque mancanza si deve attri- buire alla
ristrettezza delle mie cognizioni , e de’ miei talenti . Può essere però
, che all' im- pulso di quésto mio travaglio altri si scuotano in
seguito , che forniti di migliori materiali , ed ingegno più elevato ,
sappiano supplire alli miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore , e
leggendo novelle prbduzio'ni , e nuove scoperte intorno alle geste del
mio Eroe , sarò ben con- tento di apprendere da altri , ciocchi io
aveva tentato di conoscere colle mie fatiche . Protinus
Italiam concepii , et arma virumque . Ergo ero Virgilius si munera
Maecenatis E>es wihi . . v w . v . i
y* N A STORIA ' * '* ’•*»*» .
* X > DI CAIO CILNIO
MECENATE ^ 1 LIBRO t: , • _|
ràle famigli» le più antiche , e dovizio- se di Arezzo nell’Etruria
meritamente è an- noverata quella de’ Cilnj . Circa la metà del
quinto Secolo dopala fondazione di Roma , e duecento novant’ anni puma
dell’Era volgare la medesima figurava luminosamente non solo nella
propria Città:, ma eziandio sopra tutta la Nazione ; se noti che le
grandi ricchezze avendola resa troppo orgogliosa , e prepo- tente ,
si procacciò l’odio , e l’ invidia, delle altre famiglie , e de’ suoi
concittadini , e fu sottoposta a disgustiose vicende . Nell’
epoca succenuata , e precisamente nell’ anno 4S0. di Roma , fu ordita nel
seno stesso della sua Patria contro di quella una terribile
congiura # e quantunque , per mez- zo de’ suoi rapporti , ne giungesse al
disco- primento , , non potè però impedirne l’esplo- sione . Gli
Aretini presero le armi risoluti di discacciarla dalla Città, e non
avrebbe potuto disimpegnarsi dalla pericolosa situazione , se non
avesse trovato un appoggio nelle forze della Romana Republica. ,
Questa aveva già sperimentato più volte la A
Digitized by Google * potenza, ed il valóre degli
Etrusci , che in quel tempo costituivano una nazione popolosa,
formidabile; e guerrierafi) e se aveva su di questa riportate delle
vittorie , TEtruria non faceva ancora parte delle provincie Ro-
mane ad essa confinanti . In questa occasione, o fosse realmente per
soccorrere li Cilnj » o più probabilmente per profittare delle
interne dissensioni , Roma vi spedi il Dittatore Marco Valerio
Massimo con un’ armata . Sebbene lo Storico Livio narri il
principio, il progresso, ed il termine di questa insurre- zione
degli Etrusci , nutladimeno , secondo il medesimo, sembra, che riuscisse
al Gene- rale Romano di calmare li sediziosi movimenti degli
Aretini , e di riconciliare la Plebe , con la detta famiglia de' Cilnj i
senza alcun fatto d’armi rimarchevole , e sanguinoso,, Correva ,,
la voce ( dice Livio ) cbe l’Etruria avesse „ inalberato lo stendardo
della rivolta , e che erasidato principio! alla medesima dalle „
sofnmosse degli abitanti di Arezzo, nella qual Città la prepotente
famiglia de’ Cilnj , invidiata perle ricchezze , voleva scacciar- „
si colle armi Alcuni Autori , che (l j> Livio lib.q. Cap.iqi
Prodigato Samni- tium bello ; . . . Etrusci belli fama exorta èst ,
non erttt ea tempestate gens alia , cujus . . , . arma terribiliora
esscnt cum propin- qui tate agri , tum muli ita din è hom&nutn,
y Digitized by Google — « «— I 3
t) tengo presso eli me, affermano , che per „ iopera del Dittatore
, calmati li sediziosi mo- „ vimenti degli Aretini , e ricpnciliata
Plebe con la famiglia de’ Cilnj , fosse ri- „ condotta la quiete
nell’Etruria , senza alcun „ fatto d’ armi memorabile (i).
Dopo due anni però , cioè nell’anno 453, si accese nuova guerra fra
questa , e laRe- publica Romana . Sene ignora la, cagione, e non si
conosce qual parte vi prendessero i Cilnj , e sebbene l’E trulla fosse
costretta a chiedere la pace , tuttavia dopo breve tempo fu indotta
a novelle ostilità dai Sanniti . Questi popoli guerrieri sempre
inquieti > benché sempre vinti dai Romani , nell anno 557.
tornarono all’ armi , e fecero tptti li sforzi per stringere un'alleanza
offensiva con le popolazioni Toscane „ Etrusci ( cosi par- „ larono
li Deputati de’ Sanniti ) piu d’nna „ volta ci siamo cimentati ne’ campi
di Marte „ con le Coorti Romane ; abbiamo dimandata ( 1 )
Lib. io. num. 3. e 5 . Multiplex de in- de exortus terror . Etruriam
rebellare ab Aretinorum scditionibus , mota orto , nuntia- batur ,
ubi Cilriiurn genus praepotens , divi- tiarum invidia pelli armis
ceptum Ha* beo Auctores , sine allo praolto pacatam a Di-
ttatore Etruriam esse , seditionibus tantum, Aretinorum compositis ,
ctCilnio genere cuoi plebe in gratiam redacto . . L . . v )
Digitized by Google 4 » la pace , quando non
potevamo sostenere „ più lungamente il peso della guerra .
Siamo „ tornati ora a' prendere nuovamente le ar- „ mi , perchè la
pace ci era più dura degli or- „ rori di quella L’unica nostra speranza
pe- „ rò, la sola nostra risorsa risiede nella na- „ zione Toscana
, nazione ricca , bellicosa , e „ fertile di guerrieri . Se noi avremo il
vo- „ stro ajuto , e voi risveglierete ne’ vostri „ petti quel
coraggio ,. con cui Porsena, e i „ ^vostri Maggiori spaventarono Roma
istessa, „ nulla avremo a desiderare (i) . Li Sanniti
ottennero ciò , che bramavano . Gli Etrusci accedettero alla lega , e la
guerra cominciò con furore . Ma non era ornai più tempo di
resistete alle forze delle Republica Romana già divenuta invincibile
.'Eglino fu- rono superati , e la sorte, che incontrarono in questa
, incontrarono ancora nelle altre guerre posteriori , finché furono
costretti a sottoporsi alle leggi , ed all' impero di quella .
Quantunque la Storia ci abbia occultato le avventure de’ Cilnj ,
dopo che l’Etruria fu da’ Romani soggiogata , pure sembra potersi
cre- dere, che continuassero sempre ad occupare un rango distinto
fra le famigliedella Nazione . Imperciocché se deve -prestarsi fede al
Poeta Silio Italico, nella seconda guerra Punica un individuo di
essa famiglia militò contro Anni- • I . , N 1 • * *. .
(i) Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w . • • • . Digitized by
GooqIc 5 baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché
restasse prigioniero , diede argomenti di co- raggio , e di valore
. Avendo Annibaie superato le Alpi , incon- trò nelle
vicinanze della Liguria il Consolo Cornelio Scipione , che con un’ armata
Roma- na voleva contrastargli la marcia ; ma impa- ziente il
Generale Africano di dare esecuzione al già meditato progetto di
conquistare l’Italia* e impadronirsi ancora del Campidoglio,
attaccò l’esercito nemico . La battaglia fn incomincia- ta , e
sostenuta con accanimento dalla Caval- leria Numida , e le truppe di
Scipione furono completamente disfatte. Egli stesso rimase feri-
to, e sarebbe caduto frà le mani de’Cartaginesi, se non avesse combattuto
al sno fianco Scipione di lui figlio denominato posteriormente
Afri- cano. Questo giovane guerriero, benché in età di soli
diciotto anni , salvò il padre con il suo coraggio , e diede in tale
occasione li primi saggi de’ suoi talenti militari . Questa
terribile battaglia , e questo disastro dai Ro- mani sofferto accadde tra
il Pò , ed il Ticino nell'anno di Roma 536. (i) . (i) Dion.
Cas. lib. 14 . Eutrop. lib.3. Flo- rus lib.a. Cap. 6 . Ac primi quidem
impetus tur- bo inter Padum ac Ticinum valido statim frago- re
delonuit . Tunc Scipione Duce ,fusus Exer- cicus , saucius et ipse
venisset in hostium ma - nus Imperator,niii protectum patrem praetex -
«I 6 Frà li molti prigionieri di distinzione
fatti da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Cit- tà di Arezzo
nell’ Etruria . Giovanetto anch' esso , come il figlio del suo Generale,
com- batteva nella Cavalleria Romana. Il suo Ca- vallo ferito cadde
nella pugna , ed egli restò prigioniero. Il surriferito Silio Italico,
che narrò in versi tutte le azioni di questa guer- ra formidabile ,
cosi si esprime „ Cilnio d’ il- ,, lustre prosapia , e nato nella Città
di A- „ rezzo, situata nelle contrade Toscane , da „ un destino
crudele era stato spinto sulle ri- „ ve del Ticino , benché giovanetto;
quivi „ nel furor della mischia, balzato al suolo ,, dal suo
Cavallo divenuto furibondo per una ,, ferita, era stato costretto a
sottoporre il „ collo alle Libiche catene „(i). Annibaie
bramando di conoscere le geste , e l’origine di Fabio Massimo Dittatore
Roma- tatus admodum filius ab ipsa morte rapuisset . (i
) Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic. ver.ao. At Libyae Ductor postquam
nova nomina lecto Dìctatore vigent ......... • ••«•••••••*
• Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit Progenicm,rituscjue
Ducis,dextr aeque labores; Cilnius Arreti Tyrrhenis ortus in orit
Clarum nomea erat , sed laeva adduxerat fiora Ticini juvenem ripis ,
fususque ruentis V ulnere equi , Libycit praebebat colla catenu .
D icjitizert, by Cop ale i no» di cui
tante cosq narrava la fama , ne in- terroga il sudetto Cilnio suo
prigioniero . Questo appaga il Generale Africano , ma gli parla con
franchezza, e coraggi^, e gli fa Conoscere in fine, che piu della
schiavitù , cui era stato per disavventura sottoposto , amala morte
. Offeso .quello dall’ardita risposta di Cilnio , cosi lo rampogna . „
Indarno , q fol- „ le, cerchi di accendere il mio sdegno, è „ di
schivare con morte, che desideri , », la schiavitù . Viyrrai tuo malgrado
, e il tuo collo sarà riservato al peso di catena „ più pesanti
.,,(1) . « Dopo la battaglia del Ticino i Annibaie continuò a
trascorrere l’Italia , riportando segnalate vittorie . La più strepitosa,
e me- morabile fu quella presso Canne piccolo , ed ignobile Borgo
della Puglia nell’anno di Roma $ 38 . La perdita della Romana Republica
in questa fatale giornata fu immensa . Tutte le famiglie furono
ricoperte di lutto , perchè ognuna vi ebbe delle vittime da
compiange- re (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma
(1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq. Qnem ( Cilnium )
cernens avidurn leti post talia Pocnus Nequidguam nostras
, demens , ait , elicis iras , Et captiva paras moriendo evadere vincla
; yivendurn est , arefa servàntur colla catena. \ ( 2 )
Lucius Fior. Lib. a. Capi 6. Ultimwn 8 soltanto; essa
aveva fatttf leva di frappe dar tntte le Provincie o conquistate , o
collega- te , onde sù di qneste si diffuse non meno l’or- 1 rore
prodottoda quella battaglia sanguinosa * Perciò anche TEtruria dovette
dolersi de’ suoi guerrieri estinti nelle campagne della Paglia , e
frà gli altri di un illustre Pcrsonagf. gio chiamato Mecenate , e dell'
iste.ssa famiglia de’ Cilnj . Il sndetto Siliò Italico dettaglian-
do li soggetti di distinzione , che erano periti a Canne , fa menzione
particolare di questo èon tali espressioni „ Te'ancora trafitto
nelL* „ inguine da Tiri© strale Veggio cadere estin- to , o Mecenate
, nomeMllustre per li scettri „ Toscani, e venerato per la patria, che
ti „ diede i Natali „ (i). Se fosse incontrastabile
l’autorità di questo Poeta potrebbero farsi alcune riflessioni ,
re- lativamente all* oggetto della Storia , che si descrive ; Nella
battaglia del Ticino è fatto prigioniero un Cilnio cittadino di Arezzo,
di prosapia illustre ; in quella presso Canne , cioè dne anni dopo
, cade estinto altro soget- to chiamato Mecenate , parimenteToscano,
mà bulnus Imperli , Canna e , ignobili s Apuliae V icus , sed
magnitudine c/adii , emersit ; et quadraginta millium eacdr parta
nobilitai ; Ibi in exitium infelicis exercitus dux , terra , coe-
lum, dia, tota denique rerum natura contentiti ( i) Lib. io. vers.
39. Digitized by Google li antenati del quale
erano stati Monarchi : Et sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis :
Ora l'uno , e l'altro discendevano dalla stessa fami- glia
de’Cilnj, o erano di due separate famiglie ? Come poi , e quando , e chi
delle medesime venne a stabilirsi in Roma ? La notte del
tempo , e la mancanza di memo- rie ci toglie tuttU lumi necessari, onde
ravvi- sare la verità senza incertezza , e giungere allo
scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno 538. epoca della ìsudetta
battaglia presso Can- ne fino all’anno 66a. dì Roma ci si presenta
un vuoto penoso, che nulla ci fa scorgere sull' oggetto ricercato;
in quest’anno però sembra , che comincino a diradarsi le tenebre ,
ea presentarcisi un qualche raggio rischiaratore per conoscere ,
che allora la famigliar Mecena- te già erasi stabilita in Roma , leggeudo
, che un Cajo Mecenate , aggregato al corpo de’ Cavalieri ,
figurava luminosamente in quella. Capitale . In tal epoca , e
precisamente nel detto anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Li-
vio Druso . Questo cittadino Romano fornito di nobiltà , di ricchezze , e
di eloquenza attac- cò le prerogative esistenti nell’antico , e no-
* - • - ». Oppetis, et Tyrio super inguina fixe veruto,
Maecenat , cui maeonia venerabile terra , Et sceptris olirti
celebratum nomen Etruscis. IO bil ceto de’ Cavalieri »
e -vedeva , thè » me-/ diante una Legge,' venissero; questi.'
spogliati dei-diritto sulla Giudicatura , dritto annesso, óna
volta, al Senato iifi) j -, . . - ' Per riuscire nel suo progetto
Druso fece ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino» vimento
tutte le risorse della politica, dell' eloquenza, e della saviezza ± mà
oltre ad ave? re incontrato delle forti opposizioni fra li stes- si
Senatori , -Cajo Mecenate ,• Flavio Pugione, e Gneo Titinmo , Cavalieri
di specchiata pro- bità si opposero energicamente alle di lui po-
tenti manovre , e con lai loto fermezza , ed influenza* mandarono a .
vuoto il progetto di Legge > che già quello aveva modellato (2)
. ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’O- razione a favor di
Cluenzio , presentandogli I * • ; ‘ • ; ■ \ i •• 1;
i - ( 1) Vellej. Patere. Lib. a.
Art.i 3 .De inde f inter jectis paucis annis , TriburuUum iniiejtf.
Livius Drusus , vir nobilissimus , eloguentis - simus , sanctissimus ,
qui cum Senatui priscum restituire cuperet dccus , et judicia ab Equi -
ti bus ad eum transfer re Ordinem . . . in its tpsis , quae prò Senatu
moliebatur , Senatum habuit adversarium , (a. ) Liv. in
supplem. lib. 71. art. ar. Adeo- que Cajus Flavius Pus io , Gn.Titinius ,
Cajus Maecenas Principes Equestri s Ordinis Curiata hit le gibus
ingredi aperte ree usar unt . * re
l'occasione di rammentare questo avvenimento de’ fasti Romani , fa
un’elogio , e di Cajo Me- cenate , e degli altri due Cavalieri ne’
termini seguenti „ Allora Cajo Flavio Pugione , Gneo ,, Titinnio, e
Cajo Mecenate, que’ potenti „ sostegni del popolo Romano non agirono
, „ come ha ora agito Clueuzio , quasi che ri* >, cnsando
pensassero di far ricadere sopra „ di essi un qualche principio di colpa
, ma „ ricusando apertamente, energicamente , ed „ onestamente
fecero conoscere, che eglino „ avrebbero potuto sollevarsi per
giudizio „ del Popolo a cariche sublimi, se avessero >,
direttele loro cure a richiederle ... ma ,, che , contenti del solo
ordine Equestre , „ incui si trovavano , in cui erano vi»- „
suti ancora li loro Maggiori , avevano sti- „ mato di seguire una vita
quieta , e tran* „ qui Ha lungi dalle procelle , che sogliono „
suscitare l’invidia , e gl’intrighi de* giudi- »> zj , simili a quello
, di cui.si tratta ( i )- ' i. • • ..t ( i) Oraf prò
Cluentio nnm. 56. 0 Virot fortes , Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris
- simo , oc potentissimo M. DrusoTribuno pie- bis restiterunt
Tane C. Flavius Pusio , Cn. Titinius , Cajus Maecenas , illa
robora papali Romani , ceterigue hujusmodi Ordinis non fecerunt idem ,
guod nane Cluen - tius , ut aliquid culpae susci pere se putarent
recusando, *ed apertissime r spugnar unt , cunt Qigilized by Goo
jle i iDa questo Caio Mecenate , di dui parla Cu cerone
,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra CajoCtlnio' Mecenate non
trascorsero , .che so- li anni ventiquattro-, essendo egli n3to ,
come fra poco si vedrà /udranno di Roma 686. , cosi che se , quando
quello si oppose all’ in- trapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663.
non era in età provetta , poteva vivere: ancora quando ebbe principio
resistenza di questo . i E sebbene sia sembrato irreperibile il suo
preciso anuo Natalizio ,, tuttavia riflettendosi sull ’ annoi della
nascita * e sù quello della morte del Poeta Orazio Fiacco , si potrà
co- noscere , e forse con qualche sicurezza , che il nostro Cajo
Cilnio Mecenate fu messo al mondo nell indicato anno 686. dopo la
fonda- zione di Roma , ed anni sessantotto prima dell'Era volgarp
. et Lucio Asinio Gallo Consulibus . ( 5 ) Fast.
Cons. loc. cit. pag. 107. Digitized by Google
i5 quantasette , qual periodo’ di vita appunto gli assegnano
Eusebio di Cesarea (i ) Pietro Crinto ( oc) ed altri . , Sembra
anche certo egualmente , che il no- stro Cajo Cilnio Mecenate morisse di
anni ses- santa , è nell* anno istesso , in cui cessò di. vivere
Orazio ; ( 3 ) anzi non s'ignora, che il primo mori verso il mese di
Settembre, ed il secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[ Dunque
Mecenate aveva preceduto di tre anni, resi- stenza di Orazio , che visse
cinquantasette an. ni conforme si è detto , ed essendostata fissata
; 1 ;!/ (i) InChronich. Horatius quinquagesimo septimo
aetatis siiae anno Romae moritur . (a) In Vit. Horat. Mortuus est
autemHo - ratius anno aetatis suae septimo , et quinqua- gesimo
. (i ) Dion. Gas. lib. 55 . Morery Gran.
Di- ction. Histor. art. Maecen. Briet. Ann. Mund. Tom. j. part. 3 .
ad ann. 746. Consulibus Cajo Mario Censorino , et C. Asinio Gallo fnensi
Se- stili indìtum est Augusti nomea .... Obiìt etiam hoc anno
Maecenas Litterarum praesi- dium , et decus Nequc diti suo Mae-
cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyri- cus . Obiit
enim non aetatis anno 60 , ut ali - qui , non 5 o , ut alti , sed 5 j,
hisque Consu - li bus . v ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom.
19. 16 la nascita di questa all’ anno 689. il
Natale di quello deve rimontare all’ anno 686. dopo la fondazione
di Roma , ed. all' anno 68. prima dell’Era volgare » Con
maggior certezza poi si conosce il giorno preciso , in cui il sudetto
Cilnio fu re- gistrato nel numero de mortai} , che fu il gior- no
i3. Aprile. La verità di questo punto isto- rico risulta dalle Odi del
surriferito Orazio Fiacco. Volendo quest» Poeta celebrare la ri-
correnza del sudetto giorno Natalizio del suo amico Mecenate , invita
Fillide alla Festa, e cosi si esprime „ Ed affinchè conosca , o
Filli— „ de , a quali esultanze io ti chiami , sappi , „ che dovrai
celebrare con ime il dì , che in „ due divide il mese di Aprile, sacro a
Ci- „ prigna; giorno per me giustamente solen- „ ne, e più sacro
ancora dj quello , nel qua- ., le io nacqui; giacché in esso incomincia
a ,, numerare gli anni della sua vita il mio Me- „ cenate .
(1) 1 . . ( 1 ) Lib. 4. Od.i 1. Vi tanica
noris , quibus advoceris Gaudiis ; Idus tibi sunt agendac ,
Qui die* mcnsem Veneri s marinai Findit-Aprilem . J are
sole mais mihi , sanctiorque Paene Natali proprio , quod ex
hac Luce Maecenas meus ajfluehtes Ordinai annoi ,
»7 Avendo procurato di rintracciare alla me- glio l'anno , ed
il giorno della nascita del no- stro Cilnio,, stimo pregio dell'opera di
fare al- cune osservazioni relativamente al suo Padre, ed alla sua
Stirpe . Quel Cajo Mecenate , che nell' anno 66a. faceva in Roma una
comparsa brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cava- lieri ; ciò
si è dimostrato coll' autentica te- stimonianza di Cicerone , ed anche
con le au- torità di Livio testé riferite . Inoltre l’
istesso Cicerone ci fa conoscere , che il Cajo Mecenate , di cui fa egli
gloriosa menzione, non aveva alcuna ambizione, nè curava di
sollevarsi ad impieghi luminosi , ai quali pur troppo avrebbe potuto giungere
per la buona opinione , che godeva presso il Popo- lo ; ma che
contento del semplice titolo di Cavaliere , amava di passare una vita
lieta , e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori. „ Se potuisse
( sono parole di Tullio sopra- ,, enunciate ) Judicio populi Romani in
am- „ plissimum locum pervenire, si sua studia ,, ad honores
petendos conferre voluissent sed Ordine suo , Patrumque suo- „ rum
contentos fuisse , et vitam illarn „ tranqnillam , et quietam .... sequi
ma- ,, luisse . Ora il carattere , che forma Cicerone
di questo Cajo Mecenate, non è similissimo a quel- lo del nostro
Cilnio ? Tal circostanza si cono- scerà nel decorso della sua Storia , ma
intan- B j8 to possiamo accennare , che
questo aveva tut- ti li mezzi per inalzarsi a cariche le più emi-
nenti , e decorose , stante la grande amicizia, di cui era onorato
da Augusto , ma che pa- go del suo stato , e del semplice titolo di
Ca- valiere , mai volle , ne dimandò altri onori , e nuovi
impieghi. A ciò si può aggiungere l'epoca del tempo, in cui quello
viveva, ed era celebrato per uno de’ sostegni del popolo Romano ,
ed in cui sono fissati i natali di que- sto , e dal tutto insieme ne
risulterà un grado di probabilità non del tutto dispregevole , per
credere , che il sudetto Cajo Mecenate potè essere l’Autore del nostro
Cilnio . Potrebbe la nostra assertiva essere smentita da una
antica Iscrizione riportata da Dionisio Lambino ( i ) nella quale si
parla di Mecenate figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela-
- ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat. £ 7 ni us praeterea
Marnioris antiqui testimo— nium producala , quod Romae visitur in
Aedi- bus Fusco aura e regione aediurn Farnesia- rum , in quo haec
sunt incisa . Lieertorvm et Libertarvm C. Maecenatis .
R. F. Pontif. Posterisq. eorvm Et qvi ad xd tvendvm - _
CONTVLERVNT CONTVLEIUUT « *9 zione al nostro Mecenate
, sarebbe stato figlio di Lucio Mecenate , non di quel Cajo da
Cice- rone accennato . Ciò non ostante pare che un tal documento
non Taiga , nè a somministrare schiarimento sull'oggetto , di cui si
parla , uè a distruggere la detta nostra assertiva , i. peri hè non
costa , che quella Iscrizione seco porti un carattere di sicura autenticità
; a. perchè non si conosce dal contesto della me- desima l’epoca
del tempo , in cui fa incisa , né a qual Cajo Mecenate debba riferirsi .
Ve- niamo ora alla Stirpe del nostro Cilnio . Gli Autori
antichi, e moderni, tutti li Com- mentatori di Virgilio , di Orazio , di
Proper- zio , ed altri si sono divisi di opinione nel fis- sare la
nobiltà della discendenza di questo grand’Uomo . Orazio ('i) Properzio
(a) ed anche Marziale ( 6 ) chiaramente hanno scritto, (i)
Od.j.Lib.i. Maecetias atavis edite Regibus ,
O et praesidium, et dolce decus rneum! Maecenas
eques Etrusco de sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis esse tuam
. ( 3 ) Lib. la. Epigr. 4. Quod Fiacco , Varioq.fuit
,summoque Ma-* roni Maecenas atavis Regibus ortus eques
. B a Od. ug. lib. 3 .
Tyrrliena Regum prò genies , (2) Lib.3.Eìeg.7. 30
che egli era di stirpe reale . IlTorrenzio ( t) Commentatore di
Orazio , descrive una linea genealogica degli Antenati reali di quello ,
e crede , che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli Etrusci. Acrone
('a) altro Commentatore an- tico di Orazio è dallo stesso sentimento , «
fa seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’ Albinovano ^ 3
) , e dal Beroaldo Commentato' re di Properzio ; anzi quest’ ultimo
suppone , che discendesse dal famoso Porsena parimente Re de’
Toscani . (4^ Al contrario Dione Cassio , ( 5 j e Vellejo
( 1 ) Comment. ad Od. 1. lib. 1. Horat. An- tiquis Regibus
prognate: cui Menodorus Pater, Menippus Avus , Cecinna li ex
Etruscorum fuit A t avus . (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat.
Edite Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab
Etruscis Regibus , et contempsisse Seuatoriam dignitatem . (
3 ) Eleg. in obit. Maecenat. Rcgis eros genus Etrusci , tu
Caesaris olim Dcxtera , Romanae tu vigli Urbis eros ,
(4) Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de sanguine Regum : quia
fuit oriundus a Porse- na Rege Etruscorum . ( 5 ) Lib. 19.
pag. 534. Reliquas res non Ro- mae modo , sed per totani Italiam
Co* Patircelo (t) , benché spesso parlino del me- desimo non
gli attribuiscono un origine reale , ma lo caratterizzano soltanto per un
indivi- vuo di ragguardevole e splendida famiglia . Il Dacier (2)
poi , ed il Pallavicini ( 3 ) sono d’avviso $ che dalle indicate
espressioni di Orazio , di Properzio , e di Marziale non può con
certezza dedursi , che frà le vene del no- stro Gilnio scorresse un regio
sangue ; giac- ché è noto altronde , che le parole Re , e Re- gina
, nel senso de’ migliori Autori , segna- tamente Poeti , spesso
significano Signori po- tenti , Uomini , e Donne di qualità , e
distin- zione ; e cosi aveva ancora in sostanza pensa- to il
Porfirione (4) prima de' sudetti Dacier , e Pallavicini . Riguardo ai
Poeti contempora- nei però non tutti han parlato sull'oggetto ip questione
, come. Properzio , ed Orazio . li Poeta di Mantova più d’una volta si
volge col discorso a Mecenate nelle sue Georgiche , ep- jus
Maecenas , equestris dignitatis vir admi - nistravit . (1) Lib. 2. art. 83 . Tum Urbis custodiis
praepositus Cajus Maecenas equestri , sed splendido genere natus.
(2) Annot. crit. sopra Oraz. Tom. i.pag.7. (" 3 )
Canzon. di Oraz. pag. i 5 i. (4)
Comment. ad Od.i Horat. Maecenas , ait , atavis Regibus editus , quia
Nobilibus Etruscorum ortus sic . lì
pure non Io ha mai decorato di nna reai prò-» sapia(i) •
La diversità di queste opinioni potrebbe ini qualche guisa
conciliarsi , se , come si è so- pra accennato , sussistesse realmente
ciò che abbiamo veduto asserirsi dal Poeta Silio Itali- co nella
seconda guerra Punica . Impercioc- ché si è in quel luogo rimarcato , che
quel Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del Ti- cino non è
chiamata di stirpe Regia; e che quel Mecenate , che mori
posteriormente presso Canne era celebrato per li Scettri To- scani
. Nella verità di questi fatti potrebbe (i) Georg lib. i.vers.i. e
seq. Quid faciat laetas segete s , quo sidere terram V
ertere, Maecenas, ulmisq. ad/ ungere vites Conveniat Hinc
cane re incip iam . Lib. a. vers. 40. Tuque ades
inceptumque una decurre laborem Maecenas pelago que volens da vela
petenti Lib. 3 . vers. 40. IntereaDryadum sylvas , salt us
que scquamur Intactos , tua , Maecenas , haud rnolliajussa Lib. 4
vers. i- Protinus aerii melili , coelestia dona Exequar ,
hanc etiam , Maecenas , excipe partem . Digitized
byGoogle aà dirsi , che Orazio , Properzio , Marziale
, e gli altri , che danno al nostro Cilnio una Regia discendenza ,
lo abbiano fatto derivare dal se- condo ; e che Virgilio , Dione,
Vellejo, e gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian fissato
per Capo della sua famiglia , o per uno de’ snoi Antenati il primo
. Si è disputato ancora in qnal’epoca , a qua- le degli
Antenati del nostro Cilnio , e per qual motivo venisse aggiunto il nome
di Mecenate . Riguardo all’ epoca , nell’ anno 450. di Roma la
famiglia de’ Cilnj ancora non portava que- sto nome , conforme si è
osservato da Livio . Ottantotto anni dopo , cioè nel 538. si comin-
cia a vedere in quel Mecenate , che mori pres- so Canne , sempre però
sull’autorità poetica del surriferito Silio Italico * Nell’anno
66a- trovasi in Roma già celebre , e rinomato in quel Cajo Mecenate
encomiato da Cicerone . Il MeibomiO (t) riporta un frammento del
Libro terzo delle Storie di Sallustio , estratto da Servio
Commentatore di Virgilio, in cui si fà menzione del famoso Sertorio , e
di un Mece- nate Segretario del medesimo . Sertorio morì (i)
Jn Vit. Maecenat. Praeloqi adlect. Ex-^ tot Sallustii fragmentum apud
Servium adLib. X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g „ Igitur ,
inquit , discubuere Sertorius inferior in medio, tuper eum Lucia s F
alias Hispaniennt S* notar 34 , „ nell’anno di Roma
68a. Terenzio Varrone, che viveva , e scriveva nell’ epoca istessa ,
in cui mori Sertorio , fa uso ancora esso nelle sue opere della parola
Maecenas {i) e di cui si tornerà in appresso a parlare . Da
tuttociò sembra chiaro , che nel settimo Secolo di Ro- ma già fosse
commune alla sudetta famiglia il nome di Mecenate . Ma
riguardo a conoscere a quale degli Ante- nati di Cilnio, e per qual
motivo fosse aggiun- to quel nome, il Martini ingenuamente con-
fessa , e si protesta , che il tutto è involto nelle tenebre, e nella
incertezza, (a) Ag- giunge però che se fosse lecito di promuovere
sn questa sconosciuta materia qualche rifles- sione , che possa aver
luogo , non già sul ve- ro , o sul verisimile , ma sul possibile , si
po- sa: Proscriptis ; in summo Antonini , et infra Scriba
Sertorii Versius , et alter Scriba Mae- cenas in imo . (i) De Ling. Latin.Lib.7. in fin. (a)
Lexic. Philolog. art. Maecenas. De ori- gine nominis nihil
certi , et *'ix aliquid proba- bile dici potest ; quia certum est, esse
nomea proprium ,■ nec vcrum satis certum mihi qui - dem est , cujus
linguae vox sit , et historia de - stituor cui , et ex qua causa primum
juerit im- posi tum . Addo , quod ctiam de vera scriptum dubitai ur
. Digiti?ed iS trebbe dire , che la voce
Mecenate è un voca- bolo Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei,
dalla qual nazione gli Etrusci hanno avuta la loro origine ; primieramente,
perchè la fles- sione di detta voce seco porta un non so che di
straniero ; in secondo luogo , perchè li nomi de’ Caldei si solevano
ordinariamente prendere dalle forze naturali degli oggetti mo- rali
, dalle facoltà, dalle azzioni , e dalle passioni ( i) . Il
Catrou è d’avviso (a) che con Tantorità di Varrone , e di Plinio possa
trovarsi nn qualche schiarimento per sapere, come fosse dato un tal
nome alla famiglia de’ Cilnj . Se- condo quello , si rileva dal
succennato Te- renzio Varrone , li nomi degl’ individui, che
finivano in as , significavano qualche luogo (i^ Loc. cit. Si
licei aliquid de hujusmodì prorsus incognitis dicere , quod ncque
inter vera , neque inter verisimilia , sed tantum in- ter
possibilia ponantur , sit nomen Etruscum , ex Caldaea(inde enim Etruscis
est origo ) prae- sertim , quia forma flexionis peregrinitatem
sapit . Nomina autem fere a naturalibus
viri- bus , a ut a moralibus objectis , facultatibus , actionibus ,
aut passionibus imponi consueve- runt , tamquam monumenta quaedam de iis
, quae rebus insunt, vel adsunt , vel ab eis sunt . (a)
Loc. cit, tom.i 8. lib. 1 6 . nelle Note . s6
particolare dell' individuo medesimo (i\ Pli- nio poi ci avverte ,
che fra li vini scelti dell* Italia erano celebrati quelli ancora , che
si raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a) : perciò conclude il
detto Storico , che il no- me di Mecenate provenisse a quella
famiglia da qualche terra , o possessione alla medesima spettante .
Ma , ad onta di tali dilucidazioni , sembrando la cosa tuttora
incertissima , se- condo il sullodato Martini , dobbiamo soffrire
una tale ignoranza senza sgomentarci , e con quella docilità , e
rassegnazione j con cui soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di
tante altre materie più interessanti (3 ) . Potrebbe qui
aggiungersi ancora una qual- che riflessione sulla formamateriale della
paro- la Maceenas, ed esaminare se debba scriversi (i) Loc.
cit. Hinc quoque dia nomina Le* nas , Ufcnas , Lavinas , Maecenat ,
quae cum essent a loco , ut Vrbinas , et tamen Urbi - nas ab his
debuerunt dici ad nostrorum nomi - num similitudincm . (*)
Lib. 14 . Cap. 6 . In Mediterraneo vera Caesenatia , ac Maeccnatiana (
vina ) ; In Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a
Virgilio. (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora pa- tte nter
ignorarmi! , edam et hoc , et similia , •ine pudore possumus nescire
. Digitized by Google a 7 con il dittongo
nella prima , o nella seconda sillaba, se in ambedue, o se debba leggersi
senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo potendo presentare una
discussione, o estra- nea , onojosa, rimettiamo gli Eruditi al ci-
tato Lambino , il quale ne’Commenti alla pri- ma Ode di Orazio ne ha
parlato con precisio- ne , e dottrina ( i) . ( i) Il Lamiino
nel commentare la parola Maecenas , che leggesi nell’Ode i.del
i.lib. di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi succcn- nato , In
omnibus fere manuscriptis Codici- bus , quibus usus sum , nomea Moecenas
scri- ptum reperi et in prima , et in.secunda sylla- ba sine
diphthongo ; quam scripturam tametsi non probe m omni ex parte , sequor
in eo ta - men , quod secunda per e vocalem , non ut vulgo per oe
diphthongum scribitur . Adjuvat me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis
calamo exaratus in Cluentiana , quo loco scriptum etiam est hoc
nomea sine diphthongo in utraque syllaba . J am vero quod ad primam
attinet Graecorum auctoritate moveor , apud quos M aiKnya( per ai
diphthongum scribi solet in va syllaba, ut in secunda per v quae
vocalis Ver ti tur in e longum . Quia
JElianus , qui cum Romanus esset graece scripsit lib.XlI. «/
«f hanc scripturam retinet . Praeterea apud Publium
Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia» Dopo di aver raccolto le
descritte notizie ; e prodotto quelle poche riflessioni finora ac-
cennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ au- tore del nostro Cilnio , e
su tutt’altro relativo al suo nome , sembra , che ornai dobbiamo
occuparci sulla relazione delle sue geste , e de’ suoi costumi , e sulla
Storia della sua vita ; ed in primo luogo dovremmo parlare della
sua educazione , sotto quali maestri , ed in quali Accademie
venisse istruito ; ma su di ciò man- cando notizie sicure , qual
vantaggio potrebbe ricavarsi da congetture vaghe , ed inconclu-
denti , da riflessioni possibili , o estratte dal fondo di un immaginario
probabilismo ? Ciò non ostante si pnò dire , che l’educa-
zione di Mecenate fu proporzionata, ed uni- forme al rango , che li suoi
Maggiori occupa- vano nella società , e nella classe de’ cittadini
Romani . Fornito dalla natura di non ordinarli talenti , ebbe tutta la
cura di svilupparli , al- lorquando fu adulto , perchè non erano
stati oziosi, ed incolti nella sua adolescenza . Ma se egli venisse
istruito in Roma , o altrove, e quali fussero li Dotti , cui venne
affidata la sua letteraria educazione , s’ ignora piena- mente
. Crede il Cenni , che Mecenate fosse man- na»! de Accent. in
Exemplaribus Aldinis , sine ulta varietale perpetuo ita scriptum, est
hoc nomen . I Digitized by Google
- a 9 dato in Apollonia , allora Città ragguardevole
della Macedonia ; suppone inoltre * che men- tre quivi attendeva
alle scienze , vi si trovas- sero ancora per lo stesso oggetto Marco
A- t grippa , ed Ottavio Cesare , e che in tale oc- casione
si stringessero con i dolci legami dell’ amicizia , o almeno facessero
unà reciproca conoscenza. Sembra però , che questa circo- stanza
non sia stata accennata da verunAutore antico ; nè il Meibomio , ed il
capriccioso Caporali , ne’ scritti de quali attinse il Cenni la sua
supposizione , sono forniti di qualche autorità valevole , e concludente
. Quello, che può asserirsi con qualche cer- tezza , e che
risulta dalle opere di Dione , di Appiano , di Orazio , e di Properzio ,
si è che il nostro C. Cilnio Mecenate , se non divenne amico di
Ottavio nell’ epoca de’ loro studj , di buon’ ora cominciò la
carriera de’ servigj , e consigli da esso a questo sommi* Bistrati
fino all’ ultimo respiro della sna vita. Ottavio venne in Roma ,
dopoché Giulio Ce- sare suo padre adottivo fu dai Republicani pu-
gnalato Egli seppe la disgustosa notizia nella sudetta Città di Apollonia
( i ) . Aveva allora appena oltrepassato il quarto lustro di sna
vi- ta , e correva l’anno di Roma 710. Giunto in » quella Capitale
, diede subito saggi manifesti ( 1 ) Sveton. in Octavio art.8 e io
Naucler. Chronog. ad au. 7*0 Tom.j pag. 483. *
3o di una grande elevatezza d’ ingegno , e benché in
età giovanile , di nn senno maturo • Comin- ciò a procacciarsi la puhlica
opinione, la sti- ma de’ Grandi , l'affetto della Plebe, e dei
Soldati . In tale occasione , ed in tale epoca sembra potersi stabilire ,
che Mecenate en- trasse nella Corte di Ottavio , e che questo lo
prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti , e delle sue future
intraprese . Dopo la morte di Giulio Cesare , Marco An- tonio
governava , per dir cosi , dispoticamen- te la Republica Romana ,
conciosiachè egli aveva tptta 1* influenza , e sul Senato , e sul
Popolo , e snU’Armata . Ottavio fece istanza presso di esso , affinchè ,
come Erede Testa- mentario di quello , gli venissero consegnati
quegli effetti , che gli erano stati nel Testa- mento lasciati .
f Antonio , poco curando la tenera età del medesimo, accolse
piuttosto con disprezzo la di lui giusta , e regolare dimanda . Mecenate
, che allora già trovavasi al fianco di Ottavio , non maucò di
consigliarlo a sopportare con cal- ma , e rassegnazione P ingiustizia , e
T insul- to del prepotente Romano , e nel tempo stesso gli fece
conoscere, che bisognava momenta- neamente abbracciare la causa del
Senato, stantechè da tutte le circostanze scorgevasi im- minente
una guerra Civile . 11 Senato proteggeva l’attentato commesso
dagli uccisori di Giulio Cesare, ed Antonio 3i '
aveva inalberato lo stendardo guerriero con- tro di questi .
Ottavio , come figlio adottivo del famoso Dittatore pareva , che dovesse
unir- si ad Antonio, e secondare le mire del mede- simo , ma
Mecenate da previdente , ed accor- to Politico credette , che dovesse per
allora uniformarsi ai voleri del primo . In fatti il Senato , per
opporlo all’ambizione del sudetto Antonio , cominciò a fargli mille buoni
uflìcj , ed a colmarlo di onori , e di carezze . Intanto questo
faceva la guerra a Decimo Bruto uno degli assassini di Giulio Cesare ,
che assediò in Modena . Allora il Senato incaricò li Conso- li
Panza , ed Irzio a marciare con un’Armata contro il nemico del sudetto
Decimo Bruto, ed Ottavio fu ad essi associato in tale spedizione .
Questa guerra fu fatta con differente suc- cesso , nè l’impresa di
Antonio potè cosi sol- lecitamente reprimersi; ma lilialmente in
una battaglia campale fu egli completamente di- sfatto , fu levato
l’assedio di Modena , e Bru- to liberato, mercè li talenti militari di
Otta- vio , al quale fu attribuita la maggior gloria di quella
giornata ; in essa vi morì il Consolo Irzio, e Vibio Panza mortalmente
ferito eb- be tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli salutevoli
istruzzioni , e consigliandolo segna- tamente ad unirsi con Antonio
. Questo fatto storico si pone all’anno di Ro- ma 711. epoca
, in cui Oitavio correva nell’an- no vi^esimo primo della sua vita , e
Mecenate 3a parimenti nel fiore della sua gioventù ,
ed in età di circa venticinque anni , già stava al sho servizio .
Abbiamo di ciò ne’scritti di Proper- zio un argomento di certezza, che
pare non possa incontrare eccezzione . Imperciocché il sndetto
Poeta , uno de’più cari amici di Mece- nate, scrivendogli una robusta, ed
elegante Elegia , gli dice , che se avesse talenti da po- ter
cantare gli Eroi, non canterebbe già li Ti- tani , e la loro guerra
contro Giove , allor- quando ammonticchiarono le montagne di Pe-
lio , ed Ossa , non canterebbe neppure le bat- taglie degl'antichi Tebani
, o l’ Incendio di Troja , il primo Regno di Romolo , l’ardimen- to
della superba Cartagine, le minaccie de’ Cimbri, e le vittorie di Mario ;
“ Ma cante- ,, rei ( soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece- », nate
, le guerre , e le azzioni illustri del », tuo Cesare, e mostrerei, che
in tutte le „ sue imprese , tu occupi il posto secondo . »,
Canterei la guerra di Modena , le tombe „ degli estinti presso la Città
de’Filippi, la „ guerra di Perugia , la battaglia di Azio , e », la
conquista dell’Egitto (i). ( t) Lib. a Eleg. i . Quod
mihi si tantum , Matcenas,fata dedissent, V t possem Heroas ducere
in arma manus ; Non ego Titanas canerem, non Ossan Olympo
hnpositum , ut Coeli Pelion esset iter ^ sd by
Google 33 Ora se Mecenate non fosse stato già al
fian- co , ed al servizio di Ottavio nella guerra ‘di Modena , il
Poeta non avrebbe detto , che quello nelle imprese di questo occnpavadl
pò* sto secondo , e facendo la serie di tali impre- se , non
avrebbe descritta per la prima la su- detta battaglia di Modena .
Properzio voleva fare un elogio al suo Protettore , al suo Ami- co,
al suo Benefattore , ma questo elogio non sarebbe stato giusto , e
veritiero , se realmen- te Mecenate non avesse avuto il posto
secon- do , ossia , se non fosse stato il Consiglierò di Ottavio
fin dall’epoca sudetta della liberazione di Modena. Dal che sembra
potersi dedurre altra valevole congettura , onde credere , che
quello entrasse nella Corte di questo nell’anno Non veteresThebas
,necP er gama nontenHomcri ; Xersiset imperio bina coiste vada
; Regnane prima Remi , auC animos Carthaginis altae ,
Cymbrorumque minas , et benejacta mari . Bellaque , resque fui
memorarem Caesaris , et tu Caesare sub magno cura secunda jòres
. Nam quoties Mutinam , aut civiltà busta Phi - lippos
, A ut canerem Siculae classica bella fugae , » . . . •
• • • * Aut canerem Aegyptum , et Nilum cum tra — ctus in
Urbem Septem captivi! debilis ibat aquis . ' C
8 * precedente 710. conforme abbiamo accennato
pocanzi. Ad onta della perdita dei due Consoli Ir* sio , e
Panza, la surriferita vittoria riportata contro Marco Antonio ricolmò di
gioja Roma , ed il Senato . Allora fn , che Cicerone si sca* tenò
contro di quello con tutto 1'entusiasmo della sua maschia , ed
inimitabile eloquenza . Quc* Senatori , e quella porzione di Popolo
, che nutrivano ancora un qualche sentimento per il Governo
Rcpnblicano , ascoltavano con estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi
di quell’ Oratore , ed aderivano ciecamente ai suoi voleri .
Infatti Antonio fu proscritto > fu risoluto di continuare la guerra
fino al di lui esterminio , furono destinate le Armate , scel- ti
li Generali ; eppure questa volta , nelle nuove disposizioni marziali ,
non si fece men- zione di Ottavio , benché ad esso fosse dovu- to
tutto l’esito vantaggioso della passata Cam- pagna . Il
Senato era già divenuto geloso della glo- ria di quello , col non curarlo
voleva umiliar- lo , ed abbassare l’orgoglio , che le già ese-
guite favorevoli Imprese avevano potuto inspi- rargli . Ottavio , e
Mecenate conobbero in tal .congiuri tura la condotta poco lodevole , e
di- sobbligante del Senato . Allora memore il pri- mo delle
istruzioni ricevute dal moribondo Consolo Panza , e penetrando il secondo
nell’artificiosa politica di quello ± determina* Digitized by
Google H rono di procurare una riconciliazione cqn,
il detto Marco Antonio . Il progetto esigeva una somma
precauzio* ne , ed ima impenetrabile segretezza , ma ni uno poteva
maneggiarlo più vantaggiosamen-* te di Mecenate , che , fra le altre sue
virti» politiche , possedeva in particolar maniera quella del
segreto, conforme narrano Sesto Aurelio Vittore (i), ed Eutropio
(a). Ottavio nella guerra di Modcaa aveva fatto ad Antonio
molti prigionieri * Per dare prin- cipio alla riconciliazione , gli
rimandò li pii distinti , e ragguardevoli . Fra gli altri vi era
Decio , brava persona , e molto affezionata al suo Padrone ; anche a
qnesto concesse la li- bertà. Decio separandosi da Ottavio , gli
ri- chiesi , che cosa doveva dire ad Antonio “ Di- „ te ad Antonio
da mia parte ( rispose Otta,. „ vio ) che io credo aver egli tanta
penetra- „ zione per interpetrare la mia condotta . Se ,, nulla ha
compreso , sarei imprudente 4 » spiegarmi più diffusamente „ .
Intanto Ottavio , e Mecenate fissarono la loro attenzione
sull’indicato Marco Tullio Ci- l (1) In Epit. de Vit.
et Morib.Imper.Romao, Cap. 1 . In amicai fidai extitit ( Augustus )
, quorum praecipui erant ob taciturnitatem Mac* cenas , ob
patientiam laborit , modestiamque , 4grippa ... ... (a) Lib.
7 in Augusto. C a *6 cerone, penetrando
con la loro previdenza , che bisognava cattivarsi l’animo di quell'Ora-
tore . Imperciocché egli aveva in quell’epoca un dominio irresistibile e
sullo spirito del Popolo , e sul cuore de’Romani Senatori . Ot-
tavio dunque onde ottenere l’intento gli scris- se una lettera in tali
termini concepita Io ,, sono giovane e quasi privo di esperienza „
negli affari ; sarò occupato tutto il resto £, dell’anno a perseguitare
Antonio nostro ne- „ mico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto
,, solo in Roma coll’autorità , che danno li ,, Fasci Consolari, avrete
il tempo , e l’occa- „ sione di ristabilire lo Stato Republicano, „
ed uguaglierete la gloria del vostro secondo „ con quella del primo
Consolato ( i ) ,, . Tullio benché avesse tutti i lumi del
più grande Letterato del suo Secolo , non aveva quella finezza di
politica , di cui era feconda la testa di Mecenate . Egli cadde nella
rete; credè sincera la deferenza, e la dichiarazio- ne di Ottavio,
e cominciò ad encomiarlo , e proteggerlo in publico Senato ; che anzi
ebbe anche il coraggio , o piuttosto la debolezza di proporre , che
gli venisse conferito il Conso- lato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio),
o „ Padri Coscritti , non ha ricevuti da Voi l’e- », rede del nome
, e de'beni di Giulio Cesa- *• , (1) Dion. lib. 46 Piotare, in
Cicer. Catrou Tom. 17IU). 4 , £ j/ re ? Poco accorti nelle
nostre risoluzioni , noi non cessiamo d’irritarlo senza riflette- „
re , che egli comanda a Legioni vittorio- „ se. Perchè non procuriamo di
calmarlo? „ Sebbene giovanetto aspira al Consolato , e „ potrà
ottenerlo malgrado la nostra ripu- „ gnanza . Contentate le sue brame per
gli „ onori . Nell’età , in cui sì trova , questa „ brama è più
vivace , che in tempo della >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa
di „ ottenerlo prima del tempo dalla Legge pre- scritto . In ciò
però è necessaria una limi- si fazione. Date al giovane Ottavio un
Colle- » ga di età matura, che gli sia di guida, e „ maestro .
Questo reprimerà il fuoco di quel* „ lo , e l’amministrazione della
Republica sa- „ l à al sicuro sotto il primo , mediante i con- „
sigli dell'altro (i)„. Non ostante la potente influenza di Cicero*
ne, le sue premure per Ottavio non ebbero alcun effetto vantaggioso ,
mercè l’inalterabi- le fermezza del Senato . Li Padri Coscritti co-
noscendo , che una tale richiesta trovavasi in opposizione con le Leggi
fondamentali dello Stato , stante l’età di Ottavio , non potevano
realmente secondarla ; ma questa ragione pian* sibile poco forse avrebbe
operato in un tem- po , in cui le Leggi Repnblicane erano inope-
rose , e senza vigore , ed in coi l’antica Co- (a) Appian. lib. 3
Catron loc. cit. ÌLxìob. «api >*>«■ >“ a . in ,ln '' ”f
"V La ma^eior parte de’Membn componenti il Se- “no
allora , o compiici de» aa.amo.0 ai celare , o aderenti ai medesimi .
Temeva. *0 pertanto , che , sollevando ad un grado di potenza coli
eminente l’Erede di qnelk , , | P£ irebbe avere i mezzi , e trovarsi m
«tato di vendicarne la morte • , j Ottavio adunque ,
vedendo , che con le buone non poteva ottenere il Consolato , cer-
có altre risorse più efficaci ; scrisse diretta mente ad intorno .
preveneodolo dell, neon- ciliazione . Questo , che aveva avuto già
qual- che sentore di una tale disposizione di animo di quello , e
mediante il rinvio de pronte- ri e le parole dette a Decio, accolse
con trasporto le lettere del suo rivale , ed il pro- getto , che
gli faceva ; Incontanente si diè tutta la premura di dargli esecuzione .
11 pri- mo passo che fece , fu quello di riunirsi con Marco Lepido,
Soggetto anche esso poco be- Questo allorquando ebbe la notizia dell
u- nione di Antonio con Lepido , fremè di rat bia, e deliberò di
disfarsi di ambedue . Per lo che , supponendo che Ottavio fosse
reai, mente nemico dell'uno , e dell’altro , lo inca- ricò di
marciare all' istante con le sue Leeoni contro qne’due ribelli . -
. . . « Ottavio mostrò , o piuttosto finse di uhM*. re, ma li
veri suoi disegni erano gd altrog' Digitize in Roma ,
e con una Armata bellicosa , non eb- bero più vigore , costanza , e
coraggio di prò* seguirla . Bruto , Cassio , e tutti i complici
degassassimo di Giulio furono condannati , e proscritti con decreto
solenne di quello stesso Senato , che pocanzi aveva spedite Legioni
, Armate , Consoli , ed il medesimo Ottavio in «)nto di essi
. Intanto Antonio , che era già in una piena corrispondenza
con Ottavio , si dxè premura di prevenirlo , che il partito
de’Republicani si andava ingrossando nelle Provincie della Gre»
eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò era tempo di abbandonare
Rema ,ed unitamen- te marciare contro di quelli . Ottavio
profittò di questo avviso per poter prendere le necessarie precauzioni .
Egli do- veva ancora occultare al Senato la seguita ri-
conciliazione , e corrispondenza con Antonio , e perciò ebbe ancora
bisogno di circospezione, e di quel segreto impenetrabile , di cui
era capace il solo Mecenate . Per secondare il Collega , e
per imbrogliare al tempo istesso la testa de’Senatori fece spar-
gere la .notizia allarmante , che M. Antonio , e Lepido^meditavano di
marciare alla volta di Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava
cosa urgentissima di uscir contro di essi, e combatterli ; Il Senato
credulo , ed ingannato prestò fede alle voci diffuse, ed alle
rimostran- ze di Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par»
4 * tire da Roma , ed opporsi agli avanzamenti j ed alle
supposte minacele di quelli . .. : Non bastava però tuttociò alla
penetrante politica di Mecenate , e del suo Padrone * Vo- levano ,
che il Senato rivocasse , e cassasse il Decreto di proscrizione emanato
contro de’ sudetti Lepido , ed Antonio . Restò in Roma Luogotenente
di Ottavio Quinto Pedio , per- sona totalmente consagrata alli suoi
interessi „ Egli fu incaricato di ottenere la revoca sndet- ta, ed
è probabile , che della medesima ope- razione delicata fosse a parte
ancora Mecena- te . Si fece riflettere al Senato , che , cassan- do
qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di clemenza , e di generosità
capace a spegnere nella sua origine il fuoco di una guerra civile ,
ed a calmare la collera , ed il risentimento de' due Colleghi . Il Senato
si fece vincere , ed il sovraindicato Decreto di proscrizione fu
an- nullato . Ricevuta Ottavio questa notizia
consolante ne prevenne con la massima sollecitudine Le- pido , ed
Antonio ; allora questi , e quello si avvicinarono con le loro Armate
respettive , e stabilirono un Congresso . Uua Isolctta for- mata
sul piccolo fiume Reno , che scorre tra Modena , e Bologna , fu scelta
per il luogo memorabile , in cui li tre Guerrieri dovevano unirsi a
parlamentare . L’abboccamento durò più giorni , il di cui risultato fu lo
stabilimen r to del celebre Triumvirato , mediante il quale
4 » yenne scagliato un colpo mortale alla Costitu- zione
Republicana , e venne immaginata la proscrizione troppo nota , e funesta,
nel vor- tice e negli orrori della quale fu involto anco- ra il
riferito Marco Tullio Cicerone (i) . Dopo qualche tempo Antonio ,
ed Ottavió marciarono a grandi giornate contro Bruto, e Cassio , e
si trasferirono con le respettive Le- » gioni nella Macedonia incontro
all’Esercito de’ Repnblicani . È troppo conosciuta la sorte in-
felice di questi nelle Campagne di Filippi per non essere costretto a
tesserne la storia dolen- te , e che sarebbe fuori del mio assunto .
La vittoria si dichiarò a favóre de’Triumviri , e Bruto cadde
estinto , non già da ferro nemi- co , ma con un disperato suicidio si
sepelli da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri della spirante
libertà Romana . In questa battaglia si trovò ancora il Poeta
Orazio Fiacco , di cui già si è fatta menzione . (r) Piotare, in
Ant. pag. 679. Congressi tres illi in modica Insula amne circumfluo
, triduum in colloquio fuere . De celeris conve- nie inter eos
facile , totumque Imperium intcr se steut patrimonium suum sunt partiti ,
sed disceptati dcillis , quos statuerant interficere , detinuit eos
.... Tandem fervore in eos, qui aderant , et cognatorum rtverentiam , et
ami - c orum benevolentiam postniittentcs, Ciceronem teseti Caesar
Antonio , - • - • 1 i Digitized by Google
43 Amico di Bruto, e fautore del partito Repu-
blicano , seguì quello nelle Campagne di Fi- lippi in qualità di Tribuno
(i). Afferma il Porfirione (a) , che Orazio restasse prigionie- ro
; che in seguito non solo fosse liberato per intercessione di Mecenate ,
ma ancora , che per mezzo di questo si procacciasse il favore , e
l’amicizia di Ottavio . Lo stesso si legge in una Vita di Orazio
d’incerto Autore prodotta da Giovanni Bon (3) . Altri credono di
più, che fatto prigioniero , per opera dello stesso Mecenate ,
venisse liberato immediatamente , e sul Campo di battaglia . Ma tali
assertive so- ( i ) Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major. Et
tibi , F Iacee , acìes Bruti , Cassique stenta Carminis est auctor , qui
fuit et veniae . Sveton. in Vit. Horat. Sello
Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta Imperatore , Tribunus Militum
meruit . (a) Presso il Mancinel. in Vit. Horat. Por- phìrion
addit , Horatium captum fuisse a Cae- «are , sedpostea , beneficia
Maecenatis , non solum servatus , sed etiam Caesari in amici- tiam
traditus . (3) Edi*. deli’Opere di Orazio Lug. Batav. an.
i663 . Coluitque adolescens Bruturn , sub quo Tribunus militum militavit
; captusque a Caesare post multum tempus , beneficio Macce- natis
non solum servatus , ted etiam in amici- tiam acceptus est ,
I H do smentite dalf autentica testimonianza
dellT- stesso Poeta- >.'• ’-n ed in questa occasione per
mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia , e la protezione di Mecenate
. Dopo questa epo- ca pertanto deve fissarsi quanto scrive Orazio
nella Satira testé riferita ; e siccome la su- detta battaglia presso
Filippi , accaduta verso il mese di Novembre 71 a , (i)è anteriore
di molti mesi alla venuta di Virgilio in Roma , co- sì sembra
evidente , che allora Mecenate , che ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio , non poteva
conoscere netampoco Orazio , nè cooperare alla di lui salvezza sul Campo
di battaglia . Orazio adunque fu in primo luogo
debitore del suo futuro benessere alla tenera amicizia di Virgilio
, e di Vario , e quindi al nostro C. Cilnio Mecenate , il quale mercè li
buoni uf- fici di quelli , non solo lo mise nel numero de’ suoi
amici , ma vennto in cognizione da se stesso del raro di lui ingegno per
la lirica Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò per esso il
perdono da Angusto , e successiva- (1) De la Rue Hist. Virg. ad
an.7ia. Circa Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedo- nia ,
pereuntque Cassius , et Brutiu . 4 * mente gli
procacciò eziandio la sua amici» zia(i e meritava la di lui
affezione . Ancora giovinetta di una beltà superiore all’altre Da-
me Romane era vedova di C. Clodio Marcello , che era stato Consolo
nell’anno 704 . Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il su-
detto progetto , che gli presentò Mecenate , chiamò la sorella , e la
persuase ad accettare £ 66 la destra di
Antonio . La virtuosa Ottavia non *i ricusò alle premure del Fratello ,
ed «al be- ne , che le sue nozze potevano recare alla Pa- tria, ed
Antonio non rifiutò la sua destra. Il matrimonio in fatti segui con
reciproca sodi- •fazione nell’anno 713 ; e Mecenate ebbe il
contento di vedere effettuato pienamente il suo progetto . La
gioja de’Romani fu grande , ed univer- sale , perchè ognuno credeva , che
, median- te questa alleanza di parentela, e di sangue ,
anderebbero a cessare per sempre le guerre civili ; e che li due putenti
Rivali avrebbero vissuto in una pace inalterabile (r). Ma li
progetti dell’Uomo sono sottoposti incessante- mente alli capricci , ed
alla volubilità dell’Uo- mo istesso , ed i matrimonj formati dalla
Po- litica , rare volte seco portano una seguela di felici
avvenimenti . Conchiuso il sopradetto matrimonio ,li due
Triumviri vivevano con una intelligenza , che giungeva alla familiarità .
Si accordavano (1 ) Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae
an. i564 . Has nuptias suaserunt ornncs , quod Oetaviam sperarent , quac
excellentiae formae gravitatela , et prudentiam habebat adjun- ctam
, ubi Antonio conjuncta csset , atque ut talis foemina , haud dubie ab eo
adamata, omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al - Laturam
„ 6 ? scambievolmente ciò che l’uno all’altro
propo- neva , sempre però a discapito del Regime re- publicano .
Imperciocché stabili rono fra le al- tre cose , che iu avvenire essi
nominerebbero li Consoli , quando non vorrebbero esercitare eglino
stessi il Consolato , togliendone la elez- zione alle Centurie ; e che ,
dopo la loro se- parazione , Antonio farebbe la guerra ai Par- ti ,
e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nel- la Sicilia, ad onta della buona
fede, su cui questo si era da essi separato . Gli amici di
questo , saputo il tradimento , ed il nuovo progetto de’Triumviri non
manca- rono di prevenirlo minutamente . A tale noti- zia Sesto
animato da un risentimento naturale, e non ingiusto , non aspettò a farsi
sorprende- re , e facendo uso di una straordinaria attivi- tà,
prevenne li suoi nemici , e diede princi- pio alle ostilità . Ricopri
delle sue Flotte li mari d’Italia , e ne bloccò tutti li porti ,
af- famando in tal guisa la Capitale . La carestia divenne
terribile . Romalangui- va dalla miseria , eoli Romani conoscendo ,
che la loro penosa situazione era l'effetto della cat- tiva politica
de’Triumviri , cominciarono a mormorare apertamente , ed accadevano
di- sordini , e sollevazioni . Antonio, ed Ottavio stretti da
queste im- periose circostanze, cercarono la maniera di calmare
Pompeo , e di riconciliarsi con esso . Sebbene quello fosse profondamente
penetrato £ a 68 dal torto ricevuto , ed
avesse l’animo irritato contro li Triumviri, tuttavia, stante
l'inte- resse , che avevano preso per la pace Libonc suo Suocero ,
e Muzia sua Madre , condiscese a tenere un congresso a Baja , e come
altri vogliono a Miseno (i) . Le discussioni del Congresso
furono lunghe, e spinose , e più d’una volta venne disciolto per le
condizioni che promoveva Pompeo , piuttosto dure , ed umilianti per li
suoi Avver- sar] ; finalmente furono spianate tutte le diffi- coltà
, e fu sottoscritto un Trattato di pace . Secondo Appiano
Alessandrino (2) , dopo qualche tempo dalla conclusione di questa
pa- ce , sembra , che Ottavio trovasse il pretesto di romperla .
Forse 1 ’csistenza del Successore del gran Pompeo attraversava la vastità
delle di lui mire politiche , e perciò cercava la ma- niera , o di
umiliarlo all’atto , o anche distrug- gerlo ( 3 ) . Pompeo anche in
questa circostan- za prevenne il suo nemico. Mandò subito in corso
molte navi corsare , che, scorrendoli mari d’ Italia , intercettavano li
viveri per Roma . * Ottavio scrisse ad Antonio,
prevenendolo della guerra, che andava ad intraprendere contro di
Sesto , e facendogli conoscere , che (1) Appian. Lib. 5 .
(2) loc. cit. Dion. lib. 48. (S) Appian. loc. cit.
6 vi era stato costretto l Antonio sorpreso della
novità , e più sincero questa volta nell’adem- pimento del sagro dovere
detrattati , nonap- provò le mosse ostili., e l’intenzione del suo
Gallega , e lo consigliò a desistere dalla medi- tata intrapresa . •
. Non ostante la disapprovazione di quello , Ottavio continuò
gl’ incominciati armamenti , perchè nello stato in cui si trovavano le
cose T credeva , che ne resterebbe leso il suo deco- ro , e
compromessa la sua gloria , se retroce- deva , e se avesse dovuto
proporre un accomo- damento al. suo nemico -, ma egli restò umilia-
to dal valore di questo , che disfece pienamen- te la sua flotta navale ,
e ne riportò una com- pleta vittoria . Roma frattanto già sentiva
gli effetti funesti del blocco , che nuovamente avevano posto al-
li Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo, e già la fame
cominciava di bel nuovo a disten- dere la sua mano devastatrice sugli
infelici abitanti . Si mandavano al cielo imprecazioni contro
l’Autore di questi mali , e voci 9orde , e dispiacenti si diffondevano
contro del mede- simo nel publico , che venivano avvalorate dagli
amici , e partitanti di Pompeo . Da questa pericolosa , e critica
situazione forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con onore , e
forse non avrebbe superato que pe- ricoli , da quali era minacciato ,
senza l’assi- stenza , li consigli , la destrezza , e la politi-
Digitìzed by Google di cui quello facesse uso presso
di questo iu un affare così importante , e delicato ; nè si sà su
quali basi poggiasse la discolpa del suo Padrone nella guerra attuale da
esso continua- ta, nonostante la manifesta disapprovazione del suo
Collega ; ma sappiamo bensì , chel’efc- ficace eloquenza , li talenti
politici , la de- strezza , e le di lui cognizioni rapporto a ma-
terie diplomatiche prevalsero a tutte le ragio- ni , che fino allora
avevano reso Antonio neu- trale . Che anzi Sesto Pompeo
naturalmente non aveva mancato di profondere dell’oro , e de’
presenti presso li Ministri, e nella Corte di Antonio, non aveva
trascurato d’inviargli De* putati, ed Oratori , architettar cabale , e
pro- fittare di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se* co lui
contro il dominatore dell’Occidente , o almeno per ritenerlo costante
nelPabbracciato sistema di neutralità ; ma l’arrivo , e la pre-
senza di Mecenate nella Grecia , in Atene , e nella Corte di Antonio
sconcertò tutte le pre- cauzioni , fece andare a vuoto tutte le mano-
vre , e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché per- suaso Antonio , che
Ottavio aveva operato giustamente , e che il torto era dalla parte
di Pompeo , fece lega con quello , e si dichiarò eontro di questo
(i). Con si felice succèsso ultimato l’affare , Me- .
A ( 1 ) Appian. loc. cit. 7 a cenate non
tardò nn momento a ragguagliarne con esattezza il suo Padrone , sapendo ,
che doveva esser agitato da una penosa folla di cu- re, e di
pensieri molesti. Ottavio infatti sa- peva , che la salvezza de’suoi
interessi , della sua gloria, ed anche della sua vita , dipende- va
dall’impresa , che Mecenate si era addos- sata , e che tutto sarebbe
perduto , se la fedel- tà di questo Ministro non fosse stata
incorrut- tibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua missione
, de’suoi progetti , e delle sue tratta- tive , lo stato del di lui cuore
non poteva es- sere il più felice , perchè scosso quindi, e quinci
da tutte quelle moltiplici impressioni , che sogliono mettere in
movimento in simili circostanze la dubbiezza , il timore, e la spe-
ranza ; ma ricevuta la notizia consolante , pri- mieramente in iscritto ,
e quiudi a viva voce dallo stesso Mecenate , che , tornato in Roma
, gli presentò il Trattato con Antonio conchiuso, Ottavio si
consolò , bandi ogni sollecitudine affligente , e conobbe appieno , che
l’abilità , li talenti , e piu la fedeltà di un Ministro vir- tuoso
possono alle volte salvare uno Stato, e recare un bene inestimabile al
Principe , ed alla Nazione . In seguito diede principio a
nuovi prepara- tivi militari , affinchè con questi , e col soc-
corso , che Antonio gli avrebbe recato , po- tesse rimuovere il blocco
dai porti d'Italia , 73 ricondurre l'abbondanza nella
Capitale , e mi- surarsi nuovamente col sua rivale . Antonio
intanto , fedele alle promesse fatte a Mecenate , ed al trattato
conchiuso , parti da Atene nella primavera , con una flotta di
trecento Vascelli , ed approdò a Brindisi , ove era ilquartier generale
di Ottavio . Non ostante le premure , e l’impazienza di
questo in avere il bramato soccorso , sembra , che appena si avvicinarono
le due Armate, na- scessero dissapori , e diffidenze fra li due
Triumviri. Il motivo di questa strana muta- zione resta ascoso sotto il
velo di quegli ar- cani , che la politica, e l’ambizione rendono
imperscrutabili , seppure non debba dirsi , che fu effetto di gelosia di
stato. ' Antonio già pensava di ritirarsi , e forse con
sinistri disegni contro il Collega ; già le reci- proche contestazioni
erano giunte a tal segno , che si presagiva una manifesta rottura , se
non fosse divenuta mediatrice Ottavia sposa di An- tonio , e se non
si fossero trovati al campo Mecenate, ed Agrippa , altro Favorito , e
Mi- nistrò di Ottavio . i , .b Quella donna virtuosa non
omise alcun mez- zo per dileguare dall’animo del fratello qua-
lunque sospetto, che potesse nutrire contro del marito , ma sebbene da
qdello venisse ac- colta con ogni dimostrazione tutte le volte ,
che andò presso di esso, tuttavia non ebbo mai alcuna risposta precisa, e
consolante . 74 Impaziente però dell’esitck nella
intrapresa mediazione , si rivolse ad Agrippa , e a Mece-
nate, conoscendo la grande influenza, che ave- va , segnatamente il
secondo , sullo spirito di Ottavio . Perciò essendosi portata da essi
, animata da quel vivo entusiasmo , che le veni- va inspirato dal
doppio amore , e zelo del ma- rito, e del fratello , cosi si espresse “
Otta- „ via, che vedete avanti di voi, benché nel „ più alto rango,
a cui possa giungere una „ donna , sarà per ritrovarsi ben tosto
nella „ situazione la più deplorabile , se i vostri „ consigli non
prevengono i mali , che essa „ paventa. Sorella di Ottavio, e moglie
di^ „ Antonio , Roma , l’Italia, e le Armate aspet- „ tano dalla
sua mediazione il loro riposo , e „ credono , che da essa soltanto
dipenda di „ poterlo ottenere , dileguando que’dissapori „ che
intorbidarono l'alleanza recentemente ,, fra quelli conclusa . Ah! quale
sarà lamia „ sorte , se non potrò disarmarli ? Senza pa^ „ ce tutto
è a temersi per me; si tratta di „ un fratello, e di uno sposo. In istato
di „ guerra io dovrò piangere l’uno , e l’altro „ per sempre . La
vostra virtù, la publica „ stima , e quella di Ottavio verso di voi
, „ potranno contribuire decisamente alle mie ,, premure ; ed io
saprò mostrarvi tutta la ,, mia riconoscenza , se la tùia mediazione
, ,, avvalorata dalla vostra, influenza , preude- che
prima di due mesi non avrebbe potuto agire nuovamente . ' ,
Questo disastro di Ottavio risvegliò il co- raggio , e le speranze
degli amici segreti di Sesto , che stavano in Roma , e nelle
Provin- cie , e credendo, che egli volesse profittare de’vantaggi,
che gli recavano inaspettatamen- te gli elementi , già prevedevano la
distruzzio- ne di quello , ed il trionfo del successore del gran
Pompeo. > Ottavio , prevenuto di qneste circostanze da
esso presagite per una conseguenza quasi naturale della sofferta
disgrazia , spedi con- tutta sollecitudine Mecenate nella Capitale
; ove giunto non mancò in primo luogo di dissi- pare ogni
inquietezza dall’animo degli amici del suo padrone ; quindi seppe
prendere mi- sure cosi giuste contro li malintenzionati , che
furono costretti a rientrare nella taciturnità , e nel silenzio ; e la calma
tornò nella Città . Non può non ravvisarsi , che Pompeo in
que- sta occasione non seppe approfittarsi delle cir- costanze
favorevoli , che gli somministrava la mina della Flotta del suo rivale .
Egli si con- tentò di vedere la sua fuga , o piuttosto la sua
ritirata , credendo , che non potesse mole- starlo ulteriormente ; ma in
ciò non agi con tutta quella previdenza , degna di un bravo
Capitano , giusta la riflessione dello storico 7 «
Appiano (r). Se esso avesse assalito Ottavio nel disordine , in cui
lo aveva gettato la tem- pesta, avrebbe senza meno riportata una
vit- toria completa , e forse decisiva , e gl’inte- ressi del suo
partito avrebbero sicuramente migliorato . In fatti Ottavio
rimase talmente sconcerta- to dalla tempesta , e dai torbidi in Roma
acca- dati , che voleva abbandonare l’impresa, e lo avrebbe fatto ,
se Mecenate , che conosce- va l’attuale situazione delle cose , e
prevede- va politicamente il futuro , non lo avesse per- suaso
diversamente . Egli gli fece conoscere , che Roma soffriva per la fame;
che la fazione di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta , che le
mormorazioni del popolo non sarebbero cessate , finché non si fosse
quello allontanato dai mari dell’Italia , e scacciato dalla Sicilia
; che se gli elementi avevano malmenata , e re» sa momentaneamente
inservibile la sua Flotta , quelle di Lepido , di Agrippa , e di
Statilio Tauro trovavansi ancora in buon stato ; che perciò
bisognava con costanza proseguire la spedizione , e profittare
segnatamente dell’er- rore commesso dal nemico dopo la tempe- sta
(a) . In vista di tuttociò Ottavio segui li consigli (1
) Loc. cit. ( a) Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou Tom. 18
. 79 del sno Ministro , e mentre questo
conteneva in Roma Io spirito de’faziosi , e sopprimeva le scintille
del malcontento , con una condotta degna del piu grande politico , quello
si occu- pò di rimediare ai disastri della tempesta ; ri- sarcii!
vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri a quelli perduti ; ed in tali
operazioni agi con tanta celerità , che nella prossima estate si
trovò in istato di uscire nuovamente in mare con forze eguali , ed anche
maggiori di quelle della scorsa campagna . La sorte però non
aveva ancora rivolto le spalle a Pompeo , e tuttora gli si mostrava
be- nigna . Imperciocché venuto alle mani con Ot- tavio , e datasi
una battaglia campale , que- sto fu totalmente disfatto , e non salvò la
vita, che dandosi ad una fuga precipitosa accompa- gnato da un solo
soldato (i) . Questo novello rovescio tornò ad infiamma' re
la testa ai partitanti di Pompeo , perchè Mecenate si era allontanato da
Roma . Ma egli anche questa volta seppe riparare ed alla per- dita
de’ vascelli , ; ed ai disordini , che accade- vano per opera
de’Pompejani . Si spedirono immediatamente degl’ordini a
tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a Marco Agrippa Ammiraglio
sperimentato, per- chè accorressero con le loro Flotte iuajuto .
In seguito Mecenate volò in Roma , ove tro- ( 1 ) Appian.
loc. cìt. Digitìzed by Google So vò
, che il male era maggiore di quello , che si era creduto ; ma non per
questo si sgomen- tò l’anima sua intraprendente . Facendo uso di una
fermezza senza pari , e di misure con tut- ta la saviezza applicate ,
seppe sconcertare an- che per la seconda volta li progetti
sediziosi de’seguaci di Pompeo , alcuni de’quali più in- quieti , «
recidivi condannò all'estremo sup- plicio , ed in tal guisa ricondusse il
buon or- dine , la quiete , e la sicurezza nella Città (i ).
Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di Marco Agrippa , che ,
obbediente agl’ordinl ricevuti , era accorso in ajuto , e più
incorag- gito dalla presenza di questo fedele , ed intre- pido Ammiraglio
, riprese arditamente l’offen- siva , attaccando replicatamele le Armate
di Pompeo ; questo non lasciava di difendersi , e di schivare
gl’incontri , che potevano essere dubbiosi , e comprometterlo ; ma già si
avvi- cinava 1’ estremo periodo della sua brillante carriera , e la
Parca crudele già gli andava preparando quel destino ferale , cui fu
sotto- posto sulle spiagge Africane l’iufelice suo ge- nitore
. Dopo differenti parziali combattimenti , la Squadra di
Ottavio , commandata da Marco A- grippa , si azzuffò con quella di Pompeo
. C’urto fu de'più formidabili , e si combattè con furore da una ,
e dall’altra parte ; infine però ( 1 ) Appian. loc. cit.
8i la vittoria si dichiarò a favore di quello , e la
Flotta di questo ebbe una rotta cosi spavento* 6a , che sarebbe restato
egli stesso prigionie- ro , se non fosse fuggito sù di un piccolo
Bri- gantino, ritirandosi in Messina. Quivi appena giunto gli
fu recata la dispia- cevole notizia , che il resto della sua
Armata, sfuggita all'eccidio , era passata sotto le ban- diere nemiche
. Allora riflettendo più seria- mente alla sua salvezza , fuggi ancora da
Mes- sina con poche navi , che gli erano restate fe- deli, dopo
avere imbarcato la figlia , il dana- ro , gli amici , e tutte le cose
preziose ( i ) an- dò errando qua e là per l'Asia , ora con prospe-
ra , ed ora con iufelice fortuna . Finalmente, per ordine segreto di
Marco Antonio fu messo a morte in una Città della Frigia (a^ .
La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo ri- colmò di gioja il
giovane Ottavio , perchè si vedeva liberato da un pericoloso , ed
inquieto rivale , ma in questa istessa circostanza ebbe 1 *
occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido, Collega nel Triumvirato , e
quello , che , in privato , forse più degl' altri aveva abu- sate
della potenza usurpata . Lepido aveva comandata una Flotta
nella ( i ) Dion. lib. 49 . (n) Strab. lib. 3 . Vellej.
lib. a cap. 790 87 . Oros. lib. 6 cap, 19 . Usser. Annal.
pag. 434. i F pigitized by Google
8a guerra testé riferita , ed anche egli aveva in parte
contribuito all’ esito vantaggioso dell’ impresa . Dopo qnella battaglia
campale , in cui Pompeo fu rotto , e fuggi , nacquero delle
contestazioni tra quello , ed Ottavio , o per- chè Lepido voleva
attribuirsi tutto il pregio della vittoria , o per altra ragione non
bene nella Storia conosciuta . Tali contestazioni avevano anche
preso un aspetto serio , e peri- coloso , e si potevano temerne
conseguenze disgustose. Mecenate , cui rincresceva altamente
, che , appena spento il fuoco di una guerra civile * dovesse
accendersene un' altra , cercò di prevenirla con una di quelle politiche
risorse, di cui egli era capace . Nella Flotta di Lepido vi
erano già degli amici, e partigiani di Ottavio , il cui nume- ro si
era aumentato inseguito delle surrife- rite contestazioni . Si aprirono
delle rela- zioni con questi ; delle giudiziose istruzioni, che
vennero loro comunicate , li prevenne- ro del progetto ., che si meditava
. Lepido non era amato dai Soldati , e perciò lo svi- luppo dell’
intrigo, non incontrò ostacolo al- cuno , e fu sollecito , e
vantaggioso. All’ improvìso l’intiera Flotta di quello pas-
sò ad unirsi alla Flotta , ed agl’ interessi di Ottavio,. IUrdasto
abbandonato , solo , ed inerme , si vide Lepido ridotto in una si-
tuazione incapace affatto a reali zzarp qualche Digiti;
,b)i£,oogIe. «3 idea di civile discordia , che forse
andava machinando . Che anzi , siccome egli era di nn animo
de-» iole , e di carattere vile a fronte delle di- sgrazie , cosi
temendo maggiori sciagure , si portò supplichevole ad implorare la
clemen- za di Ottavio . Alcuni avrebbero voluto la di lui perdita ,
ma questo si contentò di spogliarlo di quella autorità, di cui era
rive- stito , e di ridurlo ad una vita privata . „ In tal
modo ( secondo l’espressione di ,, Appiano ) Marco Lepido , uomo di si
gran- „ de impero , ed autorità , che aveva pro- „ nunciata la
Sentenza di morte contro tanti „ Cittadini di nobile , ed illustre
lignaggio^, „ fu balzato dalla volubile , e fallace fortu- „ na ;
in guisa che con abito privato , ed in ,, atteggiamento di colpevole al
cospetto di al- „ cuni di quelli stessi da esso condannati , fu „
ridotto a vivere senza riputazione , ed a „ morire ignominiosamente . ( i
) Ottavio, sistemati gli affari delle nuove Provincie
aggiunte alla sua Dominazione dopo la fuga di Pompeo , e la destituzione
di Lepi- do , fece ritorno in Roma . Il suo ingresso fu un Trionfo .
Fu accolto con entusiasmo, e con applauso dal Senato, e da tutti gli
Ordini de’ Cittadini , perchè credevano, che ai ton- fi) App.loc.
cit. Dion. lib. 49. Sveton. in Octav.Art. 16. F a
I 8 4 bidi passati sarebbe snccednto l'ordine ,
l’ab* bondanza , ed una pace generale ; ed erano cosi persuasi di
questo novello sistema di co- se , e segnatamente della pace , che
inalzarono in onore di Ottavio una colonna con questa Iscrizione
" Il Senato , ed il Popolo Ro- w mano hanno inalzato questo Trofeo a
Cesa- ,, re Ottavio , perchè ha stabilita la pace ge- „ nerale per
mare , e per terra , che prima M era bandita da tutto il Mondo .
(i) Roma infatti cominciò subito a respirare . Lo spirito di
partito cominciò a dissiparsi , ed una reciproca confidenza già assicurava
la quiete di ognuno, tanto in quella Città , che .nelle Provincie
. Quello però , che contribui più d’ogn’altro, mediante la
sua incomparabile prudenza , alla tranquillità dell’ Italia , e di Roma,
fu il no- stro Mecenate . Si è già veduto , che Ottavio,
allorquando era occupato nella spedizione con- tro Sesto Pompeo si era
più volte servito de’ talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza
di qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del «uo partito
nella Capitale . Da ciò si rileva chiaramente , che già fin d’allora lo
aveva nominato Governa tore , o Prefetto di Roma , e che di questa
carica sublime era pur auco rivestito nell’epoca, che ora si
descrive. • . . • • - .O (i) Appian. loc, cit,
■ . . * Queste j ed altre simigliane contestazioni
reciproche diffusero le prime elettriche scin- tille , foriere del
turbine devastatore -, che in breve sarebbe andato a precipitarsi
sull’oriz- zonte politico di Roma, e formarono l’oggetto, e la
materia a que' pretesti^ che aveva già Mecenate preveduti .
Non bastava però ad Antonio di aver offeso in tante guise Ottavio ,
ed il Senato , e di aver commesso , per dir cosi , in Oriente tanti
delitti a disonore del nome Romano . Per colmo della sua sfacciatagine ,
o piuttosto cecità , volle aggiungerne un altro . Mentre la
virtuosa Ottavia gli dava argomenti li più sinceri della sua conjugale
premura , del suo zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò
bruscamente , e la ripudiò , per immergersi pienamente negli amori
illegìttimi di Cleopa- tra ( l ) • Questo fatto clamoroso , e degno
di tutti li rimproveri , rivoltò contro di esso la publica opinione ed in
Roma , e nel Se- nato , e nell' Italia , ed in tutti que’ luoghi ,
ove erano conosciuti li pregi , e le virtù' della. Sorella di Ottavio .
Allora si ravvisò appieno, * (r) Plutarc, in Ant, i .
> . i 88 che la condotta di
Antonia offèndeva ornai troppo manifestamente la grandezza Romana ,
il decoro del Senato , eia purità della Costi» tuzione ; che in
consequenza non era più de* gno di comandare , nè doveva , nè
poteva ulteriormente tollerarsi . s La guerra adunque fu
dichiarata contro di quello , ed i Romani diedero principio ad una
operazione bellicosa , che doveva cagionare la perdita totale del sistema
Republicano , e nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi gli
estremi accenti , e l'ultimo anelito della loro spiraute IjhljrtA .
b*;ù»q.**6J«swi i»y: Ottavio prima di allontanarsi da Roma per
portarsi a combattere Antonio , raccomandò la cura di questa Capitale , e
dell'Italia al suor Mecenate , che tuttavia esercitava la Prefet»
tura dell’ una , e dell’altra . La tante volte sperimentata fedeltà di un
cosi abile Ministro * rassicurava pienamente il di Ini animo , ed era
del tutto persuaso, che nella sua lontananza , e durante questa nuova, e
civile discordia , gl* interessi del suo partito non avrebbero
sofferto alterazione veruna . Con questa fidu- cia parti da Roma , e
prese il camino là dove il supremo Direttore degli umani avvenimenti
lo chiamava per divenire il primo, ed il più potente Monarca del Mondo
. Alcuni hanno creduto , che in qtiestaspedr- sione militare
Mecenate seguisse Ottavio , e che anch’ esso si trovasse presente alla
memo» Digitizèd by Google rablle bavaglia di
Azio . Dedussero questa credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora*
zio Fiacco , nella quale il Poeta si fa a parla** re a Mecenate in tal
guisa “Tu dunque, o ami- ,, co Mecenate, andrai sulle agili navi
Libnr- ,, ne /disposto ad incontrare tutti i pericoli „ di Ottavio
, incontro gl’ alti bastimenti di ,, Antonio? (t) • Il
Grammatico Acrone , fondato su queste parole , sostiene , che Mecenate
non so- lo andasse nella battaglia di Azio , ma inol- tre è
d’avviso , che da Ottavio venisse nomi-* nato Comandante delle navi
Liburne \ espri- mendosi , come siegue “ Orazio parla a Me- j,
cenate , che va con Augusto alla battaglia ,, navale contro Antonio , e
Cleopatra . . », Mentre Cesare Angusto sta per andar-e .>
alla spedizione presso Azio , affidò a Me- „ cenate il comando delle navi
Liburne (a)\ che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone
•I.- . » • ?. . ■ • ^ V - (*) Epod. Od.r. - *• »■ -■
* Ibis LiburnU inter alta naviutn , ■ Amice , propugnacula
, P aratus orane Caesaris perìculun Subire, Maecenas,
tuo. • (2) Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : Mae* cenatem
prosequitur euntem ad bel/urn nasale cura Augusto adversus Antonium , et
Cleopa- tram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar Au~ gustai ,
Liburnis praeposuit Muecenatem . t _ 9 * di più
, che dopo la battaglia , e la fuga di Antonio , Ottavio ordinasse a
Mecenate d’ in- seguire li fuggitivi con le sue navi Libur- ne (
1). Il Mancinelli sembra essere dello stes- so sentimento , dicendo „
Anche Mecenate „ segui Augusto contro Marco Antonio , e ,,
Cleopatra presso Azio , Promontorio di „ Epiro (a) • Segnaci di Acrone ,
e del Man- cinelli sono Stati il Turnebò ( 3 ) , il Mcibo- mio (4)
, il Cenni ( 5 ) ed il Volpi (6 ) . Il Torrenzio però, sull’autorità
di Dione Cassio, e di Virgilio , è di contrario parere . ,, Deggio
avvertire , ( dice egli ) che nella „ celebre battaglia presso Azio , non
fu pre- ., sente Mecenate , il quale in quell’ epoca „ era Prefetto
di Roma , e dell’Italia, come », rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ;
Di „ più Virgilio , che fa menzione del solo ( 1) Suppl. in
Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae - sar misso curri Liburnis Maecenate ,
qui lori- gius insequeretur fugientes , ad honores Deo - rum , a
quibus adjutus credi volebat , se con- tulit. ». fa) Com. in
1. Epod. Secutus itera Augu- stum Maecenas est contra M. Antonium ,
ef Cleopatram apud Actium Epici Promontórium . _ ( 3 ), Com. in 1 .
Epod. Horat. v. . .. (4) Vit.C. Cilnj Maecenat. ( 5 )
Vit. di Mecenate lib.i. Postil.9. -, (6) Lat.vetus
tom.io.part.x.pag.a37. Digiti; ile
,> Agrippa , e che lo eguaglia allo stesso Otta- » vio, non
avrebbe omesse le lodi ancora „ del suo Mecenate , se anch’esso si fosse
tro- ,, vato in quell'azione . Laonde Orazio scria» >» se questa
Ode nel supposto della futurapar- „ tenza di quello . ( i )
Su tale articolo sembra , che il sentimento di questo Comen tato re
sia il più giusto , ed il più fondato „ se si legge con qualche ri-
flessione ciò che narra il suceennato Dione , e prima e dopo la disfatta
di Antonio , e di Cleopatra presso Azio . Imperciocché con tntta
chiarezza rilevasi dagli scritti di que- sto autore che Mecenate era
Prefetto di Ro- ma , e quando Ottavio parti per la spedizione
contro Antonio , e durante 1’ epoca della me- desima , e dopo la
riportata vittoria , come si è anche accennato di sopra . Di
più Velie jo Patercolo (a) descrivendo la ( O Co®- in Epod. : Illud
monendum me existimare , celebri ad Actium pugna non in- terfuisse
Maecenatem tane temporis Romae , et Italiae administrandae Pracfiectum ,
tjuod significare videtur Dion. lib.5l. Virgilio» sane solius
Agrippae Theminit , insigni laudatione ipsum Caesari aequiparens , non
omisurus Maecenatem suum , modo adfuisset . Quare carmen hoc sola
opinione futurae profcctionis tcripsit Horatius . (a) Lib.a,
art. 85.: Dcxtrum navium } ur- 9 * sudetta
battaglia di Azio * domina individùak mente l'Ammiraglio , ed i Comandanti
subal- terni della Flotta di Ottavio > e non fa pa-» loia di
Mecenate , il quale * secondo Acro- ne , sarebbe stato il Comandante
delle navi Liburne. Ecco le parole di Vellejo „ L’ala ,, destra
delle navi di Ottavio fu affidata a „ Marco Lario, la sinistra ad
Arunzio, ed >, il centro ad Agrippa , Ammiraglio di tutta „ la
Squadra . Ottavio f che trovavasi per ,, tutto, era destinato dovunque
veniva dal* ,, la fortuna chiamato,. Torniamo in sentiero.
Ottavio lasciata la direzione degl’ affari di Roma , e dell’ Italia
a Mecenate , come si è detto , si portò in Brindisi , ove era
ancora-, ta la sua Flotta . Essendosi quivi imbarcato , fece vela
verso l’Epiro , onde avvicinarsi ad Antonio, che già stava nella Città di
Azio, e che aveva adunati li suoi Vascelli nell’ in- gresso del Golfo
di Ambracia . Ottavio entri nello stesso Golfo , e si disponeva a dare
una battaglia; ma avendo osservato, che il suo equipaggio non era
completo , e che non era prudenza azzardare un fatto in luogo si
angu- sto, si tirò in alto mare , lasciando il suo nemico nella
primiera posizione . r '■:> > 4 . ‘J> i'.i
lianarum corriti M. Lario commitsum , laevum Aruntio , Agrippae
omne classici certamìni s arbitrium ; Caesar ci parti destinatili ,
in, quam a fortuna vocaretur , ubique adertiti Intanto
giunse ad Antonio con varie Legio* ni Canidio . Questo Generale Romano ,
che seguiva sinceramente il partito di quello , avendo veduto
Cleopatra nel Campo , lo con- sigliò a doverla assolutamente allontanare
, sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in mezzo all’Armata . Lo
consigliò inoltre ad evitare una battaglia navale , ed a portarsi
nella Macedonia , ove con il soccorso del Re de’ Gesti , avrebbe
combattuto per terra , e la vittoria non sarebbe stata dubbiosa .
Non ostante la saviezza di questi consigli prevalse 1’ influenza
della Regina di Egitto , e fu riso- luto di combattere sul mare .
Non solo Canidio , ma ogn 'altro sperimen- tato Militare conosceva
, che l’ esporsi ad una battaglia navale , era un errore . Infatti
mentre Antonio trascorreva la Flotta , e dava gli ordini opportuni >
uno de’ suoi vecchi soldati , ricoperto di ferite gli disse ad alta
voce ,, Come , o Signore , andate a confidare » la vostra gloria alla
meschina , e pericolosa « risorsa di una battaglia di Vascelli? La-
„ sciate, lasciate il mare alli Egizj , ed ai „ Fenicj , che sono nati
per questo elemen- *' e mettete a combattere li Romani sul „
Continente . Se allora periremo , la nostra ,» morte sarà da veri Soldati
, e sarà com- „ pensata dalla vita de\nostri Nemici . An- tonio nou
rispose al Soldato , e persisti per 94 sua
disavventura nel Piano stabilito . (i) Essendo stato il mare per alcuni
giorni furiosamente agitato non si fece alcun movi» mento nè da una
parte , nè dall’altra: Essen- dosi in fine calmato , ambedue le Flotte
po- sero alla vela per dar principio ad una bat- taglia , che
doveva decidere della sorte del Mondo; Il sudetto Vellejo accennando il
gior- no di questa battaglia memorabile , cosi si esprime 6
dolore , e della sua disperazione . Lacera le proprie vesti , si
percuote il volto , ed il petto, e chiama replicate volte il suo
amante con nomi non meno teneri , che rispettosi ; Antonio , benché
prossimo ad esalare lo spi- rito , tuttavia non è meno occupato di
Cleopa- tra . La esorta a conservarsi , finché possa vivere con
gloria, a non rammentarsi tanto del suo tragico fine , quanto dello
splendore di sua vita, e degli onori, ond’ essa lo aveva veduto
circondato ; Ed a riflettere , che egli non era stato vinto , che da un
Romano , dopo essere stato egli stesso il più illustre fra i Ro-
mani ; quindi spirò , pronunciando queste ulti- me parole .
Antonio ( conchiude il sudetto Storico In* glese ) aveva passata la
sna vita fra i perigli , e fra i piaceri . Era posto in paragone
con Cesare per il valore , e per la capacità mili- tare ; ma
l'amore gli fece perdere il senno , il coraggio , l’onore , la stima ,
l’affetto de’ Romani , e l’ Impero , e la vita . Cleopatra con una
morte egualmente spontanea seguì l'ombra di Antonio , ed nn monumento
istesso chiuse le ceneri dell’uno , e dell’altra .fi) (i)
Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton. in Octay.
art.i 7 . Echard. loc. cit. Digitized by Google
LIBRO III . JVlentre Ottavio in tal guisa
trionfava nell’ Egitto del sno rivale , ed ultimava con tanto
successo qnest3 guerra Civile , si atten- tava tacitamente alla sua vita
nel senoistesso della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la
fedeltà , Vattaccamento ? e la vigilanza di Me- cenate .
Marco Lepido il giovane aveva dei risenti- menti particolari contro
di Ottavio , e nutriva nel petto un odio mortale , perchè 1’ ambi-
zione , e prepotenza di lui avevano balzato Marco Lepido il padre da
quella superiorità, e e da quel potere, che gli dava il
Triumvirato,© lo avevano ridotto a menare una vita oscuta , e
negletta . Era questo Giovane Romano figlio di Giunia , sorella di Bruto
morto nella bat- taglia di Filippi : Egli voleva adunque vendi-
care nel tempo stesso , e la morte dello zio , e l’avvilimento del padre
. (i) (i) Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum ultimam
bello Actiaco , Alexandrinoque Cae~ sar im ponti manum , Marcus Lepidus
,juvenis forma , quam mente melior , Lepidi ejus , qui T riumvir
fuerat Reipublicae constituendae , fi- li us , Iunia Bruti torore natus ,
interficicndi^ io8 Formò a tale effetto una
pericolosa congiu- ra per uccidere Ottavio , qnando dall’Egitto
avrebbe fatto ritorno in Roma . La cospira- zione non focosi segreta, che
non giungesse a notizia di Mecenate Prefetto di Roma . Egli seppe
con tanta quiete , e simulazione pene- trare il nero progetto del
traditore , e con tanta celerità impedirne le consequenze fune-
ste, che Lepido venne arrestato, giudicato, convinto , e condannato all'
ultimo supplicio , senza che venisse punto alterata la tranquillità
di Roma . In tal guisa Mecenate , secondo Vel- iero ( i ) , con una
sorprendente destrezza seppe spegnere le perniciose scintille di
una nuova, e rinascente guerra Civile . Servilia moglie di
Lepido , forse complice della congiura , non volendo sopravvivere
al marito , nè soggiacere aH’obbrobrio , ed alljt «
timul in Vrbem revertissct , Caesaris Consilia inierat .
( i ) Loc. cit. Tunc Urbis custodiis praeposi- tus Cajus Maecenas
.... Hic speculatus est per surnmam quieterà , ac dissimulai ione
nt prae cip itis consilia J uvenis , et mira celerità- te ,
nullaque cum perturbatione aut hominum , a ut rerum , oppresso Lepido ,
immane novi , ac resurrectui i belli civilis restinxit initium , et
ille quidem male consultoruni poenas exsol - log
pena dovuta, si uccise da se stessa con aver* inghiottiti de* carboni
ardenti . (aj Anche Giunia moglie del vecchio Lepido fu
accusata di complicità in questa congiura del Figlio ; ma contro di essa
non esistevano , che semplici sospetti; tuttavia Mecenate la obligò
a dare la cauzione nel Tribunale di Balbino, (i) Liv. in
Snpplero.lib. i 33 . art. 72. Ser- vilia Lepidi Vxor curn superesse viro
non sub- stinerct , et diligenti familiarium custodia ni - hil
adipisci mortiferum posset , pruuis ar- xlentibus deVoratis , vita
abiit\: Vellej. loc. cit. Aequatur praedictae Calpurniac Antistii ,
Ser— vilia Lepidi Vxor , quae vivo igne devorato , praematuram
mortem immortali nominis sui pensavit memoria Roberto Riqucz nelle
irate a questo articolo di Vellejo, fa le se- guenti osservazioni
relativamente aCalpnrnia. Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito
comuneme nte a Porzia moglie di Bruto . In- fatti Valerio Massimo ,
esatto Scrittore del Secolo , in cui si suppone accaduto quel fatto
, non ne fa menzione . Di poi la moglie di Lepi- do non fu Ser
vilia , ma Antonia figlia del Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa
negare la verità del fatto a Vellejo , 1. perchè Lepido, ripudiata, o
morta Antonia, potè passare alle seconde nozze con Ser vilia ,* 2.
perchè Eliano Var. Histor. lib. 1 4 - cap.45. an- novera fra le illustri
D ame Romane una Ser’» vilia . ,!*• uno de’
Consoli . Allora Lepido di lei marito si presenta a questo, e cosigli
parla" Voi „ sapete con certezza , o Balbino , che io „ non
sono stato complice del delitto di mio „ Figlio , e sapete egualmente ,
che non ebbi „ parte alcuna il quell’Editto di proscrizione „
emanato , quando la sorte mi faceva domi- ,, naie , e nella quale foste
anche voi com- „ preso . Se rifletterete per un moménto „ alla mia
passata grandezza > io spero , „ che alla vista di un supplichevole ,
di cui „ rispettaste altre volte li decreti, sarete „ per
ascoltarmi con cuore placato . Giunia „ mia consorte non ha che me per
adempie-- „ re alFohbligo , che gli è stato ingiunto . Ri- „
cevetemi adunque per la sua cauzione , o „ permettete , che io vada fra
le prigioni con „ essa ,, Balbino sensibile alle preghiere di un
uomo, che prima del cambiamento della sua fortuna, la potenza aveva reso
formidabile ai Romani , e conoscendo ancora del tutto insus-
sisteute l’accusa contro la sudetta Gunia pro- mossa , dichiarolla
innocente ( r ) . Intanto Ottavio avendo posto fine alla
guer- ra di Egitto, al Triumvirato , ed alla esisten- ^ dell’ unico
competitore , che gli restava , fece ritorno in Roma ove fu accolto con
in- compreusibile allegrezza; vi trionfò per tre giorni, e chiuse
il Tempio di Giano, che. / (i) Appian. lib.4. Catrou
loc. cit. per il corso di dne secoli , era stato
aperto. Benché rimasto solo padrone della vasta do- minazione Romana
, tuttavia non cercò , che di farsi amare con le maniere popolari ,
ed affabili , con le sue liberalità * e con le più sa- vie
disposizioni prese e per il bene publico , e per quello di ciascun
Cittadino in partico- lare . Mecenate , che gli stava al
fianco , e senza il consiglio del quale per cosi dire , Ottavio non
faceva passo , non mancò di fargli pren- dere tutte quelle determinazioni
necessarie per preparare insensibilmente l’esecuzione di quell’
ardito progetto-, che già da gran tem- po andava meditando .
In fatti la condotta di quello, dacché ritor- nò dall'Egitto , fu
tale, che il Senato, il Po- polo , e tutti gli ordini dello Stato già
senti- vano gli effetti di un Governo Monarchico , benché ognuno
fosse persuaso , che la Repu- hlica andasse a momenti a riprendere
l’antico suo lustro , e splendore . Ottavio però mostravasì
indeterminato, e dubbioso* se dovesse salire sul Trono , o se
dovesse rientrare nella classe di semplice Cit- tadino , ristabilendo
laRepnblicà nel suo sta- to primitivo . Da una parte gli si
affacciavano all’ immaginazione agitata li pericoli , a cui la sna
potenza quasi illimitata poteva esporlo ; richiamava al suo pensiero il
crudele destino di Giulio Cesare suo padre , e li rimproveri ,
112 che gli aveva fatti Antonio altre volte ,» che „
egli travagliava meno per il publico bene , „ che per la sua propria
grandezza,, dall’al- tra parte si lusingava , che la Republica ,
stanca dai furori delle guerre civili , preferi- rebbe un giogo pacifico
, e salutare ad una in- dipendenza funesta , bastante a richiamare
tutti gli orrori passati . Credeva anche di ri- marcare , che il Popolo
Romano avesse perdu- to lo zelo geloso , e l’amore costante per la
libertà ; che il Senato non avesse più P infles- sibile fermezza , che
era scoglio alla Tirannia; e che ad ambedue mancassero Soggetti capaci
, ed intraprendenti per formate una formidabile Fazione . ( i
) Queste riflessioni, e la sua indetermina- zione era un peso
, che Ottavio portava con pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene
nel seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’ab- biamo già
osservato , uno era Agrippa , Uomo tanto sincero ne suoi con sigli ,
quanto era in- trepido nelle battaglie . Unito alla Corte di
Ottavio fin dall* infanzia , crasi acquistata la sua stima, e la sua
tenerezza più ancora con l’esatta sua probità, che per
gl’importanti eervigj nelle armi ; era un guerriero de’ tempi
antichi paragonabile ai Curj , ed ai Fabri- ( i) Catrou Tom. 19.
lib. 5 . Echard. lib. 3 . cap. 7. 1 13 cj i fi)
L'altro era Mecenate . Dal fin qui detto abbiamo conosciuto , che egli
era un amico disinteressato di Ottavio , fornito di uno spirito
franco , e leale * il Politico più raffinato del suo tempo , il più
destro, ed il piu giudizioso de’ Cortegiani . Agrippa adun- que, e
Mecenate consultò Ottavio per fissare la sua irrisolnzione , e per
decidere sul gran- de oggetto . Agrippa parlò il primo con una
fermezza, conforme alla rettitudine del suo cuore , all’ amore , che
aveva sempre con- servato per la sua Patria, ed alla riconoscen- za
, che doveva al suo Padrone (a). , „ Se io avessi di mira ( diss’
egli ) li miei ,, interessi soltanto , vi esorterei a profitta- „
re all’ istante delle circostanze del tempo , „ e a divenire il Padrone
assoluto della Ro- ,, mana grandezza ; ma, facendo usodiquel- „ la
sincerità propria del mio carattere , e fi) Catrou loc. cit.
(a) Dion.lib. 5 a. pag. 61 1. : Hoc autem anno vere iterum pencs
unum Hominem s u /ri- ma rn totius Reìpublicae esse coepit ,
quamquam armorum deponendorum , resque omnes Sena- tus,Populique
pot est atit rade ndi consiliumCae- Sar agitaverit ; ad quam
deliberationem , curi Agrippam , Maecenatemque adhibuissct , nani cum
his de omnibus suis arcanis communicara solebat , prior inhanc sententiam
Agrippa lo - cutusest . * II J‘4 »
già da voi altre volte sperimentata , credo , „ o Cesare, clic bandito
ogni privato riguardo „ debba parlarvi , e manifestare il mio
senti- „ mento per il vostro , e per il publico bene . ,, È
principio certo in Politica , che il „ sottoporre ad un governo
Monarchico un „ popolo geloso della sua libertà , forma un „ opera
dilEcile ed eseguirsi . L’amore della ,, indipendenza nasce con noi , ed
è un attri— „ buto quasi necessario dell’umanità. Que- „ sta
inclinazione universale in tutti gli uo- 5 , mini aumenta , o s’
inde.bolisce per mezzo ,, dell'educazione , ed è più , o meno
poten- ,, te , secondo i pregiudizj della Nazione * ,, nella quale
abbiamo avuto la sorte even- „ tnale di nascere . Perciò la natura , li
co- „ sfumi, l’edutazione , e la lunga abitudine ,, dovranno
rendere ai Romani insopportabile „ il dominio di un solo . „
Li popoli assuefatti al giogo di un Padro- „ ne hanno un debole
sentimento di quella „ generale pendenza, che la natura ispira „
per la libertà ; ma quelli al contrario , cui ,, per successione è stata
trasfusa la massi- „ ma, vera o falsa che sia , provarsi cioè ,,
minor servitù in un Governo formato da „ Magistrati di loro scelta , si
rattristano ,, altamente , e fremono al solo pensiero di ,, un
Sovrano . Potrà la forza tenerli per qualche tempo soggetti, ma questa
forza „ istessanon sar» giammai capace a distrug- Digitized
by Google m5 „ gere ne’ cuori quel germe vivifico, che
la „ natura v’ infuse , e che dalla educazione ,, venne quindi
allentato . „ Finora , o Cesare , le vostre imprese „ sono
state legittime, e la gloria da voi „ acquistata, non ha in veruna guisa
scema- „ to lo splendore della vostra virtù . Imper- ciocché nella
guerra di Perugia opprimeste „ degli ambiziosi , che col pretesto di
ven- „ dicare la morte di Giulio Cesare , preten- „ devano
d’inalzare un Trono sulle ruine del- „ la Dittatura . A Filippi purgaste
la terra „ di due assassini di un Zio , che vi aveva „ adottato per
figlio . La Sicilia , invasa da „ un Tiranno , che spacciandosi per
difenso- „ re della Repilblica , ne cagionava la mina , „ fu
liberata dalle vostre armi . De’ due Col- „ leghi, che per mezzo del Triumvirato
sa- „ peste con saviezza associarvi , uno vive „ tuttora nell’
oscurità , enei disprezzo, e ,, l’altro ha cancellato con la sua
morte il di- sonore , che recava al nome Romano . Do- „ po
tante vittorie , è giunto , o Cesare , „ l’istante fatale , incili dovete
pronunciare „ sulla sorte dell’ Universo . ,, Quale mai , e
qaanto grande sarà la vo- }J stia gloria, se , divenuto abbastanza
po- ,, tente per assoggettarlo da Monarca , sapre- „ te in guisa
superare gl'impulsi dell’amor „ proprio , che lo ridoniate a’ suoi veri
Pa- „ droni ’ Allora vedreste sollevarvi al di so- li a
1 16 „ pra de' Camilli, e dc’Scipiorti , e consa-» „
orarvi Tempj ,come a Divinità tutelare dal „ Senato, e dal Popolo ,
ristabiliti nell’an- >, tica loro autorità , e nel primitivo stato
di „ eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di ,, Cittadini appunto
noi siamo debitori della „ conquista del Mondo , e finché li Romani
>, ne furono in possesso pacifico , si viddero „ sortire dal seno
della Republica , e Gene- „ rali scelti con riflessione , e Soldati
premu- ,, rosi di rendersi degni di poter un giorno *, anch’ essi
comandare . Ah , Cesare , io >, temo , che se Roma cesserà di esser
Repu- ,, blica , cessi ancora per qualche tempo di „ vincere, e di
conquistare , ,, Quando il sistema Republicano dovesse ,,
cangiarsi in Monarchia , a quali timori, a „ quanti incarichi laboriosi ,
e pesanti non j, va a sottoporsi il nuovo Monarca , e sopra- ,j
tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li ,, Comizi > ed il Senato
riuniti affrontarono >, immensi travagli per regolare 1’ ammini-
„ strazione di tante Nazioni comprese nella „ vastità della Republica
Romana . Ora po- „ trà un solo nomo supplire all’esercizio, „ che
su di quelli gravitava, e la salute la più robusta potrà sostenere
le fatiche ine- „ renti al governo dell’ Universo ? Il solo (
1 ) Dion. lib. 5a. pag. 6i3. : JEqualitatis et nomen est speciosum >
et res j ustissima , Digttlzedb *»7
dipartimento delle Finanze non presenta ,, una sorgente
inesauribile d’imbarazzi , di „ pensieri , e di cure ? Io convengo , o
Ce- „ sare, chele rendite- dello Stato sono gran- >, di , ma
saranno sufficienti a mantenere tante „ Armate esposte su tutte le
frontiere dall’ „ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio- ,, ne
popolare si concorre agevolmente , e „ con piacere ai bisogni dello Stato
, e l'istes— „ sa avarizia cede alla ragione del bene co- „ mune .
Allora la liberalità de’Cittadini for- >, ma per essi un merito per
inalzarsi agli ono* ,, ri, ed agl’ impieghi (i) . Al contrario in „
un Governo monarchico le publiche intra- „ prese di un Sovrano sono
riguardate come „ suoi affari personali . Ognuno crede , che ,, da
quello soltanto si debba supplire del suo „ proprio tesoro a tutte le
spese del Governo , „ Ogni nuova imposta produrrà nuova que- ,,
rela , nuove satire , e nuove amarezze per „ il medesimo , e sempre con
la forza , o di „ mala voglia si vedrà il Cittadino effettuare » il
pagamento delle Tasse quantunque ordi- „ narie , e regolate dalla Legge
. „ Quale odio poi non si procaccia un Giu- „ dice universale
, incaricato di punire da se l ( i) Dion. loc. cit. :
Ubipenes Populum est Imperium , multi multam pecuniam conje - rune
, etiam ut liberalitatis opinionem conse- qunntur , ac prò Ut ho noia
mcritos adipi- scantur. ti8 >, solo tatti li
colpevoli ’ In un cambiamento i t di Governo, il numero de’ malvagi si
mol- -, tiplica all’ infinito , e li sediziosi , e mal- i, contenti
sortono , per dir cosi , dal seno ,, stesso della terra . Non potendosi
tutti ri- „ durre al buon sentiero nè colla dolcezza , „ nè
coiresempio del rigore usato con alcuni , „ sarete dalla necessità
costretto a pronuncia' i, re contro de* medesimi , decreti o d'
igno* „ minia , o di bando , o di morte , e sebbe- f , ne sarete
nel punire moderato , ciò non ,, ostante si crederà , che gli effetti
della vo- ,, stra giustizia necessaria , siano piatto- ,, sto il
risultato di un particolare risenti- ci mento . 4 i. Vedrete
inoltre li piò potenti Cittadini , „ e le famiglie de’ Patrizj accendersi
di gelo- ,, sia, e d' invidia per il vostro inalzamento „ al Trono,
e perciò non pochi di essi non „ temeranno di censurare primieramente
la >, vostra condotta , e quindi anche formare ,, delle congiure
a danno della vostra esisten- „ za , e del sistema da voi introdotto .
Se „ perciò vorrete punirli , ed umiliarli , si susciterà contro di
voi la publira indigna- zione , e se li lascerete vivere senza
oppri-* ,, merli , la vostra sicurezza , sarà compro- j,
messa , c sarete circondato incessantemen- ■„ te da mille pericoli . (
i) (r*) Dion. loc, cit. : Hos ncque , si augeri '
Digitized by Google 99 ji 9 ,, Voi solo
non potrete ultimare alcuni prò» getti, 1 ’ esecuzione de’ quali esige
indi— ,, spensabilmente 1 ’ opera , e la confidenza „ di Generali
rispettati dal Soldato per la lo- „ ro nascita . Questi riceveranno da
voi il „ comando delle Armate, ma quindi rivolge- ,, ranno contro
voi stesso quelle forze , che ,, ad essi affidaste . A quale espediente
allo- ,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà , che „ facciate uso d’
individui di vile estrazio- „ ne . Questo rimedio però potrebbe
com« „ promettere la tranquillità dello Stato, eia 33 vostra gloria
; imperocché , se per caso 3, questi nomini oscuri riescono nelle
impre- „ se, diverranno insolenti , se poi soccombo* ,3 no , a voi
solo sant addebitata la perdita . ,, Ah ! Cesare , preferite pure ,
preferite. „ le dolcezze di una vita tranquilla all’ im- 33 barazzo
di una potenza tumultuosa . Un ,, momento di piacere puro , e solido è
supc- 33 riore a tutto il fasto della grandezza. „ Che cosa
pretendo conchiudere da tatto- ,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio
forse 33 violentare il vostro animo a rinunciare per „ sempre a
quella superiorità , che avete „ coll’ armi acquistata ? Nò certamente :
io „ vi darei un consiglio pregiudizievole , se ,, vi esortassi a
restituire la Republica al Po- „ polo Romano nella situazione, in cui
si pattare , tutus vivet , neqiie si opprimere ca- ncri}
,juste ages . „ ritrova al presente ; essa ha bisogno di ri-
j,, forma, prima che gli antichi Padroni ne „ vengano ripristinati al
possesso . „ Profittate pertanto di quella Sovranità ,
,, di cui la vittoria vi ha rivestito per miglio- „ rare quel campo
, che avete acquistato, e ,, perseverate nell’ esercizio della
medesima ,, per tanto tempo , quanto sarà necessario „ per
ristabilire le Leggi , richiamare la prat- „ tica' delle antiche
costumanze , corregere li », abusi del Comiz'o , reprimere 1’
ambizio- ,, ne della Nobiltà , porre de’ limiti alle pre- „
tenzioni del Senato , moderare il potere de’ „ Tribuni , regolare
l’uso delle Finanze , e », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani
. Quanto glorioso allora sarà per voi di com- „ parire da
semplice Cittadino in uno Stato, / >, di cui foste il Ristoratore !
Siila autore di », tante proscrizioni , ed il carnefice della sua
», Patria , seppe dimettersi a tempo , e mori », rispettato , e
tranquillo . Giulio Cesare „ vostro Padre, il meno sanguinario
degl’Uo- „ mini, e il più inclinato a perdonare , fece ,, perpetua
la sua Dittatura , e trovò degli », assassini frà li suoi amici più cari
. M discorso di Agrippa fece una forte im- pressione sullo
spirito di Ottavio . Egli forse avrebbe abbracciato il sistema da quello
pro- posto , sagrificando le sue vittorie al ristabir limento della
Repubbra , ma Mecenate, es- sendo di contrario sentimento , entrò
neH’are- ~Diqitizécl TSyGoogle 121 uà , e
parlò con tale facondia, e vivacità, che ottenne nna completa vittoria
sullo spirito di Augusto . „ Se si trattasse ( rispose egli ) „ di
delineare un Campo , e di prendere del - „ le misure per dare una
battaglia , io non „ oserei di parlare in presenza di Agrippa ; ,,
ma , aggirandosi la discussione intorno a „ materie politiche, credo di
potere con sin- ,, cerità azzardare il mio giudizio, avendo „ su di
quelle lungamente riflettuto , e trat- ,, tato non poehi affari dello
Stato in diffe- „ renti , ed anche difficili occasioni . Com- „
prendo la solidità de’ dubbj proposti , ma ,, conosco ancora , che lo
scioglimento di essi „ non può imbarazzare un Eroe già Padrone ,,
sovrano , e capace d* ultimare colla sua ,, prudenza ciò , che ha
incominciato colla ,, forza . „ La Republica, o Cesare, è
caduta in „ uno stato d’ infanzia , ha bisogno perciò di ,, esser
messa in tutela . Ora non siamo piq „ in que’ tempi felici, in cui la
virtù soste- ,, neva questo gran Corpo , ed in cui le sue „ forze
non erano state indebolite dal vizio; ,, ma l’avarizia è succeduta
all’amore della „ povertà , l'ambizione agli onori , la tem- „
peranza alla frugalità , e 1’ incontinenza al ,, modesto pudore ; è
impossibile pertanto di ,, trovare al presente un numero
diMagistra- „ ti disinteressati, sobri, casti, virtuosi, „ e simili
a quelli , che fecero onore ai primi f aa „
secoli di Roma . Tanti mali invecchiati vi-» a chieggono una roano capace
a poterli gua- >» lire . f . Si , Cesare , voi dovrete
affrontare pe- i, santi incarichi nel prestare la vostra opera „ ad
una cura cosi difficile ; e preveggo, che ,, saranno assai grandi li
vostri pensieri, la „ vostra vigilanza , li vostri travagli ; ma „
nell’attuale stato delle cose sono divenuti i, necessarj ; e sebbene
potrebbe sembrarvi „ spaventevole un tale prospetto , tuttavia „
sono persuaso , che non avrete il coraggio „ di abbandonare il Governo
nel pericolo di ,> non ricuperare giammai la sua perfetta sa- ,,
Iute , f . Non è possibile di rimediare ai mali pre* ,, senti
con una Dominazione passeggierà . U „ ristabilimento del buon ordine in
Roma coll’ ,, ajuto delle leggi , e de’ regolamenti è un idea di
speculazione , che non può aver luo- go in prattica; bisognerebbe , che
quelle „ venissero infinitamente moltiplicate per po- „ ter
correggere li disordini , che le passioni „ hanno introdotti . Come poi
potrebbero „ trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’ quali „ fosse
abbastanza incorruttibile , e li costu- „ mi abbastanza puri per
mantenerne l’osser-? „ vanza ? „ LaRepublica è ridotta in
tali circostanze, rt che ha bisogno di una Legge vivente , che f,
ordini , e che faccia al tempo stesso ese- 133 „ guire
. Appena la maestà di un Padrone per- „ petuo basterà per imprimere il
rispetto; ,, ma che cosa accaderà , se Magistrati di un „ anno
saranno incaricati della Riforma f Li „ Cittadini indocili , e pertinaci
spereranno » r impunità nel governo di Successori più de- „ boli ,
sostituiti ai più rigorosi . E’ necessa- ,, ria una Autorità permanente
per distrugge- ,, re inclinazioni perverse , che rinascono „
incessantemente , e che non è tanto facile 99 di estirpare .
„ Voi, o Cesare, vi dovete alla Patria , „ divenitene Padrone per
sempre per sua com- „ passione. Fate sì, che il Senato sia com- „
posto di Soggetti di sperimentata saviezza ; „ confidate le vostre Armate
ad abili Gene- „ rali, e scegliete li vostri Legionarj frà le ,,
Famiglie povere , le quali porranno som- », ministrare Cittadini
eccellenti ; ma conser- ,, vate il dominio , e sulla Nobiltà , che
iin- » piegherete nelle cariche, e suiti Comandan- » ti degli
eserciti , e suiti soldati medesimi . „ Ne con ciò pretendo, che il
peso degli affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne #>
dividerete la cura con li Cittadini ptimarj „ delle antiche Famiglie ,
che renderete i ! 1 u - „ stri, con renderli laboriosi. Riguardo al
,, Popolo , bisogna regolarsi con tal cautela , „ che sia sempre
contenuto nell’ umiliazione . „ Finché li plebei s’ interessarono della
sola „ cultura delle terre , Roma fu tranquilla ; si \
I 134 « ridderò però divenire insolenti ,
allorqnan- », do , associati ai publici affari col soccorso i, de’
loro Tribuni , rovesciarono più volte la ’ Costituzione dello Stato ; c
necessario per- », tanto , che rientrino in quella subardina- »,
zione , dalla quale furono levati dalle Fa- » zioni ( i ) . „
Disprezzate le publiclie voci tendenti a », denigrare la vostra condotta
. Forse si di- „ rà , che avete vinto perii vostro solo in- „
grandimento ; ma Roma parlerà con altro „ linguaggio, quando sotto
l’ombra de’ vo- „ stri auspicj vedrassi al colmo della feli„
jy Cltil « ,, Non dovrete temere alcun attentato alla
,, vostra persona , divenuto Monarca ; al con- ,, trario i vostri giorni
saranno in pericolo, y, se , spogliato del supremo potere , rifen-
ì, trerete nella classe di semplice Cittadino ; „ .chi mai in questo caso
potrà garantirvi dal- „ la perfidia di que' scellerati , e
malconten* „ ti, che sopravissuti alla distruzione nelle », passate
guerre civili , si aggirano ancora e ,, in Roma , e nelle Provincie ?
Esistono sicu- ,, ramente de’ turbolenti partegiani delle Fa- zioui
di Sesto Pompeo , e di Antonio . Que- (i) Dion. loc. pit.: Ilio,
enimPlebis lice ris- tia , qua optimus quisque servire cogitur , et
acerbissima est , utiisque cominunem pcrniciein * ffert . . . .
nS A sti , serbando contro la vostra persona
odio, „ risentiraento , e livore , cercheranno di „ vendicare
l’affronto , che loro recaste per ,, averli vinti , ed umiliati , e col
vostro as- ,, sassinio immolare una vittima gradita all’ s , ombre
de’ loro Amici estinti o sulle cam- f> paglie di Filippi , o sulle
spiagge dell’ Epi- „ ro . Siavi d' esempio Pompeo il grande , il ,,
quale , spogliatosi spontaneamente di quel- „ la potenza, che colla
vittoria si era acqui- stata, fu miseramente ucciso, mentre fa-
ceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla : ,, Alla medesima
dissavventura sarebbero stati „ esposti ancora Mario , ed altri potenti
Cit- „ tadini , ie non l’avessero prevenuta colla morte. (i,) • t
> *■ (i) Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet , ubi
omnes res , uti mine ace sunt , P apuli , àlior urn que‘ Potè stati praemitlis,
cu/n et pcr- multi a te sint offensi , et omnes fere summam rerum
tentaturi , quorum alteri et ulcisci te , alteri adversarium te e medio
tollera cupicnt 1 Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal pro-
posito ragiona : Si va incontro ad egual pe- ricolo tanto nell ’
impossessarsi , che nel dis ■* farsi del s/lpremo potere . F aiaride era
pron- tissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l ma chiedeva- un
Nume per sicurezza della sua vita , se rientrava nella classe di
Cittadino privato , £’ stata sempre comune opinione >
136 „ Sul Trono però la maestà , che imprime „ il rango
supremo , e la guardia d’ ond’ è ,1 circondato , spegne ne’ cuori gl’
istessi de* „ siderj della vendetta . D’altronde , o Cesa- „ re, la
vostra gloria, e le vostre precau* „ zioni sapranno preservarvi da
qualunque „ timore . Koma vi riguarda . come un dono ,, ricevuto
dai Numi , e voi passate per una ,, Divinità tutelare , che il Cielo
volle ser- „ bare iniftezzo a tanti Nemici per assicurare „ il loro
benessere , e la loro felicità . „ Si è detto , che il peso dell’
Impero è „ troppo grande ; ma questo è un vano terro- „ re capace a
«coraggi re tutt’ altri , che il Fi- ,, glio adottivo di Giulio Cesare .
La metà del ,, Mondo ha già ubbidito alle vostre Leggi ; „ finora
non foste, che Triumviro , e l’ Im- „ pero dell’Occidentè non fu per voi
un in- »; carico troppo pesante . Presentemente tut— „ te le
Nazioni godono quella pace , che voi ,, «apeste ad esse procurare ; le
nostre Fron- che quelli , li quali hanno preso le armi con-
tro la loro patria , o contro il loro legittimo Sovrano , sono ridotti in
certa guisa nella ne- cessità di continuare nel male , per. La poca
si- curezza , che trovano nel fare del bene . Non osano di divenire
innocenti per timore di sotto- porsi alla discussione delle Leggi , che
hanno offese , e persistono ne loro errori , credendo , che il loro
pentimento non trovi compassione . ja? •„ Nere sono
difese da Governatori di vostra „ scelta , e gl’ ordini non derivano ,
che da „ voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’ „ Oceano
Brittannico . Non si tratta più di „ cercare, in che guisa potrete
divenire il ,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mez- „ zi
potrete sostenere quel peso , che il Cie- „ lo ha voluto addossarvi;. Io
spero di potervi „ somministrare li mezfci ricercati. »,
Formate Un Senato , che sia composto di », persone sagge , e tranquille ,
nè la pover- ,, tà deve essere un motivo , onde escluderne „ li
buoni Cittadini ; sarà non meno cosa van- „ taggiosa , se unirete ai
Senatori Romani „ de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri „
Alleati. Con questo temperamento, potrete » ricevere de 1 buoni consigli
, sia per il go- ,, verno della Capitale , sia per contenere le »
Provincie lontane , e le cabale saranno meno » frequenti tra Individui di
diverse Nazioni . » L’ordine de' Cavalieri è rispettabile, ma
» trovasi circoscritto da troppo anglisti con- „ fini . Ammettetè ih
questo ceto illustre , sen- i, za fissarne il numero > tutti que’
sudditi >> delle Provincie Romane , che ne sono de- », gni ,
e per li natali , e per li servigj pre* ,, stati , e per le ricchezze
. >» Li Pretori devono scegliersi dal Corpo „ de' Senatori
dopo cinque anni di servizio* „ e dell’ età di anni trenta ,
giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome di „
sotto-Censorc , che prenderà cognizione di „ que’ leggeri disordini de’
Cittadini , che , , non giungono al delitto , ma, che sogliono „
cagionare delle inquietezze nelle famiglie , „ e che tolgono la quiete
publica , ed il buon „ ordine della Città . La carica di questi due
,, Magistrati potrà essere a vita , non po* „ tendo concepire alcun
timore di due Uomini „ inermi, che eserciteranno la giustizia sot-
„ lo i vostri occhii „ Io non so, o Cesare , se il mio
discorso „ incontrerà la vostra approvazione , ma ciò , ,, che ho
detto , mi sembra troppo necessario „ a rendere il vostio regno pacifico
. Conte- ndete liberamente il diritto di Cittadinanza ,, a qualunque
Individuo , che ne sia degno * „ delle Città alleate , e soprattutto
delle Co- „ Ionie , e cosi avvilirete questo titolo di „ Cittadino
Romano , che rende il Popolo „ della Capitale si fiero , e
affezzionandovi le „ Nazioni straniere , ve le renderete fedeli *
i. Crescerà poi il loro affetto , se facendo con „ precauzione una scelta
de’ Soggetti li più Digitized by Google l3i
,, ragguardevoli , li farete partecipi anche y, degli onori del
Senato . Che cosa importa , „ se il numero de’ nostri Senatori
oltrepasse- „ rà li trecento ? Più saranno gl* impieghi , e „ le
cariche da conferirsi , e più autorità vi „ acquisterete , ed anche
maggior sollievo . „ E’ giusto , che sia fissato uno
stipendio „ per i Consoli , ed i Pretori , che mandere- „ te nelle
Provincie , giacché è cosa del tutto „ vituperevole , che per mezzo di
enormi ,, concussioni , si aggiudichino da se stessi li „ salarj
de’ loro travagli , ed impongano tas- „ se arbitrarie sulle Popolazioni ,
che go- „ vernano. Se si porteranno delle lagnanze „ contro
l’avarizia di alcuni di quelli , do- „ vranno richiamarsi all* istante ,
benché non „ siano finiti li tre anni dell’esercizio della „ loro
carica ^ In generale poi sarà una giu- yv sta misura di non prolungare ad
alcuno il „ tempo della sua amministrazione oltre a „ cinque anni
. „ Ho detto , che bisognava moltiplicare il » numero de’
Cavalieri ; perchè da questo » Corpo rispettabile dovrete scegliere
levo- „ stre Guardie , a cui assegnerete de’ Capi- „ tani . Allora
la vostra Persona sarà più si- „ cura, e se P uno di questi Capi diviene
so- » spetto , l’altro per emulazione veglierà con y, zelo salii
vostri giorni ; qneU’autorità poi, >, che loro darete sul resto della
vostra Casa , ' « li affezzionerà maggiormente al servizio , ,e
I a i3a „ se si conoscerà , che le
loro incombenze „ fossero troppo moltiplicate, potranno in ,, parte
discaricarsene su di alcuni subalterni „ col nome di Luogotenenti -, che
parimente „ potrete nominare . Dallo stesso corpo de’ „ Cavalieri
potrete estrarre ancora e gli Co- j, mandanti della Polizia , che in
tempo di not* ,, te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl* „
Intendenti de' viveri, e li Presidenti del „ pnblico Tesoro , e li
Ricevitori delle rendi- ,, te delle Provincie, (ij „ Oltracciò
oserò dirvi , che sarà bene „ d’ impiegare ancora de’ Liberti per la
ri- „ scossione del pnblico danaro . Questa qna- „ lità di nomini
sarà adattata per sopportare ,, l’odio inerente all* impiego di Esattore
. „ Con questo mezzo potrete far uso , e distri— ( i ) L’
ordine de' Cavalieri desume il suo stabilimento parimente da Romolo , il
quale avendo fatta la scelta di trecentpGiovani lipiù valorosi , c
benfatti , ne formò il Corpo di guar- dia della sua Per sona . Allora
erano chiamati Celeri , ma posteriormente furono sottoposti ad
altre variazioni di nome al dire di Plinio lib. 32 presso il Sigonio de
Antiquo Jure Civ. Rom. Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe variatum
est , in his quoque , qui adequitatum trahe - bantur . Celerei sub Romulo
, Regibusque ap- pellati sunt, deinde Flexumincs, postea Trotta- li
: Fedi il sudetto Sigonio loc. cit. Digitized by
i33 „ buire degl* impieghi , che serv'irannó di ri- ,,
compeiiza ai vostri domestici , e popolando- „ rOriente,e l’Occidente
d’individui fedeli.»sa- „ rete con esattezza prevenuto della
situazio- „ ne delle Provincie lontane . ,, Una delle cure le
più importanti di un „ Sovrano è di vegliare attentamente sulla „
educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe- ,, ro. Vi siano adunque per
questa delle pu- „ bliche Scuole , delle Accademie per formar- ,,
la nel mestiere delle armi , e de’ Maestri „ ben pagati per istruirla
nell’ esercizio dcl- ,, lo spirito , e del corpo . Da questa dipen-
„ de la forza dello Stato , e questi fiori colti- „ vati con saviezza ,
produrranno il frutto a „ suo tempo , e luogo . Procurerete però ,
„ che non venga educata nella mollezza, e „ nella indolenza, altrimenti
se ne risenti- „ ranno in seguito gli effetti funesti ; Roma ,,
cesserà di esser feconda di Eroi , e tntto „ l’obbrobrio ridonderà a
carico dell’Autore ,, della Monarchia, (i) "t •• •• ■
• ( i) Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque te summopcre hortor
insticuas , ut Putridi , E- questrisque Ordinis homines, dum adhuc pueri-
tiam agunt ,ludos literarios frequentent Ita e- nim statini
apuero discentes, et exercentes omnia ea , qua e adultis sunt usurpanda ,
ad omnia ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre - gii
Principi* est , non modo ipse ut omnia e* v_
IS4 „ Anche le Truppe esiggono una particola. „ re attenzione
, come quel Corpo , che forse ,, costituisce la porzione più necessaria,
e „ interessante dello Stato . Allorquando la „ maggior parte delle
vostre città godrà il di- „ ritto della Cittadinanza Romana , vi
riusci- „ rà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di ,,
Cittadini Romani • Fatene la leva in tutte le „ contrade dell’ Impero ;
siano puntualmente „ pagate ; preparate loro de’ buoni quartie- ,,
ri , e non permettete , che invecchino sotto „ le armi , poiché da ciò ne
derivano le sedi- „ zioni militari . Ogni Veterauo è ordinaria- „
mente ardito, e presuntuoso ; perciò è ne- „ cessarlo, che questa
porzione di Truppe, ,, facciali suo servizio senza interrompimen- „
to dopo il fiore della gioventù fino al princi- ,, pio della vecchiezza ;
le vostre Legioni sia- „ no sempre sul piede di guerra , ed in nu-
„ mero sufficiente per difendere le Frontiere. „ Siano escluse dal vostro
governo quelle le- „ ve istantanee , e tumultuose , come soleva „
altre volte praticarsi in caso di estremo ,, bisogno . Fate si , che una
porzione de' nostri Contadini eserciti tranquillamente ,,
l’Agricoltura , nè i loro rustici lavori sie- „ no turbati dal timore di
dover ascoltare ad „ ogni istante il suono della tromba guerric-
officio agat , verum , ut qua rat ione etiam re- liqui omnes quarn
optimi fiant , prospiciat. Dii ^Ciooglc
i35 „ ra , che ad essi annunzi degli arredamenti in- „
volontari . ,Le Armate saranno assai deboli , „ allorquando non sono
fonnate, che di suddi- „ ti forzati a servire. „ Si dirà ,
come trovare somme considere- „ voli., onde mantenere tante Armate conti-
», imamente sul piede di guerra , e pronte „ sempre a marciare a
qualunque cenno del „ Sovrano ? Questo è il punto decisivo , e „
l’oggetto di terrore , che vi è stato pre- „ sentato , ,,
Ogni Stato ha le sue rendite , e voi pote- „ te divenir padrone del
Tesoro publico de’ ,, Romani . Basterà questo per dare esecu* ,,
zione al progetto , che io vi propongo ? Nò », certamente; ma con una
prudente , e savia », economia vi si potrà supplire. Vendete le ,,
spoglie delle Provincie conquistate , e for- „ matene , col prodotto, un
fondo per libi- 7 , sogni straordinarj . Promulgate de’ sa vj re-.
„ golainenti , affinchè le campagne siano con „ impegno , e profitto
coltivate dai Proprie- », tarj , ed esigetene un tributo sul loro
pro- „ dotto . Non è forse giusto , che con il sa- „ grifizio di
una tenne porzione delle loro so- „ stanze , si acquistino la sicurezza ,
che voi \, procurate ad essi , e a tutto lo Stato ? Vegliate
sulle miniere de’ metalli , che „ si discopriranno nelle diverse contrade
dell' t, Impero . Esiggete puntualità nella riicos- rU
„ sione delle tasse per testa , senza permette- „ re , che li
debiti si moltiplichino •• ' « „ Procurate, che non si
rappresentino al- „ tri giuochi fuori della corsa de’ carri , e de’
„ cavalli, perchè ordinariamente le Città le „ più opulente , sogliono
esaurire le loro rie- •„ chezze in futili divertimenti * Riguardo
alla „ «Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono es~ „ sere in
essa sontuosi , è li Spettacoli ma- „ gnifìci; la Capitale è il centro di
tutte le „ Nazioni , e la maestà del Padrone , che gor „ verna , si
misura con la Città , ove risiede „ conia sua Corte. Fuori di Ironia
proibite „ agli abitanti 1* eccessività delle spese , e „ quindi
con questo provido temperamento „ tutti saranno in istato di pagare li
tributi . „ Si potranno inoltre dispensare le Provincie „ a fare
Deputazioni così frequenti . Li Go- „ vernatoti respettivi ultimeranno
gli affari „ sulla faccia del luogo ; e se fosse necessa- „ rio,
che quelli dovessero rimettersi al vo- „ atro Tribunale , li rimanderete
al Senato . „ Allora voi detterete le sne risposte , e sfug- ,,
girete di prendere sopra voi solo l’odio , „ che quelle potranno seco
portare . „ Fate partecipe il Senato delle querele , „ che
gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei „ Re stranieri potranno
promuovere , ed a voi „ solo riservate la cognizione delle grazie ,
» che loro vorrete accordare . „ Non dovrete mai più permettere al
Po- „ polo la decisione de’ delitti capitali . Qne- *>
sta dovrà essere una ispezzione esclusiva „ del Senato , il quale si
crederà onorato di „ un tale imbarazzo , e voi ne resterete con
piacere discaricato . Io però non parlo de’ delitti comuni , la di cui
punizione è stata regolata dalle Leggi . Per li attentati contro »»
la vostra persona (giacché tutto può acca- „ dere ) siatene voi stesso il
delatore , ma non „ giudicate giammai nella vostra causa . Fate, »,
che altri ne pronuncino la sentenza, e voi ,, non dovete interessarvenc ,
che per mode* », rare la pena . 55 » Non
dovete fissare la vostra attenzione, », come già ho accennato , nè alle
parole in- »> considerate de’ malintenzionati , nè alle sa- j»
tire , che si diffonderanno, contro di voi ,, nel publico, e non curate
di venire in co- », gnizione degli autori ; poiché dovete figli- »
rar ?i , come situato in una sfera superiore , »• in cui siete
invulnerabile , come li Dei . *» La vostra collera non deve accendersi ,
che » contro li sediziosi , che , posti alla testa „ di una Armata,
avranno rivolte le vostre ,, armi contro di voi stesso . Il giudizio di
que* „ sti scellerati , e colpevoli di Stato , Indivi* ,, dui
ordinariamente di alta considerazione , „ dev essere rimesso per
commissione ai Con* >» soli antichi ; la qualità di tali Giudici
darà », peso alla decisione , che saranno per prò* «38
„ nunciare . Vi saranno delle cause, dall’e- „ game delle quali non
potrete dispensarvi* ,, imperciocché pii affari di onore fra
gliUfh- „ ciali delle vostre Armate , e gli Appelli dai „ T
ribunali del Prefetto di Roma , e del sotto* ,, Censore devono tornare a
voi; allora sce- „ gliete degli Assessori fra i Patrizio al tri
Sog- „ getti qualificati , che possano figurare con ,, voi in una
Assemblea giudiziale . „ La grande saviezza di un Padrone
indi- li pendente consiste nell’ ascoltare volentieri ,, gli altrui
consigli . Accogliete pertanto gra- ti ziosamcnte tutti quegli Amici , e
Cittadini, „ che saranno per darvene dei salutevoli; ,, ma non
discacciate con orgoglio coloro, i „ quali potrebbero suggerirvcne alcuni
non „ sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua- ,, li sortono
consigli poco utili , possono aver „ avuto retta intenzione : Accade di
que- „ sti , come dei Generali di Armata battuti ,, dal nemico ;
Spesso l’errore non è imputa* „ bile nè agl’ uni , nè agl’altri ; e
siccome „ non si può sempre rispondere degli avveni- „ menti della
guerra , cosi non deve riguar- „ darsi con occhio bieco quell’ Uomo , che
di buona fede dà un consiglio poco sensato . „ Li
Filosofi procureranno sovente di gui* „ darvi con le loro speculazioni .
E’ vero, ,, che avete sperimentato , quanto erano van- *, taggiosi
li consigli di Areo , e di Atenodo* ,, 1-0(1^), ma generalmente
parlando, le opi- nioni di tali Uomini sopo difettose per man-
canza di esperienza nel maneggio degli affari - Le meditazioni del
Gabinetto sono spesso le meno sicure in prattica • ( 2 ) ( i
) Atenodoro Filosofo Stoico era nativo della Città di Tarso . Fa maestro
di Augusto , dal quale Ju decorato di molti onori . ed anelli di Tiberio
. Aveva il talento particola) c per far apprendere con facilità le
scienze a' suoi Di - scepoli . Le sue cognizioni erano cosi estese ,
e tanta la forza della sua eloquenza , clic Sallu- stio lo
assomigliava al fuoco , che accende tutto ciò , che gli si avvicina :
Athenodorus Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub Octa - vio
Romanorum Imperatore omni- bus ad Philosophiani subsidiis , tam ab
iji ge- nio , quam recta animi voluntate instructus erat ....
idemque dilucido discipulis suis explicabat . Hunc Sallustius oh studiuni
admi- ratus , igni similem esse dixit , omnia propin- qua
incendenti : Secondo Strabope lib. 1 4 . pag. 463- aveva l' abilità di
rispondere estempora- neamente a qualunque argomento , e fu ono-
rato ancora da Marco Antonio il Triumviro , ììi lode del quale scrisse un
Poemetto , dopo la battaglia presso Filippi . t fa') Dion.
loc. cit. : Neque enìm quia A- reum. , et Athenodorum bonos , ac honestos
vi- ro s expertus es , omnes alias idem studium prua-
i4o „ Ecco , o Cesare , alcune massime geuera- „ li per il
Governo , clie renderanno la vostra „ amministrazione Sovrana meno
difficile, e „ meno pericolosa di quello’, che vi è stata ,,
rappresentata . • . ,, Le qualità personali del Monarca , so-
», pratutto quando è 1’ autore dellaMonarchia, », devono eguagliare la
sublimità del rango, », al quale egli è giunto . Io credo , e so*
», no persuaso , che quello non deve in- difierentemente accettare
tutti i titoli , e „ tutte le distinzioni , che l’adulazione potrà
„ deferirgli . La realtà della Monarchia vi „ deve bastare sotto
qualunque nome la rite*- ,, niate . Che importa di esser chiamato
Cesa-* » re , o al più Imperadore , quando voi am- „ ministrate
sovranamente lo Stato Romano ? „ Bisogna , che con una
irreprensibile con „ dotta v'innalziate dei monumenti perenni sul „
cuore de’ Sudditi . Che cosa servono quelle „ Statue d’oro , o di argento
? Sono stati eret- „ ti nelle Provincie alcuni Templi a vostro „
onore , ciò poco interessa ; ma non dovrete » giammai permettere , che ve
ne sieno con* „ secrati in Roma , perchè sarebbe un oggetto „ di
disprezzo per le persone sensate , ed una seferentes , similes
eorum indicare debes , curri hac specie usi multi infinita mala populis
, privatisene hominibus adjeraut , . . , * 4 *
y, spesa inùtile , che pot là essere meglio im- i,
piegata. - „ Fate uso voi stesso di economia nelle vo- * stre
spese particolari , ed in quelle della vo~ „ straGasa.La buona opinion,
e,di un uomo frn- » gale vi farà più onore di un grande numero
»> di tempj , di altari , e di statue . Questo „ culto esteriore , e
materiale diverrà comu- „ ne ai buoni , ed ai malvaggi Principi .
„ D’altronde non si recherebbe insulto ai Numi , con eguagliare i
vostri onori a quel- li , che il Popolo suole ad essi deferire ?
„ Un Sovrano , che cerca di essere onora» to deve sempre mostrare
della pietà verso li „ Dei immortali , perciò nón permetterete, ■„
che s’ introducano in Roma delle Sette re- ligiose straniere . Una novità
in materia 5 , di Culto , ne porta sempre delle altre , e „ e
quindi ne risultano attruppamenti sedi- „ ziosi , e pericolose congiure .
Ammetto , „ che restino frà noi degli Auguri , che con- „ suiti ,
chi vuole ; ma non devono assoluta- „ mente tollerarsi gli Astrologi , ed
i Maghi ; j) imperciocché dalle loro predizioni false , o „ vere,
che siano » hanno principio sempre „ le intraprese dei perturbatori del
publico „ riposo, (i) ... -fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque
senipcr , et ubique ita cole , ut moribus Patriae est recc- ptum,ad
eumdemque cultura ahos compelle. Pc- * 4 * „ Voi
avrete indiverse parti delatori -, e. „ spioni ; questa razza di persone
saranno „ necessarie, ma guardatevi di deferir cie- „ eamenre ai
loro rapporti . Spesso l’odio , „ rinteresse , la vendetta, o altre
passioni „ sciolgono agl’ uni la lingua , e chiudono
agl’altri la bocca . Qui è dove fa dnopo ,, avere continuamente la
bilancia in mano , „ e procurar di farla inclinare piuttosto a „
favore degli Accasati . ,, Li vostri antichi Amici , ed i vostri
Do- ,, mestici li più familiari devono esser per ,, voi non meno un
soggetto di precauzio- ,, ne . Disprezzarli , sarebbe, un
ingratitu- ,, dine , sollevarli , ed arricchirli soverchia-* ,,
mente , produrrebbe contro di voi un ar- „ goinento perenne di
rimproveri, e dimor- „ morazioni . Si giudicherà di voi per mez- „
zo de’ vostri Amici , e i loro difetti sa- „ ranno a voi attribuiti .
Cercate adunque „ di disfarvi dei meno discreti , e di quelli ,
„ che sono nelle loro brame insaziabili » • ‘ ' v
• ... \ • 1 • i regrìnarum vero Religionum auctor esodio ,
ac Supp liciis prosequere , . qui nova numi - na introducane
, multos ad peregrinis Legibus utendum pelliciunt ; inde conjurationet ,
coi- - tioncs , et conciliabula existunt , minime unius principe
fui commodae res ; itaque nequeDeo- rum contemptorem , ncque
praestigiatorem al- lum tolerabi * . Digitized by G,
regolato Governo : L’ingiusta preferenza „ produce del malcontento , e
quindi può „ ancora cagionare il rovescio totale di quel- „ lo.
Siate il protettore dei Grandi fino ad „ un certo punto, ma l’eterno
sostegno dei „ deboli, ed il vendicatore degli oppressi. ,,
Proteggete con energia le arte utili , clic „ esercita il basso Popolo ,
e bandite gli „ oziosi . Ordinariamente le sommosse popo- „ lari
incominciano da pe rsone disoccupate , *, e sono fomentate da nomi di
partito , che ,, si danno reciprocamente per farsi ingiuria; „ ciò
forma la sorgente delle rivolte , che Fa duopo distruggere nella
nascita. „ L’abuso della propria autorità è il più ,, grande
dei mali per un Sovrano . Dare ese- „ cuzione a tutto ciò , che si può ,
è lo stes« i, so soventi volte , che fare più di quello è >,
permesso . Più utio si conosce potente , o „ più bisogna > che vegli
sopra se stesso per „ non farsi trascinare dai proprj desiderj. Gli
,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di? : b fatti > ma
segretamente vi biasimeranno . „ Abbiate dunque per massima di regolare
la ,, vostra condotta , non tanto su quello, di i, cui siete
stato redarguito , ma sù quello , „ per cui potrete essere rimproverato .
Ri- „ flettete sopra voi stesso , e non già come ,, Sovrano , ma
come Suddito responsabile j, di tutti i vostri andamenti al Publico
, il 144 » quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione
, ,, e vi giudicherà con rigore maggiore di quello , di cui voi
userete verso di esso . „ Ecco, o Cesare, il dettaglio delle qua. „
liti, che voi dovete acquistare , c de'sco- ,, gli, che dovete sfuggire.
La sapienza , di „ cui il Cielo ha voluto decorarvi , vi servi- ,,
rà di. guida , e 1* esperienza vi faciliterà „ l’arte di governare .
Entrate adunque , „ entrate con confidenza nella carriera, che „ le
vittorie vi hanno aperta ; Roma , e l’U- „ niverso vi reclamano , come il
solo Uomo „ capace di riparare ai disordini di una „ Repnblica
andata in decadenza . Quelli , „ che vi esortano a consumare la
Rivoluzio- , ne , amano sinceramente la Patria . Che ., dolcezze
non gusterete in una amministra- „ zione tranquilla , in cui voi farete
la feli- „ cita di un Mondo intero 1 Ninna cosa è più „ dolce del
dominio, allorquando il Domi- „ natore è capace di procurare la comune
fe- „ licita. Non vogliate discacciare la fortuna , „ che vi ha
scelto fra mille per sostener Ro- „ ma vicina a cadere . Regnate senza
prende- „ re il nome di Re , e siate Sovrano senza „ altro titolo ,
che quello di Cesare , o d'Im- „ peradore . In una parola, la regola più
si- „ cura onde rendere amabile il vostro Im- „ pero è quella di
governare li popoli a voi ,, soggetti , come bramereste di essere
ga- Digitized by 145 ,* vernato voi
stesso, se i Numi vi avessero ,, fatto per ubbidire (i). Il
tX scorso di Mecenate dissipò le dubbiez- ze di Ottavio , gli trasfuse
nell'animo maggior sicurezza , e non esitò ulteriormente per
aderire al progetto di quello . 11 bravo Agrip- pa non restò malcontento
al vedere posposto il suo sentimento, perchè comprese anch’es- 80,
che il suo Padrone rischierebbe meno di quello , che non si era creduto ,
sul posto eminente > nel quale veniva consigliato a per-
petuarsi > e che l’utilità publica si trovereb- be unita alla gloria
del medesimo . Egli non potè non ammirare la saviezza , e
profondità delle massime politiche di Mecenate , propo- ste per
rendere felice un'Amministrazione Monarchica ; e perciò l’esperienza ci
ha fat- to quindi conoscere > che tutti li Re vera- mente degni
del Trono hanno formato il loro piano sù quello , che il sudetto Mecenate
pre- sentò ad Ottavio . La lettura del suo discor- so > che per
intero ci è stato dallo Storico Dione trasmesso è un Capo d’opera , che
an- che ai nostri giorni, ed in ogni tempo può istruire li Sovrani
a divenir felici , procu- rando la prosperità de’ loro Sudditi (a).
Il laborioso Catrou , da noi tante volte, ci- tato , suppone , che
non ostante l' efficacia *. ' «. . ( 1 ) Dion. lib. 53
. Catrou Tom. 19 . ( 2 ) Catrou loc. cit. lib. 5 .
K t+6 delle ragioni dettagliate da Mecenate , V
à~ nimo di Ottavio restasse tuttora perplesso , ed irrisolato ; e
che il Poeta Virgilio deter- minasse qnesta sua ir risolutezza , e lo
indu- cesse ad ahbracciare definitivamente il prò* getto della
Monarchia . Il Catrou parla in tal guisa (i,) „ Osare, avendo ripieno lo
spirito „ di tutto ciò , che aveva ascoltato da Me- „ cenate , non
ebbe rossore di consigliarsi ,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici
i „ nomo di bassi natali , nato in un villag- „ gio da poveri
genitori , ma li di cui ta-* „ lenti erano sublimi Questo fu il
famosò „ Virgilio, Poeta, la memoria del quale si ,, conserverà in
tutti i secoli . Da lungo tem- ,, po egli era al servizio di Cesare
Ottavià- „ no, e per mezzo di vili principj èraginn- „ to a
meritarsi il favore delsno Padrone . ,, Mecenate lo aveva tirato dalla
polvere -, „ ed egli aveva già spiegato quel genio in- „
comparabile , che faceva presagire un al- „ tro Omero .... Virgilio fissò
la irrisointez- „ za dell’ lmpefadore con queste parole : ,, Tutti
quelli , che si sono finora impadrb- „ nifi del Governo non visorio
riusciti, fe „ perchè f Perchè po.o giusti verso degli ,, altri ,
han dovuto, incessantemente paren- ,, tare le mani vendicatrici de
'malcontenti * „ Voi al contrario , o Signore, che il Cielò - - *1
• - ( i) loc. cit. „ ha fatto nascere giusto , e
moderato, pas- „ serete giorni avventurosi , facendo pro- ,, vare
ai Romani un impero amorevole . Sembra però, che il Catrou in
questo luo- go siasi fatto sorprendere da quella Vita di Virgilio ,
che viene attribuita a Donato Grammatico , e dì cui si è fatto di
sopra menzione (i). Siccome però questo scritto , (l) Il
Succennato Autore della Vita di V irgilio si spiega nel modo seguente . Postca- quam Augustus summa rerum omnium poti
- tus est , venit in mcntem , an conduceret Ty- rannidem omittere ,
et omnem potestatem an- nuii Consulibus , et Senatui Rempublicam
red- dere . In qua.re diversae sententiae consu/tos habuit Mae cenai eni
, et A grippata . Agrippa enim utile sibi fare , edam si honestum
non esset , relinquere Tyrannidem longa oratione contendit , quod
Maccenas dehortari magno- pere conabatur . Q
tiare Augusti animus et hinc ferebatur , et illinc . Erant enim diversae
scn- tentiae , variis ratiombus firmatae . Rogavit
i gi tur Maro ne m , an conferat privato homi - ni, se in sua Republica
Tyrannu/n faccre . Tum ille : Omnibus ferme , inquit , Rempu-
blicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis futi, et Civibus ; quia necesse
crat odia sub- ditorum , aut eorum injustitiam , magna su- spicione
, magnoque timore vivere . . . Q uare si jusCitiam , quod modo facis ,
omnibus in K a a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie
nò di errori, e di favole , cosi non può fissare la nostra
attenzione su quanto narra di Ottavio nel momento , in cui stava per
decidersi sul- la scelta o della Monarchia , o del ristabili- mento
della Republica . Se sussistesse ciò , che ivi si legge , cioè
> che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio ad uniformarsi
al sentimento di Mecenate, non si sarebbe certamente omesso da tanti
va- lenti Biografi , « he hanno parlato diffusamen- te , e di
Virgilio, e di Ottavio ; e Dione se- gnatamente , che ha trasmesso alla posterità
gli eloquenti , e giudiziosi ragionamenti di Agrippa , c di Mecenate , e
che inoltre af- ferma positivamente , che Ottavio si attenne al
parere del secondo , sembra , che non avrebbe occultata una notizia cosi
interes- sante , e rimarchevole. 11 De la Rue accenna appunto
questa ragio- ne per escludere la verità di quella circo- stanza
narrata dal sudetto Donato „ Se non „ fosse un fatto del tutto assurdo (
dice egli ) ,, che Virgilio consigliasse Ottavio ad aderì- ,, re al
progetto di Mecenate, e che deter- ,, minasse l’animo vacillante di quel Princi-
futurum , nulla hominum facta compositione , distnbues ì dominar i
te , et tibi conducet , et orbi * . . Ejus sentcntiam sequutus Cattar
Pria- eipatum tenuit » 149 » pc , non si
sarebbe narrato dal solo pseu- i, do-Donato, ma sarebbe stato ai
posteri „ trasmesso dalla penna ancora di Storici il
rispettabilissimi (i). V Ambrosi, che pensava come de la Rne
, nel premettere alla sua magnifica Edizione dell'Opere del sudetto
Virgilio la indicata Vi- ta di Donato, cosi previene il Lettore
infi- ne della medesima e in cui visse •. „ Imperciocché nveutre
Sesto Pompeo , fi- ,, gliò del gran Pounpeo, richiede il Patri- „
monio paterno , sconvolge , e mette sos- „ soprali mari d’Italia, e di
Sitilia; men- », tre Ottavio si vendica degli Uccisori di „ Giulio
Cesate ano Padre , si divellano „ scene sanguinose nelle Campagne
della », Tessaglia; mentre il genio incostante, e ,, e volubile di
Marco Antonio , o deprezza », Ottavio , corno successo re di Cesare ,
o ,, acciecato dagli amori di Cleopatra , in- „ dina a divenire un
assoluto padrone del „ Governo , il Popolo Romano no» potè tro- ,,
vare il. suo seampo » che gettandosi in brac- • „ ciò alla schiavitù . Ma
buon per noi, che «, in cosi terrihile sconvolgimento di
cose» i, le redini del comando caddero nelle mani ,, eli Ottavio
Cesare Augusto, il quale eoa », la sua sapienza , e con la sua
sagacitàsep- Digitized by Google I -
J i5a „ pe riordinare le membra scomposte dell’
„ immensa mole dell’ Impero , che non sa- „ rebbero tornate
sicuramente al suo luo- » go , se dalla meote , dal senno , e dalla
„ abilità di un solo non fosse stato il Gover- no diretto (; )
. ( 1 ) Fior. lib. 4 Cap. 3 . Populus Poma- nus , Caesare ,
et Pompe\o trucidati , redas- se in statum pristinac libertutis videbatur
; et redierat , nìsi aut Pompcjus Liberos , aut Cassar haeredem
reliquisset ; vel quod utro- qua perniciosius juit , si non collesa quoti
- ,tlam , mox acmulus Caesarianae potentiac , fax , et turbo
sequentis saeculi , superfuissec Antonius . Quippe durn Scxtus paterna
repe- tit , trepidatum foto mari ; dum Octavius mor- tevi patris
ulciscitur , ite rum fuit mo venda Thessalia ; dum Antonius , varius
ingenio , aut successorem Cassar i indignai ur Octavium, aut amore
Cleopatrae desciscit in Pegem j nam aliter salvus esse non potuit, visi
con- fugisset ad servitutem . Gratulandum tamen in tanta
perturbatione est , quod potissimum f ad Octavium Caesarern
Augustum somma re- rum rediit , qui snp lentia sua , acque soler -
tia , perculsum undique , et perturbatovi or- dinavi Impcrii corpus ,i
quod ita haud d ti- bie nunquam coire , et consentire potuisset ,
nisi uni us Praesidis nutu , quasi anima , et mente , regcretur , ... /
v. : v Digitized by Google. IIBRO IV.
.... ' : . I ' - • ; Il grande progetto della Monarchia unfc*
versale da Mecenate proposto , non era co- nosciuto , che da esso , da
Agrippa , e da Ottavio . Siccome il silenzio è l'anima del- le
imprese delicate , cosi questo dovette esi- gere da Agrippa un segreto
inviolabile , do- vendosi mettere in esecuzione con metodo, con
circospezione , lentamente , e senzacbe i Romani potessero avvedersene ,
giusta le istruzzioni dell’Antore del medesimo . Otta- vio segni in
tutte le parti li consigli di que- sto savio Politico , e gli fu debitore
della suar gloria , e della felicità del suo Regno . In fatti
riformò subito il Senato.; ed es» eludendo que’ Soggetti , la di cui
presenza in quel Corpo rispettabile , o non poteva reca- ve alcun
vantaggio, o cagionargli del male , ve ne sostituì degli altri di
sperimentata pru- denza . Usò in questa riforma la precauzio- ne di
far vedere , che da esso era quello in special maniera onorato , per non
cade- «54 re nella stessa disavventura , alla quale
fn sottoposto Giulio Cesare , il di. cui disprez- zo ingiurioso per
un Magistrato composto del- le più illustri Famiglie di Roma, fu più
ve- ramente la cagione della sua morte funesta , che l’interesse
della publira libertà (i). Aboli tutti li debiti dai Cittadini
contratti con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti, che la
necessità del tempo aveva fatti pro- mulgare nell’epoca del Triumvirato ,
Abbel- lì Roma di grandiosi Monumenti , e diven- ne ristoratore di
un grande numero di Tem- pli , li quali o le guerre passate avevano
rovinati , o per mancanza ,di denaro, erano stati negletti. ? ,
Stabili, che la distribuzione gratuita del grano, che, per costume
antico j; soleva far- si .al Popolo sopra li fondi, del publico Te-
soro , fosse più frequente , e che in ogni di- stribuzione se ne dasse
alle povere famiglie una misura quadrupla di quella , che prima era
in usanza . Questi , ed altri regolamenti salutari gli conciliarono una
stima generale , ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti.
Allora Mecenate si avvide con la profon- dità delle sue viste
politiche , che il suo Pro- getto era giunto alla maturità, e che il
Se- nato, Roma, e tutti gli Ordini dello Stato erano già disposti a
riconoscere l’impero di ( 1 ) Echard loc. cit, ...... .
Diqitized by Google un solo nella persona del sno Padrone ;
per- ciò concepì un secondo Progetto , per ulti- mare il primo ,
che sembrava piuttosto stra- vagante , e pericoloso, ma che doveva
inse- guito produrre tutto il suo effetto . Consigliò
pertanto ad Ottavio', che si pre. sentasse in Senato, e con un discorso
politi- co , ed artificioso rinunciasse al comando assoluto , che
allora riteneva , rimettendolo nelle mani de'snoi antichi Magistrati .
Gli fe- ce riflettere , che con questo mezzo non solo non lo
perderebbe , ma anzi avrebbe ottenu- to , eh’ egli , il quale finallora
era stato ar« bimanamente Padrone del Mondo, per con- senso di
tutta la Nazione , sarebbe divenuto Monarcha legittimo ; inoltre , che ,
median- te le riforme già fatte e nel Senato , e nel- le altre
Magistrature, erasi procacciato una quantità di Partegiani , che per le
sue libe- ralità, per la sua giustizia , e per lesile ma- niere
obbliganti era sommamente amato dal Popolo ; che in conseguenza ,
allorquando questo , ed il Senato avrebbero inteso pro- nunciarsi
da]la bocca del loro benefattore la rinunzia alla direzione del Governo,
o per riconoscenza , o per rispetto , o per politi- ca , o per non
perdere le dolcezze della vita , e del buon ordine , ch’esso aveva
introdotto , non solo non avrebbero accettato la propo- sizione ,
ma lo avrebbero pregato a perpe- — •BTgitized by Google
1 56 tnarsi in quell’impero , acni finallora aveva
preseduto . Ottavio adunque penetrato , e persuaso dalle
ragioni , donde era stato dal suo Mini- stro istruito, si presenta in
Senato, e con un’aria d’ingenuità , e di franchezza sorpren- dente
, in tal gnisa si fece a parlare : La >, proposizione , che io
vengo a farvi , Padri t3 Coscritti , sarà da pochi approvata , e da
molti stimata incredibile . Soventi volte la j, diffidenza , con cui
sogliono riguardarsi le ** persone costituite in dignità, fa
rendere sospette le medesime , anche quando par- „ lano , ed
agiscono sinceramente , Io mi „ esporrei immancabilmente a questo
peri- n colo, se non fossi determinato di dare una s pronta
esecuzione a quanto sono per prò- A porvi . Voi vedete , Padri Coscritti
, a qual » rango sublime mi hanno fatto giugnere la ,, sorte delle
armi , ed una condotta modera- „ ta . Capo assoluto , ed indipendente
della „ Repnblica , io sono in istato di far uso del- »» m i a
potenza , e di perpetuarmela . Ap- ,, pena uscito dalla fanciullezza ,
impugnai la >1 spada , e volai a vendicare l assassimo di „ un
Zio , che mi aveva adottato per figlio, ,, Nel momento, in cui
entrai in questa car- n riera, presi la giustizia per guida , e la
,, vittoria divenne mia compagna . Fui co- iì stretto a combattere con
nemici di diver- ,, so carattere , e di qualità differenti . Bi*
,, sognò dissimulare con alcuni , ed aprire con „ essi delie
relazioni per non soccombere j> sotto il peso della moltitudine . Mi con-
„ venne in seguito perseguitare gli altri ar- dilaniente , e costringerli
a rivolgere con- „ tro essi stessi quel braccio , che era stato „
funesto a Giulio mio Padre . Mi associai „ alcuni compagni delle mie
vittorie , e divi- „ si con essi il peso del Governo . Che cosa „
quindi ne accadde ? Lepido in Africa lasciò decadere con la sua
negligenza gli affari di „ Roma ; Antonio , esposto nell' Egitto ,
e „ nell’Asia , come su di un teatro , disonorò „ con la sua turpe
condotta il nome Romano , j, e lo rese abbominevole a tutto l’Oriente
. „ Il Cielo secondò quello zelo , che esso stes- „ so mi aveva
trasfuso per riparare a tali di- „ sordini v Antonio non esiste più, e
Lepido ,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo del suo
carattere . * „ Che cosa vi aspettate , Padri Coscritti , ,,
da un Vincitore, padrone del suo, e del vostro destino? Tutte le Fazioni
sono di- „ strutte; ogni corpo di armata sulle Frontie* ,, re è
comandato da Geuerali, che godono tut- ,, ta la mia confidenza . Li Re
nostri Alleati ,, non ricevo.no l’impulso , che da miei cenni , „
ed i loro soccorsi non marciano , che agli „ ordini miei. Il denaro
proveniente dalle „ nostre rendite non è versato , che nel mio i}
tesoro , e non ne va nelle publiche casse , 158 „ che
quanto io ne permetto . Fiù . Io eono- „ sco i vostri cuori , e quello
del Popolo Ro- ,, mano in generale . Io potrei rispondere del „
vostro affetto verso di me , e riposarmi „ sulla publica benevolenza .
L’indipendenza „ adunque , e la Sovranità possono andare „ più
oltre? Ma perchè tenervi più lunga- „ mente sospesi ? Ascoltate con
attenzione le „ mie parole , ed il suono delle medesime „ faccia
passaggio alla più lontana posterità . ,, Questo Vincitore ,
Sovrano assoluto , „ questo Generale Supremo di tutte le forze „ di
Roma , questo linperadore adorato dal „ popolo sagrifica al bene della
Patria gli ono- „ ri , di cui lo avete ricolmato , li titoli , ,,
che gli avete Conferiti , in fine tutto il frut- „ to delle sue vittorie
. In questo istesso „ istante io vi restituisco li miei diritti
sulle „ Armate, sulle Leggi, sulle Finanze, sul „ governo delle
Provincie , in una parola sù „ tutto ciò , che voi mi avete accordato ,
e „ che la necessità delle circostanze mi haco- „ stretto ad
accettare. Che volete di più? Ora si dica pure , che io non ho
travaglia- „ to , che per il mio ingrandimento , quando „ mi esposi
a tutti li pericoli delle battaglie . ORoma, tu fosti sempre
presente agl’oc- ,, chi miei ! A Perugia , nelle Campagne di „
Filippi , in Sicilia , nel Golfo di Ambracia, ,, e nell’Egitto! A te sola
io allora immolava >, li tuoi , e li miei Nemici , e non fui
prodi- 1S9 if go del mio sangue , che per assicurare
la li- „ berta Romana . Ah fos'se piaciuto ai Numi , „ che io
non avessi impiegato il mio Ministero „ in guerre civili , che ci hanno
esaurito di „ Cittadini , e spopolato le Provincie . O mia „ cara
Patria , perchè non ti trovai tranquil- „ la , conte al tempo de’ Padri
nostri ! Cielo t „ tu non me lo hai permesso ! Benché giova- •„
netto mi scregliesti per essere il vendicato- }> re del più perfido
assassinio , il riparatore „ degl’insulti recati alla Nazione Romàna ,
il „ ristoratore della nostra gloria eclissata, e „ finalmente il
pacificatore di tutto il Mondo! ,, La mia opera è compita > ed ho
pienamente „ sodisfatto ai miei destini . „ Permettete >
Padri Coscritti , che iomen „ vada nella solitudine a bearmi di quella
fe- >, licità , che io stesso ho procarata . Ora non „ posso ,
senza ingiustizia ritenere più lun- ,, gamente un potere , che a voi
appartiene ; ,, e questa mia volontaria cessione è dovuta „ alla
mia propria sicurezza , per mettermi „ al cotperto degli assassini . Che
anzi non so- ,, lo vi rendo le vostre leggi , e tutti li vostri „
antichi privilegi , ma vi dono eziandio l’o- „ pulento mio patrimonio , e
le prerogative , che io posseggo per diritto della mia nasci-
ta(i). (i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19 . » dotta , e nelle tue
operazioni , nè mire am- >» biziose , nè avarizia , nè verun’ altro
di ,, que vizj , che sogliono albergare ne Cor- „ tigiani, e nelle
Corti . (i) Properzio scrivendo allo stesso Mecenate , ci da
à conoscere , che quel suo disinteresse per gli onori sublimi , ai quali
avrebbe potuto pervenire , prodnceva un’ azione si gloriosa , e
commendevole , che il di lui nome sarebbe dalla fama, e dai posteri
celebrato al pari di quello de’ Camilli . (a)
(1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil. lib. a. pag.aay.
Regis eros genus Etrusci , tu Caesaris olirà D exter a ,
Romanac tu vigili] ibis eras . Omnia curri posscs tanto tam carus amico
, T e sensit nemo posse nocere tamen . ( 2 ) Lib. 3 .
Eleg.7. Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum, Intra
fortunam qui cupis esse t narri Di più questo suo morigerato
contegno, e Mobile disinteresse serviva anche d’esempio alle
famiglie le più cospicue de’ Romani Cava- lieri , e ne ebbe imitatori, ed
ammiratori. Crispo Sallustio, fri gli altri, nipote di una soìclla
dello Storico di questo nome , seguì perfettamente il tenore di vita di
Mecenate . „ „ Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo- ,,
rirono due illustri personaggi Lucio Volu- „ sio , e Sallustio Crispo . *
. . Questo, ni- „ potè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai* „
lustio elegantissimo Sri ttorc delle Storie Ro* ,, mane > da cui fu
associato alla sua Famiglia , ,, aveva tutti li mezzi li più potenti per
otte* „ nere qualunque dignità ; tuttavia , emù* ,, landò la
condotta di Mecenate , senza il ti- „ tolo di Senatore , Superò in
potenza molte „ famiglie,che erano state decorate delTrion- „ fo ,
e Consolari » . » . Mentre visse Me- tani libi romano dominas in honore
sccures , Et liceat medio ponere jura foro . > Et tibi ad effectum vires dei
Caesar, et omni T empore tam faciles insinuentur opes ; Parcis , et
in tenues h umile m le collegi* um- bras , Velorum plerMs
subtrahis ipse sinus . Crede mihi magnos aequabunt
ista Camillos Jndicia , et veniet tu quoque in ora virum ,
Ì76 ,) cenate , Crispo fu il secondo > cui venivano „
affidati li segreti Imperiali ; fu il primd i, però , quando quello cessò
di vivere, (i) Ciò non ostante Augusto procurava di com-
pensare questo commende’vole distacco dagli onori luminosi del suo
Favorito colli tratti del* la più tenera amicizia , e della più
sincera confidenza . Imperciocché , allorquando il peso, e la serie
degli affari del Governo gli lasciavano qnalche tregua, si portava
sovente a visitarlo anche nella maestosa Villa , che pos- sedeva
sulle fertili sponde dell’Aniene . ( a ) Quivi Ottaviosi compiaceva
di rivedere l’a- mico, di consultarlo, e di riceveie sempre
consigli , istruzzioni , e massime per ben g ■ vernare, e per ben
governarsi ; che anzi vi è chi crede , che il memorabile Congresso
frà (1 ) Tacit. Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni concessere
vita insignes Viri L. V olusius , et Sallustius Crup us . . » . . Crispum
equestri crtum loco , C. Sallustius , rerum Romanarum flore
ntissimus auctor , sororis nepotem in no- mea adscivit ; atque Me ,
quamquam prompto ad capesse ndos honores adita, Maecenatem ae-
mulatus , sine dignitatc Senatoria multos Triumphalium , Consulariumque
potentia an- teiit ...... Igitur incolumi Maecenate proximus
, mox praecipuus , cui secreta Im- peraiorum inniterentur .
(a^ Marquez Dis. sulla Vita di Mecenate. *77
Ottavio , Mecenate , ed Agrippa , e le deli- berazioni per rinunciare
, od accettare la So- vranità fossero tenute nella tranquilla
solitu- dine, e nel dilettevole silenzio di questa Vil- la
deliziosa . Ed in vero qual luogo più oppor- tuno per trattare con
riflessione , maturità , e quiete un oggetto cosi grande , che aveva
rela- zione con gl’interessi dell’Universo ? ( 1 ) Di più ;
se Ottavio era sottoposto a qualche infermità, non già restava nella
Corte, in mezzo a suoi domestici , ed agli adulatori . Esso non si
trovava contento , e non sentiva sollievo alle sue fisiche indisposizioni
, che nelle mura dell’abitazione , e fra le braccia (i)
Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?. Cumvero bis Augustus deliberaverit de
su.mma Imperli abdicando , et inpristinam restituenda Reipu- blicae
libertate , et in gravissima e deliberatiti— nis consultationem Agrippam
generum , et Maecenatem amicissimum arbitros , et consilia- rios
assumpserit , quemadmodum in majoris mo- menti rebus omnibus consueverat
.... Agrip- pa ad illum longissimatn prò abdicando ora - tionem
habuerit , prò retinendo ac optime in - stituendo rerum regimine Maecenas
, haec in nostra Tiburti Villa Maecenatiana , ut potè in serhoto à
turbis , securoque odo , agitata fuis- se , vehementer , ut suspicor ,
inclinat ani- mus . M 178 del
suo Mecenate . Svetonio (i) ci dice chia- ramente , che quello in tempo
delle sue malat- tie riposava nella casa di Mecenate . Ma la stima
, la tenera amicizia , la fiducia , il ri- spetto , che dimostrava
Augusto verso Mece- nate , non si limitavano soltanto a queste sem-
plici dimostrazioni , che possono chiamarsi materiali, e passeggere; egli
amava di esse- re istruito incessantemente da quello nelle vie
difficoltose del Governo , e ne riceveva anco- ra con tutta la
rassegnazione li più umilianti rimproveri , quando conosceva, che
erano diretti contro le sue passiotai t- Fra le altre
istruzioni benefiche , e saluta- ri , che MècènAte aVevà suggerite ad
Ottavio , vi era quella , coti la quale gli veniva rac- comandata
la moderazione , perche aveva co- nosciuto, che l’animo di questo
inclinava al- la severità, ed all’ira . A tale effetto pare , che
si facesse seguire da Mecenate in tutti li suoi andamenti , ed in
particolare maniera * quando doveva sedere nel Tribunale , come
Giudice supremo . Allora Mecenate esaminava le sue mosse la
sua voce , e li suoi delineamenti , e se ri- marcava , che T lmperadore
agiva con dol- fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi (
Augustus ) in domo Maeccnatis cu.ba.bat » *79 eezza ,
con giastizia , a sangue freddo , e non si faceva sorprendere dal
risentimento , che porta con se la severità , lasciava , che ope-
rasse liberamente , e se ne compiaceva ; ma se scorgeva , che nel
Giudizio Voleva far nso di nn rigore soverchio , eccessivo , e non
giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo alla moltitudine > che lo
ascoltava > e dond’ era circondato, lo redarguiva , lo faceva
torna- re in calma , egli faceva rammentare la sua massima salutare
, GTIstorici tutti hanno avuta l’attenzione di trasmettere
alla posterità un esempio memora- bile del dominio , che Mecenate aveva
sullo spirito di Augusto per farlo marciare con la moderazione >
e con la dolcezza al fianco in ogni sua intrapresa . Sedeva egli una voltata
qualità di Giudice alla presenza di molti Accu- sati , che attendevano la
loro sentenza . Me- cenate si avvide , che stava per pronunciare
contro quegl’ infelici la sentenza di morte . Siccome conosceva» che era
ingiusta , e la folla del popolo non permetteva di avvicinarsi al
Tribunale, e nel luogo , sù di cui sedeva , •crisse queste parole ardite
nelle sue tavolet- te incerate > e nello stesso tempo gettolle
ad Ottavio „ Sorgi , o carnefice , ed esci da que- sto luogo „
Ottavio conobbe la mano di chi le aveva scritte , si rammentò subito di
ciò , che forse per nn momento aveva dimenticato, si
i8o levò dal T risanate , e dimandò assolati quegli
Accasati (i) . Che Mecenate avesse un impero irresistibi- fé
suH’ahimo di Angusto , e particolarmente ne’movirtie'rtti dell’ira , e
della severità , lo fece conoscere lo stésso Angusto , quando
quello aveva cessato di vivere , e di assister- lo . Giulia sua Figlia
aveva ricoperto di scandalo la Corte con le sue dissolutezze . Il
Pad re sommamente rammaricato non poteva rimediare n questo disordine
domestico . Tr.v sportato dall’impeto della collera, rilegò la
Figlia , e rese publica la di lei disonestà . Po- co dopo rientrato in se
stesso, si penti de’suoi trasporti inconsiderati , e di questa
publicità, che disonorava la sua casa . Allora ricordan- ti^)
t>!on. lib. 55. pag. ^ 20 . Tarn vero si - cubi ira impoteutius
efferretur , utile m cura sibi habuit , a quo ab ira ad mansuetiorem
animum reduceretur . Unus ejus rei documentarti prof e-* ram .
Praesetite aliquando Maecenate , Augu. stus prò Tribunali stdens , cum
multos esset morte damnaiuras , praevidens hoc /ore M ac- cenni ,
cum per circumstantium coronam ad ipsum irrumperè , ac proximc assistere
ne qui - rct , haecvcrba in tabella scytpsit : Surge ve- ro tandem
, Carni fex ; vamque Tabellam , qua* si atiud quid indicantem , in sinum
Augusti projecit , qua lecca , is statini suri exit , nomi * ne
morte mulctato . i8l dosi di Agrippa , e di Mecenate ,
e della sag- gezza de’consigli , che da essi soleva ricevere
quotidianamente , esclamò replicate volte . « Ah , che questo non mi
sarebbe accaduto , „ se o Mecenate , o Agrippa fossero stati „
ancora al mio fianco fi ). Dal contesto della Storia , che ha
parlato di Angusto , e di Mecenate , si rileva agevolmen- te , come
, dopoché quello si assise , e conso- lidò sul Trono Imperiale , e fu
messo in piena esecuzione il sistema della Monarchia univer- sale,
questo si ritirasse affatto dalla grande amministrazione degli affari
politici . Finché il suo amico lottava co’nemici , che si oppo-
nevano alla di lui grandezza futura , egli com- pariva in mezzo alle
imprese le più rilevanti , e spinose, affrontava delle ambascerie mala-
gevoli , contribuiva a trattati di pace li pia vantaggiosi , diveniva
Prefetto , Amministra- tore , ed Arbitro dell’ Italia , e di Roma ;
quan- do però quello non ebbe più nemici a combat- tere , più
rivali da distruggere , e restò cqn- ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6.
Cap. Di- vus Augu, tus filiam intra pudicitiae male di- ctum
impudicam relegavi! , et flagiti* Pi ilici- palis domus in publicum
emisit . . . deinde cum interposito tempore .... verccundia gemens
, quod non illa silcntio pressisset . ... Saepe ex - clamavit ;
Horum mihi nihil accidisset , ti ani A grippa , autMaecenas
vixistet . 1 8a vinto , e persuaso a gettare la base
della sudet- ta Monarchia universale , e che a tale effetto gli fu
presentato il Piano, furono fissati li principj , e le più savie
istruzzioni ; in una parola, dopoché fu sistemato il nuovo Gover-
no politico , Mecenate , che aveva a tutto con- tribuito, che aveva
collocato il suo Amico , e il suo Padrone sul Trono deirUniverso , e
sul rango il più eminente , a cui potesse giungere un mortale ,
abbandonò , per dir cosi , le va- nità del mondo , ritirandosi fra le
dolcezze di una vita privata, e tranquilla . Continuò a prestare li
suoi servigi all'Imperadore , ma lungi dallo strepito della Corte ;
consigliando- lo sempre a farsi amare , e a fare amare il suo
Governo . Dopo questo ritiro però. Mecenate non già viveva
nell’ozio , nell’oscurità, e nell’in- dolenza . 11 genio del grand’Uomo
non era ve- nuto sulla terra per desistere , negli anni mi- gliori
della sua vita , dal far del bene ai suoi simili , ed alla posterità .
Coll’aver consiglia- to Ottavio ad accettare l’Impe ro in
quell’epoca, e in quelle circostanze , aveva reso un gran- de
vantaggio all’ umanità , giacché con que- sto mezzo aveva troncato la
testa al mostro spaventoso delle fazioni , sempre famelico di
sangue umano , e di stragi ; aveva ricondot- to la sicurezza , e la
concordia nelle famiglie , la pace nella Capitale , nell’ Italia , e
nelle Provincie le più remote . Egli però voleva , i83
e doveva fare di più; -una nazione già colta, doveva migliorarla,
un secolo già istruito do- veva perfezionarlo . Protesse in grado
emi- nente , e fece proteggere da Augusto le ar- ti , li letterati
, e le scienze , e nacque su- bito il secolo d’oeo del Fune , c delle
altre . Si ; dobbiamo pur confessarlo, e confessarlo con
tutta giustiziala posterità è debitrice all’a- nima benetica di Mecenate
di tutto ciò , che di bello,riguardo alle arti , ed alle scienze risultò
in quel secolo avventuroso , che noi riguardia- mo con ammirazione al
presente, e che non meno dovranno ammirare tutte le colte future
generazioni . Amando quello , e proteggendo , facendo amare , e
proteggere dal capo dal Go- verno li talenti , fece si , che questi si
svilup- passero con energia , e prodigassero opere capaci ad
istruire , e migliorare lo spirito , ma incapaci ad essere eguagliate
. Li Poeti migliori di quel serolo hanno cele- brato questo
favore , e questa protezione di Mecenate , e ci hanno fatto conoscere al
tem- po stesso , che egli era un protettore pieno di discernimento
, illuminato , che non conce- deva il suo affetto , che a soggetti
veramente colti , e di talenti forniti , e che fra quelli , che
esso accoglieva, e proteggeva, regnava una concordia inalterabile „ Nella
Casa di Mecena- „ te (dice Orazio) regna la purità, e la ,,
schiettezza ; vi sono banditi tutti que’disor- „ dini, che sogliono
eccitare l'invidia 4 la 1S4 ,, gelosia, e la falsa
emul azione , ed ognuno „ indistintamente occupa il suo posto , nè
si „ bada a chi sia più dotto , o più ricco (i) . Mecenate
riguardava negl’uomini il solo me. rito . Ogni dotto veniva da esso con
amorevo- lezza accolto , qualunque fosse la di lui estra- zione.
Secondo li suoi prìncipj saggi , e fonda- ti sulla natura, ognuno era
nobile, quando era virtuoso " Sebbene , o Mecenate , ( sog- „
giunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre „ dite, fra tutti
quelli , che vennero dall’ „ Asia a popolare le Toscane Contrade ,
e „ e sebbene un di li tuoi grandi Avi , co- „ mandarono vaste
Regioni , tuttavia sei (1) Horat.Sat. 9. Lib. 1. . . .
Maecenas quomodo tecum ? Hinc repetit . Paucorum hominum , et
mentis bene sanae , Nemo dexterius fortuna est usus .
Haberes Magnum adiutorem , posset qui ferrc secundas , ffunc
hominem velles si tradere ; dispeream ni , Summosses omnes . Non isto
vìvimus illic , Quo tu rere modo i Domus hac nec purior ulla
est , Nec magis hit aliena malis ; nilmi officit um~ quarti
, Ditior hic , aut est quia doctior ; est locus uni - Cuique
suits . Magnum narras , vix credibile ; atqul Siehabet . . '
. , i85 „ tanto buono , e modesto , che non sai
ego- „ mentarti , ne aggrinzare il naso , come fan- „ no li superbi
, nella società di gente igno- ,, bile , quale , fra gli altri sono io ,
figlio di „ nn padre libertino; Imperciocché taserbi „ la massima
degna di tutti gli elogj , che nul- „ la nuoce ad nn individuo la
bassezza de’ 03" „ tali , quando egli sia virtuoso (i ) .
Ed in fatti , che cosa egli non fece a vantag- gio di un istesso
suo Liberto , chiamato Melis- so , perchè lo conobbe fornito di talenti ,
ed erudito? Era questi della Città di Spoleto , e benché nascesse
libero, tuttavia perla discor»* dia de’ genitori , fu venduto , e
sottoposto all’ altrui dominio ; Avendo avuto la sorte di es- sere
educato con ogni cura j ed attenzione, ( i ) Lib. i. Sat. 6.
Non, quia, Maecenat , Lydorum quidquid Etruscos
Incoluit fines , nemo geaerosior est te ; N ec , quod Avus
tibi maternus fuit , atque pa » ternus , Olim qui magnis
regionibus imperitarunt / Ut plerique solent , naso suspendis
adunco Ignotos ; ut me libertino P atre natum. Quum referrc negus ,
quali sit quisque parente Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere
, Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum , Multos saepe viros
, nullis majoribus ortas , Et vixisse probo s , amplis et honoribus
auctof , jS6 fece grandi progressi nelle scienze , e
fu data in qualità di Grammatico a Mecenate , il quale avendo
subito conosciuto il merito letterario del suo Liberto, raddolci talmente
la sua si- tuazione , che lo riguardava piuttosto , come tin amico
, che come un servo . Mecenate pe- rò non permise , che lungo tempo
continuasse a portare un tal nome ; lo cancellò subito dal ruolo
de’servi , e lo fece tornare al possesso della sua libertà naturale , col
nome di Cajo Melisso Mecenate ; quindi proseguendo a be- neficarlo
, e ad avvalorare li suoi talenti , gli procacciò il favore, la grazia, e
la prote- zione dcH’istesso Sovrano , dal quale fu inca- ricato di
ordinare le Biblioteche esistenti nel Portico di Ottavia (1 ) ,
(i) Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-, jus Melissus , Spoltti
uatus , ingenuus, sedob discordiam Parentum expositus , cura et
indu- stria Educatoris sui altiora studia percepii , ac Maecenati
prò grammatico rnunere datus est . Cui cum se gratum , et acceptum in
modum Ami- ci videret .... permansit in statu servitutis , praeseritemquc
conditionem vcrae origini ante— posuit ; quare cito manumfssus , Augusto
et insinuatus est ; quo delegante , curam ordinan- darum
Eibliothccarurn in Octaviae porticu su - scepit : Vedi Lil. Greg. Girai.
Hist. Poet. dia- log. 8. pag. 3 1 5. Arduino in Indie. Anct. Plinii
187 La protezione pòi di Mecenate non era sol- tanto
di parole , e di raccomandazioni , non era nna protezione sterile , ed
infeconda . Egli faceva parte ai Letterati delle sue ric- chezze ,
e de’suoi beni . Il lodato Orazio te- mendo , come già si è di sopra
accennato , che . il suo Mecenate potesse allontanarsi da Roma , e
andare con Ottavio nelja guerra contro Mar- co Antonio, e Cleopatra, gli
scrive una Ode vaghissima , nella quale ci fa conoscere , che egli
era stato arricchito dalla generosità di quello , e glieue mostra cop
effusione di cuo* re , e con tenero canto la sua ricouoscenza « »,
Tu pure adunque , ( dice Orazio ) o mio ca- ,, ro Mecenate , marcerai
sulle navi Liburne ,, nella guerra contro Marcantonio , disposto „
a soggiacere a qualunque periglio di Cesa- „ re ? Ed io intanto , che
cosa farò ? Senza ,, di te , le ore del viver mio saranno affanno*
„ se, e moleste. Dovrò forse assiso nel doi- „ ce ozio , toccare le corde
della mia cetra , „ e tessere degl’inni ? Ma senza la tua preseti-
„ za, senza l’amabile tua compagnia , lamia », cetra sarà dissonante , e
la mia voce roca , „ e spiacente .... Dovrò coraggiosamente se- ,,
g, u irti , o per le alpestri balze delle Alpi , „ o sulle vette
dell’inaccessibile Caucaso , od „ anche fino alle ultime spiaggie
dell’Occiden* Art. Melissus . Catron Tom. 19. pag. 4. Tirabo*
schi Stor. della Lett. Itati. Tom. 1. pag. 298. . V
183 » te? E vero , che essendo di debole tempe- „ ramento la
mia risolnzione non potrà recare „ alcun sollievo alle tue fatiche; ma
trovando- ,, mi a tc vicino , saranno meno intensi li miei f ,
timori , e meno penosa la mia angoscia .... „ Io dunque affronterò non
solo questa , ma. „ qualunque altra militar spedizione , a solo „
oggetto di compiacerti, e di mostrarti la mia „ riconoscenza , e non già
perchè divenga- „ no più numerosi li miei aratri , perchè le ,, mie
agnelle prima della Canicola faccian „ passaggio dai pascoli della
Calabria alle te- „ nere erbette della Lucania , o perchè giun- f ,
ga a possedere sulle Colline deliziose del „ Tuscolo una Villetta , la
quale debba esten- „ dersi fino alle muta della Città . Io, o mio v
Mecenate , null’altro desidero , e sono ap~ „ pieno contento della tua
generosa munificen- „ za, che già mi fece dovizioso abbastanza ( i
). (i) Epod. i. Ibis Liburnis inter alta navium ,
Amice , propugnacula , Paratus orane Cacsaris periculum
Subire , Maecenas , tuo . Quid nos ? guibus te vita si superstite
, Jucunda ; si contra , gravi s ? Vtrumne
jussipersequemur otium Non dulce , ni tecum simul ? • • • • •
• • • • et te vcl per A Ipium juga , Digitized
by Google - Non solo in questo luogo ; ma soventi volte
Orazio ci avverte de’bene&cj , e delle ricchez- ze , di cui era stato
da Mecenate fornito “ Se „ il crudo Verno ( ripete egli ) ricoprirà
di „ neve le campagne Albane , allora il tuoPoe- „ ta scenderà
sulla Marina ; quando poi co- annoieranno a vedersi le prime rondini,
ed a sentirsi il soffio de’primi zeffiri , allora , „ o dolce amico
Mecenate , tornerò , purché ,, lo permetterai , a rivederti . Tu mi
face- >, sti ricco , non già come l’ospite Cala-
Inhospitalem et Caucasufn , Vd Occidenti s usque ad ultimimi sinum
, Forti sequemur pectore ? Roget , tuum labore
quidjuvem meo , Imbellii , ac firmai parum ? Comes
minore sum futurus in meta , Qui major aìscntes hab:et ;
• • • • • • • • è ■Libenter hoc , et omne militabitur
Bellum in tuae spem gratiae : Non ut juvencit illibata
pluribut Aratro nitahfur me a , Pecusve Calabris ante iidus
fervidum Lucana mutet patcuis . Nec ut tuperni Villa candens
Tusculi Circaea tangat moenia. Satis , superque me òenignitas
tua Ditavit ...... t$0 } , brese , che
suole apprestare allo stanco „ viaggiatore frutta soltanto (i).
Che anzi era tale il di Ini zelo , ed im- pegno nel beneficare i
Letterati , che dopo di averli arricchiti , sarebbe stato prodigo
con essi anche di beni maggiori , se li avessero richiesti , e se
ne avessero mostrato deside- rio . Nell'opere dello stesso Orazio si
rinvie- ne il testimonio di una tal circostanza, e quantunque il
Poeta parlidi se stesso, tut- tavia sembra doversi credere , che lo
stesso tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le „ api Calabresi (
soggiunge il Poeta ) non tra- „ vaglino per mio uso, e vantaggio favi
do- „ rati ; sebbene nelle mie botti non invecchi ,, il vino
proveniente dalle Vigne della Cam- „ pania , o i pingui pascolali della
Gallia non „ mi producano lane squisite , tuttavia , o „ Mecenate ,
mercè la grandezza del tuo ani- „ mo generoso , sta lungi dalla mia Casa
la molesta povertà ; e conosco , che più mi da- ( i)
Epist. 7. Lib. 1. Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ;
Ad mare descendet Vates tuus . ... . . . . . te 3 dulcis Amice
, reviset Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima :
Non quo more pyris vesci Calaber jubet hospes ■Tu me fecisti locupletem
»».»»•• / I J 9* •„ resti, se
fossi petulante a chiederti altri „ beni ( x ) . Lo stesso
Virgilio nelle sne Georgiche , ope- ra composta ad istanza di Mecenate ,
dà bene a comprendere di quante cose egli era a que- sto debitore ,
e che l’amore, e l’amicizia, di cui l’onorava davano l’impulso alla sua
men- te, onde produrre idee sublimi “ O Mecena- », te, ( dice
Virgilio ) o tu i che sei il mio i, decoro , che con Cagione posso
chiamarti « la massima parte della mia celebrità, deh », vieni ad
avvalorarmi , e meco trascorri l’in- „ cominciato lavoro ; senza di te la
mia men- „ te non è capace di stendere un volo subli- 'me.(a)
Properzio quell’aureo , ed elegante scritta re della tenera Elegia
di sopra accennata , an- ch’csso godeva la familiarità , e la
protezio- ne di Mecenate , anch’esso era stato benefica- to^ veniva
da questo mcoraggito ad impiegare, ed esercitare li suoi poetici talenti
“ O Me- (i) Lib. 3. Od. 1 6 . 'Quamquam nec C alabrae
mella f erutti ape* , N ec Laestry gonia Bacchus inamphora
Languescit mihi , necpinguia Gallicis Crcscunt veliera pascuis
; Importuna tamen pauperies abest ; jNec , siplura velini ,
tu dare dcneges . (a) Georg. Jib.i. e lib.a. cit.
Digitized by Google 1 „ cenate , ( cosi pària il
Poeta ) o tu , la-d! t, cui stirpe deriva dal sangue dei Re
Toscani, i) perchè vuoi , che io m’ ingolfi nel vasto pe- n Jago
dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose it non sono adattate alla mia
piccola navicella Ma io appresi li precetti della vita )s da te , e
perciò sulTorme tne , e col tuo }} esempio sono spinto a superarti» « . .
Tu t, generoso mio Protettore , prendi le redini „ dell’
incominciata mia giovanile carrie- ra . ( i ) Il Poeta
Lucano , benché posteriore al seco- lo , in ctii vissero Orazio ,
Virgilio * e Pro- perzio , e benché non avesse partecipato delle
liberalità di Mecenate , tuttavia egli pure en- comia altamente la
protezione straordinaria, di coi quello onorava li Poeti . “
Virgilio(dice y> egli ) fu quel Poeta , che cantò fra li Po*
(i) Life. 3. Eleg, y. M aecenas , eques Etrusco de sanguine
R cguitl , Intra fortunata qui cupis esse tuatn , Quid me
scribendi ,tam vastum mittis in aequorl Non surit opta mede grandia vela
rati . At tua , Maecenas , vitae pratcepta recepì
, Cogor et exemplis tc superare tuis . Molli* tu coeptae f
autor cape lorajuventae . Pig itized by Google n poli
dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi. „ glio
di Anchise , e che provocò con il poeti- co stile romano il genio divino
del vecchio „ Omero . Ma quello sarebbe forse restato se- „ polto
sotto le ombre di quelle selve , che fu* ,, rono pur anco oggetto del suo
canto ; la sua „ Cetra avrebbe tramandato uno sterile suono, ed
esso stesso sarebbe sconosciuto alle Na- „ «ioni , se Mecenate non lo
avesse animato con la sua tenera amicizia , e con le sue be- „
neficenze . Ma questo non solo protesse , ed „ onorò il Poeta di Mantova
; egli avvalorò „ il genio di Vario a scuotere il palco teatrale „
con il tragico coturno ; mostrò ai popoli „ della Grecia , che ancora le
corde delle Ce- „ tre latine sapevano risuonaie dell’ augusto „
nome di Giove , ed eccitò, produsse , ed „ arricchì 1’ italica Lira del
Poeta Venosino : „ 0 Mecenate, o decoro, ed onore delPar- ,, naso ,
degno della venerazione di tutte le „ generazioni , e di tutti i cuori ,
sotto le ali ,, benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa- ,,
ventò le miserie della cadente , e molesta ,, vecchiezza . (1 )
CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8., e seq. Ijtse per
Ausonias jEneia carmina genteis Qui sonat, ingenti qui nomine pulsai
olympum , Maeoniumque senem Romano provocai ore } Fersitan illius
ncmoris latuisset in umbra , N I
194 Questo favore prestato da Mecenate alle lettere traeva la
sua origine dall’esserne egli stesso coltivatore . Che egli fosse colto ,
ed istruito ,e che producesse ancora delle Opere in varj generi di
Letteratura non mancano fonda- menti per esserne persuasi . Orazio lo
chiama dotto nella lingua greca , e latina (1) . Seneca ha lasciato
scritto , che egli era fornito di un ingegno grande , e robusto , che
avrebbe dato nn luminoso modello della Romana eloquenza , se non
l’avesse snervata con la soverchia nata* ralezza.(a)
* Quod canit , et sterili tantum cantasset avena,
Ignotus populis , si Maeccnate carcret . Qui tàmen haud uni
patefecit !im in a Vati , Nec sua Virgilio permisit nomina soli ,
Maecenas, tragico quatientem palpita gestu Evexit Varium . Maecenas alta
Thoantis Eruit , et populis ostendit nomina Grajis. Carmina
Rornanis etiarn resonantia chordis , Ausoniamque Chtlyn gradi is
patefecit Horatl s O decus , et toto merito venerabile aevo ,
Pierii tutela chori ! quo praeside futi Non umquam Vatés inopi
timuere scnectae , (O Lib.3.0d.8. Docte sermo nes
utriusque linguae. ( 2) Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit
( Maecenas ) magnum cxemplum Romanae elo- quentiae datar us, nisi tllum
enervasset foelici-* * Digitized by Google
Sappiamo ancora dal niedesimo autore , che scrisse un Libro
intitolato ilPrómcfeo,, Vo- ■„ glio narrarti ( dice Seneca ) ad detto di
Me- „ cenate , cioè „ L’Uomo , che è in supremo „ grado, ed in una
somma altezza di stato vive ,, sempre in timori , ed in tempèste a guisa
del „ tempo , che tuona „ Se mi domandi in qnai „■ libro egli parlò
in tal gnisa , ti rispondo , „ che lo ha detto in quel libro intitolato
da esso Prometeo „ ( i ) Di più secondo lo stesso Seneca, scrisse
altra opera avente per titolo de culto suo » 11 Cenni
afferma, che queste due opere fos- sero scritte da Mecenate in versi, e
che il Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre, che altra
Tragedia intitolata Ottavia è pari- menti à quello attribuita. (2)
tas : Epist.93. : Habuit enìm ( Maccenas ) in- genium et grande ,
et virile nisi illad ipse discinxisset . ( i ) Senec. Epist.i
9. ; Volo Ubi rej erre hoc loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo
at- tonat summa ,, Si quaeris , in quo libro dixerit, in eo , qui
Promethcus inscribitur . (a) Cenni Vita di Mecenate pag. 126- :
In questo luogo l’autore si è dato caricò di trascri - vere tutti
li frammenti delle opere , delle qua- li fu autore Mecenate, estracndoli
da varj Bio- grafi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt- N
a I I delle altre in prosa , e
segnatamente dei Trat- tati concernenti materie di Storia naturale
. Imperciocché si rileva da Plinio, che quello fuAutoredi un libro
sulle differenti specie delle pietre preziose . (i ) e da Prisciano ,
che aveva scr tto una Storia in dialoghi intorno agli Animali ,
citandosi da quello il dialogo decimo . Di più , secondo Solinò scrisse
anco- ra una Storia delle imprese di Augusto . ( 2) In fatti
si può conoscere dalle Odi di Ora- zio , che Mecenate aveva tutta la
premura, onde fossero celebratele geste gloriose del suo Sovrano ,
che perciò venisse quel Poeta viva- mente stimolato ad occuparsene , che
questo si scusasse , dicendo , che non conveniva alla lirica Poesia
di cantare oggetti gravi , e stre- pitosi ; ed esortando lo stesso
Mecenate a scri- raldi nel Dialog.4. hist. poet. che possono
con- sultarsi . (1)
Lib.i. Hist. Nat. pag.49. cumNot.Har- duini . (2) Apud
Harduin. in Indie. Auctor. lib.i» Plin. Art.Maecenas : Maecenas eques
romanus , Augusto gratissimus , cujus res gestas lietcris
consignavit , ut ex Solino discimus cap. 12. pag.gx.
ejus Dialogorum lib.10. laudai Pri- seianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou
lib. 7. Tom. 19. nelle Note . 9 6 Oltre le
snccennate opere in versi compose * vere la
Storia , che tanto bramava « Cessa di ,, stimolarmi, o Mecenate, ( scrive
Orazio ) „ a cantare ron le deboli corde della mia Lira, ,, oil
lungo assedio di Numanzia , o il fiero ,, Annibale , o il mar Siciliano
rosseggiante di ,, sangue Cartaginese , o l’ardita impresa de’ „
Giganti , li quali fecero tremare la fulgida „ Regia del vecchio Saturno
, debellati quindi „ dal valore di Ercole, giacché tu stesso po- „
trai, meglio di me , trasmettere alla poste- „ rità con unaStoria le
battaglie di Augusto, ,, li trionfi , ed il numero dei Re dal
medesi- „ rao soggiogati . ( i ) Anche Servio è d’ avviso ,
che Mecenate scrivesse la Storia di Angusto , appoggiando (
i) Lib.a. Od. 13. Nolis longa fcrae bella Numantiae Nec dirum
A anibaie m , nec Siculum mare Poeno purpureum sanguine , mollibus
Aptari Cithar ae modis : N eo saevos Lapithas . .
domitosque Hcrculea manu Telluri s juvencs, unde periculum
Fulgens contremuit domus . Saturni veteris ; tuque
pedestribus Dices historiis proeliaCaesaris Maecenas melius ,
ductaque per vias Regum colla minacium i „ Iettato, e
molle del tutto riprova, e per „ ischerzo imitando deride . (a )
( r ) Macrob. Satur. lib. a. pag. 1 58. : Idem Augustus , qui
Maecenatem suurn noverai esse stilo remisso , molli , et dissoluto ,
taltm se in epistolis , quas ad eum scribebat , et contro casti
gationem loquendi , quam aliis ille seri - bendo servabat , in epistola
ad Maecenatem familiari plura in jocos effusa subtexuit : Vale,
inquit , mel gent rum , mclculc , ebur ex He - truria , A da mas super
nas , T iberinum marga— ritum , Cylniorum smaragde , hyaspis figu-
lorum , berylle Porsennae : Vedi il Turnebio Advers. lib. x 3. cap. 2
, ( 2 ) Sveton. in Octav. Art. : Oenus elo~ quandi secutus
est ( Augustus ) elegans, et tem- perai uni , vitatis s catene iarum
ineptiis , atque 300 * Tacito parlando
dell’ottimo, e perfetto ge- nere dell' eloquenza , e della forma del
di- scorso, insegna frà le altre cose , doversi sfug- gire r impeto
di Cajo Gracco , e li belletti di Mecenate . (i) Quintiliano ancora
riprova nella di lui maniera di scrivere una certa tra- sposizione
di parole, che rendono il periodo lussureggiante , oscuro , e vizioso .
(a) Se poi si dovesse dare ascolto al surrife- rito Seneca ,
Mecenate sarebbe stato 1 * uo- mo il piu immorale , e il più
cattivo inconcinnitate . . . pari fastidio sprevit , et Cacozelos
, et Antiquarios . Exagitabat non - numquam in primis Maecenatem suum ,
cujus p«X«« , ut ait, cincinnos usquequaque per- scquitur , et
imitando per jocum , irridet . (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat.
cap. 26. Ceterum si omisso opt imo ilio , et perfettissi- mo genere
cloquentiae , eligendo sit forma di - tendi , malim hercule Caji Gracchi
impetum • . . quam Maecenatis ealamistros . (a) Quintil.
Instit. Orat. lib.9. Cap.4. pag. 386. : Quaedam vero tranigressiones , et
lon - gae sunt nimis ... et interim etiam composi- tione vitiosae ,
quae in hoc ipsum petuiUur , ut exultent , atque lasciviant , quales
iUae Maecenatis „ Sole, et Aurora rubent pluri- ma : inter sacra
movit aqua fraxinos . Ne exe- quias quidem unus inter miserrimos
viderem meas „ quod inter hacc pessimum est , quia in re tristi
ludit composi ciò . \ Digitizécf by Google
*01 Scrittore frà quanti sono itati ammessi nella
Kepublica letteraria . Con qual fiele non si scaglia contro di quello
nella Lettera 1 15, ed altrove ancora nelle sue opere il Maestro di
Nerone ? Parlando egli di Mecenate ora scrive : » Tu vedrai adunque
l’eloquenza di un Uomo •> ubriaco inviluppata, errante , e piena
di „ lingue „ Ora attaccando anche li di lui co- stumi soggiunge “
Quando tu leggerai li suoi „ scritti , e le parole cosi viziosamente
orna- „ te , cosi negligentemente buttate , così po- „ ste fuori
dello stile di tutti, mostreremo, „ che non meno li suoi costumi fossero
nuovi, „ depravati , p singolari ( 1 ) ** (0
Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p*. : Quo modo Maecenas vixerit , notius
est , qitam ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit , quarti
delicatus fuerit , quam cupierit videri , quam vitia sua latere nolut .
Quid ergo ? Non oratio ejus aequerite saluta est , quam ìpse di-
scine t us ? Non tam insignita illius verba sunt, quam cultus , quam
comitatus , quam domus , quam uxor . Magni ingenii vir fucrat , si
illud egisset viarectiore , si non vitasset intelligi , si non
etiam in oratione difflueret . Videbis itaque eloquentiam ebrii hominis
involutam, et crrantem , et licentiae plenam : Maecenas in cultu
suo .' Quid turpius ani ne , silvisque ripa comantibus ? Vide ut alveum lyntribus arcet,vcr * soque vado
remittant hortos , . . —
Digitized by Google 303 Ma Seneca era troppo invidioso
della fama , della riputazione , e delle doti brillanti di Mecenate
, il di cni splendore ancora traspi* rava chiaro, e vivace nel secolo ,
nel quale quello viveva , e come Ministro , e Consiglie* rodi
Nerone, conoscendo, che non aveva po- tuto, ne’poteva eguagliare le
sublimi virtù politiche , di coi andava nobilmente fregiato il
Ministro, e Consiglierò di Augusto , ne di- venne l’nnico, e il più
maligno detrattore. Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di
tutti li Biografi all* uno , e all’ altro contempora- nei 4
Non ostante però tutto il male, che dice ne’ suoi scritti , di
Mecenate , Seneca sapeva benissimo, che questo nel tempio della gloria
Non statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret, hunc esse , qui ,
solutis Cunicis , in Urbe sera- per inccsserit ? Nani edam cum
absentis partibus Caesaris funger et ur , signum a di - scindo
petebatur .... Hunc esse qui Uxo- rem millies duxit , cum unam habueritì
Haec verba tam improbe strucca , tam negligenter abjecta , tam
extra consuetudinem omnium po- sila, ostendunt mores quoque non minus
novos, et pravos , et singulares fuissc . Quasi della stesso tenore
parla Seneca di Me cenate , ed in questa, medesima lettera , e nella
diecinovesi- ma nella nonagesimaterza nella ceutoventi e pc/Lib.x.
cap.3. de Providentia . \ Digitized by Google
&o3 occupava il posto di un grand’ uomo di Stato ,
di un eccellente Ministro , di un Consiglierò illuminato, e di un Favorito
nou infetto dai vizj abominevoli dell’ avarizia , e dell’ inte-
resse , H quali al contrario avevano ad esso procacciato il possesso di
più milioni , estrat- ti con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi
Romani . Sapeva inoltre , che quello aveva meriti grandissimi , conforme
fu costretto a manifestare pubicamente, e in faccia allo stes- so
Nerone, allorquando, decaduto dal di lui favore , aveva forse cessato di
screditarlo , Imperciocché sappiamo da Tacito, che do- po la morte
diJJurro, mori ancora, pèr dir cosi, la potenza di Seneca . Allora si
accreb- bero a carico del medesimo le satire, e le mor* morazioni
furono universali per le immense ricchezze , che aveva accumulate , e
segnata- mente per la grandiosità de’ snoi Giardini , che
eguagliavano quasi gl* istessi Giardini Impe- riali . Seneca volendo
dileguare , se fosse sta- to possibile , dall’animo del suo Padrone
.ogni sinistra impressione , dimandò di essere ascol- tato , lo che
avendo ottenuto , recitò al suo Sovrano un discorso artificioso , o
pipttosto la sua Apologia, nella quale fra }e altre cose ,
ricordandosi di Augusto , di Meceuate , e di Agrippa , e dei meriti
politici di questi , disse cosi : „ Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare
, ,, permise a Marco Agrippa il ritiro di Mitile- „ ne , e a Cajo
Mecenate un ozio pellegrini) 204 „ nella stessa
Capitale . 11 primo , come com- ,, pagno d’armi di quel Monarca , ed il
secon- ,, do come quello , che seppe disimpegnarsi „ da molti
incarichi laboriosi anche in Roma , „ ricevettero dal loro Sovrano ampie
ricom- 3 , pense in vista de’ meriti grandi , di cui era- „ no
forniti, (i) Si attribuisce ancora al nostro Mecenate 1 ’
invenzione di scrivere in abbreviatura. Dio- ne (a) afferma , che egli
trovasse alcune note \ ( i ) Tacit. Annal. llb. 1 4 . art. 5a. , et 53. : Mors
Burrhi infregit Senecae potentiam .... variis cr i mi nat io 1 libili
Senecam adoriuntur : tamquam ingentes , et privatum supra modum
evectas opes adhuc augeret .... hortorum quoque amoenitate , et villarum
magni ficent la, quasi Principem super greder et ur . . . At
Se- neca criminantium non ignarus . . . tempus sermoni orat : et
accepto , ita incipit . . . Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mi-
tylenense seeretum , Caio Maecenati in ipsa Urbe velut peregrinum otium
permisit ; quorum, alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~
boribus jactatus , ampia quidem , sedpro in- gentibus meritis , proemia
acceperant . fa) Lib. 55. pag. 720 . : Primusque ( Mae -
eenas ) ad celeritatem scribendi notas quasdam literarum exeogitavit ,
quam rem , Aquilae Liberti ministerio , multos doaj.it .
*o5 per scrivere con celerità , e che insegnasse questo
metodo a molti per mezzo di Aquila suo Liberto. 11 Catrou (i) è di
sentimento, che tali note costituissero un Trattato per poter
scrivere abbreviando le parole . In fatti è in- dubitato , che la maniera
per scrivere con prontezza , e sollecitamente è quella , che
istruisce a scrivere col soccorso delle abbre- viature , e siccome nel
caso , di cui si parla , Dione dice , che Mecenate prirnus
cxcogitavit, così pare non possa mettersi in questione , che prima
di questo un tal metodo di scrivere era affatto sconosciuto , e che egli
ne fosse il primo inventore . Isidoro di Sicilia dice (a) che
il poeta En- nio fosse 1’ autore di mille e cento note per scrivere
; che il primo , il quale in Roma fa- cesse un commento di queste note ,
fosse Tiro- ne Liberto di Marco Tullio Cicerone ; che dopo di
questo Persannio , Filargio , ed Aqui- la Liberto di Mecenate ne
inventassero delle altre , e che Seneca finalmente ne ordinasse un
numero di cinquemila . Riguardo però ad Aquila Liberto di
Mece- nate non sembra giusta l’asserzione delEaccen- nato Isidoro ,
attribuendogli E invenzione di alcune note per scrivere , giacché abbiamo
rimarcato da Dione , che il sudetto Liberto di ( 1 ) Lor.
cit. ( 2 ) Lih.i.orig. cap.aj.' l
\ Digitized by Google ioó
Mecenate non ne fu inventore , ma che fu il propagatore del
ritrovato , e dell* opera del suo Padrone, e che esso stesso , istruito
da questo , ne istruisse degli altri . Dallo stesso Dione
sappiamo (i) ancora, che Mecenate recò ai Romani un altro rimar-
chevole vantaggio , qnale Fu quello dei Bagni delle acque calde . Dal che
si ravvisa , che questo specifico salutare , ed alla umana salu- te
profittevole , non era in Usanza in Roma prima dell’ epOcà di Mecenate ;
cosicché que- sto, il qnale , secondo le osservazioni già fat* te,
era intelligente della Storia naturale , avendone in prattica
sperimentato gli effetti benefici , ne introdusse fra li Romani l’uso ,
e l’esercizio . ( a) Mentre Mecenate passava nel ritiro le
ore ( 1) fjOC.eit . Idem primus (
Maecenas ) Ro- maeN atatorium aquis calidis refertuminstitu.it .
(2) P linio attribuisce a Mecenate V intro- duzione nelle
mense de’ figli lattanti dell'Asi- na , li quali in quell epoca erano
preferiti alli Onagri , o Asini selvatici . Aggiunge inoltre , che
il gusto per questa sorte di pietanze svanì con la sua morte . Ecco il
testo di Plinio lib.8. cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus , aurium
referre in his et palpebrar umpilos ajunt . . . . . : Pullos earum
epulari Maecenas insti- tu.it , multum eo tempore praelatos Onagris
. Post eum intcriit authoritas saporis . pìgitized by
della snà vita m comporre delle opere io prosa , ed in versi , in
presentare ai Romani, ed alla società delle tifili invenzioni > in
pro- teggere, animare, e arricchì re li Letterati, ed in promuovere
il progresso della Letteratu- ra; Augusto , che in tutti li suoi bisogni
non mancava di consultarlo > gli diresse una let* tera .
Dal contesto di questa si rileva, che quello era lontano da Roma ,
e c he se ne stava fra le delizie della sua Villa Tihurtina con la
dolce comitiva dé’ Dotti, e fra il soave concento del- ie Cetre de’
m gliori Poeti . Augusto aveva bisogno di un Segretario , e per mezzo
di quella lettera richiese il Poeta Orazio , che stava presso di
Mecenate. “Prima poteva da me stesso ( dice Angusto ) scrivere
delle lette- „ re ai miei amici,ma ora.o mio Mecenate, che ,, sono
occupatissimo, ed infermo, bramo, „ che mi mandi il nostro Orazio . Io sò
qnan- M to vive contento presso di te, ma spero, ,, che
lasceràlesue mense squisite, e verrà „ nella mia Regia per ajutarmi in
qualità di » Segretario.fi) (i) Sveton. in Vit. Horat. : Ante
ipse suffi- ciebam scribendis epistolis amicorum ; nunc
occupatissima s , et infirmus , Horatiam no- strum te cupio adduccre .
Vcniet igitur ab ista parasitica mensa ad hanc Regiam , et aos in
epistolis scribendis adjuvabit ■. Non sappiamo con sicurezza , sé
le brame di Angusto in ciò venissero appagate . Mecenate non avrà
mancato di rappresentare ad Orazio il grande onore , che gli si voleva
compartire con quell’impiego luminoso , ma il Poeta, che amava la
calma , che per lo più , lungi dallo strepito della Capitale, e della
Corte ^ desi» derava di ragionare con le Muse , o presso le onde
sussurranti del fonticello di Blandnsia , o sotto le ombre taciturne del
boschetto di Ti- burno , avrà mostrato tutta la renitenza di ac-
cettare un tanto onore , e per disimpegnarsi dalle richieste del suo
Sovrano (i). Sebbene adunque Mecenate si fosse ritirato
spontaneamente dai grandi affari della Corte , tuttavia Augusto
continuava a rispettarlo , e a deferire in tutto , e per tutto alli suoi
consi- gli . Ma questo rispetto , questa amicizia , questa fiducia,
questa uniformità di pensieri fu sempre eguale fra l’uno , e l’altro ?
Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione sembra esserci stata
un’epoca di tempo , nella quale un adultero amore sconcertasse
quella bella armonìa , che per tanti anni era stata fra di essi
inalterabile . Terenzia moglie di Me- cenate era una donna arricchita
dalla natura (i) Sveton. loc. cit. Vixit plurimum in se -
eessururis sui Sabini , aut Tiburtini , do mus- ane ejus ostenditur circa
Tiburniluculum : V e- di il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio
« a9 tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie
seducen- ti , che sogliono distinguere il bel sesso . Si
suppone , che Augusto , il quale aveya occasione di vederla sovente ,
come sovente soleva vedere il marito , ne divenisse amante , e che Terenzia
non fosse insensibile alli di lui teneri sentimenti . Si suppone inoltre
, che la fiamma di quello si rendesse cosi vivace , che Roma ne
mormorava ; che per involarsi dalle mormorazioni , e dai rimproveri de’
Romani , se ne andasse nelle Gallie , portando con se la detta
Terenzia . Soggiunge Dione , che da questi amori nascesse il motivo di
quella fred- dezza , che si ravvisò per qualche tempo tra Mecenate
, ed il suo Sovrano , e che per lo stesso motivo non fosse quello
lasciato da que- sto Prefetto di Roma , quando intraprese il
sudetto viaggio . Sentiamo^ come parla lo Storico . ,,
Vedendo „ Augusto , che la sua lunga permanenza nel- „ la Capitale
riusciva a molti molesta ; che se ,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe
fatti „ altrettanti nemici ; che se doveva passare ,, sotto
silenzio i loro delitti , sarebbe stato „ costretto ad offendere esso
stesso la nuova i. Costituzione , e a ledere l’osservanza delle „
sue leggi, stabili, ad esempio di Solone, „ di andare lungi dalla patria
. Vi furono pe- „ io alcuni, li quali sospettavano, che egli ,, si
portasse nelle Gallie , a cagione di Te- „ renzia , moglie di Mecenate ,
affinchè , stan- ti 310 „ ti le voci diverse ,
che si divulgavano pe* „ Roma , de’ loro amori , potesse in questo
„ viaggio vivere con essa lontano da ogni ru« „ more . ; ; . . Lasciò in
qualità di Prefetto ,, di Roma , e dell’ Italia Statilio Tauro , „
giacché Agrippa era stato inviato nella „ Siria , e Mecenate era già con
esso in qual* ,, che disgusto per motivo della sua mo- » glié (0
• Ad onta però dell’autorità di qnesto Scrit- tore non pare
abbastanza provato il fatto , di cui si parla, e che narra riguardo agli
amo- ri di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio nelle Gallie a tale
effetto intrapreso; ed ai disgu- sti di quello con Mecenate .
Imperciocché (l ) Dion. lib. 54. pag. 697. Cu/n enim diu-
turna ejus in Urbe commoratio molesta multis esset , ac multos , qui
contra leges deliquis- sent plectens offender et , multis parcens ,
eogeretur suas ipse leges praevaricari , pere « gre abire , Sblonis
exemplo -, statuii . Fuerunt qui , propter Terentiam Moecenatis
Uxorem, eurn discedere suspicarentur , ut quoniam mul- ti Homae de
ipsorum amore sermones per vul- gus darentur , in peregrinatione sua
citra om - nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset . . ... Deinde Urbis , et Italiae gubernatione Tauro
injuncta , nam statim Agrippam. in Syriam mite rat ; e rat autem ei
Maecenas propter Uxo * rem minus j am gratus . ... Dione
non parla di questi pretesi amori , co- me di un fatto sicuro . Asserisce
semplicemen- te , che alcuni sospettavano , che correvano per Roma
delle Voci diverse ; ma questi sospet- ti , e queste voci non valgono
ragionevolmen- te a costituire una prova tale , che non possa , nè
debba credersi altrimenti ; tanto più , che 10 stesso Diohe ,
premette il motivo positivo , per cui Augusto volle allontanarsi da
Roma. D'altronde Svetonio , Tacito, Vellejo, ed altri antichi
Biografi di vaglia , hanno parla- to , e scritto chi più , e chi meno
della vita publica , e privata di Augusto , e niuno ha ri- ferito ,
e neppure accennato li pretesi di lui amori con la moglie di Mecenate . É
vero , che 11 detto Svetonio non omise di narrare , che
quello non fu esente da’vizj , e che fra questi non esclude l’adulterio,
ma non ha mancato di aggiungere , e di prevenire la posterità , che
questi Vizj deturparono soltanto i giorni della sua prima giovinezza , e
che se commise degli adulterj , non già cadeva in questo di-
sordine per libidine , ma per discoprire, per mezzo delle mogli altrui ,
l’animo , e li segreti de’ suoi nemici , „ La sua giovinezza (
scrive „ Svetonio di Augusto ) fu sottoposta all’im- „ famia di
vari difetti .... Gli stessi suoi ,, amici non negano , che fosse dedito
agli ,, adulterj ; ma in ciò lo scusano, dicendo, „ che questa sua
condotta non era l’effetto di „ una passione disordinata , e libidinosa ,
ma O 2 aia ,, che lo faceva per discoprire
più facilmente „ l'animo de'snoi nemici per mezzo delle loro i,
mogli fi). Ora se Angusto commetteva degli adulterj , non già
per libidine , ma quasi direi , per po- litica , e per quel punto di
politica , che nel- le testé riferite espressioni si è rimarcato ,
ciò non poteva aver luogo con Terenzia moglie di Mecenate, , sulla
sperimentata fedeltà del quale non poteva quello , nè giammai aveva
potuto sospettarle i Inoltre Svetonio riferisce, che l’epoca di alcuni
vizj del medesimo Augu- sto fu la prima sua gioventù , inconseguen-
za resta escluso quel tempo , in cui si suppone l’amorosa passione con
Terenzia, ritrovan- dosi egli allora in età di circa anni quaranta-
cinque fa) . Meno prova ancora, che partendo perle Callie ,
non lasciasse Prefetto di Roma Mece- nate , perchè era con esso irritato
a motivo degli amori 6 udctti . Imperciocché si è di già osservato
, che questo , elfettuato il novello Sistema politico della Monarchia
universale * ( i ) In Octav. Art. 68 . e seg. Prima \uven- ta
variar um dedecorum in/amiam subiit , > . « adulterio guide in
exer.cuisse , ne amici guiderà negant ; excusuntes sane , non libidine ,
sed ratione eommissa , guo facilius consilia adver- sariorum per
vujusque mulieres cxquircret . (3) Dion. loc. cit.
Digitized by Google n3 si ritirò dalla Corte , e
da’grandi affari , nè curò impiego veruno . Si è osservato altresì,
che nella nuova Costituzione dal medesimo mo- dellata si era parlato del
rimarchevole im- piego di Prefetto di Roma , e si era stabilito per
massima , che questo doveva essere di più lunga durata , e che dovesse
addossarsi a per- sone di specchiata probità , e consolari . Come
dunque può recar meraviglia , se Augusto al- lontanandosi da Roma , per
andare nelle Gal- lie , non nominasse Prefetto di Roma Mece*« nate
? A llora quasi tutte le leggi della succen- nata novella Costituzione
erano in una piena osservanza . Di più l’assertiva di Dione
sù tal punto sto- rico, sembra , che venga del tutto smenti- ta da
Cornelio Tacito , il quale a chia- re note dichiara , Ghe Augusto per
tutto il tempo dei torbidi , e delle guerre civili , la- sciò
sempre Prefetto di Roma , e dell'Italia Mecenate , e che dopo di essersi
sollevato alla Sovranità impiegò soltanto personeConsolari a
coprire questa carica ,, Del restai dice Taci- „ to ) Augusto , in tempo
delle Civili discor* ,, die, nominò alla Prefettura di Roma, e „
dell’Italia CajoCilnio Mecenate dell'Ordinò „ de’Cavalieri . Divenuto
però Sovrano asso- , x luto, addossò questo impiego a Soggetti Con-
„ solari .... Il primo , che venne rivesti- „ tedi questo potere, fu
Messala Corvino . * ài4 ,, . . il secondo S'tatilio
Tauro . . . . quindi „ fu eletto Pisone (O* Dopo ciò , che
cosa può addursi di più con- vinceute per conoscere , che se Augusto ,
par- tendo per le Gallie,non lasciò Mecenate Prefet. todi Roma , fu
per tntt'altra cagione di quella immaginata da Dione ? In quell’epoca per
leg- ge , e principio fondamentale della Costituzio- ne , dovevano
rivestirsi di tal carica persone Consolari ; Mecenate era semplice
Cavaliere Romano ; non poteva dunque esercitarla , sen- za ledere
l’ordine , e l’integrità della Costitu- zione medesima ; e siccome esso
stesso era sta* to Fautore della Legge , cosi quantunque Au- gusto
lo avesse voluto decorare della Prefet- tura anche in tali circostanze ,
T averehbe francamente ricusata , come incapace di met- tersi in
contradizione co’suoi principi , Co- munque sia però, ed ammessa ancora
laveria tàdel racconto di Dione , li pretesi dissapori fra Mecenate
ed Augusto dovettero essere ( 1 ) Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum
Au,gu~ stus bellis civilibus Cilnium Maecenatcm eque- stri s
Ordinis , cunctis apud Romani, atque Ita- liani praeposuit . Mox rerum
potitus , ob ma- gnitudinem Populi , ac tarda legum auxilia ,
sumpsit e Coruularibus , qui coerceret servi- ti a .... primusque Messala
Corvinus eam potestatem .... accepit .... Tum Tau - rus Statili us
. . . Dein Pis ». ■ •„ « » * * 1 &
di poco momento , e passeggeri , sapendo da Plutarco , che quello
nel giorno suo natalizio offriva sempre in dono a questo una Tazza
. ,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva „ ogn’anno da
Mecenate in dono una Tazza nel „ giorno suo natalizio (i ).
Ma finalmente Mecenate dopo aver veduto p ratticamente , che le sue
fatiche , le sue ve» glie , li suoi lumi , e la sua politica
avevano formata la felicità, di Koma , e dello Stato ; che il suo
Padrone , o piuttosto il suo Amico era divenuto il più giusto, ed il piu
potente de’ Monarchi; che le sue liberalità, ed il suo zelo,e la
protezione accordata alle lettere , ed ai Let- terati avevano dato un
favorevole impulso al progresso dello spirito umano , del genio
della letteratura , e del buon gnsto, Mecenate , dissi, doveva
anch’egli offrire l’ordinario , e indi- spensabile tributo alla
natura. Se è vero , se è possibile ciò che Plinio il
Naturalista suppone , negli nliimi tre anni del- la sua vita , fu quello
sottoposto ad una ma- lattia di tal carattere , che il sonno non
chiu- se mai le sue luci per tutto quel non breve spazio di tempo ;
che ad onta de’mezzi li più efficaci , e potenti , che furono messi in
opera - ( i ) Apopht. Princ. et Reg. Apopht. nltinj. Cattar qui
primus Augustus ett cognomina j*> tus .... a Maecenate , cum quo vitam
agebat , yuotannit in natalieiit dono acoipiebat pateram .
I ài6 per giovargli , fosse costretto a vegliar
sem- pre , ed a soffrire più sensibilmente li no)osi effetti di una
febre continua , dalla quale, secondo lo stesso Autore , sembra , che
fosse attaccato ('i) . ' Per l’esame di questo fatto da
Plinio riferi- to , abbiam creduto di riunire alcune riflessio- ni
in una breve Discussione uell’Appendice dell’Opera , alla quale
rimettiamo il Lettore . Intanto, proseguendo la nostra narrazione,
possiamo asserire , che Mecenate neH’nltimo periodo della sua vita fu
sottoposto a delle fi- siche indisposizioni , delle quali si doleva con
li amici più cari , e segnatamente eoa Orazio . Questo Poeta
riconoscente, e sensibile si ta- pinava all’eccesso della peno6y»
situazione del suo amico , del suo benefattore , del suo tut- to, e
procurava di consolarlo con l’espressio- ni della più tenera amicizia ,
animato dal dol- ce , e mellifluo suono della sua Lira „ O Mece- „
nate ( gli scriveva Orazio ) o mio sublime „ ornamento , e sostegno delle
mie sostanze , „ perchè mi rattristi con le tue querele ? Non >,
piace nè a me, nè agli Dei t che prima „ della mia debba distruggersi la
tua esi- „ stenza . Ah! se la Parca crudele sarà più ,, sollecita a
troncare lo stame della tua vita , „ che è porzione della U)ia, come io
potrò y, restare superstite ? Si > o mio caro-Mece- f'i)
loc. cit. i _—Oi«|ii*ed-by Coogle
,, nate , benché tn volessi precedermi , pure „ insieme entreremo nel
cammino dell*éterni-« „ tà; nè mai potranno distaccarmi dal tuo ,,
fianco nè le vampe dell'ignivoma Chimera , », nè le cento braccia del
mostruoso Gigante» ,, se tornasse sulla terra . È scritto già nel »,
libro de’destini , che io , il quale vissi eoa „ te , debba con te
trapassare egualmente , c i, che un istesso giorno debba segnare il
ter- », mine della vita di ambedue . i . Avvicinandosi
l’ultima ora della sua mortale carriera. Mecenate fece il suo testamento,
e volendo mostrare al Publico , ed alla posterir ( i ) Od.
17. Lib. a. • ’ Cur me querelis exanimas tuis ? Nec Dis
amicum est t noe mihi , te priut Obire , Maecenas , mearum
Grande decus , columenque rerum . Ah ! te meae sipartem anitnae rapii Maturior vis
, quid moror altera , Nee carus aeque , nec superstes Integer
? Ille dies utramque Ducet ruinam . . . . k . \
Utcumque praecedes , supremum - Carpere iter comites parati
. Me nec Chimaerae spiritile igneae , Nec si resurgat
centimanusGyas • Divellet unquam : sic potenti Justitiae ,
placitumque Parcis , r • tg là , .che tra
esso > ed Angusto / vi era passata un'amicizia sempre eguale , e
costante , o che se in qualche occasione venne alterata , non .ebbe
una tale alterazione , che una durata pià piomentanea di una elettrica
scintilla , lo Ì6tir lui Erede de’suoi beni con il peso spontaneo
ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici , e Lette- ralir^.i _■> , ■ ; ,
. • : .. Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q lo
aveva cousolato , ed assistito ne'giorni del- la sua infermità , cosi a
questo volle consagra- xe, per dir cosi , Teatreme sue voci , e
dare l’ultimo pegno della sua beneficenza , raccom- mandandolo in
maniera speciale al suo Monar- ca ,, Ti raccommando , o Cesare , Orazio
Flac- » co , come un’altro me stesso (a) . ( i) Dion. Lib.
$5. Haec in causa fuere cur vehementem lituani M aecenatis mors
Augusto afferret,quo ea e(iam accessit, quoti Maecenas ....
haeredem eum nuncupavit , ac praeter mitiima quaedam , in e)us pot estate
reliquie , si velie! Amicis suis quaedam. dare . ■ _ (a)
Svet, in Vif. Ilorat. Maecenas quanto- per è eum. ( Horatium ) flilexerit
, satis testa- tur ilio Epigrammate : Ni te visceri.bus meis
, Horati , ■ ■ Plus \am diligo , tu tuum Soclalem N inaio
videas strigosiorem, Sed multo magie extremis judiciis , tali ad
Au- gustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto raemor .
Digiti ( Google l Mori in età di
sessantanni , conforme ac- cennammo ancora nel Libro i., cinque anni
prima dell’Era volgare , ventitré dopo la bat- taglia di Azio , epoca ,
in cui Dione stabilisce il principio dell’Impero Romano , e
nell’anno 746. della Fondazione di Roma ( i) . Egli morì
senza successori. Risulta ciò chia- ramente , e dal testamento di sopra
accenna- to , e dall’ uniforme testimonianza di tutti li Biografi,
che hanno di esso parlato. È sebbe- ne ne’ tempi alla sua morte
posteriori abbiano vissuto altri Soggetti aventi il nome diMecena-
te , tuttavia non può dirsi . nè costa , che fossero discendenti di quello,
e che avessero col medesimo relazione alcuna di parentela. Si
trova sotto l’Impero di Vespasiano un Publio Mecenate Olimpico, di cui si
conosce il solo nome , inciso in una base grande , e qua- drata
disotterrata nell’ anno 1417. in Roma presso l’Arco di SettimioSevero ; (a)
parimen- te si conosce il solo nome di un Mecenate Elio ( 3) . Nel
Regno dell’Imperatore Gordia- no il giovane si vede figurare in Roma un
per* : b (0 Dion. Lib. 55, (a ) Meibom.
loc. cit. : Sub Vespasiano vi- xit P ublius Maecenas Olimpicus ; ejus
memo— ria super est Romae in basi marmorea grandi , et quadrata An.
1417. ad Arcum Septimii Se- veri effossa, v ( 3 ) Gruter.
Tom. I.par.a. pag. 614. t 920 sonaggio
ragguardevole chiamalo Mecenate , conforme rilevasi da Giulio Capitolino
( O , e da Erodiano ('a) ; ma T origine di questo è involta nelle
tenebre istesse , in cui trovansi e l’Olimpico , e l’Elio , e non può
neppure congetturarsi , che avesse un qualche rappor- to col nostro
Cajo Cilnio Mecenate,. J/annunzio funesto della di lui morte fu
un ;l . i - Curtia.j.L. Prapis Cui pars
dimidiahujus / Moni menti concessa est ab Ma le
sue virtù rifulsero con luce brillante , allora appunto , quando Ottavio
divenne asso- luto Monarca dell’ Universo . Che coija non poteva
pretendere , che cosa non doveva spe- rare , quali posti luminosi -,
quali onori , qua- li distinzioni ? Eppure quello , che in tutte le
sue operazioni aveva per oggetto soltanto il benèssere della Patria , e
la felicità de 5 suoi simili , nulla volle per sa > nullà curò ,
e quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia de’ secoli , lo
accompagnò fino alla Tomba . Amò le Lettere , che coltivò esso stesso,
pro- tesse , animò li talenti , e fù prodigo delle sue liberalità
colli Dotti ; Affinchè poi le scienze salissero a qual grado supremo , in
cui si viddero al tempo di Augusto , fece si , che questo
secondasse il suo Genio • Angusto lo secondò in fatti con tutto il
calore, e con zelo, ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj,
e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la pri- ma epoca del gran’
Impero Romano , arric- chirono il regno della Letteratura , e
ferero tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio Mecenate fu
amato da tutto il mondo , la sua riputazione è passata fino alla più
lontana po-* *34 sterità , ed è qaasi estesa , quanto
quella del- lo stesso Augusto . (t)
(O Tillemont. Histojr. des Emper.Tom.i. Catrou Tom.i9.Lib.7.
FINE. t Digitized by Google
APPENDICE^ ». V • ALLA STORIA DI CAJO
CILN10 MECENATE • t - GIARDINI IN ROMA AL
MEDESIMO SPETTANTI DISCUSSIONE I. Insisteva nella
Regione Esquilina dell'an- tica Roma un locale , in cui venivano
sepolti li cadaveri delle genti plebee : Essendosi rico- nosciuto
col progresso del tempo , che da que- sto luogo s’ inalzavano delle
putride esalazioni, nocevoli alla salubrità dell’ atmosfera , ed
alla salute de’ Cittadini , Augusto lo fece nettare , onde depurar
P aere , ed adornare insieme la Città di edifizj. > 11
sudetto locale appellavasi Puliculi , o perchè per antica costumanza le
sepolture con- sistevano in pozzi , o perchè ivi si putrefa- cevano
li cadaveri , conforme nota il Pomey “ „ Minutae vero plebis ,
mancipiorumque se- „ pulchra extra portam Esquilinam Viseban- „
tur, quem locum. Puticulos , vel a puteis , P
ti6 „ inquosconjiciebantur , vel a putore cadè- „
veroni vulgo appellabant . (ij Lo stesso afferma l' erudito Alessandro
Donato sull’au- torità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( e- „ gli
dice ) extra Urbem plebs humaretur , un- 3 , de Populus Romanus odoris ,
atìt coeli gra- „ vitate laborabat,Augustus locum expnrgavit, „
Urbemque aedificis auxit , ornavitque , Pu- „ ticuli antea locus
appellatns , quod vetustis- „ mum genus sepulturae in pnteis fuerit ,
et, „ ut ait Festus , dicti P liticali , quod ibi ca- „ davera
putrescerent . ('a) Quivi ( scrivé „ Orazio ) poc’anzi solevano
trasportarsi su ,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi , e de mi- ,,
serabili , dopo esser stati rimossi dalle loro ti anguste , e misere
celle , e qui sorgeva la ,, tomba comune alla plebe meschina .
„ Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis, ,, Conservo,
vili portanda locabat in Arca ; „ Hoc miserae plebi stabat comune
sepul- chrum (3 ). Questo luogo pertanto, che formava
una specie di Cimiterio di Roma , stava fuori della Città, giacché
era generalmente vietato di (i ) De Funeribus Cap. 2 . §.3.
(o.) De Urb. Rom. lib. i. Cap. i3. Vedi il Turnebio AWers. lib. 5.
cap. 6. 11 Minutolo Rom. Antiq. Dissert. 6. de Sepulchris , ed H
detto Pomey loc. cit. (3) Satir.8. lib.t. \
Digitizod by GOogli 2*7 seppellire li cadaveri
dentro le mora ; (i)ed era destinato , come si è accennato , per la
qilebe soltanto . Le tombe de’ Re , degl’ nomini illustri , e delle doane
di nascita ragguarde- vole venivano collocate nel Campo Marzo .che
stava parimenti fuori della Città, secondo la testimonianza di Appiano .
e di Strabone pres- so il rife rito Pomey . ( a) Dopo però ,
che da quella Regione furono tolte le sepolture plebee . e fu nel recinto
di Roma racchiusa, vi si inalzarono numerose abitazioni , e vi fece
ritorno 1’ amenità , e Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il
,, Donato ) quam amota sunt sepulchra , rece- ,, ptusque intra Urbis
ambitus , loci amoe- n nitatem , tectorumque frequentiam secuta
(r) E’ nota su di ciò la Legge delle XII. Tavole. Hominem mortuum
inUrbe ne sepelito, neve urito : Può vedersi il lodato Minutolo ,
il quale nella cit. Dissertazione ne farla con critica , ed
erudizione. C 2 ) Loc. cit. : Locas ad sepulturam o rna-
tissimus extra Urbem fuit Campus Martius , Appiano teste , qui scribit ,
selos ibi Regcs , horninesque illustrissimo* sepelùi consuevisse ,
non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo confirmans locurn illum
fuisse Romanis maxime sacrum ac venerabile m , ideoque pracstantissi
- morum virorum , ac joeminarum monumenta ili fuisse collocata
. P 2 3*8 i) est nova coeli
salubri'tas .( i) .Ora poi ( sog- li giunge anche Orazio ) che dalla
Regione Es- « quiiina sono state rimossfe le tombe , hè „ più si
osservano sii di un infontie campagna ii le ossa spolpate degli estinti ,
vi si gode un ,, ameno diporto sotto un cielo salubre . m Nunc
licet Esquiliis habitare salubribus , atque „ Aggere in
aprico spatiari , quo modo tristes „ Albisinformem spectabant ossibus
agrum(a ) Porzione di quel terreno fu donato da Au- gusto ,
mediante anche un decreto del Senato , al suo Mecenate, il quale vi fece
sorgere in se- guito quc* deliziosi Giardini, la di cui celebri- tà
è giunta fino a noi , secondo la testimonianza del Marliani (3),del
riferito Minatolo ( 4 ),e di Samuele Pitisco „ Cum igitur ( dice questo
) (i) Loc. cit. , tem. (a) Abbiamo
osservato nella Storia di Mecena- te ( i ), che esso fu il primo ad
introdurre in Roma.!’ uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo in-
contrastabile ,che li suoi Giardini, e la gran- diosa Abitazione in essi
esistente , e di cui si parlerà fra poco , dovessero contenere
tutti (i) Loc. cit. cap.a3. Lib.3. ( a) Loc. cit. Art.
Hort. Maecen. (3) Lib.4. . a3i gliagj, che
sa immaginare l'umano raffinamen- to, e la voluttà , cosi non sembra
fuori di pro- babilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi Bagni
, eihequivi ne facesse sperimentare li primi vantaggi ,
prima■}**•?'.'•••• • * „ Jamdudum apùd me est . Eripe
temorae: • • 1 • • • • • • p • » *, Fastidiosam desere
copiam, et », Molem prepinquam nubibus arduis : 0 matte
mirali beatae ,, F umum ,^et opes » strepitnfeque - Romae . (
i) Il Palazzo , o la Tórre di Mecenate esisteva tuttora ai
tempi di Nerone . Questo folle , ed insensato Monarca , dopo aver dato
l'ordine ferale di metter fuoco alla più bella, e vasta Città del
Mondò*,' alla Sede del suo Impero, non fece in essa ritorno , se non
quando, fu pre- venuto , che 1* incendio si avvicinava alla sua
Regia , che era stata dal medesimo ampliata fino al Palatino , ed alti Giardini
di Mecenate . „ Nero ( scrive Tacito }. non ante in Urbetn „
regressus est , quam domiti ejus, qua Pala- V (i)
Eib.3. Od.ao. ♦ ' * * r . /
Digiiized Ijy Gooflle , a33 » tinnii et
Maecenatis hortos continuaverat , „ ignis appropinqnaret . (i)
Rientrato quel Tiranno in Roma , sen’ cor- re ai Giardini di
Mecenate, e sale nel luogo più eminente della Torre sopradetta .
Quivi rimira con occhio insensibile , e truce’ii vor- tici delle
fiamme , .che distruggono la sua Ca- pitale, ed ascolta a sangue freddo
li gemiti, e le strida degl’ infelici abitanti , che perisco- no .
Allora compiacendosi dello spettacolo a- • C l ) Il Pitisco ,
fondato su di un passo di Tacito, mette in dubbio il fatto narrato da
Svetonio, e dagli altri riferiti Autori . Egli suppone , ebe,
secondo il detto Annalista, venissero distrutte dalle fiamme e il Palazzo
di Nerone , e la Ca- sa di Mecenate , e li Giardini, e il Palatino,
e tutt’altro , che intorno a questi luoghi esi- steva , cosicché in tal
c$so non avrebbe potuto quel Monarca cantare l’incendio di Troja
sulla Torre Mecenaziana. „ Neronem ex Torri Mae- » cenatiana
prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera „ pene verbis repetunt P.Diaconus
&c.„. Taci- „ tus dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq „ is tantum
, sed domum etiam ipsam Maecena* ,, tis, et hortos, et Palatium , et
cuncta circum » l°ca eodem momento a Neronis incendiario ,,
igne,sed ipso absente,hausta commemorala ) Non sembra però che
Tacito accenni la di- (i) Lib^.cap.^. (*) Loc.cit. Art.
Turris Maecenatianae . •trazione delli Giardini di Mecenate , e
suo Palazzo annesso ; racconta semplicemente , che quando Nerone
seppe , che le fiamme dell’ in- cendio si avvicinavano alla sua Casa fece
ri-» torno in Roma ; che non ostante, la rapidità di quelle non
potè ritardarsi , e fu distrutta anche la sna Casa , e tuttoció , che vi
stava in- torno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Ne- „ ro Antii
agens , non aute in Urbem re» „ gressus est , quam domili ejus , qua
Pala- „ tium , etMaecenatis hortos contjuuaverat , ,, ignis
appropinqua ret ; neque tamen siati „ jjotuit, quin et Palatium, et Domus
, et „ cuncta circuiti haurirentur (i ) . Qui si parla del
Palatino, e del Palazzo di Ne» rone , e con l’espressioni, cuncta circuru
hauri- rentur, pare che si voglia indicare tuttoció, che stava
intorno all’uno, e all’altro. Ora la magni- fica Abitazione, e li
Giardini di Mecenate erano, come si è detto, nell’Esquilino, e benché
confi- nassero con la Casa Neroniana , tuttavia pare , che non
possa con sicurezza dedursi , che con- temporaneamente all’ incendio di
questa venia» serodistrntti ancorali sudetti Giardini conTan» nesso
Palazzo; in tal guisa non si troverà in con- tradizione l’autorità
rispettabile del detto An- nalista con quella egualmente rispettabile
dello Scrittore delle Vite de’ primi dodici Impera- dori ; tanto
più che anche quello accenna il ( i ) Annal lib.i5. cap.àq.
aS6 fatto narrato da questo , come si vede nel
tev sto seguente: “ Sed solatinm Populo exturba-* ,, to , et
profugo Campum Martis, et monuraeti- ,, taAgrippae , hortos qnin etiam
suos pa- „ tefecit . . pretiumque frumenti minutum . . . Quae
quamquam popola ri a in irritino cade- ,, bant , quia pervascrat rumor ,
ipso tempore ,, flagrantis Urbis inisse enm domesticam sce- „ nam ,
et cecinisse Trojanum excidium . ( i ) Giacomo Lauro ( a)
ammettendo , che la Torre , cd il Palazzo di Mecenate fosse una
stessa cosa , ne fa una elegante descrizione, dicendo, che era un
meravglioso lavoro ri- partito in quattro Piani l’nnoall'altro
superio- re , sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico ancora,
che la sommità della Fabbrica termina' va in un Teatro , dal quale non
solo poteva godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini , ma eziandio
l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale del mondo . Non piace
però al riferito Pitisco il senti- mento del Lauro, e degl’altri , che
pensano come questo , supponendo , che non vi siano prove
confacenti “ Sunt qui ( dice il Pitisco ) „ inter quos Jacobns Lanrus
.... qui Do- „ munì Maecenatis cum Tnrri uuam , eam- „ demque
faciunt . Fuisse enim , ajunt , Do- (i)
Loc. cit. (a) Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum loc.
cit. 13? , V„nm Malcerti. admirabili Vtraetorfl
^ spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus, ^ una super alte.an.
in altum ad motomTur- ris excrescentibus , c«,us fast,g ; um
dearne „ bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«, - 4
non tantum in hortorum amoemtatem , „ tonus Urbis amplitudine® . Atqne
et.am m , e am formam aLauro depingitur . Verno un- ’ de illi haec
habeant, me quidemlatet .( i j ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico
delle Romane antichità dubita della realtà d, ciò che asserisce il
Lauró relativamente alla materia struttura dell’abitazione di
Mecenate, si pi forse con esso andare d'accordo , ma se p .
de che la Torre , e la detta Abitazione fos due fabbriche
diflerenti,pareche voglia oppor- si alla comune Opinione, ed ancheall
autori a sopra accennata di Orazio . In fatti nói t tede» 2 i»
,»««> Poca, che piando MPAb, a» De di MecenUe, e facendo uso
dell espiessiom, ora di alta doma, ora di molem F c pinquam nw-
*ibu.s arduis ( i) , descrive brevemente , e conoscere, che l’altezza di
M»clla era a gntsa di Torre sublime , che si avvicinava alle nubi 1,
Mecenate Tnrris Maecenatiana ("dièc quello) „ cognominata est , vel
maxime halosi Neronis, ,, et Urbis incendio celebrata . . . quaedam
ve- „ stigia extare sunt ex Antiquariis Romae, qui „ asserunt . (
i) Questi avanzi, secondo il Piti- sco, sono da alcuni ravvisati, in qnel
monumen- to antico chiamato Torre Mesa , che si trova scendendo per
quella parte del Quirinale , che risguarda il Foro di Nerva„Hoc scio,
descenu- 3 , ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum Ner- »,
vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et ru- „ dera etiam none monstrari;
quam T*>rre Me- „ ta Romani vocant, et partem domus , sive i,
Turris Maecenatianae fnisse volunt . ( a) Biondo Flavio scrive ,
che a tempo , in cui esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi
intiera, e che per sincope era chiamata Mesa in vece di Mecenaziana »
Aggiunge inoltre ,che in quella contrada, in cui si vedeva , era fama
co- stante , che quella fosse la Torre esistente ne’ Giardini di
Mecenate , e sulla quale Nerone rimirò l' incendio di Roma ; Ecco le
parole del lodato Biondo : “ Eadem in Esquiliarum par- u te , qua
ex eo monte prospectU6 est in de- „ pressam Urbis partem , Hortorum
Maecena- „ tis visuntur reliquide Extatque pene inte- „ gra Tnrris,
ex qua Svetonins Tranquilla Ne- t, ronem scribit spectasse Urbis incendia
in, et ( i ) Loc. cit. (a) Loc, cit. .o •. /
Digitized by Google t , in scenico habitn decantasse .Qnam
Turrim ■„ vulgo nnnc vèrbo . . . syncopato Mesam „ prò
Maecenatianàm appellant . . . Nec est ,, in ea Regione foemelia , quae
quid fuerint „ il lae ingente* ruinae interrogata, non di- >,
cat , eam fuisse Turrim , ex qua Nero cru~ „ delis Urbem incendio
flagrantem, ridcns , gaudensque spettavi t . (i) Al contrario
il Pitisco , ed il Donato sono di avviso , che il Biondo , e li suoi
seguaci abbiano su di ciò preso un equivoco ; giacché la sudetta
Torre Mesa non esiste nell’ Esqui- lino , ma piuttosto nel Quirinale .
Aggiungono inoltre , che le vestigia di quell’ antico monu- mento
dovevauo e ; 6ere , o di un Tempio dedi- cato al Sole dall' itrperarore
Aureliano, o di una Curia , o piccolo Senato fabbricato sul
Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì egli fece presedere la sua Ava
chiamata Mesa, e la sua Madre Saemi ; conforme risulta da Lampridio
nella vita del detto Monarca ; di- ce di più il Donato , che nello stesso
luogo potevano esservi ancora , e la Curia succenna- ta , ed il
Tempio del Sole in torta delle con* getture , di cm égli fa uso ,
ragionando in tal guisa „ In hortis Coiumnensibus marmorei ae~ „
dificii pars exurgebat vulgo Maesa jam dira* „ ta. Biondo* Turrim
Maecenatis falso nuncu- >, pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui&
tae- (i) Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo. A
40 „ dis ardens in conspectù Rotila ? Àlii partem ,, templi
Solis pronunriant , qnod ab Amelia- „ no , auctorc Flavio Vopisco ,
extructum est „ ad eam formam , quam viderat in Oriente „
Quid si aedificium illud partera „ Senaculi , seu Curiae dicerem ,
quam Ilclio- „ gabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad „
conventus habendos , quibus avia ipsins ,, M lesa nomine > et mater
Soaemis praeside- „ rent ? Quod duplici conjectura elicitur . Al- „
teram praebet nomen . Maesa enim diceba- „ tur, ut avia Heliogabali .
Alteram ipsius ,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus sic „
eain nobis linea vit , ut domicilii piane figu- „ rara descripserit
freqnentibus scalis , aulis, „ peristylis , ac porticibus . • .
Palladius >, autem . . . practer alias aedificii partes , „ in
templi quoque formam descripsit amplis- „ simi, magnisque columnationibus
insiguis. „ Quare eodem fonasse in loco fuit olim Solis ,, Templum
. ( 1 ) Nell’ ameno diporto de’ sudetti Giardini , e della
grandiosa Abitazione Augusto sovente so- leva portarsi a visitare il suo
amico Mecenate , ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno , e dall’
altro beneficati , e protetti facevano sentire il dolce suono della loro
Cetra „ Celebrati sunt „ ("dice il Giraldi
jMaecenatishortiinEsqui- „ liis , quo loco cum Caes.ire versari
frequen- / ( 1 ) Lee. cit. lib.3. capa 5.
Diaitizec I i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc
Poe- „ tae conveniebant . ( 1 ) Lo stesso dice Pie- tro Crinito
nella sua opera de’ Poeti Latini al cap.45. “ Hortos Romae habuit (
Mece- »> nate ) pulcherriinos inEsquiltis, ubi ver- „ sari
interdum consnevit , deque liberalibns ,> discipliiiis serriionem
habere cum amicis „ suis . Ad hoc persaepe divertit Caesar Octa-
»> vius propter loci amoenitatem , velut qui »> animarti libertini
haberet a cnris in eo quie- „ tis secessi! . Esisteva ancora
ne’ Giardini medesimi un Tempietto , o piuttosto uba Cappella
dedicata da Mecenate al Dio Priapo . Li Poeti , che fre- quentavano
quel luogo, come si è accenuato, so- levano scrivere sulle pareti di essó
Tempietto de’ versi scherzevoli , ma poco purgati . La raccolta di
questi diede luogo a quel libro in- titolato la Priapeja dato alla luce
dal Giraldi , e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi-
>» fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio ex- », tructtim , et
dedicatimi . Poetae , qui Mae- t, cenateci suum quotrdie visebant ,
versicu- » los aliquot jocosos in Sacelli parietibus no- „ tarunt ,
et hosPriapejorum nomine in unum „ collegit libellum , et vulgavit ....
Girai- ,, dus, etScioppius. ( a ) Questo autore ri- .4 -
. Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum , „ quod nonnulli
Virgilio , alii Ovidio adscri- *» bunt ; quamquam Verosimilius est ,
mul- „ torum id opus esse ob argumenti similitu- „ dinem unum in
volumen conjunctum . (2) Su tale articolo potranno aversi maggiori
schiarimenti e presso il lodato Giraldi , e pres« 80 il nominato Pitisco
ne’ luoghi citati. fi) Loc. cit. (2) Lexicon. Ling.
lat. art. Priapeja , Q 3 \
Digitized by Google 144 VILLA IN TIVOLI DI
MECENATE : DISCUSSIONE IL solo Mecenate possedeva li
deliziosi Giardini , e la magnifica abitazione sull’Esqui- lino,
onde sollevarsi dalle cure del Governi? insieme con il suo Cesare Angusto
, e bearsi colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti , é de’
Letterati , ma eziahdio per lo stesso og- getto egli aveva fatto
edificare sulle sponde dell' Aniene una Villa maestosa , ed elegante
. La celebrità di questa è ornai nota a tutte le colte
Nazioni dell' uno , e l'altro Elnisf ero , perché ne hanno parlato , e
scritto infiniti Scrittori , e se ne legge la memoria in tutti lì
Libri , di cui fa uso il Viaggiatore critico*, e pensante . Infatti Lilio
Giraldi , Francesco Marzi, Marc’Antonio Nicoderao , Antonio del Re,
Nicola Orlandini , Fulvio Cardulo , Gio: Zappi , Pirro Ligorio , Atanasio
Kirker , ed a tempi nostri il Volpi (i) , Fausto del Re (2)> e
il Marquez f 3 ) , non che altri Autori ezian- ( i ) Lat. vet.Tom.q.
part. i. lib. 18.0.7. ( a) Ville di Tivoli pag. 36 . (
3 ) ' Illustrazioni della Villa di Mecenate ià Tivoli. * 4
& dio di materie antiquarie hanno costantemen- te
asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di Mecenate in quel luogo , che
si accenna , e descrive dai sullodati Volpi , del Re , e Mar- quez
, e sul quale tuttora si scorgono con am- mirazione le immènse reliquie
della medesima. „ Il primo ammirabile oggetto ( scrive il „
Volpi ) che si presenta allo sguardo del „ Viaggiatore , che va a Tivoli
è la Mole su- „ perba di quel CajoCilnio Mecenate Cavalier ,s
Romano , il più grande amico , ed il più fi- „ do consigliere di Augusto
, il quale superò t , molti Re in potenza , cd in ricchezza . Que-
>> sta Yilla per concorde testimonianza di tut- „ ti li Scrittori ,
che trattarono delle cose ,, Tiburtine , s’ inalzava presso la detta
Città „ sulla sponda ministra dell’Aniene . . . così „
costantemente hanno asserito Lilio Giraldi „ . . . e tutti gl’ altri ,
che descrissero le „ maestose reliquie di quell’antichissimo Edi- „
fido ; ciò poi , che deve sorpassare Lauto- >, revole usiertiva di
tanti Autori si è la remo- ìt tissima tradizione , e fama, per cui si è
in „ ogni tempo creduto fra liTiburtini, che „ presso le mura della
loro Città fp I4 Vili# d» „ Mecenate (1) . \ *. • * • J
! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omni- um sete Tybur
adeuntibus admirandum , ve - jtigandumque offerf ingcntis molis
Villa Macccnatiana , scili cet Caji Cilnii Mqeceqa-
146 Nnlla fu omesso per rendere questa Vili* vaga insieme , e
grandiosa . L’oggetto più caro il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati
, non fu preterito , e però vedeansi jn essa amene passeggiate , e
portici deliziosi , ove si riuni- vano li Dotti, che mercè l’ illimitata
prote- zione di Mecenate , nel seno; del silenzio , del- la calma,
e di tutti gl’agj , travagliavano in- defessamente per il progresso dello
spirito umano nelle arti , e nelle scienze ,■ Quivi , co- me in un
altro Parnaso, in u* altra Accademia, in un altro Peripato , in un altro
Liceo , Filo- sofi , Istorici , Poeti , ed Oratori discutendo,
perorando , e meditando , procuravano di compiacere al loro
munificentissimo Protetto- tis Equitis Romani Augusto Ce.es ari
ami- cissimi , fidclissimique consiliarii , quiqìie Re- ges
permultos non solum aequavit , sed etiam. amecelluit opibus , et potcnìia
. Haec concordi omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S cri-
ptorum testimonio , ad ipsum Tibur fuit in sinistra Anienis ripa . . . ‘
Ita LiPius Giral- dus . . . aliique omnes , qui ingentia Aedi -
fidi hujus antiquissimi extaritia adhuc fràg- menta , et rudero
niemorapcrunt , a ut descri— pscrunt unanimitcr , atque constantcr
Maece— natis hanc V illam Tibur tem nominaverunt ; quodquc ipsos
etiam Siriptóres auctoritate Vin- cere debet vetustissima , a majoribus
per ma - nus tradita fama id nobis affirmat . i 4
7 yt , e cosi per impulso del genio benefico di questo
recavano servizj inesplicabili al Gene- re umano, e travagliavano per la
sua civilizza- zione (i) . Il Cenni dopo aver parlato de’
Giardini di Mecenate in Roma , non manca di parlare ezian- dio con
stupore della’ Villa del medesimo in Tivoli. “Nè solamente in Roma ( dice
quello) „ ebbe Mecenate le sue delizie , ma per non „ goder sempre
mai la Villa negrOrti , che „ egli aveva , le ampliò fuori di quella
anco- „ ra , ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa . ,, Quivi
fabbricò egli Una Città più che una Vil- „ la, palesandola tale fin'oggi
le superbe reli— „ quie , e le rovinose grandezze della mede- „
sima , e quivi parimenti nel ritifo , che fa- „ cevano dallo strepito
cittadino , trovavano 3 , il loro riposo le muse romane . (a) Il
Pati- sco , benché ne parla compendiosamente , pu- re la chiama
Villa ripiena d’ogni sorte di de» * > • » . • a (i)
Volpi loc. cit. pag. 220. : Atque hue litteratorum homìnum congregatas
polissi — • mum erudita s Catervas sub Maecenatis patro- cinio ac
tutela Philosophorum , inquam , Ora- torum , Historicorum , ac omnium
maxime Poetarum turmas, ad dìssercndum } recitandum, fabulandum ,
meditandum edam , atque otianr* dum animi ergo in Parnaso voluti quodam ,
auC Stoa , aut Peripato , A ccademia , voi Lyceo. fa) Vit. di
Mecenate libra, pag.^ 8 . I Digitized by Google
a 48 lizie , opera meravigliosa , e che per la vasti-
tà della sua mole non cede ad alcun altra Fab? brica de’ Romani ( i )
. Ma sarebbe stato troppo poco per il cuore magnifico di
Mecenate il rimunerare li Dotti coll’uso soltanto di quegl’ agj , che si
rinveni- vano o ne’ suoi Giardini di Roma , o nella Vil- la di
Tivoli: la sua generosità si estendeva molto più oltre; soleva
bastantemente proveder- li di tutto il bisognevole (a), come è noto
, e conforme abbiamo dimostrato nel quarto li- bro della Storia , e
perciò presso la detta Vil- la di Tivoli , o nelle sue vicinanze li Poeti
ad esso più cari possedevano Casini di campagna , deliziose
Villette, e possessioni ragguardevo- li ; e queste proprietà si acquistavano
da quel- r • : ■ t (l ) Lexic. Antiq. art. Villa i Villa
Maece- natis in ultimo T yburtinae Urbis Clivio , omni- um
deliciarum genere conferta , ab ilio est ex- tructa . . . opus sane admir
abile , quod sane vasta sua mole nulli ex Romanorum fabricis cedit
. (a) Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. : Vub- gatum est de
Maeccnate quantum Litteris , ac Litteratis omnibus faverit , cum in Urbe
unus hic potissimum haberetur , ad quem Poetae omnes , atque
Oratores , ve/ut ad certam anchoram , per/ugiuni sibi haberent ; itaque
ab eo vehementer dilecti sunt , ppcraque , et mu -, nf ribus
amplissimi honestati . li mercè la liberalità del medesimo, onde
av- valorare sempre piòli talenti poetici di Orazio, di Properzio,
e di Virgilio, e perchè ognuno di essi potesse vivere contento anche
quando esso non poteva trattenerli sotto l’ombra de’ porti-t ci
maestosi della sua Villa . Inoltre possedendo que’ Poeti delle proprietà
in Tivoli, mentre Mecenate vi possedeva la Villa grandiosa , più
spesso , e più agevolmente poteva egli vederli, e più volentieri
abbandonavano lo strepito fra- goroso della Capitale per passare giorni
quie-i ti , p delle ore pacifiche nella calma de’ loro deliziosi, e
campestri ritiri, soggiorno per- petuo delle Muse , e di Febo .
Che il Poeta Orazio avesse un Casino di cam- pagna in Tivoli quasi
di fronte alla Villa di Mecenate , non può mettersi in questione ,
e benché Domenico de’ Sanctis ( i) ponga in dub- bio l’esistenza.in
Tivoli di una Villa spettante a quel Poeta , tuttavia conviene , che
questo Vi avesse una Casa di Campagna, nella quale egli vagheggiava
l’antro muscoso della risonan- te Albunea , le onde dell’Aniene , che si
pre- cipitano dall’ alto delle rupi . 1 ! ombro- so Boschetto di
Tiburno , li Giardini irri- gati dalla molle attività di scherzevoli
ruscel- letti (a ) , nella quale desiderava arden- (t)
Dissert. sulla Villa di Orazio Fiacco. (a ) Ode 7. lib. 1.
a5a temente di finire i suoi giorni (i). Essendo; pertanto
dimostrato per confessione ancora delio stesso Orazio , come si è veduto
nella Storia al Libro 4° che esso era stato arricchir to da
Mecenate , sembra del totto chiaro , che la liberalità di questo gli
procacciassero il .. j • . Me nec tam patiens
Lacedacmon , Ncc tam Larìssae percussit campus opimae , Quam
dora us Albuncae resonantis , Et praeeeps Andò , et T iburni lucus
, et uda Mobilibus pomaria riyis . (1) Od. 6 . Lib. a. T ybur , A rgeo
positum colono , Sit mene sedei ut in am. senectae !
Sit modus lasso marie ì et viarum , Militiaeque ! i • 4
• • • • y • * • • lite terrarum mihi praetedomnes Angulus
ridet , ubi non Hymetto Mella decedunt , viridique ccrtat Bacca
Venafro j V er ubi longum , tepidasque praebet > J upiter
brumai ; et amicus Aulon , Fertili s Baccho , minimum Falernis '
InvidetUvis. t Ille te mecum locus , et beatae
Postulant arces ; ibi tu calentem Debita sparger lacryma favillarli
\ Vatis amici. . . * v
a5* possesso del surriferito Casino di Campagna in
Tivoli . Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche una
Possessione al Poeta Properzio , ma niuno de* Scrittori delle Antichità
Tiburtine ne ha fatto menzione ; ciò non ostante si rileva dai
scrit- ti di questo Poeta , che egli ayeva in Tivoli la sua Amorosa
, dalla quale ricevè nella mez- za notte unà Ietterà , in etti lo
invitava a por- tarsi in detta Città 1 “ Quando il carro di Boo- „
te ( dice Properzio ) era giunto nel mezzo „ della sua carriera ricevo
una lettera dalla » mia Bella , che mi ordinava di portarmi „ all’
istante presso di essa ; la lettera veni- va daTivoli, ove le
biancheggianti vette » fanno mostra delle sublimi due torri,e
l’onda „ dell’Aniene siprecipita in ampie lagtJne.(i ) In altro
luogo poi il Poeta facendo la de- scrizione patetica di un sogno , finge
di vede- re , che Cinzia sia morta , tal’ era il nome della sua
Bella ("a). Fa parlare l'ombra di (i) Lib.S. Eleg.i 3.
Nox media , et Dominac mihi venit epistole^ mstraej
Tybure me mista jussit adesse mora ; Candida qua geminas ostendunt
culmina turres, Etcadit in patulos lympha Anima lacus .
(a) Il vero nome della donna Tiburtina a- mata da Properzio era Ostia ,
tome rilevasi da' a5a questa , la quale gli
ordina , che nel di lei se-, polcro sia scolpita una funebre iscrizione ,
che essa stessagli detta “ La dove il potnifero A- „ ,nieue(parla
Cinzia ) scorce placidamente per „ le tqrtuose campagne , e dove ,1’
avorio „ giammai impallidisce mercè la potenza del „ Dio Ercole (i)
scrivi nel m ezz P di nna Co- ,, lonna , questa epigrafe degna di me >
che „ possa leggere il passeggero “ Qui giace la „ bella Cinzia
sepolta nel suolo Tiburtiuo ^ 1 ■ ' ' * ? ' Apulejo
presso il Crinito nella vita di questo, Poeta :j Sextus Aurelius
Propertius, ( dice il Crinito'). . . Mae cenati , et Cornelio
Taci-, to maxime acceptus fait . . . . Cum i(i Elegiis, ut inquit
Plinius , forct egre gius . . . Libros quatuor Elcgiarumconiposu.it , in
quibus fere suos calarti , et Mosti ae laude m , et formam celebrai
; nam in pucllam Hostiam miro qui - dem affectu exars (t , quatn mutato
nomine , ut est auctor L. Apule] us , Cyntiam appellare maluit
. (i) Correva la voce a tempi di Properzio , ed uriche
posteriormente , cirriforme si rileva, da Silio Italico , c da Marziale ,
che l’uria T ibur- tina somministrava alle cose ur\a bianchezza
potentissima . Properzio ripete questo privile- gio da Ercole divinità
tutelare dal Paese , e che era in special maniera venerato in
quella Città. Il Beroaldo ne' commenti del! accen- nata Elegia di
Properzio alle parole : polle? I N aì>3
la sùa tomba, o Amene , accrébbe decoro J, alla tua fertile sponda
.(i) Se io volessi ricavare da queste espressioni di
Properzio resistenza di una sua Villa in Ti* Voli mostrerei forse troppa
prevenzione per il Suolo , che mi diede i natali ; ma essendo cer-«
to , che quello aveva la sua Amorosa ih quella Città , cbé era amicò di
Orazio , e di Virgilio, e che godeva il favore del benefico Mecenate
, sembra non 'affatto inverisimile , che anch'es- so avesse , o
qualche cosa di campagna , o qualche altra possessione presso la Villa
del sudetto Mecenate , frutto , e risultato della beneficenza del
medesimo . • ■ ' • i tbur ; parla in fai guisa i
'Còclum Tyburti~ num dicebatur rebus praestare candorém pò-
tentissimum e bori , unde ait Silius: Tyburit dura pascit ebur : Et
Martialis , T'ybur ih Herculeum migràvit nigra Tycoris *
Omnia dum fieri candida credit ibi . Hoc fieri Poeta ait , nu mine
Herculeo ; T V bur enim Herculi dicatum , et Herculeum co~
gnohtindtur . ( l )Ramosis Ariio qda pòmifér incubai afvis.
Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur', Hoc carmen media dignum me
scribe columna , Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe legar, Hic
Tyburtina jacet bure a Cynthia terra -, 'Accessit ripae , laus , Aniene ,
tuac. I _ JDigitized by Google I
a$4 Se è certo , che Orazio , se non è improba- bile ,
che Properzio avessero nel Territorio di Tivoli, e nelle vicinanze della
Villa di Me- cenate una qualche possessione , non è fuor di
credenza , che il Principe de’ Poeti Latini vi possedesse anch’ esso un
luogo di delizioso soggiorno . Li Scrittori delle cose Tiburtine
hanno serbato su di ciò un profondo silenzio > ed il solo Volpi
accenna , ma dubitando, una tal circostanza (i ) . Sapendo però quanto
Me- cenate stima sse , proteggesse , e beneficasse non meno quel grande
Poeta , si può , e forse con non debole fondamento asserire , che
que- sto eziandio possedeva presso la Villa del suo Benefattore o
qualche abitazione di piacevo- le permanenza > o qualche altra
possessione . Infatti, se Orazio era stato arricchito da
Mece- nate^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo dalla
beneficenza di questo,cbe cosa dovrà dirsi di Virgilio , che in meriti
letterarj non er? certamente inferiore al Poeta di Venosa , e che
■»' ‘ .... .. ..... \ ( ij Volpi Latinm Vetuslib.
18. cap.7. pag. 4S. : Villani in Ty burle habuisse
Virgiliani, suut qui putant , Villae proximam Maecenatis ;
eum tamen neque locum de s igne ni , nec ullus hoc Auctor
scripsit , quod quidem perlegcrim , 1 neque ex ipso Virgilio tei
hujus lumen ullum ef- fulgeat , id asseverare nonausim.
' Digitized by Google a 55 aveva dedicato
a Mecenate il suo dotto, ed ele- gate poema sulla coltivazione ? ( i
) Di poi non mancano congetture di qualche rilievo per
credere ciò , che finora si è detto riguardo alla Villa di Virgilio .
L’Ughelli ri- porta un Diploma , estratto da un Codice ma-
noscritto della Biblioteca del Card» Francesco Barberini , la di cui
antichità non è stata fino- ra contradetta . Questo Diploma è dell’
anno 945., ed in esso il Vescovo di Tivoli Uberto è confermato nel
possesso di tutti li suoi beni, che possedeva nel Territorio di quella
Città, e frà gli altri fondi si fa menzione della posses- sione
Virgiliana : Fundus Licerana , Picianus , 'Galliopini , Vicianus ,
Virgilianus .(a) % ’ì ■ ( 1 ) Petrus Crinit. de Poet.
Latin. lib. 3 . cap. 45. : Pùblius Virgilius adhunc Maecena - tetri
libros suos misit , qui Georgica inscribun- tur , absolutissimum omnium
opus , quae in eo genere composita unquam ab alio fuerint . (a) Ughelli Ital. Sag. Tom. i. pag. 1304. :
Hucber,tus Episcopus Tìburtinus vixit tempori- bus Martini Papae an. 94?.
Ab eodem Pontifice omnia privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac
Tyburtinac concessa , hoc diplomate revocati meruit , cujus exemplar . ,
, extat in MSS. Cod. Biblioth. Card. Francisci
Barberini N. 130S. . .. che quella anticamente spettava al
Poeta Vir- gilio , e che vi era stata qualche Villa di sua
pertinenza 7 Difatti quante contrade del Ter- ritorio di Tivoli sono
anche oggi denominate , Pisone , Cardano , Paterno ec. dai nomi di
quegli antichi Romani , che quivi ebbero del- le Ville , e la verità
delle quali non può recar- si in dubbio dopo lo scoprimento di
monumenti irrefragabili , e. sicuri ? Se la località di quel
fondo Virgiliano non si fosse smarrita nella notte del tempo ,
forse agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb- bero sfuggiti
li mezzi , onde verificàre la sem- plice tradizione •, e coll’ ajuto de'
scavi i e coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o altra
reliquia di antichità , si sarebbe potuto conoscere il sito , ove
esisteva , ed anche la qualità del medesimo ; e non accade così di
Nicolai , Jvan.-et Leonis , quae vetustate con - sumpta renovantur
temporibus D. Martini Sum. Pont. .... Potitific. ejus scilicet an,
g. , Sugerentc Hucberto Tyburtinae Eccle- siae peccatore , ethumili
Episcopo . Clausura universa . . . Fundus Li cerata , Pidanus ,
Calliopi/ti , Vicianus , Virgilianus . Digitized by
Goqgle lion poche altre Ville , la di cui memoriaper
lunga serie di secoli si vedeva soltanto sotto il velo della tradizione
? Nè la forza delle addotte riflessioni , e con- getture può
essere scemata dal silenzio di tutti li Scrittori Tiburtini , e
segnatamente de' più moderni Cabrai , e del Re ( i); conciosiachè è
certo altronde , che tanto questi , che gl’altri omisero di accennare -,
che Plinio il giovane
ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato, che anche una Villa
di quell* esimio Scrittore abbelli il territorio di questa Città. Egli
ne parla espressamente scrivendo al suo amico A- pollinare,e
facendogli il dettaglio de'pregj dell’ altra Villa , che possedeva in
Toscana. ,, Ecco „ le ragioni ( dice Plinio ) perchè io ante- ■»,
pongo la mia Villa Toscana alle altre, che '» posseggo nel Tuscolo, ih
Tivoli , ed inPre- ,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj 5,
vi si gode un ozio maggiore , più abbondan- „ te, e però più sicuro , e
con meno distur- bi kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga;
>, non vi è chi venga a chiamarci , e a invitar- ,, ci dalle vicinanze
, ed ogni cosa si fa con „ pace , e quiete . Torniamo alla Villa di
Mecenate . CO Ville di Tivoli pag.36. (.*) Plin.
Epist.6. lib.5. : ffabes causas cur ego T uscos meos T usculanis ,
Tyburtinis ; Praenestinisque meis praeponam ; narri super
R a 5 S È noto , che il sullodato Poeta
Virgilio credendo , che la sua Eneide fosse un lavoro imperfetto
lasciò per testamento , che venis- se consegnato alle fiamme , e che
Tucca , e Va- rio suoi amici fossero nominati dal medesimo
esecutóri di questa sua ultima volontà , con- forme hanno lasciato
scritto Gellio , Macro- bio , e Plinio presso il Volpi ( i ) .
Augusto non permise , che si dasse esecu- zione agl’ ordini di tal
natura , senza prima meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò
essendosi ritirato con li sudetti Tucca , e Va-» , rio nel silenzio , e
nella calma tranquilla della Villa di Mecenate , quivi , previo un esame
ma- turo sull’oggetto delicato , fu risoluto secondo Il pensiero di
Lilio GiraWi , seguito dal Vol- pi (a), che ad onta nelle disposizioni
testamen- tarie dell’Autore , quell" opera divina dovesse
sopravvivere, e trasmettersi alla posterità; illa , qua e retuli ,
altius ibi otium , et pin- guius , eoque securius ; nulla
necessitate togae i nemo arcessitor ex proxima ; placi- da omnia ,
et quiescentia: Vedi Marquez Vil- le di Plinio paga 1 3 . (i
) L0c.cit.pag.a4S. , (a) Loc. cit pag. a44. : Porro eam
delibe- rai io n em in hac V illa Maecenatis Tyburte su- sceptam ab
iis ( Tucca , e Vario ) cor am Au- gusto putat Lilius Gir aldi .
conforme frà gli altri riferiscono Plinio (1) , e Sulpicio
Cartaginese (a ) . Non è fuori di probabilità, che Mecenate
mo- risse in questa sua Villa di Tivoli . Egli aveva qui fatto un
lungo soggiorno , e si pnò dire an- cora una permanenza non interrotta
negl' an- ni estremi segnatamente della sua esistenza ; e perciò
sembra , che abbia voluto esalare l’ul- timo respiro, dove aveva trovato
le sue deli- zie , la sua pace , e il suo sollievo nell' ultimo
periodo della sua brillante carriera . Augusto erede di quello, come si è
detto , ereditò an- cora la sua Villa sulle sponde dell'Aniene, per
cui posteriormente fu chiamata Villa di Cesare Augusto , conforme accenna
il Kirker ( 3 ) , è dopo di esso il Pitisco „ E' fama ( dice questo
,, Scrittore ) che Mecenate prima di morire i- 3 , stitnisse crede della
sua Villa di Tivoli lo ,, stesso Augusto,al quale nella medesima
aveva „ per tanti anni esibita la sua ospitalità, per ,, cui
posteriormente , ed anche fino al pre- (i) Plin. lib.7. cap. 39. :
Divus Augustus carmina Virgilii cremati con tra testamenti ejus
verecundiam vetu.it . (a) J usserat haec rapidis aboleri
carmina flammis Virgilius , Phrygium quae cecinere
ducem . Tucca vetat , Variai simili, tu, maxime Caesar, Non
sinis , et Latiae consulis historiae . ( 3 ) Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1.
R 2 Digitized by Google !* 6
o „ sente giorno si chiama Villa di Cesare Augna „ sto .
(O Potrebbe ora darsene una descrizione to- pografica , ma su
di ciò si farebbe un lavoro del tutto superfluo , nè potrebbe dirsi di
van- taggio i nè meglio parlare di quello , che h an- no detto , e
parlato li succennati Pitisco , Ca- brai , e recentemente il Marquez
nella sovra- indicata Dissertazione. Se questo valente Scrit- tore
aveva dato saggi commendevoli delle sue cognizioni , e del suo criterio
nelle opere a quella antecedenti, e segnatamente nel Libro sulle
Ville di Plinio il Giovane , e nell'altro sulle Case di Città degli
antichi Romani ; nel- le Illustrazioni sulla Villa di Mecenate ha
fatto conoscere la penetrante oculatezza del suo 1nge2.no nel discoprire,
e disegnare le noti- zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es-
se Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori. (1) Loc cit. Art. Villa : Maeccnas moritu - rus
, cum tot jant annis Augustum hospitem in hac Villa recepisset , eumdem
Villac haeredem constituisse fertur , ut proinde vel ex hocco -
pite non Maecenatis dumtaxat , sed et Augusti C cesar is in hutic diem
appclletur . s'6t FEBRE
PERPETUA » febris est , sicut Cajo Maecenati . Eidem „
triennio supremo nullo horae momento con- „ tigit somnus . (i)
L’Arduino nelle notea questo luogo di Plinio ci previene , che
Giovanni Schenk nel libro- primo delle sue mediche Osservazioni
riporta varii esempj d’ Individui , che non viddero il sonno per lo
spazio di quattordici mesi , .ed anche per un intero decennio . (a
) ('i ) Lib. 7. cap.Sa. (2} In Not. cap. 5 a. lib: 7:
Plin. : Afjìrt exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus quatuOr-
“ZT ' 7 a 6» Non è mio scopo di esaminare , se
cosi lunghe veglie possano darsi in natura, come ancora se possa un
mortale vivere gran tempo con la compagnia disgustosa di una febre con-
tinua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la materia esclusiva di que’
Dotti , che sono nell' arte medica versati , e perciò io mi
tratterrò nel vedere , se quel Cajo Mecenate , di cui par- la
Plinio , è il Mecenate , di cui si è scritta la Storia; e posto che
d’esso sia, si osserverà se sussista la realtà di quella febre perpetua:,
e della pretesa veglia triennale . Pietro Crinito afferma non
esser certo , che il Mecenate allegato da Plinio sia quel Mecena-
te Consiglierò , Favorito , ed Amico di Au- gusto. „ Notatum est a Plinio
( dice quello ) in- j, ter mirifica Naturae officia eum ( Meceua- „
te ) nnmqnam horae momento dormisse per „ totum trieimium ante obitum ,
sed hoc non „ piane compertum est , an referendum sit ad ,, alterum
Maecenatem . (i) Al contrario il Cenni è di opposto sentimen-
to, ed impugna il Crinito in questi termini: ,, Ma sia detto cou pace del
Crinito, questo „ dubbio parmi senza ragione . Da Plinio si ,,
parla del nostro , e non di altri Mecenati ... ' . ‘
decim , qui decennio Coto somnum non viderint Jo.Schenkius
Observat. Medie, lib. i. pag. p3. ( i ) De Poet. lat. lib. 3. cap.
45 . . Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I , Ora è possibile t
che questo soltanto ayes-; se la notizia cosi precisa di questi fatti , e
che ■ ’ o • (i^Lib.a.Art,t>$_. ; ; -
Digitized by Google a63 la medesima sfuggisse a
Vellejo , e a Cornelio Tacito contemporanei di esso Plinio , e
s’igno- rasse da Svetonio , da Appiano , e da Dione, che vissero ,
e publicarono le loro Storie nel secolo posteriore all’esistenza di quel
Natura- lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali , opera critica ,
ed erudita , non omette di parlare di molte qualità personali di Cajo
Me- cenate , delle quali si è fatto già menzione , e serba un
profondo silenzio sulla febre perpe- tua , e sulla veglia triennale , di
cui si parla . Lo stesso deve dirsi di Seneca ; Egli mormora spesse
volte , aguzza la lingua nelle sue Opere sulla condotta del Consiglierò
di Angusto, ne critica il lusso , le ricche abitazioni , le squisi-
te mense ec. , ma benché sia contemporaneo di Plinio nulla dice di
preciso sul fatto contro- verso . Ma si supponga , che il
Mecenate accenna- to da quello sia il Mecenate, che fu T ogget- to
delle nostre storiche ricerche . Sussisterà in questa ipotesi quella febre
continua , e quella veglia triennale ? Pareva incredibile al lodato
Giraldi questa veglia triennale, e peno- sa del nostro Mecenate, e non ne
sarebbe giam« mai restato persuaso , se la sua credulità non fosse
stata sorpresa da un’ altro fatto più stra- vagante s riferito da
Olimpiodoro Alessandri-, no , ij quale suppone , che un Uomo
vivesse senza mai dormire , pascendosi di sola aria , o di luce „
Quindi io giudico ( scrive il ?6q ,, raldi ), che
proveniése a Mecenate quella è- „ sica indisposizione di non aver potuto
dormir »» mai per no intiero trienoio ; ciò che mi i,
sembrava quasi incredibile prima che leg- ■»* gessi in Olimpiodoro
Alessandrina . . . che « nn Uomo visse senza mai dormire , pascen-
„ dosi di solo aere solare , ed in conferma di >» tale portento cita
quello l’autorità di Ari- » statele . (i) Alcuni,frà quali il
sullodato Cenni (assono d avviso, che Seneca abbia parlato della
sudet- ta veglia triennale di Mecenate, allorquando fauna specie di
parallello frà questo, ed il celebre Attilio Regolo „ Veniamo ora (
dice » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la fortn- »> na gli
nocqne quando egli diede quel gran* »» de argomento di fedeltà , e di
pazienza ? j. Trapassano li chiodi la sua cute , dovun- y,
que rivolge , ed inclina le sue membra affa- », ticate incontra una
ferita , e le sue luci so- », no aperte ad una veglia perpetua . . .
Cre- • / . • * ♦ C i ) Loc. cit. pag. 1 5o. : Mine illi
( Mece- nate ) existimo cantigisse , c/uod a Plinio scri- bitur ,
ut per triennium non dormieril , id quod ego vix credideram ni ti
antiquum apud Olim- piodorurn Alcxandrinum in Phaedonis Commen- tar
io legissem , hominem insomnem vixisse , qui solo aere solari nutriretur
, atque in eo mi- racolo Aristotelem citai. ■ ■■ (a,) Loc.
cit. . . ' • >, di tu , che sia più fortunato Mecenate ,
il », quale divorato dagli amori , c da replicati », ripudj della
ricalcitrante consorte , si pro- ,, caccia il sonno mercé l’armonia de’
musi- si cali istromenti , che da lungi echeggiano », soavemente ?
Ma benché egli prenda sonno colla forza del vino , scuota , ed
inganni „ il suo animo col mormorio dell’acque caden- „ ti , e con
mille altri generi di piaceri , tnt- „ tavia veglierà nelle piume , come
Attilio », Regolo nella croce . ( i) Non si comprende però
come Seneca in que- sto luogo voglia indicare la pretesa veglia
tri- ennale di Mecenate, giacché la sostanza dei suo discorso si è
che questo , essendo vessato dall’ amore sconcio , e dal carattere inquieto
(i) DeProvid. Cap.3. : Veniamus ad Re- gulum : quid illi fortuna
nocuit , quod illud documentimi j Idei , documentimi patientiae fe-
tic ? Figunt cutem davi , et quocumque fati- gatum corpus reclinai ,
vulneri incumbit , et in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina
.... F eli ciorem ergo tu Maecenatetn patos , bui amoribus anxio , et
morosae Uxoris quoti- diana repudia deflenti , somnus per sympho-
niarum caritum a longinquo lene resonanlium quaeritur ? Mero se licei
sopiat , et fragori- bus aquarum avocet , et mille voluptatibus
mentem anxiam fallat , tam 'vigilabit in piu- ma , quam ilio in croce
. *63 di Terenzia stia moglie , che egli arnav^
perdutamente (i) , procurava di sollevarsi con il vino , con lo strepito
piacevole delle acque cadenti dalle rupi , e con altri mezzi ca-
paci a discacciare , o mitigare la noja dello spirito ; aggiunge inoltre
, che ad onta di tut- to questo , Mecenate non trovava sollievo ,
co- me Attilio Regolo tormentato dalla barbarie degli Africani
nella botte guarnita di punte di ferro (2). É’ pur troppo
vero, che una moglie fornita di un Carattere infedele , caparbio, ed
inco- stante potrà tenere in grandi inquietezze un onesto marito ,
dal quale è amata , manonpa-» re verisimile , nè credibile , che tali
inquie- tezze possano giungere fino al grado di cagio- nare una
veglia non interrotta di più anni . Perciò si può convenire nella
supposiziqne di , . •’ ; (1) Girald. loc. cit. Porro
Terentiam Mac- cenas miro amore deperiti } .ut Acron , & Por-
phirion tradidere . (2) Joseph Cantei, in Not. ad Valer. Max.
lib.l. de Relig, § .1 4. Dir is sane suppliciis cru- cactus est Attilius
: primum quidem , et id tantum cibi datum est , un de vitam aegre
su- stentaret , et adductus Ltiphas , a quo territus nec animo ,
nec corpore conquiesceret : tum , praecisis palpebris ne connivere posset
, solis radiis'objectus est : in dolio denique inclusus praefixo
davi culti , quorum acuti it misere la,-, cerai us inceriti ,
'■— * Qigitized by Google Seneca
riguardo alla' sùdetta Terenzia moglie di Mecenate ; si può convenire ,
che ella sarà stata di Un umore capriccioso , ed indocile ; che
Mecenate ne avrà provati disgusti , ed amarezze , e che per discacciarle
lóntand dal suo spirito filosofico , avrà profittato di tutte le
possibili risorse ; non si può però ragione- volmente , e giustamente
conchiudere, che per tal motivo non potesse procacciarsi il sonno per
il non breve intervallo di un intero trien- nio; nè si può comprendere^!
torna a ripetere, come Seneca abbia nel citato luogo voluto si-
gnificare ciò , che Plinio ha riferito sulla pre- tesa veglia triennale
del nostro Mecenate i Passiamo alla febre perpetua . La febre
è annoverata fra li pallidi morbi > che affliggono miseramente la
specie umana . Quell' individuo , che da una febre viene mo-
lestato , e da febre di tal carattere , che non abbandona giammai il
povero paziente , è im- possibile , che possa agire con energia , e
trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si è detto nel decorso della
Storia del nostro Me- cenate, risulta pienamente , che egli fin
dall’ età più verde incominciò a prestare i suoi ser- vigi ad
Ottavio Augusto prima del Triumvira- to , fin dopo inalzato al Trono . Si
è rimarca- to , che iu tutto questo tempo affrontò le im-- prese le
più faticose ; segui qualche volta il suo Monarca anche frà lo strepito
delle Armi } governò lunga stagione Roma , e l’Italia , dis- sipò
congiure pericolose, ed usò in tutte le i Digitized
by Google 370 operazioni , che gli furono affidate ,
eorag». gio , fermezza , e straordinaria vigilanza . Se
pertanto fosse stato sottoposto ad una malattia di una febre perpetua,
come è pos- sibile , che avrebbe egli potuto agire con tan- ta
energica attività per disimpegnare gl’in- carichi laboriosi , che tutto
giorno riceveva da Augusto? Ola febre è una malattia, o non è
malattia . Se non è una malattia tutto è con- ciliabile , ma siccome non
può mettersi in que- stione , 'ch’ella sia un malore , che sconvolge
il sistema fisico deirUomo , cosi sembra potersi dire, che Plinio
in quel luogo , 0 ha parlato di qualche altro Mecenate , o se ha
parlato del nostro le sue assertive non possono in ve- run conto
fissare la fiostra attenzione . Impugnando però questo passo di
Plinio, noi non abbiamo avuto il pensiere di divenire il censore di
quel celeberrimo , e laborioso scrittore della Storia naturale . Égli
esige tutto il rispetto de’ Letterati , li quali cono- scono , che quella
sua Opera magnifica gli pro- cacfciò meritamente un posto brillante nel
tem- pio deU’immortalità ; ma in un si grande la- voro , in cui
dovette giovarsi, e profittare degli occhi , e delle mani di molti , non
deve recar meraviglia , se egli avesse inserito una qualche
opinione grossolana , e popólare . Il medesimo ( 1) ha detto ancora
, che quel Cajo Melisso Mecenate , Liberto del nostro Cil- (0
Tiraboschi -Stor, della Lett.Ital.Tom.a., * 7 * «io
per guarire da uno sputo di sangue , no» parlò mai per lo spazio di tre
anni . Questo fat- to è pure singolare , meno però di quello della
febre perpetua, e della veglia triennale . (i) (ij Plin. Lib.28.
C3p.6. Sect. i 7. : Jamet sermoni porci multis de causis salutare est
. Triennio Maecenatem Mclissum accepimus si- lentium sibi
imperavisse a convulsione reddito sanguine . L' Arduino nelle note a
questo luogo di Plinio osserva , che in alcuni Codici invece di
Melissum si legge Messi um , conchiude però, 'che ne Codici più accurati si
trova scritto Me- lissum . Potrebbe dubitarsi se il Melisso , di
cui qui si parla , sia veramente il Liberto di Mecenate , giacche Sveto
nio Lib. .de lllust. Gram. Cap. 3 . nomina are Melisso Lenèo . Ful-
genzio \ib. 2.. Withol. fà menzione di un Melis- sp Euboico . Alberto
Magno Lib. 6 . de Anim. Tract. i.cap.6. loda un Melisso Autore di un
li- bro sugli Animali . E Laerzio lib. 9. pag. 445. rammenta
parimenti un Melisso ; Ma il lodato Arduino è d'avviso , che il Melisso
accennato da Plinio è il Cajo Melisso Mecenate Liberto del nostro
Mecenate : Meminit Svetonius ( Hard, in Ind. Auct. Plin. ) . . . Caji
etiam M elissi , quem Maecenati gratissimum etiam fuisse ait, ac
Biblidthecarum in Octaviae Por- tico ordinandarum curam accepisse , a
Patro~ no suo Cajus Melissus Maecenas dictus est . Hic eriim illc
est , quem Maecenatem Melissum scribi oportet , apud Pliriium lib.aS.
Sect.i -V C>.Luigi Speranza,
“Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.
Grice e Medio: la
ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Medio. Porch. A contemporary of
Plotino. He wrote a number of essays. Medio.
Grice e Megistia:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean according to Giamblico
di Calcide. Grice: “Cicero
argued that anything written in Greek is not part of Roman philosophy; I guess
he has a point. Whereas we do consider things written in Latin by Englishmen
PART of English philosophy, we do not consider anything written by the Old
Britons before the Anglo-Saxon Conquest to be a part and parcel of Sorley,
“History of English philosophy’!” -- Megistia.
Grice e Meis: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bucchianico).
Filosofo italiano.
Bucchianico, Chieti, Abruzzo. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di
ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue
presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati
PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti
naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale
degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia
naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli.
Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne
eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di
Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i
manifestanti e l'accusa di tradimento al re.
E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si
stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli
emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in
contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico
di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra
in Italia, prima a Torino e poi a
Modena, dove insegna. Torna a Napoli e divenne
assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e
venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo
tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della
natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega
di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al
positivismo. Venne citato, di passaggio,
nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il
palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M.. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Erasmo ed., Roma, M. su treccani. Il
protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in
treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della
sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da
"De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia
nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella
città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene
abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del
romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza
legato alla propria libertà. Tessitore, M.
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. M. di Giacomo de
Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari.
L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione
di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si
precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo
abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual,
altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A
meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una
sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si
immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA
in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale
Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di
varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo
a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto
imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive
da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti.
Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto
Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo.
Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo
Cristianesimo Oggettivismo ideale
particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac.
Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale
universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla
oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa
Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla
soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto.
Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte
Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia
della medicina .Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società
umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che
basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande
organismo umano, l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso,
indipendente ed assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di
funzioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve
e si nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa. Egli è
questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1'
uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un
animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità
dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La
riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della
vita animale; e la coscienza assoluta è la corona e l’apice della
vita spirituale. Come spirito l'uomo è per prima cosa, e
per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma
più naturale dello spirito: essa è il patrimonio dell'individuo, e resta
confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è
l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è
una estensione del suo corpo, e della sua anima; ampliazione della sua
natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica spirituale. E
a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza, che è come il perno
intorno a cui tutto gira: centro e circonferenza del circolo
umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza l'uomo
conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli aspira a conoscere anco l’interno
di se, la sua propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come
bello, e per dir così semi-infinito: nella religione, come infinito
sensibile; nella scienza, come infinito di pensiero, e sì come pensiero
infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo, nell’individuo
particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si
chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica,
agricola, industriale, commerciale: produzione materiale, frumento o
libro; trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;
nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei
quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa
nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra
gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della
polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e
usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che
la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro
tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il
sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha
il dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il
sentimento della fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli
ferisce e maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale
individua è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione
conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una
relazione psichica, spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci
è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi
naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade l’altrui , non occupa solo una porzione di
natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di
tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano
contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che funziona e si
esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di rincontro alla
barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale
è in realtà una corte marziale. La legge civile è il principio e la
regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di
mezzo agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e
definito in forma di piato, non solo non giunge, ma neppur tende alla
violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la civiltà è la pace,
perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi
sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza
e volere generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui
servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. Cosa è
dunque lo Stato? Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni
materiali ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono
unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le regola, ed è il punto
a cui mette capo ogni particolar movimento, e da cui parte ogni azione
generale. Lo Stato è adunque l'IO, la coscienza sociale. Tale è la forma: il
contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la
pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua
forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un
Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile.
Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso
di relazione umana in genere. Ed io allora la piglio in senso di
relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe
ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la
virtti; dice Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo
fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte,
indeterminate, piene di confusione e di errori. La virtù, la
morale, non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò per
se individuale; ma quando esce dall'individuo, e promove o turba e nega
l'ordine sociale inferiore, e per così dire individuale, essa allora di
privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima
sfera delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica,
o se anche penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il
suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non
è che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda
mundis: puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è
a parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed
imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo
Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale,
giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:
essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di
difesa. La virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di
energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica,
elettrica, nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e fondata
sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà
del privato cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la
voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,
rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con
lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi
fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata,
non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il
pensiero della storia. E lo vedrete. Lo Stato è il ben essere, la
prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo
Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e
favorisce il commercio con istituzioni, e leggi , e procedure speciali.
Ma la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato. La
ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero: 1' una è il corpo, l’altro
è l' anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e
l'Economia politica non è la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO
DELLO STATO ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia degli Ebrei, dice Aquila
di Meaux, e per quel tempo non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro e libero aere della ragione. E se Dupanloup pure insiste e
perfidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la
Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di Siviglia e la
Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò
altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì,
certamente; ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e
dell'Arte, ma il Dio del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che
costituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri
e le autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v'è
che il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del
cittadino, ed è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza
alle autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo
Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione;
e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel
volere essere Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è
appunto il vero Stato; e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione
comune in cui questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua
funzione essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed
assoluta necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si
crea il suo particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei
poteri politici è il corpo che si crea , e in cui si fa reale. È una
creazione immediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d'
ogni principio vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è
sempre lo Stato che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa
funzione creatrice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale
si traduce e si concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice
potere legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata
dall'elezione, si crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1!
esercito : l' esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la
finanza è il sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo
serve per eseguire o render possibili tutte le funzioni, che
compongono la triplice natura dello Stato: la funzione economica,
la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impiegato, il ministro, il
Sovrano, è un soldato; e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge,
all'anima dello Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili
essenziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli serve a
difendersi dalle potenze nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita
economica, politica o morale. Il soldato è il braccio della legge, e
dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto
di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano
contro la legge del suo paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed
alto ufficio tanto nel primo come nel secondo caso. I due
eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee
circolare. Il potere legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il
Sovrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due nature: egli è il
tratto d' unione fra il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui
l'unità dello Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità,
potere legislativo, potere esecutivo; tutto questo è forma di forma: la
forma essenziale , il vero Stato , è l”IO assoluto , la coscienza e la
volontà generale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e
non è possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere
questo o quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato
conosce e fa da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica,
la legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato,
il soldato, tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero,
giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte
liberamente spiegarle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la
virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e
domina il contenuto. La morale domina l'economia: la produzione non è
possibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina
la morale: la virtù pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la pura
funzione formale, domina e modifica tutte le funzioni speciali che sono
il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e modifica il dritto e la
morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro
assolutamente RELATIVI (“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come
piti eccellenti gli assoluti inferiori, perchè piti naturali, e di più
immediata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui l'ordine
morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico; 1' ordine
politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente è
l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più assoluto e divino; e
quando l'armonia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la
funzione formale, la funzione assoluta dell'essere, quella alla quale
appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano. Scoppia la RIVOLUZIONE
dal basso o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO. Slealtà, tradimento,
illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo riprova, la coscienza
giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore
che l'approva; e se non è la coscienza politica dei contemporanei, sarà
di certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approva IL COLPO
DI STATO e LA RIVOLUZIONE popolare,
quando è vera funzion di essere: quando cioè l' essere apparente dello
Stato non corrisponde al suo VERO essere , a quello che esso è nella
coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di
sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è
ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed una
legale illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il
benessere della comunità, o dell’intiero corpo sociale. La ragione e il
titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno
del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua
vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo
interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. IL
CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre leggi
fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono
le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar
l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'uomo non ha
creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di
essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è la
sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza generale.
Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o supera
quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il
caso dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la società vede
nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di sicurezza generale,
abolirla è un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto
di serietà pratica, scipita sentimentalità, filantropia fuor di
proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza di mente, che ad
altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello
Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui
deve render l' imagine , ed essere la fedele espressione. Quando l'opinione
sarà progredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia
con la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato e forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza
altro indugio, abolire; perchè allora il PAESE, divenuto meno
incolto e per dir così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come
un elemento di esistenza; e non sentirà il bisogno di una garanzia sensibile
tanto barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non
pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si parla sempre dell'utilità
della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli
oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un vergognoso errore. Necessità
non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion di essere, egli è in una
sfera ideale e assoluta, superiore alla regione della utilità e del
senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed
è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava, e ne andava
giustameute superbo: il senso e l'utilità e tutta la sua filosofìa, ed
egli condanna allora la pena capitale come non utile. Venuto più tardi a
miglior sentimento, il Risorgimento respinge l’utilità , e condanna la
pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità
ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità:
egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne vergognerà di
certo quando di risorgimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare
un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso, attentare all'esistenza
dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è
immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare moltitudini di
uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e sia pur l'alto dominio) delle
loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il cittadino non lo può,
non lo dee fare; ma può e dee talvolta farlo lo Stato. L' usurpazione e
la violenza privata è ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica
usurpazione non è giusta; è più e meglio di questo, è politica; e si chiama
guerra e conquista, e non più violenza ed usurpazione. La guerra è
buona, e la conquista è giusta legittima e veramente politica, (e dico buona, legittima,
giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole) quando in esse lo
Stato opera in funzione di essere: quando guerreggia e conquista per vivere
per essere, o per diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente
essere. Vi sono società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la
passione, il caso in una parola, divide in più corpi sociali , per cui DI
UNO SI FORMANO PIU STATI. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità
politica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società
originariamente separate, in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la
violenza, le passioni umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità
naturali, crea una coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la
comunità e la somiglianza fondamentale dei DIALETTI ITALIANI (non mai la loro identità, che non e' è
mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione assurda dei pedanti)
è l'organismo sensibile, e l'espressione approssimativa, e la meno
inadeguata, di quella nuova coscienza. La comune storia è il processo per
cui di un gruppo accidentale di popoli e di Stati si forma a poco a poco
un tutto naturale e vivente con una interna unità e un' anima
generale. LA GEOGRAFIA è la condizione esterna dello sviluppo, e l'
occasione più o meno accidentale di questa formazione ideale. La comune
coscienza che si è conservata dopo lo spartimento dello Stato unico
originario, non è più coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e
la primiera attività; e la coscienza comune che si è sviluppata in un
gruppo di Stati eterogenei non è che il sentimento della loro comune
unità: e nell' un caso e nell'altro questo sentimento è la nazionalità ,
la coscienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato
si trova diviso in se stesso; è un' anima scissa , con due coscienze
distinte ; che l' una è la coscienza propria di Stato, l' altra è la coscienza
comune di NAZIONE. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri,
uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che
nazione. LA NAZIONE E LA POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche
quest'altra parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di
esser tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della
sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta,
una sola coscienza reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e
conquista gli Stati connazionali. È la buona guerra, e la legittima
conquista; ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsapevole,
passionale, irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è
divenuta cattiva: il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione,
e non ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.
Questo succede quando in tutti i corpi sociali si sviluppa più o meno
egualmente di sotto alla loro particolare e diversa coscienza politica la
comune coscienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti finiscono per
fondersi in un solo corpo di nazione, in una stessa società, in cui
l'antica coscienza nazionale si eleva e si perde ben presto nella
coscienza politica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la
soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo modo che si sono
costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di
guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu felix Austria, tu
felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste, è venuta dopo.
L'Austria felicemente accozzava delle società affatto eterogenee, fra cui non
vi è stato che un principio di fusione. Si è formato senza dubbio nella Boemia,
nell’Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca. Ma la vera
coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè
l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è una possibilità
naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della
coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze,
delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno
inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica LINGUA COMUNE –
FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune coscienza, di
politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica
unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che ha finito per
essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito
per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti
finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però
le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l'intenzione di
seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro,
medieyale. Ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la
coscienza nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la
geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione.
La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La
soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata
al secolo della ragione; ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO,
ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede. La greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato
per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia,
coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune
alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la
religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia,
tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l'
Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e
l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa
del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi- ficante unanimità
il barbaro e immondo straniero, il musulmano oppressore. L'
Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue,
pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono straniero, rammenta
l'antica madre per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava
ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno
Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè
la Storia non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non
vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi,
tutti incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha
operato per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti
gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che
appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale
alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor
debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali
la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente
amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve
n'è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA
PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza
nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente
trasformata. Essa è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente
prodotto di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,
incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa
è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che rimane alla VECCHIA
E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO
(si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui
una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza
municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un
chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può
più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli
è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto
altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e
generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale
fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli
altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal
forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara , czeca e
jugoslava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella
tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto
(incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza
politica francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in
quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna
Italia: in quel Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del
Medio Evo ha termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva e
s'abbandona, e la nazione intiera scende nella tomba della servitù
straniera e papale, egli solo non s' abbandona; e che rimasto jnfino
allora nell'ombra, sorge a un tratto giovane e vigoroso, e
ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana, e
per lui ed in lui l'Italia vive ancora. E quando a nostra memoria si
riapriva 1' antica tomba , e l'Italia vi scende di nuovo , rimaneva egli
solo sulla breccia, e lottava animosamente, eroicamente, e compiva
alla fine il destino della patria: onore a cui dalla provvidenza della
storia era visibilmente riserbato. Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e
ingrati! Certo il tempo saprà identificare la coscienza piemontese, che
dopo tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la
materiale grandezza di quella nobile provincia, è naturale sia permanente e resista
alla grande coscienza politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi
sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una
grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano. L'Io, la coscienza
sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una
funzione puramente formale che domina e modera e modifica la funzione
giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e turba e
invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello eh 9
egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, l’essere
indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo privato non può
fare, e che gli sono permesse, doverose anche talvolta y quando, divenuto uomo
pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la
coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo tutto ciò eh'
egli può far nel suo particolare interesse, ma è lecito e buono tutto ciò
che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e l'amalgama succede
sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa quanto l'uomo è più
alto locato, finche nel capo dello Stato i due interessi non ne fanno più
che un solo. Dal momento che si separano, il tiranno è perduto: egli
allora non è piu lo Stato, è un altro; è un corpo estraneo contro a cui
l'intiero organismo si solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la
rivoluzione, è un processo di guarigione. Il morbo è la tirannia,
l'anarchia: forme dello stesso disordine; tutte e due passione e
sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è né questo,
ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne tutti: l’arche è la
ragione. Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero
essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' economico. Tutto questo egli
lo contiene in sé; ma come Stato egli è l'unità consapevole
organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di
tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce
l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana,
e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la
morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo piìi
etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi è il mondo
dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione. Il mondo
della verità è di sopra al mondo della natura e dell'azione. Lo
Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili perfetta e
più generale esistenza delle funzioni a lui inferiori. Lo Stato non è che
la base e la reale possibilità delle funzioni a lui
superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane affatto
individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una società artistica:
vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la parte dello Stato è di
render possibile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la
spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non
quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla sua
natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere immorale e
ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non
contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e
fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar l' animo umano.
Ma dal momento che essa esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è
pili che immorale ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene
in nome della giustizia offesa, e della morale violata; funzioni
inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua
tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta essere empia ed
irreligiosa: ma la sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri
pensieri , e di religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le
proprie sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più
che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene.
Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma
non amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è
la Scienza; è in un certo senso il suo contrario: che s' ella esce dalla
sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la
sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo carattere è di essere
naturalmente universale. Egli è perciò che mentre l'arte rimane nella sua
inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si forma
un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di fuori e di sopra alla
società politica si forma una società religiosa. Il luogo di questa alta
società non è la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo
umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste;
essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della
infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande
fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell'
infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne
morale. Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare
simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR
TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto
meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la
religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può
attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le piu
barbare, e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si
rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e
dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il
terrore religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito
credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei
padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un tempo ed in un paese in cui
non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO , e il Codice Civile era di là da
venire. Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a
Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato
errore. Quella era pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo
tempo: due gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora
in una verità sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del
Codice Mosaico, convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla
verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia
di Giosuè e del Santo Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI.
Ma come verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune
che l' innocente è colpito col reo dalla vendetta divina. E si crede
anche oggi come tre mila anni sono il dogma che insegna che la colpa del
primo uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo
dogma non è che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso
di tre mila anni sonò, e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò
più credibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa era la
curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave,
imperdonabile agli occhi del dogma religioso. Un dogma simile viola
apertamente il Codice Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso
morale; ma non è che una offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non
interviene per far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La
rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne
rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la
rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo
campo, e deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato,
e diventa irreligiosamente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo
Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente
succede alle religioni che di spirituali si fanno temporali. Peccato è loro e
non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato: e perciò tanto
peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte
e della Religione , vi è la scienza , LA FILOSOFIA. Ma qui l'individuo
s'identifica e si perde nel puro assoluto universale, per cui l'Io
filosofico non prende alcuna forma naturale. Non vi è quindi una società
filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del
pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene in nessun caso
in questo ultimo empireo: egli né il dee, né il può; egli è natura, e non
ha presa su ciò che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella
sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere il suo
carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del decimonono
secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il
Prete ed anche il Demagogo? Non già; non mai. Insegnare non è
pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è invece agire, educare e
preparare all'azione, ed appartiene quindi allo Stato; e insegnare un
principio repugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno
scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è
funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di
ferro o sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. Il
principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in
ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l'
autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la
ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a
cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò consiste la libertà
civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e
l’eguaglianza materiale. Il principio dello Stato moderno è la libertà
ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò che lo
Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone tutti
e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della
scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il giornale è
una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha
il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il suo limite
nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona, perchè
concreta: la libertà indefinita, astratta, è la stolta, .assurda,
micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La libertà non appartiene
che alla libertà. Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella
qua- lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e
spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e professa il principio
generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La religione, l'arte, la
scienza non sono assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella
loro sfera speciale, e qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di
mettere il piede. E però quando io vedo un Ministro chiuder la
bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale, perchè
professa delle particolari idee che in un certo mondo — Dio sa che mondo
— non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli
abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-
passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di un principio
particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so soltanto che non è
il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro
mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è
adunque che la possibilità effettiva e naturale della vita artistica,
della società religiosa, e della pura attività scientifica. La sua
funzione con- siste nel renderle tutte e tre possibili mediante
l'Istruzione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio, e non può
altrimenti intervenire nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e
prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può
decretare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione
dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent
from the all new AOL app for iOS Opere di M. Studi su M. - Opere ed
articoli che a lui accennano - Recensioni di suoi scritti » La vita e la storia del pensiero di M. . La
famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a
Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a
Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La
dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M.
e i suoi amici: SPAVENTA, SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis.
L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi; M., professore
all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La
vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di
M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I
momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo la laurea. La storia della
filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il
passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o
soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e
filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica
napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la
metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il Dopo la laurea
e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M.
Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in
coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse
cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede.
Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche sul salasso locale
Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze
naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica; Del
principio vitale; Idea della fisiologia greca; Le opere scientifico-filosofiche; Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il
culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione
del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II
giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M. Contro l'abolizione della pena di morte Il
divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor-
porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del
culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione
pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di
ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l'
istituto tecnico inazione dei vasi
sanguigni. I mammiferi. Fisiologia. Prelezione
al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi.
Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere
scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La
medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La
patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La
creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo
trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario
nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La
libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due
discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La
coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla
terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle
lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda
religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica
del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il
suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di
esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo
M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o
cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo
latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo,
la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le
correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero.
Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e misticismo
del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua
mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da M. , nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze
mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del
Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi
delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani -
convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta
dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof.
Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso
locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in
Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione,
Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La
Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione
(v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la
precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali.
Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto
nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M.
deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso
inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio
Medico. Pronunziato e pubblicato dagli
alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di
insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De
Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli,
Vitale, Nuovi elementi di fisiologia
generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto].
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già
deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale,
Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria
dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro
Ramaglia]. Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei
muscoli intercostali, Napoli, Fisiologia
generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca
per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici
lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza
medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino,
Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova
enciclopedia popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici,
nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice,
Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal-
l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data
di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università
« e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra:
Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel-
l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la
« Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima
contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862].
Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della
medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura
medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze
mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna,
Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel
giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica.
- l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del
Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna
Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti,
Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo
semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono
citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis
deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi
VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla
contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica,
Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti, Il sovrano, nella Rivista bolognese,
periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino,
Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti
della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE,
nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia, [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu
pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata
dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|,
nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,
[È una lettera, con la data: Bologna. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte
prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state
pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo
pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La
natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore
Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese,
Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale,
Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella
Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della
utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla
Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr.
dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti,
Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima],
Bologna, Monti, [La Prelezione era 3
stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel
Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e
V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni,
Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina,
Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze
morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore
Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione
costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data:
Bologna, Il canonico di Campello e la
stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,
[Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella,
nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti,
Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi
nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di
zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e
Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di
pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr.
De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta
dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e
Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e
francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona
Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof.
Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di
Bologna nell'anno scolastico, Bologna,
Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi,
Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp.
12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino
quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione
Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono ripro-
dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia
della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al
corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, .
[Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi].
Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901,
per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state
pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione
ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria
dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati
per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la
gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI,
Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE
nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898;
e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica,
ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli,
Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente
pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione
cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor
barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale
non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa
del risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine
del Dopo la laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e
chiarisce le apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in
Italia, Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio,
poi caricatura smaccata e cinica della religione, succede la drammatica
senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia; in
Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era
incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel
secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la
Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il
secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla
tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione,
ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la
lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta
riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania,
in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza del
risorgimento italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il risorgimento,
che DIFFERISCE DAL LATINO in quanto non è la semplice rappresentazione
del naturale, ma la negazione del soprannaturale, rappresentata e
sviluppata nelle sue conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e
il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in
un solo risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la
religione, divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e
religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del
suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore, il vangelo di
Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello
spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera
Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo
ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un solo ovile
sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora,
viene Kant, il Socrate moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la
natura, e parla dello spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale
egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose
dello spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito,
questo divino, questo assoluto e universale non è che individuale.
Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi FICHTE — , che con
profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si
compenetrino in una sola unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene
Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con
rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà solo
diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma diciottomila, o
meglio finché duri questo attuale genere umano.Hegel, ponendosi nella
posizione di Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e
trova il processo della creazione. Questo grande movimento, che si
compie nel nord, si era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda)
era stato versato invano ed VICO (si veda) non era stato compreso da nessuno, [Pel
giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr.
qui addietro, V. Dopo la laurea,
Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e
molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate
del genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e
necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta
settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non
giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia.
Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede da BRUNO, non è
inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa
rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a Napoli si fosse
sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione di
BRUNO e di VICO: la quale, così guasta e superficiale come era diventata
nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte;
ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero
germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto preoccupato del problema
della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo
Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse
di tutta l'Europa, la Germania inclusive
Ora che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta
esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito
cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M.,
accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno
fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in
questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione
diretta della distanza che lo [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
bibliografico di Daelli, Torino, V. Dopo
la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa SERBATI e la
evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e
poesia cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica.
Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto
padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo
non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe
distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale
e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi
vani, che la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito,
della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si
compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — , nel sud,
dove un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e
moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è un secolo XIX non
filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole raggio di
riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col Concordato
e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da
immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza di sé come nel
mondo germanico, coesiste nel MONDO LATINO a fianco alla poesia; e dà origine
ad una pseudo-epopea, al romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e
la finzione, tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il
romanzo, genere equivoco, compare per la prima volta nel principio
del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se- [Dopo la
laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e
rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la
prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in
Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua
perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e
mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a
cui somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M., una volta
stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci
tutti gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fiorisce,
prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e complesso,
sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe indifferentemente
applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde il carattere
epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e
con la Sand, finché in Kock e Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la
poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta comincia
antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo
che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più
progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle
filosofie. E non è finita ancora la triplice serie, osserva M.,
fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante;
la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA
DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran
parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che è la
bestia nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli ha
preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico —
rimasto tale malgrado la irreconci- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] liabile
opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e
amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che
accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia
opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo.
Mai M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che
la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la
filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur
materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una
filosofia antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può
trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura
esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che
è la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente positiva è
di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e
non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che
nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa
come la vera. Il primo atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO
scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena
è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero
induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei
fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti: la
classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva
è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la
filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim; cfr.
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle
critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal
FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone
sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la
filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e
pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non
avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura
divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente,
tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque
col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza
parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la
riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni
filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO;
il nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di
BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo
Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del
mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il
secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare
il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta
natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio,
consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo
la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di
Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e
metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua
esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere
in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E uno
è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il
principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo
evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la filosofìa
giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo processo di
creazione, non ha più dove andare, a meno che non voglia
indietreggiare, come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo.
E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si
contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele,
perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento
essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo,
di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di
riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia,
è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana.
L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente,
ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero
filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita.
Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità,
lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ; e torna
alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fantasticare. Quando la Germania
crea il vero sistema del mondo, e recata la religione cristiana nella
forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si congela
nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto si
scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana, trova il
risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento negativo-positivo.
Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed aborti strani; col
secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e
religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania
materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la
pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita è
pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica e
di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è
una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla
legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla
pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo.
Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive
di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà
origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza
distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo
l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo
universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega
nella forma dello spazio, e coe- siste come nella natura. L'uomo di
sopra, il regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una
serie di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la
religione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore
assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo
l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo
spirito umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. «
Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico-
lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale.
Le forme e gli elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili,
e la legge comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere,
decadere e perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle
piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee estetiche e
religiose. e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura
sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si
compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati,
ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il
prodotto piglia forma e natura dall'elemento preponderante e più attivo.
La natura è come una scala a piuoli. Lo spirito come una scala a
corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo il genio,
l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fa pianta. Nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui l'impressione,
il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il movimento, la
contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in azione gl’altri
elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera
tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana,
e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente nell'uomo entra
in attività la coscienza, la riflessione, e con questa gli elementi
spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la riflessione della
riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale, animale ed umano).
Questo è lo stato naturale di cui parla Rousseau. Nel secondo tempo
l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gl’uomini.
Queste si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che
si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione.
Ma contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si
compie nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande
ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà
superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà
inferiore, da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda
coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele
parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ;
e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo per aver parlato di quel secondo
spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di
individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una
successione di grandi unità. Il primo stato embrionale del genere umano è
la natura (M., hegeliano e medico, prende spesso come termine di
confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale.
Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli
con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo
finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso
mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in
essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a
poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce
una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa — quarta muda — l'uomo
riflessivo e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro
distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e
via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze si unificano, ed
il poeta ed il prete rimangono assolutamente identificati nel pensatore,
perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più
deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come non
poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere [ Dopo la
laurea, Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in
estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è
più al mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che
afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una
sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che
inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo
uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ».
È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta
barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e
termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta
e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va
dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione.
La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel
risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel
latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la
lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia,
durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia
finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva
è la barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale e
soggettiva è la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la
forma inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e
sog- gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile
dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più
oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana,
più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica
orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una
stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la
forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e
tutti i caratteri di un sistema religioso completamente sviluppato; il
politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale risorge nel
tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi
essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella
vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento,
spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella
forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio
evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la
Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo
moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E
del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica
lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il secolo
XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi
viene la drammatica, che comincia storica e finisce cittadinesca e
domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta per voler essere
ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata l'immaginazione; il
sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al
pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una poesia lirica,
drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto di tutte le facoltà riunite,
la filosofia vivente, poetica e religiosa, la filosofia dell'universo,
cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico, termina
lirico-prosaico- filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano.
La poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla
forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e in quella vive ed
eternamente vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della
religione è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il
risorgimento ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che
prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge
la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo
elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La musica è l'ultima
delle arti ; la poesia è la prima. Le arti plastiche usano una materia
più naturale, meno ideale, deb- bono sostenere con questa una lotta più
lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la
pitiura. Certo la musica è nata, come tutto il resto, con
l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-
dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico è bensì
un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura
; nel medio evo moderno la musica è epico- religiosa, e rimane
subordinata alla religione. Solo nel risor- gimento moderno la musica si
sviluppa, mentre le arti pla- stiche decadono: dapprima, nel risorgimento
drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma
; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-
rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e
quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un
vuoto suono, che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica
vacua, è un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto
del risorgi- mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere,
poiché il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il
risor- gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è
il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel
punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da
capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa nuova creazione è il
tempo dell'essere, il secolo XIX, che ha per necessaria preparazione il
risorgimento progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di
negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della
musica quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la
dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia
di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più
all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già
avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo
moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico,
e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la
musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero
positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e
l'immaginazione. Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno
della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo
moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il
dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima greca, ma il vero
tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risor- gimento
cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma- nità, che è un
aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una
nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno
ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione non è
però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della religione
e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile come la
natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia
medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.
Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche :
esiste presso il popolo apostolico primitivo la filosofia primitiva o
religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la
filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente
scet- tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo
oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però
difficile distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere
un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa
teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni, che
possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito umano
perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione? M.
risponde che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla filosofia
kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a fare degli
assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al concetto della mente
la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha torto se crede che la
intuizione da accompa- gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e
falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è
creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la
vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di qui
nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati- vamente perfetti
— se son davvero capolavori — , perchè l'ideale dell'arte, come finito
ch'egli è, può accordarsi con una intuizione finita; e ne viene
dall'altra parte una serie di religioni tutte imperfette e però tutte
transitorie, perchè l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa
creare che delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge,
perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G.
FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo
all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli
non comprende che M. intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia
religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. hanno un
termine : e il loro termine non può essere che la vera e reale intuizione
corrispondente al concetto dell'arte ed all'ideale della religione. E
difatti abbiamo da un lato una serie di forme estetiche l'una meno
perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute
dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e
fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali; e sì
l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più trasparente ed
immediata all'ideale. È, dunque una serie regressiva e discendente. La
serie religiosa è al contrario ascendente e progressiva. Ogni forma
religiosa è meno fan- tastica, più razionale, più reale della precedente.
Per cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in
essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta- stico quanto
esser può più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che
quello di essere una reli- gione. La religione cristiana si va sempre più
perfezionando; e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre
più storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E così
per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando, la religione e
l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero è l'eguaglianza della
realtà e dell'idea, del pensiero e del- l'intuizione. L'intuizione
estetica, da principio fantastica e non realmente assoluta, diventa a
gradi sempre più somi- gliante al concetto assoluto dell'arte, finché
raggiunge l'asso- luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita
come un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna sua
parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta essa stessa :
giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La intuizione religiosa, essendo
finita, non è adeguata alla sua idea, che è infinita. La verità religiosa
non è mai la vera, perchè è una combinazione di finito e di infinito,
anzi che di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va
sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre più
veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando l'infinito
ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e intuizione. Allora al falso
succede il vero, e la religione fi- nisce. Questo non è perdere una
funzione; è risolvere e trasfigurare. Le funzioni inferiori dello
spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza
separata, perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma
la religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e le
forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac- quista una
esistenza distinta, esse la perdono e rimangono unificate in lui. L'arte
è per sua natura illusione e la reli- gione è per sua essenza errore ;
ora l'illusione è fatta per trasformarsi in certezza e realtà, l'errore
in verità. L'arte si trasforma nella vera cognizione naturale ; la
religione nella vera cognizione spirituale. In questa trasformazione
consiste la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il
limite del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma
idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce
nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale
il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana, tutta arte
e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è l'era cristiana, in cui
la religione e l'arte vanno progressi- vamente diventando più riflessive,
sino a ridursi ad essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana.
L'uomo moderno cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte
e trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se
l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede
e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta
creato. Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia
il concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di
cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un
tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee
estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica
ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa
creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è
più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che
scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della
natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande
immaginazione, giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva,
avvivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della religione
e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a
sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte
nella filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di
un concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero, al quale le
intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente adeguarsi;
solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio
di storia del genere umano tracciato per convalidare queste
argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia
conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la
storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli,
sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra
alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo :
che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-
zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua
poesia. M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la
contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la
riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre
due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti
filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva,
pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver proceduto
isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un
pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà
come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia
del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale
unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata,
e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della
coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una tal
nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana. La sua filosofia sarebbe forse un atto di
fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema
animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani
è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento
fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è
corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è
mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è
sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana,
spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non
è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è
l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e
liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma
bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura
spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così l’uomo naturale
diventa in principio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La
civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e
della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica
ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si
corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più
cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ;
le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le
cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche
per proprio conto, generano per diretta azione le malattie nervose e le
psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una
corruzione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet- tuale,
che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto questo avviene con
una certa legge. Tre grandi civiltà si succedono: la prima naturale, la
seconda umana, la terza divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e
la sua par- ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue
proprie e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel
suo primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi,
altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta seco le
cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e morbi chimici: cause
cosmiche, naturali, che danno origine a morbi naturali, sopratutto
vegetativi, prima ai morbi nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi.
La civiltà umana — il paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ;
ma la sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio-
nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi
prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina — la cristiana — nel suo
primo fiore è del pari senza morbi ; essa è la reazione della medicatrice
natura umana, è la gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio
radicale di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il
segno della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e
tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che
danno origine alle malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione
cristiana riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali
rinnova le antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il
secondo cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce
sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e
secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con
tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli :
apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non
esistono veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono
complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più
particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed
accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si
riempie e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da
M. è veramente originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie
forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della
natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria
darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.
L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo
limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa. Dalla
sua stessa concezione di [Delle prime linee della patologia
storica, Prelezione, Bologna, Monti. Della sua patologia storica l'A.
scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa,
buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa
bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola,
sarebbe capace di reclamare la priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non
tracciò che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi
l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle
stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia. Per gli argomenti
trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo
d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e
dall'influenza dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato,
egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una
filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia,
chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia,
terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con
sistemi filosofici e con periodi storici. Sono analisi di animali e di
vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di
organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere
spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione
si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M.
afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si
ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria
creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma
poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un
nuovo corpo semplice, I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia,
Darwin e la scienza moderna, ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad
ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè
il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque
fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un
momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e
senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee
naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della
natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani
- Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ] forma
completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente
l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea
naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano
a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione
ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è produzione di
molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede
l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la
succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la
natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia
assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma
rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la
forma, ma la sua vittoria non è mai completa. L'equilibrio fra la forma e
il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita
passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione
di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a
ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione
tutti i tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.
Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi
prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve
succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura, nella
vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi
inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non
hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura
interiorità, la esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa.
Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di
interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa
per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una moltiplicazione
interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che
si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è
tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è
tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel
vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo
elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale
deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e
libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le
forme superiori [sono la chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr.
Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed
interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte,
indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui
appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se
non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e
più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in
cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo
empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti- ficiali,
ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar- winiano, di una
inestricabile confusione. Come Giorgio Hegel aveva combattuto e
denigrato il Newton, così M. lancia
in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i
darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio
dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli
pretende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute l'ima
dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità organiche nate a
caso, e perchè utili ritenute nella selezione naturale, e trasmesse
dall'eredità, senza che mai in una forma nulla preesistesse dell'altra
che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto
la modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice
che la proposizione in cui si compendia la scienza dell'astronomia : « I
sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo umano
primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per
cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel
cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva
l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M. circa
la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus creami, Darwin e la scienza
moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia
storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli non
sa comprendere come si possa affermare che tale modifi- cazione è
casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi, introdotta dal caso.
Ammette che in ciascuna delle teorie di Mosè, Zaratustra, Firdusi,
Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di
vero. La verità più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e
materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è
quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella selettiva del
Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno di vero lo schema
comune, ed è questo: gli animali formano tutti una sola famiglia naturale
; il principio che unisce e lega le forme è l'eredità; il principio della
divergenza delle forme è la variabilità. Se non che questi tre punti
debbono essere integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in
fondo uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la
variabilità deve essere determinata, perchè nella natura e nella
scienza la potenza sta nella determinazione. Secondo M. , è
vero che l'individuo varia senza legge e senza ragione, fuorché quella di
essere individuo accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto
fra la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà
dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore
dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è
un'idea, e per creare un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può
creare l'essere, l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia
l'accidente non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non
potrebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la
scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza
antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie
ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso
della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente;
gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono
che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo
spirito umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto
ottico ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere
diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli
elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad
un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è
pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la
verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è
il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di
Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta
una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una nell'altra;
tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale,
ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le
condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva
e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di
forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi
uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-
razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali,
quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono
naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e
semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali,
accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e
l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento
puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della forma,
ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo,
antimorfo, teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo
nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano.
La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è
tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della
forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima,
fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale
ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e
sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo
spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in
quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è
l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è
interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa
corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e
puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La
natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio
sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo
chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al
labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i
tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico
animale in via di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol
tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa
che la descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre
ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,
è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo,
cominciando da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni.
Invece i sistematici ordinari, tutti intenti alla diagnosi delle forme,
poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri
qualitativi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più
materiali, che non significano nulla appunto perchè non passano in altre
forme. Tipo è forma con significato. Questi sistematici hanno una
logica difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è
rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica,
arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi,
isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le
transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove
manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che
pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale
che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la
selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- [I tipi
animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge
che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo
che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei
sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo
(apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà
piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo.
Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per
uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che
quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime
copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della
natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una
funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale,
«principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non
hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione
dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede
crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno
inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-
sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che
nel vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il
centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il
corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente
sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi
anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi
elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo
tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo,
punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra
corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel
teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra
loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio;
l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il
verte- brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi
di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato
ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un
elemento secondario. Finché M. sta fedele al suo programma di
dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali [I
tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede,
egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli
esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della filosofìa,
della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni alla
patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di
tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-
loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus
creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di
dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi
affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui
l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza
di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con
lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi
la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da
lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per
indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.] vero
lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in
sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma
come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della
natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ?
Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un
muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è
la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia
non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella
Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia,
Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un
nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice
tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire
— insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della
forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo
materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la
materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel
suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non
pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui
tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di
sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa della
forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità e
materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un
imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo
sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la
trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in
un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto
lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria
reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e
con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato
il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in
forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro
fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si
trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera
materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica,
è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla
forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una
nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una
realità non sensi- bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà,
sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla
esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto
pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno
spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che
pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il
pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre
semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le
tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le
dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo
spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,
ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero
umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe
e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il
tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la
materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui
stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi
egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno
spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi,
per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un
moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà
tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e
all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo
limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco
un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi
distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della
natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria
identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale,
poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose
opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una
perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità
delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente
corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più
facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori,
la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la
scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è
quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo,
uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo
sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una
nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a
tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il
cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la
forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma
egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che
un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano,
che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi
nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di
natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è
l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto
individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come
allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è
preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti »,
- Sappiamo già che M. lavora spesso frammentariamente. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è
un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti
punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio
intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale,
come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello
spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E
perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è
una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della
natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e
universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti
di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e
in certi ii. È facile scorgere che M. non è felice quando
vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.
Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso
un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la
natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero,
a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da
forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star
tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto.
Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed
identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che
non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità,
come la pre- sente egli stesso: e certo di quella verità da lui
pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una
pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA
FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento
di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se
sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica
una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla
conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la
sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma
il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua
integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore
ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo
con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della
forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La
sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere
oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né
dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è
difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe
alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,
vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare
una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una
soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva
come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del
pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli
cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-
teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si
ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o
riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e
materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M.
M. non è d'accordo col Berkeley, che «
sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione
speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, «
l'idea di con- trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato
debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale
delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita
della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi
della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo
e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto
si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della
necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza
afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della
creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è
razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve
rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non
esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è
la né col Fichte, nel cui sistema la natura c'è soltanto quanto basta per
far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr.
Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia, Dopo la laurea, negazione della necessità
razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione
della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della
costruzione speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza
sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella
avrebbe significato il riconoscimento della contraddittorietà della sua
impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire
nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di saldatura
tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli
dice che quando non c'era la natura e quindi l'accidente » era
impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve
prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza
in- flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo e
dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia
semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda- tura, in quanto dice che
l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente
compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo vivente è già
idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo
real- mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e
d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e lo sviluppo della
natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e
concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea,
ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio e
la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e
meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed
accidentale. Forza e materia, /
mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.
Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo
ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme preesistano in
forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la
creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di
quegli schemi indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione
naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura è
accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui
appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo
approfondire il concetto del- l'accidente che M. afferma. Legato all'idea,
intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo
a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente dei
darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi esso medesimo una
necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non
potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto M.,
è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta
particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di
necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività
creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci
appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche altrove egli
identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione
con la universalità e necessità rico- nosciuta sopra all'accidente; ma
distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e
l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. M.
difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene Deus
creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed
accidentale che non era compreso nel processo della natura interna, non
era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo
superficialmente e quantita- tivamente, le forme, e favorire la
trasformazione, e provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di
germi latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche
cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,
esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. — nella forma latente
un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un
germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la
disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato
e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente
esterno feconda 1' accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una
realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono,
determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente può render conto
delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione.
Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed una esterna,
accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed
essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente
necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca,
assoluta della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive
esteriormente le forme, e fa esistere gli individui; l'altro, l'accidente
accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle
cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim.
Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit, Deus creavit, Le
opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle quali una è la
darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà,
delle specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino
ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una
lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo
», perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati
a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che abbiam detto
potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero
del M., è veramente risolutiva? Questo approfondimento del concetto
di accidente, questa distinzione delle due specie di esso, interna o
necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la
contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della
natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione
e molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte
afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non
passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e
l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché
l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto
per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi
nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto
consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi
dal quale si fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a
loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della
natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una
dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste
a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non
saper negare che vi sia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi
scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M.
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura
interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano
o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio
dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una
forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo
idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà
il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure
derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno ai rapporti
fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione
della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi
con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,
perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima
che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il
dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose
eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il
criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica,
nella cura delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere
fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della
fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della
medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-
siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l'
accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e
l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che
è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed
egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate
nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte
più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già
scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s
theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his
generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” -- Camillo
De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature,
citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte
il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli:
“Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Melandri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone –
Reale – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “One of the
ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice:
“Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part
of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics,
along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the
Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts:
proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the
Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes
Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la
comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He has studied Buehler; I like that!”
Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel
in Germania. Insegna poi a Lecce, Trieste e Bologna. Parallelamente
all'attività universitaria, collabora con Mulino e alla rivista omonima, per le
quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele, pubblicando
con essa alcuni dei suoi saggi. I suoi saggi vertono sulla fenomenologia di
Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue
curatele, anche presso altre case editrici -- Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte
alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc. -- ci sono studi che vanno dalla scienza
politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc.
Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz, in seguito affiliato col
nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche
collaborato attivamente alle attività del Centro di studi per la filosofia
mitteleuropea con sede a Trento; partecipando alla realizzazione della rivista Topoi. Da
vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna, poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi, spicca per centralità di
pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un capolavoro della
filosofia. Il filo conduttore di tutta
la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre
la logica tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare,
legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione, l’ANALOGIA si
fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della
contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora, queste due forme
di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto
fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una diversa direzione
costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo
M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare
l'empirismo radicale connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della
soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso
si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo
istanze aristoteliche e husserliane, M. assume una concezione dell'essere
fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si
presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo
analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo
d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli,
filosofo a Bologna. A lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta
voce dando l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di
pensare insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un
pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di
pensiero condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa
della buona riuscita di tale esperienza Altri saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte
fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano, “I paradossi dell'infinito”,
Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,”
“Note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica
– co-predicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili,
la disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile
-- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica” Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli,
Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia
e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in
«Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon.
Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio
logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben,
appendice di Besoli e Brigati, Limongi. Nota
in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in
Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino, L'analogia, la proporzione, la simmetria,
Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet,
Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e
la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali,
Bologna: Pitagora; L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come
introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura
e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e
scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione
propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi
di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary
unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La
novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa
Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il
simbolico. Lezioni di
filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the
generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione,
simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet,
Macerata, postfazione di Guidetti; Sul concetto di descrizione nella psicologia
fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A
good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in
"erri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento, Mulino,
Bologna, Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia, o della principale
equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in Discipline filosofiche,
Il problema della comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte
fenomenologico, Discipline filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento
della filosofia esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni
sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della
conoscenza e impegno interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso
intellettuale, in Studi su M., Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia,
in M., La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata:
Quodlibet, Agamben, Al di là dei generi letterari, in M., I generi letterari e
la loro origine, Macerata: Quodlibet,
Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di
Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso
fenomenologico", in La
fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli
e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti,
"Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet sinistra
in rete.info cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto
soggetto-oggetto, Philosophy Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti,
Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma
trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La
ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini,
"Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di M. edite da Quodlibet, edizione completa.
Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Enzo Melandri. Melandri.
Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice –
analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical
unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill,
jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach,
newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice,
analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Melanipide:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Bari. The author of a
number of tragedies. He appears to have practised a relatively ascetic version
of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone argues: Melanipide spoke Greek, not Latin;
therefore, he is not an Italian. At Oxford, we are a bit more inclusive:
Gellner spoke French, he is a Jewish philosopher who teaches at some London
red-brick!” -- Melanipide
Grice e Melchiorre: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore – amante ed amato – il
convito di Turolla – filosofia abruzzese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I like
Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has
dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic
aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione
simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the
concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to
this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his
critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from
a body-theoretical perspective.” Dopo essere
stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà di
Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo
inizia la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza, Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano;
Il sapere storico, Brescia; La coscienza utopica, Milano; L'immaginazione
simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano, Ideologia, utopia,
religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona, Genova, “Studi su
Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura
di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano, Creazione,
creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina, Al di
là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di
metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro
Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai Educational Enciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice:
“Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian
philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s
beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla
published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre
typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover
of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi,
meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il
riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e
l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Melesia: la
ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilcata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone complained
that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia.
Grice e Melisso: la
ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical
and change is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Luigi Speranza, “Grice e Melisso”, The Swimming-Pool
Library. Melisso
Grice e Melli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- AVRELIO – filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo
di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice:
“I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli
puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is
rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as
furrin; Locke ain’t!”. Altri saggi: La
filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco, Firenze,Commemorazione
di Villari, Firenze, La filosofia greca
da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i
filosofi romani e i filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in
senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore
Marco POMPONIO (si veda) di provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi
della filosofia greca sono sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche
Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata
della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come CATONE (si veda)
s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo esercitare
sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione
delle idee filosofiche grechi e già cominciata, specialmente dopo la conquista
delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --,
Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone –
e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini,
sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani
senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza,
filosofi. Un motto si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo.
Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam.
Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il
bisogno di far istruir i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di
sapienza. Alcuni grandi personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo
amico LELIO (si veda) divieno protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti
della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano
un'utile disciplina nella dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in
romano. La riforme di GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di
questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo
‘amore di sapienza’ e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura
necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto,
agl’uomini di stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette.
Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono
nominati un AMAFINO (si veda) e un RABIRIO
(si veda) come espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è
pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis
quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne
sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO
(si veda), che segue Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore
(si veda), l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo VARRONE (si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e
in psicologia e in teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte
queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per
noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE
(si veda). I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non fu¬ rono
amichevoli. Abbiamo già accennato al senatocon- sulto del 161, nel quale,
essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori ch’erano in Italia, si
dava incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere uti Romae ne essent. Pare
che i primi semi della filosofia fossero sparsi dagli esuli achei, tra i quali
era anche Polibio, venuti * dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni
dopo, nel 156 ci fu l’ambasciata della quale faceva parte Oar- neade, e anche questa
volta vedemmo come il vècchio Catone s’impensierisse dell’efficacia rovinosa
che quegli abili parlatori potevano esercitare sull’educazione nazio¬ nale. Ma
ebbero, come sappiamo, un grande successo ; e l’infiltrazione delle idee greche
era già cominciata con la letteratura, specialmente dopo la conquista delle
città della Mago a Grecia. Nelle tragedie tradotte o imitate, e Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ■ LA FILOSOFIA PRIMA DI
CICERONE 201 anche nelle commedie, i Romani sentivano parlare sul teatro di
filosofìa e di filosofi. (Ricordo il motto che si trova in un frammento di
Ennio, nel Neottolemo di Euri¬ pide: Philosophari mihi necesse est, sed
degustan- dum de ea, non ingurgitandum in eam). Ool progredire della cultura,
con lo svilupparsi dell’elo¬ quenza, nasce il bisogno d’istruirsi presso i
filosofi. Alcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano, il suo amico Lelio,
diventano protettori dei filosofi, li ammettono nella loro familiarità. I
giureconsulti trovano un’utile disci¬ plina nella dialettica stoica; le riforme
dei Gracchi sono ispirate da idee filosofiche: quello che i Romani domanda¬
vano alla filosofìa era l’orientazione nelle quistioni pratiche e una cultura
necessaria o utile agli oratori, ai giurecon¬ sulti, agli uomini di Stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere
trattata in latino dev’essere stata la dottrina di Epicuro, perchè sono
nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori della filosofìa epicurea, ma
pare con poca arte; e più tardi, ai tempi di Cicerone, è pure epicureo un certo
Catius, levis quìdem, sed non ìniueundus tamen auctor , secondo Quintiliano. Ma
non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell’ Epicureismo presso i Ro¬ mani
è Lucrezio. Altri scrittori di filosofìa furono M. Bruto, l’uccisore di Cesare,
che scrisse della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con
Bruto aveva sen¬ tito Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia se¬
guiva, pare, più gli Stoici che l’Accademia. Ma tutte queste sono semplici
notizie. Il gran nome che oscura tutti gli altri ed è per noi il vero
rappresentante e inter¬ prete della filosofia presso i Romani è M. Tullio
Cicerone. 202 LA FILOSOFIA A ROMA L’uomo politico e l’oratore non ci appartengono,
ma sui filosofo dobbiamo fermarci un momento. 2. - Cicerone nacque nel 106, fu
ucciso dai sicari di An¬ tonio nel 43 a. C. Studiò in Atene e a Rodi, udì
maestri delle varie scuole : Fedro epicureo, Filone di Larissa acca¬ demico: lo
stoico Liodoto divenne suo ospite per più anni, e diventato cieco morì in casa
sua: udì poi ad Atene Antioco di Ascalona, l’epicureo Zenone, e a Rodi lo
stoico Posdonio. Cli uffici pubblici e la vita tempestosa di Roma in quegli
ultimi anni della Repubblica lo avevano distolto dagli studi filosofici,
ch’egli del resto aveva considerato sempre come una preparazione necessaria
all’oratore e poi come una nobile distrazione dello spirito; ma le vi¬ cende
della vita pubblica, l’ozio a cui è condannato dopo la battaglia di Farsaglia,
e sventure domestiche, tra cui specialmente la morte della figlia Tullia
amatissima, lo riconducono alla filosofia, nella quale egli cerca un’occu¬
pazione e una consolazione. Bisogna aggiungere a questi motivi quella che chia¬
mano la vanità letteraria, e ch’è la passione dello scrittore di razza, di uno
scrittore di prim’ordine e che gode di una grandissima autorità presso i suoi
concittadini; egli vuol far parlare in latino la filosofia, toglierne il
monopolio ai Greci, darle il diritto di cittadinanza in Roma rivaleg¬ giando
con loro, e si rivolge ai giovani ut huius quo¬ que generis laudem iam
languenti Graeciae eri- piant; ed egli si dà come l’iniziatore di quest’opera,
di conquistare alla letteratura latina questa vastissima pro¬ vincia del sapere.
Biblioteca Comunale “Giuseppe M o I li” - San Pietro Vernotico (BrOPERE
FILOSOFICHE DICICERONE Già prima, (lai 54 al 52, egli aveva scrìtto i suoi
trattati politici De repuìflicci e De legibus, e prima ancora, nel De ora¬
tore, era proclamata con molta energia 1’unione della filo- sofia con
l’eloquenza : Cicerone in un luogo del De nat. deor. si vanta di aver sempre
filosofato: cum minime videbamur, tum maxime philosophabamur ; ma i suoi libri
propriamente d’argomento filosofico li ha scritti negli ultimi anni della sua
vita, dal 45 al 43. E quali siano questi scrìtti filosofici ce lo dice egli
stesso in un passo del De divinalione, IX, 1. Egli comincia con un trattato dal
titolo Consolatio, com¬ posto dopo la battaglia di Earsaglia e la morte della
figlia, indicando nel titolo i servizi ch’egli si aspetta dalla filo¬ sofìa:
era fatto a imitazione di un libro simile di Orantore accademico raspi,
raévOoo;, eh’ è detto altrove un libro d’oro, da imparare a memoria. Poi scrive
VHortensìus, introduzione ed esortazione allo studio della filosofia,
difendendola dai pregiudizi romani. Ortensio, ch’era un grande oratore suo
contemporaneo, vi combatteva lo studio della filosofìa, Cicerone la difendeva
calorosamente. Il libro era molto ammirato. S. Agostino lo ha conosciuto, e la
lettura di esso contribuì alla sua conversione. Questi due libri sono perduti.
Le opere che ci riman¬ gono sono : Academica > in due libri, importantissimi
per le contro¬ versie dibattute fra Stoici e Accademici intorno al pro¬ blema della
conoscenza e specialmente per le opinioni degli Accademici più recenti fino ad
Antioco. Ce n’ora una prima redazione in due libri; poi l’opera fu rifatta, in
quattro libri, e dedicata a Varrone che vi entrava Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) vr ■ ■' -=i^ .'"’-N, •204 LA
FILOSOFIA A ROMA come interlocutore. Il caso ha voluto che noi possediamo il 1°
libro della seconda edizione, e il 2° libro, il così detto Lncullus, della
prima (che si sogliono citare Ac. post. I, e Ac. pr. II). È deplorevole che non
ci sia, e sarebbe deside¬ ratissima, un’edizione italiana commentata di questi
libri. De Finibus honorum et malorum, in cinque libri. Vi sono esposte e
criticate le teorie delle diverse scuole greche sul problema fondamentale dell’Etica,
il sommo bene o il fine delle azioni. Nel 1° libro Torquato espone la dottrina
di Epicuro, nel 2° Cicerone ne fa la critica; nel 3° è in¬ trodotto Catone,
quello di Utica, a esporre la filosofìa stoica, nel 4° se ne fa la critica ; il
5° libro espone la teoria accademica e peripatetica. È una delle opere più
istruttive e forse meglio composte di Cicerone. Le Tttsculanae disputationes,
in cinque libri, dalla villa ciceroniana di Tusculo, in cui si suppone tenuto
il dialogo, pure d’argomento morale: il 1° tratta de eontemnenda morte, il 2°
de tolerando dolore, il 3° de aegritudine lenienda, il 4° de reliquis animi
perturbationibus, il 5°, continua Cicerone, eum locum complexus est qui totam
phil osophiam maxime inlustrat, docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa
esse contentam. Seguono i tre libri De natura deorum, importanti per le teorie
metafisiche e teologiche degli Epicurei e degli Stoici. Un epicureo, Velloio,
espone la teoria di Epicuro; Lucilio Balbo stoico la teologia degli Stoici;
Aurelio Cotta acca¬ demico combatte gli uni e gli altri dal punto di vista
delle dottrine probabiliste della nuova Accademia. Si connettono col De natura
deorum i libri De divina- tione, nel 1° dei quali il fratello di Cicerone,
Quinto, di¬ fende dal punto di vista stoico la verità della divinazione,
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) t* ^
OPERE FILOSOFICHE DI CICERONE ' 205 e nel 2° F augure Marco Tullio Cicerone la
combatte con una gragnuola di argomenti vivacissimi ; e così pure si connette
agli stessi argomenti il libro De fato, che ci è pervenuto disgraziatamente con
molte lacune, nel quale sono esposte molto sottilmente le quistioni intorno al
de¬ stino e il modo confesso possa conciliarsi con la libertà umana: anche questa
una delle controversie dibattute fra Stoici e Accademici. Ci sono poi degli
scritti minori, Oato maior de senectute, Laelius de amicitia; anche i Paradoxa,
scritti prima, nei quali Cicerone si diverte a sostenere in linguaggio ora¬
torio, come un avvocato, sei dei piu famosi paradossi stoici; e infine il
grande trattato di morale pratica De officìis, in tre libri. La filosofia
sociale e la teoria del diritto erano state trattate prima nei libri De
republiea e in quelli De Legibus. Questi sono gli scritti filosofici di
Cicerone, dei quali egli stesso dice in ima lettera ad Attico: àT:óypacpa sunt;
minore labore fiunt; verba tantum afferò, quibus abundo: sono riproduzioni,
derivano da fonti greche: le quali parole sono state prese da alcuni molto alla
lettera, senza tener conto di quello che Cicerone ci ha messo di suo, oltre le
parole latine, e senza badare a quest 7 altre parole sue (De fin. I, fi): non
interpretum fungimnr munere, sed tuemur ea quae dieta sunt ab iis quos
probamus, eisque nostrum iudicium et no¬ strum scribendi ordinem adiungimus. È
noto il giudizio del Mommsen e di altri-: giornalista, dilettante, compilatore
frettoloso e confusionario. Un altro tedesco, lo Ziegler, ha detto : il solo
suo merito è di aver trovato parole e frasi latine per rivestirne i pensieri
greci, Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 206 LA
FILOSOFIA A ROMA un merito che può essere stato utile più che ai suoi con¬
temporanei, agli scolastici del medio evo e ai latinisti moderni. Questi
giudizi non sono giusti, non corrispondono alla realtà. Cicerone non è un
filosofo di professione: è un spirito colto, agile, curioso, che ha il gusto
delle idee generali, e considera la filosofìa come una parte essenziale della
cultura umana, importante soprattutto per la vita pratica. L’opera sua si può
considerare o come contributo alla storia della filosofia anteriore, o per le
dottrine e i risultati a cui egli è giunto. Come storico, Cicerone ha
conosciuto direttamente e sin da giovane le dottrine più recenti: lo stoicismo,
l’epicureismo, i nuovi Accademici fino a Filone ed Antioco : oltre a questi, ha
letto certamente scritti di Aristotile (probabilmente quelli che si dissero
essoterici, di carattere popolare) e di Teofrasto, conosce anche alcuni
dialoghi di Platone, si è provato a tradurre il Timeo, co¬ nosce Senofonte, gli
è familiare la figura di Socrate. Ora è un fatto che per tutto il periodo
postaristotelico, Cicerone è una delle fonti secondarie più importanti per le
preziose informazioni ch’egli ci dà sulle dottrine e le controversie di quel
tempo : egli ha letto libri che noi non conosciamo più; e non sono nemmeno
senza valore le indicazioni e notizie ch’egli ci dà, perchè le trova nei suoi
libri, sulla filosofia anteriore ad Aristotile, anche sui presocratici.
Cosicché, coi soli libri di Cicerone si può ricostruire, ed è stato fatto più
volte, tutta una storia della filosofia antica fino a lui. Si dirà: non è una
storia attendibile, non è una storia del tutto esatta: ha bisogno di essere
Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE
STORICO DELLA FILOSOFIA ANTERIORE controllata, commentata e corretta. Ma si può
doman¬ dare: qual’è lo scrittore o doxografo antico di cui non si debba dire lo
stesso, a cominciare da Aristotile e da Teofrasto, che pure erano filosofi di
protessione, e scri¬ vendo di storia della filosofia ci hanno dato notizie e
in¬ terpretazioni del pensiero altrui molte volte discutibili. Sarà sempre uno
studio interessante il cercare le fonti di cui può essersi servito Cicerone e
come se n’ è ser¬ vito: si potrà trovare che in qualche punto s’inganna, che
può aver lavorato in fretta, che parafrasando o ac¬ corciando gli è accaduto di
fraintendere in qualche punto la dottrina che espone: tutte cose su cui si può
discu¬ tere caso per caso ; ma dal dire questo al dire sommaria¬ mente che non
capiva niente di filosofia e non sapeva leggere i libri che aveva davanti, c’è
una grande distanza. Come ha detto benissimo il Giussani, è diventata una
specie di moda o di mania quella di parecchi critici di scoprire a ogni momento
prove dell’ignoranza o della irriflessione di Cicerone. Piò volte invece accade
che una più attenta considerazione può provare che chi non ha capito è il
critico. Ma questa non è nemmeno la cosa più importante. Anche ammessi tutti
gli errori parziali o di fatto che si attribuiscono a Cicerone, quello che non
bisogna dimen¬ ticare è che le idee e le dottrine della filosofia antica
andavano ripensate per poter essere dette in latino, e sono state ripensate e
rielaborate da un cervello non sco¬ lastico, coltissimo, aperto, ch’era anche
un grande scrit¬ tore, un maestro della parola, e si rivolgeva a un gran
pubblico, non fatto per le disquisizioni sottili o le finezze di scuola. Questo
ripensamento e questa trascrizione delle Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” -
San Pietro Vernotico (Br) LA FILOSOFIA A ROMA idee greche in un altro
linguaggio non è il primo venuto che poteva farla. Non solo ai suoi
concittadini e contemporanei, ma du¬ rante il Medio Evo, per quanto poteva
essere conosciuto, e più specialmente dalla Rinascenza in poi, le opere di
Cice¬ rone hanno reso all’umanità tutta quanta, alla cultura umana, un servizio
immenso. « Le esposizioni delle dottrine antiche che noi possiamo ora trovare
superficiali o anche in qualche punto inesatte, erano fatte con una grande
chiarezza e in una forma at¬ traente. Per uomini che non potevano leggere, e
che anche potendo non avrebbero capito Platone e Aristotile, che pure tutti
citavano, Cicerone fu una guida preziosa. Lo stesso carattere eclettico della
sua opera era un pregio di più : vi si trovava quello che gli antichi avevano
pen¬ sato di più nobile, di più grande e di più accessibile. Si di¬ rebbe che
Cicerone avesse preparato per gli uomini a cui la barbarie aveva impedito per
più secoli di pensare, un nutrimento intellettuale eh’essi potessero
assimilarsi, a dir così il succo della filosofìa antica; che li preparasse a
com¬ prendere i filosofi greci quando fossero stati loro accessi¬ bili, e li
preparasse infine a pensare da sè » ] ). Questo servizio, come interprete vivo,
facile, eloquente, del pensiero antico, egli ha continuato a renderlo anche
dopo il Rinascimento, continua a renderlo tutti i giorni, in tutte le scuole,
dovunque s’impara a leggere e a pen¬ sare leggendo le sue opere. - Rimane a
sapere qual’è il valore di Cicerone come filosofo, che cosa ha pensato lui, *)
Queste parole sono del Picavet, nell’ Introduzione alla sua edizione, con note,
del II libro De Natura deorum (Paris, Alcan). Biblioteca .Comunale “Giuseppe
Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFO ( qual’è e se c’è un
contributo suo personale alla storia delle idee. 3. - Cicerone non è e non
pretende di essere un filo¬ sofo originale. Sa di essere scolaro dei Greci e si
trova davanti a dottrine discordanti, quando già nelle scuole greche stesse è
cominciato quel processo di ravvicina¬ mento e di fusione che le porta a
diventare eclettiche, ciascuna a modo suo. Qual’è l’atteggiamento ch’egli
prende? Cicerone si professa accademico, dice di aderire alla teoria della
conoscenza della nuova Accademia. Non già ch’egli creda suo compito il trattare
ex professo di questi problemi, riflettendo per conto suo sulle condi¬ zioni e
i limiti della conoscenza umana, come ha fatto Cameade; no, egli non ha di
queste ambizioni; ma tro¬ vandosi davanti al contrasto delle sètte e delle
opinioni su quistioni spesso sottili, su problemi difficili a decidere,
l’attitudine più savia gli pare quella del dubbio pru¬ dente, raccomandato,
com’egli crede coi suoi maestri, da Socrate e da Platone: egli non è scettico
ma probabilista: è la dottrina o meglio la disposizione di spirito ch’egli
chiama, meno arrogante, la più aliena dalle arroganze dogmatiche; ed è anche
conforme alla sua abitudine di sostenere il prò e il contro di ciascuna causa,
richiede agilità e versatilità di spirito, e si presta agli sviluppi ora¬ tori,
mentre nello stesso tempo lo tiene in guardia dai paradossi stravaganti, e lo
mantiene in contatto con le opinioni popolari. E infine diciamo pure eh’è
un’attitu¬ dine conforme alla sua natura ondeggiante e diversa, al suo
carattere spesso indeciso anche nella vita pratica. Biblioteca Comunale “
Giuseppe Mei li”. - San Pietro Vernotico (Br LA FILOSOFIA A ROMA Ma intanto
quest’adesione al probabilismo accademico gli ha giovato a mantenere lo spirito
libero, a non farsi seguace di Una setta, a non giurare nelle parole di un
maestro: Vipse dixit dei Pitagorici non gli piace: nos in diem vivimus : vuol
conservare l’indipendenza del suo spi- rrito: la disciplina accademica non solo
gli pare la meno arrogante, ma la più elegante e la più coerente, non nel senso
eh’essa importi un sistema chiuso di dottrine che non si contradicono, ma nel
senso eh’essa suppone una disposizione di spirito che, dando la sua adesione a
ciò eh’è più verisimile, rimane sempre conseguente con se stessa: il che gli ha
permesso di prendere quello che gli pareva buono in ciascun sistema, di libare
tutte le dot¬ trine, di essere insomma l’interprete e il volgarizzatore dei
grandi pensieri di tutte le scuole antiche. Questa disposizione di spirito,
piuttosto che scettica, si potrebbe dire liberalo e non settaria, senza partito
preso, e Cicerone la descrive con parole che meritano di essere ritenute : (De
nat. deor. J, 12): « Noi non diciamo che non ci sia niente di vero, ma al vero
è mescolato il falso, bisogna essere canti nel giudicare e nell’affermare :
diciamo che ci sono molte cose probabili, le quali se pure non dànno scienza
certa, generano una convinzione che basta a gui¬ dare l’uomo savio ». E in un
luogo molto bello del libro II dei primi Accar- demici, al cap. 3° è detto: «
Fra noi e coloro che credono di sapere la verità delle cose passa questo
divario, ch’essi tengono per verissime le loro opinioni, mentre noi ab¬ biamo
sì molte cose probabili da seguire, ma non ci atten¬ tiamo di spacciarle per
certe. Così rimanendo assai più Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFO liberi e sciolti nel giudicare {inteff
tu nobis est iiidicandi potestas ), nessuna necessità ci costringe a difendere
delle dottrine prescritte e a dir così comandate ; mentre che gli altri si
trovano incatenati ad alcune dottrine prima che sappiano quale sia la migliore:
l e trascinati sin da giovinetti, nell’età più debole, da un amico autorevole*
o . presi dal discorso di un maestro eloquente, giudicano di cose che non
conoscono, e quasi fossero sbalzati dalla tempesta, s’attaccano come ad uno
scoglio al primo si¬ stema di cui hanno sentito parlare : ad quameumque sant
disciplinavi quasi tempestate delati, ad eam y tanquam ad saxum, adhaerescunt
». O come dice altrove (De nat. deor. I, 5): obesi plerumque iis qui discere
volani, auctoritas eorum, qui se decere profitentur. Quest’attitudine di
riserva prudente egli mantiene spe¬ cialmente nelle quistioni di fìsica, che
del resto non sono di sua competenza, e sulle quali le opinioni sono tante e
così discordanti. Latent ista omnia. Noi non conosciamo abbastanza nè il nostro
corpo nè che cosa è l’anima, se è fuoco, aria o sangue, se è mortale o eterna:
nam in utramque partem multa dicuntur. Non possiamo penetrare nè nel cielo nè
dentro la terra. Tuttavia non crede che lo studio della fìsica debba essere
messo da parte. L’esame e la.considerazione della natura sono una specie di
nutri¬ mento (pabulum) per lo spirito. Diventiamo più grandi, ci solleviamo al
di sopra di noi stessi, sdegniamo le cose umane tenendo l’occhio e la mente
rivolti alle cose di¬ vine e celesti. La ricerca, anche nelle cose più oscure,
ha una grande attrattiva e procura una voluttà umanissima. Ma da buon romano,
nonostante quest’elevazione dello spirito, egli ha poco gusto per la
speculazione pura: ap~ Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br)LA FILOSOFIA A ROMA prezza di più la scienza eli* è utile alla
vita. E quanto più si avvicina allo studio dell’ uomo e ai problemi pratici
della vita morale e sociale, egli sente il bisogno di affer¬ mazioni più
decise. E tra il contrasto delle opinioni una sorgente o criterio di verità, o
vogliamo dire di probabilità massima, gli si apre, ed è la coscienza naturale,
quello che la coscienza comune e non falsificata di tutti gli uomini rivela a
cia¬ scuno, e che trova la sua conferma nel comensus gentium. Egli ricorda il
‘conosci te stesso’ dell’oracolo e lo inter¬ preta in questo senso: tutta
quanta la filosofìa è un com¬ mento, uno sviluppo della conoscenza di se
stessi, di quello che la coscienza ci rivela. Gli Stoici e in un certo senso
anche gli Epicurei avevano parlato di nozioni comuni, che si formano
naturalmente in ogni coscienza. E Filone di Larissa deve avergli insegnato che
ci sono delle nozioni evidenti, perspicue, impresse dalla natura nella mente e
nell’animo di ciascun uomo. Egli trova che fra gli uomini nessuna gente è così
fiera, così selvaggia che non abbia il concetto della divinità, anche se non
sappia quale ne è la natura. Egli non ignora che anche qui le opinioni sono
discordi, e conosce pure le difficoltà del problema; e se gli domandate, quid
aut quale sit Deus, egli vi risponderà come Simonide, il quale interrogato su
questa quistione dal tiranno Jerone, do¬ mandò un giorno per rifletterci su, e
poi due e poi quattro, e finì col rispondere: quanto più ci penso, tanto mihi
res videtur obscurior. Ma ciò nonostante non è una credenza arbitraria: Omni
autem in re consensio omnium gentium lex na- turae putanda est. Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFO E oltre
il consenso delle genti, è anche molto plausibile, il più plausibile fra tutti,
1’argomento delle cause finali,
ricavato dall’ordine e dalla bellezza del
mondo, ch’egli espone con molta eloquenza, quantunque non trovi sem¬ pre
concludenti o del tutto convincenti le argomenta¬ zioni degli Stoici per
provare la provvidenza e l’ottimismo, e che sono fatte più per rendere dubbia
la cosa che per chiarirla. Ma insomma egli crede agli Dei, anzi a una divinità
unica: è un’idea alla quale la mente degli uomini è naturalmente condotta. E lo
stesso si può dire dell’anima umana, che dev’es¬ sere una natura singolare,
diversa dagli altri elementi ter¬ restri che ci’sono più noti. i^Toi non
possiamo vantarci di conoscere la natura dell’anima; ma gli elementi dei corpi
che noi conosciamo, l’acqua, l’aria o il fuoco non potreb¬ bero spiegare la
conoscenza, la memoria, la previsione dell’avvenire, le altre funzioni
psichiche: e dalle opere di Cicerone si può ricavare un piccolo trattato di
psico¬ logia, che non sarà quello degli scienziati moderni, ma che contiene
delle descrizioni eccellenti, e sempre vere, dei principali fatti della coscienza,
compresi gli affetti e le passioni umane, ricavate dall’osservazione interiore
e dall’ esperienza della vita, seguendo anche in questo na¬ turalmente i suoi
maestri, Platone e Panezio e Posidonio. Egli difende la libertà umana contro il
fato degli Stoici, e crede anche nell’immortalità come una cosa infinita¬ mente
probabile. Quod si in hoc erro, libenter erro. E nel Sogno di Scipione, dove
sono descritte le sfere ce¬ lesti e la loro armonia, e la sede dei beati, è
affermata con gli argomenti platonici l’immortalità delle anime umane.
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 214 LA
FILOSOFIA A ROMA Soprattutto quello che la coscienza ci rivela è la legge
morale, eh’ è una legge della ragione, la quale ragione è il privilegio
dell’uomo sui bruti, l’attributo divino nel- l’uomo, e il legame che lo
congiunge ai suoi simili. Così Cicerone crede di avere scoperto nella coscienza
stessa del genere umano i fondamenti di cui ha bisogno per la sua dottrina
morale. Opinionum enim commenta delet dies, naturae iudìcia confirmat. E
ricordandosi dei dubbi accademici, egli scrive, avendo appunto in mente i pro¬
blemi morali, quelle parole così caratteristiche: perturba- tricem miteni harum
omniam rerum Academiam liane reeentem exoremus ut sileat. È la dottrina ch’è
stata chiamata del senso comune, ch’è riapparsa più volte nella storia della
filosofìa. Ma l’interesse storico dell’eclettismo ciceroniano sta appunto in
questo: che noi vediamo com’esso è nato. Quello che Cicerone presenta come rivelazione
della coscienza comune è il pre¬ cipitato di tutta la speculazione greca
anteriore, risultato di quella fusione che s’era venuta operando tra le ten¬
denze affini delle tre scuole derivate da Socrate: plato¬ nica, aristotelica e
stoica, e che hanno per base la con¬ cezione teleologica, il valore cosmico e
antropologico che attribuiscono alla ragione, e il pregio eminente in cui ten¬
gono la virtù come il massimo dei beni o la condizione essenziale della
felicità. Rimane esclusa, come ho già avvertito, da questo pro¬ cesso di
fusione la scuola epicurea con la sua concezione meccanica e con la sua formula
pericolosa della voluttà, che si presta ai malintesi e agli eccessi. E nel
fatto Cice¬ rone, indulgente e tollerante con tutte le scuole, combatte
aspramente, fino all 1 ingiustizia, l’Epicureismo, trovandoloBiblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE
FILOSOFOinconseguente in quello che può avere di buono, e pur avendo la più
grande stima del carattere di Epicuro stesso e di alcuni degli Epicurei ch’egli
ha personalmente co¬ nosciuto: io combatte anche, oltre che per tutte le altre
ragioni, perchè l’Epicureismo non possiede secondo lui una base su cui fondare
i doveri civili, che a lui stanno tanto a cuore. Ma tra tutte le altre scuole
egli trova che le affinità sono maggiori e più importanti che le diffe¬ renze,
e sceglie e adatta quello che gli pare più utile e più conveniente. E lo guida,
oltre il talento straordinario dello scrittore e dell’oratore, un grande buon
senso, una
grande rettitudine, e un certo istinto
generoso che lo porta verso ciò eh’ è nobile e grande. 1 _ E una volta eh’è sul
terreno della morale, egli non si \ tiene sulle generali, ma costruisce in
tutti i particolari un trattato di morale eh’è fino al giorno d’oggi un
perfetto manuale dell’onest’uomo e del buon cittadino: il De of - Jiciis. Nel
quale segue, come abbiamo detto, lo stoico Pa- / nezio, e inclina egli stesso
verso lo stoicismo nel proda- ^ mare il pregio incomparabile della virtù : ma i
paradossi stoici urtano il suo buon senso; ed egli tempera la dot¬ trina morale
con la misura dei peripatetici, ricollegandola anche ad alcune delle
speculazioni e delle speranze del Platonismo, come quella dell’immortalità.
Proclama la virtù gratuita, disinteressata, e illustra la dottrina con esempi
presi dalla storia romana, esempi di disinteresse, di forza d’animo, di
disprezzo della morte, di fedeltà al dovere, di amore alla patria. Traduce il
xaXóv dei Greci con l’honestum, e considera come parti dell’onesto le quattro
virtù cardinali, su ciascuna delle quali dice cose sapienti, non dimenticando
la beneficenza accanto alla Biblioteca Comunale “Giuseppe Medi’’ - San Pietro
Vernotico (Br) LA FILOSOFIA A ROMA giustizia, la charitas generis Immani, e non
dimenti¬ cando i doveri del deco rum, di ciò eh’ è conveniente e della
cortesia, il che rivela il buon gusto oltre che la coscienza delicata. È un
trattato compiuto di morale individuale e sociale; e soprattutto le tesi
sociali dello stoicismo egli si assimila esponendole con la magia e col fascino
della sua eloquenza. Già nel De republica aveva esposto la teoria del go¬ verno
misto, come il migliore dei governi, trovandone la conferma e l’applicazione
nella vecchia costituzione ro¬ mana. E nel De legibus aveva esposto le basi
lìlosofiche del diritto: su queste idee, attinte ai suoi maestri stoici, egli
ritorna sempre. La vera legge è la diritta ragione, conforme alla natura,
dappertutto diffusa, costante, eterna. £Ton ò altra in Atene e altra a Itoma.
Ohi la rinnega rinnega la natura umana, rinnega se stesso. Questa legge eterna
e immutabile è il fondamento di ogni diritto, la regola e la misura delle
legislazioni umane. Essa stabi¬ lisce fra tutti gli uomini, che partecipano
della ragione, una società naturale, una società di giustizia e di amore.
Espressa da quest’oratore e uomo di Stato, la grande idea dell’umanità e del
diritto umano esce dall’angustia delle scuole per entrare nel mondo della vita
e della cul¬ tura, e agisce nei secoli a traverso tutta la storia T ). Ho
accennato ai giudizi di alcuni tedeschi. Giustizia vuole che si dica che non
tutti i tedeschi la pensano allo stesso modo. Uno di essi, 1’ Hiibner (Deutsche
Rundschau, 1899), citato dal prof. Pasdèra nella Prelazione alla sua edizione
del Sogno di Scipione, parlando dell’azione eser- *) Jankt et Séaillks, nini,
de la Philosophie (Paris, Del agrave). Biblioteca ^Comunale “Giuseppe Melli” -
San Pietro Vernotico (Br)CICERONE FILOSOFO citata da Cicerone sulla cultura dei
popoli dell’ Europa, dice: Pure ammettendo che la grande maggioranza delle
persone colte non legga più gli scritti di Cicerone nè prenda esempio dalla
bellezza della loro forma, certo non è perduta per l’umanità la profonda
influenza eh’essi hanno esercitata sul pensiero e sulla parola di tanti spiriti
illuminati, non è perduto il sentimento di nobilissima umanità che in essi
vive. Il che vuol dire che Cicerone è stato e sarà sempre un grande educatore,
del quale bisogna parlare con rispetto e con gratitudine. SENECA 1. La scuola
dei Sestii - 2. Seneca, le sue qualità di mora¬ lista e di scrittore - 3. Le
sue idee su la società, Dio e Tanima umana - 4. Seneca e S. Paolo. 1. - Dopo
Cicerone, la filosofìa acquista a Roma una grande importanza tra le persone
colte, diventando sempre più pratica e popolare. Cicerone scriveva alla vigilia
delle ultime proscrizioni delle quali egli stesso doveva essere vittima, e nei
suoi trattati c’era ancora l’eco delle dispute agitate nelle scuole greche;
dopo di lui, terminate le lotte della vita pubblica, stabilito l’impero, la
filosofìa risponde al bisogno di tutti quelli che vi cercavano un rifugio, una
consolazione, dei principi salutari, una regola di con¬ dotta. Sotto Augusto
cresce il numero dei suoi adepti: poeti e storici, giureconsulti e uomini di
Stato se ne oc¬ cupano; Orazio stesso, che qualche volta deride i filosofi per
i loro paradossi, è filosofo a modo suo, molto savio e di molto buon gusto, ora
stoico ora epicureo, e fa spesso il suo esame di coscienza, ha delle
preoccupazioni morali, maestro nell’arte di vivere. Nelle grandi famiglie i
filosofi entrano come precettori, consiglieri e consolatori, hanno cura
d’anime. Seneca ci Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico
(Br) LA SCUOLA DEI SESTII ^ iy parla di un condannato a_morte, che andando al
luogo del supplizio, è accompagnato dal suo filosofo, prose- quebatur illum
philosophus suus, col quale s’intrat¬ tiene dell J immortalità dell’anima.
Quando Livia, la moglie di Augusto, perde il figlio Druso, essa si rimette per
es¬ sere. consolata nelle mani di Areos, il filosofo di suo ma¬ rito: era il
confessore, il confidente dell’uno e dell’altra. E c’è pure un insegnamento
pubblico di filosofia, che da Cicerone a Seneca è rappresentato da un gruppo di
uo¬ mini, i quali fecero l’educazione della gioventù d’allora. Sono innanzi
tutto i due Sestii padre e tìglio. Quinto Sestio era un romano di buona
famiglia, che al tempo della dittatura di Cesare andò a studiare filosofìa in
Atene, e poi venne a professarla a Roma. Attorno a lui e a suo figlio si formò
una scuola, la cosiddetta scuola dei Sestii, che ebbe un certo splendore,
esercitò molta efficacia: essi lot¬ tano con energia contro i vizi del secolo,
e mettono in uso certe pratiche inorali come l’esame di coscienza, una pratica
già raccomandata dai pitagorici, i quali pare che i Sestii seguissero anche
nell’astenersi dalle carni di animali. Altri professori illustri della stessa
scuola furono So- zione di Alessandria, che s’avvicina ancora più al pita¬
gorismo insegnando la metempsicosi, Attalo stoico e Fa¬ biano Papirio, un
declamatore del tempo di Augusto, che s’era fatta una grande riputazione nelle
scuole, trattando quelle cause immaginarie su cui si esercitava allora' l’elo¬
quenza dei retori. Fu convertito da Quinto Sestio alla filo¬ sofìa, e continuò
a declamare, a parlare pubblicamente di argomenti filosofici. L’insegnamento
così non fu più limi¬ tato a un gruppo d’iniziati o di adepti, ma diventò una
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) W;\ 220 LO STOICISMO
SOTTO L ? IMPERO vera predicazione: la filosofia s ? indirizza alla folla,
diventa eloquente, cerca di essere persuasiva ed efficace. Fabiano Papirio
specialmente ebbe un grande successo: aveva una fìsonomia dolce, una maniera di
parlare semplice e sobria: 10 ascoltavano con un’attenzione rispettosa; ma a
volte V uditorio, colpito dalla grandezza delle idee, non poteva trattenere
delle grida di ammirazione. Un altro che attirò l’attenzione della gioventù
romana fu il cinico Demetrio, ille semimidus, cencioso, come lo chiama Seneca,
con la stranezza delle sue maniere e la foga della sua parola, tutto energia e
disprezzo del do¬ lore e della morte: riappariscono i Cinici, che sono come '
sempre l’esagerazione degli Stoici. Del resto, qualunque sia il nome che
portino, tutti questi filosofi erano più o meno stoici. Non si trattava per
loro di scoprire verità nuove, ma di applicare le grandi verità morali e le
massime di condotta già fissate dagli antichi saggi. Come dice ancora Seneca, i
rimedi dell’anima sono stati trovati prima di noi: non ci resta che cercare in
che maniera e quando bisogna applicarli. La tristezza dei tempi e il dispotismo
imperiale che di¬ venta sempre più pazzo e violento dànno, come ha detto 11
Boissier, un terribile, a propon allo stoicismo, il quale diventa una fede
ardente, la religione delle anime libere: l’anima ha bisogno d’irrigidirsi nel
sentimento della sua forza e della sua dignità in mezzo a quelle sventure e a
quei pericoli che a ogni momento la minacciano. Per questo la filosofia ebbe
l’onore di essere odiata da¬ gl’ imperatori : essa e la Storia erano, come dice
Tacito, ingrata principiòus nomina. La filosofia ebbe i suoi devoti e ì suoi
martiri, a cominciare da Catone, che rifiuta la Biblioteca Comunale “Giuseppe
Melli” - San Pietro Vern-otico (Br) SENECA 221 vita cercando libertà, e venendo
alle vittime di Nerone illustrate da Tacito, come tra gli altri, Trasea Peto,
assi¬ stito negli ultimi suoi momenti dal cinico Demetrio; e poi lo stesso
Seneca, sul quale dobbiamo fermarci ] ). 2. - L. Anneo Seneca, figlio di Seneca
il retore e di Elvia, nacque a Cordova nell 7 anno 3 o 4 dell 7 e. v. Venuto a
Roma col padre che non amava la filosofia, e avrebbe voluto farne un oratore,
fu scolaro di quei moralisti della scuola dei Sestii, Sozione, Attalo, Fabiano
Papirio, la cui maschia e severa dottrina fece sopra di lui la più viva
impressione. Si fece conóscere per la sua eloquenza, entrò nella via degli
onori, fu accolto e apprezzato nella più alta società di Roma. Sotto l’imperatore
Claudio fu esi¬ liato in Corsica per gl’intrighi di Messalina; dopo otto anni è
richiamato per opera di Agrippina che gli affida l’educazione del giovane
Nerone. Del quale dunque fu precettore e poi ministro: caduto in disgrazia nel
62, morì nel 65 per ordine dell’imperatore. Mescolato agl’intrighi e ai delitti
della corte imperiale che non seppe o non potè impedire, il suo carattere è
Stato molto discusso, special- mente per le immense ricchezze eh’ egli
possedeva, in gran parte donategli dall’imperatore, e per la parte che può
avere avuto nell’assassinio ! di Agrippina per opera di Ne¬ rone, in nome del
quale Seneca scrisse una lettera giu¬ stificativa al Senato, presentando la
morte di Agrippina come un suicidio. Ma quali che possano essere state le J )
Cfr. Martha, Les moralistes souti l’empire romaìn; Boissier, La religion
romaine d’Auguste aux Antonina; Havet, Le Cliristianisme et ses origines, * 2°
voi.; il capitolo su Seneca del Pichon nella sua Hist. de la Lìti, latine
(Hachette) ; o uno studio del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri
(Sandron). Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LO
STOICISMO SOTTO L’IMPERO sue debolezze, egli le riscattò da filosofo con una
bella morte, eh’è raccontata da Tacito. Impeditogli di far te¬ stamento, diceva
di lasciare agli amici l’immagine della sua vita. Non fu senza ambizione e
senza vanità, e non uscì immacolato dalla vita, in quei tempi e in quella
corte; ma non gii si può negare un certo entusiasmo sin¬ cero e l’aspirazione
verso il bene. Le opere di Seneca che si riferiscono alla filosofìa sono i
trattati morali: de provìdentia, de comtantia sapienti», de ira, de vita beata,
de olio, de tranquillitate animi, de bre- vitate vitae, de elementia, de
beneficiis; le Consolazioni ad Marciavi, ad Polybium, ad JSelviam matrem; le
Lettere morali a Lucilio che sono 124, l’ultima, la più matura e la più
importante delle opere di Seneca; e infine le Qui- stioni naturali, che
trattano di argomenti di fisica, fecero testo e godettero di molta autorità
durante il Medio Evo; ma vi si tratta anche di argomenti morali. , Seneca si
prolessa stoico, e degli scrittori latini è l’in¬ terprete più compiuto della
dottrina stoica, di cui ripro¬ duce i dogmi con una certa enfasi, non scevra di
decla¬ mazione e di retorica. Ma è eclettico anche lui e impara da tutte le
scuole: Cita spesso anche Epicuro, verso il quale è più giusto degli nitri
Stoici. Egli stesso confessa: Solco in aliena castra transire, non tanquam
transfuga, sed tanquam explorator. La sua specialità è il genere monitorio e
precettivo; e il suo capolavoro ò una raccolta di consigli e precetti morali a
Lucilio, suo amico, un cavaliere romano ch’era procuratore in Sicilia,
amministratore finanziario della provincia, e ch’egli guida e dirige da lontano
coi suoi consigli. * E' 1 Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) SENECA 223 Seneca non ama la folla, non pensa al gran pubblico:
Satis sunt mifii patiti, satis est unns, satis est nullws. La sua opera non è
di un predicatore, ma di un di¬ rettore delle coscienze. Ed egli sa adattare il
suo inse¬ gnamento secondo le persone e le circostanze. Aliter cum alio
agendum: egli consola quelli che hanno bisogno di essere consolati, spinge
all’azione le nature fiacche e molli, ridesta la forza di quelli che
s’annoiano, predica il ritiro e la solitudine a quelli che amano troppo la vita
mondana. E in quest’opera di moralista pratico egli porta una grande conoscenza
della vita, l’esperienza di un uomo che conosce il mondo, la corte, le passioni,
le inquietu¬ dini e i bisogni del cuore umano: sicché i suoi trattati e
specialmente le sue lettere sono importanti non solo per le verità morali che
contengono, ma anche come studio dei caratteri e delle passioni del suo tempo e
di tutti i tempi. La sua psicologia è molto più raffinata di quella di Ci¬
cerone, e c’è in Ini una preoccupazione della vita inte¬ riore e della
perfezione morale, in ciò che ha di più in¬ timo, che non c’è in Cicerone. Egli
propone come un ideale di perfezione la virtù stoica, ma sa adattarsi alle
circostanze, e consente quando occorre alle debolezze della natura umana: di
qui le con¬ tradizioni che gli rimproverano, e che derivano dalle con¬ dizioni
speciali in cui si esercita il suo insegnamento. S’aggiunga, per spiegare
l’impressione che fa Seneca, l’efficacia di uno stile non senza artifizio, ma
concettoso, sentenzioso, energico, a frasi spezzate e serrate, con qual¬ che
cosa di brusco e di veemente. La grande frase, il periodo ciceroniano si
spezza: ne prendono il posto deiLO STOICISMO SOTTO l’IMPERperiodi brevi, a
scatti, con frequenti antitesi, e sentenze aguzzate e raffinate, piene di
energia: anche questo un carattere che lo ravvicina al gusto di noi moderni. La
morale di Seneca, guardata nel suo insieme, è, come . quella di tutti gli
Stoici, un’àpologìà perpetua della vo¬ lontà morale di fronte a tutto ciò che
tende a limitarla e asservirla. La fortezza dì fronte agli attacchi della for¬
tuna, il disprezzo dei beni esterni, la serenità davanti alla morte, questi e gli
altri temi abituali della predicazione stoica sono anche i suoi : egli ne
rinfresca l’espressione col suo accento passionato e concitato, che dà a quelle
massime forza e rilievo.Soprattutto non bisogna dimenticare quel sapore di at¬
tualità che, come abbiamo accennato, avevano le idee stoiche in quella
condizione dei tempi e in bocca di Se¬ neca. Già questa attualità o riscontro
nella realtà co¬ mincia ad essere un fatto anche con Cicerone. Il quale, quando
scrive nelle Tusculane de eontemnenda morte o de tolerando dolore, non scrive
di temi astratti e retorici, ma di pericoli imminenti, in tempi già diventati
iniqui e tristissimi, tra gli orrori delle guerre civili e delle pro¬
scrizioni. Con l’impero, dopo Augusto, la situazione si aggrava, diventa intollerabile.
In mezzo a quell’orgia, a quei delitti, a quella tirannide che non ha più
niente di umano, la sola cosa che l’anima umana può salvare è la sua libertà e
il sentimento della sua dignità. La filosofia compie l’ufficio suo predicando
la forza della volontà, la purezza interiore, il disprezzo di tutto ciò che non
di¬ pende da noi, il disprezzo della vita. He nasce una situa¬ zione violenta,
che si riflette anche nello stile di questi scrittori, come ha osservato con
molta finezza l’Havet. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melfi” - San Pietro
Vernotico (BrSENECQuando noi leggiamo in Seneca e negli altri stoici che la
povertà, V esilio, le torture, la morte stessa non sono nulla, noi diciamo eh’
essi declamano; e in un certo senso è vero; ma la loro declamazione è come
imposta dalla situazione, è l’espressione esagerata di un sentimento legittimo
e naturale. Essi declamano perchè sentono il bisogno di sii dare la forza
brutale che dispone di tutte le maniere per far soffrire. In quella
declamazione non tutto è effetto dei vizi letterari del secolo, c J è anche
qualche cosa di sincero. Il filosofo è portato a prendere un tono veemente: la
sua enfasi, le sue ripetizioni insi¬ stenti, il gesto concitato che sembra
accompagnare la pa¬ rola, sono altrettante proteste di una coscienza che la
forza vorrebbe far tacere, e che non tace, ma ha bisogno di gridare per farsi
ascoltare. 3. - È di Seneca la sentenza che dice : Non scftolae sed vitae
diwimus. Salvo che questo motto non va inteso nel senso ' utilitario in cui
oggi è così spesso ripetuto. Nemmeno Epicuro lo avrebbe inteso in questo senso.
Quando i moralisti antichi dicono di voler insegnare a vivere, hanno in mira la
salute e la perfezione dell’anima, non gli agi, le comodità, l’apprendi mento
delle arti utili alla vita: la sola arte eh 7 essi insegnano è l’arte stessa di
vivere: artifex rivendi, come dice Seneca del saggio. Un’altra conseguenza di
quella situazione che abbiamo detto è che le differenze esterne fra gli uomini
spariscono. Nella servitù comune, nella quale tutti gemono e temono in quelle
vicende inopinate della fortuna, i grandi non hanno più ragione di disprezzare
le miserie dei piccoli, nè gli uomini liberi quelle degli schiavi.LO STOICISMO
SOTTO L* IMPERO In Seneca le grandi tesi sociali e umanitarie dello stoi¬ cismo
sono riprese con un nuovo accento, più forte e più intimo. Egli vede negli
schiavi degli amici di condizione inferiore, humiles amici; sono degli schiavi,
ma sono degli uomini: imo homines. Egli condanna i giochi dei gladiatori, che
Cicerone, quantunque non li amasse, giustificava ancora come una scuola di
coraggio per fortificare l’animo degli spettatori contro il dolore e la morte,
quando quelli che si vede¬ vano combattere erano dei malfattori. Seneca non li
può soffrire sotto alcun pretesto, non vuole che s’insegni al popolo la
crudeltà: quest’uomo è un brigante, merita di essere punito; ma tu,
disgraziato, che hai fatto per es¬ sere condannato a questo spettacolo? E in
quest’ordine d’idee trova la meravigliosa espres¬ sione: homo res sacra homini;
e condanna pure la guerra, dicendo che la natura ha fatto l’uomo per la
dolcezza (mitissinutm genus), dimenticando forse che ci sono delle guerre
giuste e anche pietose, quando bisogna difendersi dai briganti e dagli
assassini. E celebra con parole che hanno del mistico la solida¬ rietà umana e
i suoi dovevi: nell’ep. 95: membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos
edidit: di qui l’amore reciproco e ciò che ci rende socievoli: la giustizia e
il diritto non hanno altro fondamento : è più miserabile il nuocere altrui che
l’essere offeso: siano sempre pronte le mani a giovare, e abbiamo sempre nel
cuore e nella bocca quel verso: Homo sum, nihil Immani a me alienum puto. E
aggiunge: la società umana è come una vòlta che cadrebbe se le singole pietre
non si sostenessero a vi¬ cenda. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) SENECA Esorta alla bontà, alla clemenza, al beneficare,
al per¬ dono delle offese. Ubieumque homo est, ibi benefica locus est. Non
desinemus opem ferve etiam inimicis. Alteri vivas oportet si vis Ubi vivere.
Questa morale, che con la sua umanità e la sua mitezza si stacca sul fondo di
quella tristezza di tempi crudeli e violenti, ha già un carattere e
un’ispirazione religiosa. Questo caràttere religioso si accentua ancora di più
in alcune delle idee che Seneca esprime intorno alla divi¬ nità, alle relazioni
dell’uomo con Dio, e al destino del¬ l’anima umana. Anche per lui, come per
tutti gli Stoici, il concetto di Dio oscilla tra il panteismo e il teismo. Quid est Deus? Mens universi.
Quid est Deus ? quod vides totum et quod non vides totum. Ma nella sua opera di moralista consolatore e
direttore delle cosciente egli non può a meno di met¬ tere in evidenza gli
attributi personali della divinità, con¬ cepita non solo come ragione
universale, ma coi suoi attributi morali di bontà, di clemenza, di
sollecitudine per gli uomini. Nulla è nascosto a Dio, egli è presente agli
animi nostri, vicino a noi: prope est a te Deus, tecum est, intus est. Sì, o
Lucilio, egli continua^ nella lettera 4P, saeer intra nos spiritus sedei,
malorum bonorumque nostr orimi ohservator et custos. Dio non si onora coi
templi nè si rende propizio sol¬ levando in alto le mani supplichevoli, ma con
la purezza del cuore e della vita : vis deos propiUare ? bonus esto. Satis
illos coluit, quisquis imitatus est (Lett. 95). È dunque sulla virtù che si
fonda questa relazione tra l’uomo e Dio, del quale è detto: patrium Deus habet
adversus bonos viros animum, et illos fortiter amai. Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br)228 LO STOICISMO SOTTO L’IMPERO
Un Dio cosiffatto non è una pura astrazione filosofica, ma è oggetto di
adorazione religiosa : il rapporto religioso è un 1 rapporto intimo tra due
persone, l’una delle quali si sente dipendente dall’ altra. Dio comunica con
noi, ri¬ siede in noi, ci ama ed è amato da noi: colitur et amatur; e noi P
invochiamo perchè, com’è detto altrove, da lui ci vengono le risoluzioni grandi
e forti: ille dat constila ma¬ gnìfica et creda: c’ispira e ci sostiene: si
direbbe che in que¬ ste parole è toccata o intraveduta la dottrina della
grazia. Notevoli pure sono i concetti intorno all’uomo, alla natura e al
destino dell’anima. L’uomo non ha ragione di vantarsi, di essere orgoglioso:
idem semper de nobis pronuntiare débébvmus, malos esse nos, malos fuisse ,
invitus adieiam et fiutar os esse . Peccavimus omnes. E solo a traverso gli
errori noi giungiamo alla virtù: anche il migliore fra noi ad innocentiam
tamenpec¬ cando pervenit. E l’inìzio della salvazione è la conoscenza del
peccato. Initium est salutis notitia peccati } una sentenza di Epicuro, che
Seneca si appropria. La vita è una lotta, una milizia: c’è dentro dell’uomo una
lotta continua tra la carne e lo spirito, tra il corpo, eh’è come un peso o una
prigione, e lo spirito sacer et aeternus che aspira alla sua liberazione: gravi
terrenoque detineor carcere. 1 Ohi mi libererà da questo corpo di morte?’
griderà S. Paolo. Nell’anima stessa c’è qualche cosa d’irrazionale: quel
dualismo platonico che Posidonio aveva introdotto nella dottrina stoica, è
conservato da Seneca, e n’è resa più acuta, più accentuata l’espressione:
diventa il contrasto tra la carne e lo spirito, eh’è tanta parte della conce¬
zione cristiana. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico
(Br) SENECA La vita è dunque una guerra continua. Nóbis militan- dum est, ed è
un genere di milizia che non consente ri¬ poso. Bisogna essere vigilanti con se
stessi, bisogna com¬ battere con le passioni, col dolore, col piacere, con la
fortuna, con la povertà, col nostro proprio cuore: Proiice quaecumque cor tuiim
laniant ; quae si aliter estrahi nequi- rent, cor ipsum cimi illis revellendum
crai, parole energiche die ricordano quelle dell’Evangelo: se il tuo occhio de¬
stro ti scandalizza, strappalo e gettalo da te. Seneca ha il sentimento più vivace
della miseria umana: Omnis vita supplicmm est. Per questo la morte è una li¬
berazione, e come il porto nel quale troviamo il rifugio dal mare agitato della
vita. Dell’ immortalità Seneca non parla sempre allo stesso modo. Ipotesi,
speranze, le opinioni diverse s’avvicendano nei suoi scritti. MS, non di rado,
specialmente quando si rivolge ai suoi corrispondenti per consolarli della
morte dei loro cari, egli prende un tono più affermativo. La morte è l’inizio,
il giorno natale di una nuova esistenza. IMes iste quem tanquam extremum
reformidas, aeterni na- talis est. Il corpo è un breve ospizio dell’anima: si
dissi¬ peranno le caligini che circondano la nostra esistenza, la luce divina
ci apparirà nella sua sorgente, e con essa la grande eterna pace. Si potrebbero
moltiplicare le citazioni, ma basteranno. Sono queste idee che hanno fatto
credere a una ispira¬ zione cristiana degli scritti di Seneca. Seneca saepe
noster, diceva già Tertulliano. 4. - Qui bisogna sapere una cosa. Kel 61 d. 0.,
quattro anni prima della morte di Seneca, giungeva a Roma un Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LO STOICISMO SOTTO L 5
IMPERpiccolo ebreo, Paolo di Tarso in Ciiicia, il quale accusato e perseguitato
da altri ebrei, si appellava, nella sua qua¬ lità di cittadino romano, dal
giudizio delle autorità im¬ periali in Giudea, a quello dell’imperatore. Fu
condotto davanti al prefetto del pretorio eli’era Burrus, amico e collega di
Seneca come ministro di Nerone. Giudicato favorevolmente, l’apostolo fu lasciato
libero o quasi libero durante due anni, dei quali profittò per diffondere la
sua dottrina, e pare che facesse dei proseliti anche nel palazzo imperiale, fra
gli schiavi o i liberti della casa di Nerone. Si disse per esempio che Atte, la
gio¬ vane eh’ era stata amata da Nerone, e che poi abbando¬ nata fu la sola che
ne cercasse il cadavere, quando egli fu obbligato ad uccidersi, per dargli
sepoltura, fosse stata convertita al Cristianesimo. Atte, come sappiamo da Ta¬
cito, era personalmente conosciuta da Seneca. Bisogna aggiungere che anche
prima della venuta a Poma, Paolo, accusato dagli ebrei di Corinto, s’era tro¬
vato a contatto con un proconsole romano, ch’era quel Gallione di cui parlano
gli Atti degli Apostoli, e che si rifiutò di dare ascolto ai suoi accusatori,
trattandosi di cose die non lo riguardavano (polemiche religiose tra Ebrei).
Ora si dà il caso che questo Gallione era fratello di Seneca, e si chiamava
così perchè adottato da un Gallio, di cui portava il nome: il suo nome di famiglia
era Anneo Novatus, ed era fratello maggiore di Seneca. Fatto sta che a poco a
poco si formò la leggenda che Seneca e S. Paolo si fossero conosciuti, anzi
fossero diven¬ tati amici, e che l’apostolo avesse convertito il filosofo, e si
fossero scambiate anche delle lettere, 14 delle quali sono giunte fino a noi: e
in base a queste lettere S. Gi- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) SENECA E S. PAOLO
rolatno, nel quarto secolo, enumerando
gli scrittori eccle¬ siastici dei primi secoli, vi mette anche Seneca. È una
leggenda che ha avuto corso per tutto il Medio Evo, e anche alcuni moderni vi
hanno creduto. I^a qui- stione è stata agitata più volte l ). Le conclusioni
sono queste: La corrispondenza è certamente apocrifa, scritta in un latino che
non è nè classico nè argenteo; e del resto è insignificante, e qualche volta
buffa. Per es. c’ è una let¬ tera, la 7% nella quale Seneca informa il
carissimo amico Paolo che l’imperatore è stato molto colpito dalla sua
dottrina, e che sentendo leggere un certo esordio di Paolo sulla virtù, avrebbe
detto: mi meraviglio come un uomo che ha ricevuto un’istruzione regolare possa
avere di tali sentimenti. E nella stessa lettera gli scrive: lo Spi¬ rito Santo
ti fa dire delle cose sublimi, ma appunto jier questo mi piacerebbe che avessi
un po’ più cura della forma, ut maiestati earum rerum cuìtus sermonis non
desti. E in un’altra lettera, da uomo soccorrevole, gli manda un libro de copia
verborum. E non parliamo delle risposte di Paolo. Sono inezie da una parte e
dall’altra. La cor¬ rispondenza è certamente una falsificazione, e anche poco
abile. Rimane la quistione se Seneca e S. Paolo si sono co¬ nosciuti. E se per
conoscersi s’intende il semplice fatto di vedersi, incontrarsi, scambiare
qualche parola più o ] ) Si possono consultare un libro dolLAutìERTiN, Sénèque
et S. Paul f e un articolo magistrale di Ferd. Bat.tr nella Zeitschr. f. wias.
Tipologie, t. 1°, 1858, ristampato da Zeller in un voi. dì Abhandlungen del
Baur (1875); e più brevemente quello che ne dice il Boissier nel libro che ho
citato : La religion ro inaine, 2° voi. 232 LO STOICISMO SOTTO L ? IMPERO meno
insignificante o per ragioni di affari, non possiamo dire nè sì nè no, non ne
sappiamo nulla. Quello che importa è che, anche dato e niente affatto concesso
che Seneca abbia conosciuto o avvicinato l’apo¬ stolo, certamente non gli deve
nulla nè per quello che riguarda le idee, nè le espressioni. E questo per le
seguenti ragioni: ! 1° ed è la ragione più ovvia, le idee di Seneca sulla
provvidenza, sulla natura dell’uomo, sulla vita morale si trovano già nelle
opere sue anteriori a questa pretesa co¬ noscenza con S. Paolo ; 2° quando si
leggono quelle idee, non come frasi staccate ma al loro luogo, in connessione
con tutto il resto, fanno parte di un discorso nel quale Seneca con¬ tinua a
professare le dottrine stoiche, alle quali ha sem¬ pre aderito; e non c’è nulla
in quelle idee stesse di sapore cristiano o che sembrino tali, che non trovi il
suo riscontro non solo nei vecchi stoici, ma in tutta la tradizione filo¬
sofica anteriore, in Platone, in Epicuro, in Cicerone; 3° e soprattutto, se
Seneca e S. Paolo si fossero co¬ nosciuti e si fossero messi a discorrere di
filosofia e di religione, non si sarebbero intesi affatto, in nessun modo, per
la differenza radicale e insanabile che c’è tra i due modi di considerare il
mondo e la vita. Già Seneca non avrebbe potuto comprendere nulla di tutta la
parte storica e dogmatica del pensiero di Paolo, voglio dire di quei fatti e di
quei dogmi che sono come i cardini del suo apostolato: il peccato di Adamo, la
ve¬ nuta del Messia, la morte e la risurrezione di Cristo, la redenzione di
tutti gli uomini fondata sulla fede in questo fatto della risurrezione: sono
fatti così miracolosi, e inter- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) SENECA E S. PAOLO prelazioni di questi fatti così
lontane, così aliene da una mente educata nel razionalismo greco-romano, che
Seneca, quando pure non avesse sbarrato tanto d’occhi per la me¬ raviglia, non
avrebbe potuto comprenderne nulla. Ma a parte questo, anche sul terreno
limitato dell’Etica, j le due concezioni, quella di Paolo e quella di Seneca
sono, .= nonostante le frasi analoghe, lontanissime 1’ una dall’altra. ■ Seneca
si riconnette a tutta la tradizione classica e pa¬ gana, che considera la virtù
come una perfezione della natura, una conquista e un trionfo della ragione
sugl’im-1 pulsi inferiori dell’uomo; e tiene fermo alla formula stoica: seguire
la natura, che egli concepisce come qualche cosa di essenzialmente razionale.
S. Paolo e con lui il Cristianesimo insegna la corruzione originaria, radicale,
della volontà naturale dell’uomo, e in- . segna la rigenerazione possibile
solamente per opera della ; grazia divina, che redime e rinnova la creatura,
ricrean- dola a dir così dalla vita della carne alla vita dello spirito. Per
Seneca come per gli altri Stoici la legge morale è % una semplice legge della
ragione che s’identifica con la \ legge cosmica; per S. Paolo la legge è nel
senso preciso della parola un comando, un imperativo, espressione della volontà
divina; e il peccato non è la semplice distanza che separa la realtà empirica
dall’ ideale morale, ma è sin dall’origine una ribellione al comando di Dio,
della sola volontà che sia santa. L’autonomia e l’autarchia del saggio stoico
non sono parole cristiane. La conseguenza è che il saggio stoico, l’ideale di
Se¬ neca, manca della qualità propriamente cristiana, non è umile; può sentire
più o meno la sua imperfezione finche quell’ideale non è raggiunto, ma non c’è
propriamente Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico
(Br)234 LO STOICISMO SOTTO L* IMPERO abnegazione in lui, anzi egli pone il suo
orgoglio nell’af¬ fermazione della sua volontà razionale, e in questo senso
egli si sente simile a Dio. Il santo cristiano invece sa che nulla gli
appartiene, non ha orgoglio, nega la sua volontà, la sente spezzata e
ri-generata da una forza onnipotente, e si umilia pregando: fiat voluntas tua,
eh’è qualche cosa di più della semplice rassegnazione stoica a quello che vuole
o porta il fato. Ohi vuole misurare con un’occhiata sola tutto il con¬ trasto,
guardi a queste parole di Seneca: non video, in- quam, quid hàbeat in terris
Jupiter pulchrius, si convertere animum velit, quam ut spectet Catonem, iani
partibus non se¬ mel fractis, stantem nihilominus inter ruinas publicas recium.
Il saggio stoico con la sua forza d’ animo e la sua virtù eroica è glorificato
in modo eh 7 è lo spettacolo più degno e più bello che Dio possa ammirare. E
badiamo che Ca¬ tone è un suicida: perchè, come dice Seneca, ogni vena del tuo
corpo è una via aperta alla libertà. Il suicidio, per un cristiano, è la
ribellione più aperta alla volontà santa di Dio, e non c’è altra gloria che la
gloria di Dio, e il fare la sua volontà si chiama dovere, obbedienza, morire a
se stessi per essere partecipi della gloria di Dio e della vita eterna. Sono
due concezioni diverse. Seneca non deve nulla a S. Paolo. Quello che c’è di
vero è che l’accento religioso che prendono in lui le dottrine antiche è un
indizio che segna* l’avvicinarsi dei tempi cristiani. Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) EPITTETO 1. Musonio Rufo - 2. D
carattere e la dottrina di Epitteto. * 1. - Dopo Seneca, contemporaneo più
giovane di lui, è da nominare Musonio Rufo, eli e nato a Volsinia (Bol- sena)
nell’ Etruria, visse sotto Nerone e poi ancora sotto gl’imperatori Vespasiano e
Tito. Dell’ ordine equestre, coltivò e insegnò la filosofia se¬ guendo le
dottrine stoiche, come dice Tacito clie lo no¬ mina più volte. Fu un maestro
tutto pratico, stimando inutile ogni scienza che non giovasse alla vita.
Esortava alla filosofia uomini e donne, poiché la filosofìa non è altro per lui
che la ricerca della xaXoxàyala pratica di ciò eh’è onesto, e senza la
filosofia non si può conseguire la virtù. Anche il contadino dietro il suo
aratro può filoso¬ fare in questo senso, e dare lezioni ed esempi di saggezza:
faceva un elogio dell’agricoltura come un genere di vita più acconcio alla
filosofia dei costumi corrotti della città. Il suo insegnamento e la vita
intemerata gli dettero nome, e dovette esercitare una grande efficacia, se
dobbiamo giudicare specialmente dal modo come lo ricorda Epit-236 LO STOICISMO
SOTTO l’ IMPERO ' feto clie fu suo scolaro; e basterà averlo ricordato anche
noi, senza insistere sui frammenti e precetti particolari che ci sono stati
conservati di lui. 2. - Il grande e più celebre rappresentante dello stoi¬
cismo nell’ epoca imperiale è Epitteto.
Epitteto nacque a Hierapoli, nella
Frigia, verso il 50 dell’e. v. Venne a Roma, dove passò la sua giovinezza, come
schiavo di un Epafrodito, che fu probabilmente il liberto e favorito di Nerone
dello stesso nome. Lo stesso nome di Epitteto non è in origine un nome proprio,
ma vuol dire schiavo (!tuxt7]tq£). Era zoppo e, secondo un aned¬ doto celebre,
per effetto dei maltrattamenti del suo pa¬ drone. Un giorno questi gli avrebbe
messo la gamba in uno strumento di tortura. Bada, gli disse Epitteto, che finirai
col rompermela. E siccome l’altro continuava e la gamba si ruppe di fatto,
Epitteto si contentò di aggiun¬ gere: Te l’avevo detto. Questo tratto
d’insensibilità stoica fu tanto ammirato, che più tardi Celso, l’avversario del
Cristianesimo, apostrofava i cristiani : Forse che il vostro Cristo, nel suo
supplizio, ha mai detto niente di così bello? Al che Origene, lo scrittore
ecclesiastico che scrisse contro Celso, rispose: Nostro Signore non ha detto
niente, e questo è anche più bello. Il giovane Epitteto, ancora schiavo, potè
istruirsi e se¬ guire le lezioni di Musonio Rufo. Fatto libero, rimase a. Roma,
tentando anche lui l’insegnamento o la predica¬ zione morale, finché non fu
obbligato a lasciare la città quando l’imperatore Domiziano con un senatoconsulto
del 94 d. C. fece cacciare i filosofi da Roma e dall’Italia. Epitteto allora si
ritirò nell’Epiro, a Nicopoli, dove visse Biblioteca Comunale "Giuseppe
Melli" - San Pietro Vernotico (Br) EPITTETO 237fin verso il 125, povero e
senza famiglia, ma circondato da molti discepoli, e venerato per la santità
della vita, come maximus più losophorum, secondo Aulo Geli io. Uno di quelli
che lo udirono, e per più anni, fu Ar- riano di Nicomedia, lo storico, che fu
il più attento e il più entusiasta dei discepoli. Arriano aveva scoperto di
avere dei gusti e uno spirito affine a quello di Senofonte, volle essere un
Senofonte redivivo, e, come l’altro, scrisse la sua Anabasi (di Alessandro), e
i suoi Memoràbili: Epit- teto diventò il suo Socrate, e nei Discorsi o Dissertazioni
di lui (Storpipoi o Xóyot) raccolti molto fedelmente da Ar¬ riano (in 8 libri,
dei quali ce ne rimangono 4 e frammenti degli altri), la figura di Epitteto già
vecchio rivive con. la vivacità del suo spirito e l’energia del suo carattere e
del suo insegnamento. Più tardi, visto il successo delle lezioni di Epitteto,
Arriano le condensò in un piccolo volume: è il famoso 1 Manuale di Epitteto ’,
che nei tempi moderni comparve dapprima nella traduzione latina di Angelo
Poliziano, nel 1493; il testo originale fu pubbli¬ cato nel 1528, a Venezia.
Non ho bisogno di ricordare eh’ è stato tradotto in italiano dal Leopardi.
Epitteto è anche lui un maestro tutto pratico: non è un pensatore che ricerchi
o discuta i fondamenti teorici della dottrina che insegna: le ricerche
sistematiche, le discussioni di scuola non sono il fatto suo. Egli vuole agire
sulle coscienze, rinnovarle ed educarle. Seneca è uno spirito curioso e un
letterato, che pure mirando a un fine pratico, ha coscienza della sua abilità
di scrittore, e si compiace di aguzzare in forme ingegnose le sue mas¬ sime, le
sue osservazioni, i suoi consigli. Epitteto non mira a brillare, non vuole
applausi, non ha mai pensato Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) TO'* , ■ C 1 . 1 " L 1 ^ ■ y h ■ -. t,. :'yY £VsE S,
àtàeXcpol 264 FILOSOFIA
GIUDAICO-ALESSANDRINA Un primo documento di quest’attività greco-ebraica è la
traduzione greca della Bibbia, che si disse dei Set¬ tanta, perchè secondo una
leggenda sarebbe stata fatta da 72 dotti mandati dal Sacerdote di Gerusalemme a
Tolomeo Filadelfo, che voleva avere nella sua grande biblioteca i libri di Mosè
tradotti in greco, e questi 72 traduttori, chiusi in tante camerette separate,
senza po¬ ter comunicare fra loro, avrebbero tradotta da capo a fondo, come per
un’ispirazione divina, tutta quanta la Bibbia. Il vero è che la traduzione
rispondeva al bisogno della comunità ebrea di Alessandria di leggere il libro
suo na¬ zionale nella lingua diventata oramai comune nella co¬ lonia. La maggior
parte non leggevano nemmeno più l’ebraico. Questo libro si può considerare come
il primo travasa- mento di idee giudaiche in un contenente ellenico 1 ), ed
ebbe una grande efficacia sulla propagazione posteriore dell’Ebraismo e poi del
Cristianesimo. Un ebreo di Ales¬ sandria, che in filosofia era peripatetico,
Aristobulo, vis¬ suto tra il 181 e il 145 a. C., è ritenuto da molti il primo
scrittore in cui apparirebbe una vera connessione di filo¬ sofemi greci con le
idee e le tradizioni ebraiche. E influsso d’idee greche è stato pure notato in
uno dei libri apocrifi del Vecchio Testamento, nel Libro della Sapienza di
Saio- mone, che si crede composto da un ebreo alessandrino verso il 100 a. C.
Ma il principale rappresentante di questa filosofia greco¬ ebraica è Filone
ebreo.0 Castelli, Storia degli Ebrei (Firenze, Barbèra). ti.: Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) \ FILONE EBREO 265
2. - riione nacque in Alessandria fra il 30 e il 20 a. C. da una famiglia
sacerdotale ch’era delle più ricche e rag¬ guardevoli fra gli Ebrei di quella
città. Ebbe un’istruzione compiuta ellenica ed ebraica: consacrò tutta la vita
agli studi teologici e filosofici, dedito alla vita contemplativa, ma senza
trascurare i legami col suo popolo e i doveri che la sua posizione gl’imponeva.
Doveva godere di una grande riputazione per la sua pietà, per la sua scienza e
per la sua eloquenza. Verso il 40, già vecchio, fu messo a capo di
un’ambasceria presso l’imperatore Caligola per chiedere la liberazione dei suoi
correligionari di Ales¬ sandria dalle persecuzioni a cui erano fatti segno.
Tornato ad Alessandria, scrisse egli stesso la relazione di questa ambasceria,
e morì forse verso il 50. Scrisse in greco molte opere che ci rimangono. Alcuni
degli scritti di Filone sono d’argomento storico e ci fanno conoscere quale
fosse io stato della colonia giu¬ daica di Alessandria: gli altri sono per la
maggior parte un commento filosofico ai libri mosaici. Filone dunque sta tra la
scienza greca e la rivelazione. Per lui non si tratta di ricercare e scoprire
la verità con la semplice attività della ragione: la verità è quella ri velata
da Dio nei libri santi. D’altra parte Filone è anche uno spirito esercitato
alla meditazione, grande studioso e ammiratore della scienza greca : ha un
culto per Pla¬ tone: egli ritrova nei filosofi greci le verità rivelate dalla
Bibbia, e legge la Bibbia a traverso i concetti della filo¬ sofìa, la vede in
quella gran luce di verità creata dal pensiero greco. È naturale che la fusione
di elementi così disparati e d’idee di così diversa provenienza non fosse
possibile senza Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico
(Br) 266 FILOSOFIA GIUDAICO-ALESSANDRINA un certo sforzo, il quale importava
due cose: una finzione e un metodo particolare 2 ). La finzione (in buona fede,
s T intende) è che i filosofi greci come Pitagora, Eraclito, Platone, e anche i
poeti più antichi come Omero, Esiodo, avessero avuto notizia dei libri di Mosè
e attinto dunque alla sapienza ebraica: una finzione che si trova già in
Aristobulo; ed era av¬ valorata da alcune falsificazioni: si attribuivano ai
poeti mitici come Lino, Orfeo, dei versi di fattura posteriore. Il metodo è
quello dell’interpretazione allegorica, non inventato da Pilone, applicato già
prima di lui fra gli Ebrei alessandrini, e del quale anche gli Stoici gli
davano l’esempio. Pilone distingue dapertutto un senso letterale e un senso
spirituale o intelligibile, e ritiene il primo come simbolo del secondo; la
relazione tra i due è quella che c’ è tra il corpo e V anima. Per esempio,
Adamo è lo spirito (il vouc), e il Paradiso è 1’ ■^epovtxòv xfjc; 4^/jA nel
quale egli è messo per coltivare gli alberi, che sono le virtù; la creazione di
Èva significa il nascere della sen¬ sibilità, e così via: quel metodo
d’interpretazione alle¬ gorica che si può dire fantastico e non critico quanto
si vuole, ma che ha contribuito a spiritualizzare le credenze e le idee. L’uomo
ha cominciato col concepire Dio a sua imma¬ gine e somiglianza, attribuendogli
occhi e mani e voce e passioni umane. A poco a poco il concetto del divino si
spiritualizza. Per Filone, Dio non solo non ha forma nè attributi umani, ma è
al di là di ogni determinazione, una realtà, ! ) Dkussen, Die Philo sophie der
Griechen, p. 468 e segg.Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) LA DOTTRINA DI FILONE 2G7 assolatamente trascendente, sia
rispetto al mondo da cni è separato, sia rispetto alla nostra intelligenza alla
quale è inaccessibile. Noi siamo certi della sua esistenza, ma non possiamo
comprendere la sua essenza. Filone lo designa con la parola di cui si servivano
gli Eleati e Platone: tò £v, l’Essere, o con l’espressione aristotelica:
l’Essere in quanto essere; e trova il riscontro di questa denominazione in
quello ch’egli stesso, Dio, dice di sè nell’-Z&odo; J5V/o sum qui sum: èyw
eijxt Ó wv. Dio dunque è l’Essere universale, eterno, immutabile, semplice,
libero, pago di se stesso, assolutamente trascen¬ dente e separato dal mondo.
Ma d’altra parte egli rac¬ coglie in sè tutte lo perfezioni, e tutte le
perfezioni delle cose create derivano unicamente da lui. Egli è la causa prima
di tutte le cose create: riempie e comprende tutto. C’è una doppia esigenza in
questa concezione: l’idea dell’assoluta trascendenza di Dio, e quella
dell’assoluta dipendenza delle cose finite da Dio. Dio è uno, ma possiede forze
infinite, mediante le quali crea e governa il mondo: le due principali di
queste forze sono la bontà e la potenza, e l’ima e l’altra si uniscono nel Xóy
oc, o ragione divina, eh’è come il pensiero di Dio prima della creazione, e che
si manifesta poi in questa come la parola di Dio. Il lòyo- o la ragione cosmica
di Eraclito e degli Stoici non è per Filone il primo principio del mondo, ma è
a dir così il figlio primogenito di Dio, il suo verbo, l’intelli¬ genza divina
stessa iu quanto personificata, qualche cosa che sta in mezzo tra la pura
essenza di Dio e il mondo eh’ è creato da lui. Filone ha bisogno di potenze
inter¬ mediarie per colmare l’abisso tra l’assoluta trascendenza Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)268 - FILOSOFIA
GIUDAICO-ALESSANDRINA di Dio e il mondo delle cose finite, e queste potenze in¬
termediarie sono rappresentate dal Logos, dalla parola di Dio. Quando un
architetto costruisce una casa, ha in sè il suo piano, la sua idea. Il Logos di
Filone comprende insè le idee, i modelli ideali delle cose, e insieme le forze
generatrici e formatrici degli esseri: le idee platoniche e le ragioni seminali
degli Stoici. È il Logos che divide in parti la massa di cui si compone il
mondo, dà alle cose le proprietà che le costituiscono, determina i mari, le
isole, i continenti, fìssa le specie dei viventi, stabilisce bordine nella
diversità: compie l’ufficio o gli uffici della ragione come rivelazione di Dio
e della sua provvidenza nel mondo. Filone tiene fermo al dogma della creazione,
ma for¬ mula la sua fede servendosi dei concetti della filosofia greca: in
questa mescolanza, in questo ripensamento delle idee greche in una nuova
atmosfera spirituale sta l’in¬ teresse e l’importanza storica di Filone. E che
cosa è l’uomo in questo sistema? Secondo la Scrittura Dio disse: Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza; e poi aggiunge che Dio formò l’uomo
prendendo un pugno di terra, e soffiandovi sopra un soffio di vita, l’uomo fu
fatto in anima vivente. Filone si domanda in quale misura e in che senso l’uomo
è la creatura di Dio, e conclude dai due luoghi biblici che bisogna distinguere
l’uomo celeste, ideale, creato da Dio a sua immagine, e l’uomo terrestre e
sensibile. Il primo è un essere intelligibile, senza materia, nè uomo nè donna,
è l’idea dell’uomo in quanto uomo, di natura incorrut¬ tibile; invece l’uomo
terrestre, plasmato dal fango dellaBiblioteca C o'm unale “Giuseppe M e 11 i ”
- San Pietro Vernotico (Br) LA DOTTRINA DI FILONE terra, e non da Dio
direttamente, ma dalle sue potenze o ministri, è di natura sensibile,
materiale, naturalmente mortale, capace del bene, ma anche del male. L’uomo
intelligibile è un riflesso diretto del Logos divino, quindi possiede tutte le
virtù che lo fanno simile a Dio. L’uomo terrestre realizza solo in parte
quest’idea, perchè l’ani¬ ma, partecipe dello spirito divino, si trova ad
abitare in un corpo mortale, fatto di forze inferiori. Di qui la doppia natura
dell’uomo: egli si trova come al confine dei due mondi, del mondo sensibile e
del mondo intel¬ ligibile. Per esprimere questo concètto Pilone riproduce a
modo suo la distinzione aristotelica dell’anima vegetativa, sen¬ sitiva e
razionale; oppure la teoria stoica dello rnsOpa, che pure conservando
nell’espressione la reminiscenza del suo significato materialista, si viene
sempre più spi¬ ritualizzando: è lo spirito, il soffio divino nell’uomo; so¬
prattutto, si ricorda delle immagini platoniche che il corpo è come una
prigione dell’anima. Quello che più importa a Filone è l’opposizione tra la
parte irrazionale e quella razionale dell’uomo. Che cosa è l’uomo? Tutto per la
sua origine divinò e il suo carattere razionale, nulla per la sua natura
mortale e finita. Api>arisce come un’incomprensibile mescolanza di grandezza
e di piccolezza, il più vicino a Dio, ma an¬ che capace di male, miserabile,
mortale. Mentre tutte le piante rivolgono o dirizzano le loro corolle verso il
sole, l’uomo può, pianta celeste nudrita di elementi divini, ele¬ varsi verso
il cielo, ma questa sua libertà è come appe¬ santita dal peso del corpo. E
qual’è dunque il compito e il destino dell’uomo? 270 FILOSOFIA
GIUDAICO-ALESSANDRINA Il restaurare in sè l’immagine di Dio, il somigliare a
lui, il seguire la natura, clie sono frasi platoniche e stoiche, ma con un
nuovo significato. Pilone combatte gli Epicurei, e considera il piacere come il
massimo impedimento alla vita divina; accetta la for¬ mula stoica del seguire
la natura, e distingue le quattro virtù cardinali, che trova simboleggiate nei
quattro fiumi del Paradiso; insegna non la sola metropatia ma l’apa¬ tia, è
insomma l’ideale del saggio stoico, salvo che il seguire la natura diventa per
lui obbedire alla volontà di¬ vina. La morale è aneli’essa rivelata: essa si
trova tutta quanta nelle leggi generali è particolari che emanano da Dio. La
virtù dell’uomo è un’ombra della volontà divina; e lungi dall’essere un Dio, il
saggio riceve la virtù come un dono della grazia divina, e un dono sem¬ pre
rinnovato. In quest’ Etica teologica le quattro virtù cardinali ri¬ cevono il
loro compimento nelle virtù religiose, che sono la fede e la pietà; e la vita
contemplativa, di cui fanno parte le virtù religiose, è superiore alla vita
attiva, che consiste nella pratica delle virtù cardinali. E come l’anima,
allontanandosi da Dio, s’è legata in questa vita dei sensi, così essa può
ritornare a Dio ; e l’ultimo grado della perfezione umana è l’unione conDio, la
deificatio, la visione estatica. L’ uomo può solle¬ varsi al di sopra dei
sensi, al di sopra delle idee; e-poichè l’essenza di Dio è inconoscibile, così
quest’unificazione con Dio non è possibile mediante la conoscenza razio¬ nale,
ma avviene per la grazia di Dio che si comunica a noi, in una specie di
rapimento eh’è in noi come il furore dei coribanti, dice Filone con frase
platonica; e iBiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)
LA DOTTRINA DI FILONE 271 limite della felicità, la più alta aspirazione
dell’uomo è, mediante quest’estasi, il riposare in Dio: sv jaóvcj) Osm axf;vai.
Questa è nei suoi tratti fondamentali la filosofìa di Fi¬ lone ebreo, eh’è in
fondo anch’essa una filosofia eclettica, in quanto profitta di tutte le
filosofie anteriori; ma è ca¬ ratterizzata specialmente dal suo carattere
religioso e dalla mescolanza d’idee greche con idee o credenze ebraiche.
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ff " lVJ
! 'h 1 -, 'XIX. NEOPITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI 1. I Neopitagorici.
Apollonio di Tiana - 2. I Platonici. Plu¬ tarco. - 3. Numenio. 1. - Le stesse
tendenze religiose e mistiche, che abbiamo visto in Filone ebreo, ritroviamo
sul terreno greco in quel gruppo di filosofi che si sogliono denominare
Neopitago¬ rici e Platonici eclettici più o meno pitagorizzanti, che si possono
considerare anch’essi come precursori e prepara¬ tori del Neoplatonismo
propriamente detto. L’antica scuola pitagorica, come un complesso di dot¬ trine,
era estinta sin dal quarto secolo, al tempo di Ari¬ stotile; ma come forma e
metodo di vita, che si diceva appunto vita pitagorica, come disciplina di
pratiche morali pure e austere sanzionate da credenze religiose, il Pita¬
gorismo doveva aver conservato dei fedeli, tra i quali abbiamo già nominato i
due Sestii ed altri. A cominciare dagli ultimi cinquantanni che precedono Péra
cristiana e poi nei due o tre secoli che seguono, il Pi¬ tagorismo rinasce e si
diffonde: non solo si cercano i libri degli antichi pitagorici, ma se ne
scrivono anche degli altri,-che si attribuiscono a Pitagora stesso o ai suoi
se-Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico (Br) guaci:
tutta una letteratura apocrifa, come i Versi d'oro di Pitagora, che sono una
serie di precetti morali, il trattato di Timeo di Locri a\\WAnima del mondo,
quello di Ocello Lucano sulla Natura del tutto, in parte, se non interamente, i
libri attribuiti a Filolao e ad Archita di Taranto, anche ad alcune donne
pitagoriche, come la famosa Theano e altre, perchè una delle specialità dei
Pitagorici era di avere un grande rispetto della donna. Sono opere dovute a
falsari di buona fede, i quali ri- spondendo ai bisogni del tempo, senza
nessuno scrupolo critico, e attingendo a tutte le filosofie contemporanee o
anteriori, davano una filosofìa completa, delle idee intorno a Dio, il mondo,
1’ uomo, la società, la virtù, mettendo queste idee sotto il patrocinio di un
nome illustre e au¬ torevole: il bisogno di appoggiarsi a un’autorità vene¬ rata
era uno dei bisogni del tempo. La stessa leggenda di Pitagora si compie in
questo tempo, si arricchisce di nuovi tratti meravigliosi: la sua vita diventa
un mito. JB oltre poi alle opere apocrife, ce ne furono delle altre pubblicate
dai loro autori coi loro veri nomi, e che sono appunto i Neopitagorici. Si
possono e si sogliono citare come rappresentanti di questo indirizzo un Nigidio
Fi- gulo, eh’è nominato da Cicerone come rinnovatore del Pitagorismo in
Alessandria verso il 50 a. C., Sozione, sco¬ laro dei Sestii, che abbiamo pure
nominato, poi più spe¬ cialmente Apollonio di Tiana, Moderato di Gades, e M-
comaco di Gerasa sotto gli Antonini. La figura più importante e caratteristica
che possiamo prendere come rappresentante di tutto questo indirizzo è Apollonio
di Tiana, nella Cappadocia, il quale nacque sotto Augusto e visse fino agli
ultimi anni del primo se- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melfi” - San Pietro
Vernotico (Br) 274 NEOPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI . colo dell’e. v., e la
cui efficacia si estende molto al di là del tempo in cui visse.
Più di un secolo dopo la sua morte, nei
primi decenni del 200, ne scrisse la vita un sofista di quel tempo, Fi¬
lostrato di Lemno, in una specie di romanzo che vorrebbe essere storico, a
richiesta dell’imperatrice Giulia Doinna, moglie di Settimio Severo, la quale
era una bella donna, originaria della Siria, ambiziosa e colta, che non solo
fa¬ ceva, occorrendo, della politica, ma aveva il gusto delle lettere e della
filosofìa, e raccoglieva alla sua corte un circolo di persone istruite più o
meno illustri. In questo libro Apollonio è presentato come un tipo di
perfezione morale e religiosa, secondo i precetti della filosofìa pitagorica,
come un essere più che umano, non filosofo solamente, ma qualche cosa di mezzo
tra la na¬ tura umana e la natura divina. Ha una nascita meravi¬ gliosa e fa
anche dei miracoli. Cosicché è difficile, da questa vita dì Filostrato,
sceverare la parte storica dalla leggenda, quello eh’è stato realmente
Apollonio da quello ch’è diventato nell’immaginazione dei suoi ammiratori. Ce
lo possiamo raffigurare come una specie di riforma¬ tore morale e religioso
che, dopo essersi istruito nella filo¬ sofia e avere accettato quella di
Pitagora o che passava per pitagorica, esercita un apostolato predicando la co¬
noscenza del vero Dio e il culto che gli è dovuto. In un frammento di lui che
ci è conservato da Eusebio, egli dice: « Per onorare degnamente la divinità e
render¬ sela propizia e benevola, non giova, al Dio che diciamo primo e ch’è
uno e separato da tutte le cose, offrir sacrifizi nè accendere fuoco nè in
generale consacrare alcuna cosa sensibile; giacché egli non ha bisogno di
nulla, e non c’è Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli - San Pietro Vernotico
(Br) ** «sa '■. ■'jjìi AFOLLONIO DI TIANA pianta che la terra produce nè
animale eh’essa o l’aria alimenta, che non sia inquinato di qualche macchia.
Quelloche dobbiamo offrirgli è il meglio di noi, il discorso della mente, non
le parole che escono dalla bocca, ma invocare da lui, eh’è il migliore degli
esseri, il nostro bene con quello che abbiamo di meglio in noi, lo spirito, il
pen¬ siero (il vo0$), che non ha bisogno di un organo con cui rivelarsi Al di
sotto di questo Dio primo ve n’ ha degl’ inferiori o secondari, primo dei quali
è il sole, la più pura mani¬ festazione visibile del divino. L’uomo è d’essenza
divina e può per la saggezza elevarsi fino a Dio. La sua anima è immortale,
anzi eterna: essa passa da un corpo in un altro, ma in ogni corpo è in
prigione, incatenata ai sensi e agl’impulsi disordinati, da cui la filosofìa ha
per oggetto di liberarlo. Bisogna conoscere moralmente se stessi per arrivare
alla virtù e alla saggezza. Colui che pratica tutte le virtù, che conserva la
sua vita interamente pura, e sa adorare Dio con adorazione vera, s’avvicina
sempre più a Dio, diventa partecipe del divino. Ora è qui che comincia a
lavorare la leggenda: questa dottrina non è solamente insegnata, ma è vissuta
da Apol¬ lonio, nella biografia che ne scrive Filostrato: egli stesso è l’uomo
divino, la personificazione vivente della perfe¬ zione spirituale e della
potenza a cui può giungere l’uomo. Gli abitanti del paese di Tiana, dov’egli è
nato, pre¬ tendono ch’egli è figlio di Giove; Filostrato non lo crede, ma
afferma che venne al mondo in condizioni straordi¬ narie, dopo che sua madre ebbe
appreso in sogno che portava il dio Proteo, il dio dellà divinazione, in
persona. Dopo avere abbracciata la vita pitagorica ed essersi for- Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) 276 NEOPITAGORICI E
PLATONICI ECLETTICI mato nel silenzio per cinque anni, viaggia per il mondo, in
Oriente, in Grecia, a Roma, in Egitto, in tutti i paesi allora conosciuti,
conversa coi sapienti di tutti i paesi, istruendosi e ammaestrando gli altri,
preceduto da una gran fama e facendo delle cose maravigliose. A Efeso ferma la
peste facendo lapidare un vecchio mendicante, il quale difatti non è altro che
un demone camuffato, nel quale s’era incarnato il flagello. Ad Ales¬ sandria
riconosce istantaneamente in un corteo di con¬ dannati a morte un innocente. A
Efeso pure egli sa e annunzia la morte di Domiziano nel momento in cui que¬ sto
è colpito a Roma: un bel caso di telepatia. Non solo sa delle cose sconosciute
a tutti gii altri uo¬ mini, ma dispone di un vero potere sugli elementi della
natura: sulle rive dell’Ellesponto ferma i terremoti. Parla tutte le lingue
senza averle imparate, scaccia i demoni, si trasporta istantaneamente a grandi
distanze, s’intrat¬ tiene con le ombre degli eroi, fa cadere i suoi ferri in
prigione col solo prestigio della sua volontà, richiama in vita una ragazza che
passava per morta. A Corinto, apre gli occhi di uno dei suoi discepoli
perdutamente innamo¬ rato di una donna molto bella e ricca in apparenza, ma
ch’era in realtà una lamia, uno di quei cattivi demoni femminili che si fanno
amare dai giovani per poterli di¬ vorare a loro piacere. E non già ch’egli sia
un mago, uno stregone, che operi prodigi grazie all’intervento di spiriti
maligni; no, Filo¬ strato si dà una gran pena per escludere questa interpre¬
tazione. Apollonio fa dei miracoli in virtù della sua scienza superiore e della
sua cola unione con gli Dei; e per ar¬ rivare fino a questo punto quello che
occorre è una virtù Biblioteca Comunale “Giuseppe Mei li” - San Pietro
Vernotico (Br) APOLLONIO DI TIANA 277 austera, un’estrema purezza di costumi e
l’osservazione di una disciplina rigorosa. Così egli ha la conoscenza delle
cose più nascoste all’uomo, predice l’avvenire, e opera dei miracoli. La sua
carriera si termina aneli’essa in modo meravi¬ glioso. La leggenda più diffusa
intorno alla sua morte racconta che, essendo andato a Creta vecchissimo, entrò
nel tempio di Diana e non ne uscì più. Si sentirono come delle voci di
fanciulle che cantavano nell’aria: lasciò la terra, salì al cielo. Dopo la sua
morte, la città di Tiana gli rese onori divini, e la venerazione di tutto il
mondo pagano attestò l’impressione lasciata negli spiriti dal pas¬ saggio di
quest’essere soprannaturale, che faceva dire ai suoi contemporanei: Un Dio
abita fra noi J ). Questo carattere meraviglioso della vita di Apollonio ha
fatto credere che fosse intenzione di Filostrato e della sua ispiratrice di
opporre una specie di Cristo pagano a quello della Chiesa nascente, che
guadagnava sempre più adoratori. Per combattere il prestigio che la storia e
l’in¬ segnamento di Gesù esercitavano di giorno in giorno non solo sulla folla,
ma in tutte le classi della società, avreb¬ bero pensato di suscitargli contro
un rivale in un saggiopagano, che non solo operava miracoli come l’altro, ma
che professava una dottrina attinta alle più pure fonti della scienza ellenica.
Ora la più parte dei critici non credono a questa in¬ tenzione o tendenza del
romanzo, nel quale non si allude affatto e non si può dire che ci sia uno
spirito ostile al Cristianesimo. Il romanzo è piuttosto interessante innanzi q
Cfr. .1. Réville, La veli gioii (ì Home som ìes Sé vèr eh (Paris, Levous,
1886). Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)
ttw>- T y -, ^st'^- =^ 1 ^ l ",« ■ v ^ ^ ^ ^ ■■-■" 1 ‘ ; ,ì :
'ri'. -■■■'*■';? '/ '' '/.^ ■'- "■ 7' ■ " .'. V t ■ 278 NEOPIT AG
ORICI E PLATONICI ECLETTICI tatto per il fatto stésso che, alla distanza di
poco più di un secolo, la vita di un filosofo neopitagorico come Apol¬ lonio
sia potuta diventare materia di una leggenda co¬ siffatta: è un documento
interessante non solo di quel- V atmosfera meravigliosa e della credulità in
cui si svolgeva la lotta delle religioni; ma soprattutto di quella religiosità
spirituale che tendeva a purificare e moralizzare il pa¬ ganesimo, e del bisogno
che si sente di presentare l’ideale \ religioso come incarnato in una figura
concreta, santa e beila di quell’ideale stesso, e operatrice di miracoli, per¬
chè avesse più presa sulle coscienze e la forza di comu¬ nicarsi. Il saggio
stoico o quello di Epicuro sono costru¬ zioni razionali che non bastano più:
occorre la figura vivente e reale dell’ uomo che s’india, che rappresenta la
natura umana divinizzata. A questo bisogno, a quest’aspirazione religiosa delle
anime, rispondono ora le figure di Pitagora e di Apol¬ lonio. Del quale
sappiamo anche che scrisse una Vita di Pitagora. L’uno e l’altro sono uomini
divini, modelli di vita pura e santa, nei quali la verità si è rivelata, i
Quando poi questi Neopitagorici cercano di formulare filosoficamente le loro
credenze e le loro massime etico religiose, essi mescolano alle idee
pitagoriche concetti ela¬ borati dalla filosofia posteriore, platonici,
aristotelici, stoici : di qui il carattere eclettico e recente della loro
specula¬ zione, e per cui è facile riconoscere quelle falsificazioni della
letteratura apocrifa che abbiamo detto. L’idea fondamentale è l’opposizione tra
Dio e il mondo: Dio è l’uno, la monade primitiva: il mondo è rappresen¬ tato
dal due, dalla dualità indeterminata, è il molteplice. Ma siccome nel mondo
tutto è ordinato con numero e Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) PLUTARCO 279 mitilira, esso si può dire l’attuazione d’idee, che
sono pen¬ sieri della mente divina, che s’identificano aneli’esse coi numeri; e
poiché Dio non può venire in contatto diretto col mondo, sorto realizzate da un
essere intermedio, dal- l’anima del mondo in una materia preesistente, la quale
pure talvolta resiste a questa penetrazione delle forme divine; ed è nella
materia che bisogna cercare la causa delle imperfezioni e del male nel mondo.
Questo dualismo si ripete, si ripercuote nell’uomo: l’anima ha bisogno di
purificarsi con la vita santa, con le espiazioni, per ridiventare divina. È
stato osservato che in/queste speculazioni ora è ac¬ centuato il concetto
monistico del principio unico da cui tutto il resto sarebbe derivato; ora
invece, e più spesso, prevale la concezione dualistica del principio divino e
di una materia originaria. Il problema del male s’.è posto davanti alla coscienza
religiosa e alla riflessione filosofica, e l’una e l’altra s’affaticano a
risolverlo cercando di su¬ perare l’antitesi tra il divino e il suo contrario,
tra il corpo o la materia e le aspirazioni superiori dell’anima. 2. - Il
problema in fondo era nato con la distinzione pla¬ tonica tra il mondo
sensibile e il mondo intelligibile. E di tutte le autiche scuole nessuna doveva
sentirsi più vicina all’ indirizzo neopitagorico della scuola platonica, per la
ragione eccellente che Platone stesso aveva accolto nella sua dottrina elementi
pitagorici, aveva finito col pitago- reggiare identificando le sue idee coi*
numeri, e speculando su Dio e l’anima e la formazione del mondo materiale alla
maniera dei pitagorici nel Timeo, il quale Timeo era quel Timeo di Locri
pitagorico, da cui Platone fa esporre' v* ■i' r280 NEORITAG ORICI E PLATONICI
ECLETTICI appunto la sua filosofia della natura nel dialogo che porta quel
nome. Così è che V indirizzo dei Neopitagorici si può dire con¬ tinuato nel
secondo secolo d. 0. da un gruppo di Platonici eclettici, tra i quali, senza
citare altri nomi, possiamo ri¬ cordare due scrittori notissimi, Plutarco e
Apuleio; e poi, per la sua importanza caratteristica, Numenio di Apamea, che
ora è detto pitagorico ed ora platonico. Plutarco di Cheronea, che visse tra il
48 o 50 e il 120 o 24 dell’e. v., è Fautore celebre delle Vite parallele, che
hanno educato tanta gente all* amore della virtù e del- l l eroismo, e poi di
una quantità di opuscoli che si so¬ gliono designare col titolo complessivo di
Opere morali. Egli è un poligrafo, moralista principalmente, anche nelle Vite,
ma è curioso di tutto, erudito, istruttivo e piacevole: le sue opere sono una
specie di enciclopedia, un reper¬ torio di notizie e d’idee su tutta
l’antichità classica, che egli, venuto tardi, ammira in tutte le sue forme; e
come ha celebrato nelle sue Vite la storia dei suo popolo e degli eroi antichi,
così si assimila la scienza, la religione, la mo¬ rale dei padri, e se ne fa
l’interprete ai contemporanei e ai secoli futuri. Uomo religiosissimo, ha nella
sua patria e a Delfo fun¬ zioni sacerdotali. Ama la filosofia, e l’ha anche
insegnata. Si dice platonico, e ammira Platone come il più grande dei filosofi,
ma ha imparato anche da tutti gli altri; e da quel¬ l’uomo istruito che è, e
non nella filosofia solamente, ha qualche volta la riserva prudente dei nuovi
Accademici. Il che non gl’impedisce di avere non precisamente un sistema, ma
una dottrina eh’è come il risultato di tutte le dottrine anteriori. Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) PLUTARCO 281C 1 ? '
-La sua filosofia ha un intento essenzialmente morale e religioso: egli vuole
mantenere e difendere la tradizione religiosa anche nei suoi miti e nelle sue
pratiche, inter¬ pretandola secondo principi filosofici, in modo cioè che non
faccia ostacolo a una concezione pura e degna della di¬ vinità. La filosofia è
la rivelatrice e l’interprete del segreto sacro e divino che i miti contengono,
togliendo le conce¬ zioni false e le menzogne che talvolta i poeti raccontano.
Plutarco combatte l’ateismo, ma combatte pure la su¬ perstizione, quella
ch’egli chiama 5esoi8ac|xovfa, la paura ser¬ vile degli Dei: invece la fiducia
e la gioia accompagnano il vero culto eh’ è loro dovuto. Combatte gli Epicurei
per il loro materialismo, ma com¬ batte anche gli Stoici, che col loro
principio unico non possono rendere ragione del male nel mondo. E qui apparisce
il platonico. Non è possibile, egli dice, porre il principio delle cose nè nei
corpi senz’anima (ne¬ gli atomi) come fanno Democrito ed Epicuro, nè nella
ragione formatrice di una materia senza qualità. Nel pri¬ mo caso non si
capisce come vi possa essere bene, ordine, ragione nel mondo; nel secondo caso
non si capisce come ci possa essere il male, il disordine. D’onde viene il
male? Non dal bene, non da Dio cer¬ tamente. E nemmeno dalla materia, come
molti pensano, perchè la materia per se stessa è assolutamente passiva, il
sostrato indifferente di tutte le forme, non è nè buona nè cattiva. Per
spiegare dunque la cosa, bisogna ammet¬ tere che come c’ è un’ anima del mondo
che realizza le idee divine, ci sia anche una cattiva anima del mondo, un
principio o potenza del male che esiste da tutta eter¬ nità col bene, il quale,
benché superiore, non può mai an- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) 282 NEOFITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI nientare quella
potenza eh’ è Y origine e la causa di tutto ciò clie v’ lia di disordine nel
mondo, e rende conto della generazione del male. Il motivo di questa
speculazione è eliminare, di fronte alla realtà del male, tutto ciò che può
compromettere la purezza e la bontà di Dio, a costo di compromettere la sua
onnipotenza. Di qui im J altra idea affine e connessa con questa. Dio è il
principio del bene e governa il mondo con la sua provvidenza; ma questa
provvidenza non si esercita di¬ lettamente da lui, ma per mezzo di esseri
intermediari che sono tra Dio e il mondo. Al di sotto del Dio primo e supremo,
realtà trascendente e inaccessibile, ci sono gli Dei celesti o visibili, e al
di sotto di questi i demoni o genii o spiriti che vigilano e governano
direttamente le azioni e le sorti degli uomini; e come ce ne sono dei buoni, ce
ne sono anche dei cattivi, nei quali la natura divina apparisce inquinata e commista
al male. Questa demonologia, clPè insegnata anche da Apuleio, ed è una delle
credenze più diffuse in quest’età, serviva non solo a mantenere puro nella sua
sublimità trascen¬ dente il concetto di Dio, ma anche a giustificare in qualche
modo tutte le divinità pagane, e le funzioni loro attri¬ buite, e i riti e gli
oracoli e tutte le altre parti del culto che vi erano connesse. E infine
un’altra idea domina la speculazione religiosa di Plutarco, quella di trovare a
traverso la diversità dei miti e delle credenze dei diversi popoli una verità
fon¬ damentale. A quello eh’ è stato detto il sincretismo reli¬ gioso, il
mescolarsi di tutte le religioni, ch’è caratteri¬ stico di questi secoli,
corrisponde il sincretismo eclettico Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) NUMENIO 283 dei filosofi, i quali aspirano a formulare la
verità religiosa comune ai diversi .sistemi e alle diverse civiltà. Non ci
sono, dice Plutarco, diversi Dei per diversi po¬ poli, non ci sono Dei barbari
e Dei greci, Dei del nord e Dei del sud. Ma come il sole e la luna illuminano
tutti gli uomini, come il cielo, la terra e il mare esistono per tutti,
nonostante la diversità dei nomi con cui si desi¬ gnano, così vi ha una sola
Intelligenza che regna nel mondo, una sola Provvidenza che lo governa, e sono
le stesse potenze che agiscono dapertuttó; solo i nomi can¬ giano come le forme
del culto; e i simboli che elevano lo spirito verso ciò eh’ è divino sono ora
chiari ora oscuri. Idee affini e tendenze mistiche anche più pronunziate si
ritrovano in Apuleio di Madaura, che anch’egli pro¬ fessa ed espone il
platonismo, adattandolo ai bisogni teo¬ sofici del tempo. 3. - Ma di tutti
questi filosofi eclettici del secondo se¬ colo quello che segna più nettamente
il passaggio al Neo- platonismo è Numenio di Apamea: gli stessi Neoplato¬ nici
lo considerano come il loro precursore immediato: lo leggono e lo commentano
nella loro scuola. Secondo Numenio, che visse verso il IfiO, la vera dot¬ trina
di Platone era identica a quella di Pitagora; e questa filosofia egli la trova
d’accordo con quella dei saggi dei- fi Oriente, Bramani, Magi, Egiziani, Ebrei.
Egli aveva in particolare la più viva ammirazione per Mose, nel quale trovava
tutte le idee di Platone; di qui quel motto che ci è riferito di lui : Che cosa
è altro Platone se non un Mosè che parla attico (atticizzante) ?, a quel modo
come di Filone ebreo si diceva: o Filone platonizza o Platone fìlonizza. 284
NEOPITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI Numenio conosce certamente Filone e adopera
lo stesso metodo d’interpretazione allegorica, e ha tendenze affini nella sua
speculazione : cosicché qui il sincretismo è com¬ pleto: la tradizione
orientale e occidentale si congiungono a produrre la nuova filosofìa. Dei libri
di Numenio, uno dei quali s’intitolava intorno al Bene, ci rimangono dei
frammenti interessanti conser¬ vatici da Eusebio, e che si possono vedere nel
3° volume del Mullach, Frammenta pliilosopliorum graecorum. Numenio si domanda:
che cosa è l’essere, la vera realtà? Non i quattro elementi, nè i corpi
composti da essi, che sono realtà mutevoli, cangianti, si trasformano,
divengono sempre e non sono mai, come diceva Platone; e nemmeno la vera realtà
si può cercarla nel sustrato materiale di tutti questi fenomeni sensibili, nella
materia, la quale è qualche cosa d’indefinibile e d’irragionevole (àXoyo?). Per
conoscere la vera realtà bisogna rivolgersi non al- 1’ esperienza sensibile, ma
alla ragione. Per Numenio la realtà è ciò che è assolutamente, l’ Essere
increato e che non sarà distrutto, l’Essere semplice e invariabile. Que¬
st’essere è incorporeo (cèawpaiov), ed è intelligibile (voyj-cóv), si può
cogliere con la ragione solamente, non con la sen¬ sazione o con l’opinione,
come le cose periture e finite. Con questo Numenio esprime la tendenza di tutto
questo movimento d’idee: l’opposizione a ogni materialismo, non solo a quello
degli Epicurei, ma anche a quello degli Stoici: il bisogno di concepire la
realtà ultima come una realtà spirituale diversa e opposta a tutto ciò eh’ è
cor¬ poreo. Da queste considerazioni metafisiche Numenio ricava la sua dottrina
teologica. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico
(Br) NUMENIOLa quale, per dire la cosa con tutta brevità, consiste in questo:
nell’ammettere un Dio supremo inaccessibile, puro essere spirituale, senza
connessione col mondo, eh’è pura agione ed è il Bene in se stesso; poi un Dio
se¬ condo, il Demiurgo, eh’è l’ordinatore o l’architetto del mondo; e per
ultimo un terzo Dio, eh’è il mondo stesso. Dato il concetto trascendente del
puro Essere come 10 abbiamo definito, e eh’è il primo Dio, nasce la solita
difficoltà: com’è possibile l’azione di Dio sul mondo. Come Filone unificava le
idee e le potenze divine nel concetto del Logos, come gli altri platonici ponevano
degli Dei o demoni intermediari tra Dio e il mondo, così Nn- menio statuisce al
disotto del primo Dio un secondo eh’è 11 Demiurgo, distinguendo in certo modo
quello che Pla¬ tone identificava: il Demiurgo era per Platone, a dir così, la
funzione divina per rispetto al mondo. hTumenio ne fa un secondo essere divino,
il quale partecipa della bontà del primo, e ne riceve i semi di tutte le cose
che sono le Idee, ma trapianta questi semi nel mondo sensibile formando e
ordinando il mondo. Sicché il Demiurgo ha una posizione intermedia : è come un
pilota che, assiso al governo del mondo, ha sempre gli occhi fissi sul cielo e
1 gli astri, per assicurare l’armonia dell’ordine del mondo, che dirige
mediante le Idee, ossia dunque ha sempre gli occhi fissi al primo Dio; ma
d’altra parte, e appunto per la sua fuuzione causale e formatrice sul mondo, il
suo sguardo e la sua azione è rivolta verso le cose sensibili, che ricevono da
lui la loro persistenza, la loro vita, il loro ordine, le leggi dell’essere
loro. E in quanto il mondo è fattura del Demiurgo, si può dire esso stesso un
Dio. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br
.TTJfcV^VF.286 NE OPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI Cosicché avremmo: il primo
Dio eh’è il padre (icaxrjp), il secondo Dio eli’è il Demiurgo, l’artefice
(mr]T%), e il terzo clP è il 7ioùj|i«, la fattura di Dio, il mondo in quanto
formato da Dio. Questo è il cosiddetto triteismo che in¬ segna Numenio. ' Del
quale un’altra dottrina caratteristica è che l’anima umana è duplice: un’anima
razionale e un’anima non ra¬ zionale: queste due nature sono in lotta fra loro,
come il bene e il male, e il male viene all’anima dalla materia,o dal suo
contatto con la materia, e tutte le incorpora¬ zioni dell’anima sono
considerate come un male. Si suppone la preesistenza e la trasmigrazione delle
anime; 1’ unione dell’anima con un corpo terrestre è come la punizione di una
colpa commessa in una vita ante¬ riore, prima della nascita in quel dato corpo.
E l’aspira¬ zione suprema dell’anima razionale è la sua unione con Dio, la
contemplazione o l’intuizione del vero Bene, Uno stato di beatitudine di cui
possono godere solo quelli che allontanano la loro anima da ogni comunicazione
col corpo e coi sensi. Cosicché avremmo qui, e con maggiore nettezza, for¬
mulate le idee e le esigenze di tutta questa speculazione da Filone in poi: la
trascendenza del divino, un termino o più termini intermediari tra Dio e il
mondo, la doppia natura dell’uomo o dell’anima, che da una parte è di Ori¬ gine
divina, e dall’altra è rivolta verso la materia e le cose terrene; quindi il
bisogno della purificazione e della liberazione per avvicinarsi a Dio e unirsi
con Dio: idee e esigenze che troveranno la loro espressione più com¬ piuta
nella filosofia dei Neoplatonici. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br)IL NEOPLATONISMO. PLOTIN1. Ammonio Sacca - 2. Vita e
scritti di Plotino - 3. Le tre ipostasi - 4. L’Anima; il mondo sensibile - 5.
L’uomo, la
purificazione, l’estasi. 1. - La
Filosofia greca finisce col sistema e la scuola (lei Neoplatonici. Fondatore
del Neopfatonismo è ritenuto dagli antichi e dagli stessi Neo pi atonici
Ammonio Sacca > alessandrino, che visse tra il 175 e il 240 d. C.; nato ed
educato da genitori cristiani, sarebbe passato alla religione antica; e insegnò
filosofìa in Alessandria. Non scrisse nulla, e non sappiamo niente di preciso
sulle dottrine che pro¬ fessava: ci è riferito che secondo lui le dottrine di
Platone e di Aristotile, nelle cose essenziali, concordavano, si po¬ tevano
ridurre o fondere in una sola dottrina. La tendenza religiosa dell 7 uomo,
oltre che l’ammirazione che ispirava, si può concludere dall’epiteto di
0£o5iBaxToc, a Deo doctus, che scrittori posteriori gli danno. Ebbe, molti
scolari: si citano tra gli altri un Erennio, un Origene pagano che non è da
confondere col teologo cristiano dello stesso nome, quantunque anche di questo
è detto che passò per la scuola di Ammonio; poi il critico Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO e retore Longino a
cui è stato attribuito (falsamente) il trattato Del sublime; ma sopraffatti
importante fra gli scolari di Ammonio Sacca è Plotino. Questi tre scolari
principali, Erennio, Origene e Plotino s’erano messi d’accordo di non
pubblicare nulla degl’ in¬ segnamenti di Ammonio, probabilmente per non profa¬
narli divulgandoli; ma non essendo stati ai patti prima Erennio e poi Origene,
anche Plotino si ritenne sciolto dalla sua parola, e così insomma egli è
diventato per noi il rappresentante letterario, il vero organizzatore ed espo¬
sitore di quel sistema d’idee eh’è il Neoplatonismo. Quali che siano stati
gl’insegnamenti di Ammonio, la filosofia neoplatonica è la filosofia di Plotino
e poi dei suoi suc¬ cessori. 2. - Plotino era di Licopoli, nell’Egitto, e visse
dal 204 (o 205) al 270. A 28 anni si diede alla filosofìa e udì più d’uno dei
maestri eh’erano allora in Alessandria, senza rimanerne contento; ma quando un
amico, al quale s’era confidato, lo condusse a sentire Ammonio, disse : è
quello che cercavo; e rimase suo scolaro per 11 anni. Nel 243, desiderando
conoscere nelle sue fonti la sag¬ gezza orientale dei Persiani e degl’indiani,
accompagnò l’imperatore Gordiano nella sua spedizione contro la Persia; ma
questa spedizione riuscì male; lo stesso impe¬ ratore vi fu ucciso ; Plotino
potè appena salvarsi in An¬ tiochia, poi venne a stabilirsi a Poma nel 244 e vi
rimase quasi fino all’ultimo della sua vita. Aperse una' scuola ' che Ìventò
sempre più numerosa. Non tanto il talento della parola, quanto la profondità
dei pensieri, la bontà del carattere, la purezza e semplicità della vita gli
atti- oteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico ( B r )
ravano la simpatia e la venerazione. Era una natura mite e gentile, meditativo,
tutto dedito all’insegnamento e allo studio. Diventava bello quando parlava, e
specialmente quando disputava, con grande dolcezza: la sua intelli¬ genza
sembrava brillare sul suo viso e illuminarlo. Do¬ vette esercitare una potente
efficacia. Tra i sxioi ascolta¬ tori furono persone di riguardo, dei senatori e
alcune donne distinte. Ci furono uomini e donne, che, vicino a morire, gli
affidarono i loro figli d’ambo i sessi, con tutti i loro beni, come a un depositario
o un tutore di cui si poteva avere fiducia: onde la sua casa era piena di gio¬
vanetti e di giovanotte. Egli guardava a tutto, adempiva a tutti i suoi
obblighi, il che non lo distraeva punto dalle cose intellettuali, ch’erano la
passione della sua vita. L’im¬ peratore Gallieno e sua moglie, l’imperatrice
Saloniua, lo ebbero in grande favore, 27egli ultimi anni del filosofo fu
ventilata pef un momento tra lui e l’imperatore l’idea di fondare nella
Campania una città filosofica sul modello di quella di Platone, e che si
sarebbe chiamata Platono- poli ; ma non se ne fece nulla. Le condizioni della
sua salute peggiorata (soffriva di un’affezione cronica dello stomaco) lo
decisero ad abbandonare Roma e a ritirarsi in una villa della Campania che fu messa
a sua disposi¬ zione. Morì nel 270, a 66 anni, presso Minturno. Al me¬ dico,
suo amico e discepolo, che venne a vederlo, Plotino morente avrebbe detto : Ti
aspettavo, prima di riunire quello che v’ha di divino in noi al divino che è
nell' uni¬ verso. Tutte queste cose si leggono nella Vita che ne scrisse il suo
scolaro Porfirio, il quale comincia la sua biografia con queste parole: Il
filosofo Plotino, vissuto ai nostriBiblioteca Comunale “Giuseppe Me Ili” - San
Pietro Vernotico {B r ) NEOPLATONISMO giorni, pareva si vergognasse di avere un
corpo. Così pure egli non parlava mai della sua famiglia e della sua patria; e
gli ripugnava di farsi fare un ritratto o un busto. Un giorno che Amelio (un
altro degli scolari) lo pregava di lasciarsi ritrarre, Plotino gli disse: Non
basta di portare quest’immagine nella quale la natura ci ba chiusi? Bi¬ sogna
proprio trasmettere alla posterità l’immagine di questa immagine come un
oggetto che valga la pena di essere guardato? Dobbiamo soprattutto a Porfirio
se possiamo leggere Plotino. Il quale s’era contentato per molti anni
dell’inse¬ gnamento orale, e solo a cinquantanni aveva cominciato a mettere, in
iscritto le sue idee. Scriveva rapidamente, tutto assorbito dal suo pensiero,
lungamente e intensa¬ mente meditato, senza curarsi molto dello stile e nemmeno
dell’ortografia: non si rileggeva, anche per la vista debole che aveva. Verso
la fine della sua vita affidò a Porfirio i suoi manoscritti con l’incarico di
rivederli e ordinarli. Porfirio trovò eh’essi contenevano o se ne potevano
rica¬ vare 54 trattati o capitoli, li distribuì in sei gruppi ciascuno di nove
libri, e chiamò questa raccolta Enneadi, come chi dicesse Novene, sei Enneadi
di nove libri ciascuna. Questa è l’origine dell 1 Enneadi di Plotino, il libro
fon¬ damentale della speculazione neoplatonica, e uno dei te¬ sori della
letteratura mistica di tutti i tempi. Fu tradotto in latino da Marsilio Ficino
nel 1492. 3.-11 Neoplatonismo è una filosofia essenzialmente reli¬ giosa; il
motivo da cui è nata si può dire anzi mistico: l’aspirazione verso il divino,
il bisogno dell’ anima di sol¬ levarsi dai limiti dell’esistenza finita, e di
sentirsi una Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico
(Br) PLOTINO : IL MONDO INTELLIGIBILE 291 VP* con l’essenza universale di tutte
le cose. L’idea fonda- mentale e dominante della filosofia di Plotino è che
tutte le cose esistono in Dio, emanano da lui e ritornano a lui; e questo non
come una cosa solamente pensata, ma sen¬ tita e vissuta in tutte le fibre
dell’anima, con uno sforzo persistente del pensiero di penetrare nei misteri di
questa vita divina di se stessi e del mondo. Il punto di partenza e il
presupposto di questa specu¬ lazione è la distinzione platonica tra le cose
sensibili e la realtà intelligibile, la realtà delle idee. È una distinzione
che può essere pensata in una ma¬ niera sobria, senza nulla di mistico. Tutti
in fondo vi¬ viamo in un mondo ideale, nel mondo delle idee, quando parliamo di
verità, di giustizia, di virtù, di bellezza; e il mondo tutto quanto, anche il
mondo naturale, si può con¬ siderare come una realizzazione d’idee. Questo
insegnava Platone e questo insegnava Aristotile. Ebbene, secondo Plotino,
bisogna elevarsi ancora più in su. Le Idee sono una realtà derivata, non sono
la prima realtà. Il principio di tutto ciò ch’esiste è l’Unità assoluta, ch’è
al di là di ogni molteplicità e di ogni determinazione. Le cose che noi vediamo
e che possiamo pensare sono molte, ma tutte queste cose non potrebbero esistere
se non avessero la loro radice prima nell’Uno da cui pro¬ cedono e che le tiene
insieme. L’unità è la condizione di ogni molteplicità non solo nei numeri, ma
anche nel mondo dell’essere; senza un’unità suprema incondizio¬ nata nessuna
cosa esisterebbe, e il mondo si risolverebbe in un caos senza consistenza e
senz’ordine. Plotino chiama questo primo principio l’Uno, zb gv, nel senso che
esclude ogni molteplicità, e gli nega pure ogni Biblioteca Comunale “Giuseppe
Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO V ' v J r" . - 292 NEOPLATONISMO
determinazione o attributo, perchè* definirlo in qualche modo sarebbe un
limitarlo, farne una cosa piuttosto che un’ altra. Si può dire quello che non
è, non quello che è: senza limiti, infinito, senza forma nè qualità. È una
realtà asso¬ lutamente trascendente, rcàvawv, al di là di tutte le cose : una
realtà a cui nessun concetto e nessuna pa¬ rola è adeguata. Questo lo diceva
anche Filone ebreo, il quale però, edu¬ cato sulla Bibbia, non poteva a meno di
concepire Dio come persona. Secondo Plotino, non si può attribuire a Dio, alla
realtà prima e assoluta, nessuna delle proprietà della persona: nè il pensiero
nè la volontà: il pensiero suppone la dua¬ lità di soggetto e oggetto e la
molteplicità delle idee pen¬ sate; la volontà suppone un’attività rivolta a un
fine: saremmo sempre nel campo delle realtà derivate, della molteplicità, della
differenziazione. Ogni attributo dunque,) personale o non personale che sia,
bisogna negarlo di lui.^ Ma insieme con questo esso è ciò che v’ha di supre¬ mamente
reale e di supremamente positivo, giacche se noi affermiamo la sua trascendenza
assoluta al di là di tutte le cose finite e di tutte le cose pensabili, non è
per di¬ minuirne la realtà, ma unicamente perchè la pienezza del¬ l’essere non
sarebbe compatibile con una limitazione o de¬ terminazione qualsiasi. / Si può
dire solo di lui eh’è l’Uno, il Primo, potenza c (prima e causalità assoluta di
tutte le cose; e anche si può ì \ dire eh’è il Bene, non come un attributo
intrinseco a lui ' (come se fosse un essere buono), ma come il fine ultimo a
cui tutte le cose tendono. f ) \ Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: IL MONDO INTELLIGIBILE, L’UNO 293 È insomma
l’Ineffabile. Un filosofo italiano *) (liceva: * : l’Innominabile Reale. E
voleva dire: la vita, il mondo è j un grande mistero: tutte le cose elle noi
vediamo e che I pensiamo accennano, sono l’indizio di una realtà suprema che ci
supera, ci trascende : possiamo affermarla, non no¬ minarla. Questo è l’Uno di
Plotino. Rimane a sapere come procedono gli effetti di questa causalità
originaria. Bisogna escludere innanzi tutto ogni idea di divenire nel tempo,
come se prima esistesse l’Uno e poi le altre cose ; no, non si tratta di
raccontare una storia di eventi che si succedono ; e più specialmente non si
può ammet¬ tere che le cose procedano dall’ Uno in seguito a un atto di
volontà, a una decisione intenzionale, come se l’Uno fosse una persona che
pensa e delibera : dunque niente creazione, nel senso ebraico e cristiano. E
Plotino non ammette nemmeno con gli Stoici che la sostanza divina, come un
fuoco sottilissimo, si comu¬ nichi alle cose derivate, permeandole come il
miele che riempie di sò le celle dell’alveare : Dio non è una sostanza che si
possa disperdere e spartire. Per esprimere la sua idea Plotino è obbligato a
servirsi d’immagini.^ È per la sola necessità della sua natura che il primo
juincipio dà origine alle cose derivate, si comunica ad esse. Come ogni essere
vivente, giunto al suo punto di perfezione, ne genera un altro simile a sè,
così la realtà suprema ne fa nascere delle altre simili benché inferiori. Dalla
pienezza dell’ Uno si diffonde, straripa il flusso delle q Antonio Tari,
professore di Estetica nell’ Università di Napoli. 294 NEOPLATONISMO esistenze
derivate. Esse procedono da lui, come la pianta germina dalla radice, come dal
sole la sua luce. Questa è l’immagine più frequente e in un certo senso la più
chiara. L’universo è la fulgurazione (TcepiXajjL^) dell’Uuo, della luce divina.
Non è dunque nè creazione nè spartizione della so¬ stanza divina, ma
emanazione, intendendo per emana¬ zione non una diffusione che diminuisca la
sorgente da cui essa deriva, ma un comunicarsi di forza che pure ri¬ manendo
integra in se stessa si comunica alle esistenze derivate. Le quali perciò sono
pure manifestazioni dell’Infinito, emanazioni di lui, sono immanenti in lui,
mai separate da esso, il quale ciò nonostante non si confonde con le cose, ma
le trascende, è al di là di tutte le cose. Dio è dapertutto ed è l’attualità di
tutto, senza essere in nessun posto e senza confondersi nè con ciascuna cosa
finita nè con la loro totalità. Quando si parla di Panteismo, ordinariamente
s’intende quella concezione che confonde o identifica Dio col mondo. Per
Plotino Dio, l’Uno, rimane eternamente distinto dal mondo, e ciò nonostante il
mondo è tutto pieno di Dio, è un’emanazione della sua luce, della forza divina
da cui deriva: si potrebbe chiamare questo un Panteismo dina¬ mico o
emanatistico. Prodotto dall’efficacia dell’Uno, il derivato ne è come la
riproduzione indebolita, a dir così un’immagine o una copia, una luce più
debole, un’ombra. E come l’immagine che riflette uno specchio sparisce quando
s’allontana l’oggetto che la produce, così, senza l’efficacia persistente e continuata
dell’Uno, le esistenze , Biblioteca Comunale “Giuseppe Mellì” - San Pietro
Vernotico (BPLOTINO : I GRADI DELL’ EMANAZIONE 295 derivate si dileguerebbero.
Esse hanno in lui la loro con¬ sistenza, ma ogni nuova emanazione, pur
partecipando del- l’Uno, è meno perfetta di lui ; le cose diventano via via
meno perfette a misura che s’allontanano dalla causa prima e aumentano i
termini intermediari: la luce proiet¬ tata dall’ Uno impallidisce via via fino
a sembrare come dileguarsi nelle tenebre del non essere, della materia bruta.
Si direbbe un’evoluzione a rovescio, non dalle forme meno perfette alle più
perfette, ma al contrario, una de¬ gradazione progressiva del divino, un
allontanarsi sempre più della luce dalla sua sorgente. E quali sono i gradi di
questa emanazione 1 ? Prima e immediata emanazione dell’Uno è l’intelli¬ genza
o il vou?, s’intende l’Intelligenza universale,, la Mente divina con le sue
idee (il Logos che diceva Filone, e che anche per lui era il primogenito di
Dio) : il mondo delle Idee dunque, le quali contengono le ragioni semi¬ nali di
tutte le cose, terre, mari, fiumi, animali, piante, individui, cosi come
possono esistere nella loro essenza, ab eterno: l’Uno, senza cessare di essere
l’Uno, si è come enucleato in questa molteplicità delle Idee, che costitui¬
scono il mondo intelligibile insieme con la Mente che le pensa. E come dall’Uno
emana l’Intelligenza o il voOg, così da questo emana il principio della Aita
cosmica, l’Anima universale, l’Anima del mondo, che da una parte guarda alle
Idee, e dall’altra come Natura le attua nello spazio e nel tempo generati da
essa, le attua nel mondo sensi¬ bile; sicché l’Anima, come il secondo Dio di
Numenio, è, si può dire, al confine dei due mondi, del mondo intelli¬ gibile di
cni essa è l’ultima emanazione, e del mondo dei Biblioteca Comunale “Giuseppe
Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO corpi che emana e eh’è formato
da essa; e l’ultimo ter¬ mine di questa processione è la materia o il sustrato
ma¬ teriale dei corpi, la materia senza forma, in cui la luce divina si
estingue in qualche cosa di opaco e di oscuro. Cosicché avremmo come una
gerarchia di esistenze che, in ordine inverso a quello che abbiamo detto,
andrebbe dalla materia ai corpi che costituiscono la fantasmagoria del mondo
sensibile, dai corpi all’Anima, dall’Anima al- l’Intelligenza o Ragione
universale, dall’Intelligenza a Dio. Il mondo corporeo riceve la luce
dall’Anima, l’Anima dall’Intelligenza o Ragione, questa dall’Uno: così tre
sfere concentriche illuminate da un punto al centro, esso stesso invisibile
agli occhi mortali, ma eh’è la sorgente prima e il focolare perenne della luce
che illumina il mondo. 4. - L’Uno, l’Intelligenza e l’Anima costituiscono in¬
sieme il mondo intelligibile, da cui dipende il mondo sen¬ sibile; e sono dette
con parola tecnica le tre ipostasi, le tre sostanze che nominate a una a una
sembrano tre personificazioni: una trinità di principi che sono stati
paragonati alle tre persone del dogma cristiano. C’è la differenza essenziale
che nel mistero cristiano le tre per¬ sone sono uguali in perfezione e
costituiscono tutte in¬ sieme l’unità di Dio: e in questa triplicità di un solo
Essere sta appunto il mistero. In Plotino, i tre principi non sono persone, ma
gradi della realtà: il mondo pro¬ cede direttamente dall’Anima e mediatamente
dall’Intel¬ ligenza e dall’Uno. Ho già avvertito che bisogna esclu¬ dere da
questo processo ogni idea di divenire nel tempo ; e così pure bisogna escludere
ogni idea di spazio, come se si trattasse di un edifizio a tre piani, di cui il
mondo Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO:
l’anima e il mondo sensibile 297 sensibile sarebbe come il pian terreno. No,
sono tutte rap¬ presentazioni in adeguate. Si tratta invece di comprendere V universo,
nella sua unità, come la manifestazione di un principio divino unico che si
manifesta come Intelligenza e come Anima, come Intelligenza in quanto il mondo
lia un contenuto razionale che sono le Idee che vi sono rea¬ lizzate, come
Anima in quanto il mondo è il risultato di una forza generatrice e formatrice
che distribuisce l’essere e la vita a tutte le cose che esistono; e così
l’Intelligenza come l’Anima sono da considerare come l’irradiazione o
l’efflorescenza di quell’Uno originario nel quale vivono e sussistono esse
stesse e tutte le cose; e l’ultimo ter¬ mine di questa produzione, il polo
estremo, a dir così, di questa degradazione progressiva dell’Uno è la materia,
che non è più luce, ma ombra, oscurità, ma in quanto è materia animata e formata
dalle potenze divine, è ombra di luce, ombra dell’Anima e della Mente di cui
porta in sè impresse le tracce. Dopo questa veduta sommaria, fissiamo più
particolar¬ mente la nostra attenzione su l’Anima, che, come dice¬ vamo, si
trova al confine dei due mondi, del mondo in¬ telligibile e del mondo
sensibile: li separa e li unisce partecipando di entrambi. In quanto emanazione
o espressione dell’Intelligenza, l’Anima contempla in essa le-Idee, e sono
queste Idee eh’essa attua, realizza nel mondo dei corpi. Si potrebbedire che ha
una doppia funzione, una rispetto all’Intel¬ ligenza da cui riceve o riflette o
rispecchia le Idee, l’altra rispetto al mondo dei fenomeni che si genera da
essa, e nel quale essa imprime le Idee, che diventano così le forme o ragioni seminali
delle cose. Per esprimere questa Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) 298 NEOPLATONISMO doppia funzione Plotino ne parla
talvolta come fossero due anime, una superiore e l’altra inferiore, 1’Afrodite
celeste e PAfrodite terrena, e quest’ultima è insomma la filatura (cpuaic;),
eli’è dunque la stessa Anima cosmica come j principio della vita universale,
come forza creatrice, la cui \ attività non rimane nella sua semplicità
originaria : pur [essendo semplice e indivisibile in se stessa, la sua att¬
ività si moltiplica, si partisce, si unisce al mondo corporeo, allo stesso modo
come l’anima umana al corpo umano ]ch’ essa vivifica in tutte le sue parti. Con
questo però, ^che il corpo non è qualche cosa di estraneo, di diverso
essenzialmente dall’Anima, ma è una sua produzione, si potrebbe dire una sua
esteriorizzazione. Già è essa l’Anima (l’anima cosmica) che con la sua
espansione genera lo spa¬ zio, e con l’azione successiva delle sue potenze
genera il tempo ; e il corpo stesso è una produzione dell’Anima, un’emanazione
umbratile di essa, ma è essa che lo illu¬ mina della sua luce. Di qui
quell’espressione così carat¬ teristica in Plotino, che non è l’anima ch’è nel
corpo, ma il corpo è nell’anima, il corpo è l’organo, lo strumento dell’anima,
ed è tenuto insieme, animato, unificato dal¬ l’anima che lo produce e lo avviva
tutto. Questo è vero non del corpo singolo solamente, ma di tutto l’universo.
Tutto quanto l’Universo è spiritualizzato in questa veduta: il mondo dei corpi
è un’ombra o ri¬ flesso dello Spirito, non è fuori dell’Anima, ma un pro¬ dotto
dell’Anima e quindi dell’Intelligenza e dell’Uno divino di cui essa è ministra.
Per questa, a dir cosi, inci¬ denza del mondo corporeo nelle potenze spirituali
da cui si genera, tutto nella natura è animato: tutto è pene¬ trato
d’intelligenza e delle idee realizzate dall’Anima. La Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: l’anima e il mondo
sensibile 299 materia pura, senza forma, senza vita e senz’ anima è più
un’astrazione del pensiero che una realtà. Già nella pietra c’è una vita
latente: negli elementi stessi c’è qualche cosa di vivido, nella fiamma,
nell’acqua che scorre, nell’aria. Ed è sempre l’Anima che in virtù della sua
fecondità ine¬ sauribile produce l’immensa serie degli esseri, i corpi ce¬
lesti, i corpi degli animali e delle piante, fino alla più gros¬ solana materia
delle cose terrestri. È una vita infinita dif¬ fusa per tutto l’universo: lo
spirito animatore vi apparisce in gradi diversi : nei suoi generi e nelle sue
specie e nelle diverse forme individuali c’è come un passaggio continuo dal più
perfetto al meno perfetto; e nelle creature infe¬ riori c’è come la traccia o
il ricordo e quindi l’aspira¬ zione e il presentimento delle forme superiori; e
tutte queste vite singole, distinte, non confuse tra loro, si unifi¬ cano pnre
nel juincipio unico da cui emanano. Come l’In¬ telligenza, pure essendo una,
contiene in sè tutte le Idee, cosi l’Anima universale contiene in sè le singole
anime, tutte le forme di vita che popolano il mondo, le quali, benché distinte
individualmente, si unificano pure nella loro essenza, sono manifestazioni
diverse della stessa Anima del mondo, come raggi che partono da un centro
comune, o come la scienza è una nelle diverse sue parti, e una stessa luce può
illuminare i luoghi più diversi. Nel mondo sensibile l’unità diventa
molteplicità e l’armonia può diventare opposizione e lotta; ma ciò nonostante
l’unità originaria non è annientata: tutti gli esseri rea¬ lizzano la stessa
vita, e sono come le voci diverse che celebrano o riecheggiano la stessa
armonia. Dato questo concetto dell’animazione universale e della vita unica che
ricircola rimanendo identica a se stessa in Biblioteca Comunale “Giuseppe
Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 300 NEOPLATONISMO tutte le parti e forme del
mondo, Plotino si trova in una situazione non dissimile da quella in cui s’ era
trovato Platone, di fronte alla realtà della nostra esperienza. Da una parte la
tendenza religiosa del suo spirito e i concetti platonici con cui lavora,
l’opposizione tra realtà sensibile e realtà intelligibile, lo portano a
considerare il mondo sensibile, eh’è nato dalla mescolanza dell’anima con la
materia, come un peggioramento, come un’ombra della vera realtà; quindi la
realtà empirica e sensibile non è la vera patria dell’anima, la quale anzi
aspira a libe¬ rarsi da essa. E questa tendenza troverà la sua espres¬ sione
nell’Etica. Ma d’altra parte questa fantasmagoria dei sensi è pure un riflesso
del mondo ideale, è una manifestazione del¬ l’Anima, penetrata d’intelligenza e
d’idee; deve avere tutta la perfezione e la bellezza di cui è capace. Plotino
combatte espressamente quelli che considerano il mondo dei sensi come il regno
del male, di un male originario e insanabile, quasi fosse l’opera di un
demiurgo cattivo. Egli è ancora troppo greco per accettare questa condanna. Il
mondo sensibile è inferiore al mondo ideale perchè se ne distingue ed è fatto
di materia; ma rappresenta pure il suo modello, esprime la vita e la saggezza
infi¬ nita, è un riflesso del Bene, le cui emanazioni finiscono in lui. Tenendo
dall’Anima V essere suo, è un tutto organico in cui l’opposizione e la lotta
dei contrari sono subordi¬ nati all’unità del tutto. Non solo c’è ordine e armonia,
ma connessione, solidarietà fra le diverse parti, non per azione fìsica o
meccanica che vi sia fra loro, ma per l’unità del¬ l’Anima e dell’Intelligenza
che lo vivifica, e quindi per la simpatia e affinità di natura di tutti gli
esseri fra loro. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro
Vernotico (Br) Plotino proclama con gli Stoici l’ordine e l’armonia del mondo,
e scrive una Teodicea per difendere il con¬ cetto della Provvidenza. Tutto è
bene, anche per lui : la distruzione perpetua degli esseri anche quando si
divo¬ rano gli uni gli altri, non l’offende, è la condizione del rinnovarsi
perpetuo della scena della vita. - Sì, è neces¬ sario eh’essi si divorino: è
come sulla scena; un attore eh’è stato ucciso, che s’è visto morire, va a cangiare
di vestito e ritorna sotto un altro aspetto : vuol dire che non era morto
realmente. A traverso questa vicenda la vita permane, morire è cangiare di
corpo come l’attore cangia di vestito e riprende la sua parte: che cosa c’è di
spaventoso in questa permutazione degli animali gli uni negli altri? E così,
morire nella guerra, nella bat¬ taglia, è anticipare di ben poco i colpi della
vecchiaia e la morte naturale: è un partire per ritornare sotto altra forma.
Questi massacri che noi vediamo, questi saccheggi di città, queste violenze,
pianti e gemiti degli attori, in tutte queste .vicissitudini della vita, non è
l’anima del di dentro che cambia, ma è l’ombra dell’uomo esteriore che geme e
si lamenta. - L’ottimista, che crede nella Provvidenza, e guarda le cose dal
punto di vista del¬ l’eternità, si consola facilmente di questo spettacolo,
ch’è così doloroso a chi ci vive dentro e n’è vittima. Kon solo Plotino afferma
che tutto è bene, ma ammira soprattutto la bellezza del mondo, e scrive del
Bello, e dopo i primi accenni che si trovano in Platone, pone al¬ cuni dei
concetti fondamentali della scienza dell’Estetica. Perchè in verità tutta la
concezione della natura che abbiamo veduto è una concezione che si può dire
reli¬ giosa e estetica insieme.Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMOData quell’animazione e spiritualizzazione
dell’universo, la realtà o fenomeno sensibile non è altro che un riflesso
dell’Idea eh’esso esprime. E il lampeggiare dell’Idea nel fenomeno è appunto la
bellezza. Il bello ha carattere spirituale. ISTon è bella la forma sen¬ sibile
come tale, nella sua esteriorità, non la simmetria, non la proporzione, ma la
vita o l’Idea che la forma esprime, quel certo che di spirituale,
d’impalpabile, che risplende in essa. E il bello così inteso noia è un oggetto
fuori dell’anima, non c’è nulla al di fuori dell’anima, tanto meno gli og¬
getti belli. È intanto l’Anima, come potenza generatrice, che realizzando le
Idee produce le forme belle; ed è un’anima, un’anima individuale, che ha il
sentimento della bellezza, contemplando quelle forme. L’anima coglie e sente la
bellezza perchè sente e scopre se stessa nelle cose belle; ma questa visione e
questo sentimento non sa¬ rebbe possibile, l’anima non potrebbe vedere la bellezza,
se essa stessa non è diventata bella. È una delle grandi parole di Plotino, che
vuol dire: solo le anime pure hanno veramente il sentimento della bellezza,
quelle che si solle¬ vano sulle cupidigie e i desiderii inferiori, che sanno
guar¬ dare con occhi sereni, con una contemplazione disinteres¬ sata, le cose
belle. Di qui quest’altra parola sua: se tu non trovi ancora la bellezza nella
tua anima, fa’come l’artista ‘ che non cessa di lavorare alla sua statua,
finché non le ab- . bia dato tutta la sua bellezza. Cosi tu scolpisci e cesella
la tua anima, e purifica e illumina tutto ciò che v’ha in essa di torbido,
perchè essa diventi degna di sentire la bellezza. La bellezza è un mistero che
non solo ci piace ma ci attira, non c’ispira ammirazione solamente, ma amore.
Biblioteca Comunale “Giuseppe Mei li - San Pietro Vernotico (Br) plotino:
l’anima umana Il che vuol dire che al di là di essa c’è qualche altra cosa. Al
di là della forma bella, o per meglio dire a tra¬ verso di essa, traluce
qualche cosa di cui essa è lo splen¬ dore: ed è il Bene a cui l’anima aspira.
Solo il Bene può far nascere l’amore, ed è col Bene che l’anima aspira ad
unirsi. . 5. - Come tutte le cose che esistono, anche l’uomo ha la ragione
della sua esistenza nel mondo intelligibile, non solo ne deriva, ma ci vive
dentro, non ne è separato, anche durante la sua esistenza terrena. Ogni anima
deve considerare eh’essa è parte dell’Anima universale, di quell’Anima che ha
prodotto tutte le cose del mondo sensibile, gli astri divini, il sole e il
cielo im¬ menso : è essa che ha dato al cielo la sua forma e che presiede alle
sue rivoluzioni regolari: è da essa che si generano tutti i viventi, le piante
e gli animali che sono sulla terra, nell’aria e nel mare. Tutte le anime
indivi¬ duali sono immanenti in quest’Anima cosmica ; ed è in¬ somma lo stesso
principio animatore del mondo che vive anche in noi, e che noi diciamo la
nostra anima. Sicché ciascun’anima, per questa sua provenienza, è,, come quella
che le contiene tutte, di natura spirituale^ ed eterna; la sua esistenza non
comincia nè finisce col \ corpo con cui è congiunta. Essa non è un aggregato di
atomi, come pensavano gli Epicurei, non è corpo sotti¬ lissimo igneo o etereo,
come credevano gli Stoici, non è nemmeno funzione del corpo, entelechia o forma
di esso, come insegnava Aristotile, e nemmeno armonia risultante dalle
relazioni fra le parti del corpo, come opinavano i Pitagorici. Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico { NEOPLATONISMO Plotino
discute e rifiuta tutte queste ipotesi, per con¬ cludere die fiamma non Ita
bisogno del corpo per esistere: la sua vera essenza è di essere semplice e
separabile dal corpo : è di natura spirituale e quindi immortale ; tutte le sue
facoltà, la sensazione, la memoria, il pensiero, le * x'-l T qualità morali non
sarebbero possibili se fi uomo e la sua -, anima fossero un semplice aggregato
di molecole rnate^ riali : tutte quelle funzioni e facoltà suppongono un sog¬
getto semplice, identico a se stesso, non sottomesso alle _ Vicende delle cose
corporee: la critica del materialismo che j si trova in Plotino è fra le più
compiute che ci abbia lasciato fi antichità, e contiene argomenti che sono
stati poi sempre utilizzati. Questa natura spirituale delfi anima importa elfi
essa è vicinissima alla sorgente di tutte le cose. Giacché i tre principi che
sono nelfiuniverso, l’Ani¬ ma, fi Intelligenza e l’Uno, debbono essere .anche
in noi: essi costituiscono l’uomo interiore, la vera essenza dei- fi uomo. Il
quale è un’anima e possiede fi intelligenza, non solo l’intelligenza
discorsiva, che procede per via di ragiona¬ menti, ma anche quella forma
superiore di essa che in¬ tuisce le Idee, la ragione intuitiva. Bisogna dunque
che risieda in noi anche quel principio divino da cui emana l’Intelligenza,
l’Uno ineffabile, che non esiste in nessun luogo, ma eh’è come il centro e* il
cuore più intimo del mondo. L’uomo è un microcosmo, un piccolo mondo, jl
compendio dell’universo. È così che noi uomini, nella nostra intima essenza,
siamo in contatto con Dio, siamo in certo modo sospesi a lui, respiriamo e
sussistiamo in lui. oteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico
(Br)PLOTINO : l’ anima umanaSe non che, quest’uomo interiore esìste in un
corpo, j ha pure un’esistenza terrena e sensibile. Coni’è avvenuta | questa
specie di caduta o discesa? \ Qui Plotino bisogna che si aiuti con
l’immaginazione, ; come del resto faceva anche Platone, quando parlava di ■ ;
una caduta delle anime che hanno perduto le loro ali. Ci sono delle anime
celesti che rimangono pure da ogni - contatto corporeo e beate nella
contemplazione delle Idee' eterne. Ma ce ne sono delle altre, che siamo noi, le
vere anime umane, le quali si sono rivestite di un corpo, e sono di¬ scese in
un grado di esistenza inferiore. Come l’Anima universale procedendo nelle sue
emanazioni avviva il corpo intero dell’universo, così alle anime particolari è
devoluta una parte determinata del mondo corporeo ; il che si può anche
intendere come una legge provviden¬ ziale, perchè il mondo intelligibile da cui
le anime deri¬ vano manifesti ed esplichi tutte le potenze eh’esso pos¬ siede.
L’anima particolare, sviluppando le sue potenze sensitiva e vegetativa, entra
in un corpo, o a dir meglio, se ne riveste, se lo forma vivificandolo e
governandolo. {Si potrebbe forse rappresentarsi la cosa ài modo che dice Dante
quando nel XXV del Purgatorio descrive il formarsi delle ombre: la virtù
informativa raggia intorno e suggella di sè la materia corporea che le si
condeusa intorno o eh’essa irradia da sè). Ma comunque si voglia immaginare la
cosa, e a parte qualunque mitologia, l’idea e la verità profonda eh’è espressa
qui, in questa discesa delle anime nel mondo corporeo, è il distaccarsi
dell’anima individuale dalla sor¬ gente di ogni vita, la volontà dell’esistenza
individuale, f ^ rJ306 NEOPLATONISMO che finisce col diventare un’esistenza
separata, e dimentica della sua origine e dei legami che la congiungono col
tutto. — Com’è — dice Plotino in un luogo magnifico (il prin¬ cipio della V a
Enneade) — come accade che le anime di¬ mentichino Dio, il loro padre? Come
accade che avendo una natura divina, ed essendo uscite da Dio, esse lo di¬
sconoscano e disconoscano se stesse ? L’origine del lomale è l’audacia o
l’orgoglio (xóX[xa), il desiderio di non appartenere che a se stesse. Da quando
hanno gustato il piacere di possedere una vita indipendente, usando lar¬
gamente del potere ch’esse avevano di muoversi da sè, si sono avanzate nella
strada che le deviava dal loro principio, e sono giunte ora a un tale allontanamento
da lui (apostasia, àTzòa-a,ai % 308 NEOPLATONISMO 4 vita a cui l’uomo può e
deve aspirare; non costituiscono propriamente questa vita. Non solo la vera
virtù consiste non nelle azioni esterne, f sibbene nella disposizione interna
dell 7 anima; ma questa disposizione virtuosa è soprattutto una purificazione,
una catarsi, una liberazione dell’anima dalla sensibilità e daisuoi legami col
corpo. Quest’idea della purificazione è il significato più pro¬ fondo della
dottrina della metempsicosi, che anche Pio¬ tino accetta come Platone e i
Pitagorici. L’anima che figura nel dramma di cui il mondo è il teatro, e che vi
recita la sua parte, vi porta una disposizione a recitar bene o male, ed è
punita o ricompensata in conseguenza, secondo quello che fa e secondo
giustizia. Salvo che per riconoscere questa giustizia, non bisogna fermarsi
alla vita presente, ma bisogna tener conto drtutti i periodi passati e futuri
dell’anima, la quale non muore col corpo che momentaneamente la riveste, ma è
di sua natura immor¬ tale. Chi è stato padrone in una vita anteriore, se ha
abu¬ sato del suo potere, rinasce schiavo; chi ha impiegato male le sue
ricchezze, rinasce povero ; quelli che hanno commesso violenza, saranno a loro
volta maltrattati ; chi ha ucciso la madre, sarà ucciso dal figlio suo: l’anima
è destinata a incorporarsi in questo o quel corpo, a ridiven¬ tare uomo o
animale o anche pianta, secondo i suoi me¬ riti e gli atti che ha compiuti in
una vita anteriore; e a traverso queste rinascite successive ciascuna anima si
purifica, espia, finché non ridiventi degna di ritornare alla regione celeste
da cui è discesa. Questa purificazione non si ottiene mediante pratiche
ascetiche o mortificazioni, ma facendo si che l’anima nonBiblioteca Comunale
“Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: LA PURIFICAZIONE
diventi prigioniera delle passioni del corpo, non s’abban¬ doni ai fantasmi
dell’immaginazione, non si estranii dalla ragione, cerchi di sollevarsi sempre
più verso quella realtà intelligibile ch’ò la sua vera patria. E da questo
punto di vista anche le virtù cardinali o civili acquistano un nuovo
significato : diventano virtù purificative, orientano l’anima verso quella
realtà supe¬ riore, facendo che l’intelligenza domini nell’uomo e regoli tutte
le sue azioni e i suoi sentimenti. Ossia insomma più delle virtù civili e
pratiche vale la virtù contemplativa, la virtù dello spirito puro. f E lo
stesso mondo sensibile può avere valore per il no¬ stro perfezionamento quando
sia appunto oggetto dì con- « templazione: qui vengono a confluire quelle due
correnti d’idee che dicevamo: l’inferiorità della realtà sensibile rispetto al
mondo ideale, e la perfezione e la bellezza di questo stesso mondo sensibile in
quanto riflesso delle Idee. L’anima aspira in fondo al bene supremo, e non vi
può pervenire se non mediante la conoscenza del vero e del bello. Ma anche le
apparenze del mondo sensibile possono servire di gradini, di scala per
sollevarsi fino a quel mondo superiore. Tre vie conducono a questo mondo, che
sono per Plo¬ tino la musica, l’amore e la filosofia. La musica ha per oggetto
l’armonia, l’amore ha per oggetto la bellezza, la filosofìa ha per oggetto la
verità. Il musicista si lascia facilmente commuovere da alcuno forme del bello
; ma bisogna che delle impressioni esterne vengano a stimolarlo. Come l’essere
timido è risvegliato al più piccolo rumore, cosi il musicista è sensibile alla
bellezza delle voci e degli accordi ; egli rifugge da tutto Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (B_, v , .,. ..,■■? \ . ■ 310
NEOPLATONISMO ciò che gli sembra contrario alle leggi dell’armonia, e ri¬ cerca
il numero e la melodia nei ritmi e nei canti. Ma bisogna che dopo queste
intonazioni, questi ritmi e queste arie puramente sensibili, egli impari a conoscere
le pro¬ porzioni e i rapporti intelligibili che sono l’idea e il prin¬ cipio
stesso dell’armonia delle cose ch’egli ammira, e ammirando le quali egli
possiede come istintivamente delle verità che solo una scienza più alta potrà
rivelargli. L’amore è rivolto verso la bellezza, e dicemmo già come l’anima
diventa bella, si purifica, contemplando il bello, il lampeggiare delle Idee
nella forma sensibile. Ma i anche qui ci sono dei gradini da salire, e bisogna
che l’amante si sollevi dalle belle forme corporee alle Idee ch’esse esprimono,
e riconosca il Bello anche nelle cose incorporee, nelle scienze, nei prodotti
spirituali dell’atti¬ vità umana, nella virtù, finché non giunga a quel pelago
ampio del Bello di cui parlava Diotima nel Convito pla¬ tonico. Perché la
stessa commozione profonda e trepida che noi proviamo di fronte alle belle
forme e a tutte le cose belle, ci dice che al disopra di esse tutte c’ è una
Bellezza superiore, di natura puramente ideale, quella del Bene che le illumina
e le colora della sua luce. Quanto al filosofo, dice Plotino, egli è
naturalmente disposto ad elevarsi al mondo intelligibile. Vi si slancia portato
da ali leggiere, senza aver bisogno, come i pre¬ cedenti, d’imparare a
liberarsi dagli oggetti sensibili. La filosofia non è ridotta a intravedere la
verità a traverso i suoi simboli, ma la coglie direttamente e nella sua
essenza, senza che la passione o l’immaginazione vengano a tur¬ barne o
oscurarne la tranquilla e pura contemplazione. La filosofia rivela e spiega e commenta
quelle verità che ilBiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico
(Br) PLOTINO: L ESTASI a* A musicista e ramante intravedono solo confusamente e
come per istinto : ci svela la realtà e la natura (lei mondo intelli¬ gibile,
concesso è costituito e come procedono i suoi effetti. % Qui si direbbe che
siamo giunti all 7 ultimo termine della nostra ascensione. Ebbene no. Al
disopra di ogni rifles¬ sione e di ogni conoscenza, al disopra di ogni
distinzione di pensante e di pensato, di soggetto e di oggetto, e 7 è uno stato
veramente incitabile, nel quale l’anima indivi¬ duale si annega e si perde,
come illuminata dalla luce divina, con la quale essa s’identifica. ISon si può
chiamare nemmeno visione, ma piuttosto un’estasi, una semplificazione, un
abbandono di sè, una perfetta quietudine, infine un confondersi con ciò che si
contempla. Come l’amore non si contenta della visione, ma aspira
all’unificazione intera delle anime, così l’anima umana aspira a congiungersi
con l’Uno, col Bene, col principio di ogni realtà, e vi riesce qualche volta
quando nel più profondo raccoglimento dalle cose esterne, al di là di ogni
pensiero, nella più profonda pace, aspetta di essere illu¬ minata dalla luce
divina, nega la sua finitudine, e come rapita e fuori di sè, essa stessa
s’india. Questa Divina Commedia finisce non con una visione beatifica, ma con
l’estasi. Porfirio ci dice che Plotino, durante il tempo che furono insieme,
aveva provato questo stato di suprema beatitu¬ dine solo quattro volte, ed egli
stesso, Porfirio, una sola volta, all’età di 68 anni 1 ). 1) Cfr. YachehoTj
Histoire oritique de Vécole d ? Alexandrìe, Biblioteca Comunale “Giuseppe
MeIli” - San Pietro Vernotico (Br) XXI. GLI ULTIMI NEOPLATONICI 1. Il bisogno
metafìsico ; trasformazione del Neoplatonismo - 2. Porfirio, Giamblico,
Giuliano l’Apostata: Neoplatonismo e Cristianesimo - 3. Ipazia d’Alessandria -
4. La scuola d’Atene, Proclo. Fine della Filosofìa antica. 1. - La filosofia di
Plotino, per i concetti con cui opera, si può considerare come il risultato di
tutta la specula¬ zione anteriore. Plotino fia imparato non solo da Platone, ma
da Ari¬ stotile, dagli Stoici, dai presocratici, specialmente dagli Eleati: ha
imparato anche dalle filosofie ch’egli com¬ batte; e mentre riassume il passato,
contiene idee, in¬ tuizioni e suggestioni che valgono per tutti i tempi: il
motivo religioso, da cui questa filosofìa è nata, ne ha fatto una delle
concezioni tipiche e caratteristiche di quello eh’è stato chiamato il bisogno
metafìsico. Ci sono dei tempi in cui la filosofìa si sforza e non conosce altro
com¬ pito se non di comprendere la realtà dell’esperienza, la struttura e le
leggi di questo nostro mondo sensibile: diventa, come dicono, positiva; ce ne
sono degli altri in cui non si contenta di questo, e nemmeno di quella sag- IL
BISOGNO METAFISICO 313 gezza pratica, che basta a condurci nella vita ; ma
cerca di esprimere e di appagare i bisogni più profondi dello spirito o di
alcuni spiriti che non mancano mai in nessun tempo; il bisogno di liberarsi
dalle inquietudini e dalle limitazioni di questo oscuro viaggio della vita, di
trovare la pace e la beatitudine in una realtà superiore. Di questo slancio, di
quest’aspirazione verso il divino, Plotino è ri¬ masto uno degl’interpreti più
eloquenti; e la sua efficacia è stata grande a traverso i secoli, in S.
Agostino e negli altri Padri della Chiesa, nei mistici del Medio Evo, poi
massimamente nei nostri filosofi del Rinascimento, in Ma¬ lebranche e Spinoza,
più tardi nei poeti e filosofi del Romanticismo tedesco, fino ai nostri giorni.
Intanto non bisogna dimenticare che questa filosofia neoplatonica si produceva
in un’età di fermentazione re¬ ligiosa, tra spiriti sitibondi del
soprannaturale, in un’atmo¬ sfera satura di superstizióni, in mezzo a quel sincretismo
di tutte le credenze e di tutti i culti del mondo antico, fra cui si preparava
la fede dell’avvenire: bisogna tener conto di questo fondo storico, in cui il
Neoplatonismo s’è formato, per intendere la sua storia posteriore e le sue
trasformazioni. Nel tempo stesso in cui il Neoplatonismo era insegnato e si
diffondeva nell’impero romano, la Chiesa cristiana, che s’era già cominciata a
organizzare, cercava essa pure di definire i suoi dogmi, superando i contrasti
che si pro¬ ducevano nel suo seno; creava un corpo di dottrine, le quali
fissavano, di fronte alle opinioni dichiarate eretiche, il contenuto della
nuova coscienza religiosa: nasceva così la teologia cristiana, una filosofìa
del Cristianesimo, la quale utilizzava anch’essa a modo suo i concetti della ■
55-1 : d / * Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)
NEOPLATONISMO il. /*■ i'*:: *y*> 314 / r . V r/d ' filosofìa greca,
specialmente quello del Logos, che finisce con V identificarsi col Messia come
il mediatore vivente tra Dio e l’uomo; si assimilava questi concetti modifi¬
candoli e incorporandoli nel sistema delle sue credenze. Ora di fronte ai
progressi sempre crescenti del Cristia¬ nesimo, clie ai principi del quarto
secolo trionfa con Co¬ stantino, e finisce col diventare la religione dello
Stato, il Neoplatonismo, per gli spiriti non persuasi della nuova religione ft
rimasti fedeli alla tradizione pagana, diventa 1 o è utilizzato come la base di
una teologia del politeismo : si tenta per mezzo delle idee neoplatoniclie di
ristaurare, legittimare e ridurre a sistema tutte le divinità e i culti
dell’antica religione. Il Neoplatonismo diventa l’ultima filosofìa del
paganesimo, e non solo come un sistema di dottrine destinate a spiegare o
risolvere come che sia i problemi di Dio, del mondo e dell’anima umana, ma come
il puntello dell’antica religione pagana, con tutti i suoi Dei e le sue
pratiche. 2. - Non vogliamo entrare nei particolari di quest’ul¬ tima parte
della nostra storia; basterà ricordare i nomi principali. Fra gli scolari
diretti di Plotino il più importante è Porfirio (232-304), al quale dobbiamo la
redazione e la pubblicazione delle Enneadi, e che continua la dottrina del
maestro esponendola con chiarezza e brevità in quelle Sentenze d’introduzione
al mondo intelligibile (’Acpoppori Ttp&s Tic vorjTa), che si trovano molto
utilmente premesse all 'Enneadi nell’edizione Didot. Scrisse molte altre opere,
tra cui una in 15 libri contro i Cristiani, andata natural¬ mente perduta. È
anche studioso e commentatore di Ari- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli"
- San Pietro Vernotico (Br) 315 i.vTyv>. A vr^ j PORFIRIO, GIAMÉLICO
stotile; e un passo diventato celebre della sua Isagoge o Introduzione alle
Categorie di Aristotile, che tratta delle cinque voci (il genere, la specie, la
differenza, il proprio, l’accidente), sarà il punto di partenza delle
controversie medievali sugli universali. Porfirio è uno spirito colto, erudito,
che vorrebbe riformare la religione tradizionale ; combatte le superstizioni
più grossolane, predica un culto puro, senza sacrifizi sanguinosi: raccomanda
anche delle pratiche ascetiche. Ea consistere il fine della filosofìa nella
salute dell’anima; ma pure accentuando le tendenze pra¬ tiche e religiose della
scuola, e facendo delle concessioni alle credenze'popolari, si può dire che in
lui è vivo an- ’i _ cora l’interesse filosofico. Egli è il continuatore
immediato della tradizione plotiniana. Invece con Giamblico, che fu scolaro di
Porfirio, avviene decisamente quella trasformazione del Neoplatonismo in un
sistema di credenze religiose: l’interesse teosofico pre¬ vale: la filosofia
diventa ancella della teologia, e della teologia pagana. Giamblico nacque in
Calcide nella Gelesiria, non si sa precisamente in quale anno, visse ai tempi
di Costantino, e morì intorno al 330. È riguardato come il fondatore di una
nuova scuola, della scuola siria del Neoplatonismo: ebbe molti discepoli,
entusiasti di lui, che lo riguardavano •come un uomo straordinario e divino,
dotato di potenza occulta e miracolosa. Giamblico intraprende una ricostruzione
filosofica del Panteon pagano, nella quale entrano gli Dei greci e ro¬ mani e
le divinità orientali, tutte all’infuori del Dio cri¬ stiano. E alla credenza
in tutta questa moltitudine di Dei si aggiungono le pratiche del culto : alla
virtù e alla con- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico
(Br) 316 NEOPLATONISMO templazione, ck’erano per Plotino i mezzi con cui l’uomo
si solleva al divino, si aggiunge o piuttosto si sostituisce la teurgia, cioè
l’arte di esercitare un’azione sulla volontà degli Dei per renderseli
favorevoli, di far discendere in sè il divino per mezzo di pratiche esterne,
riti, preghiere, con la virtù di formule simboliche, che ci riedificano nel¬
l’unità primitiva da cui siamo usciti. Le formule filosofiche diventano
pretesto à stravaganze magiche e spiritiche. Com’è stata possibile la
degenerazione di una così no¬ bile filosofìa, concepita con tanta energia
speculativa e animata da una così pura fede e aspirazione al divino? Pur troppo
il Neoplatonismo portava in se stesso, e già in Plotino, i germi di questa
degenerazione: innanzi tutto il metodo delle ipostasi, e poi la tendenza a
trovare, con interpretazioni allegoriche, nei nomi o nelle figure tradi¬
zionali degli Dei il simbolo dei diversi momenti dell’ema¬ nazione del divino.
Plotino stesso nomina Uranos, Kronos e Zeus come simboli dell’Uno, del vou* e
dell’Anima; e sim¬ boleggia pure le due anime con l’Afrodite celeste e quella
terrena. Se si prendono alla lettera questi riferimenti, e soprattutto i
termini si moltiplicano, si arriva al sistema fantastico di Giamblico. Il quale
non si contenta delle tre ipostasi plotiniane, ma al di sopra dell’Uno che
s’identifica col Bene, am¬ mette un altro Uno assolutamente incomprensibile, dal*
quale deriverebbe il secondo Uno ch’è quello di Plotino; e da questo non deriva
semplicemente il vou^, ma prima il mondo intelligibile o pensabile votjtó?) e
poi il mondo intellettuale o pensante vosp6?) ; e la divi¬ sione continua
quando si passa all’Anima: dalla prima Anima ne derivano altre due; e ciascuno
di questi ter- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico.(Br)
t GIAMBLICO, GIULIAlSrO L’APOSTATA 317 miai poi si tripartisce e si moltiplica
in diversi momenti, a ognuno dei quali corrisx>onde una persona divina.
Così, abusando del metodo delle ipostasi e dell’interpretazione allegorica,
Giamblico trova da collocare una quantità di divinità sopramondane, celesti e
terrestri, genii e demoni d’ogni specie, che sarebbero i termini intermediari
tra Dio e l’uomo. S’aggiunga poi quell’idea dell’animazione universale, e della
simpatia o affinità fra tutte le cose, che contiene una verità profonda, ma che
per menti non disciplinate da nessuna critica, apriva facile l’accesso alle credenze
magiche e alle pratiche teurgiche. In fondo, anche a traverso a queste
esagerazioni su¬ perstiziose, non è possibile disconoscere l’antica fede elle¬
nica che tutto è pieno degli Dei, eh’è il motto attribuito a Talete, il primo
filosofo. Così il Neoplatonismo uscì dalla scuola e volle agire sulle
coscienze, quasi contrastandone il dominio alle nuove credenze. Non fu
solamente una dottrina, ma fu l’ul¬ timo tentativo dell’Ellenismo per
difendersi da quella re¬ ligione di barbari, che col suo Dio unico negava tutti
gli altri Dei. E si fece campione di questa restaurazione dell’antica religione
dei padri, in nome della filosofia, Giuliano l’Apo¬ stata, imperatore dal 361
al 363, morto a 32 anni, che, educato da maestri greci, s’era nutrito
dell’antica cultura ellenica, e poi aveva dovuto subire la disciplina e l’edu¬
cazione cristiana; e contro il Cristianesimo si ribellò prima secretamente,'
poi, diventato imperatore, apertamente, at¬ taccandosi sempre più
all’Ellenismo. Giuliano era uno sco¬ laro degli scolari di Giamblico.
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) " '■ ; rf
V; 318 NEOPLATONISM 0 Giuliano, da vero greco, adorava il sole, principio di
Vita per tutta la natura : ma nel sole materiale e visibile egli vedeva V
immagine e come il riflesso di un altro sole, che i nostri occhi non possono
cogliere, e che illumina le razze invisibili e divine degli Gei intelligenti.
Cosi, alla maniera dei Neoplatonici e col loro linguaggio, egli costruiva il
mondo delle Idee e dell’Uno, da cui tutte le cose di- -pendono. Giuliano è
stato dqtto un romantico sul trono dei Ce¬ sari, perchè aveva gli occhi rivolti
indietro, e consumò miseramente i suoi sforzi nella restaurazione di un passato
diventato impossibile. Era difficile che il Neoplatonismo potesse fare seria¬
mente concorrenza al Cristianesimo. C’era innanzi tutto questa differenza: che
il Neoplato¬ nismo, per quanto tentasse di mettersi in contatto con l’anima
popolare, era semplicemente una scuola di dotti più o meno solitari ; il
Cristianesimo invece era una Chiesa, una comunione di fedeli potentemente
organizzata, e la cui fede si basava su certi fatti positivi, di natura sto¬
rica, la vita e la morte del Cristo, fatti creduti con una fede ardente,
ardente fino al martirio; e intorno a questi fatti si andavano elaborando i
dogmi che saranno presto fìssati dai Concilii. Ma la scarsa efficacia pratica
del Neoplatonismo si com¬ prende anche meglio se si guarda un momento alle
diffe¬ renze dottrinali tra i due sistemi. Una prima e fondamentale differenza
è che l’intuizione cristiana tiene fermo al concetto ebraico della personalità
divina, e concepisce il mondo non come un’emanazione di Dio, derivante da esso
per un processo fìsico o logicoiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) NEOPLATONISMO E CRISTIANESIMOo metafìsico, ma come un atto della
sua volontà, quindi come creato nel tempo. Dio creò il cielo e la terra: questa
• è la base della dottrina cristiana. E a questo primo fatto ne succede un
altro : la caduta del primo uomo e quindi di tutti gli uomini, il peccato, che
risolve il problema del male; il quale dunque non è da cercare nella materia o
nell’ultima emanazione della divinità, ma è aneli’esso un atto di volontà,
della volontà umana ribelle al comando di Dio. Di qui il bisogno della ' 1
redenzione o liberazione dal peccato, a cui l’anima aspira; la quale redenzione
è resa possibile da un terzo fatto, l’in¬ carnazione del Verbo, del Logos, del
figlio di Dio fatto uomo, che prende sopra di sè le colpe e i dolori di tutti t
gli uomini, e li redime, per un miracolo di amore, col suo sangue- innocente.
Tutta la storia del destino umano è qui drammatizzata in un dramma potente di
efficacia. Il ISTeoplatonico, col suo concetto spiritualissimo della divinità,
combatterà fino all’ultimo questo concetto del¬ l’Incarnazione, di un Dio fatto
uomo, e la considererà come la superstizione più assurda; ma è appunto questo
concetto di un Dio redentore che ha una virtù di sim¬ patia e di consolazione
per milioni di anime; e apre la via della liberazione non ai sapienti
solamente, ma a tutti, agl’ignoranti, agli umili, agl’infelici soprattutto,
purché credano nella virtù redentrice del sangue sparso di Gesù crocifisso. Qui
si ha veramente un Dio che si può pre¬ gare, invocare, domandargli perdono,
ritornare in pace fcon lui, acquistare la vita eterna. Se si paragona questa
liberazione con quella che si potrebbe dire aristocratica e filosofica di
Plotino, me- B ib lioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico
(B ■ J- '■[ TT*; ' *•. 1 i - ■ ' ì 320 NEOPLATONISMO diante la dialettica e
l’amore delle cose belio e l’unione estatica con Dio, si vedrà la differenza.
Si direbbe che il Neoplatonismo suscitava bisogni che non poteva appa- <
gare. S. Agostino nel libro VII delle Confessioni dice: Ho letto nei libri dei
Neoplatonici la dottrina del Verbo, ma non ci ho letto ch’egli è diventato
uomo, e ha abitato fra noi, ed è morto pei peccatori, perchè tutti quelli che
gemono e soffrono venissero a lui e ne fossero consolati. 3. - Tuttavia il
Neoplatonismo, nelle sue parti migliori, * rappresentava pure una grande
tradizione di scienza e di cultura; e si capisce come spiriti non volgari se ne
lascias- sero attrarre. t E una pura, nobilissima e innocente vittima delle
lotte * religiose, nelle quali la filosofìa antica finirà con l’essere vinta e
con l’estinguersi, è una donna : Ipazia di Alessandria. . Ipazia era nata ad
Alessandria verso il 370 da Teone, ch’era celebre matematico e astronomo. Eu
educata e istruita dal padre nelle scienze in cui egli era maestro, ma il
vivido ingegno della giovinetta cercava altro ali¬ mento, e studiò con passione
la filosofìa. Dicono anche che andasse a perfezionarsi in Atene. Quello eh’è
certo è che nella sua città essa diventò celebre, ammirata , e rispettata da
tutti. La natura le aveva largito tutti i doni, quelli dello spirito e una
bellezza non comune. Fu messa a capo della scuola neoplatonica di Alessandria,
ed essa v’insegnava Platone e Aristotile, tutte le discipline filo¬ sofiche. I
titoli di alcune sue opere sono d’argomento scientifico, il che nella penuria
di altre notizie ci per¬ mette di supporre che con la sua forte cultura essa si
tenne lontana dalle stravaganze degli altri Neoplatonici, Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli" - San'Pietro Vernotico (Br) e che s’erano raccolte in lei
le migliori tradizioni del- V Ellenismo. Ebbe un grande successo. Per le strade
di Alessandria tutti si voltavano a guardare la bella per¬ sona quando passava
con semplicità e sicurezza, vestita del pallio dei filosofi, e conversando con
quelli che fi ac¬ compagnavano. Alle sue lezioni affluivano gli ascoltatori,
non tutti probabilmente per imparare la filosofia. Della sua eloquenza ci è
detto eh 7 era dolce e persuasiva, e ci è riferito pure che un suo scolaro s 7
innamorò di lei, e osò confessarle i suoi patimenti. La nobile donna cercò di
cal¬ marlo, sollevando il suo spirito e distogliendolo da desi- derii non
degni. Pur troppo noi non la conosciamo altrimenti che da quello che ne dicono
i suoi contemporanei. Il vescovo Si¬ li esio, ch’era stato suo scolaro, e le
rimase amico anche dopo che fu passato al Cristianesimo, nelle lettere che le
scrive e che ancora ci rimangono, la chiama sorella e madre e maestra, e le
manda i suoi libri prima di pubbli¬ carli per averne consigli. E nVN Antologia
c’è un epigramma {il n. 400 del libro IX) entusiastico e gentile, che fìssa
quest’apparizione luminosa, e non pare un’esagerazione. « "Oxav pXénto as,
Trpoaxuvco. Quando io ti vedo, io ti adoro, e così quando ascolto la tua parola;
come contemplando il segno celeste della Vergine) perchè tu sei cosa tutta di
cielo, o nobile Ipazia, con la bellezza dei tuoi discorsi, astro purissimo di
scienza e di cultura ». Disgraziatamente, questa storia finisce con una
tragedia orribile. Erano frequenti in Alessandria i tumulti per le discordie
fra ebrei, cristiani e pagani. 11 prefetto o go¬ vernatore della città, Oreste,
non andava d’accordo col vescovo Cirillo, e ognuno aveva il suo partito: spesso
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 322
NEOPLATONISMO scendevano in città delle compagnie di monaci, che di monaco non
avevano altro che'l’abito: erano dei mal¬ fattori che venivano a pescare nel
torbido. Oreste era uno degli ammiratori ed amici d’Ipazia, e spesso le do¬ mandava
consiglio. Essa, tutta intesa alla sua scienza e, alla sua scuola, rimaneva
estranea a tutte queste con¬ tese, e nessuno degli storici nemmeno
ecclesiastici for¬ mula un’accusa contro di lei; ma nel partito di Cirillo
dovette formarsi l’opinione che Ipazia influisse sul go¬ vernatore,
impedendogli di vivere d’accordo col vescovo; e del resto per la sua posizione
e il suo insegnamento doveva essere ritenuta come un sostegno o fautrice del m
partito dei pagani, e odiata a morte dagli zelanti che non mancano in nessun
partito. Fatto sta che un giorno di quaresima del 415, in un tumulto, mentre
Ipazia tornava in città in vettura, vide accorrere contro di sè una folla
furiosa, e, come racconta Io storico Niceforo, la strappa¬ rono dal carro, la
portarono in una chiesa, e ivi spoglia¬ tala delle vesti l’uccisero, la fecero
in pezzi e andarono a bruciarla in un luogo detto Cinaron 1 ). 4. - Col
martirio della vergine pagana si estingue la scuola neoplatonica di
Alessandria. Ma riapparisce nel quinto secolo in Atene, e sarà l’ultima scuola.
La Filosofia ritorna per morire nella sua patria antica, alla città di Socrate
e di Platone; e allo studio di Platone congiunge quello di Aristotile, come già
s’è visto in Plotino, in Por¬ firio, in Ipazia. i) Si può vedere su Ipazia uno
studio del prof. Faggi nella Rivinta d’Italia del 1905, e un altro del prof.
Pascal nel voi. Figure e caratteri . Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San
Pietro Vernotico (Br) 323 -,”;js-w v ; \ PROCLO Fondatore di questa scuola
ateniese è Plutarco detto il grande dai suoi scolari, a cui succede Siriano, e
poi Proclo, eh’è il più celebre e il più importante. Proclo era nato nel 410 a
Costantinopoli e visse fino al 485. Era un dialettico sottilissimo, ebe al
bisogno di sapere congiunge quello di credere; e crede ai presagi dei sogni,
alla potenza degl’ incanti e degli scongiuri. Passò la sua vita scrivendo e
insegnando. I suoi discepoli crede¬ vano sentire in lui la presenza di un Dio.
Un giorno, uno .che aveva udito una sua lezione, affermò che aveva visto
attorno al suo capo un’aureola divina. Scrisse fra l’altro dei commenti a
Platone e un ’Istituzione teologica } che si può vedere nell’edizione Didot di
Plotino 1 ). La sua opera consiste essenzialmente nel ridurre a si¬ stema tutta
la sapienza anteriore. La filosofia di Aristo¬ tile è considerata come
l’introduzione a quella di Platone, i piccoli misteri che precedono i grandi; e
il fondo della dottrina è quello neoplatonico, Proclo dimostra metodicamente
come bisogna partire dall’Uno, e come dall’Uno derivano i molti, mediante un
processo dialettico che comprende tre momenti : ogni pro¬ dotto, da una parte
somiglia alla causa che lo produce, e dall’altra se ne distingue, e pure
distinguendosene, ritorna ad essa: dunque jjlov'/j o immanenza, TipóoSoc o
progresso, iTUKjrpo'f/) o conversione sono i tre momenti di questo pro¬ cesso.
Questo ritmo si riproduce a ogni fase dell’emana¬ zione o sviluppo
dell’Assoluto, che procede dunque per triadi successive in tutte le sfere
dell’Essere, dall’Uno 4 q Cfr. ProCI.O, Elementi di teologia con im’
introduzione del prof. M. Lo¬ ia a eco (Lanciano, Carabba). Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) h. Li/- i- 324NEOPLATONISMO fino
alla materia, triadi che si moìtiplicario, perchè ogni momento di ciascuna
triade dà luogo a sua volta a triadi (e poi a ebdomadi) subordinate. Ne nasce
una costruzione eh’è insieme un 7 architetto¬ nica di concetti e una gerarchia
di divinità mitologiche, alla maniera di Giamblico : una filosofia compiutamente
messa in ordine, coi suoi scompartimenti e le sue formule tecniche, che ha pure
trovato i suoi ammiratori. Vit¬ torio Cousin ha pubblicato le opere di Proclo,
e Giorgio Hegel ha riconosciuto in lui uno spirito sistematico e.
sistematizzatore come il suo. Quello che si può dire in generale è che il
pensiero greco vive oramai del suo passato: per parlare con Pio¬ tino (e col
Windelband), lo spirito greco, a traverso le sue emanazioni, finisce col
perdersi in questa scolastica. E la morte naturale della filosofìa antica, per
esauri¬ mento, è suggellata da un atto di violenza, da un editto
dell’Imperatore Giustiniano, del 529, nel quale si ordi¬ nava che nessuno
insegnasse più filosofìa in Atene. Così si chiudeva per ordine superiore quest
7 ultima scuola, della ([naie furono confiscate le rendite, e i filosofi
dispersi. L’ultimo scolarca fu Hamascio, il quale col suo scolaro Simplicio, il
celebre commentatore di Aristotile, e altri cinque neoplatonici, ripararono in
Persia, dove speravano protezione dal re Cosroe, amico della cultura greca. Poi
rimpatriarono, ma la scuola rimase chiusa per sempre. Una filosofia non
cristiana era diventata impossibile nel mondo greco. Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)Giuseppe Melli. Melli. Keywords:
AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Memmio: la
ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO dedicates his great Garden
poem to him. He acquires the ruins of the house in Athens where Epicuro starts
his Garden. Gaio Memmio.
Grice e Menecrate:
la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil
of Senocrate. Menecrate
Grice e Menestore:
la ragione conversazionale ela scuola di Sibari -- Roma – filosofia calabrese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibari, Cazzano
all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean. Giamblico. Menestore.
Grice e Menone:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – gl’ottimati di
Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A
Pythagorian and son-in-law of Pythagoras, according to Giamblico di Calcide.
Grice e Mercuriale: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Forli).
Filosofo italiano.
Forli, Emilia Romagna. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton, cricket
featured as my priority, -- philosophy came second!” Celebre per avere per primo teorizzato l'uso della
ginnastica nella filosofia. Suoi sono anche il primo saggio sulle malattie
cutanee e un'importante saggio, forse la prima mai scritta, di pediatria. Ritratto raffigurato in "De arte
gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la laurea a Padova,
dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a Roma Farnese. A causa della sua
fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio IV. Pare aver
composto il suo celeberrimo saggio sulla ginnastica. E professore in entrambe le università dove
studia. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui
scrive saggi, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti
durante le lezioni. Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de'
Medici e poté godere di una certa fama. Cura anche altre importanti personalità
del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nomina cavaliere e conte
palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo vede convocato a
Venezia insieme a molti altri filosofi illustri, consultati per decifrare una
misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin dall'inizio un caso di
peste, in quanto solo una minima percentuale della popolazione si era ammalata
e il contagio resta comunque molto limitato. Dopo una settimana però la
malattia ha un decorso impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana
tra cui anche alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale
evento non ha gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante lezioni
che tenne a proposito della peste, continua a difendere la sua posizione
riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una cappella
dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di
famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai
monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si
impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i
monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca
pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata nella cappella una lapide
con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando
presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza
e la fede. Saggi: “De morbis
muliebribus”, Cultore dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum
Hippocratis,”-- in cui discusse in modo critico le opere del medico, “De arte
gymnastica,” la prima opera moderna che
consideri scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma
anche un testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale
argomento scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle,
di tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et
morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare,
conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum
in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della
Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria
Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. rilERONYMI MERCVRIALIS DEARTEGYMNASTICA LibriSex,
IN '^VIBVS EXERCITATIONVM OMNIVM \\cii(hii um scncra.Ioca.modi , facultatcs ,
&: quidquid dcniqucad corporis humani cxcrcitationcs pcrtinct , diligentcr
cxplicarur . ^uru cditione comSIiores 3 ^ 4uSItoreJ faEfi. Ojuis 11011 nu\i,)
nu\1ki$ , vcnim ctiam omnibiis antiqiiarum rermn cosnolccndariim ,^ &
v.ilcnidinis coiiUrna;u)ac ftuJioias .idir.Oilum vtilc. AD MAXIMILIANVM II. 4 I
M P E R A T O K E /.1. ^^^^ *
VENrETII.S, ATVD IVNTAS. M D C 1. X Early European Books, Copyright © 201 1
ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 - I Early European Books, Copyright © 201
1 ProQu. Images reproduced by courtesy of the Bibl CFMAGL 1 .7.429 MAXIMILIANO
II IMPERATORI INVICTISSIMO. HT ERONYMVS MERCVRIALIS pcrpctuam FclicitatcitL- D.
I quando mccum^ diliircTirius confidcro, MAXiMIlJANE Jnuidjllimcquot, quanraquc
Impcratorts, /ummique Princi pcs prohominuui laIutc,,6C tranquillirarc tam
bcllo.quam pacc gcfTcrint, in cam facilcdcfccndo fcnicn- tiam , mcrito, arquc
oprimoiurc omncsfcrc gcntcs , 6C nationcs fccilTc , quodcos dignos
cxjfhmaruntjquiin Dcoiumimmorralium nu- mcrum rcfcrrcnrur . inrcr ca ucro ,
quac in hu- manum gcnus innumcracontulcrunt bcncfi- cia,magnajn partcm fibi
vcndicanrarrcs p(oic omncs Iibcralcs,quas maximis propofitis prac-
mijsnoncxcitaruntmodo.atquc cxtulcruntali quando iaccntcs , fcd ita ctiam carum
dignita- tcampljficarunt.vt ipfi (oli illarum au(5loics,ct inrtauratorcs
propcmodum vidcanrur. Jd faci- lc pcripiccrc quiuisporcft,qui militaris
difcipli- 2 nac. n&c,leg(nTi fcientiaevcafitekmrncju^fine qui-' bus ta baec
noil^fi ferc u icalisiipn effe t Jau- dandarum artium ortus , &C
increriicnta mc- tnorta velitrepetere : fed ne Imperatorifapien-
tiflimojquaeomnibuspaflim notafunt,reccn-r 1 fcndo fim moIelUts , vnum' mcdicae
artis om- nium vtiliffimac exemplum proponam, quac proculdubio aut nulla cflct,
aut-ccrto cuhl» qucm hoc tempore pracfcfcrt fplcndorcm, 6C cicgantiam non
habcrct , nifi Principum beni- ghitasjfinequa omnis plerumque languefcit
induftria,famniisviris illius au(fboribus aflul- fiflct. Etcnim quantum a
primisillis tempOr ribus quafinafcenti medicinae attulerint auxi Iij Cadmus,
Salombn, Alexander, poftcrio- ribus vero Attalus, Ptolemaeus, Nero, Ha- drianus
, Cortftahtinus luftinus , alij per- multi , compluriura Dodorum hominum^
monumenta tefteintur. Verumtamcn vt aha '»'1, omittam in praefentia, non cxigui
momcn- Kfc^ ti putandum id cft, quod magnificentiftima , comii atque^
ampliflima Gymriafia^ cxftruxcrunt. , ttmpJ inquoijsartenL, GymnafticaiTL
inftituentes,. pcrlic^ ipfiui magiftros ac prifed:os alucrint , qui H,i homincs
excrcitationibus , fi^ ad corporis , (DiaJ 6C ad animi fanitatem. confcrcntibus
in^- biis ftrucntes ad behe , bcatcque viucndum viam opti eommunircnr » Haec
cnini. ars illa. cft, ' Inc ob quani. olaiL, PerfaruiTL reges, Lacedae- tarct,
monij. Dfllll 3CC( m ii ni [DSti i\m fcosi torcs, monij, Athenienfcs, Romani
icain bcllisgc- rendisvalucrunt, vtfaepe non maximamanu incredibiics hoftium
vires frcs;crint, mnumc- rabiles copias fudcrint , tot dcnique rcgna.tot-
quenationes fuis ditionibusfiibicccrint, utnc recenfcri quidcm numcrando facilc
quednr. . Hac eadem inftrudi , non dcfucrunt rrincipes, quiaducrfusqucmlibct
Athlctamroborclimt. aufi contcndcrc, qualcs fuilVcCyrum , Nero- ncm , Traianum
, Antoninum , 6C Seucrum acccpimus , quos praetcrquanL quod hac fola^ arte
fanitatcm conlcruaflc , fortilTimosquc cua- fiflcmcmoriae proditumelt,
obhancquoquc cauflani. idcosfcciflc vcrifimiiecfl, vtcactc- rosfuo excmplo ad
eafdcm cxercitationcsin- uitarcnt. Huiufmctartis opcquisignoratpri- fcos
rcgnorum , 6C prouinciarum gubcrna- tores Athlctaruni. , (SCgladiatoruuL-
fpcdacu- laadfubditosin oflicio continendos prudcn- ter cxcogitata
iiitroduxiflc ? nc plurima alia commoda rcccnfcam, quacg)'mnaflica,quot tempore
floruit , ad humanam fclicitatem^ perficicndani. fcmpcr vbcrrimc pracflitit .
Scd , qtioplurcs fcimusabhac artc vtihtatcs cmanafle, comagisdolcndumnobis cfl,
qui- bus ncfcio quo mifero fato cummultis alijs optimarum artium fludijs perijt
, atquc cx- ftinda prorfiiscft^undc fit vtvctusilludmili- carcrobur,
(SCvcramfanitatcm pcrpauci fint * 3 hoc hoc temporc, quiconfequantar,
tbtquemof" borum gcncra quotidie nos infcftent , quot ob cxcrccndorum
corporum confuctudincm non cxpertos efTc vetcrcs rationi confcnta- neumcft .
IIaccautemctfiitafint,dcfpcran- dum. tamen non cft , lapicntiffime Jmperator,
quincorum fcriptorum bcneficio, apudquos rudis atque adumbrata quaedam ilhus
deli- ncatio remanfit , ab intcritu poffitvindicari, ac iterum in hominum.
adfpcdum , luccm- quc proferri , fi dC Trincipum ad hanc rem propenfio adfit ,
6Chomincs do(fli, &C anti- quitatis periti reperiantur , qui in hoc ftu-
dium incumbere , omncsque ingcnij ncruos contcnderc non recufcn r. Caeterum cur
nemo noftris faeculis huiufmodi prouinciam fufcepc rit , fanc pronunciarc non
audcorid unum fcio, rcm ficut maximaevtihtatis, ita immenfi cfCe laboris.
Etcgo, licetmulta cflcnr, quaeabca detcrrere me poflcnt , aliquando tamen fum
aggrcflljs , quaeque Jnter legcndos au nuncperfe(5lius,IocupIetius,(3C
pulchrius redi- tum tuaeMaieftatiipfius nomineadferrem . Quamobrcm oro, vt,qua
loles incomparabili animi magnitudine,hoc hcet Maieftati tuae imparmunus,
qualecumque tamen tenuitas noftra oflferre poteft , accipere, meque inter
tuosnumerare , protegere , acfouere digneris. nam , quamquam me ijs , qui omni
difciplina- rumatqueartium genere cxcellentes M.T. in- feruiunt, comparandum
non effe non igno- rem : Ci tamen animus Ipeiletur meus,non du-
bito,quin,ficutnuIIius ftudia in M. T. funt ar- dentiora,auf nbfcruantia maior,
ita aliquo in- terahosgratiae tuae loconon indignus uidcri pollim. Deus Optimus
Max.M.T. pro Chriftia ni orbis (aluce dm incolumem , 6C fdicem conferuct.
Patauij,KaI.Sexc.Cl3 13 L XXI II. LAVRENTIIGAMBARAE BRIXIANI CARMEN. tAuxiUo
ftctit Phochtgemtoris^ c^* arte y %Artc Coromdcs wcdtdt cclchcrrtmtis oltm
vMcmbra, minutAttm patrios dtficfla pcr agros Htppo/yti 3 tAndcm mn72tbus
collcgit , Crr' artus Arttibtis aptatitt ?ittcns ^ iutiC7tcmq,carc?jtcm yam
lucc acthcria , iam tartara ntgra tc72cntcm Ad fuperas fcdcs ^crcbtreuccauit ab
vmbnss Et mcmbrtJ lactos , ocultsq. tnfudit honorcs : ^ucts felttum lumcn
fumpfrunt mcmbra tuucntae: (fonffus ttanuncope Mcrcurialts y C^aura Farncfj
afptrantts hcrt collcgtt tn Vnum Gjmnada : qua quo?jdam fc fc cxcrccre rcltSIo
(jvrccre maiores y populo fpc&ante y Jolebant . Haec pars ad ludos fpcflat y
pars altera tantum Commcmurat \ tum quts ^tclts fc oHcntat tn armts, Fortts rt
euadat mtlcs ^ pars tertta narrat , Stnteay quaetncolumes fruent morboq.
Vacantes Mortales ^dumytta manet^ docct tvfpcr hatcpxrsy Ordtncquo pofjint
homtnes extcndcrc longum Intempus dubtam actatem ^ tardamquc fcmiJam Ducere
tnuxpcrtamq. ma/tj curaq. carmtcm; Omnta quac Utuere dtu dtfpcrja , tcnebrtsq,
tAbdtta Ctmmerpjs: quae nttnc dtjitnfla labore ^ Et multo Sludto y tamquam noua
fidcra fulgcnt , Scrtptores tnter Cratosy parttcrq. Lattnos . Matth. Dcuari;,
avg-ot(7iv ^coov (Tclo^ctTot; npuo^rctiv , Z JiTrOTQi^^y}^ zoiAct X&i^^ctf
cc/uvJ)>c^7rip tfx^ot rix^fiC yv/uvctcnfig vvuj ctictX^(ct>C ^TTtTIOV
Aov(nTctvov. VvfAVcicnov Tro^vncfig ayoM Trovicov (twv {yfiptc UctVTOioic csropcLSlw
UMzJV (Jfii/2xioic OilviTtet T^m arxpSv l\pcavv/ultntus Clcmcns Alcxandrinus
Codttis Aurcltanus Columclla Cornelttis (jlfts D.Cyprianus Dtocles Dton
Dionyfus iyireopaj^ita Dtonyjius Haltcarnafctis Eptphanius Erafslratus
Erottanus Eurtptdes Etifebtus Eujiathtus Galenus Hcliodorus Hcrodottis
HerodianuT Hcfodus D.Hteronymus Htppocratcs Homcrus Horatttis loanncs fajjianus
D. Inanncs Chryffomtts fof^phus IJtdortiS lultus CapttolifUiS lultus Ftrmtcus
lultus Fol/ux lujitutis Martyr Juuenatis Laertius Laitus Lampridius Ltbanius
Lucanus Lucianus Lucilius Lucretius Mar. Aure.CaJJtodorus Marcus Tullius
Martiatis Meletius Oribajtus Ouidius n^acuuius D. PauUus Pauilus Qy4eginetA
Vaufanias Perfius Petronius arbiter Philofiratus Plato Plautus Plinius
T^lutarchus IPolybius ^orphyrius Po/idonms Propertius Pub.Pelleius Pub. VittoT
Paterculus ^intilianus T{azes ^fus Sphefius Saluianus Scribomus Largus Senecd
Sex. Empiricus Sex.Pompeius Fefus Sidonius A^ollinarts Soranus Ephefus
Sophocles Spartianus Statius . Strabo Suetonius Tranquillus Suidas Terentius
Tertullianus Themfon ThemiHtus Theodoretus Theodorus TPrtfcianus Theophraflus
Valertus Flaccus ValeriusMax. Varro Vegetius Vttruuius Vopifcus Xenophon. INDEX
EORVM QVAE HAC ADITIONE quarta (iintaddita ab aiKftorc. ^ Ccubitus in mcfifa
toflcrio-' ribus l{omanisyC^ Graecis prarfrrtirri nobiiioribus ufi"
tatiljimus.j i.z.^. B. jiccumbendi modus llebraeo- rum poft liberationc ab ji
egypto.y i.i.D. ^ccumbendi modus Hierofolymus vtrttm ef fct qdAiis B^ruanorum
in triclinio t\ib is li^isAltioribus.j^y.i.ji. jtccumbcndi uai ia genera, &
tex.j z. 2. D. ^ccumbcntcs Vetcres epularifoUtos fuijfe. 67.2.^. Mdiutmcntum de
truUnio.jo.^.D* ^tklttae dtnudabaiAur toticxceptis fubii- gacuiis.i-j.B.&
C. jiti lct^^^^ iudi qualcs forcnt Cafsiodorus dmjcrte docuit. in ^ilhletica qd
magis ualeat r^bur ars. C CEromaaUas aiiprerium iocusubiur.»gchaiv.itrryCh'
:!ii acc: bitus lut aitquibus non flaceat» 66.t.E. Chriftus prius quam menfae
accuwberet laua baturyiocufque reponebat.-J^i.V. Chnfiui in mcrfa taceret ne ,
an jederet . 68.1.D. Conuiui .rurn apud veteres He- bratost&alios genera
dmcrja.jo 2. F. toronabantur aiiqui ,iicet non pugnajscnt. Crucis tituluscur
llcbraicefiracce^atque U tine infcriptus fuerit.j i.i.F. Curfiim milit.bus
Diogenes damnauit^ D Emocritus curpcnt^thiis uocarctur. DifctinMndi modus ftpra
tciram 7i.l.B. Difcumbir.di mos ?iktn apud yiehraec^s ttm^ pore Chnflijuerit
;& ritalis Medicaci fententia hac dc re expcnditur. yo.i.E* Fnpa qmd effet.
Fraucifci Toiedi Cardinalis, & aliorum circa Mariam Magd.iU ii*^m
Qhnftipedif lauantemlcntentia.6^ z.t\ Fuiuius rrjhius accepit dgymnafticae
iibris fua dc triciinio C6.1.E. GEntcs J{omanis feruientcs ipforum wt- rcs
imitabantur.6j.^*P^' deCtnatione Sinecae Jentcntia- Ci^diatorum nos nephandus a
principibus q oque abuiif ts.l^^.B. Cymnafta in omr.ib^a ferh Cr.iecorum oppi^
dis :.d^r,if.t,jic l\pmaeante '\eroras quo- quetewpora \().^.& 29. C.
Cymnafia num tcmporibus lullns apcri» rentur. in Cymnaftisqui ludiprimum
cxcrcerentur^ 224. £. Cymnaflae an toto femper corpore dcnudu" rtntur. n
HEhraci num aciuberent potius quemad modum i\omani,t] Jederent.jl.LX. llcOia^
}{omJnorum rnjn s Jcqucbanturtni-
Ji patrvfs
i^^ihus ( ontrar la) entur .j i .Z.C licrophiii medid liat ia cum ii Jii
umcntis gy mnafUcat.Sfum origoyrrtusyet cur a ludam ai^c fret tur.-j^. i.t,
S£dt ndi ad mer,Ja:s cunjuetudo f{p>7^anorum, & aliorum quando ccefta ,
& ufurfata fiteHtyi.z.^^ Serni,& tibertiin quibus agonibus conten^
derent^ Siteuis ueneris vfus prohibebatnr ante vigi fimum annuw^ Syharitu ornm
jo rdidi mo rcs^y U2^C. THcmifiif locusi;orrc^^i4S.y^,c^ Tridinijcur rarae
figurae in marmoribus inueniatur,6j.z.Cn Triilirii\m i^ncrdum Fro^omophrcs:
USos capicHtc 6j 2,^. Tridi^ I N D E X. TricHniapeief aUos iabelmUeofqui aut
/i- g»rosyaut argcntQS,aut aurcos.-ji .lU. rricUimnqnidapHdferuium.Sj.z.B. 7
rictifuum q^tid fucrit non Admodum notum TripcdJS nnejsc tru Hnia.67. z.C.
rrcchusud mliitartm qu^i^^c artmpeni* Wibat.l^?*^* Vlrtutum quae fit
prindpMlifsimi. rngendi morrm antiqi4ura pofl bat^ ncum, &ante c$enam Maria
MdgdaltfU in Cbrijlo feruduit Ji.i.P. Erophagia quid efscU F I N r s * ARTIS.
GYMNASTIC^' LIBER. PRIMVS Cap. 1. V AMDlv Homincs paucirtlmis rebiiscontcn- ri
lauras mcnfas , &: opipara conuiuia non co- gnoucrunt , propinarionisciuc
poft indudam paullarim confucrudincmpcnirus ignorarunt, (idquod primis illis
lacculis cxtitilsc mcmo- riac proditum cft ) morbi ncquc apparuc- runr , ncquc
ctiam corum nomina innoruc-
runr, fjcurvlquc
ad rempora Socratis diftillarioijum ,quasGrac- ci Ktcriggovi
dicunt,nomcn,c]uonilhodic Ircqucnriuscft, igno- ratumc/setradiditPIato.-quadc
rctunc temporis mcdicinacaur paucos omnino,autnuIlosvfus, nullaqucpnncipia
cxtitif^c cer- rum cft: etii Homcrus anriquilliiniis ausTtor fcripfcrir
Ac^yprum multashcrbas, multaquc mcdicamcnrahabuifsc. Poftquam vc-
rointcmpcranriaencfandalucs,coquorumcxqui(itacartcs, dc- licatiinma cpularum
condimcnra, vinorumquc pcrc^rinac tcm- pcraruracintcrhominesiiTcpfcrc, morborum
limul varia conri- nuo gcncra fuccrcfccntia ad im:cnicndam mcdicinam cos coc-
Cgcrunt : cjua fcmpcr carcrc proH^to licuifsct, nili humana, vcl
ponusfcrinaingluuies omnium uiriorum fobolcs cius ufum om-
niummaximencccfsarium cfrccifstr. Mcdicina vcro tamcrfi pri- mo illo orru rudis
admodum , inculraquc fucrit , quando priici illi ( ut Hcrodotus, &: Gaknus
rcfcrunt ) ac^roros palam cxponcbanr ^"^'^* 'i'"
vrvnafquifq.quodutilc,arquccxpciimcnriscomprobarumhabc-r£^^ bat, alrcrumcdoccrcr,
poftcrioni)us ramcnfacculis abAcfcula- pioKpidauriocognomcnro apud (yrcnaeos
mcdicomiriricc ex ornara fuir , &: quafi cx rultica urbana , concinna
rcddira : quam tamcn omnino pcrHccrc is ncquaquam potuit, quippc quiVolis
morbolJs , ac languenribus opcram nauans id vnum fcmpc r curan- di ftudium
habuir: fanorum curam aut vllam dsc ignorauit, aut eam prorfus contempfir :
quod poftca fucccfsorcs illi us inrclligcn- tC5 adco cxiftioucionc dignam
rcputarunc , vt medicmam fine hac Qijmnastua. A totam * L l B E R tofam imiicam,
nulloqnemodopcrfcaam cflcpoflepcrrpexcnnr. D Arq. hi fucre primi Hcrodicus
Seiymbrianus , Hippocrarcs cius difcipulus,cjui curariuac morborum mcdicinae
cofcruaroriam va- lerudinis paf rcm fcrc circa fana dunraxar corporc fatagcnrc
adde- rc uifi funr , arbirrantes non minus praeclarum , arque artiificiofum
opus cfse fanos homines a morbispraecauerc, quam iJlos ia impli- ciros Iibcrare
: vndc medicina , quae antca femper quafi virgofue-
rar,praegnansabillisrcddirafuir, quandoquidem prius foliscu- randisaegrirudinibuSjtumfaniseriamconferuandispraefeda
ert:. An toram cam medicinae partcm, quae &:ad fanos, &c ad uiclus ra-
tionemperrinct cxrabellulis, ahjsuc donaris, Aefculapij tcmplo dicatis
Hippocrates conflauerit: an vero folamincurandis mor- bis vcrfmrcm clinicem
uocaram , quemadmodum Varro , Strabo, atque Plinius credidifle uidcnrur, mihi
plane compcrrum non E eft:ni/iquodfuirmoslibcraros morbisin tcmplocius Dci,
quid auxihatum efscr,fcribere:]fqucaprimisillis rcmporibusvfquc ad Antonini
imperaroris acrarcm non modoin Graecia,uerum ctiam inltaliapcrdurauit: vri
pracccrcriscxrabella marmorca Romae itiAefcuIapijrcmpIoin
infuIaTibcrinainucnra,& vfqueadhanc diemapudMaphaeos conferuara
inrclligcrel^cct , inquagraece haecleguntur. S^ctKTuAovg i7rctico7S/3ri/^ct7vc:
, y^' xpcif rlvj^flpct , K^iTflSHvctfjHc iJiovg d^- ^^\uod^ , op^ov iui,eM^i ,
Ji[Smov ^ctpi^Sivc , K^^v7X^pC/Le{^ov '611 n ro^sctj cipiTcu iyz^ovTO 'fhilS
Ji/2ci KMj i^^c^y chuoaia YWj-^^a^tqi^CTaf iuTCOcJzf ^uov . Sdnguwcm reuomtntt
JulUno deJfCTAto Abomnihushomimlt4S €x oraculo rejpondtt Dcus y n.^entrct ^ cx
ara caperct nuclcospt^ my comcdcreta;na cum melle per tres dics : conualuit ^ ^
rtuens ptibliccgrattas egit praefente populo. ajuxi^ oLAixfvovoc; \6iK0v utToi
/uiAtrz^; , Ko^^^vpiov aujb^fivaf , KSH^ f&t^ iuipa^ i7np^i(7af ^ 73
JfAi/3"Cf , j^j ivKA ^ W^aiv ShujoaicL m^ici . i J cft: qua i]uicum(|ue occupabantur , ll^^^^^^^^^
domcllicos mui cs dilij^cntcr oblt riiabant , ac profcqucbantur. fic ubui.
Cratcri mcdici rcruus,rcfcrcntc Porphyrio^nouoquodam morbo caprusfuit
Jtautcarncs eius ab ollibus abfccdcrcnrrlic tcmpori- busnoftriscxfccranda illa
gallica pacnc cxitialis lucsuniucrfas rcgiones ucxarc cocpir : ut nullo pado
illud, quod ucl podciiorum hominum culpa , uel torruna auc Dco ira uolcnrc
contigir , Hippo- craci crimcn artcrrc dcbcar , a quo cum duac iam pracdiclac
mcdi j;cinacparrcsad lummampcrrcchoncinproucctacfucrint , diuinis cius manibus
immorralcs fcmpcr habcndac funt gratiac . Am- pliusq. illud actcrnac memoriac
mandandum, quod ambac medi- cinacpaitcslicutidiueifac rc ucra
fiint,paritcruarianomina ha- bucrunt , altcraquc 7r^o^,\ccKTPLH , (iuc vyt^ti^m
, altcra S%g^wriKH nun- cuparafuit , uocabul.s quidcm his tum abopcrc,
rumarccirci quam ucrsdntur,acccpt;s , quac quouiam fapicnrcr , arquc ucrc dc-
promptac tucrunt , nullamumquam apud ullos mutarioncmfufcc- pcrunr: qucmadmodum
ctiaui ufquc ail pollcriora tcmporahacc inucrcrata pcrmanlit inrer inedicos
coniucrudo , ur omncs duas niedicinacparres prinuirias
cfticianr,a!tcramcurariuam , alreram confcruatiuam nuncupantcs , quas ob id
communi incdicinac no- minc plci umquc comprehcndunr ; quoniam curatiua , quac
primo C ob maiorcm ncceiriratcm inixnia fuir , id nomcn adepta ell , quod
confcruarjua quoquc ei poltrcino adumcla non modo obrmuit, ucrumctiam apud
nonnullcs tantam auctorirarem acquiliuir, ut iudicaucrint hanc folam medicinam
ucram appcllari debere:illam inccrram ,falfam ,mcramuc hominum alios deciperc
itudentiuiu impofluram cxfiilerc , nempc quac nudis coniectuiis, infirmisq. ar-
gumcntis primo ad cognolcendos morbos urarur : dcindc in co f c- rc
omncsfbrtuira remcdia ,incogniraquc medicamenra ,ur pluri- mumadhibeant,i^
dcmum ram in iudicando,qi;;im in curando non raro fallantur , quos raincn in
grauillimo crroi c vcrfari faciili- mc cognofccnr , quicumq. humanas
calamirarcs , morborumq. in- commoditarcs, qualcs fbrcnr, ni curatrix medicina
fuccurrcret » acquo animo aclhinarc uoiucunr : ut non abfq. lumina rarionc iu-
lianus impcrator hanc pro mcdicislcgempromuigaflc uidcarur. Otfmnasiua, A 3 IHN
^ L I B E R ^»pu,mcty.iAiovoi^v, if /2ovMb-nzm e^r^py,,uciTcv oi^oyXi^rHg
vu^gcv roig XoiTTOic: ;^^ovotc s abomnibuscurialibusminiltcrijsimmunesuiucre. '
c De confiruMkcicfmihus,c Galcno crebro fcriprum reperi- tur , exercitationcs ,
tot atquc tanta ad uitam fanam traducendam bona praeftare , quot & quanta
uix vlla alia medicinae initrumcr i praeftant . Quod fi Hippocrates in lib. de
Locis in hominc fcripfit Gymnafticani,& medi cinam cotrarias efre,quoniam
altera permu- tatione opus habet,altera non de fola ea medicinae part e fcrmone
habmt , quac i n medendis decumben tibus clinicc a pofterionbus yocata,folum
uerfatur.Plato ctiam,atquc Plutarchus q uando dixc- runc r K I Ai V s. 9 A r.
nr cUiascflc c.u.i corpuslu.inaniini vcrfuitcsaitc-s, nicdicinain, &:
gymnafticani , non ob id , qncmadniodum Era(iftratus 6c Scdta- torcs>
illasfciunxcruncfcd communcm hominum loqucndi vfum fccuti funr, qui , quoniam
pollcrius i:\mnaftica mcdicina inticnra, ciq. adncxa clt, cas diucrlas nulla
alia rationc diiCti dfiwicbanr.Cc- tcrum quid fithacc ars cxcrciratoria
pymnaftica gracco nominc nuncupara, ab cius dcfinitionc, fiuc dclcriprionc
pcrcrc dcbcmus, quam crli luculcntcr cxplicatam apud Piaroncm habcamus ,a nul-
lotamcnaho, quam a(^.aIcno nortro cam 6^ brcuius , &:iucidm^s ^^^.^
dcclaratam crcdo , ubi iradixit:» Tfc;^Kii y\Jiiy(tstKH Uut Intsni/M rn^iv
-^^^^^i •TTiiTiyvyL^WTmJ^iti^fi^ hoccftgymnaiLic a cllquac omnium cxcrci-
tationumfaculrarcs nouit, aut porius, gymnallicaarscflfcicnria
potcntiacomniumcxcrcirationum. Qu )in loco animaducrtcn- B dum cft, Galcnum
fcicntiam non propric, fcd cf>mmuni:cr, ut plcrumquc auftorcs folcnt,
acccpillc , proptcrca quod gymna- Uicacumprofincopushabcat, &:fcicntiac
nullum opusconlidc- rcnt, nccclfario a vcra fcicntia cxcludirur i quamuis
alioqui caulfas cxcrcitationis virium facpilfimc contcmplctur : clt mlupcr ani-
maducrtcndum, Galcnum hac dcfinirionc gymnaflicam a pac- dotribicadiltinxiifc,
quoniam illa ramquam impcratrix&: cxcrci- tationum qualirarcsomncs, &:carum
cauflasfpccularur , impcrat- quc , hacc vcluri minillra ilhus cxliflit ,
pcrindc ac gymnalla crar , quiomnium cxcrcirationum potcnriasprobcnofccbat ,
casqiiC, prourfanitaxi,&: bonohabitui cxpcdirc iudicabat , diucrfis
homi-nibusimpcrabat : pacdotri ba ucro , qui cas , quomudv:» fi-^rc dcbc-
rcnt,*&:pofscnt, rcipfa dcmonllrabar:arqi:c hoc acni':!maricc cx- C
plicauit I^olybus fiib his ucrbis: TreuJ^oT^lRxi roU^J^tJ^iaKovciTretix- ^
ttffctok Kxri f^tiop, iJiK^uf JtKxlt^y ifcrrcrrt. KMTTuy i^oc^up Bii^i^fz^cUy
jc u. ca- riKiA/usxyKetliKr^^tsx: idcft: Pacdotr bac h( c cui ccnt pracuan- can
(ccundum lcgcSjiniuriam fKcrc iuftc,dccipcrc . furari,rapcrc,
viminfcrrchoncftiflimc, &: turpiffimc. Nam ii quisluw irorum, &:
ahorum, quia pacdoiribiscdoccbanri:r,adtioncsacftimcr, li- quidoconfpicicr
ualdcijsaflimilari , quac aPolybo fcripra funr , ficquc gymnaftam , &:
pacdorribam noii parum dilfiniilcs faifsc:vc- rumramcn, cum intcrdum unus
vtriufquc munus implcrct, noii immcrirocxiftimaucrunt aliqui has duas ancsunam,
atqr.c can- dcm cfsc , uduti nonnumquamidcm&:miliris lir.pcraroris ofli-
cio pcrfungitur; arramcn (ialcnus cascfscdilbnCias voluit,dum gymnafticam
uocarircfpcituhabitoad folam cxcrcitationis qua- hrarcm ' « L i u E R.
litatumnotitiam, quae opmtione ipfa nobilior cd; pacdotribi-D cam clici ob
aitum ipfum cxcrcendi , vtpote /gnobiliorcm contcn- dif, haud ahter ac ii
dixifscraltcram harum fpeculatiuam , acarbi- tram,&:iudiccm;altcram
pradlicam efse, quae omnesinterdum vna gymnafticae appellationc a matcria ,
circa quam ucrfantur,
utpnarmaccurica,fufccptauocarentur;ficutifpccuIatiua,&:praaica
mcdicinaepartes unoircdicinac nominefacpenumcroappellan- tur led quod
ucrcficuti dcclarauimus,eymnartica talis efse: gym- naflaq.&pacdotriba
difl-crrenr,AriIloteIis tcftimonio quoq. copra
Darelicef,(^nipnncipioquaniPoIiticoruhoc fcrip:u rehquit: eV fiftnir" ^ a
"""r 'i"'^' P'''''' ' '^'^^ ^us aliqd' pcrfcdc cx- Munt
vniuseftconfidcrarcquid cuiq. conuenia: g^ncrSeu e^^^^^^ cac ^ft
'^"'''^P^"^'"^^^- ""^ omnibus.Etcnim hoc gymnafti-
tarcs opere ipZdoc^^^^^^^ "aric- uandae^elSptim co^oo ifM
"^'""^^'"'^ ci. Dixi huiusartirtX?/r^
'"'f^"'''^"^'^ pcrfeaam , qiltum? . oo tcft
"r"".' ^"'"*" "^P^^"^'" ^^^^'^
ctKuiiutl.ancfciSfnV.bai^f' "1"^ uerfan- I Bfit 2(ifl liOQ iit nimi
licoj niin, P R I M V S. II A iJCrfantiir > circa quas gymnaftica mcdica,ut
in fcqucntihiis fum cicmonftrarurns , quando in iingulis cxcrcitarionum
gcneribus cicclarandisquomv)do in vnaquaquc gymnaltica locuin habuc- rint
fcparatim planuni laciam: nihilominus magnopcrc intcr fc dilcrcpanr,caunaqucraliscliffcrcntiacnullaaliacx(i(litpractcrll-
ncmfingu]arum,quoHncomncs lacultatcs diftingui fcripfit Ari- ftotclcsrNain
ludorum hnis crat rcligioquacdam,qua Anri(^ui opi- nabantur fcfc Di)S rcm
gratam illis^Iudis tamquam. promiflam fa- ^uros -crar quoquc populi uoluptas ,
cui maximc &c rcfpub.&: Rcgcs, ac impcratorcs lUidcbant, quo homincs u
)luptarc dcmul- 11 in ofticio contincrcntur: undcludoiumcxcrcitatoribustantum
honorcmtributumcflbfcribitPhnius, ut, dum cos inircnt,fcm- pcr aflurgi , ctiam
ab Scnatu , in morc cfl^ct , nccnon fcdcndi ius in J Bproximo Scnatui , atcjuc
uacario muncrum omnium ip(is, patri- bufcjuc &:auis patcrnis , quod tamcn
fcruis , quando illi (imilcs lu- dosinibant, conccfliimfui^rc minimc crcdo .
I)c his ucroludis quicumquc aliquid cognofccrc optaucrir,librum Onuphri j
Panui- niA croncnfishabcbit,qui omnium diligcntiflimcut cflipfcom- nium facculi
noari in hiltorijs longc ucrfatiflimus , hanc matcriam tradau:t . Arhk tica
lincm habuit robur , ut illius ui pofifct athlcta
aducr(aiium*fupcrarc,&:coronampracmiaqucpr)polita confcqui:
quamuisctiamapud Graccos ,&:I.atinos nonnunquam arhlctac uocati funt , tam
illi qui in ludis , quam qui cxtra ludospracmij gratia ccrtabant, quos omncs
fub nominc uitiofnc i:yinna(ticac ( dcquainfcruisloqucmur ) Galcnus complcxus
cftV C:ac:crum qui gratia bclli cxcrcitationcs pracdiclis obibant , id non ob
aliud Cagcbant,ni(iquoagiIitarcm , ac pcritiam compararcnt, quibus
pollca,cuinopoitcbat,hoftcsin pugna uinccrc pollcnt : atquclia- rum cxccitarionum
difciplina vfquc adco fcucra apud maiorcs
fcruabatur,utciusdo^torcsduplicibus,quod(cribit Vcgctius,rc- , muncrarcntur
annonis ; &:qui pr.rum inilla piofccia-ni militcs,iml profrumcnto hordcum
cogcrcntur acci^ crc , ncc antc cisin rri- ticoreddcrcturannona, cjuam fub
pracfcntia pracfccti rnbuno- rum , ucl print ipum cxpcrimcntis datis
oftcndiflcnt fc omncs mili- tiac cxcrcitationcs complcflc . Kx quibus omnibus
manilw flu ii cft gymnafticamnollram a pracdictis dillcrcnicm clks^cidcolinnma
cumrationcanobisinilhus dcfinitionc politum fincmluilVc ,qui
cftgratiafaniratistucndac,&:boni corporis habituscomparandi .
QiKjducrocxcrcirationum omnium trcs pracd^Cii fiiics ,a quibus tria
gyninafticacgcncraortafunt,apuductcrcscxftncrint,atquc omnes 12 L I B E R
omnesfn^inumpubIicaefeIicitatisfinemrcIatifint,abuncIe Jecla- A rauitSoIonapud
Lucianumin Anacharfi cfia!ogo-qua una iJIius oratione,tota hacc fententia
noftra haberi rata mcrcrctur,nifi Pla- tonis&alioruminfcriusexplicanda
teftimoniaacccderent. Degymnafiicae fubieSIo y icd nonnullas iScpcrcurinas
picrrini ad cxcitandani lirini quaciitasefsc pdicat.ltaq. valdc hallucniatum
fuifsc Budacu puto , quinifuisad Pandcctas adnorationibus Komanosgymnafioru
,&: palacllracexcrLitamcnris minunc vfus, nulla flrma rarioncprobat. De
gymfujis Antiqu0rum. Cdp. Vl. '^'mnaltica.liuc cxcrcirarona in ccrtislocis Hcri
foliram^qin iupra Ibtumnisaarioni modo conlcntancum cll,quid,loca ipfa,&:
qualia lorcncplanu faccrc . Nam ioca illa nil aliud fuifscq gymnalia
nuncupata,cx mulris,&: pfcrrim cx vcrbis Galcni infccundo dc
tu.va.fcriprismanifc llo c6probaf,ubi narrat gymna- B llum fuilsc publicum in
lcparara vrbis rcgionc locum cxllrudum, in quo ungcbantur,tncabanfur,Iu(flabanf
Tdifcum iadabant, aut talc quippiamhiL^itabanr,q loca ira nuncupara fucrunt,qm
cxcrcirato- rcs ibi , vt pluriuu"i dcnudabantur.^^fo^flf^K^it^ jnim
antiquifTima vox ctiamdcnudari li^nihcarc vidctur,vndc Marnalis librotcrtio. 0}
iocfma£jUJiMmeithiCp4rte,recc.ie i / , mdos pjrce videre viros.
EtBardcfcncsapud Eufcbiu li.vj.dc pracparat.Euang.c.viij Crac- cos ait no
poiuiflc vlla vi fidcru prohibcn , quin i gymn afijs nudis cxcrccrcnf
corporibus. Vc ru an ocs,&: toti sepcr dcnud arcnf q fini ratis tm gra
cxcrccrcnf no cft ita copcrruifufpicor rn,Iu(ftarorcs, pu- gilcs^tq. alios
qu(jsda potuiflc dcnudari qucmadmodfi Athlctis in rfu crat,quos rni fubligacula
pudcdis tcgcdis ra in publicis , in C priuarisccrtaminibus habuilic- cr ufq. ad
Homcri tcpora,a quoco- ru fit mctio,ojs r6dccoriscxigir,&: hilloria Orlippi
ab Euftarhio, &: Paufania relata,cui fubligacula dclapfauidoriadcpfcrunt.ut
indc poft modu indultr:,(ir ncc ca gcilarc ira accipicda cil ranc| non ma-
gnis,&: impcdictib^ /cd paruis,&: nulli'unpcdimcri uri liccrct,quc
inorc vfq. ad fua tcpora Komac ^pduraflc fcribir raufanias. Ad h-ec qnq. fub
nomine gymna/i; omncm locu,vbi cxcrcerenf, coprehcn- fum fuifserepcritur : lic
ut poika hacc vox ad alia quoq. traflata cft, qucadmodu apud Iolcp!i^'i vidcrc
licct,qui in libris dc bcllo ludai- cobalneaaliqngymna/ia nucupata cfsc
dcm61lrat,vbi dc Hciodc ita loquif.Naq. apud Tripolim,&: Damafcum,&:
Prolcmaidc publi cas balncas,c] gjmnnfia ciKUiu,Ijil>Iidc aut cxhcdras
porticus c6di dir.Hacc loca a Virruuio,C clfo,Plinio,atqucalijs Larinac linguae
audtonbus palacftras nucup.ai i inucniorVndc ct coijcio Vitrumj rc- Cymmfi!^ ^
jj pcftatc »8 L I B E R peftate in Italia.vbl raras admodu,veI nullas extiti/Te
palaeftras,/luc D gymnafia,qnquit]cis libroarchiteflurae
earumaedificationcsfra- diruruslralicae conluetudinis nofuiflepraedicit.-Naqui
primi gy- mnafiaexaedificaflrc crt dunf,fucrunt Graeci,licrcdendum cft So- DaZt
^^"^ ^P"^* Lucianu , & M. ^TuIIio Ciceroni,qui in fecundo dc Ora-
" ■ torcfcribit.gymnafia deIcdationis,&:cxcrcitationisgratiaab ipfis
pnnuiminftituta fiiifTe. Intcr Craecosautcmprimi cxftitcrfitLace daemones,ficur
Athenacus ex Ippafifententia,&PIatoin Theact. Sc primo de
Iegibusincmoriaeprodiderur,quosctiain illa ipfa om-
niumpraeftantilfiina,atqucfpcciofiftimaconftruxiflccx MartialisU bro I .intelligcre
Iicct,vbi ho§ vcrfus habct. ^rgiuasgenetatus inter vrhes Thibas larmine caiitft
,aut Mycenas^ p ^ntclarami{l)udon,aHtlibidinofaet Ledaeas
Lacedacmonispalaeflras ^ QuovcroPhuoinCritia du Atlanticam
illai-egiadcfcribit.q^no- uc milliu annoru mteruallo ab actatc fua ante floruifle
narrat,ibi gy mnafiaexftaOc fci-ibir,qui LacedaemonQinuctuillafacit, cxade di
fcerncre nequeo.nifi totaillaCritiae narrationefabulosa credam*.
PoftLaccdacmoniosAthenienfcsquoq.fuagymnafia crexcrunr,in quoru vrbe tria
extitilfe tcftant Paufinias,&: Suidas,altcrfi «W»^/w vocatu,in quo Plato
philofophiam fua jpfefllis eft;alteru Avxwa^vbi Anftoteles cdocuit,q(f
Apollinis Lycij teplu fuiflc icgitur apud Lu In Anach. cianuiah erfi Kiwttgyis
ubi nothi,fpurij,ac ignobiliores oes excrccba tur.fi quidcapud Craecos tanto
odio,tataqueinfamiaviles,acfpu- rij notabant,vt qui vcre lcgitimi.ac nobiles
efscnt,cfi ijs cofuetudi- nc,aut cocm fefc cxcrccdiIocuhabererecufarcr.Pr.actcr
haectria F mctioncfacit aItcrius,quod Canopu uocat Philoftratus in vita He-
rodis Attici.Dixi in vrbc Athenicnfium tria fuifsc gymnafia , quod hcet extra
vrbcm efsent,erantiiihaud longcacdificata,utqproxi- ma efsct urbi, m ea fuifse
dici potucrit.ln his etenim mortuos quo que fcpeliendi confuctudincm Graecos
habuifsc fcriptfieftapud -i.Epift.ft Ciccronccui Scruiusfc Marcelluinterfcdum
in AcadcmiaAthe- m».epj;,. nienfiimobilnfimo totiusorbis gymnafio
fcpeliuiflefcribit Quae 1^''^.^'?^""' antiqmtatis totius
pcritiflin-ius inuenifse fcribit in ue tt.gijs Hadriam impcratoris Tibmtinae
viUae rcpracfenrara.Athe naeu,Hcrn,cu,Pan.'ithenaicu, minime gymnafia , vbi
corpora exer- cercnt, tu.fsc puto:fcd loca,in cibus aut difciplinarfi. &c aliaru artiu ftudus opera dabatur,ucl fefta
aliqua celebr5.bantur.vt in Panathe naicofcfta Panathcnaica. Corinthum quoque
gyranafiu habuifse, Craneuin P R I M V 19 A Craneum vocatiim,auclor cft
Lacrrius libro tcrrio. eaadcm nulliim pcnc oppidum fuit ( iraccorum, quod
gymnafium non habcrct, uf Anachar/is diccrc folebat.Komani
poftrcmiomniumgymnafiapa- lacftras vocata in vrbcad Craccorumacmularioncm
Varronc au- rtorcacdificarc cocpcrunttquostamcn cacrcros quofcumquc tum
magnihccntia opcrum, tum inacftimabih pulchrirudinc in hoc gc-
ncrcanrccclTillc, cx illis I hcrmarum ruinis, quar ad hanc vfquc dicm non finc
omnium Ihiporc pcrdurantcs , conrpiciunrnr,facilc conuincirur . nc liicam i!!ud
^ quod dc Ncronis gymnalio fcripdt Marriahs lib.vij^ Qnid \frone peius ^ Qitid
Thcrmis mtlius ^ctom^jiis ^ atramcp anrc Kcronis quoquctcmporafuiflc Komac
gymnafia cx 1'Iauti Racchidibus, B cuiuslocum apponam infcrius,col!igcrc hccr.
Nam gvnmafia tora ahquando Thcrmas ob aquae calidac vfum ibi frcqucntcm nuncu
piri ,apud audorcs Latinaclinguacncmodubitat,ficutctiamin- tcrdum Thcrmac
fignificantcamgymnalij parrcm,in qua lauaban tur,ubi propnigcu,laconicu,calda
lauatiolitac crant,ut cxmulrisau ^torum tt ftimonijs pracfcrrim cx Mai tialis
vcrfibus nupcr ci ta- risclarc pcrfpicitur.Ciymnafium^thcrmacftadiu cfthac
partc. His omnibu* po:c ft iam vnicuiquc pcrfuafum cflc , (juanrum in criorc
vcrfatus fit(inuitus farcor)Blondus loroliuicnfis conciuis mcu.squi in fccundo
Komac inftaurarac commcnrario rhcrmas folum ad la - oandi vfus inftitutas
tuiflc lcriplic. Voiio nc quis forfan admirario- nc capiarur,quod dixcrim
PIatoncm,arquc Ariftorclcm in gymna- tijsphilofophari confucuiflc ;[circdcbct
in huiufccmodi locis va- C ria hominum gcncra conucnircfolita fuiflc,quacomnia
in fcnucn- ti capircanobis ligillarim dcmonftrabunrur.ranta c nimcrat huiu-
fccmodi locorumcapaciras,tamq. fpatiofa ampIitudo,vrabfquc ul- lo impcdimcto
diucrfac , ac fcrc iiinumcrac cxcrcitationcs , &: cor- porum&canim^^rum
pcragi pofscnr ,qucadmodum cx Vitruuij al- laradcfcriprionc pcrfpiccrc quiuis
mcdiocrircr Iiac in rcvcrfa- rus potcrit ; quam cum in rcbus plurimis diucrfim
cx Odaui; Pan- lagathi viri tcmpcftarc noftra fummi iudicio in prima
cdirioncrra- didcrimus,nur ipfa diligcntiusconlidcrara (vt icmpcrcuracpoftc-
riorcs cfse mcliorcsfolcnr)caftigatiorcm,&:omnibus Virruuij ucr- bis cxaiXQ
corrcfpondcnrcm cxhibcmus.ad quod agcndum clarif- lim is Aloyfius Moccnicus,
Prancifci hlius, loanncs Vinccnrius Pi- ncllus, Mclchior Guillandinus, uiri tum
ob acrc in cunvtis iudiciu, cum ub lingularcm cruditioncm apud omncs
fpcctatiifimi, nccnon B 2 An- , L I B E R AndreasPalladiusprifcae totiusarchiteduracpcntiifiiriusnon
pa D rum adiumciuo nobisfuerunt.ita utnon vcrear.quin hoc pado do-
^is,Vitruuijquefc]entiacftudio/isprobataeucniat,&qucmadmo- dum ad hanc fcrc
diem palaeftrae ratio fuit incognita, fic in pofte- rumclara,afquemanifcfta
futurafir,Immo vcro,fi Odlauiusipfcrc- uiuifcerct,non dubitarc,uterat
homofanfliiftimus^arq. dodilTimus, quin ctiam ipfe huic defcriptioni , Sc
Vitruuij contcxtui non muta- to.fcd in aliquibus tantum raelius ordinato
Jibentiflimefubfcribe- ret.Placuif autem duaseiusichnographiasproponcre,
quiaaudor &: cmadratas,& obJongas ficri pofse docet. De paUeHramm
aedifiuttone^fs' xyftis^ex VitruuioLib.V. Cap. XI Vnc mihi videtur ( ramerfinon
fint italicae con- fuctudinis)paIacftrarumacdificationestradere explicate,&:
quemadmodu apud Graecos con- ftituaturmonftrare.lnpaIaeftrispcriftyJia,qua-
drata.fiue obJogaita funt facicnda,uti duorum
ftadiorumliabcantambulationiscircuitioncm, quod Graxi uocnmJ^uuajUv.cx
quibustrespor . "'^"^fif"I^'iccsdifponanrur,quartaqucquaead
mendianas regioncs cft conuerfa dupJex.ut cum tcmpcftates uento iac Junt, non
poftitafpergoinintcriorcmpartcmperuenire Con- ftituunturauicmintribusporricibus
cxhcdrae fpatiofaenabentes lcdcs,in quibus pliilofophi , rhctorcs, reJiquique
qui ftudijs deJe- ftantur,lcdcnrcs d.fputare p*flint. Jn dupl.ci autcm porticum
F colloccnrur Jiaccmcmbra,Lphcbacum in mcdio (hocluuem eft
exhcdraamplil],macumfcdibus.quactcrtiaparteI6g^ lata ) lub dextro conccum,
dcinde proximc coniftcrium,a conifte nomvcrfuraporticus frigidalauatio, quam
Graeci aovW: itafa- cla,ut in partibua, quac lucrint circa paricrcs , &c
quac crunt ad co- lumnas,nurgmc&habcantuti lcmitasnon minuspcdum dcnum,mc
diumq. cxcauarum,un gradusbini (int in dcfccnfu fcfquipcdalia
marginibusadplanicicm,quac planiticslit ncminus lata pcdum du(K^ccim: Ita qui
ucftiti ambulaucrint circum in margmibus noa impcdictur ab cun^^tis fc
cxcrccntibiis. Haccaurcm porticusapud Graccc^ jyoii 'lociutur ,quod athk
tacpcrhibcrna tcmpora jn tc- di$ rtadi js cxcrccniur. Proximc autcm xyllum , &
dupliccm porti- cum deilgncfnrtrhyp^icttirac
ambuIationcs^qitasGracc/irtfi/ftf/j^i. /flff^noftri xylb appcHanr,!n quas pcr
hicmcm cx xy(h>fcrcno cuc- lo arhlcrac prodcunrcs cxcrccnti:r.I-ac iunda
aurcm xylta lic uidcn tur,ut lint intcr duas porticus (iluae, aui platanoncs ,
U in his pcrii- ciantur intcr arborcs ambulationcs,ibiquc cx opcrc fignino
lUrio ncs. Port xyllumautcm Ibdium ira fiuurafum,ut poflint hominum copiac cum
laxamcnto arhlctas ccrtantcs Ipcvflarc.Quac in ntocni
buincccflariaujdcbanturclfc.ui aptc djlpoiuntui,pcrkrjpil 21 tigura paJacltrae
cumpcnilylioqinidrato Occafus g a B s □ □ II a • ••••^•••« •• • • •[?• # • • • • • ♦ ^ ■ ^ 6 r • 4 —
• ^ ■ ■^ • • • 0 — ^ 4 — •^— ^ • • • ••• (?•••••• D • • • • •t« • • • • • • • •
• • • ■ 90 Orrus Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQu Images reproduced
by courtesy of the Bibli CFMAGL 1 .7.429 24 L i B E R A Pcriftylium in
palaeftra quadratum&: oblongum habcnsam-D . B Trcsporticusfimpliccs. C
Portiaisquartaad meridianas Cacli regiones conuerfa , quae duplcx eft. D
Excdrac in tribus porticibus fpatiofae,in quibus phiiofophi ,
rhctorcsdifputabant. E Ephoebeum,ideft
cxedra tertia partc longior quam lata. F Coriceum a parte dextcra. G
Conifterium. ^ H Frigidalauatio in verfura porticus. I Elacothefium adfiniftram
ephoebci. K Frigidarium. L Iter in propnigeum in verfura porticus. E M
Propnigeum. N Concamcratafudatiointrorfuseregione frigidarij ion^itudi- ne
duplcx quam latitudinc habens ex vna parte Placo- ^ . 3 nicum
QJxituseperiftylio ^ Exaltcra Ocalidam _ . , ^ iauationem R Porticusextra
palaeftramprima exeuntiLus. S Pm-ticusfecunda fpedansadfcptcntrionem
duplcxamplifllma iatitudinc&ftadiata. T Porticus
tertiafimplexitafadauthabcar. V Margines circa parietes. X Marginesadcolumnas.
Z Mediuexcauatumuti gradusbinifintindcfcenfufcfquipedali F «
Hypethracambulationcs proximcxyftum , &: duplicemporti-'
cum,quacaLatinisxyfta,aGraccisiirt^;/f,^i^uocabantur. D J>iluac ucl platanones
intcr diftas duas porticus. y Stationes ex opcre fignino. Stadium
itafiguratumutpofsethominumcopiaccumlaxamcn - to athletas cerrantes fpeaarc. %
Locadequibusl etfinon meminerit Vitruuius^ fiufst tamen in palaeftrancccfse ut
lignarium,iiquarium , uafarium, latri- Btc naimihwum ctil«, &: finailk. P R
l M V S. Dt '^itrijs Imninum generibns , quae itj gymtiaJiA comonebAnt. Cap.
VIL 25 metli. B Aiua, adcoquc varia hominum in gvinnarijs conucrfan- tium crat
multituao,vr,rcfcrcntc4nihifaf nBrtffn y pJtrijwfj. 7\0kercar, Et ficuti ctiam
Galcni tcilmionio comprobatur^qui Tl.cagcnis cu- iufdamphilofophi Cynici in
Traiani gymnal'H)quoridicpublicc difputantismcntioncmfacit : Triacnim fuidc
Komnc h)caJii qui- in in lib. bus lirtcrariac cxci citationcs obircntur, cx
varijs Ga!cni !il ris co- libru C gnofcitur,tcniplum pacisantcquamconflagiarct,
gymralia pu- blica, cW^fK. Intcr-quac fcholam mcdicorum appcllatam (i- quis
rcccnicat mcafentcntiaa vcronon crrabit. fuit autcm ca iii hfquilijsacdificata,
multLsq. imat;inibus, atquc rriarm(>fitK>ncs , 5c aliaincdicinac
Itudioforum cxcrcijia liimlcquid trad.in folituin iiiiflcatquc nunc incollcgijs
vocatisfir, qiiandoficfcholam eiuf- modi propnos rai>uUrios habuiife ,
oftcndit marmor cnm hac in- fcnptionc Romae ad D.Scbaftiani rcpcrium. M. LIVIO. CELSO. TABVLARiO SCHOLAE. MEDICOKVM M. L 1
£ R M. LIVIVS. EVTYCHVS E ARCHIATROS. OLL.D.I/. IN. FR. PED. IIIL Alterum genus
crar,Adolcfcentcs,qui vr cxcr. itationu obferuatio- nes,atq. modos
addifcerct,ad gymna/ia acccdcbar,vbi a gymnallis ipfisquafcumq.
cupiebatexcrcirationes, edocebarurj Adole/ceres hbcros palaeftra cdifcere
folitos fuiiTc facile couincirur ex iJIis Par
InEunu-menonisapudTerenriiiverbis, quibusiileCherea fub formaEu- nuchi Thaidi
oflfercs air,Fac periculumin lirferis,fac in palaeftra,in „ muficis.q hbcru
fcire aequu eft adolefcentc,foJiertc dabo.id q^ cJa ,, riusmfra
demoUrabo.Tertiugenuserat Athlerae qui ibi feexercc- bar, vt in publicis Uidis,
fcu in facris certaminibuspoflent&popu- lu dele(aarc,nccn6 vidoria ac
praemijs potiri.&: qj-hoc fuerit,pre- rerVirruuijauaorirareSueronius
clariilime demonftrat du refcit E Ncronc qiiandoq. gymnafiu ingredi foIitu,vt
cerrares arhJcras fpe- ctai ct.Quartu genus crat ocs iUi fiuc nobiJes,fiue
ignobiJes, qui ue! miliraris difciplinac,&: forrirudinis,veI
tuedaefaniratis,&: boni habituscopamndigratiavarijscxcrcitationugcncribusinciibcbanr
de prionbus elt locus apud Cafliodoru Jib.v.epift.2 ^ maJc a Pamc- lio m adnor.
ad Tcrrulliani lib. dc fpe«ft. inrelJeau , vbi ita fcribir Oflenriuucncsnoiha
in bellis,qd in gymnafio didiccre virturis.ln Inic' l.^n ' "^"'■^'
poflumus, cum fcribat -.c. e anno aetatis fu? tr gefimo quindlo pafllim fuifle
luxarione fummi humcn ,n paJacflra.Quindtum genus erar corum.qui fricabaruX cer
n.fndbones ficrcnr a mu Jris ante rcJiquas cxcrcitationes,nihiJo- ^irr^smnln
quoquc fine vJJa excrcitatione feorfum ab aH; , ut dc C.alcnofridione
adexcrcitationcspracpaKuoriaareliqufs diftin S;;Hn^ bihorcs.Hoc tamen
intcrerat,qct diuitcs,arq. primarcs Jabra & co lymbuhras^prias in cellis
alioVjui comunibiis habcba ^bjf^^^^^^^ ucrfis tcporibus lauabaru r, mulri crar
qui ct folia ucl J.enca vej ar gctcaCqd-rcctat PJinius) fecu ferrcr,nc pcdcs
nudos cXc S nJi viJifnmi qu.q. poncbanr, quauis ctia rcftranr nonnuJjXh-hnnm
Impcratorc lauan loJitu, vbi plcbs lauabatur quoT& -n^S cX fccifTc cribit
Sucronius. Qui vero duntaxatunge7cm?rnuJ^^^^^^^^ gymnafi;s rcpericbantur, quonu
uej cxcrcirationTn3l K^^^ grariaungcbanrur. Abhiipoftrcmoonin Cn^^^^^ res ( ne
nuniflros,dc quibusinfra loq«cmt,r nuncC, cam^^^^^ gymnafia conuena banr,qux
non ob ^nliud, nifiarvidendos eTe^.;/: . tarores P R 1 M V S 27 A tatorcs ut
porc otion,&: nuUis ncgotijs occupati eo ncccdcbar.Qiio in loco id ctiam
animaducrtcndum ccfco,dicbus f clhiiis gymnalia
ma-islixqucnt:U:ituiirc.qu;UKlc)artificcs,autaIi)sfcrmcijsdctcnti otiantcs in
illis ob rcmittcndos Iaborcs,&: uoluptatcm capiundam ucrfabantur. An in
Komanorum Thcrmis mulicrcs quoq. ucrlarci> tur,qucmadmodumuiri,nil ccrti
aftirimrc auiim,niiiquod Koma- na maicftatC- illud dcdccuilTc vidctur ,
tacilcq. ficri potcMt impu. rac aliquae & (peaandi,& ludcdi graria^quod
luucnalis.&: Marna- lis innuucpublice vcrfarcntur in ^ymnalijs, nccnon in
locis lcpara- tis,quac ibi lauadis tcminis folis cxlli uc^la
cn"cnt,pcrindc ac in priua tis balncis honcftac mulicrcs lauarcntur tam
ignobilcs & mcdiocri loco natacqua illuftriorcs , cu dc l>oppaca Domiri
j Ncronis uxorc LU.c.4.1. referat Plinius , quod ad au^cndu cutis candorO
quingcntas aimas B tctasper omniafccum trahcbat, cV balncarum cnam foliototum ^
corpus illo la^c macerabat: quod intcllcxi t luucnalis dum lcriplit. .niir p
nguia Poppacana. Saty.^, Spirat & lr:cipit agmfciyitq. Hb laciefonetur
Troptcrc^uod/ecumcomiteseducitafelUs. in qucm dcalbandl corpo- ris nfum ihas
mulicrcs farinam fiibaccam, alios ninum ,aphroni trumuc in balncis vfurpatrc mc
minit Galenus. Atqui Spartanorum Primo dc mulicrcs una cum uiris in palacfiris
cxcrccri fc confucuillc, practcr aIio5,fatis
tcitatumfacitPropcrriushbrotcrtioMultatuaeSpartemiramuriurapalaeHrae Scdmaj^e
vir^inei tct bona^ym^afii^ Quod non infames txetcet lorpore ludos Jntcr luilafjtrs
nuda putllas uiros , Cumpii i ueloccs fjUu pcr braihia i^^l.iS^ Jncrepat &
ve fnlauis ad tnca trocht, TkluerulChtaq. ad extrtmas fiat ftmina mctas , Et
patitur duro vulncrapancratio , 7\(^unc ligax ai cifium gaudentia br,nhia
loiis, MiiliUnunc dijcipondus in orbc rotat. Keq. deHoc Spartanoru morequifquam
minMi dcbct ,quando&: Plato in quindo dc repub.grauiHimis arj:un.cntKs
probaiiir ad flli- €cm rcrum publicarum ftarum maximopcrc conduccrcfi mulicrcs
tamiuuenes,quam fcniorc* una cum viris nudac in pahu (Iris ,at- quc gymnafijs
cxcrceantur , qucd an fapicnrcr dccrc. um f ucrit, ^ an ad conrincnriam
tcmpcrantiamnc ex confuctudinc conlequcn- dam,ut Platoni m animo
crat>confcrrci,uon dl iocus cxaminandi. L 1 B E R
^"'"""'m qui Augufti Cacfansacrace floruir,folum pnlac %
nrasgraccastradiaiflcexipfiusucrbisconftar, quando I' nmidiim Rcrant,
c}U;ispoftca cxftru^aas licuii in raulris Gniccorum gy- mnafijs .'jsnircs
fuiiic probabile cft ,ita pai-irer veririiiiilc fit Roma- nos (, vc /olcf cfse
poltcriorum in cxcokndis rebus mos) plurafuis addidr(Tc\tj6jac ucl
Graccoslatuerant, vclparum ab illis acftimara fu( f>ti>;:tiUOcjixa pai
tes gymnailorum magis principalcs cxplicata ftts baudquafjwam folas a Vitruuio
fignificatas in mcdium afftram, fcd lihis ni.llo {ku^ ordinefcruato cnarrabo,
quai difpedlm ab Au- aorilnis tF.uIiras inuenio , quasut rei ipdus rario
expoftulare uidc- ttirio Gruecis,aEq, Uomanis palacftris extitiCe : quaquam
Vitruuij E au^icrjtasEim nunqua multifacicndam cxiftimaui.nempe quc ■na^ct-
J^oiixcyov &i fua actate minimcaeftimatum puto, quod enim ab Au- gufto
i.uliis egrcgijs l-abricis, niflfolis Baliftis pnicfectusfuerit,
quandofcilicetin vrbc &extra Hrbemmagnifica aedificia cxftruc- banti!r,quod
ctanfrFroferc-pofteriorcauaorc nominatus inucnia- tur,practcrqiia in capituni
Plinij libroru caralogo.qui ab aliquibus minimcPIuiianus,ucI fattcm
adulrcratusputatur,magnam certe ip Ijuscxiftirnationisfufpicioncm meritGparir.
Ergoprimac symna- liorupartcsfucruntporticusexcdris fiuc cubilibus
apcrtisplenae inquibusphilofopiu.&ihctorcs.mathcmatici , & omnis dcniq
di- lciplinarumamarores difputando,lcgendo,ac doccdo cxcrcc-ban- tunatq. has
non longc ab alijs admodum litas fuifsc conijccrc pof- lumus tum cxipfa figura
,tum cxproucrbio indc nato(Difcfi quam F philolophu audire malut^quod in cos
diccbatur, qui in codc aym nafio intcr philofophos fcdcntes.atq. inde difcoru
crcpirus audicn- tcsrcliita fapictiac fchola ad proximum ccrtaminum locum (rum-
pebanr.ln cxedris philofophorum adolefccntcs arq. pucros illos a difciplinarum
ftud ijs opcra nauabant, vcrfaros cfsc rarioni confcn- tancum cft: quod
cfsentillac ucluti icholae quacda.ubi pofscnt fa- eillimc poft animoru
exercirationcs corpora ad fanirate, uel fortira
dincmiuiK:nes&pucricxcrcere/ubindcci.lauari.cmtcr»imLa.ffl-
pridi.jauetorrras. AlexandruSeucru poft Icaionemope raml^ pahuitrac modo
fphacnftirio.modo curfni.mocto lemL ludTs dc- diircmoxbalncummtromifse .
JntCKhasadnnmerocmJ mcdl corv.m /choIas.Secunda parscrar Ephcbaccm, quo mih.
vJdfi^- c apparet cos conuemrc.atq. dcpracrt,ij^ ^ c^icrccd. gcncrc padio! ncs
p R I M V s: 29A nes facerc (oVxtos , qiii hiTiLiI cxcrcn-i , ac ccrtare
uolcbant : qiiam- quamfciam Philandrum cius opinionis fuiOc , quod iu hphcbaco
pubcrcs cxcrccrcnf. qua in rc ipfum ualdc mchus fcnliflc cxiftnno, quam
Guliclmum Chouhim , qui in fuo dc antiquoru cxcrciratio^ nibusUbro in Ephcbaco
iuucncs ftudcndi gratia lcdillc lcriptis madauit. Vtrum ucro apud Romanos,qui
cum uiris antc dccununi fextumannumpucroscommcrcium uHum habercuctabant , hoc ucru
tucrit affirmarc noaudercm . Ncq. itcm ncgarc poiUnnus,Ga- Li.dc i.c. lcni
tcmporc. pucros cxcrccri in palaclba confucuiflc, cu rs cumf- P^^^'-
damacgritudinis,quamCommoduspucr,atq.lmpcratoristiHu$in
palacflraacquiliucrat,mennoncmfaciariSipracrcrcainfccudo dc tu.ua.lic icribat:
oCn Kxiou^ ivporis moribus ita loquitur. l^tgo tihi cjims yigimi fui\}c prtmn
cop am DiiitHm longc a pdtd^ipio pc.iim vt effcrres ex acdibus ^ntc folcm
cxoruntt m mjt in pMdcliram vcncras Cymnafii Tracfccty haud mcdiQcns pocnas pcndcrcs
: Idq. vbi obtigcrat , hoc ctum ad malnm arccjfcb.itur malum Et dilcipulus ,
magislcr pcrhtbebantur imprubi. Jbi curfu , luctando , hajia, difco. pugiUtn ,
pila Salicndo fc exencbant maps , q ^am icorto , aut fauifs, C
Vndcmihicoijcicndu uidctur pucrissumo mancpalacftraadcudi pracccptu fuiflc,ut
uiroru,qui tuc noadcrat,c6mcrciu uitarat,atq.
cthttcraruftudijsiucubcndioMumfupcrcirct.etcnim non dcfuifl^i-, qui pucros
nudos uidcrc,&: ncfandum coru amorcm libi conciliarc cx palaeftns
ftudcrcnt,facilc cx ainatorio Pkirarchi iib.colligitur.
habcturautcxcitatoPlautiloco gymnadapublica Romac cc fuilfc antc
Ncroni5principatu,licut&:cxCatullo,acalijs.Tcrfiaparscrat Coriccu,qui
locus(ut mca fcrt fnia) ,p dcnudadis hominibus,^ ucl cxerccnaicl lauari,ucl ut
ruquc agcrc uolcbant,infcruicbat,alias a Graccis iTroJ^urift^.Sc a Calcno
yvtJHfccsHgiOP uocatus.Nili cnim Cori- ceuapud
Vitruuiumtalcmloculii^niHcatpalacllrasabipfo dcfcri- ptas abfq. hac parte omniu
maximc ncccfsaria cxtitifsc diccnduin cf5Ct,quanonfoluminpublicisgymna(ijs,ucructiaminpriuatisaf-
^.^^^ tUifsc crcdo,fiquidcmPliniusCacciliusindcfcriptionibusuillac ^^^^^^^ fuac
m L 1 B E K fuac Laurctinae ac Tiifcoru apodyteriCinteralia adnumerafrunde D
illoru fcntcrias jpbarc ncquco.qui Coryceu in Vitruui; textu legc- du putarfita
corycopilaefpecic,quafiibi ludui talis agcrefaut cou riceii pro tortrina, aut
corycefi tam^in eopueIIe,&: virgines««f«//« Graecis uocatac
exerccrentur.Quarta parserateleothcfium a lulio cpi. Pollucc
«AujrT/IfMc^aCaecilio Plinio unauarium uocatum, atq. in ifto ludaturi , &c
alias exercirationes , uel balneas inituri ungeban- tur,redungebanrurq.
Sed,quoniaopportunirasrci poftulare vide- tur,ut dc hoc gymnaftico vngcdi
munere ucrba facia, neq. Metro- dori Scepiij 'sngt T«j«At/7rT««{.ideft,de ungcndi
rationc ciratus ab Arhcnaeo Iibcr hodie extar,quatuor cgo dica:primij,quado,
& qui ungerenrur: fecundu,quae cfscr undionis materia:rertiu,cuius finis
gratia ungcrcntur: quarrum.quo modo, &: a quibus undio admini- ftrarerur.
llliquivclloturiuelfefecxcrciraturi in gymnafiuucnic- bar,maiori
exparrefpoliabaturin apodyrerio:poftea horu nonulli, &: praefertim qui uel
lucla, vcl pacrarium inire intcndcbat , (na pu- giIatorcs,curforcs5ac alij
multi undione no egebant) alipteriu in- gredientesungebatur,atq.iraunaiadIocu,ubierarpuIuis,dequo
loquar mfcrius, trafcunres pulucrc cofpcrgcbantur, ficq. dcinceps m
cxcrcitationes diucrfas diucrfi prodibat^poftqufi ucro fele,qnan- tum
Iibuerar,excrcuifscnr,itcruad undUianiireucrrcnrcs ibi a Me- diaftinis,&
Reundoribus ftrigilibusferrcis,de quibus Martialis, Tergamus basmfii curuo
difling^mre ferro , T^ontam faefe toet lit.tea fitUotibi, detergcbantur, in qua
dererfione olcum, puluis ,& fudor , quae de radcbanrur.fimul mixtain ufum
mcdicum adfcruabarur, &:ab At- !:h4ci ^^^'^^^"'""^^'i^
aba!ijsueroWTtffuocabarur,urcxDiofcoridcPli- F ii.defim.
nio,Gakno,&:AcriofaciIliiueconfirmaripotcft: ramerfi Auiccn- me.8..& 4
na libr&-fccundo faciat mctionem eriam fudoris ficci arhlerarum Tib";
& quemputofmfscillum, cui nequcoleum ,ncqucpuluisincrat ^ ,o 3 fim. quamuis
Galcni acrarc ftrigilcs adhiberenrur ad balnci vfum ni jT' c. 17.
^''''"^^'•""^^'■'S''" Plerumquc fponeiac crant , uel li-
nci, nequccommunitcrfempcradminiltrabantiTr.fcd quifq pro- priumfecum
gerebar,& pracfcrrim quicumquc communii cum alijs mihumenra habcre f
ugicbar, vr infinuar Pcrfius Sar.v lp»er,7i,ur corporaforriorarcddcrcntur.De
Hcrculc nanu|uc,& Antco fcrauncm faciens ait, ^uxillum mrmbtis calidas
infunditarenas, Plurarchus in libcllodcprimofrigido huius fcnrentiaefu ifseuidc
tur,quod athlcrac in uni^iionibus puluerc urcren tur ru ad rcfrigera da
calcfaifta corpora,rum ad cohibcndum fudorc,nc ranropcre dc- lafsarcnrur.
Egoaut cum Lucianocxiftimopotillimuufumpulucris cxflirifse, ne olco manus
labcrcntur , fcd facilius cxcrciratorcs fcfc comprchcndcrc ual crcr,neue fudore
difflucrcnt, aur ucnri corpora apcrta ingrcdercnrur. atq. hac dc caufsa a
Marrialc puluis ilk icfi uocarusfuir,ut ibi(flaucfc]t aphc)undc fi qui
aducrfariospcructos, &:lincpulucrc cerranrcs uinccbanr, maiori gloria digni
habcban- ^ tur,qualis fuir apud Plinium Dioxippus,&: Diorcus apud Paufa-
niamjacxtfw/nomenpromcrirus. cuiusrci menrioncm fecit Hora- tirvira ,\d
Macccnarcm fcribcns. Ul^.x.cfiJ Quis circum p^^go^ , & circum ccmpita pugna
x. Magna coroniri conumnat olympia , cui fpes , Cui fit cond tio duli is fire
pulucrc pahuae ^ ^ ^ Ex quo fatis mirari ncquco Budacu,uiru fane doaifnmu, q I
fuis ad Padcdasadnorationib. hoc nouidcrir^malucrirq.flfWm.i.aWflr^^ii wc>
(cu finc ccrtaminc limplicircr diHu cfsc qq, &: hoc quoquc non abnuo
inrcrdu aliquos cfsc coronaros (inc certaminc, ucl qd* aducr
fariusrcmporeconftiruto non comparuifsct , ucl ,quod ob robur, &:uinccndi
confucrudincm a cuncris uitarcrur , cuiufmodi fuilsc complurcs Paufanias , Diodorus,
Hcliodoru#s atqucSuidascom- mcmorant ««ic^wti proprcrca nominatos.
Alijfunr,quicrcdantoIco Oymn^O^ca^ C cxcrci- 34 L l B E K ( dc vii.
cxerciratoresunftoi ad arcedafrigora.&leuandasIaffifudincs.Ga- D
lenusfentit oleum ram ad exoluenda ptcrita lafTirudincm, &: futura
niitiganda.quam ad pparandum ad morus conduxinc. quibus cera addita cum GaJeno
opinor,quo oleum aIio u'i^'tuariu,&: couiftcrium cxpJica- uimus: nuc
ccrcras partiin ab codc prcnnifsas,6i: ab alijs indicatas, parrim ab ipfomct
cxplicaras prorcqucmur. hrar iraq. fcxra pars lo cus quida palacllra
uocari:s,ubi (Jiccbat I.ydus illc PIai:ti^) curfu, ludado,halla,difc(),p
yilaru,piia,(aIicdo fc cNcri.cbar magis,qfcor ro,aut lauijs, 6:ubi k ribir
Gal.hascxcrcirarioncspcragi folitas lu- da,pui;ilacij,appcn(ionc manib.ad
runcs,cxcrcitarionc,qua ftabant pcdib. 6c manib. in pugnu uinCtis,casq. alrcri
apcricndas porrigc- bat,qua podcra manib, aftollcbant,6L ua
pciiiftcbanr,c}igcnus hal- tcres uocarucft,fchiamachia,&:armoru pugna:(
»alcno ucro afscn- ricns Oribalius Pcrgamcnus fafsus clk no modo has, fcd
&: alias fcx- ccnras fuifsc palacllrac cxcrcirarioncs. \'ndcanimaducrrcndu
cft, palacftia apud urriufq. linguac auvflorcs nuilta (ignihcarcprimo ro
ruipsii gymnalifi,ut cituidcrcpencs Virruuiu;fc(to,locuquccumq. cxcrccdis
corporib. idonc u, quopaclo locu uscft ( jceroin f.pift. tcrrij li.ad QJ
.prima, &: 2.dc lcgibus,du uilia (iia Arpinatc de (c ri- bcns,palacftram
ibi nominat,nccnon \'irgiliusquinclo Acncidos, Td'S in^^am nns exerctt t
ttumbra pulac/ttis^
&c Gcta apud Tcrcriu in Phormioncubi
dixir, Ecc fi a iua palacftra cxittbras.Tcrtioccitagymnalij paricin qua cxfnia
Plauri,Ga!cnr, 6c Oibalij tot cxcrcirationcs facbs pracdiximus,&: cuiusparu
tum fordcscollcihas in panno applicatas furunculosmarurarcfcripfc- C
runrPlinius,&:T!icodorusPrilci.Hni*^'. iniUM f!VMi:h\ arionc accc- ^ifse
Catullum puro,ubi dixit. Abero foro , palntsira , flddio , & ^^vm asi^s ^
Mtfer ah rr^ijvr . & Atranius lCi ibcns. Efcam '•epelUs tf i'ri mannw pei
pj!j( lincos, idcft , Palacftrac ufum (ut air Nonius) callcntcs. Quod auca
Palacftrac nuiris^llatui^^atqicolunis ftrigiiKnCi quac- da a pulucrc,&:
lucianriu corporu concictu il)i f •utac abradcrcnrur, &:in uarios
mcdicinacufusfcruarcntur,abiidc tcftati funt Diofcuri dcSjPlini^ &: Gal.q
ftrignicnra quadoq; a Judoru m^^ilb arib. ortin gc:is icftcnijsucdira fiiifsc
irudir Plini^ Inucnioquoq.cxcrcirario j;c* ipsapalacftraru intcrdu palacllra
uocari,rdinarc,&: vcniiltc f'actvsinciapnoi;n;ci4Urlligc rc.iMs^c
;ui^ttorir.uc Lucilij*, cm'^hic ucrs"'' l/cyif .ipud Porphyriouc, iiiUuis
iioitt/sji cll uuiurn tcffi n^ij j l- fli\i, ucciujn Plato iu Cliarinic^t C 2
pro In Bacchi dibus. 2 cue. Udl. C2p. $ 6. coUc c, 14- Dc Bere- cinchi .a ) li.
i.c. ii.T ^Cwcx. incd. Ii.i.dcle glliUS. li. i\c cla- ris Orat. i 3« L I B E R
fto"^?* pi^o Taurcipalaenra locu{Tgnificauir,quo uiri doaiad colIoqucii-T)
'^** dum difputanduiTiq.conucniebanr. Ad haec Plutarchus in /ecudo
fympos.palaeftra uocarufcribit locu,ubi athletac cxerccrentiir, &: in quo lolu
luda,&: pancratiu non curfus, non pugilatus agerenrur. queadmodu,&:
Gal. quandoq. palaeftra nuncupauit , ubi athletac f folum,&: craffitudini
corporis ftudenres exerccretur, quo padto ac-
cipiedureorapudHipp.quuinprincipio primi Epid.narrat tuber- cula ijs efse
oborta^qui in palaeftra,&: gymnafijs exercebanrur.For ml\lp^9 ^^^^^
dubirauit aliq uis,an in palac ftra hac puhiis ftrarus efsef, qm Gal.ipfam a
loco,ubi puluis crat/'«fAA> dcquoqjacilc conijcitur m fphac: illirio ncdu
pilacludos,ucrum 51 ctiam alias excrcitationcs ficri confucuifle, quado &
in ipfo.Vcfpa- fianus fauces,ccrcraq. mcmbra(ut tradit Suctonius)(ibimct adnu-
>• mt rum dcfricabat. C):taua pars fucrunt uiac illac,quae inrer porci-
cus,ac muros,ur cgo puio , litac crant,ab omnibus acdificijs nudac,
necnontotapcrillybjareaquac&: ad fubminiftradamporricibus, ac ccllis lucc
fadac erant,&: ad fpatiandum , aliasvc cxcrcirationcs obcundas , quac ncc
in palacllra , ncc in alro pulu^rc, ncc in xyllis. ^ alijsuc locis ficri
poilcnt.Has locum coculcatum paulloante cx Ga Icno a nobis nominarum
fuiflcopinv^r ira uocatas,quod nullis lapi- dibus, latcnbu.vuc ftratac,fcd
rudcs&iaciuato tantumfolo forcnt. In his curlum fach'i cxillimo,atquc ad id
:um diauli, tum dolichi , a quibus dolichodromi , 6c diaulodromi lormas , atquc
tcrminos ibi conltituros, tameriiapud Vi:ruuu'i nil aliud lucrir diauIos,quampe
r\'ftilioru quadratcrum circunurio duubus lladijs dcfinita. In ipiis ctiam
faltus,&: difci cxcrcitarioncs , quas palacllrac ncijauit Galc- nus(ut mea
fcrt fcntcntia)intcrdum habcbantur. Nona pars crant xyfti,&:xyfta,na
vrraq.apud L'raccos& Larinosnr) parum difcrimi- nis obrinenr , fi quidcm
\yftv>i> hi uocat porticus tcCtas ubi athlctac ^ pcr hiemem &:
acftarc,tcmporc ludationibus alicno cxcrccbantur: xyfta autcmfubdialcs
ambulationcs ,ubi hicmc tcinpcftatc lcnic porticu prodcunrcs,&: acltatc
fcrc fcmpcr cxcrccbantur, ac ambu- labanti atquc has wif i/f ofti/tff a draccis
n(>minatasfcribir Vjrru- uius,quac
dupliccscraiit,aiiacnudac,a]iacplatanisalijsucarbori- busconlitacad pracftanduamocnirarcm,atq.
illis,qi.i a folcoHcn- dcbanrur,umbram.dchis loquebatur Miniu.s,dum pl aran(js
Arhc- M> xx. nisin Acadcmiacambularionccclcbratas fuillc /cribir:i)cijfdcm
quoq.Miniusfccunduskrmoncm habuit qiiando in dcpinycndisi.rOean 1 ufcisac Laurcntinauillisfuisxyftostotics
dccantar.Ncc ahum lo cum inrcllcxir ifchomacus apud Xcnophonrcm , quandvj
ambiila- tioncminxyftofadam noniinauit,(icuti ncc Phacdius apudPla- toncm , ubi
cx Acumcnifcnrcnria fahjLrioiumfacirambularionc inuijs,quam in curlibus (ub hi(cc
ucrl)is- lti#r,frigidarium,rcpidarium,fuda. ^^QJ tioncm calidam,&: calidd
lauarioncm : Qu,ic ucro balncis infcruic- bancfu.-runi
hypocauftu:n,aquariuai,iSido vapore, Ctuda yirgine, Menijq.mirgi. Scio quoque
nonnullos , quod laconicum rorundum,ac ueluti tur- ricula in hcmifphacrium
camcrata forct, idcm ctm Iphacrillirioi nobisfupcrius cxplicatocffccifsc.quibus
plane .-ifscntiri ncqueo. 42 JL 1 ij E R qiioniam mihijrrationabile
videtur,utin loco calido fudatfonibus D vE ift li ^^^^!^^^^^^^^^^^P^^^^ atci;aliasexcrcitariones,quasinrphacriftirio
"^' • ''ficric6fueuiflctraditPIinius,exerccrct:fuirsctnamq.(uteftinpro^
uerbio)camino oleu addere, fi excrcitationesper fc corpora ualdc calefacientes
in calidillimis locis cgifscnt.De laconico pofsunt ucr baluuenal,intc:hgi,fiucrfusita
rcftituatun quidquid dixcrintali;: QuiLacedarmotiium proptyfmate h.bricat
orbem: namraxatquendaqd^inLaconici foliocopiofc cxfpucdo efficcret, quo minus
in ipfo pcdes ambulantiu firmari uak rcnr.Poft Laconi- cufequebaturccllacalida
labris aquaecotincndacpofitisrcferra. in qua qt^apud Alcxim fuifsc balncoruin
par- tcm, nullo modo probarc ualco : cum idc alias ipfum intcr ^vmna-
fiorumpartcsadnumcraucrif.nifiuchmuspcncsAnriquojitAWi? F fignificafsc totum
gymnafium ipfum . Atquc hacc fL.lIi:ianr cc pu- bhcorumingymnalijs
balncorumpartibus. Fucrunr&iinnumcra fcre priuatoru balnea, quac, &c
aliquibus cx pracdidis partibus ca- ruifse,&:alias habuifse uenllmilc
cft;;cd dc huiufmodi non cft mfti- tuti noftri ucrba facerc . Quae autcm loca
non cfscnt in tra balncas. fcd ipfis
tantuminferuircnt,primohypocauftumconrincbat,quod fccundum Vitruuij
dcfcripiionccratfornaxfcu caminataftrudura fubterranea calidario,calidac
lauationi,atquc uafario fuppollta, iii qua ad calcfacicndu tum aqua,tu praedida
loca ignis fucccndcba- tur , ^ ne exftingucrctur a fcruis fornacatori bus ob id
in Pandcvilis a Papiniano uocatis,frequenter cum pihs,& glomis picc iUitis
cxci- tabatur,de Iignis autc in hunc ufum adhibitis narrat PIu tarchus x
prob.li b.ijj.fympof.aediles cauifse,ne ignis balncarum cx olea fud cendc- P R
I M V S 45 cenderrtur neq. in cum conijccrmir lolium, quod horum nidorcs
araucdincmcapiris,6^vcrtigincslauantibusinuclKinrpracdicU^ pilarumapud
Virruuiumlib.v.cap.x.mcntioclara habcrur,ubi do^^ ^ ^^^^ cctfolumcaldariorumitaftcrnendum
cfTc inclinatum ad h> pocau fim,vti pila cum mitratur non poflit inrro
rcfillcrc, fcd rurfus rcdirc ad pracfurnium^atq.fic facilius flamma
pcruagari.fub fufpcniionc. Dc his loqucbatur Statius in dcfcriptionc balncorum
Etrufci. Crcpantis i^uditura piUs , ubi hniuidus igms imrrat ^4€dibus , &
tenuem ^oluunt hypocaufia uaporcm^ Vndc cuiuis manifcrtum cflc potcft j n quam
graui errore ucrfentur ilii,quiHypocauftum,&:Laconicuidcm
fuiflccrcdidcrunr. Auftor ert Scncca iij.nar.quacft.cap.xxiiij.ncc no
epift.xc}.;tcmpcftatc fua inucntos eflc paricribus imprcflbs tubos , pcr quos
circumfundcrc- turcalor,qi'iima(imul,&:fummafoucrctacqualitcr:illumucroca-
lorcm immitri confucuiflc cx Hypocaufto,«d a lurifconfultis mcmo riac mandatum
cft,&: ab Aufonio in MofcIIa fic cxprcflUm: Quid quacfulfurcafubnru^a
crepidinc fumant Bjlnedyferncnti cum Mulcibcr haullns opcrto rduit auhcht^s
tcctoria prr ca:u fijmmas , Inclufumglomnans acfiuixpifante uaporem. Horum autc
tuborum veftigia adhuc quamplurima Romae confpi ciunrurin
DiocIctiani^atq.Caracallac gymnafijs . Antchypocau- ftum via quacda crat
propnigcu , quah dixcris pracfurniu a Virru- uio uocata.Aquariu cclla crat
calidac Iauationi,arq. calidario ad- ^ ncxa,inquaalucus
magnusacdificaruscraradcontmcndaaquacx "
aquacduLtibus,autaliundcinucc^am,arq.indcmfrigidamIauatio
nc,iS:calidapcrfiftuIascorriuanda.Nonlongcabhocfirum fuitva (arium,vbi vafa
confcruabantur balncoru fcruitijs ncccfl"aria,&: vbi aqua pro ipfis
calcf^cbat.dc hoc ita rradidir Vitruuuis:Alicnca vafa nb.j « fupra hypocauftum
tria copofita fuifTc,u!uim calidarium , alrcrum tcpidarium,tcrtium
frigidarium,&: ita c()llocata,uti cx tcpidarioia
calidarium,quatumaquaccalidxcxilfcr,influcrct,dc frigidaiioin tcpidarium ad
cundc modum. l)c acrc balncoru m,qui cxtrinfccus
admitrcbarur,(vrVirruuiusinnuit)caincaliciiflimolocoaucrfo a ^^^, Scptcmtrionc
&: Aquilonc fita crant, tum caldaria arquc tcpi daria Cap.io. ab occidcntc
hibcrno lumcn habcbar.Quod Oribafium fignificaflc puto, ubi cx Galcni fcntenria
Architcftos optimos balncorum do- mos ad oftauam horam vcrfas conftruxiflc
fcribir.Sin autcm natura loci impcdiuifser,utiq. a mcridic,lumcn ucroita
capicbatur , ut in mcdio 1 44 L i B E R mcdio camerdc forame
laturclinqueremr^fubquolabrum exftruc D baturxirca labru
eratfpatioljquiclamargines,aurporticus,a Vitru uiofcolae uocati,in ^. ftatu a
Seneca , &: l^lurarcho auftoribus i rauillimis fcriptu re} erio,
antiqiiioresmoIlibus,acmoderate calidis balneis ufos, ita ut Alex. in lauacro
et febrics,Galataruq. mulieres puJtis ollas in balnea fere tes
unacupuerislauarctur,&: maducaret; ateoru fcpeftare maxime calidas in
pretio habiras f uilsc , adeo q. tarint> qualis Tucca a Martialc fub his
vcrfibus dcrifus. 7s(ow fdice duro ,flru^ili ve caemento^ 7iiuucnrusRomanaexercclxit«rJybcriprop|nquuc^ftirucriV^^
ne longius ad dcponcndas mrrr cxcrxendifm c*)jirTaar;rs(tirdcs jrc Lih.i. dA
cogercnrur,qucadipodum fcnbir Vcgctius:ira,poftqgyninafia ob rc iiiiiit.
cxcrcirationes1nftitutarucrunf;:ic(^ij^lim adrriun- dandacorporaconftrucrc.Abhoc
autcufu ctiamfcmcl tanrumin dic coenandi,&:in Itraris du cocnarcnt
accumbcndi, ut infcrius co- piofc demonftrabo,con{ucrudo inrrodudra
fuir.Poftcriori rcmpoic maiorcmhominum partcm balncis ob dclicias, arquc
molhricm ufam P R I . M V S. 47 A- vfamefleclai-ecoa(l.it',& pracfcrtim
tcpidisquibas cxficatas, Sc ab cxcratationibus, Vdfolcvcl Frigorc
aracrcscorponspartcsat- temperabant.Ncc folu dulcibus aquis,fcd 6c mcdicatis ob
dchcias yfos homincs tcltatur Galcnus in principio tcrti/ dc medicamcntis
localibus.Jialneisaliquosvti confucuiikMpiod non poflcnt .ncquc
fcrrcnrciboscapcrcnili loti.auciorcil Plutarchus.qui T.tumlmpc ratoreiuic dc
cauirainrcri)tl"c,cxrclationibuscoru,qui acgrotanti tu. va.
miniftrarinK,prodidit.Ouod ct qui inualidum ad concoqucndasci bosvcntriculQ
habcbant.cius corroborandi , &:cibos conficicndi ^^^.^^.^
cratialauarcntur,aPolidoniomcd»corclatumcft,vtnorcmcrc I li „p. nius in medicos
inucctus lit, quod pcrfualiflcnr balncis ardcntibus u.i^.c. i cibos in
corporibus coqui,a quibus ncmo no minus ualidus cxn ct, obcdicntiilimi ucro
ctlcrrcntur.Summatim ob quatuorciufas bal- B ncain vfuexftirilVcfcribit Clcmcns
AIcxandrinu.MlM^afwWojm x^fKt^«« vocarunt.Cahdis&tcpidis ad conciliandum
Li.j.pne- fomnu;lngida Luubant,&: ob vohiptatc,&: ut robulVorcs
rcddcrc- d^i.ci,. tur,calorq. naturalis intro repuUus maior cuadcrctiidcoq. krc
poft calidas balineas ca adhibcbat.quc vfum primos ouim Huphorbuin
lubacrcgi$,&;Antonium.\Iulam.Auguftimcdicos,rratrcs,yK')ftral-
fcrcfcrtPlinius lib.xxv.c.vij.Channis quoq. mcdicus Malhlicnlis, damnato
calidoi um balncorum vfu , hibcrno t pc ct frigida lauari hortabaf,atquc in
lacus aegros mcrgebat,qua dc rc cxtat .Scnccie adllipulatio,;(cfc pfychr )lu r:
u')C.ari.s.ptcri";qd ct( vtrclcruntPh- C nius,&; Agathinusapud ()ribali&)ad
jprogada vita, multaq.alia p- ftada.fi igida lauationc cofcrre opinati sut;
haec.n. dc (cipfo rctcrt « 4. Agathinus. Equidc racpcnumcroa cacna cuacgrcin
foinuu dcla- bor.pp acftum,in trigidam dcfccndcrc coiucur. &C mirabilc cft
qua iuciidam noacm tra^iiligaiu.Qu.i balncasingrcdicbanrurpublicas,^ ancc
dccimum quartum annum niiiil foluillc.tcftatur luuciuhs. , T>{ec pActt
criJiu.t ,nl's . Sjt », Alij
quadrantcmbalncatori dabant.&ol) id baincu rcmquadrau- tariam uocauit
Scnec.i,dc quo riacci; . Dum tn qHadrantclau.itum l^cx ibis. ->t. 6.
Cacdt:reSiluanop9*cim,q'adrantelauaii. Qucritur tn .Martialis.quod
plurisiibibalnca coftarcntubi fcribir, LiVio. jSulrKapuJtdtcimaiiilajjo
ficniHmqucpdutitHr, I B E R Qudirantts. Q^od forfan uel ob diuturniorcm moram.vel
alrerius rei graria, &: ipcontingerepoterar. Sar eft,quadrantem coe pretium
fuifse:quin & Antoninum Pium balneum finc merccde po pulo coftuuirre ,
tradit lulius CapitoIinus,& Athenaeus viij.dipnos. lcribitapud
Phafelitasfuifse legem.utpcrcgrini cariuslauarcnt.p- pterea cum ita uili pretio
licerct , nulUim genus hominum a publi- co balneo arcebatunpucri iuuencs,uiri
fenes, decrepiri , nobiIes,&: ignobileslauabantunfed prac
caeteris,phonafchos , cytharocdos, '■''lrlE-r^T*^°"?''^'"*'^°^^'^^^'^°"^^'^''°^'^''^'I^=e"farebalneafolitosrefert
»ed.i.e. (^al.quod noccmoblaefam,&a/Tiduis vocibusexafperatam aqua-
rumduIciumhumedlationecurabanr.integramq.feriiabar.Hocfi- miJiter uidetur
Martialis in his de Menophilo uerfibus fignificafle. Iiib. 7. Mcnophilipenemtam
grandis fibula veflit , ^ ft ftt comoedis ommbus vna/atis . Hmcego credideram {
nam faepe lauamur in uno ) Soluitum vociparcere FLicce fuae . Dum ludii
mediapopulofpeaantepalaeflra, Delapfa efl miferofibula , verpus erat . Qiii
Mcnophilus comocdus crar,& ficut cacteri.Iicet recutitus, in- Sll'nT ''k '
^^^"^^f cum Martiale in communi therma 1 ba neo auabatur. Muhercs
Lacedaemoniorum in balneis gymna ' ^vnT T- ^""'^•^"'/^^
Perfpedum eft , &: nedum in his , uerum & vna cum v,nsprom,fcue:quod
tamcn non in cundtis euenifse cre tZl^^r.fn'^''"f^^^^^ balnci mulie! orjs
mcntioncm ibi facit. «UMis eas ingrcdi ob ralubriiatem uciitum apparetrquod
ptcr tur- ptudmemetacorporibusmuIiebribus.acracnllruncremcmL " SSm- A
''■''''•T/'^' ^"''"^ '"Sr.^fcum ftarim coru molrm m cT "uii
-f 1"", " 'f'' cuin unis h non cudemlauacro, codein falccm P R I
M V 49/ A faltcm loco ctlam antiquirus lauilTc comprobat,qui libro dc analo gia
fccundo tradit in balnco coniunda fuiifc acdiHcia bina , ununi ubiuiri,altcrum
vbi mulicrcs lauarcntur:practcrca,C.(jracchus in orationcdcpromulgatislcgibus
idcm confirmarc uidctur, cuius vcrbaapud Gcllium italcguntur. Tudorcnim
noparicbatur vtru- ii.,o. quc fcxum iimul lauari,fcd commoditasconiungi
dc(idcrabat. Ni- fidicamusilla omnianon dc publicis balncis,quac tunc ucl
nulla, ucl angullillima , &: vilifli iia cxllitcrc,fcd dc priuatis cflc
inrclligcn da : qiTcmadmodum forfan Vitruuius intcllcxir, vbi vtriulquc fcxus
j- lauacra coniungcnda monftrauit. ucrum cnim ucro pollcrioribus facculis
mulicrcs promifcuis balncis yfas cflc, quamplurimaru pro- batifTimorum auctorum
tcftimonijs comprobari porcll , intcr quos primo fcfc orfcrt Iuucnalis,qui
diflblutos Romanarum focminarum ^ morcs carpcns hacc fcribit. Cramf
occurfu.tactcrrima Vkltu Balnca ncBcfubit , conchss & caftramoueti T^lBc
iubct , m^gno g^uiet fudare tumultu , Cum lafTatagraui ccctdcrunt brachia maffa
Caltidas & tnliae ii':*itos impreffit Aliptcs , ^4cftimm4m dominae femur
excUnure cocgit , cx quibus ncmincm cflc cxiftimo ,qui non uidcat mulicrcs
tcmpo- rc luucnalispublicas balncas adiuillc , ibiquc ^S: cxcrccndo , &:
la- uandolinc pudcrc ullofc virrs immifcuifrc.(]nod (imilitcr ciiis tcm-
pcftatc Martialisconfirmauit. Omnia fotmincis quarc dileda cateruis Lib.ii.
B-ilnea dcuitat Blatara ^ 6c Cum tc lucerna balneator exfitn{}4 li. 3 in Vc
^dmittat intcr bufluariasmoechar , tuftinauu Clcmcns Alcxandrinus , qui fub
Antonino &: Scucro floruit, in co, ^ qucm Pacdagogum infcripfit commcntario
non modofocminas '^ ^'^* communcsuiris balncas,atq.publicas in ufu habuiflc
tcftarur ,fcd omni pudorcdcpofitocxtcrnisquibu/quc libidinisgratiafcfc nu- das
in ipfis fpc(ftandas pracbuifsc. Quos morcspoftca dctcftans Gaccilius Cyprianus
hacc in libro dc uirginum habitufcripta rcli quit . Quid ucro quac promifcuas
balncas adcunt : quac oculisad libidincm curiofis pud(Ti,ac pudicitiac dicata
corpora proftituut, " quac cum uiros,ac a uiris nudac uidcnt turpitcr , ac
uidcntur, non- " nc ipfac illcccbram uitijs pracftant. Cui fcntcntiac
multa ctiam fi- " millimaa D. Hicronymoin I:pitt. ad
Lactamdcfiliacinftitutionc " fucrc prodita .
Hisitaqucomnibuscuiuispcrfpcdum cfscpotcft, non pauco icmporccum morcm&:
Romac,&: ahbipcrduralfc,tu Cymnaflica. D focmi- 50 L I B E R fcminae atquc
uiri in promifcuis baineis Jauarcntunquando etiam D non dcfuerunt qui intcrdum
hanc mulierumimpuramprocacira- tem coerccrc tcntarint: qualis fuit Hadrianus
princcps, quera fcri- bitDioCaflius viros
difcretosafcminisJauariuo]uifle:ficut&:Mar cum Aurelium Antoninum balaea
promifcua fuftulifle, eadcm- qucabHeliogabalorenouaraAlcxandriimSeuerumprohibuifle,
refert CapitoIinus,&: Lampridius.Ob quod item aliquando cenfo- ria lex Jata
traditur,ut mu lieres a promifcuis balneis abfl:inerct,ncc commune lauacrum cum
uiris libidinis caufsa intrarenr , fub repu- dij,&: dotis amiflionispoena :
quod poftea in I.fin.titul.dc rcpud. &: inaurhcntico dc
nuptijsprofancitorcccpttmfuit.Quarationcfie- ripotcft,utbalneaeaIiquae
muliebres in foeminarumdumtaxat: ufumfucnntcxftrudtae,quaIesAgrippinae
AuguftacNcronisma- tns:nccnon Olympiadisin Saburra,& quas Ampclidem,ac
Prifcil E lam trans Tybcrim ad euitandum forfan hominum confpedtum ha buiffc
refcrt Viaor. Tcmpuslauandi poenesvetcres,quemadmo- Epift> 87.
dumnarratScnccafuir, quod quotidie brachia , &: crura ablue- bant:tou nundinisfolum
lauabantur , Caetcrum poftM.Pompeij aetatcm coepcrunt fingulis diebus toto
corpore lauari. Hora uero vfque a temporibus Homeri fcre a pluribus obfcruata f
uit paullo li de tre. antcquam cibus fumerctur.non dcerant tamcn Galeni
tcmpeftate, "fQh ^ ^^^^ ""'^''^ ualetudinis habita ratione
lauarentur. ob q^
jpfe ngorem fine febrc uifum tempore fuo
narrat,quem aetate an- tiquiorum medicorum,cumraripoftcibumlauarcntur,non
elseui- fumfcnbit, Vtplurimumautemmaiorpars liberorum hominum prms
exercebat.deindc baIneaingrediebantur,nonnulIi fine exer Iniib. de ciratiombuslauabantur.AdnotauitGalenus,antiquospoftpilaeIu
F KL*" ^""^ ^'^''^'^ b'^'"eis lauari confucuifle : quod
fimiliter ante illutn Lib.4. innunifse Marrialcm co uerfu vidcri poteft.
l\eddepilam,jo:iataes thcrtnarum , luderefergis ? yirgine visjola lotus abire
domum, NamdumhorabaInearumappropinquaret,tinrinnabuloquodatn figmficabatur,quo
pilaelufores.atqucalij exercitatorcsftatim ac- currercnt:aIioqui in gclidiflima
Virginc, qu am &: tadu iucundilli- ii.3i.c.3. mam,ficuthauftu
Marciam,rcfcrtPIinius,&: fic diftam quod nullis fordibus pollucrctur
traditCafliodorus 7, Var.iam claufis thcrmis lauabatur.fcribit enim
Capitolinus,antc Alexandri Seueri tempo- ra numqua thcrmas ante auroram apcrtas
fuifse , &fcmpcr antefo- lis occafum claudi confucuifse, ipfumq. Imperarorcni
publicarum thcrmarumluminibus oleum addidifIe,quo&innoftepatercnt. 1 BHi
bfl m Phi opi inli culi W col isfc obi crai Cp:)& igd cisl bui iiitii iieii
hai aq p R I M V s: n A qiiodctla fcciflc I yconcm philofophiim imicniri gMCCnc
fcrihit Lacrtius in ciiis vira, Non mc larct qiiofdaalijs horislauifTc/cd ucl
cxrra gymnaiia,ucl in gymna(i)sgratian!icuiusafrcdionis,autaItc- rius rci ucl
confuctudjnis,utfcribitMartiaIisdc Fabiano. iii>.^. LaJJus ut in thcrmjs
dccima jcfius , Ima Te Jn]"ar ippjc yCkfn lat(Cr ipjr Tiu Hoc CCrruin
eft,quod \'irruuius loco cirato mcmr riac mandauir,tcmpus Jauan- di maximc a
mcridianci ad ucfj>crum fuiffc conftirutum. t um cnim fcmcl dumtaxar in dic
(aturaiciitur Maiorc\b , nulhiin tcmpushoc ipfoopporrunius habcharur,qu()d circat^dtauam
dici hcrampaul- loantccocnam crar,ut Martialistclla:umrcliquit. Suffiiit in ».
I rtm rrifiiiis cctiUta p/tlaenris , & j^;^ ^ Octauam pctf'i5 jcutaic
^laycbim'*r vna, Iib.ir. B Hadrianus Cacf. rcfcrcnrc Spartiano antc Osftauam
horam neminc niii ac^^rum huari voluit , quam horam criam lulium Cacf priori-
bus facculis (cruafTc, conijccrc pofsunuis c\ Kpiflol. Ciccr. ad Arri-
Lf.i^.Ep. cu,ubi dc Cacfarc loqucns, hacc ait : lllc rcrrijs Saruriiahbus apud
"^"^"^ Philippum ad horam fcptimam > nec qucmquam admilit ,
rationcs „ opinor cum Balbo ; indc ambulauir in littorc , poll horam ocbuam „
in balncum,tumaudiuit dc Mamurra,non muranir ; uuctus cit, ac- „ cuhim
,\yLvriKU¥ agcbar , iraquc &. cdir, &: I>ibit «Acic, iS: iucundc. „
Scd an pLrpctuo ilhim uirac rationcm (cruarct Cad.haud clarc cx „ co loco
habcrur ; quando ci us folius dici rationcm c\p :>nir, in qua isfccundum
mulroramconlucrudincm u jmcrc ddtinaucrar , atq. obid «A»ff i.finc
timorc,&:iucundccdcrar,bibcratquc,ur ( quod crat mcdicorum pracc cprum)
uarij gcncris poru,ciboquc rcplcrus . C
pof>cr,dumircrdorm;tLim,uomcrc.iranunqLic locusillc ( iib.d^fai? agcbat)
mrcllii;iiudiciomcodcbct:quod licuri AiCiTHT/ic« a C.rac- 'j'^"-* *
cislimphci uocabul > dicirur camcdicinac rari(>,quac in rcbusad * ' humanum
uichim fpcclanribus fira cft^iSL: K^i^^iKn. quac ad cxina- nitioncs pcrrinct;
haud fccius J-utTixil > clt illa iyoayk y liuc rario, quac in rcbus,(Si:
modis uomitum paranribus collocara cft. Tot ira- quc dc balncis ^^ymnafiorum ,
ac prmaris brcuircr didta fuHiciant, quorum ufus cum apud anriquiorcs rarior
cfscr , Afc lcpiadcs Pru- (icnlisactatc Pompcij orator habituscx ilfa artc
nullumquacftum irahcns, cum ad mcdicinam fc contulifsct , in caquc magnam ^Io-
riam,&:au(5toritarcm brcui comparafscr, ob blandimcnta^qulbus
acgroscurabar,ob pcrpctuam finitaris rirmiratcm, 6i:quf)d Romac lib.i.c^.
qucndampromortuoad fcpulturam clarum miro gcnrium ihipo- "a. rCjUt
CcI/us^Plinius,^: Appulcius tradidcrunr, uiucrc cognoucrat, IJIfio?' D 2 cum
fiiii 52 L l B E K eumfrequcntiorcmreddidit. Vndccima,ac omnium poftrcmain D
gymnafijsparsfuit Sradium, ubi populus cum uoluprateathlctas certantes:
fpedabat: nilq.aliud erat,quam hcmifphoerium quod- dam , multis gradibus
conftru6lum , unde poterant commode fpe- datorcs^qui fcmperplurimi
eoconflucbant , certatorcs intueri. an autcm intcr ipfum &c xyftu, fcu
peridromidasmurus intcrcederet ; atqueindcpcr oftiumex platanonibus gymnafiorum
arhletacin arcnamftadijprodircnt, etfi a Vitruuionilcxplicatumhabcatur,
rationitamcnconfcntaneumuidctur , uniucrftim acdificium, nc cuiuispareret(quod
eriam fupracirati Capitolini reftimonio com- probari porcft) muro
conclufum,&:proptcrea agymnafio ftadium murifcptodiujfumfuifTe. De
alijsgymnafiofereneccftarijslocis, reluti lignario, uafario, latrinis,
triclinijs , atque eius gencris muL tisnonloquor , quodhorumin palacftrarum
dcfcriptione mentio E non habcatur, ad noftrumque inftitutum minus pertineat;
ficut nec qiiomodo ambulationesillae fubftratis carbonibus,atque cloa cis
proximisexftruercntur. Quaeomnia^tamquamclara,autalibi commodius explicata,a
Vitruuio in defcribendisxyftispraeter- milTaputo. luxra publicas thcrmasinuenio
exftrudas fuifTepopi- nas,quas Ifidorus lib. etymolog. xv. cap. ij. tradit huic
inferuiife, iir,quiob cxercirarioncs, autlauacraelfcnt admodumexinaniti,
diflblutiuc,habercnt,ubi ftatfrnrcfici poflent. atque hasforfan Plinius
intellexit Epift. iij. lib. j. quando poft balneum, &c triclinia popinarum
meminit . Hadenus dc
antiquorum gymnafijs. De AccubitHs m coena antiquorum:, ^ femel dumtaxat in die
ceenandtconfuetudims •rigme. Cap. XL F V O N 1 A M balncorum explicatorum
occafio iam fua- det , nosquc fupra polliciti fumus de coenandi fcmel in die
,& in coena accumbendi antiquorum confuetudi- nisorigincfermoncmhabere; fi
cxtraremnoftram videatur,atquc a Galcno de accubitu nihil explicatum habeamus:
haudpraetcrmirrcndumeft,quin lcntcntiam noftramin medium proponamus , alias eam
libcntiflime mutaruri , fiquis meliori ludi- cio,ac eruditionepracdirus,
ucriorcm aliquam,&:magisrationi confcntancamdcmonftrauerit. Quod etenim
maiorcsnoftrima- nccxiguumquid comedcrcnr, quodprandiumuocabant, &:ue.
fpcrc tanrum (arurarcnrur, dum coanarc dicebanrur , (exceptis ijs,
quicoituufuri erancquibus amedicis vcfpcrecocnarcinterdiaQ fuifle P R I M V S. 51
A fulfse fcrlpfic Ariftotcles,& cxccptis SyracufanIs,qiios bis in dic ci-
^^nlc. bis implcri,quifi rcs noiM cfscr,tradir Plato ) fLuis ab Horatio, Mar-
j;^^,,^ ^ j tialc , Plururcho , atquc Galcno ( nc mulcos alios nomincm ) com-
Dioncm. probatum ell: fcd dc bis tulius mclius in uarijs lcdionibus nollris
tradarum cft quod fimilircr tcrcomncs cium cocnabantm flraris accumbcrcnt ,
pracrcr lapidcs Romanos id clarc ortcndcntcs , do- AiflimusPhilandcr infuis in
Vitruuium commcnrarijs audorurn antiquorum tcftimonijs clarum fccit , vt id
amplius dcmonftrandi laborcmmihiomncmdcmplcrir. Cctcium vndc nam hac duac
confuctudincsprincipiumacccpcrinr&quomodo vercaccumbc- rcnr, ncmo, qiicm
cgo vidc rim, (luc cx anriquis , fiuc cx rcccntiori-bus, ira appolirc &:
dihgcntcr dcclarauir, quin poftcris dubirandi , &:plura dcfidcrandi
occafioticm rcHqucrir. Quod an ob rci ohfcu- B rirarcm,an ob ncglcdum
cucncrir,ignc)ro. Ego fanc urra(quc illas, &:accubirusl(:ihccfAupii^.indic
cocnac cofucrudincsa balnco- rum ufu manafsc c\ntimo.& primo ur ita dc
accubitu fcntiam, plii- ribus, ijfquc non fpcrncdi.s conicilurisadducor, quarum
prima cft, quod Homcri tempqrc „ qyando nofn adco frcqucnrcr bahicis vrc-
barr^ur, coenaruri fc^cbanr,vt m conuiuio Procorum apparct. tfjft^i^otr^ Kcci^.
. ^ -it*. id cft, cyJt proci ingrcJjL /urit^ qui mox mdc /upcrhi OrdincfedcYunt
lc^tmms , (5" ordmc throms &: ubi Tclcmachus,ciulquc focjU5 a Mcnclao
holpitio acccpti poft lotioncmcocnant fcdcntcs. i^ovwi l^oyro wimmorralcs
gratias agcrcHtcnim ei qj' Plurarchus dc lo co c6fulari,nec no dc tnbus
triclinioru lccVis diifcruir>iam non ob- fcurucft,quam mirihcc quadrcr
propoiira triclinij Rhamuufrani fi- gura.Simiiitcr,&:qab Horario dc
conuiuaru liru varijs inlocisnai^ C rantur,n6ahundcmchusintclligi pollunr,p(crrim
quandofcnbir. Sacpe tribiis lc^is videjs CQcnarc quaieiraQs : Efabi44Vf.: '
"is jfpcrf^crc cnm ijs Tfdctcr cu) ^ . .iqujLm. Qucm locu dum Lambinus
exponcrct , cur anriquos cofucuiflc in quolibct Icifto niagoa cx partc
quarcrnos cacnarc pala aflcrucrir , f^nc miror , quafj non (ir cuiq.
pcrfpcc^iflinuim, vr narrar Varro. lc- g^s cxftitiflc quac numcnun conuiuarum
nouc cxc cdcrc,ncc pau- ciorcsrribusclfc vcrabanr ,hcut &:adagium illud
vulgatiflimum , fcptcm conuiuiu,nouc conuicium,atrc(brur.(^mimmo lulius Ca-
p/roUnus rcfcrr L. Vcrum Impcrator:- pracrcr cxcmpla maiorum , cupi duodccim
folcmni conuuiio prinumi accubui(ic,ira vt prion- Ihis facculis porius
fcrnos,atquc pauciorcs adhuc (ingulo 1 ccto con uj^asdifcgmbcrc
fo|itosfuifl'cconuiacatur:ni/icpula pjblica ' ' * ' 1) 4 nuptialcs S4 i. i iS h
K nuptiaTcs caenas cxcipiamus.in quas cu magna hominu copia con- D •
uenircr,nequaqua accumbcntiunutficrusfcruari poterar,vrcx PJu tarcKo , ac
Rhamnufiano lapide colhgirur,quo vcl epulu pubhcu , velnuptial^cocnamrepraefentari
non eftdubirandum ,urob hoc Chacrephon apud Athenaeu in vj. vidcatur admitrcrc
couiuas rri- ginra dunraxar innuptijs, in quibus vcriiimilc eftnecefTarium
fuine uocatorcmiIIum,cuius meminit Senecalib. ii/.de ira cap. xxxvi;. &: qui fecundum cuiufque dignirarem conuiuaS ad
loca dcbita vb-' cabar. Quodaurem Turnebus,&Lambinusidem dcpuero aquam
pr.aebcnrc funt in tcrpretati , cquidcm non i mprobo.at forfan ncc abfurdum
hicrir,fi Flacci vcrba dc eo puero cxponarur , qucm tana. omncsfcre mcnfarumfculprurae
antlquacquam poeraru reftim nia conuuujs femper frigidam,& calidapraebuifrc
oftendunr,qUe- que cundos , ne ab ipfo male rra(Sarenrur , reucriros eifc ,
& a quo E mordendo abftmuifre vcrifimilc fit. Jam fcfo M.iria Magdalena u t
ftansrctropcdcs Chrifti coenantislauerit, atq. loannesfupra ciuf--
dcmChnfttpcaus recubuerit,cxhaccademRhamnufiani triclin,j figura,fecus quam
pidorcs antiquarum rcru ignari faciat , 6c quam , Gaierarms Gardmahs murilirer
commenratus cft,fadlec6iicitur ctenimhebraeos,acaKiftumaccun,bendiRomanort,mconS^^
dmem.obferua/le practer Architriclini accubitufq.: nomen • gehjs faepe vfurpatu
etiam id tcftari poteft, quod Laei freqic^tcJ Rom.ac conuerfarcntur,fimiiiterq.
Romani L Iudaca,ac in vfu no Xuo£r"! ^'^^ Marriahsfigt^ificare hoc dV • ,
) -.J ; Omi^ia cim retro pueris obfonia tradas, F 1 1 Cur riM ntenfa tibl
ponitur a pedibus i -'Siquidc.n coen anribus alrc iaccnribus fpacia rfetro
rcjinquebarur in qu.bus fcru.s uana miniftranribus mulra offcrrc , & ab?ata
rcci pcrc faclc crar,feruos namqucad pedcs caenanriunrftareac ob?d a^edibus vcl
ad pedes vocari /oluos ex mulrorum fc^Sci r ■ gcre hcct.Sencca hb.ii;.dc
bcncfici;s. Scruus (j cocnain id ocde; ftcrerat_,narrat quod mter cocnam ebrius
dixiit.MarSs Mixta lagaenaad pedesreplct uino.Suetoniusin Galbi r , , .
namverovfq.coabundantcm vrrnnl.i V ' "-'"fercoe- circumfcrri mbcrcs
Lraia n^^^^^?^^ paraacr.bushurctS d^ndrefmt^l^Spt^'"^^-"
buitimpudcnti.dequoctiaAthen-ir^ncinV I u P^"^'^"^^"- Sed P R I
M V S. 55 A Scd practer alia mox di autfuturam laflitudincuirandampoftmodicum
tcporis inreruallu lcdos intrarcntjatq. ibi modo nudi,modo laccr- nis,aljjsuc
in id paratis uclUbus induti caenarct, atq. inde mox au- fta baincorum
cofuctudmc vfq. adco accumbcdi morcm crcuifse, ut nobiliores in dclicijs maximis
cum habcres,lcd:os nunc marmO- reos,nuncargcnteos (quod dcHcliogabaloferunt)
inidfcparatim exftrui curannr,neq.inijs,inquibustamenqua plures, (utdc Lu- cio
Vcro ImperatoretraditCapitoiinus,&pfcrrimpauperesdor- mire conAieuifse
puto) fcd in cubicuiarijs uocatis dormire uolue- H rinr.quc morcm accumbendi
poftca uiiiorcs, &: paupcres ad dirio- lib ii.de
^""^l^^^^^^yi^^^^f^^ifn ^ balncisquaiiiori, itafrcqucnriflimum efTe-
teruiV.c.i ccrur,ur^Coiumclla praccipcrc coacfrus fit,ne uiilicus nifi facris
dic- bus accubcns cocnarer;in qua rc no fecus corigir, ac cuenifsc cofpi citur
in baincis,arq. piurimis aiijs rcbus,quae in honcftum ufum, &
quafincccftitatc quadaprimurcpcrtac,dcinccpsadluxu, iafciuia, Uolupratc,aliosq.
ufus rradudac fucrunr. Quis eft, qui ncfciar ucre- rcs in couiuijs ocs propc
cxcogitafse uoiuprares, nihiiq. rcliquifsc, quodaddclinicndos animosfaccrcrrfic
enimfermoncscouiuales ad animi inrelligcntias afficicndas magno ftudio
inuencrut, ad au- dirum oblcdandu muficac uaria gcnera adhibuerut , ungucra
pre- Prob'^!^^ tiofiflima odoraruidicarunr,
ficut,&:coronasexfoIijs,floribusquc 6.cr fimp. c6rcxras,quas modo
manibus,modo coilo, modo capirc u r iapidcs F c.de anj.
Romani,Pluiarchus,GaIcnus, iSd Clcmcns AIcx. teftantur,tcncbati Rieda. ^i'^gi'5ria,
colorc naribus, atq. oculis arridercnt,fomnu con- cap.8.
«^^l^iii^cnt^cbrictarcuirarcnt.quantuporrocibis^&potibusdclica-
tiflimisc6quircndisftudiuadhibucnnt,nonmodofidcfaciuntfcx- ii.7.c.ir.
decmiillacduliorumgcncra, utcxVarroncrcfcrtGcilius alon- ginquisrcgiombus
Romaaducda, atq. alia quamplurimaa iulio Poiluce nominaras, ucru ctia mulra ,
& prope innumera AuAorum de rc coqumaria comcnraria ab Arhcnaco cirara.De
antiquoru io dic fcmcl ranru fcfc cibis implcndi c6fucrudine,cius ctia
opinionis fum,utcuad cmundanda corpora quotidie anre cibo5,urfnperiori
CapircdixnTius,ucrcrcslauaricogcrcnrur,6^aIotioneIcdlosin-rc- dercntur,uixfcmcl
comcdcndi iii dicotiuipfisfuppcrcrct: quo^liia fi priuata cuuifq. negotia
fpcdcmus , li 6c cxcrcitationii. & bainco- rum, P R I M V S. s9 A
rum.accubituscj. apparatum c6fidercmus,magna tcporisparsipfi? infumirur, ut li
ois in dic fiiturari uoluifscnt, aut ncgocia omi ttcrc, aut balnca intcrdum
ucntrc plcno adirc, aliosq. multos errorcs , &c in ualctudinc,&: in
alia uitac rationc committcrc fuilscnt coa^fli . Comcdcndi uero horam,&
modum balncorum tcmporcatq. com moditatcmctiri inftiturum fiiifsc pofsumusa
Galcnointclligcrc, ^ qui liintcrdum obacgrotantium infpcclioncstardiusfc
lauandum ciubitabat,pancm manc fumcbat,quo ccanac tcmpori fufticcrc ualc
ret,quadoaIijllmili dc caufsa,pancm,uinum,oliuas,aut quid aliud capiebant,uti
non modo Galcnus f ilsus clt,fcd ctiam Horatius,vbi defcfcribir. Tranjus non
auide ^ quantum intcrpclUtinani ymtre diem durare, B Quod porro vefpcrtinam
horam caenae dcdicarint,in caufsa fuifsc praecipue uitae commoditatcm
cxiftimo;fiquidem difticiie fuifsct poft excrcitationcs,balnca, &:
cibum,agcdis rcbus opcram nauarc; practerea cum accumbcntes cacnarcnt,alij
ftatim fomno capicbaa tur, a!i j modico temporis fpatio uigilantcs dormitum
ibantrcx quo adhaccomnia nuUa opportunior hora quam ucfpcrrina inucnic- batur,
quamquam ctiam nonnullos , &: pracfcrtim mcdicos in hoc ualctudinis quoquc
rationcm fpcclafsc opinor, quando in noAc melius, quam intcrdiu , cibi conficiuntur
, tuncque pcrfpicuum eft plus cdendum,quando plus coquitur . Hacc funt quac dc
accubi- tus,A:cacnac antiquorumorigincmihi w^ftfj^is diccnda uolui. P R I M V
S. 6$ A quc corpori afrcftiim parcrcnt hi,nofccbat.Aclcrant fcriii fricandis
corporibusdefl:inati,qui ad pracfcriptum gymnaftacautpacdotri- bac,modo nudis
manibus,modo vndis, modo cum lintcis alias du- ri5,alias molhbus,alias
afperis,aliasmcdiocribus,uario,ac diucrfo modo,proutopuscrat,corpora fncabant.
Poft hoscrant&rcundo rcs itaa Phnio,ac Cdfo nuncupati,quod corpora ia
cxcrcitara vn- li.j. c.^y. gcrcnt,reungercntuc.hos,fucrc qui crcdidcrint,a
Paulo Acgineta iirrfOAu7rT«c vocatos:fcd dcccpti funt , cum alium lUiflc ab his
iicr^- ^wTTwoilcndcrimus. McdialHni quoquc uyumafijs miniflrabant paumicta cuerrcnrcs,nccnon
multa aha pro lcruitijs gymnaliorum obcuntcs.Pyrrhus Ligorius intcr alia
antiquitatis cius praeclarilli- ma monumCta hanc infcriptionchct,mqua
Mcdiadmorufit mctio. DIIS. MANir>VS. S. B TITO. PLAVIO. OLENO SERVO. ET.
PROCV R AT BALNEL T.FLA VI AVG VCf. MEDIASTINO VIX . ANN. XC. MEN "VTID. VIIIL T.
FLAVI VS. T. L. POLVMNESTV S MEDIAS TINV S AVG. N. FAC. CVR Adcrant ferui
balnearcs,Iotos in balncis primo cum fpongijs , mo- do purpura tinctis,vr
rcfcrt Plini us,modo candcfacli^, dcindc cvm C lintcis cxiiccantcs.hos quoque
arbitror cgo confucuiflc flrigihbus corpora cxercitatorum diftringcre , atquc a
ftrigmcntis dcpurarc. Adcrantpilicrcpi ,qui fpliacris piccobh'tiscurabanr,nc
ignis bal- ncorum cxftingucrctur. quidquid alij dicanr,qui pro piiicrcpis lu- ;
fcrcspilac, vtpotcobftrcpcntcsinrclIigcndospuranr,maIc fc nrcn- .tias Matrialis
&c Stati j,dc qui bus nos locis fuis loqucmur,inrcrprc- tantcs.
Alipili,qui(ut rcfcrr Scneca)ad vcllcndos ab aliquibus cor- Epift. poris
parribus , & pracfcrrim alis pilos adhibcbanrur: nili uclimus, vrdo(tti
uiri ccnfucrunt,pcdicrcpos,& alipcdosapud Scnccamlc- gercqualiin gymnafijs
cflrcnr,qui a pcdiculishomincs purgarcnr, &: inrcr occidcndum ipfos magna
vocc fingulos cnumc rarcnr,i(a vt Scnccaab huiufccmodi
vocibusoffcndcrcrnr.quornm tamcfcntc tia non probo,quod luucnalis ccrro rcflaru
faciar,fuiflc' in thcrmis, qui ab alis pilos aucUcrenr, ubi fcruos fuos
dcfcribcnj Pcrfico ait: T^ec pu^iUarcs dcfcrt\in balnca raucHS TcHi^ulos^nK,
yelUndas iam praebuit alas. 5«t. is« F Atque U 11 B E R Acquehos mo do
volfcllkrfdirf ob(?unrfumvfo5eflc:nuncre/ina, D (hanc enim m eueilendi^ vrronim
corporibus pilis maximum ho- Ii.i4 c.io. |ukcioncscKpliccn;,uc- rumcciam
illamaba!i)s, quAclimilcm naturampcrin- dc,acnmcn obtincrc uidcnrur, ira
diftinguanr,nc lcctorcs acqiri- C uocarionc dcccpti, ucl circa rcs ipfas
iiilignitcr dccipiatur.(^ idc® cum nos izymnafticam ucram tractarc
prf>fM>{ucrimus , quac racdi- CiJiac pars clfc dchnita iam a nobis
tuir,ahacq. lint gymnafticac cir ca cadcm fci c ucrfaurcs . ncccflum arbkror dc
his tplis fcrmoncra liiccrc,quohabiro pofsit diucrliras ounuum 'faciUnnc
inrcrnolLi. jcj^ctcnt^sigiturquic fupcriusdiicimMs, ircs llatu i mu s
gyiniuJii- c;>c4:oriiisfpccics gymiiifticain ucram fcu lcgirinum ( urcanr ,
nihiloininas tinibas , -quor um graria fiivgulac infti tur-»c fuiu.
m:i;;nopciX' , licut ctiarci fu- pra monlha-tiimui^ diflcrunr . Num
gy.iauuftica JmiplcNj^i: mcdic>- nac pars i«l folum ourar, ur bomincs
cwpcitawontim modcraraiam ©pc,&:fani*arcmacquiraiu,rucanturuc;&:
bonumhabinnn adi- pifcantur; c^cAo>« ( diccoat Plat )) rtc wAAcc , (cAA«
t^^-rgut^^^^^ll^^ yj(xH'.€i aiS^iTiotz , idcft, 1 arc jr haud r 2 multas. L l B
E K multas , fcd modcratas cxercitationcshominibus bonum habitiim D inkrcrc . Hoc
ua eire quoniam Gale nus tu in libclJo ad Thrafvbu-, lum , tumin libris dc
tuendauaJctudinc non minus copiofc, quam JucuJenter demonftrauit,&:
nosquoq. fuperius aJiqua ad hanc fpc- ciem pcrtnicntia dccJarauimus,haud
ampJius in ca celebrada vcr- bis immcrabor.fed ad BcIIica tranfibo : cuius unu
ftudium erat ho- mmcs,pueros,atqueetiaapud nonnuJIos muJieres carundem cxer-
citationumadiumentoitadifponere,atqueaptarc,ut & inbello lck fortiter
gcrcre, & hoftcs propulfarc, &patrias tucri, & omnem deniquemilitarcmperitiamtenere
ualcrent.quamuis cnimhaec quoqueficut &:f«perior bonum corporis habitum
con.pararet, &: lanitatem quodammodo tuerctur, quia tamen proprius
illiusfi.- nis erat homincs beJIis gcrendisidoncos atque fortcs cfficere,pro-
ptc^r^a eandem no cfsc fatis apcrte conftat.quod uero bclli ca gvm- E
nafticanuIJam aliam naturam habcatpraetcra meexpIicatam,lo- cupleti/nmum
teftcmPIatoncmin mcdium affcram, quiinfepti-
modeIcgibus(poftquamdecIarauitiuucnum, &c puercrumedu- cationem maiorcm
partcm in rcbus pub.obtinere)dcccrnit publi-
cosmagiftroshabcndos,quigymnafticampucros,atquepuelIas. &c uirsmcs edoccar,
quod ad afscquendam miJitarem pcritiam nil mclius paJacftnca &:/aJtatoria
gymnafticae partibus inueniatur id quod etiam cJegantillimc in tertio de rcpub.
&aJibi Aiepe profecu tus fuit Polt Platonem Ariftotcleslimiliter
gymnafticam belli" cam modauo Politicorumcxprcfseindicauitrubi tameas,quac
athlerarum habitudinibus corpora iuuenum deformare , & corum augmentationcm
impedire ftudent Ciuitatcs, quam Lacones effe ratos labonbus adolefcentes
cfficientes reprehendit, eamq. pueris ^
gymnafticamtradendamconfuht,quaemitioribusJaboribus &:
magismanfuetisexcrcitationibusiIIosrobuftos,&:inbellicisneao- tijs uerc
fortes reddere qucat. de hacgymnaftica clare locutSm Galcnum non rcpcno, nifi
velimus ipfum dum Jcgitimam cclZ brat fub ea iftani comprchcndere . qu^d &
ipfa bono habitui com-
parandoincumbat,hcetadbeIlicamperitiam,&aptitudine^^^^^^^^ dtafuaftudia
dingat; atqucilli qui medicinae gymnaftkaTope- ram nauant, etiam dum
oportct,beIIica uti ualcan^.VetetiSs in^er ZZr'"T ^^""^fti^^
niilit ae ,1iTomodo! LsapudGr^^^^^^^^ ^l"^" huiufcemodi ars apuci
oraccas,&: Latinas nationes in pretio habita fuerit Pr-i£> ter has duas
eft etiam gymnaftica aJia uidofa,& atlilct ca a nuncupata,quae hominibus
robuftis efficicndis(talis enintf.ft Mi! lo Crotomara, & «hktailk, qucm
OJympiodorus quarto m te^ rolog. V ^ \ M V S.
aut ludarivaut isTctyKgitrtccfmcogcbzmur, iccirco cibo
indigebantcorruptu &:.euaporatu dJthcili,cuiufmodi eftcibusex
fuilliscarnibus,quibus foli veri athletae uefcebantur, atquc ta- reserant>
qui inludis,. in amphithcafris,&:etiaminalijslocisob pracmium
,&gloriamcertabanr, in hoc acetcris diuerfi , quod folum uincere,&:coronam
affequi ftuderent, cum alij ucl bono ha- bi tui c orporis acquirendo , &:
fani tati tuendae ; uel militari forti- t:udini,&: peritiae acquirendae
intenderent,quos /impliciter gym- nafticos,&: exercitatos,vel athlctas
bellicos nuncupari inuenio, ex. quo conignuraliumefie: (Tmpliciter athletam^^
alium fimpliciter gymnafticum , necnon tres fuiffe artcs in exercitationibus
uerlan- tcs communinomine gymnafticae vocatas, quarum medicaom- nibus magis
proprieita di£ta fuit,alteranempe beHica (apud mc- dicosloquor, quod
alijforfanhancprimariamefTecerint ) minus; tertia omnium mini me nimirum , quae
a pracdi£l:is degenerans,. uitibfaiappellata lit' quacue robori , non
fanitatioperam daret : ro- burenim diuerfum habitum afanitate cxigere , teftis
eft Ariftotc- lcs viij. fed» problcm. vj. quo in loco pinguem habitum robori
^for- nitati ucro rarum conucnire fcribir«. /01 tiSl fe, rah t5| TfcT^itio/a
Gymna Htca^ Jfut Athretica:, CTa^. Xllir-- Oftquam dc bellica gymnaftica, atquc
etia dc gymna- ^ fticalimplici,quantuad praefens negotium:fpcdabar,
fatisdifscruimus,iamopporrunum critde athleticafer ' mone habere;.quae quonia
tcporibus Galcni, atq. etia fuperioribusmaxima audloritatem fibi
uendicaucratjideoeiopus IKfnas.ad fuit,uteam
longiffimaorationcatqucimpuriflimiscontumeliofilli- mifq. uerbis
infectaretur..quod qua fapienter fimulac iufte feccrit,
exhis,qdeilliusprofefsorumoribus,alijfq..conditionibus di£Vurus fum,facillime
clarum futurum /pcro.&ur aprincipio exordiar,Pli-^ lih.7.c.j lib, ad
K07i}(vi(€$, qua artis nomen ei conuenifse dixerit Galcnus, fi quidcm "^**'^^*
illius cxercitatores dum fge uidtoriae, Sc praemij ( quorii gratia qui certa.-
nu Cpro prii aut v:ni (cti effc val niii doi tat tai ca bi Early European
Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the
Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 !> R I M V S. vf IffXyi'^ J^utdh^os r«
crxt ginrw 7r*j,»t«» KOtii' ret}^ Ktti , , n-flf 'f * J^iOfUKot 6 /fc Kcti
KKriX^* 'J'«A«/i«f) fcribcndum dubitan polTctob vcrba fcqucntia,quibus inuit
robur cflcfuaptcnatura coniunctum cum pcrnicitatc ; vciumtamcn ,ut non inficior
ctiam uocem Tfc;(f»«7.i. artis quadrarc, cum ars inaxiinc valcat in
athlctica,in qua cam robori iSc inagnirudini primum om- niumaddidiflcThcfcum
tcllatur Paufanias in .'^cticis, lic non ui- dcocuraroborc qu.)quc cclcriras
fcpaiari.iicqucat cum rcs ipfa doccarplcrofqucviribusmagnopcrc valci c,qiii
tamcn inagciulo tardi potius.quam cclcrcs funt..Scd ut cumquc lit chirc patct
athlc t'aruomniuinltitutioncm,atq, dikiplinam huc rantum lpc>.'tallc,ut
corporismagnitudincm,iobur,atq. cclcritatcmcompararcnr,qui- busfoli
cctcrosantagoniltas lupciarc,&: pracmio,honorcq. potiri ualercnt. id
c^uodlicctpluribus cti-caminum gcncnbus conicnde- 70 L i B E R Jcnr,qulnq.
tamcnpi-accipuaeranr,in quibusvcl femper.velplc- D iimq. ram in facris
cerraminib.quain Iudis,amphithcarris,&:publi cis lpcaaculis,fed pracfertim
in ftadio,quod fere folis arhietis pro- pnc deftinaru
erat,cerrabant,lu6la,pugilarus,curfus,falrus,& dilcus.
vndcludarores,pugiles,curforcs,falratorcs, difcoboli nuncupaban tur,qui feparatimin
fingulispollerent,ficuri Pacrariafta diccbarur, qui in luaa,& pugilatu
valebarrq vero in cudis quinqucperarhlus, &:vocabulo
Romanoquinquerriusvocabarur,urdoccr Fcftus;erfi Qilinquertioncs apud Liuiu
Andronicu athlctas fignificare fcribat idc Fcftus , apud quc ct peiiodon
vicifsc diccbatur is , qui Py thia,
lfthmia,Ncmea,01ympiavicinct,nomineacircuitueorrifpc6tacu lorfi
accepto.narrarLacrtius Democritum Philofophum efse uoca tum pentarhlum,forfin
quod in iuucnrute vicifsct.Erantpoftmodu Haltcres,iacula,arq. n6nullaalia,qucruquoq.
certamina athlctae E obibar,ar in pu blicis ludoru, &: ficroru ccrraminu
cclcbratiombus raroillapcragebanrur,vnacxccptamonomachia,q.Graecosfaccr« dotes
aeftatis rcpore in pergamo excrcere cofueuifle memoriac ^o- 3.3 ar. 13 didir
Galenus.Quamquam monomachos,fiue gladiatorcs apud ve
rcresabAthlerisdiucrfosfuinbfcia,quod M.Ciceroreftarumfecit
Epift.fam.hb.vij.Epift.j.his vcrbis,N.a quid ego re athleras pure de-
fidcrarcqui gladiarorcscorcmpfcris ? Nifi dicamus qu^^memoriae prodituhaberura
Dionyfio Halic.anriq. Rom. lib.x.arhlcrasalios Imffc leuioru,alios gr.iuioru
cerraminfi.arquc hospoftcriorcs fuiife gladiarorcs.Deijsin DigcftoiTiIi. 9.
t.l.Aquiliaab Vlpianofcripru rcpcrio: Si in colluAarione vel in pacrario,vcl
pugilcs dum intcr fe excrcctur alius aliu occidcrir,cefllit Aquilia , quia
gloriae caufsa & „
v]rruris,noinuinae,vidcturdamnfidaru.vndcpaterearbitror.'ipud Maiorcs,hac
athlctica 1 maxima exiftimationc habira.cuius ea erat ratio,qd'
homincsfempcrillasrcsextollerc .ac honore dign.is cf- hcercfolct,aquibusvoluptares,acdcIcdarioncsobtinerc
ftudenr. ob quod cum arhlerica in publicis Iudis,cctcrisq. fpcdaculis maxi mas
voluprarcs publiccafferrcr^in honorc habira arq. a multis ex- li.i*.c,4.
P^f'^^f"^'7q"'in^oathIetisludos ingredictibus vrrefcrt Plinius oes
a(rurgcbanr,cr,am fcnatus,ijq. fcnatui proximc fedcbat, necno cu parnbus,auis
parernis,a quibusuis muncribus uacabanr,&: ui6to resin
patnastriumphanrcsinuehcbarur,immo Athletis ingenuos caedercatciue
occidcrc,qd^ilijs vctabanrlcges , non modo licuif- fcvcrum er.am hononficum
fu.fle audcr clt in lij.hypor. Pyrrhon. Sexrus Empincus Nc dicam, qd^ Eufebius
in v.de Pracp.ararion; cuangelica mulro fermone damnat vcteres,f.eo
fuperliitionis, arq. mfan..ie,nterdumdcucnifse,vtpugiIes,atqucathIetas,nDcorum
numerumiefenent. Quibus ommbusracionibusfatisclarumcfse poteft. P R I M V S 71
A potcft..uhlctlc.im .uu.quitiis magn.ic auiVoritatis fuifrc : & proptc-
Vca non tcmcrc illam Calcnum mfcaatum cfsc.dum an.maducrfe rct.quantudani exca
artis athlcticac reputitionc hununo i^cncu acccclcretiliquidcno mo
cuchianimi.vcruC-tcorpons bona;ita ccv rupebatur,ut nihilinucniri pofsct.qcK
maius hominib.q. gloriac , 6C pmioru rationc lUa vndiq. ambicbant.dctrnncntu
afla rcr, quc ul- modu Euripidcsipoq.clcgcintiirimetcltatushutlubhilccucrbis. O
/ ^ch^v 0 IxfJv ovcfi utLJviip "^^^^ * OiiT ai S^wuAfv^ro^^S^ y^o-lg W
^*ip ^ rvxSn T% S^AoCyVfiSvo^ d^nijnf^^o^y KriiTUfT ULt oA.Sor f . .
Msdtuverjati Mortbus y nonfacHe mutantur in mclius. Quibusnihil cftmco
iudicio,quod magisatli.ciKMC ftatil prod.if. Ncq. tamcn dctucrut, qui hac
pniciofam arcc comcrarijs cckbra- C rc mtcrCtur, qualcs tUcruc Tryph6,ac Thcon
Alcxandrinus,qui ab athlctica,in qua cxccllcbat , cognita cius prauiratc ad
gymnaftica tadc dcfc iuit.Nc racca Platonc,quc Scrums,&: Lacrtius
^pdidcrunt athlcta fuifsc,&: ca dimiisa ad philofophiam (c contuhfsc.Scd
quia athlctas pracmi) gratia ccrtarc ,arquc vitam millc nccis gcncribus
cxponcrc conlucuifsc no fcmcl dixi,id hoc in loco ncqnaqua prac- tcrirc
uolo,athlctisnon cadcquocumq. tcporc fuifsc {Smiv>i um gc- ncra
propolira,vcrum,vt Clcmcns Alcxan. ij.Pacdag.c.viij.mcmo- riac prodidit,primo
fuir J^iaic fcu donnm,fccundo plaufusacrrio h liorum conicaio,poftrcmo cc rona.
. f ,1 ^ citatcm, & ob fcoenos mores delcnbcTs ait Inter catellas cnferum
extalambeutet Tmitur aprigkttduks palae/iritis, Attamen 1« rd le «!• am ith
Btflf /lii ilifl 101 prt lin cap i|iii m cik : 1' pre lii Hij n h bu Ci n ni p
B. I M V S. 75 A Atf imen iUos in frequcntiorc ufu habuific carncs tu bubulas ,
tum mcnto o'^^^^^^^^ dur" ic, ac alimcntorum cralTitic no modoubcnos nut.u
c.itur. (cd f ■ri^utiusla.ur. pc,mancrc,u, ,uo gcnc.x v.dusanv^^^^ nunil
WiJofcj i.nmodicc «tcrctur.cosmorbosm«*?«>.'.t ficcac faginat.on,s athlcta,
u , quac ut hc, ct ab ahqu,- bus dubitatur, cgoucrofcmpcrputau. xc rophag.a.n
.llam apud Cachum &c loanncm Cafr.anum comemoratam.qua.f.hcus ar.d.is,
nuccs &nil coctum,n.lhumidufumcbanr,no., placc,itas,uta,r Ar- rianus in
Epiftcto, non frigidum potum , & dc qua Plautus m Mo- ftc'I ma ubi adokfccns
quidaita loquitur,(iuo ncquc ,ndullr,or dc iuucntutc crat artc
symnaftica,d,fco.halb,pila,curlu armis , cquo, uictitabam uolupc parfimonia.S^
duritia. Ordinc h,n,Iitcr nullum . aut pcrpulillum athlctas in comcdOdo
(cruafsc ,m6c ccmpons nul- lam rationc habiufsc, fatis cxfuperiorib. clorum
cfsc potcft.nil, qd: 4/ i B E R refcrt Gulenus eos non aeqiie mane , ac uefpere
cibos ualidifnmos ij ^ ' accipcre cofueuifTc/cd dfiraxarin coena,nomodo
rarione.Meruni- [ etiaexpcnentia dodi cibosin fomno.quando calor magis vigerm-
" tus, facjhus cofJci.alioqui coco-au difficiliimosipfis, cu ob q,ualira-
^ tem eoru ualde calori rcliftcntc.tum ob im;r,cnsa quadrate. quauis f
H.i^c.r,'^^"S"ifl^'-itiirfenIinbPJiniiis,quifcnbitut;i'crasmaloi(refcmper
ij eosubiq.fomnoIcntosappelIans.Inmotuquoque&:quiefe cM nullam mcnfuram
feruare folitos athlctas teftatur Galenus,qui cos tw. modo tota dic
laborare,quando.f exercitium rUutf^fiuc KXTccanciiim,pueros quoquc cofueui/Tcin
palaeftrisexercen,et prncrcrD tim Plato S.dclcg.qui tria
gcncrafccitpalacftritarum ,pucros,im- berbcs,& uiros.Non modo cnim fc arhk
rac ad inhibcnda ucncrcm frigidalauabant,vcrumctiam laminas
plumbcasrcnum,&:Iumbo- rum rcgionibus ad arccndas ncdurnas
poIIutioncs,&: libidinis im- Ii.34.c.i8 pctusfrangcdosadhibcbacuttcftati
funt Plinius, Galcnus,& loan- ua. c.uic.' '"^^^
CaflianusJib.vj.c.vij.quam rcm ct inTC^Iligerc voluifse D. Paulu arbitror,dum
dixit . Qui in lladio currunt,ab o-mnibus abftinent,&: hi quide vt mortnl^'
ooronam,nos vcro utimmortalcm accipiamus. lib adfflar Qil^,^^^^^'^^"
^^^^^^ cnaiTfis Tcrtullian^ hacc diccbatrNcpe cu&: Athlc tyrcs. ^^^^
icgrcgctur ad Itrldiorc difciplina,ut robori acdiiicado vacer,c6 ^ ^ tinctur a
Iuxuria,a cibislactioribus,a potu iticundicirc:cogLitur,cru- Ciatur,fatigantur,^
D. Chryfollomus i.ad Corint.c.9. atq. Aclia- nus :Idc(Sy:Clcmcs Alcxan.
lib.^.Stromaru^&SimpIicius in comcn- ^ li. is.c.6.
tariofupi\iEpi:l:ctuintcIlcxir,quiRudio coronacathkcasauencre ablbncre
fcriplit,ianyh'us H.a:^ca^-foi>i iii, Rom. b^^^v^ HamcrO'Colligi,apud
prifcosailos tu.rpc.ha:birum cfecnudos -ccrtarc^rimum aut omnifi
Olymp.vv.KcaihumLa^cdacmonixim Olympiacoftadi'0 dccurrcntcm
totunvcorpusdcnudafsc,pudcdi$ tancifltiifuWigarib us campcftribus obtcCtis. 77
* ARTIS. GYMNASTIC^ LIBER SECVN D VS ilnidjit exercitAtlo, tlf quomodo diffcrAt
a lahorc (tj motu. Cap. l • OSTQ V A M dc Gymnaftica , quid fic>cius
origincnvicc non vcrac,6aquacq. fin- gulatimcxplancrur. hoc ctcnim fac'to,cum
ars(diccbai Ariftotc- ^.Ethk. lcs,)(it rcda opcrandi ratio,vidcbimus,qu:ic (ir
in obcundis cxcrci- tatiombus hacc rccla ritio , quomodo iUarum unaquacquc ,
ucl ad parandumbonum habirum,vcl fanirarcm dcfcndcndamconfcrat. P
Excrcirarioncm iraquc dcfiniuir ( iaIcnus,fccundo dc tu. val.& ip-
fumfccurus Actius, tfscmorum vchcmcntcm ,anhclitumalrcran- rcm,ub: yvtaict^
K/nw^v.&in-oW^fuic cxcrcirarioncm,morum,arq. la- borc in:cr lc diricrrc
dcmonltrarrproptcrca qd' morus clt rcs quac- dam magis communis,arq. pluribus
conucnicns quam cxcrcitatio, cumfacpcmulri moucanrur,ncq. cxcrjcri dicantur,cxcrcirario
ue ro non fit , niil vchcmcns morus : fnnilircr labor liccr lit vchcmcns
motus.ramcn non omnis labor propric uocarur cxcrciratio , fi qui- dcm fodicntcs
, arq. mctcnrcs laborarc ,fcd non propric cxcrccri dicutur;
tamcrficriamaliquandocommuniquadam appcllarionc labor,cxcrcitAtio uocarur
rqiicmadmodiim (jalcnusab Hippocra- tcuocatumcfsc
ccnfcr,quandoisdixit,Laborcscibumpracccdat> icx. 3 1. ' &:,ubi
famcs,Iaborandum non cfiibi cnim vocchanc 7roVoj,quac,&: [^^^^]^^^'^
dolcrcm &: laborcm,liuc damnum,ut Itroriano placui.6Lcxci cira- „na,cu7
tioncm fmnificarc folcr,pro cxcrcirarionc dumraxar accipi dcbcre l i tuiva^.
iudicar.c^jo cxcrcitaiio iiihil aliudcriccxfcntaiaGaicni,&: Aetij
^^'"^ nili 78 L I B E R nifimomsvehemcns anhelitum alterans, yviivitrm^
Graecisappel-D latus,quod p!ci uq.nudi,aur fliltem cum paucioribus ucftibus
cxer- cerctur;quemadmodum etiamlociiin ,ubi ficbat>'t///^(cW appella- tum
fupcriore libro abundc monftrauimus.Sed quoniam poflct ali quisetiamin
gymnafijsab alreropcruim vehcmentcrmoueri,qui tamen nullo padio excrcc i i
diccicLur,iccirco haec Galcnica cxer- citationis(paccciusdicam)definit:o haud
quaquamintegra eft.&: proinde Auiccnna Arabi m omnium dosftiflimus cum
animaduer- tidethaud plcne cxcrcitationemaGa-eno dcfinitam fuifle,a!iam
definitionemin medium arrulit, uid( iicct quod cxercitatio eftmo tus
uoIunrarius,proptcr qucm anhc!iti.s magnus, &:frcquens eft ne ceflarius.Quo
m loco eos quoq. mcrito damnar,qui leuem quamli bet ambulationem cxcrcitij
nomire compcllant : non enim appo- fuit(vchcmcns)quod,vbi
magruSj&LfrcqucnsiitanhelituSjfcmper ^ necefll^riofcqui ur motumiilum
vchcmentcmcxfiflere. fed neque haec definirio Auicennae mihi plene fatisfacit :
quoniam,etfi con- ueniatomnibus triplicisgymnafticae excrcitationibus, cas
tamcn propricnon complccl:itur:dequibusadmcdicum tradtare fpedtar, &: nos
etiam loqui inftituimus : fiquidcm omnia quatuor cauflarum genera haud quaquam
compleftitur, cum ncq. materialis explice- tur, neque caufla cuius gratia.
Accedit item illud , quod multi uo- luntarie uehementer,&: cii anhclitu
au6to mouentur, qui nullo pa- dio dicentur proprie exerceri,ficuti ferui cum
celeritate dominoru mandata exfequcntcs,&: ficuti illi , qui vel inimicoru
impetum, uel quid aliud trifte cflugicntcs,&: vehcmenter mouentur , 6c
frequen- ter,ac magnopereanhelant : ex quo Auicennae definitio haud pcr- .
fcfte totam exercitationis natura copleditur s ficut neq. illa Auer- F rois,qua
dixit in libro coIIedaneorum,exercitationem efle mcbro- rum motum aliqua
uoluntate fadlum. Ideo nos alitcr definictes di- camus,quod exercitatio,de qua
medici intereft tradare, jpprie eft moms corporis humani
uehemcns,uoIuntarius,cum anhelitu alte- rato ucl fanitatis tuendae ,uel habitus
boni comparandi gratia fa- 6tus. ita namq. definitio omnes cauflas comprchendit
, atq. foli de- finito conuenit : uerum enimucro poflTet aliquis merito a me
fcifci- tari, numquid motus equi tando , vel nauigando peraftus exercita- onis
nomen mercatur , eo quod non libere a uoluntate hominis , fed ab alio dcpendere
uideatur ? cui rcfpondeo , non minus equi- tantes,&:nauigantes alijs
cxerccri dici debere,fi n6proprie,faItcm communitcr,dum modo
gratiafanitatis,uel etiam militarisftu- dij illud cfficiant : quandoquidem
propric exerccri dicuntur , qui exercitationcm nuper a nobis definitam
fufcipiunt.quibus vero ali- qua S E C V N D'V S. 7# A qua tx comlraohibiu
neccflarijs dccft,illi potius communitcr, quii .propriccxcrceridiccntur ,riue i
fcipiis, llucab alijs moucanrur, • tafidcm facere inerito lcripferunr &:
Flaro , &c Gatexius :fiqtuidem ^illaftatim ac in mundanahanc lucem ueniunt,
f efe mouerie , agi ta- rc , ac faltare confpiciuntur : veluti quoque pueri
faititant , qui ta- met/iin hoc brufisimbellioresad fruendum hac uita
excant,nihi- lominus &ip/i , quantum conceditur , fcfc mouere nituntur
iiitque exmotibus non parum voluptatis accipiunt. qui motus poflmo^ dum
crefcentibus annis dum codicionesfupra defcriptasrecipiut, nil aliud planefunt,
nHi iplilTima facultatisgymnafticae opera: vt omninodicere cogamur ipfiim,fi
aon a naturafa£tam,faitem fecun dum naturae propenfionem efsc Huiufce
facultatis cum Plato duasprimarias,atc[ue uniuerfalespartes effecerit;proinde
allatani ab ipfo gymnaflicae diuifionemin medifi proponemus, nou quod fub
ipfaomniumexercitationum fpccies appofitc contineantur , E fed
quodanuUoalioartem hanc mehus diuifiun hucufqueuidcrc contigcrit.nGque nos
quifquam rcprehendere dcbet,quod in plu- ribusPIatonis ,quemmedicumncmofanus
reputat,au£toritatem in tradanda re mcdicatantifaciamusiquandoGalenus ille, cui
no jninusmedici 3,quam Pythagorae eius difcipuli credere tenentur, fcriptum
reliquit , Platonem Hippocratis imitatorem fuifse , nec vfquamabiUius placitis
receirifseinam Galenum hoc inlocofe- ;/>cdtuocauitLucianus; & in
gloflario habeturjccrnulat ;6t;,5W, quS uocem et ufurpauit Sc neca Epift.8.etfi
cernuat plurcs codiccs habeant. Secunda {^QCiQ%
eftfphaeriftica,(iuepilaeludus.naq(fludentes pila faltarent,prae-
terHomeritcftimoniu,qui fcxto OdyOeae dcNauficaahaec tradit: TTiaich Hcw(jiKoict?^dj}tcaAQMoc
iipX^'^ MoAttw^. idcft: Ludebantpilayvittisvcllisque remotis y Utqne his
^auficaa ob niucas Jpe^abilis vlnas TrincipiiHn ludo dabat. tcftaturquoque
Athcnaeusex auaoritate Demoxeni ,ficutiinfe- rius indicabimus . Tertiafpecies
eft opx>i(ng fimpliciter dida , nos limphciccrfaltationem diccrc polTumus.
Totahacorcheftica qua- u is maiores noftri ut plurimum ad uoluptates , ac
lafciuiam poti us , quam ad aliud utcrcntur,qui mos etiam ufque ad haec tcpora
pcr- durat, nihilominus gymnafticam bellicam,athlcticam , atque mc- dicamilla
quoque prorfus non caruilTe conftat, /icutnec ccteraf cxcrcitationes abuUa
fereharum triumomifli fuifsc dcmonftra- bo, ubi in finguHs cxcrcitationum
fpeciebus dcclarandis, quo mo- dounaquacque gymnafticae illis feparatim ufa fit,
indicarecona- bor . Bcllicam cnim abfque faltatoria non fuifle , locuplctifli-
mumteftemPlatoncmhabemus, quiin feptimodclegibus falta- tioncm in tres diuifit
, militarem, paci aptam, atque mediam; mili- rarcmque vocauit corum, qui modo
exfilitionibus inaltum,mo- dodcprcflSonibus, modoinclinationibus hoftilium
incurfuumin uafio- SECVNDVS A uafioncs^euirationcfq., imirabanturjquiq. figuris
uarijsiaculatorcs, &c pcrculTorcs fimulabant ; atq. hanc tanti fccit , ut
uoliicrit in Rc- publicamaginroshabcri, qui mcrccdc publicacondiicti uiros fi-
mu!,ac mulicrcs hanc cdoccrcnr,arbirratus hac una non paruadiu- mcnti
accclVurum ad adipifccndamihtarcpcritia.&:nobihsauthor Quintihanus hb.
i.inft.c.z.tcllarur Laccdacmoniosfalrationcquan dam tamq, ad bclhi utilcm intcr
cxcrci rarioncs rcccpifsc.QiuJd uc roathlctica
gymnallicaintcrcctcrascxcrcirarioncshabucritaliqfi faltationcs,c6probari potcft
cx Plini o,qui Stcphanionc togarac fal ^^''^* tationisprimuinucnrorcm vrrifq.
faccularibusludis,(!s: D.Augufti, &: Claudij Caclaris (altalsc mcmoriac
prodidit : qucniadmodu 6c Plato loco nupcr citato laltationc a nobis mcdia , ab
ipfo d^^icfifi" THjL^lw nucupara in facrihcijs , atq. expiarionib. ficri
fohra,q a Ma B rincnfibus,&: Arcadibus cora Cyro fiicta rcfcrr Xcnophon,
rnidcns, libro i.dt apcrtc infinuarc uidctur, arhlcrica, cuius 6c ludos &:
furificioru cc- ^y'-^^^' lebrirarcs cfic ia dccrcui mus,falratoria habuifsc.(
lal.porro ncc mc dicinac Liymnartica falrarioncs a fc rcfpuifsc rainq fanitari,
& bono habitui mudlcsplanc conhrctur,quandoquidc in fccundoTrtei vy-
cap.vltim. Hvm' multos imbccillcs ualerudini rcfii tutos a fc ludis,
pacrarijs,ial- tationibus, arq. alijshuiufccmodi cxcrcirationib, rcfcrr.id qd
An- Orib.r. ryllusparircr tcllatum fccit,ubi inicr cctcras cxcrcirarioncs homi-
nibus ad (anitatc conkrcntcs hanc ponit , mcdiamq. intcr chorca, &:
umbratilcm pugnam naturam rctincrc , &: ob i d puc ris, mulicri-
bus,atq.fcnibus,quorum corpus mirum in modfi inibccillum,&: gra cilc
cft,conduccrcfcribir. An ucro hacc cafir /alrario, quam Plaro up**yixLuu,i\\XQ
paci apram nuncupauit,(]uamq. animi in profpcritari- C
bus,&:inmodcrarisuoluptatibustcmpcraticxfiftcrefcripfir, haud tuto
affirmare audco, fat (ir nobis hactcnus oftcndifsc nullum gym- nallicacgcnushac
laltarionc caruifsc,inquam, &:in palacftncam cxcrcitationum arrcm a Plaronc
dmifani cisc iam diximus. De Sph.t€riliica. Cap. /K Altationem incubifticam,
fphacrifiicam, &: or- chcfticam,fiuccommuni nomincuocaramfaltationcm
diuifimus,quarum unaqiiacq. iam nobis fufius dcclaia da lorct. Scd quoniam dc
cubiltica ab auctoiib. pauca admodum tradita rcpcrjuntur,omi(sa illa,rcliquas
duas prolcquc- mur. Atquc primofphacrillica fcfc oflcrt, quac ramctfiHomcri
tcmporibusfimplicior cfscr,atramcnpollcrioribusfacculis mirain OymnajtUa. G 3
uaric- «4 I 1 B £ R aeratcm acqiiifiuit , m&c ipfa in gyrrKraii/s. t-am
locumcSoLf- D «5:^0^5 quani pracfcdum awotdpn^/Koif voaitum haberc mcruerit.
I.7.C. Jjr. 1« uar pn^HV.op:, quxm pracfcctum arpotfp^i^^Kou. Qiiis vcro primus
fphaeritticamhanc,fiuepilacladuminucncrit, fcripcores diiic/a fcntiunt. Plinius
inter Larinos Pytho cuidam hunc acccprumrcferc. A^alisCorcyreagrammatica
Nauficaam ludipihiejnuenrriccm, fcd ignoroquararionc,apud Athcnacum
facir.-HippafusLacedacmonijs, DicacarchusSicyonijsinuentum iftud artribuerunt .
Ex quo fir , vr ccrri quidquam fcntirc nequca- mus,-&:co magis quod
TimocratisLaconis,aIiorumuc dehoclu- do commcnraria non habcmus, quibus
forrafiis &:ranracuaricta- tis rarioncm intclligere,&: incognira prope
ludcdi pila gcncra ccr- tius cognofccrc poffcmus.in quibus cxplicandis cum huc
ufq. fcri- prorcs non parum confufi fucrinr, arquc intcrdum a ucriratelonge
receffcrinr^nos, quantum ficri potcrit, tradarioncm hac clariorcm, minufq.
antiquorum fcripris repugnantem cfficcrc ftudebimus.Pi- Liiraqucludendi
gencnlquaruor duntaxat apud graccoscxftiriffe rcpcrio , uiyct^w T^pajjpcLV ,
fjLiTtfKVj^pajpoM , yiivbju o-(poijpcJUf , ^ yicopvKOV , fiue paruam pilam,
magnam, atquc pilam inancm, & corycum,rcpono corycum inrcr pilac
gcncra,quod licct GaIcnus,Oribafius,&: Paul- lusab illisfccrcucrint,
inftrumcntumillud, ut demonftrabimus, nel pila crar,ucl pilac aflimilc . Paruac
lufus fccundum Anryllum trcsfpecics diuerfashabuir.prima crar,pila
ualdcparua,in quaqui cxerccbanti.r, corpore maximc claro ludcbant,&:
colludcnrcs ma- nus manibus proxime admoucbat. fccQda crar pila maiufcula , qua
cuhiros cubiris ludcndo immifccbar, ncc corporibus mutuo hacre bant, ncc
annucbanr,fcd uarijs modis moucbantur,&:proptcr ua- rios pilae iaitus
huc,atque illuc digrcdicbantunterria erat pila ad- huc maiorfccunda,in
quahomincsintcr fc diftanrcsludcbant, &: in qua cum itararia, ac motoria
pars cflct, qui manebant,pila cmit- tcbanr cumuchcmcnria,&:concinniratc.
inrcr has fpecicsadnu- mcraridebcregcnusilludiudico, quodpcncs Athcnacum
ifc^r^t- 901/ &: (poivi^ uocarur, rumquiaa Galcnoin libcllo deparuaepilae
ludo fimul cum alijs id quoquc cxplicarum habcrur,tum quia Cle- S.facilag. mcns
Alcxandrinus , fcripror grauiflimus , ubi dcmonftrarct ludum paruae
pilae.&: praefcrtnii (puMct , cxcrcitarioncm cflc uiris ualdc
accommodatam,cam paruac pilac fpccicm fuiflc hac oratione cla- rum facit:oV/
inucnTorc . aur>.-n. ^ «.rxx/C.r * ^^^f^»x«,K«^? ^xnzo* - /.cuf twsitx»
rotwirlt^ yy^zy . K.«xw «■n.ut tAaCt , f/ ^W . X- . ;,x*^r.^cr«x-;uoit>>,^
.-^-'J^«« i^lmptc,&: com;mn.tcr ludcrc folitos pcfpicuum clhcitur.Hac
ir.iq. I:.nr p.Iac- par..ac Ipc- cics dcquib.isa Gracc.s .ncnt.oncmhabiralcio.
.nqu.bus hp.- ccncspli.lofophus.ncc non Ocfib.us Clialc.dcnl.s ph.lolophus, nuo
cum muhi cx Anrigoni rcgis ra.mliaribus hukd. yrar..i cxluc- bantur.mulrum
cxcclluilfc dicuntur. Arqiu follux al.ap.lac par- U.1C ludorum £;cncra
proponit, Aporraxun \ ra.i.am,..! quo (c- licctfcrcrccl.na.itcspi!a.n incoclu
pro.jc.cbant ,& a.itcquarcr- ' G 4 r-im , -L I B E R ram attingerct ,
excipicbant. Coctcrum pilam magna duos quoo. D ludcndi modosnon folum
exipfiuspilacmagnitudinc,ueru ctiam ex manuu hgura a fuperioribus diucrfos
cfl"ccifrc,Oribafius cx An- tyilo rcftatiir , qucrum unuscratludcntium
magna,aJiusmaiore, lioc tamcn anibo communc poflidcbant, vt /icuti in cccteris
prae- diCusJuiorcs fummasmanusscpcrhumcris humiliorcs ,ita in hac lcmpcr
capiteahiorcs tenerenr, quandoq. ctiam fummispedibus ambuJabant ut manus altius
cxtoIlcrcnt,quandoq. falrabant , cum lcihcet pila fupcr cos fercbatur,in qua
proijcicnda vchemcrcr bra chia agirabanr Inanisporr6,fiuc vacua,quod tcrtium
pilacgenus fecmius,quahs fucnt haud farisexphcaium habetun/iquid rame.i
con.cauracxAntyllivcrbisaircquilicct,crcdohancpila,qucmad modum S^coctcras cx
corio cofutam fuinc,in hoc ab alijs diffcrcn tam,quod illae ucl
pluma.^uclaliamatcriaihaecfolo venro ,/iue E aere plcna forcr,arq. rantac
magnirudinis , ur ipfa difficulrcr lude. rerur Corycus uero quis cflct,
quomodoue ludus illc perageretur, cumAn yllus apud Oribaiium clariflime
exprcfl-erit , e?us ora- tionem huc -duccre ftatui , quae ita i„ V^aticLo
coc^ceT habct . K«,o.x^^ aSzvir(pcoP i,U7Ay^ccru^ yAy^af^^cy , -Hw^^. ^oyrL. ,
.fo^i-npo. , i-.^,.e^,^^oJ.oZv: , ,n robumonbus arena implcuncins ucrS magnitudo
a d 2e cor Pons,&ndacta,cmaccommod«ur,rurrcndrturau7cmin« ■ SXnt it u iS
l","!™ '""'"' ■ ^ itcrum rc- Ircijcicntcscmit nt.urc
rr^, '/if,""';:^^ ' ucntu ruooccunat,adcxt«mnm 1' ? r™';'''
"/P°" »,,.;„r,;tr ™.r* ,r^ot:'ald[&i^re! troccdat. SECVNDVS. 17 A
troccdat , c\- quo fir,ur quandoq. manibus occurranr, chim propin- „
quar,quandoquc ucro pcctorc manibiis pallis,quandoquc vcro ijs^ ad
tcrgarcvolut.s. Hadcnus Antyllus.qui ramctii hguram Coryci luporcomnibus tunc
remporis nocam non cxprimar^conicdura ta mcnalTcqui polTumus j^ipfum iphacricum
^aucfaltcm rotunduni cx matcria ccriacca cxllitillc , alioqui ii angularc
fliifsctin occur- fu , &c manus , &: pechis non finc laclio.nc
pcrculTifsct . Hacc autcm li uidifsct Fuchfius , (anc inrellixiikt , Valcriolam
non finc racionc aducrfus ipfum contcndifsc , follcm,^: corycum paullo minus,
quamcoclum,&:rcrramdiflafsc. Ncquc ctiam fatisn.irari folco anriquilTimum
lcriprorcm Caclium Aurclianum ,qui lib. v. tard. pafl* cap. vlr. dicit variam
uolurationcm in palacftra cfsc uocatam a Graccisccladian , atq.
coricomachian,nililirin codiccdcpra- uatilTmo crror,vt puro . Dc hoc
intclligcndum crt adagium illud, TTfi^KigvKOpyviJu^d^yrlrKt quo gcncrc
ccrtamins Apulcioin Thcfsalia ccrratum cll.Dc hac quoq. cxcrcitationc vcrba
tccir Hrppocrarc^ fiucPoIybus,ubijiL(';^/flfy,faI(o a Clornario follcm
intcrprcra- tam,ad artcnuandum corpus prohauitrqucmadmodum &:candcm
inrcllcxit Arctacus, ubi pro clcphanr icorum cxcrcitationibus xefv*. KoRox'(ti
probnuir ,quas bonus i!lc intcrpr^cs ,ucfc^io qno fpiritu , pc- rac,aurfaccu!i
iaauSjincprcfatisrranftulir.Eandcmquoq.nucllc- xifsc Coclium Aurdianum
cxi(b*mo,cuin ad polyfirci am diminuc damcorycomachiam(fic cnim
lcccndumcll)comnicndauit ijfdc propc rcmcdijs vfusqfa' ^b 1 lippocrarc loco cifaro
propollta funr. vndcargumcntatusfum,Auctorcficuti cetcra,ita «ccorycomachia C
ab Hippocratc mutuatii efse. qtiamufs textus ludicio mco dcpraua ' rusfit.
Locum vbi ludcbarur ,Cor)'ceumapud Vitruuium appclla-
ri,ccnfucrunraliqui;quorumfcntcnriamp(>Itquam in fupcrionlnis
rcfurauimus,nilaliud diccndum cll.Arq. hacc dequatuorpilac lu di graccorum
gencribus,vidchcc t pila parua, pila magna,pila ina- ni , &: coryco. quac
omnia diuerfa inrc r fc cxditifVc , non modo cx dcfcriptionibus nupcr allaris
nuinik rto conftar , ucrum criam cx Galcni vcrbisinfccundodc tucnda
ualcrudincfcripris : vbiintcr cacccras gymnafiorum cxc rcirationcs corycum,
pilam parua,&: pi- lam magna,fcpararim rccenfcr,ficut &: Paulus
Aegincta iplum imi tatus. quod profcdo non lccifscnr,nili quacda iurcr lc
diucrla cxfti tifscnt pilarum gciu ra,&: diucrfac ctiam cum ijs fadac
cxcrciratio nes. Quac nunquidomncs in Graccorum gymnalijs cxcrccrcnrur,
parumfcHcrcfcrt.farfirinfcUigcrc,mcdicamgymnafticam,atquc bcllicam,&
pracfcrtini pi.cris cdoccndis incumbctcm pihu u cxcr- ciratiorcs if L I B E R
citationcsvfiirpafrcsncque ad valctiiclinem,acngilitatcm compa- D
randa,augendamiie cas cercris inferiorcs exiftimnfrc. atquead hoc
idmaxinrcfacit (]uod Knftathuislcripfit ad Xodyfs, Hcrophilomc
dicopolitamfuiflc ftatuam ac propceaintcr alia gymnalticac in- ftrumcta ct
pilam. Admirari aut nemo dcbct , fi nos in fuperioribus
fudosintcrathleticasexcrcitationes rcpofuimus,&: fubindc mul- tas quoq.
bcllicas,mcdicasq. exercirationesludosvocamus,vtnu- pcrrime dc pila dictu ci\.
a nobis ; quonia & vetcru, &: recentioru tfi Oracc()ru,cjlatinoruloqucndi
mos obtinuir,vt multasexcrcitatio* ne5 natJ^iK^^Sc iudos vocarcnt,autquod a
pueris g.7r«rA5 Gracce di cunrur,vt plurimil h\TCiit,aut qcf illi.q.
exerccntur,non fcrio,(cd io vidcantur,{iucgratiafanitatis,{iucalteriusreiid
efficiant. ludi vcro,quos athlcticae efTc nos dicimus , ita propric uocabatur,
quoniam foIatij,&: voluptatis folius gratia in otijs fcftiuis agebfuur. E
Dc PiUe ludo fecundum Latinos. Cap. V OSTQVAM pilaludendiGraecis
ufitatagencrafa- tis cxplanauimusjfupcrcfl: &: ea quae aLatinis ; &: in
vlu habita,&:fcriptistraditarepcriuntur,explicarc:vnde,in
quibusamboconuencrint,&:inquibus diucrlifucrint^ perfpicuum futurum fpera
Quatuor igitur fuillc pilae genera ctia apu(i
Larinos,quibusludebant5inuenio,follcm,trigonaIcm, paga- nicam , &: harpaftum
, quae omnia fub nomine Jtalicac fphacrae a Coclio Aurcliano medico complexa
nonnulli crcdunt. Folhs erat pihimagnaexaluta confcda,(oloq. uentoxeplera, quae
/imaior eratjbrachijs impellebatur, &: fimpliciter piJa interdum nuncupa- F
batur,ut apud Nonium ex Varronc,Purgatum fcito,quoniam uide- bis Romae inforo
antc ianuas pucros pila expuJlim ludere \ &c apud Propertium lib.3. Cum fUa
vcloces faltitper Irachia ui^us. illtcrdum quoq.,pila vclox,ut apudHoratium
Sac.Iib.2.Sat.2. scupiU vdox M olllter auflcrum fludiofalkntc labvrefn , Seute
difcus agit* Hufufmodictcnimpilaecxcrcitationem licct uidcrein Gordiani tcrtij
Imp. Rom. nummis, quos hic dcpirtos adpofuimus,&: ex qui- bus conijccrc
licct ,unumquciuqae iufcxmm nropriam pilam ha- buifle^atq-ueeum
luduminfacriticijs Pytlrij^ apud AipoUoniaras adhibitum cir]e,uttumex uoctr
ns-ei Atum ex^aima,-atquc facri- ficatorijs uafis colligere non eft difticilc*
90 L 1 B E R Si vcrominorerat,pugnis cijciebatur^atq. piigilJarisfoJIis, vt
apudD PJautu in Rud. cxtemplo HercJe cgo tc foJJcm pugiJIatoriu facia ;
uocabatur.lntcrdu quoq. hanc cadcm pilam Folliculum appellari crcdojlicuti a
Suetonio in uita Augufti, quem hoc pilae ludo ualdc deletVatum narrat.Quomodo
ucro JVIanialisIib.^.dixcrit. Tlumeayfcu laxi partiris pondtra follisy ' cum ex
corio ucnto replcto pila hacc confucretur^&non pluma.ut omncsfcrcLatini
audtorcs uno orc fitcntiir, quidquid alij rcfpon-
dcantjOpinoregooblcuitatcmfoIIisponderapJumca dixiflc.cuius
lcuitatisgraiiancque.pucri, ncque fcncs aJioquiimbecillcsintcr ludcndum vcl
nimiuiii quid dcfatigabantur, &:propterca idc IVIar- tial.alibi fcriptum
rcliquir. iib.j^.. Itc froLul muriLS tis mibi connenit aetas, Fotlc dtcct
puercs ludere, folle fenes, £ Namuthocgcncrcludicorpora imbccilliora cxcrccri
ualcrcnt, nonmodoIcuispilacHicicbatur, ucrum etiamdicarus lufuilocus nullis
lapidjbus aut latcribusltcrncbatur, nclabercnturpcdibus ludcntcs,&, fi
fortc lapfi eflcnt, cx cafu damnum non patcrentur i &: proptcrca,cum folum
minimcpauimcntatum forct,cx cotinuo tcr- rac attritu puluis cxcitabatur: quamq,
ctia ficri potcft,ut pauimcnta ludcrcnt,fcd pulucre humili &c cxiguo illud
adfpergcrcrur,ita ut pi lam rcfilirc non impcdirctur , atq. ludcntiQ pcdes
magis firmarcn-^ tur.Nam in pulucrulcnto folo licri hanc cxercitationcm
confucuif- fe,innuitJVI.irtiaIis lib. i2.ubi Mcnogcncm quendam cx Thcrmis ob
dcIcAationem exire ncfcicntem in hunc modum carpit. Ifjugere e Thcrmis , circa
balnea non eft , Menogenen , omni tu licet arte v^lis , p Captabit tcpidum
dextra lacuaque trigoncm, imputet ex^eptas ut tibi faepe pilas , Colliget^ ,
& rcferet lapfum de puluere follem , Et ft iam lotus , iam foleatus erit .
Numquid autc ludus ifte fucrit unus cx ijs, quos fupcrius fccundunl
Graccosauftorcscnarrauimus,uariacfcntcntiac fucrunt.Ahj cnin^ crcdidcrunt pilam
magna Graccoru>&: follc Latinorii idc fuiflV, m
tcrquosfuitThomasLinaccr,quicumin2.dctu. val.corycufollj traduxifsf't ,in fcxto
poftuuidum liJ^:o magiiam pilam itcrum folj 2. Jtu.ua. tranftuht , quafi
corycus , &: pila magna non diftcrrct apud Galcnu, qui cxprcfsc ^ pila
paruam,&: magna,& cory cu diftinxit . Alij ma- luerunt corycum
Graccorum,foIlc Latinoru fuifsc : atq. hanc opi- monc maior pars rcccmiorum fcriptorum
habuit, intcr quos fucre quidam, qui apud Onbafiu caput Cory ci , de foilc
pugillatorio in- fcribcu- d di Oi cd hfl dd pah W COiI( liisa con pim bj cai m\
ki Sicn Doni ierl( !crc S E C V N D V S 91 A kribcadum iudicarunr. fcd hi oC-s
m.ignopcrc hiillucinantur:^ pri- mo,qui crcciidcrut follcj^Sc maenam pilam idc
fuiirc,duabus ratio- nibus rcdar^uuiuur,quarum ahcra c(l, q Jludctcs magn*i
pilafcm- pcr fummas manus capitc ahiorcs tcncbant , quandoq. criam fum- mis
pcdibus ambulabant.ut manus ahiorcs tcflcrct : ahcra cft,quo J Oribafigs hidu
pihic may:nac no modo acgrotis , fcd cti am coualc- fccntibus, atqr bcnc
ualcntibus inuiile iudicaui t, quorum ticutrum habuilk folkm,facilc cft cx
fupcrioribus iudicarc.Qui ucro iollcm corvcu!nfui(Tccxillimarunt,muhisrationibus&:ipficrralTc
dcprc- hcnduntur.Primo,quoniacorycusc cuhninc gymnahoruinfufpcn- dcbatur,folhs
h bcre emittcbatur . Secudo corycus ficulnco grano^ aut farina,aut arcna
implcbacur, follis folo vcnro . Tcrtio loUis in pulucrc cxcrccbatur,cOTycus
ucro no. Fuerur itc qui tollc pila i na- B nemfupcriusa nobis cx
AncyllodcfcripramfuiiTccrcdidcrur. qui-
bu^ cgo libcnter
a(Tcntirc,ni(i MartiaJis dixifict , fbllc mitiori actari couenire , &:
Antyllus pilae inanis cxcrcitarionc non admodu faci-
lc,ncq.aptam,&:idaoomirtcndamcfsc ccnfuiset. Colligoigicur cx his omnibus ,
quod cu follis,ncq. inanis pila Graccoru, ncq.magna corundc,neq. corycus
fucrit, eum illos ignorafsc. ncmo cnim c(l, paruampilam follcm rcpuraucrit.
Porro Trigonalis pila,qua hidc- batur,parua crar,ita nuncupara uel a loco,ur
uoluerur nonnuUi, ubi ca excrccbatur, qui locus triangularis crar; ucl potius a
ludctiu ( qj magis crcdibilc cft)numcro,figura, Sc liru.hanc cfsc aliquando
pili £mphci nominc appcllaram inucnio, ut aDud Marrialcm lib.vij. TipnpiU^ non
foliis^ non tc paganica Tbermis ^ vj Tracparat , aut nndi liipltis icius bcbcs
: Vara nec iniiHo crromatc brjcbia tendis , Klonharpalla uagus pulnerulenta
rar.is. Si enim fola quatuor pi lac gcnera facimus,ncccfsario cum ceterac
nomincntur, Trigonalis fub pila fimplici coplciflctundc hac fimih- tcr locutum
credo Cclfum, quado dixir,ab aluo cirara ucxaris pila, &:rcliqua
fupcriorcsparrc s cxcrccnria conucnirc , quoniam in hu- jufccmodi ludo parrcs
infcriores fcrc fcmpcr fimue mancbanr, fu- pcriorcs perpcruo agirabanrur .
Quomodo ucro pcragcrcri:r cxcr- citatioifta,facilcconijCcrc pofsumuscx
Martialis ucrbis,in quibus dem6ftrar,luforcs ita triagulari fitus figura
colludcrc foliros,ur ma- nibus urrifque modo fini ftra , modo dcxrra pilam
uiciflim cxpcllc- rc,&: cxcipcrc ualcrcnr , nc unquam cadcrcr. in quo fumma
ludcn- tiumlaudcfuifseucrifimilcficfitur inlib. 7. ubi Polybum qucnda Uudat ob
agiliutcm finiftrac manus in iacicnda,cxcipicndaq.pila. 5)2 1. 1 B E R
&:libro.i2. &libro.i4. Slc palmamtihideTYigone nudo FnHae det fauor
arbiter coronae , T^fC laudet Volybi magis finiflras . Captabit tepidum dextra
, laeuaque trigonem. Si memibiiibus Jcis expulfare ftniflris Sum tua ift nelcis
, rufiice rcdde pilam. Ex his mcherclc patet confiicuifsc trigone liidcntes a
fc inuice mo do niittere,modoexcipcrc pilam, modo finiftris, modo dexteris,eo
propemodo, quo nollratespila paruafupra funiculum ludunt,&: quo etiam Antyllus
tertium paruac pilae lufum dcfcripfinGur-vero Mart. tcpidum trigona dixcrit tum
loco fupra citato,tum lib.4. ■ Seu lentumcefoma teris , tepidimi4C trignna :
haud fatis mihi conftat.artamen,fi quid diuinare conceditur,dice- rem proptcrca
trigona tepidum dixifsc , dft quod homines ludcn- do^ob uchcmentcm utriufquc
manus laborem, &c afliduo rootus pi- ^ Jae tenore magis incalefccrent: uel
quod locus,vbi ludebatur tepi- darioin gymnadjs uicinus forct, &: proptcrca
ludcntes tamloci, quam pilac tcporcm qucndam percipcrcnt. itiucro fuifse ,
ucrifi- mile uideri potcft : cum fupra tum ex Galeni, tum ex Martialis fei;!-,
tentia demonftraucrimus, poft pilac ludum ftatim confueuifse bal- nea calida
ingrcdi . Nifi malimus di cerc, poctam trigona tcpidum dixifse,quia ex continuo
motu pilac in manibus ipfa tcpida euade- bat,eomodo,quoPropertiuslib. i.in
Elcgialanuae conquercntis, dixit Tepidum limc,quod ex cotinuo fupra ipfum ftatu
tepcfceret, 7{ulU ne finis erit noflro conce/fa dolori , i^^urpis y in tep^
limint fomnus erit ? Excplum trigonalis pilacmihi uidcturillud ,quodin nummis
M. Aurclij Antoniniapud Byzantios excuffis hucinmodum apparet. F Quem itc ludum
in liicrificijs ApoUinis Pythij Aftiaci adhiberi fo- litu,mcmoriac proditu eft.
dc hac pila quae dicit Seneca 2. de ten. f.c.ip.efse
intcIIigendaputantaliqui.Eundemprope autfimilepa- ganicae pilac lufum dcfcribi
cxiftimo a Pctronio arbitro in fatyri- cis,ubi huc in modum fcribit.Vidcmus
(cnem caluum tunica uefti- tum rufsca inter pueros capillatos ludctcs pila .Ncc
tam pueri nos, quamquamcratopcraeprcciumadfpcvflaculum duxcrant, quam ipfc
paterfamilias,qui folcatuspilafparfiua cxercebatur,nec ea am plius repctebat,q
terra cotingcret , fcd foUc plcnu*habebat feruus, fufficiebatq.
ludctibus.Notauimus ct rcs nouas.Nam duo fpadones in diucrfa parte circuli
ftabant,quorum altcr matellam tcncbat ar genteam, altcr numerabat pilas , non
quidcm eas,quae inter manus lufu expcUcntcs uibrabantur, fcd cas,cj[uac in
tcrram dccidcbant. 94 L I B E R Siiccedltpagcinicapilaficappcllatn, quodcflet
vuIgari5acfmocfu,D & in uillis pagis uocatis;ucI in pagis urbis ut plurimum
in ufu habe retur. Nam Dionyfius anriquiratumlib. 4. rcfcrt, Romam in qua? tuor
tribus olim partitam fi.iiiTc,quae &c pagi,ficut earum habitato- res
Paganijnominabantur. fiuc igitur ab ifi:is pagis , fiue a uiHis pa- ganica pila
dcnommata fir,pari]m rcfi:rre credo.fat efl:,pilam fuifTe ex coriopluma
rcp!cto,trigonali latiorcm,non ita tamen ut cfi:foI- Iis,laxam, fcd duriorcm ;
fiquidcm follis , qui uento replebatur^ctfi quantodUriorcrat,tantofaciIiuscoIudcbatur,quanto
laxior,tanto difficilius,ut ctiam tcmpeftatc noftra quotidiana expericntia com-
probaf,ramcn paganica pila quo ctiam durior elTcr, & pluma rcple batur,&:
non i ta rep!ebatur,ut laxa ufquam foret , fed vndequaque dur!flima,&:
proprcrca difficulrcr ea Iudcbatur,qucmadmodum uc
nuftiflimcMarrialishocdiftichooftcndicIibro 14. ' ' ^ H^ic (iuae diffii ilis
turget paganica plumay Folle minus Laxa efl , ^ minus arcta pila . , - Sub
nomine enim fimplici pilae intclligi aliquando foIIc,aIiquan- do trigonalcm ,
paullo antc fignificauimus . Itcrum illud ignorari hoc in loco nolo , ctiam in
gymnafijs paganicae pilae exerci tatio^ ncm in vfu exftitifl^CjUt idcm
Martialis Iib. y.tcftatum rcliquit. Tipn pila , nonfoUis , non te paganica
thermis Traeparat , aut nudiftipitis ictus hebes, Namcumfacpiusa nobis
indicatum fit,confucuifle fcre omncs» quifefein
gymnafijspilacxcrcebant,priuspilaluda|c,& dcinccps tatim balnea
ingrcdi,Martialis illis uerfibus demoimrat , inter ce- teros pilae ludos in
gymnafijs fe exercentium ad balnca praepara-
toriospaganicamquoq.adnumeratamcfle. VItimum&:quartun| ^ Latinorum pilae
genus harpaftum fecimus. quod ob nominis fimil litudincmidcprorfusuidctur
quod^V^d^oVGraecorumrcratenint pila,quamludcntcsalter alteri eripiebat cuius
ucromagnitudif nis,^ cx qua materia forct,haud quaquam ab ullo audorc cxplic:^
tumhabemus,nifiquod Athcnacus his ucrbis manifcftum facit, harpaftum rotundum
fuiflb. cA^x^^^^^ (panvScL 4;eaAf^TD , 0 otucrir,tum quia ciufmodi accubitus
fibi ualde in- dccorus,atq. a Chrifti vita,^^: moribus alicnus,fimulq.
edcndo,& ibi bcndo non parum incommodus vi derctur,tum quia a cuncftis prac
fcrnmanriquioribus Euangclij interprc tibus fir penitusignora- tus, aut /altcm
omiffus , minimeq. coufidcratus , tum quia a piftori- busnumciuamnec
fomnioquidcm aut cogitatus , aur ullomodo cxprcflusinuenitur-quafi vcro haud
fit verifimilcpotuiflc tato tem- porc,totq. pcritos artificcs , atq-
doftifrmios inrcrprctes iatcrc rcm non ita cxigui ad pcrcipicndam Euangelij
vcritatcm momcnti.Pe
iriis
Cja.conus,6^ Fuluius Vrfinusrcrum antiquaru peritiflimi,quiq. muitis annis poft
nicam gymnafticam de triclinio fcripfcrunt,pro- culdubio ad vcricarem accubitus
acccflcrunt,atq. fi acquus Icdor Gollras cogirationesillorumfcriptiscompararc
vclir, ccrtc fl:arim. animaducrtct ,fcrequicquidhac dcre boni
dixcrunt,cnoIlroli- bro acccpiiTe, practcrita ramcn memoria , kcus quam fccit
crudi- tiiTimus Galliac occllus Pctrus Fabcr, qui non modo fumma inge- nuitae
in libris fuis agonifticis incredibiIidodrinarcfcrris,non: erubuit profitcri
fcfc magnopcre cx Iibris-dc re gymnalticanoftris profcciflc,vcrum cciam
fcgctcm,quam cgo pi imus illius pcne obli- teratac artis rcnouaui,ira fingulari
fludio , &c vberratc pt-opagauit, cxonKiuirq. ut ab omnibu^ pro tanxo bcmcficio
fibi gratias immor talcsagimcrcatur. Iraquc ut omncm cxanimis dubitantum exi^
mam fcrupulum , &: aliquid maioris lucis tantac rei obfcurirari af-
fcram,acompluribus quoquc rogarus,nonnuIla hocinlocotani deipfo accubendi
ritu,quam dc ipfiiis Magdalcnac firu^&: opcran- di modo adijcere dcliberaui
, ratus mc hoc laborc id cflfcdairum 9. ut gentcs tyindcm rcipfa melius
confidcrata pauliatim rncipiant uctuftum errorem exucrc , arque
fimplicibusanimis pidluraue- ram cius favfli h iftoriam pijs , &: vcritaris
amantibus repraefentare . Qir :)d iraquc Vctcrcs tam Graeci,c[uanT Latini,arque
Hacbici cpa tanrcs accubercnr;, nomcn ipsu apud hafce cun£las gentcs recepti-
ffimum facile pcrfuadere poteft , qucmadmodum a paucis dubita- tum iaucniojcpin
uiclmiopro commode, &c faciluer edcndo ,at- P R I M V S. 67
Aqucbibcndcpairim aliquot fcculisufi fint . Quid autcmpropric antiquis clTct
triclinium non ita abomnibus confcflum habctur; Eccnim qui nupcr ad Athcnacum
crnditiflimas animaducrfioncs haudlincnugna laudcin luccm mifir CaufKibonus
monftrairc fi^ bipcrfu.ilir^triclinium inrcrdum fuilTc acccprum \ jpfo I)..bi-
faculc\ubi kzY\ (lcrncbanti r ,proptcrca(]uc is^uTciK^wcv ,J^iKxrsiK^i-
J^jiMxrfy ^i^op inucniri nominara , prout pauciorcs plurc!>uc c- w js
c.ipicbat; ncquc ipfc ui alvnio apud aliquos fuiflc fic appclla' xum , fcd quia
in iH j Athcnad conuruio unufquifquc in mcdium 4d proponcrc conabntur , quod
infrcqucntius crat , atquc ali- qmm Icitu dignam raritatcm habcbat : iccirco
cxilbmandum &ianQminAndo inurcndorriclinio cundcm cffc fcnluni fccutos,
qrxm&: Kcginaurbium Roma fcqucbatur • Atqucdc Jiocipfo cuni l(;qi.crctur
antiquus, &: grjuis icriptor Scruiusiu Comm.adprimumVirgiHanac Acncidos
diwt Vctcrcsftibadia .non habuifscfcd Itratis tribus lciftis cpuIaircCundc
triclmiurn Itcr- ni di'tum ) arc]uc eos crrarcqui u Kant tnclinium ipfambalili-
cam,ucl cocnarioncm . Ncquc minus fatlunrur, qui puiarunt rri- podas iilos , dc
quibus mcnno cft npud A:1k nacum cx Eubolo co- mico, a^inquibus duo ucl rrcs
cdcntcsrcpracfcntantur inmar- moribusuctulUs fuifsc triclinia , quandoquidcm
nulla ibi rruini lciftorum imago, nccucaccubirus confpiciiur, fcdfunt dumta-
>at fcpulclu-aliiimcocnarum dligies,dc quibus rrafam non rcrro,fcd antc ,
req. ftantc m,rcd genibus humi pro- cumLcntcm vfquc ad hacc tcmpcra
depinx,crunt>& feipfos,& alios (fiita loqrilicct)
dcccpcrunr^pracrcrquam cnim quod vix imaginari porcft huiufmodi omnia
pcrficiamuIicrcpotuifse,cer- tumcft etiam,ncqueaminiftrantibus illudpcrmi/sumiri
dcbuif- fcfimulque indecorum ualdc fururum fuifse,fi mulier fubtus men- fam
gcnibusfefchumiproabluendis, &:cxiccandisC HRl S TI pcdibus ftrauiffer
&, quac omnia incommoda cuni euitenrur tri- clinio , & accubiiu
noftri^. ^ haud inrcHigere pofliim , eur de- bcanta quoquam ingcnio guftii
praediro rcpudiari , eo ma- ximc qnod nuHarurpirudinis Ipccics in ijs fpc£larur
, quae de- bcar ab ca rc crcdcnda qucmpiam pium dcrcrrcre , quinimo fi accuratc
ingrcifus mylieris expcndarur , miniftros , dc accum- difc bcntcs P R I M V S.
2« tcm^s latereponm , haud fccus, atqucubi fcfe iii cxteriorc trichnij partc
iuxta pcdcs CHRISTI locauit: quod fi ali- qiiid in illoaceumbcndimodo non ita
laudabilcfortc npparc- bacquifquc fibi illiid pcrfuadcrc dcbctctiam
quacindccora funtob populi confuctudincmfacpc omncm foeditatcm amit- tcrc ,nam
mulicrum aliquibus non cirra noram fpontc conuiiiij publici loci:madirc,ibiqi:c
audcrc uiro adlucrcic, eumquc conrrc Aarc vngcrc proculdubio rurpc,&
indignum caftita- tc C H R 1 S T 1 poruiffet vidcri , nill mo5 propc
omniumorien- talium caminuitaffcr, Certc Maldonarus inrclliycrc nonpo- tuir,
quomodo dicatur rtctilVc mulicr cicda , qua(i non cntnc lciti-fupcrquos
difcumbebanr ira alri,urip:i hcucrirfic ftarc, SC pcdcs cius lachrymis lauarc ,
inrc rprcrans ftarc pro con/iftc- re, Scd lunufmodiofcitantiam conimilirob vcri
triclinij igno- rantiam,quod pcdcsaltos habuilVcnon cft dubiranduin,ut faci^
Jccxiplapidurac!uccr>&:Virgilius dc Acnca loqucns accum- bcntcdixir
iniciofccundi libru jrJe toro f^^^^ ^cntas fn orfts jtlto. Arqui Tolcdus
Cardinalis ob longam , quam Romae tra- xir,moram , uidcndi , audicndi rcium
vctultarum pcrirosubc- reaioccafioncmhabuit , forfanque noftram fcnrcnriam,
&:pi. duram compcrtam habuit, quod cam iampridcm cum do- (ftiiriinis
lcfuiris, quorum conluctudinc dclcdor magnopcrc „ communicalVcm, priufquam
publicarem.undc facile confcn- C rirtoros triclinioruin ira alros cxtiriflc,
utmulicr nullolaborc pofscr ftans rctro pcdcs cpulantis conrrcCtarc,
lachrymifquc abiucrc : &:ccrrc liccr uir doctiflimus noncxplicatc docucrit
difcumbcndi modum artamcn ex cius vcrbis vcrirarcm libi raaximc omnium
inno,ruifsc parct. Jraquc hoc iam conftiru- tum fir tricliniuni dictumcfsc,
quod rrcslccti ftcrncrcnrur , in quibus ira iaccrcnt , ut vcrlus menfam cubitis
finiftris inni- xi dextcra manu urcrcntur,pcdcfquc in cxtcricrcm partcm pro-
tcndcrcnr, ubi miniftri cranr, &:ubi ftctit crcchi MAKlA, qucadmodum
difcrtc faris , &:copiofc alil)! cx uarijsfciiprori- bus declarauimus ,
&: ficur cx imaginc antcpoiita clari/Time cluccr . Supra quid ucro
ftcrncrcnrur lccli, non cftirapro- ditum , arramcn licct conijccrc facpius
fupra tabulata alriu- fcula clsc c.xrcnios , quac nonnumquam criam apud Hc^
J& 3 bracos 70 2^ L I B E R bracos cx argento , aurouc conflata fiiifsc
colligitur ex pri-D mo capitc Hcfter in illius magnifici conuiuij dcfcriptione
, quod paritcr a Romanis hivftum teftatur prae caetcris Pli- nius lILro xxxi i
r. capi.vndccimo, fuifsc ucro fa£l:a Icftifter- nia primum lignca conijcere
licct ab co quodnarrat cxSe- nccaAgcliuslibro duodccimo, capi.fccundo,
nempcSotcri- chum lignarium fabrum cxritifsc , qui Icdos tricliniarcs li- gncos
faciebat , cb idquc data cftoccafio Adagij , vt cum iicllcnt rcm cxigui prccij
, ncc multi artifici; frgnificare So- terichi lcdis aflimilarcnt . Nunc ucro
fccundumpropofitun^ aggrcdior ,fcilicct an apud Hcbraeos, quotcniporc CHR I-
STVS aflTuit cocnae Pharifaci, mos fucrit djfcumbendiirr triclinijs ,
quemadmodum Romac , qua de re cum conful- ucrim Vitalcm Mcdicaeum Florentiae,
artemmcdicam fan- E (ftac,ac feliciter cxcrccntcm,rcrumque Hcbraicarum longc
pc- ritillimum, ismihiadco dofte,&: diferte rcfpondit, iit in hci- iufmodi
graui difceptatione uix quicquam doftius,&:eli- niatiusdcfidcrari queat :
quia tamcn ab fcntcntianoftra noa nihil difccififse vifus cft , pro mca
confirmanda ncccfsc pu- toaliquid in mediumaffcrrc . Etenim dubitare minime
opor- tct, quinapud ucniftilTimos Hebraeos uarius conuiuiaagen- di mosfuerit ,
fiquidcm libro Gcncf in cclebri illo conui- uio , quod lofcphus Fratribus ,
alijfque Magnifice , dcdit , omncs fcdifsc mcmorantur, fimilisquoquc
morislibroludith, libroprimo , Rcgum , atque ahbi facpius mcniio clariffima
habetur:atquifiThobiac,qui uixit ante captiuitatcm Babylo- ^ niae Iibcr Icgatur
, ibi accubirus non obfcuram mentioncm fieri cognofcctur, quamquam fortafsc
diccrc licerct tunc illun^ apud AlTyrios vixifsc,
apudquosinufueratcocnantesaccuni- bcre. lam vcro dc Troianis ,atque Tyrijs
fimihtcr exiftima- r€ dcbcmus, cum apud ^'rrgilrum primo , &: fccundo
Iibn> difcumbendi confucrudinis commcmoratio fiat , ficuti libro'
fcptimo,non dubiamcmoria rcperiturfcdendi ad mcnfas vfus fubillis ucrbis Jlae
SacYis SedcsepuUs: hic arteteiaefa Terpetuisfolwpams coufidere maifis.
Vbiquamquam inaliquibus eontcxtibus kgatur Ioco(confi. dpe}accumberc, attamcn
Seruius cumlocumintcrpraetans dixit P R I M V S. 71 A Jixlt Malorft epulari
confueuifsc fcdenfcs , .trqrc ilftim habuif- fcmorcma Laconibus,
&Crcrcnfibus, utVarro docuit infi- bris dc gcntc Pop. Rom.in quibus dixitquid
a quaqncrra- xcritgcutcpcr imitationcm. Hacc aurcui fcdcndiad menfav
conluctudoRomanisccrtcillisuctuftillimisdiu. &:in aliquibus oi:c.ilionibus
ufurpata fuit, ficur ctiam monun;cntis rclatwni jnucnitur Alcxandrum Magnum
aliquando fcxccntos ut aic Athcnacus, vcl fcxmillc ut cllapud
Kulbrhiumduccsconui- uiocxccpif5C,cofquc omncs fcdilibus argcntcis fcdcrcfccif-
fc. Atqui poftcrioribustcmporibv.s t.iui florcnris Rcipub.qunm IMPERATOR VNI
noncddubium nobiliorcs ialrcmac- cumbcrcconfucuifsc, idqucpractcrinnumcroslarinac
linguac auctorc^ marmora quoquc tclhntur , ur locuplctiflimc alias B
dcmonflraui, arqixalij quoqucdocucrunt. (iraccos parircr conftatcundcm
accumbcndi morcm cf^c fcdatos , &:quod tur- pius cll , narrat Athcnacus
raatulas pro cxcipicndo a ucfica rxcuntc uino gcil.vrc confucuifsc in triclinia
,quas facpc ubi ui- no incalucraut ad capita frangcbanr , inrrodudo hoc morc a
Sybariticis populis fordibus omnigcnis olim dcdiriirimis .Vcrumdc Hcbracis
dubirarur an fimilitcr illi ad Romanorum imirarioncm accumbcrcpotius, quam
k\\irc loliri fucrinr , ut Jiacrarioncliccat cxiftim.u^c C H R I S T V M iri
fuifsc loca. tum , ac proptcrcaMagdalcnam potuifsc (l.intcm rcrro pcdcs illius
lauarc, cxiccarc, ungcrc. lam ncro complura funr» quac cxfcriptoribus confrat
cos a Romanisfuif c muruaros,& lofcphusinlibroantiquir. narrat Hcbracos
fcmpcr cfsc fccu- C tosrirus Romanorum poftquam fub connn djtioncm dcucnc-
xunr, modo non con-rariarcnrurparrijs lcgibus ur diccbam antca, manifcftum
cflcx lacris Iibris anrc captiuiratcm Baby- loniaccam gcntcminconuiuijs tam
publicisquam priuatisfcm- pcrfcdilsc. Vcrupoftquani in Habyloniam duCti
fucruntcaptiui vu^oquc modocdcrcconfucucrunr,fcncs fcilicctfcdc;ucs,iuuc- nes
ucroaccumbcnrcs, utmos crat Habyloniac, vcluri Habbini tradidcrunt ,apud
quosctiam lcgirur accubitumfcrif litum , ucl (Iragulislupra rcrram cxrciis,vcl
tapctibusprcciofis«:s: pului naribus , ita utcubitis innixi lirnunn corpus
uniucrfum f( rua- rcntifacta autcmfuit dcindclcx, vt tcmporc Pafchatisin durac
fub Pharaoncfcruitutis , Iibcrntionisq. commcmorationcquif- quc accunibcndo
cpularcrur ^cr.crcns ucrodicbus liccrct uni-
cuiqucproutlibcrctlcdcndojvclaccumbcndo cocnarc: cx ouo 1: 4 pacct 72 2" L
I B E R patct apudludaeos parircr accubitum gloriofum qxiandoque fuifschabitum.
Porr6modus,qi!0 Hicrofolymisinfecundado- mofcilicctpoftlibcrationcm ab
Acgypto,atqucpotiflrimumte- porc Chrifti conuiuia ficrent , non ita compcrtus
eftjillud uero conftat, in vrbc fempcr quinque hnguarum extitifle ufum He-
breae,chaldeac,Syiiacae, Graccae, & Latinae.quarum Syria-
cainfrequcntiorivfucrac. Hcbracavcro nonnifi adoiais,&:in
difcipIiniscomparandi.vvfurpaEa,{icutiolimRomae Graeca,& nunc paflim
Latina.Fuit autem in ludacam Syriaca lingua intro dudta,quandodecemtribubusa
SalmazaroAflyriorumregc ca ptisinearumlocummiflaefuntinSammariam,partesqueci
cir cumuicinasAfl"yriorumcoIoniae,utlcgiturxvij.cap.quarti libri Rcg.qui
ob id ab Hebraeis dcinde fcmper funt Samaritani uo- cati,atque idco
aucrfati,quod Idolatrae eflent , mofaicosquc ri- 1 tus minimcut par
crat,obfcruarcnt, ctiam fi a Saccrdoteilluc in idmi/rQinftrudlifuifscnt.
Huncergoin modumSyriacalingua apud Hchraeos tnduda.propagata , & conleruata
cft, qucmad- modum ChaldacamSyriacae valdc fimilcmipfimctludaeiex BabyIonia,ubi
i!la vfurpabafur,fponte tranftulerunt . Pofthoc vcro Graccisrcrum potitis,
Rabbini dodiorcs ipforum lineuam ita apprchcnderunt.eiufquc
copia,&fuauitate funt deicdtati , ut Hcbraicacipflimacquarcnr.
Vndcpariterfucccfljt,utplerique eruditiorcsnonfolumGracccIoqucrentur,fedetiam
fatiselc-
gantcrfcribcrcnt,qualcsfucruntPaulIus,lofcphus,Philo,afque
alijplurimi. KomanipoftrcmocumIudaeariifubiugalk'nf,ne- ecffefuit ,illc pnpulus
ipforum linguam latinam addifccrct, ea- que pro ncgocijs agendis utcrcturiquac
ctiam fuit ratio,quamo brcmtituluscrucisChnftiHcbraiccGracccatqucLatincfcri-
ptusfucruilludtamcn dchikelinguis,&:potiflimumdeSyria- ca ucic conftat
ipfani fuifsc omniuniHierofoIymisufurpatiiri- mam , atque muhis Graccoruui
uocibus pcimixram,fiue id fue- ritob graccae dclcdhuioncm , qua ludaei afficiebantur,
fiue aliadccaufsa:folcntcnimquipercgrinisIinguisgaudcnr,ficpc illarum uocabula
proprijs commifccrc. Ergo hifce conftitu- tis,cumludaei linguam Romanorum
Graecorum,&: Afsyrio- rum,apudquosin ufu crataccubitus,utcrcntur,
vcrifimilceft quoquecofdcmaccumbendimorcmab ijs acccpifse.quodfor- fan .1
pcruicacibus ncgari potuifset,nifi compuircs Euangclij lo ci,ubi
c.iicubitr,s,&:uccubitusfir mcntio,aucrre teftarcntur Vtruip autcm
accumbcndi modus Hicroluiymiscfsct, qualis apud P R I iM V S. 2° 75 apud
Romdnos in triclinio fcilicet Ic6tistribusa(rioribnscirca nv ' ■^ flratis ucl
ligneis ncl arijcnrcis ,aut:iurcis qu.ilcsha- bii . -lUosnarranrPhnius,
Arhcnacus,&:alij,hauJ itacla- rum clh Scd ut omittam ludaeos ucrcrcs , apud
quos forfan uox triclinij vfitara in facris libriscubiculumdumta\\it,in quococ-
nabarur,fignihcarc potcft,dcquo Vitruuiuslib.Archircv^turac
quarrotra>:tauir,ccrrc cum in Huangclio nomincrur Archirri- clinus ,ncgari
ncquit ludacosimiratosefsc Romanos,& Grae- cos ,in quorum conuiiiijs crant
lstoc^)(ecl , idclt ,conuiuij princi pcs. Cacrcrum dodtifllmi uiri ,qui
accubirumquidcm incon- uiuijsPharifacorum conccfscrunt, fcd morc Hebracorum
ftra- tis fupra rerram lclimplicitcraccubirum,nonauremmodum lignihcer,&quod
Pharilaci iuxtapracccptum leuitici can. xviij. coua ctur lu
cl!sfcfciritibusquibusuispcrcgrinoiuma!icnarc,maxime Ro- nunorunviuosquoridic
inrucbanrur idolisfcruirc vfquc adca aiegedamnaris , Quantum ucroad Magdalcnaca
lonce difscnrire , (im ilquc oftcndcrc figuranfi tr*c!inij,.\: accubirus
isdefcripram, atquerunc rcmporis pallima Romanisufi- taram. v^^isciiimignorat
cam fcmper uiguilscconfucrudincm, «t popuii principum morcs,quanrum ficri
porcft, imitenrur?ma- ximc uiri n(jbilcs6J in cxilliiuarionc habin, qualcs
cranr Pliari- faei ;quos finon ob ahud falrcm uf Hcrodi &:Pilaro runcpro
Imperarore Tibcriogubcrnantibus,fimuIquc Romanorummo- rcs, ut ait
Iofcphusinrroduccrcfaragentibus,rcmgratam facc- rcnt,ucrofimiIc
cftconatosinaccubiru^qui nillcgi rcpugnabar, ficur &:in mulris ilijs forfan
minoris momcnri Homanosimita- ri,quod Chrifti tcmporc omncs Oricnris
narionesfaciebant. Quqdporro ilcbraci inalijs plcrisquc Romanorum fcqucrcn- tur
rirus^abfquc multJ laborc indicabo; tumidcju >J imagi- nanturdcMahahaud
qaaquam conliJtcrcpofscmonftrabo . Itaquc 74 2- -L 1 B E R Itaquenoneftnegandum
poft redadum aPompeiom Roma*D norum potcftatem ludacam, &: poft ArcheJaum
iu/Tu Augufti in cxilium expulfum eam nationempcr procuratoresfuifseguber
natan^5 qua occafionc Hicrofolymis^atque in orani ludaea innu^ mcrimilitcs,
ciucs, atque cquitcs Romani omni tcmporc h^xhi" tabant ,quosacquum
cftcxiftimarcfccundum Vrbjsritusuixif^ fc atqiicipfis Iudaeis,ut contingcre
ubiquc foIct,eoscommuni- cafse ,ncque id Hcbraeos potuifsc afpcrnari, nc muJto
magisodiumprincipisfibi adfcifccrcnr. Er fi rcdc expendantur quae dc
Ronunorummoribiisin couiuijsfcriprcrunc Varro, Ciccro, Scrxca,
PIinius,PIutarchus,Su^tonius,Galenus, Arhcnaquod /iaiiJitcr fc- cifsc Chrillum
in cocna difcipulorum mcmoriac mandatum eft. quodctiam dixi in primo
de.gymnaftica Romanos/crcfcm pcrIauari,rQCcofqucrcponcrcfolitosprius quam
menfaeaccuia bcrent,idcmfa(ftitafsc Saluatcircm ncmoinficias irc ualct. lam dc
ungendi ufu polt balncum,
pfitpracrcrClcmentcm Alcxandrmum Athcnacus quin^tode- cirao lib.
Dipnofophift. apud qu.emproprium,& odoratum un- gucntum finuulis corpori
partibus dicatum Icgitur, utob id Mariaquoquc Roman(),&: Gracco
moi*curcns,uolucrir,6v: caput &: pedesChrifti , tamuiucntisquammortui ungcix,
qui quafi incrcpans Pharifacum quod fimilircr non fccjlsct , ccrtum indi-
ciumacfulicfibi placuifsc Romanorum , &: Graccorum ungcndi
confuctudincmuWcruari . Et quod di\itChi'iftus dc illo ,qui acccdcnsad
conuiuium nuptialc, laccrn.a adhuc indutus uc- ftcm nup>i.rk'nvnon induifscr
, dubio procui cx.ri^bus Romanis torum fuit capium , Dc loc,i nobiliuirc rum m
pontificali , tum iu ciuili,rumin confulari conuiuioluib^banjL Romani,ut lurrat
jf^iutarchusin Sympofiacis,atq. Macro.bius.,non cxiguum difcri- mcn, m inrcrdum
mcdiusmcdij Icv^lj , intcrdum imus ciufdcm, arq. primiaobilio.rcsrcpurarcnrur,
cuius rci lUuftrccxcmplum eftid^quoddixjtChriftusaducrfusiIlos, qui primos
accubitus ambic- P R I iM V S. 2^ 7&: ccruicalibus
fuperterramconrtratis,nonautcm alrc pofiris. C^i ucroSy- riacc EuangcUum
fcriplit , ucl rranfumpllt,cum torLxn nomcn li- bi haud fuppctcrct proprium ,
quo explicarc pofsct ucrum Ro- manorum triclinium/naluir ouod habebar
uli:rparc,quam rcm pcnrtusindeclaratam rclinqr.crc . At mhil hcc dl, prac ipfi
Magdalenae ingrcdicntir ilanti rctro iecu^ pedcs cius, quac omniauti
accommodari nullopacto queunt fifupra tcrram fi ut immcdiatepofiti Iccti, fic
trichnit) nofiro iudicandumunicui- quc pcrmitto,quamaptc congruant . Ncquc enim
crcdibilc cfl,fifefc mulicrgcnibusin tcrraminclinaflct fuifle idEuangc- liftam
taciturum poftqiiam mmimc filcndum putaLit,quod Ita- rct rcrro ,&:fccus
pcdcsjacl rymifquc cos rigarcrrnamqui tan- ta diligen[iarctulit,quaccumque
ibiconrigcrunr,non dcbcbat ctiam genuflcxioncm omirrcrc,&: mulromiiuis
pofi(|uam iam di- xcrat jpfam ftcrifsc. Quarc iamlarismonllratumarbitrorChri-
ftoaccumbcnrccumitaaItefuifvclocaruin,ut M A R l A, quac necparuacftaturac crat
,potucr?t (lans creftarigarc ipfiiispc- des lac.irymis ,nec non manibus cos
contrcihirc , 6c c apillis lic- carc, d^ r jmquc ungcicQuod
toruRiluculcnri/rnnc cxpnmi in aucc|> ^^..A uiviiiiij .iQiui
fisura^ueiniacaincgarurumconfido, Cum 7ii L 1 i> r R . Ciin;
huaifo/ontioncpcruenifrei:j,iarno.ea j^^^c^^m fnfflic- 0 ne accelcrarer, oWata
eft occafio AJphou Salaieroiii^ oUl^ iclui ta? dottiilimi prolcgomcna in
Sacroflmdam Euangeiicaln hifto- riamfingulari eriiditionc
refcrtalcgere:atq,interlcgcndum cu mihi Canon quadrjgcflimus fcxtus prolegomeni
undecfmi oc- currinct,ubidircrtilIiniedeuniucrfiiaccubitusrationc, dequo
Magdalcne in lauadis atq. ungcndis Chrifri pcdib. GtUynec nou dcloannisin
ciufdcm Chrifti hnum recubitu difpuiar,incrcdibi lcm quandam lactiiiam
fimiil,& admirationc mihi pcperit , cte- nim lactatusfum,quod mcas
cogirarioncs,qiKis fcmper nouas5&: forfananeminc alio propofiras cxifrimaui,auirofapientiilimo
&:raradodrinapraedito iraclare confirmaras,quafiquc incon-
cuflasrcddita.sinucncrimjAdmirarioncm vero cacpi non exigua quomodo ricri
porucrit, ut in rc ufq. adco obfcura ncc uetufta il E muJ nos conuenire , ac in
nulla re difcrepare licuerit; Et li enim quotemporc gymnaftica mca in lucem
exiuit^is adhuc uiuerer , quippequemfaepius concionantem RomaeaufcuItauerim,ubi
cos libros dum Cardinalis Faraefij medicum agcbam , &c com- pofui,& in
Juccm ccjidi, attamcn vtrum eos uidcrit haud quam* quc afiirmare audco , Ncquc
uero credibile eft me ab eius fcri- ptis, quac diflcrui dc accubitu
accepifse,cum ea ha£ienus latue- rint,ncq.ipfumeadem dcreita
dihgcnrerfcripfifse,nefomniarc quidcm ualucrim. Vndcqua^foler
efleuerirarisingensuis,puro eodcm fpiriru ambos nos ad ca fcribenda fuiflc
impuJfos, &c pro- pterea quicquid ea d^ rc di Antc folcm cxoricnrcm nifi in
palacllram ucncras: (jymna- ,> fijpracfcclo haud mcdiocrcs pocnas pcndcrcs.
Lx quo loco » gymnafiarchum colligitur in adolcfccnrcs^licjuid pcccafscnt,
animaducrtcrc magno Impcrio confucuific : ut ctiamclarius ,> in amatorio
Phitarchus docuif. dc hoc &: Ciccroinfcxta Ver- „ riuarum : Dcmolicndiim
curaiiir DcuKrriii^ ..iliarchus, cj.iod LLC. zionale Cenlrale di F» L I B E R
quodislocoilli pracciat. Secundum locum habebaf xyftar- D cha. hic ambobus
xyftis, ftadio , $c dcnique cundis athlctarum cxcrcitationibuspraccrat,ut
kriptum rchquitTcrtullianus m hbro ad martyres.&ut cx infcripcionc
conijcitur, quae Komac in foroTraiani in hafiftatuae Graecis littcris
notata,a,not)isiic lauac r.edditacft. • DEMF.TRIVM. HE R MAPOLITAM. A L E- X AN
I) R 1 N V M. P A N C K A T I A S T E M. P E R I O- DL VICTOKEM. P ALAEST R I F
AM . ADMI- RABILEM. ALIPTAM. PONTlFICEM. TO- TiVS XYSTI. PERPETVVM.
.\YSTARCHAM. BALNEIS. AVGVSTl. PKA-EFECTVM. PA- .£ T R F M M.^AVREL,.
ASCLEPIADES. QVL ET. HER" MODORVS. ALEXANDRINVS.
HERMOPO- LITA. MAGNI. SERAPIDIS. AEDITVVS- PANCRA riASTES. PERIODJ. VICTOR.
ALJPTA. (VS^EM. NEMO. DETRVDERE. PO- TERAJ. INCVLPATVS. XYSTARCHA. FI- LIVS.
PONTIFEX. tOTIVS. XYSTL PER PE- TVVS. XYSTARCHA. ET. BALNEIS.. AyGV- STJ.
.praefectvs. Alvhoc , fcnfcnria uiea,diucrrus fuit Pracfcaus luftaca Gale- ^ nolWT«7r«A«w«Tfl5UOcatiis,qui
pcrinde,ac Pacdotrib a qui- damliid.intuimdimitaxat magilkr erat, cum
xyftarchiisplu- rium cxcrcitationum raodcrat()r,viPacdi'tribam nominauir,6:in
Protagora irafcriptum r cl i q u r : t Ti Tolfw tt^c: to Ctoi^ Trct^o^o r^tHccs
TTkykTtwcto hcctcc cwijlx - mRi^ri^t ''cXP^T^i fjTTn^iTMJi TH ardos,accx
r^narisho^ minibuss clcdosfuif^c rcmporc/iio,iMdit.Prorogymnaliosuide- tur
Scncca cp1il.83.cos uocafscquiiimul cxcrccmur uocabulo (quod cquidcm
fciam)nulli alrcri vlurpato, quamquam Mure- W.v pr^:'vnmallas kgciidum malucrit
in/u sad cumlocumno- tis. .AuVwouoquc ab Ariftotclc 2.Ethic.cap.6.a Paulo
Ac-li.3.i5,aItcr medicr dumraxarmandara
cxfcquirur,parircrPaedoiribaexm-iiit:onfi cmniu faculr.Kcm ignorabar,
^ymnaftacque pracccpra foium fa cicbat,vrpotc qui
vfum,&:difocnrias,&:modum cxcrciratio- num cxpcricntia quadam
callcrcr,fcd ob ignoranriamfacpcnu-. mcroabcrrarct, vtinnucre voluit Galenus in
libcllodc pucra Ep!!cptico,ubi dixit,difiiciIcfuifseprudcntcmpacdotiibam in-
iicniic.Manc ^ymnaftac, &:pacdotnbae dilicrcciam Arifrotclcs quoquc
philofophus cognouifsc vf,dum S.PoIiticorum conclu- dir, Adokfccn-.es
gymnafiicac atqucpaedotribicac tradendos forcrquarum altcraqualcm qucndamf
icircorporishabirnm,al Cap.;-: tcraopcrationcsjcSdquartoPolitx.locoanrcacirarordicir:
« « rrot^ roC tsc^iJ^ot^ i&jv kccI rov yviAVxsiKOv woc^acrKW icwlcti, kcc\
rayrm Isirwcf^vixiay. (iymnalrcs itaquc erar pfcctiis excrcirarionu,pae-
dotribauerominificr.&: panific:,coquo, acacdificaroripropor- tionercfpondcns/accrepanes,obfonia,acdcsfcicntibus
quidc, minimc ramen,quid inipfis optimum fit,quid no optimum,inrcl
Jigcnribus,quamucfaculrarcmipforum unumouodquc ad ftuii tatcm babcrcr,non
dignofccnribu^. Hacc duo nomina apud Ho ji ci unon exfiftcre narrat
Galenus:quod,vranrca declarauimus, UA\i\v.:\ dumraxararris gymnafticac tunc
rcmporisapparcbant , jxquc arsad rcgulas ac formam rcdasfta,&:prui nde nco,
arrifcx, ^,aiirafccrtranc.Adcrat6^ SphacnTricus,cGru,quip;la hidcbr.t, ».
qtianim alias rwdens dxuerfis gcneribus jmifari ut vel harmo- D nia,uel ry
thmo, uel nudofermone ; alias diuerfas res , vt vel mclio- resjvel fimiles,ucl
detcrioresialias diuerfb modo,vt vcl agcntes, vel introducentes, vel
narrantes,atque aut alienam pcrfonam indutos, autnon mutaros;de faltationehaec
concludit: ccCrc^J^lrc^svStKa ^^oOvTTcti Xoogis i^ixouicicsyoi rSu Sgyhswp ,
Kcci 'y^ ovroi rm ct^yLxri^o^ (cit pv^iAmi4i^evt/r(ci:^Kcei TrccSH^KcciHkKcci
TTgccfu^. i. Numcro ucro iplofinc harmonia,imitantur faltatores:ifti cnim
numerofa gefticulatio- nis uarietatc , morcs , palTioneSx& aitioncs
imitanuir. Ex qua ora- tione apparct , og^^Hctiu^, Huefaltarioncm^ nihil aliud
fuifse,quam fa- cultatemquandam motibus„ac gcftibus corporis^artificio quo-
dam,numero , &c ratione fadis imitandi hominum mores,affea:us^
&:aciioncs. qui cnim in /.ciuilium dixcrat,nihil cfsc in rerum na-
tL]ra,quodmagisexprimat rerum.fnTulitudincs^quam numcrum, E
&:cantum,.fapi€ntereriamfcrip/it, filtatoresin imitandisadioni- busnumcro
uri . Quomodohacc per numcrofos morus efficere- tur imitario,unus omnium
clariffimc poft Ariftotclem expreflir PIu Prob^i. tarchus, qui in
ix^Conuiuialium faltationem rrespartcs habuifse fcriplir, iatioucm y figui-am,
&:indicationem ; eo quia tora ipfa cx motibus,&: habitudinibus
>&: quieribus conftarct, perinde ac harmonia ex tonis,atq. inrerualIis:Iationem
dicir ipfc uil aliud fuif fe,quam motionem affcdtus alicuius, vcl adionis , ucl
potenriae re- praefenrariuam : figuram uerofuifie habitudinem, difpofirionem-
que , in quam motio fiue lario rcrminabatur , nempe quando falra- tores
quiefccnres fecundum Apollinis , uel Panis, uel alicuius Bac- 7>«fcl«&
chae( ureftapud Platonem) figuram difpofiri in corporis fimili- bus formis
graphice aliquantiilum perfiftebanr, indicationem au- ^ temfuifse non propric
imirarionem,fcd alicuius rci, ncmpe rerrac,
caeli,vicinorumnumerofe,arqueordinarismoribusfadamdecla'- rarionem.quemadmodum
namque poetae, dumimiranrur,alias nomintbusfi(ftis,aIiasrranflarisuruntur;dum
ucro indicant,pro- pria nomina ufurpant ifimiliter faltatores imitantes ,
figuris , &: ha- bitudinibus; dcGlarantcs aurem , resipfaspraedidis
indicarioni- busutunrur: adeo ut, fecundum Platoncm, Ariftotelem, arque
eriam Plutarchum , tora haec falratoria
facultas in imitatione folo motu fada conliftcrct.iphq.faltarores nil aliud
aOirarcnt^nifi quod fefe mouentes numero,&: ordine gcfticulanres,aur
lationibus, &: fi- gurismores&: aflcsaus imirabantur,aut indicationibus
declara- banr, aut omnibus fimul morcs,perrurbationes,atque adiones ho- minum
rcpraefentabant.unde non abfque fumma rationc Simoni- dcs r4 toi k DIU dd api m
m m k m Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced
by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 SECVNDVS P7 A dcspoeta
faltarioncmpocnm taccnrcm, ficurl pocfimfaltntionem loaucntcm uocarc
folcbatiquamquam rcfcrt Plurarchus,rcmpcfta ^-o^^»"»-
rcluaucramfalrationcmamufica, cui aflfociabatur > dcprauatam fuif^ci
atqucacacicfti illa dccidcntcm in tumultuofisacindoc^^iis Thcatris inllar
tyranni cuiufdam impcrium tenuifsc ,idq. poftrao- dumufquc ad rcmpora noftra
pcimanafsc, in quibus omnisfalra* tio corrupta cft,omncs cordari uiri
cognofcunr. 'i^uihus aurem prj- nnishuiufccmodi falrationcm
hominibusdcmonftrauerir, iatis co- pcr:umnon habcrur, nifi quod Thcophraftus
apud Athcnaeum rcfcrt, Androna Carancum ribicinem , dum fonarct , morioncs ar-
^•pno'* quc numcros corporc crtccifsc , Sc ob id apud ucrcrcs falrarc uoca- tum
hiifsc ficclifsarc ; poft qucm Clcophanrus Thcbanus , &: Acfchylus mulras
fataroriac riguras iniicntrunt, quas i^wiciiovt B Sicula uocc appcllatas
Epicharmi audorirarc infinuar Arhcnacus. undc hodic apud multas Iraliac
narioncs Balli nomc adhuc pcr- durar.Fuitporrohaccfaltario
rantacc\iftimarionis,arquc honoris apudantiquioi-cs,ut Apollincm
faItatorcmuocarcnt,qucmadmo- dumPmdarus: O sj^Hscc AyXjaxs i>cij dc quibu^
lic luucnalis» Torfttan exfpecirs ut Gjditana canoro Sat. x i. Inciptat prurire
chorOy plaufuq, probatae icrram tnmulodcfcendat clunc pucllae , Irritamtntum
veneris langtientis, & aird piuitis vrticae &! huiufcemodi aliae . Ab
inucntorc autcm modo uocarac fuc- runr aliac Pyrrhichiac a Pyrrhicho quodam
Laconcfcu^ur alij ma- Iunr,*a Pyrrho Achillisfilioinucnrac, in quibus arman
falrabant cuni canru , &: llnc cantu. ur uidcrc licct c\ i conc ab antiquis
lapi- dibu5Cxccpto, qucm hic poncndum curai.imus. H 1 S E C V N D V S. 99 A
(Pyrrhichias autcm noftris tcmporibus acmulantur illa pugnarum gcncra,quasMorcfcaspopularfuoc'ai3uloai^pclIant.)
Atquchac uarianominaobrinucrunt, utOrfitis , & Epichcdios pcncsCrc- tcnfcs
, Carpaca apud Acmancfcs 6c Magncrcs, dc qua Xcnoplion. 6. de cxp. Cyri. libro,
apochinosliue madrilmos , quam mulicrcs faltabant,&obidMartypiae uocabanrur
quac Ibbihorcs,^: uarictarcmaiorc pracditac crant , ut dartyli,iambici,
molnfiica, cmmcJia,chorda\,ricmnis,pcrfica,phryi;ia,nicariimus,thracius,ca-
labrifmus. Tclclias aquodam uiro TcIclio,qui primus camarma- tas falrauir,fic
uocara, qua utcntcs Ptolcmaci milircs Alcxandrinn Philippi fratrcm
fullalcrunt,aliac rornarilcs liuc ucrforiac, quod lc in circum ucrtcntcs
falrarcnt . Erorianus,qui Andr.)macho Ncro-
nis,quodfcribirGalcnus,archiatrocontcmporancuse.\lhtir ,has B faltationc5
/ir#t/c uocatas fcnbit.ahac infanac, ut caudifcr, mongas,
Thcrmaultris,nccnonanthcma,quamfaltanrcsobibanr,ita diccn- tes, vbi mihi rofic,
ubi mihi lilia , ubi mihi apia : ahac ridiculac, uc igdis,madrifmus, apochinos
,&:fobas,morphafmus,C .laux,6dlco: ahacfccnicacqualcs
tragica,comic.v,&:lat\ ncaraliac lyricacqua- kspyrrhichia , gymnopacdica
hyporchacmarica. quac omncs quomodo ficrcut , non cft praefcntis tradarionis
dcclai arc ; fatis iit inrelligcrchanc rcrriamlalrarioncm rotatqucplurc^adl.uc
diucr (as fpccics , quibus libcllum proprium dicauit Lucianus , habuiflc ficut
ctiam diucrlis motibus tam pcdum , quam manuum utcbatur.
cumcniiujnotusomniscxfcnrenria Ariftotdis cximpullu, arquc 7..Phyr.
traducoponafur,falrantcsaurimpcllcbantcorpus,auttrahcbant;, &: hoc furium ,
ucl dcorfuin , ucl prorliim , \cl rerroifum , ucl dcxr C trorfum , ucl
fmillrorlum : a quibus poftca motibus componcbatur
limplcxambulatio,flcxus,procurfus,raltus,diuaricatio,claudicatio,
ingcniculatio,clatio,iactatiopcdum,pcTmuratio:quil)Hsto:a fal- tariopcrficicbarur.
De finc faltationis^ ^ deloco. Cap. yil- V M antiqui
inccrraminibus,atq.ucnationibus,pcduni cxcrcirationibusfcrc lcmpcr Itudcrcnt,
manibusq.mo- ucndisnullamcuram adhibcrcnr,ucnlj-uilc hr , ut prius
faltatoriapancs intcriorcs dumiaxar cxcrccns inucuta
iit^dcinccpsj^iifot^c^ft/icquacordinarasmanuum motioucs cdoccbar, ci
adiunctaiic , ut una cuin ccrcris pracdiCtis motionil^us mannum conncxioncm ,
confcrtioncm , coinpcdnnationcm , diilcntio— H ncin ico L I B E R ncm ,
complexum , altrmationem falrarores pcragerent : arqucita D vniuerfa faltatio
ex motibus tam manuum,quam pedum ad rcprae fentandasresformatisconflata fir.
quod autem faitantcspraecipue brachia moucrent, figni£cauit & Ouidius ubi
dixit: » . & i de Sivoxefl, canta , fi mollia brachia, falta.arte auia.
Brachia faltantis , vocem mirare canentts.
HuiusfinisprimariuslicetCvtdixiraus)imitatio foret , nihilomi- nus alios eriam
fincs eam habuiffe compcrio ; nam ad rhcatra , &: ad
ludosvoluptatisgratia,necnonob rcligionemquandamadfacrifi loc.cit«.s cia in ufu
fui nfe practcr Platonem atque Plutarchum teftatur Gale- nus, qui in principio
curatiuac artis uchcmenter contra ful tcmpo- ris homincs inuchitur,, quod
faltatoriae nimis opcram darcnt, qua-
fifolisuoIuptatibus,&ludisdeditibonasartesnegligerent. Qupd p
paritcradquacrendamcorporisfonitudincmmilitaremqucpcri- tiameadem filtatione
maiores noftri uterentur, tametli fupra ex Platone comprobatum fuerit, tamen
addendum eftillud, quod omnisannata faltatiopyrrhichiauocitatano ob aliud
inucta fuit, niliquouirtuteilIius;tampucri,quam uiri ,&:mulicrcs modo ho-
Hcs cffugerc, modoinuadcrc.aliosq. gcftus bellis gercndis necefla- rios
pcrdifcerent. unde apud Xenophontcm Paphlagoncs Mimam filtatriculam a Myfo
pyrrhicham filtare iulfam confpicati,admira tes graecos interrogarunt , numquid
mulicribus ctiam in pugna uterentur.inhocquidemfaltationis gencrecum Phrynicus
fe ex- cellenter in fabula gcthifct, illumfibilmperatorem Adienienfcs
delegcrunt. Nequcctiamdifficilccftindicarchanc candcmfalta- tionem, & bono
habitui comparando , & fanitati conferuandac no p parum conduxiffc.
quandoquidem de nianuum gefticulationc, dc-
^^^''''''''"^"^'^''^"'^g"^^^'^ ^'^•'Ptumicpcritur&ab
Hippocra cur.aon^ ^ ab Arctaco, atqueaIijs,procxcrcendis&:lanis,&:
inrerdum «ap 1. aegris corporibus ufurpatam cffc . Temporibus uero
nofttisfalta- tiones alias temporc , ordine,&: ccrto modo fadias talcm
utilitatcmpraeftarc ncmonegaret, qucmadmodum Galenusfe plurimosfa-
nitatircftituiilcaliofqueincafoliusfiltationisauxilio confcruaf- feconfitetur:
quifimiliter & faltatorum excrcitationes intcr ce- teraa medico petita
recenfuit. dum dixit: isx^^&v ctUnCrovciKtvk- ciis ivttiSK^^ivrxt itlytsx,
KCti tSi^tJ^mvvTxt s^icponwvoi ri^isa, Kcet ok^«- »> CflecTij IfxvisxvTtu ,
Kxi nygoofvgtvat , Kxi i/g.c)(i{ov(fiv \m Trrltsov rKCKt- i>A«. idcft
faltatorum uehementcs motus, m quibus maxime fal-
>>tant,&vclociflriiTicuoIutati circumcirca uertuntur,necnon ge- nua
fleaentes furlum exfurgunt , atcpc crura plurimum atrra* hunt £ S E C V N D V
S. loi A hiint>diuAncantquc. ut dubirarc ncmo dcbcat , quln Orclicfticam
ingymnalY^ca mcdicinac iurc collocaucrimus; praccipuc quod Socrarcs in conuiuio
Xcnophontis fc falratoriam tum ad ualctudi- >confcruandamquc,tauTad
corporisr)hurcompa randum cxcrcuifsc palam profitctur, cuius quoquc gratia cum
fibi amplam domumoptallc tcrunt.Qui uero hanc orchcllicam cxcrcc
rcnt,uariosfuiIsc rcpcrio. Cinacdosmaximc omniimilaltandi ar- ti
opcramnauafsch^nihciuitPlaifrus : apud qucm Pcriplcdomc- nus fcncx lic ait. Tum
ad faltandum : non Cinacdus vfquam magis faltat,quamcgo.quamquam Nonius
Marccllus Luciiij tcftimo- nio,atq. ctiamPlaut:,valt, cinacdos didvisa uc crib.
faltatorcsip- Ios,atqucpanromimos, 6c totisuiribuscontcndcbant, utnonrarolic
ludantibus ofsa aWqua frangcrcntur, ^Sc luxarcntur, quac illis palaclbico quo-
B dam paclo ab alijs diucrfo fc rcmirrcrc cofucuilsc rcllarur Galcnus .
Hoctamcnanimaducrrcnducfsc duco, C^alcnunon modoluchim arhlctica,qua
rclpub.bcnc inlliruras odifsc fcribir, improbafscuc- iu&:lanirariftudcri:
inrcrduparcc laudafscur porc qua roburqui- dem auecrur, at luxarioni s , ac
fractionis ofliu, nccnon lufTocarionis pcriculumimmincat.
fmiilircr&:Clcmcns Alexandrinusqui tcm- pore Galcni Romac floruit ,in iij.
Pacdag. lib. ubi cxcrcitarionum traclationcm habct , lu uo- lutatoriu
nuncupabatur , fpcciesq. lucbc erat , na in luda ccrtantcs fefc dcijccrc
ftudcbant,rccUq. mancbanr; in pancrario aurcm noUi rarorio humi proltcrncbatur;atq.
ibi inuiccm c6plicati,fcq. mutuo conuolucntcs, altcr altcru libi fupponcrc
nitcbatur rqucmadmodu clariflTimc moftrant dcpicli hic nummi cuiufdam Salulbj
Audoris,, quifubValcntiniani,&: Placidiac Augultac principatu Africac rc-
gno ui occupato ludos fimilcs, atq. alios ob uiaoriam cdidir. Early European Books,
Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca
Nazion CFMAGL 1 .7.429 Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC.
Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazionale Centrale di Fir CFMAGL
1 .7.429 S E C V N D V S. tor A Dc hac cxercirarionc uerifimile mihi fit,
AriRorelcm vcrha rccifie, lib. S M
ubiiiulhim
crcftum,& ftantcm continentcr,&: tuto uiccdcrc po^c '^^'^'^^^^
demonftrar,quia pcrindc fe moucrcr,ut palacrtrirac, qui pcr puliic rcmin gcnua
fubfidcntcs procurrunt.Dc hoc itcm ahcui probabi- Ic uidcrctur,Iocutumcnc
Martialcm,ubi dixir. 7>{on diho qui vtncit , / q'a fnci nmherr fiouit Et
didt mclius thv ivccKKivoTrd^wj. nihpotius cxponcndu cllct «WAiFOTraAw,
rcficxioncsquapalacftrlta rcduii^opcdorc aducrfariurctrahcbat ,ac i(!iuilhus
dcuitabat,aut potius ( vt crat Pocta fcmpcr obfcoenitaru amator) ca lcdi
luclain- tcrprctcmur,(4. K?u^07ri?jiv Domitianum vocaflc tradit
Suctonius.&: quaafpurcilVimistam uuisq. foeminis cxcrccri confuclTc narrant
e^.colle.'?. Spartianus,Lapri dius &: Capi tolinus . Dc codc itc loqucbatur
An- B tyllusapud (^ribafiu,du dupliccluCtactrccit,altcracrcLlam,aItcrri fupcr
pauimcnto; pro luda lupcr pauimcnto nil aliud intclligcsni- li PancratiQ
uolutatorium,quod tamen ualdc diucrfum crat ab alfc ra uolutationc,ab
Hippocratc ihts^J^Hirm nominc lignihcata,qua ho- ^ ^j^^: mincs in palacftra
humi prolh ati ucl loli , ucl cum alijs circumuol- ta. ucbantur,&:dc qua
Coclius Aurclianws ucrba fccit^ubi uolutatio- ^.Jdiact. ncmin palacftra pro
diminucnda carnc laudauit; fiquidcm inca ncc certabant,ncquc comphcabantur,fcd
folum cclcritcr fupra pa uimcntumnitidum, aut pulucrc confpcrftimfcfcrorabant.
undc Galcnus cam intcr cclcrcs motus non linc ratione poluir. 2. dc tue. De
Pugilatu,^ Pamratio, c> CefiiLus. Cap. I X. ^c^Kjr^^f X yilatoriam
'm/yiJUKH¥ a ( iraccis uocatam antc Troiano- m?\ rum tcmporam uiu
tuiilcjtcftati funr Hmius,&: antc Vli C «j Kjf^ nium Homcrus,qucm ctiam
Plurarchus m i.Symp.ob- Prob.u §P--£^if fcruauit, continuo pugilatuml
uCtac,&: curfui iccirco pracponcrc, quoniam hoc cxcrcitarionis gcnus pii us
iUis origincm accepit,ficuti quoq.Lucr.hoc ucrfu innucrc uidciur. ^fjnaantiq ta
manus, yngues.diTitcsquc fmYUvt. Libj. Quid vcro clTct haec
cxcrciratio,quomodoquc pcragcrctur, pauci (quod cgo fciam) diligcntcr
cxplicarunt, &: minus cctcris hac rcni intcllcxcruntilli,qui
pugnaccftuu,&: pugilatum idcpcnitus cxftitif fc uolucrunt . ex auctorum
tamcn (cnptis conicLtura cofcqui pollu- mus in hac cxcrcitationc homincs nudos
conccrtarc cofucuillc, pu gnisq. ftrictisuclnudis, ucl acnca,ucl
Iapidcafphacraplcnis,undc ^^fCf«t;^t^, uel loris,laminauc circumlcpti fcfc inuiccm
pcrcutere, modocaput,mododoihim ,modobrachiapetcnres,ncque vnqua fcfe mutuo c
oniplicantcsi in qua pugnafupcrabat qui ucl aduerfa- ruim !08 L I B E R rium
pugnorum idibus in terra profternebar,vcl grauius &: damno- D a. ^ymp. fius
fcricbat;quamquam non defunt qui ct calcibus huiufmodi pu- Pf«b.
gnamfavfliratamtradant,obidq. apud Senecam cpift.Si. non o-qui hanc
rcdiligctiflimc tra(flauit,nullum poc* E ncucrbu de hac exercitatione
habi]i.t,/icuti ncc vllus alius fidc di- gnusmcdicus exccpto Arctaeo, qui in ucrtiginofis
pugilatu come- uarus. Qupd fipugilatus mcdicae gymnafticac excrcitationis gc-
nus cxftitifset,aequii ccrte crat,non adeo ab oibus filcntio practcri-
ri.Altera ratio eft,quod,fi natura pugilarus exa*5te fpeftemus ^ cii p- cuflioncs,
&: euitationes bellum gcrentib s necefsarias acmulctur, ut
diccbatPIutarchus,cdocearq.quin militarem pcritiamagnope re adiuuet,infitiari
non pofsumus; at cu iolum brachia,atq. pugnos cxerceatjinterdumq. potius
plagis,ac grauibuspcrcufl^onibuscor pusofTcndat^quomodo ualctudinis
conferuationi,bonique habitus acquifitioni cofcrrc poflir,no uidco : ut tuto
diccndu fir,pugilarum in gymnaftica mcdica exiguu ufum habuifse , in militari
ucro mul- ^ tum,in athlctica plurimumrcuius principes,&: au(5lorcs fuifsc
Amy- cum,atque Hpcum,prodidcrunt PIaro,&:Galcnusi ncc noninqua adeo Glaucus
Caryftius cxcclluit, ut quinta &: vigefima Olympia- decoronatus pi(flae,i.
pugilatoris nominc pcr excellentiamme- rucrit uocari . Pugilatorcs iftos
pinguedini comparadac opcra de- \a f"|^c.^^^^^''^S*^^^^^P^'d
Tcrcntifi.quod agcbat, utgrauiuspcrcutere ua- 3, *
lerent,&:plagasip(isillarasminusfcntirent:cftcnimcxpcrientia&: ratione
coprobarij, obcfos minus ex carnibusiniurias fentire . Cur autcTcfprio illc
Plaurinus,ab Epidicointcrrogatus,quomodohc- ri lis filius
ualcrct,rcfpodcat>pugilice atq. athlcticc, no cft admodu j.dealim. dilficilc
conic(flura cofcqui.quod eria Galcnus fcripru reliquit, Lu- facc.i. £tatorcs
potiiriinu athlctas ueros cfse uocatos,led pauUo antc ipfius 'tcmpora etid-codc
noininc appcUacos fuilse pugilesA pacrariaftes, qua S E C V N D V rc* A qna dc
rc ficri por ut Plauri acrate pugiles ab athletis (liiicrfi cfTcnt, ^'J^u i e-
vtriq. tamcn robori, &: corporis crallitiuiludcrct^iSd iccircorcruus
^*"^^^"^* illcmcritopugilatum,&:athlcticam fcparaucrit,hcriimquc
fuum robuilum, tSc pinguiucntrccflc llgnihcarit. Exluvla (5^pugilatu
tertiumquoddam cxcitationis gcnus componcbatur, quod pan- cratium communitcr
gynmaflici omncs appcUabanr,in hoc( ut tc- llatur Arillorclcsprimo Rhcroricorum)qui
cxcrccbanrur,aducrfa-^^^* rios,&:pugnis rcrirc,&:
comprimcre,&:contincrc,&: dcijccic (hidc- bantrnam pugilcs lolis pugnis
conrcndcbanr,ncc umquam compli cabanrur>ut commcndanda iit urbanitas
Horatij,qui ^.SaryrJi.x. ucnuitcadmodumphrcniticos , quod
pugnisminiilros,&:adilarcs fcrirent pugilesvocauit.luclatorcs
comphcabantur,&:comprimc- bant,ut dcijccrcnt,fcd pugnis minimc pcrcuriebant
, pancratiaflae ^ tumurroqucutcbantur,&:tumcriamquacumquc aliararionc, ut
dcnribus,gcnibus,calcibus,rahrris,
dcniquc toto corporc ( ur dixit Paufania5)aduerfarium uincere
contcndcbanr,arquc in eo a pugi- li^^-i clu, libus dirfcrcbanr. quod iUi pugnis
llrivftis , hi digirisfohimmodo in flexisccrrabanr. atquc hoc iiiznihcarc voluir
Oalcnusvbi fcrinfit: ^-^J^^^^ %i A iKXso: TJu:-
in pancrario protcndcrinr. tahs ctcnim manuum hgura prchcnfan- '> dis
aducrfarij.scui maxime ftudcbant pancratia(bc,ut nomen quo- » que lignihcarc
uidctur,ualdc accommodata crar,his dc caufis cxcr citatio hacc Trcmioiyav
uocara cflquandoquc,(icuti iMato Eurhydc- mum 5rflrftfat;^0Kdixit,nccnon
ambobus ditHcihus ccrramcn habcba C tur,ob quod C lalenus in 6.Hpid.vbi renibus
atfcdis cxerci tationeni commcndar Hippocrares , fub tali cxcrcitarionc non
dcbcre pan- cratium ob magnirudincm laboiis intclhgi crcdit. qua itcm rario- ne
pcrmotum opinor Plaroncm , dum dc lcgibus lua ilhi paru al> ahquibus
approbata fcminas excrcendi rationcdudus, mulicrcs folummodo pofl nubilcm
acrarcm pancratio cxcrccri confulir. de Pancrarij fpccic quapia loqucbarur
mcafcnrcnria Galcnus,quan- doincommcnrarijsfupcrhbcllum defalubri
diactadixit,gymna- ftas fere,quos impinguarc uolcbant
con(liruil]c,inrcrcxcrccndum TT^ ouis ncfcif,maiorcs noftros intcr alias
cxercitationes,utdVputatPIu:archusij. Sympof. v. ad fpcchiculat, ad
miIirarcscxcrcitationcs,adianos habirus acquircndos inflirutas curfum quoquc
habuifsc? cui locum pcculiarcm in gymnalijs alli- gnatum nullum uiderc licet,
quod hacc cxcrcitario m uijs ipforum communibus , dum ab alijs non
occuparcntur, ficri pofscr, atquc ctiam quandoquc in loco , ubi alrus puluis
llrarus erar, (i crcdimus ^ Luciano,aiZcrciur.ncquccnim pcridromidasad
curfum,crfino-InHbioga mcn innuat" fcd ad deambularionis ufum inftiruras
fcimus cx fupc- rioribus.Athlctacqui ludorum &: ccrraminum gynmicorum cclc-
britatcsrcpracfcnrabanr,ufqi:eadcocurrcndi uimintcrdum acfti- mabant,ut (quod
rcfcrt Plinius) licncm (ibi iplis inurcndum cura- li.i i c.57 rcnt,quominus
illc currcdi cclcritatc,(icuti folcr,impcdircr. Huiu- fcc curfus ccrramcn ,
(icur 5c luctac primos Elcos linc ullo uctcris iDCmoriae cxcplo infli ruifsc
audor cft I^aufanias : apud quc fimili- y.&^.Eiu ter legitur,Endymionc
filijs dc impcrio ralc ccrtamcn in Olympia .E|»ai. fe,quado et
Senecaintercxcrcitationes eorporis,quarurationeha- bcndacenfuit^primu locum
curfui dedit, etfi non admodum perci- pio,quidcpift.3. indicarcuolucritdumfc
Hieram fecifscquod ra- ro euenit curforibus, aiirnam fi (vt
eruditilGrausMurctus putat) pro Hiera mcdiaftadij lineam cocipiamus,. quomodo
curfores cx raro ficcrc dicat,non fatisafscquor.Huius trcs tantumfpccies
cflre-^ cifse AnrylJum rcpcrio, altera in anteriora currcdi, aJtera m pofte-
rioras, SECVNDVS 117 B riora,altcrain orbcm.quauisitcapud Galcnu,&:
(loIichu,&:diauIu i do!icliusdup!cx unocurfu ftadiui diaulusdu- plcx, ic
ipfc ftadium , fcd rcflcxo curfu.ut ficri poflc cr^da pcryftiljj
intcnonsambituiiuqucm diaulum,ob duorum ftadioru mcnfnrani uocatum tradit
Vifrimius,huiulccmodi curfui infcruific . Quapro- ptcrfalfum illud cflc dcprchcndirur
,quod apud Suidamfcgiriir, ftadiodromus longiorcm tradumctiri curfu
dolichodromis,cum huius conlrariu manifcfto intclligar cx
Parmcnioniscpigrammatc> M'i>.d
moucro&:2rauiorapondcrainrcrdumfupracapiir,nonnunqnam fupra
humcros,aliquando in pcdibus gcftafsc. qucmadmodmn ui- dcrc cft cx hac ucruftac
tabulae pi^ura, in qua faltanrcs appofirif- fimc repracfcnraniur : quamquc ur
anriquain,&: ucram a Ligorio acccpiixius. ^ 120 L I B E R S E C V N D V S. i2t A dccorarcnt.
Erar quoq. q, fupra vircs oleo un£tos &: ui no plenos pc-
dib.falrarct;inrcr quos uidores ij ccfcbanr, q. ita fcfc dcxtcrc gcre- bar,vt
plubricitarc humi no cadcrct.atq.hijp uic^toriac pmio vtrc cfi vino tcrebatiq.
vcro rcrra narib.pcuticbar,n6 linc magna uolupratc fpcAatorib. risiimoucbat.Ici
auranriquirus obfcruatuinludisiiac- cho dicatis,quos«\ioc(iurccvSx TTfof
TwKflCi^f «F.i.hic fub dio fupra vtrcfalra,& Eubulusapud Arifto- phanis
intcrprctc Kcti7r§oarq.iI- los ipfos ne torpcfccrct i marislitrorc (clc
difcis,atq.iaculis,taq mili tib.apris,cxcrcuifsc:quafi fi no lacdcdis
hoftibJaltC- u.niac agilirari jpforu c6paradac hiuoi cx:crcirafio accomodata
cfscr. Athlcras uc- roi cofc cxcrcuifsc,nccn6ipublicisccrtaminib.c6rcdifsc,manitc
(IQ faccrc pot coisaudtorum liua,qui intcrarhlcraru ccrra.minadi- fcumocsuno
orcadnumcrar,&:pracrcr hospic^luni/iuahic damus. SECVNDVS. 122 ficiit ctiam
Galcnus,Acrius, Paullus>&: Auiccnna inrcr cxcrcirariones fanitari &c
bono corporis habitui confcrcntes difcum reccnfcnt . Scd, priufquam longius
progrediar , rarioni confenrancum puto admone- rCjDifcum pcncs fcriptorcs uaria
fignificafse , na ccftarur Suidas , di- fcum S E C V N D V S. 11, A fcum fuifle
inftrumcntum quoddam rotundu,quod aliqn adco gra- uc crar,ut uix ab uno holc
elcuari pofTctiucl uri a D. Hicronymo dc fcipfo fcriptu cll. Dc hoc cquidc
locurum opinor Solonc apud Lu- cianum, ubi intcrrogans Anacharfin , nunquid in
gymnafio globQ qucndamiaccntcmacncum,atq. tcrctc,in paruifcuti figura forma-
tum,ncq.lorum,neq. balthcum habcntcm uidiflct,qui grauis,&: c6- prchcnfu
dilficilis crat , cum manu furfum cxtortum in acrc ahquos iaculari
confucuiflc,fubiugit:Aliqnct inucnio,inflrumcntLi illud fi- gura foHs corpori
fimilcm habuiflc,quod ab Aicxandro in ij. probl.
(rfucisAphrodificnfis,fiucTrallianus,qctmagisfufpicor,cxftiterit) foliscorpus
/loxdj uocctur. Vocatus fimilitcrluir difcusquadra ro- tunJa,quaepulacin
mcnfasfcrcbantur. V ndc (/^i^K0cu fcrrcus, crat,mafsam uocabir.Huic artcftari
uifus cft Manialis his ucrfibus, Spicndida cum rolii mt Sp^kmni pondera difci,
isif procul pueri , ftt fi mcl ille nocrns, ' Alij.quibus cgo
afscntior,credidcr jnt difcum fuifsc laminam qua- dam trium ud quatuor digitoru
cralfitudinc, logiorcm paullo phis C pcde,alias lapidca,alias fcrrcam,Cacncam
quoq. ex fcpulcro Marci Mannij Philopatris Athlcrac in via Salaria pofi:o fc
uidifsc.tcftatus cft nobis peritiirimus Ligorius) cuiufmodi maiorcm parrem, nc,
du cx alto rucrct, fragcretur,fuifse puto, planam , quafi lcnris fpccic rc
fcrcntem,quam in acrcm proijciebant,fcd modo a iaculorfi milTio- nc
diucrfo,fiquidcm inmitrcndisiaculisbrachiapandcbant,mox prorfum impcUcbant
contra in difco manu adpedus adduda, atq, cxtrorfum U dcorfum rcdu£la,
rorationis inftar illum in acrcm cia- culabantur, ut pcrbellc cxplicauit
Piopcrrius hoc ucrficulo. M jffi^c nunc dtjci pondus in orbc rotat . Quod cnim
difcus figuram,quam diximus, lcnti fimilem habucrir , practcr Diofcoridcm
Icnticulam J^icn/ov nuncupantcm,cxprcfsa hic comprobar Difcoboli marmorea
ftarua, quae hodic Romac ia acdibus loannis Bapriftae Viftorij fcruaiur , in
cuius manu difcum figura a nobis cxprcfsapofitum uidcrc licet. L I B E R qj*
itc oftcclit altcniis difcoboli brachiu Lapidcu hodie in mangi Tu- fciac duc is
acdibus Pitris u ocatis fcruatu, cx quib. fimihtcr difcu eia- cuhidi modu
inieUigere licet, ut prudctcr nos monuit dodiflimus Pe- irus Vittorius aetatis
noftrae ornamctu,quibrachij figura ad nos miiit. S E C V N D V S. nj^ H.-irum
fbtuarufimilcsaliasdiK-isdifcobc^Iorfifuiflt ucrifimilc cfl. qrarumunacxacrc
Myroncm pracclarilfimiim (btuanufinxifle. a Quinftiliano cclcbratam,alii 1
aurifcum pictorc illuftrcm cxccl- lcntcr 1215 L I B E R Icnter pinxjflc,refcrt
Plinius-Hanc forma difcl una cu praediO:is te
fUnrionijsriuidiflctjacmaturecxaminafrc^^GulielmusillcChoulus, nuqua ccne
affirmarc aufus cflet>difcii pila rotunda in mcdio pcrfo rata fuiflcjnifi
bonus illc vir nomine pilae qualibet re orbiculatara practcrl atinaclinguae
vsuintellcxerit. Atq. hoc dicojqifi D. Cy- prianus in lib.dc fpcftaculis difcu
uocat orbe acneum, &: in Marci Aurclij Imp.numis quibufda Apolloniae lllirij
cxcuflTis , quoru cxe- plarfupra pofiiu cft,hLiufmcdi
Difcobolorulufusrepracfcntatur, in quo difcu quadra quanda orbicuIata,& in
mcdio perforata fuif feapparcr.Vt hinc conijcia,n6
vnadifcoruformacxftiriflc,qua fi- uc in facrificijs,fiuc in gymnafijs
vtcrcnf.lllud attamc praetereudu no eft,in difco iaculado artc quada,vt Pindari
interpres oftcdit,ne- ccflaria cxftitiflcjalioqui lacularorcs laudcfruftrati
deridcbarur,&: facpe damna infignia fpeftatoribus afl^c rcbat , quod a
Phoebo adiu fuit,quc difco HyacinrhuinrcrfccilTe fabularur. Difco fi^milc erar
al rcru excrcirationis genus,^AT/Jf»«; a Graecis appellaru , qd*" in
palac- ftra aditari folirufcribir Galcnus.hoc ab halrcribusfupra nomina-
tis,quosfaltatorcs,vt vehemcntiusfiltarcnt,manibus coprehcdcrc c6fucuiff^e,dem6ftrauimus,diuersufuifsc
aperte declarauit Antyl- luscuius, verbaapud Oribafiuita fcriprarcperiurur in
capite TFtfi iiKTUvo ^u^coi/r% , Koci av yKocyiTrrQ u^oou , h Kgctrovyrxi
^iivov \\/ 7rgcrccfecundum dorfi aflenfum manibus uiciflim fe fleacbat. Ex qui
bus vcrbis plane indicari vr,quod,Iicet halteres huiufccmodi ex
eadcmatcria,atq. eadc forma,quafaItatorum pon dera eflc poflcnt,nihiIominus ab
illis diftcrebat,quod n6 modo ma nibus,ut laIrarores,renerenf; uerum eria
uarijs modis emitrerentur, pcrindc ac rcporibusnoftrisapud multosin vfu
habef,quifefe excf ccr,aur pila,autlapidc vel fcrrcu,vcl plumbeumanibus,ac
brachijs extcfis,&: circumadis in alru mirtcntes , de quibus locurus fuit
Are- tacus,aua:or no minus probatus,qua antiquusuibi in dolore capitis •f
•cAT(/f(i)vi3 tum pro modoprofcdusgrauiores.Exquibusuerbis elicitur Halteres
fuifse maffulas quafdam , fiue manipulos ex uari js materijs
modolcuioribus,modograuioribusconfedl:os,eamagni* tudine ,utmanu quilibet
caperetur. qui mcafenrentianedumfo- lis manibus , uerum etiam funiculis
halteribus ipfis circumfufis,de- indeinter-proijcicdum
explicatis,emirrebatur,perindeac faciunt hifce rcmporibus mulri , qui fic aut
rotulas ferrcas , aur cafeos , aut quid aliudfimilcproijciendo certant An uero
^ATwftsaPlarone interccterasadforrirudinemmilirarcm comparadam excogitaras cxercitationcsnominenrur
,nihil cerre explicatumhaberur: opi- nor tamenegOjipfumubi 8.dclcgibus>haec
dcmulicrum propri js ^ CKcrcimionibusknbit,KaUiktsl(X)^ug(!Q
nilaIiudanimoconcepifle,nifi quod jllae tumlapidibusamani- bus , tum a fundis
emillis inter fe cerrare dcbercnr. nam, & «Arwftfi aliquando lapides erant
, quos a manibus excrcitatores cijccre confucuiflc indicauimus ; undc fub
nomine lapidis a manibus «m Hi^AT«^ I30 L i B E R tes,ac primo tendcntcs,deindc
remittentcs illas eiaculabantur^atq. hi coramuni appcllarionc rojwTxi^ucl
rofhcci uocahantun vndc ue- ncnum quoddimrofiKov nominari fcribit Paullus
Acginctamcdi- c-us,quod Barbari fagitras ad fcriendum lethali us illo
inficcrcnt:la- culatio ucro non modo finc amcnro, arcu,ba!iftaue
efficicbatur,ue rum etiam grandiorcs fagittas , craffiorcfquc virgas ,&
plcrumque graucs palos rcquircbatjquinimmo fagittarij folis brachijs fcfc mo
ucbanr , dKOvrilc.riQ aurcm fiue iaculatores iniadu brachia contor-
quebant,cxrendcbanrq.&:practcreadorfum,necnofifemorapedi- busimmotis
flcdcbanr,agitabantq.qucmadmodum tcporibus no- ftris, quos pali iaculatorcs
appcllant,fasftirare confpicimus:utrique tamc in huiufccmodi excrcirationibus
obcundis no paucis viribus ll.deaercj indigcbant, unde non fine rarionc
Hippocratcs, multos ex Scythis locls^' ^ pracimporcnria humidirarishumcrum,neq.
arcum intendcrc,nc- quctelumcontorqucre poruilfe mcmoriae mandauit,quiparirer
in initio libri dc fradiuris diccbar brachij figuram aliam eflc Iukkou' rKTyiZ
K(crcccfvjtu,cc^^oJ^t ivotqrkuJ^oPHiriv.KAMj^l \v M6o£iO\imv,%Kko\v7rvytAn.
idcft,in iaculationc f undarum, S>c lapidum cmiflionc,nccnon pugi-
hitu.Habcbantucro,quific excrcebantur,terminos,&:fcoposfibi propofitos,
quos modo praeterirc,modo attingcrc, uiaoriae gratia quifque conabatur.quod
explicauit Horatius hoc ucrfu. Saepe difco , Lib. i.car. ^^t^pf trans finem
iaculo nobilis expedito. ' Ccrerum hoc in loco id praercrirc nolo,quod balifta
fuit tormcnti Iib. de re quoq. gcnus,quo fccundum Vcgctium Iapidcs,&:
fagittac eiacula- iTic^c 1 ^^^f^^^^^^ &:quodfimilitcrfagittas catapultis,
&:fcorpionibusanti- ^ ^^' quos cijccrc confucflc fcripfit Vitruuius,dc
quibu^ tractare ad infti- tutum nolhum minimc pcrtinct: quas ucro nos
fagirtationcs, &: ia- culationcs travftamus,illac funt,quas gymnaftica
ficultas tamquam propriasfibicxcrcitationcs complcctitur , Quod cnimmcdicinae
gymnafticaiaculationcs, atqiagittationcs prolanitatis adminicu- lisin
vfuhabucrit, (licctapudauclorcs rarofcriptuinucniatur) in- infuaf. dciamcn
conijccrc poflumus, quod antiqui, refcrcnte Galeno, ad bo.ar. cofdcm mcdicinac
&: fagittationis , iaculationisuc DcosApolIinc ncmpc,atq. Acfculapium
cffcccrunt. At iaculationis vtriufquc tam cum arcu quam finc, praccipuum in
bcllica gymnaftica vfum apud prifcos fuifse, locuplctiflimum tcftcm Platonem
habcmus,qui mu- licrcs,& virosfururos bcllisaptos hifcc in primis
cxercendos cura- uit, id quod mulicrcs Scytharum antca faccre folitas fciebat,
quas Loco cit. Hippocra,&:pcdibus,
&:cxequisarcubusuti,&:lagittasciaculari con- SECVNDVS. A
confacuifscfcriprum reliquit; ur filcam Homcrum, qui Myrmido- nas Achillis
militcs, dum a bcllo uacarcnt , fcfc iaculado excrccrc, nc pcririam milirarcm
amittcrcnr, finxir.quam pcritia quanropcrc iaculandi,
&:fagirrandicxercirario,adii:uct,quanrumq.cadcm ro- boris laccrris
affcrat,clarc indicauit Vcgcrius in i.dc cxcrcirarionc militari lib.Arhlericam
ncq. iaculandi cxerciratione caruifsc,Hcr culcsilliusaudor rtdcm faccrc porcft,
qucm faLMttadi pcririirimum ca tacultare ccnraurum Kcf^um quamuis rcmorum 6l cc
ruam acri pidcm transfixifscharpyasq.uolucrcs m mcdio acrc confccifsc,rra dit
Scncca; atquc cum co alij . Ad hacc criam diucrfac illac,atquc
mulripliccsbclluac ,quas in publicisfpcdaculis ,acludisathlctae
modoljgirris,modoalijs armis intcrimcbant , clariflimum argu- mcnrum pracbcnt ,
ccrtatorcs illos athleticos iaculationcm quoq. B cxcrcuifsc , ncc modo
ignobilcs , ucrum ctiam maximc illuftrcs ui- ros, arquc ctiam Impcratorcs ipfos
, inrcr quos duo adnumcranrur, Commodusuidcliccr raullinacrij &c prioris
Taullinacfiliac, &: Marciprincipisfilius; nccnon Domirianus ,quorum hunc
ccntc- «as uarij gcncris feras in Albano fcccfsu fagirris plcrumquc mulris
▼idcnnbusconfodilsc,fcril)jt Tranquillus;iIIum ccnrum ictibusin arcnatoiidem
fcras Ihauifsc , ram ualidis niribus, urmultasuno conficereri6u,tradir
Hcrodianus: qui fimilitcr fc ribiradco illi ccr ^*^*** ram n^wnum fbilsc, ur,
quidquid oculo dclbnafscr, iaculo 6c fagirra contingcrer . hrgo iacuIarioncm,&
in bcllica,6c in arhlctica, &:iii medicinae gymnaflica locum habuifse,
compcrrum cft; cuius qui- dcm iaculationcs duo pori llimum mftrumcnra fuifsc ,
diximus , ar- cum,&:fagittas, quosalij Scyrhcn louisrihum, alij
Pcr(cnPcrfci C filiuminucnifse dicunr . lamucro fagitrarummulraslpccicsfeci-
Piinius. mus,alias lubriles,&: cxnlcs^^quae arcubus,^^ balilbs
ciaculabanrur, ^ quafquc plumbaras fuifsc cxiltimamus:quamplurimorum,quin
manifclic apparcar nos dc gymnafticaarrc nKdicinacfubiccta,&:non dc ullaalia
rra6c cxcrcirarionum,^: in viucnd6,ac conucr fando arhlcricorum morum
prauitatcm cognofccrc,co£niram dc- Kftari,arquccuirarc liccrcr* VANTVM commodi
humanac huic uirac dcambula* tio pracftcr,faris apcrtc (apicntillima natura
dcmonftrl uit,quac mirihco quoda arriricio,iini;uIariquc^&: prope diuma
prouidcntia nobis pcdcsnonob aliud fabrica- uit,mli ut dcambularc , arquc
dcambulanrcs avftioncs illas, ad quas nari fumus,pcrficcrcuaIcrcmus.quod cum
Pracdo illc circaCo- raccfium Pamphiliac animaducrrifscr^ ne homincs,qui m cum
in- cidcbanr,ambularc amplius>&:rcliquauirac munia plcnc,honc- ftcq.
obirc ualcrcnr , pcdcs illis> ficur rcfcrt Cklcnus > mcmorabili partmm.
quodamcrudclirariscxcmploampurabar.l)cambuIariocrgo,qu5 vclurinccc(sariam,arquc
in primis comittodam fiuc natura Jiuc Dcus nobis rribUcrunr,quanro ftudio
cuftodicnda,arquc adiuuan da fir, nullus non uidcr , co pracfcrtim , quod fi
ullac cxcrcirarioncs corporisinucniunrur,quacvalcrudincmconfcruarc,imbccillira-
urmamorbocontraaampcIlcrc,&:bonum corpori habirumcom- pararc ualcant,
quacq. apud omncs homincs>omncsq. narioncsirt licqucnriori ufu iinr> una
profcdo cxfillir dcambulario > quam non K -f modo 154 L T B E R
modomedlclpraecipuam corumgymnafticaepartemefleceriinf', D tjerum ctiam antiqui
omnes ufque adco acftimarunr,ut intcr cete- ra priuatis excrcitationibus dcftinata,&:
in gymnafijs, & extra loca, nullius maiorcAn curam gcffifrc , nulliq. magis
ftuduifse uidcantur. quam utaccommodataomnitcmporc deambulantibus Joca cxae- ,
dificarcnt. Nam(vt ccteros audtores fide digniflimosomirtam) Vi- truuius
quantopcrc in deambulacris fabricandis inuigilandum cc- fuerit , unufquifq. cx
eius fcriptis facile comprehendct ; cgo ccrtc ante , & poft Vitruuij
tcmpora i»numcra in urbibus dcambulatio- nibus loca magnifice extru6l:a lcio.
quac omnia apud me tribus ge- neribus compleduntur, quia uel porticus crant,
uel fubdialcs loci, ucl fubterranci. Porticus enim quandoq. theatris,quandoque
tem pIis,^a. liter fuifleporticusambulationi dicatas,fcribit GaIenus3quando- E
quefolac&feparatae exftruebantur,qualcsplurimae Romae olim fucrunt , quarum
ueftigia nunc admirationc Ipcdatoribus pariunt, & qualis tiiit Pumpciana,de
qua &c Ouid. Tt4 mado Tompeia lentus (patiMre fub ymbra.
&propcrtiuslibro 2. Scilicet vmbrofts Jordet Tompeia columnisy Torticus
aulaeis nobilis ^ttalicis &lib.4. Tu nequeTompeia fpatiabere cuUus im ymhra
, 7^c cum lafciuumllernet arena forum. & Mattial.li. I r . €ur nec Tompeia
kntus fpatiatur in ymbra. Exquibus triumpoetarumuerbiscIarepatet,Pompeianam
porti- cum ad deambulationes cxaedificatam fuiffe , quemadmodum, &:
quampluresalias iwid conftrudasefTe, apudCiceronemtcrtiode F oratore libro
difputatur. Quod porro lubdiales quoq. iocos ad de ambulatium tam
commoditarcm,quam iucundiratem maiorcs no- ftri
cxtruerent,atqueiIlosmodoarboribus confererent,modo nu- dosrelinquerenL,praetcr,Vitruuium,qui
cosin gymnafijs, &: extra gymnafia quomodo ficri deberent^copiofifTime
edocuit,argumen- to quoq, sLit xyfta illa a nobis fuperius declarata,&:
praecipue de- ambulatorium illud Arhenicnfium in Acadcmia , quod pulcherri- mis
plaranis confitum ad id fuilse fcribir Plinius,& ad cuius imita-
tioncmAlcxandrum Seuerum nemora in publicis rhcrmis,atque infuisaluifse
cxiftimo.Subtcrrancosucrolocos quofdam ambula tionibus deftinarosfuifse,quosob
id hypogaeos Hegefippus,&: Pctronius uocarint, haud uero dilfimile uidetur
rquoniam tempo- ribus,quibus mirum in modum luxus creuerat ,ficripoteft , ut
una cum T E R T I V 1 A cuminnumfrisalijsblandimcntisexcogirari finr
achiitanda^aent wi caloi is molcftias. nifi cos porius creda^mus fiiifTc crypro
porticus vndiq. paricribus redas , iccirco in eam tormam fabricatas,ne am-
buhir.tcs a ucnris,&: a rcliquis aeris iniurijs lacdcrcnrur, qualis ho^ dic
Romac in uiridario Varicano uifirur,^: quales fuii^e illos ucri- fimile eft,
quos fc i nrer rui nas uillarum LucuUi ram in agro Tufcu- lano, quaminmonrc
PaufilippouidifTt', tcftarus cftnobisLigo- riusi quosue Plinius (ccundus in
uillac fiiac Laurenrini, &c Tu- 1 lcorum dcfcriptionibus plunbus ucrbis
dcpinxit. Dchis Varro apud Nonium ,Non uidcs inmagnis pcriftylis,qui
cryprasdomi non habcnr,fabulum laccre a parierc ,aut Huripis,ubi ambularc
poirinr^ Qui cnim ambularionibus fcfc cxcrccbanr , omncs fcrc fa- g nitatis
gratia illucl agcbant,ur neccflario cogerenrur fecundum tcmporuin murarioncs
uarios locos habcre ,quibus cirra ualetudi- nis oftcnfioncm ambulationcs
pcrficcrcnr. Softrarum Gnidium ar- chitc^ftumcelebratinimum ambulationcmctiam
pcfilem primuin omniumGnidifccin'c,rcfcrrriiniuslib.xx xv i.cap. x i i. Nam
athlctasambularionibusnumquam uri folitosexeo crcdcre dcbc- mus,quod ncquc in
ludis, ncquc in amphithcatris , ncquc in facris cerraminibus , quibus omnibus
infcruicbanr , vmquani tos ambu- landoconrendifle legitur . Quod filocusin
gyranafijs arhJctarum cxcrcirationibus,a^ Iocusambularionibusdcftinarus,qucm
Xcno- phon,& Vitruuius Xyftum uocarum fcribunt,uicini crant,non idco
inferre dcbcmus , arhlctas dcambulando cxerceri folitos,(ed alios in Xyftis
ambularcarhlcrasfcorlumexerccri confucuilfctnifi Q dicamus arhlcras quoquc poft
uehcmcntcs cxcrcirarioncs ambu- JafTe, atquc illam ambulationcm apud mcdicos
aVfl^tfflrTrwVuo- catamcflc, &:nonpropriccxercirationem :quid
autcmapuchera- piaforct , infcrius dcclarabimus. Milirari limilircrpcririac
ftuden- tcsambulationem parum curafle credcndum cflcr,|>oltquam ncc Plato
ullam eius mcntionem fccit, nec in ullo bcllorum »;cnerc ad iumcnruin cffatu
dignum pracftarc uidcrnr , nifi Vcgctius cdocuif- fct ualdc militibusfururis cx
u(u cfscurafliduo cxcrcitati ambula- m fe celerircr,&: acqualircr difcanr,arquc
(^b id uctcrcm confuctudi- nem permanfiflc,ncc non I).Auguftini,arquc Hadriani
conftuutio nibuspraccaurum >fur(Tc,ur!nmen(c ram pcdircs,quam cquircs
cduccrcnturamI?uIarum,&:non(oIumin campis,fcd cciam incii-
iiofis^arduislocisdc(ccnderc,arqucadfcendcrecogcrcnrur,quo nulla rcs ucl cafus
pugnanribus accidcrc pofscr,qua non antc boni militcs aflidua cxcrcirationc
didiciflbnt.Habuit ucro hacc cxcrci- ratio 5j« t I B E II ratio multas fpecl es
lum a narura ilJius , tum a loco , rum a /ine dr- D fumptas ;a natuia qui Jcm,
quoniam , cum ambulationcm dcfinic- ^ de ufu rit Galcnus cx crurum moru , ac
quiere conftare , motus ilie , &: per vaitmm. confequcns ambulatio ,
autcrar magna , uel parua ; aut uelox , ucl tarda,aut uchcmcnis, ucl rcmifsa :
a loco autem uariabantur paritcr ambuIationumfpecics,quandoquidcm modo
inurbefiebant,&: in gymhafijs,modo cxtra urbcm , qucmadmodum
Phaedrus,&: In Oeco. ProdicusapudPlatoncmfacicbant,ncc nonlfcomachusapud
Xc- * nophontcm , qui dum in agrum pedibus fcruum fuum equum du- ccntcm fcquereriir>mcIiori
fecxcrcitatione uti diccbar.quam fiin xyftoambulaflcr j modo in
iocispIanis,modoafperis,modoare- Coclius j^^jj^^ ^^^^^ paralyricis Afclcpiadcs
, Eraliftratus, ac Themifon Chran.2. malc commendabant,modo
aequahbus,modoinacqualibus, mo- c.j.lib.dc dolongis,modobiTuibus\dc
quibusomnibus copiolillime difser- c amCis 5.probI.parti. A fine dcmum
accipicbantur deambu- lationes, nempe quando velut auxilia (anitatis,ac boni
habitUs ad- hibebatur, vcl ad corporisrecrcarioncm peragebantur.poftquani enim
grauiorcscxcrcitationcs confcccrant,nc ftatim ad quierem tamquam a contrario ad
conrrarium rranljtus ficrct,ambularioncs paucas,&: remiftiores
adhibcbanr,ficut & poft medicamenra,ac uo miriones>arq. uniucrfum hoc
cxcrcitationisgenus iTro&^tar/^riKof appcllabantrquamquam ctiam gymnaftae
in mcdijs laboribus, porirtimumq* in ijs,qui graucs uocarascxercitationes
obijfscr,apo- 3.*tu.va. fherapiainrerdum urebantur ,quodGaIenus
fummoperelaudan- ' dum iudicauir. Apud Varroncm quoque , ur mcminit Nonius ,
ha- bctur> aliquos ad cxcirandam (icim ambulatione ufos efse. nam in lcgc
Macnia ira fcriptum crat:Excrcebam ambuIando,ut liti capa- cior ad caenam
uenirer gUttuK An Erettum fhre Jit e^ceratath. tap. 111. VI rcrum ipfarum
naruras Icuiter perfcrutati funt, iii- hilambulationi ip quampe- dibuscredum
ftarc iudicaruni. At quoniam profun- ^ dius quacrentcs in hajic fcntcntiam eunt
^ ereilosj.pe- dlbuTi^antes fi non ambulSt , fLiltcm aliquo pado
moucrijproptcr- caquc ftarum huiufccmodi ab cxercirarionum ccnfu cxcludi mini-
mc dcbcrc i idco eriam dc hoc fcrmoncm faccro dccf cui ; co prae- fcrtimquod
multi faUis rationibus duCt^ hanc opinionem ira ani- mis imbibcrunt> ut
pcrtinaciter circdant> ftantes pcdibus nullo modo T E R T I V S u7 A
madofcfccxcrccre,fcntcntiam fuam hunc in modum probanrcf» uidclicct quod
dcHnitum apud omncs audorcs rcpcritur,cxcrcita tioncmmotumcxlirtcrc , cui motui
(hitum planc contrarium cfse: practcr cctcros Plaro ubiq. pracdicat,dum inrcr
prima rcrum prin laSopK* cipiaftatum&: motumuclutiduo contraria collocar ,
quostamcn apcrtilllmc allucinan facilc conuinciruriquandoquidcmomntsil li,qui
pcdibus crccli ftanr, licct moucri icnlibilitcr nullo modo ui- dcantur, attamcn
ratio ipfa,quod aliquo pado moucantur, ccttilfi- mc pcrfuadet . Nam &c
multorum uctcrum fcntcntia tuif,non quac moucri uidcantur, camoucri fola, fcd
multa immobilia apparcre unum eundcm locum obtincnria, quac nihilominu^ mcucri
ctfica- ciHimisrationibus,ac fcrcfcnfu ip(odcmonllrantur . Aucscrcnim non tam
quando modofurfum , modo dcorfum uolitant,in motu B efscccnfcntur,quamdum in
acrc locum unum fcrc immobilircr occupant . id quod iic probatur , quia li auis
quac IKirc in acrc im- mobilitcr uidcbatur, in co ipfo inllanti moriarur ,
protinus in tcr- ramdccidit (utdcapodc illaauc manucondiata , quamniiimor- tuam
in tcrris uidcri , 6c uiuam lcmpcr in acrc mancrc fcrunt ) non obaliam profcdo
caufsam. nili quoniamcorpus illud in fublimi inotusalicuiusabanimaincorporc
faCti auxilio confiftcbat, quo moru poftca priuatum
corpus,arqucnaturacfuacdimifsumad ccn trum dcclinat,licuti dum cotra narurac
fuac inclmationcm furfuni fuftmctur , haudquaquam cadit , ncquc itcm pcrfcCtc
quicfcit , fed quali duobus motibus contrarijs ai;irarur, alrcro corporis
dcorfum a narura a(fti,altcro animac furfum conrra naturam corpus moucn- ris.
Idcm fcrmc cucnit in hominibus crcctisllantibus,quorum Ccorporibnsnaruraad
rcrram inclinantibus, Sc anima contrafur- fumilla fuftincrc obnitcnrc, morus
quidam lcnfui immanifbftus fuborirur , cuius indicium illud habcrur, quod li
aninui a corporc crcilo ftantc cxcat, illico ipfum in tcrram dclabitur,quia
motus il- ledcficit,cuius bcncficioanimacorpus oaturalitcr ad tcrram incli
narum, furfum clcuatum contincbat: ur his rationibus omnino cuiuis pcrfuafum
cfsc dcbcar,cos,qui pcdibus crcCti IhuUjob conti nuos,&:conrrarios
animac,corporisqucobnixus aliquo pa:tomo- ueri,arqucipforum mufculos
omncscorpusgclhnrcs, &c a ccrra atrolcntcs,crigcnrcfquc uchcmcntcr intcndi
:cuiusinrcnlionis,ar- ouccriam ipliusocculri morus racriro poftca cfficirur, ut
ftarcma^ iorcm laborcm,ac lallitudincm molcltiorcm pariat , quam ambu- larc,licuti
pracclarillimc a Galcno fcriptis mandatumcft. Ncque ri.aetre.. Plato
ubiintcrprincjpia rcrum Itatuin pcrmdc;ac motuicontra- & riwm Early
European Books, Copyrighl © 201 1 ProQuesl LLC. Images reproduced by courlesy
of ihe Biblioleca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 131 L I B E R
rium colTocauif^ucraprorfus locutuscft, cum Ariftotcles. 5. Phyfi^ corumlibro
longaorarione ncn ftatummorui , fcd motum motui contrarium eflTe
demonftraucrltiniti potius aliquis dicar,Plaronem aliud gcnusmotusacftacus
myftice (ut fo!er) inrellexifle , cumex ipfisnaturas quoque diuinas ccnftare
aHerar. Siigiturtot rarioni- bus fatis comprobarur ; eredos ftantes aliquo
pztito moueri , atquc intc rdu non modicc laborarc, confenraneum uiderur,ut non
ob id ftatus ab cxercirationu ordme remoucdus (it, quod cxerciratio defi m'aiur
cfTcmorus, &:ipfcminime motus appcllationcm mereatur, quinimmo ficuri
quaplures morus,qui fanitari, &: bono habitui co- fcrre iudicanrur,ct(i
uerc ac proprie exercirarioncs non ftnr,c6mu- nirer ramen efTca nobis fupra
abunde oftcnfum fuir : fimiliter &c fta- re eredum communi notione
exercirationem cfTc cenfemus. Vn- de fapienrijTimus Hippocratcs, qui vlccra
curanda quicte indigere alias praedicauir, ftarc&fcdere ipfis inimica efsc
fcripiit : quafi in- nuereuoluerir, dum corpusfurfumueUedendo, uel ftandodeti-
netur , mufculos magnopcre conrendi , atque etiam motum quen- dam interanimam
&:corporis naturam generari, qui ulccra ipfain
cicatricemcoalcfcereminimepermittat.atquchoc efTepnro^quod aCoelioinEpilepfiaccurarione
rtans exercitium uocatur. Num ucro antiqui gymnaftae inrcr alias corporu
cxcrcirariones huiufce modi ftatum rccepcrint , nil ccrri affirmare audco .
Athlcrac enim cumnullumferc ufum in ftando haberent, nifi quando Milonis
imitatoresrcdi ftantcs fefe ceterisaloco dimoucndos oftcnrandi roboris gratia
pracbebanr , vel ftaru non pcr fe , fed ob alium ure-
banrurrideohaudquaquamfeipfos in hoc gcncrc excrcuifse mihi
iierifimilereddirur. Qupdquaefo cerrameninftandofolumefre- 6lum ccrnipotcrar,quod
autfpcdtaroribus delcdarionem afrerrer, aur facrificijs , ucl alio modo
amphithcatris , aut ftadijs infcruiret, uthorumgratiaathlctasfefe
exercercuclcertarc ftantcsfohtosdi camusfftabant tamea qui athletas ccrtantcs
fpe amphithcarris,atq. alijs pu bli- cis ( c C ri 10 ra idi do ad ao Ddc m OQI
nok tili ttiu tc bt fc( H T E R T I V S. ,4, A
cisccrtaminibus,fpcdaculisq.coronasuiclomcconfcqucmur,pa pulumq.
obledarcnt;uclutoptimum corporis lKibitum,atq.f;inira lcm ipfam
acquircrcnt,tucrcturq. Hos apud Kufcb.viij, Hift. EccL
cap.xviij.M«;(«Tpiom.ichia,hoc cft armorum fi^ta confrixio ^ ^j^^.^ B
uocata,necnonad diminucndam7roAic/us anim.aris&iinanimis carcjmas nuquid
nosob corum,qui ^> nobifcum cxcrccanrur,ino;Mam,aducrfui. n )fmctipfos verc
vmbra- tili puena certarcaudcbii>uis.&:poltipfum Plurar.in 7. Prob. con-
„ . Uiuiahum :«AA(7fc»,u;Ttt^ vfiKQotovsiot^rccr Hd'Hquafiaeremnoticaedcns. lam
ucrononminustelJs^quapugniSj ] & brachijs nudi^ huiufcemodi cxercirationem
ufurpata cfse ratio- ni cft confentaneum . Hac itaq. fucrunt duae pugnae
fpecies^quaf maiores noftri cxercitationu loco in ufii habuifse rcperitrita ut
nul- la gymnaftica cxftarct,q inter alias excrcitationcs hanc no rccepe-
rit.quod cnim athlctica uctuftilTimis vfq. temporibus pugnandi ar- mis incidcntibiis
exercitationc urcretur, locuplctiftimu teftcm Plu z.VtQb, tarchu habemus,qui in
5. Sympof. fcriptu rcliquit, antiquitus mo- nomachiam.f.aut fingulare certamen
in Pifa ciuitate,&in Elide Pcloponnefiregionc iuxta AIphacumfluuium,circa
quam quinfto quolibet anno^hoc cft,ut Pindari intcrprcs tcftatur, alternis
olym- piadibus,fiuemenfibusquadragintaodo,autquinquaginta, cerra- mina olympica
loui facra celebrabatur, vfq. ad mortcm dcuidoru, cadcntiumq. iugulationcm
proccdcre cofueuifrc.Practcrea narrat GaIcnus,facerdotes in Pergamo prifcum
morc retjnuifsc , ut aefta- tis teporc monomachias uocatas cxercercnt,quas ne
quis credat fo li Gracccrri nationi proprias exftitifsc , adcudus cft
Athenacus,qui in quarto dipnofophifton auftoritate Nicolai Damafceni Philolo-
phi pcriparetici referr,Romanos monomachoru fpr£>ncula no mo- do in
feftis,arque amphithcarris,ucrum ct in conuiuijs a Tyrrhcnis confuerudinc
muruaros adhibuiffc; quamuis Romani no monoma- chosjfed
gIadiatorcshosocsnuncuparemaIuerint,quos lulij Cae- faris aerate in foro
nouifsimc pugnafse,quofq. pugnarcs Smaragdo lib.
NeroncfpcftaffcfcribitPIinius.Hi quoniam arrcplurimisabfurdis 18. & lib.
plena excrcebat,ut a ceteris pugnanrium cxcrcitationibus integre 37.C.J.
dignofci poirinr,nonnulla dc ipfis brcuirer cxpona, Nam illud pri- mum
dcreftandii plane habcbanr, quod ccrtantes qua grauius po- terant,fcfe fcrire
ftudcbanr,&: non iolum( quod fcripfir Scribonius Largus,qui*'Tibcrij
Cacfaris,&: Mcflalinac aetate medicina Romae cxcrcuir)c6rufioncsin
lu(ftarionibuspaticbantur,fed crianon raro vfq. ad altcrius , ucl eriam amboru
pugnanrium inreriru ccrtamea protcdcbarur: quemadmodu,pracrer Athenacumjarq,
Plurarchfi, 3.decr>p. Calcnusquoq.rcftarur,quifcgIadiarorcsgi-auircr
vulneraroscu- mc.pgcri. rafle , &: ob id a fuac ciuitatis potificc in eoru
mcdicum coopratutn Li.7.ca.3. fuiflefcribir. Quin auctor cftGcl!!us,gIadiatori
compofiroad pu- gnadupugnac hanc propoficaforrc fuifse , aur occidcrc fi occupa
uiflcr,autocciabcrc,ficcfsafsct.vtid ucrumpurarc dc bcamus,quod M.Tullius.2,
Tufculanaruquacftionumcmoriac mandauir ,athle- tas ctia vulncribus confcdos ad
dominosmittcrcfoIitoSjqui quae- rcrcnt,quid ucllent,(i fatis^a^^lu ijs cfsctjfc
ucllc dccubcrc. nam ufq. adeo T E R T I V S. A AdcomojTem.acviilncrA inrrcpidc
obibanr,utncc inscmffccrcnt . ncc multu mutarent.humfmodi ucro ncfandas hominfi
cacdcs cum' fiiftmere ocuhs no poflcr optimus Impcraror Anronin», nanar Di6 cu
cdu^o cau.flc,ut glad.arores no acutofcrro . fcd obrufis gladijs. &
tcrcnbus d.m.carcnr quod hodic fadirant, qui pu.nadi art d ^
fcendaeopcranaiKi„t.Sccundaturpit.Kiinisfpcc.cLuamo,,o^ mor ac prod.d.r
glad.arorcs hordcarios vocaros quia antiqu.tus ''• 'r.c... hordco u.d.tabant ,
ucut l>oft Plini.,m Galcnus cofdcm 6, da , &: nandun .nft.tutum crat, .n
ipfo ccrtaminc fangu.nc cx vulncrc ad- ucrfar. j b.bcrc.ra.nquam ,;s ad confi.
mandf,animu, & uircs cffica- Tn A T"'''^ '"^- l^'s,pracclarc
admodum fic a Cvp,ia- « nodcclamatucfl
Pnr.>turglad..itoriusludus,utl.b.dinccri,dcl.ul^^^^^ pus, &: a ru.nac
horismcbroru .nolcs robulb pi.,gucfcit,ut fa-.na- tus ,n pocna canus pcrcat .
Homo occiditur in homin.s LoIupur!s " & ut qu.s po(r,t occdcrcpcritia
cfl.u fus cft.ars cft,fcclus no,i ar„m " gcnri,r/cd doccr:qu.d potcft
.nbuman.us.quid acabius d.ci T " Jud.oro tcqualccft ub.
fcfcrisobi;c.ur,quos ncmo damnau.^Jcra- " tcmtcgra,honcftarat.sfurma.ucftcprcr,ofa
v.ucnrcsin vhro^eum " funus ornantur.mal.s fuis m,fcri slonanf, pugnanr ad
bcft.as nc, cr " ni.nc fcd ruxorc:ipcdanr hlios fuospatrcs , rn^ ^ pracfto
cft,&:fpcCUcul. hcctprcriu largior muncr,s.xppa,-:tusam! "
plj^hcer,urmacror.busfuismarcrinrc./fr:hoc.prohdoIor,,mtcr&"
rcd,m.t,&: .n tom ,mp,;sfpcftaculis,raq. d.nscffcfc non purantocu "
l.sparr.c,d.as.Hadcnusuir.IlcC:hnflia,ius, cuiusorariinchiccx- "
fcnbcrcpIacu,t,qdadgIad.aro.-,accxcrcirariou,sp,au,rarcollc,;-" dendam,n,l
luculcnt.ushabcri poflir. Quat,-, prauiratc illud ,nihi ualdc turpms cx,ft,mare
in mcntc ucnit,qd & Kcipub.Iibc-ratis &: Impcraroru tcmpon bus rar,
fucrinr fiuc nubilcs,fiuc ignob,lcs,f,uc
coluIa.cs.f,uclmpcratorcs,quifpcdacuIaadcoinh.inK.na,acomni
flas.r.o,&:facu.r.a plcna l.bcnrc.-, atq. maxima cu,n uuluptatc non
inrucrcntur . Numqu,d autcm cuiufuisgcncris homincs.an i^no.b,l,H,m.
dumtaxat.glad.aror.a cxc. cc. c„r,anccps ualdcfum.quod cn.m LcntuIusCapu.-icut
rcrunr,g!ad.arorcs alucr, quud C Tc " ir-cr. rcnt.us Lucanus, auctorc Plinio,gladiatorum
quadrag.nra paria in furo pcr triduum auo fuo,a quo adopratus
fucrat,dcdcrit,quod uc- oymr.jUca. L nalcs 144 L I B E R nalcs cflent,&:
tria illa ncfanda a nobis praedida profirerentunmi- 1 hi ccrtc perfuadcnte
exomniumhominumignobiliflimo fimui, ac impunllimo gcnere,ueluti feruis
exftitiflc.Ex altera parte cu Gale- de frac nus rcferar,f:icerdotes
monomachiamcxerccrc fohtos,cum Athe- klhhu nacus fcribar iUuftres uiros , atq.
Duces monomachiam cxercuiflc, cum Herodianus , arq. lulius Capitolinus Commodum
hnpcratore Spartia- gladiatorcm eximiumfuiflc,&:inpublicisrhearris,fpreta
hnpera- 7eno" ^& ^^^^^ dignirarcgladiaroris parres adimplcfsc
fcribanr,ciim tradant AibmL alij Impcrarorcs ad bellum profedturos munus
gIadiatorium,ac uc- nationes ederc confueuiflc,ut ciuiufanguine fic effiifo
pugnae qua- dam imagine Ncmefis fe,idcfl: Forrunae uis quaedam explcrer, uel ut
infuefcerent milires vulnera,atq. cacdcs in/pedare. qua item ra tione
SolonapudLucianum narratlcgem Arhenienfibusfuifle,ut faAaach. iuucncs cothurnicibus
fiuc qualeis, ac gallis pugnantibus fpettadis fliudium impcdcrent,quo illi
uolucrcs vfq. ad extremam uiriudc- feaioncmroftriscertantcs intuentcs,ad
fortiterfubcundapcricu- la,&:contcmnenda vulncra ^neauibusingencroliorcs
apparerent, inflammarentur,cuius ftudij mentionem quoq, fccit Aefchines c6-
tra'Timarchum,&:CoIumcllaIibri o6bui cap.2.Cuminquam hacc omnia
mentecontemplor,quaficrcdere cogor,tum nobiles aliqn^ tumignofciles
utplurimumathleticamhanc atq. gladiaroriam pd gnandifpcciem excrcuilfc iquando
criam apud Athenaeumrepe- ricnonnullos teftamenro cauifle , utr pulcherrimae
eriam puellac monomachorum inftar dccertarent, aut qui in delicijs fuiflent im-
puberes.ScdgratiaeDcalmmortahfunthabcndae quiad abolen dum huiufmodi nephaadum
morem quoq. principes impulerit,q(f primumabHonorio Impcrarore fadu ertc
perhiber Theodorerus ca.26.hb. quintihiftoriae ccclcfiafticac .Atque exhisclare
patct, armorumacutorumpugiiam inter athlerarum exercitationesad-
numerandamcfle.quos fciamachiamquoqueinterdum,fiue um- brarilempugnamexcrcuifse,inde
faris conijcercpoflumus>quod Glaucus Caryftius arhlera ftixnuusnon minus ob
pugilatoriam , quaminumbra pugnandi cxceilentiam celcbratus fir, ciquefta- tua
habiru , formaque in umbra pugnanris erefta , ut Paufanias ^*^^^^* narrat , tradarur
: nifi cerrius comprobarent illud haec Dionyfij in cap. libro de diuinis
nominibus ucrba : oVe/) 0 cro^o^ bx. z^vovriaraA /uj^fiTa^^ TTid^'
r^^TS)VoiOAyj7iivol7rCipovUou;,04c:!ro?^M^^ d^ofek ^ja^ rii^ airctyomg-a^
vdf^ticvc tjyroQi/i^uOi, % cLTcl 70 Jb^coLtS € nv^oc; ^-toi/to^; , axiTOvq aiq
(nncLixa.')$iuj- » nc; , oiovTOJ^ tHv airiTroLAcov ojutwv jcwtpa.T/;tcvaf :
ideft. Quod fapicns minime intcUigcns incxpertos uinccndi. athletas imitatur ,
qui faepe T E R T I V S. Afacpe antagonlftis imbecillas cflTc fupponentcs ,
prout Ipfis vi- dcriir , nccno aduerfus cos abfenres fbi tircr vmbratili pugna
ccrta- rcs,aduerfariosipfosuiciflcpurar» Habuir6in ipfisq. mulicrcs &c
uiros claborarc uolucrir. Hanc rudi- bus armis faCtam milirarc monomachiam
illam fui fsc , quam Hcr- mippus Manti nacos inucnifsc,&: Cyrcnaeos
acmularos efse fcribir, Athcnac» cgofcrmccrcdo.iicuri
limiIircrcxirtimo,quamfcrimiam uulgusdi ^^^-^* cir,cam ipfam,&: non
umbratilcm pugnam , ur Kudacus in Com. ad C Pandcdas, Guliclmus Choulus,&:aIij
nonnullifalfoautumarunr, cfse,dc qua locurus PJaro mea fcnrcnria uidcrur,
quando in Lachc- rc fcripfir,iuuenibus coduccrc, ur armis pugnarc difcanr,
quoniam lic habitus corporis robullus acquirirur , ncc ulla cxcrcitarionc in-
fcriorhaeceft,aurminuslaboriofa. In hac haudquaquam ccrtato- rcs,qacmadmodum
gladiarorcsfc ufquc ad ncccm fcricbanr, fcd rudibuS reljs quafilcfcpctcre
iiUiiccmfunuIanrcs,quandoque cria rc uera fcricnrcs,&:plagarum
inflidlioncs,&:aucrfioncs rdifccbant. Aliquando ramcn cum umbra armis ct
pugnabarcquod Cdtas pofl coenam fach*tafsc,Poflidonius audor clhl^im ucro
omnium frcquc- tiirimc pugnam aducriuspalum cxcrccbanr,qui milirarcm difc ipli
nam compararcoptabanr,quam cxcrcirarioncm ita faditaramfcri ^ fe bir
Vci:crius,quod a lingulis ryronibus finguli pali dcfigcbaiuurin
"^'''^*^-"* tciram,iru ur inic.-r" iDn pr/vr, &- rooo-ip ol
r£jg7retXai- ^piijC ^etUiurig 7raj(^ovT^CyO rcaf i^zir oiiu(poripa>v
?\y^(p6(z^Tig 'i^zcovTcif eig tcI cvavTict.i. Paullatim enimproccdcntcsin
mcdiumamborum igno- ranter cecidimus,& nifi aliquo modo nofmctipfos
defcndctcs eua- mcmoriacproditum cft. 1
m 1 li.i.fer.^. li.i.fen.^ iioc 2.C.2. j.de bclJo ciuili. DeVociferatione y ^
ri/u. Cap. VIL N T E R cereros,quos plurimos,atquc neceflTarios in hu- mana
vira vfus habcr fpiratio , non infimum locum obri- nuirvociferario. quaccum
nilaliudfiti quamacrisue- hcmcnspercufl^o,rammatcriam, quam cflcdorcm,&:
lormam,ueI a refpiratione foIa,vcl faltcm non abfquc ipfa fuppcdi-
tari,|AriftoteIes , &: Galenus pracclariirimis in i d cdiris commenra- rijs
probarunt. &: iccirco non ab re fururum cflc duxi , fi , poftquam
defpiritusretentioneuerbafcci , ftarim uocifcrarionis rraftario- ncm
fubiungerem. Neque enim ab hac me remouere dchuir, quod
Galenusmcdicorumprincepsaurnulla , aurquam pauciflfi- ma dc
vocifcrarioncfcriprisiradiderit, quafiquceam intcrexcrci- tarionesnumerari
dcbere non cenfucrir: quandoquidcm Anryl- Oribafium mcdicus cclcbrariflimus non
modo camex- ercirationcmcfleuoIuit,ucrumctiam cumad morborum diuerfo- rum
curarioncm,rum ad uocis ipfius culrum ualde aeftimatam fuif- fcfcripfit.
qucmadmodum itcm Aetius Amidcnus, &: Auiccnna Arabs uno orc poftcdoribus
facculis comprobai unr. Nunquid uc- ro athIcticacprofeflorcs,aurmiliraris
dilciplinacftudiolihoccxcr cirationis gcnus in ufu habcrcnt, U li^apud nuUum
audoi cm nora- tumaducrtcrim:pcrfuafumtamcnmihi cft, ncurros horumuoci-
fcrationcm taniquam propriac ipforum profcflioni aut conuc- nicntcm aur filtcm
rtcccfliiriam cxcrcuifle . Qupd fidicatquis, &:arhlctasinccrtaminibus,
&:milircs in pugnis confcrcndis cla- moribusnonfincutilirare vfos, quando
Cacfarhaudfruftra anri- quirusinftirurumfuilfcfcribir, utinbcllo committendo
fignaun- dique concinercnr, clamorcmquc vniucrfi roUcrcnt, quibus rc- bus T E R
T I V S. is7 A bus,&: hoftcs rcrrcri,&: fuos incitari exiftimaucrur:
proptcr hoc mi- nimc fcquitur, uocifcrarionis cxcrcimtioncm , dc qua nos
agimu^> miliraridifciplinacadttifccndac confcrrc. Duofolum humiiul gc- ncra
uocis cxcrcirationi fcdulo opcram dcdifsc rcpcrio, hirtrioni- cae
uideIicetprofclTorcs,&: mcdicorum gymnafticos.Hillrionicam enim
profitcnrcs,fubquibuspracconcs,choriftas,rragocdiarum,&:
aharumfabularumlimilium rcciracorcs, ncc non uocibus ccrritcs CoUoccqocifcrarioaibuscxcrccri
foliros.locuplctiifimus tcftiscll Platoin lonc^ Anllotclcsinproblcmatum
libris,in quibuskgi- p^^;^^/^' tur,Phiynici, ncc noncriamantiquionbusrcmporibus
tragocdias, comocdias,dithyrambos,arquc lcgcs ipfas cantu rccitari^:onfucuif
fe.ob quod uocis cxcrcitatio tantae cxiftimarionis fuit,ur,(icuri de athlctica
monftrauimus,pubHcae uocifcrationiscerraminaaCoc- ''•^•^^^j^'"^- B lio
Aurclianofiib modulationis agonillicac nominc intcllcaa , j> " pofuis
uidori pracmijs,inftirucrcntur.qucm morcm ufquc ad Galc ni rcmpora
pcrdurafse,ex eo conijcerc pofsumus,quod 7.dc mcdi- camentorum compod. fccundum
locoshb. muhamcdicamctarc- ccnfct^uibus antiqui mcdici in ijs,qui uocc
contcndcrc dcbcbat, tum antc,rum poll ccrramcn urcbantur,ubi fimihrer narrat, tempo-
refuophonafcosomncs,cirharacdos,f.pracconcs,ncc non rragoc- diam,ac comocdiam
pcrfonatos rcpracfcnrantcs,qui magno uocis excrcitio utebantur , li quando
uuccm contcndcndo oblaefilTcnt,
balneismultis,&:cibislcuibus,atquelaxantibusuti fohtos.Exqui- bus ucrbis
cuiuis intclligerc licet, non modo hillrionicae profcflb- res
uocc,&:cantu(quod dixit Plaro)limpIicitcr in rccitandis dram- ^^"«^-
maribus,rhapfodijs,aIijsuc imitationibus fuis, uerum etiam alra uo ^ ce
ufos,atq. ijs intcrdum uniformibus,i nrcrdu uarijs,&: muraris,uc- luriin
rra^ocdiaad macroris,calamiratisq. magnitudincmaugcn- dafav^uniohm,(cribit
Arillotclcs.Qiiarcmirari dcbctncmo,quod ^^^Pa«i ^oc aZ^ncnv y^^ivira^ •rfsyou
ri- vci yu/uvoLcnoL rolc a-raiuoLcnv -i 1? 7^ rov vrv/uuoLroc
KaL^i^tc^TrOieiiiwl^tJLU rolc TTOvovaiv , ocrv/u/SoLfvc-i (t rolc TroLf^iofc
^ravo/u^oic • idcft : Pucrorum uerodiltcnfioncs arquc ploratus,quiin
Icgibusprohibent,haud rede faciunt , confcrunrcnim ad incrementum, cum fint
quo- dammodo cxercirationes corponmi ,lpirirus nanquc cohibirio la- bcranribus
robur parit, quod etiam pueri^ inter plorandum di- ftenfis T E R T I V S.
iTrecho,Pctawo,^riUmJleo. Cap. IIX. 1 ca omnia,quae antiquis tcmporibus
vlirat.i,ac,vt fic di- 1 cam,pcruulgatacrant, autad nos pcrmanus tradita,
ficutdcanatomicaarrc narrat (ialciuis, pcrucnilfcnt , i.jennat. ... . .lutab
au«ftoribusfcriptismandara no intcrijncnt.mul-admini.ia C tos profccto labores
, qiios homiiics qiioridic m oblciiris , ac anri- quarisrebusadliiccm
rciiocandis fuftincnr, cirra vUam iaeturani crtiigiflfcnr . fed quoniamalia
rcmporis di ururnirarc , afpcrirarcquc obfoleucrunt, alia difficiliobfcurirarc
dcprauarafunr,aliafcripro. ruminrcriru dcfeccrunr, alia communi quadam
lacculorum nc- gligcnria numquam proprium nitorcm rccupcrarunt , hinc fa- dum
cil,ur in d ics coganrur homincs obfolcra rcnouare , dcpraua- ta rcformare ,
abolira rcficcre , randcmquc ncglcctis 6l dcturpatis fplcndorcmicftitucrcncc
non inranra obfcurirarc coadi, (om- niantes quandoquca ucrirarcprocul
abcrrarc.iiucr quos cum cgo quoque limilcm prouinciam fufccpcrim , qui arrcm
gymnafticam elim iii magno prctio habiram,nunc pcnirus obfcuraram, &: cmor-
ruam ad luccm rcduccrc ftudco, mihi ranromaiorcexcularionc di gnus vidcor,
quantopauciorcs^aurfcrdnuliifcriptorcsfupcrfunr, M 2 aqui- L I B E R aquibus
inftitutum mcura dirigi qucat.ne flleamplurima exercita D tionum gencra , quae
quod temporibus noftrisdefueucrinr, ucte- rumq. pcragcndi casrationon habcatur,
quomodoficrcnr, qua- Jesueefsent,diiiinandumcftporius,quam ccrtiquidquamaffirman
dum. Qucmadmodum deCricilafiaatque trochocontingit. Nam icfwA,«ra)?s;t«aM
o'4^?o? o>Vo^o? '^cWTuyjj^x^^aiyipyct^irc^yjcyj^ShvlwT^ ^'■^vx»,, idcft,
Habcatuero circulus diamctrum hominis lon- gitudine minorcm , ita ut ipfius
altitudo ufque ad mammas pcrtingat , neque fccundum longitudinem , fcd in
tranfuerfum jmpcllatur,fit aurem impulfor fcrrcus ligneam aufam habens. Non-
nulli rcnucs annulos rorae circumpofitos fuperuacaneos efse pura- runt : at hoc
minimc i ra fe habct , quinimmo fonus ab ipfis gcnitus reIaxationem,atque
uoluptarem animoparir.Exquibus ucrbis cla- re patct , in hac excrcirarione
homincs circulum quendam ma- gnum,cuiuscircumfcrcntiaeannuliparuiinfixi
crant,quadamfer- ^ rca uirga anfam habcnte in tranfucrfum latus impellere
confueuif- fc,a quo duda mctaphora M.Ciccro ij. epift. ad Atti.ix.fcripfir. fe-
ftiuc mihi crede , &: minorc fonitu quaputaram orbis hic in rcpub. eft
conuerfus.fcd cum hac actate in ufu non habcarur^pofTumus fa- ne aliquid
diuinarc, ar cius formam,&: condirioncs pcni tus cogno- fccre minimc
liccr.quod cnim trochus graccus fucrir,de quo Hora tiusiibHuscnt. &
Curinliis ia /.J.tn cnr annulus mbe vagathr . ibidem. C(dn Jtarg.itit obnii
turba trocb^s. & l y tii tJtn /.I.V.' 'I? , C iiiitif quam culus ahen i ,
jib 1 1. 0,,jmteU'rar^iitO(iulfonatiUreirotbus. in rroch ) namq. primocrat
circulus,&: in circulo anulus,qui fono fpcctatonbusuoluptatcm
atfcrcbat.adcrat Cx: impulfor cumanfaa rropcrtioclauisuocatus.ubidixit,
Inirenat & ver i cUu s adu.bina M 4 Curuitis 7.ACueiil. l66 L 1 B E R
Curuatis fcYmfpatijs ,flupet infcia turba , D Impubisque manus mirata uolubile
buxum Dant animos plagae, minime trochum cfTcur uolucrimt nonnuIli,ficuti,&
excrcitatio il- hviuae hodic fupra ligneas tabulas pannis contcdas una cum li-
gncis pilis efficitur,& truchus nuncupatur,trochi antiquorum apud
mefimilirudincmparuam gerir.Nam rrochusprimoin publicisgy mnafijs,alijsue locis
peragcbatur.Secudo is annulufcu annuios ha- bcbatftrepitumcdcnrcs, ur homines
pcrviamambulantcsfonitu audiro longius ab incurfu trochi cauerenr. Poftremo ex
aere con- flabarur,atque clauem aduncam habebat.quae omnia nec fepara- tim,nec
fimul in rurbine/eu rrucho noftrisrcperirisefusipfe docer. urmcriro crcdcre
debcamus,ab hislonge diucrsuantiquorumtro- p chu exflirifrc,quem(vtcgoputo,apprime
repraefenrarhaec figura. a Ligorio ad nos mi ffa^quam fc cx forma in
vctuftiirimo,atq.'ampIif fimocuiufdamComici vcl Saryricipoctac monumcnro
cxprdrain uia Tiburtina.ppe Romaaccepifreretulir.nifi quodpraerer annu- los
denresquofda circuIoinfixos,&: mobilcs monftrat. quos adftre pitumaioremedendumappofirosfuifrc
uero confonar. Trochum aute cu Horatius inrer excrcitariones connumerer in arre
poerica , Jndoctusq. pilae ydifciuCy trochiue quicfcit , 'HS ipiff^^ rifum
tolLant impune coronae : Cumque Propertiusinter gymnafiorum cxcrcirariones
rccenfeat: pro- T E R T I V S. A procuiaubio ad gymnafticam aliquam
pcrtinuifrcconfcntancu ra- tioniuidctur.&: ob id cum ncquc
milirari,ncqucathlcricac iurcat tnbui qucar, fupcrcft nicdicinac ^ymnafticac
cxcrcitarioncfuiflc, & illiuspracfcrtim^Cipucriscxcrccndisopcra
nauabar.IWscrtamc cxillimarictiamadmilirarcmaliquopadopcrrinuifscquod rcfc- rat
Ammianus MarccUinus li. 2i.iulianQ Cacf. apud Parifios uai ijs fcfc cxcrcuifsc
motibus in campo , ^ inrcr alios quodam qucm du faccrct axiculis quis orbis
crar compaiiinatus in uanam cxcuds an- famrcmanlilsc illam,quamrcrincnsualida
manu ftringcbarrcxquo loco Turncbus fummi ludicij, &: crudirionis iurc
ccnfuit ciufmodi cxcrcitarioncfuifsctrochum.Hisdillimilcmformahabctcxcrcita-
tionis illud gcnus,quod,non multis ab hinc annis in Rcgno Ncapo g litano
inucntum,hodicq. in uniucrfa fcrc Europa ufitatu, apud Ira- los Pilam &:
mallcum uocanr.in hoc crcnim primo brachia, &: dor- fum cxcrccnf,qn mallcis
ligncis pila ligncam longc pcllcrc cogun- tundcmum cx ambularionc,quac rali
cxcrcirarioni pcrpctuo afso- ciatur,ca commoda fcrc rrahunrur,quac anbulantcs
homincs pcr- cipiunr.urhisrationibus, licct antiquum non ht,minimc contcmni
mcrcarur. quamquamaliquisanriquoscriamhaccxcrcirarionc no caruifsc forfan contcdat,cum
apud Auiccnnam inrcr cercras cxcr- locckxdt cirationcsunumnomincrur,quod uirgis
rcrortis divflis alfulcgiaa
cumpilamagna,aurparualigncacflicicbatur,quasconditioncsap primc noftra
pilamallco conucnirc unufquifquc uidct, nili alias ta- cucrit Auiccnna,quod fuo
rcmporcnotilfimaccf^cnr. C Dc Equitatione. Cap. IX. ACTENVS cas cxcr^ irarioncs
profccud fumus,quas homi- nesafcipfis cirra alrcrius rei adiumcntumobibant.
Supc- ^ ''^•ft modo fcrmoncm habcrc,in quibus homincsqui- dem fponrc,^ quodam
modo libcic moucbantur,ar coru morus al tcrius moucnrisopepcrficicbantur.quod
cnim Galcnusiftis duo- ^.dtuva. bus addidir gcnus cxcrciiarionis a mcdicamcntis
favTtum , minimc adinftirutum noftrumpcrtinctridcoilludfempcrdimifsumhacra
tioncintclligatur.lntcr haccpoftrcma primum locumiurc fi')i uiii dicat
cquiratio a Graccis mcdicis iTTTrccaU uocara , ncpc quac cctc risdignior/ir,&:Iibcrumhomincm,urfcriprir
in Lachctc Plaro,ma ximc dcccat,nccnon vrriufq. cxcrcitationis naturam, illius
fciliccr, quae anobisipfis,&:iIlius,quacab alijs in nobispcragirur,fccundu
Galenifcntcntiamfapiar. Equitationisprimuminucntorc Jiclloro- phontcm i«8 L I B
E R phontcm exftitifse,auaor eft Plinius.poft Bellorophontem Thefsa- D li.xc.
y^. |- j j Centauri nuncupati cquitationc in bcllis uti coepcrunt , q lib.^
acre paullatim ufq. adeo creuit, ut Hippocratis tcpore ocs fcrc Scythae
aquis&io cquisucherentur.quicumob afliduas equitationescoxarum dolo ribus
cruciarentur , per uenarum poft aures incifionem ab ilhs cu- rati,ad coitum
ualdc impotcntcs cuadcbant; quamqua multi erant infaccunditatcm eam a
Dijsproficifci fufpicaics,quos Hippocrates redarguit , quod diuitcsfcmpcr dijs
amici , pauperes uero minime fint,(ut etiam Ariftoteles id ab Hippocrate
mutuatus confirnuuit,) i.Rheto. g^pi.optereaacquumfuifsepotiusinopes,quam
opulentos eouitio corripi, cuius tamcn contrarium cucnicbat.Poft Hippocratis
tem- pora cquitatio fempcr , quemadmodum in Hippia a Phitone tradi- tur,in
maxima exiftimatione habita fuit,^ iccirco omnes gymnafti caefpecicseam inter
rehquasfuascxcrcirationcsrecepcrQt. Nam ^ quod in circis 6c ludis maiores
noftri equitationis cerramina adhi- berent,praeter01ympicosIudos,inquosuicefima
quinta Olym- piade equorum curfus certamen mdudum iradunt;tcftatum face-
repofsuntquatuor illac Romanac faCtioncs.AIbatifciiicct , Rufsa-
ti,Vcneri,&:Prafini,quae tum in circis,rum in ludis,ac alijs cqucftri
buscertaminibusadhibirisequisjfiuc ad equitationem,fiueauriga
tionemfemperccrcabant^tantumq. ftudiuequis oprimis eligendis, ac parandis
cxhibebant,ut Galcnus dixcrit,Vcnctae,ac Prafinae fa 7. Metho. ^^iQj^i^ homincs
ctiam ftercora cquorum odorare folitos,quo cx il- lisanimaliuhabirus,atq,
tcmpcraruras internofcere,&:cognitisin- de mclioribus uti ualcrcnt, fi
quidcm harum fadionum conrentio- ncs potiundi uidoriae cayfla talcs crant,quae
ncc uUis fumptibus, p ncc vllis laboribus ac ftudijs parccrc qucmqua pcrmittcrcrreo
ma- gis qd' totaurbsquafiquadripartita crat ,alijsuni,alijsaltcrifa(ftio
nifaucntibus^nec ullapnrs ciuiratis repcricbatur,aur ullushominu conucnrus,in
quibus ccrraminum temporc dc huiufcemodi fadio- nibusaur ftudiofiflime non
difccptarctur,autfaltcmfermonon ha- beretur,quemadmodum *ex Plinij lexta noni
libri Epiftola,atq. his Marrialis ucrfibus quifque conicfti.ra afscqui potcft.
lib.n. Saepius ad palmam Vrafinns pGjl fata l^cronis VtruLnit,& viitor
pracrnia phira nfert , I nunc liuor cdax , dic tu ceffiffe T^crom . ficit
nimirum non l^ero , jcd Trafmus , Dc Vrafvio co/iun^a meas , enetoqiic lonuetUY
^ 1S{€V fadcht-qucmciuam pocula no^lrateum . quamquamluuenalis maiorcm Romanae
ciuitatis partem Prafi- nacfadio- T E R T I V S. 16* B A
naefacrionifuifsctcmporcfuo, quando Maitialis quoque flomit, teftari uidcatur
hisucrfibus. Touvi hodie l\omam CircHs capit, & fr-ignr aurem
TercutityCMcntum viridisquo colbgo pMin. T^am fideficcret,
maeftjni,attvnuamrjue vtderes Hanc v)b(tn, veluti Cunnarum in fulucre vMiS Confulibus.
Has ucro in f aucndo diucrfis fa(ftionibus hommum acerrunas con- tcntioncs indc
ortas fcmpcr cxiltimaui , quoniam Romanorum
quorumhbctucftimcntaqu.ituordumtaxatcoloribus tcxcbantur,
vclrubco,vclalbo,ucluindi,uclucncto,icdpraccipucrubc()ma- gis fufco , ut
Martialis hifcc ucrlibusindicat , dc Canudna lana ru- bca tufca fcrmoncm
habcns, I{pma magis fufcis veRitur, Cj//m ruHs , lib- M. EtplaccthicpHcris,
miittbiisivicculor. &:obhocquicumqucci ta^ioni taucrc cogcbarur.quacfibi
fimi- lcm colorcm profitcbatur . Etfi huic fcntcntiac rcclamarc uidcan-
tureaOuidijucrba. Cuius equi venicnt,fai.'.toftudiufc requiras, ,. je jrte XVf
mora,quifiuis etic , cns fauet illa ,fau'. auundi. Scd dc equitationc ludorum
,&:fpcaaculorum,quam & arhlctica uocarc licct,plura non dicam : quoniam
cruditillimus Painiinus lu- culcntirtlmc fimul,& copioliilime iu libris dc
ludis ^iuos iam cdcre parat.uniucrfamhancmatcri.im pcrtradauit. Ad bcllicam
gymiu- fticam acccdo.quam ad acquirCdam cqucltrcm pro bcll-s difcipli- nacquitationiscxcrcitioulamtuifclocupIctilhmctclbtuscflPIa-
y.Jdcg. to-ubi non modo uiroscquis armatos,acq. incrmcscxcrccri fiatuit, r
ucrum pucllis quoq. talcs cxcrcitationcs iniic concclTif, cafq. intcr cctcras
bdUcacgymnafticacfpccics, fiuc partcscuidcntcr collo- cauit ficuti Xcnophon
paritcrfcntiieuidctiir.apudquc ilchoma- chusuitac fuac rarioncm Socrati cxponcs
fic loc|Ufnr:;/tTa A t« iuoarxrw rxts ^ r£ w»Ai/Aii «fxyKxicM iTTTTXirixts o
vTt TcxxyiDV ovTt kxtko - rm,^rrr.rx £ R Trai-T**^^^* ,^o; JJ,x«^.Tr^. lioc cft
. Pcrlunoncm olfchomachc fic agcndo ni.h. placcs,quandoqi,idem uno tempore
coJlcdim fanita ti, atq. robon acquircndo opcram nauas, nec non ad bclla te
exer-
ces , diumj/quc accumulandis inuigilas ,
quae omnia admirarione digna nnhi plancuidcnrur. Exhiscnim,&:Ifchomachi,
&:Socra- tisfcrmonibusclarillImumargumcinumcIicirur,antiquosadbcl- Jicas
dilciplinas comparandas cquirarionibus ufos.Quod uero me- dicorum gymnalhc
cquitarioncs ad nmiratem rccupcrandam tuendamuc, nec non ad oprimum corpori bus
habirum ingeneran- ^^'^"' fcdimonium fufficcre dcbeicr:qui inrcr rdiquas
gymnaftr E cac exercirationcs minime infimum locum eam obrincre, cum nc- dum
corpus fcd etiamfcnfuscxcrcear,fcribit:ni/Iquoquc Anrvlli LoccKac.
Act«j,&poftremo Auiccnnae comprobatio acccderct, qui tam n'rrr
"''^'•^'•',''"^'- opportunas cxcrcirarioncs rcpo-
luir.nam&GermanicumTiberij hnpcraroris ncpotcm, cumcru- rum renuirate
dcturparcrur, cquirationc a medicis impcrariHam curafsc mcmonae prodidir
Suctonius:ut hoc excmplo pcrfuafi cre derc debeamus, cquirarioncm ramquam
utililllmam a mcdicis fcm pcr magnopcrc cxiftimaram fuifsc:quamuis & apud
ipfos ualdc re- .ZllZT,"^ r V"" "^l"^ "chcrcnrur,
& iJlis an gradarijs, aa afturconibus,an fuccufsatarijs,an
concurrcnribus:quorum omuiurn diuerfas operarioncs fuo loco explanabimus. F
DeCumliruefjiatione. Cap. X. I X I M V S duo cfsc cxcrcitarionum gcnera ,
alterum in quo homincs a fc ipfis folum moucnrur, alrcrum ab alijs, hiic, ut
Anftordis morc loquar,alrcrumin quofuapte natura,a!rerum in quo alio moucnrc
fcfc cxcrccntcs mo ucnrur Dc primo fupcriustradauimus , dcalrcroquod geftatir a
Cocho Aurchano: &: Plinio communi nominc , ab Antyllo , Herodoto, GaIcno,aIijfqucantiquioribus
mcdicis Graccis diiex » de tfie ^^•^"'^'^»^"^ "«^rl^-i ^^accrc
polhc.ti fumus : atquc iam de ^^:^- cq"'^^"'0"c,quamGaIcnus
mixtum motum fccir,fc.-moncmex. • phcau.mus. adal.a.gitur rranfcuntibus
primakfcoircrrin curri- bus ue^tutio,quam antiquillimam fuifsc, ncmo
inficiatur.fi quidem ut T E R T I V S. 171 A vt Ar^ti uetuftiis intcrprcs
tcftatur,primu5, ciui equos curribus iun- xerit fuit Ericluhonius, quem ob id
intcr caclirum imagincs rclatu fcribit Maniliusprimoallronomicorum.
Porroforma,&: modus curruumdiucrfusexftitit.Nam Pliniusmatcriam cunibus
faciun- dis idoncam abietem probat, rotarum ucro axibus Ilicc, fraxi num, atque
vlmum . Vnde elicitur uetcrcs cx huiufccmodi lignis currus fabrica(Tc,qui
prioribus illis facculis duabus tantum rotis conllrue- bantur.alias duas
audtore Plinio addidcrunt Phrygcs. Scythas po-^^-^-cj^ ftca ct fcx rotis currus
conftruxilTc mcmoriac tradidit uctuftilfimus j-^^ ^^^^ auctor Hippocratcs.quae
rotac Homeri tcporibus ftanno ornaban- aqui$ & tur,at porterioribus
facculis no modo rotas,fcd tota uchicula cborc ||'^*^*^
ornatafuilVe,legimusapud Plautumin Aulularia,ficuti Plmij tcpc- ftate tota
efTeda atq. uehicula auro,ac argcnto indgnita confpicie- B bantur. Varijs
practercarcbuscoopcrtafuilTcucrifimilcuidctur, plcrumq. autcm
pcllibus,qucmadmodum in probl. Romanis fcri-* ptum reliquit Plutarchus : licuti
aliquando equis,aIiquando mulis, aliquadobobusintcrdum uirisagifolita
lcgitur.Quin Hcliogaba- jnu^J^j^^g lum non modo uaria,3i: moftruofa
animalia,(cd ctiam fbcminas nu- liogab, das curribus iunxinc,ijfquc ipfura
ucdum c(fc,tradunt.Hacc porro geftatio in currib. facta olim Romac inter
mulicrcs in maximis de- licijs habcbatunad tantumq. luxum aliquando
pcri!cnif,ut cas ipfa vtifenatufconfultouctarc,coacii finr Romani. cuius rci
gratia cum muliercs ira percitac inter fcfc confpirallcnr, nc qua eorum conci-
pcrct,ncue parerct , atq. ita uiros ulcifccrcnrur , Romanos muraffc
fcntcntiam,a:q. itcrum illis curribus uti permilifsc,fcrip:is manda- uit
Piurarchus . In quibus dcinccps nc fcdcrcnr, ncuc cquis pcr ur- C
besuchcrentur. M. Aurclius Anroninusphi[ofophus,matronarum confulcns
modcftiacdcnuo prohibuit. Ncq. minus apud gymnafti cos haec ipfa geftatio
acftimaia n pcrirur:quado,fiuc ]udos,&:facra ccrtammafpcdtcs, fiuemcdicorum
librospcrfcrutcris,inomnibus ca uhrata apparcbi t.Quis quacfo nefcit nona 6c
nonagclima Qlym- piadc curruum ccrramcn in Olympicos ludos inucCtum. Quis igno
ratSynoridas,quibusanimas nollras Platoin Phacdroclcgannin- mc alfimilauitjncc
non bigos , quadrigasuc curruum gcncra in pu-
blicisfacrisfrequcntcrcerrafsc?quodpoftea ftudium ira apud Ro- manosexcultum
,arqucau6tumfuir,utpauca,ucl nuUafcrcpubli- cafpcdacula edcrcnrur, quin curruum
certaminibus honorifica praemiapropofita (pcctarcnrur . OJb quac rcfcrr Plinius
in quadri- ^'^-^^.c.t garumcertamine ,quod Larinarum fcrijsin Capirolio
cclcbraba- rur,pro pracmio uiftorcm abfmchium bibcrcconfucuilfc, quafi fanira-
172 L I B E R fanltatem inpraemium dari ualde honorificum arhitrarenturma- D
iores. An vcro gratia bellicae difciplinae adjpifccndae ucaatione in curribus
utercntur ueteres , nil certi affirmare audeo . Exiftima ^ paed. tamen cum ab
Homeri aetate vfque ad Xenophontis tempora , at-
queetiapoftenoribusfaecuIisperduraueritmos,utinbeIlisecur- ribus quoq.
dimicarcnt,quemadmodum in equitatione exerceba- tur,quofierent
bcllisgcrcndisaptiores: fimiliter&incurribusfe exercerc ucteres confucuifle
, ne , cum pugnandum erat, tamquam inexercitati J&: diuerforumagendi
currusmodorum expertesfu- perarentur. Cctcrumquod medici
gymnafticifimilemuedtatio- nem tam pro fanis conferuandis, quam pro aliquibus
aegris curan- disinufumrcceperint, clarillimc tcftatifunt Galenus, Antyllus,
h^Yil ^^^^^^^^^^ ' ^^q^^^ Auicenna : qui non modo eam inter gymnafti- • * cae
uerac exercitationes reponendam volueriinr, immo & febrici- E tantibus
(quod paucillimis exercitarionibusattributuminuenitur) tamquam maxime
commodamcclebrarunt. huius etenim quaii
vafrn^^^^^"^^^^^^^^^^"^^^^"^^^^^"^^' altcru,inquahomincsueai
va.cii. fcdcbant.alreruinquoiaccbanr.atqueutraquchaccraroinurbe, frequcntiflime
per uias , &: extra urbem pcragcbanrur. iccirco fcri- In probl.ptum
eftaPIutarcho, Romanoscoaaosfuiflcin Scptimontij fefto ^o^- prohibcre, ne ea
die vchiculo uti liccret, ut vrbs,&: fcfti celebratio non relinqueretur.
Nunquidautemfanifimul,&:ualerudinarij in ijfdemuehiculisexercerentur,
indicafle mihiuidctur Herodotus apudqucmlcgirur, febricitantescurribus, qui
manu ducuntur, ' ncc non bigis geftari foli tos, atque illos a pi-incipio pcr triginta
fta diamoucri, deindeca conduplicare; hos a ftadijs triginta, aut quadraginta
initium duccre, &: ufque ad fpatium altcro tanto P maius progrcdi
confucuifle . Sanos ucro omnibus curribus, &: te- ais , &: apcrtis fine
ullo difcrimine ufos cfsc , ucrifimile fit : etfi for-
tafscprincipcstcdispotius, quam dctcdis ucdtoscredere pofsu- mus, quadorcfcrt
Dion hiftoricus, Claudium Caefare du profpera ualctudine utcrctur,caputq.
trcmulu,&: manus,ac linguatitubantes habcrct,primu olum Romanorfi vehiculo
undiq. obrccto gcftatfi ef fcficuti Pliniusiunior ob oculoruinfirmitatc fc
aliqn vsu illo tcfta^ tur Epiftolarum lib.7. ita kribcns ad Cornuru fuum: Pareo
collcga ,,clariflimc,&:infirmitatioculorum,utiubcs,confulo.Na&:huc
tct\o , , uchiculo undiq. occlufus, quafi m cubiculo pcrucni . £x his igitur
oibus cuiq. cognofcci-c licct,talcm cxcrcitationcm no minus ccte- ris
gymnafticis probara fiiifs? , quippc quos , &c non aurigas moruu ommum
cxhac gcftacionc contingentiufaculcares, &: conditiones probe- T E R T I V
S. 173 A probe intcUcxifrcfcribir Galcnu Je//a. Cap. X U ECTiCAM , atq. fcllam
ob commoditatem potius eorum, qui vcl fcncviutc , vcl morbo impcditi ambularc
pcdibus non potcrant,ucl ob dclicias, quibus fcmper homincs llu-
ducrunt,inucntam fuilTc^t^ob aliud,non dcfunt qui opincntur: ncc forsa finc
ratione;qnquidcm nuUa apparct probabilior caufla, qua indudi uctercs
huiufcemodi inllrumcnta cxcogitaucrint , \ quod cquitarc,^ pcdibus ire
ncqucuntcs,aliqua rcm optaueriiif, qua do mo cxirc.p vrbcs uagari>iter
faccre quam commodc ualcrcnt : nifi dicamus,impcratorcs,Rcgcs,atq. Principcs nc
in facicndis itineri- bus a folcui ucnto, pluuia tcmpcrtatc , atq. fimilibus
oflcndcrcntur, lccticas,&: fcllas vndiq. obtcgi,6c rctcgi aptas
inucniflc,quas alij po ^ ftcadiuitesluxus,ac uoluptatis,fiuecommoditatisgratia,&:pollre-
mo mcdici,gymnaftacq. ad vfumhominufibiipfisconcrcdirorum traduxcrint.vtcumq.
fit,conftat ,quosnupcrrimc diximcdicos,atq. gvmnallas illas ad cxerccnda fiicpc
ualctudinariorum,rarius fano- riim quoq. corpora vfurpafle.Scncca cnim Epilt 5
6.ita dc gcllatio- nc loquitur. Agcftationc cum maximc ucnio non minus
farigatus,q, fitatumamI>ulaflcm,quantufcdi:laborcftcniin diu fcrri,ac
ncfcio, an co maior , quia contra naturam cit; quac pcdcs dcdit ut pcr eos
ambularemus,ocuIos, vtp cos vidcrcmus. Dcbilitatc nobis induxe rc
dclitiac&quod diu noluimus,poflc dciiuimus,mihi tamcn ncccf fariumerat
concutcrccorpus,utfiuc bilisinfcdcrat faucibus difcu terctrfiuc ipfe cx aliqua
cauflii fpiritus delior erat,extenuarct illum iaftatio, quam profuifsc mihi
fcnfi.Quac ucro tam lcdticac,qua fcN laeforma fucrit,nil itaccrtuhabcf ,quin
dubitarccuiuis liccat, at« lamcn vcrilimilc cft,in capulumar,&:lcdulum
ftratum fuiflc,quo &: iaccrc. 174 JL i B £ k iacere,&fcdere,&:prout
Iibebar,quigeftarentur,pofIenr.anm cete D ris fucrit noftrae diflimilis , uel
potius fimilis jcredo non admodum diflimilem exftiriflc^nifi quod noftras a
mulis,uel equis ferc fcmpcr geftatur , illa antiquorum ut plurimum afcruis kx
portabatur, atq. ob id Hexaphoros nuncupabatur, uri ex his ucr/ibus Martialis
Lib.s, pcrfpicuum fit,inquibus Afrumquendainpauperem,&:iuueneiu
deridet,quod Icftica gcftari uellct. Cum jis tam pauptr quam nec mijerabilis
Irus , Tam iuums , qnam nec Varthenopaeus erat , Tam fortis, quam nec cum
uinceret Artemidorus , Quid te Cappadocum jex onus effe iuuat ? f^deris ,
multoque magis traduceris ^fer, Quam nudus medio ft fpatiercforo , 2{pn aliter
monftratur ^tlas cum compare mulo » Quaeque vehit fimilem hellua nigra Lybin ,
£ Jnuidiofa tibi quam fit ledica requiris ^ T^on debesferri mortuus Hexaphoro :
fimilitcr &: ubi Zoilum carpit , quod lc£kicam fandapilac fiue fere- tro
mortuorum fimilem habcrct. tlh,!, Laxior hexaphoris tua fit le^ica licebit ,
Cum tamen haec tua ftt T^oile fandapila . Lib.^. Nam exhisliquido
intclJigerequifq.poteft,le(flicamferefempcr rcmfulm!^^^^^^^"^^ qucm vlum
Cappadoces Marrialis, Gcrmanos
TerruIIianusadhibirosfcribunt)fiqueinterdumaliquis lcdicariorum numcrum augcre
uoluifset, prorinus fuifse norarum , qucmadmodum idem Marrialis indicauir, ubi
Philippum qucnda infanum uocat , quod ab odo fcruis Icdica eius ob quandam
diui- tiarum inanem oftcntationem pcr urbcm geftaretur , OBaphoro fanus
portatur ^uite Vhilippus , F Hunc tu ft fanum credis ^uite ,furis .
Cumitaquclcdica antiquorum itafchaberet,nonmodoprofedc commoda, uerum ctiam
conciliando fomno,dum claudebarur in- fcruicbar,ur luuenalis reftatur his
ucrbis. Tslamque facit fomnum claufa lcHica jenejira. tamq. frequcnsillius crat
ufus,ur caftra Ie£bicariorum,qui folum gc rendislcdticis , ucl criam marronis
in eis dcponcndis,ac gcftandis, ur eft apud lurcconfulros mcntio ,
dcftinabanrur, pluribus in locis habcrcnrur,in
quibus&:iuraipfisdabanrur,&: aliaincaftris ficrifo-
litaagcbantur,quamquamlibcrtis omnibus Icsftica perurbemge ftariuerirum crcdam,
Sucronij audorirareinduilus, quiClaudiu Impcrarorcm Harpocratilibcrro ledica
per urbcm uchcndi fpefta culaq. publiccedcndiius rribuiflcfcribir. ArquifcIIam
duplicem fuiffc T E R T I V S. J7$ A finffctradidit
Antyllus,fiucpotiusciusintcrprcs;aItcrani,Hi qua fc^»'- i-chro. cicbant,c]uac
ucl coopcricbatur , ucl apcrta lincbatur,&: a nonnul- lis,ucluti a Coclio
Aurcliano,porratoria fclla,ac fcrtorium diccba- turuilrcram in qua
iaccbant.primam quoq. tcmporibus noftris ui- dcrc licct,cum podagrici,diuitcs ,
atq. alij principcs dclicijs nimis dcditiillaquotidicuchantur ,quaitcm uiros
magiftrarum gcrcn- tcs olim gcftari confucuiflc,atq. indc currulis fdlac, in
qua ranrum fcdcbatur,nomcn cmanaflc arbirror:fccundam,in qua iaccbar,non
habcmus^quod cgo fciam,nili dicamus lc€ 17:6 L I B E R Dc Agitdtione per lcCios
fenfdes , Gr* ^er cunas faCta de ^ Scimpodio^ Ca^. Xlh VOD agitationcm pcr
ciinas , &: Icftulos pcnfilcs , quos d uos fub KhivH^ vocabulo a Graecis
complexos fcntio,fo dtam inter gymnadicae excrcitationes recenfere velim,
lorfan aliquis mirabitur^cum hac tempertatc cunae io- lis pueris cblandiendis
inferuiant,p aucilTimiq. finc , quibus medici pcnfiieslcftulos parari iubcant
rucrumtamcn ismirari definet,{i Galenum,Hcrodotummedicum ,Actium, &: Auicennamdiligen-
tcr icgcrc placucnt : qui cum hui ufccmodi agitationcs inter alias
corporumhumanorum exercitationcs adnumerarint, cur amefi-
Icntiopraeteriridcbcant,nonuidco. Nam cunas ob pueros po- tius,quam adultos
excogitaras fuiflenon equidcm diffitcor,fcdpu-^ to talem motioncm interdum ui
ris cum ad lcnicndos dolores, tum adconciliandumfomnum non parum adiumenti
pracftarepofse, Oriba lib. u t pracclarc fcriptum eft ab AntyIlo,&: Aetio,
apud quos lc6tus fiil^ h^fte. cramobiliaiuxtaangularcs pedcs habensnilaliud meafemcntix
fignificat,quam cuna^s ipfas,quas etiam intellcxit Cclfus,vbi dixit,(i „ ne id
quidcm eft,uni lcdi pedi certe funiculus fubijcitdus eft, atq.
„italea:ushuc,&:illucimpellendus.&:fi Oribafij interpresnomen
jtAiF^spro Icdtica transferre maluerit , & iccirco omnes illosprorfus falli
crcdo , qui in gymnaftica medicorum eas nullum ufum habe- re cenfear. Quibus
fimilis quoq. eft exercitatio illa puerorum,duni in vlnis a nutricibus
geftantur , quae ic a medicis, &: a Platone pro ^ ipforumualetudine miruminmodum
probatur. Eadempropeeft U.'2.^.ca.3. tamlcquiavulgatae,&:omnibus manifeftae
clsent . Quaetemporibus noftris cum a plerisque ignorcntur» opcr^e T E R T I V
S. 177 A opcrnepretlum me fadurum fpcro, ii bi cuiicr , qujd fcnrio , in mc-
dium artcram . Kam ck* lcchilispcnlilibL.sqi-ev piiinum ab Afcle- piadc
cxcogiiatos rradit Plinius, opinor cosruiflclcctos quofdam^*^**^'^ ! paruosmodo
c\'ligni:>,modocx acrc, modocxar^^cnro (maiorcs nollros criam argcnrcos
lcrtcs babuifle A ripfir Plinius) conftru-^*^-^^^-^ (ftos,qui quatuor angulis
runibiisadcubitium Inqucaiiaalligaban tur,ita ui rcrra fubla'^i
aliquantulum,qua{i in acrc.pcndcrc uidcrcn tur.Balncafimihtcr^f^enhlia a Scrgio
Orata,tc(lc plmio^primum in- lib.^.c.r^ iicnra,non quac
fuprauClAtkbanr^ai^rconcamcrata l(>ca, ut uoluc runr aliqui;,lcd
nuIlaa!iat"uin*ecrcdo , qiiani labra illa ucl marmo- rea, uclacnca>ucl
Ifgnca^ad lcc>ulorum imirarioncmlaqucaribus appcnfa, quo mmimo qucliber
manunm impii!fu,a!ias!enitcr,a!ias uchcmcnriusagirari ualcrcnr. quod Scnccaad
LuciIIum fcribcns B nobis manifcrtauit hisvcrbis. Jjalncarum fnpcnfura
inncntacft: nequid ad lautitiam dccflcr . His igirur moribus quolcumque
cxcrccri mcdici praccipicbanr , huic uni porifTimiMn iludcbanr, yr morum citra
Jaborcm, Jalfirudmcmic ullam aflcrrcnr: dcin- cepscurabanc.nciniexcrcirationc
iliaiucundiras dcliderarcrur, quac profcLlomaglia in lcflulis, armaximain
l.alncis rcpcricba- tur, ncmpe quac pracfcr luauillimum iHum morum ,aquac dclc-
diaiioncm addcbanr, dum ca molliiTMic , blandaquc ntillarione quadam (ingula
corporis mcmbra rangcbanr. fi namq. balnca pcn- filia eafuiflcinrclliganrur,
qunc fupratcifta ficrcnr, quomodo in illis maior illa uolupras, ob quamlccundum
Scnccam&: Plinium excogirata tucrunt, rcpcrircrur,quam in alij5>,non
uidco . Dc pcn- lili lccto dixir Hcrodorus , gcftarioncm in illo t.imdiu
facicndam C cfsc, quadiu quifpiam in fclla gcitaius quadraeinra Itadiorum ircr
conficjcbar.alrcri ramcn ciufdcmaucttorisfcnrcnriac hbcnrius ac-
quicfco>vidclicct huiufccmodi cxcrcirarioncm,quatacfse debcat, facile numcro
dcriniri non pofsc. quod non rantum in his , fcd &: in omnibus alijs fcnrio
obvarias, acdiucrfas acgroranrium affe- itioncs, quibus non cadcm vJlo modo
conucnirc* pofsc , oinncs vel mcdio critcr in mcdica arrc pcriri uno orc
pracdicanr . Lcftulo pcnlili fimilcaliud inflrumcnrum uctcrcs habuilsc iiuicnio
,quoJ QKitiTriJ^m Gracci, fcimpodmm Larini codcm vocabuloappclla- runt. huc
licctnufquamappcndcrcnr, crar tamcn vcl lcdtuspar- uus, vcl quidinformam lccti
pcnfilis conftrudum : arquc ipfopcr Yrbcs,& pcruias ram uiri quam muhcrcs
gclbbantur,ur Dion hi- ftoricus dcmonftrar,fcribcns,primo Aug'iliu,ac Tibcrium
in fcim- podijsquandoq. uchi folit05,cuiufmodimuIicrcs rcmporcfuo gc- N 2
Itabanrur, 178 L 1 £ R ftabantur, fecundoquod Seuerus,
dumBritanniamobirer,fcimpo- D dio undiq.obtcdoferebatur. Ceterum
quahshuiusinftrumcnti figura exftiterit,haud fatis conftat: putandum cft tamen
fellam f uf- fe ita fabricatam, ut ledum plumcum paruum caperet,ita ui nxftum,
utpenderc viderctur, inquofinonpenitusfaltim exaliquaparte, qui
ferebantur,iacebant, &c vndique^ ne ab aeris iniurijs laederen- tur,
coopcriri poterant. hoc intcllexiffe meo iu dicio uidctur luue- nalis,cum
Crifpinum quendam mordcns diccbat. Sat. I. dedit crgo tribus patruis aconita ,
vehatur Venftlibus plumis , atque iliinc defpiciet nos ? dc eodcminterpretanda
efthaec infcriptio quam mihideditAl- dus Manuiius Paulli dodiffimi , &:
eloquetiflimi filius cruditiflimus, quamquc Parma ad Andream Naugcrium olim
allatam retulit. E D. M L. AEMILI. ViCTORI. QVI. PRI DIE. NATALEM.SVVM
VICESIMVM. ET. SECVNDVM.PRVNA. I N. PENSILI POSITA. VRGENTE.FATO. SANVM.
IPSE.NECA- VIT. SE. L.AEMILIVS. VICTOR. PRINCIPALIS.ET AELIA. VENERIA. FILIO.
PIENTISSIMO E T. S 1 B 1 10. Mcth. neque aliud fignificauit Galcnus , quando
balnea ingrediendi mo-dumhedicispracfcribens haccfcriptismandauit:
ccggCfjsoOt/rccSQu-^ TioiAcci Ko^i^^ai ^iv \ial rov cmiiATroJ^o^ltsriHcchccniou
, idelt, aegrotan- temuolo portariin fcimpodioadbalneum. nequealiudLibanius
Li.j^.c.io rhetorinlibrodefuaipfiusvitaintellexir,dumdixit:cLidomi fum, F in
le^to iaccoivbi vero in fchola,in fcimpodio.ficut etiam idem in- tellexi t
GcIIius,ubi fcribit, fe Frontonem Cornelium pedibus gra- uitcracgrum
infcimpodioGraecienficubanteminuenifle. Patet itaque non modo ob delicias,atque
uoluptates a maioribus noftris iedlulos, ac balneas penfilcs , nccnon fcimpodia
; uerum ctiam, &a medicis gymnafticis ad cxercenda valetudinariorum corpora
vfur pata fuiflc . Quale porro fuerit inftrumentum illud machinamentu li.3.c.^.&
raptorium,&: macron fparton a Coelio Aureliano uocatum,quaIii- 11. y.c.
yJt. apud eundem rccufsabilis fera Italica nominata , quibus duo- bus
geitabantur, nonduii) mihi plene compcrtum eft , cum a nullo
alioau(5loreipforum mentionem hucufque faitaminuenerim. nifi tucrit. utfupra
diximus ,petauruii>, uclpotiusfic Coelij contextus deprauatus. De T E R T l
V S. 179 De O^AUigiitiotiey Ti/cAtione. Cap. XlII. NTER
gcftarionisfpccics,quacplurcscxerccndis cor- poribus cxftitcrunt , nauigationcm
quoq. rcpofuit An- tyllus , quem fccurus Aerius , 6i poft cum Auiccnna ma-
nifcftccampro cxcrcirationc habitam dcmonftrat; id quod utriqucnon
ramabcxpcricnriamcoiudicio dclumpfcrunr , cjuam ab antiqua diuini Hippocraris
fentcntia , qui nauigationcm &: moiicrc corpus, pcrrurbarc dixir. ni(i quod
Auiccnna nauiga- 4.Aph.i4 tioncm inrcr dcbilcs cxcrcitarioncs adnumcrauir,
Hippocratcs ue ro eam corpus magnopcrc pcrturbarc afscrir, id quod potius uche
menris quam rcmilli motus argumcntum vidcrur . Hac nauigatio- nis excrcitarionc
duas pracfcrtim gvmnafticas, fcd non admodum B ufasinucnio, mcdicam
fcihccr,&: bclhcam . Mcdici ca utcbanrur ucl ad ahquorum fanorum habitus
confcruandos , ucl ad nonnul- lorum acgroranrium fanirarcm comparandam, ad
(anos urcbanrur nauigationc,quod(i!t ab Ariftorclc fcripnim cft) marcob
placidas i partjV. afpirarioncsfalubriratcm inligncm facit,undc nauiganrcs
fcmper ^^^^' ^^* coloratiores exliftunt,qu;im m paludibus dcgctes.Ad acgroros
uc- ro,quoniam idcm humorcsputridos, ac nocuos rum uomitu,qucm frequentiftinxinfucris
praefcrrim parir, rumucnris,ac vaponbus ficcisex/iccare narum cft.quare dicebar
Auiccnna nauigarioncm 3'''^oc.i, leprae,hydrop](i,apoplcxiac, ftomachi
frigidiratibus,nec nonin- flarionibusciufdem magnopcrc prodcfsc. Plinius
ucro&phrhifi-Jj^P '* ^ cis,&:fanguincm excrcantibusadiumcnrum afTcrrc
Annaci Gallio * nisportconfulatum iracurati exemplo rcfta^us cft . qu: ircmab
hu- C iufccmodi affcclis Acgyprum peri non ob rcrram ipfam,fcd pro- prer
nauigandi longinquirarcm ccnfuit ; utcriamcius NcposPli- nius fccundus ZofJmum
libcrrum fanguincm rciCLtanrcm co fc mi- ^ ^ ^pi^* fifse,&: confirmarum a
ualerudineredijfsc narrar. quamquam au- dor illc nomine Plinij
falfoinfcriptusin libro i.dcrc mcd. Icnfc-^-*^'^- rir phrhilicis utiiius c(sc
in faltibus m( rari , ubi pix nafcitur,qua in marinauigarc&cmarinaloca
uifirarc. quod etiam tradirumcfta Marccllo mcdico. nam &: Galcnus ix.dc
linipl.mcdic.ubi dc rcrra Samialoquirur, mcmorar, multospulmonc vlccraros Koma
obid in Libyam profcclos , annis aliquot inculpatos uixifsc , poftca ucro
morbum recruduifse, ubi non pari cura uuicbant . Modus in naui- gationc
ualcrudinarijs obfcruatus /ic ab Hcrodoro dcfcribirur, ^ .^, quod
afcxagintaftadijsincipicbanr, i?cin duplum Iiorum dclinc- banr.Porro
luuiijationis plurcs fucrunt durcrcntiac, quando aliac Oynwtilica^ N J in iso L
I B E R in mari ,aHaeinfluminibus, aliaeinmagnis-, aliac rnpaf uisnaui-a
bus,aliae remis,aliae remulco, aliae uento, aut uchementi,aut pla- in lib. de
cidiorefiebant. De nauigationcperflumina traditumefta Plutar- ^^aufliiua» cho,
cam minus naufeam producere , quam mare, quod tam odor, quam timor c maris
adfpcdu proficifcenres corpora pcrturbant,ar- qucfic uomirumcicnt, quae resa
fluminibus minime contin^it. conrra Coclius Aurclianus in inueteratis capitis
doloribus cctcris
practulit longam pcr
marianauigationcm> quoniam (vtipfe in- quit) fluminalcs, ucl portuoliic
nauigationes , ncc non ftagnorum, incongruac iudicantur , nimirum quae caput
terrcna exhalatione humcclantcsinh*igidant,maritimacuerolatenter,atq.fcnfimcor-
pus apcriunr,&: falfac proprictatis caufsa corpus adurunt, atq. eius
habirumquadammutationercficiuat.Hicigitur fuitapud gymna-
fticosmcdicosnauigarionis vfus, quam paritcr bclUcacftudiofos E amplcxos fuifse
diximus. quandoquidcm Naumachiac illac, quae a Romanis in circo,uelaIiquoterrae
finuprope Tibcrimmanufa- &io tali cxcrcitarioni dcfignato
rcpraefentabantur, fuerunt qui- dcm ad populum obIc(Sandum (ccundum aliquos
praccipue infti^ tutac, qualcs ilhicquas ab impurilfimo Hcli ogabalo in Euripis
vi £.Y vrbe ad marc huc prodimus pjbuiituyyt , procxcrcitio Gymna(lico,&:
Palacftrico hoc habcmus.quacta- mcn pifcario cum a Plaronc improbara (ir,quod
ncquc animus.ne- In fopnift quc corpus in ipfa cxcrccarur, lurcmcriro cam
ramquam nulli uri- Jcm omncs fcrc gymnaftici rcicccrunr,nili quod ^jalcnusipfam
in- i.itu $5. tcrcxcrcirationcs,quac limul opcrafunr,rcpofuifsc uidcrur, iicut
^P-'« & Auiccnnaingrcdicnrcm pifcaroriasnaucs dcbilircr cxcrccri cc- fuir.
quorum fcntcntias duabus dc caullls infinnas rcputarc debc- mus,rum quia ncurcr
corum cxplicatc , quid boni affcrac pifcario, Q declarauir,quali excrcirationcm
huiufccmodi non admodum pro- barcnt > fcd communcm porius quandam fcrmonis
confucrudincm fcqucrcnruri tum quia ipfcmcr Galcnus pifcatorum habitus du- ^
ros,arquc aridoscflc dixic.cuiusaridiratis rarionc Ariftordc pifca- mcd^mL
tores marinos pilis ruris pracdiros cfse anrca fcripfcrac.unde mcdi- 3» p^rtic
ci,qui bonum habirumcorpori cxcrcirarionibusacquircrcftudit, ^'^^^**- quomodo
durum, ([^aridumcfticcrcpifcarioncuclint ,non uidco ; pracccrquam quod cunctac
propc pi(carioncsfub(olc,&:inlocis facpe maloacrc plcnis pcraguntur, una
cxrcpra maricima : ut his omnibus crcdcrc cogamur , pilcationis laborcm mcdicos
parui aelhmafsc. Ncq. ramcn dcfucrunt Jnipcrarorcs,qui cxcrciratioius
cuiufdamgratia inrcrdumpifcarcntur ,ccu dc Cacf, Auguftofcri- prum cft
a^Sucronio,6«: dc Alcxandi o Scucro a Lampridio , dc (luo ira fcribitrVfus
uuicadi cidcm hic fuir. piimum, i;t /i faculLis cfsc r,idc/lli cumuxorc non
cubuifscr.marurinishorisin hu i'; fuo,in quo N A &:d:uos «2 L I B £ R &
diuos pnncipes,fed optimos eledos,&: animassadiores,;m qucis &
Apollonium,&:,c[uantumfcriprorfuorum temporum dicir, Chri-
ftum,Abraham,&: Orpheum,&: huiufcemodi dcoshabcbar,ad Ma- iorum
effigiesfacrafacicbar. Si idnonpoteratproloci qualitarc, vel vcd:abarur,vcl
pifcabat,ucl deambulabat,uel uenabarur. Haec Lampridius.Quid aurem fucrinr
pifcatorij ludi,qui quotannis mcn fe iunio rrans Tyberim a praetore urbano pro
pifcaroribus Tyberi- nis,au(5tore Fcfto,agebanrur, nonduin ira cerrus fam,ur
turo affirma re queam,arhlericam gymnafticam, cuius ludos fui(se,diximus,pi-
fcationis exercitium habuifse. De Natatione. Cap. XI V.
AGNA,&:fereincredibilis apud ueterefuitfemperna- tationis exiftimario ,
tanrumque per plura faecula illius vfus uiguit,utnonminus pucri narandi arrcm,
quam primalirrerarum elcmenta edocerentur. quotempore cum nullamaior
ignorantiae nota inuripofset,quamdum aliquis nec lirteras,nec natare fcire
diccbatur, fadum fuit,ut pofteriores il lud in prouerbium conrra bardos, &:
prorfus inerres continuo recc perint,
adhucq.iraloquediconfuerudopermaneat,quando naran di peritia,fi non eofdem
honoresobriner,quibus anteadtisfaeculis afficiebarur,falrem nec penirus
neglefta , nec inurilis iacet . Ratio enim, qua impulfi maiores noftri narandi
fcienriam ranti fecerunt , haecunaiudiciomeoexftirir,quodprimis illis
remporibusapud 5c£^^^ rcfpub.quafcunq. viri fortesprac caeteris,ut fcribit
Ariftoreles, ho Prob.y.& norabanrur,qua(i ab hisloIis,&ciuitatum
filus,&: imperij propaga 2.Rhc.c:.4 ticpendc rer:&: ob id quifq. uel
faltem maior nobilium, arq. eriam aliorumparscomparandaeforrirudiniufque
aprimis incunabulis
incumbcbat . Quocirca,ut in naualibus
quoque pugnis,quae runc frequcnriuscommitrcbanrur,in rranfeundis uadis,ac
fluminibus homincs nandi arti confiii pcricula magis euadcre pofsent,mi-
nusucformidarcnt, (quando facpcnumero milites mare ingrcdi coadi ob nandi
ignoranriam fuffocabanrur , qucmadmodum exer- Dc Cyri cit^-^i ^yi*i cucnifsc
memoriae prodidir Xenophon ) ficq. forricres minons jntcraquarum pcricula
ficrenr,natarionispcritiam exrulerunr;qua «^pc^i^- ctiam rarione Komani
uerercs,ut Vegerius fcribit,quos ror bclla,&: continuapericula
miliraremdifciplinam docucrant,campum Mar llb.i dcrc tium Tybcri vicinum
dclegcmnr,in quorum alreroarmorumexer miii.cio. citationcs
inirenr,inalterofudorcm,p-uIueicmq.diIuerent , acfi- mul T E R T I V S. if, A
mul natarepcrdifccrent >uthisrarionibus,ac VcgcrijauAoritate facilc lit
iudicatu,militarcm gymuafticam nat.mdi cxcrcjtacione noncaruifse.
Cctcrumpoflcnori tcmpore non modonaranoob difusrationcsufurpatarcpcntnniicrum
etiamob ualctudinis con fcruarioncm,nonnullarumquc adcdionum curationcm mcdicis
gy mnallicisipfiim probatam hiific Antyllus tcftatum rclic|uit. q:i". J
itcmfcnfillc uidctur Galcnus inprimo ad Glauconcm,ubi Libo-
ranribustcrtianafcbrc conccdit,utungantur,&: balncum ingre- diantur, ibiq.
madcfiant,&: li uclint , ctiam natcnt . Qiiod cnim na-
tatiocxcrcitationisloco habita tucrit ,practcr Oribalij ^uidorita- ^^^^
temdccaintcrcctcrasexcrcirationcstradantis, &:alauationc,dc: qua libro
pollca dccimo fudirunc fcripiit fcparantis, ipfa qnoquc ra tio pcrfuadct, ncmpc
quia in huiufccmodi morionc infignitcr uiii- B ucrfum corpus,&: mouctur,uc
duobusmo- disnatabant, ucl inpifcina,qLiam m frigidario luifsc /upcrius dc-
monftrauimus: (tamctfipifcinasapud Varroncm,&:aIios La:inae C
linguacauvftorcspropriclocapifcibusalcndis, ^faginandis dica- ta fignificarc
crcdatur)ucl in labris illis amplis,quac adhuc Rouiae uifuiitur . Qu^od in
pilcinis , quac in frigidario tlicrmarum acdifi- catae erant,quafquc thafio
lapide aliquando circundiitasfuifTc tra dit Scncca,iiatarcnt,omnium clarilfiaic
ollcndit Ciccilius Plinius, Epm. 7,9^ qui in Epi(t.li.2.viilamiuam cxacliifimc
dcpingcns,dc balnciscius itafcribit. indc balnci cclla frigidaria
fpariofa,&: cf}afc,cuiusin contrari js parictibus duo baptiftcna ucluri
cieda linuantur , abun- de capacja fi innarc in proximo cogitcs , adiacct
undormm, hypo- cauftum, adiacct propnigcum ; balnci mox duac ccliac magis clc-
ganrcsquamfumptuofac.Scdhoc clarius explicat li.^.ubi Tufcos luos defcnbcns
iiitcr ccicra hacc habet . Indc apodyrcrium balnci „ Iaxuin,(5(: hilarc cxcipit
cclla frigidaria,in qua baptirtcrifi aniplum, natare Iatius,aut tcpidius udis.
Ex quibusomnibusfatisapcrtum
cft, 184 L I B E R tdyin gymnafijs fiue
balneisueteres nare folitos,atque in higidan} D baptifterio alias pifcina
uocata>de qua menrioncm kcit TertuUia- nus in lib.de baptifmo , & dc qua
exiftimo locutum Galenum dum in y.Merhodi ficcitatcuentriculi
laborantescurandiratione edo- ces,magis laudat lotionem in balneo fada Iv
rocgHoXviJiHSg^is . ideft, inpifcinisnatando inftitutis,quam
h70i\i4iKgotQm/tMig,c[[iamquam etiam pifcinaminterdum in area gymnaliorum
acdiricatam credo, ut teftaturPliniusloconunccitatOjinquopoftdidaucrbaait. In
areapifcinaeft:&: ante Plinium Maitialis, quili. 5. Liguhnicuiuf* dam
infuUi importunitatem dcfcribcns dixit) In tht ftncjs fu^io Jonasai aurent >
Vifcinam peto , non licet natare . ni uelimus Martialempotius de publica pilcinalocutum
cflc,quam fuilfe RomaCjCx multis, &maximecx Regionum fragmcntofub E
porticuCapitoIina intclligcrc poflUmus,vbi Vici publicac pifci* nac clara
mentio habetur,de qua ita Feftus Pompeius.Pifcinae pu blicac hodicq. nomen
manet,ipfa non exftat , ad quam &: natatum, cxercitationis alioqui
caulTaueniebatpopulus: unde Luciliusait, Pro obtufo ore pugilc , pifcinenfis
res eft. L)e huiufccmodi pifcinis fcriptum efta Dione Maccenatemomniumprimumm
urbeaqua- rum calidarum naratoria inftituiflc . Quod ucro in labris illis fimi-
liter natarcnt,ucl faltem natantium inftar mouerentur,conijcio , cQ ex
magnitudinc labrorum,tum exuerbisGalcniin i. adGlauco- nem,quandoin
tcrtianaecuratione natationemin aqua commen- dat:quoddc pifcinis gymnafiorum
nequaquam intelligi dcbet ; tum cx Coclij Au rcliani uerbis , qui in capitis
dolorc, atquc etia in p arrhriticis curandis , natationem minimc fub dio fad:am
> nec non fcruentcm , atq. ctiamfrigidam probans,duo demonftrat;primum in
locis claufis, &: ctiam apcrtis , qualis crat arca pifcinac , altcru ta in
aqua calida,quam frigida natari folitum , unde clicio natatione feruentem folum
in labris faditatam.cf fi Plinius in locis paulo an- te citatis pifcinae
calidac mcntionc fccit,fub hifcc uerbis,Cohae- retpifcinacalida mirificcj exqua
narates mare afpiciunt,dc calcfa ^ta ui foIis,&r maritimo fituporius^quam
de fcruclac>aab igne ,ut intcIIigitCocIiuSjUerbafcciflc uidetur. Quac extra
gymnafia,fiue priuata balnca cfficicbatur natatio, modoin fonfibus
latifl]mis> modoinlacubus ,modo in fluminibus , modo in ipfo mari agcba-
tur. dequibusfcrmoncm habens Ariftotcks,dixii,nichi?s ir mari, '
quan\influuionitari,diutiusqucibi moramrrahi ,quoniam ucluti mare aquaefuae
corpulcria,cra(Tnieq. maiora>quam dulccs aquae fLlii- T E R T I V S. A
fuftinct oncra,ita facilius corpora hominum cleuata tcn'cr,& confe qucntcr
minusilla pcnctrarepotcft, cuin dulcesaquaco!) rcnuira- le luam citius,&:
lcnius illabatur . Hxrra balnca quoq. apud aliquas nationcs loci pcculiares
nando confti ucbantur , & idc(. KoXvitSHd^xL uocabarur,ftcuri legirur npud
loanncHuaniZcliftamdc Jcfu ('accocap/p.. dicctc,«Tflc)/t,wcTiiy
icMvfcJ};I^fflw/ TQ\/ ciMixiJL K(c$ w^itijubi nacaroriam Si- locanriquus
intcrprcs iranlluli:. lraq.na:aLioncarccdismorbis,fa- nifq. corporibus cxcrccndis,&:
confcruadis vfitaram fuKTciam Luis parcr: quando itc Ariftotcles fcripfit
naranrcs in maii filubritcr cxi naniri . vcrumramcn illud animaducrri uolo ,
plcrumq. ob dclcsfla- tionc,6i: ad ardorcs,&:liccirares
rcmpcrandas,h()mincs nararc con- lucuilfc,cuiU5 graria in acftarc dumraxat
natan folitum luir. DcVcnatione. (ap. XF. RAECLAR IS SIMA cxrat
GaIcnifcnreria,cxom- nibus corporum cxcrcitarionibuscaproculdubio vti- liffimam
vidcri, quacncdum corpusfarigarc, verum criamanimam oblciflarc ualeac, 6c
iccirco fapichtif- In lib. dc- ludo par- luc pilac. iimos illos haberi dcberc ,
qui in ucnationc cam cxcrccndi corpo- ra formam inucncrunt , in qua mirifico
quodam modo laborcs uo* Iuprarc,quafiq. laudis cupidirarc ira rcmpcrantur , ur
tacilc iudica- ri non podir, maior nc fit corporis , an animi motus . Acccdit
huic^ quod natura ipfa , quac animalia cuncta hominis caulla produxit ,
ueaarioncm quafi praccipcrc , &: acccptam habcre , ut lcripfir Ari- i.
PoJiu Q ftoteIcs,uidc'ur,quumin ipfa propriaspoflcllioncsacquircrcconc^
tur,fpcLtacuiumq. nullo fcclcrc conraminarum cxhibcatur , fcd fi-
mul,&:corporisrobur,&:animi uigoraugcarur . Exquoncmonoa uider,quam j
rudcnrcrfcccrintmcdici,(]ui pro cxcrccndiscorpo-* ribus,ijfq. ualidis,&:
lanis conferuandis, ucnationc ranroperc acfti- manmr,cuius nimiruftudio antiqui
illi mcdicinac parcntcs Ciii- ron,Machaon,PodaIirius,
AcfcuIapiusufqucadeo,ficut rcfcrtXc- nophon , arferunr , ut non minus in ea
laboris , quam in arcibus , in qLibusualde cxccllcbant, (ibi impcndcndumquoridic
purarcnr, Ncq. ucrofolam medicinac gymnalticamhuiufccmodi cxcrcira- tioncm,fcd
bcllicam quoq. &: achlcticam rcccpifsc,proba(scq. cre- dcndum cfti fi
quidcm uel dclcvflationcm, &: gloriamAiuarum gra- tia arhletac
Iaborabanr,ueI milirarcm pcririam,&: f(.rrirud:nc,qui-
buibeilicacgymnafticac cxercirarorciinuigilabant/ifpcAcmuSj^ cumu.- Early
European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of
the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 n6 L I B E R cumuhti/Iime omnes in
ucnationis cxercirio reperiuntur, atqueD ineopraefertim^cf noninauibus
dccipicndis, fed in terrcftribus animalibus fiiie dolo capiundis Jaboriofe
uerfatur,dcquomagis noftramhanctraftarionemintelligi dcbcreuolumus. Etncfineil-
li .ftrii:mau£lorum teftimonijs hancfcntctiamaudad( ri.in:ispro-
ferrcuidcar,quomcdounaquacq. gymnaftica uenandi excrcita- tionc ufafic,
iaminccptam uiaminfcqi.ensdcmonftrarc conabor. Qupdenimilla bellicacfortitudini
affcqucndac maximumadiu- mcntum pracbcrc putarerur, locuplcf /fime teftarum
fecitPIato, quipoftquam in Thaceteto^&y. dc lc^ibus /cnandi difciplinam in
trcs fpccics , aquatilium fcili( et , uoIatiJ «um , Sc terieftrium ani- malium
diftinxiflct , improbaiisaijjsduabusproiLuenumeduca-
tionc,detcrret'iuinucnatione in h le 7. dclcgibusita concludir. J^' w -mv
^TTcwuzLTcL ^cW^ \x^cr^^ci^^v(TiTc^ii^] Trdiyumq^iT^ i (piKoTTOVH 4t/ „ viv.v\
;:^fv CtTlCCVniV jyjtpA^cn J):>6^uo/Cy (t TiXnya^c: y(t
/SoXajqcwTix^^Hpi^OrpXov-ngofjOi^aiJ^ieicxA yy ^ OeioA ^^;weA^c.idcft,Solum
itaque tcrreftrium ucnatio,capturaue, „ athletis noftris rcliqua cft,atque
harum,quae dormientia animalia yy peculiari uocabulo nodurna uocata pcrfequitur
, fcgnibus conue- 5, nit,nulJamq.mcrcturhiudc,ficuti ncc iIJa,quae laborum
intcrmif- „ fioncs habens , rctibus , &: laqueis non laboriofi animi
uiftoria fera- 5, rum robur cujnccrc conarur.unde folam ilJam optimam eflc
rclin- 5, quitur,in quahomincs quadrupedia equis,canibus,&:proprijscor
„poribu$i]cnatur,quosomnesfuperantini,qui fortitudinisdiuinae F 5,
poifcliilonem curantcs proprijs manibus currendo,fcriendo,&: iacu yy lundo
ucnaiioni opci-a nauant. Ex qui bus uerbis clarc pater,quan- „ tum 1-Jato in
comparanda fortitudine bcllica diuina ab ipfo nun- cupata, vcnationem dixcrit
cxcrcitatoribusinilitaribus confcrre. quosqnomodoipfcfub dOXY^iiiV nominc
comprchendat , fuperius indicauirnus. Euidentius,quam Plato,locumhunc
cxpJicafleui- dctur Xonophon, qui dc Cyro in eius pacdia ita fcriprum reliquit:
T?^ TToXiM^-ihg Ji lv}}ca dcniY\or to; OY\pav [f^yof , bWtp icryteiv rctZrct
fivn yy ;!^^^^' rcw^rl^v n^^bf/^iJO^ € jAce^c a^ic^lw icTTtYKTiy ttoMuixZv
^tvcLf , iW/- jcTicJidAnCv/.Wlw. idcft, Excrcitationisautcmbellicacgratiaeos ^
ad ucnacioiiem cduccbat , quos haec cxercere oporterc cxiftima- bar,hanc ratus
&:omnino bcJlicarum cxercitarionum optimam , ' &: cqucftns ucrifiimam.
Quo ia loco nemo non uidct, quaiu apcrcc Early European Books, Copyright © 201
1 ProQuest LLC. Images reproduced
by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 T
E R T I V S. ,S7 A apertcucnarioncm ad exercitationcm bcllicamomniiun nuximc
conducerc ccnfucrit . undc poftca in lib. dc vcnarionc iuucnc.s ad capclTcndamhanc
cxcrcirarioncm duabus praccipuis rationibus adhorrarur;tum cf corporibus bonam
ualcrudincm comparat : tum cf cosad bellum
maximcinltituit^drcnuofqucmilitcs^&cctcrisrc- bus agcndis idoncos rcddit .
At Arillotclcsnon tantum bcllicac iib r exercuarioniucnandi lludium conduccrc
uoluit, quinimo illud ^ ipfiuspartemmanifcltaorarionefccir : ut nullaamplius
dubitat io fuperfit, quin intcr cctcras nulitari gymnafticac infcruicntcs cxcr-
citarionesuenatio quoquc locum obtinuilVc dicatur. Quod vcr« . nec athlctica
profcflio huiufcc gcncris cxcrcitiocarucrir, vcjk-: nes in amphithcatris ab
Imperatoribus facpcnumero rcpraefcnra - tac,&:apud Latinosfcriptorcs miru
in modum cclcbratac dcir.ou- B ftrant: quac liccrab hac noftra nuilrum diucrfic
fuilTcanpai canr; illius ramcn fpcciem praefcfcrcbanr, nt mpc cum bcftianj,arq.
alij mortisfupplicio condcmnari co prorfus modo aducrfus fcras, vfq. ad
alcerius intcritum (ur rcfcrt Suctonius)contcndc:cnr,quo vcna- tores
contraminus immancs bclluaspugnarc confucucnir.t . Dc medicorum gymnaftica ,
quod fcilicct ucnaiioncm ualerudini , Sc bono corporis habitui comparandis,
tucndifq. probarc u, ncmini non conftarc arbitror, quando,practcr Xcnophonris
lcnrentiam i Jctnfiu citaram, practcr Galeni aucloritaxm, qui inrer
cxcrcirationes cor- porisfaniratiinfcruicnrcscamrcpofuit, ludoq paruac pilacin
hoc ludo par- foluminfcriorcm fe':ir,quod maiori appararu indigcar ,proptcrca
"^^ ^^^^^' nec arrificibus,nec ciuilibus ncgotijs implicitis conucniat;
practcr iuniorcmPlinium, quiuenationc corpus fanum confcruaflc inii-li y.cpift,
^ nuar, practcr aliorum argumcnra , unum Ra/is Arabis mcdici cru-
ditiirunitcftimoniumfufHcercporcft, apud qucui icgirur, conti- giflVin quadam
pcftc , ut, dum omncs fcrc pcrircnr ,foli vcnarorcs, in jo.coa. obfummam ualctudinem
airiduisexcrcitationibusparram^incohi-
meseuafcrint.ncfilcntiopractcrcaLaccdacmonios, a quibusolim ad coenam Dionyfius
Syracufanus acccptus, fc cibis appoliris dde Aari negauir. cui flarim rcfpondir
coquus idco illud cucnifsc,quia nec in ucnaru ,ncc in curfu laboraucrat ,
&: idco fiti , &:famc carc- bar,quibusLaccdacmoniorum cpulac
condicbantur. Itaq. mirari nullopado debcmus,fi Mithridatcm,qucm ufq.
adcofanitaiis,&: uitac ftudiofum fujfsc fcimus,vcnationi ita auidc opcram
dcdifse lc gimus,ut fcptcm annis, neque vrbis,ncquc ruris rcdo vfus (it . Ergo
nianifeftuna cuiuis iam cfsc potcft, quantum in cxerccndis pro ua- icrudinc
corporibus ucnatio apud uctcrcs acftimar^i fucrit. cuius cum L I B E R cum
multac cflent fpecies , quanim aliae rctibus , aliac laqueis, ui- fco,&
aucupijs, aliaecarniuoris,&:rapacibusauibus,aliaecanibus, fagitfis, uel
puris , vel rindis ; quas ideo Gallos uenatorcs hellebo^
roinficereconfucuiiretraditPlinius, quia circumcifo vulnere ca- n.xy.c. y.
rotencriorfcntitur : aliac armismodo in uolarilia : modoin rcrrc- ftrcs belluas
peragebatunilias ucnationcs aptiorcs cxiftimaras arbl tror,
inquibushominestampcdibuseunres, vcl currcntcs, quam equis vcdi fcras canibus ,
&c armis infcdabantur ; nempc quas tum corporamagisexercere
,tumfenfusomncsacucrc , tummaiorcm animisuoluprarcmafrcrrcncmoncgarit . Eam
enimuenarioncm, quaccumaccipitribus&afturibusaducrfusaucshifcc temporibus
exercetur, an commendarint antiqui mcdici, affirmarenequco, 7.de his. quod,IicetAriftotcI.memoriacprodidcrit,incaThraciac
partc» ^"^"^•^^^" ' quae olim Ccdropolis uocabarur, homincs
focietarc accipirrum perpaludes aucupari confucuiiTc ; nihilominus gcnus illud
vena- tionis noftrae ualdc diflimilc fuiffe uidetuv; quandoquidem illi ip-
lilignis , quacmanibustcnebant, arundines&:fruteramoucbant, undc aues ob
ftrepitum cxciratas, euolaresq. accipitrcs dcfuper in- fecLabantur,quorummetu
aucspcrculfae terram repercbanr ,ibir. quc pcrcufTae baculis a vcnaroribus
capiebanrur , &c earum parres' accipitribus diftribuebantunnoftrum
ueroaccipitribus,atque aftu ribusedodtispcragirur • quodantiquos ignoraflc,
& Conftantini Imperatoris actaie inuentum eflc, infinuat lulius Firmicus :_
ficutr etiam ignorarunt cam uenarionem, quac canibus arte quadam m-^ ftrudis,
&: rctibus aduerfus cjualeas ,pcrdices, &. faiianos cxercctur. Sed
dchisfatis. Exflicit Liher Tertinj* .0 - m H?9 " ARTISGYMNASTICyE L I B E
R Q V A R T V S De ratione agendorum ^ ^ dc exercitatiom ryS. Cap. L VM
gymnafticae origincm^ciufque fnccics» &: fpccicrum(ut (ic dicam) fpccics ab
anti- quis traditas,ac inufu habiras,iam clara,quan- tum conccditur,
cfTcccrimus , ad pcrficiendum tradationis noltrac inftituru rclinquitur , prius
U!iiucifa!cs,communcsuc cxcrcitarionumom- niumrcgulas tradcre,quarum dudlunon
mo- do li '•gula cognofccrcs Ycrumctiam vti unufquifq. pofTit : dcinceps ad
parr\-n!.:ria,&: magis propria rranfcudum c rir,ur in llngulis cxcr
citationibus,quid boni>&:quid malirclkicat, flicilitcr pcrnofccrc,
&: cogp.itum partim amplcdijpartim cflligcrc valcamus.luiflct pro-
fcctoinanispropcIabor,acuanum ftudium cxcrcitarioncs vfquc adcoapud vetcrcs
cclcbraras pcriicftigaflc-,niiictiarautiliratcs,&: commv>da,quori:m
gratia totam gymnalticam,&: c6didcrunt,&: in quotidianuaimcdicorumufumcduxcrunt,pcrfpc^ta,&:cIarahabe
rcnt iIli,qiiibushaccnoftralcvttirarc,ijsquc ad faniMtis profcCtum non
ofciranrcr uti placucrit.Arq. in hoc idc ) magis inihi clabciran dum efle
cenfco,quoniam Galcnus Hippocratis arque Plaronis pla ^ citafccutus^in
omnibusquidcm artibus,lcd pracfcrrim in mcdici- na, uniuerfalcsmcrhodos parurn
iuuarc clamar,nifi particulanum tractationcs,ac indiuiduorum fpcculationcs
accelTcrint , quibus rii r€s communi mcrhodo inucntac ccrrius contirmcntur ,
tum carum fimilitudincsac diflimilifudincs,unde omnis iiumana deccptio ,ut in
Phacdrofcripfir Plato,principiumfumir,probc difccrnantur . Hanc igitur ab
anriquis philofophis, atquc mcdicislaudatam uiam incedcntcs,tractandorumomnium
ab iplius cxcrcitationis narura initium capicinusrquam cum dcfinicnmus morum
qucndam corpo ris clfc, atquc omncnrmotum ncccllai io diffcrcntiac nonnullac
fc- quantur,nimirum vchcmcntia,rcmiflio,ccIcritas,tarditas,&: limilia:
&: proptcrca in quouis motus localis gcnrrc corpus quod moucn- dum
cft,Iocus ubi moucri dcbcf,tcmpus in quo moncarur,ac iplius morus mcnfura,atquc
modus cx nccclHtatc rcquirantur, confutaris corum,quidccxcrcitarionibu5
maIcfcnfcrunt,opinionibus,primo diffcrcntias 190 L I B E R drfTerenfias illas
excrcitatione confequentcs dcclarabimusrfecun- D do,quae fint corpora
excrcitationibus apta,& quac inepta, dcmon- ftrabimuiittc rtio , qualis
efle dcbcat locus,ubi jJli excrcitationibus operam nauare dcbent, qui uel
confirmandac, vel conferuandae ualetu dmi ftudent: quarto , quodnam tcmpus
cxercendis corpori- bus opportunum habeatur; ficuti namque corpora omnia non
om- nem excrcitationisfpccicmpcrferunt, ita fimiliter non quiuislo- cus,nec
quodlibct tcinpus cuicunquc aptanrur.Sed,quia jmpcrfe-
dahaectraaatiorcmancrct,nifimcnfuracxercitationispracfcribc
retur,ideo
qujnfto fubiungam,quantum cxcrcendum fit.Addam &: fexto modum,quo
exercitatio adiri debeaf,atque fic ad particula- rium cxcrcitationum qualitates
examinandas dcfcendcns nihil re- linqucre conabor,q^ in hac materia iurc
dcfiderari qucat,&quod l aedieca. ab Hippocrate,fiue Polybo pro
laboribus,aut cxcrcitationibus tra E dandis cognitu necellarium pofitum fucrit.
Scd hoc antequam ag- grediar,illud prius hoc in loco praefandum efTc , iudico ,
ea omnia, quae in hoc quarto volumine tradituri fumus,tati in vniucrfo exer-
citationum negotio mojnenti cxfiftercut , ijs uel ignoratis , vel ne- gledis,
excrcitationesdetrimcntapotius,quamcommoditatcsuI-
lasinferant.-innumeraequandoquidemcxcrcitationes, utpraecla- 1. J tu.va. re
fcriptum eft a Galeno opportune ac prudentcr adminiftratae,er ^ liSo. ^^^^^
naturae in corporis tcmperie fadtos, tum hominum in ui- &mac.ruc!
procuIdubioefsentilli, quinatu- ra corporis imbccillimi funt , qui cum ab
exercitationibus utilita- rcmcapiant, ceterosquofcumqucabijfdemiuuari , &:iccircoillis
uti dcbere confequens cft.His crgo rationibus pcrfuaii cundispaf-
fimhominibusantecibumfaltem iniungendas excrcitationes ef- 'fe praedicabant:
fed&ipfiapcrtiirime hallucinati deprehendun- tur, Qiioniam
cumhominumnaturae,&:conditioncsufqueadeo pcl^'^^"'* «^lHicrlac fint,ut
neminem inucnire (fiturfcripfic Galenus) alteri fi- E milem prorfus liceat,
fintque quibus medicamcnta noceant, quib. 5^. Epid. profint,quosimmodicuscoitus
,fiucAc illos,qui hoc al- fcucrarunt,toto caclo abcrrafsc^quamuiscxcrcitarioncm
commu nitcr acccpram , prourquaflibct ucl minimas corporis agitariones
compIcdirur,ncmini fano ncgari pofsc farcamur, quando nihil fa- nitati tam
hominum,quam brurorum acqucperniciofum, &:lcrale, ^ im:cniri:r , arqcc
cuiufli iK-r motus cclsario , confumatumue orium, quibusnon tanrumuniucrius
corporis habitus mfignircr rcfrigcra tur,calor natiuus
hcberatur,humiditatcsfupcruacuaecrcfcunt,mo Icftusquc quidamomnium uirium
torpor connurritur,ucrumcria, lib.dcdb. utdiccbat
(;alcnus,cunctamcmbratcnuia,dcbilia,atquef1accida ^^^^ «"^- cuadunr,&
fubindc nonrarocxiriaIcsmorbinafcuntur,qui,abhu- i"'^c-cau, moribus
frigidis plcrumq. origincm duccntcs,ucl ad mortcm , ucl ndpcrpctuamualctudinis
offenlioncmpcrducunr. N 4 K^' I9S L I B
E R a.Aph. T^darguu7itur^qui ajfueto Jolum exerceri uolebant. Caf. III ESTAT
falfa eorum opinio condcmnanda, qui af- fuetos folum cxcrceri debcre,inafluctos
minimc cxcrcendosefrc iudicabanr. quorum fcnrentiata- metfifpecicm ucrirarisquandam
praefeferat, cerc- risque duabus iure anrcponi mercarur,haud tamen
prorfuscrrorcuacar,dum alTuerudini nimium rri- bucre, quafique fupra narurac
condicioncs illam ftatucrc uidcrur. Ccrerum ne honimplacitainiuftcrcfcllerc
crcdamur, &rariones, quibusadducliin eam fcntentiam
iucrunt,&:crrata,quae commife runtjin medium proponcmus,vt vcritas facilius
cluccre acquo iudi ci pofl^t.Iftiitaq. cum legiffcntapud mcdicoium
principcmHippo cratcm,eos,qui confuctifuntfolitos Iaboresfcrrc,etfifucrintimbc-
cilles , & fencs non confuetis , fortibus , &c iuucnibus facilius ferre
; quacq. cxlongo rcmporc confuerafunt,erfidctcriorafinr,inaflue- tis minus
incommodare,affeueranrer pronunriarunt, ncminem iaaf fuctum
cxcrcirationibus,&: laboribus committi dcbcrc,aIioqui ma ximopcre
offcndi^fcd dumtaxat aflueros, ncmpc quos partcs cxcrci tatas robuftiores
habere,& proptcrea laboribus finc damno refifte- re experientia demonftrat.
addcbant his rationcs, primo quod om- nes illi,qui cuilibetrci infucfcunt,
raagna ex partenaturaefuaeco- uenientem confuerudincm deligunr;quoniam
laedentia expcrri, il la rcpudianr,&: iuuantibus adhacrcnr.unde
excrcitationibus vafl^iic ti in illis tamqua fibi familiaribus confcruari
debennqui ucro quie fccndi confuctudincm contraxcrunr,ab illanullopadofunrremo-
uendi,quafi tales expcrri fint ab cxcrcirationibus fc ipfos ofrcndi,&:
aquierc utilitarcm capcrc.Sccundo,quodiuxtaphiIofophorum,&: mcdicorum
placitaconfuerudo in naruram rranfit, &:iccirconon fccusconfuerudincm
pcrmuranrcsobIacduntur,atquciIIi , quina- turam pcrucrterc , &: aducrfus
illius impctus obrcnderc conantur . Tcrrio quod fi confucti quicfccrc longo
rcmporc fani ira uixerunt, ucrifimilefir,in eadem quictc rcliquum uitae curfum
ipfos fanospe ra£luros;exaducrfo ucrendum cflc, nc ijdcm aegritudines diucrfas incurrant;
fiquidcm pcrmutantes in contrarium uiucndi rationem, &c alia ipfi
confcquentia in contrarium ftarum pcrmurari , nccefTa- rium vid etur .
Huiufcemodi crgo rationibus indudi , ifti conftan- tcr affirmarunt ,
confuctudincm non debcrc murari, &: ideo folitos cxcrceri cxcrccndos cflc ,
&:foIitos quiefcerc in quiete permancre dcbcrc. D Q V A R T V S. A dcbcrc.
Scd,urdixi, liccthiinifuisculpantiam fcntcntlanifcciiti fmr,att.uncnncqiicipricrroril)us
carucrunt,c]uia Hippocratcsin i-Apluytf omnibus ad inallucta tranfcunduin cllc
iudicauir,nc quando ad il- la dcfccndcrc coaocra-
tiscitataaudtoritasineofcnfuaccipi dcbcr ,ut uolucrit,qucmad^
modum&:nos,vclimus,nolimus,aircntiii cogimur,afluetainfolitis minusturbarc,
ncquc proptcrhoc interdixcrit , quin ad infolita
quandoquctranfcundurnfir,6jpracfcrtim cumafsucta ualdcpra- ua funt,&:
inafsuera mulro mcliora.Piinlacitaquc raiioni rcfpondc
mus,a{TumptumfaIfumcfscuniucrfahtcrintclIcdum,quoi;iamli- cuti multi
coniuctudincm naturac corum conucnicnrcm induunr, ita quamplurcs ucl dulccdinc
allcdi , ucl ncghgcntia , aut alijs de- tcnti ftudijs ,ucl prac nimia
ftupiditatc fcfc lacdi non fcnticntcs,iii malis confuctudinibus , &c
naturac ipforum inimicis pcrfflunt; qucmadmodumfaciuntquicfcendo, &:afsuctJ,6d
dcdiri,qui quic- tisuoluptarc dclibuti non fcnticntcs ofrcniioncm cialfucucrunt
; non aurcm quod cam tamquam fibiipfisconucnicnrcm clcgcrinr , nimirum quam iam
antc hominibus cundis inimicam probaui- mus. Adfccundamucrorationcm dicinius,
narurainprofcdo,& confuefucrudjncm parum diflcrrc ;haudtimcn fcqui cx
hoc,quod numquamconfuctudo mutari dcbcat: quandoquidem fi mcdici naturas prauas
, idcll naturalcs intcinpcrics cincndarc, in mcliusq. permurare omni aite
contcndunr,ur faniratcm,&: habitum bonum Q corpori ingenercnr,cur itcm
pclfimac confuctudincs ab illis in ho- nclliorcs , &: falubriorcs pcrmu
tari ncqucant , i gnoro ; co pracfcr- timquodfacilius cxfuuntur,quac
confuctudinc fucrunt conrra- £ta,quaraquac aprincipio orcus anatura tradita.
acccdit huc, quod otiandi confuctudo pcrniciofa cll , quia ( vr diccbat CcHus )
I ib. r. poteftincidcrc laboris ncccflitas. Tcrriacpracrcrca larioni oppo- ^^i'
^ nimuseos,qui inprauisconfucrudinibus pcriiftunr,tamctliob iu- .cunditatem non
aducrrant,pcrturbari, ur mnucrc uoluit Hippocra tcs,dum haudquaquam inalsucta
dctcriora non rurbarc, fcd minus tiirbarc dixir ;ncqucproprcr hoc
Iaudari,45^probari dcbcrc,quod multo tcmporein fimihbus confuctudinibus
uitamfanam traduxc rint : quoniam ficnti diccbat Galcnus,illi,qui cibis mali
lucci uicb- * tant,longo tcmporc maligniratcm intus alcntcs,tandcm quali- bet
uel minima occafionc pcflimos morbos incurrunr, fimiiitcr iquoquc in pcirimis
confuctudinibus pcrfcucrantcs facpcnumero .dealini. mtus 2CO L I B E R
intusmaloshabitnsconcipiunt, quos pcraliquod teinpusnonper- cipiunr,quoufqiic
humores praui orionuiriti , &fupra niodumau- di
incurabilcs^&molcfblfimas acgrirudincsinducunt. Qiiarnobr^
claborandumclt,uniucrfJsfiinam uitam optantibus ,utmalaccon-
fuerudiniinnutritiminimcfe uoluprare, atque damni ignoranria decipi
linant,immoquamprimum ab earecedcrc, paullatim tamc, & ut dixit Hippocratcs
iKTr^odxyooyHt ftudeanr ,illud procompcrto habentespotiuscumaliqua molellia
pcrmurandas cfse pcrnicio- fa^ confuctudincs,quaminiIliscum delcftationc
pcrfiftendunK Atque haec pro male de Cikcrcitarionibus fentientium refutationc
diifcafufficiant. Tcmpus modo cft , qude corporaexercitationibus
accommodentur,quod tcmpus,&vjUilocus , dcmonftrare: fcd an- tcquam hoc
aggre Jiamur,diffcrentias,ut fupra promifimus , ipfius- quc tradatioiiis ordo
expoftulat, cxercitationum breuitcrpcr- curremus. exercitationHm differentijs.
Ca^. V. ViCVMQVE cxantiquis excrcitationum faculta- tem fpecul ari)&:
fcriptis tradere aggrclfi fuerfir,tres primarias illarum diffcrentias
effcccrunt^ quarum aliamTraf«(rxw/«si;cflV;j4//xf/poft ^/TxJ^ maerores
infcruiebat; &c proindc hic motus a Galeno cxtrcma T E R T I V S. fO| A
cxcrcicatlonis pMrs nominatus rcpericnr, quoniam fcrc fempcr po;l
magnascxcrcitaciones.ncad concrariamquictcm illico tran(gre-
dcr"cntur,ipfamadhibcbant,ucporc qui ol) carditatcm,6^ trcqucn- tcm
intcrpolitamquictcm mcdium inrcr cxcrcirationcm validam, ^ &: conlummatam
quictcm tcncrcr. Porro cxcrcitatio limplcx apud ^;i.cVp"g.
inedicosgvmnaflas multasdiricrcntiashabui(fclcgirur,alias ab cx-
trinfecis,aliasab vtcndi rationibus,aliasa motusipfiiistum quan- ritaicrum
qualicatibus dcfumptas: quac ab cxtrinfccis accipicbaa tur
,plcrumqucalocononicn f^rticbaiKLr , quando uc! lubdio,. vel (ttb tccto, ucl in
mixta umbra, quam CTroavi^iiyn Gracci uocant , cxercitatio pcragebatur : itcm
quando aut locus crac calcns» ^^utfrigidus, aut^mcdia tempcric, &:
practcrca auc planc ficcus^ aut humidus, auc mcdio modo atcempcracus .
Diifcrcntiac ab B uccndiracionibusacccptac huiufccmodi cxllitcnint,quoniam aut
continuus erat motus , aut inrermiflus.ct li concinuus , aequalis , ucl
inaequalis;fin intcrmifsus,aucccrroordine,aut cirra ordincm,prac^ terea vcl
linc puluere ficbat , ucl cum pulucrc , acquc co alias mul- lo, alias modicoi finuliccr
agcbatur ucl linc olco, ucl cum ulco, at- queipfoaliasexiguo, aliasmulto. Quac
autcm ab ipliusmotus quantitacibus acccptac inucniunrur dirtcrcntiac , talcs
func , quod cxerciracioncsucl mulco ccmporcdurabanr, 6c multac diccban-
tur,vclbreui, mcdiocri, arqucpaucae, &: mcdiocrcs uocaban- tur.
Diffcrentiac amocus quancicatibusdcfumpcacillacquoque fueruncquacauimorricc
accipiebancur: nam li uismagnacrat, magnacxercicacioilin parua ,parua ; lin
mcdiocris,mcdiocrisap- pellabatur. Porro a qualicacibus ica dirtcrctias a
Galcno captas in- ^'^|.^* g"^" r ucnio , quod aut in breui tcmporc
mulcum fpatij mcticbatur cxcr- «p.io . cicacione, liuc brcuc (parium
lacpiusinmodicoccmporctcrcba^ tur,atquehaec cxcrcitaciocclcr ,acuta, &:
vcIoxnuncupab:uur , qualis curfus,umbrarilis pus:na,achrochiri(mus, lufus
paruac pihc, fi^coryci^kicTAt^fi^uk^-BrrrvA/^w^, &:quacin paladkis
ai^tirabancur humi rircumuoiucarioncs i auc multum tcmporis in brcui fpatio
infumebatur, tardaque &:lcnta cxcrdcatio talis motus nomina- batur, ut
lcnta ambulatio, ucdatio in Icctica; aut in mcdiocri tcm- porc mcdiocrc
fpatium, iiuc brcuc plurics moucndo pcragcbatur, licqucmcdiocriscxcrcitacio
cuadcbacrpraetcreamagnai-umalia praeccr uim, cclcricatcm quoq. adncxam
^QVQh:ixUc2 L I B E R racelerirer agirari; al/a fine velocirate fiebar, &
Ivr^,;^, ,!> idcltva!cnsexeraratiouocabatur,ficurfodere,peraccliuiaanibu.
lare.quatuor equos habenis llmul coercere, funem manibus apprc- heniam
fcanderc,haIteres,omnefque Milonis exercirationes.quod emm uchcmens,&
ualens cxercitatio communi nomine magna di- aph/" •^^'"^;^"''»
^-^ mtclligcrc liccr, quae Galcnus fcxto popularium morborumlcnptarciiquir,
vbiinter cnumcraras exercitariones, &: equirationem magnam uocauir .
Similitcr Sc paruarum alia cum ahquauelociratchcbar , &:rcmifni,fiucixA«T«f
/ocabarur, alia fi- neullacelcritatc, 6c «V/^(lf,'iue Ianguida,aur imbecillis
diceba- tur ,cxquibusduobiisgcneribus eranr uec curam habcndam cllc iuGcrunt ,
ut quod morbofum cor- pus. 20$ L I B E R pu$,quaexerciratIonc , &:qua
quiete indigeat,ne ullasperturba- D tiones,motioncsq. fuftinear , optime
pernokatur. Quocirca fccun- dum iftos corpora, quae immodica intempcrie calida
Iaborant,nuI lisuehemcnribus,rcmiirisue exercitationibus accommodantur , quod
calor , qui diminui debet , ab jllis potius augmentum fufci- Lp^iu^' pit , quemadmodum
Galen.de Primigene fumma caliditate labo- rante narrat , qui ncdum,a
uchcmentioribus cxcrcitationibus, im- mo,& ab exiguis dcambulationibus in
porticu ante balneum fadis magnopcrclaedcbatur. undc mcrito condcmnandus eft
Afclepia- LK2.C.14. des Pruficnhs,quiin ardcntibus fcbribus;refcrcnte
Ccl/o;gcftatio- nibus utcbatur , in alijs uero fcbribus , &c raorbis
mcdicamcuta , ac uomitioncs tollcns , inedia, fiti , uigilia , luce primis
dicbus aegro- tantcs inftar tortoris , cxcruciabar,alijs autcm diebus ambulationi-
bus,geftationibus,baIneis,Ica:ulisquepenfilibuscxercebat. Inhis E ctenim Galeni
, &: Antylli fcntentia cxftat , acuta fcbrc laborantes ab omni motu
rcmoucndos,in longisfcbribus,atquemorbis(quos omncs nonnulli ex antiquis
mcdicis aliptarum officio tranfmitten- In prooc. dos , ut rcfcrt Coclius
Aurclianus , falfo credidci unt ) ubi acccfno lib^hron. urget,nullo paifto
cxerccndos, at in interuallis decubitum non • fcmpcr confcrrc,imino aliquando
utilcs cHe inotiones,exercitatio- ncsciue ; quod innuifle Hippocratcm arbirror
, dum in feptimo cpi- demiorum diccbat,aliquos inueniri infirmos,qui nepenitus
tor- peant , a lcfto expellendi funt. quod item innuere uoluit Ariftotc- Ci.i6.
leslibromoraliumNicomachiorumdecimo,ubi fcripfit febrici- tantibus in uniucrfum
diaetam,atque inediam confcrre , ahcui ta- mcn forte non ita conducere. Qui
praeterea corpus aridum,ac in- fignitercxficcatumhabent, ficxerccantur,
aridioreseuadunt, &: F ideo illis quics apprime congruit , quam humcvflandi
uim pofnde- Loc. cltat. rc ncino ignorat,quamquc Hippocrates dum cahdis naturis
conue nircfcribit,necimmodicccalidasimtemperiesintclligit,necjau(ao j c
GaIeno;quamlibct motus,fed uehementioris tantum ceffatione, ficuti nos hic
deficcis corporibus intelligimus,quae geftationibus, &c ueCtationibus
aliquibus, atno magnis motibuscxcrceri poffunt, dummodo uires
permittant,cxcrcitationesq. modcrataefint; alio- qui ficur ex modcrato motu
calor cxfurgit,cxcitaturq.,nec non hu- inorcspaularim cuancfcutiparitcr
eximmodico calorinfirmus ex- ftinguitiir,humiditatcsq. magis diffunduntur .
Corporaitcm cali- da, &:ficcaimmoderatc nullis exercitationibus aptanrur
,minus quoquc caIida,&:humida,ncmpcquaegrauiori quam cctcra mor- bo fubi
jciantur,maioriq. curaopus habcant,Frigida porro,fimulq. ficca Q V A R T V S.
207 A ficca corpora ucl nullis cxcrcitationfbus, ucl minimls , Sc naldc rc^
miiTis cxcrccri clcbcnt»cum fcmpcr practcr morbi pcculiarcm affli- ,
€lioncmimbccillcsuircshabcanr,ExcrcirationibiTs non iraofrcn- duntur corpora H
igida, licutj ncq* himiiila. At frigida&:humida aliorum omnium maximc
cxercitarioncs fuftincnr; quod morus cx liccando, 6c calcfacicndo ucluri
quoddam rcmcdium /ir,modo ta- mcn non cxrra modum adhibcatur. Arquc hacc omnia
diCta inrcl- liganrur dc illisacgroris dunra\ar,qui uniucrfum corpiis imrcmpc^
ratumhabcnr,quoniamfiqui$infolacorporis partc mcmbrouc, autinplunbusintcmpcriem
patiatur,rcpcririq. pojrumodus, qua parrcs fanac citra acgrarum offcnlionem
cxcrccanrur,procu]dubio huicacgrotoexcrcitariomagis.accommodatacririquippcquac
fa narum parrium habitum bonum confirmans, infiriuis criam confc- B qucnria
quadam auxilium pracftct.ColJjgcnrcs igitur dici nuis,nul lum corpus
intcinpcrie quauis laborans magna,(5c uchcmcnti excr cirationcgaudcr.cjfcdahq(f
rcpcriri,cui cxcrcirationcs cxiguac, & ualdc modcrarac auxilium arierant
inrcrdum. qualcs ucro cxcr- citariones linrillac , &: qualibus in morbis
,arquc corporibus una- quacque congruat,in fcqucnribus libris dcclarabjmus,ubi
parncu larcs fingulaxium excrcirationum faculcarcs ubcrius cnarrabimus..
Dcmorbolisobmalam formationcm corporibus fimili propcuia) dcrcrminari
dcbet,modo illi nona gcntrarionisprincipjjs,lcd nu-> per,&: cafu(ut ira
dicam)ortum duxcrinr . Hacc ctenim fiuc totam corporisfiguram deprauatam.ut in
lcucQphlcgmaria,fiuc parrcm aliquam.deformaram habcanr, niii aHTcdus alij
impcdicnrcs aflb- ^ cientur, ab excrcirarionibns utiluarcm. capmnr , ncnipc
quac&: ^ contrjrra dirigcrc,&:a(peralenirc,OS&: toto corporc ,
& cruribus extcnua- D fn ^.obid. tos curafle, gloriatur GalenuSy Ccutitem
Germanicum , a tenuita- com.j. iQ crurum^equitarionis bencficio,liberatumaIias
diximus . Corpo-
Secudodc raiubinde, amorhoin numero
corrcpta> fmc isfuperfluus, fiue iTtu vf "^^^^^^ fit , excrcitationes
cx fe rainime recufant , & tunc praefer-
"'^^*"tim,.quandofimilismorbushaud eft innatus,ueluti inlapilhsre-
num, quiexuehementi motu^concuffioneque ab anguftisrcnum tiijs ad latiores ,
tandemq.ad ipfam ueficam defcendentesmagnas aegrotis moleftias adimunt. Corpora
uero aegritudine in fitu laba fantia,modo nou ab ortu, nullum
fereexercitationis genusadmit- tunt, quod membra dum proprium locum , atque fitum
amiferunt» non modo rcponendafuntin propria fede , uerumetiampoftquani
repofitafuerunt,tandiu ab omni motus gencre arcenda, quoad optimeconfirmata
priftinum habitum repararinr, alioqui fimo- *J ueremur , maiori nocumento:
afficerentur. quo fit , ut hac infirmi- tate captimajoriex parte exercitari non
debeant. Atque haecde lecundo morborum genere,mala formatione fcilicet
laborantibus corporibus divflafufiiciant. Remanent corpora tertio.genere mor-
borumcontinuatisuidelicet folutione correpta,quae folutiouel in cute,uel ia
carne , uel in oflibus , uel iiineruis,ac huiufcegeneris fimihbuscontingere
folet, atque modo>lbla,modofebribusaflo- ciata i ubi corpusaliquam exhis
folutionemfebri alTociatahabet, nulIomodoexerceridebet,quandoquidem, firaro
febricitanti* busexercitationesconueniunt, quantominus coauenieru:,abi a-
lijsmorbis turbabuntur? Qiipdfi citra fcbrem fola: contiauifo-, lutio adfit,eaq
Jit iaparte nobiU,atqueuitae maximencceflaria, ue p luti cerebro,uentriculo ,
iecore, acfimihhus,proculduhiaexerci~ tationcsquaeuis
maximeaocent,nempequae,&:fpirituspartiafre- ftae necefl-arios. ualde
diftrahaat , &: humoresomncs tuncagiteat , quando firmos,&:quictoscfle
conucniret ,neob eorum atHuxuni morbus
magisincrudefceretj^liamcmbraigaobiliorafipatiantur coatiauitatis
diuifionem,poteruntaegri mediofcriterexerceri,.mo- do ncc infignis lit
affeftus,nec pars laborans excrceatur.. Suntnon- nullihac acgritudinc capti ,
qui noaparnamutilitatemamodera- tis , immoderatisque exercitatiombus
pcrcipiunt^quales fcabioh,, quorumcutiscumabhumoribusfaIfis,&:acutisdi{ciadatur,ex
ma tuuehemeati efficitur , ut humores illi tam per fudorcm, quaav pcroccuJtam
tranfpirationem euacueatur,atque ipfiscuacuatisa morbo libereatur.
(^amobrcmacri iudicio diligeatique aaimad- ijcrfioneiahisomnibusopuseftjquo
optime cogaofcatur iaqtii- bu& Q V A R T V S: 209 A bus morbofis corporibus
congrua!KCxercirationcs,& in quibus mi nus lubita fempcr prac oculis
uniuerfali hac rarionccuiusduvftu rarillimc contingunr errata , pofsuntquc parricularia
ira dirigi , ut numquamlocoauxiliorumdamnafuccedant>
n^cc9r^orihHtUAlctuMndrtjS^(^/enihhus€xerc€nclis^ C^p. IIX. \' AMV IS
apudmcdicos(urfiipradiximus)inrcrcor- pora acgra,arqiic fana rcponanrur ncutra,
iilaq. in mul tiplicrsdiflcrcntias parriantur, quia ramcnparumad noftram
rradationcm pcrtincnr, corum loco ualerudi- naria Itatucmus, cum quibus
comprchcndi uoliimus tum omncs il- B los^qui rcccnrcr amorbis,ac dccubitu
cuafcrunr^ncc dumpcrfc- tfle antiquumhabirum recupcrarunr; tum fencs plerolquc,
ncm- pe quos Galcnuscodcm modo,quo ualerudinarios , curari dcbcrc Jctue.
pracccpir; nec abfquc rarionc,fiquidem fenc(flus,auLtorc Ariftotc-
"nirieme lc,eft quidamnaturalis morbus. undc.qui funt acratc graucs, cam
c. uk. viucndi rationcm fuftinere nequcunt,quam fani pcrfcrunt. E^^-ncr'*^^^
goualctudinarijsillis,qui moxa morbiscuafcrunr> intcr cctcra rc- cap.4.
iwedia pro intcgra ualcrudinc ipfis accomodara praccipua cft cor- poris
cxcrciratio,aquamcmbraeorumlninanrur, humorumrcli- quiac inaniunrur , calor
cxciratur , & dcnique torus corporis habi- lus reftituirur . Elt ramcn omnc
ftudium adhibendum, ut a princi- pio lcncs, brcues, tardi , ac remilfi morus
cxfjftant , dcinccps, prout uircs
magisinualcicunr>fimilitcr,&:magnirudo, ac longirudocxcr
Ccitationisaugcacur ,randcmque inmcnrcillud XKTrgo^Ttty^yi^ ran- ropere
abHippocrarc dccanrarum fcmpcr habcndLui crit,ncob imporrunumabcxrremo, ad
cxtrcmum rranfitum maiora crrata eommirtantur, &: prouirium rcftirurionc
imbecillitasmaior,fiuC profh-ario fucccdar. proindc mcrirodamnandusucnit
Aucrrocs,^.coiied. qui morbofa corpora quoridic cxcrccnda cfsc ufquc ad fudoris
^^P'^- inirium ,arquc anhclitusclcuationcm nimis libcrc confuluit: ita
tnimuchcmcns cxcrcitatio tantumabdU ut ualctudinarijs, fiuc morbofis
(qucmadmodum ipfc uocar) ullum clTatu dignum be- ncficium pracftct,
utpotiusuircsadhuc dcbilcsmagisconftcrnet, caloremquc natiuumcxmorbo
uixrcuiurfccntcm fcrcexftinguar , aut faltcm infignitcrhcbcrcr ; /iqiiidcm
bonuscftin conualciccn- iibus ,fcd cxiguus ( ut fcribit dalcnus) ianguis^atquc
unacum ip- Inartc io fpiritus uitaliSjCii: animalis ; ipfac ucro particuiac
folidac ficcio- ^^^^^' P 2 rcs, aio^ L I B £ R resj&confcquentcr
corumuiresfunt imbec^iHiores, atque earum- D dcm rationc corpus vniucrfum
frigidius. unde ad cmendandam huiufccmodi indifpofitioncm neceflaria funt
quaecumque pro- bumatquefccurumexhibent alimentumi &c praeter haec mode-
ratimotus,qualcsvehicula, amibulationeslenes ; non uchcmentes raotus,qui ficuii
folidaspartes arcfa^ftasficcioresreddunt, ita calo- rcm diminuunt, &:liircs
imbccillas confufnurit. Cetcrum fcncs, quorumactasplurimamob caloris
dcfcdum,cxcrcmentorumco- piam coaccruat,cxcrcitationibus magnopcfc
gaudent,'tumad ex- f urganda huiufcemodi rccrcmcnta , tum ctiam ad
confcruandum, atq.plAcidi cuiufdam ucnti inftar cxcitandum,acccdendumueca-
loirem^ qui fccusnimio torporeexftinguipericlitarctur . Attamefl, in
praefcribcdis fcnum exercitationibus quatuor animaducrti de- bcnt, uircs,
corporisafTedlus, confucrudo, &:iiitia particularia, E quacplcrumquefenumcorpora
infeftare folent. ratione uiriura^ quas fcncs fcmpcr imbecilliorcs habent,
acutas cxcrcitationcsjue- c n^.v. . hcmcntes , &: mukas, quae corpus
ftccant, extenuant, &: infirmant, ,itu itmaximoperccaucredebent/equi
veromitiores,quaIesfuntgcfta- ;.^.^':,^!trojac
intralairitudineminambulatio.Prodicusenim qui ualetudi-' utlicx^S nis
ftudiolidimus^exftitit, &:ob id ( Ariftoteleau»5iore ) ea omniai
quibuscctcri cum voluptateutunturirecufauit.,iamingraucfccn- tcactatc(ut rcfert
PlatoinPhaedro)Athenisad Megaraemoenia ibat , indeque domum reuertcbamr . quae
excrcitajtionis menfura. haudquaquam.ommbus fenibus accommodari polTct , cum
Plato ipfc cum,&:fibi ,&:alijs nimio oiercendi ftudiomolcftiampepe-
ride dicat. Antiochusparitermcdicus^annosnatusplufquamoiio- ginta, quotidie
fcrc, ut fcribit Galenus , domoad forum ftadiorum F trium fpatio, atque intcrim
ad uifendos acgrotos pedibusambula- re folcbat.quod fi ci longius ire neceffe
crat,fclla,aut uehiculo ute- batur. Ad hacc narrat Plinius fecundus, Spurinam
urrum in uiuen- .MUr. do maximeprouidum , quique ,aurium , &:oculorum
uigore inte- • ' ' gro,nccnonagili ac viuido corporc,feptuagdimurafeptimuman-
nuniattigitjhanc regulam conftantiflimcfcruaffe, utmane ledu- lo continerctur,
hora fecuda inducrctur, ambularerque millia paf- fuum tria, mox lcgcret , ucl
colloqueretur, dcinde confideret, tum uchiculum adfcendcrct,pera£bifq.
itafeptem millibuspalfuumite- rumambularetmille, iterumrcfideret,
uclfccubiculo, autftylo rcddcret ; ubi hora balinei nunciata foret , quae erat
liyeme nona, j)it ni aeftate odaua, in Solc, fi caruiflet ucnto, ambularet
nudus, deinde pi la mouerctur^uchemcntcrA diu poft modumlotus accumberer, Q V A
R T V S. Jii A&paulifpercibum diftcrrcr, Ob rorius corporisafTcflum
cxcrciM- tioncsfeiiumin hunc modum dctcrminari dcbcnt, quoniam cor- pus optimi
rtatus, ficutin iunentutc ad vchemcntifTimos quofque laborcs idoncum maxime cll
, ita in fencdla fc habct ad omncs nie- diocrcs, quiucrofcnesaut
cralusfuntcruribus, authitopcdtore, aut cruribus, ulrra quod par cft,
gracilibus,aut quorum corpus cxi- guo clt thoracc , aut admodum angufto , aut
valgum cft , uarumue, aut alio quouis pado a mcdiocri tate rccedens , id ad eas
omnes ex- crcitationcs incprum rcddirur , quac uitiofa mcmbra maijis ofTcn-
dcre, quamiuuarc polTunr, ut vocifcratio thoraccm, ambulatio crura.dLiimiiitcr.
lam vcroconfuctudo maximamlibi ucndicat partenidd excrcitationisfpccicm
dchgcndam,quando Hippocra tcs dixit,cos,qui foliti (unt laborcs fcrrc, etfi
fucrint imbccillcs,uel B fencs , non confuctis , forribus, atquc iuucnibus foliros
facilius fcr- re. nam (icuti confueta minimc lalTant, quos cxcrccnr, immo criam
delcctanr, parircr infucta tum moleftiam adf crunr,tum lafTant . Se- nes igitur
omncs confueris laboribus cxcrci rari dcbcnr , (c d tamcn uehcmcntia corum
rcmifl-i ,quia, (i corpora fcnilia vigorcm, calo- rcm,. robur, & omnia
denique diminuta habcnt,iuuentutisrc- fpcvfcuexcrcitationcsquoquc minorcs
rcquirerc, rarioni confcn- tancum cft. Vltimo uiria corporum fcnilium propria
cxcrcira- tionum ipiis ncquaquam conucnienrium gcnus dcmonftrabunt. quac cnim
ex lcui caulfa , a vertigine, comiriali morbo, graui ophthalmia, auditus
imbccillitate capiunrur,cxcrcirarioncs caput oricndcntcs cuirarc nccclTc eft :
fimiliter &: in omnibus alijs affccti^ bus, non folum fenes, ucrum &c
cuiufq. aetaris homincs ita fc gcre- Cre dcbcnt , vt ijs cxcrcitationibus
fcdulo abftincan t , quac paticn- tcs parrcs magis cxcrccrc,&: pcrrurbarc
natac funt . Si c itaq. dc va- lcrudmarijs, ac fcnilibus corporibus cxcrccndis
itatucndum crit. T)e corportLus pims exercendis. Qtp. I X. V I C V M QV E
corporis cxcrcitationcs fanitati inuti- lcs minimc rcputarunt,in fanis cas prac
cetcris comcn- dandascfTcdixcrunt ,tamquam nccclTarium propc cx- /iftat, /i
cxcrciracioncsad bonum habirum comparan- dum , atqucualcrudincm confcruandam
non ignobilc auxilium pracftanr, ut in {anis maximc adiumcnrum oftcndcre
polfint. Hoc tamcn ucrum cft, antiquos mcdicosmulras fanorum corpo- rum
diffcrcnriascflcci(sc, intcr quasprimum locumobtinct cor- Cymn^ifiica. P 3 pus
2»» X I B E R PusiIIiidperrc(aafaniratcpracdituiTi,quodmenfura,®ul^
tcris pofitum fuit,potiufquc mente defignari, quam in ulla rcgione i.dctue.
^^^pf^l^^u^niri potcft: ctfi Galenus multa corpora temperata in Mal.cap.7,
regionc inueniri memoriae prodiderit.De tali namquc corpo-
r^cnuUibicxiifteatcfcrmonemnon fum habiturus, feddeillistan- tum agam,
quacirapracfcntefanitatefruunrur,utvalcantline la molcftia cuuvftas illas
aftiones obire,quac communitcr ab omni^* busexercentur. cum enim medicus
arrifcxfenfiliumrerumexfi-. llat,quacfcnfuifefc produnr,&: non quacfola
cogiratione com- prchcnduntur, tradtarc debct . Haecitaquc corpora fana,quoniam
quotidiecomedunr,atquenutriuntur,nccclTariomuIta cxcrcmcn- tagcnerant,
quacnificontinuoacorporcperexercirationcs edu- cantur,tandcmprauas
difpofitionesingenerant : undeprudcnrcr ^.aph.zs, fcripfir Galenus, homincm, fi
vraturmcdiocri cxcrcirationc,&be- E ne concoquat,corpus a fupcrfluitdtibus
mundum rcdderc . Vcrum enimvero infanisquoqucplurima confidcrationedignafcfc
offe-* runt, tam cx partc exercitationum, quam ex partc cxercitandorum. Ex
parte excrcitationum fciri dcbet , nullam exercitationcm , nec vrolentam,neque
immodicam cfreideberc , utinlibro i^^gi lUKgcc^ c^)«/f«2adnotauit Galen.
&:propterea excrcitationcs.foflorum mcllorum ncminifcrc eorum conucnrunt ,
qui profpcra valetudi- nefruuntur;ccleresmotus,&:
vehcmcnresinrobuftiscommendan^ tur , qualis lufta, difcus , pila , &:
huiufccmodi , co magis fi confueti fuerintj moderati omnes quibus vis fcre
aptantur . Porro cx parte corporum exercitandorumhismenrcm adhibcri oportet ,
confue- tudini , aetari , habirui vniuerfali corporis , parriculari rationi ui*
uendi,necnon temperaturac . Dc confuetudinefacpius diximus F ctiam in omnibus
obfcruari dcbcre, fiquidem quae confuetac funt cxercitationcs, licct fint aut
nimis vchementes , aut nimis rcmiflae, inaffuetis maiorcmutilitatcm,atque
dclcdationcmpariunt;atfi quis vcl minus,ucl plus quamconfueuit^intcrdum
excrccatur, pro- tinus molcftia cuidcntcr afficitur,ita ut non raro fcbrcs hac
ratione ll.decauf- confingere, fcripferit Galaius,dum excccicatioacs confuctae
di- mittuntur. Quod vcroadactatcmpertinet , iam diximus , proue- rcb.cz?^^
(flos,&:fencsremifliorcs quam ceteros,&:pauciorcs excrcitationes
pofccre ; pueri , iuuencs , atque uiri motibus fcrc omnibus pro fua
quifqueactatefufficiunt,modoaliud quid nonprohibcat, autmo- dum corporibus
priuatorum, &: non athletarum conuenientem minime exercitationes
tranfcendant. luuenes cnim ( diccbat Hip-^ pocrates,fiuc
Polybusinprimodemorbis) fiplusconfucto labo- rcnr» Q V A R T V S. iti A rcnt
jConuuIiionibus fortibus , &: rupruris uarijs carnium, uena- rumque
ftarim.i?^ magis,quam fcncs tcnranrur ; quod corpusrobu- rtum,t^ liccum
habenr,carncmdcnfam ,ualidam,onibustcnacitcr adhacientcni,cui circundata cutis
uoJdc tcnditur. quac omnia mi nus fcnibus inlunr, &c propterca illi rarius
huiufccmodi mahs capiQ rur. Dcuniucrfali
aurcmcorporishabirullcdcrcrminandumccn- ieo,quod pingues,6i: obcli^quanromagis
cxcrccanrur,ranro profpe l^pirth -riorefaniratc utuntur,quandodiccbat
Ari(torcIc$,moru pingucdi- ^*^^^** iicm cliquaruquodfi criamcxcrcitationcslinc
uchcmcnrcs,arquc acurac,nihil omninonoccbunt. Nam Hippocrarcs corpulcntorum
irincrauclcKia dcbcrecfl*cuohiir;quinctiam(}alcnusinrcr cttcra, M-Mcth. quac ad
cxtcnuandum uii um illum obcfum quadraginra annos na *^ '^'
tumadminiftrauir.fccurfum udocem adhibuillcrcfhitur . Conrra Cjracilcs in
confummara fcrcquictc dctuuri poftuhmt, quia licuri ^«.^- ^cQlL corpulcnti
cralii contrarias habitudmes cx conrrarij^ortas ha- ^J,'*"^'^^'
bcntvitdconrraria proipforum falurcexpolccrcuidcnrur,ahoqui i.icuua.
niagoopcrckcdun ■ Mjcahqui funr,quibus cxcrcirarioprodcf* k mdicctur,ij pro^ ^
-lu pauca,0^: ualde rcmilla opus habcnt.un defapientitliinus Hippocratcs
iummarationciulHr,urgracilcsiter ^CJ. diae faCturi lenns
pal]ibusincedar,quosircm Mangoncs,& Mcdici craf- " j^
(efaccreuoJcnres,uirgis ucrbcrabanr,ur carock'uarctur,&:ad cam ;ihinentum
rrahcrerur.Qui ucrointcrpingucs,v!s:gracilcs,ucI lv(rjg- fii,iiuei]uadrati,uel
parumadalteramparrcmdecUnantcs exillur, mcdiocrircr,aut criam uchcmcnrcr , modo
nr^n immodicc cxer- ccantur,utilitatcm inligncm pcrcipiunt ; nimirum cum corum
ca- . lor iramagisconfcrucrur/upcrfluiratcsquequotidianaccxhaurian ^
tur.Deparncularimcmbrorum habitu idcdiccndum , craflas,fcili- cet partcs magis
excrccndas , renucs minus , nili carum renuiras ex nurnmcnti dillriburione
impcdita,ucl dcfcctu proricifcatunquo in cafu , 6c exerciratio conuenit , 6c
gcnus illud ungucnti , ctiam pilis aucllcndis a mcdicis cxcogiratum,Dropax
uocatum, dc quo Mar- Ualisiib.j. V/llothro i^^LUuKjuc 1.1'iJs y C dropace calu^m
. ' I' Jsjunquidto/Jurcm GJtrgiliar^etimcs > & lib.2. Laettts dropjce ta
qHoUdmno , Hirfktisegtitrurtbyr fgetiisif. Paritcr,&:partcsomncs
corporismcdiac inter graciles, &: craflas cxcrccndacfunr, In ratione
uiucndi hoo infupcr animaducrri dcr bvtrUr qui parum ct>nK'dunt , parum
cxcrccantur ,iuxra Hippo- cratwic^cnijubi tunulaboraudupiaont-Uj uui itcm
uigilanr,a]j I I Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy
of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGl. 1 .7.429 214 L I B E R
cxercitationibusarccndi, ncmagis cxficccntur, neue molcftfacD molcftia
maiorfupcraddatur,contra qui multum comcdunt, mul- tumcxerccri dcbent,quoniam
diccbat Hippocratcs,non potcft homo comcdcns fanus uiucre,nifi laboret : in
talibus cnim opus cft mult o calorcut niultum concoquant, multus calor ab
exercitatio- i.^tu.va. nc,diccbatGaIenus,facilefuppcditatur,practercamuItum
mandu cantcs magnam cxcremcntorum copiam aggcncrant,quac nifi ma-
gnis,&:muItisIaboribus diminuatur,in prauas difpofitioncs cof-
pusdcducunt.qui fimilitcr multum, & profundc dormiunt,mul-
tisquoqucexcrcitationibus indigent,quandoquidcm in iftispcr- fpirationes
rctincntur , atque adco fanguinis copia partcs extcrio- rcs
dcfcrir,lubitqucinteriora, utadaftocultcllonon acque cfflue- 3.5hifto.
rcuaIcat,qucmadmodumfcribitAriftoteIcs,& obidfomnolcnti ^ ^*^^'"'*^'^
omncsdecolorati cuadunt,unde hos faris cxcrcirari nccclTeeft, quo pcrfpirarionibus
aditus parefiat, fanguisue ad extcriora fcruan
daarqucnutrienda
rcuocctur. Dcmum ob tcmperaturae ratio- ncm fic dc cxercitationibusiudicium
fercndum credo,ut ficciucl nihil omnino , ucl lcnte fatis , & minimum
laboriofe excrceantur. nam cxcrcitationes,quas fuaptc natura exficcare
conftat,fi in ficcis corporibus adhibcantur , quin intempcricm augcant , ncmo
fanae mcntis dubitarit. CaIidiquoquc,&pracfcrtimacri,acmordaci
calorepraediti exercitationcsmodicasrequirunt, ne a motu pius 4.Aph.i3
aequoincalefcant,ipfisquc,utfcribit Galcnusfolacin necelfarijs ^.epid.co.
adionibus obcundis motioncs fattac fufticiunt . Vndc Ariftotelcs, ^'^^anic'
quacrcns , cur ali j fcdcndo pingucfiant , alij macrefcant, ideo eue- Prob.i.
nirc dicit , quoniam alij frigidi funt , alij calidi , ali j cxcrcmcntofi , p
ali j non ; & qui calidi funt , pingucfiunt fcdcndo, cum corum calor fine
motu cibi concononimmerito dubitari poflct; co quod Ariftotclcs Q V A R T V 5.
415 A fcriptum rcliquit,corpora humida a laborc fi]flbcari,qiiia a calidi- tatc
motushumidum in uaporcs conucrritur,qui mox copiori,&: lcruidicflcdi
calorcm nariuumfuffocanc: atramcn ratio fccuspcr- fuadcrc ui derur , quae
dcraonftrar humida corpora cxcrcmcntis a- bundare, & propterea iplls
laboics ualidos congrucrc , tum ad cx- ubcrantcm humiditatcm confumcndam,tum ad
fupcrfluirarum co~ piam adimcndam . Quaproprer , ficuri notat Pcrrus Apponcnlis
, icntenriamAriftotclis dc illis inrcUigcrc oportct ,inquibusqua- tuor
concurrunr , ut fint humidi , &c calidi , ut humidi tas lir irulra,
cuaporabihs,atquc circa puImoncm:talcs cnim filaborcnr, &: mul-
tumexcrccntur,pcriculum cft,ne humidiras a calorcinrrinfcco acutoin uaporcs
conucrfa pulmonis,&:cordis rcgioncmoccupan- ^ dofuffocarioncminducat .
Quiab his humidam corporisrcmpc- ricmpoiridcnr,nullum nocumcnrum ,quinimmo cgrcgiamurili-
tatcmabcxercitationibus,&: laboribus percipiunt;arq.hacratio- ne cx
mulieribus humida tempcric in uniucrfum pracdiris illac fa- niorem, &:
minus molcftam uitam dcgun r , quac diurius , 6c ualcn- tius elaborant , &c
cxcrccnrur, ficut &: cacdcm apud quas gcntcs,&: in quibus locis
laborarc confucuerunt ,facilius pariunt , ut kribit Ariftotclcs ; neque utcrum
ditHcuItcr gcrunt , cum labor ca rccrc- ^:^^^^^^ mcnta
confumar,quacinmuIicribusotiofis,&:fcllulanjs augcntur. Quaccunquc
ucrocorpora calida(imul,6^ficcafunt, nullopa^to cxcrccriconucnit;quae
calida,&: humida, cxcrcitationcm admit-
tunt,atmodcratam,nonuehcmcntcm,noncitatam : frigida,&:/ic- ca rationc
frigiditatis cxcrccnda lunt , rationc autcm ficcitatis ne- C
quccelacs,ncqueuaIidosmotusrcquirent, fcd modcratos,&:po- tius lcntos:
fngida atquc humida omnium maximc ab cxcrcitatio- nibus uchemcntibus, &c
uclocibus iuuaniur, quippc quac fupa -a.- cancam
humidiratcmabfumunt,&:calorcm natiuum cxcir.inc.au- gcntquc.
Sicigifurdccorponbuscxcrcendisinuniuerfuui dctci- minatum lit. Dc locfj In
quil^HJ excrcitationes ficri debent. Cap. ^^y^.ffK A N T A cft locorum
uis,atquc proprictas,quibus rcs ia iplisfaciacuarijsmodisdilponuntur,utnon
modoplan tarumnaturac,ficuri Thcophraftusfcribit ,non modo ^^c.- brutorumfacultatcs,qucmadmodumaudorcftArifto-
tclcs,ucrum & ipforum hominum corpora,atquc animi, fccunduin
Hippocratis,&:Platoni5fcntcntum,prout indiucrlislocisucl na- fcuntur,
2il.mai;ishvpcrhron conimcdarunr, quampordcus,(S^hypogacum,licut,6c
Phacdrusapud Plaroncm in diaiogo iplius nonunc infcripro cx fcntcncia Acumcni
mcdici , cu- ius ctiam a Xcnophoncc cclcbris hc mcntio, dcambulationcm , cx-
[l^^^"^^^^^' ti-a ciuitaccm iaLhun ci, quac in ciuiraribus ctH. i iir,
pracrulit hifce tt^* ^ ^ " VCrbis '.ti \,yu£ mI cSTruiiyiW^ AKOVtAivui
KcciccTccs oJ^Jx/^ TTcioOyLCti ToOi Tr^rrccTOv^^cfHffi yxg iKOTroort^STotiv
Ivtoi^ J^^ot^n^ iivcti, jdcli:, McO auccm , 6c tuo obcdicnslodali Acumcno , m
vi)s ambulationcs fa- cio : has cnim dixic minorcm lafruudmcm parc rc , quam
illas quae hn curribusagancur, Dc hoc cnim Placoms loCo cum luprapromi-
fcrimus, nv"^s plura diduros, iam occafio poliicira fcruandi opporru na
fclcurtcrr, cosmagisquod Marlilius Fic!nus,uiralioqui doctilli- B mus,dum
Phacdrilcnccnriamcnecrcdidit , uc hiciiiorcs linram- bulacioncs, quamcurfus,
dupliccm errorcm rurpiccr commific; rum quia rcxtiis (Sracci lirceram ,ai]t non
inrcllcxir , aur linc ncccf- licatc cranlnuitauic, dum loco t»v IvToi^J^^iyiOi^
, pcrindc cranrtu- lit , ac(i ccxcus habuilVcc TivJ^^itmy ciim quia Phaedro
Acu- mcno ridiculam propc rcinlc adlcripfiirc nonanimaducnit :quis
cfuaeloadcomruHus,(&:ignarus cll, quin cognofcac ambularcfa- cibus clVc ,
quam currcrc ? Mchus igicur lanus Cornarius , qui nu- pcrPlatoncm Latinum
iccit, fentcntiam illam inccrprctatus cft, cum Phacdrum tcccrit diccntcm
falubriorcs cllc ambuhirioncs in uijs,quam in curlibusfactas. quod uc
accipicndum ,atqucintclli- gcndum (ir,uarias inucni doclorum hominum opinioncs;
alij nam- qucarbicratifunr, «/^fo/nwj fiue curfuii apud vetcrcsGraccos fuific
Qin urbib. uiasplanas,lcdoblapidcsftrarosafperiufcuIas, &:brcucs ita
appellatas ob frequcntiam hominum pcr cas ambulantium i co padito, quoctiam
hodicrnadicapudmultosciuirarum uiacmagis irequcntarac Curfusnuncupanrur. cui
fcntcntiacopitulari uiderur Hippocratcs 5. Epid.-.ibi mcntioncm ciiiufdam
facif,qu' propc cur fum habitabat his vcrbis: 0 7roc§i tov J^giiJLov
opcioQVyTHS wktoqcchjuic li^i' daf. idcft, quidc propc curlum habitans nocte
languincm euomuit, ucro liue uias dixcrunt fuiflTc quafcunquc uiascxrra ciuita-
tcm nulla artc fabricatas,nullis lcgibus llratas,(cd inacqualcs,mini mc
planas,&: dcniq. talcs,qualcs ud narura,ucl cafu fadac rcpcriu- tur : atque
ideo Acumcnum magis ambulationcm in uijs , quam in curfibus probaffe : quoniam
ficuri fccundum Cclfum , 6c ipfo anri- lib.i.ca quiorcm Ariftotclcm forraffc
Acumcnum in hoc fcciirum, Tfl2t^ jV/yJ"^ TF^iTriroovoi
KWfdCiiJ^Qy^iKOTrii^ioi wii/oiivi^Mi rHv irjSuHv. idclt ambu- 218 L I B E R
ambulationumlllacminusdelafsant, quae fiunt inuijsinaequali. bus, quam re(ftis,
cum ambulantes pcr loca plana , &c aequalia fem- pcr ijfdem membris
laborcnt , ambulanres u cro per inaequalia ro- ticorpori laboremmagis
diftribuant, &:iccircominusdefatigcn- tunitaambulationcsper uias fadac, ut
potc inaequales fadtisin curlibusnimirum acqualibus exli^eiTtibus
facilioreseadcmratio- ne cxliftunt. Alij dixerunt rot/ffc/^fJ/iovc
r^xftitilTelocaquaedam tra- £l:u brcui ambulationibus dicara, limilia ijs ,
quae in palneftra anti-» qui ob ambulandi commodita.em acdificabar, quacquc
IniJ^goiAi- c^ajuocatas rradit Virruuius, &c quorum clarifrinam menri ;ncm
fecit Eupolis, apud Laertium m Platon Iv IvjkIoi; J^goptcurt akccJ^H''
lAOvSiov^ ideft, inambulacrisAcademi Dei umbrom. uiasuero ex- ftuif e dlas ,
quas paullo anre ex praedi(5l:)rum opinione indicaui- mus, & ob id
Acumcniim rede fcniifsc, dum ambulationes in vijsminus, quam incurlibus
defatigarc ccnfuit; quandoquidem . Ariftoteles fcriprum rcliquit, eos ambulando
magis defatigari, quipcruiasbrcueseuntcs faepe, ac facpius repeccre coguncur,
quam illi, qui longas uias pcrambulantes numquam repetuat, cum illi priorcs
modo quiefcentes, modo euntes ab inaequali mo- ' tione pcrturbentur , quod
minus iftis euenire perfpicuum eft . Hos poftrcmos melius cctcris fenfifse ,
femper ego putaui , non tam quod ambulano in uijs perada eligibiliorfit, quam
in curfibus, tum ob rationcs praedidas,tum ob liberiorem, & puriorem aerem,
qui non in locis breuibus,&: occlufis , fed in vijs apertis crebrius in-
funditurrquamquodcurfum ita Platonemin Phaedro intcllige- re,uerifimihus cft ,
quando &: in principio Thcaeteti fimili uoce in cadem prorfus
fignificatione uti uidctur fub hisverbis: tegnyxg ltf rS^ooJ^gcfieo
HMl(povroW£tgoir\rmgovroi ttCroO^ KxiccCrity vvv&: loca fccundum mare ad
mcridicm,aut occidcntc fpc^ftan- tia tiigicnda crunr , c]uoniam , Virriiuio
auctorc , caclum mcridia- ^^^^ ^•^ '^* num pcr acftarem folc cxoricnrc
calcfcir, mcridic arder,undc cxcr citarihne magnoincommodoncmoibi poteft.
Quodfi fupcrbilfi mac,arqueinnumcrae illae porticus ob dcambularioncs, &:
alias cxercitationes, ut fupra rctulimus , crcftac , fi ampliirima illa gym-
nafiaad hoc a maioribusnoftris magniricc exacdificata babcrcn-
tur,nuIlusprofcdo locus aptiorinucniri polTct, qui omnibus fc- rcexercirarionum
gcneribus magis futficcrct :fcd ,quoniam illo- rum ruinas uix nobis intucri
liccr , danda opcra crir, ut unufquifq. locum fccundum condicioncs iam
cxplicaras cligar , illud icmpcr nicnre rcuolucns, tametfi multae fint
exercitationes, quac loca angufta,&:occIufa expofccreuidcntur, inijsramcn
haudparuni B delc(ftum quoquc habcri dcbcre : ut , fi non omncs qualitatcs ,
ali- quasfaltcmcarum, Sc mclioresex ijs, quas inmcdiumpropofui- mus , habcant .
Quamobrcm fcitiflimc confuhiit Galcnus , ut do- ^i^- mus, in qua cxcrcirandi
funr homincs, h\ cme calida , acftate frigi- "^'"P-^- da , uel fcmpcr
tcmpcrara cligarur ; fin mmus , procurctur , ne ipfo pracfcrtim die calidior
,frigjdiorucfir, quampublicus totuisur- bisaer. Quasomncs pracdidas condirioncs
unoucrbo complc- xuseffc uidcrur Acrius Amidcnus, ubi gcftarioncm, nauigario-
lib. j.c.7. nem,&: omncm dcnique cxcrcirarioncm in falubri loco,&:puro
acreficridcberefcriplit . Aliac fimilircr poflcnr indicari iocorum condiciones
,ncmpe inaequaljras litus, planirics,&: huiufmodi: ied,quia parrim
cxplicaracfucrunt,parrimfupcruacanca&: teporcmferuarc non poteft. amplius
corpo-. ramotupcrfpiratiora,&: folutioracffcda , meatufquc pcrfudatio- ncm
patefasfti frigusintima maiore ui penctrarc permittunt, ac* ccditctiamquod fcfc
cxcrcentes acrcm continuo permutant, ac ^r. partiu pcrmoucntj&iccirco^uti
diccbatAriftotcIes,currcntcs hycmc,ma P prob. 12. gisrigcntltantibus.quod ucr
noftra ambiens corpora, cumftamus, ubi lcmel concalcfadus cft,nulla amplius
molclliam inkrt; cum au tcmcurrimus, alius atquc aliusfubindcfrigidus*occurrit
,iraquc fit, ut magis rigeamus • Paritcr qui in cxtrcmis frigoribus cxcrccn-.
tur,uchcmcntius arigorcpcrcutiuntur: nimiuspractcrcacalorcx- crccri
uctat,nccnonficcitas immodica,quoniamaltcr calorcmna- tiuum, & vniucrfum
corpus immodcratc refoluit, altera magis> quamparfit>humiditatcscxficcat.
Tcmpusitcm excrcitationibus fcrenum,atquc lucidum cligcndumcnt, fugicndum ucro
nubi- lum, obfcurum , craflum; quando licaer dcprauatus ctiamabf- quc
cxcrcitationc apcrtos corporis mcatusfacilc ,fubit, humorcf- qucfccum inuchcns
mcmbris non finenoxa afligir, & pcr con- fcqucns grauiora non Imc rationc
corpora rcddit, animumquc de- inccps Q V A R T V S. 221 A mceps gnuat
;qiiodinfcfcno nufquamanimaducrtitur,quln po- tius al> illo corpora ad morum
adiuuari,fpiritusq. fuaptc natura lu- ciditati amicosconfirmari',&: animum
rccrcari pci fpicuum cft. id ^.^ ^^^^^ quod Hippocr:itcm (ignifi^ alfe puto,ubi
dixit,(?/4«ritrc &:incoctos humorcsconficicnre cxcremcnra paucif-
(imagcnerantur,atqiic indc minus iIIacducincce(Tariumcft,nc- quc
cxcrciratioconucnit>quaccxiguam urilitarcm aficrenspencu lum magnum adncxum
habetine fcilicet aer hyeme madore opple tus coi-pora moru reclufa illabcns
nvignopcrc laedat.Kx altera par teuctuiliirrnus audor Hippocrarcs, iiue Polybus
tria cxcrcitandos ^.dctlict» hommcs admonitos u )!uit,ut lallitudincm omni
temporc caucrcr, ^utdcambulationibusmaruriniscorpus exercercnr,
urhyemc&:fri gido tcmporc magis ac diurius cxcrccrenrur,ccflanrcs tamcn
priuf quamlaatq. ctiamaurumno cor[x)raabambicn Li.i.c n- teacrc faris
exficcata,fqualcntiaquc rcddita haud amplius pcr mo- tumarcficri
dcbcrc,ncqueitemcalorcm alioqui languidum,&:im- bccillem magis rctundcndum
minucndumuc.Galcnus ucro,muIra ^ ^^-^ rumrcrum,quasmcdicifcquunrur,auLtor bonus
ccnfuifTcuidetur, ual.ca.z- quod ficuri corpora rcmpcrata in rcmpcraro
rcmporc,ncmpc ucrc> cxerceri poftulanr,(imili pavflo corpora frigida in
calido , calida inc frigido,humidain (icco,(icca
inhumidocxcrccndafinr:qu;ififcm- per illud obfcruari dcbeat, utcorporibus
adaliquamintcmp^-rie' dccliiumibus tcmpus,atquc locu5 coiurariaiucxerccndo
chgati^ tttu 222 L I B E R .9. epm. tur.Neque hoc in locopraetermitrendum
ccnfeo.quod PIin?us iu- T> S Fulcc: '''"'■'^''^ exercitatione aeftaris
tempore a fc ficri fc>!ita , ubi a Fufco mterrogatus,quomodo diem acftate in
Tufcis difpennirer,in huncmodumrcfponditde cxcrcitationibus.-iibihoraquarta uel
quiMta.ncquc cnim certum dimcnfumo. tempus.utdiesfua/itin xy ftummcvcl
cryptoporticum confcro.rcJiqua meditor,& didojVc hiculumadfccndo. Ibi
quoqucidcm quod anibulans.autiaccns* Duratintentio mutationc ipfa icfeda,
Paullum rcdormio ,dcmde ambuIo,mox orationem ^ iraecam,! atinamue clarc,&:
intcntc non tam uocis cau la, quam ftomachi lcgo , paricer tamcn &: illa
firma- turitcrum ambuIo,ungor,exercecr,lauor.& paullo poft. Nonnum- qiiam
cx hocordmcaliquamutantur. nam (i dm iacui,uel ambula- ui,
poftfomnumden.umlcaioncmq.nonuchiculo.fcd quodbre- ums,quod velocius,equo
gcftor, ucnor aliquado.ln particuJari por E ro tcmporc excrcitationis
dcfcribendo Ariftotdcs aliquando mo- Pk,..nhb. ,um cum(vt ipfi ctiam imputat
Plutarclius) quipoftfumptum cibu •iit,commcndauit,coquod tunc caloramotu
auduscibum mox in- ot ftumfaciliusconcoquat,cuiustamen contrarium eucnit, quan-
do pcr motum calor a uentriculo ad uniuerfum corporis ambitum
rctraausnonfolumnonadiuuat concodioncm .quinimmoimpe- locclt
'^i'^'^»'"*^^"^«; r(ii^oMW(tKAvvrM.f,iivH(Cisis ci(m tua cura dapes ,
Et bomts MCthcrio Uxatur ntBatc Catjjfr > lngcntiq. tcncl pocula plcna manu ,
Tunc admitte iocos ^^rcjju timct ire licenti , w/f aut fphacrillirio, aur curfui ,aur hidarioni-
„ busmoHioribus incumbcbar, arqucindc undus Iauabatur,ira ut „ caldarijs ucl
numquam', uel raro,pifcinisfcmpcr utcrctur , in caq. „ ^ una horapropc
mancrcr:bibcrcr ctiam frigidamclaudiam iciunus „ ad unum propcfcNrariii.
Egrcflusbahicism i.lrumladiSiSjpanis fu- „ mcbar,oua dcindc, mulfum,arq.his
rctcdusaHquando prandium „ inibar,aIiquando ufq. ad cocnam diflTcrcbar, pranfus
cft ramcn fac- pius. Horariusquoq.paullodiucrfius, &:fcipfum, Sc ahos hbcrc
Lib,i,fcr. uiucnrcs in cxcrcitationibus cfficcrcfohros> arrcftari uidctur ,
ubi Sat.t^. pollmultahaccfcribit. quartam iaceo ; poH hanc ragor, aut e^o Uclo
, v>f wf fcripto, quod me tacitum iuuet, ungor oliuo , 'hlon quo fraudatis
immundus V^atta lnccrnis , ^sl vbi me fcffum Jol acrior ire lauatum ^dmonuiry
fagio rabiofi temporafigni ^ Tranfus non atude , quantum interpcllet inani ,
P^entre diem durarr, domcflicus ocior, hacc eQ ^ita jolutorum mijcra ambitione,grauiq.
His mt confolor uitlurum fuauius ,ac ji QuaeHor auusypatcr atque meus
ypatruusq. fuiffcta. Illud ramen hoc in loco ncquaquam pracrercundum exiftimo,
quod maiorcsnoftri , quorum maiorparsucl cxiguumquid>uel nihii omnino manc
manducabanr, fcmclq. tanrum in dic farura- banrur, horaodtiuadici , ucl nona
commodc cxcrccri porcrant, aut criam occidcnrc (olc. Cctcrum aerarc
no(lra,c]uando uix vnii, aurahcrumcft inucnire, cui non lir in morc pofirum, 8c
vcfpe- re,&manecibisfarurari ; nulla inomni rcmporcopporrunior ap- parct
horii, quam marurina ^paulloanre cibi fumprioncm ; nimi- rum cum corpora
lciwora ySc ub cxcrcmcncis magfshbcra , niagis ob i26 I B R
obpraeuiiimfomnumualida, magis dcniquc a quibufuisimpcdi-D
mcntisfollitafunt^&practei^a minus imminct pcriculum, quin extcrnuscibus
probc confcdtus (it: ficut contra in vcfpcrc, cum nondum cibus concoftiontm
affccutuseftjcorpufquc fupcrfluita- tibus magis redundat,magisq. grauatur,
potius quicfcendum , qua li.i.fen 3. cxcrcendumcfTe, quifqueuidct: uti quoquc
animadutrtifle Aui- Joc.2,c.3 cennam arbitror, ubi dixit:"In hycmc vcro
ratioiii conucnicns erat, ut fcrc ufque ad vefperam tardarctur, fcd alia
prohibctia hoc uetant. Erit iraquefcre pcrpctuonoftrishilcetcmporibusmane
antecibum quibushbet fanisadcundacxcrcitatio,iique vllus au- ftorinucnictur,
quipoftcibum cxercitarioncmcommcndct,mo- . do prudentcr confulat, non gratia
fanitatis, aut habitus boni com- parandi illud faccrc, fcd potius gratia
alicuius particularis aficjlio- nis curandaccognbfcctur. E/t Sc aliud hocinloco
magnopere E confiderandum, ueter^s tam Romanos^ quamalios multos fcrn- pcrdics,
atquenoftes fcparatim in duodccim horaspartitos eflb.; atquc alias dici
maximias,ut in acftatc , alias minimas, ut in hycme, Udecit-
aliasacquinovflialesuocafl^c: numerumautcmhunc fcribit Gale- mfpcc.no "^'^
ranquam ommium utjIiflTimum ab ipfis deledum eflb, quo^ titia atq. niam
dimidium continct, &:duplum, &: quartum &: fcxtum, 8c «pfj!^*
usincredibilia crra- ta Q V A R T V S. jjT A ta committi folenr,&:
plerumque ( urar Plinij vcrbls) infcitia capi- ^M.n talis cuadit. cumquc nos
cxcrcirarionis toram arrcm rradcrc profi- tcamur, iamquantum vnufquifq.
cxcrccri debcat, monftrarcco- nabimur . Et nc lingula cxplicantibus nimis
diuagctur oratio ,uni- ucrlaquantitatiscxcrcitationum tradatio cx hisconftabit,
Quis cflc dcbcatcxcrcitationis communis tc rminus: Quantum fortcs, quantum
dcbilcs, quantumlcncs ,quantum uiri ,quantum pucri,excrccri debcant;quantum
hycmc,aclbtc,ucrc,&: autumno;quan- lum tcmpcratc uiucntcs , quantum humidi,
caHdi, frigidi, &: ficci ; quantumualctudinarij ; quantum non alfueti . his
ctcnim cognitis nihil,quatcnusad praclcns caput attinct, dciidcrarciurcpotcrir.
Sed antcquam rcm aggrediar, adnotandum duco , dc corporibus acgris non hiturum
lcrmoncm; tum quia paucas cxcrcitationes B rcquirunt; tum quia fccundum
morborum uarictatcs uariantur cx* ercitationum lpccics,atquc mcnfurac;&:
iccirco ccrta rationc dcfi- niri nequcuiK. Tcrminusigitur cxcrcitationum
communis ,qucm Galcnus ,Oribalius, Auiccnna,&: Actius Hippocrarcm fccuti
do- cucrunr,duplcx cll,U!ms,quandofciIicct uapor fudori aliquanti- r.dcloclf
fperpcrmixtusfcntitur, vcnae intumcfcunt, atquc anhchtuspcr- mutatur:cum cnimab
cxcrcitaiionc duorcquirantur , mcmbro^ Ji.i.fcn.ij rum robur, &: caloris
au(ftio , qui fuccos concoquat , concodos nu- tricndis mcmbris diflribuat,
atquc dcmum inutilia dillipct, nifi^.cpia.^' cxercitatio tanta fit, &: ad
limilem tcrminum pcrucniat: ncque^°»«*« bcnc,ncquc pcrfcdc
illaomniaobtincripoifunt, altcr tcrminus c(l, ut tamdiu cxcrccatur vnufquifquc,
quamdiu color floridus ciusfaciei ,&:corporiingeneratur; motufquc acritcr,
acquabili- C ter, &: concinnc edit ; ncc ullamcflaru dignamlalTitudincm
per- cipit . quod li calor cuancfccrc incipiat ;vcl corporis moles paullo contractior
vidcatur ,vcl lalTicudoiamimmincat: illicodcliltcndu cft; ne, fi ultcrius
progrediatur , corpus plus iufto gracilefcat : boni fucci unacij
maliscxhauriantur:&:tandcm calornaturalisdcbilior reddatur; &: idco
loco roboris acquircndi uircspotiusdcftruan- tur , (imilitcr ubi motuum
alacritas ,acquabiliras ; ud concinniras rcmitri quippiam , collabiq. ccrnitur;
utiquc llatim delincrc opor tcr; itidcm (i infudorcaccidar ulla
qualitatiscius,qua!uitati.suc mutatio, quippc qucm, &: copioliorcm (cmpcr ,
&: fcruuiiorcm cdi parcft,prout motus vchcmcntiorcsfiunt.cum igituris
autminor, aut frigidior rcdditur : tum fcito corpus cxhaunri , rcfrigcrariquc,
&:ficcari plus iufto. &:proindc corpori cxcrcitando diligcnrcrat-
tendcrc conuc 01% ur, quando pracdittoruni lignorum aliquod ap- Cyn.n.iiiica* 3
parcrc 22S I I B E R parere lam incipiat, protinus cxcrcitatio dimittatur.
Atque hi !> funt communcs quidum tcrmini , quos magna fc/e cxerccntium pars
continerc dcbct . Succcdunt poftca particularcs, pro quibus ita dccrctum uolo,
quod ualidi diutius ccteris (nifi quid aliud ob- ftct) cxcrccripolTunt,
quamuisctiamuircs aliquantifpcr fatifce- rcnt ; nimirum quae facillime
rcfurgcre poffunt. dcbilcs parum ccrte cxerccri oportct , alioqui i\ in his
uircs ucl tanrillum parian- tur,difficulter, & longo tcmporereparantur ;
& iccirco fatipfis crit incalefcere citra fudoris principium.Scncs du fe
cxcrcent om- ni cura fudorcm ctfugere dcbent; ncmpe
iicci,&:aridiexfiftcntes, ita maiorem ficcitarem conrrahunt; pracrcrea c um
iam dixcrimus, exercitationesiniuucnrutcconfuetasinfcncLtute congrucrc, hoc in
loco fciendum cft , fcmper fcncs minus quam iuucnes (oIcbant> excrcendos
cffc , omninoque lalfirudinis fcnfum cflugicndum , ter- E minumq.
excrcitationis eorumfamisexcirarioncmponcndum, fi- cuti Socrarem iam fcnem fe
exercirare , donec cfurirer , folirum le- gimus. Viri, fub quibus
comprehcndunrur omnc^ inrra adole- fccntiam , & fencfturem exfiftentes ,
moderatas exercitationes po- ftulanr: uel enim ofFendunrur, fi
plusiuftocxcrceantur, uclpau- cum omnino frudum capiunt, fiminus, uel utroque
modopra- uum aliqucm habitum conrrahunr: quocirca tcrminus commu-
nisiamexpofirushisomnibus mirificc aprabirur. Pucri a primo ufque ad tcrrium
aeraris feptenarium mulris laboribusprobefuf- ficcre poflUnr . quocirca &:
incalcfcere , &c anhclarc , &: ludare &: aliquantifpcr defarigari
ipfis impune concedirur : excrcmenris enim plurimis ob viucndi imprudentiam
cxubcrantcs afudoribus, &: laboribus multis iuuanrur ; uiribus autem
ualidis pollentesa F leuibusdcfatigarionibus minimc oflfcndunrur: haud ramcn
rao- duminlabore pucros umquam exccdcre conuenit, &:tanto mi- nus,
quantoprimo fcptenario uiciniorcs exfiftunt^ fiquidem in-
icmpeftiuaexcrcitationisduritiecorporis pueri,ad auftum, ana- tura quam maximc
comparari inhibcrur auclio, ob quod pae- i.Jtu.fa. dorribas nonnullos fui
temporis damnauir Galenus; quod plus c^x.7.pol. ^equo pucrosexcrcerent
.fimilitcr, &: Ariftotclcs improbandos iudicauit
Laconas,quinimijsIaboribus, &: exercitationibuspue- ros cfTcratos rcddebant
, ficut &: illas nationcs, quac athlctarum ha bitumlaboribusinpueris
gencrare ftudentes corumcorpora de- formabant,augumcntumq. impcdicbant. Nainter
eos,qui Olym* piavicerunt,duo, uel tres tantum exftitcrunt,quiijdcmadoIclcen-
tes> fi^ uiri fint ui inaniun- tur , calor naturalis excitarur,&:
pcrbclle conco^liones omnes pcr- ficiuntur. Dcmum uaIctudinarios,qui mox a
morbisrefurgunt, cxigua admodum cxcrcitatione utidebcrc, ncmoignorat; quo-
niamhorumuircsinfirmae ualde exfiftcntcs,caIorquc debilis, &:
membracxficcata ,fimulta cxcrcitationc agitcntur, nonpoflunt non fummum
dctrimentum fcntire:proinde ifti i ntra anhclitus mu- ationcm,intra caloris
aduentum,intra dcniqiie dcfatigationem ^
quamIibetexcrccndifunt:prouttameniftireficiuntur,uircsq. cre- fcunt,&:mcIiufcuIieflecoeperunt,adijceredebentexcrcitationes.
Poftrcmo qui exercitationibus inafl^ucti funt, cum prauam illa con- fuctudincm
dcponi deberc,iam oftenderimus, prius cxpurgari ab
humonbus,&:fuperfluitatibusexfcgnitie ortis fecundum Galeni confilium dcbent,alioqui
periculum imminet , ne a fluxionum per- niciofis morbis protinus
tcntcntundcinccps primo parciflTimc exer- cendi funt pcr aliquot dics, poftea
cxcrcitationis modus paulla- tim augendus , quoufque ad tcrminum illum
pcrucntum fit, qucm inafl"uetis fufficcre,&: citra ullam molcftiam
calefacere experientia docuerit:cofemper(quod fupra quoque dcmonftrauimus) ani-
maduerfo , omnibus immodicam excrcitationcm noccre , nempe quae pucris
incrcmcntum adimit,&: mcmbra colliquat, uiris inae- p qualcs intempcrics
gignit , atque febrem interdum , ficuti de illo Calc.^.dcimmodice
excrccricoaclo narrat Galenus in libro de cauifis prae i/mp.cau.
inchoantrbusjfenibusimmodicabiles Iaflitudines,atq. ficcitatcs pa
rit;omnibusque tandcm aliquid fcmper boni cffluere lacit. Quam- quam
Ariftoteles ij. ethic. ad Eudemum libro , vbi virtute medium eflc
probatjCxceflum in excrccndo defcdu magis laudat,licut in ci- bo cont rariu
mjo/^c^t/^inqu lOKoci Tngi to (raipix Iv /u^ rots Tromg vytui/ongoy i VTns^
'^^^ lA^u^liQnsKcci iyyuTigov roi ykaov \v J^i r7i rgoq^n « fcAAu4^2 vTnsSo^HQ
&c quac lcquuntur. Immodicac autcm cxercitationis haec
fignafunto,dumarticuIicaIidiore cff"ecli fentiutun dumuniuerfum
corpusaridum ,&: inacqualeapparct ;dumin motu/enfus doloris cuiufdamulcerofifuboritundum
labor coade,&:nonfpontc dimit titur;dum poftfudorcm pallor fuccedit,ficut
in athletisimmodice cxercitatiseuenireconfucuiflc au6tor
eftAriftoteles;duminfolita denique, prob. Si Q V A R T V S. f ji A
clcnlqncacualdcmolcftalafririido pcrcipitur. Tota itaquc quan- titatis
cxcrcirationum ra:io liis omnibus nobis pracfcripta fit.Quod limulta
particularia a quoquam rcpcricnriavi'iac a nobis aui i^^no rata,aut
praetcrmi(rauiJcantur,iIludfciat,nihilquod ad un ucr-
iamartcmncccflariopcrrincat,circ,quia uclcxplicitcuclimplici- tc a nobis
comprchcnfum habcatur^.juamquam ctiam mulrac cxcr citationcsfunt, quarum
quanritaris tcrminum non cxprcllimus , quod a tcrmino illo communi pracfcripto corum
mcnfuram accipi uolumus, Dc modo exercer^di. Cap. XllL p '^'-^^^♦'-'-—•RAETER
locum, tcmpus,&:quan:ita:cm, quae inobcundiscxcrcitationibusfununa
curaobfcruari ^ d^t)crcdcmonllrauimus,adcft& modus,qui urin illisipfis, fic
in plcrifquc alijs rcbus rc(ftc pcragcn- dis tantum potcft , ur, nili is
adhibcarur , cctcra om- niafupcruacancarcddamur, inrinitisquc propc cr-
roiibusiam uia latilfimcpatcat . Qua dc rcmaximead huiustra- ftationis
abfolutionem pcrtinct, ut modum ,qucm anriqui in cxcr- ccndis corporibus
tcnucrunt , quoquc tcmponbus noftris unus quifque fanitatis ftudiofus uti non
linc fru(ttu potcft , &: dcbct, apcrtum brcui fcrmonc faciamus. Modus
igiriir,quo uctcrcs ad fa- nitatcmufoslcgimus, fuitis, qucm Oribalius
Pcrgamcnus lulia- ^.coiic. ni Impcra. mcdicus , Actius Ainidcnus, &: Arabum
doc^^tillinius Q Auiccn. inmcdiumattulerunt. Virinamque ,&:iuuencsexercen-
Li.i.for.j di ubi Iotiopfcctaconcodioapparcbat,faccibusqucaluum cxonc-^^*-^'^^
»- raucranr,maiorparsfcfccxfucbanr, mox fricabanrur mcdiocritcr,
^"^'^"^'ufqucquofloribuscolorin fumma cutc refidcns, &c
arruumflexi- bilitas , arquc ad omncm motum agiliras pcrfuadc bant ; pcrfiicati
olco dulci mungcbantur ;quod urmagis ariusquoslibcr pcnctra- rct,manibus
undccjuaquc prcmcnribus,&:cxplananribus apponc- batur; abundtioncqui
luctatione cxcrceri uolcbant ,autpancra- tio, pulucre conlpcrgcbantur , alij
protinus in cxcrcitationcm, proutcuiquc alt^rraalrcri uiilior,atquc
grariorapparcbac,dcfccn- dcbanr,pcra(fta cxcrcitarioncpaullum
quicfccbant,dcindc fh-igili bus, ucl afpcriufculispannisltrigmcnta a corpore
cradcbant,quo fado aliquando rurfum fricabantur , iTroi^gctnwTiKH didta fridio-
nc,nmilirerqucungebanturaliasinfoIc,aljasadigncm,utCornc- ^*^^-^*^ *- liU5
Cclfus tcfUtum facit; ficq. fcrc fcmpcr balneum ingrcdicban- tur Lib i.Sci bis
bon.& ina.ruc. 2iS JL 1 ii £ R tur conclaui quam niaxinic alto , lucido ,
& fpatiofo, rariiisfcip/bs D inducntcs ad capicndum cibum accedebant. Atque
hic totus erat modus,quouelin gymnafijspublicis, uel inpriuatis locismaior pars
liberorum hominum,&: eorum qui valetudini curandae, & bono habitui
comparando folemniter incumbebant, frequentcr utc- batur-
Necquifquammiretur,quomodo liberi hominesfingulis
diebustotcorporiscurisoccuparentur, quando omneshomincs, ncdumclarioresquotidie
defricarifolitos, multi audores,& prac- fertimCoIumella
memoriaemandarunt.de quo defricandi mo- rc ,&modo,fiDeopIacuerit,aIiquando
tradationem huic adij- ciemus. Cecerumuerifimile fit quamplurimos
ahosexftitifTcqui uel negotijspublicis,priuatisque impcditi juelnecefllirijs
uaria- rumartiumoperibusdetenti ;uel aliqua ualetudinis ratione coa- €ci hoc
pa£lo minime excrcerentur , fed fridionibuSj&undlionibus ^
dimiffis^quafcumquc poterant exercitationes ample£lerentur;ficu- ti &:
multi reperiebantur,qui pracdidarum cauffarum aliqua nullo modo
exercitationibus uacandi otium habebant; quibus omnibus exadiore uiclu,^:
fanismedicamentis opus cflb tradit Galcnus. Verumenimvcro cu actare noftra
gymnafia illa ob exerccndi com moditatcs ab antiquis fabricata in vfu dcficrint
cflc%neque gymna- ftas,&: paedotribas,ncque aliptas,&: reundores
habcamus,a quibus fricandi, ungendi, tandemque quomodouiscxercendi modos,at-
que commoditates quaeramus,fat erit illis,qui aliqua neceflaria oc cafionc
impediti Iibcrefcfeexcrcendiocium ncquaquam habcnt, ut potius quomodocumque
poflunt , excrc eantur , quam fcmper in confummataquietedegant; modo tamen hoc
unumobferuent,ne ftatim a cibo excrcitationes cas, quas gratia fimitatis facerc
uolunt, ^ folicitcnimis adcant,fcdfalrcm aliquot horas intcrponanr, quo quam
minimum ficri potcft nocumentum inde fcquatur . Porro
quifuaefpontisfunt ,&:maioriocio
propriorum corporum curae Iibere uacare queunt,haec omnia diligenter obfcruarc
dcbcnt.pri mo u t corpus tum a faecibus,&: urinis , tum a mucis , &:
fpuris accu- rateemundarc,caputpcaerc,manus,&:facicm ablucre ftudeat, ne
excrementa in uarijs corporu cauiratibus,atq. in ipfo ambitu laten tia,a motu
cxcitata uaporarionib.oflcndantjftridisq. mcatibus no- nunquam infarclxi,aut
exercitarionis calore cliquata obftruftiones, fluxionesq, diuerfas
pariant.Sccundo ut corpus ijs indumcntis ob- tcgant,quaelaborcm ipfi
fupcraddcrc nequcant, quacuc interim a uentis,fiqui erunt,ucl afrigorc
tucantunautctiam fiacftus urgear, feruurenullopadoaugerc,fiucfoucrequcantinam
indumcnramfi cxer- Q V A R T V S. 217 CKcrcitandLs prudctcracc6modcntur,pracrcrimpcdi'mcntri,quocl
laboraruris in motu pracftarc folcntiniigncjfaciunt quoquc , &ut
motusdchita mcnfura ludcrj6j alia iucomoda rulHiicant;(iqui dcm fudor ita
indutoru finc motu multo cucnics, vcluti Arillotclcs i.par.^fb.
dirpurat,dctcrior cft co,qui a laborc cmanat.&huiusargumcntum p°t?o pl
eft,quod ita fudatcs dccoloratiorcscuadunt , cu humor pcr fumma blc.j. '
corporis pairus,arq. incalcfccns ab cxtcrnoacrcrcfrigcrari nopof. lit,&
indc pallorcm tacilc contrahat,(i mulquc corporis pcrfpiratio» a qua
graruscaloremanarcconfucuit a ucllimctis inhibcatur. Tcr tioobicruanducrit,ut
rcmiflc,ac lcnitcr unufquifq. cxcrccri inci- piat,dcinccpsciusintcntionc
augcatpaullatim,ufqucquoad tcrmi nu, qui fibi conucnicns uidcbi tur,pcr ucniar
, atq. vchcmcntia rur- fum pcdctcntim rcmittcrc catcnus conctur , quatcnus fibi
iam fitis B fclc cxcrcuilTc dodus cxpcricntia fcntict: na fiibito ab intcnfis
cxcr citationibus incipcrc,non folum imbccillibus,fcd ctia robullis cor poribus
fummc pcrniciofum iudicauit (lalcnus . Quarto ijs,qui in- pu!cp"iicpl ter
excrccndum fiidant,curandumcrit,iitpcrada cxcrcitationc ue ftcsludorc
madcfaclas cxfuant,&: ficcasrciumat,idqucli ficri potc- rit in loco tcpido,
aut tcmpcrato, aut faltcm ncquc frigido , ncquc ucnris pcrflatojl ctcnim humcctailla
indumcntarctincantur,faci- le cft carnibus a calorc rclaxaris itcru fudorcs
imbibi , ficq. dcnuo corporismcarus ob ftruitiir ; practcrquam quod pannimadidi
mox frigcfafti horrorcs,factorcs ac alias molcftias inducunr,atquc inde fcbrcs
mtcrdum oriri folcnt. Quindoobfcruandum ciit,nc(ficut criamfupra admonuimus)
poftcxcrcitationcm quam primu quicri fele dcdar,aut cibumfumat,fcd bIando,iSc:
valdc remiflo potius ali- C quo motu utatur,tantumq. a capicndis cibis
abftincat,quoad per- turbatio illa, quafiquccorporisfiudTtuatioacftuatiouc, ab
cxercita- rione gcnita proilus ccffaucrit, ciq. tranquillitas quacda, &:
icuatia fuccclTcrit. 1 otusitaquc critcxcrcitadi modus^ordo,primocor- pusa
fupcrfluitatibus quibus vis cmundarc , caputpcctcrc,manus &:facicm
ablucrc/caccommodatc inducrc,rardos,&: rcmi(Tos mo- tusincipcrc,ad
cclcriorcs,&: uchcmcntiorcs proccdcrc,itcrumquc paullatim rcmitterc,
madcfada fudorc indumcnta cxfucrc, blande pollrcmo moucri,&: fcdara
cxcrcitationis pcrturbationc cibum ca pcrc . Atquchacc dc uniucrfalicxcrcitationum
Ipcculationc mcthodo difputatafufiiciant.RcftatmodoparticuIarcs fingularum
cxercitationum naruras , arquc cffct'tus cnarrarc. quod infcquen- libus libris,
quanrum ficri potcrit,plcnc pracftarc conabimur. ExpUcit Libcr QHams. AR~ 234
ARTIS.GYMNASTICyE ° LIBER QVINTVS rDeordine agendorum\(^
den(mnHlhsfcituclignis. Qap. L Iciiti nullus ab excrcitationii particularium
co- gnitionc fru(fius cxpcdtandus cfler, nifi rcda arq. vniucrfalis methodiis ,
quafupcriori Iibro abundefaiis(nifal!or)tradidimus,optimcpof- fidcreturi Ita
proR do illa infruduofa,ac prope modu uana cuadcret , nifi haec parricularium
fcreomnium exercitationum tradatio, quam g aggrelsuri fumus, illi conne£lcretur
; fiquidcm incerta , ac fallax ea cogniriouidcri potcft, qua cxcrcitatio
vniucrfali quodam padto accepra iauareintclJigitur.fed /i qualis
cxercitatio,quod nocume-
tum,quamucconunoditatcpracftareidoncafit,cognofcatur,pro- culdubio nihil
amplius rclinqui conftat, quod exercitationura quarumuis fcicntiam opcantis animum
expJere iure debeat . £ t ic- circoncinchoataanobis gymnafticae tradtatio
impcrfc(flarelin- quatur,infcquentibusfingulos exercitationum iamenarratarum
effcftus profequcmur ; atq. hos cum ex antiquoru audoru compro- batis
experictia rcftimonijs, tum ex rei ipfius narura infpeda, quam 12. Meth. ef e
ueracodiriones rcru mueniendi rarioncfcripfit Galenus,dice- re conabimur. Et ne
citra ordinem totus futurus fermo uagetur,ita
matcriahuiufccmodidcclarareinftituimus,utprimocommodain F corpora humana cx
unaquaq. exercitationisfpecie emanatia,dein- dc mcomoda figillarim explicctunna
illud, quod quaplurnnis mc- dicametis eucnirc ufu c6probatur,ut fi alicui
corporis parti,&: affe- ftui profunt,alijs noccar, in cxercitationib. item
contingere, nemo ignorat.lnexplicadis praeterca utiliratibus,atq.
danisamcbrisfu- pcrioribusprincipiufumentcs, utplurimu in ultima,atq. infimafe-
riatim terminabimus ,prius tn iHis enarratis, quae nullum corporis particularc
mcmbrurcfpiccrc vidcbuntur.His autcm fic pertrada- tis,duo me faltcm pcradurum
cfsc fpcro:Altcrum cp maiori facilita- tc,firmioreq.cognitione quicumq.
hacclcgent,animiscorum in- fidcbunt : Altcrimi 9 habito a ualctudinis ftudiofis
excrcitationum alfiduo dclcau, uel nulli crrores, ucl quam pauciffimi
committcn- tur,ficquedemummulticorum pcrnicioforummorborum euita- buntur. Q V I
N T V S. 235 A buntur,c[uos dcCdia, laborum abftinenria,ac cxercitarionis
ignora tio non conrcmnendos , quofq. inrcmpclliuus cxcrccndi vfus con-
tinuoparcrc foletiillud namquca narura compararum cffc norunt
omnCvV,urilla,quaccorporibus nuftrisadmorainliynitcr conducc- rcanimaducnunrur,
cxdem plcruq. magnum dcrrimcntuintcrat, li ucl nullo paclo,ucl prauo ordinc ,
arq. omnino importunc adhi- bcanrur . quod ctiam m cxcrcirarionibus iplis fcrc
conringcrc , iu- dicauit Galcmis,ubi lcriprum rcliquir,cos,quianrccibos,arqucop
^cd porruncfcfcc.xcrccnt,haud exquidra vidusrationc opushabcrc, ^;',5°".^
quin inrcrdum Naturac in ualcrudine commillos dcfcduscorrigc rc,qucmadmodum
cxaducrlo iIIos,&:accurariorcuic'tu,(!!;caliiduis
mcdicamcntisindigcrcinfupcrquc natiuamfanirarcm corrumpc- rc, qui ncquc ante
cibos aliquo pado,ncq. ordinc,ac tcmporc fcr- B uariscxcrcitarioncsadcunt.
Cumiraquc taliordincquacad nni- ucrf-ira ^'vmnadicam [>crh\icndam fupcrlunr,
pracdfclrs adiungc- repropoLtum mihifit, id anrccetcrapracfariopcraeprcriumcllc
duco, nos in fupcrioribusgymnafticamfaculrarcmnonincurati- ua,fcd in
confcruariua mcdicinac parte collocafsc. Hr tauK"- omncs
uctcrummcdicorum(cs.^tas, acpracfcrrim Mcrhodicos, quormn principcsAfcJcpiadas,Thcmiion,&Soranuscxftireruht,incun6tis
fcrc diururnismorbis cunndi^ cxcixitarioncsaliquas magnopcrc commcndafscut
cxlibrxs Oirncli j Cclii, qui A/clcpiadcm in mul- tis fecurus tuit, nccnon
Coclij Aurcliani mcrhodici, atquc Arctaci c^^ro- clarillimc iQrclhgcrc
liccr.quod fimilircr Galcnus,(S^ qui Galcnum in dogmatncorum
fcetafuntimirati,magnacx parrc confirmarunr. ^►cd ac ud mc, vcl ilJcrs omncs
cTrahc quis putct, ira fcnrcntias no- C ftras accfpi dcbcit
uolo,qj.f;gyrTTnafticam principaliter circa fani- tarisconfcruarioncm ucrlari,
ccinfcqucnrcrcirca curariuamrnuUa ctenim cxcrcirationcm,quaIifcumquc lir,
u(l]uam rcpcrics,quin iii
/aniscorporibusabfqucnoxaadminifti\uiqucar,atpaucisquibuf.
damcxccpris,nimirumambuIationc,gcftationc,uc^tion9,ac limili- bus , ulx uha ,
aiiraltcra inuehihir , quc aegroratibus impune con- ccdi qucatiimmo
illa^quacadhibcnrur^porius ut rcmcdia,quam ut cxercitarioncs commcndantur,cum
in fanisonincscxcrcitationcs folum fiant,quo bonani ualcrudincm
rucanrur,optimumquc cor- porishabirum inducanr: macgrotis
vcroiccircocacdcnuidmini- ftrenrur, ur morbo cxpcllcndo aiiorummcdicamcnrorum
inftar coopcrcnrur.Quandoigiruranriquorumirl varijsmorbiscxcrcir^^
tionibusaliquibusurcndi confucrudincm inmcdium adduccmus, noD crir,^ullusadmirationccapiarur,uofq.
icprchcndar,ra(|tiam' - L I B E R gymnafticam foli conferuaroriae inferuire
ftatuerimu5, quoniam ,D &:nosrei ipfiusnaturamprae oculishabentcs,ita
dcterminandum cenfuimus,quemadmodum ueteres alias experienti js alliduis,alias
morborum coditionibus permotipaullo diuerfiusfentirequidcm uirifunt,fedreucra
afententianoftranonrecefrerunt* Aliudinfu-
perhocinlocofummaconfiderationedignumexiftimo, quod li- cetinmulcis
excrcitationibus diucrfus exftirerit antiquorum mos ab eo, qui hodiein ufucftfere
apud omnes, ucluti pilae exercita- tio, luda, difcus , pugnae , atque fimilia ;
nihilominus cu m parum noftra confuctudo ab antiqua recedat,folifq.
accidentibus quibuf dam,& non in rei natura differat/crc eofdem eflfcdus,
quos illi fuis atrribuunt, nos noftris dare potcrimus,modo vnu , aut altcrum
ob- ferucmus, antiquos undiones , ac pulucrcs in multis excrcitationi-
busadhibere confueuifTcquas nulli hodie,aurquampauciflimifa- E ciunt; aique hoc
multi momcnti efle ad uariandas utroriique qua- 2. S dtae- litates,quando dc
his Hippocrates verba faciens fcripfrt , cxercita- ta. iuxta tioncs in pulucrc
, atque oleomagnas diflcrentias fufcipere ,cum puluis frigidus fit, olcum ucro
calidum, atquc inde oriatur, 9 hye- me oleum corpus magis augct frigus prohibens
, ne quid a corporc demat : Aeftate uer.o caliditatis exceflum facicns , carnem
liquar , cum, 6c a temporc,&:/.ole6,ac laborc corpus calefiat;qucmadmodu
exaduerfopuluisinaeftatemagis augct feruoremaeris,&:corpo^ ris rcmittens,in
hyeme autem f rigus,&: algorcm inducit.praeterea maiorparshominumfcmel
duntaxat in vcfperefaturabatur, no- ftratesbiscibosfumunt, quoditcm non parum
refcrradiuariandas cxerci tationum condicioncs • Vnde c^ui de noftri temporis
exercr- rationibus aequum iudicium fcrre optauerits: dcbebit quid un^ J aiones
,& quid uiia dici faturatio importent^exaae penfitare >ro^ tumque illud
noftris adimcntes,in reliquis eofdcm ,ucl parum di- uerfoseffcdusexiftimare. De
Jingulomm exercttationis diff^eremiArum eff^e^ihus* Cap. IL RES praecipuas
cxcrcitationum difreretiasabantiquis Mcdicis excogitatas fuifle fatis conftat ,
quarum prima excrcitium Trr^fpc^rxwfl^ixif, fiue pracparatorium , altcra
(ic7ro6i§ctmvriKh y icrtia fimphcitcr exercitatio nuncupa- ta . Excrc itationcm
pracparatoriam, fiKultatem cogendi , meatus corporis denfandi,
eorumquclaxitatemcorrigcndiobtinere. fcri- ptit Early European Books, Copyright
© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced
by courtesy of the Biblioteca Nazionole Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 Q
V I N T V S. 237 pfit Galcnus. quadc caufla;ulilctae,qui Jcfirarc corporumfudo-
3 ^ta.va, ics impcdirc.&iconfcqucntcr robur confcruarc fludcbanr,antc "^jetuc.
jrcrcras cxcrcitationcs pracparatoiia utcbantur.quam ircm ufurpa- ual.c.3. *
bant quaplurcs homincs poil coitum,ut laxirarcm corporis in mo- tu ucncrco
gcnitam cmcndarcnr. dc mcridiano coiruloquor, cum cx nodurno oborra laxiras
/aris a fomno curarctur. cuius rci yraria magnopc^ftfSocIarum laudarcfolco,c|ui
apud Plurarchumnodu ^.Cymp. coirum ob hoc excrccri dcbcrc aducrlus Epicurum
mcdicum gra- pf^^-^- uilllmc difpurar.ficuri quoquc Paulli
fcntcntiam,Galcni,ar^ lij opinionibuspracfcrrc confucui ,dum is conrra ipforum
placira Li.i.fcr.i tcmpusconcumbcndi fccundum cibum inucfpcrc antcquamfo- ^*^*
mnus muadar,opp()rtunucxfillcrc credidir: quod lalTitudo cxcoi- tu
contraCtaobdormicnri ftatim rcmitratur. Excrcirationcmapo- B thcrapcuruam ram
pro cxcrcirationis partcquam pro fpccic ncce pramcorpora ab iramodicis
laboribuscxfuita cmollircmcatusq. corporisrclaxandocxcrcmcnrapurgarctraditumcfta
Galcno: un j.detuc. dciure mcritopoft uchcmc*riorcscxcrcitationcs,poll
uigilias,poft "^^-^ nucrorcs, a quibus corporum mcatus clauduntur ,
uircsq. non pa- rumdcprimunrur,urplurnnum adhibcbarunin ijs quoquc com-
mcndabarur,qui palacdrac laboribus alfucri, ob uirac negotia co- gcbantur illos
dimirtcrc, Excrcirationis fimplicitcr acceptac dif- fcrcnriac,quac ab
cxtiinfccis dcfumcbantur , cos ctic(ftus pariunr , quos locorumipforum,aquibus
fumunrur, condicionesproducc- rc pofl*un::& idco,qui in calidis locis
cxcrccntur, magis cxurunrur, cfui in humidishumidiratcm conrrahunr,ficque dc
fingulis. corpo- ^ ra namquc ab cxercitationc rarclacta facillimc difponuntur
ad im bibendas quaflibct acns,&: locorum quaJiratcs . De diffcrcntijs ab
utcndi modis acccptis in hunc niodum dcccrncndum crir,cj) cxcr- cirariones
pcrpctuac, fiuc continuatac , &: acquabilcs magis dclaf- fanr,quam
inacquabilcs. rariocftcadcm, quam atrulit Ariftorclcs bic.r&fx
inprobleiaaubus,uidclicct mcmbraa mulro moturcfrangi,atquc
inulruineflcmotum,qui unus,&:continuuscft ,ac acquabilis.inac- quabiicTTi
ucrononidco fic dclaflarc ,quiacxmutationc nafcitur requics^ Jaborq, oinnibus
partibus dillriburus a lingulis minus fcn- titur : quairidcin rarioncmotus
inrcrcifus, acordinatusminorcm defarigationcmparir, nin.irum cum inrcrruptio
quicrcm,quics laflirudinisminus inducat. txcrcitarioncs cumolcopcradac non
inodo pracfeatcm laflitudincm mitigar,ucrumctiamfururampro- hibcnr,ficcitatcmq.
arcct, acad morusprompritudincmmaiorcni gcjacrant: cuiusrcigratia
Polliononagcnariusactatcmfuamolca cxtiia- 23« 1. 1 i3 £ R extrinfccusadhibito
acceptam rcferebcit, QuaecumpuIucrefiLirit D excrcitationespracterquamquod
frigidiora conferualit corpora^, efficiunt quoque ,ne ludor itafacilitercff?uat
j neucilla tantopcre i^tuva ma apud
antiquos fuerunt gencra , quae fere omnia hodie abolita, uel faltem non uHrata
efle cum conftet, fuperuacancum foretfingu- lorum eflfedlus percenfcre.proinde
fateritillaadnotafTcin quibus a,dc difta pracftandis,&: cun£la illa
conueniffe, atque etiam noftram conueni propter ii rc ucriftmile uidetun;^tifow/4/flf(/
etcnim fiue manuum gefticulatione ^^^* attcnuare humores,atque furfum carnes
trahcre,placuit Hippocra- ti fiuc Poly bo.quam fimilitcr in inuetcrato capitis
dolore,ubi P^ul- Liba.cun latim malumfoluitur,commendauit Aretacus,ueluti ,
&:in uertigi- ^^''^' nofis,epilepticis,cocliacis.Saltariodemum,quae motu
uniucrfum corpus calcfacit,arcendis rigoribus, atquc etiam nonnullis trcmoC-
ribus ualde accommodatunpriuatim ubi ftomachus in concoquen do laborat ,
crudosuc humorcs aggrcgat , utile remcdium exfiftit . praetcrca
labantcscoxas,infirma crura,malc tutospedcs,vfq. adeo
confirmat,corroboratquc,utpaucainuenianrur,q fimilc auxilium pracftare queant.
nequc itidcm altcri ccdit huiufcctnodi excrcita- tio in cxtrudcndis a
rcnibus,fiue ucfica lapillis. Caeterum quod p- -gnatibus mirum in modum noceat
, tcftatum rcHquit Hippocrates, in li.de na ^jj^j cantatrici mulicri,quacne
calumnias fubiret,utcri foctum abij cere cupicbat.confuluit, ut
faltarer,pollicitus ea faltationc conce- pjtum corruprum iri,vcluti poftea
contigit. Quicunque vcro caput debile , ac vcrtiginofis aficaibus obnoxium
habcnt , proculdubio ab illis circuitionibus,uerfuris,motibusq. continuis
ofTenduntunfi- militcr oblaeduntur quibus oculi illacrymantur,aut in uidendo hc
betem acicm habet,perindc namq. in tripudiationibus alicui euc- nir,
acinrotationibus,in quibuslacpeoculitantumdctrimentum p patiuntur,vt nihil
omnino vidcant,atquc interdum cadant . Rcnes languidos,&; fupcrcalefados
habcntes,fcminisq. Ruxum, y>voggoitt» aGraccisuocatum,qualibctdc
cauflaincurrcntcs afaltariotiibus abftinere conuenir:ahoquieorum
affca:ionescxmotu calcfacicnte magisrccrudcfcunr.Arquc hacc omnia a mc difta
intclligantur de ea faltationis fpccie , quam antiqui fine armis obibanr.quod h
quis armatae,quarn vocarunr,falrarionis condicioncs pcrnofccre aueat, inhunc
modumucrcarq. brcuitcr ftarucrc rc porcrir,uidclicet om iiia quae ab iUa
gignuntur ucl bona, ucl mala , cadem ab hac eftici, nifi quod armara
uchcmenrius membra cxcrcct , magisque illa in- %.itvi.u. calefccrc,&:fudarc
facit. ob quod Galcnus intcr uchcmcntcs cxer- * ' citationcs non in poftrcmo
loco pofuit,dum quis graui armatura te ausceleritcragitatur. Q V I N T V S. J41
DtluJorum ptUe effe&ibus^ Cap. IV* Vdorum pilac antiquitiis complurcs cum
npud Latinos, tu apud Graecos cxilitiflc fpccics, abundc in fccundo li Ca.4.
& i ^ bro indicaui mustcx quo nullum opcrac pretium cu hoc in loco,vbi
folas cxcrcitationu qualirarcs cxplicarc pro pofuimus,cadcm rcpctcrc :illud
duntaxatanimaducrti volo,quod &: li noftra hidorumpilac gcncra vctcram
gcncribus undcquaque non rcfpondcant: funt tamcn magna ex partc ualdc (imilia :
&: ideo corum commoditatcs,atq. nocumcnta lingulatim cnan arc ftudcbi
mus,ut fada noIlrorun\ cu illis coparationc, quid confcrant , quid- uc noceant,
utraquc fimul cognofci poillr.fcd nc tratfiatio ifta con- fundatur , iicut
alias fccimus , primo graccos ludos, dcindc larinos 3 profequcmur codcm
ordincquo (upra ufifuimus.In co ctcnim c6-
ucnirccunclaharumcxcrcitationumgcncraccnfuit Auiccnna, q» Li.r.rcn.ifortcscxliftut.
Hoc pracrcrcacommunccxomnibushuiufccmodi ^*^^-*-^ ** ludis comodum pcrcipi*ur,
quod qui in iplis, ud ipforu aliquo fcfc cxcrccnt,promptiorcs ad
motumrcddantur,ijsquc uitalcs adioncs roborctunpcculiariter ucro paruac pilac
cxcrcitatio intcr ucloccs citra uiolcntiam,(S: robur collocant Galcnus atq.
i^aulhis,cuius me ^^: ritocorporacra(Ta,ut limilcs cxercitationcs faccrc didtum
fuit,atre nuat. ideoq. apud Noniuin a Lucilio iLriptum inucnitur, Cum ftu- »
dio in gymnalio duplici corpus iiccalTcm pila.Primaautcm paruae graccorum pilac
fpccics,fccundum Antylh fcnrcntiam, carncfoli- ^^iidl!"
damrcddit,brachijs,dorfoatq pullulantibus coftis magnfi vtilitatc cjp.j».
pracftat, cumquc in ca cxcrcitationc crura magnopcrc laborct,ad Q acquircndumroburnon
parum proficiunt.Sccunda cxcrcitationis paruac pilae fpccics pracftantiliima
rcputabatur olim, q> corpus fa- num, &c promptum ad motus cum roborc
coiundo pracftat, adfpc- chim hrmat,ncquc caput rcplct.Tcrtia
vcrofpecicsoculos, atque brachia iuuat, fpinac proptcr inflcxiones, quac
currcndo fiunt, co- modum aflcrr,crura proptcr curlum mirum in modum firmat .
His poro omnibus paruac pilac Ipccicbus cun(ita illa coucnirc cc/co , quac
(jalcnus in libcllo fuoillisdicato, paucisucrbiscoplcxuscft, uidcliccttp
tumanimoruin virtutcm pariant , tum omncs corporis partcs accommodatccxciccndo
bonam corporis ualctudincm,ac nicmbrorum concinnitatcm cfficiant. Pihic magnac
fpecics prima fccundum Antyllum totumcorpusfirmat, cumq.ad dcduccndam infra
matcriam uclicmcntcr coopcrctur, capiti in primis, cunclisq. fupcrionbus
partibus, non ignobiJc luuamcntum aficrr. dc hoc lu- R 2 do 242 L l B E R
Llb.^. dofermonettthabuineputo Alexaodrum Trallianum, quandoinD "P-vlti.
curationc priapifmi fphaerae exercitium comcdauit, quo mareria i n diucrfum
retrahatur,& fpirirus flatulcrus digerarur. Secunda fpc cies,quae plus
iufto magna pila pcragitur dum proi jcirur,&: urraq. manu proprer
magnirudinc cmitritur,brachia firmar,fccl nimis du- ras plagas infert , ob idq.
non modoaegroris, aut conualcfcenribus eftinutilis,ucrum
eriabcneualenresimmodicadefatigarione affi- cit. Inanis pila,quam rerria
effccimusjacquc exerccr,ac mororia,in qua curritur,atramcn non admodum facilis
cft,ncq. apta,arq. ideo li.i>.c.vlt. omirrendaeameffcconfuhr Oribafius ex
Anryllifcntcnria. Pilae, &magnae&: paruae cxcrcirationcm
vertiginofisobcffeiudicauic hsc vlti Areraeus,quonia capiris,&: oculorum
circumuolurioncs, arq. inte- ' tioncs uerrigincs afferunt.Coryci excrcirarioncm
inrcr vcloccs ad- numcrauitPauIIus, quascum didum anobisfit corporacrafliora E
lib. V chr. aricnuarc ,fumma rarione Cochus Aurehanus ad diminuenda po- •culf.
lyfarchia hanc exercirationc, qua a Graccis corycomachia uocari i.dediae.
fcribir,adco probauirpfccurus in hoc (opinor) Hippocratc,qui co- rvcomachia,&:
chironomiamidcm pracftarCjquodjuda^rradidir. Hoc excrcirationisgenus iudicauit
Antyllus mufculofum corpus rcddere , roburq. afferre, & praetcrca uniucrfo
corpori aptari, ncc non ob pIagas,quasinfHgit, omnibus vifccribusidoncum
cxfiftcre. Arcracusitem in elaphanricis KogvKoSoKm laudauit. firamen quis
plagas in pedtore a coryco ficri foliras coniidcrcr, facilc fcnriet,eos, qui
pedore debih ucxatur,fimili cxcrcitationc periclicari,& quan doq.
contingcrcpo(fe,utinthoraceuafarumpantur.Arq. rot,siir q dc pilac Graccorum
ludorum qualitatibus dici poflunt . Succedut lufus Larinorum gcnera,quae &c
ab ipfis quaruor fpecicbus comple ^ xa omnia in ufum fanitatis rcccpta fupcrius
dcmonftrauimus . Ho- rum primum locum obtinct cxcrciratio f ollc acla, quac
uniucrfum corpus cxcrcct,fcd dum brachijs impcllitur, dorlum in primis atq.
li.i.chro. brachia firmat . ob quod Coclium Aurclianum de hoc pilac ludo ^^•^*
ucrbafecifscexiftimo,quadoin cpilcpticishumcros fphacrac lufu excrccri
mandauit:dumucropugniscmirritur,manibusmaior uti- litas contingit: ambo tamcn
uifccra adiuuanr, calcuhsq. a rcnibus, &: velica cxrrudcndis mi rificc
confcrunt,coxaf3&: crura imbccilHa In ciusui confirmant . Nam Auguftum ,
qui huiufccmodi affcdibus corporis ta.c.8o.& fQii^;itabatur,corumgratiafolliculicxercitiu(vtrefcrtSuctonius)
adamafse opinonqcf cum praecipue fupcriores partes exerceat,ijs, qui citatam
aluum habcnt,(Sm- qucinprimis laboriofamclTc,magnusphilofophus Ariftorclespro-
y. partlc bauit , vbi currcntem ambulanti comparans, illummagi.slabo! j;e
P^^^b- 38- pcrfuadcrc conatur , quoniam elatus , atquc pendcns corpu.^ fupra lc
totum fuftinet, ambulansvcro partc inliftcntcuiciffimfuftcnta- tur,qua(iquc
paricti admotus rcqui cfcit. qua rationc itcm coringc- rc dixitait currentcs
poti us qua ambulantcs cadamus.Curfus prae- P^"i autcni, licct humorcs ad
infima la- bantur, illico tamcn ad fupcnora rc/iliunt, ucluti cotingcrc i n
pila fuper pauimcntu iac^a ccrnitur, quac fi blandc iaciatur, inibi quic- knifm
uiolcntcr,ftatim fupra rcfilir. I)c thoraccauickgiturapud Galcnum, currcntium
fpiii :um anhdum , arquc afthmaticum rcd- ^P^- di,necnon intcrdum aliqund ipfis
uas in pulmone,aur pedorc rum ^^rMcVho. pi. quodnon tantuminrdligidcbctdciliis,
qui ad cum aflVdum prius difpo/iti eranr, vcru dc a^ijs uchcnu ntcrcurrcribus.
Achan- rhioenimillc Plaurinus cum ad ChaririUm uclocinimc cucurrif-ln Mcih. fcr,
dicit cx curfu rupiffc ramiccm, &: iamdudum fanguincm fputa- re.
fubramicisnominc (ut fufius dixmuis primo Variarumlcd.
cap.2.)pcdlori5ucnaslariorcsinftar uaricisfignificas. Ahoquifcri- ptum 2j2 L 1
B E R ^ Pfob. pf eft ab Ariftorele , eos , qui non concitate admodum currunt, D
numcrofcfpirare,quod ipforum motus proportionatus cfficitur, modumq, refpirandi
fenfibilcm praeftanscxplicare numerum ua- let. iUis, qui uel in bubonibus , ucl
alibi rupturas patientur, curfum cauendum praecipit PaulIus.Ad haec ardorem
urinae ex curfu au- , &c hominesteftaripofrunt,&cerui,quiintercurrendum
vf- que adeo huiufccmodi ardorc ftimulantur , ut, nifi mingant , facilc
capiantun quam rem animaduertentes fagaces uenatores,eos pro- fequuntur,
necmingendi iplisporeftatem faciunt. Curfumitem hepatelaborantibus, nccnon
renibusmale afledisinimicum efte, lib»4.c.«*
tfaditumeftaCornelioCeIfo,&:abEphefio Rufo.Atque haecom-
niadecurfureclainanteriorafadto a me explicata fciantur. pro }bidcm qu^'^
idfilentionoefTepraetereundum duco, quodi^riftctelesfcri- pro.jtf. ptumnobis
reliquiti videIicet,eos,quicurfumconcitare agunt, g conuulfionibus maxime
corripi , ubi quis inrer currendum eis ob- ftircrir : quandoquidem ea
potiflimum conuelluntur , quae in par- tem contrariam vehementer trahimus,
atquemouemus . unde Ci homini currenti,vehemeiiterq. membra ultrapropellenti
quisob uiamfactusobftirerit, accidicut in partcm contrariam earetor- queantur ,
quae adhuc ante pertendunt , atque proripiunt . itaquc conuulfio tanto
vehementior incidit , quanro curfus conrenre ma- gisagitur. Curfus infuperreila
ad anreriorafadtus , atquelongus i.ldiact. abHippocrare nuncupatus, fecundum
eius fenrcntiam fi fenfim fiatjcalefacit , &c carnem dirfundit , ucrum
corpora rardiora , arquc craffiorareddir,multaq. comedentibus urilirarem
praeftar. At re- Onb^Ciui curfusinpofteriorafecuadum Antyllum non celerirer
mitus,capi- Lococita. ti^ocuIis,tendinibus ,ftomacho,&:Iumbisaccommodarus,
arque p utiliseft; iccirco nonrepletcapur. Circularisuero curfusfccun- i.dcdiae.
dumHippocratemcarnemminimediffundir, arrenuar aurem, di- ftendit carnem , 6c
ventrem maxime : proprercaq. acuriflimo fpiri- tu utenres humiditare in fe
iplos cclerrime trahunt. qua ratione ab Irt lib. ic ipfo in ijs commendatur ,
qui nigra aftra in infomnijs uident, nem- pe
quibusmorbusforinfecusimmmeat.Capur valde oftendit, ver- li.de Vcr figincsq.
utTheophraftusfcribir, abundcmggerit;thoracem y&c crura uitiar;ideoque
rcpudiari omnino dcbct. Sunt curfus per ac- cliuia magis laboriofi, magisq.
thoraci, &c crurihus inimici; fimili- ter, &c pcr montcs : pcr decliuia
ucro caput uchcmcntius afticiunt , uifccraomniaqualVant, coxasdcbiles
pcrrurbant ; perplanacur- fus illa omnia praeftanr,quae iam dcclarauimus .
Ccrcrum qui rc- tliocorporc obeunrur, &c fudorem moucado magis humcctant, Q
V I N T V S. 25J tc carncm calcfaciunt .idcoq, Coclius Aurelianus capitis
dolore la borantcs,utuc{litos currcrcfaciamus,magnopcrc curandum prad- cepit;qucmadmodum
Thcodorus Prifcianus lcriptis mandauit,ci;r L' i aJTi fum cum ucllibus lancis
pcrao: um althmaticis prodcflc; hunc tamt 'l'^^;^^^^ dccoloratiora corpora
cfticcrc ; quoniam finccrus fpiriius ailabeiis ipfanon depurgar,fcdin codcm
fpiritucxcrcentur;audorcftHip- pocratcs.qui tamcn cundcm in illis probauit,qui
ftcUas dcficicntcs \^;^^^^'' in infomni)s,vidcnt, quod fccrctionem in corpore
humidam ac pi- tuitofam factam,&: in cxternam circumfcrentiam illapfamcflc
figni ficctur.Qui pono nudis corporlbus efficiuntur,ficuti magnam (udo rum
copiam clicmnt,ira gcncrofc pcr occultos halitus cuocant hu morcs,corporaq.
magis deurut.quocirca Ariftotelcs ludorcm,qui i.partl«. corporcnudocurrcnti
prodicrit , criam fi mmorlit ,magis laudat,^^^- 3^« • quam qui fub ucftc lc
prompfcrir,argumcnro illorum,qui nudi cur fum aclhuo tcmporc achrant,quiq.
colorariorcs rcdduntur.indutis currcntibus non ob aUud ccrtc,mfiquod,vtomnesqui
locahbcra, &:adfpiratiora
incolunr,mc;iuscoloranturijs,quiimpcdita,&:filcn tiatencnr,fic ctiam fcipfo
quilque colorariarcft , cum uclurifpiri- tuiafflanti placide patcr,quam cum
pcrftrictus,obduc'tufqueacaIo rc nimio angitur.quod certe ijs accidit magis,qui
vcftiri pcrcurrut. &: qui nimis dorm!unt,quippc qui vcluti adftridi, 6^
propcmodum ftrangulati,minus rcliquis lc fc modico fomno rccrcaniibus colore
florenr.Curfum vniucrfim acccptum magis hycmcquam aeftare ex vfu cflc crcdidir
Hippocratcs,liuc Polybus in fccundo dc diacta li- bro.cx aduerfo Oribafius tnm
hycme, tum acftarc mcdia conucni- - re fcnfir. cuius forfan fcntcntia ucrior
mdicabitur , ii fudorcm quis " aeftate magis, hycme minus procurandum cum
Ariftotele arbitra- tusfucrir.fcd dc hoc iam fupra abundc difpurauimus,ncc
quid- quamampliusrcmanet, quod ad finicndum hanc curfus tradtatio-
nempcrcincat, ^icipraefit t filtns. Cup. I IX. ALTVM inrcr
vchcmcntcscxcrcitationes, quacexro- buftaatquc cdcri componuntur,collocandum
iudica- uit Galcnus,&: pracfcrtim illum , qui (inc ulla intcrmif- fionc
iugitcrcontinuatur; qua dc rcipfum calorcm na- tiuumaugcrc,&:
cocoqucndiscibis, crudisuc humoribusconferre apud omnes pcfpcctum
cft,licctpoftca capiti,arqucpc6tori nocc- re 2^4 L X B E R re cx eo conftet;quod
in huiufcemodi cxercitationibusalrerum ve D hemenrcrconcuatur , alierumin
inclinationibus, atquedor/iin. flexionibus comprimitur , & ex
comprcfflonibus mox uafa ram pe- doris, quam pulmonis franguntur: ut eueniffe
interdum nairat rMeth.a Gaknus, Hocpraetcn afalrui
communeincft,utgrauidasmulie- In prin.dc rcs abortiri facillime faciatrncqiic
iftud ab Hippocratc folum,cetc
'"'•^'""'•risq.vetuftilftmisaudoribus^ubiqueconfirmaxum
cft;verum etiam ipfa rerum pareiis,optiraaq. magiftra natura nos vberrime
edocuit, nimirum quac capreas ,& cctcra brutorum gencra faJtantia firma-
'^^^^^^|J^"Tuentisquibufdam ut indicrat GaJenus, muniu t, ne ligamenta,
partium. quibusfoctus in utcro condnctur , d iim illafaltarccoguntur,faci-
liter difrumpercntur j quod munimen cum humani generis foemi- nis ncquaquam
conceHbrit , opinor cam co confilio id efTccifle ,ut cognolcGrenthomines,dum
nmlicrcsin uterogcrunt,quaflibetfaI E tandi occafiones ipfiseffugicdas eflc.
Multac funt faltus fpecies,qua rumduas OribafiusAntyllum fecutusnominauit,
exfilitionem ui- delicet,atquc faltum ita propric uocatum.dc cxfilitione,quae
quo- dammodocuriuiadlimilatur, hanc fcntcnriam tulit,illam diutur- nis capiris
raorbis accommodari,fhoracem adiuuare,cum inflcxio- nibus ualcntibus careat \
materiam,quae ad partes fupcriores rapi-- tur,ad inferiorareclinare,
cruribusimbccillis, fcfenon alcnribus, excarnibiis,ftupidis,atque
trcmulispraefidiuraafrerre.hanc eriani ineij^iiitaintelkxiflcopinor Suetonium
,ubi Auguftum ambularefolitum, "^" ka,utin exrrcmisfpatijs fubfultim
decurreret ,fcribit, quafi fic in- firmitati coxendicum femoris , & cruris
/iniftri, necnon ucficae calculis,quibusafflidabarur/acpeoccuTreret* De faltu
ucropro- prie (kappcllato dixit,cummatcriaminfraexa(fliusdeduccrc,fed F quia
thoraccm nimis , & uiolcntia motus , & magnis inflexionibus coneutit,
ciusafrcdionibusminime conucnire; ucrumtamcn, &: nd motum , & ad
adlrioncs promptum corpus ualdc rcddcre ; quod Li.i.c.ii. fi ad natcs (
thciatiir faltus,qualem Lacaenarum mulicrum fuifle iam diximubvcaputjCxeiuCdem
Antyllifcntcnria,peculiariterpur- Ii. T.cur. aat,&: pur2,andb ficcat. atquc
dc hoc mcntioncm fcciflc Arctacum clir.c. I. o ^ r ^ 1 ^ ^
puto,
ubimuctcrccapins dolorclaltum , & fimTrcttAvTou cc;wA«- riy laudauit, licut
, &: asomncs,atq. ncruos,uaIi- dillinic inccndi confcfliis cfi.qua i\aione
cfHcitur ^utafTatin; cor- Oymna/lica. S pus 2j6 L 1 13 E R pus calcfliccrchacc
excrcitatio iclonca/ir,&: pndcrtim dorfi m, quod maximc iniadtandis
haircribiisfarisfaccre uidciur;practcrca canicm crcar; priuatim ucro fupcriorcs
parrcsab ilia cxcrceri mc- ^.^tiKva. ^^^^iiic mandauir Galcnusicuius
rarioncantc ipfum Areraeushu- cap.14. iufccmodi cxcrcirarionc in antiquo
capiris dolorc ,qui paullatim finiatur,ufuprobauir,ucluri ctiamin
cocliacis&: ucrriginofis . Sccl Oribafuis Antylli aucloriratc humcros ipfam
cxercirarc,fl:oma- choquc,qucm diffluxio infcrtar , quiq. imbccillus cft,
&: in quo ci- bus acclcit,fiuc cumhiborc concoquirur,accommodari
fcribit^Iau Li.j.chr. darin arthriricis Cochus Aurchanus,urprimo manibus ccra
cmol licndadcrur,aur manipuh tcncanrur,quos palacttriraehalrcrasap- pclianr,tum
primo ccrci,fiuciignci cum paruoplumboinrcrclufo moucndi porriganrur, dcindc
grauiorcspro modo profcdus: Ga- ^.^tnen. lcnus cuidam , qui mordax,
praccalidumquc fcmcn inrcr cmirten- va.c.14. dumfcntirc non ranrum fe,fcd criam
muiicrcSjCi mquibusrcmha bcrct,rcfercbat , inter cetcra auxilia,fcfc haltcribus
excrcerct,fua- K.p. cult. fir: quem poftca fccutus Aicxandcr Trallianusin
priapifmo curan- do huiulcemodi cxcrcirationcm commcndauit,quod animaducr- terct
ipfam non modo ad rcrundcndum , infirmandum.quc fcirxn , ucrumctiam ad
matcriamin diucrfum rrahcndam,fpiritu5q. flatu- dc comp. I^ntos digcrcndos
conduccrc.fimilitcr qucquc Galen.in ulccrum me.pcrge crurum curarionc ,nili
quid aliud impcdiar,haltcribus pcradam ntn.c2,x. cxcrcitationcmprobauit
,proptercaquod fic impcditur, quo mi- epi. cg. humores viccribus noxijs ad
parrcs infcriorcs delabanrur.ldcm eriam,ubi purgatio,aur phicbotomia
rcquirirur, ncc eas aeras , aut aegrotantis uoiunras pcrmirtir jlocoipfarum
fupplcrc iudicauir . Verum enim uero,ncq. capiri,ncq. thoraci fimiicin
cxercitirioncm congrucrc uilus affirmarer,quorum aitcrum nimis, arq. inacquali-
ter agitatur,aircrius autem uafi,nc ob maximam,qua brachia urun- rur,uimaIiquo
pado labcla(ftcntur , pcricuium imminer. Quain rem fortaffe colidcrans
Marriaiis,fo{rionem,quam Galenus,&:exer- cirarioncm iimul,&: opus
fccit,ficur fupra oftcndimu6,huic excrcira tioni propofuir fub hifcc ucrfi bus.
lib. X4. Qlfi^ percurjt flulto fortes hattere lacerti i Exercct nicl us uinca
foffa vros, Huiuscumfccundolibro rria fcccrimus gcnera ,Primum caom- nia
pracftarc crcditur , quae iam cnarrauimus : Aitcrum ucro par- ttculari quadam
facultarc crura,neruosq. confirmare35 cuin tamcn Uco coruin apiid alios nndulac
plunv bcac,tcrrcacuc,ipiid ahosiarcrcs ac lapidcs jipc /phacrici,6c i;ra-
ucsvfurpcnrur,uihiltiguraillarcfcrtad uariaiid )s cdcftus ,ctficic- dumuc, nc
cadciu faculras ram in ufu nolb-(Tum, CjUam in prifcoru inucniariir,co
mai:isquod haud fciusqui h.odic fcfc ocrccnrin la pidibus,ucl
mallulisproijcicndis, brachia,d )rfu:n , omiu fq. fupc-
riorcsparicsmoucnr^coniorqucnriicac f;u ichanranriqin halrcru excrjitarorcs. ur
hac una rarionc omncscrtc dus a nobis fupra cxpo :n iu)ftr:s criam
cxcrcitationibus cxpcctari dcbcanc. ^ Dcdtfci:, atquc tACtilationts cjfcciil
us. C^p. X. ^yr^^^ ^^^^^^ quamuis apud mcdicinac probaros auch rc5, y \
P^u^^^^Ji^ omnino mcntioncm tac^tmi inucniam ,ob idq. W ^^ fl forralTch^cusiftc
dimirti pollularct i quoniam tau:cna ^ (ialcnoprodirumfuir, diici iachim ,
ncdum cxcrcita- tioncm apud anriquos cxftirilfc , in jymnafijfquc ric ri
T(;]iram , uc- rumcriam inrcr uchcmcntcs cxcrcitarioncs haud poflrcmumlo*
cumobrinuillc, arquc hodic quoq. apud mulras narioncs in iifum excrccndorum
corporum ucnirc , proindc ilccis ( utaiunr) pcdi* bus practcrirc iUum omnino
nolui . Quo circa in priinis fcicnduni erit, hanc cxcrcitationcm , modoin
ccrcrisnon dclinquarur,ac- comraodacccalclhccre, &:proptcrcah-igidis
corponbus,arquc il- lis , quibus ucloccs excrcitationcs ncganrur , pcrfci^tc
conucnirc, C nccnonimbccillos, ^ infcrioribus mcmbrisinualidos modcrntc
corroborarc. cum ctcnim magni, atquc vchcmcnrcs obnixus in 16- gius difcum
proijcicndo rcquiranrur , fir ur uch.cmcnria motus , ac mufculoruminrcnfioncartus
ma^is folidcfcant, 6c abcxcrcmcn- tis purgcnrur . cuius purgarionis mcriro
confuluir quandoquc Ga- ^'^P'^* lcnus,uf, ii quando purgario , Sc phlcbotoniia
rcqui rcrcrur , ncc ip- iph!*// facaliquibus impcdimcnrisadhibcripofscnr ,
earumuiccpcr di- fcum IdCtj, cxcrcirario admittcrcrur , quac nimirum id
pracllarcr, quod in plilcboromia, 6c mcdicamcnrorum purgationc, cxopta- rcrur:
pcculiarircr autcmcxcrciratio iila brachia, lumbos,ac dc- niquc uniucrfum
dorfum corroborarc idonca cll, quac fciliccrpar tcsin ipfo maximcoinnium
agiranrur; in vcrriginofis quoqucab Arcracocommcndarur. AI)illisucro magnopcrc
cuirari dcbcr, quicuinqucautrcncs, aut choraccin inalc aHcCtoshabcnr mamil- 2
li 158 L I B E R liferuidiores, atqueflaccidioresredditiincredibilcquandam dif-
D lolutionemcontrahunt; huiusinterna aliquauafa, uttcftatumfe- citGalenus,
nonraro difiumpuntur . Etnequiscredat,candcm cxercitationcm
cxftitiflchaltcrum,atquc difci, fciendumpraetcr li.i.c. t i. u^riam utriulque
figuram iam a nobis in fuperioribus libris dccla- ' ' ratam, hoc quoque
difcrimen habuiflre,quodhaltercsuarijs con- tordonibusaltiusagcbantur,
difcusuero, etfiinaltum proijcerc- tur, tamenlongitudofpatijiadationeperadti
potiusmetiebatureo fcrmc pado , quo hac tcmpcftatc faciunt , qui fcfc in latcribus
ob- longis proijcicndis cxerccnt, in quibus ijdem effcaus uidentur, qui ohm in
difcobolis uifcbatur . laculatio porro ficuti a difci iadlu par rum in ipfa
proicdtione difTerrc uidetur, ita quoque uires fimilcs,&:
adnocendum,&adiuuandumobtincrecredendum eft. quofit,ut pauca dc hac
cxcrcitatione nobis diccnda rclinquantur . lllud mi- E nimefilcntio obuolui
debcrefcntio, uctcres fcilicct nonfincmy- ftcrio Acfculapium,atque Apollincm,
ambos mcdicinac audlores, ambos fanitatis magiftros arti iacujadi tamquam Deos
praefecifse; nimirum hac fcntcntia innuentcs,huiufcemodi exercitationem bo nae
ualctudinis confcruationi , bonique habitus acquifitioni ftre-
nuamopcmaflcrre.cuius exercitationispoftquam plurcs fpecies cffccimus , alias a
iaculorum , fiue fagittarum uarietate defumptas , alias ab arcubus fcu
baliftis,quibus illae emittuntur, acccptas, om- ncscandcm planc facultatem
polfidere autumo, nifi quod cos. qui in fcrrcis uocatis palis iaciendis
cxercentur,hoc admonitos uc- hm,ut magnam curam adhibeant ; quoniam faepe
numcro perito- nacumdifrumpi,inteftinaqucinfcrotum defcendcre,&:per confe-
qucnshcrniasin fimihbus excrcitationibus generari experientia F compertumcft:
cumquein emittendo maximauis, arqucmtenfa fpiruusrctentioadhibcatur, pedori
adftrido , atqueinfirmo hu- iufccmodi iaculationem aduerlari puto.Non eft quoq.
illud igno. M randum,quodMarcusTulIiusmcmoriaeprodidit,PhiIoaetem, lo ScS. dum
cruciarctur, non fercndis doloribus propagafse tamen uitam
aucupiofagittarumiaculationefaiiOt Dc Q V I N T V S. 259 Df deanjhuUtiomim
qualitatiLus. [^ap. X L I vHumcft cxcrcirarionisgcniis, quod illis, e]ui
fanirati opcramnauanr,maximcquacrcndum, arquc cogno- fccndum (it,quodq. ceccris
quibufcumquc frcqucnrius a cunctis fcrc hominihus , omniq. rcmpoi e cxcrccarur,
un-im proculdubio dcambulationcm cfsc ncmo ncgabir : fiquidc nulluscll ,iiuc
pucr, (iucadultus, fiuc fcrcx, qiii non modocam pracftantiirimam , fcd folam
cxcrci tarioncm non crcdat . pauci ra- mcn rcpcnunrur , qui ucl rarionc ,ucl
longo vfu, quibusqiiacquc corpons parribus,&: prolic^u noccar, pcrfc(^tc
animaducrttrint :id quod cucnifsc cxillimo, cum ob uarias iHius fpcci cs , rum
ob poftc- riorum hominumincuriam, qui &c in huiufccmodi rcbus, &: in B
quampluribusahjs anriquioribus ncghgcntius , atquc ofcirantius fcfc gc fscrunt
. Quamobrcm opcracprctium faclurum mc cfsc fpe- ro, ii , dcambulationum fpccics
praccipu as rcccnfcns , confcqucn- tcr quid unaquacquc tam boni,quam ma!i
cfticcrc valcar,dcnion- Itraucro. fcd duoantc cctcraab omnibus coniidcrari
cupio. Pri- mumciuodfacpcmucnirccft apudau(5torcsmcdiunac (jraccos, &:
Latinos , praccipi fimul ambulationcs , &c cxcrcitationcs ; quafi illac ab
his fcpararacncc cxcrcitationcs linr.quorum fcnrcntias fic intcrprcrari uolo,ut
lempcr,dum iplas lciungunt, fub nominccxcr- citationum, cas, quac propric ita
appcllantur, fignificcnr; cum ambulationes.communitcr , dc non propric
c:ula!ioi1c cxcrccrcrur, i.chronlc. primo tarda , dchinc mcdio tcmporc fortiori
, arq. paullo crcdiori at,3/itisnocct ^qu.-^ndoquidcm ol) mmias dcambuKitioncs
non ra- ifchiadicosdolorcs 6c podagram gcncrari , fcribir Galcnus ;H- cii:i cx
adacrfo icmiJfa n arthrincis, (S^p ^d.^t^n^- ^S &: ulccribus in- i> 4
tcrnis 262 L 1 i> £ R ternis conucnirc,mfinuarunt Coeliusj & Celfus ,
ubi deambulatio- ] nc molli rtramine,coaequato folo pera£tam iplis
commendauit.de- bcnt cnim(vt fcriptu cft a Tralliano)qui podagra, &
articuloru af- fedionibusturbantur^fitTf/fiyc, kottov Trohhoti moueri, potilfi-
mumqucante,&:non poit cibos. Nam lallitudo hismaximcad- uerfatur,utquac
articulosplusiufto calcfaciat,&:inflammct,ipfiq. aliam rurfus matcriam cx
longinquioribus particulis ad fe attrahe tes,arripicntcsq. fluxibus iugitcr
caufllim fuggcrant. Multa deam- bulario lccundum Antylli fcntcntiani iuuat
cos,qui caput,ucl tho- racem male afTe^ttum habcnt , &: a quibus infcrnac
corporis partcs non nutriuntur,quiue in excrcirationibus uehcmctiori motu egct;
pauca ucro prodcll ijs , qui poll exercitationcs non lauantur , qui- busacibo
dcambuIationibusopuscfl^jUt isin fundum ftomachi de- kendatj&quibus
grauicasin corporcfcntitur. Longa,&:reda am- buIatiominorcm,quambrcuis,
molcftiam parit, capiti prodcft :ut Oribarius j^^j^ immcrito Coclius,atquc
Cornclius Celfus cpilcpticis curandis Jii>^.i.ca.4. ^^ni ex vlu cflc'
uidicauenntiat nmiiscxlugit humiditates,atquc ex- CeU b^^ ficcat.ob idq. mcrito
accufandus cft Thcmifon, qui atrophia labo- chronic/7 rantes duodecim ftadiorum
fpatiu grcflfu conficerc fuadcbat. Lon- ga,5d concitata fingultui
comprimendo,fccundum Actij fcntcntia, rtrcnuc prodcfl:brcuis ficuti magis
fatigar, cum ( vt diccbat Arifto- teles ) cx motu , &: quictc intcr
rcflectcndum orra conftans diucrfi- tatis illius opcra laborem inferat,ita
quoque reucrfionibus illis c6-. tinuis caput labcfadbt : &: proptcrca ab
codem Coelio non fine ra- tionc cpilcpticis damnatur;cuiusrci cauflliambulatio
quoq. circu Jaris mcrito improbanda eltjUt pote quae caput ucrtiginofum red-
Probl.38. dar,&: oculis uehemctcr noccat.Nam CafTuis mcdicus antiquus in
liDelloproblcmatri,qucm graccalingua confcripfit, caulfam inda- gans, ob qua
motus rcfto tramitc fafti ucrtiginc non generent , fcd folum circuIarcs,ob id
accidcrc dicit,quia motus rccti minimc dif- llationem matcriae impediunt,
circularcsucroea ficri nonfinunt, quod aer vchcmctius illifus prohibcat;ad hacc
matcriac intus agi- iantur,qucmadmodii,8^foris.ubicircumlatae,neque
forasprodire ualcntcs motu in capitc uertiginofum cfiiciut.ficuti namquc
iileri- ci omncs externos fapores amaros fcntiunt, &: qui fuflufioncs in
ocu lis patiuntur,quofcumquc colorcs rubcus iudicanr,fimilitcr in cir-
cularibus motibus,cu in oculis humorcs in orbcm aganrur , omma cxtcrna
circumfcrri uidentur,ficque vcrriginofa paflio oboritur.Ex ambulationibus,quac
cum intcnfionc crurum calcibus incumbcn- dofiunt,qucmadmodumfcriptum cftab
Antyllo, capiti malc afte- Q V I N T V S. 265 A cto conucniunt,itcmquc thoraci
humidiori,utf ro conuuIfo,purga- lioni lupprcflac, parribus infcrnis ab aHmcnto
fruclum non capicn tibus,6c oninino quibusmatcria furfum rcpit. Quac
ucrocxtrcmis digitisobcuntur,easobfcruatumfuit,propric lippicntibus, &:aluo
fupprcflac utilcs clTc.Quac vcro totis pcdibus riunt, cum fub aliqua fcmpcr
pracdivitarum diffcrentiarum comprchcndanrur , ipfarum
cciamfaculrarcsobtincrcrationi confcntancum dl, Arq.hacc dc fpccicbusabipfo
motu dcfumptis. Iterum dc deambuUtiomm qUAlitdtihus. Cap. XII. * NTER
dcambulationumfpccies,quac a loco accipiun tur,illac,quae fiunt in montibus ,
aur adfccndcndo ,aut dcfccndcndo excrccnt.li fianr adfccndcndo,ualdc pro- fccto
uniucrfum corpus fatigat ur,quoniam rcfcrctc Ga ^^^^y* icno ar rollunrur co
motus gcncrc,&: pcrindc ac onus quoddam fu- fiinenrur ab i)s,quacprnnum
moucntur inftrumcnris,rcliquacor- porismcmbrauniucrfa. fcribu Ariitotcl.
ambulationcs pcr accli- » ra^tfc uia,tamctfiCnt
hcbctiorcsmotus,magisfudorcmprouocarc,quam^^°^ ^ pcrdccliuia,ncc non fpiritum
pro(illcrc;quoniam graui cuiquc, ut deorfum lcrri fccundum naturam cll , fic
fcrri (urlum conti a natu- ram,itaq. caloris narura,quac nollra prouchit
corpora, ut nihil pcr dccliuelaborat,li(- pcr accliucprcfsaoncrc nirirur,acriusq.
ob ciuf modi motumincakfcjt, &: fudorcm mouct, &: fpiritum proliltit ,
cum ctiamcorporisuariusuitlcxusnon nihil atfcrrc caullacpofTit, Q utdircda
fpirandireciprocatioaufcratur. qua rationc fccundum Antylli fentcnriam ralis
ambulatio ctiam thoraci, qui fpirirum cxi- guum ducar,&: pracfcrtim antc
cibum confcrt, maiorumq. cxcrci- tationum uice nonnumquam fupplcr.Lcgitur dc
Dcmollhcnccoa fueuiffe iplum adfccndcndo dcambularcarqucintcrambuhldum
orarioncspr()nunciarc,qu() lic productac fpirirus c(MUcntioni,qua oratorcs in
diccndo opus habcnt^aduclccrct. Vcrimi cnmi ucro i:c nibusinfirmis eadcm ualdc
aducrfatur;proptcrca quod diccbat Ariflotclcs,duadfccndimus ,non corpus lurfum
iaCtarc, diltcntio- ncmquc corporis,&: gcnuum moucrc; ad hacc gcnua ipfa ,
quac fc- cundum naturam in antcriorcm parrcm llcdi nata lunt,quali coii- tra
narura f kfti rctro,ob idq. magnopcrc dolcrc atq. laborarc. Ex altcra
partcambulatiodccliuis,quacdcfccdcndoobirur,magisak tcraa cnpirc adinfcriorcs
parrcsirahir; atfcmora inualida nc') parii lacdil ,*nimirum c^uac, ex ciuldcm
Ariaorclis fcntcntia in hoc mo- ^;P|J«^C' tu 2«4 JL i b 2 K tti contra Naturac
inclinationcm ante aguntur , quafiq. moucndo D crura uniuerficorporispondus
fullincnt, &: proinde uchcmcnrcr fatigantur, Ambularioncs,quac tum
adfccndendo,tum dcfccndcn lib.i.ca.i. do pcraguntuf,a Cornclio Celfo
comprobanrur,eo quod ita uarie* tare quadam corpus uniucrfum moueatur ;ni/i
tamcnid pcrquam imbecillum fir.Quac ucro fiunr inuijsplanis, &:acqualibuscx
fcn- tenria Ariftotelisob motus,quamferuant ( utfic dicam) uniformi-
tatem^,magis corpuslaboreafficiunt,&: obnaturac,quam tcnent
fimilitudincm,ciriuslaborcsfiniunr,necnonad fpiritum,&: ad cor- pus
acqualitcr conltiruendum magis accommodatac funr, quam fa (Sae in acqualibus .
Ar dcambularioncs pcr inacqualcs uias fadac non modo minus fatiganriucrum criam
utiles ijs funr , qui cito dc- ambulando defiitigantur. arquc hoc Anryllus
inrclhgcbat , cum ambtilationcs,quae in vijs pcragu:Ur,minori cumlaborc fieri
fcri^ ^ Oribaflus P^^'^^^'^"^ cas,quasin locis deambularionibus
dicatisobimus.Hoc Jococitat. id^n^ iilnuereuoluit AcumGnusmedicusapud
Platoncmin Phae- dro ,ubi ambularioncm in Vijs, ambularioni in curfibus praepo-
fuir, dcquofupra larius difputauimusjieque aliud intcllcxir Ifcho In Occo.
ixiachusapud Xcnophonrem ,quandoambularionem , qua ipfe ia agrumferuum cum
equofcquebarur,ambuhirioni in Xyftisfadae: praeruiir. in his ramcn
difterniinandis Ualde rcfcrr , numquid in praris, inlocisafpchs, an in
arenofisefficianrur ; quoniam fi fiant in
pratis,bIandifiima€proculdubiofunt,nihiI omnirto knfus tcn- tanr i
nihilcommoucnr, ar eas caputimplcrc , tum proptcr odoriy luauitarem , rum
proprcr humiditatcm , quac illis inhacrct, auctor cft Anryllus.Fadac in locis
afpcris caput rcplcnt . Quando aurem inarcna,&: maxime profunda (quod genus
cft vchemcnrilTimae ^ t^crciratioiu*s ) aguntur , magna cfficacia pollent ad
omnes corpo- Inviu Au risparres firmandas,corroborandasque,cuius gratia
Auguftus dum guih.c 80 coxendice ,&:femore, &:crurefinilh"o, non
fatis bcne ualcrct ,im* moficpe ca parte claudicarcr^hac dcambularione
confirmabarur. fic enim locum Suetonij inrcrprcrari dcbcrc ccnfco. ubi cum are-
narum,&: arundinum rcmcdio ufum rradir ,arcnarum quidcm runi ad
deficcandasfluxionesjtum ad confirmadam,ur iudicauijcoxam, arundinum ad
contincndum ,&: claudicationem impcdicndum. quodquomodoficri debcr ,
cdocuir Cato lib.dc rcruft. cap. 160. Ad maicriam fubmdc,e fupcrnis ad infcrnas
parrcs dcduccndum , camque difTipandam potcnrilfimae cxliftunt , &: idco
malc fcrfiin a li.i.chro. Coelioraxatur Erafiftratus ,quod dcambulatiohcin
arcnofis locis wp.t. paralytieosexercendosfuadiiret.fub porricu fattac
ambulationcs, aut Q V l N T V S. 2. s.c^ fcrrim fi uiridia adiint , quod ralcs
magnam fakibritarcm habcant : &:primum oculorum , quod cx uiridibusfubrihs
, i^nc cxrcnuatus acr , proprcr morioncm corporis mflucns , pcrhmar Ipccicm , ^
ita autcrcns cxocuHs humorcm cra(Tum,acicm tcnucm , &: acutam fpccicm
ichnquit . Practcrca cum corpus in ambularionc calcfcar, humorcmcx mcmbris acr
cxuucndo imminuir plcniratcs, cxtc- nuatquc dillipando, quod plus incll, quam
corpus porc(Hullinc- rccxquo, ut inhypacthrislocisabacrc humorcscxcorporibus
cxugcrcnrur molc(iiorcs,qucmadmodumcx rcrra pcrnchulas vi-
dcnrurrconfuluitarchircCK^rumprinccpsampItllima, &:ornarifli- ma fub dio,
hypacrhrifquc ambulando collocari in ciuitaribus acdihcia. Vcrumcnim ucro apud
mcdicos fubdialcs hac dcambu- C lationcs plunmas diflcrcntias obrinucrunr. nam
quando propc mare hunt, &c liccandi, Sc craifos liumorcs attcnuandi uim ha-
Orihaflus bcnt; quandocirca flumina, & ftagna, humcdarc poffunt: fcd ^^^^
utraqucnoccnt, U pracfcrtmi llaizna, idcoquc non rcmcrc has omncsin Hpilcpricis
damnauir Arciaeus,quando in mcditcrrancis partihus a^untur,
qucmadmodum(upradictis(unrpracltantiorcs, ira quoquc tac^is circamarc ccdunt.
quando in rorchumcdtanr no finc damno:fcd liin locisauium uolaru
Frcqucnrarisambulcs,c:li^ cacifnmusismoruscrir ad cuocandum pcr halirum,
adlcuan- dum , haud fccus ,arquc li in fublimibus locis ambulcs . (iuac dc-
indcfub Dioin locisucntominuspcrflatisambulatio c thcirur,va- lcrfccundum
Anrylli fcntcnriam ad cuocandumpcr halitum , 6,^ ad cxcrcmcnra difpcr^^cnda
:itcmqucrcmirtir,ncc fcrir. hanc Ac- tiusincohcisdoloribus a trigida caufla
ortiscommcndauir, fcd quac 2^^^^^^humqucdi(Tolurum roborat.atque dehacfor^rafsc
lo- €ip,z. ' quebaturCoclius Aurclianus, dum ftomachicis deambularioncs fub Dio
promodo viriumadhibendasconfulcbat, fi fub Auftro, caput rcplet.fenfuum
inflrumenta hcberar,a!uum moJlir ,atque addifloJuendum ualctrfi
7Gphyrisfpirantibus,talisambuIariocc- rcris omnibus, quac in uento
funr,praertar: non enim habctin- fuauirares boreac , quin potius manfucrudo fimul
, arque iucundi- tasfunt coniundae . Quac in Apeliote fir , mala cft, &:
fciir , atque irafchabentambulationcsfuL dialesinuerisperadacSequuntur, libi 1
^"^'^^^"^^'^^'^"^^^^>"el inumbrarquainre
audoresdiucrfafcn- • tire repcrio.Cornclius Cclfus, fi capur fcrar, meliorcm
ambulatio- nem in fole , quam in vmbra cfsc dixir , &: mcliorcm in umbra,
qua E parietes,aur uiridariacfficiunr,quamquaerea:ofubcft. Exalrera parre
Oribafius au^florirare Anryili dudusimprobat illam , ueluri quae cffundar ,
capur implear, arquc inaequalirares gignat . quam fententiamnon auderem alteri
pracponere, nifi&rario, &:uere. rummedicorum, praclcrtimq. Hippocratis,
&: Galeni audorira- tes tcftatum fecifscnr , folis radios humanis capitibus
maximas no- xas infcrre. ncmpc quac fi calida,&: humida, magis calcfiant
&c cli- quenrur ; fi ficca, ficciora rcddanrur, &: dcmum quaecumque
fint , femper offcndanrur, modo vcl ruftici, ucl alij fub fole viuere afsue-
morb'^^ ^^"^"^^"^- Qi^^^P^obecognofcensHippocrarcsfiucPolybusad
• euiranda capiris dcrrimenra non quamliber dcambulationem, fcd folaminfrigore,
aur in fole peradam uerat. Atqui nonillud ta- cendumefseduco,fempcrcligi porius
debere infolc ambulare, F quam ftare, 8c ambulare uelociter, quam fegniter,
ficuri prae- ceprumfuirabHippocrateinlibro defalubri diaera. cuiusreihac
Prob"^^^ quod cumftamus, calor pcrmanet, ficquc ampliuscalefacir.
corpuserenimnoftrum(diccbaris)uapo^ rcmqucndamrepidumdcfe conrinuo mirtit, qui
proximum,&: ambientemaeremtcpefacit, undc aer pofteaillc corpus calidius
rcddit, cum aurcm quis in folc mouerur , flatus excirarur, qui refri- gerare
nospotcft,quandomorusquifqucfrigidushabetur. Am- bulandum potius in
vmbra(diccbar Cclfus) quam paricrcs,aur ui- ridaria cfficiunr, quam quae rcdo
fubcft : quoniam aer aflidua qua- dam
,&:bIandauenriIarionefaIiibriorrcdditur. qui aer quoniam interdum ab
arboribus noxijs infici , &: corpora deinde coramina- re confueuir,ut dc
nucc arbore, arq. Narcifso mcmoriae prodidit Q V I N T V S. 267 A
PlutarchuSjproptcrca hiiiufccmodi umhrasintcrdc.imbulandum s Sympo. fugcrc
cxpcdict . Ncquc ifcm curam adhibcrc minorcm oportcr , ^^^^*
vtarb()rcsrorcfui]u(;ic vitcntiir ,qiioniam , fi pcr ipfas fi-cqHcnrcr qi.ib
ambiilct ,mcmbra tacilitcr lcpra rcnranrur,atqiichumscam Laitus apud Phirarchum
in nat. quacft. attuh t rationcm , quod ros corporibus illabcns ipfa mordcar,
arquc cxcorict , ucl potius^quod arorc colliquatis arborum
iupcrhcicbusafpcr^oquacdam noxia inde corporibus aflufa inhacrcat,quac parrcs
cxtimas ipforum mor dcat, arquc difcindat : ctcnim rori uim colliquatiuam
(mKriKovy non J^kKriKQf, &c rc ipfa, &: ucrufto codicc pcrmorus lcgcndum
puto) incilc pcrfpcctum faris illud tacir, quod ros bibuus gracilita-
tcminducit, ut mulicrcscac manifefto dcclarant, quacalioquin obcfac dum
tcnuibusucftimcntis,autlancis rori collii^cndo opc- B ram nauanr, co in
cxcrcitio carncs confumunt . In oinnibus aurcm fcrcprodcritfubijsumbris
ambularc, quas cpilcpricis probauit Arctacus vertiginofis , ncmpc /ub arboribus
myrro , aur lauro , aut intcracrcsC^ bcnc olcntcs hcrbas
calamcnrum,pulcizium,thy- mum , mentam , maximc quidcm agrcftcs , 6c (pontc
nafc cnrcs : lin harumcopiadclidcrcrur,intcrhumanocuItu procrcaras.Hftin hac
quoquenon cxiguumdilcrimcn rcfpcctu cadi, quod , dum fcrc* num cft, tunc
ambulatio lcuar , pcr halirum cuocar , arrcnuar , bo- —
namrcfpirationem,i^moucndi faciliratcm parat : dum ucronu- bibusobtcgitur ,
grauiratcmaflcTt, pcr halitumnon euocat, tan- dcmquc caput implct.Dc
ambulationibus facicdis,ucl hycmc,ucl acftarc,ucl alio rcmporc,di\imus in libro
quarto, ubi tcn^^pus cxcr- Cjp.n. citationibus accommodarum dc/iniuimus :
fupcreft ranrum illud Q adncvftcrc, ambulationcs quaslibcr anrc cibLm ficri
dcbcrc, ruin manc, rum ucfpcrc:quandoquidcm matutina aluum cmollir,licrc- dimus
Antyllo/cgniticm afomnocontr.iotam dilfoluir, fpirirufquc attenuat , caiorem
augcr, &c appcti tum excitar : quinimmo Hippo- i.dcdiac crates hanc candcm
humidioribus tcmpcramcnris cc)ucniiv, quod humorisrranlicuscxinaiiiaiuur, ncquc
animac mca*tus occludan- tur,fcribit:licut,&attcnuarc,ncc non partcscirca
captitlcucs,agi- lcs,ac promptas reddcrc , 6c aluum tolucre conlirmat ,
ucfpcrtina ucro ad fomnum homincm pracparar, acinflarioncs difpcrgir , ca- put
ramcndcbilcmale afficit,ob idqiic iurc accufarur Scrapion a Coelio ,quod
cpilcpricos impcraret circa ucfperam amhi larc , ac jjj, ^ ^^^^ rurfum
conquiefccrc , &: dcambularioncm rcpcrcre. Pollcibum cap. 4. diximus
cxiguam ambularioncm afl^ucris conucnirc, arque illis, 4juibus non fmc laborc
in fundum ucntriculi dcfcendit cibus : illis paritcr, i6t i E R ^ ^ warirer,
quibuscapiTtrepIcrum cft, lcmam poft cibnm dcamhu- D cV.l*! dc ^^^^^'^^^^^
commcnaauit , Galcnus, fccutus fcrrafsc in hoc Arc- «op.mcel. tacum, qui in
uctufto capitis dolorc candcm in ufu habcndam uoluit.quamquam lccundo
dccomp.mcd.ubi dc dolorccapiris €xcbrictatcagit,ucJir, ncqucmuhum
comcdcndum,ncqucfta- tim a cibo dcambulandum . In rchquis quo modo
conucniar,non uidco , 6c proptcrea Dioclcm medicum anriquiflimum , &:
cLirifli- mumfatismirari n6pofsum,quod phthificos dcambularionc pofl
Ccl.lib.i.prandiaucxandoscfscuoJucnt, quac licuti concoAionem cibo-
ruminrcrrurbat, ita muJtosadcaputuaporcscftcrri, arqucibi in humidirarcm conucrfos
ad pcc^tus, &: puJmoncm difflucrcliicir, quonihiJphthilicis
conringcrcpcrniciofiusporcft:comagis,quod i.dcdiaf.Iicct
I-lippocratcshuiufccmodi dcambu/ationcs in humidioribus tcmpcraturis approbct :
aluum ramcn , corpus , &c ucntrcm liccarc E confitctur:
nciIlaomniainmcdiumadducam,quacdchuiulccgc- ncrisambuJatione fcripta funt in
Jibrodc infomnijs Hippocraii adfcripto . qui Jiber cum muJra fupcrftitiofLi
conrincar , forfan ali- quis ijs > quac ibi dc ambularionc poft prandium in
pJuribus com- mendata dicunrur,paucam fidcm adliibcar . Hadtcnus dc ambuJa^ tionc,
iam cetcra aggrediamur. AR. 269 * ARTIS.GYMNASTIC^ LIBER SEXTVS ^uos ereClum
slare ejfefius partat. 'i^^:^^^'^ O S , qui pcdibus crcvfti permancnt,
cxcrccri, quonum alniiidc in fupcriorilnis dcmonftraui mu5,hanc rcm amplius in
dilputarioncm rcuo- carc prorfus ridiculum forcr. proinde , quot modis luicc
cxcrcitatio uarictur,quosq,quac- quc pariat ctfcdus , dcclarabo . Quod ctcnim '
hacc cxcrciratiopriuatim dorlipartcsalTiciat , Aucrrocs, intcr Arabas non
inhmuSjfarisapcr- 6 collca. rcdixit . Qiii igirurtllud dcbilca narura, ucl
cafulbrriori funt,"P-*- fummo ftudio id cxcrcitationis jzcnus cuirarc
dcbcntjicmpc quod ( ut (acpius dixinnis ) maiorcm, ciuam ipfa
ambulatio^dcf-uigario- ncm pariat : quibus etiam in rcnibus inflammatio , ud
ulccra orta funr , ncftcnt , magnopcrc caucndum cflc , ccnfuit Rufus Ephcfius.
Lidc paf. dtbcntquoq. huiufccmodi cNcrcitationcm aucrfari,quos ucl hcr- niac
labor lolIicitat,uel i n cruri bus , aut fcroto , uarices dilatantur , ucl
ulccra in infcrioribus part ibus orta funt, aut qualibet de cauf-
faoriunrur,quam fcntcnriam nilimcdicorumauctoritasconfirmaf- fetiucram tamcn
cHc ipfa ratio pcrfuadcrctrquac fcilicctoftcndir, in ftantibus graucs humorcs
citra difticulratcm prorucrc,cosq. mo ^ do hcrnias,modouariccs,modo ulccra
gencrarc,foucre,&: augcrc: nam quod varices gcncrcntur,ctiam luucnalis
pocta cognouit,qui Saty.^. cum quandam mulicrcmlanumrogantem dcamici victoria
furura deridcrct,uolcnsfignificareob importunas mulicrupctitioncs ha-
ru(piccm,ficunctis !nfcrui(rcr,ftando,((icquifqueharulpcx proalijs rocabat
I)cu)non parumlaboraturum,aifVaricofus fict harufpcx, Maruim quoquc fcmiu^
omncs,laboriofum uirucxftirillc ,ob quod ^^"^-^ci* fi quis dicat , ei uari
ces , quibus afilis.'tabaf ur , in ambobus crun bus ^*"' ortas ob nimios
in llando laborcs , cum minus crraturum cxiltima rem. Vcrum cnim ucro,&: in
hac cxcrcitationc non paucac diucrfi- rates rcpcriuntunproptcrca quod tcmpus,
Iocus,atquc firus uarias quafi fpccies cfficcrc uidcntur. A tcmporc nafcuntur
duac fpccies, quando aut antc cibum,aut a cil)o,quis ftando,is: vcl pauco
tcporc, ucl multo cxcrcctur. A
locofuinuntur diffcrcntiac^quoniam vcl in ' folc, i7o L I B E R folc,uel In
uml)ra,&: hac aut claura,aut aperta ftatur. A fitu dcmum D euariantur
ftandigencra,quando uelunopede ,uel ambobus,& uelijs
totis,&:planis,uelextremitatibuseorum , calcibusfcilicet,&:
fummisdigirisltamus. Ante cibumftare uentriculi cxcrementis
inaniendisauxiliatur ,afthmaticos,&difficiliterfpirantesadiuuat, ucntrem
cmollicurinam prouocat , crura , &c pedes corroborat , &: fiquando
deambulationi uacare non concedatur , illius uices fup- plerepoteft.
Vertiginofistamcn,&:c]uibusad fuperiora rapiuntur uapores,
nullopadlioconducit, cum extalierCw1afta:ionefacilius caput
afumispetaturrnamtantamad hoccrifiicicndum potcntiam Pctr>A
fi^^il^^^^^^^i^^^^^i^habct ,utnonnulIi boues,&:caetcra animantia poncnfis
(quodfcripfit Ariftotcles) minus homines tuffirc , minusquccatar- y.partic.
rhisuexari crcdiderint.quoniam ipfis mininie crcdtisftatibus haud ita
uaporcsnaturafurfumicndentesin eorum capita fcrri pofllint. E QiKi item ratione
eo$ omncs damnare uehcmcnter foleo , qui,fi al- to capite dormiant,minus a
catarrhis fe vcxarum iri putant,cum po ' tius contrarium eueniat,vt fcihcct qui
humiliori,&: fcre cctcris me bris aequali capitis fitu dormiunt, uel aliter
iacent , minus a uapo- ribus capitc tentcnt,minusq. a capite ad pcvflus humorcs
defluant. Quamuisfccusiudicadum fit,vbiquisvcntriculi in conficicndo ci- bum
dcbilitate uexatur.Quoin cafu Pofidonius apud Actium ma- gnopcre ftudendum efte
iulfit, vt in dccumbendo caput altiori fitu contineatur, quo cibus magis in
ventriculi fundo accommodctur, &: ob id nutrimcntum minori molcftia
coquatur.Atquc hoc intclli gi debctdeijs, quimultum ftant:ftare etenim pauco
tcmporc cxi- guumquidprodcfl*e,nequcmultumobeffepotcft. Qui porro com- muni
illo effato,Prandia poft flabis , indufti poft fumptos cibos fta- F r
dclc61:antur,ij fcire debent,fi mediocri quodam rempore ftctur, defcenfui ci
borum in uentriculi fundum id infigniter coopcrari,&:
confcqucntcrilloruconcodionemperbelleadiuuarc, nec alioqui ullam cffatu dignam
iaefionem afferre: uerum fi multo tcmpore ita qui5pcrmanfcrit,praetermolcftiam,quaob
ciborum intcrdupon- dus,praetcrla(fitudinem,qua exlaborc afficitur ,variasitcm
offcn- fioncs fubirc cogitur.Primo namque maior vaporum copia fuperio rem
corporisrcgioncmimpctif,maiorhumorummuItitudoad in- fcriora praccipitat , atq.
indc vlccra in cruribus,gonagras, &: poda gras gcncrat,cicindc
thoraccm,atquc fpirationc vniucrfiim non pa- rum Iabcfa&: totam mingendi
athoncm uitiant , quando vidclicct crudi humorcs ex fimili fiti ad S E X T V S.
J7I A cas partcs dcfcrutunrcncsq.&lumbi uchcmenterincalcfcunr>dc-
bilitdturq. ut non tcmcrc vidcatur pracccpiflc- Rufus Ephcfius , ne quis
vlccribus rcnum Iaborans,ctiam fi morl^us inchnarc cocpiffcr, ftarct. Statio in
vmbra (cmpcr aliquibus cx pracdidis difTcrctijs ad ncctitur,ut fit multa,vcl
pauca.ucl a cibo,ucl ante cibum, & proin- dc qualicumquc adncxa
rcpciiccjllius cflTcdus continuo cxprimct, modo umbrac ratione aliquid fccus
non acccdar.hoc autcm dico, quia facpcnumcro umbra , vd cft locorum concluforum
frigido^ rum , atq. humidorum; ucl noxiarum arboram , ucl alrcrius p"erni-
ciofae rei,quas omncs corpiis macularc , &: faniratcm dcftrucrc ne- mo
ncgabit.c:actcrum de llantibus fub folc in hunc modum dcter minandum eflc,
iudico, quod fcilicet Itare fub folc in aeltarc fum- g moperc calcfacir.immo
fcnrcntia eft Ariftotelis, cum llamusin fo- ^f^^'^""'
lenosmagisdcuri,quamdummvOucmur,ctlipcrfcmotus ipfc quo- ^'"^ * quc
calcfaccrcuaIcat,quodaIiasfuliuscxplK aunnus. Si iijiturita clt,rationi
confentancum crticitur ,iuuamcnrum infigncualdcfri- gcfadis corporibus indc
accedcrc,vcluti h\ dropicis,caccdicis, quibusidaCoclio,&();n
iibusfcrcmcdici's laudatur. InickTicis Lib.j.ci iteincurandis tali infolationc
vfum Archigcncm rcpcrio. ncinte- ^'v^^f' rimlilcntiopractcrmirranrur ca,quac
apud Acrium cx Antylli fcn mcdTu* tcntia lcgu:ur,infolarioncfcilicctvarijsmodis
anriquos vfosfuiflc, "P-'' alias cum unJlionc,aIias iinc unctionc,modo
fcdcndo,modo iaccn do , modo Itando , inrcrdum ambulando , inrcrdum currcndo :
dc ^ quibusomnibusinhunc modum dccretum elt, quod /i infolatio
* adminiftrcrurnonpurgatoprius
corporc,max:inum capirinocu- C menrumaftcrr: undcfacpcnumcro mirari mihi
conringit,quogc- nio ductus Plinius maior,non modo purgato corporc,ucrum ctiam
polUibuminacltarcfubfoIcmancrct,acdcindcinfngidalauare-rcpift tundchac ctcnimlocurosfuilfcmcdicinacaiictorcs
arbirror,quan dodixcrunt,ab illacorporaplufquam par lirincalcfccrc,fcbrcs,at-
^^^-^^^^" quc capitisdolorcsgignirNamliantcaquamcorporafolicxpona-
'"'''^* tur ,opporrunc cxinanianrur , aut /inc unctionc , aut cum unctionc
ricripotclt:hatcura unctioncm ,capiri diuturna frigidirarclabo- ranti
fuccurnt,quod illud durius,arquc impallibilius reddar , Sc ob
idmcriroinEpilcpiiacuranda a Mcthouicis nonnulliscommcn- Ccciu.x. datur,
modofit inlolatiomodcrata./icutitcm in ca in/aniacfpccie ^'^'^
i:iuarccrcdirur,quacafrigidaintcmpcricorrum ducir:pracrcrca occultas
difflarioncs augct , ludorrs clicit , carncm confcruat^pin- gucdincm tollir,
ocdcmata oinnia, 6cpracfcrtiin hydropicadc- primit:ncquc tamcn iplu noxis
fuiscarct, quandoquidcm mr)ra Cymn^flica. X quacuis 272 L I B E R quaeuis
fiibfole bilcm augct,&: confcqucnter ijs, quibus calorna- cc^^apk. ^^^^
mordaxcft,valdeaduerfatur, ut a Galcno fcriptum cft ,/piri- lo. tumque
crafliorcmjdenlioremue efficicns , afthma, &: orrhopncam i.^tu.va.
exacerbat. Cactcrumftabfquc un^ftione infoIatioadhibcatur,in cactcriseofdem
efredtusparit,nifi quod corpusexficcat magis.tan- quampingui
illoadufto,&fubindcmaiori nigrcdine fupcrficicm totaminficit , nccnon
carncm inftar caurcrij cuiufdam dcnfasmi- nuspcr infenfibilem rranfpirarioncm
cxcrcmcnra diuaporari facit. Li I fcr ^^'^ i*arionc huiufcemodi infolationcm ad
minucndam polyfar- cap!^*^^ chiam ab Aerio laudaram ccnfco, Vcrumramcn duo hic
animad- ucrfionc digna cfle cxiftimo , alrcrum , quod medicos, ubi fub fole
moram probarunt, praercgi pannis capira uoluifle opinor,quo- niam,practcr
Coelij audorirarcm ,& ratio,&:cxpcricnriademon- ftranr,capita
derc(5ia,fi foli cxponantur, ualdc ofTcndi , ncmpe quae fupra modum calefa£la
vaporcs a toro corporis ambitu ad fcfe at- trahuntjficqiic omncm malorumiliadem
, &:prae caereris carar- rhosibi gcncranr : quod minimc,ubicapira teguntur,
euenire fu- a.partlc. fpicandum cft , proptcrca quod,utfcripfit Ariftotclcs ,
indura cor- rdccauf' P^^^^f^l^^ "^'"•^^^^'^^^^"^4"^"^
nuda,cum ab illiusradijsminus fis ^i^rb. icrianrur.atquc hoc torum a Galcno
fignificatum crcdo, ubi dixit, eos,qui nudi fub fole mancnr ^uniucrfum corpus
calcfaccre , qui uero induti , caput folum • nam dcmonftratum cft a nobis libro
tcr- tiOjMaiorcsnoftros numquam ferc caput tcgcrcfolitos:nemire' murGalenum
,dumindutosfcripfit fub folc, capitctantumualde incalcfccrc dixit.
Alrcrumanimaducrfionc dignum cft ,quod, fi- curi fedenres , &:ftanrcs fub
folc uchcmcnrius incalcfcerc, fiuepo- rius deuri expeiientia conftat,quam
ambulantcs,&: currcntesipari- rer,& caeteras pracdiftas affcdiones ,
tam bonas,qua malas facilius recipiunt. Atque haec vniucrfa a nobis dida dc
ftantibus planis, ac totispedibus intclliganrur.ftarc namque calcibus innixos
non mo dolaborcm acmolcftiam inducir,uerumetiam nuUumiuuamcnrO cfTaru dignum
pracftarc crcdirunquemadmodum fimilitrr cos,qui fummis digiris ftarcconantur,
practer farigationcm illico fucccdS tcm,parrcs illas callis molcftiflimis
aflicerc compertum eft, &c prac- fcrtimquandoquis co frcqucntcr vratur j hi
fiquidcir 'Mudunum commodu nonnumquam rccipcre uidcntur, ut longins multis
alijs profpciaare ualcanr , cuius gratiaab antiquis fpcculator , fiuc Apho.^ nia dcillis,qui non armari ccrtant
accipicnda purcquandoarma- ^*^^^'*^** B tum ccrrarc inrcrcxcrcirariones
limul,atqi:c opcra ma ifdl • rcpo- fuir Galcnus,qui limilircr ccrrarc aducrfus
u nbram {ctKtctiicc^^ip t-^tu.^u cunt Gracci ,) cclcrcm cirra robur
cxercirationem cilc ludicauit , |;'^; ut Auicenna quoquc,cV Paullus pollipfum
ccnfcrc uili funr. Cum doc.rcii itaquc rcs icafcfc liabcar, pugna non armarorum
rim aduc rfuslio- mincs,quam aducrfus columnam adminillrata in primis magnope
rc calcfacir,cxcrcmcnra cducit/udorcscicr,cxr.bcranrcm larncin fupprimit
proindca Coclio incuranda polyfarchia adhibcrur, l; ^^^^^ dcinceps
brachia,atquchumcrosconfirmat,ciura(5»:pcdcs mirum cjp.Tiu
inmoduinexcrcet,cctcrum capitadcbilia,6«:ucrtigini obnoxia no parum labcfa^tat
.rcnibus ircm laboranrcs huiufccinodi cxcrcita- t»oneinfugcrcpracccpir
Galcnus. magis cxcrccrc, l 2 &:unn
274 1- 1 13 E R & uim maioi em corporibus infcrrcquam iftam: quonia,nt ab
Alc D Prcb -^^"^^^ pcrbcllc fignificaium cft,athlera, fi obnitatur
antagoniftac, tortitudmcm ci us augct ; Un ccdat, ncquc rcJudctur , robur
ciufdc refoluit. Atquicapugna, quac corporibuspugnanrium armatis cxcrcctur ,
inrcr vchcmcntcs cxercitationcs collocada eft,quac cu robufta, &c uahda
corpora cfficcrc dcbcant, iurc meritoNicias apudPlatoncmin eodialogo, qui
Lachcsinfcribirur,dixit,quod Iv STTMi^yi^^wi&r ,fiue armatum pugnarc
corpora robuftiora, li quod ahud cxcrcitationis genus, rcd^dit , ncq. vllo aho
minorem Loco cit. laborcmparit. Dehac quoque exercitationeab Antylloproditu ^
rcperitur,corpus ab ipfo ad morum aptius, & ad carnem fufcipicn- dam rcddi,
uerumramen propriam atquc maximam cius pollicira-
tioncmcxliftcrc,utcorporisfirmitarcm,&:longam rcfpirationcm gignat,
cumilli, quifcfe pugnis fimihbusdcdunr^omncmaHam
£fpiruuscxpulfionemferrcpoflint: facitautem huiufccmodipugna carncm laxam, &:
mollcm, nccnon capiti admodum noxia ert,prae- fcrrim quando galca plusaequo
obtcgitur , cuius pondere preffum nonparumlaborat . illudhicnon ignorari uolo:
cTrhoyxtxlav , fiue armarac pugnac exercirationem , nc quis dccipiatur eandem
effe cxiftimans cum armata ludatione, oTrhm-miKn ab Acfchylo vo-
cata,quandoquidcmhacramquam ludtac fpecics armisin mani- bus nullo modo
utebatur, fcd dumraxat ccrranres totis corporibus armabantur , ficque armati
inuicem ludabanrur , cuius ludationis arbitrcr uolurarionem illam armaram ,
fiuccelcrcmagir aioncm, t.dc tue. quamGalenusin numero vchcmcntium
excrcirationum repofuit, * ^^' fpecicm quandam exftitiffe . An vcro dc hac
armata pugnae fpecie intcllcxcrit Coclius Aurclianus, quando in curanda
polyfarchia F poft plurima alia cxcrcitationum gcncra comprobata dixit . Tum „
hoplomachia, hoc cftarmorum fiifta conflixio: apudmcdubium nullum,ut
exfuperioribuspatct, relinquirur: quoniam, & fino- menGraccum hanc ipfam
lignificare uidearur, nihilominus, &: nominis ab ipfo illata explicatio ,
&c ufus demonftratus manifcftum argumcnrum faciunt,cum
dcpujTnaillafcrmoncmtaccre.quae nu- dato ab armis corporc excrcetur,quaeq. ad
diminucndam carnem a nobis laudata fuir, cum hanc poftrcmam carnem , fed
mollcm, SC Jaxampotius augcre Antyllusiudicaucrit. Dc gladiatoria pugna
nouidcturhiclocuscxpofcerc, ut fcrmo ulIushabearur,proprcrea quod cum armis
incidctibus ,ac pungcnribus anriquirus agcrctur,
uclinlctaliavulnera,uclinaltcrius pugnaroris, aut eria vrriulquc
ncccm,plcrumquc terminabatur . VnUe ncminem non uiderc ar- bitror, S E X T V S.
275 A blrror .qiiantnm ahfit, ut fimilis ^onccrtatio iillam pronigandis morlns
, tucndacuc fanitati opcm afTcrrc ualcat : ca cnim cft,quae liodic apud miiltas
Chriftianorum nationcs fub Duclli nominc no fincmagna ciuitatum aliquandocladc
cxcrcctur , quamq. &:anti- quis , Su noftris tcmporibus ab uno hominum
inimicilTimo Sathana rcpcrtam ad pcrdcndas animas fuiflr fcmpcr crcdidi . quod
naquc non monachiam antiquorum , ut falfo probarc conari funr, qui huculquc ducllum
trailarunt, fcd potius gladiarorium ducllum huiufcc tcmporis rcfcrat , pracrcr
multa in qnarro libroa nobis dc- clarata ,hoc itcm at cftari vidctur,
fciliccrijfdcmarmis,atquc co- dcm propcfincducllarorcsconccrrairc, quilnis ohm
gladiatorcs pngnabanr: illud unum inrcrccdit difcrimcn,quod illi tum gloriac
cuiufdam inanis gratia, tum praemiorum fpc , fcd fcrc fcmpcr ui B quadam,utpotc
ud ad fupplicium condcmnari,ucI in id cmpri,at- €juc cdodi ad ccrtamcn
duccbantur : ifti ucro fpontc ,&: nuUisco- gcnribus ,nifi folius honoris
uana quadam, &: faila dcfcnHonc pro- lcdantcaguntur: ut hac rationc minus
cxcufationc digni habcan- tur ,cum fpontc in propriam ruant pcrnicicm . Vrinam
rcllpifcanC randcm homincs, uidcanrquc idquod Haibari krc nulliagunt, ranto
minus Chriftianos dccerc rfic profcdo &c multac urhcs, quac ob hoc
inrcftinis , &: facuillimis di(Tcn(ionihus cxagiranrur , ad mc- Irorcm
ftatum rcuocarcnrur , &: mulrorum anim.iSus,corporibusq.
mcliusconfulcrcrur. At nc longius a propoiiro noftra diuagctur ©ratio, hacc
fufficicnt , fi illud addidcro, quod Cclfus , Scribo- jii,^ ^ nius, Plinius,
Arcracus ,atquc alij plurimi rcfcrunt, ab Antiquis li. decop. fciliccrcrcditum
fuiffc,gIadiatoris iugulari fani^uincm cpotum lu- "''^i*; ^^ C uareepilcpricos.
quam rcm poriusad prodcndam iplorum fcri- nam fupcrftitioncm , quam ut ullam
fidcm adhibcndam ccnfcam , li^nificare uohii. 2)e qudTunJxtn altarum
exercitatiomm qualitatihus* Cap. l II. VLTA apud antiquos cxftltcrunt
excrcitati onum gcne- 1 a , quac quoniam non ita frcqucntcr vfurpabantur,ab
aucloribus cclcbrata non iiuicniuntur :inrcr haccau- rcin primo fcfc offc rt ri
iK^6)^u^il%:ccci , ucl manibus fum- fliis conccrrarc, quod, /iue hituc jpccics
aliqua forct, utnon- nuUi crcdidcrunt,fiucicparara quacdam cxcrciratio, urCalcnus
^^^jl^gp^^^^ ccnfuifsc uidctur,u ui poft luclam alias quafdam cxcrcitarioncs
ad- OymnaHica, T 3 numcrans 276 L T B E R nummn^acrochinTmum nominaf,
facirqiicrnam7cftealii conftar ipfam apud Galcnum , Actium , Paulum , &
Aui-. l.ib.3. c j cennam i nrer ucloccs finc roborc exerciraiioncs locum
obrinuifle, lill.fen 3* ^^^'^^"^^^^^'^'^^^cicndijcorpora
tcnuandi,carncs,fuccosq. dctra- doc. i^c.i hcndifacultatcmpolHderc, ut
appofircinfinuarc uifuscft Hippo- fitf^cftato ^^^^^^'^ ^P"^^ qucmlcgirLiracrochirifmumatrcnuare,&:
carnes /ur-. cap.Ti^^^ ^umtrahcrcproprie ucromanus,atquebrachiafccundi;m Gale-
Lib.4.c.4 num in ipfaexercitanrur. cxquorir,utilIisconueniat, qi ibushas-
locQcitac, parrcscorroborarcin animocft,ficurijs ualdenoccr,quorum chi-
nigra,uel aliusmorbus,&manus, &: brachiainfeftare folct. dchoc locutu
e(Tc CeIfumquiscrcdcrcpoteft,ubi in ijsqui ab arida luHi
exagitanrur,exercirarioriesmanibusperadasprobar. PorroUTrA^-
^f/^^ij^jideftecplerhrizare, a Galcno inrercxercirarionescitraro- *oco cit.
bur,6^crccntium,quamCraccihatcro.
copiam,vcltrachc!ilmumuocanr,cxcrccri,vcrumramcniIlisma\i- mc vcrcnda clUalis
cxcrciratio,qu! vcl pc^orcvcl dorfo,vcl capi- tcnoadmodum valcnt.Parictiam
paclofi quis(vr Milo factirabar) g conucficrcfc, ojcrcq. dc loco volcnti pcrmirtar,cnira
maximc corrob.>rarcpotcrir,qucmadinodum manus maximopcrccxcrcc-
bir,cisq.fortirudincmacqLirer,lipuynum alicui apcncndum, ucl malum punicum ,
aur talc quippiam manil)us complcxus aufc rcn- dbmpracbcar:quod ramcn
arthriridi,aur chirajiracobnoxijsmini- mccongruct.Roburaurcm partium rum
cxcrccr.rum hrmat,fiquis a!tcrumcomp!cxusmcd;um,aut ctiamipfc
mcdiocomprchcnlus, manibusdigirisq. pcdinatim iundis,aur qucm complcciirur
abfol- ucrc fc iubcar,aur ipfc lc a complcctcnrc loh,ar:nih quod in hoc pc riculum
immincr,nc vifccra labcfadcnrur c\ nixibus illi5,qui adhi- bcntur,dum
dillolurio quacrirur.lra criam (i quis alrcrijm,(|ui vcr- fus ipfum lc inclinct
t larcrc aggrcflu5,ilia manibus compIcxus,ccu onusaliquod fublarum inuiccm
prorcndar, rcducarq. acinagis,fi C dumgcltar,ipfcnixu, rcnixuq. corporis
vrarurnic narnquc fpinam vniucrfam corroborabir,lumbos tamcn,arquc rcncs
dcbilcs habc- ribus noccbir. Acquc vcro qui pcOtoribus cx aducrfo innixi magno
fc conaru inuiccm rcrri^ilunr,;;^ qui a ccruicibiis pcndcntcs dcorsu
trahunr,vchcmcnrcrquidcm cxcrccnn^r, &: pcrconicqucns robur corpori
vniucrfo comparanr:at pcriculum fubcunr, nc thoracis va- fa aliqua rumpanrur
iplis,ncuc aur capur,aiit collum malc aihcianr. Hacc iraquc oinnia ramcrfi apud
vcrcrcs inrcr ccrcrascxcrcirario- ncs habcrcnrur , nihilominus haud ira in
frcqiicnri vfu fucrunr , 8c pracfcrrim nobilibus,ac illisqui non
fincluauirarcquadam fanira- ti opcram dabanr. h;ic ircm rcmpcfiarc non dcfunr ,
qui ipfis vran- lur,qn )v.jn')d' ' rario ,iflhibcarur,pcni:us aiicrrcrc nolo. T 4 De 278 L I B E R D
Def^mtuscohibitiomsfacultatibus^ ^(^df. I V* I #n K-K^ ETENTIONEM
fpiritusfpecicmquadam cxcrcitatio- ' * nisefTccumabundc
inlibrotcrtiodemonftraucrimus, idampliusrcpetcrenoneftopus:il]uddumtaxat adiuii
C^"^*^^^ gamnonfacilerepcriri ,in qua nam difTcrcnda locata fucrit.nifi
quod animaducrtcntes nos in huiufccmodi cxcrcita- tionemufculosabdominis,aque
thoracis ualentcrintcndi , &:fu- ^.partic. binde inpartibus interioribus
calorcm augeri,ut Ariftctclcs,&: Prob. Galcnusmcmoriae prodidcrunt,eam non
riciiiinc uchcmcntia 1. dc diac i^^^icare poflTumus : &: propter hoc iure
ab Hippocrate didum fuit , ^ fpiritus dctentionc meatus difparare, cutcm
attenuarc,nccnon ^ 3. dctuehuniiditatcmfubcutcm extruderc poffc. A
Galcnofimilitcr,&: ia^bartii^bAuiccnnafcriptumcft, rctcnrioncm fpiritus
mcmbrafpiritua- mcd.c. 87 lia calefaccre ,corroborarc,&: cmundare,necnon
anguftas cauita- doc 1 c \ ampliorcsrcddcrc. Quod
etenimfpirituscohibituscxpurgarc thoraccm ualcat, clare conftat : quippe qui
in.ipHi rctcntione un- diquccompulfus inanguftosfe rccipcre meatus cogitur ,
cosq.li ampliustrufus, propulfusq. fucrir, ctiam pcnitus tranfirc, atque
extcnuati iam agitationc cxcrcmenti nonnihil fccum arripcre , eo
propemodo,quo
intucmur opificcs angufta inftrumentorumfo-
raminauchcmcntiorefpiritusinflatucxpurgare:quandoquidemis quanto ulterius pcr
uim coadus impcUitur, tantum ab ipfo quaeda impelluntur, qiiacdam trahuntur,
nam truduntur quac antc occur- runr,attrahuntur quac ad latus funt pofita ,
impetu ipfo motus vtra- quc coada. Qupd ucro ex retcnto fpiriru cauitatcs
cuadant latio- res,hinc probatur,quoniam fi thorax in medio corporc locatur ,
fa- nc illo magna afiqua infpiratione acrc impleto, & dcipccps fuprc- mo
laryngis ofculo Imgulac opera claufo, nccno mufculis toto tho race
prcllo,necclium cft aercm comprcfTum vndique mcatibus cor poris uniucrli^^
infcri,ficq. inirufum cos undcqnaqiie dilararc ,mo- doinfcriorcs dum iUuc
impcllirur, modofuperiores. ficergoper fpiritus retcntioncm cauitatcs corporis
amplificantur,pedoris par- tes cmundantur , ipfaeq. atque etiam aliac
intcriorcs calorem ici O^nip. ^^j^^ipi^ri^^cuiusmcritofrigidacaflrcdioncs,
&:prac{crcim infla- Pr^?*^* tioncsrcmoucntur. ut non tcmcre Plato fubpcrfona
Eryfimachi li.d mcd. ixicdici ,nccnon
Ariftotclcsmcmoriacprodidcrmt,fpiritumcohi- ifbroT.d^birumafmgultulibcrarc.
quorum placira fccutusGalcnusabco- ^mp.cau.icm uoiifolumlingulcumjvcrun^ctiain
tuffim afrigida inftrumcn* S E X T V S. 179 A torum rcfpirationis intcmpcric
conrraiftam cxftlngui tcftatumrc- liquit: ciuodaucla in pcvftorc caliditarc cx
tali cohibitionc angu- ftos quoslibct mcarus fpirirus coprcffus pcncrrcr,cun
&: ab auribus cxpcllunt : limilircr obftcrri- ccsiftud rcftantur,quacad
parruscxpuIlioncmfaciliorcm,&:ccIc- riorcmrcddciidam partiincntcs fpirirum
contincrcpraccipiunt . in quoltamcn ipfas facpc crrarc fcnbit Acrius,quando cx
nimia hu ytr^h, 4. iulccmodi fpirituscohibirioncancunfinata
,liucartcriarumincu- i[Lli\c. ribilcsdilararioncs incurrur.t in faucibus ,
nccnon pupillarumin prob. 48. oculis,ut Aucnzoar tcftatus clLDiccbar
Ariftotclcs fpiritu rcicnto mdiusaudirc nos, quoniam rcfpirario ftrcpitum
qiiCndain mo- ucr, quocum careanrrctmcnxcsiUam, mclius uoccspcrcipiuntrti.ij. c.i
C quanuiis CalTius Mcdicus alitcr fcntirc uidcarur. Exftar ircm Plinij
aucronras,quod cucrfos,fc anclcnrcsq. ac iaccnrcs , fi quid ingruar, conrraq.
i(ftus,fpiritum cohibcrc fingularispracfidij cft. Si igirur afpiritusrcrcntione
rot commoda xjriri conftat, prudcnrcrfanc Coclius Anrclianus ipfam allhmaticis,
ftomachicis ,arquc licis'^|^^J"^*y curandis cgrcgum opcm pracftarc
lcriprum rcliquir.Ncquc ramcn ub. ^.c. huic ranrum tnbucrc dcbcmus,quiii ctiam
ipfam aliquacx parrc obcflc credamus,quandoquidcm Afclcpiadcs capur opplcrc
rcfta lus cft,cuiusfcnrcntia a Gak no ccrre cxplofa fuit . Ego vcro illam
prorfus non cfTc rcpcllcndam puto, quoniam manifcftoconfpici- mus , dum
fpiritus rcrinctur , ucnas,atquc artcrias colli intumcfcc- re, oculos
ampliiicari , gcnas ac uniucrfum vuhum contrahcre ma» iorcm ruborcjn, tandcinq.
caput totum compati : quacomniail- Jius rcpktionijs cUra inditu clTc,
ncmodubiiat . txquohr,ul Dioclcin Early European Books, Copyrighl© 201 1
ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazionale
Centrale CFMAGL 1 .7.429 2SO jL 1 B E R Dioclcm tota uia abcraflTc pro ccrto
tcncam , dum fpiritum rctcn- D tk.i.«a.4. tumin epilcpfia curanda praclidium
afifcrrc dixir:/icut Coclium laudo,qui in ciufdem aflfcdus curationc fpiritus
rctcntioncm uita- ri debcrcuoluitjCumccrrum pcriculumimmincar,nctuncfangui-
ncad caputrccurrcnrcmorbusmagis exaccrbctur. In fanguinis CgcUi.a. quoq.
rcic£lationc talcm cxcrcicationcm a Mcthodicisdamnaram inucnio,quibus aiTcntiri
cogor^propterca quod rum a calore in pe- (floris cauea gcnito,tum cx uaforum
inflationc,diftenfioncq. facilii mc debilia,&:rclaxata vafafranguntur,
frad:aq. iterum relcrantur. Ampliusqui veliierniasjvel
crcpaturaspatiuntur,autpcritonacum, atquemteftmaexrilia,&:fragilia ab
ortuobtinuerunt,nullo pacto in rctinendo fpiritu cxcrccri debcnr , quoniam hae
partcs in aclio- neifta uchcmcntcr contenduniur,& pcr confcquens,
nifirobuftae fint,citra mulrum laborem diuellunrur ,qucniadmodum apcrtifii- ^
mam fidcm pucri faccre poflunr,qui fi interdum nimis quam par iit flcndOi aut
aliquomodofpiritum contineanr, protinus ijsperito- naeum , fcrotumuc
difrumpicur , 6c dcinccps intcftina dclabcntia , aut flatus intercluii,uix
fLUiabiieshcrnias pariunt: quod fimilitcr tu bicinibus , &c cantoribus ,
dum nimis fpirirum retinerc conanrur , facpenumcrofolet cucnirc,&:
praefcrtim quando illi wiJ^ctlguuy ( quod Galcnus ait lib. de mot. mufc.
fccundo in finc , ac 6. h\nd. com* 4, tex.24.&:dcquonosin
varijslcct.cgimus^ac pluraadhuc dicemus , cum itcrum librum cum rccognitum, atque
auclum pro- pediem dabimus) fiue edidum ficere uolunt . Vna feruata ra- tio ab
huiufccmodi pcriculis tucbitur, fi modcratc, aur potius infra mediocritatem
(imilisrctentio peragatur, ubiagcnda crir: alioqui pcrfici nequaquam
poterit,quin praedida incommoda fc- ^ quantun De ^octs exercitAtiomm
fAcultAtibus 3 tsf primo de rvocifcr^itione^ OCIS multas,fcd unam praecipuam
excrcitationemcf feccruntantiqui mcdici,quam gracci t«i^
(cVflf.quoruomniunaturapcrfpcv^ta nihU rcma- S E X T V S. 281 A rc mancbif,quod
luiiufcc cxcrcitationis cognitioni arfdi valcat.Er P «l^^jtu^^^ go prima
uocitcrarionibus,qnaccumquc (int illac,adfcripta ab An j| ^^.^„6'.
tyllo,Plutarcho,Paullo, Actio, & Auiccnna codiciocft,quod tho- Un,
raccm,arquc uocalia inltrumcnta pcrbcllc rxcrccr. diccbat Aucr- \-^V'c.s rocs
pulmoncm propric a uociscxcrcitio rcfpici . (ubindc naturalc iiki.f.s.d.
calorcm augct,purgat,hrmat,arqucarrcnuar,folidas corporispar- * "J,';j^*
tcs , robultas,puras,&:ort"cnfac mmimcobnoxiasrcddir. addcbarcap.i, '
Auiccnnna hanc cxcrcitationcm colorcm dccorarciquod cnim ca loraugumcntum
fufcipiar>indcoritur ;quia fpirrrusalliduomoru, taai actraCtus , quam
cxfufflatus collidirur , artcriturquc, licq. cx ca collilionc, 6c atrritionc
calorcxcitarur i puriiarucro huiufccmodi cxcrciratio itum quiacarncs
raiiorcs,magisquc rraiftabiics cfficir: tumquia cxmoru uocalium inflrumctorum
humiditatcsinrcrnac B confumunrur,quod cuidcnriflimc dcciarat dcnfus uapor cx
orc v v cifcrantium urodicns, 6c fupcrlluitatcs uctullioruhumoruunicui-
qucmcatiii adhacrcntium,quaccxccrnunturnonfolumin pracdi- £tis
uocifcrarionibus, fed ctiam alijs pkn ibus modis. lam vcro fir- marur calor ,
6c artcnuacur , quv)niam uafa abftcr^^uncur , nuilti hu- morcSjUt
fputa,muci,(^pitiiitac conlumuncur,quac licut antcaca- lorcmobfcurabant
,dcbihrabanr,&:incra(Vabanr, iracduda cun- dcm puriorcm,uaIid!orcmq. rc
linquunr, &c hinc pollca lolidis par- tibus maius robur,maiorq.
impallibiliras fuccrcKic.Si icaquc hacc ica fc habcnt , racioni confciuancum
clt , ijs, qui humidirarc occu- patas inrcriorcs parres,quiq. uniucrfum
corporis habicum frigcfa- ^tum habcnr,uociicraciorH*ni gcncrofum praclidium
cxliftcrc.quc- admodum.illisprcdictis racionibus cam ab Anc) llo, CoclioAu-
rc!ianp,&: Actio commcndaramfcimusltomachicis, uomcncibus, acidum
ru:tancibus,acgrccoiKoqucntibus, cibos faltidicntibus, atrophia
Iaboranrjbus.languidis,cachccticis.hydrC'picis,althmari-
cis,orchopnoicis,phchilicis,diuturnopcctorisauclcpti dolorc uexa tis.apoftemara
in choracc rupra habcntibus , mulicribus pracgnan- tibus,picaobfcllis,
autlccundum Alcxandruinctiam parcurienci- ^/j^^g^'^ busad parcum tacihus
cduccndum,non minus n ,.chro, affi.iunt,quamcorporis immodicacgcftationes,
luuatmfupcr cla- cap.i. ralcf Q crir,fi rifu fcfc cxcrccrc uolcntcs alas fibi
ipiis litillari facicnt ; pro- bi^ «!'^^^ ptcrcaqnod magnusinillispartibns
ucnnlarum,atquc arteriarum concurlus cxllat, quac tuillatac concalcfiunt,^:
fpirirum fu[)indc cxcalcfadiioncgcnirum pcrunincrfumcorpus diflundunr. Ncqnc
ucrolatcic qucmqnam dcbct,ualidnm rifum,(icuti dixir Plaro, ma gnam
mnrarioncmparcrc, ncmpc dc quo cclcbratnrapud Grac- cos hicfcnarins. j t Ato;
HKccigo^ tyjigcrois (Niviy KccKiv , i d c ft
Rifusinrcmpcltinusintcrmortaksgraucmalum. Siquidcmta- * ^^**"* lis,practcr
immodcraram fpiriruum ctiulioncm ,pnicrcr nimiam agirationcm,calcf'achoncmuc ,
nonraro ,fccunduiii Ariftotclis,&: Jococftat. Alcxandri fcntcntiam,uchcmcntcm
rcfolurioncm indncir:qno. p|^^*|;^^^^ niam uiralis uis ,&:inlitus
calorimmodicc foras prodit,ac indcfir, ur /ic ridcntcs fudcnr, ac
rubcantfangninis adncntu : calorcm crc- iiimnatiuum,igncmqucipfnm,ficuti pcr
loci appctitioncmfur- Gymnajiica. V fuiu 288 L I B E R fum cffcrri , fic pcr
alimcnti dcfidcrium ima patcrc ncccfTc cftjgi- D turutralibctmoucndi
rationcpcrcmpta,calorinfitusinterir5& uis omnis vitalis cuancfcit.ut non
abfquc rationc Homcrusfinxcrit oayff. ^ Procos rifu cmori , Arcrf ixmSges
dyccvoi X%$S0Cs ivetct^otiwot p/tAo) \kSccvou , idcft , tum Troci illuflrts
Mams extollentcs rifu cmoYiebantur ; lU.^pao Nccnon Aglaitidas apud
Xcnophontcdixerit,rifum huiufccmodi ^ ^y"- moucntcs ^ncquccorporibusjncque
animis prodeffc. Porro ca- put,ac thoraccm pcculiaritcrab huiufccgcncrisrifii
offcndi ncmoncgauerit,qucmadmodum interdum laxata maxillarum ofla , dor-
fumq.oblaefum animaducrtimus. Flctum tamctfi Ariftotclcs in pucris laudaucrit,
quaficorumcorporaflcndocontrafta, &:con- E a.Tufcul tenfa robuftioracuadant
,Ciccroq. fcriprum rcJiqucrit, athlctas, cum cxcrccbantur , ingcmifccrc
confucuiffc , ut fc intendcrent ad firmitaremscxiguum tamcn ufum in tucnda bona
ualctudine habe rceno fcimusrpucri namqucfortafreaploratuminusofrendutur ,
quoniam ci a primo ortu infucfcunt , quippc qui ftatim ac ex utcro parenris in
luccm uencrunt , plorarc incipiant: cuius caufTam So- Inlfa og fimusephcfius
cxplicauit cfle ; tum quiatenuis fpiritusaluce con- cap.17. cutitur :tum quia
infuctam tcrram attingant,quandomulieresin Prob. 61.
nauibusparicnresmutumcdunt.quamfcntcntiamfecutus Alexan- dcrmcdicus
addidit,iIIos minime audiendos cfse,qui animum di- cant , quod amifso caclcfli
domicilio corpus inhabitarc tcrrenum occocpit,iccirco infantcm cogcre
doIere,atque plorare.Caeterum adultiores qucm nam cx fletu capcre frudtum
qucant , nufquam ui- ^ deo. quod cnim is corpora frigidiora intenta , ac
debilia rcddat , \qco citat. pr^ictcr Ariftotclcm ob pracdiita ficntcs
acutiorcm uoccm rcdde- j.Aph.y4 re narrantcm, Galcnusquoque atteftari
uidctur,ubipucros,dum **^^8**^^' plorant, intcrruptofpiritu ob uircsdcfatigaras
refpirarcfentit.qui * itcma flcrunonriumquafcbrcsacccndi pcrfpicuctcftatuscft.
qua- tumfubindeoculisipfis dctrimentum atfcrat,mdc conijccrc faci- Inprok.
literpoffumuSjquodlacrymis ab humoribus oculorum (fiCalfio medico credimus)
dcflucntibus eos confumi ncccfllirium cft.ut Ilb^ fummacumratione
eloquentilfimusauitor Carnclius Cclfuscon- tfcur.ocu. tinuos fletus oculos
imminuere fcriptum reliqucrit ; ne fileam quantum damnum uox recipiat, dum
fauccs,ac uocalia inftrumen- ta intcr flendum madefadla , exa fperataue , cam
raucam cfficiunt, tuflcsq.ac noxios catarrhos iatentcr concipiunt.nam , &c
apud Coclium s £ X T V s: A Cocllum Aurclianumlrgitur, ploratum poft cibumuaMcftomci-
clium labcfactaic. Kx quibusomiiibus colligitur, aut nullum^aut
cxiguficmolumcntum a llcru corporibusacccdcrc,(S nes illas cxcitant;in altcris
humorcs ad infima dclabentcs eos mor- bosfoucnt,ac incrcdibilitcraugent. Inde
eft,quod Aretacusin cu- ratione epilcpfiacfolam cius vcrtiginis infpcdioncm
,quamfacit inftrumentumillud , quod RiptBiKX dicunt, &: dequo fuprafumus
locuti epilcpfiam induccrc monuit.Hoc fortaffc exercitationis gc- ^bro^ I
nusintcllcxit Auicenna,quandodixiti Etludcrecum uirgisretor- €3^*2^** tis
didtisalfulcgiam cum pila magna,autparua lignca, nifi quod il- lud intcrfortcs
excrcitationcsrcponcns, 6c pilam magnam nomi- nansanoftrodiffcrrcdcmonftrat,
ncmpc quodfitdcbiIe,foIifquc paruis fphacrulis agatur . Habcmus Sc aliud motus
corporis gcnus, quod piHs ligncis cxcrcctur humi dupliciter, uel pilas in circu
fcr- reum humi dcfixum manibus impcllcndo , ucl cubo lignco cas ap- proximando
, quod quidc genus dorfum ob inclinationcs cotinuas E exercct , attamen caput
ofFcndit, atque rencs; in quorum ulceribus Inlib. ae IfxTrmkvsiTriKv^^s uitari
mandauit Rufusmcdicus,nequeadmo- Metue! dum pro ualctudinc probatur. legitur
cnim apud Gal.cxcrcitatio- ual.cap.5 ncsinchnato capite,
dorfoueperadlasncquaquaminisconucnire, qui occafionc qualibet Icui ucrtigine,
cpilepfia, ophthaImia,auriQ dolorc, guttuns, aut altcrius, capitis , &:
colli inflammationibus oc- cupantur . Praedidis omnibus tum notior,tum
trcquctior cft pila- mallci uocati cxcrcitatio , qua uetcrcs gymnaftas caruiflc
nemo nd fatctur ; fcd quanto magis tcporibus noftris pencs cundlas nationcs
ipfa inolcuit , tanto magis ncccflarium uidctur illius flicultatcs de- clarare.
Nam quod ex magnis fitcxcrcitationibus,ac uchemctibus facilc cft,&: a
laborc,qui fuftinctur in ipfo,&: ab eius natura conijce re; a laborc ,
quonia fu quam pcr fccrcram difflarionc cxinanirc inrendunt . Cctcrum ncmo ,ucl
mcdiocritcr rci mcdicacpcritus, lgnorat,valctudmarijs,ac dcbilibus,quorum uircslcui
dc caufladc ftruunrur, excrcitationcmilhm minimcaccommodari: tantomi- ftus
illis , quibus capita ma!c aticda funt ,aut aliquo padlo imbccil- Iia.
nam,&: qui dorfononadmodum valcnt, quiqucrcncscaIido5, urinasq. acrcs
habcnt, cx talibus moribusfummopcrc offcndfitur, licuti quoq. nocct cxcrcitario
bacc,vbi parfcsinfcri( rcsinflamma- tioncm ,aut abum tumorcm pati folcnr .
Summarim poflimt, qui fanitarc fruunrur , ad cam rucndam,oprimumq.
habirumgcncran- du pilamallco fcfc cxcrccrc : qui vcro aliquo pafto ab
acgritudine occupantur,omnini>abftincrc dcbcnt.illudq.fcmpcr mcmoria tc- B
ncrc opcracprctium cihcjuac dc cxcrcitationibus bona a nobis pro mittunrur,
ucrarcpcriri,modocaratio tcmporis, ]oci,quantiraris, modi, arquc
corporumfcructur ,quam in ^.libroncccflarramcfle monftrauimus. alioqui fi
ncgligatur, mirum non fitjoco bonorum incmcndabilia mala iucccdcrc :
qucmadmodum lacpcnumcro in propolita cxcrcitationc cucnirc ccrto fcio,quac cum
fcrc polt pran dium a plurimis agarur , nullo falubritatis loci , ac rcmporis
habito dclcctu, no fua culpa,lcdcxcrccntium incuria pcrniciofasaflcLtio- ncs,ac
prauos habirus inducit. quo magis omncs admonco,ut dili- gcntiam, a Maioribus
nollris in cxcrccdis corporibus obfcruatam, quaxitum
conccdifur,imitantcs,mcIius valcrudini, atquc mcmbro- rum robori confulant ,
ncquc commitrant, u t proprij.s ci roribus , &c fanitatcm /imul
dcpcrdant,&:honorcm, dicctc GalcnonoUro ma- r.dctac C pnum dcdccus illis
aXc , qui a narura fanam corporis conftitutionc lortiti cam ob
cxcrcitationum,ac rcttc uiucndi ncgligcntiam cor. rumpunr,arquc morhofam
rcddunt. Erquoniam hoc in capitcduo diximus,altcrumquod
pilamaIIcus,cxcrcctdorfum,aItcrum,quod illis cuitandum crt , quibus
dorfumcftnnbccillum, fcicndum crir , Galcnum voluilfc^inlcnibus
dcbilcspartcsnumquam cxcrccri,in r.dctuc. alijsfcmpcr dcbcrc.rarioncm, qua
indu^^us illud dixir, hanc fuifle ^ cxiftimo ; quoniam
dcl)ilitasfcnumcmcndarinonpotcft,cumcx uirtutismotricisdcfcctu
proficifcatur,alioruinucrorcparabiIiscft. undc, quandonos aliquas partcs
imbccillas minimccxcrccndas confulimus,fcmpcr dc imbccilHtatc confirmata , ac
incmcndabili, non autcm dc rcccnri,arquc dc curabili,dida noftra inrclligi
uolu- BU]s:nca Galcni placiris,(]ucmomnc5mcdicifcqui tcncnturjinhac lcntcntia
rcccdcrcuidcamur. (jymfiiiiiica. V 5 DC 291 I 1 B E R T)e
equitationibHTfacuttdtibus. CaP. II X. ^ Quifationcm,qua Galenusaliquadointer
ca,quae exer- cirationcs fimul,&: opcra nucupar,adnumcrauir, ex eiuf
dcfcntcnriamagnam cxcrcitarionccfl'e,aperte conftaf# Quo circa,quanru fit cx
fc, potcrit natiuu calorcm auge rc,&: cxcrcnicntoru inanitioni
opitulari.Efl: aurnoparuadiflrcrcri- tia,an cquus(fic appellocquLi,mulu,&:
aliud qif uisporrandishomi nibusaccomodatum
animal)lcnrc,cclerircrucgradiatunanfuccuf Oribadiis fcr;an afl:urco fir,ac
ro]urarius,an currat . Dcplacida,&:lcnra equi- Aet^iib* ratione fcriptLi
inucniturab Antyllo,atquc Actio,fiplacidc equus cap.7! ^ gradiatur,nihilmagis,
qua lafTitudinc, &:pracfcrtiminguinibusaf- fcrrc.dc hac inqua ucrba facics
Hippoc.mcmoriac prodidir,conti- nua cquitationc laflitudinc magna parerc ,
homincsq. infoccundos E &: cocundi impotcrcs rcddcrc,n€C no dolorcs
diuturnos,&: claudi- Prob. ij. carioncs
gcncrarc.ncqJccircofcntctiaHipp.danandauiderur,qcf aqu*&!oc! Ariftorclcs
cotrario plane fenfu fcripru reliquerit , cquiranres affi- cap 1 1. Jjje
libidinofiorcs cuadcrc; quonia gcniralia continua arrrcdatio- probifii
ne,motioncq. incalcfccria fpiritu cocipiunt, ficq. cociidi cupiditas
inducitunfiquidc Hipp.dcplacida,&:nimisfrcquctiloquirur,vtpo te q lcni motu
no ita calcfaciar, &: pcndctcs coxas,arq. pcdcs oblac tlattAriftotclcs ucro
dc ca,q cquo ccleritcr gradicre,&: inrcrdu fuc- cuflTanrc^fcd
noadmodutrcqucrcr cxerccrurjUcrbafacirjUnde par- ticula(afliduc)qua larini
intcrprcrcs apponut,cu in Gracco Arif.co dice no inucniatur aufcrcda planc
erir.Hacc erenim equirando fa- U69 cita. io dctcrior cJi, nimirumquacuniucrfiim
corpusmoldlc quaflcr, &dolorcscxcircr,auiZcarq. Sicut in Niprns
illcfapictiirunus Grac- ciacfauciusintclligcbat,ubi diccrct. Tedetcntim ite , ^
lcddto vijh nefucceffn Cic. 2. Quo itcm Lucilius pocta antiquusinnuit,dum cquum
fuccufllm- tcmtactrum nuncupauirhoc ucrfu. Noaius SuL i ii[iatorii t.ie:ri ,
tariiq, c tballt . ^^*""^* Ad hacc
fuccuirationcuchcmcntcrcaputoflrcndcrc,coI!um,&: dor fum,&:
narcSjCxpcriunturilli , qui aliquadoin hunc modu cquitarc cbguntur. Dcniqucli
vlla cflcquita:io,quac uifccrapraccipuc( id. Q n.farcrur Ga!c.)agirarc apra
iit, proculdubio nfic propofita ralrs cft, ijtu.yi. aqua nofolu intcriora omnia
concuti,ucrum criafiifpcndi,qua/iq.cA?-»'» arripi uidcntur.illud
unuhabcrciuuamcporcll, ur cibis,atc]Lc cru dis humoribus concoqucndis,aIuoq.
cicndac,ac vrinac prolicic4i- dacnccno a rcnu(q J Auiccnnac placuit)loco
lapillis arquc arenu ^.^ lis ad infcnora dcduccclis adiuuarc qucat.Scd ,quonja
maicribus riamnis comoda hacc c6pcnlantur,ocs ab cxcrcirationclimili ablli
cip.vk. ncant cofulo.ln aflurconibus cquirario(ca4n lic appcIIo,quam uul- gari
nominc portanru,aut trainauocant Itali,&: dcqua itaMartia. Hic breuis ad nioncrHm
rjpidos qui coUigit unones j^-^^^ yenit db aunleris gcnt bns aHnr cqu^^s )
qucmadmodummagis corpus, &:mcmbra gradarij cquiucctionc cxcrcct,ita mmorcm
molcltiam parir, liquidcm mollis illaalrcrno cruru cxplicaru glomcrario minimum
larigat,pcculiantcrq. aluum citarc ufu probatur . Dc cquitatiqnc i;urrcntibus
cquis(;i(tta,licct V 4 ' apud 294 L I B B R apud Arift.icgatur , ita
cquitantcs, quod magis caueant,mlnus ca- D In hb. dc dercjtamen eam improbarc
uidctur Galcnus hac rationcquia fae- l«c indo . pe contingit cquitantes in
terram deciderc,& nonnumquam ex ca fu emori*fed praeter hanc multae exftant
caudae aliac>ob quas a fa nicatis ftudiofis huiufmodi cquiratio omni
diligentia euitaride- a ^dixta ^^^*^*^"^ corpus(vtfcribit Hippo.)nimium
calcfacir^exficcat^atquc
* extenuat,ob id ad minuendam carnis
multitudincm a Coelio Au- li. T.c.vir. reliano probara , caput male afficit ,
fcnfus hebctat , oculos non pa* Sca. ^pb. nmioflcndit:quandoquidcm Ariftor.
cauflam indagans, cur, qui cquo uehunrur , quo longius equus dccurrcrit , co
magis cmitrcrc lacrymasfolcnr , fignificaridco illud eucnirc ,ucl quoniam morus
calcfacics valde humorcs oculorum eliquat,&: lacrymas indc cict, ucl
quiaficutiuentiaducrfi oculos pcrrurbanr, fic acroccurfans
tanromagisfcrircporcft ,quanro cquus uclociiis agitatur.Iacdit E practcrcahacc
equiratiotam thoraccm,&pulmonem,quam uifcc rauniucrfa. Quod criam rencs
maximo dctrimcnto afficiantur, fidcm Hiccrc poflunr multi, quorum alij vrinac
ardore,aIij lapillis, alij vlccribus modo rcnum, modo vcficac, modo pcritonaci
vfquc ndcoob hanc excrcirarioncm follicitaii fuerunt,ut fereijsaffcctio- ni bus
mortcm obicrintrnc dicam quor luxarioncs, quor ofiium fra- ^T:urac,quor
mcmbrorum diftorfioncs facpcnumcro indcnafcan- rur,dum brachia,dorfum,coxac, &
crura fupra modum laborant . Vidcant igiturquos currcnribus jatquc mutaris
cquisitinera fua obirc dclc(ftar,quot,ijsci. gnuifiimispcriculis^ncdum
ualcrudine, ucium eriam falurem ipfam fubijciant, quomodoc]. non inge-
nuorum,autfanirarcm curanriumac uiram,(cdpotiuspcrditorum
hominum,athlcrarum,nihiIq. uitam,qua nobiscarius,aut opta- tius nil
rcpcritur,acftimantium opus cxcrccant. Hadcnus de cqui- laiionis fpccicbus ,
quarum nullam aegrotanribus admodum con- fcrrcfcripfcrunr Antyllus, arquc
Aerius, quasq.necijs , quimc- dicinam fumpfcrunr , uUo padto congrucrc mcmoriac
tradidit So- lodscltat. i-;inus Ephefius , ncquc illis, qui rcnum morbis malc
afticiuntur, cap.^i^!^' ucl carum inflanuTiation conucnirc ccnfuit Galcnus.
6,cy\d! Sunt qui in equo fedcntes gcftari dclcdcntur, quac cxcrcitatio pa- Tlll
rummalcualcntibus ufui cflc mea fcnrcnriaporcft , nam,utmol- liflimc ucharis ,
tamcn laflfirudo inguinum , Iumborumq.&: du- rafufpcnfio,cxpIicarioq.
percipirur, quando fubpcdancis corpus fijftentare,pcrarduum eft, ne dicam
nnpoflibilc. acccclit &:ma- la,ac dolorificailla
concuftio,fiquomodoincitatiusfcraris. Va- knabus m^igis 4onkrrc eadcm porcft,
corpus , animum , &c ftoma- chu^i S E X T V S. 2«5 A chum hrmandorfenfus
cxpurgando,acucndoq. fcd pcftus.tirquc pc dcsdcbilirar. ^ ^ ^ DegeSldtiontim
inHnitierJimnjinbus. Qaf. 1 X. j NTEQV AM gcftationu fcrmoncm aggrcdiamur ,
illud prius adnotandu lcvfloribus uolumus, nos minimc igno- rarc , multos
cquitationcm inrcr gcftarionis fpccics rc- , intcr quos fuit Actius Amidcnus ;
fcd ncqua- liu.j.c. ir. quamhorumopinionemfcquiuoluiflc; tum quia Cornchus CcL
^^•^•^•^^ antiquus fimul, &: cclebris au(flor , ubi gcftarionis fpccics
adima^c- rauit , nc ucrbum quidcm dc cquitationc faccrc uoluit, qua(i alic- a
gcllationc iudicaucrit , id quod nmltos ahos opinaros fuifle conijcitur cx
Antyllo ; t um quia cxprcflc Gal.gclLitioncm, 6c cqui tationc diucrfas cflc dcclarauit
in 2.de tu.val.ubi ahas cxcrcitatio- ncsanobisficri tradiditiahas ab cxrrinfcco
, ut gcftationcs:ahas mixtasclfc , quahs cquiratio cfl ; tum quia , (i gc(titio
, ur dcfiniunt omncsauLlorcs,mixta cft cx motu,&: quictc, phiribus corporis
partibusnonmoucri^ apparcntibus^uniucrfo autcm corporc ala- lionc moto , hacc
condicio ab cquirationc longc abcftjn qua fcih- cctmanifclhrtimcomncs fcrc
corporis partcs moucri confpiciun- tur.fcd ifla parum rcfcrunt , quando criam
Antyhus , atquc Actius fcparatim dc cquitationc ipfa ucrba fcccrunr.Hanc inquam
gcfta- tioncm ab cquirarionc fcpararam,nccnonagraccis4/»f^ uoca- tam, mulras
quid-jm habuiiic fpccics, in fupcrioribus dcclaraui- Q mus: at
quacomnibusuniucrfah gcftarionisnominc comprehcn- fis facuharcs attribuunrur ,
pr.us cxplicabuntur , dcmum parricula- rcscftcsftus finguhi adlcripros
pcrfcqucmur, fcd prius id ignorari nolo,facpcnumcro apud auclorcs rcpcriri
gcflationcs , &: cxcrcita- tioncslimul nominaras,quafi utracqucinrcr fc
difrcranr,quorufca- tctiae dc cxcrcitationibus proprijs,quac vchcmcntiorcs
morus gc- ftationibus cxiifhmt, non autcm dc communircr acccptis inrcrprc-
randae fcmpcr crunt. hlt igirur geftario fccundum Antyhi , Actij , atquc
Auicjcnrcntiam,inrcrplacidiffimas,atquc dcbilcs cxcrcira- locrsciti.
tionc5,&: proptcrca non folum fanis, &c ualcrudinaijs , ucrum criam
16gis,ac inciinatis morbis,&: dcniquc ijs, quibus lenrac morboruin rchquiae
rcmanenr,ncc alircr cliduntur,acc6modatac funr. In acu toru nonnuUiSjUt ab
Aretaco in Lcchargicis, ncphriticis probatur. quinimmo tradit Cclfus Afclepiadc
ctiam in reccnti, uchcmcnriq. locodj^t, fcbrc >praccipucq. ardcntc ad
difcuticndam cam gcftationis ufum com- L I B E R comprobaflc. qiiod prof cclo
pcriciilofc cfficitur , mcliusq. quicte elufmodi impctusfuftinctur.
Infanisctcnim,ac ualctudinariisgc- ftatiOjCumnccIafTirudincm corporibus
ingcncrct ,immo caferc magnis cxcrcitationibus /imilitcr moucat , poreft
calorcmnatura- lcm augcrc,matcriac multitudincm difcutcrchabitum corporis fir
marc,actionesrtupidasexcitare,fcgniticm di(ToIucrc,corporis tur- bationcm
fcdarc,ijs,quos uigiliac cxcrccnt,fomnum conciliarc ,& contra ctia
vctcrnolis,ac diflolutis rcdimm adfc, vigiliasq.pararc* nam fomnum conciliat,
cxcremcnta , quac a capitc ad ftomachu«i delabuntur,pcr halitum digcrcndo, quac
nhiiirum parrcsfunt uigi liarum praccipuac cauflac : fcd vigilias poftca
inducit corporis tc- norcmadfcrcuocando,&:corroborado.&:, quamgua
Scnccacpift. L V l.vidcatur gcftationcm faccrc magis hiboriof;mi,quam ambu-
lationcm;ciustamcn oratio intcrprc tanda cft dc co folo, qui ualc-
tudincoftcnfusab omnibusfcrc turbarur. In quibusmorbis dcgC^
ftationcpcriculumfaccrcpIaccbit,fic cxpcriundum cfsc confuluit lo^o cita.
Cclfus,{ilingua non crit afpcra,finuIlustumor ,nulla duritics,nuU to- lus dolor
uifccribus, aut capiti , aurpraccordijs fubcrit ,&:cx toto numquam geftari
corpus dolcns uoluit , fiuc id in toto,(iuc in par- tecftjnifi tamcn lolis
ncruis dolcntibus; ncquc umquam in rcccn- ti fcbrcfcd in rcmillionc
eius.Nihilominus,citra multasobfcruatio ncs,abaucloribus probatasenc inuarijs
affcftionibus gcftationcs rcpcrirur.Coclius Aurcl.in libris , quos dc morbis
diururnis infcri* pfir,cas in incubonc(quo morbo plurimos Romac quali cx
cotagio nc quadam aliquando pcrijirc , rcfcrt Silimachus Hippo. fcdhitor)
commcdauir,fimilitcr&:inuocisamputationc, inhacmoproicis,in
quibuscandcmdamnauirAfclcpiadeSjinafthmatCjin ftomachicis, in clcphantiafi,in
colicis,in arthriditc. Thcodorus Prifcianus quo- quc,
&:antcipfumArctacusgcftationcsadhibcndasuoluitinme- anchoIia,inatrophia,
infplcncricis,necnon in ftomachi dolori- bus.lifdcm cxcrcitationibus in
illis,qui valdc cxficcati funt,arq. re- 7.Mcth. fcdioncopus habcnr,Galcnum
vfum,aIiquandolcgirur.Quin &:ip fcmctCcIfusprofacroigne curando gcftationem
laudauir, utnoit fempcr condicioncs ab ipfo dcmonftraras obfcruatu ncccflarias
fo re hifce auAoriratibus conuinccrc ualcamus.Non cft tamcn igno* rb % cur
randum>magnopcrc rcfcrrcquonam in loco quis gcftationi bus vtd ciiron.c.7
tur. quod Arctacus cocliacorum cxcrcitntioncs dcmonftransv eim
caetcritpractulit, quac inrcr Iauros,myrtos,arque thymunref ficitur. Dc
gejiationum inn/thiadoi USlicA^dtqut fellapaYtt^ cularibusymbus. Cap- X.
Xplicatis ijs,quac ab aii£toribus dc gcftationu flic^ltati*
businvniuerfumtraditatucrunt, iam ad parcicularcs dcfccndcrc opportunu
cll,iiprius illud in mcmoriarc- ^ «^=w^ uocaucrimus,fcriptorcs.f.mcdicinac,qn
finc additione gcflationis ulum in fanis,atq, ualctudinarijs nominant,dc
qualibcc cius fpccic intclliycrc : qni nuUa fcrc inucnitur ,quac ipfis utilitcr
accomodari nopolluiquando ucroin acgrotis loquutur,iiucrdum ocs,fcd in rcmiilionibus
morboru,intcrduplacidiorcsl]gnificarc, Vchiculoru multa fucrc apud maiorcs
nollros gcncra, quoru luxu- ria vfq.adco intcrdii Romac crcuit,ut,rcf'crcntc
Plinio,aurca,ac ar li.^^.cir B gctca taccrc nolintucriti.fcd hoc
practcrinftiiutunoftrucft.Nam, quac pro fanis,aut acgris in ufu habi ta funt a
mcdicis uchicula,alia ab anmialibus, mulis.f.autcquisagcbantur,aliaab
hominibus, U utraq. ucl tardmfculc,ucl cclcritcr.Gcllationc vchiculofa^taquis
cctcris acriorc clTc dixcrit Ccllus,njhilominus,fccundu Galcni fcn ii.i.c. i
tcntia,intcr dcbilcs cxcrcitationcsrcccnfcrimcrctur.quofit,utfa-
^^^j"^"^^"^'' nis,ni(ialitcrcxcrccri
impcdiantur,minimcomniucoucniat.Va!c- ^^d/iuci rudinarijs,atq. fcnibus nugis,
qucadmodu Antiochii fcfc cxcrcuif- fc,&:
CacciiiuPliniuacccpimus:maximcucroaegrotatibus,dcqui- bus fcrmonc facicns
Antyllus dixit,gcftationcm in uchiculo fadam uimquandaamolicdi,c6moucndiq.
morbosftabiIcs,&: pcrmancn- tcs habcrc.Qua proptcr Scncca cpilij 6.ad bilc
taucibus infixa di* fcuticnda,&:ad fpintusdcnliratccxtcnuandafibimirificcprofuifTc
C fcribir,qui, fi aliqui fimplici permanenti , &: diuturna fcbre iadentur,
tu i.cht. modo uircs fcrant,gcftari pluhmum debet,ut Coelius phthificis co
of/bSus fuIuit.quandoquidC geftatio,minus mouens corpora,quandoq. fe- brcm
magis cxcitat, Ergo in fcbricitatibus,qui ad integritatc pcr- ueniunt,uel
quorum longa admodum remiffio eft, uel qui fcbribus tenentur longis, etiani fi
non magna intcrualla habeant , conuenit haec gcftatio.quam fimiliter in multis
alijs aficftibus, nempe in do- lore capitis;in cpilcpfia,fi fcrri qucar, in
mania, in paralyfi a Coelio Aurel. commcndari , ex eius dc chronicispaOionibus
inkriptisli- bris clare habctur. ut ctiam nos tuto, ubi rcs poftulat, fimilibus
ge- ftationibus acgrotanrescxcrccrc valcamus, dum tamcn maturo morbo,atquc iam
inclinantc illud agarunalioqui, fi,adhuc faeuicn te,aut incipicnrc
affc6tionc,gcftatio adminiftrcrur,accidentia acer biora , &: pcriculofiora
confcquunrur, quoniam morus , ut diftiparc urilircr concodos humores,ac cxcrcmcnrorum
rcliquias potcft, fic Calorcm augcrc, fpirirusquc &: humorcs nondum
quieros, &: rcpur- garosexagirare natuscft* ex quo fummumftudium adhibendum
cft,ne crefcctibus crudisuc morbis, pracfcrtim calidis gcftario, aut
aliaquaeuiscxcrcirarioadminiftrerur, fcd in narurisfolummodo, frigidis,atquc
illis,qui manfcfte inclinarc animaduertuntur. De leSit penjtlis ^ cunamm , ac
Hauis gefiationumfx^ cultatibus. (^ap. XL Vi primuslcaulos pcfilcsexcogitauit
Afclepiadcs,dua- bus rarionibus(utrcfcrt Plinius)illud cfrecifsc uifus eft; tum
ut blado eorum iadatu fomnos alliccrct : tum eria, urmorbosextenuarer.quibusrarionibus
addudipofte- riorcsin curandis acgris corum ufum frcqucnriorem reddidcrunti
totfo cic. quamqua grauis auAor Cornclius Cel.cxcrcitationc hanc tantum- * modo
adminiftranda aliquado iudicauir,ubi ncq. nauis,ncq. ledi-
cac,ncq.fclIaccopiadarur:liccrpoftcaJinapoplcxiacuaegcrrefur- git,ipfum Icai
moru cocuricndu pracccpifsc inucniarur* Vcrum.n. ucro AnryIlus,Actius,atq.
Coclius, ctia li nil aliud deficiat,^p mul- tis
afrcdionib.dcbclhldis^lcaispcnfilibusinfirmos excrceri uolue-
runt,quinimmo(quod paucis coccdirur) hanc gcftarionc tam antc cibu^qua a cibo
prodcfsc dixit Anryllus.na pri mo fcbricitantcs,aut diuturno morbo dccubctcs ,
in quo corp.ora columpta fefe crigere non S E X T V S. 301 A non ira valct,
autEllcborufumcrcsatali gcftationcutilitatcrccipe Aetms U. reiudicaru
eft:dcindc in his,qui vircsa lcbrili aflrcdlioncrccollige ^^"'^' re
incipiiir,nccn6 in lcthargicis,&: in appctctia ciboru dcicda can- dc
prodcflc cxpcrimctisinucntu fiiit.ncquc dcfucrut,q ipfam in fu- riolis,ac
phthificis laudaucrint . Qucmadmodu,&: Actius,&: Prifcia nus Thcodorus
phrcniticisadhibcdaccfucrunt, quo blada illaagi locomat, rationc fpirituu
pcrrurbatio lcnircrur,&: fomnus alliccrctur. Ex gc- YmQ^i:^^^
nerepcfilislcclilcympodiu quoq. circ,m6lbauimus:&:iccircoubi a Coelio,arquc
alijs gcibtioncs I pcfili lcdo ^pbatas uidcrimus, idc ic dc hac i ntclligcrc
poterimus.Lcdtulo pclili non diflimilc alia 1 c- ilofaCta gcilationis (pccic
inucnio,quam primus(quod cgofciam) intcr mcdicos Cclfus monftrauir,vbi
dcficicnribus cacrcris gcihrio ni dicatisinllruincris, voluir vni pcdi lcdi
funiculucflcfubijcicdu, ^ arquc ita Icdu huc, &: illuc manu impcllcndu.id
quod criam Amy- dacnu Actium fignihcarc uoluiircarbitror,quand(j
fcriplir,duascf- l^cocitac. fc lccti gcftationes, aut pendlcs , aut fulcra mobi
lia iuxta angularcs pcdcs habctis. Hoc cquidc illud cxcrcitationis gcnus
cxiftimo,qd^ ab Auic.fub cunaru rcuolurionc dcfcripru fuit,arquc idc nomcn uf
li.i.ren.j. quc ad rcpora noftra rctinuit: crli. n. ab ipfo inrcr dcbilcs
cxcrcira- tiones rcccfcat,dcmulccdisq. pucris potius cx Galcni fnla,n6 fanis,
^^^^^ aut infirmis cxcrcitadis aptu viilc.iturmihilominus ijs c6ucnirc cre
dirur,quos febrcs dcbilirarunr, licur ct illi,qui ncc duin fc moucre, nequc federc
valcr,quiq.ab hcllcbori potionc valde^pflrarifuerut, aut fccundu Cclfum
alicuius mcbri rcfolutionc patiutur.quin,fi ta- lisgcfbtiofuauircr
adminiilrcrur,prcr fomni iucudiratcqaffcrt, fla Q tus quoq.
difl"oluit,rcliquijsmorboru capiris,vcluri (hipori,&: obli- uioni
prorfus cxflingucdis,c6ducit,appctitri mouct,&: naruram fopi
taexfufcitat.Auic.i.4.trac.2.c.i5.ad c6pcfccdum niiniij iudorcpci pit,ut acgri
ponarur fupcr illud inilrumcntri,quo pucri,vcl iuucncs foict in acrc cocuti,
atque ita in acrc frigido c6cuti,q J quidc puro eflc genusillud
inflrumcri,cuiusfadacflmcriofuprali,^fub Ofccl laru nominc. Inrcr gcftarionum
fpccics vlrimo loco pofucruiu fcrc ocsnauigationc,cj; cacrcraru omniu Icni/lima
fccir C:orn.Ccl.fcd.&: Jq^^^-^^^ huius quaplurimainucniuntur
difcrimina:fiquidcn6parri interclt, anquisin llagno,anin flumincan in mari nauc
gcratur: &: in nuri, an in portu,an in litorc,an in alto,an turbato,an
tranquillo . Naui- gatio fadtain ftagnis,lacubus,autpaludibuscactcris in
falubritatc poftponiturquonia ut plurimum cx aquis ftagnantibus,nifi fint ma-
ris alicuius inlhir,purridi vaporcs clcuarur,qui acrc inficicrcs naui- gationc
magis fufpcdam rcddunt, Tt non immcritofcriprum lit ab ^ Anlt, ioi L I B E R
l4;pirt;c. Arift.paluftrla loca incolcntcs fubpallidos , ac fomnolcntiom cua D
probleiti. dcre.minus noxia cxfittit io fluminibus nauigatio, nempe q au^torc
in probh PJ^^^^i^^ho timoribus carcns naufcam ullo pafto non commoueat. wt.
uerumtamcn ta hacc,^; illa,quac cxercetur in ftagnis,in capite ma* lib.i. C.I,
le affcfto incogruac a Cocl.Aurel.iu dicatur, g> humcdantcs caput
tcrrcnaexhalationeinfrigidant.Duabuspracdiciis maritimanaui gatio valde
pracftatior crcdif,quonia mari fcmpcr uaporcs ficci, Sc calidi educuntur,qui
Iatcnter,ac fenfim nauigantiu corpora rcclu-
dunt,necn6falfaeproprietatiscaunacxcrcmctaabfumut,atquc ho minu habitus quada
facili muratione reficiut,&: i ccirco huiufcemo di excrcitatioincun6tisferc
morbishumidis,ac frigidisamedicis probaf,&:priuatim a Celfoin
tufliomni,aCoelioac Arctaeoindo lorc capitis,! cpilcpfia,fi ferri quc it,in
fanguinis fputo,in phthifi, in kl:critia,in hydropifi a Tralliano in frigida
vctriculi intcmpcrie co- E medatur.Inphthifinamquc praoftantifiimuremcdiumnauigatione
Ii.28.c.4 fcmperaMaioribus habita tui(le,tcrtatusfuiiPiinius,quihac ratio-
lib.3i.c.6 nc phthificos Acgyptupctcre cofucuiffercfcrt, quo cuni Annaeus
crplV/.'^' Gallio poft cofulatu lam fcre phthificus, &: ZofimusPIini js
nepotis libcrtusfiuiguinis rcicftatione laboras profcdli c{renr,ad fanitatc rc
ftitutifucrunt:qqbarbarusilleau6tor Plinij Sccundinomincfalfo infcriptus h.dc
rc mcdica lib. dicatphthilicismagis cofcrreinfal tibus,vbi
pixnafcitur,habitarc,q in marinauigari.Porrocx mariti-
misnauigationibusIcnifiimadixitCelfuscam,quaeinportu effici- tur ^q tamcnin
capitisaftcctionibus una cuflLiuiali,&: (tagnali im- probauit Aurclianus.
Quac uero in litoribuscxcrccrur nauigatio iucundifiima
habctur,dcquacclcbratuhoc proucrbiQ narratPlu- i.Sympo. tar,
7rAoOsiJilvi7rctso!yuvy7a%gi7rxTogitis,oculoru,pcdo ris,&: denique
omnibus,jpptcr quac bibitur cllcboru,mcdctur. Vc rum gcftatioin alto mari
pcrada rcliquaru uchcmentifiimacxfiftit, &: mutationcsplurimas , atq.
maximasfacit,nimirum , cum animus mixtos affedus habcat,&: triftitia,&:
/pc,timorc,atquc periculoano do gaudcntibus,&: lactis,modo in
anguftijs,&: pcriculis ucrsatibus, lib.^ cau. nauigatibus,quac fimul omnia
magna uim habcnt,vt quoq. Plutar. cognouir. B S E X T V S. 303 cognoulrjngentcs
uomirusconciMndi,ac confcquenteromnc ve- tcrcm morbum prof ligidi : &:
proindc iurc dixit Auic.nauigationc hanc adcxllingucndas pracdictas
acgritudincs cfficaciorcm cflc. quin&mixrioilla motus,&:quictis,
quapracdita cft,fiquid aliud, probc corpus nutrirc idonca cil.Quac tranquillo
mari pcragiturin nauigcftatio nonadmodii(diccbat Antyllus)magnam
rurbarionc,Oribafiw ncquc coculfioncm atTcrtrcx quo Kr,urt*crmcacc6modata (it
ijs,qui-^*^'^'*^ bus ctiam gcftatio in cui ri bus c6ucnir:ni(i 9 hoc nugis
habct, iti purgato acrc,ubi n6humidi uaporcs,fcd ficci,6 halitii
euocarcfirmarccalefaccrc attcnuarchomuu mq. tandcm niuriae minus obnoxiu faccrc
p6t:a Plinio fcriptii cft kixata homi- ^ nucorpora,& quadrupedunatado in
cuiuflibctgencris aquafaciU rmciL«sredux^NatatiocaUdaemoiIircindurata,c;to^^ S
E X T :V S- ios A fngcnta crcdlra cft.&ob id a CocHo Aur.in curadis
arrhrlricisco- nicndaca,ab Actio cx uiciitc Gal. in i)s,qui cutcm corporis
dcnfLita liabcnt^at abca'caputoiTcndi,uircs(]Uodapattocncruari,ncmo nc- garct :
alio ctia non carerc uirio dixit Coclius.uidclicct Inimorcs lundcrcncc ipfos
rcfolucrc. Fri^ida ^ intns calorcnariiium rcpc!- Icnsiplitm ualidiorcm cfli
iatciborumoprimam ,iS^cita cocodio- ncmpracltat: cxubcranrcs humorcsdilHp.it ,
& intus rcfrigcratas parccscalctacit. undc iurcctia ipf-im in
arthritici.slandauit Aure- lianus car.itionc mo:us,oua Hippoc. frii;idam rc
ranoaflfcaislargc artuiam rcmcdium cfTc
rcgio morbo labo- rantib^sinacftatc,(S(: Hcrodutusapud Actium ad
euitandumacftu frigidam natationcfn commcndauit. cxpcricnria ramen confl:at,(i
quis ca frcqucntcr utarur ncruos lacdi, 6c inrcrdum furdirarcm c6- B trahi ,
quod Agarhinus apud Oribadum confclTus cft . Atquchacc omnia a nobis dida
accipianrur dc illis narationibus,quac ad gym nallicam quidcm
mcdicapcrrincbanr,fcd m inimcfcmpcr in i^viti- nafijs cxcrccbantur.illac ucro ,
quas in gymnalijs iplis ficri confuc- uiffcin 3, lib. probauimus, (iuc in
pifcinis, (iucin ampIilHmislabris agcrcnrur, duos praccipuos fincs fccundum
opiniorcm noftram ha bucrunr,alrcrum ut motuillo blando^quo
narantcsagitatur,aqua magis corpora pcrmcarcr , licq. mcmbra copiolius
huincC"tarcnrur: alrerumutmaiorcuoluptatcin moucndofcfcfrucrcnturquando-
quidcm aqua mota , pracfcrtim balncorum fuaui illa artrcdatio- nc fingularcm
quandam dclcctationcm artcrt.Dc pifcatoria cxcrci tationc,quam diximus cx
Platonis fcntcntia ncc animo,ncc corpo- Ii.jTm^ ri prodcflc , &: proindc ab
illo optari , nc iuucncs huic incumbanr, Q pauca ucrba faciam , tum quia fcrc
fub nauigationcm rcducirur , ut cadcm rcpctcrc non lit opus : rum quia a
mcdicis propc nullis cam tnufu habitacflc coftarnificf
Auic.intcrdcbilcscxorcitationesad-^^^® ^*"- numcrauir,quando quis in
nauicula pifcaroria moucarnr,&:ob hoc g pi fcationc nullam calorc natiuu
augcrc crcdcndu clt,cum &: Arifl. pr^ob.x! * icrip(crit,pifcatorcs
marinos,idco rufo colorc cxillcrc,quoniam in- tus frigcnf,cxrra
ucroquafiadururur:habcnr.n.qui in maripifcan- turhanc praccipuam c6moditatc,q»
coru corporaualdccxiccatur, &c proptcrca
minimcomniucorruptionibu.s/ubijciutur: quin fipu- trcdo aliqua intus larear
,protinus cxugitur, cofumiturq. ut magna cu rationc fcripfcrit Gal. pifcatoru
habirus duros, ac ficcos cflt, co- i-dc dmp rumquc vlccrapcrindc cxiccata
cotinuo apparcrc,ac /ifilitaforcr. "'^"^^*^- i}upd ucro (cripfit
Sucr.Auguftij intcrduhamo pifcari confucuiflb,mcj^. r7' id poti' animi laxadi
caufa , qua ualctudinis gratia ab co a^cbatur X 2 nc '^"«"•"^
3o6 L I B E R De yenaiiomr conditionibus. Cap. xni. D libro i.dc paruae pi tae
ludo. .ENATIONIS cxercitationcm comparansludopariiae pilac Gal.
illudfoliiminteripfasdifcrimenpofiiifse ui- dctur,9 altcr modico apparatu
indigerct, & ob id cuius ^ excrcitatufaciliscfsct:a!tcra vcropluribusinftrumentis
opus haberer,neq. ab omnib.fcd ab ingcnuis dumtaxat,atque diui- tibus cxcrccri
poffct.hoc aiit hcct Galcni forfan tcpcftarcatque ct in ahqua ucnationis fpecic
tcporib» noftris ucru forct,nihilominus in maiore cius partc fccus rc fcfc
habcrc compcrru cft, qn facpenu- mcrounOjUciduobuscanib.aurpauUo plurib.
inftrumcntisrufti- cos, atq.paupcrcsucnadicxcrcirationcfrcqucrarcconfpicimus.ut
hac rarionc ipfa minores laudcs pilac ludo n6-mercarur,neque pau \fT^^'
eicrib.ucrbis cius facultarcs a nobis cxphcari dcbcant.Cum.n.Gal. ^^^' '
ucnationcintcrca,quaeipfecxcrcirationcs&:opcranuncupauit , rcccnfucritxumq.
illiuspcrfpcaanaruramanifefte monftret,n6ab. fque uchcmcntia,magnitudine,arquc
celeritate ipsa cffici,nimiru in qua mulrac ahae cxercitationes,curfus
uidchcet, ambularioncs, fahus,iaculatio,uocifcrario,& aliae ncccflario
rcquirantur, rationi confcqucns cft cam his faculrarib.pracdira cflc, g>
corpora uchcme tcr calcfaciar,cxcremcra dirtipcr,carncs,&: fuccos
exubcrnanrcs mi nuar,fomnosprofundosgcncrer,&:proinde concoqucdis
cibis,crudisuc.humonb.magnoperc conferar:quodq. ait Xcnophon,auditu ac vifum
acuat,fimulq. fenedutc rctardcr.ob quas cgrcgias faculta tcs illud cflc ucrum
cxiltimarc dcbcmus,cf Razes Arabs audor gra In vcon. uiffimus cx Gal.fcntctia
memoriac mandauit,uidcHcet in quadam ^ tin. irac/ pcftc contigi flc,ut omncs
fcrc pcricrint,&: foli ucnatores o b afliidua Li '5^^*
cxcrcitatroncincolumcs cuafcrint.Caetcrum quoduchemcnribus *' ^ excrcirationi
bus a mcdicis attributum repcrirur,neque Tcnancii la- bor carcre viderur, vt
fcilicer caput offcndcndi ui poUcat maximc, fi importunc cfficiatur,quemadmodum
in 4. dc acutoru vi£lu apud illum audtorcm lcgitur. Quantum ucro ad
parricularium ucnatio- nisfpccicrum qualirarcs arrinet,de duabusfoluucrbafaciam,tam-
quam i n his folis rora ucnadi ad fanitatcviut acgritudinc pertmens faculras
confiftatiillae funt,cc|ucftris,ac pcdcftrismam fciut omncs, qualibct
ucnarionc,fiuc canibus, fiuc rctib. fiuc auib.fiue arcubus, fiiic ali js
inftrumcnris excrccatur,ab hominibus agi, cpi aut pcdib. proprijs cant,aut
cquisinfideant.Equeftrcm igitur(italiccar mihi appcU irc)vcnarionecxcrcctcs,cum
modo currcntib. equis,modo radicntiL>.agant,modo uocifcrarc,modo quiefcere
cogantur^om- ^ nib. cpil S E X T V S. 307 ^ njb. partlb.labonre uidcrur,&:
iccirco multi hac exerciratione crc
didcruntcorroboraripeftiis,ftomachum,inrcftina,dorrum,atc]ue crura: cgo vcro ca
cuirarc iUis praccipio, quibus capur facil.tcr of- lcnditur : quibus fradionis
ucnarum in pcdorc pcriculu immincr, quibus lapilli in rcnibus
aggrcganrur,quibuspcritonacum dcbi'e, aut uUahcrniac fufpiciocft, i4id tc frcna
iuuant temcrana f Jacpius illis Trifcedatum ef} cquitcm rumpere , quam Uporem.
Porro vcnario pcdcftris cadcm fcrc c6moda,3i: incomoda in cque- ftri repcrra
contincr, nifi s», dum curfibus , ac faltib. fcras inicdatur uenator,per
montes,per uallcs, pcr deuia , pcr filuas, pcr filtus, mi- nori cerrc pcriculo
, quam in cqucftri , fubijcirur : ar maiori labore Q afficirur,magis
incalclcir, magis pcdes, &: crura corroborar :pracrcr haec lihidinis
ftimuIos,cocrcct, quando Hippo!\ tum ftudiouirgi- Sencca m nitatis hoc
ucnarionis gcnus cxercuiflcfcrunr.Excirar quoq. ucna- "^S^^^^* tio
appetirum,(icur coquus illc Dionj lio dapcsaucrfanti rcfpodir, ipfidcfuinl'
laborcmin iicnatu, qui appctirum gcncraficr. Ncurra tamen,g» uchcmcnrior
cxfiftar,lcnibus,aur dcbilibusaccomodata inucnirur, fcdillis ranrum ,qui
robuftasomncscorporispartcsfor- titi finr,quiq.oprimc ualcar.urnon abfquc
iudiciofuramoCorncl. u. i.c i. Ccl. dixcrir,fanum hominc, lic bcncualcnrc modo
nauigarc, modo cpiihiib. > ucnari dcbcrc . quod li Plinius ncpos
fanitarcfuam uenarioni , qua ruri in Tufcis objbar,aliquandoacccptani rcruiifsc
uidcrur ,iudi- candum eft , aur iJla modcraiilTimc ufumfujfsc,autporiuscorporc
robulto,ac fano ita ualuifsc,ur nullo padlo a tanti laboris uchcmcn-
tialacdcrerur.Eritiraq. ommb.hanc cxercitationcmmirc cupicn- tibus 308 L I B E
R tibus duo neceffanum diligentcr confiderare, prlmum an corporis D roborc
polleant,inculpataq.fanitate fruantur:fecus,ne grauiflima
t3ericulafuftineant,iuredubitandumuidetunfccundum,numquid modcftia quadam,&
iucunditate, aut potius citra dcleaumuUu, 8c cafuquodam,ut plcrumquc
fit,vcnationi opcranauct.Qaicuquc.n. fuarum uirium, aeris , temporis,
quantitatis, loci, &c modi rationem aliquam habere uolimt, multa profcao
corum malorum uitarc poffunt , quibus cctcri cafu fcfe excrcentcs fubijc.untur
: eo magts. quod u^natio Ulud praecipuum in fc habct, quod nulla aha cxcra
?atioineummodumobtimufl-eapparct, utfc.hcct totum fcrcd e nonrarof.birequirat.
vnde aut vcnatorcs mter excrcendum ci- bum capcre , &c a cibo magnos
laborcs aggrcd. coguntur ,quo ua- lctudini nihil pcrniciof.us effc poteft ; aut
tota d.eic.unant, quod tamctfi fortafleminusoiTcndat, ncquc tamcn ipfum
noxapenitus b circt,quando practer confuctudincm illud efficitur.nccnopoftca
ufquc adco prac fo.nccxfaturantur , ut uentriculum concoqucndo mirum in ./odum
fatigcnt , f.cquc &c cruditates , &c aha mnumcra malafubcant. Artis Gymnafticae
finis. HIERONYMI MERCVRIALIS fcx artisGymnaftica:Jibroriim clcnchus, cjuorum
primus libcr continct . r: E prwc pijs Mcdicina. Capiit prifnum, \ De t
Ofi/eruatiua Vartihus , & (jtiid tr.iBjfuiuni . Cilp. X.
^t}dfitgyr)ifia§U(a (^r.otiipUx. f.3. Dt ^ymrajttcx ftbu^o , & tius laHdi-
bi*s cap 4, SiHr ttmpore,et quo pa^o caperit Cym- naHica c^P*')' Dc Cyn:n.iS 'S
annqui rum cap. 6. Dc V. 1 Ps hiniinum j^t nerilus y qux in
gyn.na/iaconurnicb^nt ^^P^J* De^yfnnalioTHdiucrfis partlbus. f.8. DepuU^ra,
& alVjS gymnasi» part.bus cjp.^. Dc h^b eis ^ymnafiorum , atque etiam
dejiadto cap. 10. De accuf iius in ccma antiquori m , CT Itmd dimtnxjt in die
cpundi cor^ fuc'udinii origine De au^oribus gymnaflicjt , fjr ^ymna"
ftorum mth:fiiis cap.li. De t*ium ^^yvihuflicdt ffefie*urn d.jfi'
tcniui.beUicaJtji^iuma fiue mediia^ CT vitiofa feu athlt tica cap. 1 3 Dc
vitiola gymf.aslica, ftue ^thlctna- caf.l^. Dc riuendi ^thlctarum ratione.
c.15. 11BE\ SECr\Df^S. Qf^id fit excrcitatiQ,Cf q^o differat ^ a Ubore,&
r/iottt. cap. l. Dt vyonMitic^ mcdi^je dhificne cap.i. Defaltatoria car.].
Defphxnflica c^p.^. De piU ludo fccundum l^thos dp.y GymnafticA, De orchifiica,
fiue ttrtia faltatottapar te cap,6. Dt finefaltationisyC^ de loco cap.j.
DeluSatoria cap.9. De pugilatu,& Tancratio, & Caiiibus cap.^. DcLurfis cap.io. Dc faltu
cap.11. Dc difcOy& halteribus cap. i De lAcuiatione. cap.i^,
LIBEI^TEI{TirS. Dt agendis, & dc rationc prufentis trati^tionis cap.i. De
drary.bulatione cap.2. ^ncrcclum slate fit exercitatio cap, ^ , Dc
pu^narhmgeueribus cap.j^ De nofinuliis a.tjs e.xtrcitationum ipe^ citbits
cap,^. De Ipiritus cohibitione cap,6. De vociftratiot.c, & alijs vocis
cxerci'* tatioribus cap,j. De Cric ljj:a , Trocljo , & Vilamailco cap.S. Dc
eqmta tione cap.g^ De curruii vcctatione cap, i o# Dcgffiatio^'C in
ititica,& flla . c,i i. De agjtatn nc per ia tos ptnfilcs, C^ per cunxs
facta,^de sciv.podio. ca.tt. De nauigationc,& pifcationc. cap. i j . Dc
natatione cap. 1 4. Dcvcnatione capij» D LIBE !{ Qr^riTffs. E rationc
agrndorum, & deexer* iUaiionis vfu cap.t, r €on* Confutatio opiniows eoritm
, qui exeni^ tationem in fanis damnabant; & de exercendi necelfitate^ atquc
commo^ ditate ^ cap»2, Jmprobatio eorum quiomnes homines cxerceri debere
ftntiehant cap. 3 • J{edarguuntur qui affuetos folum exer- ceri voUbant cap.^
De exercitationum differentijs ctrp. 5 . De corpdrum morborum , & fanuatis
generibus cap.6. ^n corpora agra vllo paUo exemrt co ueniat cap.j. Decorporibus
valetudinarijst&fenili' hus exercendis cap.S. T>e corporibus fanisexercendis
cap.c). De locis in quibus excrcitationes fieri
debent cap.io. De tempore cxercitationibus apio , cap. 11 Qumta fieri debet
excrcitatio cap,\ 2. Demodoexercendi cap.12* DEordineagendorum y &de non-
nullis fcitu dignis cap. i. De ftngularum exercitationis differen' tiarum
effcciibus cap>2. De faltaiorui: effcHibus cap. l . De ludorum pilx
cjfeBibus cap.^. De luH^ commoditatibus,& incommo' ditatibtts cap.^.
Depu^ilatus,Vancratij^& Cafluum fa cultatibHs cap.6. Dc curfus natura ^^pl'
Quid praflet faltus ' cap.i» De halterum conditionibus cap.pta 1712 Abrnhi vt
Dc* jb Aicx. Sc fo cbjtur lii d Aiaci;nua Pljtonisi».c Av nbitus con.uttudn
viidcnunant 5 3 b AvCubitUN viroi u fomw S"**^^^ ^""'^' ^ >
& dcmccps Accombcnimm numcrus quis tflci. 54.oribus palam cxjhjhc- baniurA
qiia dc cauf» I c Ac^yptus , Homcro aatorc,mu!ta$ hcrbjs ic mcdicjmcntj habuit
» b Actcct rxiri'.rcs.uscorp^iri .iccidcntib.6. f Ac:as i cxcrcitationc cit
c6;idcradj i ' i.t. Asbii^dcscrrauii.rifum dicca$nct)i o po ri,ncqucanim"
prodcfTc. i.b.i«8 d AKoniiTjrib-. * '"^''^ ^*'* Ab-ti crant vna faCtto
Rcmana i6d c Aldus M inuii* luncnis cruditiflim». . 7« d Alcx ndcrScuc. us
Impcrat. cxcrcitjtionis Ciula aliquando pirc-b.uur 181. ciuos Dcos colcrci 1
iii d ad maiorum cmgics facrafacicbac 'b.d. Akxandri Scucri Imp cxcrcitia port
lcctio ncsquxfucrint . 1 ^ (- >Jtm balnca viro rum JcmulicrumicHrauit jo.d
Alcxan.Sci«cri.s Impcr fcrc fcmpcr frigida Ijuaiioncvicbatur,rurocalida jy c Alcxan-Scucrus
Imp- noluit mijcnuos cur- (ucxcrccri '^^*^ AlcxandtrScucrusImpcrat. ncmora pub.
ihcrmisiunxit ^^^l Alcxandcr S.ucru^ Imp.qiu viAns rarmnc 1. jfDpndio auihorc,
vccrctur 2 1 Alcxandcr Maccdonum Rcxqnid ante cibi (un^pticncm agcrct 214. C A
k x.mdcr prop' cr cruris vul nus lcdica m mtlitari txpc»mionc vtcbatut 197-^
Alipiiu^ in gy mnalTjs quis circt,& quid •^gc rtt io fjtta, anibulationi m
portKU fjdx a Ccllo przfcnur 16 ^.a Ambuijuo lubdiahsinuitas habcc fpccies
ibidcm Anibul..tio fub Solc , vcl in vmbra faAa ab authoribus Jiucrh^ diucrnmodc
acccipi- tur ibid. Amoubtio fub Solc minus Ijrdit, quam fta tio,& qua dc
cjula cx Ariliot. fcntcncu 266f.i7l.J. 17*.C AmbuUuo m vmbrj Tafta, quxnam
fitbo- aa ibi. Ainbu?atio pcr jrboics rorc fufFufjs fafta Icprjti* fjciic
inducit,& cur 167.2 AnibuIat:o cpiIcptiCiS,& vcrtiginofis conuc
nicnsquarfit ifj.i» A.itbuljdo antccibum ficri dcbct, & qua dc cjufa ibid.
Ambuljtio pcft n.i qb conucniat. i67-C Ambulationis matutina;,& vcrpcrtinac
cifc Aust]ui(int ibid. A-niciis Bibriciorum Rcx ccftu claruit , 8C fuit a
Polliicc intcrfcftiis iio. f Ammon apud Ouuccltu vahiic ii/.a Andrc.Ts B iuiius
vir multar dodtrinar. 34 Andr Pjlljdius Architc pcrii (Ti iius. 19 C Ani;iiiJ
Ijborjntcs lin^a cffngunt. 145. C AnimuN H^k^ corporis aux ijo nihil laiidc di
pniim clficcrc potcll ij.a Afincus^-illio fanguincm cxpucns nauiga- tKJHC fanus
f .^usclt i7y.b Antlicus lccundum platoncm fuit lu^Jtio- nisarusauftor ioj.a V
X Antio- l N D E X AiKiochiis lucdicirs quo cx;rcicio vtcretur 2rf>.e f
Aiitioch^ mcdic* vehiciilo geft.ibat.2«?7.h Antiq: bis indiean femcl f
iturarent. 5 2.f Antiquoru inos viuciedi rpa iucgna. 57 a Antiqui in rtratfs
coenab:inc 53. a Antiquiomnes voluptates in couiuijscx- cogitarunt ^g.e
Antiquoru ftudiu in cibis ac potibus dclica tilTiniis coquircadis inignuni
fuit. 58.6 Antiquorum fcripta quonam modo interic ' runt 161.C Antiquorum maior
pars raane vel nihiJ,cxt guum quid fumebat 225. c Antiquorum maior parsin
vefperc folum faturabatur ij^.e Antonius Pius Impe. balneiimpopulo fine mcrcede
conrticuit 48. d Aphorifmi Hippocratis txplanatio 13 i Apodytcrium in palacilra
quid fucrit. 291.C Apodyterium in balrieo quid elTet 40. f Apollini cur
Athcnicnrcs gymiiafium con • fecrarunt g.d Apollo iacubtionis , & medicinae
Dcus ab antiquis indicatus 130. f Apollo iaculationiab antiquis eft pr.^poG •
tus,& qaare 258.6 Apollonius vt Dcusab Alcx.Seue. colcba- tur iSid
Apoplciaici Tral. fententia le^ica vti pof- runt,& qua dc caufa 229
Aponaxisquid Sj.c Apoltemata in pedore rupta habentes vo- cifcrationc iuuantur
281.C Apricari quid faciat i4o.d Apuleius Ccifus in Sicilia qucndam a canc
rabido motfum curauit 4 0 Aquas fornudo,Pompeio viucnte, primo fe nobis
manifeftauit 4 c Aquis mcdicatis etiam vtcbantur in laua- tione ad voluptdtem
47.3 Aqua c cx extrmfecus cor^i accidctib. 6.{ Aqujc omnes Ipontc nafcentes
caJidae funt Ariftot.authorc S^yc Aquarium quid cifct 4^.^ Archigencs fuit
Had.Imp. archiater. 1 9 i.f Archimcdcs facpc figuras mathcmaticas in corporc
vnfto dcfignabat ^i.d Ariftotelis fcntcntia dc gymnaftica Sc p.T- dotribica ,
10. d Ariftfentcntia Jcartc gymnnftica. i^.a Ariftot.fcntcnti.idc motupoftcibG.
2 2i.a Ars gymnaftica,GaIc.fcntcntia,cft maxima BUs £jcult^^s confcru;itrici$
y.b Ars gimnafticn qb. na rebns pficiatur. ib^ Ars gymnuftica quouiodo fcicntia
aGalc?' no vocctur 10. d Ars gymrtaftica quid nam circa corpus hu- manuoa
operctur 12 f Arsgymnaftica ad boniJ corporis habitum a cquirendura , ac
finitatem conltruanda maximc j^dcft muitorum tcftimonio.i^ Ars gymnattica
homini cft naturalis. 13.C Ars gyninaftica quo tempore inccpcrit i r*
b.c.d.& quomodo ord/ncm ac regulas ac ccpcrit i5.c. c Sis vtcrcntur 6^,c
Athlctx quo n lc a Pbto voctntur. 6'j.b Aihlctaruni vii^ns ratio.qu.c c^ct 7iC
Athlct» cur pjllidi fiant poft bborcs cx Arift rcntcntia 74 c Aihlctar a Vcncrc
pfu^ ahftinucrunt. 7 5 b Aihlcrjru xgrjruJincs fccundii G.il. 7^ J
AtMct.cymn.^njca raltationcs habuit. 85. a Athlci.v amlnil :tionjb. no
vicbjniur 13 rb Aihlctr sducrfus palu fc cxcrtcbani -a AthlctT c« fpiritus
cohibitionc nonpaiu auxil j capicbant M4 J Athlctacftatim po{\ cxcrcitationcm
potuin vi?abjnt,& qua dc CJufa 124 d AthJctx frcqucni.rrmc vtcbantur putil-
btu,luc1a,& Pjncratio i4^ d Athlctar olkntationis ctiam gratia fpiritu
rctincbjnt u^f Atrophia bborantcs vocifcrationc libcrun Tur *Sic Atrophiam
gcftationc curabant Thcodo- rus Prifcianu>,& ArcixuN ay^.d Attoniios
aliquo ftuporc Actius oca.itiunc curabat Author huiusoperis cur dcgymnafijs
fcri- bc c fibi propofucrit 7 * /uditus f .iriiu rctcnto mclior fit 179 b Aucs
in acrc fiarc apparcntcf an aliquo mo do moucantur 1 ^ 7.3 b Aucrrois fcntcniia
dci;squi cxcrciiationc
dinntiunt iP4C Aucrroisrcprchcnditur, qui
ccnfuitmor- bofa corpora quoudicad fudorn initiu cffpcxcrccnda ^^9.c Aug
Imp.lci;cfjnciuit,Tr militcs cduccrcn tur ambuljtum in mcnfc ^ i^T C Auc.Imp.
fimpodl" qnq; vchcbat. I77 C AuKufius Impcr.foUcfccxcrccbat, & qua
dccaufa . . ^^^^y^ Au^.Imp. in finc dcambubrionis fubfultim currcrc vldcbatur
& qua dc caufj.i W c Aup Imp. coxcndicc,fcmorc,&crurcfini- /tro bboras
ambubtionc in li.ircnama «invc pfuudafccxcrccbat,&quo. z6^.f (jymnAlitcA,
Aup.Impc. poft coenamlcaica lucubrato- ria vtcbatur Z99.^ Aurcli.inus Impcrat.
thcrmas hycmalcs in tranllybcrina rcgionc fccit lo^.f Aurium dolorc p.iticntcs
lufta Ixdit.a^^.C Aunumdolorcvcxaios gciUtionc Galcn. Tral. & Actiui
curabant i.b Bjlucoru fitus fcJm Vitruuij Inlam . 43-f> B.ilncoru acr
cxtrinfccus & intrinfccus.ibi. Bjlnca multum calida Gal.icmporc in dc- fuctndincm
abicrunt 44»C Balncorum magnitudo,mobilius,imroobi~ liias.figura ibid. Bjlnca
non cundcm fincm habcnt. 4Cf.e Bjlncis calidis .tcpidis ,& fngidis antiqui
diucr fa rJtionc vtcbantur 47. b B.dncum rcs qujdr.'itjrij cur vocctur. 47. c B
jlnco-um hora qux fucrit y o f balncj fcmp antc folis occafum claudcban tur,ncc
vnqujm anrc.iurora apcricban- tur jntc AKx.Scucri Iinp tcmporj 5o.f Bjlncis
;'cnfi]ibus Afclcpudcs in xgris cu- randis utcb.uur. i^^.f.d.a ScrgioOrata funt
inucnta 177.* Bjptilkrium jn balnco qiiid cffct , 33?. C Bcll'iro; hron fuit
cqtatiouis inuctor 167. c Bigis PlJio animjs airimibuit 1 7 1 .C Bi^ix in pub
facris frcqucntilli ncccriauc- runt ibid. Blandi Forliuicnfis crror dc thcrmis
ly.b Botubrij I gymiufijs botulos vcdcbat.^4 c Braclua ,dum quis manibus vjcuis
currit, quodjmnu>di dt didi -wccul us loi.a Cyrws rcifurumRtx ct oris
laborcs ma- gnopcrc xllii: juit K.d Ciliuscrai vchiculi fpccics 208. c Cbudius
C.tl.vcliJtulo vrdiquctcdo pri- mus.fc i|u..iido cinfus 172 f Clauduslnipc
H.npt>cii lil cjio fuo con- ccflit,vt |> vil c JtN n iPi i ni pt
ftjculatic nc cur;bat Arxictus 24C.d & \t cifcr; iicnc. 281. c &
cxcrciiatK i:c jmcr n ) rios,Iaiiros , & ih)nun>f-6a Coitu VI tri
vcfpcic rcn bi nam cr-i io.f C6tc6ioncm In-p cdit cxcrciiatio cx Fra-
fiflraiifcnftrtia J5>i b.c Conct Aio^ a ijuictc, & ab cxcrciiaiicnc
mtdcratt f-^a multum iuuitur. 192. f Ccnccciucics c.fliculicr vocifcrai:onc iu-
u:;niur 281.C Cf niflcriu i pal^flra vbi ra crat 20.f 34. c C61ctuai.u.i n (d:cjrxpaiJ
aqbufda lola digna tidttjVt ncic mcdicjr» ncUt 5.C Ccnfcrujijua n cdicii ap
pais a cjuibufJam in trcs paritstfl diuifa 6c Confciu.niiua tcf fiiiucnti.-. quatuor
nomi- nibus a n cdicis cc mprchcnduniur. 6,( Conflartini Impc icmporcaccipi
irtscdo ccric^pciiint ifcSc Ccnluciudo nopra cx paiic conucnit na- lur.T
txcrcitati corpc ris i>8 c f Cofuctrdirt pn.uiiic'» valdc Ixdutur.ib:d.
Ccnluciudo n .2d Coipori» hibiiusab cxcrcitaiioiic coniipr- uaiur ^ i^ic
Corpcris virtuic* pcr cxcrcitaiioncm for- ticrcj fitri & opcdititrcs i^2.f
C( rporis n ( n l la pcr cxcrcitationcm fir* mitatcm &i robur accjuirunt.
ibid.ii^^.cl Ccipons hjbiiusab ot:o dcflruitur.i>2.C H7C Corporiim tria
gcncra a mcdicis confidc- rantur,& tjux 2*4 d Corpora argra an aliquo pafto
dcbcat cxcr ccri 105-^ Cotpora Gcc2 motibus lcuibus & raodcra- ns vti pt
flunt io6'( Corporib. c-hdiN & ficcis null.T imodcratat
(xcicitaiiocscoucnjut 2c6.f 2 i 5 b 22p.C Corf oribus fripidis & ficcis
cxcrciiationci icmjfia-corucniunr. ibid 115.C x^od Corpora, t]uoru vnu mcmbi u
intcpcricm paiicur,(]uomodo lunt cxcrccnda. 207 a Co;pu* nulJu tjuauismtcpcric
laboraNdct vthcmcti cxcrcitationctxcfccri. 207.b Corpcracb malam formationcni
morbofa, qu(.modo luni cxcrccnda . ^^]^* Ccrpcra in nun cro n.oibofa
cxcrcitatio- nibus vti pofluut 208. d Corpcra zpriiudinc in fitu laborantia
nul- It. ocrcjtationis gcncrc vii dcbct,& cjua (ic caufa /^'^' Corpoia
valctudinaria ^ n3 fub fc/m hu- V 4 itts t ^ O I N i) £ X. Hi> au^oris fnhm
pfit: coiuiiicre. ioy.a Cor^ora rciiiun ciir niuica cxcrcaiciita ge- ncrcnc
iio.d corpbra femim t]iiibi!s exercicacionibus vti debeanc zio.e corporum
f.inorum differencias multasancitjui medici conditucrunt 2 1 i.c corpus perfeda
fanitate prxditum potius mente confiderari poceft ,> quam re ipla inueniri
ziz.d corpora multa temperaca in ftia regione in- ueniri dixit Gal. ibid.
corpora cominuniter fana difta excrcmcn ta quotidie gcneranr,fe ob id
excrcitatio nibus indigenc ibid. corpora frigida , vehcmenter, &multum
exerceri debcnt zi^.f corpora humida excremencis abundanc , & ob hoc mulca
cxercitatione indigent,ibi. zzy.c corpora humida .1 labore fufFocari^haec Ari-
Itocel. fencentia quomodo ficincelligen- daconciliator exponit ibid. corpora in
aeftatc potms , quam in hyeme funcexercendaex Anft.fententia.izo.f corpora
quibus temponbus finc cxercenda &locis zzi.e corpora calida & humida
moderatis exerci tacionibu» indigenc ibid.& z z corpora fngida & humida
mulcis , & vche- mentibus exercitationibus mdigcnt ibid. & zjo.d
corporaabijrde,c]uadoq, lacdutur , qhdoq,' iuuantur,proucinisapplicancur. zj
5.a corporis carno/itas mulcis cxcrcicationibus remouctur Z38.C corporainduto
minusa fole calefiuntfccu duin Arilt.rnlam,& qui dc cnufa z/z.e Cttrpora
luxara tum hominum tum quadru pedum nocando in arcus fjcillimc rcfti • tuuncur
3^54^ coriceum in paL^ftra vhiham crdc.zo. f. & quidclicc zp.c.87.b corycus
quid cfTct cx Antilli fementia. 8^. e. ioi C.Z4Z. d cornarius corycum malc
follcm intcrprcta- tus eftm Hip.conuerfione 33. c cornarius malearguit Budxu.
1/ 8.& i ij) coxas debilcs faltatio coufirmat 1^0,6 coxis cx
Hippocfenccntia equicacio eft ini mica 25^. a craneu gymnafio apud Corinthios.
1 8.f craffi luando cibu dcbcncrumere. ZZ3 c cmcn mediareruus hornbili q^uod^
uioi- bi genCre captusfiiit,quo carncs ab oftl- buscadcbant J.a cracin*' poeca
cur faJtator fic vocatus. loi.b crepacuras patietes faJtu dent vitare.zjy-a
&dircun. Z5:8.c. & /piricum recentum. zBo.d quomodo fiant Z84 e. f criptoportids
antiqui ad deambulandum vtcbantur,& qua dc caufa z^^j.a crifijafii forma ex
Oribafio, quasnata fue- rit. KJ^z.d.eius vciJicas zc9. h crico mcdicus Komar
fub Traiano floruit • Z4f.c crudos piJae Jufus Jardit 243. b crura infirma
fdtatio corroborat 240.0 crurum vlcera haJccre Gahcurabac. z 5 ^.e cruftuJari;
in gymnafijs cruftra vcndcbanr. 64 c cunisquomodo in aegris curandis anciqui
mcdici vccftntirr jyS.e.^oi.b curatiua mcdicinae pars ob neceftitate prius eft
inuenta , & a quibufdani impcftura quedam dicitur J.b.c curz fjnnm corpus
conferuanc ^.f currendifaculcas a natura daca cft aninvali- bns ijya curfus
ccrcamcn Elciinfticuerunt iiy.c currcns ab ambulaiitc quo diftcrac. z y i. a
currcntcs hycmemigis rigienc ftautibus, &quadccjura zzo.f currentium
fpiritus anheJat zjz.d curribus faciedis marcria apta e abies.iyi.a curribus
manu dudis rebricitantes , vt in- quit Herodotus , vtebantur & quancuni
fpaci; pci ficerenc 171. e curribus ois gcneris fani vtebantur. ibidi"
curribus tcais principes vtcbantur potius, quaHi npcrtisantiquitus ibid, curru
tcfio Plinius iunior propter oculo- rum infirmitatem vtcbatur ibid. currus
niulta apud antiquos crant gcncra , & q & quo rimilia,& djftimiha
erac. 1 73.^ curruhs vedatio ab Eiichthonio cft inuen- . i7i-a currulis
vedatio.ipud mulieres Romanas in maximo honorc h ibcbaLur J^i .b currulcm
ve»ftationcn) R' m.mi mulicnbus abftuIerunt,ob nimium luxum, poUca il lis
rcftiiuci uiu,& qua dc cauia ibi. cwrulis vcdatio jpud gymnaftiLosacftimata
erat 171.^ currus duarum rocarmn antiquitus erat in v^^i» 171.» currus quacuoi:
rourum Phryges muene- (uat ibid; Curcus. I N D £ X Currus fcx rotjrG Scythac
inucncrunt ibid. Curiustoimacl^ vuiia ibid. Cui uu ccrtamC- m ludos oly mnios
quando htinucaum i^ic Curfor i]ui lic cx Ariftot.fcntcntia. 70. d CurluN G^l.
rcntcntia no parQ cofcrt ad i\ nitatc,& bonum habitum. i i5.c.245>.b
Curfus t|uis motus lit.io i.ccius vtiiita' ,& i4y.c.&infra. Curlus trcs
funt fpccics cx Antylli fcntcn- Ii6.f Curfus apud vetcrcs Grrcos cjd fit. 1 1
7.b Curfus omnis fcbritntibus nocct. 149. c Corlum pro vcrtiginofis curandis
atqi cpi- Icpticis Arctacuslaudauit ijo.d Curlus circulariscrtcctus
cjuifint& omni- no rcpudiari dcbct ibid. Curlus co$,t|ui fungos comcdcrunt,
& qui a rcriptionibusnfti iunt,iuuac iso.f Curlus quo rcncs ixdjt,&
luucc. ibiJ. Curlu non in pulucrc fa«fto faucium intcrio run:
cxulccratiocuratu. ibid. Curluspcdcs & crura luuac ibid. Curfu^ qua dc caula
cx Anfto.fcntcntia ca putUdac zT*'dCurfus a quibus vitari dcbcc lyi.d Curfus
inpoltcriorafjclus quarnain auxi- lia cx Aniylli lcntcntia corporis parti-
busprxUcc iji.c Dutius pcracdiuia , & dccliuia difiircnuac Cu! fu^ corporc
nudo faftus quid c/Hciac . Curlus nuo tpc magis Gtfacicndus. 253.^ D DArcs apuJ
Vcrg.ccftu valuit. irr.a Ocaaijulationis vtilitas. 1 3 3 c.i^y. pcr totum
capur. Dcambulationib.loci apii qui fint. 16 3. b Dcainbulatio multa^ habuit
(pcs c & infra. Mi^.c Dcambulaiionc qh vti dcHcmus. xtfc.d Dcainbulationis
ctfc ftiis qui fint. ibi. Dcambulauo mcdiocriscit magis in vfu,& quxfic
Jbid. Di amtiu!ationc pro inrjnij,& afthimatc cu randis C^l Aurcl.vicbaiur
itfo.f Dcambulationc proidcricis curandis Ar- chigcncs vtcbutur ibi. DcamboLtio
pauca quibus nam conucniat Ui d Dcambulatio cxtrcmis digiiis fafta lippicn
nbusconfcrc 26 3. a DcdnibuLuoDUin dificrcntir , a loco liiin- pt.r qux fint
z(ondcrit. 187.C 307. b D;orcu.s aducrfarium vn^uni & finc pulue rc
lupcrJUit 33.^ Dioxippus aducrfarium un^ura , & finc puliicrc fuj)pcrjuit
ibid. Dilius quot ngn:ficjt.& quae 123. a Difci cxcrciuciu fuit antiqua. 1
1 1 .b.cius vti litas xj7. b Difci figura qualis fucrit 125. c Difcus tobuftjs
corporibus conucnit. 212 f Dilci cxcrcitationc loco pcrg itioni.s,& plilc
botomii, fi quid impcdut , vti pofrtimus cx Gal auihoritatc 257.C Difcobjli I2Z
Dilcus a ijcuhtiouc tum in iuuado tum in Ijt Jcndo p.irum diftcrt ibid. Difcus
ab haltcrc dirtcrt 25 8. d D(»ictibus vjrius lcrmo fiibucnit. 283 b.c DoIichu>cui(us
quis fit ii^.e Domitianus Inipcr. laculationc cxcclluit. 13 i.b Domitianus fmp.
locum pro vocis cxcrci- tJtionc inltituit 1 5 8 c Do: fun) dilcus . o: tobor.n
25 7 0 Dorfumdcbik- h. bcntcs crc^ti fiarc noii dcbcnt,& (juadc caufa i69.b
Dracunculi cu ca ci tira & br.uhia multis cir ca marc rubium
Jpparucrunc,& quid fa- ccrciic 4.t* Dropax I N D £ X. Dropax qind fit 213.C
Dubiiaricncs duac circa cxcrcitationes or- ta? foluuntur 102. f Duellum a quo
(itinuentf:,& cuipugngan tiquorum generi refpondcat i/f^a E ELxothefium in
palcftra vbi nam eifet Il.d. 2C.f Illeborum qui fumpferunt geftationc inle
ftica fada iuuantur. 2^^.a & in lcdis pen filibus. 301. a JElcphantiafjs
Acgypto famiharis quo tcm- porc Itahs innoiuit 4 Blcphanticos vfu coryci
Argtcuscurabat. 241. C.& vociferationc.282 c. Cclfus de ambulationc.26 j.c.
Afclepiades gcftatio nc 2^6. f Elcphaticos natatio maritima iuuat. ^o4.d
Entelkis apud Verg.ceftu v.duit. i j i.a Ephcbus Athcnis lcrpcntem pufillum ,
& Ibtim ambulante cfi feniinc cmifit. f.a EphiEbuminpalcltra ybi nam
crat,& quan- tum 2o.f.24.e Epilcpfia jnfolationc modcrata fccundum
meihodicos cuiaiur 271. c Fpilcpfii gladiatoris lugulati fanguinc cpo- to
recDiicirm quofdani curaiur 275 b Epilcpfia /pirmi rctento C^l.Aurel.autho- re
non curatur. 280. d Epilcpfia quo pafto vociferationc curciur 282 e EpilepfiiE
vthiculo pcr lonf^a via vehi non conducit C^I.Aur-cli .luthorc 2^7 c
cpilepticos gclUtibnc Gal.Tral. & Aet.cu- rabant ibid. epilepti.curfus
vchcmcns ex Thco Prifcia- ni li ia Iibcr.n. 2So.e & loga & rcdaam- buiatio
tx Cxl.& Ccl.authurit 2>)2.c cpilept. A £ius curabat n^ancu gcfticulatio
ne.24 o.d i.Tdit de ambulatio. ifi.a.e cpilcpticis Aiu)]Io auihorc nataiio
omnis obcft 304. c Cpifcyrus lufus quis 8j cquitaiio on fit cx rcitatio 79 a
cft motus Uiix us fctundunj Gu c. i^o.f ipi.d equitatio q.d cfficiat &
ciu.s inuctor. 167. c lcnip in h(jnorc tll hab:ta ibi. & 170, d cius
vtilitaic.v,& dan na. i^i.c.f cquitutio (ucculfantc cquo fafta qu dcffi-
ctat 2i?5.b cquitntio pcr afiurconcs cquos fuda qiiid ctfici.it ibid.
cquitationis pcr gradarios ccjuos L&x cfic dus 1^3- c cquitantcs
curaliquando lacrhymas em/t- tant 2^4.d cquitatio an fit geftatio ibi. erafiftratus
mifiione fanguinis e mcdicina aufcicnda,atq.- ctiam oem cxcrcitatione inutilem
ad fanitatcm iudicauit i^i.b crafiftrati r6ncs,quaiuor qLus cxcrcitatio- ncm
inutilcm cffc ad fanitatcm dixit.ibi. crafiftrntus per inedia trium aut quatuor
dieruin nniltos affcftus curab..t 15 3. c crafiftraius eft damnandus,qui multos
^gro tos dcambulationibus poft cibum cxcr- cebat 2 2j.a crafiftrati loncs
foluuntur. 'bid. & infra. c erafiftratus malc a C^Iio reprchcditur .
paralyticos de, mbuhtionc in locis harc nofis f.(^a cxcrcendcs ludicabat. 26^ £
Err.fmicrror 154 f crcftum Ifarcan fit cxcrcitatio.i^^.f. vtih- tas &
nocumenta 16$ crcdi liatcs quodamcdo mouenrur. 1 3 7.C ercftumftare antecibi
fumptjoncm quo- modoiuuat 140.0.155^. c crcdum ft:arc multas habctdiffercntias,
& vndc capiantur i6p c creftuni ftarc poft cibos fumptos quid fa- ciat
i35>.c.207.e crichthonius currulcm vcdationem inuenit i7ia cryfimachus mcdicusad
fingultnm curan- du fpiriius cohibitione vtcbaiur. 1 j ^.e cfculcnta lu cibi
tum rcmcdij caufa a:grotis txhibcntur ^.f curhorbus lubas regis medicus,&
Antonius Mufa fratrcs vfum aqux fngidx poft bal nca caiida nionftrarunc 47 b
curipidis fcntentia dc athktis 7 i.b c cxcrcmcnta diucrfis modis e corporibus
au fcruntur ipo.f&infra cxcrementa in corporihus detcnca multas morborum
fpccics gcncrant. I5>2.c. i >.b Cxcrccntcs fc fuK Cdc m.igis incaLlcunt
ciaicffcntcUjqu^ n qui luoucntur, fs: ijiu dccaufa ibiJcin cxcrcmcnca in Iiycmc
cur paucagcncrcn- tur 21 i.b cxcrcitatio cx mcdicorum fcucntia fcm- pcr ancc
cibu n a lanis fic-ri dcbjc. 222 d 2 i6,d.i67.c cxcrcitjtioancc cibum dupliccm
vtihracc aftcrt 2i2.f excrcitjiidi tria dcbcnt obfcruarc 21 3.1 cxcrciiationis
fadx poll cibum nncnmcn- ta,qu.t fint 222 f 26 8.ii excrcitacio non dcbct ficri
vbi Itomachns cil valdc vacuus,ir(ium hoaunu n quant.i clfc dcbcat,&
dcoilium ibid. Excrcitatio fcnum minc^r cfTc dcnct quim, cum luucncs clfcnc
ibidcni Excrciiatio hycmc fada'citra fudorcm ficri dcbct Excrcitario ucre fafta
vfque ad fudorcm fic.idcbct ibid. Excrcit.it o Autumno fafta minor cffc de- bct
ra.quar xlbic fit ibid. ExcrcitJtio iiulfuccorum qu.T , & quanta c(fc dcbct
2jo.e txcrcitatio immodicj oibns nocct. 2 3 o.c Excrcitaiionis jmmodicjc fun.i.
ibid. ExcrcitJtioncm luucncJ quando dcbcant incipcrc 231 c ExcrcicJtioni
pcragcndx qui modus cft adlitbcndus ibid. Excrcicationcm viri quandodcbcant
inci- pcrc ibid. Excrci- I N D E X. Excrcitationem antequam incipercnt anti-
quiquidnam fjceient ibid. Exercitationem Ifatim poft cibum nemo dcbetmfjpcrc
232 f Excrcitatio prius remiflTe ac debiliterincipi dcbet,dtmde paulatim
jugeri. ij^ a Exercicatjonis particularis cognitio , fiue
vniuerrjlicoonitione,null.im aftert vtili tatem,& conira a34.e BxercitJti
ibtmi poft excrcitationem ve- Iks niadcfjdas debcnt dcponere , &in loco
tcpido & temperato *33 «b Exercitationcm anctijiiam quis [incjpiat , quid
nam faccrc debcat ^33*3 Exerciiati non ftatim poft cxercitationcm debenc
quiefccre , ncc cibuni aut potum lumcre z^^.b.c Excrcitationis modus Sc ordo
totus .itK)nc incjuibus morbis cunndis A • (clcpiadcs vicrciur 295 c.&
infra Gclbtio ui nuripcrcurbato ofTinino fu- gicnda ,bid. GclUito ia iTiari
traquillo fada quid cifi • ciJt ibide.n Gclhtiofine additionc acccpta quomodo
ab authonbui capinur i^T-a GclhtK) vchiculo f.K^ i qtiibui conucnut , 5c
quibusnon conucniat ibi. Gclhdone in qutbu^ mor bis curardis G.il. vrcrctur 297
c & infra GclUtio morbif diuturnis prodcll ibid. Gc ihiionc lcllj,5c
lci5^ica fj {gfli yti pof (unt morbu iam inclinjntc jco.c Gcliationi^ in aJto
auri fadar cflfcctus . Gymnafta nuHut antiqucrum fcriptorum fulficicntcr
tradiuit 7.a GymnaGa qur njiii fucris : 17 b Gymnafia quare » & a quibus
pnmum fint inucota ibid c GymnaliJ dicbus feftiuis magis frequcnta- ta
crant,& quarc 2 7 a Gymn:r:iim cui jntiqui Tibcri propinquu ctfcccnnt
4oC.ri.nLcntia dc houmie co.iicUcntc,& nonlaboiaate i^i^ Hipp.patn.i
cemperata fuit 2 1 6 e Hippo.iudicat, Ibhs r.idios capitibus huma- nts m i^nasnoxjsalFcrrc
26 6 e Hippo.Hcrodici Scly^nb: lani difcipulus ar- icm mcdicjm illultrauic
2.d.4'i.c Lsboribiis ir.:ifluctos aliquando cxcrccrc dcbcmus,& qua dccaufu
i^^-^-^yO.S Laborc^ mcdcrati quibus nm- corponbus conucniant 21 5.b laborcs
vchcmentescjuibus nam corpori- bu^ conucniant ibidcm Laccdcmonjj vcnationc fc
cxcrcebat 187. c Laccdimona? djmn.at Ariftot. cjuod puc- ros niirijs liboribus
affligtbant. 2 28.f Laccdzmonuno Jcxcrat, ne in balnca pix inferictur /^4.rbu
Ijbor.intibus ohlic 261 d Lcdi apud anti(]Uos varij crant 5 8 b LcC^lus fulcra
mobilia habcns quiJ fit. 1 76. e.joi.b Lc^lis pcnfilibiK pro ari^mium cxcrcitip
antiijui mcdici vich.intur. 17. .d.quid c(rcnt,& quomodoficrcnt joo.f
LcdispcnniibusjCelfoauLhoie , quando vii dcbcmus ibidctu Lcftis pcnfilibus
gcftiiio f.jifta tam antc cibum,i)u.Tm a cibo prodcll ibid. Lcftici qujrc ci\
inucnia. 175. b. 17^ . a. &• quot numero /crui ca portarcnt. 1 73. c &
inf cius vfus. lyS.f & 2y9.b Lcc^ica pcr vfbcin gcftari lilcrtis crat vc- titum
174. f LcOica noftra cui anticjuorum fcllccorrc- fpondcat I7y.3 Lci^ica in
languciibus aniiqui mcdici vic- hjntur i7^-b.2yj?.b Lcclicaa fclla diffcrcbat
i7J.c.& 2yp.b LcCtica muhi vfus apud antiquos firit. 2^8 Lcfticj,in cj
(cdttcs.cjn.i vii polfiiit ^j^^^.b Lcd^uh pcnfili) agitatio quaudiu ficri dc-
bcat I77.b Ledionis fpecies,& caruni ad fanit;tcni vlus .285.2 Lcftio
quomodo ficri dcbeat 2 8y.c Lcclionc rcmilfa polt cjborum fun.prionc vti
poifiiirtis ibid & inf. Lcnti laborcs quibuldam corporibus ron- ucniant
2if.b Lcilurgica fcbrc I horjnies in Ic(flica dc- cuml cntcs vchcbjniur 2^p.a
Lcucophlcgmaiia corpus totum dcturpat. 107. b Libcrat .i morbo , ijuid
/ibiauxflio fucrit,' tabcUuI s notabaiit, ac tcmpiu Apoiiinis dit.Tl)ant 2 d
Libarij in Gy mnafijs liba vcndchant. 64 c Libcrtis c.it intcrdi^^um quominus
pcr vrbcU' ItftJCj vchcrtniur i74 f Libcrdc ji)l€2 prope paludcs& rtagna,
& huiuiuiodi .nlia funtuula 2i8.r X-oca pro|)e marc ad Mcridicm,velOcciden
tcm fpcftantia lunt mala ibidciii )Loci ad cxcrccndum apti funt tres condi-
tionc.s& (\i\x ibid.& 2 i6.f Locorum vis cjuantumpoflit 215. c iofus ,
Tbi uocis cxcrcitatio ficb:^t , Luduii)
cur intcr nthlcac.is exerciiationes cnnmeraucrit hniiis opcri^ anthor 88. d
Ludi B.iCiho dicnti ctc7xo'A/A di^i I2i.a Ludi matutinj qui cfunt, & qui
magui 64. c.&^5«a Ludoru victoresr,uo honorarentur irb.c
Ludajpraefcdus,& eiusonus ^o.f L^^d fincs trcihabuit lof .a.quatuor modis
fieri potcU ^ 24*.e f Lud^fjriaearcis au^orCs,quifuerint loj.a 115 c Lud^im
G.ilcn.artis gymnafticae minimam partcm c^ic ludicauit . 102. f.cius jpud
antii)U()s matnus vlus fuit 244 d Ludam noltro lempore cx^rcent rullici,
quoinodo apud auticjuos aihktx excr- tcbant i44.c Lufta vchemcnter , &
corporc crcdo fafta quid corpori pr«lK t 244. f Liida habentib.crura d(
bilianoccc i4^.c LuCta cjui rationc pefton uocet 2 4^.c Lu non vencfic.i,&
quomodo 8.e Medicina! cjuando opus non cr.it i.b Mcdicinx jurtes, cum Imt
duicrfap,diucrfa cti.Mn nomina fcrtii.T lunt j b Mcdicus quomodocorpus hununum
co«- fidcicc li.C Mcdicus I « M I w w Mi M W u I I N D E } McdioKcft artifcx
trcs fcnfaias iraftans 2X1 d Mcdtcumcnta «luofdani luuant , quofiljm Kxdunc
iif6.c >1cdi.jltini in balncis c^d faccrct 30. c 6^.2 MchncholicosiuCta 1
hcodorus Pulcianus curabjt i45'3 ^lclaniholici , dtim lcgcrcincipiunt , ^ur
lomno capuncur t^6.d MdanJiulian» I I» odcrui Piifciai.us , & Arccjtu^
gclbucnc curnbant i96.t Miichior Cuilanpe baincu cr^nt lici%& i]ua rjiK iic
j*d Jdc nfa \ Icdi lin.ui a-)ud antiijuos para- baniur 56. ( Menlhua ranicatcm
corrunipunc 48^ Mcnftrua fdliixs cuocat. 2 M* ^ dcambu- Ucto * 26or.t^3.a
Mcntagra x^riiudo Plinij .xuic noU^ mno- tuit 4- f Mctforcs ciuayccaufaa uiAu
iaordinato 5: prauonon la.djncur 225' b Mcthodi vniucrfalcs cx Gai. fcntcncia
nifi { .iiticubribus fpcculationibus lungan tur parum luuant i8y b Militaris
diidphnx cupidi gymn.i/ia ingrc- dicbaoiur 2tf.c Milo Crotoniata f ir
robu(li(Iimus. 67 2 NatJtionis locui
c^uid fit i^i^- c & 184 ^ cius f^Cviti S^i. N.tacio ijuibu-da argritudinibus
cx Aniylll lcuttntiJ,&: O-i.o nucnit ib^.a.ib^.C Nataiuri i)uid agcrc
dtbcot,antC4uam na- tcnc Nacatio inicr cxcriitationcs numcrai 18 j.a Nacationcm
cur anutjui addifccrcnt ibid* iSj.a.^f 3.b N:.t:uo i l^uuio f-^a fomnu inducit
So}.c Nacatjoncm in ai^uis fpontc nalccnubus fa dani Aniyilus iipprobac 3®3«c
Nat.tio pcrnicioliil ma i]uz fit jc^.d Njiariolub Dio fjCta cjuid c pcictur
304.C N..CJC10 fjcihus in mon cjuam in iluuip iic Aniijuihorc ibidcin Nacacio
cahda indurata cmoiht, & frit,cfa- aa calcf-CiC &: tius nocuincnca 304
f Nacacio (rigida caiorcm nacurjlc validum (Hlicir,& conicdiou( n) adiuu.t
ibidcm Njtaiionc frtc]ucnti , ii ^uis viatur, ncrui ixduntur .3?^»* Naiuiar
caijdac fircundum Hipp. cjuiciccrc dcbcnt i96.( Naturar hon.inum adco diuci fx
funt,vt oc mo .Jtci I j^iorfu^ iit limiiis ly^.e Narura coijoribus lioliiis
mcatus muitos curdcdcnt 152. c Naiun» calidis cjuics cmucnit 206. t N. u luatio
an (it cxcrcjtatio 78 f Nauigaiio «juibus nioibis autliorc Auiccu* X fiotit I N
D E X. proGt ^ 3oa.f.i7P.b N.iuigitionis modus valctudinanjs conuc- nieris qui
fic cx Herodoti lentetia 179 c N.iuigitionis fpcciesliinc mulcae , &
qune& 175? C.301.C Nauigacio pc^ flu nen fact i minns pertur- bacquam qu^
per ni ire , Sc quare , qui- bufdam murbis conueriiac i8o.d Nauigjtio incer
cxercitationcs ab Antyllo numeratur I7y.a Nauigacio corpus raouct ,&
pcrturbac ibi. & quare i8o.d Nauigjtioncquinam vtintur jbid. Njuigantes
Ciwn mjgiscolorati ijs , qui m paludibus dcgunr,& qua de caula 1 8 i.e
Nauig jtioneranii> fjiftjs cfl Anneu Gal- lio fangainem exoucns 17^ b &
^oi.e Naumjchia: cur a Po^.Rom.iint inftitut e. 180eNe)iei ludiapud
Cleonasagebmtur ly.b Ncphretici Trdl. rencentia icdtica vii pol- lunt,& qua
de caula . 29-^ a Nepiiriticis njuigatio maritima prodeit . 303,3 Ncrolmp.
gymnafiaquindo; ingrediebi- tur,vtathierasccrtantes videret 26 c Nero
Imp.muficu cercame mftituit. i/S.c Nerolmp. ia lcvftica cum macrc quandoq'^
vehcbatur 299 c Ncro Jamina pe Aori iuipofita fubea canii- cacxclamabjc ^60. d
Nicomjchus Smyrn.^cus uilde crafTus qua vu ab Aeiculapio fic curacus a mmii il-
la crafiicie 207.C Nitro,& aphronitro fricabanrur 3 4.C Numa fccudum
Plutar. voluitadorationes fcdendoficri X59.b Numeruscxprimit rcru
fimilicudincs. 96. d O OCuIi lachrymantcs Irduntur falta- tionc i4o.e Ocuii
lippictcs , & lachr-ymofi d quantum- uis mimmo motu l£duncur,quiete vero
rccreantur. 143. a.b Oculorum circumuolutioncs vertigine lari^untur lio.d
Pcrljp v;rtu\ rationcm , cxcrcitationc.n il'Iigcntcr proti:cbintur i^S.a Pcrfis
bborct lOr^Hiris Cyrus inditUiUnrc abi luin.)tioncm.'»riu^nf c «tatis nrnimcntu
1x4 PotuLiicj (u ciui tu ii rciucJij CiUia xgro iiscxh:bcntur 4.f PhcnmJa vjuiJ
V vnJc diratur S^-f Phcrous d lco Hyjctnc'iu intci fecit in^ c Philagnus
nudicus pofluuium lcininis cicrcit .iionc partiu * lupcriuruin cui a bat 147 c
curluk Aiuyllus 190 f PhiUiiiv)ua Pilx tMgonalis figura 9^ Tila p.igjnica iju.e
nam cffct. ^4 d tudjtlt nauigations fpc-
cics ,«ia Pilcjiorcsroanrini cur pilos rutfos habcac 181.C Pilcina pub.Romr vbi
mm fucnt 1S4.C Py.h.igoras c|uidain athleci» primui carncm cxlubuir 7x.f
Pythagoras voluit aj jratiuncs fcJcnJo ticri i 39 b Py rh"Chiacfjltat'oi t
im- » ,i Put.ichuv M ylc.i^* PhrV'»i)nc Arhcnicna d uc 5c p.r-r.uij'tc
cxccll.v.cit, b c)ujm fc itJtu i i {*')' jnc »ci ercda luit. 1 o.d Py hici InJi
Dwlphis j^cb iKur i^.b Pjiuaufi vc citcrjtion> luuantur 181 c I'1'roni lcnt.
ntia dc aitc jvmnaflicj. 12 f P aio Ijudjr in v.Jcrcp. vt mujicrcs nuJx cnm
vins in pjl^lha cxcrccantur 17.C Pl iio f .11 oiMfdjni Jthlcta fuiC 7 1 .c
l'lato .*uit Hip fcdacor 80 c Piato buJauir vc & pucri & virgincs,&
niu lic cs , & ho iiincs tam nuJo cor|>orc quainannitocx-rccrcntur .
116. d P.aro knbcns llitum motui contrariu n n6 prorlus vcrj locurus cll 13H d
Pijco diCic njcurjs diuinjs cx motu & ijuic cc c onftjrc ibid. Pi.iuti
vcrlus dc ariticjuorum pucrorum nio nbus in p.iiaftra 29 b Plimuv fciibjt
aihlctas alitjuando coitu vti iolitj iuniori-i ctercitatio ^ fiicrit. zii.d
Pilinms miior diim vocc ik it >m^clio Ubo- raret,lc«ftione chra liberjciis
cft zSf.b Plini us Co^cilius vchiculo gcU.ibac. zyo.b Plinius Romac Sclla
vtebatur, vt intcr cun- dum rtudijs vjciret i99.c Plmius lunior corporis
(anicatem ven.itio- ni rcfc-rebat 1 8 7. c. 3 07 c PoJalirius vcnationc
deleft.ibatur i Sj.a Podji»nci faltum dv^benr fugere. i n»3 tro- chum 289.C
Pidagrico. Icnes & rcmifT* iuuat deambula tio,5t vehemens I«.iit z^^i.c
PodjgriciTral. fentcntia Icdtica vti poflfunt & tiu.i de caufa ^99.\ Pofis
fecundum Simonidcm eft faltatio lo- qucns 96. f Pompeij magni exercltia i i^r.c
Ponb nau.nachiarius quarc fic vocatus flt . Poppca Domitij Nero. vxor , quid faccrer, vt cutis
candorem acquircret 1 7 . A Porphyrius philofophus carnis vfum cur prohibuit
lyj.c Porticus tres extra palacflra quomodo di* fponerentur zo.i Porticns erant
partes gymnafiorum piincipa les,& quomodo fe habcrcnt 2 8.e Porticus
Pompeiana ad deambulationem aedificata i34-c Porticus in viridario Vaticano
qualis fit . 135. A Potabant veteres cornibus boum $$.h Pr«edo quidam in
Pamphilia homincs pcdi bus priuabat 1 3 3 c Prandium apnd antiquos quij c^fet r
i-f Prafinae fa£tioni maxima ciuitatispars faue- bat i68e Prafini crant una
faftio Romana ibid. Pratinas pocta cur fi vocatus faltator.ioi.b Praxagoras
rcprchnditur , qui cpilepticos deambulationibus plurimis,& vehemen cibus
curare nitcbatur 26 i c Pracmia ccrtatoribus cur fucrint mftituta. 14 c M.A
PriapifiTJum p'\\x magnr Itifu Tralianuscu rabat.242 d.atquc •tem halterc
|i5^.e Prodicusacgra corpora cxerccri iudicabat. loj.b.propter quod ab
Hippo.rcpr chcn diiur 2 4T.b Prodicus valctudinis ftudiofifid nus fuit . iio.e
Propn^geulpalaeftra vbina crat. xo.f.^J.A Propinatio iuxra veterem nrum' , m
cohni* uio f^ftj cx Rh minufiano lapide $ Pronerbium in harcnani dcfcendeie
vnde fit ortum i6.d Prouerbium illud difcum ( fljuani philofo- phu audirc malunt)
vnde fitortum.z». C Proucrbiu Ne qras in ftadto dolic hu. 1 1 7-a Pjouerbium
trjnfiremeram ii^.b Prouerbium contra eo$,qui nec litcras , nec natarc fcicbant
idz.c Proucrbiu a mari & terra fumptum. 302.6 Pueraquam prxbcns ^6.b
Pueroru geftatio in vlnis nutricutn eft qiix dam ipforuin cxcrcitatio 176. d
Pucn poft H;ppocr. aecatcm podraga labo- r.irc incc^crunc propter ingiuuiem. 4
e Pucri frcqucntifli.nc faltationi opera dabac loi.b Pueri muficam Pbtonis,
& Ariftot. fcnten- tia dcbcntaddjfccfe 1^0. d Pucri a ploratu ex Ariftot.
fcnrcntia proht beri no deber,& qiia dc ca. i/^o.f 288.6 Pucri Gal tempore
in aquispueriles ludos exerceb-int 183 b Pueri vfque ad vigefimum primum
aetaiis annum labores muJtoi indiffercntcr fer^ repolfunt 228. c Pucris
perironf um aut fcrotum fpiritu rc- tento rumpitur 28o.e Puellaj funt ex
Piatonis fentcntia gymna- ftica bcUica cxercendae 66.£ VucWx pulcherrim^
fingulari ccrtamine cer tabant 144.C Pulmonc vlcerati,inculpati viucbantin Ly
bia i73,,c Pugil quifitcx Arift.fententia 70. d Pugilatusante bellum Troianum
fuit in vfii iu7 b.fanitati parum confert. 247 A pugilatorcs quomodo certabant
1 07 c pugilatusin gymnaftica mcdica exi?uuin vfum habet "loS.e pugilcs
vocabac veri nthlc f fm Gal. loS.f pugilcs,& athlctT aliquand j in Deoru
nu- mcrum relati 7 1 /\ pugihuu imago i02.b pulueribusin multis cxcitationibus
anti- qui vtebantur,& qua de caufa 236^4 puluis uim habet cmplafticam cx
Galeni fententia 23 8. d ^u^ilatus nocumenta,qua; fint 247 c pu^ilarus fuit
paruui LulUs in gymnaftica mcdica 248. d pugn.B nomcn plura fi.^nificat
i4'>.f pugna, dcqiuhicaudoragit, quidcflcj & quoc I N D E X. ^ ^Qot eiuj
fpcclcj cxOubafij fcnicntia ibidciv.&: X73.a Fuona > mbracilu cjuomodo
ficbat . ibidcm lOI. c Pugna tcK.rum quomodo ficret ibid. Pugna firgului is tjm
n t d«- ficrct ibid. Puiinas fingul.ucs t xcrccbant Ijccrdoics in Fcrp mo
G.il.iemporc 14» c Fugna jdiicrfus pjluni ^uinam >tcicniur. 14 >.c.X7J.a
Yiigna vmbrjtilit ubi i Cjleno budctur . i4'.C27?b Fugns arm.)tj a Dcmea
inucnta. 1 ^6 c Fu^nis fingularcs eiiani Romani cxc.cc bant 14^5 d ibid. Fngna
fingutarit rudibus armis fMi a NLn tu^^t^ crt inucnta I4rb Pu!u:s in vn^^ionc
quid prapftarct 5 j.a & 1 > 8.d. vnJc portantur 3 f.e Pyrrhus Ligoriu^
annquitatis pcrrtifs c Fyrrhrchix U!talionc$ tjux fucrint,&^ S"^
laucntx QVatUans crat mcrccs baJncacori data. 47C Quadrata corpora
abcxcrcitationc quomoiio iuu..ntur ^i^^ Q^ad. igx m pup. faais ficpc
ccitaucrunr. 171 c Qii:^rtana bborantcs, vocifcratio iuuat . 181.C Qumqucrtio
qui fit cx Ariflo. fcnicntia. 7o.d.c Quotidiana fcbrc laborantcs in lcAicadc-
cumbcntcs vchcbjntur a^y a R RAucnnj Strabonis authoritate acrem fjlubrcm
habcbat 7^.2 Kjiis fcntcntia dc vcnationc 187.C.506.C Rcncsdcbilcs I.Tdii
faliatio 240.^ Rcit.cd.oruii omnium njtura eft , vt pro- fint,& abquid cnam
c^ftcndant 1 51 a Rcnibus malc-ttcaisIuOa nocct 14 rc Rcnum lapiili
optimcialiatione otrudun- rur 240 Ci54f Rcru imbefillitate, vcl feruore, vcl
\Kcrc artcC^i liliu vitcnt 25 5 J & dilcu. 2^7.c Rcnu.n jnfl.imni tionc
laborantcs crc^i ftjrc noo dcbcnt 169 b Rhjmnufi nu^ lapis , in quo fculpta cl\
fbr- m.jTrKhni),3nti(]U!friinus 56 Khcforcs in palacitras ad difputandum con
ucn:cbant 20.c28c Res i6nc finis raria noU Cirrire funt 203 a Rcfoluti Tral.
fentcntia lcAica vti pofujir, & qua de caula 19^ a Rdpirjtio ctcbraium
ofcitationuin cft rc- mcd.um a7P.a Ilcurdurcs in balncis qui clTent 50.^.63.«
Kigorcs f.iltatio atcct 240. d Kilu^ qCo fiji,& quid cfificiat 16 i.a 287.6
Konuni { ('liicmi oimhO ^yn n^ifia ad GiaB corum inntJiionrm ihuxctunt 18. £
Kcmjni in bulncis mulio graecis lafciuiorct Romani fuos miliies & mari
& tcrra cxcr- ccbant iSo.f Konunorum n^uliercs Varronis tcnimonio in cc
dcni loco cum viris lauabaniur. 48 f oppofi:ioncm J3 c Ros vim habct
colliquatiuam , & idco bibi- tus gracilitJtcm inducit 2^7 a Rot^ curruum
Homcri icmporc ftanno or^ njbantur i7i.a RuHus tphcfius Romac fub Traiano
floruit 145. c Ru.tati eraot voa fj^io Romana l^S e S SAItantes pondera aliqua
habcbant quorluiii 1x8.4 bjita^oria: cxcicitationis fpecicS|& cius di-
uiiio 81 Saltatoria facultas in imitatione foio mrtu fjda confiliit fi6,£
Saltatio fccundum Simonidcm eli pf>efis tjccns 96 f & inf, Saltatio vcra
i mufica fccunduui Plutar- chum dcprjuata cli 97't S. Itjtioiiis inucntor quis
fucrit 97.2 Sj/tationum diuerfa nomina vndc fitoria» 97.C Sjltationis finis 100
d Saltjtioncs vbi nam ficrcnt loi.b Saltationcm antiqui in conuiuijs exerccbic
10 I c SaltJtio qurqi antiqiiorum ordine , ronc, & proportn nc indigcbjt
ijy.b Saltaiio opportunc fjdU inultas affcrt vtili. tatcs, cadcm inoppoitunc
jdminifirat^ multa dctrimcnta iionum prriiat 239. c SjIius viilitjs,»ntingunt,
(]Ui Ic cxc:cucrunt,5c ijua Jccaula 19 r A Somni pr«.tundi concodioncn»
mcliorcm efficiunr.S: quj dc ciufa ibi. Soao capiutur Irpc mtctc fpcculatcs. i ^^.
Somnolciiii ciir fiiu dccolor.jti i44-5i.c SpiMtus cohibmo »'jciat • 1 5 } • a.
cius rpcc:cs.i5} b.cim vtiliiJS.X78 d suibus conucniat 17 9.3 cius nocumcnia.ib
d b Spiriius cc hibiuoncintcr c £tcras cxcrcita iioncs Athlcix d«abus dc caufis
vicba t«r , '^^•'^ Snlcnis xgtitudinibus cx Aciij kiucntia curlus clt vtilis
no.d.f Splcnctu-oNgcf^..tioncThccdoius Prilcu- nus,& Arctruscurabant ^9^^
Spuni apud antujuos m.igna infamia noca- bantur & a nobiLum commcrno cxtru-
dcbantur , '^'^ Spurma qua vi^us rationc «^^«'^^ ^^^" Spurini nnJiOi
fanitnrc cofcruaJa. 113^ c Spura corpuscxinaniunt StadiumgymnjfDspars 5*.^^
Stanscxcfcttium ' Starc maio: ci. corpori bborcm affcrt^.iua ambidarc,&
quarc ..... '^^^ Starcc.lcib.s3ut;..m.n.,d.gitis innitcn. do nihitn.li
molcitumattcrt »71.» StclUsdcfic.cntcsminromn,svidctcs.,uo
„.odoabHippoc.c»ircntur ^n-A Sccphaiuofuuinucntor togatx (altation.i
StcVcoracorpascxInaaiunt Scomichaccxgritudo Plinij rtaic aoftro orbi not.i
f.iCta cik ^-^ Stomachusin coqncndo dcbili» i falta. 10- nc corroboratur
Sio.nachu n frigidis morbis opprcnum cu- latcurfus ^^^-f Scomachicos fpiticB
rctcnto Cxl. A'»r. cu- rabat.i79.c.& vocifcratiotic i8i.c.Arcle pij
gcftaiionc \ ^^^1 Stomach 1 dulorc Thcodnrus Pr .fcianus , « ArctJTUs gcduionc
curab.mt »bid. Scomachi .itK a;ombui curandis gcftntionc Actius vtcb.itur X98.C
Scomacho l.>borancibus vnftiones cxcrcita tioncs,S£ vocifcrationci commcndat
Oa lcnus . . »8'' Stomachicos n.itatio maritima iuuatjo^ c Strii;ilcs balncorum
quid cUcnt, & cx qua inatcria hcrcnt 3'^' Siudia corpus confcruant fanum 7
A Sudorcs corpus cx luniunt Sudor cft motu piouocandus,5c q»a dccatt Ta . Sudor
finc motu proucnicnf dctcrior co dt quj a laborcproucnit »53^ Sudor ijua dc
caufa manus cxcrccniibus cx Arift fcntcntia cffluat »47 c Sudor liccus
qnisfucrit ^ 3«*} Suc omjlocusdcrcincdioh.ncnaru & aru dinii.Aiigu :ti,qu.j
fit mtciligcdus. 264 t Suftii(i o'1's co.o ts fubcos ludicant a^i.i
SurdtcatccaptosGjj.Tral. 6c Actius gciU- tionc curabant ^973 a Theon Alcxan
deathlccica fcripfic 70. c Th' rpiui pocta riltator cur /ic vocatusioi. b Thv
/Tcilus mcdicus Ncronis actatc floruit . is^.a Theffali qna dc caiifa ccntauri
fint Tocati. 167 c Tjbcrius Impcr. fcimpodio quandoq; re- hcbatur 177 c Timonis
a v.\i Juobus nicnfibus , finouiis annis in cufC-nis IiticabJt " y.a
Tyrrhcni lub eodei» regmncnto cum mu- lieribus jccumbcbanc f^.c Tjrrheni nd
tibiam pugnis certabant 107. c Titus Imp.hujbatur,vbi & plcbs 16 f Titus
In.p.qua dc ciuIj /it mortuus 47 a Tonfillas pjtjcntibus iuda noccc 246. c
Thoraccm hJtcre lardit . 25^. f& difcus. Thorax humidus ambuKirione fada
cilci- bus incunibcndo fauatur 2^3.3 Thorax difficultcr fpiras deamhulati' ne p
accliue fada luu it cx Antvili /iua 2^^3 .5 Ti i.; erant Kt mx Joca,vbi
licterarix cxci ci tatioi:rs h.banr,& t|n« z^.b Tricliniuin marm orcum
vetufti/fimu Pa tauij in nedibus Khaniniifijnis ^6 Tryphon dc atbleiica
fcripfic 71 c Tripudia nfa faltationibus antiquoru cor- rcfp6det& in quo
.ib illisd fferar 239. b Trochus graecus (|uomodo fiftus cflct no- bis cft
ignotus i62.f.& iatinus ibj.& qui- bus conucniat 2op.c Tubi perquos
circufundcrctur calorpro- diens ex bypocaurto 4^.3 Tubicinibus ipiricu rctcnro
pcritona:um runipitur 280. c Tumorcs laxos gcftatione Actius curabat 298.e
Tuflfis (icca , fpiritu reteto,curfu no in pul uerc fa{ko curatur ex Celfi fnia
2/o.e Tuflis i frigidacnufi orta fpniius cohibi- tionccuratur 278.^ Tiifli^ a
filcntio cxtinguiiur i^^.f Tybcrius Impcrator omnium primuscolis d'.vIorcm
cxpcrtus 4 f V ^TAIerius apcr milcs caecus quo rcmc- dio, oraculo
pra?nunciante, fucnt a cicit..tc libcraius f.c Vjlcriob rc^cpniar contra
Fuchfiuin, fol- Icm & Corycum diffcrre 87.3 Valcrudin.jnj quomodo Cwt
C/fcrcendi . 20p.b.23o.d Vjljrium quid cfret 43.^ Varices pjticntes fjltum
erftjoianr: 25 f.i Vjricibus Ijborantes cre£li ftare non dc- bcnt 16^ b
V.iriccs quomodo gcnercntur ibid. Variar lc Romana if^.c Ventres fngidos luda
curac 2 4y.a.& curfus 2JO.f Vertiginofos manuu gcfticulationc curabat
Arct;tus 240. d VerriginolosI.Trditfaltatio 24o.c.&pilv lu- fus 242. d Vcrtiginofi
luftam vitarc dcbent 1^6. c & curfum ciicularcm. 2j:2.f. 2^2 f&
trochum. 201; c Vcrtit;inof?js m.^Ic curabat Aret.rus pugi- Jjtn 247 c. cuiabat
c:iam difci cxcrcit.-i- tionc 25 7. c Vcrci- I N D E X ^cmginora p.ifllo vndc
omtur i^Ti.f Vci tioinofos ycajiione Gal.Tral.& Aci.cu rubant ^ ^ VcrcJuN
cr.u vchiculi fpccics i Vcrus I npC: priinuscuin duodccim (olcni conuiuio
.iccubuic 54«a Vcficx lupiUi optime,rjltattonc cxtrudun tur ^ ^^'^-^ VixapuH
vctcrcs grarcos qux hnt 2i7'C Vitjili.r l"«nuin corptis conlcrujnt 7
or.inccs lcdica vti potTuni. I9f a ViJ»cr.iriiin morlibus tibt.iruin moduli
pro- lunt.vt Gtllius rcfcrt lc jpud Thtnphra itum inucniirc i^^.c Virgo lons
ladu crat iucundtlTima y o.f VirgmcN lccundu m 1'btoncm lunt in gym-
n^ifticabcllica t xcrccnJx 66S Viri tJnrum apud aiuiijuo accuinbcb.it,non
muhcTcs y?c Viri apudantiquosquoium niodo accum- bcrcnt H-^ Virinoic quid
intcliigat hic auftor. iiS.c Viri funt tcrc omuibus iuor>l>us apti. z i
i.r Vilus dcbdicati . Jt oOicuritjti gelbtiorc- tio icrla facic tjcla,
Auicen.autho.^c.con tcrt 298 d Vitruuiosfl iruitxtatcCjf.Aug.iS.d cius
auihorituv apud jntiquos parua luir.iKid. VlccribuN quictc curandis llarc &
lcdcrc ad ucrfantur 13^ Vlccribus intc. nisjCf 1 & Cel. auihonbus,
dcambulauo rcnv^a, & molLtcr f-^da prodcft i6\.c Vnftione qui nam vtcrentur
30 d Vrd onts mJtcr.aqux fucrit Ji.d Vnaionis finif 3 3 c Vndio poft balnca
quid prxftabJt 3 1 .f Vnd 10 ab aotiquis quomodo ticrct , cii !n- ccnum ^d
VnAionibus in miiltis cxcrcirarif»nil us jn- iKiui vtcb.«nrur,& qua dc
caula x 3 icic^asna- ui-Jiionc lihcratusclt lyj^.c.joi.C a>T4rvf qu;d iii 64
f.5>4. f- cius vtihtas. AKnSnp mcndicum ,& crroncum ligniticat 1 i8 d *
*f ^ifdflU quid fignificct.i 4y courtesy of the Bibli REGISTRVM * ABCDEFGHIKLMNOPQJ^STVX.
Omnes/untquaternionespr.Ttcr * &X qui funttcrnioncs, ac Dquintcrnionenu.
VENETIIS, APVD IVNTAS. M D C i Grice:
“Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate –
‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Mercuriali. Girolamo Mercuriale. Mercuriale.
Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
Mercuriale.
Grice e Merker: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna abbandonata a Nasso --– filosofia
italiana – Luigi Speranza (Trento).
Filosofo italiano.
Trento, Trentino. Grice: “My favourite of his books is ‘storia della filosofia
ai fumetti.” -- Grice: “The fact that he found Italian words for all that Kant
says in “Metafisica dei costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and
for many reasons; he has philosophised on what makes me an Englishman: my
blood, or the fact that I was born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he
uses metaphors aptly like ‘il filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call
‘the general theory of context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse un periodo di ricerche in Germania. Allievo
di VOLPE, insegna a Messina e Roma. Cura edizioni italiane di classici dell'età
della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo, nonché di Marx, Engels e del marxismo.
Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra
mondiale, si occupa dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine
del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia
della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia
filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig.
Altri saggi: Le origini della logica, Milano, Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari,
Laterza – la metafora della luce della ragione ; Lessing e il suo tempo, Cremona, Convegno; Marxismo
e storia delle idee, Roma, Riuniti,
Storia della filosofia, La filosofia moderna. Il Settecento, Milano,
Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo” (Roma,
Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti); STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA
ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco; Marx, Roma, Riuniti;
Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione
francese, Torino, Einaudi; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a
Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza; Il socialismo vietato. Miraggi e
delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia
moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di
idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta
lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i mari. Il mito della missione di
civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il
nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio.
Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano,
Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La
metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel,
Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti
etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza, Herder, James Burnett, Lord Monboddo,
Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società,
Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster,
Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato,
società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti
economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo,
Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le
stelle, Roma, Riuniti, Maj, Il mestiere
dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile,
Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo,
Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti,
Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione
materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?,
Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster,
Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza, Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli,
Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della
filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.
La discreta classe delle idee. E’ Merker,
asul sito di Rifondazione Comunista Il
contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di M., S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo,
Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le
riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra
storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su
uniurb. Curriculum vitae. Nato nel circondario di la scuola materna e le elementari, nonché al Wilhelms-Gymnasium la
prima classe ginnasiale. Trasferitosi a
Trento , continua ivi la scuola
media e il ginnasio-liceo fino alla
maturità classica conseguita al Liceo "Prati" di Trento. Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'università di Messina, si laurea ivi
con 110 e lode in filosofia e una tesi su "Hegel e lo
scetticismo". Con una borsa di studio è a Napoli all'Istituto italiano per
gli studi storici ("Istituto Croce"), e poi in Germania un periodo di
ricerche. Alla Facoltà di Magistero di
Messina è presso la cattedra del filosofo Galvano della Volpe assistente
volontario, poi straordinario, incaricato e infine ordinario. Nella medesima
Facoltà, conseguita la libera docenza in Storia della filosofia, è stato
professore incaricato di Storia delle dottrine politiche, temporaneamente anche di Estetica, e, a
concorso vinto, professore straordinario di Storia della Filosofia. Vi ha
diretto l'Istituto di filosofia e per incarico temporaneo anche quello di
Letteratura francese. Chiamato alla
cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea della Facoltà di
Lettcre e Filosofia dell'università di Roma
"La Sapienza", vi ha conseguito l'ordinariato ed ha poi
continuato la sua attività Facoltà di
Filosofia di quell'ateneo seguito
per l'insegnamento di Storia della
filosofia moderna. Uscito dai ruoli, è professore emerito dell'università
"La Sapienza" con decreto ministeriale. Nella Facoltà di Lettere e Filosofia ha
presieduto per un paio di anni la
Commissione di Facoltà per l'ammissione degli studenti stranieri, nella
Facoltà di Filosofia è stato per un lungo periodo presidente della Commissione
scientifica del "Centro di servizi
interdipartimentali Biblioteca di Filosofia". Nella Facoltà di Filosofia
ha fätto parte di un collegio di Dottorato. E stato più volte in commissioni
universitarie di concorso per docenti universitari di prima e seconda fascia,
nonché in vari atenei per concorsi di ricercatore. Ha partecipato con relazioni
a congressi internazionali di filosofia e storia delle idee, a iniziative
culturali di università europee (Innsbruck, Zagabria), all'attività didattica
di vari Dottorati in Filosofia, a conferenze e dibattiti con studenti dei
licei. Ha tenuto un seminario di lezioni presso l'Istituto italiano per gli
studi filosofici di Napoli. Per
formazione e storia personale è bilingue (italiano e tedesco) riguardo a
lettura, scrittura ed espressione orale. Ha buona lettura dell'inglese,
francese e spagnolo, familiarità con il
francese e inglese orale. Adopera il computer per uso personale di lavoro, non
ha capacità e competenze artistiche. Studi
e ricerche Iniziali attenzioni per la
logica e dialettica di Hegel si sono concretate nella monografia Le origini
della logica di Hegel. Hegel a Jena. Successivi interessi per periodi
fondamentali della cultura in Germania, - dall'epoca della Riforma (ad es. con
un'edizione italiana di testi politici di Paracelso) fino al secolo
illuministico - hanno condotto alle monografie L'illuminismo tedesco. Età di
Lessing e Introduzione a Lessing. Un percorso parallelo e ulteriore - intramezzato in Dialettica e storia da un tentativo di
bilancio dei problemi - ha collocato via via le vicende della filosofia dentro
un più ampio quadro di storia della cultura nel quale assumono particolare
rilievo le idee e dottrine politiche dell'età moderna. Ne è un esempio la
monografia La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar. Studi specifici sono stati dedicati al
pensiero politico liberale di Kant, Fichte e Humboldt, poi ai giacobini
tedeschi in edizioni di testi e nella monografia Alle origini dell'ideologia
tedesca. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo.
Con un'appendice di testi e
documenti. La linea d'indagine di storia delle idee si è estesa verso Marx e il
marxismo, con i libri Marxismo e storia delle idee, Marx e Il socialismo
vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, nonché con la cura
di parecchie edizioni italiane di opere di Marx ed Engels. L'interesse per i problemi rimasti aperti
nell'epoca della Seconda Internazionale ha poi stimolato ricerche sull'idea di
nazione, sulle ideologie del colonialismo e sul fenomeno politico-culturale del
populismo (con, rispettivamente, le monografie Il sangue e la terra. Due sécoli
di idee sulla nazione; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà;
Filosofie del populismo. Vi si è aggiunta una ricostruzione storico-critica
della vita e delle opere di Marx e delle sue incidenze (Karl Marx. Vita e opere.
Monografia Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia che ha collegamenti
con le ricerche precedenti sul populismo.
L'analisi delle tendenze e dei nessi che emergono dalla storia delle
idee si è accompagnata anche a riflessioni sul metodo della storiografia
filosofica e a tentativi di renderla fruibile per la didattica. Di questo
filone hanno fatto parte un manuale di Storia della filosofia e più volte
riedito, e un Atlante storico della filosofia. Bibliografia Complessivamente le pubblicazioni - tra monografie, articoli vari, saggi, recensioni, voci di enciclopedie, relazioni a
convegni, testi in opere collettive -
ammontano finora a molti. Di cui
sono monografie: Il nazionalsocialismo,
Storia di un'ideologia, Roma; Karl Marx. Vita e opere, Roma; Filosofie del
populismo, Roma 2009; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà,
Roma; Atlante storico della filosofia (Roma; Il sangue e la terra. Due secoli
di idee sulla nazione, Roma; Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli
austromarxisti, Roma; Introduzione a Lessing, Roma; La Germania. Storia di una
cultura da Lutero a Weimar, Roma; L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing,
ediz. rinnovata e accresciuta, Roma; Marx, Roma; Alle origini dell'ideologia
tedesca. Rivoluzione e utopia nel
giacobinismo. Con un'appendice di testi e documenti, Roma-Bari, Marxismo e
storia delle idee, Roma; Dialettica e storia, Messina; L'illuminismo tedesco.
L'età di Lessing, Roma; Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Milano.
Nicolao Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo
d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata,
giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek
ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Messalla:
la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden. Friend of Orazio. They study
philosophy together. He opposea GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes
his peace with Ottaviano. He writes philosophical treatises. Allow me to address
briefly the L’ORTO philosophy within the context of the difficult tines
covering the years which witness the downfall of the republic and the birth of
the principate. In 'L’ORTO in Revolt'
(J.R.S.) Momigliano takes as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO
who rapidly comes to the conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated
because of what appear to be his tyrannical tendencies. The author emphasises
that during this crucial period the adherents of the L’ORTO philosophy did not
maintain a passive political aloofness. While some followers of L’ORTO actively
support GIULIO in a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio
Torquato, Trebiano, L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence
suggests, L. Saufeio and Statilio. Monigliano concludes with the statement that
on the whole, the events prove that Cassio is not an exceptional case among the
contemporary L’ORTO. The majority stand for the Republic against
Caosarisa." Horace seens to have felt an antipathy tovarda Mbullus and his
patron M. which may be explained to sone extent by political factors, in
particular the strong republican sympathies which the latter still professs
under the principate. Of M., Monigliano notes that ORAZIO writes of him,
'quanquan Socraticis madet sermonibus', a dubious expression, but the Ciris
(whatever its date and author) shows him well acquainted with the L’ORTO circle,
and his leader is, as he proudly proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.).
I suspect then that he is a definite member of L’ORTO. It is, then, I think
possible that M.'s political persuasions are coloured by his philosophical
thinking and that his intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an
ethical nature. Monigliano, arguing along the lines of Diels, maintains that in
a passage of his treatise on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a
political viev: "the words reflect the indignation of a man who sees the
defenders of the Republic play into the hands of the tyrant. Similarly in his
treatise on death the same philosopher recoends that sen should be ready to
face death in the event of political persecution. Followers of L’ORTO are
capable of reacting decisively to political circumstances, this being a major
point advanced by Monigliano who maintains for instance that the sane Saufeio is
not outside politics absorbed in the 'interrundia' but that he mingles
philosophy and political action which probably acoount for his being exiled and
falliag riotin to the proscriptione, and that Cicerone’s friendship with a
number of L’ORTO is based on the faot that adherents of the philosophy
possessed political feelings with which he sympathised. Both democracy and the
non-tyrannical state find approval in the L’ORTO theory of the social contract,
though the adherent of the philosophy is generally advised to renain outside
politios. When ve consider M.’s resignation fron the office of 'praefectara
urbis' on the grounds that the pover with which he vas invested was
unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect that republican
scruples combine with his adherence to a philosophical mode of thought which
preached political aloofness, affected hio decision. His is a detached
involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and resignation
from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy between M.
and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy opinion
reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations
about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its
ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which
would contribute to the welfare and strength of the state which the poet
manifests. Disambiguazione – Se stai cercando
l'omonimo, si veda M. console. Console della Repubblica romana Scultura che
probabilmente ornava la parte superiore di un piedistallo marmoreo contenente
l'urna cineraria di M., rinvenuta nella villa di quest'ultimo ed ora conservata
nel Museo del Prado. Figli Marco Valerio M. Messallino. Gens Valeria Padre Marco
Valerio M. Corvino Consolato. Proconsolato in
Gallia Comata. Militare e filosofo romano, patrono della letteratura e delle
arti. Membro dell'antica gens Valeria, di ideali repubblicani, nella battaglia
di Filippi combatté al fianco di Bruto e Cassio. Passa poi dalla parte di
Antonio ed infine entra nelle file di Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione
sul frontone del Palazzo Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava
nell'Illyricum a combattere gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus
militum. Consul suffectus assieme ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di
Azio a fianco di quest'ultimo. In seguito ha il comando di una missione in Asia
Minore. Combatté contro il popolo alpino dei Salassi, come proconsole della
Gallia, dove soppresse anche una rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese
celebra un trionfo. Tacito riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M.
rinuncia alla carica dopo pochi giorni adducendo motivazioni legate alla sua
incapacità di esercitare l'incarico. In quanto princeps senatus, autorevole
esponente dell'aristocrazia romana, avanza la proposta dell'attribuzione a
Ottaviano del titolo di pater patriae. M., letterato Alla partecipazione alla
vita pubblica, accompagna l'interesse per la filosofia. Influenza
considerabilmente la filosofia che incoraggia sull'esempio di Mecenate. Il
gruppo che lo circonda e noto come il circolo di M.. Tra gli altri comprende
Tibullo e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed OVIDIO (si veda). Elogiato da
Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus Tibullianum e in un
poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre, console, il figlio
Valerio Messallino, e un discendente M., console come collega dell'imperatore
Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la Valeria, sposa di Quinto
Pedio, console insieme ad Augusto, che
aveva proposto la lex Pedia contro i Cesaricidi. Syme Wilkes Velleio
Patercolo, Tibullo, Tacito, Annales: quasi nescius exercendi. Svetonio, Augustus.
Fonti antiche, Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά) Dione Cassio,
Storia romana. (testo greco e traduzione inglese). Svetonio, De vita
Caesarum libri VIII. (testo latino e traduzione italiana). Tacito,
Annales. (testo latino , traduzione italiana e traduzione inglese). Tibullo,
Corpus Tibullianum. Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium
consulem libri duo. Fonti storiografiche moderne Cantarella, «M., Ovidio e il
circolo dei poeti», Corriere della Sera, Syme, L'aristocrazia augustea, Milano,
BUR, Wilkes, Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire, Londra,
Routledge Voci correlate Casal Rotondo. M. Corvino, Marco Valerio, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Olivetti e Lenchantin De Gubernatis -, M., in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, su sapere.it, De Agostini.
Marcus Valerius M. Corvinus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts,
Packard Humanities Institute. Opere di Marco Valerio M. Corvino, su Open
Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Gneo Domizio
Enobarbo, Gaio Sosio con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare
Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso. Circolo di M. V D M Guerra civile romana
VDM Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Età augustea Categorie: Militari romani Scrittori
romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli
repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori
romani della Gallia Mecenati romani[altre] Marco Valerio M. Corvino, console. Marco
Valerio M. Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus Valerius
Messalla Corvinus FigliMarco Valerio
Messalla Corvino GensValeria Pretura Consolato Censura Marco Valerio M. Corvino (in latino Marcus Valerius M. Corvinus
o anche Marcus Valerius M. Niger; ... filosofo
romano. Pretore quando Cicerone e console e, console quando Publio Clodio viola
i misteri della Bona Dea. Censore assieme a Vatia Isaurico, e sempre in carica,
tentarono di regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum. Smith,
Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown
and Company, Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic, II,
New York, Predecessore Console romano Successore Decimo Giunio Silano e Lucio
Licinio Murena con Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano Lucio Afranio e Quinto
Cecilio Metello Celere Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politiciromani
Consolirepubblicani romani Valerii [altre] Consul. Roman Senator who lived in
the Roman Empire. He might have been the brother of empress Messalina. A
member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan
literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio
Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul
Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria
Messalina, the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval
Brethren. Served as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a
suffect consul with Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is
granted an annual half a million sesterces to maintain his senatorial
qualifications. Biographischer Index der Antike, Lucan, Civil War
Paterculus, The Roman History, Lucan, Civil War Shotter, Nero Der
Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus, Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D.
Shotter, Nero, Routledge, Lucan, Civil War, Penguin, Velleius Paterculus, Yardley
e Barrett, The Roman History, Hackett Publishing, Biographischer Index der
Antike, Gruyter, Political offices Preceded by Nero II, and Lucius Caesius
Martialis as Suffect consulsConsul of the Roman Empire with Nero III, followed
by Gaius Fonteius Agrippa. Succeeded by Aulus Petronius Lurco, and Aulus
Paconius Sabinus as Suffect consuls Categories: Valerii MessallaeAncient Roman
patricians1st-century Roman consuls1st-century clergy Marcus Valerius
Messalla Corvinus Article Talk Read Edit View history. Not to be confused
with Marcus Valerius M. Corvinus, consul. Marcus Valerius M. Corvinus. A Roman general, author, and patron of
literature and art. The triumph of Corvinus in the pediment of the
Krasiński Palace in Warsaw Print of the Roman General, made by Hendrick
Goltzius. Corvinus was the son of a consul, Marcus Valerius M. Niger, and his
wife, Palla. Some dispute his parentage and claim another descendant of Marcus
Valerius Corvus to be his father. Valeria, one of his sisters, married Quintus
Pedius, a maternal cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew
from this marriage is the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also
named Valeria married Servius Sulpicius Rufus, a moneyer. Corvinus marries
twice. His first wife is Calpurnia, the daughter of Marco Calpurnio Bibulo.
Corvino had two children with Calpurnia: a daughter, Valeria Messalina, who
married Titus Statilius Taurus; and a son called Marcus Valerius M.
Messallinus, consul. His second son was Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino,
consul, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis
of the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship
of the second son. The writings of the poet OVIDIO (Ex Ponto) reveal that the
second wife of Corvino is a woman called Aurelia Cotta. Another fact supporting
the theory that Aurelia Cotta is the mother of Marcus Aurelius Cotta Massimo
Messalino is that he was later adopted into the Aurelii Cottae. Corvino is
educated partly at Athens, together with ORAZIO and CICERONE. He becomes
attached to republican principles, which he never abandones, although he avoids
offending GIULIO Cesare or OTTAVIANO by not mentioning them too openly. He
is proscribed, but manages to escape to the camp of BRUTO il giovane and CASSIO.
After the Battle of Philippi, he goes over to MARC’ANTONIO, but subsequently
transfers his support to OTTAVIANO. Corvino is appointed consul in place of
MARC’ANTONIO and takes part in the Battle of Actium. He subsequently holds
commands in the East and suppresses the revolt in Gallia Aquitania. For this
latter feat, he celebrates a triumph. Corvino restores the road between
Tusculum and Alba, and many handsome buildings are due to his initiative. He
moves that the title of “pater patriae” be bestowed upon OTTAVIANO. Yet he also
resigns from the post of prefect of the city after six days of holding this
office because it conflicts with his ideas of constitutionalism. It may have
been on this occasion that he utters the phrase (but in Latin) "I am
ashamed of my power". His influence on literature, which he encouraged
after the manner of Gaius Maecenas, is considerable, and the group of literary
personalities whom he gathered around him — including Tibullus, Lygdamus and
the poet Sulpicia — has been called "the M. circle". With ORAZIO and TIBULLO
he is on intimate terms, and OVIDIO expresses his gratitude to him as the first
to notice and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one
printed among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the
Catalepton, the collection of small poems attributed to VIRGILIO) indicate the
esteem in which he was held. Corvino IS HIMSELF THE AUTHOR OF VARIOUS WORKS –
ALL OF WHICH ARE LOST. They include memoirs of the civil wars after the death
of GIULIO CESARE, used by Svetonio and Plutarco; bucolic poems in Greek;
translations of Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and
essays on the minutiæ of grammar. As an orator, he follows CICERONE instead of
the Atticizing school, but his style is affected and artificial. Critics
consider him superior to CICERONE, and Tiberio adopts him as a model. He writes
a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De
progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvino, but in fact is a much
later production. Places associated with Corvinus The so-called
Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary monument that
may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a country villa at
Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of Corvinus, it is now
in the Museo del Prado in Madrid. Corvinus had a house on the Palatine Hill in
Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus presented it to
Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa. An inscription (CIL = ILS) records
Corvinus as the owner of the famed Gardens of Lucullus (Horti Luculliani)
located on the Pincian Hill where the Villa Borghese gardens are today.
The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near the sixth milestone on the Appian
Way, is often identified as being the tomb of Corvinus, but this is debatable. Corvinus
is also recorded in an inscription as being one of the three friends of Gaius
Cestius responsible for erecting statues that once stood at the site of the
famous Pyramid of Cestius which is located close to the Porta San Paolo in
Rome. In 2012, a luxurious villa of Corvinus was found on the via dei
Laghi near Ciampino. The finds included seven colossal statues of Niobids that
had toppled into the piscina apparently due to an earthquake. Another luxurious
villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his. It was burnt
down. Since its original excavation it was believed to belong to his family
since he was a patron of OVIDIO who wrote of his visit to Corvinus's son on
Elba before his exile on the Black Sea. Recent excavations below the collapsed
building reveal five dolia for wine which are stamped with the Latin
inscription "Hermia Va(leri) (M)arci s(ervus)fecit, made by Hermias, slave
of Marcus Valerius. Legendary ancestor of Hungarian royalty The
triumph of Marcus Valerius Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in
Warsaw The Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with
Janos Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and
Bohemia, claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion
that he became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future
Hungary and part of Romania, that his descendants continued to live there for
the following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants –
for which there is scant if any historical evidence. The connection seems to
have been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was
well-versed with the classical Latin authors. Bonfini also provided the Hunyadis
with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which the
tribune, Marcus Valerius Corvus, while on the battlefield, accepted a challenge
to single combat issued to the Romans by a barbarian warrior of great size and
strength. Suddenly, a raven flew from a trunk, perched upon his helmet, and
began to attack his foe's eyes with its beak so fiercely that the barbarian was
blinded and the Roman beat him easily. In memory of this event, Valerius'
agnomen Corvinus (from Corvus, "Raven") was interpreted as derived
from this event. The Hunyadis called themselves "Corvinus" and had
their coins minted displaying a "raven with a ring". This was later
taken up in the coat of arms of Polish aristocratic families connected with the
Hunyadis, and also led to Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph over the
Aquitanians being commemorated in the pediment of the Krasiński Palace in
Warsaw. See also Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms
References Jeffreys, Roland. "The date of M.'s death". The
Classical Quarterly "Valerius Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R.,
Augustan Aristocracy, Syme, Augustan Aristocracy, Skidmore, Practical Ethics
for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. Sullivan,
Apocolocyntosis, Penguin, Anonymous Panegyric of M.: translation by
Postgate. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in
Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, Cassius Dio The excavator Canina,
deduced from a small piece of inscription with the name "Cotta" that
the monument had been built by Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his
father, Marcus Valerius Messalla Corvinus, but this inscription and other
architectural fragments are now assumed to have come from a smaller monument at
the site, and they may have nothing to do with Corvinus, cf. Grifi, "Sopra
la iscrizione antica dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome
Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera
Buranelli & Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le
fotografie di Thomas Ashby: Rome: L'Erma di Bretschneider, Papers of the
British School at Rome Seven Statues Linked to Ovid Recovered from Roman Pool –
Archaeology Magazine". archaeology.org. Retrieved 28 June 2023.
"Ben-Hur villa at risk of demolition in Rome". The Daily Telegraph.
London. Lorenzi, "Excavating an
Ancient Villa: Photos". Seeker. This article incorporates text from a
publication now in the public domain: Chisholm, Hugh, ed. M. Corvinus, Marcus
Valerius". Encyclopædia Britannica. Cambridge Wiese, Berlin, Valeton, Groningen,
Fontaine, Versailles, Schulz, De MV aetate; M. in Aquitania, Postgate in
Classical Review, Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the
Elegiac Poets, Oxford; the spurious poem ed. by R. Mecenatë. Syme, The Augustan
Aristocracy, Clarendon, Political offices Preceded by Gnaeus Domitius
Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul with Octavian III Succeeded by Marcus
Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: Roman governors of
Syria Roman augurs Romans Ancient Roman generals Patrons of literature Ancient
Roman patricians Urban prefects of Rome Valerii Messallae People of the War of
Actium. Luigi Speranza, “Grice e Mesalla: L’Orto”
– The Swimming-Pool Library. Marco Valerio Messalla Corvino.
Grice e Mesarco:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del figlio di
Pitagora – Roma – filosofia calabrese --
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Crotone, Calabria The son of Pythagoras. He leads the sect after the
death of Aristeo. Mesarco.
Grice e Mesibolo:
la ragione conversazionale e la scuola di Reggio -- Roma – filosofia calabrese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio Calabria,
Calabria. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.
No comments:
Post a Comment