Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Saturday, August 13, 2011

La scultura di Genova

Luigi Speranza

Anzichè descrivere scuole di scultura in Genova, dobbiamo procedere per caratteri ed epoche, giacchè gli artisti anteriori al xvi secolo son molti ma oscuri, i più recenti in gran parte stranieri.

Trovansi in Genova, come in molte altre città d'Italia, monumenti d'antica scultura.

I molti sarcofaghi e bassirilievi romani che si veggono sul prospetto del Duomo, e in altri luoghi della città e della provincia, mostrano apertamente che l' arte si esercitava tra noi ne'secoli dell' impero, comunque altri possa credere che molti di questi marmi fossero recati a Genova da'lontane conquiste sull'esempio de'pisani e de' veneti.

Abbiam penuria ma non assoluta mancanza d'urne cinerarie, le quali, per ciò eh' è d' epoche, si debbono unire ai suddetti sarcofaghi.

E non è da supporre che mentre ogni municipio latino sentiva i] bisogno di ornare co' marmi la memoria degli estinti, e di raccoglierne in decorosa urna le ceneri, Genova sola non ignobil colonia dell' impero fosse cieca all'esempio.

Non è improbabile che verso il 1000 alcuno de' greci scultori sparsi nella nostra penisola maneggiasse scalpello in Genova.

Ma ci è forza arguirlo dallo stile, giacchè memorie non ne rimangono, il che ci apprestiamo a porre sott' esame nei principii dell' opera ove si parla della Cattedrale.

Un saggio di quello stile bizantino , che ritenne dopo Costantino un' impronta del romano stile esiste in Genova fin dal 1098 nelt'urna in cui i genovesi portarmi dall' Asia le ceneri del santo Precursore. Nondimeno l' arte dello scolpire non fu nel medio evo privilegio de' greci eh' eran corsi in Italia a miglior ventura.

Gl'italiani (è opinione del Cicognara giustificata dall'evidenza) non ne abbandonarono giammai l'esercizio, comechè la distruzione de' buoni esemplari li avesse ridotti ad una mostruosa meccanica.

Per quel che spetta a noi, ci attendono valevoli confronti sulla facciata del Duomo.

Le condizioni della scultura peggiorarono ne' secoli Xii e xiu.

Oltre alla goffezza che distingue i lavori di questo tempo, dobbiamo confessarne anche la penuria.

Essi son conformali ad una servile esecuzione ad un carattere di puerilità, che son l'ultimo grado dell' artistica decadenza.

I primi indizi del risorgimento in Genova debbonsi segnare nel 1356, epoca del sepolcro del card. Luca Fieschi, nel quale si discernè l'imitazione della scuola pisana.

Durante questo secolo l' esercizio si fa maggiore, e gli vanno attribuite molte opere che ha la città, in cui lo stile si fa gradatamente più largo, e più destra l' esecuzione.

Anche parecchi luoghi della provincia possono addurre onorevoli saggi.

Specialmente Savona , nel cui Duomo son bassirilicvi , che malgrado la rozza esecuzione, mostrano quanto il pisano stile cooperasse fra noi, come in Italia tutta, al rinascimento dell' arte.

Una repubblica fiorente per civile grandezza, e madre di potenti e generose famiglie non potea venir meno all'esercizio della statuaria, che tanto giova al decoro privato e pubblico, e serve ad onorar degnamente le ceneri degl' illustri passati.

Il secolo xv ha gran parte de' suoi monumenti nelle urne, ne' mausolei, nelle lapidi sepolcrali.

Die'pure alimento agli artisti la predilezione ch'aveano i cittadini alla scultura ornamentale; e dagl' innumerabili portali d' antiche case o palazzi intagliati riccamente di fregi e rabeschi, noi prenderemo certezza, che dal trecento fin presso la metà del xvi secolo fu continuo in Genova il lavorìo di queste gentili decorazioni, che in epoca recente destavano a meraviglia Y illustre Cicognara.

Cosi l' arte delle figure e degli ornamenti si davano scambievole aiuto per produrre opere degno di quest' aurea età, che nella patria nostra son molte",' e mal diresti se più lodevoli per imponet""" o leggiadria Che il magistero del ~ '.o.csse dietro a sì belle pruove,N cel persuade un' urna lavorata nel 1457 da Teramo di Daniele, la quale ci attende nel Duomo. Non possiamo indicare i progressi delia scultura senza accennar di volo, come 1' arte delle linee, sulla metà di questo secolo facesse subitaneo passaggio dal capriccioso de'teutonici alle severe forme latine. Para che gli statuarii secondassero l' impulso, e secondo che le parti architettoniche si faceano grandiose e ragionate, le figure s'aggrandissero, s'armonizzassero cogli spazi, con maggior sobrietà si usassero gli ornati e con più convenienza al loro uffizio.

L'imitazione delle scuole toscane così diffusa in que' tempi, diresse per avventura que'.passi rapidi ma sicuri verso il gusto semplicissimo e colto ehe signoreggia in ogni scultura eseguita sul declinare del secolo.

E a questa imitazione dobbiamo (se non erro) alcuni bassirilievi lavorati in maiolica con tanto gusto di Luca Della Robbia, da parer frutto della sua scuola.

L'uso di questa materia non era ignoto fra noi, anzi mantenuto ab antico ncll' occidentale riviera per lavori di minor prezzo, e l' esempio di quel toscano potè certo invogliare i nostri artisti a un tal genere di scolpire più facile e mei) dispendioso.

Fin qui, come vedemmo, la storia della nostra scultura s'appoggia all'esame de'monumenti, anzichè di scuole o d' autori, nè le è dato distinguere tra i frutti che illustran la patria, quali debban credersi lavoro di genovesi, quale di stranieri.

Giacchè egualmente è incredibile che sien tutti opera o di questi, o di quelli.

Col finire del xv secolo hanno principio le notizie c,.,-to. Jntot. > «1 i4a(i fu chiamato da Lucca Matteo Givitali a scolpire per la cappella del Battista le sei statue, che siccome son prime in Genova per epoca non incerta , così primeggiano sovra ogni altra per merito artistico. Lavorò pel luogo stesso due statue Andrea Contucci da Montesansovino, ma secondo io credo, posteriormente.

E l'esempio di questi due toscani potè giovare al miglioramento che trapela nelle sculture di quella età, benchè s' abbia per certo che niun di loro si fermasse in Genova più di quel tempo che abbisognava all'opera , anzi non sia certo che il Sansovino vi si recasse.

E falso che Donatello lavorasse in Genova o per Genova, come spacciarono alcuni, mal leggendo uno scritto sovrapposto a certi bassirilievi in santo Stefano.

I nomi degli artefici sono, Donato e Benedetto Benci , non ignoti nell'inferiore Toscana, e la data c del 1499.

Mentre quel grande caposcuola cessò di vita nel 1466. E ciò basti a confutare l'ardita assertrne , se pur non basta per sè la disparità del merito che corre, tra queste e le sculture di lui.

Tornando al racconto, noi troviamo un Pace Garino Bissoni sottoscritto a' pie d' una statua nella gran sala di S. Giorgio, seguace di quel semplicissimo stile, ma probabilmente straniero.

Nè altri nomi ci è dato di riferire, tuttochè da'monumenti sia lecito arguire, che i nostri, destinati sempre ad imitare e a rimanersi oscuri, non fosser però lenti a seguitare quella schietta ed elegante maniera che presto finì col sopraggiungere de' michelangioleschi.

I prodigi di Damiano Lercaro che scolpiva ben sei figure sovra un osso di cilegia, come scrive il Giustiniani, non hanno a trattenere chi stringe in breve discorso le epoche storiche dell' arte.

Gio. Angiolo Montorsoli, chiamato in Genova dai Daria circa il 1528 fu primo a diffondervi il nuovo stile di Michelangelo, che alla estrema semplicità sostituì l'imponenza e la gagliardia, travisate poi da' successori in caricatura ed ostentazione. Nel tempo stesso si unì a lui ne' lavori del Palazzo Doria a Fessolo Silvio Cosini da Fiesole allievo d' Andrea Ferrucci , artista elegante e vago di robustezza michelangelesca ma non da pareggiarsi al Montorsoli.

Ma dagli esempi di costoro non profittarono i cittadini come fecero di quelli che in pittura vi lasciò il Buonaecorsi, nè è facile trovar monumenti che ci additino un imitatore.

Fu minor danno, che i nostri, lenti o svogliati, com'è chiaro, all'esercizio della scultura, guardassero con eguale freddezza alle opere che eseguì in Genova Guglielmo Della Porta milanese. Venne a noi nel 1531 condotto dallo zio Gio. Giacomo incaricato de' disegni per la cappella del Battista, e vi lavorò parecchie statue, dopo le quali passò a Roma ove fu accolto con onoranze e rimunerato con uffizi.

ConUittociò rimase fra noi qualche orma del suo stile, come veggiamo da qualche opera d'ignoto autore, che nel metodo delle pieghe e negli atteggiamenti delle figure trascende alle bizzarrie di Guglielmo.

Nella seconda metà di quel secolo posson registrarsi alcuni scultori nostrani, ma dispersi per la provincia e in città estere, o dati all'arie per puro diletto, e perciò mal atti a fondarvi scuola.

Alla seconda classe appartiene quella degna coppia d'amici e pittori, Luca Cambiaso e il Castello da Bergamo, i quali stancatisi presto d' una meccanica più faticosa e men dilicata (come a lor parve) che non è il dipingere, lasciaron gli scalpelli, contentandosi di dirigere con disegni e modelli altri artefici, e singolarmente il lombardo Giacomo da Valsoldo che a' loro tempi operava in Genova.

La storia ci dà notizie d' un Leonardo da Sarzana che sul tramonto del secolo fiorì in Roma mercè la protezione del pontefice Sisto V; e Savona ha bel vanto dai due Sormani Leonardo e Gio. Antonio, nati colà da Pace Antonio di Como; il primo de' quali visse pure in Roma a' servigi di Sisto V e di Gregorio XIII.

L'altro, vista Roma, cercò fortuna presso Filippo li di Spagna, e l' ottenne secondo i desiderii.

Rientrano nel campo della nostra scultura gli artisti stranieri.

Nel 1580 il patrizio Luca Grimaldi chiamò a Genova il famoso Giovanni Bologna porcile fregiasse di bronzi la sua cappella in S. Francesco di Castelletto.

Recava egli uno stile che unisce al gagliardo de' michelangioleschi una grazia d' espressioni e un garbo di modellare oltremodo piacevoli; ma neppur egli v' ebbe discepoli od imitatori. Venne eon lui per aiuto Pietro Francavilla, fiammingo di nascita, d'educazione italiano, e più che il Bologna, innamorato della forte maniera del Buonarroti, e per commissione del doge Senarega e d' un Grimaldi condusse alcune statue in marmo di sua invenzione. Vedremo a suo tempo le opere de' due colleghi ; quelle del secondo ci persuaderanno che 1' autore non rimase tra noi meno di cinque anni.

Collochiamo in capo al Xvh secolo il lombardo Taddeo Carlone, non perchè gli appartenga veramente, avendo fiorito nel precedente, e vissuti di questo non più che tredici anni, ma perchè preparò a questa età una serie di slntuarii, la quale destò, benchè tardi, ne' cittadini il desiderio di scuotersi una volta dall' indegno letargo. Non fece il Carlone come gli antecessori che lasciavano Genova, compiuti appena i lavori a'quali venivan chiamati, ma condottovi dal padre, non se ne staccò che pochi anni per meglio studiar l' arte in Roma, dopo i quali vi stabilì domicilio, e toltavi moglie, n'ebbe que'figli che vedemmo sì illustri nella storia pittorica. Certo fece suoi studi in Genova sul Montorsoli, e li proseguì in Roma sui tipi di Michelangelo, onde riuscì scultore elegante e grandioso, come ci diranno le opere della sua giovinezza , poichè avanzando in età, soverchiamente condiscese alla pratica, e finì manierista. Nella lunga età che visse nella patria nostra (dal l5G0 al 1613) ebbe occasioni innumerevoli, e potè dispensar lavori a' suoi congiunti e connazionali che correun quivi, o meglio vi si affollavano. Con lui vi s' era stabilito un suo fratello per nome Giuseppe , anch' egli scultore, ma di minor conto , e padre di due scultori, Bernardo e Tommaso , de' quali il primo studiò una semplicità ed un gusto, direi superiori al comun vezzo che già inchinava alla pratica ; ambidue chiamati poscia a corti estere, Bernardo a quella di Vienna, Tommaso a quella di Torino- Altri lombardi uscirono dalla scuola di Taddeo; niun genovese. Si nominan per istatue chc ci restarono in numero scarso, un Leonardo Ferrandina, un Martino Rezi, un Daniello Casella, e Domenico Scorticone, che secondo V uso de' tempi coltivò anche l' architettonica, ed ebbe nome di valente. — E più altri, venuti da quelle bande, istrutti da' discendenti di Taddeo, o a lor consimili nello stile vogliono accennarsi in questo luogo, quali sono un allievo del Casella, di nome ignoto, G. B. Bianco esperto in getti di bronzo e figlio al Bartolomeo architetto egregio, e finalmente Tommaso Orsolino, che nato in Genova di padre lombardo, potrebbe inserirsi nel breve numero de' nostri se la scultura avesse ragione a superbire di lui.

Nondimeno le scarse commissioni eh' ebbero questi discendenti dello straniero caposcuola, e più le opere che uè son rimase, ci dicon chiaro che il magistero

de' lombardi innanzi alla metà di questo secolo illanguidi per forma, da non bastare a richieste di grave momento. Alcun'di loro morì quindi a non molto nell'imperversar del contagio, gli altri fuggirono alle natie contrade-, e vedremo dopo quest' epoca altri stranieri invitarsi a Genova, e Genova pur finalmente contrapporre i suoi scultori agli altrui. Poco prima del 1650 Giacomo Franzoni che fu cardinale sotto Alessandro VII chiamò da Roma l' Algardi pei bronzi della sua cappella in S. Carlo. Scolpì eziandio alcuna cosa in marmo, e*con lui s' introdusse per la prima volta in Genova quello- stile che dominava nella capitale delle arti, e che diffuso in Italia dal genio di Lor. Beruino, e peggiorato da una moltitudine d' imitatori portò fino a questi ultimi tempi la corruzione del gusto. Felice però la scultura se gli artefici non avessero spinto il licenzioso oltre i limiti che le segnò l' Algardi, le cui opere son ricchissime di buone prerogative benchè mal nascondano i semi del pervertimento. Non leggiamo che alcun de' nostri profittasse de' consigli o degli esempi di lui • i primi che si volsero all' arte, ne cercarono i precetti in Roma, e li ebbero più capricciosi e scorretti.

I bernineschi teneano il campo-, nè tardò a giungere fra noi chi ne divulgasse le massime e ne accendesse l' emulazione con opere di gran prezzo. Pietro Pugct francese di nascita, ma cresciuto all' arte nelle scuole di Roma venne a Genova per invito di Francesco M. Sauli e vi scolpì due statue per la basilica di Carignano-, nè molto vi stette, fuggendo la ciltà e 'l committente per iscortese puntiglio. Bastò nondimeno la sua breve dimora e le opere accennate perchè i cittadini gliene spedissero altre richieste in Francia: donde li compiacque. Adescati, com'io penso , dalla fortuna del Pugct, trassero a noi diversi connazionali di lui, ma gente di minor polso; un tale Monsieur Onorato che vi stette molti anni, un Claudio David, che sebbene di scorrettissimo gusto in tempi scorretti, pur non giunse a piacere e a soddisfare chi !' occupò, e per terzo Monsieur La Croix famoso pei piccoli crocifissi che ordinariamente scolpiva in avorio, ne'quali più che artista di Secolo sconsigliato, par seguace degli ottimi esempi e studioso imitatore del vero.

Mentre V orgoglioso Puget dava le spalle a Genova, ii tornava a gran passi da Roma il nostro Filippo Parodi, giovine e pieno d'ingegno e di volontà, e «ildo di promuovere in patria lo stile del Bernino a eui s'era dato per discepolo in Roma. Dall'arte dell' intagliare in legno minuti rabeschi e figurine senta se orta di maestro, si rivolse a più grande studio di scultura, mosso dal proprio istinto e da' replicati consigli di D. Piola. Al suo ritorno da Roma fu tosto impiegato dal Sauli per la sua basilica, e la statua ch' egli vi pose, gli fe' tal mei-ito presso i cittadini, che non parve più duopo il ricorrere a stranieri per aver simulacri. Chc la sua fama non si limitasse in patria eel dicono le commissioni a cui si recò in altre città d'Italia come in Padova e Venezia , ed altre chc gli vennero fino dal Portogallo. Come in vita ebbe il vanto dell' esser primo a fondare tra noi una scuola di scultura, così in morte potè confettarlo il pensiero di lasciar ne'figli e negli allièvi non pochi cultori della pittura e della statuaria.-Cedette-alla natura nel.1702, in età più che settuagenaria. Fauno onorevol comparsa nella scuola pittorica i suoi figli, Domenico e Giambattista ; e il primo, avvezzatosi da fanciullo a modellare sugli occhi del padre, non ricusò, fatto adulto , di por mano agli scalpelli. Ma il gusto camminava a sconsiglio, ne il Domenico, benchè corretto e nòbile ovunque dipinse, seppe astenersi dal peggiorar ne'difetti ove la fece da scultore. Coetaneo più che allievo di Filippo Parodi fu Daniello Solaro, istrutto com'egli in Roma co'bernineschi, ed acconciatosi poi. col Puget, al quale servì d'aiuto nelle statue di Carignano. Però vuol'essere annoverato in questo stuolo di corruttori, com' anche un Domenico Parodi, genero al Piola, seguace men sobrio dello stile medesimo, ed autore di poche cose, avendo data opera all' alchimia, che oltre al distrarlo dall'arte, gli costò, la vita per malaugurati esperimenti. Questi tre, che posson dirsi i fondatori dello stile herninesco in Genova, mancarono alla patria nel breve corso di cinque anni. Restò delia scuola di Filippo Parodi (ortre il figlio Domenico) un suo genero, Giacomo Ant. Ponsonclli, a cui diede i natali la città di Massa, Genova le discipline dell'arie, ed emolumenti ed onori fino all'-anno 1755, nel quale morì decrepito. Ammaestrato dal suocero, e tolto per aiuto in molte sue opere, prese abitudine a quel gusto, e da passionato imitatore ne accrebbe i difetti. E veramente niuno di questi seguaci ebbe genio bastante a conservare quél nonsochè di largo
e di robusto che pur diletta ne' lavori di Filippo, e i caratteri della scuola propendono al minuto ed all'esile, secondochè l'epoca si fa più recente. Si rammentano appena Francesco Biggi e Domenico Garibaldo, mediocri allievi, e quasi sempre aiuti del maggior Parodi.— A tutti costoro prevalse Angiolo DeRossi, ma non fu prima addestrato nell' arte che passò a Roma, e quivi morì nel 17l5 in età virile. Gli fu data la maggior lode che dar si possa ad artista vissuto in epoca si scorretta ; di studioso cioè del vero, d'esatto nelle parti, di leggiadro nel comporre. Il maggior suo pregio sono i mezzirilicvi, nè forse il Vaticano ha un migliore di quello ch' egli scolpì sul monumento d'Alessandro-Vlli, lodato a cielo dal Titti nella sua guida di Roma.

Il nome d' Anton Maria Maragliano, che dal tramonto del xvii secolo fin presso alla metà del successivo tenne senza rivali il campo della scultura in legno, m' invita ad ordir da' suoi principii un cenno rapidissimo su quelli che in Genova coltivarono quest' altra meccanica. Convien cercarne i promotori in strania gente. Nel xvi secolo il conte Filippo Doria passando pel contado d'Urbino, vide un pastorello di nome Filippo Santacroce, che stava intagliando per diporto sul legno certe figurine con garbo. Seco il condusse a Roma, e messolo a studio, il riebbe poscia a Genova scultore di bel magistero, e gli procurò commissioni. Nacquero del Santacroce cinque figli, che tutti si diedero all' arte paterna, e furono richiesti agl' intagli del soffitto nella gran Sala di Palazzo, a' quali furon poscia sostituiti gli affreschi. La scuola si propagò in Gio. Batta Santacroce figlio al Matteo, fra i cinque primogenito -, e possiam dir che cessasse con due genovesi istrutti da lui. Sono questi un Gerolamo Delcanto, e Stefano Costa, morto l'uno per vizi e bagordi in giovine età, l' altro nella pestilenza del 1657. — Il secondo maestro di scultori in legno fu Domenico Bissoni detto dalla patria il Veneziano, che venuto a Genova per domestici affari, vi trovò tal favore e tante richieste che decise di prendervi stanza, e vi morì nel 1659. Più che in grandi opere ebbe credito ne' piccoli crocifissi, che tuttora s' additano con nobil vanto ne' gabinetti de' privati. In isculturc più vaste si segnalò un figlio per nome Giambattista che gli nacque in Genova, e vi operò lungamente, ritenendo l' appellativo del padre. Studiò con lui nella scuola di Domenico un Marcantonio Poggio, di cui non rimane lavoro certo ; e da lui fu ammaestrato Pietro Andrea Torre, il quale ebbe vanto d'incamminare all'arte il Maragliano, che seguendo l'ordine de' tempi abbiam posto in fronte al presente articolo, ^ato costui nel 1664 di poverissima famiglia, s'acconciò prima per fattorino presso un mediocre scultore , poscia per allievo col Torre, dal quale non tardò molto a congedarsi per aprire stanza, e ricevere commissioni. Gli arrise la sorte, poichè la gara insorta a' suoi tempi tra le compagnie de' disciplinanti a chi meglio sfoggiasse in crocifissi e macchine di scultura, gli fece affluire allo studio tante richieste quante si direbbero bastanti alla vita d'un uomo. Da queste opere gli venne quel favor popolare che non è spento a' giorni nostri, tuttochè molte di esse perissero, o

andassero a mercato col cessare di quel pio fanatismo. Nondimeno altri lavori e quasi innumerabili condusse per uso diverso, onde in Genova se ne trovano a sazietà. Leggiamo che Domenico Piola gli fu largo di consigli, e s'ha per tradizione che- non gli fosse avaro di disegni; cosa che sembra anche attestarci lo siile delle sue statue. Somiglia, benchè in diversa meccanica, i più destri e veloci pittori della sua età, giacchè non è d' ugual.pregio in ogni opera, e in taluna par trascurato, e soverchiamente -licenzioso, dove in altra è gentile e abbastanza corretto. Il manierismo era carattere dei tempi. — Suoi discepoli ed imitatori furono i due fratelli Pietro e Francesco Galleani, l' un de' quali passò a Cadice, e vi consumò la vita in lucri ed onoranze, l' altro non volle staccarsi da Genova, e morì fra noi nel 1761, lasciando poche opere e niuna sostanza. O il Maragliano avesse esauriti i desiderii de' cittadini, o a costoro sembrasse mediocre ogni scultore da quello in fuori, gli allievi ne ereditarono lo stile ma non la fortuna ; e appena 6Ì nomina un Pasquale Navone che visse fino al tramonto del secolo, benchè artista di molto valore.

Tornando alla scultura; in marmo, seguitiamo l' ordine dell' istoria coi fratelli Bernardo e Francesco Schiaffini. Bernardo, venuto in luce nel 1689, attinse i principii dell' arte da quel Domenico Parodi alchimista infelice e scultor mediocre ; ma di corto lo superò. Non si curò ( cosa strana ) di uscire di patria , ma intese quivi a giovarsi d' ogni esempio. Diede alle sue statue un nonsochè di gentile per cui è preferito a' contemporanei, e che pale forse essere istillato in lui dall' amicizia che contrasse co' Piola. Al Paolo Girolamo si strinse di tai legami , che l'uno in iscultura, l'altro in pittura paion meglio fratelli che non emuli dJuno stile. Morto l'amico nel 1724, in men d'un atmo lo seguì per corruccio al sepolcro. Francesco, il minor fratello, fu sollecito di veder Roma ov' entrò nello studio del Rusconi. Tornato in patria in capo a cinque anni, mise il colmo alle stravaganze e ai capricci, imitando perdutamente il maestro, ripetendone i modelli, e peggiorandone i difetti. Fu applaudito io un secolo che poriea ogni merito nel raffinamento della meccanica; laónde in Genova son molle le sue opere, nelle quali si direbbe ultimo per ciò eli'è correttezza, e primo in linea d'esecutore. Dopo la morte di lui, accaduta nel 1765, continuarono per poco in quel falso stile alcuni allievi, come un Carlo Cacciatori da Carrara, e due Manieri di nome Bernardo., — Della discendenza de' Parodi restava unico Pasqurle Bocciardo iniziato all'arte dal Ponsonelli. Come in città straniera fece onore alla scuola di Filippo Parodi quell'Angiolo De-Rossi. ohe nominammo più sopra, così a quella di Bernardo Schiaffino urt Francesco Queiroli., scultor diligente e grazioso, che in Roma da Benedetto XIV ebbe onorevoli commissioni e titolo di cavaliere, e mòri in Napoli nel 1762 con fama d' eccellente.

In tanto obblio delle buone massime, parve presagio di migliori destini la fondazione dell' Accademia ligustica. Il germe d'un felice-rivolgimento'andava nutrendosi nella scuola medesima del secondo Schiaffino in due giovani ardenti di gloria, e uniti in nobil gara di raggiungere i sani principii, Nicolò Traverso e Francesco Ravaschio. La munificenza del march. L. Cambiaso indirizzò questa degna coppia a Roma, che già si destava dal lungo letargo agli esempi del gran Canova, del Mengs e d'altri dotti. I due giovani non solo profittarono alla loro scuola, ma ne ottennero l'amicizia, e a tutt' uomo ne seguiron le massime. Con quanto ardore si dedicassero a ritrar dall' antico, lo attestano gì' innumerevoli modelli eseguiti sovra ogni statua romana o greca ; dal quale esercizio guadagnarono un modo spedito, gentile, ammirabile d'usar la plastica, che fa preziose le lor cose più tenui. Richiamati in patria dopo V incendio di Palazzo , lavorarono uniti le figure sul nuovo prospetto, e nella maggior sala; e in altre occasioni si diviser l'opera da buoni amici, e costanti ambidue in uno stile; talchè sovente non si distingue l'una mano dall' altra, se pure il Traverso non prevale di franchezza e di grazia. Egli si ridusse a Milano, quando scoppiò fra noi la rivoluzione francese ; ma cessato il turbine fece ritorno in patria, e fino al 1825, che fu l'anno della sua morte, giovò la patria colle opere, l'Accademia co'precetti di grande artista, e con fatti d'uomo generoso. Di questo a suo tempo. Francesco Ravaschio lo precedette d'un triennio alla tomba, da molto tempo fatto cieco ed inabile all' arte.

Il nome di questi riformatori sarà sempre nella storia della genovese scultura un' epoca memorabile e grande. Ha sua parte di merito in questa mutazione Andrea Casarcgi, il quale educato, com'essi, a fonte

impura, migliorò il suo stile in Roma, e gittò buoni semi tra noi con alcuna opera, e più avrebbe fatto se gli bastava l'età. Uscì dalla scuola de' primi Ignazio Peschiera, rapitoci da morte nel 1839, e mostrossene degno in parecchi lavori che si veggono al pubblico. Vive in Torino, scultore di S. M., Giuseppe Gaggini che più d'ogni altro ne ereditò i nobili desidera e l' alto ingegno ; uomo degno d'essere onorato in questi cenni di non breve articolo, se i limiti che ci siam prefissi non ci costringessero a trattar soltanto de' passati.

No comments:

Post a Comment