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Tuesday, March 5, 2013

ALIGHIERIANA ----

Speranza

Dante Alighieri / Alighiero, detto semplicemente Dante, battezzato come Durante di Alighiero degli Alighieri, della Famiglia Alighieri, (Firenze, tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265Ravenna, 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano. Considerato il padre della lingua italiana, è l'autore della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera scritta in italiano e uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.[1]
Il suo nome, secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante:[2] nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio de Alagheriis, mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di Boccaccio.[3]
È conosciuto come il Sommo Poeta, o, per antonomasia, il Poeta.

Indice

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Vita

I primi anni e le origini familiari

La data di nascita di Dante è sconosciuta anche se, in genere, viene indicata attorno al 1265, sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella Vita Nova e nella cantica dell'Inferno - che comincia con il verso "Nel mezzo del cammin di nostra vita": poiché in altre sue opere, seguendo una tradizione ben nota, la metà della vita dell'uomo viene considerata di 35 anni, e svolgendosi il viaggio immaginario nel 1300, si risalirebbe al 1265. Alcuni versi del Paradiso ci dicono poi che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno:
« con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'è padre di ogni mortal vita
quand'io senti' di prima l'aere tosco »
(Paradiso, XXII, vv. 115-117)
Secondo riferimenti indiretti è possibile poi risalire alla data di nascita di Dante nel periodo compreso tra il 14 maggio e il 13 giugno del 1265. Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 26 marzo 1266, Sabato Santo. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino.[4]
Boccaccio racconta che la sua nascita fu preannunciata da lusinghieri auspici. La madre di Dante infatti, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione: sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito, e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico pavone.[5]
Dante nacque nell'importante famiglia fiorentina degli Alighieri, legata alla corrente dei guelfi, un'alleanza politica coinvolta in una complessa opposizione ai ghibellini; gli stessi guelfi si divisero poi in guelfi bianchi e guelfi neri.
Dante credeva che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani (Inferno, Canto XV, 76), ma il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei (Paradiso, Canto XV, 135), vissuto intorno al 1100. Dal punto di vista giuridico perciò la presunta nobiltà derivantegli da questa ascendenza, già di per sé dubbia, si era comunque estinta da tempo. Il nonno paterno, Bellincione, era un popolano, e un popolano sposò la sorella di Dante.[5]
Suo padre, Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la non gloriosa professione di compsor (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia. Era un guelfo ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini, dopo la battaglia di Montaperti non lo esiliarono come altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso.[5]

Dante in un affresco di Luca Signorelli
La madre di Dante era Bella degli Abati: Bella era diminutivo di Gabriella, Abati era un'importante famiglia ghibellina. Di lei si sa poco. Dante ne tacerà sempre.[5] Morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero presto si risposò con Lapa di Chiarissimo Cialuffi che mise al mondo Francesco e Tana (Gaetana) e forse anche - ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati - un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi. Si ritiene che a lei alluda Dante nella Vita Nova (XXIII, 11-12), chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta».

Il matrimonio e la carriera politica

Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di vent'anni. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti ad un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva - i Donati - era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, i guelfi neri. Politicamente Dante apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi, che, pur trovandosi nella lotta per le investiture schierati col papa, contavano molte famiglie della nobiltà signorile e feudale più antica ed erano contrari ad un eccessivo aumento del potere temporale papale. Dante, in particolare, nella sua opera De Monarchia auspicava l'indipendenza del potere imperiale dal papa, pur riconoscendo a quest'ultimo una superiore autorità morale.
Da Gemma Dante ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia, e un possibile quarto, Giovanni. Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel Convento delle Olivetane a Ravenna. Si dice fosse figlio suo anche un certo "Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia", che compare come testimone in un atto del 21 ottobre 1308 a Lucca.
A Firenze ebbe una carriera politica di discreta importanza: dopo l'entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (1295), che escludevano l'antica nobiltà dalla politica permettendo ai ceti intermedi di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte, Dante si immatricolò all'Arte dei Medici e Speziali.
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, cioè dei massimi rappresentanti di ciascuna Arte; dal maggio al settembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San Gimignano. Lo stesso anno fu priore dal 15 giugno al 15 agosto.
Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII. Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato come paciere, almeno nominale (in realtà spedito dal papa per ridimensionare la potenza della parte dei guelfi bianchi, in quel periodo in piena ascesa sui Neri), Dante cercò, con successo, di ostacolare il suo operato. Egli stesso si recò dal papa per cercare di trovare un compromesso alla pace ma durante il viaggio venne bloccato e condannato in contumacia.

Dante in un ritratto di Gustave Doré
Quale membro del Consiglio dei Cento, fu tra i promotori del discusso provvedimento che spedì ai due estremi della Toscana i capi e le "teste calde" delle due fazioni. Questo non solo fu una disposizione inutile (presto essi tornarono alla spicciolata) ma fece rischiare un colpo di stato da parte dei Neri, che stavano per approfittare della situazione quando i Bianchi erano senza leader, ritardando oltre misura l'inizio del loro esilio. Inoltre il provvedimento attirò sui responsabili, Dante compreso, sia l'odio della parte nemica sia la diffidenza degli "amici", e da lui stesso fu definito come l'inizio della sua rovina.
Con l'invio di Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come teorico paciere, ma di fatto conquistatore, la Repubblica spedì a sua volta a Roma un'ambasceria di cui faceva parte essenziale Dante stesso, accompagnato da Maso Minerbetti e da Corazza da Signa.
Dante si trovava quindi a Roma, sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 Cante Gabrielli da Gubbio fu nominato Podestà di Firenze. Questi appartenente ai guelfi neri, diede inizio ad una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, e che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'esilio. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi e soprattutto dei Gherardini di Montagliari, il poeta fu condannato da Cante Gabrielli, in contumacia, al rogo e alla distruzione delle case. Dante fu raggiunto dal provvedimento di esilio a Roma e non rivide mai più Firenze.

Gli anni dell'esilio e la morte

Durante l'esilio, Dante fu ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli Ordelaffi, signori ghibellini di Forlì, dove probabilmente si trovava quando l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo entrò in Italia. Qui è possibile che abbia conosciuto le opere del famoso pensatore ebreo Hillel ben Samuel da Verona, che era da poco morto, dopo aver trascorso a Forlì gli ultimi anni della sua vita.
Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì, un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa, però, fu sfortunata: il podestà di Firenze, un altro forlivese (nemico degli Ordelaffi), Fulcieri da Calboli, riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Puliciano; fallita, anche, l'azione diplomatica nella primavera del 1304, del cardinale Niccolò da Prato, legato pontificio di papa Benedetto XI, sul quale Dante aveva riposto molte speranze, il 20 luglio dello stesso anno i Bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i Neri. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento, decise di non partecipare alla battaglia e prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi. Il messaggio profetico ci arriva da Cacciaguida:
« Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sí ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso. »
(Paradiso, Canto XVII, 67-69)
Dante tornò a Forlì ancora nel 1310-1311 e nel 1316 (data incerta, quest'ultima).

La tomba di Dante a Ravenna
Dante terminò le sue peregrinazioni a Ravenna, dove trovò asilo presso la corte di Guido Novello da Polenta, signore della città,[6] tuttavia i rapporti con Verona non cessarono, come testimoniato dalla sua presenza nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la Quaestio de aqua et terra, ultima sua opera latina.
Morì a Ravenna il 14 settembre 1321 di ritorno da un'ambasceria a Venezia. Passando dalle paludose Valli di Comacchio contrasse la malaria.
Venezia era all'epoca in attrito con Ravenna e in alleanza con Forlì: gli storici pensano che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze. I funerali, in pompa magna, vennero officiati nella chiesa di San Francesco a Ravenna, dove, sotto un portico laterale, venne posto il primo sarcofago del poeta. Intorno al sarcofago nel 1483 venne costruita una cella, su progetto dello scultore Pietro Lombardo; nel 1780 Camillo Morigia, su incarico del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga, progettò il tempietto neoclassico tuttora visibile. Per sottrarre i resti del poeta a un possibile trafugamento da parte dei fiorentini, i Francescani tolsero le ossa dal sepolcro, nascondendole dietro a una porta murata nel convento; questo episodio fece nascere la leggenda che la tomba fosse in realtà un cenotafio, ossia una tomba vuota. Le ossa furono rinvenute casualmente da un muratore durante i lavori di restauro del 1865, condotti in occasione del VI centenario della nascita di Dante, e quindi riportate all'interno del tempietto del Morigia.
Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo altare si trova l'epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio nel 1366:
(LA)
« IURA MONARCHIAE SUPEROS FLEGETONTA LACUSQUELUSTRANDO CECINI VOLUERUNT FATA QUOUSQUE SED QUIA PARS MELIORIBUS HOSPITA CASTRIS ACTOREMQUE SUUM PETIIT FELICIOR ASTRIS HIC CLAUDOR DANTES PATRIIS EXTORRIS AB ORIS QUEM GENUIT PARVI FLORENTIA MATER AMORIS. »
(IT)
« I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte (gli inferi) visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore. »
(Epigrafe)

Studi


La statua di Dante in Piazza dei Signori a Verona.
Poco si sa circa gli studi di Dante. La cultura dantesca, formatasi in un contesto educativo totalmente diverso da quello attuale, è ricostruibile, in assenza di dati documentari affidabili, innanzitutto a partire dalle opere. Si ottiene così l'immagine di un attento studioso di teologia, filosofia, fisica, astronomia, grammatica e retorica: in breve, di tutte le discipline del trivium e del quadrivium previste dalle scuole e dalle Universitates medievali.
Ad ogni modo, è probabile che il poeta abbia frequentato gli studia religiosi e laici di cui si ha notizia a Firenze. Alcuni ritengono che Dante abbia studiato presso l'Università di Bologna, ma non vi sono prove in proposito. In un verso della Divina Commedia (Paradiso, Canto X, 133-138) Che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidïosi veri, Dante allude a Rue du Fouarre, dove si svolgevano le lezioni della Sorbona: questo ha fatto pensare a qualche commentatore, in modo puramente congetturale, che Dante possa essersi realmente recato a Parigi.
Ovviamente, la cultura ufficiale delle Università era essenzialmente in lingua latina. Di conseguenza, la cultura letteraria di Dante è basata principalmente sugli autori latini: in particolare Virgilio, che ebbe un'influenza determinante sulle opere dantesche. Dante, tuttavia, conobbe certamente un buon numero di poeti volgari, sia italiani che provenzali. Nelle sue opere è evidente il legame con la poesia toscana di Guittone d'Arezzo e di Bonagiunta Orbicciani (cfr. Purgatorio, Canto XXIV, 52-62), di Guido Guinizzelli e della Scuola poetica siciliana - una corrente letteraria attiva alla corte di Federico II, corrente che si esprimeva in volgare e che proprio allora stava cominciando ad essere conosciuta in Toscana, avendo in Giacomo da Lentini (il famoso "Notaro" di cui alla citazione precedente) il suo maggior esponente. La conoscenza del provenzale da parte di Dante è ricostruibile sia dalle citazioni contenute nel De vulgari eloquentia sia dai versi provenzali inseriti nel Purgatorio (Canto XXVI, 140-147).
Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue opere possono avere influito notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il dialetto grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i trattati di Albertano da Brescia.[7]
In virtù dei suoi interessi, Dante apprese la tradizione dei menestrelli, dei poeti provenzali e la stessa cultura latina, professando, come già detto, una devozione particolare per Virgilio:
« Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore. »
(Inferno, Canto I, 85-87)
Dovrebbe essere sottolineato che, durante il Medioevo, le rovine dell'Impero romano decaddero definitivamente, lasciando spazio a dozzine di piccoli stati: la Sicilia, ad esempio, era tanto lontana - culturalmente e politicamente - dalla Toscana quanto lo era la Provenza. Le stesse regioni, in buona sostanza, non condividevano una lingua o una cultura comune né tanto meno potevano usufruire di facili collegamenti. Sulla base di queste premesse, è possibile supporre che Dante fosse per la sua epoca un intellettuale aggiornato, acuto e con interessi, come si direbbe oggi, internazionali.

Lo Stilnovo e Beatrice


Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita, 1883
A diciotto anni Dante incontrò Lapo Gianni, Cino da Pistoia e subito dopo Brunetto Latini: insieme essi divennero i capiscuola del Dolce stil novo. Brunetto Latini successivamente fu ricordato dal poeta nella Divina Commedia (Inferno, XV, 82) per quello che aveva insegnato a Dante, non come un semplice maestro ma come uno dei più grandi luminari che segnò profondamente la sua carriera letteraria e filosofica: maestro di retorica, abile compilatore di trattati enciclopedici, dovette iniziarlo alla letteratura cortese provenzale e francese, scrivendo il Tresor proprio in Francia. Brunetto mette in evidenza il rapporto tra gli studi di grammatica (latino) e di retorica e la filosofia amorosa cortese, gettando le basi degli interessi speculativi del futuro Dante. Altri studi sono inoltre segnalati, o sono dedotti dalla Vita Nova o dalla Divina Commedia, per ciò che riguarda la pittura e la musica.
All'età di nove anni Dante si innamorò di Beatrice, la figlia di Folco Portinari. Si è detto che Dante la vide soltanto una volta e mai le parlò (ma altre versioni sono da ritenersi ugualmente valide). Più interessante però, al di là degli scarni dati biografici che ci sono rimasti, è la Beatrice divinizzata e dunque sublimata della Vita Nova: l'angelo che opera la conversione spirituale di Dante sulla Terra, lo studio psicologico che compie il poeta sul proprio innamoramento. L'introspezione psicologica, l'autobiografismo, ignoto al Medioevo, guardano già al Petrarca e più lontano ancora, al Rinascimento. Il nome Beatrice assumerà soprattutto nella Divina Commedia la sua reale importanza, in quanto, etimologicamente parlando, significa Portatrice di Beatitudine, tanto che solo questa figura potrà condurre Dante lungo il percorso del Paradiso.
È difficile riuscire a capire in cosa sia consistito questo amore, ma qualcosa di estremamente importante stava accadendo per la cultura italiana: è nel nome di questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce stil novo e condurrà i poeti e gli scrittori a scoprire i temi dell'amore, in un modo mai così enfatizzato prima.
L'amore per Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca mostrerà per la sua Laura) sarà il punto di partenza per la formulazione della sua concezione del Dolce stil novo, nuova concezione dell'amor cortese sublimata dalla sua intensa sensibilità religiosa (il culto mariano con le laudi arrivato a Dante attraverso le correnti pauperistiche del Duecento, dai Francescani in poi), per poi approdare alla filosofia dopo la morte dell'amata, che segna simbolicamente il distacco dalla tematica amorosa e l'ascesa del Sommo Poeta verso la Sapienza, luce abbacinante e impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso della Divina Commedia.

Filosofia e politica

Quando Beatrice morì nel 1290, Dante cercò di trovare un rifugio nella letteratura latina. Dal Convivio sappiamo che aveva letto il De consolatione philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone. Egli allora si dedicò agli studi filosofici presso le scuole religiose come quella Domenicana in Santa Maria Novella. Prese parte alle dispute che i due principali ordini religiosi (Francescani e Domenicani) pubblicamente o indirettamente tennero in Firenze, gli uni spiegando la dottrina dei mistici e di San Bonaventura, gli altri presentando le teorie di San Tommaso d'Aquino. La sua "eccessiva" passione per la filosofia gli sarebbe stata successivamente rimproverata da Beatrice nel Purgatorio.
Dante fu anche soldato, e l'11 giugno 1289 combatté nella battaglia di Campaldino che vide contrapposti i cavalieri fiorentini ad Arezzo; successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze. Dante stesso cita Carlo Martello d'Angiò nella Divina Commedia (Paradiso, Canto VIII, 31 e Canto IX, 1).

Opere


Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai, Firenze

Il Fiore e Detto d'Amore

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci Il Fiore e Detto d'Amore.
Due opere poetiche in volgare di argomento, lessico e stile affini, collocate in un periodo cronologico che va dal 1283 al 1287, sono state attribuite con una certa sicurezza a Dante dalla critica novecentesca, soprattutto a partire dal lavoro del filologo dantesco Gianfranco Contini: Il Fiore e Detto d'Amore sono due elaborati poemetti inscrivibili nell'opera giovanile del poeta, precedente al soggiorno bolognese del 1287.

Le Rime

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Le Rime.
Le Rime sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce il complesso della produzione lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle dell'età matura. Le rime giovanili comprendono componimenti che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo, quella guittoniana, quella guinizzelliana e quella cavalcantiana. Tra questo gruppo di testi Dante aveva scelto quelli che dovevano entrare a far parte della Vita Nova.

Vita Nova

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Vita Nova.
La Vita Nova, che può essere considerata il racconto di una vicenda autobiografica resa come exemplum, narra la vita spirituale e l'evoluzione poetica di Dante; è strutturata in quarantadue (o trentuno[8]) capitoli in prosa collegati in una storia omogenea, che spiega una serie di testi poetici composti in tempi differenti, tra cui hanno particolare rilevanza la canzone-manifesto Donne ch'avete intelletto d'amore e il celebre sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.
L'opera è consacrata all'amore per Beatrice e fu composta probabilmente tra il 1292 e il 1293. La composizione delle rime si può far risalire, secondo la cronologia che Dante fornisce, tra il 1283 come risulta dal sonetto A ciascun alma presa e dopo il giugno del 1291, anniversario della morte di Beatrice. Per stabilire con una certa sicurezza la data della composizione del libro nel suo insieme organico, ultimamente la critica è propensa ad avvalersi del 1300, data non superabile, che corrisponde alla morte del destinatario Guido Cavalcanti: "Questo mio primo amico a cui io ciò scrivo" (Vita Nova, XXX, 3).
Quest'opera ha avuto una particolare fortuna negli Stati Uniti, dove fu tradotta dal grande filosofo e letterato Ralph Waldo Emerson.

Convivio


Statua di Dante, sita alla Galleria degli Uffizi, Firenze
Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Convivio.
Il Convivio (1304-1307), dal latino convivium, ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di Firenze. È un prosimetro che si presenta come un'enciclopedia dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi superiori. È scritta in volgare per essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il latino. L'incipit del Convivio fa capire chiaramente che l'autore è un grande conoscitore e seguace di Aristotele; questi, infatti, viene citato con il termine "Lo Filosofo". L'incipit in questo caso spiega a chi è rivolta quest'opera e a chi non è rivolta: soltanto coloro che non hanno potuto conoscere la scienza dovrebbero accedervi. Questi sono stati impediti da due tipi di ragioni:
  • Interne: malformazioni fisiche, vizi e malizia
  • Esterne: cura familiare, civile e difetto di luogo di nascita
Dante ritiene beati i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove si mangia il "pane degli angeli", e miseri coloro che si accontentano di mangiare il cibo delle pecore. Dante non siede alla mensa, ma è fuggito da coloro che mangiano il pastume e ha raccolto quello che cade dalla mensa degli eletti per crearne un altro banchetto. A questo convivio saranno invitati solo coloro che sono stati impediti da ragioni esterne, perché gli altri non avrebbero la capacità di capire. L'autore allestirà un banchetto e servirà una vivanda (i componimenti in versi) accompagnata dal pane (la prosa) necessario per assimilarne l'essenza. Saranno invitati a sedersi solo coloro che erano stati impediti da cura familiare e civile, mentre i pigri sarebbero stati ai loro piedi per raccogliere le briciole.

De vulgari eloquentia


Monumento a Dante in Piazza Santa Croce a Firenze (1865)
Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce De vulgari eloquentia.

Monumento a Dante in Piazza Dante a Napoli (1871)
Contemporaneo al Convivio il De vulgari eloquentia è un trattato in lingua latina scritto da Dante Alighieri tra il 1303 e il 1304. Composto da un primo libro intero e da 14 capitoli del secondo libro, era inizialmente destinato a comprendere quattro libri.
Pur affrontando il tema della lingua volgare, fu scritto in latino perché gli interlocutori a cui Dante si rivolse appartenevano all'élite culturale del tempo, che forte della tradizione della letteratura classica riteneva il latino senz'altro superiore a qualsiasi volgare, ma anche per conferire alla lingua volgare una maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere di legge, religione e trattati internazionali, cioè argomenti della massima importanza. Dante si lanciò in un'appassionata difesa del volgare, dicendo che meritava di diventare una lingua illustre in grado di competere se non uguagliare la lingua di Virgilio, sostenendo però che per diventare una lingua in grado di trattare argomenti importanti il volgare doveva essere:
  • illustre (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa uso nello scritto),
  • cardinale (tale che intorno ad esso ruotassero come una porta intorno al cardine, i volgari regionali),
  • aulico (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlato nella reggia),
  • curiale (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperato negli atti politici di un sovrano).
Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere ammesso la grande dignità del siciliano illustre, la prima lingua letteraria assunta a dignità nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani trovando nell'uno alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate dovrebbero costituire la lingua italiana. Dante vede nell'italiano la panthera redolens dei bestiari medievali, animale che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in particolare nel siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi: manca in effetti ancora una lingua italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli strati della popolazione della penisola italica. Per farla riapparire era dunque necessario attingere alle opere dei migliori scrittori italiani, ma molti di quei libri attendevano ancora di essere scritti, e in questo senso il trattato di Dante è un appello ai dotti lettori alla cui penna chiedeva disperatamente aiuto.

De Monarchia


Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce De Monarchia.
L'opera venne composta in occasione della discesa di Arrigo VII tra il 1310 e il 1313. Si compone di tre libri. Nel primo Dante afferma la necessità di un impero universale e autonomo, e riconosce questo impero come unica forma di governo capace di garantire unità e pace. Nel secondo riconosce la legittimità del diritto dell'impero da parte dei Romani. Nel terzo libro Dante dimostra che l'autorità del monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità del pontefice.
La posizione dantesca è per più aspetti originale. Essa è in contrasto tanto con i sostenitori della concezione ierocratica, quanto con i sostenitori dell'autonomia politica e religiosa dei sovrani nazionali rispetto all'imperatore e al papa.

Commedia

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Divina Commedia.
La Comedìa — titolo originale dell'opera — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al 1300 (anno giubilare, tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella selva oscura) e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'Inferno intorno al 1313, mentre il Purgatorio fu pubblicato nei due anni successivi. Il Paradiso, iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta.
Il poema è diviso in tre libri o cantiche, ciascuno formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all'intero poema); ogni canto si compone di terzine di endecasillabi. La Commedia tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante poesia didattica medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un viaggio immaginario nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo" dell'umanità, sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il Paradiso, rappresenta, sotto metafora, anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti entro i quali lo aveva rinchiuso il pregiudizio scolastico medievale. Dante è accompagnato sia nell'Inferno che nel Purgatorio dal suo maestro Virgilio; in Paradiso da Beatrice e da San Bernardo.

Epistola XIII a Cangrande della Scala

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Epistola XIII a Cangrande della Scala.
L'Epistola XIII a Cangrande I della Scala, risalente agli anni tra il 1315 e 1317, è l'ultima e la più rilevante delle sole tredici epistole dantesche attualmente conservate; essa contiene la dedica del Paradiso al signore di Verona, nonché importanti indicazioni per la lettura della Commedia: il soggetto (la condizione delle anime dopo la morte), la pluralità dei sensi, il titolo (che deriva dal fatto che inizia in modo aspro e triste e si conclude con il lieto fine), la finalità dell'opera che non è solo speculativa, ma pratica poiché mira a rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli alla felicità.

Egloghe

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Egloghe (Dante Alighieri).
Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra il 1319 e il 1320 a Ravenna, facenti parte di una corrispondenza con Giovanni del Virgilio, intellettuale bolognese, i cui due componimenti finiscono sotto il titolo di Egloga I e Egloga III, mentre quelli danteschi sono l'Egloga II e Egloga IV.

Dante nella cultura moderna

La vita e l'opera di Dante hanno avuto un'influenza determinante sulla costruzione dell'identità italiana e in generale sulla cultura moderna.
Alla figura di Dante papa Benedetto XV dedicò l'enciclica In Praeclara Summorum, firmata il 30 aprile 1921.
Numerosissimi gli scrittori e gli intellettuali che hanno utilizzato e continuano ad utilizzare la Commedia e le altre opere dantesche come fonte di ispirazione tematica, linguistica, espressiva. Di seguito si cerca di offrire un panorama sintetico, organizzato per periodi e per autori, della presenza di Dante nella cultura moderna italiana e mondiale.
Letteratura italiana del Novecento:
  • Nell'opera poetica di Eugenio Montale è frequente la ripresa di termini e formule del Dante lirico e del Dante della Commedia.
  • Il poeta Mario Luzi ha utilizzato più volte temi danteschi e in particolare 'purgatoriali', ad esempio nella lirica La notte lava la mente.
  • Dante Alighieri appare spesso nella narrativa della scrittrice Laura Pariani nella figura di un “viaggiatore”: nel racconto “Que viene el coco” (1977) in una Milano del futuro; nel romanzo Milano è una selva oscura (2010) nella Milano del 1969; nella favola musicale Büs d'l'Orchéra Tour (2011), sul Lago d'Orta ai nostri giorni.
Letteratura straniera del Novecento:
  • Il poeta Thomas Stearns Eliot trae ispirazione da Dante e al v. 63 del poema La terra desolata traduce letteralmente i versi 56-57 del canto terzo dell'Inferno: «i' non averei creduto / che morte tanta n'avesse disfatta». Il passo descrive una mattina londinese nella quale la folla delle persone che vanno al lavoro è associata all'immagine dantesca degli ignavi. Sempre in The waste land, in What the thunder said cita esplicitamente il v. 148 del canto XXVI del Purgatorio:"Poi s'ascose nel fuoco che gli affina". Inoltre riporta i vs 61-66 del XXVII canto dell'Inferno ad introduzione della poesia The Love Song of J. Alfred Prufrock.
  • Nel racconto L'omnibus celeste lo scrittore inglese Edward Morgan Forster introduce un misterioso personaggio «giallastro, dalla mascella poderosa e dagli occhi infossati», che «si chiama Dan eccetera» che guida una strana vettura a cavalli, dentro la quale si trova la scritta «"Lasciate ogni baldanza voi ch'entrate"; al che il signor Bons borbottò un: satire intellettualoidi o che so io; e che baldanza era locuzione sbagliata, per speranza.»
    Alla fine di un percorso in mondi abitati dai grandi personaggi del mito e della poesia, il ragazzo che compie il viaggio «avvertì sulla fronte un fresco contatto di foglie. Qualcuno lo aveva cinto di una corona.»[9]
  • Il poeta Ezra Pound fu un profondo conoscitore della poesia dantesca, che riprese in alcuni passaggi della sua opera principale, The Cantos.
  • Il poeta argentino Jorge Luis Borges ammirò la Commedia di Dante fino a dire che è la migliore opera letteraria di tutti i tempi, l'apice delle letterature. Ha scritto Nove saggi danteschi e ha tenuto molte conferenze sul "sacro poema". Nella sua opera a volte traduce dei brani della Commedia che inserisce nelle sue poesie come nel "Poema conjetural" che riprende l'episodio di Bonconte in Purgatorio, V.
  • L'acclamato autore di fumetti giapponese Gō Nagai ha tratto ispirazione dalla Commedia per alcune delle sue opere più famose: Mao Dante e Devilman. In seguito ha pubblicato La Divina Commedia, versione a fumetti del poema.
Televisione:
E-Book:
  • A partire dal 2008, con l'avvento di nuovi dispositivi touch quale iPhone e iPod touch appaiono edizioni interattive delle Divina Commedia.
  • Nel 2010 compare un'edizione interattiva per iPad in cui i testi vengono associati ad illustrazioni ricolorate di Gustave Doré, oltre a ricostruzioni virtuali e mappe sinottiche degli ambienti immaginati da Dante durante il suo viaggio.
Fumetti:
  • Marcello Toninelli esordì in tale campo proponendo una sua versione di Dante. In seguito produce con successo una sua rivisitazione in chiave fumettistica della Divina Commedia e della biografia del Poeta.

Note

  1. ^ Harold Bloom, Il Canone occidentale. I libri e le scuole delle età (in inglese), tradotto da Francesco Saba Sardi, Milano, Bompiani, 1996. ISBN 88-452-2869-X
  2. ^ «Durante, olim vocatus Dante»
  3. ^ Boccaccio fu tra l'altro uno dei maggiori commentatori trecenteschi dell'opera di Dante, e copiò di suo pugno diversi manoscritti della Commedia e delle Rime dantesche.
  4. ^ Cesare Marchi, Dante, Bergamo, RCS, 2006, p. 15
  5. ^ a b c d Cesare Marchi, “Dante”, Bergamo, RCS, 2006, p. 14
  6. ^ Sembra su diretto consiglio della moglie Caterina.
  7. ^ Francesco Selmi, Dei Trattati morali di Albertano da Brescia, volgarizzamento inedito fatto nel 1268 da Andrea da Grosseto, Commissione per i testi di lingua, Bologna, Romagnoli, 1873, Osservazioni, p.389 (25*).
  8. ^ L'edizione critica tradizionale di Barbi, 1921, conta 42 capitoli; quella di Gorni, 1996, ne rivede la suddivisione, contandone 31.
  9. ^ E.M. Forster, I racconti, Garzanti, Milano,1988, pp.37-52

Bibliografia

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Bibliografia su Dante.
La bibliografia sulla vita e sull'opera di Dante è sterminata; normalmente, il primo strumento di ricerca è l'Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1970-1978. Si possono utilizzare anche le risorse informatiche, in primo luogo la bibliografia consultabile sul sito della Società Dantesca Italiana. Per la bibliografia cartacea si rimanda alla voce Bibliografia su Dante

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