Amor, ch'a nullo amato amar perdona è il verso 103 Canto V dell'Inferno, della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Si tratta di uno dei versi più celebri dell'intera opera dantesca e, pertanto, è uno dei versi più importanti in assoluto nella storia della letteratura italiana.
Questo si trova nella posizione centrale di una doppia Anafora, costituita dall'inizio di tre versi celeberrimi:
- Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende v. 100
- Amor, ch'a nullo amato amar perdona v. 103
- Amor condusse noi ad una morte: v. 106
- Amor, ch’a nullo amato amar perdona, v. 103
- mi prese del costui piacer sì forte, v. 104
- che, come vedi, ancor non m’abbandona. v. 105
Il canto che lo contiene, il quinto, è in gran parte dedicato alla figura di Francesca da Rimini, amante di Paolo Malatesta e sposata con il fratello di lui, Gianciotto.
La storia dice che il marito di lei scoprirà il tradimento e li ucciderà entrambi.
Per questo motivo le anime dei due amanti sono confinate nel secondo girone infernale, quello dei peccatori carnali, e inseriti nella schiera dei morti per amore, quella di Didone, condannati alla dannazione eterna.
Il verso appartiene al primo intervento di Francesca e narra del perché lei si innamorò di Paolo.
Come altri versi del canto, si presta a molteplici letture.
Da una lato vi è la forza dell'amore passionale, che travolge i sensi e non consente a una persona che sia davvero amata di non ricambiare il sentimento.
L'amore è di tale intensità, che anche dopo la morte resiste.
Dall'altro, l'amore consacrato dal sacramento del matrimonio, quello di Francesca col marito, che non le perdona e non le consente di amare nessun altro.
L'amore è dunque per Dante perniato da contraddizioni naturali ed esiti anche tragici, tanto che pochi versi dopo lo indica come causa della morte di entrambi.
Francesca non potrebbe, essendo sposata, amare altri se non suo marito -- è però l'amore stesso a costringerla a farlo, e a ricambiare il sentimento sincero di Paolo.
Questa contraddizione tra precetto religioso e forza naturale dell'amore, contornata dalle tragiche e innocenti spiegazioni di Francesca, struggono Dante muovendolo a un forte sentimento di pietà e comprensione, evidenziata dal finire del canto:
- [...] sì che di pietade v. 140
- io venni men così com'io morisse. v. 141
- E caddi come corpo morto cade. v. 142
Amor, ch'a nullo amato amar perdona
- Amor: è il soggetto del verso e costituisce una cosiddetta figura Etimologica, o Annominazione, poiché vi sono tre parole nel verso che hanno la stessa origine etimologica: Amor, amato, amar.
- ch: che, ovvero il quale si riferisce ad Amor: il quale amor.
- a nullo: nullo deriva dal latino nullus, che significa nessuno.
Quest'ultima è l'interpretazione più frequente.
Amato: si riferisce a "nullo", per cui nel senso comune "a nullo amato" significa "a nessuno che è amato".
Riassumendo, l'esegesi corrente è:
"L'amore, che a nessuno perdona, se amato, di riamare";
"L'Amore, che obbliga chi è amato ad amare a sua volta".
oppure
Amor= invocazione all'amore in senso generico però entrando nello specifico poche parole dopo.
Ch'a nullo amato = "nullo" viene utilizzato spesso da Dante per dire "mai" oppure "giàmmai", perciò: che non ha mai amato.
Amar perdona= non può capire cosa si prova amando, dunque:
"Amore..." colui che non ha mai amato non può capire ciò che si prova amando.
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