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Monday, March 4, 2013

Paolo e Francesca, Lancellotto e Ginevra -- Alighieri -- D'Annunzio -- ZANDONAIANA -- cerchio dei lussuriosi

    Speranza
 
 
 
Doré: Quel giorno più non vi leggemmo avante
 
amor ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta e 'l modo ancor m'offende
amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona
amor condusse noi ad una morte
caina attende chi a vita ci spense
queste parole da lor ci fuor porte.

Dante Alighieri, Inferno V, 100-108

Paolo e Francesca sono due figure di amanti entrate a far parte dell'immaginario popolare sentimentale, pur appartenendo anche alla storia e alla letteratura.

A loro è dedicata buona parte del V canto della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Nella Commedia, i due giovani - riminese lei (anche se nata a Ravenna), della vicina Verucchio lui - rappresentano le principali anime condannate alla pena dell'inferno dantesco, nel cerchio dei lussuriosi.

In vita furono cognati (Francesca era infatti sposata con Gianciotto, fratello di Paolo) e questo amore li condusse alla morte per mano del marito di Francesca.

Francesca spiega al poeta come tutto accadde.

Leggendo il libro che spiegava l'amore tra Lancillotto e Ginevra, i due trovarono calore nel bacio tremante che alla fine si scambiano e caratterizza l'inizio della loro passione.

La tragica vicenda amorosa di Paolo e Francesca è stata rievocata altre volte, sempre in letteratura ma anche nell'opera lirica.

Particolarmente conosciuta, apprezzata ed amata è la versione che ne ha dato nel 1914 il compositore italiano Riccardo Zandonai nella sua Francesca da Rimini.

 

 

Doré: E paion sì al vento esser leggieri

Le due famiglie dei da Polenta da Ravenna e dei Malatesta da Rimini erano tra le più rinomate della Romagna e dopo una serie di scontri esterni e di instabilità politica interna decisero di allearsi unendo in matrimonio i loro figli.

Il patto venne suggellato da un matrimonio che coinvolse la giovane Francesca da Polenta e il più anziano, zoppo e rozzo, Gianciotto Malatesta.

Per guadagnare l'approvazione della giovane a questo matrimonio, la tradizione, che risale a Giovanni Boccaccio (e al suo commento pubblico alla Commedia dettato tra il 1373 e il 1375), dice che sia avvenuto per procura, dove il procuratore fu il più giovane e aitante fratello di Gianciotto, Paolo Malatesta, del quale Francesca si invaghì per un malinteso, credendo che fosse lui il vero sposo, anche se ciò non poteva essere possibile perché

Francesca sapeva benissimo che Paolo era già sposato.

Si aggiungono poi al quadro narrativo tradizionale la figura del brutto e crudele Gianciotto, fino al maligno servo che spiava i due amanti (aggiunta romantica, non citato da Dante) e poi il tragico e noto finale del duplice omicidio degli amanti.

In realtà, secondo la vera documentazione storica dei fatti, sono pochi i dati veramente riscontrabili.

I dati anagrafici dei protagonisti e la loro discendenza (una figlia di Francesca e Gianciotto, due figli di Paolo). Non vi è traccia né della relazione adulterina né del fratricidio-uxoricidio.

Pare infatti che l'alleanza tra le due famiglie fosse così vantaggiosa per entrambe, grazie a strategie politico-dinastiche complementari, che il fatto di sangue diventò un fatto da mettere a tacere il più presto possibile. Non si sa per esempio dove sia accaduto realmente il duplice omicidio: alcune ipotesi indicano il Castello di Gradara, ma si tratta solo di congetture. Altre ipotesi parlano della Rocca di Castelnuovo presso Meldola.

 

 
 
Mosè Bianchi, Paolo e Francesca, 1877

Con il primo cerchio dei peccatori in generale e in particolare con le parole di Francesca da Rimini inizia quel processo di conversione, di redenzione del poeta che sarà uno dei temi teologici di tutto il poema.

Il viaggio di Dante infatti non ha un ruolo di semplice illustrazione del mondo ultraterreno, ma vuole offrire una possibilità di redenzione dell'umanità. E la storia dei due amanti rappresenta la prima tentazione superata dal poeta, non senza grande sforzo e straziante complicità emotiva con i dannati (ipotizzata da vari critici), al punto che per la pietà egli stesso alla fine del canto sviene perdendo i sensi.

La storia di Paolo e Francesca mette dunque in discussione Dante anche come poeta dell'amore, che nella sua concezione stilnovistica ha messo al centro della sua visione della realtà.

Non a caso Dante dopo la prima confessione della giovane ha un attimo di sconforto, resta assorto in silenzio.

Sembra pensare a come sia possibile che l'attrazione innocente, l'amor cortese si trasformi in peccato degno dell'Inferno, che poco dopo appare provocato proprio da un testo di letteratura, dalla lettura cioè di un libro dove si celebra un amore (quello tra Lancillotto e Ginevra) con le regole cortesi alle quali Dante stesso aveva aderito in gioventù.

Quindi lo stesso sentimento che aveva ispirato a Dante i versi della Vita Nuova, adesso gli appare come una delle possibili cause di condanna eterna.

Dante, richiamato alla realtà da Virgilio ("Che pense?", al quale egli risponde con incertezza), infatti rivelerà una parte dei pensieri che lo stavano assillando e chiederà a Francesca una spiegazione su come questo sentimento si sia potuto trasformare in peccato. È solo colpa dell'adulterio? In realtà Dante non vede una colpa in sé nella pulsione amorosa, ma il peccato ne nasce quando nell'attuare questa pulsione si viene meno ai precetti morali, come quello sulla fornicazione nell'adulterio. Proprio questa contraddizione tra precetto religioso e forza travolgente dell'amore, espressa in forma così alta e rarefatta, spiega la simpatia di Dante per i due "peccatori". Il poeta non si comporta da moralista, semplicemente descrive la tragicità del conflitto tra morale e passione, che sono due forze invincibili. Nonostante il poeta collochi Paolo e Francesca tra i dannati, non può fare a meno di provare un senso di profonda ed umana pietà e di compiangerne la sorte.

Il tema verrà ripreso dal poeta nel Purgatorio nei canti XVII, XVIII, XXII, XXIV e soprattutto XXVI, dove troverà tra i lussuriosi Guido Guinizzelli, il caposcuola dello stilnovismo, e Arnaut Daniel, un poeta provenzale.

 

Il dramma ha ispirato diversi film:

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