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Brenno (... – post 390 a.C.) è stato un condottiero gallo, capo della tribù celtica dei Galli Senoni, noto per avere messo a sacco Roma nell'anno 390 a.C..
Poco è noto riguardo alle origini di Brenno.
Si ritiene che la sua famiglia tribale (i Galli Senoni) fosse originaria di un Pagu celtico nella zona di Yonne, nell'attuale Borgogna in Francia.
Intorno al 400 a.C. questa popolazione migrò verso sud, raggiunse l'odierna regione della Romagna e delle Marche, scacciando le originali popolazioni Umbre.
La regione occupata dai Senoni si trovava all'interno di quella zona che dai Latini veniva chiamata Gallia Cisalpina.
In 6 anni Brenno unificò le tribù dei Galli Senoni conquistando tutte le terre tra la Romagna e il Piceno, (la regione che i Romani chiameranno ager gallicus quando, in epoca successiva, riusciranno a strapparla ai Senoni).
Quindi Brenno assediò Chiusi, città Etrusca che invocò l'aiuto di Roma.
Il Senato romano inviò a Chiusi tre emissari appartenenti alla Gens Fabia (e del ramo degli "Ambusti"), allo scopo di mediare tra i Galli e gli assediati.
L'ambasceria Romana tuttavia non rimase neutrale.
Uno dei tre Ambusti (Quinto Fabio), uccise a tradimento
un capo senone durante le
trattative, scatenando l'ira dei Galli.
Messi in fuga gli ambasciatori romani e presa Chiusi, Livio
racconta che i Senoni decisero di mandare degli
ambasciatori a Roma, per chiedere che i
tre Fabii gli fossero consegnati,
perché avevano contravvenuto alle
regole delle ambasciate.
Ma quando i Fabii furono eletti Tribuni consolari, sdegnati per la
poca considerazione data alle loro proteste, tolsero
l'assedio alla città di Chiusi, marciando verso Roma condotti da Brenno.
Il Senato romano, non appena avuta notizia di quanto stava accadendo,
ricorse alla leva generale (tumultus) per formare un esercito che fermasse
l'avanzata dei Galli.
Venne approntato uno sbarramento sulla riva sinistra del Tevere, in corrispondenza dell'immissione del modesto affluente Allia.
Al momento del contatto con i Senoni, il 18 luglio del 390 a.C., l'esercito romano non si dimostrò all'altezza della situazione e fu sonoramente sconfitto nella vasta piana oggi detta della Marcigliana (Battaglia del fiume Allia).
La sconfitta fu così grave che la data del 18 luglio (il Dies Alliensis) fu da allora considerata come giorno nefasto (Nefas) nel calendario romano.
Collegati a questa ricorrenza vennero anche istituiti i cosiddetti Lucaria (19 e il 21 luglio) che celebravano le divinità dei boschi che avevano offerto rifugio agli scampati della battaglia di Allia.
romani preferirono rifugiarsi nelle città vicine, come Caere e Veio.
Chi restò in città organizzò le difese sulle posizioni
più facilmente difendibili, come il Campidoglio.
La tradizione vuole che quando i Galli entrarono in Roma
trovarono solo i Senatori pronti ad accoglierli nella Curia
romana.
Uccisi i senatori, i Galli iniziarono a
saccheggiare Roma (Sacco di Roma) quasi del tutto indifesa.
Durante il sacco di Roma, secondo le fonti romane,
si inserisce la leggenda delle oche del Campidoglio.
Terminato il saccheggio della città bassa i Galli
si diressero nottetempo verso la rocca del Campidoglio,
dove si trovava l'ultima resistenza romana a difesa dei templi (e dell'oro) della città.
L'intenzione dei Galli era quella di cogliere di
sorpresa i difensori passando per un passaggio segreto.
Il piano dei barbari fallì perché le oche del
Campidoglio, sacre a Giunone,
allarmate dai movimenti degli assedianti,
presero improvvisamente a starnazzare
svegliando così gli assediati in tempo
sufficiente per respingere l'assalto dei Galli.
A seguito di questo episodio sul Campidoglio venne edificato
il tempio di
"Iuno Moneta" (Giunone Monitrice), dove in seguito vennero coniate le prime monete di Roma: da qui l'etimo dell'attuale parola moneta.
Con molta probabilità la leggenda delle oche del Campidoglio si formò in epoca successiva al Sacco di Roma per compensare, attraverso episodi valorosi, l'onta subita.
A questo episodio venne dedicata una festività romana, che cadeva il 3 agosto, durante la quale i cani venivano crocefissi perché non avevano avvertito della presenza del nemico sotto il colle, e le oche erano portate in processione ed onorate come salvatrici della patria.
Mentre era in corso il Sacco di Roma i Romani iniziarono ad organizzare le prime forme di resistenza. Marco Furio Camillo, sebbene esiliato dai suoi concittadini ad Ardea, inflisse alcune sconfitte ai Galli sui campi di battaglia nei dintorni della città. Brenno si accorse ben presto che, sebbene egli controllasse Roma, c'era il concreto rischio che si raggiungesse una condizione di stallo potenzialmente pericolosa per il suo esercito.
Probabilmente per questo motivo il condottiero barbaro propose ai magistrati romani di riscattare la città contro il versamento di 1000 libbre d'oro.
I Romani dapprima accettarono, poi protestarono sostenendo che le bilance utilizzate per la pesa del riscatto fossero state alterate.
Brenno allora gettò sul piatto dei pesi anche la sua spada (in modo da aumentare il valore del bottino richiesto ai Romani), pronunciando la famosa frase "Vae victis!", "Guai ai Vinti!".
È molto probabile che, ottenuto dai Romani quanto richiesto, i Galli abbiano abbandonato la città per tornare alle proprie terre, terminando la campagna di invasione.
Tuttavia, la tradizione romana (sempre nell'intento di recuperare l'onore perduto)tramanda che Marco Furio Camillo, venuto a conoscenza della richiesta di riscatto, tornò velocemente a Roma per affrontare di persona Brenno.
Una volta giunto alle bilance gettò anch'egli la propria spada sui piatti, così da compensare il peso della spada del barbaro.
Quindi gli si rivolse dicendo: "Non auro, sed ferro, recuperanda est Patria", ossia: "Non con l'oro si riscatta la Patria, ma con il ferro".
I Romani, a seguito di quest'episodio e dietro la guida di Furio Camillo, si riorganizzarono, la città venne liberata dai Galli.
Il condottiero Romano continuò a inseguire Brenno e i suoi anche oltre i confini di Roma. Brenno fu quindi costretto a rifugiarsi nel nord dell'Italia.
In suo onore, Furio Camillo venne quindi insignito dai Romani del titolo di Pater Patriae, ossia: "Padre della Patria", come se si trattasse di un secondo Romolo.
Come per le oche del Campidoglio, si ritiene che tutta questa leggenda dell'intervento di Furio Camillo sia stata elaborata in tempi successivi all'aggressione di Brenno, con l'intento di non compromettere l'orgoglio romano
Altre leggende: Torquato sconfigge Brenno a Bergamo [modifica]
Secoli dopo, un altro capo celta, anch'egli chiamato Brenno, dopo la battaglia di Fiesole giunse a Bergamo.
Ritenendo che la città potesse rappresentare un'ottima base strategica per il controllo delle valli e dei commerci che da lì si sviluppavano, Brenno chiese la sottomissione dell'abitato. Al rifiuto reagì espugnandola e radendola al suolo,al punto che ancor oggi in alcune vallate della bergamasca i muri cadenti o pericolanti sono chiamati "bregn" o "breni", in ricordo di questo antichissimo evento.[senza fonte]
Fatta propria la città, fece erigere un castello nella zona che oggi porta il nome di Breno, nel contiguo comune di Paladina.
Roma ancora scossa per lo smacco subito e considerando Brenno una pericolosa spina nel fianco, inviò un esercito per sconfiggere il Gallo una volta per tutte. Tuttavia il console romano, anziché dare battaglia, contro il parere di Roma propose al capo Gallico un duello per salvare gli eserciti. Il duello fu vinto dal condottiero romano che, in segno di vittoria, prese dal Gallo il suo collare (torque) e infatti da allora fu ricordato come Torquato. Brenno, per il disonore di aver perso il duello e di aver mantenuto la vita, si suicidò annegandosi nel fiume che da lui prese il nome di Brembo.
A causa del fatto che Brenno divenne un titolo assunto dai capi galli in tempo di guerra, nel corso delle vicende storiche si incontrano altri Brenno che non vanno confusi con il personaggio protagonista del sacco di Roma.
Troviamo in particolare un altro Brenno capo tribù celta vissuto nel III secolo a.C. che guidò una grande spedizione celtica in penisola balcanica e morto suicida dopo che fu sul punto di saccheggiare il recinto sacro di Apollo a Delfi.
- ^ Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 3, 35.
- ^ Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 3, 36.
- ^ Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 3, 37.
Bibliografia [modifica]
- Ab Urbe condita libri v. 10, vi. 4 di Livio
- Breviarium ab Urbe condita I di Eutropio
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