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Tuesday, April 23, 2013

Italian Opera and Ancient Roman History -- BRITTEN, "Il ratto di Lucrezia"

Speranza

The Rape of Lucretia
Lingua originaleinglese
MusicaBenjamin Britten
LibrettoRonald Duncan
Fonti letterarieLe viol de Lucrèce di André Obey
Attidue
Prima rappr.12 luglio 1946
TeatroGlyndebourne, Mr. and Mrs John CHristie's Opera House
Personaggi
Collatino, generale romano (basso)
Lucrezia, sua moglie (contralto)
Giunio, generale romano (baritono)
Tarquinio, principe etrusco (baritono)
Bianca, vecchia balia di Lucretia (mezzosoprano)
Lucia, una domestica (soprano)
Coro maschile (tenore)
Coro femminile (soprano)
The Rape of Lucretia è un melodramma di Benjamin Britten.

L'opera, su libretto di Ronald Duncan, è ispirata a Livio, Ovidio e Shakespeare, ma è tratta da una tragedia ("Le viol de Lucrèce", 1931) di André Obey (1892-1975), drammaturgo non troppo noto, e ha più o meno questa struttura, è divisa in due atti di due scene ciascuna, più due interludi.

In totale dura meno di 110 minuti.

Il titolo è stato talvolta erroneamente tradotto con "Il ratto di Lucrezia", mentre in realtà "rape", nell'inglese moderno e nel senso utilizzato dal libretto, significa stupro.

La prima dell'opera ebbe luogo a Glyndebourne il 12 luglio 1946, l'anno dopo il ben più famoso e celebrato Peter Grimes, e al centro di un periodo ben fecondo nella carriera del compositore inglese.

Del 1947 è infatti l'Albert Herring, del 1948 The Beggar's Opera (voluto da Britten proprio The Beggar's Opera e non, com'era nella commedia di John Gay: The Beggars' Opera (1728).

In ogni caso The Rape è la prima delle tre opere da camera di Britten (nel caso specifico l'organico è formato da dodici suonatori), seguono il prossimo Albert Herring (che per di più è l'unica opera cosiddetta comica che Britten abbia scritto, ma solo se si prescinde da episodi cursori in altre composizioni) e il celeberrimo The Turn of the Screw (Il giro di vite, 1954).

Per le edizioni, a parte la "vulgata" diretta da Britten (che contiene anche la bellissima cantata Phaedra, una delle estreme composizioni dell'autore, 1975), c'è quella assai più recente di Hickox, della Chandos.

Personaggi

Collatinus (generale romano), basso
Lucretia (sua moglie), contralto
Junius (generale romano), baritono
Tarquinius (principe etrusco), baritono
Bianca (vecchia balia di Lucretia), mezzosoprano
Lucia (una domestica), soprano
Coro maschile, (1) tenore
Coro femminile, (1) soprano



Nella scena prima dell'atto primo, il coro maschile introduce l'azione descrivendo lo sfondo storico.

Siamo a Roma, nel 509 a.C.

Tarquinio il Superbo è despota di Roma, mentre il figlio, il Tarquinio dell'opera, non avendo più bisogno di fingere una modestia che fu necessaria al padre per conquistare il trono, "guida la gioventù romana nella guerra etrusca e tratta l'orgogliosa città come se fosse la sua puttana".

Il coro femminile lamenta "la riprovevole marcia dei Romani da casa" e dichiara che ancora Roma dovrà aspettare cinque secoli per la nascita e la morte di Cristo.

Insieme, i due cori si pongono a osservare l'azione col pubblico.

In un accampamento lontano da Roma, Collatinus, Junius e Tarquinius bevono insieme e discutono dell'infedeltà delle mogli messa in luce da alcuni generali proprio il giorno prima (l'unica donna casta risultò proprio Lucretia, moglie di Collatinus). Segue una disputa feroce tra Tarquinius e il "cuckold" (cornuto) Junius, che sono separati da Collatinus, il quale, ottenuta la "rappacificazione", propone un brindisi alla sua moglie adorabile ("Collatinus is politically astute to choose a virtous wife. Collatinus shines brighter from Lucretia's fame", cioè "Collatinus ha molta astuzia politica nello scegliersi una moglie virtuosa. Collatinus splende più radioso per la fama di Lucretia", commenta il coro maschile). Junius - ferito e invidioso della buona sorte di Collatinus - getta veleno su Lucretia, mentre Tarquinius propone un ulteriore brindisi ("The only girl worth having is wine", "la sola ragazza meritevole è il vino") e guarda andar via Collatinus, happy man, "felice" per poter condividere il letto di Lucretia. Nel duetto successivo (in cui fanno la comparsa dei temi che ritroveremo in tutta l'opera) si capisce che Junius vuole sedurre Lucretia e, alla protesta di Tarquinius per cui "Lucretia's virtous" ("Lucretia è virtuosa"), risponde che "Virtue in women is a lack of opportunity" ("la virtù nelle donne è mancanza di opportunità"). [Tenerissima la risposta di Tarquinius: "Lucretia's chaste as she is beautiful", "Lucretia è casta quanto è bella"]. Tarquinius e Junius fanno dunque la scommessa sulla virtù della donna. Vano intervento del coro maschile ("Tarquinius do not dare", "Tarquinius non osare"), richiesta del cavallo da parte di Tarquinius.

Il coro maschile descrive la turbolenta e rapida cavalcata di Tarquinius in uno stile che suggerisce una giostra impazzita (ed è un interessante precedente per le successive "macchine infernali" di Britten, cioè per tutti i giochi che testimoniano violenza) richiamando tutta una serie di immagini mitiche e, nel frattempo, invitandolo a tornare indietro, a ripensarci.

Nella scena seconda, siamo a Roma, casa di Lucretia. Lucretia, Bianca e Lucia filano la lana cantando (qui il canto è motivo tematico più che formale), seguite passo passo dal coro femminile che, con consueta ma qui opportuna metafora, riporta la cardatura e lo scorrere dei fili a simbolo del corso della vita. A un certo punto Lucretia ode bussare e vorrebbe andare a vedere se è un messaggio del suo amato Collatinus, ma Bianca la dissuade ("It's too late for a messenger", "è troppo tardi per un messaggero"), per di più Lucia, che va a vedere chi si fosse dietro la porta, rientra dicendo di non aver trovato nessuno. Lucretia assicura di aver sentito bussare ma infine Bianca riesce a rassicurare la sua padrona che si trattava di un'immagine causata dalla sua ansia e dalla sua stanchezza. Il terzetto si conclude con le considerazioni sull'amore ("How cruel men are to teach us love", "come sono crudeli gli uomini a insegnarci l'amore") seguite dal consueto commento del coro femminile, accompagnato stavolta dai bellissimi vocalizzi di Lucia e Bianca. Lucretia nota come sia tranquilla la notte, Bianca conferma ("I can almost hear myself thinking", "posso addirittura sentirmi pensare") e mostra la voglia di andare a dormire. Le donne dunque si preparano per la notte e in seguito alle osservazioni tra Coro maschile e Coro femminile a proposito del sonno che regna sulla città, si ode di nuovo bussare ma stavolta nessuno si alza perché, appunto, di nuovo, "it's too late for a messenger", ma stavolta anche "the knock was too loud for a friend" ("bussare era troppo forte per esser quello di un amico"). Lucia corre ad aprire la porta mentre Lucretia "pales with an unspocken fear" ("impallidisce di una muta paura"). È Tarquinius, che fa sentire la sua voce, e reclama di entrare "in the name of the prince of Rome" ("nel nome del Principe di Roma"). Tarquinius entra e dal coro ci viene raccontato che Lucretia chiede notizie di Collatinus mentre Tarquinius invece ride e chiede del vino, reclamando l'ospitalità di Lucretia perché "his horse is lame" ("il suo cavallo s'è azzoppato"). Bianca e Lucia, inquiete, si chiedono come mai Tarquinius cerchi riparo da Lucretia, e il coro femminile commenta che "etiquette compels what discretion would refuse" ("l'etichetta impone quel che la discrezione dovrebbe rifiutare"). Quindi Tarquinius viene condotto nella sua stanza da Lucretia, la quale "with decorum, whishes him" ("signorilmente gli surrurra"), "Good night, your Hightness" ("Buona notte, vostra Altezza"). Così fanno anche Bianca e Lucia. "And Tarquinius, with true etruscan grace, bows over Lucretia's hand, then lifts it with slow deliberation to his lips" ("E Tarquinio, con autentica grazia etrusca, si curva sulla mano di Lucretia e la solleva con lenta deliberazione alle sue labbra"). "And then all, with due formality, wish each other" ("E tutti, con la dovuta formalità, si augurano l'un l'altro") la buona notte.

Nella scena prima dell'atto secondo, il coro femminile fa una cronistoria dell'opulenza etrusca, individuando tutti gli elementi che l'hanno determinata: ricchezza del terreno, virilità degli uomini, fertilità delle donne, industriosità ma poi anche brama di uccidere e sete di sangue. Sulla base di questi presupposti Tarquinio il Superbo "ruled in Rome relentless as a torrid sun" ("governò a Roma implacabile come un torrido sole"). Fuori scena anch'essi, Collatinus, Lucia, Bianca, Junius si uniscono ai cori e commentano la crudeltà del tiranno. Ancora una volta, come hanno fatto nel primo atto, coro maschile e coro femminile si appostano come ideali testimoni del seguito della vicenda e il coro maschile continua: "When Tarquinius desires, Tarquinius dares" ("Quando Tarquinius desidera, Tarquinius osa").

Fidando nell'oscurità della notte, Tarquinius attraversa un buio corridoio, e supera la porta di Bianca già dormiente, e proprio alla fine del suo monologo, per l'ennesima volta il coro maschile invita il sordo Tarquinius a fermarsi proprio mentre questi è già nella camera da letto di Lucretia; commento ormai rassegnato del coro femminile, "thus sleeps Lucretia" (così dorme Lucretia). Tarquinius in un momento di reale poesia loda la bellezza della donna e stavolta è proprio il coro femminile che la invita a "dormirci su" ("Sleep on, Lucretia! Sleep on, Lucretia!"). Le immagini che evoca Tarquinius si fanno sempre più vive, colorate, ma mai violente. Tarquinius bacia Lucretia che invece sogna Collatinus ("Her lips receive Tarquinius she dreaming of Collatinus"); risveglio di Lucretia. Agitatissimo duetto tra una spaurita e ansiosissima Lucretia e un (in qualche modo) rassicurante Tarquinius, il quale si lascia scappare tutta una serie splendida di versi, di dolci desideri, di appellativi che in altre circostanze avrebbero fatto squagliare una donna. Lucretia, da virtuosa qual è gli risponde che "what you have taken, never can you be given" ("quello che tu hai preso non ti può mai esser dato"). Segue un curioso e già meno irrequieto sofisticare per le note della sintassi inglese e della morale sessuale "How could I give, Tarquinius,/since I have given to Collatinus/In whom I am, wholly;/with whom I am, only;/and without whom I am, lonely?"), per quanto Lucretia mantenga sempre intatta la sua propria purezza e rifiuta recisamente non più Tarquinio soltanto, ma qualsiasi ipotesi di desiderio. Tarquinius non crede che una donna così bella possa esser casta e confessa di non resistere alla brama di lei, di essere - con le parole di Lucretia - "Passion's slave and not a Prince" ("Schiavo della passione e non un principe"). Segue una domanda che nelle opere di Britten non si risolverà mai, nel corso di tutta la sua opera, fino a Death in Venice: "What peace can passion find?", cioè: "Che pace può trovare la passione?" Per il momento Tarquinius risponde: "Beauty is all in life! It has the peace of death." ("La bellezza è tutto nella vita! Include la pace della morte").
I cori invitano per l'ultima volta Tarquinius a tornare sui suoi passi ma Tarquinius cede alla sua passione e violenta Lucretia minacciandola con la spada. Tutti i personaggi richiamano immagini mitiche per commentare l'accaduto.

È nell'interludio un canto morale sulla "vertue assailed by sin" (virtù assalita dal peccato), corredata da immagini religiose che inquadrano appunto il peccato nella particolare ottica cristiana preannunciata dal coro femminile nel primo atto.

Nella scena seconda, come se niente fosse accaduto, e infatti niente sanno, Lucia e Bianca sistemano i fiori in un vaso introducendo quel che forse è il più intenso momento di canto neoclassico in Britten. E l'immagine dei fiori in una tranquilla quotidianità, e il voluto lirismo spinto danno alla scena un carattere surreale, così che la prossima entrata di Lucretia sembra quella di un fantasma, una lacera anticipazione di Miss Jessel di "The Turn of the Screw", ma anche di tutte le donne folli che mai siano comparse nel mondo dell'opera (chi non ricorda la Lady Macbeth dell'opera di Verdi?). L'ingresso di Lucretia viene regalmente anticipato da un "here she comes".
Lucretia farnetica, senza però spiegare l'accaduto (bellissimo terzetto soprano-mezzosoprano-contralto). I malintesi sono drammatici, Bianca non capisce, dapprincipio si rifiuta di percepire quel che è successo. A Lucia, che chiede quale messaggio debba dare al messaggero per Collatino, Lucretia risponde di dare quell'orchidea, come simbolo della purezza che ormai non le appartiene più e di dirgli che gliela manda una sgualdrina ("harlot"). Lucia esce e Lucretia fa il confronto tra la perenne, costante perfezione dei fiori contrapposta alla sua impurità. Splendido duetto "dei tempi andati" con Bianca, sui ricordi puri che accomunano entrambe. Esce Lucretia e, dalle sue parole, si intuisce che Bianca sa tutto ora. Rientra Lucia dicendo che Tarquinius ha preso uno dei cavalli e di aver chiesto che Collatinus venisse immediatamente. Bianca dà il contrordine ("words can do more harm than good. Only time can heal" cioè: "le parole posson fare più male che bene. Solo il tempo può guarire") ricordando che "sometimes a good servant should forget an order and loyalty should disobey" ("certe volte un buon servo deve dimenticare un ordine e la lealtà può disubbidire"). Ma il messaggero era già partito, ancora una volta "it's too late", "troppo tardi", "Lord Collatinus is here": "Collatinus è qua". È arrivato con Junius. Ed è preoccupato, non crede alle equivoche rassicurazioni di Bianca, vuol vedere sua moglie; evidentemente informato da Junius, chiede se Tarquinius sia stato in casa e impone a Bianca di rispondere. Junius dice di aver fatto di tutto per precedere Tarquinius e avvertire del pericolo ma, di nuovo, Bianca risponde "too late" (tre volte). Collatinus chiede udienza alla moglie e finalmente avviene il confronto. Mentre Collatinus punta l'attenzione sull'amore che li lega, Lucretia, disperata e rassegnata, nega qualsiasi continuità di un rapporto straziato alla base. Entrambi concordano che "to love as we loved was to live, on the edge of tragedy" ("amare come abbiamo amato è stato vivere sull'orlo di una tragedia").
Lucretia lamenta la sua infinita vergogna e racconta l'accaduto mentre Collatinus la conforta: "what Lucretia has given can be forgiven" ("quel che è stato fatto a Lucretia può esser dimenticato"). Il duetto — anche questo splendido — ha un tono in minore ma non è "tragico", ha più la disperazione del passato non più presente, sa più di malinconico, come di un'occasione perduta, una magnifica occasione perduta. Ma alla fine Lucretia si pugnala dichiarando che sempre sarà casta fuorché per essere stata violentata dalla morte. Disperazione di Collatinus ("So brief is beauty. It his all? It his all!", "Così breve è la bellezza? È tutto? È tutto!").
Junius invita i romani a sollevarsi in rivolta contro Tarquinius e a far attraversare la città dal cadavere di Lucretia. I due cori identificano l'amore assoluto dei due coniugi con la morte. Immancabili considerazioni sul senso della vita, a cosa valga la pena se tutto è dolore. Ma soprattutto una richiesta particolare, ancora: "Is it all? È tutto?" E la malinconica tirata finale: "Now with worn words and these brief notes, we try to harness song to human tragedy", cioè: "Ora con parole esauste e queste piccole note, tentiamo di bardare una canzone per l'umana tragedia".

L'uso dei due cori era già in Obey ma Duncan li rende più fluidi, limitandoli a due soli elementi in tutto. La particolare visuale cristiana non è irrazionale come potrebbe sembrare, raccontando i due cori una vicenda già avvenuta che serve come apologo morale.
Il lirismo crescente è fortemente poetico (di una poesia quasi di fattura latina, soprattutto quel "etiquette compels what discretion would refuse"; e culmina, come già detto, nel secondo atto, soprattutto nella seconda scena, non ha eguali forse in nessun compositore coevo. Niente a che fare con la vocalità di Strawinsky in questo caso, molto più nel Peter Grimes, soprattutto Ellen, così simile ad Anne del The Rake's Progress.

È evidente quanto quest'opera si inserisca alla perfezione nella prospettiva critica della violenza all'individuo da parte della società circostante ma bisognerebbe ascoltarla per cogliere le raffinatezze orchestrali di Britten. Le melodie che si ascoltano sono tutte introdotte nel primo atto e si ripropongono nel secondo: per esempio il terzetto iniziale di II,2 ha un suo corrispettivo precedente nel duetto tra Junius e Tarquinius in I,1, "Tomorrow the city urchins…", ma ecco che, laddove si ha un momento negativo, in cui cioè domina la corruzione, anche la melodia è corrotta, grottesca, dissonante, sgradevole; nell'idillio dei fiori, invece, è tutto un vocalizzo aereo e fiorito, appunto, di incantevole fascino. Sempre in I,1, prima che Collatinus riesca a dividere i due contendenti, Tarquinius si lascia andare in un'odiosa, bambinesca cantilena volgare ("Junius is a cuckold, Junius is a cuckold") che altera lo sviluppo autonomo della musica, la rende distorta, ai limiti della tonalità. È lo stesso procedimento esatto che viene usato nel Sogno di una notte di mezza estate (1960) nella scena dei commedianti, a sua volta però anticipata dal ben più antico Paul Bunyan (1941), l'unica opera "americana" di Britten, su libretto di Auden, nella scena dei cuochi.
La linea vocale di Lucretia si compiace di determinate cadenze, come i veloci arpeggi discendenti, che sono tipici dello sprofondare nei toni bassi, nelle profondità che per Britten sono terra d'elezione (non esclusiva però, si pensi a Bianca) del male, laddove di norma i toni alti sono affidati alle voci angeliche e incorrotte.

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Bibliografia [modifica]

Alessandro Macchia, Benjamin Britten, L'Epos, Palermo 2013 ISBN 978-88-8302-384-2

   

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