Il termine cesaricidio indica l'assassinio di Gaio Giulio Cesare, avvenuto il 15 marzo del 44 a.C., ad opera di un gruppo di circa sessanta senatori
i quali si consideravano custodi e difensori
della tradizione e dell'ordinamento repubblicani e che,
per loro cultura e formazione, erano
contrari a ogni forma di potere personale.
Perciò, temendo che Cesare volesse farsi "re" di Roma (concetto impensabile per i Romani),
decisero che era giunto il momento di eliminare il dittatore.
Alcuni di loro furono comunque spinti a compiere questo gesto da motivi meno nobili, come il rancore, l'invidia e le delusioni per mancati riconoscimenti e compensi.
Console nel 59 a.C., Gaio Giulio Cesare guidò vittoriosamente come proconsole le legioni romane tra il 58 e il 50 a.C., durante le campagne di Gallia.
L'alleanza politica con Pompeo e Marco Licinio Crasso, denominata primo triumvirato, garantiva la situazione dell'Urbe, e doveva permettere a Giulio Cesare di portare a compimento la sua campagna senza le interferenze degli esponenti della fazione degli ottimati, suoi avversari.
Dopo la morte di Crasso nel 53 a.C. a Carre, tuttavia, l'accordo tra Cesare e Pompeo si andò progressivamente incrinando.
Pompeo si fece interprete delle tendenze conservatrici del senato osteggiando l'operato cesariano nelle Gallie e tentando di sottrarre allo stesso Cesare il comando delle legioni assegnategli in precedenza.
Nonostante i tentativi di mediazione
formulati da ambo le parti, risultò impossibile giungere ad una soluzione di compromesso, e il 10 gennaio del 49 a.C.
Cesare attraversò in armi il fiume Rubicone, che delimitava il confine all'interno del quale non era consentito che un generale marciasse in armi.
L'atto di Cesare ebbe
dunque l'effetto di una reale
dichiarazione di guerra contro la
Gli ottimati si strinsero attorno a Pompeo che lasciò l'Italia per trasferire le sue forze nella penisola balcanica.
Cesare, assicuratosi il controllo di Roma e sconfitte in seguito le forze pompeiane in Spagna, raggiunse il rivale sulle coste dell'attuale Albania, dove fu sconfitto a Dyrrhachium.
I due eserciti
si scontrarono poi
nuovamente, nell'agosto del 48 a.C., presso FARSALO, in Tessaglia, dove
Cesare ottenne la decisiva vittoria su Pompeo.
Pompeo fuggì
allora verso l'Egitto, dove fu ucciso dai sicari
da Tolomeo.
Lanciatosi all'inseguimento del nemico sconfitto,
Cesare giunse in Egitto poco dopo l'assassinio di Pompeo.
In qualità di rappresentante di Roma, dove era
stato nominato nuovamente console, pose sul
trono Cleopatra, scatenando la guerra alessandrina,
che tenne occupato Giulio Cesare per alcuni mesi.
Dopo aver posto fine ai disordini in Egitto
grazie all'arrivo di un esercito inviato in suo soccorso, Cesare sconfisse a Zela
le forze del re del Ponto Farnace II, e intraprese poi una difficile campagna in Africa contro gli ottimati, riorganizzatisi sotto la guida di Marco Porcio Catone.
Vinti i nemici nella battaglia di Tapso, poté tornare a Roma dove, celebrati quattro trionfi per le sue campagne vittoriose, diede inizio a una profonda riforma della Repubblica, che riorganizzò sotto il suo sostanziale controllo, pur limitandosi ad esercitare il proprio potere secondo le forme costituzionali del consolato e della dittatura.
Negli ultimi mesi del 46 a.C. Cesare partì per la Spagna, dove affrontò gli eserciti della fazione pompeiana strettisi attorno ai figli di Pompeo, Gneo e Sesto, e guidati da Tito Labieno, che aveva militato in Gallia sotto lo stesso Cesare come luogotenente; i due schieramenti si affrontarono il 17 marzo del 45 a.C. nella decisiva battaglia di Munda, che sancì la vittoria della fazione cesariana.
La definitiva sconfitta della fazione pompeiana procurò a Cesare le antipatie di buona parte dei sostenitori della Repubblica, che temevano l'instaurazione di un regime a carattere monarchico, che sarebbe risultato inviso a tutti i Romani.
Notevoli malcontenti, tuttavia, si generarono anche all'interno dello stesso partito cesariano.
Alcuni dei più fidati collaboratori di Cesare, tra cui Marco Antonio e Gaio Trebonio, erano stati esclusi dalla campagna spagnola o posti in secondo piano durante le azioni belliche, e covavano dunque un certo risentimento nei confronti del loro stesso leader, cui erano stati fino ad allora profondamente devoti.
Le tendenze al potere autoritario di Cesare, il protrarsi delle guerre civili, le pressioni dei gruppi anticesariani interni al senato e le rivalità esistenti tra gli stessi componenti dell'ambiente cesariano crearono una situazione favorevole allo sviluppo di progetti di congiura che dovevano risolversi con l'uccisione del dittatore;[2] alcune scelte dello stesso Cesare, d'altro canto, quali le aperture verso personaggi che non gli si erano mai mostrati benevoli, apparivano alquanto discutibili agli occhi dei suoi collaboratori, e non facevano che alimentarne il risentimento.[2]
Trebonio, ad esempio, convinto repubblicano che si era in passato opposto alla politica popolare del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro per poi passare alla fazione cesariana,[3] era stato messo da parte, dopo aver avuto un importante ruolo nell'assedio di Marsiglia,[4] per aver fallito nel tentativo di sconfiggere Gneo Pompeo il Giovane in Betica prima dell'arrivo di Cesare.[5]
Incoraggiato probabilmente dal "sistema di potere che Cesare tentava di costruire fuoruscendo con molte incertezze e soluzioni dalla vecchia legalità repubblicana",[5] Trebonio aderì, nell'estate del 45 a.C.,[6] mentre Cesare era ancora impegnato a completare il processo di pacificazione della Spagna, ad un progetto di congiura che mirava ad eliminare il generale vittorioso, probabilmente nato all'interno dello stesso ambiente cesariano e dunque non direttamente riconducibile alla congiura che sarebbe stata portata a compimento alle Idi di marzo del 44 a.C.[2]
La congiura sembrava del resto facile, perché Cesare, considerandosi ormai intoccabile dopo la vittoria nella guerra civile contro Pompeo e dopo che il Senato aveva giurato di proteggerlo, aveva congedato i duemila ispanici della sua guardia personale.
I cesaricidi veri e propri non furono più d'una ventina, tutti pretori o senatori, tranne un consolare, mentre gli aderenti alla congiura ed i fiancheggiatori furono in numero variabile tra una sessantina ed un'ottantina, divisi in due schiere.
I repubblicani che non si rassegnavano al cambio epocale che si stava instaurando nella reggenza dello stato ed i cesariani delusi dal comportamento del dittatore.
Tra i repubblicani, quasi tutti furono graziati da Cesare, Ligario addirittura due volte.
Tra i cesariani, molti furono validi collaboratori e veterani delle campagne militari di Cesare, che agirono soprattutto per rancori personali in virtù delle posizioni non apicali loro assegnate nella riforma dello stato.
Nella seduta senatoria del 15 marzo del 44 a.C., i congiurati pugnalarono ventitré volte Cesare, che, secondo la tradizione storiografica,
morì ai piedi della statua del suo
vecchio nemico, Pompeo.
Tra i cesaricidi si annoverano
Casca (il primo a colpirlo al collo)
Decimo Giunio Bruto (legato di Cesare in Gallia, ufficiale della flotta nella guerra contro i Veneti),
Marco Bruto (figlio di Servilia Cepione, amante di Cesare)
e Cassio (che era riuscito a sopravvivere alla disfatta di Carre ed era poi divenuto uno degli ufficiali di Pompeo a Farsalo).
L'eliminazione di Cesare non servì però
ad arrestare il processo ormai irreversibile
della fine della Repubblica.
La morte del dittatore innescò
infatti una serie di eventi che
portarono all'emergere di Ottaviano,
figlio adottivo ed erede di Cesare.
Nelle successive elezioni consolari furono eletti due nipoti di Cesare:
Ottaviano e Quinto Pedio che propose la lex Pedia che condannava all'esilio tutti i Cesaricidi, che invece avevano chiamato loro stessi liberatores.
Proprio Ottaviano, dopo aver combattuto la guerra civile contro Marco Antonio (che era stato stretto collaboratore del defunto dittatore), pose fine alla Repubblica e instaurò il Principato.
Gran parte dei cesaricidi morì di morte violenta già l'anno successivo la congiura, nel 43 a.C., nelle lotte intestine che videro prevalere i cesariani sui repubblicani.
Nel 30 a.C. non risultava più in vita alcun cesaricida.
Il medico Antistione fu incaricato
di eseguire l'esame autoptico sul
cadavere di Cesare, allo scopo
di accertare la causa di morte.
Detto esame era previsto dalla Lex Aquilia,
la quale stabiliva non bastasse la morte del ferito per dichiarare mortale una ferita, ma dovesse essere provato dai medici che la sua morte era derivata esclusivamente da quella ferita.
Dall'esame risultò che una sola delle 18 ferite era da considerarsi mortale, la seconda, per ordine temporale.
Nelle lotte di potere che seguirono la morte di Cesare, i cesaricidi perirono uno dopo l'altro, in una scia di vendette e di sangue che si concluse solo il 42 a.C., quando, nella battaglia di Filippi, Bruto[8] e il cognato e amico Cassio furono sconfitti da Antonio ed Ottaviano, che in questo frangente erano alleati.
Dopo la disfatta, Bruto e Cassio si tolsero la vita.
Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, inserirà Bruto e Cassio nella parte più profonda dell'Inferno, la Giudecca, tra le fauci dello stesso Lucifero, assieme a Giuda Iscariota.
Essi sono infatti considerati traditori di benefattori.
I cesaricidi sono
(nome latino)
- Gaius Cassio Longinus, repubblicano.
- Marco Junius Brutus, repubblicano.
- Servius Sulpicius Galba[9], cesariano.
- Quintus Ligarius[10], repubblicano.
- Lucius Minucius Basilus, cesariano.
- Publius Servilius Casca Longus (fratello di Gaius Servilius Casca), cesariano.
- Gaius Servilius Casca (fratello di Publius Servilius Casca Longus), cesariano.
- Decimus Junius Brutus Albinus, cesariano.
- Lucius Tillius Cimber, cesariano.
- Gaius Trebonius[11], cesariano.
- Lucius Cassius Longinus (fratello di Gaius Cassius Longinus)[12], repubblicano.
- Gaius Cassius Parmensis[13], repubblicano.
- Domitius Enobarbus, repubblicano.
- Sextius Quintiluis Varus, repubblicano.
- Caecilius Bucolianus (fratello di Bucolianus), repubblicano.
- Bucolianus Caecilius (fratello di Caecilius), repubblicano.[14]
- Rubrius Ruga, repubblicano.[15]
- Marcus Spurius[16], repubblicano.
- Publius Sextius Naso, repubblicano.[17]
- Lucius Pontius Aquila, repubblicano.[18]
- Petronius, repubblicano.[19]
- Publius Decimus Turullius[20], repubblicano.
- Pacuvius Antistius Labeo, repubblicano.
I congiurati morirono tutti di morte violenta tra il 43 a.C. ed il 30 a.C..
Morirono uccisi in battaglia, suicidandosi o venendo assassinati.
Di seguito un breve elenco dei più rappresentativi cesaricidi e della fine che fecero:
Caio Cassio Longino suicida a Filippi 42 a.C.
Marco Giunio Bruto suicida a Filippi 42 a.C.
Decimo Bruto Albino ucciso in Gallia per ordine di Antonio 43 a.C.
Caio Servilio Casca Longo ucciso a Filippi 42 a.C.
Publio Servilio Casca Longo ucciso a Filippi 42 a.C.
Caio Trebonio ucciso in Asia 43 a.C.
- Lucio Tullio Cimbro ucciso a Filippi 42 a.C.
- Sesto Nasone, fine ignota (probabilmente assassinato).
- Quinto Ligario, fine ignota (probabilmente assassinato).
- Minucio Basilio, assassinato nel 43 a.C.
- Rubrio Ruga, fine ignota (probabilmente assassinato).
- Ponzio Aquila, ucciso nell’assedio di Mutina 43 a.C.
- Marco Spurio, fine ignota (probabilmente assassinato).
- I fratelli Cecilio Buciliano, fine ignota (probabilmente assassinati).
- Antistio Labeone fine ignota (probabilmente assassinato).
- Cassio Parmense ucciso da Ottaviano ad Atene (catturato dopo Azio, 31 a.C.).
- Petronio ucciso ad Efeso da Antonio nel 41 a.C..
- Turullio ucciso da Ottaviano dopo Azio nel 31 a.C.
- Galba, fine ignota (probabilmente assassinato).
Note
- ^ a b Canfora, p. 471.
- ^ a b c d Canfora, p. 294.
- ^ Canfora, p. 295.
- ^ Cesare, De bello civili, II, 1-16.
- ^ a b Canfora, p. 296.
- ^ Canfora, p. 293.
- ^ Francesco Pucinotti, Lezioni di medicina legale, Mancini-Cortesi, Macerata, 1835, vol. 1º, pag. 15
- ^ L'ipotesi diffusa che Bruto fosse figlio di Cesare è scarsamente sostenibile, anche se la madre di Bruto, Servilia Cepione era l'amante di Cesare, poiché tra i due vi erano solo quindici anni di differenza
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Appiano, Guerre civili II.16.117
- ^ Appiano, Guerre civili V.1.7
- ^ Velleio Patercolo, II.86.3
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113, 117
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Appiano, Guerre civili, II.16.113
- ^ Cassio Dione, LI.8.2
Bibliografia
Roberto Cristofoli, Dopo Cesare. La scena politica romana all'indomani del cesaricidio, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002Michael Parenti, The Assassination of Julius Caesar: A People's History of Ancient Rome, The New Press, 2003. ISBN 1-56584-797-0.
Tommaso Gazzolo, Montequieu eversivo: il cesaricidio è un'"azione divina", in montesquieu.it
Voci correlate [modifica]
- Decimo Bruto
- Gaio Cassio Longino
- Gaio Giulio Cesare
- Guerra civile tra Cesare e Pompeo
- Idi di marzo
- Marco Antonio
- Marco Giunio Bruto
- Ottaviano
- Res Gestae Divi Augusti
- Secondo triumvirato
- Servilia Cepione
- Tu quoque Brute fili mi
- Lex Pedia
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