Speranza
C. O. Tommasi Moreschini.
Premettiamo col
dire che la scelta di scrivere questa recensione
in italiano è motivata da un
ideale omaggio
alla lingua che nei secoli ha caratterizzato
la storia della
musica lirica e dell'opera seria
in particolare.
Il libro in questione, il
cui autore si divide tra gli studi classici, essenzialmente sul teatro antico, e
quelli musicali (è, tra l'altro, vice presidente dell'American Händel Society)
costituisce una presentazione di una serie di opere in musica aventi come sfondo
la romanità.
Il mondo antico, tanto con le vicende storiche che con i racconti
mitologici, offrì peraltro una facile rispondenza agli intrighi e alle trame
complesse che fin dagli albori caratterizzarono il melodramma.
A questo
proposito salutiamo con piacere un altro libro e un'altra recensione con
analoghe caratteristiche,
Michael Ewans, Opera from the Greek: Studies in the
Poetics of Appropriation. Aldershot/Burlington, VT 2007, BMCR 2009.06.32.
La
ricerca di Ketterer è incentrata soprattutto sui
libretti e sulle sue fonti,
benché non manchi,
qua e là, qualche esempio musicale
che meglio serve a
sottolineare determinati snodi e passaggi contenutistici.
Peraltro, va ricordato
che spesso il medesimo libretto
veniva riutilizzato, talvolta con adattamenti
e
poche variazioni, da più autori.
In maniera assai opportuna, le
opere prese in
esame sono divise per temi:
-- il trionfo dell'amore
-- il "locus amoenus"
-- la
"clementia principis"
-- il problema dell'imperialismo e dei popoli conquistati da
Roma
-- e raggruppate in base al loro contenuto.
Dati i contenuti del volume,
borderline tra cultura classica e musicale, e
dato il target dei potenziali
lettori, ossia
-- supponiamo --persone che coltivano
come violon d'Ingres o il
mondo classico
o la storia della musica, è naturale che
Ketterer richiami in
maniera piuttosto
generale episodi assai noti
della storia romana o
faccia
riferimento basandosi su testi
manualistici a clichés -- si spera -- ben
assodati
presso i cultori della classicità
(p. es. Livio, 'storico pompeiano' di p. 4),
come anche a snodi essenziali nella storia del teatro musicale.
La lettura è
comunque piacevole e il libro è solidamente impostato.
Numerosi sono i testi dei
libretti citati e commentati (e corredati da traduzione inglese), alcuni dei
quali inediti per il mondo anglosassone.
Come ulteriore dettaglio positivo,
segnaliamo la pregevole
qualità della stampa, la presenza di illustrazioni e
il
costo assai ragionevole.
Scopo dell'autore è quello di dimostrare
come i
numerosi
'drammi per musica'
con temi tratti dalla storia romana avessero
la
funzione di veicolare aspetti
particolari del mondo antico, il
quale veniva a
trovarsi, da un
lato, fissato nella sua algida
lontananza e con figure
animate
da nobili ideali o da
passioni estreme, dall'altro
si trovava ad essere reso più
attraente
per gli ascoltatori contemporanei,
non di rado a prezzo di licenze
alla verità storica.
Tali licenze non devono
meravigliare e non devono
destare
il sussiegoso
disprezzo che ancor
oggi aleggia nei confronti di
certe opere
artistiche
destinate più all'intrattenimento o
alla popolarità -- si pensi,
mutatis mutandis
alle opere cinematografiche o a una serie televisiva di largo
successo come
"Roma".
Tanto le une quanto le altre dietro agli aspetti
di più
largo consumo non di rado
celano attento lavoro editoriale e consapevolezza
degli aspetti che a bella posta
vengono alterati (per il cinema cfr. ora
l'articolo di
D. Campanile, "Film storici e critici troppo critici", SCO 52, in
corso di stampa).
Passando più dettagliatamente ai contenuti, dopo
una
presentazione degli obiettivi del volume,
il secondo capitolo è incentrato
su
"L'incoronazione di Poppea" (1637) di
Busenello e Monteverdi,
che trae spunto dalla
praetexta
pseudo-senecana
"Ottavia" e dai libri neroniani
di Tacito, ma che,
conformemente
ad una 'regola non scritta' del
teatro musicale, particolarmente
fino a Mozart,
termina con
un
"lieto fine"
alquanto sorprendente per la mentalità attuale, ma
non per quella del pubblico coevo alle prime rappresentazioni.
Come si vede
anche nella maggior parte delle opere esaminate, il "lieto fine" è una costante,
anche a costo di forzature alla storia.
Eclatante il caso di Arminio, di cui
alle pp. 132 sgg., o, in misura minore, del "Catone in Utica", pp. 124 sgg., il
cui testo, originariamente previsto da Metastasio con un finale tragico, fu
modificato in seguito per andare incontro al gusto del pubblico.
Ma si potrebbe
qui ricordare anche la Medea di Francesco Cavalli, che termina con ben due
matrimoni, quello di Giasone con Ipsipile e quello di Medea con Egeo!
Accanto al marcato stoicismo che anima l'opera monteverdiana
e che d'altro
canto costituiva l'arrière pensée
di molto tacitismo cinquecentesco, nel
cui
ambiente si era formato il librettista Giovanni
Francesco Busenello, Ketterer
individua
nel motivo del 'trionfo dell'amore' che
permea l'opera la ripresa di
temi
del neoplatonismo rinascimentale, particolarmente di Marsilio Ficino.
L'interpretazione è abbastanza interessante e nuova, anche se,
personalmente,
tenderemmo a sfumarla un po' di più (su Poppea e il mondo classico si possono
leggere ora considerazioni molto interessanti di Gesine Manuwald.
Cfr.
"Der
Stoiker Seneca in Monteverdis L'incoronazione di Poppea", in:
T. Baier / G.
Manuwald / B. Zimmermann (hrsg.),
"Seneca: philosophus et magister", Freiburg
2005, 149-185.
Nero and Octavia in baroque opera:
their fate in Monteverdi's
Poppea and Keiser's Octavia.
Ramus 34.2, 2005, 152-166.
Trattandosi di
opere destinate allo svago e al divertimento, è chiaro come il tema amoroso e
l'intrigo che porta al ricongiungimento finale dei due amanti siano prevalenti
nella maggior parte di esse, benché, accanto ad esso, agiscano anche motivi.
Ad
esempio il personaggio di "Otone", già adombrato come tale in Monteverdi, diviene
il prototipo del giovane amante sia nell'"Otone in villa"di Vivaldi che
nell'"Agrippina" di Händel (cap. 3).
In tal modo, del noto
ritratto tacitiano è
mantenuto
solo l'aspetto lascivo, sia
pure depauperato delle
componenti
maggiormente
negative e, accanto ad esso,
agisce un influsso della
letteratura
elegiaca (rivivificata a partire dalla fine del Cinquecento grazie agli innesti
arcadico-pastorali), grazie, ancora una volta, alla presenza di più eroine
femminili.
Più complessi, invece,
i temi che fanno da sfondo
alle
riproposizioni di una storia favorita da artisti di ogni tempo, vale a dire
quella degli amori di
Sofonisba,
Massinissa e
Siface (Livio, 30).
Ketterer ne
discute al cap. 4, prendendo in esame "Lo Scipione Affricano" di Francesco
Cavalli, e rintracciandovi influenze della
produzione ovidiana,
soprattutto nel
modo in cui è tratteggiata la protagonista.
La presenza di altri motivi
oltre a quelli
della vicenda amorosa si
può invece osservare in un
gruppo di
opere legate inoltre
dal filo conduttore dell'eroismo
e della virtù, e
precisamente
quelle che hanno come sfondo la
vicenda della continenza di
Scipione in Spagna (Livio, 26,50; Polibio, 10,19)
e quelle, ancor più famose,
che celebrano la clemenza del buon sovrano, con l'exemplum di "Tito" (capitoli 4
[in parte], 5 e 8, rispettivamente).
A parte l'elogio delle donne virtuose e
fedeli
sino all'eroismo, le varie
opere qui discusse presentano
molte
somiglianze, in quanto
tendono a mettere in evidenza
come un condottiero o un re
debbano
perseguire in tutto e per tutto la felicità
dei propri sudditi, anche a
costo di rinunziare ai loro
interessi o capricci personali.
Scipione, in
particolare, è, ancora
una volta rappresentato come il modello
stoico dell'eroe.
È chiara quindi la componente panegiristico-laudativa
che emerge da una lettura
in filigrana di
questi drammi, non a caso spesso
rappresentati per la prima
volta in occasione
dell'ascesa al trono di un sovrano.
Si aggiunga tuttavia che
è caratteristica
degli specula principis fin dal modello del
De Clementia di
Seneca o dei
discorsi di elogio dei retori della Seconda Sofistica, di far
intravvedere, accanto al panegirico,
anche un velato monito al governante
di non
allontanarsi dalle caratteristiche ideali
appunto tratteggiate in tali
specula.
Parimenti, il motivo encomiastico
si manifesta in misura ancor
più
evidente in altre opere,
come "Il Giulio Cesare in Egitto" di Sartorio e Haym/Händel, di cui si discute al
capitolo 6.
Come si può agevolmente vedere, il personaggio di
"Giulio Cesare"è
raffigurato da parte di
librettisti e compositori secondo
una duplice ottica,
potente trionfatore e condottiero eroico, ma
clemente.
Non manca, naturalmente,
la storia d'amore con Cleopatra.
La duplicità di interpretazione cui
si presta
un personaggio
complesso come Giulio Cesare (ossia, schematicamente,
sovrano o tiranno)
emerge tuttavia in opere come
"Il Catone in Utica" di Vivaldi o "La prosperità
infelice di Giulio Cesare dittatore", di Monteverdi, le quali sono, anche in
questo caso, animate da tendenze stoicheggianti e, in parte anticiperanno, certe
letture successive del personaggio di "Catone Uticense" (da parte di Addison o di
Alfieri, per i quali giustamente Ketterer rintraccia un antecedente nella figura
del "Catone" dantesco del primo canto del Purgatorio.
Il problema di Roma Antica e
delle
conquiste tra tarda repubblica e
Impero è affrontato anche in un capitolo
dedicato,
per così dire, all'ottica dei vinti, ove si esaminano
il motivo di
Arminio e della
resistenza dei Germani (cap. 7).
Anche in questo caso ci
troviamo
davanti ad opere a lieto fine, visto che Arminio,
reso fedele ai
Romani, può sposare
la giovane di
cui è innamorato, pronuba
Agrippina in
persona!
Come nella maggior parte
dei testi scritti con funzione
laudativa, è
evidente che il finale
ha chiari intenti pedagogici, ossia
intende dimostrare
che la
dominazione romana costituiva
una sorta di benedizione per tutti
i popoli
dell'orbe.
Tuttavia, trattandosi di opere nate
per il divertimento del pubblico
e
(in qualche circostanza) per la celebrazione
dei regnanti, non solo pare
obbligato
il lieto fine, ma sarebbe
fuori luogo anche qualunque
riflessione
sugli arcana imperii o
sul problema delle conquiste che
Tacito aveva fatto nella
sua opera,
utilizzata come base dai librettisti.
Ciò vale a maggior ragione
per quelle opere che, anche
musicalmente, enfatizzavano la
componente
imperialista e trionfatrice,
le quali non devono essere per
questo considerate
in maniera negativa o, peggio,
ritenute un modo velato di far satira.
Lo
osserva, del resto, assai sensatamente, Ketterer a p. 114,
con considerazioni
dettate
forse da scrupoli eccessivi e
caveats imposti da un eccesso di
correttezza politica.
Al tempo stesso, condividiamo
pienamente le vivaci
osservazioni
finali a proposito delle rappresentazioni
moderne e delle
stravaganze di alcuni
registi circa il modo di mettere in scena
opere dal forte
significato trionfalistico
come appunto "Il Giulio Cesare in Egitto", o anche il "Lucio Silla"
di Mozart, un malcostume purtroppo sempre più diffuso, che nasce sia dalla
mancanza di idee originali, sia da un desiderio, ormai datato e dunque sterile,
di "épater le bourgeois" (chi scrive ha assistito a una Semiramide di Rossini in
cui Assur sniffava cocaina, ma sono ben noti i vari casi di Norma ambientata tra
i Nazisti, Faust in cui Margherita uccide il bambino nella lavatrice, fino al
recente Idomeneo di Berlino in cui venivano decapitati i simboli delle
religioni, Buddha, Cristo e Maometto -- differente invece l'operazione di Carmine
Gallone, tanto per fare un solo esempio, nel film "Avanti a lui tremava tutta
Roma" http://www.imdb.com/title/tt0038443/, che contamina in maniera intelligente
Tosca e l'atmosfera in stile Roma città aperta.
Conformemente ad una
tendenza ormai diffusa, e,
direi, naturale data la provenienza dell'autore,
la
letteratura secondaria è costituita
soprattutto da lavori in lingua inglese -- e
del resto gli Stati
Uniti possiedono eccellenti centri di ricerca sull'opera e,
più in generale sugli studi italianistici.
A questi avremmo però aggiunto
volentieri studi di autori italiani
che nel corso del ventesimo secolo
hanno
contribuito a far riemergere
dall'oblio un genere letterario considerato minore,
come il libretto d'opera, e
a donare piena dignità letteraria a questi
scrittori, primo tra tutti Metastasio.
Ci riferiamo, tra gli altri, a
Luigi
Baldacci,
Giovanna Gronda,
Daniela Goldin.
Sorprende anche la mancanza di un
libro come quello di
Danielle Porte, su
"L'inspiration antique dans l'opéra",
Paris 1987, o
del lungo articolo di
Giovanni Morelli,
"Il 'classico' in musica,
dal dramma al frammento",
in S. Settis--D. Lanza (edd.), I Greci, III, I Greci
oltre la Grecia, Torino 2001, pp. 1175-2044.
Ma soprattutto, nella prospettiva
di un classicista, gli studi scritti in una prosa vivace e pieni di spunti
originali di Cesare Questa, che è maestro riconosciuto dei rapporti tra cultura
classica e libretti d'opera e che ha scritto pagine illuminanti sia sulla Poppea
di Monteverdi, anticipando la presenza del tema dell'omnia vincit amor, sia
sulla Clemenza di Mozart (cfr. ad es.
"I Romani sulla scena operistica", in
L'aquila a due teste. Immagini di Roma e dei Romani, Urbino 1998).
In ogni
caso questi rilievi
non inficiano la qualità
generale del volume, che si legge
piacevolmente e che è assai
utile per mostrare quanto
polimorfa possa essere la
fortuna degli autori classici.
Ketterer ha messo in giusto rilievo la
trasformazione
delle vicende della storia romana, dimostrando
come tale
trasformazione abbia potuto
attingere linfa dalle tendenze culturali dell'epoca
in cui le opere furono composte.
Per
talento e gusto inclina di
più verso l'opera dal Settecento in avanti
(e più precisamente da Mozart in poi),
manifestamo solo il desideratum di non aver
potuto leggere
pagine su un capolavoro assoluto come la Norma o su altre opere
meno note, ma egualmente interessanti e degne di riscoperta, come il "Nerone"di
Boito, la "Lucrezia"di Respighi, il "Satyricon"di Bruno Maderna (per tacere delle
opere 'romane' dello stesso Mozart, Lucio Silla, Il Sogno di Scipione, o la
stessa Clemenza).
E anche nel periodo preso in considerazione si sarebbero lette
volentieri, ad esempio,
pagine sul "Farnace" vivaldiano.
Più che una critica,
tuttavia, questa conclusione deve leggersi come un auspicio per futuri sviluppi
della ricerca.
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