Speranza
Il De legibus ("Sulle leggi") fu composto da Cicerone probabilmente nel 52 a.C., dopo che Cicerone era stato nominato augure.
Si tratta di uno scritto che può considerarsi complementare del De re publica, del quale ricalca pregi e difetti.
Non è un lavoro puramente filosofico, né un semplice trattato di giurisprudenza, ma piuttosto un compromesso tra le due scienze.
Nel primo libro, ispirato all'omonima opera di Platone e al trattato Sulle leggi di Crisippo, Cicerone dimostra con una grande elevazione di pensiero e di stile l'esistenza di una legge universale, eterna, immutabile, conforme alla ragione divina, che si confonde con lei.
Proprio la ragione divina, infatti, costituisce il diritto naturale, che esisteva prima di tutti gli ordinamenti.
Dopo quest'avvio, Cicerone passa all'analisi delle leggi in rapporto alle varie forme di governo, così come farà, molto tempo dopo, Montesquieu.
Non avendo a disposizione altra repubblica all'infuori di quella romana, Cicerone non immagina leggi diverse da quelle romane: esse sono le leggi perfette.
Terminata l'analisi, Cicerone si limita, nel secondo libro, ad enunciare le poche che possono essere considerate imperfette, soprattutto tra quelle che regolano il culto.
L'attenta analisi delle consuetudini religiose appare, alla luce della data di pubblicazione, come un'attenta manovra di propaganda, con la quale Cicerone appare ai suoi concittadini come uomo ben degno della carica sacerdotale che gli è stata affidata.
Nel terzo libro, di cui sono andati perduti alcuni passi, Cicerone analizza la natura e l'organizzazione del potere, il carattere delle diverse funzioni dello stato e l'antagonismo salutare che deve esistere tra le forze che lo costituiscono.
Queste domande, di interesse generale così vivo poiché toccavano direttamente il problema della libertà politica, avevano un'importanza considerevole per i contemporanei di Cicerone.
Quale doveva essere la parte dell'aristocrazia o del senato, e quale quella del popolo nel governo della repubblica?
Non era lontano il tempo in cui Cesare avrebbe dato la risposta definitiva a questo quesito, e tutti coloro che presagivano ciò che sarebbe accaduto tentavano di rafforzare l'autorità della nobilitas e del senato.
Nell'opera, il fratello di Cicerone, Quinto, è fortemente contrario al tribunato della plebe, carica che ritiene potenzialmente troppo pericolosa.
Cicerone, pur discostandosi dalle opinioni del fratello, riconosce il pericolo che il tribunato della plebe costituisce per il mantenimento della calma e della pace.
Possediamo solamente i primi tre libri del De legibus.
Ce n'erano probabilmente sei.
Il quarto era dedicato all'esame del diritto politico, il quinto al diritto criminale, il sesto al diritto civile.
Si trattava di opere particolarmente preziose, perché Cicerone non ha mai trattato altrove gli stessi argomenti.
Non dimentichiamo che i trattati De re publica e De legibus furono scritti in un'epoca durante la quale la costituzione romana era ancora in piedi, prima della guerra civile e la fine dell'antica libertà.
Questa circostanza spiega il carattere dei due lavori.
Sono al tempo stesso libri teorici e pratici, ed anche tecnici.
Dopo l'avvento di Cesare, l'elemento speculativo dominerà nella filosofia di Cicerone, che infatti fuggirà la vita pubblica per ritirarsi nella contemplazione.
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