Il Pervigilium Veneris (La veglia di Venere) è un componimento poetico dedicato a Venere dell'età imperiale romana.
È un carme di autore anonimo, in cui viene celebrata la figura di Venere quale signora della vita e della rinascita.
Con spunti mitologici e temi ricorrenti nella letteratura latina, l'autore esalta Venere in un'ode il cui ritornello è il filo ricorrente, anche se in tanta gioia e vita colpisce il finale amaro in cui il poeta lamenta di avere perso la donna amata.
« Domani ami chi mai ha amato, e chi ha già amato, anche domani ami » |
L'opera ha avuto grande fortuna nei secoli in quanto è considerata universalmente uno degli ultimi componimenti della letteratura latina d'ispirazione pagana.
La datazione dell'opera è sempre stata problematica; gli studiosi si sono concentrati su due tesi, anche se ne sono emerse altre; le due tesi d'attribuzione principale sono:
-- l'attribuzione a Floro, poeta e letterato dell'età di Adriano, ed è la tesi più accreditata tra gli studiosi.
Nel poema inoltre non si riscontrano elementi incontrovertibili che possano far propendere per il IV, od addirittura secondo alcuni, V secolo d.C..
L'atmosfera del componimento è infatti avulsa dalla cupezza dei secoli finali dell'Impero.
Il carme rappresenta un'opera di pregio nel contesto della letteratura imperiale romana, e probabilmente la sua datazione deve farsi risalire più al II ed al III secolo d.C. che non al IV ed al V, ipotesi molto in voga negli scorsi due secoli.
Il carme ha una atmosfera di gioia che accompagnava le celebrazioni a Venere nell'impero, e dipinge una società in pace e letizia.
A sua volta lo studioso Carmelo Ciccia — considerata la larga diffusione del mito della sicula Ibla (fiori, api, miele) che ha attraversato i millenni, divenendo un topos letterario e artistico presente in moltissimi autori greci, latini, italiani, anglosassoni, del vecchio e del nuovo Continente, e analizzato il Pervigilium Veneris, nei cui versi 49-52 l'anonimo autore invita Ibla (personificazione della città allora sita nei pressi dell’attuale Paternò in cui si svolgeva la festa per la quale era scritto questo poema) a versare tutti i fiori prodotti dall'anno e ad indossare una veste di fiori grande quanto la piana etnea — ha dimostrato in varie pubblicazioni che la Primavera del Botticelli (il quale frequentava il circolo dei Medici, dove era ben noto il mito d'Ibla) altro non è se non l'Ibla di questi versi: infatti la figura del famoso dipinto è inghirlandata e vestita di fiori, e versa fiori per terra, proprio come nel Pervigilium. Ipotesi — questa — poi riportata dal critico d’arte Guido Cornini nel suo inserto di sette pagine sul Botticelli I maestri del passato / Sottile evocatore di fiabe, in “Ars”, De Agostini-Rizzoli, Milano, dicembre 1999, che integra il precedente analogo.
- Carmelo Ciccia, Il mito d’Ibla nella letteratura e nell’arte: con testo e traduzione del ‘Pervigilium Veneris’ e nuova interpretazione della ‘Primavera’ del Botticelli, Pellegrini, Cosenza, 1998. ISBN 88-8101-043-7 [1]
- Carmelo Ciccia, Il Pervigilium Veneris e La Primavera del Botticelli, estratto da “Atti e memorie dell’Ateneo di Treviso”, Zoppelli, Treviso, 1997-98.[2]
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