Grice e Viano:
la ragione conversazionale del va’ pensiero – il carattere della filosofia
italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Aosta). Esential
Italian philosopher. Filosofo italiano. Si laurea in filosofia
a Torino sotto ABBAGNANO. Insegna a Milano e Cagliari. Fa ritorno, in qualità
di ordinario fuori ruolo di storia della filosofia, a Torino. Fa parte del
Comitato Nazionale per la bio-etica, ed è stato membro del direttivo della “Rivista
di filosofia” e socio nazionale dell'accademia delle scienze di Torino. Insignito
del premio Feltrinelli per la storia dela filosofia. Di formazione illuminista,
V. si occupa di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi
su Aristotele (“La logica di Aristotele” (Torino, Taylor) e l’empirismo (“Dal
razionalismo all'illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico”
(Laterza, Roma). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici -- “L'etica” (Mondatori,
Milano), “Teorie etiche” (Boringhieri, Torino) -- si dedica a promuovere la
costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte
alle ingerenze del cristianesimo. Da Mistretta, direttore editoriale
della Laterza di Roma, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della
filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico”
(Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana”
(Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopo-guerra” (Bologna, Mulino);
“Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia
della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degl’antichi
e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari,
Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia”
(Bologna, Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi
usi” (Torino, Boringhieri). Profilo biografico sull’accademia delle scienze. Mori,
Torino ricorda V., su Torino. Cerimonia nell'accademia nazionale dei lincei, su
presidenza della repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su Radio Radicale,
Radio Radicale. Biografia e testi
sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa
sul Sito Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città
filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Il lizio. Il punto di vista da cui
intendiamo prendere le mosse e che ci pare adatto a permettere un proficuo
studio della logica del LIZIO – tanto celelbrato a Roma -- può essere
sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiografica
concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l’ “Organon”
hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei commenti romani fino
ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli studi medioevali, e
fino alla logica classica dell'800. Ma una vera e propria indagine
storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui principi si
considerassero posti da Aristotele, bensì a comprendere il significato delle
dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dei
suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi dello Stagirita stesso,
sorse solo all'inizio del secolo scorso e tramontò abbastanza rapidamente:
tanto che da cinquant'anni a questa parte poche e non molto significative sono
le opere dedicate alla logica aristotelica.
Le ragioni di ciò si possono forse trovare nella impostazione che nella
filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell'800 da un
lato la critica kantiana presenta un' interpretazione della scienza classica
servendosi proprio delle categorie della logica tradizionale come categorie
proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora la logica
hegeliana che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta la realtà;
d'altra parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di elaborare
una logica empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva
mutuato da Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il favorire
lo studio di quello che i suoi cultori conside ravano come il fondatore della
loro disciplina. Invece nel 'goo l'ideali-smo neo-hegeliano abbandona l'
esigenza panlogistica, almeno quale si configura nello Hegel, preferendo
parlare di una Coscienza assoluta più che di un'Idea che si svolga secondo una
necessità logica, scoprendo perciò negli schemi cui ancora la Wissenschaft der
Logik si era attenuta contraddizioni insanabili, come il Bradley, o vedendo
nella logica che si attiene agli schemi aristotelici una indebita infiltrazione
di schemi verbali irrigiditi nel campo del pensiero puro, come CROCE, o l'
irrigidirsi del pensiero pensante nell'astratto pensiero pensato, come GENTILE.
D'altra parte anche la logica della scienza tentava di liberarsi degli schemi
tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi nuovi di cui l' indagine
scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di più alla tecnica della ma- tematica, con la logistica, o configurandosi
come rigorosa analisi sintat-tica del linguaggio o servendosi delle nuove
categorie che il pragmatismo offriva per l'interpretazione della scienza. In
questo orizzonte gli studi sulla logica aristotelica non trovavano terreno
propizio per germogliare. Infatti gli
interpreti idealisti, tra i quali il più significativo è forse CALOGERO,
accettavano ben volentieri la qualificazione della logica aristotelica come
logica formale, come solidificazione astratta ed artificiosa dell'opera vivente
del pensiero e perciò tentavano di mostrare come essa non fosse essenziale per
la comprensione del vero pensiero aristotelico in quanto costituisce un'
intrusione del dianoetico nella noesi, cioè nell'atto di pensiero puro che
determina i suoi contenuti immediatamente e senza ricorrere allo schema verbale
del giudizio, come dimostrerebbe nel modo più lampante il libro della
Metaphysica ed il frequente affiorare di questa esigenza anche nelle pagine
dell'Organon, additate con molto acume e con molta perizia nella succitata
opera del CALOGERO. La logistica, per bocca del Russell, prendeva un netto
atteggiamento polemico nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa
un insieme di schemi verbali non rispondenti però ad un'autentica tecnica
logica, perché inficiati dal presupposto sostanzialistico, di carattere
metafisico, che, riducendo tutte le enunciazioni a proposizioni della forma
soggetto-predicato, preclude ogni considerazione delle relazioni. Tuttavia
proprio nell'ambito della logistica doveva sorgere un altro atteggiamento verso
la logica ari-stotelica, meno polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz,
dal Becker e dal Bochénski. Comune a questi interpreti è il presupposto che la
logica di Aristotele sia logica formale, cioè volta ad elaborare schemi
linguistici aventi rapporti noti ed indipendenti dal valore dato alle incognite
che in essi possono comparire. In questo modo, pur accettando l'osservazione
del Russell che la logica aristotelica non va accettata così com'è perché deve
essere integrata e sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle
relazioni, essi non polemizzano più contro di essa, ma anzi la considerano come
il precedente storico della logica formale contemporanea che si presenta
appunto come un progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti
non mettono in problema le dottrine aristoteliche e l'impostazione da esse data
al problema della logica; ma anzi accettano che quella dello Stagirita sia la
vera impostazione del problema logico, la soluzione del quale consiste nello
sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz
Aristotele avrebbe formulato un'as-siomatica che permetteva alla scienza del
suo tempo di organizzarsi come un sistema di proposizioni necessariamente
connesse; su questa base, da un lato, il Becker ha intrapreso una trascrizione
in simboli della dottrina aristotelica della possibilità senza dare ragione
delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva
dando, mentre dall'altro il Bochénski ha svolto un esame particolareggiato
dell'assio-matica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da
questa pre-supposta, senza però vedere i rapporti tra questa e quella. Contro
questo rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da
quella aristotelica protestava il Veatch facendo però uso di argomenti non
molto persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficoltà sorgenti dal
tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica
venivano messe in luce dal Reiser in alcuni articoli assai superficiali e disordinati,
ma contenenti alcune buone osservazioni, e soprattutto dal Dewey che, con un
atteggiamento ben più equilibrato, notava come la logica aristotelica
presupponesse l'ontologia della sostanza alla quale era legata. Ma, facendo
occasionalmente queste osservazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto
proprio il problema di trovare i modi precisi di questo rapporto tra ontologia
e logica e di determinare come l'ontologia si modelli attraverso la logica. Dall'esame delle interpretazioni surriferite
si possono trarre alcune importanti considerazioni che permettono subito di
orientarsi di fronte alla logica aristotelica. Infatti lo studio della logica
propria della scienza contemporanea ci fa subito avvertiti che ad essa 101 sono
più applicabili gli schemi dell'Organon distruggendo così la pretesa di vedere
in esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete, su cui sono segnate
le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali Aristotele avrebbe fatto
l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice creatura a due gambe,
come disse il Locke. Ciò posto, risulta impossibile giustificare storicamente
la logica aristotelica vedendo in essa la scoperta del procedimento del
pensiero in quanto tale, che è in fondo l'interpretazione del Barthélemy
Saint-Hilaire, o anche solo dell’intelletto che sarà poi superato
dialetticamente dalla Ragione, come sostiene lo Hegel. Ma allora il problema
della logica aristotelica si presenta in tutta la sua gravità. Infatti essa non
potrà più essere giustificata come insieme di regole che reggano il corso del
pensiero stesso in quanto tale, ma bisognerà esaminare l'effettivo valore che
essa ha per noi, i problemi che essa ci pone, gli eventuali mezzi per
risolverli che essa ci offre. Ma queste sono prospettive di ricerca che ci si
offrono solo in quanto alla logica aristotelica non si attribuisca una validità
metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente
condizionate che storicamente vanno studiate. Da ciò consegue che la logica di
Aristotele non potrà essere studiata come logica in quanto tale, ma dovrà
essere studiata come logica aristotelica: cioè svolgere una ricerca su di essa
vorrà dire giustificare il suo posto nell'insieme delle opere aristoteliche,
mettere in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali
riusciva a risolvere con essa. Perciò le interpretazioni idealistiche e
lo- gistiche, che sopra abbiamo
esaminato, non conducono a fondo l'interpretazione storica della logica
aristotelica in quanto lasciano sussistere dei termini - logica formale, schema
verbale - il cui significato non viene determinato nel corso dell'indagine
stessa, ma presupposto ad essa. È vero che la logica di Aristotele è costruita
di schemi verbali; ma l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo
limitati o che essi oggi non servono più e rimproverare ad essi di soffocare la
vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello
Stagirita; piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele
stesso « schema verbale», quale uso di esso egli giustificasse, di quali
dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella
nozione. Ed altrettanto dicasi per la
qualificazione della sua logica come logica formale: in un certo senso questa
attribuzione può essere sostenuta in quanto almeno gli Analytica priora si
occupano di pure forme verbali in cui i termini sono rappresentati con lettere
che prescindono da ogni eventuale contenuto. Ma il problema che subito si
presenta è quello di determinare che significato abbia per Aristotele la «
forma» e l'aggettivo « verbale» che ad essa viene attribuito. Perciò la
comprensione storica della logica aristotelica ha come sua condizione la
connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello
Stagirita: a questo modo la logica non verrà considerata come la scienza del
pensiero in quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben
determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica,
mentre, d'altra parte, sarà aperta la via a considerare con quali mezzi
logico-lin-guistici sia stato possibile costruire quella metafisica. La connessione delle dottrine logiche con
quelle metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non è nuova e, anzi,
costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa è
riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di
ispirazione spiritualistica facente capo al Ravaisson, all' Hamelin ed al
Bergson. Carattere comune di questi studi è la presupposizione di una certa
interpretazione della metafisica aristotelica, nella quale si cerca un posto
per la logica o partendo dalla quale si discutono questioni pertinenti
propriamente alla logica. E anche l'interpretazione della metafisica è
caratterizzabile in modo assai tipico: essa infatti viene spiegata con schemi
in prevalenza neoplatonici in base ai quali si vuole vedere teorizzata l'opera
di un universale che darebbe vita agli individuali senza tuttavia risolversi
totalmente in essi, lasciando così sussistere quelle aporie che. secondo questi
interpreti, sarebbero riscontrabili nel xoprouós delle idec platoniche. Di
conseguenza le interpretazioni della logica appartenenti a questa corrente,
comc quelle dello Chevalier, dell'Aslan, del Badareu, del Robin, di S. Mansion
rivelano un unico schema nel quale la logica appare come la dottrina
dell'universale puro ed assolutamente necessario che lascia fuori di sé il
particolare esistente, nel quale la nocessità si attenua fino a diventare
soltanto il per lo più: anche qui cioè spunta la difficoltà della metafisica
per cui da un lato l'universale è il solo oggetto veramente conoscibile,
dall'altro il particolare è il solo oggetto veramente esistente. A questa
interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il problema
della logica come logica, ossia come ricerca sulla possibilità di un discorso
rigoroso, in quanto in questi studi non si vede come lo stesso discorso
rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda per Aristotele una certa
metafisica. Del resto è assai significativo che questi interpreti si siano
cimentati ben poco con gli Analytica priora esponendone semmai la dottrina, ma
accettando implicitamente la tesi che in essi è svolta una trattazione di
logica formale. Lo stesso Chevalier, che più degli altri si addentra
nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un tentativo di
costruire una logica formale -- tentativo fallito perché il sillogismo richiede
come fondamento una necessità reale che è concepibile solo se le premesse sono
immediatamente intuibili, perché in caso contrario la pura necessità logica
diventerebbe una mera necessità ipotetica. Ma la difficoltà sta proprio qui,
cioè nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di svolgere
cocrente-mente un'ipotesi, il cui unico contatto con la realta consista in un'
intui-zione intellettuale. Ben più
significativo è il modo in cui il Prantl tenta di connettere la logica con la
metafisica nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Il fondamento della
mediazione logica è un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente
l'equivalente ontologico delle categorie linguistiche di cui fa uso la logica.
Il merito del Prantl consiste appunto nel tentare di definire per quel che gli
è possibile il principio ontologico con categorie logiche, mettendo in luce la
stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti.
Senonché anche qui non si vede poi come non solo il Realprincip sia definibile
con categorie logiche, ma come le stesse categorie logiche determinino il
Realprincip costituendosi pro-prio come categorie logiche. Mentre il Prantl
pone al centro della inter-pretazione il concetto che è definibile
contemporaneamente con catego-rie ontologiche e con categorie logiche, il
Trendelenburg preferisce par-tire dalla considerazione del giudizio nel quale
prendono senso lc cate-gorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso
distinte dalla gram-matica. Da questa interpretazione prendeva l'avvio una
lunga discus-sione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal
Bonitz, dall'Apelt, dal Gercke, dal Witte, dal Geyser, dal Gillespie, dal von
Fritz, nel corso della quale si tenta di penetrare sei-pre meglio i precedenti
academici della dottrina aristotelica e si abban-dona anche l'analogia con le
categorie kantiane che in un primo tempo erano state il termine del confronto
che tutte le trattazioni si sentivano in dovere di fare impedendosi cosi la
comprensione del significato propria-mente aristotelico di quella dottrina. Ma
il motivo della centralità del giudizio nella logica aristotelica veniva
ripreso ed ampliato dal Maier che intitolava un'amplissima opera sulla logica
aristotelica Die Syllogi-stik des Aristoteles, mostrando appunto di voler
imperniare tutte le sue indagini sul sillogismo considerato come la base di
tutte le dottrine del-l'Organon. Il Maier rifiuta nettamente l'interpretazione
formalistica della logica aristotelica sostenendo che per lo Stagirita giudizio
e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore ontologico. Ma poi
distingue il significato ontologico da quello metafisico considerando
l'intrusione del metafisico nella logica come un passaggio indebito compiuto in
più punti dallo stesso Aristotele. Di conseguenza la logica, anziché essere
interpretata in connessione con le dottrine metafisiche di Aristotele, viene
disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale che a quelle è
estranea: perciò solo apparentemente il Maier respinge l'interpretazione
formale della logica aristotelica, in quanto la sua interpretazione si
distingue da quella formalistica solo perché non riconosce valore meramente
linguistico agli schemi logici, ma li trasporta nel reale stesso pur senza
alterare la loro natura. Appunto perciò l'interprete non è poi in grado di
mettere in luce la connessione di quegli schemi con le altre dottrine
filosofiche dello Stagirita, dalle quali, anzi, pretende di prescindere. Il
Maier mette iu luce una esigenza che si fa veramente valere nell'indagine sull'
Organon - cioè il bisogno di precisare il valore ontologico degli schemi logici
—, ma non è in grado di soddi-sfarla, in quanto la distinzione dell'ontologia
dalla mctafisica non regge, almeno nell'ambito delle dottrine aristoteliche,
perché 1°) per Aristotele la metafisica si configura appunto come ontologia, in
quanto pretende di essere la teoria dell'essere in quanto tale; 2°)
l'eliminazione della metafisica dalla pura ontologia costituita dalle dottrine
dell'Organon ha costretto il Maier ad espungere idealmente dalla logica
aristotelica sviluppi non irrilevanti.
Poiché abbiamo visto che l'autentica comprensione storica delle dottrine
logiche dello Stagirita ha come condizione la loro connessione con le dottrine
metafisiche, ci pare di poter affermare che gli interpreti che si sono messi su
questa via e che sopra abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro
proposito in quanto non hanno del tutto realizzato proprio quella condizione.
Infatti o, come il Maier, hanno irrigidito la logica in una struttura che ha
impedito ogni suo ulteriore collegamento
son le errin pietarite oraco, i Pro e su pisto mone nageione, poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per
stabilire un più stretto legame tra logica e metafisica aristoteliche bisogna
esaminare la logica con l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele
ha potuto costruire la metafisica: cioè non si deve studiare la logica
presupponendo la meta-fisica, ma considerando la metafisica come punto di
arrivo della logica. Ciò tuttavia non
implica che la logica si svolga senza presupposti metafisici; ché anzi le
dottrine logiche si vengono precisando via via con il precisarsi delle dottrine
metafisiche e presuppongono posizioni metafisiche dalle quali sono
indisgiungibili. La metafisica, perciò, si costituisce come punto di arrivo
della logica non perché sia separata da questa, ma perché queste stesse
categoric della metafisica si configurano in modo tale da determinare anche gli
strumenti con cui esse sono usabili; d'altra parte dallo studio della logica si
vedrà appunto come l'uso di certi determinati strumenti logici, l'impostazione
della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti
all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta,
giustifica quegli strumenti ed è il loro presupposto. A questo modo è possibile
trarre dallo studio della logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale
a dire l'unità delle dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli
strumenti ad esse ap-propriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie di
cui Aristotele fa uso e del loro modo di operare potrà così emergere l'unità
della filosofia aristotelica. Ma per far
ciò non sarà più possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del
procedere naturale dell'intelligenza o dottrina della conoscenza in generale,
ma bisognerà fare concreto rifcrimento al modo preciso in cui Aristotele pensò
che l'intelligenza lavorasse, cioè alla sua concezione della scienza. Infatti
la stretta connessione della logica con la metafisica, nel modo che sopra abbiamo
illustrato, diventa la stretta connessione della logica con la scienza, in
quanto la metafisica di Aristotele si presenta appunto come una scienza che ha
la medesima struttura delle altre scienze. Perciò dire che l'oggetto della
logica aristotelica è il discorso comune, come fa il Kapp, non è interamente
vero, in quanto il discorso comune può si costituire il punto di partenza ed il
materiale delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, però, è la
costruzione di un discorso scientifico fondato sul reale. Perciò se da un lato
la metafisica esige la logica come quella che può determinare gli strumenti con
cui le categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla
metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie
logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. Ed appunto
perciò la logica non sarà, come la tradizione con il nome di organon ha
tramandato e come lo Zeller interpreta, uno strumento essa stessa, anche se
mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere usate: essa,
infatti, è una struttura che è necessaria all'essere perché possa esserci un
discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come discorso,
anche sbagliato. Perciò presentandosi come logica della scienza quella di
Aristotele non si configura come inetodologia, in quanto quest'ultima è
possibile solo là dove non si presupponga l'esistenza di una struttura
dell'essere già costituita e gli strumenti per conoscere la quale sono
stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre mani. Di
conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva
è quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di riconoscere l'essere
in quello che veramente è. Ma tutto ciò potrà veramente venire alla luce solo
attraverso lo studio dei fondamenti linguistici della logica aristotelica:
infatti per Aristotele, come per Eraclito, la ragione è essenzialmente lóyos,
discorso, cioè capacità di cogliere e di indicare con parole l'essenza stessa
dell'essere. Il linguaggio, perciò, è lo strumento essenziale con il quale le
categorie aristoteliche hanno da essere usate; e la posizione che ad esso
Aristotele conferisce e le possibilità che ad esso apre costituiscono i
fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello Stagirita. Del
resto questo lato dell'indagine risponde pienamente agli interessi cui la
filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre da un lato la
logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame
delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati linguaggi e alle
possibilità e ai limiti di questi linguaggi, dall'altro la considerazione
dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contribuito ad aumentare
la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle sue reali
possibilità. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia ad un'attività
critica sull'uso delle parole ad altre più propense a dare ad essa un più vasto
significato, le correnti più significative della filosofia con-temporanca si
rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del tipo di discorso che
la filosofia deve adottare e delle possibilità che ne può trarre; e nella
stessa tecnica dell'indagine filosofia l'analisi linguistica dei termini è
praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di eliminare quelle parole
o quei significati la cui determinazione non è possibile fare con mezzi il cui
comportamento sia noto e, in qualche modo, controllabile. Il linguaggio cioè
non è un insieme di segni assolutamente trasparenti, capaci di riprodurre
fedelmente il puro pensiero o l'essere senza nulla pregiudicare di quella
ricerca che nelle parole troverebbe solo la sede adatta alle sue conclusioni,
ma interviene attivamente nella ricerca rischiando di deviarla su direzioni del
tutto illusorie. Questo problema è particolarmente importante per la filosofia
aristotelica che pretende di rintracciare, proprio avvalendosi del discorso,
una struttura dell'essere universalmente valida e che nella logica si preoccupa
di mettere in luce la posizione che il linguaggio ha come mezzo per enunciare
quella strut-tura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio come mezzo
per enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come struttura
necessaria e non come disciplina possibile del discorso; nel senso che i mezzi
semantici di cui il discorso è costituito sono sempre adatti a mettere capo ad
un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente aggravata dal fatto
che sull'autenticità di due opere del corpus logicum si sono sollevati dubbi. È
nostro preciso intento trattare questo problema nella misura richiesta
dall'indagine che intendiamo condurre ed esclusivamente in vista di essa. Ora,
del trattato delle Categoriae ci siamo serviti solo in quanto conteneva
dottrine del tutto confermate da altri scritti di sicura attribuzione, mentre
più largo uso abbiamo fatto del De interpretatione. Contro le difficoltà di
natura oggettiva sollevate fin dall'antichità contro il trattatello ha svolto
considerazioni probanti il Maier. Quanto a noi ce ne siamo serviti per studiare
dottrine che trovano sicuro riscontro negli Analytica priora (qualità e
quantità dei giudizi e dottrina della modalità), salvo differenze trascurabili
per il punto di vista da cui ci siamo collocati (p. es. la comparsa dei giudizi
individuali non considerati dagli Analytica). La dottrina della convenzionalità
non trova invece riscontro letterale in altri testi aristotelici; senonché si
può osservare: 1°) la nozione di inópavas come avíleois di arópiois e xatápaois
compare anche negli Analytica posteriora e la costituzione di un discorso
apofantico presuppone appunto l'eliminazione del problema della semanticità,
che è proprio il senso in cui abbiamo interpretato la nozione aristotelica di
convenzionalità del linguaggio; 2°) la dottrina del giudizio in tutte le sue
enunciazioni presuppone la convenzionalità nel senso sopra specificato;
3") la Poetica che parairasa passi del “De interpretatione” eliminando la
tesi della convenzionalità è stato dimostrato dal Maier essere
un'in-terpolazione tendenziosa. Perciò mentre mancano criteri oggettivi sicuri
capaci di sostenere la tesi dell' inautenticità, neppure l'esito dell'esame
condotto sulla concordanza dottrinale può indurrc a pronunciare l'atetesi del
De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano. Assai più difficile si presenta la questione
della collocazione cronologica degli scritti logici. Essa fu affrontata
dapprima dal Brandis che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre
opere aristote-liche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter
dividere i Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e
parti che la presuppongono. Altre a ciò il Maier ritenne di poter considerare
il De interpreta-tiene posteriore agli Analytica, dando così un piano completo
della successione delle opere logiche aristoteliche, dai più accettato e
confer-mato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole opere,
dal Tielscher. Mentre la considerazione dei libri B e H (nei ca-pitoli sopra
citati) come le parti più antiche dell' Organon sembra del tutto pacifica,
maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla col-locazione nello
stesso periodo dei libri che eseguono un progetto tracciato all' inizio del A, sì
da costituire un corpo ab-bastanza unitario nel quale si trova un rinvio ben
netto alla dottrina della dimostrazione di Analytica posteriora. Se questo
indizio nonè affatto sufficiente per posticipare i libri in questione, esso
rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione, un
inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica.
Quanto alla posticipazione del “De interpretatione”, le ragioni più importanti
addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la
giustificazione del cap. go come polemica contro Diodoro Crono - non sono del
tutto probanti. L'opera iniziata dal
Maier portava innanzi il Solmsen che, partendo dagli studi del Jäger, suo
maestro, dava un ordinamento del tutto nuovo al corpus logicum accettando quasi
integralmente le tesi del Maier per i Topica ma facendo precedere gli Analytica
posteriora ai priora; ordinamento che, accettato dallo Stocks, veniva criticato
con consi-derazioni ragionevoli del Ross. D'altra parte il Gohlke, prendendo in
esame le dottrine della quantità e della modalità dei giudizi tentava di
individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon;
ten-tativo parzialmente condotto anche dal Becker. In realtà nessuno di questi
tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado apprezzabile
di probabilità e stabilito su basi puramente oggettive, cioè tale da non
implicare un' interpretazione filosofica della logica aristotelica. Vista l'estrema difficoltà di stabilire un
ordine cronologico filologi-camente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo
preferito rinunciare all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro),
pur tenendo conto, dove ciò ci è parso indispensabile, dei nessi di priorità
che ci sono sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non
irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema
stesso di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui
tutte quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro
movenze pur cercando la loro unità: unità consistente appunto nel problema di
rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa
precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De interpretatione e negli
Analytica priora, tuttavia sta già alla base della dottrina del giudizio e del
ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei tratti tipici
dell'aristotelismo; quell'aristotelismo che è già riscontrabile nel platonisino
del Aristotele dell’Accademia e non del Lizio! Viano. Keywords: la filosofia
romana, il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS –
Luigi Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia
romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
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