GIOVANNI GENTILE
Fé-UL-io9 BERNARDINO TELESIO CON APPENDICE BIBLIOGRAFICA BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TlPOGRAI'I-EDITORl-LIBRAl 191 i PROPRIETÀ LETTERARIA LUGLIO MCMXI — 28189 AVVERTENZA Questa commemorazione, scritta per imito del Comitato per le onoranze a Bernardino Telesio nella ricorrenza del quarto centenario della sua nascita, e letta, tranne poche pagine, tiel Teatro Comunale di Cosenza il 26 aprile di quest'anno, 71011 poteva e non vuol essere una monografia sul Telesio; ma soltanto una caratteristica della sua personalità e della sua filosofia guardata nel processo generale del pensiero speculativo. Ciò spiega perche essa si estenda un po ' largamente sulla storia degli antecedenti. Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le note necessarie, una bibliografia, 1 nè sembralo opportuno riprodurre in essa dalle vecchie edi¬ zioni raiùssime degli scritti telesiani dediche e proemii, che sono documenti biografici e storici notevolissimi, poiché m'è accaduto di vederli non di rado citati di seconda mano pur dagli studiosi più diligenti, ai quali non era riuscito di averli sott'occhio. G. G. BERNARDINO TELESIO I Dietro al chiarore del rinascimento, sullo sfondo dell’orizzonte, s’addensa ancora la nebbia medievale; e la luce nascente s’im¬ porpora dei riflessi fumiganti di quella neb¬ bia, che il sole alto, splendente nel mezzo del cielo, spazzerà, quando all’alba della rina¬ scenza sarà successo il gran giorno dell’età moderna. In quella prima ora le vecchie idee sono morte; ma, pur morte, rimangono nel pensiero umano, e l’impediscono e l’oppri¬ mono con la gravezza di ciò che, estraneo alla vita, attraversa il processo della vita. Le idee nuove, quelle che sono anche oggi la sostanza del nostro spirito, si sono an¬ nunziate, anzi affermate con la vivacità im¬ petuosa e fremente, con l’entusiasmo gioioso della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e non sente il passato che si lascia alle spalle. Ma la loro affermazione per noi è piuttosto IO BERNARDINO TELESIO un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui è la vita vera e concreta delle idee, e manca l’integrazione, che il lembo della verità in- travvista raccolga nella coscienza coerente • del tutto, dove ogni parte ha il suo valore organico. E lo sviluppo e l’integrazione man¬ cano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto nel vecchio: e si va innanzi, come infatti è dei giovani, senza sapere distintamente che cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale è il cammino: portati dall’istinto della vita, che perverrà più tardi alla netta coscienza ■ del nuovo in quanto negazione del vecchio. Perciò tutti i pensatori di questa età hanno due facce, e ci presentano contraddizioni, che paiono spiantare i principii stessi del loro filosofare: e chi guarda a una sola faccia, non riesce a più rendersi conto dell’altra; e c’è chi di costoro ne fa gli iniziatori, a di¬ rittura, del pensiero moderno, e chi li re- ' spinge indietro, alla scolastica dei tempi di mezzo: laddove il loro significato storico è in questa posizione, che occupano, tra una filo¬ sofia che hanno solo virtualmente superata e una filosofia che solo del pari virtualmente essi affermano. Trascurare cotesto residuo esanime, che resiste nei loro sistemi alle loro IL MEDIO EVO II intuizioni innovatrici, in tutti questi filosofi, dal Poinponazzi al Bruno e al Campanella, non è possibile: vien meno tutto il significato di queste medesime intuizioni, che fanno di loro i precursori dei più grandi filosofi mo¬ derni; e non si spiegano più atteggiamenti essenziali, parti vitali del loro pensiero; ma, sopra tutto, diviene un mistero perchè il germe di verità, che essi si recano in mano, rimanga soltanto un germe, di cui la vita s’arresti appena cominciata. L’uomo del medio evo si era travagliato in una contraddizione, che si può dire orga¬ nica, perchè ne dipendeva la vita stessa del pensiero: contraddizione, i cui termini, se si vuol considerare il processo generale della storia ne’ suoi grandi tratti, si possono de¬ signare come la filosofia greca e la fede cri¬ stiana: due termini, che il pensiero tentò tutte le vie, lungo più di un millennio, di conci¬ liare; ma erano inconciliabili per lui, assolu¬ tamente, sul terreno in cui egli era posto; perchè, a dirla brevissimamente, la filosofia sua, che avrebbe dovuto operare la conci¬ liazione, era tuttavia la filosofia greca, e cioè uno dei due termini stessi antagonisti. 12 BERNARDINO TEI.ESIO La filosofia greca è il pensiero che si vede fuori di sè: e si vede perciò o come natura, nella sua immediatezza sensibile, o come idea, che non è atto del pensiero che pensa, ma cosa in cui il pensiero si affisa, e che pre¬ suppone come verità eterna e ragione eterna di tutte le cose e della sua stessa cognizione parallela alla vicenda delle cose: in entrambi i casi, come una realtà che è in se stessa quella che è, indipendentemente dalla rela¬ zione in cui il pensiero entra con essa quando la conosce. Visione la più dolorosa che l’anima umana possa avere del proprio essere nel mondo: perchè l’anima umana vive di verità, ossia della fede che sia quel che essa pensa ed afferma: e in quella visione, che è poi la visione eterna della prima riflessione, da cui si dovrà sempre pigliare le mosse, la verità, quel che è veramente, non è nell’anima umana; la cui condizione permanente ed essenziale è raffigurata da quel sensibilissimo amatore della verità, dell’essere eterno del mondo, che fu Platone, nel mito di Eros: mito pre¬ gno, nella sua classica serenità, di pathos che direi cosmico: perchè l’aspirazione fer¬ vente al divino, che è l’Amore di Platone, e che nella sua forma più alta è la filosofia, IL MEDIO EVO 13 non è solo lo sforzo supremo in cui si con¬ centra l’anima umana, ma culmina in questa, e affatica tutto l’universo, tormentato dal de¬ siderio di qualche cosa che è il suo vero essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con tutto il suo pathos, può essere intanto se¬ reno, perchè l’occhio dell’idealista greco è attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale lontano, e gli sfugge la miseria infinita del¬ l’amante senza speranza. In questa visione, quando, per opera prin¬ cipalmente dello stesso Platone, la verità della natura sensibile e mortale si rifrange nelle forme ideali, ond’essa si rivela al pensiero ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema di idee, tutta la scienza, nel suo proprio as¬ setto, come possesso adeguato della verità, non apparisce quale il perenne lavoro della mente e la celebrazione dell’ufficio supremo del mondo, ma quasi un che di remoto dalla realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la cognizione umana è sempre copia imperfetta. La scienza, di cui la logica deduttiva di Ari¬ stotile descrive mirabilmente il congegno, non è la scienza nostra, la scienza umana, che si fa e rifà continuamente nella storia: è la scienza che ha principi! immediati, che in sè 14 BERNARDINO TELESIO contengono sistematicamente tutti i concetti, I in cui si snoda lo scibile: è pertanto la scienza che è tale, in quanto è tutta e perfetta a un tratto, senza possibilità di svolgimento sto¬ rico. Ossia, la scienza per ottenere la quale ] tutto questo svolgimento, in cui è pure tutta la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un ideale, al cui cospetto quel travaglio men¬ tale, che ci par tuttavia la cosa più seria del mondo, non ha valore di sorta '). Dentro questa visione si chiude tutta la filosofia greca, e ogni filosofia che, come quella del medio evo, accetta la logica, ossia la maniera d’intendere la verità, di Aristo- tile. Questa logica si può definire la logica della trascendenza; o altrimenti, la logica dell’intellettualismo: per questa logica infatti la verità, che è termine dello intelletto, è tra¬ scendente, radicalmente superiore all’intel¬ letto stesso; e questo è ridotto a semplice facoltà passiva, contemplatrice e non autrice: che è il concetto dell’intelletto nel senso de¬ teriore di questo termine: quasi una mente, che importa bensì la presenza delle cose da conoscere, ma non dell’uomo, non dello spirito che le conosce, e che ha appunto questo di proprio e di diverso rispetto alle cose: che IL MEDIO EVO 15 non è cosa da conoscere, ma l’attività cor¬ relativa, che queste presuppongono nel loro concetto di « cose da conoscere » : una mente, insomma, per cui c’è il mondo, ed essa, per cui il mondo è, non è. Che è come dire: l’uomo, questo divino artefice di quanto è bello e santo e vero nel mondo, di quanto c i umilia e ci esalta, ora facendoci piegar le ginocchia innanzi alla potenza terribile del genio, ora sublimandoci nel gaudio di quanto trascorre immortale i secoli e aduna nel con¬ senso d’uno spirito solo i morti coi vivi; que¬ st’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende, ai proprii occhi, nella coscienza che ha del suo essere. Di un uomo così, ignaro del pro¬ prio valore, men che atomo disperso nell’in¬ finito, Chiesa ed Impero, accampatisi im¬ mediatamente come rappresentanti di Dio, possono disporre a loro talento, come cose, che non sono persone. Manca la coscienza, e manca perciò l’individuo: non c’è la libertà, come coscienza della propria legge. La legge, come la verità, scende dall’alto. Ma era questo il principio del cristiane¬ simo? Il cristianesimo voleva essere, al con¬ trario, la redenzione, la rivendicazione del valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a i6 BERNARDINO TELESIO Dio, facendo scendere Dio nell’uomo, e ren¬ dendo questo partecipe della natura divina. Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella sua idealità, o come dev’essere concepito, Dio stesso era uomo: con tutte le miserie j umane, soggetto all’estrema delle miserie, la morte; ed era Dio (quel dio, che redimeva) in quanto questo uomo, che eroicamente af¬ frontava la morte, otteneva in questa il premio della missione della sua vita tutta spesa uma¬ namente in un’opera d’amore. Onde l’amore risorgeva, non più, come nel mito platonico, contemplazione desiderosa dell’irraggiungi¬ bile, ma attività dell’uomo che crea se stesso perennemente: e non era più la celebrazione estatica di un mondo che è, ma la celebra¬ zione operosa, dolorosa insieme e letificante, di un mondo, che è regno di Dio essendo la purificazione della smessa volontà umana nella fiamma della carità. Onde l’uomo non è più sapere o intelletto; ma amore o vo¬ lontà, cioè creatore esso stesso della sua ve¬ rità, che è il bene: la verità che si scorge, j insomma, quando la cerchiamo con la buona volontà, col cuore puro, mettendo tutto l’es¬ sere nostro, sinceramente, ingenuamente nella ricerca; e che non è più, quindi, un che di IL MEDIO EVO 17 esterno a noi, che si presenti e s’imponga a noi passivi, ma è il premio o il risultato del nostro sforzo. L’uomo non è più spettatore; ma artefice. Si desta, e sente se stesso; sente che senza la sua volontà, senza il suo co¬ nato, senza lui, il mondo che ha valore per lui, la felicità, la vita, Dio, non si raggiunge. Acquista quindi davvero la coscienza della sua personalità, e però della sua responsa¬ bilità: poiché vede che da sè dipende tutto; e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto risorge. L’uomo trova dunque se stesso nel cristianesimo. Se questa intuizione fosse divenuta sen¬ z’altro concetto complessivo ed organico del mondo, se questo senso nuovo del valore dello spirito umano avesse rinnovato tutta la concezione della vita, in cui l’uomo afferma la sua creatrice potenza, se insomma il con- . tenuto della nuova fede fosse assurto al vi¬ gore di una nuova filosofia, il cristianesimo avrebbe segnato fin da principio la morte dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora filosofia: è visione immediata della verità non integrata in sistema di pensiero. E il cri¬ stiano, quando volle pensare il suo Dio, pensò più a Dio padre che a Dio figlio, e G. Gentile, Bernardino Te lesto. 2 l8 BERNARDINO TELESIO s’impigliò nella rete della metafisica aristo telica che il principio della realtà, come mo¬ tore immobile, che è solo pensiero di se stesso, e non d’altro, faceva estraneo alla realtà, e poi s’affaticava invano a colmare l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del movimento, che non è movimento, e il mo¬ vimento, che non ha in sè la propria ragione sufficiente; e quindi tra il principio del di¬ venire, che non diviene, e la natura che in se non ha la cagione del suo perenne ge¬ nerarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e il corpo; e poi ancora tra l’anima che in¬ tende, ed è lo stesso intendimento in atto, e 1 anima naturale solo capace di raggiun¬ gere la mera possibilità d’intendere, ma in¬ capace per sè d'intendere mai realmente: e,' in generale, tra la materia, potenza, e non più che potenza, di tutto, e la forma, realiz¬ zazione di tutto: come dire, tra l’aspirazione alla vita e la vita: eterno destino di Tantalo! Aristotelici o platonici, nominalisti o realisti, averroisti o tomisti, tutti i cristiani che nel medio evo si sono sforzati di concepire la realtà, sono giunti a questo risultato: al de¬ stino di lantalo. Tanto più doloroso, tanto più inquietante, in quanto era pur contenuto IL MEDIO EVO 19 nella fede novella, che fiammeggiava a quando a quando nei mistici, il concetto dell’imma¬ nenza di Dio nel mondo, nell’uomo, nello spirito. La teologia, tutta la filosofia scola¬ stica, anzi tutta la scienza medievale (che non è tutta filosofia) si costruisce come scienza di una verità che si sente, appena il sentimento si sveglia (basti per tutti ricordare Francesco d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che si sente, dico, estranea all’anima, lontana, oc¬ cupante per vano riflesso solo l’intelletto del¬ l'uomo, speculazione umbratile e di scuola, che non entra nell’ intimo e non afferra e non impegna e non riforma e non fa l’uomo. Scienza vana per chi ravvivava in sé il senti¬ mento tutto cristiano del valore spirituale: scienza elegante nel suo laborioso artifizio, sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi, delicatissima nei pazienti avvolgimenti dida¬ scalici in cui si dispiega, vasta, universale come un mondo per quanti vi si dedicavano: e, messovi dentro, talvolta, un intelletto di vasto respiro e di tempra ferrea, vi si ag¬ giravano e scendevano per meati lunghis¬ simi, con ricerche, che ora ci spaventano per la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio che attestano, fino a toccare l’ultimo fondo 20 BERNARDINO TEI.ESIO delle difficoltà, in cui la filosofia antica urta e si arresta. E basti per tutti ricordare il no¬ stro Tommaso d’Aquino: i cui sforzi possenti per scuotersi di dosso la plumbea cappa delle conseguenze ineluttabili dell’antica filosofia, riempiono l’animo dello studioso moderno di commossa ammirazione e di reverenza. Chi vuole intendere la storia del pensiero medievale, deve figgere lo sguardo in questo contrasto delle maggiori forze spirituali che vi operavano dentro: il misticismo, che, affer¬ mando immediatamente la presenza di Dio, della verità, di quanto ha valore, nello spi¬ rito umano, nega la scienza, la cognizione che è sviluppo e sistema, e tutte le forme a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo nella scienza e nella vita; e la filosofia intellettua* listica, che, presupponendo una realtà fuori dello spirito che la ricerca, si affanna in una costruzione, formalmente ricchissima e so¬ stanzialmente vuota, di quel che non può essere verità. O verità senza scienza, senza vita dello spirito; — o scienza, forma elevatissima di questa vita, senza verità, vana. UMANESIMO E RINASCIMENTO 2 1 II Quando il medio evo è al tramonto, un uomo di genio raccoglie in una espressione eloquente il senso di vuoto che l’anima cri¬ stiana provava nella scienza delle scuole: ma un senso, che non è più schietta conseguenza di disposizione mistica, la quale, rinunciando alla scienza, possa trovare il suo appaga¬ mento nell’immediatezza della fede; anzi, un senso che nasce da un vivo bisogno di sapere, di pensare, d’intendere. Egli è un dotto, un grande maestro di dottrina, un amante ap¬ passionato della scienza; ma aspira dal pro¬ fondo a una scienza che riempia l’anima e appaghi i bisogni che la nuova fede ha creati dando all'uomo la coscienza della sua inizia¬ tiva, della sua posizione centrale nel mondo: a una scienza insomma che dia la filosofia a questa fede. Quest’uomo, che si presenta sulla soglia del rinascimento con la coscienza di tale nuovo problema, e che, parlando un linguaggio pieno di malinconica nostalgia per un tempo che non è il suo, avvia per una nuova strada lo spirito umano, svegliando 22 BERNARDINO TELESIO intorno e innanzi a sè una lunga schiera e* folta di ricercatori, che indagano con fedel oscura ma salda una scienza nuova, che noni essi potranno trovare, è un grande poeta,! che fu anche un grande scrutatore deH’anima propria colta e sensibilissima, I'rancesco le trarca: iniziatore deH’umanesimo 2 ). L’umanesimo ha un doppio valore storico negativo e positivo. È guerra alla scienza del medio evo, — combattuta bensì con argomenti alquanto estrinseci e con spirito assolutamente restio per lo più, a passare attraverso a quelli scienza per superarla: — combattuta con 1; satira della forma letteraria, ispida, irsuta lutulenta, aspra di terminologia creata dal l’intelletto assottigliantesi nell’astrazione < nella conseguente escogitazione di entità lit tizie; alla quale si contrappone la purezz; translucida e composta dell’arte antica prò pria di uno spirito più ingenuo, meno affi ticato dalla concentrazione di un contenuti speculativo divenuto poi insufficiente alle in¬ tuizioni fondamentali del pensiero: — e co battuta con la dimostrazione sempre facond efficace, insinuante del vuoto, che c era sotti il tecnicismo difficile di quella pretesa scienza UMANESIMO E RINASCIMENTO 23 £ poiché quando la vita è sullo spegnersi, anche la causa più piccola basta a portare alla morte, nella civiltà viva del secolo xv, in quella che progredisce e prepara le for- nie ulteriori del pensiero umano, l’umane¬ simo, pur coi difetti della sua polemica, cac¬ cia di nido la scolastica. Restano le scuole dei frati; come restano anche oggi. Si con¬ tinua a filosofare all’antica; ma è una filo¬ sofia morta, allora come ora; non c’è più un Tommaso d’Aquino nè un Duns Scoto. Co¬ mincia l’era dei commentatori, che fossiliz¬ zano per conto loro lo spirito, che è vita sempre nuova. E la vita è negli umanisti. Quindi il lato positivo del loro valore sto¬ rico. L’umanesimo è filologia; ma filologia seria, che rivive il mondo umano che vuol conoscere: lo rivive nella fantasia e nel pen¬ siero, ma con una fantasia e con un pensiero, che s’estraniano dal mondo circostante e si chiudono in se stessi. Gli umanisti perciò, rifacendosi antichi nel mondo degli studi in cui si ritirano, possono acconciarsi alle for¬ me della vita esteriore, a cui non attribui¬ scono nessun valore. Tutta la vita reale e storica non tocca l’animo loro: è qualche cosa di indifferente, che si può accettare quindi 24 BERNARDINO TELESIO qual’ è, senza critica di sorta. L’uomo, ora per la prima volta, si spezza in due, con una scissura, che, passato questo periodo nece» sario di liberazione dal medio evo, non si ristaurerà a un tratto; e in Italia, che fu la patria degli umanisti, ossia dei primi maestri dei primi risvegliatori dell’Europa moderna resterà tristo legato di quell’epoca gloriosa piaga secolare del nostro carattere spirituale e forse il simbolo più significativo della no, stra decadenza 3 ). L’umanista è il primo letterato dell’eti moderna: il letterato, il cui mondo vero è> quello degli studi, e quell’altro, in cui purj vive come uomo, che ha famiglia e interess sociali, non è il suo mondo; il letterato in^ somma che non è uomo. Tale il Petrarca, i cui sdegni contro l’avara Babilonia e il saluto augurale ed ammonitore allo spirito gentile sono superfetazioni retoriche della sua poe? sia. Tale non era stato quell'Alighieri, che fu a lui sempre incomprensibile, nel poemi divino, contemplazione e poesia, ma di uno spirito energico, che guarda al suo tempo, e s’appassiona per tutte le lotte che gli si agitano attorno, e fa tuonare da Dio la parola che può essere la salute di tutti. Letterati UMANESIMO E RINASCIMENTO saranno tutti i poeti e filosofi della Italia fio¬ rentissima del rinascimento, che accetteranno tutti la vita quale la troveranno, poiché la loro vera vita essi se la faranno dentro, nella fantasia e nella speculazione, nel mondo creato da loro. La stessa religione, fissatasi al loro sguardo nella Chiesa, che non solo associa le anime, ma le forma e riforma, con l’ammini¬ strazione del divino commessole, con la sua teologia e con la sua filosofia, diventa per loro qualche cosa di estrinseco e indifferente, che ogni cittadino nel suo paese deve accettare come le leggi dello Stato. Cioè, in realtà, essi non partecipano alla religione del paese; ma ne hanno una per conto loro, il loro Dio è la loro arte, la loro filosofia, alle quali votano tutta infatti l’anima loro e subordinano ogni altro interesse, almeno nell’intimo del loro spirito. Non è, veramente, nè indifferentismo re¬ ligioso, nè tanto meno ateismo. Ma ateismo pare verso la religiosità ufficiale di cui si ridono, ancorché esteriormente le professino ogni riguardo. Quindi i conflitti frequenti e le prigioni e i roghi, che aspettano i nostri filosofi del secolo xvi. Il letterato, a ogni modo, stralciandosi dalla vita comune, in cui si era consolidata, 26 BERNARDINO TE DESIO in forma di instituzioni costrittive dell’indi¬ viduo, l'intuizione trascendente e intellettua¬ listica del medio evo, ereditata dalla filosofia greca, ristaurava, come poteva, la libertà dello spirito che si fa il suo mondo; e si fa un mondo di puro pensiero, poiché non gli è consentito di scrollare, d’un tratto, quell’altro della comunità sociale; al quale per altro, a suo tempo, perverrà egualmente quando il principio suo, il principio della libertà, di¬ verrà nel secolo xvm coscienza di tutti. E per questa sua ristaurazione, che è perfetta ed assoluta rispetto al mondo dell’umanista, egli, il malvisto della Chiesa, il perseguitato nei libri che saranno proibiti, nell’insegna¬ mento che sarà vietato, nella persona' che sarà bruciata, egli è più cristiano dei suoi persecutori: egli è il continuatore dello spi¬ rito vero del cristianesimo. Ha infranta e buttata via, con l’impeto. • della giovinezza, la vecchia filosofia, la fida, l’eterna alleata della chiesa medievale, come della chiesa di oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un medio evo bisogna che ci sia sempre); ma non si è abbandonato, come si faceva una volta, al misticismo; anzi celebra la potenza dello spirito; e, poiché una filosofia sua non UMANESIMO E RINASCIMENTO 27 ce rha (e non era facile averla, dopo il ri¬ fiuto di una filosofia opera millenaria), ei la ricerca nell’antichità più remota. La ricerca dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè quell’antichità aveva generato il medio evo; ma l’umanista non sa questo, e non può cre¬ dere che Platone, Aristotile, quei maestri solenni di sapienza umana, che gli scrittori antichi a una voce lodano, possono avere in¬ sertato la dottrina di cui essi vedono la tar¬ diva e sfigurata immagine nelle scuole del loro tempo. E poiché, in realtà, noi troviamo solo quello che cerchiamo, gli umanisti, che imparano il greco, e vanno a leggere nei testi originali e traducono e commentano, col sussidio dei più genuini commenti greci, gli scritti di Platone ed Aristotile, scoprono un mondo nuovo; un altro Platone e un altro Aristotile da quelli che erano i maestri della filosofia del medio evo; non dico di quella filosofia, ansimante nella logica termi- nistica degli occamisti, che sul cadere del 300 lacerava le orecchie delicate dei primi uma¬ nisti fiorentini, i quali avviarono pure i lavori delle nuove traduzioni greche (chè codesta è la filosofia della decadenza medioevale); ma di quella che e la vera, la essenziale 28 bernardino telesio filosofia dell epoca: la filosofia della trascen¬ denza e dell’intellettualismo. E non occorre dire che, se essi non trovano più i maestri di questa filosofia, è perchè muovono da una condizione spirituale affatto nuova, che fa di questo ritorno all’antico, che avviene nel 400, ' qualcosa di radicalmente diverso non solo dalla primitiva ellenizzazione del cristiane¬ simo nel periodo alessandrino, ma anche, e sopra tutto, da quel primo ritorno alle fonti I greche del sapere, che era già avvenuto nel secolo xm, nel tempo stesso di San Tom- I maso. Marsilio Ticino e Pico della Mirandola, in j cui culmina la direzione platonizzante, sono j platonici; ma sono profondamente cristiani; 1 e un aura di mistica religiosità pervade tutto 1 il loro pensiero, che vede e sente Dio per ] tutto, e sommamente nell’anima umana; e, | ispirandosi ai neoplatonici anzi che a Pia- J tone, accentuano più della trascendenza, che ] non possono negare, l’immanenza del divino I nella realtà naturale e aspirante a ritornare ] all Uno da cui trae sua origine: e aprono la 1 via a Leone Ebreo e a Giordano Bruno. Pietro Pomponazzi, il maggiore aristote- 1 fico, fiorito al principio del 500 dal movimento ] UMANESIMO E RINASCIMENTO 29 filologico sui testi di Aristotile del secolo antecedente, scopre un Aristotile, che non è più quello dei tomisti, nè quello degli aver- roisti: un Aristotile che, a poco per volta, secondo apparisce dai varii gradi attraversati dalla speculazione stessa del Pomponazzi, finisce col persuadersi che la materia si possa sollevare da sè fino all’intelligenza, senza il sussidio dell’intelletto separato; e che l’anima umana, ultimo risultato così del processo della natura, possa compiere in questo mondo, con le sue forze, tutta la sua missione, che è principalmente il ben fare, la virtù; e che tutti poi i fatti della natura debbano pel filo¬ sofo spiegarsi meccanicamente, per le loro cause: un Aristotile, insomma, per cui quel che rimane di trascendente (e rimane tutto quello che nell’Aristotile originale e nell’Ari- stotile medievale, ossia nella scolastica, era tale) non serve più alla ricostruzione e spie¬ gazione della realtà che sola è per il filo¬ sofo. Sicché la filologia del secolo xv riesce, ricalcando gli antichi modelli con lo spirito nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intui¬ zioni generali, in cui la filosofia greca riap¬ parisce trasfigurata e come ricreata dal soffio spirituale del cristianesimo, inteso, come ho BERNARDINO TEI.ESIO detto, quale autonomia e valore assoluto della natura e dell’uomo. La nuova filo¬ sofia infatti dicesi platonica e aristotelica $ ed è cristiana, ancorché mal veduta e con-] dannata dai rappresentanti ufficiali del cri-^ stianesimo. Guardatela in Machiavelli, contemporaneo di Pomponazzi e coerede suo della tradii zione filologica del secolo xv: chè tutto il suo realismo politico, quella concezione dello ^ spirito, della storia, dello Stato, tutta fon¬ data sulla visione della realtà effettuale e I illuminata dalla lezione degli antichi, non è I come il positivismo guicciardiniano un empi- I rismo, ma è una vera e propria speculazione I (Machiavelli è un idealista); la quale dello I studio degli antichi si giova solo per libe- I rare l’uomo dalle contingenze storiche, quali I sono per lei tutte le forme e istituzioni me-j I dievali sorrette dalla autorità di una tra- I dizione irrazionale; e studiarlo quindi per I quel che esso è, nelle sue forze e nelle sue I reali attinenze col resto del mondo, come il I vero ed unico autore della sua storia: una J specie di naturalismo del mondo umano. Guardate, dico, questa nuova filosofia nel I Machiavelli. Machiavellismo sarà dopo un I UMANESIMO E RINASCIMENTO 31 secolo, nel Campanella, sinonimo di « achito- fellismo », negazione di ogni fede religiosa, p l’achitofellismo, più o meno apertamente e coraggiosamente, è la conclusione defini¬ tiva e il succo delle dottrine di tutti i pen¬ satori del 500: anzi, di tutto lo spirito italiano del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica si ispira e si conforma. Giacché averroisti e alessandristi, per diverse vie, tendono tutti alla stessa mèta: che è la spiegazione natu¬ rale di quel che una volta pareva superiore affatto alla natura; e gli artisti, si chiamino Ariosto o Folengo, non conoscono altro inondo, oltre quello naturale ed umano. Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel Dio, che, stando fuori della natura e del¬ l’uomo, rende impossibile concepire una na¬ tura divina e un uomo divino, Dio essi lo negavano, perchè affermavano il valore as¬ soluto della natura e deH’uomo. Ma quel Dio, che era sceso in terra, e si era fatto uomo, e aveva redento la natura, era la radice della religione, che, essi primi, dopo il lungo vano travaglio medievale, ristauravano nella storia della umanità. Essi, infatti, per la prima volta, rivendi¬ cavano in libertà, dal misticismo e dall’ in- 32 BERNARDINO TELESIO tellettiialismo, che ne sono per opposte ra-, gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi profondo, proprio del cristianesimo, dellaI divinità della vita che crea eternamente sj stessa, dell essere che nella propria logica ha eternamente la ragione del proprio traJ formarsi e perpetuarsi trasformandosi. Quando l’umanesimo venne per tal modo in chi prima e in chi dopo, alla maturiti della rinascenza, lo spirito umano potè met¬ tere quasi 1 anelito potente di una nuova; vita, e di filologia farsi filosofia. Quando il nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridie¬ dero all’uomo la coscienza dell’immanente suo valore, e l’ebbero allenato alla libertà dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il suo essere appartiene, lo stesso Platone e lo stesso Aristotile, (questi sopra tutto, che era stato il vero signore delle scuole e il maestro di ogni umana sapienza) dovevano necessariamente perdere il loro prestigio di rivelatori privilegiati delle verità naturali.] L umanista e ancora un platonico o un aristotelico; cerca la scienza; e non sa nè anche come deve cercarla; e interroga gli] antichi, che la tradizione e la fama consacra nella generale estimazione come i soli filosofi. UMANESIMO E RINASCIMENTO 33 il fil° s °f° c l e H a rinascenza da questi ntichi, meglio conosciuti e studiati con lo spirito nuovo dell’umanesimo, ha appreso he la natura si spiega con la natura, la toria con la storia; e che bisogna cercare quindi nel gran libro della natura e della realtà effettuale dei fatti umani che cosa è la natura e che cosa è l’uomo. Gli antichi maestri rimandavano i nuovi scolari all’os¬ servazione diretta di quel che essi avevano osservato e inteso come era possibile a loro, senza nessun sentore della imprescindibile presenza del soggetto umano nel mondo del¬ l'uomo. La libertà, che gli scolari appresero da loro, quali essi li videro coi loro occhi nuovi, la libertà essi la affermarono ben pre¬ sto contro l’autorità dei maestri, che faceva della verità qualche cosa di dato e di estrin¬ seco alla mente come il Dio nascosto della teologia, come la realtà dell’intellettualismo. E però gli umanisti, divenuti filosofi, come parvero, e in un certo senso furono, atei e achitofellisti, furono antiaristotelici e, in ge¬ nerale, ribelli all’autorità degli antichi. Tutti invasi da un fantasma affatto nuovo, non in- travvisto mai dagli antichi scrittori: quello 34 BERNARDINO TEEESIO in cui i vecchi pensatori e sacerdoti l’avj vano posta a sedere, quasi paralitica impoJ tente: e si sgranchisce, e procede col tempo! e vive di questo suo cammino pei secoli ' anzi per le menti delle generazioni, che si succedono, e mai indarno: quasi fiamma che] passi da una mano all’altra e mai non sii spenga perchè accenda sempre nuovi incendiiJ e sempre più vasti. / eritas jilia temporis! Gli uomini, che peri lo innanzi avevano concepito la verità cornei pei se stante e non come il loro lavoro, I l’avevan sempre collocata dietro a loro', al principio della loro vita, nel paradiso ter- ] restie, nell età dell oro, nel vangelo rinnoJ vatore e iniziatore di un’era nuova già fin da principio perfetta, o, almeno (la verità acJ cessibile a mente umana) nell’insegnamento degli antichi, venuti crescendo perciò sempre ] più nella venerazione dell’universale e illuni! nandosi dell’aureola della saggezza, onde agli t occhi dei fanciulli si ricinge sempre la canizie , dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire I sulla fine del secolo xvi : la sapienza cresci cogli anni ; ma i vecchi siamo noi, non quelli che furono prima di noi. — Così dice Bruno; ; e così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali UMANESIMO E RINASCIMENTO 35 Malebranche, e poi con voce sempre più alta tutti i filosofi moderni 4 ). I quali afferme¬ ranno con coscienza sempre più salda la ] e <Tcre del progresso del sapere e della ve¬ rità: ossia il valore serio, divino della storia, come sviluppo, che è incremento continuo della realtà. Onde i vegliardi di una volta si trasfigurano in fanciulli; e i già fanciulli, usciti di minorità, e abbandonato alla scuola dei pedanti (come allora cominciarono a dirsi) il culto degli antichi, acquistano il giu¬ sto orgoglio degli uomini fatti, e la coscienza della propria capacità di concorrere al pro¬ gresso della scienza. Che anzi questa uscita di minorità, nella sua primitiva e ovvia forma di reazione al lungo servaggio passato, scoppia come ribel¬ lione, e si ricompone tardi e lentamente a equo giudizio storico delle benemerenze in¬ contestabili degli antichi. Così, se una volta, come notava nel secolo xri Giovanni di Sa- lisbury, Aristotile era stato il filosofo per antonomasia 5 ), e nessuno si scandalezzava della fanatica iperbole di Averroè che Ari¬ stotile fosse stato « la norma della natura e quasi un modello, ond’essa avesse cercato di esprimere il tipo dell’umana percezione 6 ) » ; 36 BERNARDINO TE DESIO nel cinquecento continua bensì nelle grandi edizioni di tutti i suoi scritti, voltati in latino e commentati in uso delle tante scuole, dove rimaneva sempre il solo testo di studio, continua egli a godere il titolo pomjjoso di princeps philosophorum\ e la chiesa cattolica a lui, come a patrono invincibile della sua dottrina, sempre valido alla repressione di ogni libero tentativo di riscossa, si tiene] sempre strettissima; onde ancora nel 1615 Federico Cesi badava ad avvertire il suoi grande Galileo che a Roma « li contrari ad , A.i istotile sono odiatissimi ") ». Ma lungo ] tutto il 500 è una polemica incessante pri-J ma contro gli aristotelici, e poi contro Ari- I stotile, preparatrice del rinnovamento baco-1 niano. Ricorderò Mario Nizzoli (1488-1566) che | nel suo Antibarbarus philosophìcus (1553)* non dubita di affermare che chi si mette I sulle orme di Aristotele, non potrà mai nec ] recte phìlosophari nec perfecte veritatem inveM nire. Sì, raccomanda la lettura delle opere J aristoteliche; ma cu/n diligenti consì defaticine 1 atcjue iudicio ; ne pregia alcune; ma nella | maggior parte della Fisica, in non pochi ] punti della Metafisica e in tutta la Logica 1 UMANESIMO E RINASCIMENTO 37 trova cose false, o inutili, e fin ridicole. A lui si può applicare, secondo il Nizzoli, il pro¬ verbio: Ubi bene, nikil melius : ubi male, nihil peius 8 ). E in tutte le sue critiche con¬ tro Aristotile uno studioso inglese di Ba¬ cone 9 ) nota quell’impazienza e queU’asprezza, che son solite negli scritti del Cancelliere inglese. E basti vedere le due avvertenze, che il Nizzoli, alla fine del suo libro, pro¬ pone d’imparare a memoria, chi voglia ret¬ tamente filosofare. La seconda delle quali, nello stesso latino dell’Antibarbaro, suona: Quamdiu in scholis philosophoi'um regnabit Arìstoteles iste dialecticus et meiaphysicus, tam- diit in eis et falsitatem et barbariem, si... non linguae et oris, at certe pectoris et cordis re- gnaturam. Ricorderò il francese Pietro Ramo (nato nel 15156 morto nel '72, la notte di San Bar- tolommeo): il quale con le sue Animadver- siones in dialecticam Aristotelis ( 1545) avrebbe mostrato, secondo il Bruno IO ), molto eloquen¬ temente di esser poco savio; ma creò ad ogni modo una scuola di logica nuova, esercitando una grande efficacia anche fuori della Francia, al suo tempo. Costui, secondo un suo bio¬ grafo, si laureò dottore d’arti a Parigi con 38 BERNARDINO TELESIO una tesi: Quaecumque ab Aristotele dieta essent, \ commentitia esse-, fittizio, falso ogni detto di Aristotele. Tanta fu la virulenza della sua pc lemica contro la logica dell’antico, che il Ramo dice non hosiem humani iudicii, sed tor\ torem ' carnificemque, da movere a sdegno i più spregiudicati tra i moderni. Ili I pensatori, adunque, intorno alla metà del sec. xvi cominciano a proporsi con intera libertà di spirito i problemi filosofici: libertà da preoccupazioni trascendenti e da pregiu¬ dizi di tradizione. E tra questi pensatori eccc sorgere e grandeggiare, come il rappresen¬ tante più cospicuo della tendenza nuova, il primo che costruisca tutta una filosofia dal nuovo punto di vista conquistato dal rina¬ scimento, l’annunziatore del nuovo giorno, Bernardino Telesio. Egli incarna il tipo del filosofo letterato, continuatore della tradizione filologica del- l’umanismo: del filosofo, il cui mondo vere è quello del pensiero, e l’altro non lo tocca: che si chiude nella sua filosofia e si estrania VITA E SCRITTI DEL TELESIO 39 111 realtà storica, che non è più vista da f • che diviene pertanto inafferrabile alla lui. e 1 -Il u a filosofia, cui pure, come a scienza del tutto, nulla dovrebbe sfuggire. La vita di Telesio “) si racconta in poche arole, quando si astragga dal processo del suo pensiero, perchè è appunto la vita di uomo, che vive tutto chiuso in se stesso; e se vi giunge il rumore fioco del mondo che si agita attorno al filosofo, è, tutt’al più, il saluto benevolo degli amici, facili a chi, non contrastando altrui nessun bene mon¬ dano, non si toglie per sè se non quello, che, anche partecipato, non si scema; o è il consenso o il dissenso degli studiosi, che con lui si sequestrano dalla vita comune; o è il malinconico ricordo della famiglia e degli affetti e interessi domestici, che, trascurati, diventano fonte perenne di affanni e impe¬ dimenti dolorosi al pensiero dominante del filosofo, assediato sempre dalla immagine raggiante di quella donna bellissima, che Ber¬ nardino amava di riprodurre sul frontespizio dei suoi libri: tutta nuda, nel verde piano, lungi dalle città dei mortali, le braccia aperte aspettanti, illuminata il petto e la fronte dal sole; e intorno il motto appassionato: ji-dva 40 BERNARDINO TELESIO [xol »i'Xa, « sola a me cara »: la divina Verità di cui Giordano Bruno canterà che nuda 1 de loto iaculatur corpore lucem ”); e per la quale egli, il Telesio, nella tarda età, raccogliendo nella sua opera maggior^ il frutto di una lunga vita a lei consacrata, si scusava dell’audacia del suo dissentire da Aristotele, interprete sommo, anche a suo giudizio, della natura, ammonendo i proni aristotelici del suo tempo, che si ricordassero i di quel che il maestro aveva detto, o imi¬ tassero quel che aveva fatto. « Giacché Ari¬ stotile stesso vuole, che in filosofia innanzi a tutti gli amici si onori la verità, in grazia della quale ei non teme riprendere anche il suo maestro ed amico. E mossi dall’amore di essa sola, per certo, ed essa sola venerando, noi, non sapendo acquetarci a quel che ave¬ vano insegnato gli antichi, a lungo abbiamo scrutato la natura; e, se non c’ inganniamo;! scopertala, l’abbiamo voluta svelare ai mor¬ tali, stimando non essere nè da uomo probo, nè libero, occultarla al genere umano per invidia o per tema dell’altrui invidia n ) ». Essa sola! Fuori di questo mondo, adun¬ que, in cui egli raccoglie e critica la tradizione VITA E SCRITTI DEL TELESIO -H antica e scruta da capo la natura, finché non gli paia di scoprirne il segreto, e que¬ sto, da ultimo, si accinge a comunicare agli altri, è vano cercare il Telesio: potete tro¬ vare un’ombra, non la persona viva. Egli è tutto lì, nei suoi libri. Nei quali c’è bensì un punto, che fermò già Bacone * 4 ), ma che è sfuggito, credo, a tutti i biografi, anche al sagace e diligentissimo Bartelli, che mi piace nominare subito a titolo di onore, e a sdebitarmi qui della riconoscenza che tutti gli debbono gli studiosi del Telesio: un punto, che è come uno spiracolo aperto in cotesto mondo intellettuale; e attraverso di esso tra¬ sparisce vagamente qualche cosa della vita privata dell’uomo. A proposito di certa in¬ dagine sperimentale intorno all’azione del calore in ragione della sua quantità — in¬ dagine che il Telesio, per conto suo, ritiene impossibile — egli esce in queste parole: « Così vi riuscissero altri, dotati d’ingegno più perspicace e che abbiano modo di stu¬ diare la natura con tutta tranquillità, sì da diventare, nonché onniscienti, onnipotenti. A noi, per confessarlo ingenuamente, d’inge¬ gno più grosso, e a cui filosofare non è stato possibile, se non negli ultimi anni della vita 42 BERNARDINO TERESIO (extremum vitae spatium ), e tutt’altro die li¬ beri da noie e da affanni, anzi gittati nelle maggiori angustie e nei guai più gravi dalla scelleratezza e inaudita crudeltà di coloro, dai quali avremmo dovuto più essere amati, 1 onorati e favoriti, è abbastanza se possiamo scorgere qual calore e quanto conferisca una data disposizione a una data mole mate-! riale » ,5 ). E accenni simili, in verità, a preoc¬ cupazioni e cure personali, e infine al dolore acerbo, onde nel 1576 fu colpito il cuore ! del filosofo già declinante a vecchiaia pel truce assassinio del suo giovinetto Prospero, il primogenito, si ripetono nelle prefazioni sue e d’un suo fido scolaro ai suoi libri: ma suonano appunto tutti come lamenti di un destino maligno, che turbò la vita serena, che Bernardino avrebbe voluto vivere, rac¬ colto nella meditazione delle sue idee. Bernardino fu il primo dei sette figli di Giovanni e di Francesca Garofalo. Dei quali il secondo, V alerio, fu barone di Castelfranco e Cerisano, e non solo mantenne, ma ac¬ crebbe le avite ricchezze; e certo pensò più a far danari, che a farsi amare, se nel 1567 i vassalli lo denunziavano al governo vice¬ regio per luterano; e, non essendo riusciti VITA E SCRITTI DEL TELESIO 43 er questa via a toglierselo di dosso, dodici anni dopo, cresciuto il malcontento, lo am- azzavano. Paolo e Tommaso furono invece ecclesiastici modesti e caritatevoli : Tommaso, vescovo di Cosenza dal 1565 al 69, profuse il suo a beneficio dei poveri ; e aiutò il fra¬ tello Bernardino, lontano il più del tempo da Cosenza e distratto, com’era naturale, negli studi, a precipitare anche lui in povertà. Bernardino, nato nel 1509, in una casa t li Via Padolisi, di fronte al monastero delle Verdini, dove il ricercatore dei ricordi patrii può scorgerne tuttavia qualche rudere; si allontanò fanciullo da Cosenza, seguendo lo zio Antonio, umanista dottissimo in latinità e maestro assai valente di lettere. E con lui era a Milano già nel 1518. Da lui dovette apprendere non solo il latino, che egli, pur contorcendolo al faticoso periodo della più tarda scolastica, maneggia con sicura padro¬ nanza del materiale linguistico più puro; ma anche il greco, poiché egli stesso afferma di avere studiato la filosofia aristotelica più sui testi originali che sulle traduzioni latine, il cui gergo gli riusciva incomprensibile l6 ). Con lo zio chiamato a insegnare nel gin¬ nasio romano, passava a Roma forse sulla 44 BERNARDINO TELESIO fine del ’2i, certo prima del '23. E vi era nel celebre sacco di quattro anni dopo; anzi fi,] fatto prigione, e potè essere liberato dop 0 | due mesi a intercessione del concittadino Beri nardino Martirano, segretario di Filiberto d Grange I7 ). Onde, poco stante, avendo lo zio I avuto un insegnamento a Venezia, egli s j recò a Padova, per continuare lì e compiere la sua istruzione; e parecchi anni vi stette, 1 attendendo presso quello studio, allora tra 1 più celebri e frequentati di tutta Europa e centro principale dell’aristotelismo, alla ma-, tematica, all ottica (in cui si dice che facesse! osservazioni nuove mirabili) e sopra tutto alla filosofia. Quando ne sia venuto via, lo igno-1 riamo. E le congetture desunte dalla crono- j logia dei Papi, che secondo il suo antico bio¬ grafo, il cosentino Giovanni Paolo d’Aquino, ebbero in grande stima il filosofo, e che sarebbero poi stati tutti quelli che pontifica¬ rono dalla giovinezza alla morte del Telesio, sono prive di ogni ragionevole fondamento. Ma lo stesso D’Aquino, che lesse il suo ■ elogio nell’Accademia Cosentina, poco dopo] la molte del filosofo, di cui fu amico e potè ] conoscere minutamente i casi, ci racconta che I Bernardino, «per poter meglio investigare il VITA E SCRITTI DEL TELESIO 45 ecre ti della natura, per molti anni si dis¬ giunse dalla frequenza degli uomini, e sè liberò da ogni altro pensiero, e lasciò la patria, i parenti, gli amici, e si raccolse in u n monastero di frati di San Benedetto e ivi abitò ,s ) » : molto probabilmente nella Gran- cia di Seminara I9 ). Il che dovette accadere poco dopo il ritorno da Padova, e qualche anno prima del '40. Perchè durante questi molti anni di raccoglimento e di studi sap¬ piamo da lui stesso che egli non scrisse mai nulla 20 )‘, e solo ripigliò la penna quando si credette arrivato in porto, e in possesso della verità già faticosamente ma invano cercata nei libri di Aristotile, e poi lungamente in¬ dagata nella stessa natura al lume di nuovi principii balenatigli a un tratto alla mente. E sappiamo che a scrivere cominciò, quando aveva lasciato Seminara, a Napoli, ospite dei Carafa, duchi di Nocera. E doveva aver co¬ minciato prima del '47, se il vescovo di Fano, Ippolito Capilupi, potè dare al re Francesco I la lieta novella che il giogo di Aristotile pre¬ sto sarebbe stato scosso, e che un italiano « aveva cominciato a scrivere » contro la sua dottrina. Di che si sarebbe rallegrato il Re, e avrebbe detto al Capilupi: « Io prometto 46 BERNARDINO TELESIO che, se costui fa quel che dice, io sono p er dargli diecimila fiorini in entrata » 2I ). Lasciata dunque Padova con la sconten¬ tezza nell’animo verso l’antica scienza che durante gli stessi studi universitari, gli dovè apparire, quale sempre la giudicò nei suoi scritti, oscurissima, il suo pensiero si maturò intorno al 1540 nella solitudine del chiostro. Passato a Napoli, nella conversazione degli ò "| studiosi ebbe occasione e stimolo a dar corpo e sistema alle proprie idee: e allora abbozzò i nove libri della sua maggiore opera De re~ rum natura e alcuni opuscoli su questioni varie di filosofia naturale: poiché gli uni e gli altri diceva di aver pronti da un pezzo nel 1565, quando pubblicò un primo saggio del De rerum natura 22 ). Nel ’55 la fama della nuova filosofia bat-.| teva l’ale fuori del Napoletano; poiché un altro Capilupi quell’anno rivolgeva al filosofo novatore questa preghiera: Telesio, voi che col veloce ingegno, Trascorso avete in si pochi anni il mondo, Misurando la terra e ’l ciel profondo, Già siete giunto di saver al segno: Mostratemi il cammin, se ne son degno, Da seguir voi col bel lume giocondo, Che trar mi pò dal tenebroso fondo D’alta ignoranza, onde ho me stesso a sdegno *3), j VITA E SCRITTI DEL TELESIO 47 Allusione evidente all’atteggiamento riso¬ luto, che già il Telesio doveva avere assunto, di assertore di una nuova filosofia; la quale, per la stessa avversione che incontrava naturalmente nei tenaci prosecutori della dot¬ trina aristotelica, doveva, come suole acca¬ dere, diventare più presto famosa che cono¬ sciuta. Celebre, pel racconto che ne fa lo stesso Telesio, il viaggio da lui intrapreso nel 1563 ’ 4 ), per sottoporre questa sua filo¬ sofia a uno dei più illustri peripatetici di quel tempo, ora solo ricordato per quest'aneddoto telesiano: Giovanni Maggio, di Brescia, nella cui lealtà spregiudicata il novatore combat¬ tuto da tutte le parti, e quel che è più, tor¬ mentato dal segreto sospetto non forse egli si ingannasse ad attribuire tanti spropositi a quell’Aristotile, a cui i maggiori intelletti per tanti secoli s’erano inchinati, credette di far sicuro affidamento. E a Brescia le sue speranze non vennero deluse: la conversa¬ zione di quel brav’uomo gli restituì la fede che gli era necessaria. Il Maggio lo tenne seco parecchi giorni: lo ascoltò tranquilla¬ mente, pesò gli argomenti. Contro i prin¬ cipe non trovò che oppugnare, e le deduzioni erano impeccabili. Argomenti da difendere 48 BERNARDINO TELESIO in modo soddisfacente Aristotile, non potè addurne; e confessò egli, il peripatetico il¬ lustre, che doveva farsi un punto d’onore di salvare la riputazione del suo maestro, con¬ fessò che veramente questi aveva errato a porre quei suoi corpi primi, senza osservare la natura e argomentando dalle sue premesse; confermò anche che queste premesse erano involte in difficoltà inestricabili e senza fine, rilevate dai seguaci stessi ; nè gli parve inop¬ portuno metterle sott’occhio al Telesio. «Uomo nobilissimo », questi esclama nel racconto che due anni dopo fece di quella visita al Mag¬ gio: « nobilissimo, sì, di nascita, ma assai più di animo, cultore e ammiratore soltanto della verità » J5 ). Da lui fu, dunque, incorag¬ giato a pubblicare la parte fondamentale del¬ l’ardita dottrina, che da così lunghi anni an¬ dava rivolgendo nell’animo e timidamente comunicando agli amici. Allora bensì egli sentiva le imperfezioni che erano tuttavia nella sua opera, da cui quasi un avverso destino gli pareva che lo avesse a lungo distratto. E continuò negli anni seguenti a correggere e rifare. Tornò anche sopra i primi due libri, quando li ristampò nel ’jo accompagnandoli con tre VITA E SCRITTI DEL TELESIO 49 opuscoli De his quae in aere fiunt et de ter- raetnotibus, De colorum generatìone e De mari. Finché da ultimo si apprestava a rifonder j| suo vasto trattato, che gli riuscì di dare in luce intero solo nella vecchiaia avanzata. Con l’incontentabilità propria di chi giunge con fatica, per una via aspra e non più ten¬ tata, alla scoperta di un pensiero nuovo, e si sforza di dargli la forma classica, onde si avvantaggia la scienza ricevuta, con quella incontentabilità inquieta, che uno scolaro del Telesio attestava di lui ripubblicando, dopo la sua morte, insieme con nuovi opuscoli di ir.etereologia e psicologia i tre già stampati dall’autore ma arricchiti di aggiunte e cor¬ rezioni inedite di forma e sostanza 25 ), Ber¬ nardino Telesio attorno al suo libro mag¬ giore lavorò insistentemente, instancabilmente quasi mezzo secolo. E vi lavorò tra affanni continui, col desi¬ derio tormentoso, sempre inappagato, di un po' di tranquillità, sotto l’assillo di cure e dolori domestici, che non gli diedero mai tregua. Un raggio di luce nell’animo suo scende nel 1553, quando il filosofo solitario, il meditabondo indagatore della natura, si fa una famiglia. Sposa Diana Sersale, una G. Gentile, Bernardino Telesio. 4 50 BERNARDINO TEI.ESIO vedova, già madre di due figli. Ma Diana morì otto anni dopo, lasciando altri quattro figli, di Bernardino. Quegli anni ei si fermò abi-j tualmente a Cosenza. Oui nel '54 era sindaco dei nobili. Qui è fama adoperasse di buon grado la sua autorità a comporre i litigi dei concittadini, a pacificare gli animi, amato] come era da tutti e tenuto in somma vene-l razione. Qui molta parte dovè prendere ai lavori dell’Accademia Cosentina; la quale, se-J guendo lo svolgimento generale della cultura ^ contemporanea, dalla filologia, si volse allora, ■ per opera principalmente del Telesio, alle questioni filosofiche o naturali ; e finì con i esser detta accademia telesiana. Sulle infe¬ lici vicende economiche di Bernardino, intera rotte, pare, per qualche anno dall’aiuto che al marito speculativo potè porgere la Diana,] ma fattesi più gravi subito dopo la morte di costei, divenendo motivo di sempre mag-i giori dispiaceri al filosofo, perseguitato dai creditori, non giova fermarsi. Nel '64 Pio IV gli offre a sollievo l’arcivescovado di Cosenza» ma egli prega il Papa che voglia conferirlo piuttosto al fratello Tommaso: « per atten-j dere a’ studi » , dice l’antico biografo 2? ). Ben più accetto poteva riuscirgli l’invito di Gre-j VITA E SCRITTI DEL TELESIO 51 ?0 rio XIII (papa dal 72 aH’85) a spiegare in Roma pubblicamente il suo libro; come l'altro simile venutogli poscia da Napoli a8 ). Ma vero e proprio insegnamento egli non tenne, contento, come già Socrate, alle con¬ versazioni cogli amici, ai quali apparve mi¬ racolo di dialettica irresistibile e fu veramente maestro pieno di fascino; contento alle dispute coirli avversari renitenti alla nuova dottrina, non già per partito preso, come gli ammi¬ ratori del Telesio solevano dire, ma perchè fissi oramai in una forma mentale, in cui quella dottrina non poteva avere più presa: « Quando egli ragionava delle scienze e delle dottrine», ricorda il D’Aquino, « parea che gli ascoltanti fossero stati tutti adombrati; così stavano taciti e sospesi ad ascoltarlo », E il Quattromani, che fu dei cosentini che risentirono più il fascino di quella parola, e un anno dopo la morte del Telesio com¬ pose un lucido compendio della sua filosofia, scrivendo al Telesio stesso nel 1563: «Da che mi allontanai da lei, quei spiriti che in me erano generati dalla sua presenza, e che mi rendevano pronto e ardito, sono tutti spenti, e con loro anco annullato e venuto meno ogni giudicio e ogni sapere ». D’altra 52 BERNARDINO TELESIO parte, un motto pittoresco 29 ) rappresenta al vivo la situazione degli aristotelici scoi* certati dalle critiche telesiane; ai quali il car J dinal Farnese una volta avrebbe detto: « OrJ che non ci è il Telesio, tutti oppugnate le sue ragioni; ma, come egli è presente, ciasche¬ duno tace e si arresta ». Alle opposizioni e malignazioni degli ari¬ stotelici di Napoli, dove, morta Diana, ;] Telesio tornava spesso, ospite dei CarafaJ gli fu scudo il colto e gentile duca Fer¬ rante, che l'onorava come padre. La gloria cominciava a dargli il suo conforto e la forza. I due libri ristampati a Napoli nel '70, con due degli opuscoli, erano a Firenze voltati in volgare da Francesco Martelli, che li de- J dicava nel '73 al Cardinal dei Medici } °). An¬ tonio Persio bandiva la dottrina nellTtalia superiore, a Bologna, a Venezia — dove nel 75 la difendeva in una solenne disputa pub¬ blica '); — a Padova, dove diffondeva tra i dotti gli scritti telesiani. A sollecitazione di lui, uno dei filosofi più rinomati, Francesco Patrizzi, nel '72, comunicava al Telesio alcune osservazioni su vari punti di quei due libri 33 ).! E Bernardino ne era spronato a rifarsi scovi pre di nuovo sulla sua opera; che finalmente VITA E SCRITTI DEI. TELESIO 53 s i risolveva a pubblicare tutta a Napoli . nel i 5 86 - L’anno dopo si ritraeva a Cosenza a finirvi la sua vita di pensiero, di lavoro e di do¬ lore. Della morte del suo povero Prospero non s’era più saputo dar pace. E irrequieto tornava poco dopo a Napoli; poiché al 1588, anno che il Tasso da marzo a novembre trascorse a Napoli, — credo sia da attribuire l'aneddoto raccontato dal Manso nella vita del poeta; 33 ) « Fu Bernardino Telesio uomo di acuto ingegno e di profonda dottrina e di socratici costumi; ma non di meno sentì acerbamente la morte di un figliuolo, che gli fu ucciso senza Colpa. Torquato, per voler- nelo consolare, gli addimandò se quando il figliuolo non era al mondo, egli si doleva che non vi fosse. Il Telesio rispose che no. — Dunque, soggiunse il Tasso, perchè vi do¬ lete ora che non vi sia? ». Volle, commenta il Manso, « volle contro il filosofo dispre¬ giatore degli antichi valersi degli argomenti dei sofisti ». Povero filosofo, che s’illudeva di non avere più posto nel cuore per nes¬ suno, dacché la Sapienza, accendendolo della sua bellezza divina — come ei canta negli esametri per Giovanna Castriota — l’aveva 54 BERNARDINO TELESIO tenuto tutto, fin dai primi anni, nell’amore di lei. La vita, che la sua filosofia escludeva,, stritolava intanto il suo cuore di padre. Pure cercò fin all’ultimo il suo ristoro in quell’amore; e il D’Aquino c’ informa di opere, che egli avrebbe scritte « intorno agli ottanta anni »; che esso D’Aquino, poco dopo la morte del Telesio, vedeva in Cosenza « nelle mani di diverse persone » ; e incitava i con¬ cittadini, che pur troppo non raccolsero l’esorl tazione, a non lasciar perire quelle preziose scritture, clov’era « una, maniera e sorte di logica, che senza dubbiosità e senza sofismi ci insegna a discernere il vero dal falso; e da esse si impara la vera astrologia, cioè di salire con la mente al cielo, e la teologia, che ci ammaestra a conoscere, riverire e servire Iddio! » 34 ). IV Il Telesio morì nei primi dell’ottobre 1588 a Cosenza. E qui fortuna volle si trovasse in quei giorni un giovane domenicano, che studiava con ardore filosofia, guardando al Telesio come all’astro nuovo dell’orizzonte, e del I.A FILOSOFIA DEL TELESIO *55 Xelesio doveva essere tra poco acerrimo difen¬ sore contro gli attacchi dell’aristotelico Marta di Nap°l'» e poi uno dei maggiori continua- tori: Tommaso Campanella. Il quale non aveva fatto in tempo ad accostarsi al vecchio maestro; e lo vide per la prima volta nel ca¬ tafalco, dove, pel funerale, affisse certi suoi distici. Questi non ci sono giunti; di lui ab¬ biamo invece il duro ma fiero ed energico so¬ netto, in cui ritrasse il valore storico del Xelesio, il «maggiore dei filosofi», lo «splen¬ dore della natura », nonché la propria filia¬ zione ideale dalla filosofia telesiana; un so¬ netto, che raccoglie attorno al maestro il meglio della sua scuola: Telesio, il telo della tua faretra Uccide dei sofisti in mezzo al campo Degli ingegni il tiranno senza scampo; Libertà dolce a veritade impetra. Cantan le glorie tue con nobil cetra Il Bombino e ’l Montan nel Brezzio campo: E il Cavalcante tuo, possente lampo, Le rocche del nemico ancora spetra. Il buon Gaieta la gran donna adorna Con diafane vesti risplendenti, Onde a bellezza naturai ritorna. Della mia squilla per li nuovi accenti, Nel tempio universal ella soggiorna; Profetizza il principio e ’l fin degli enti. 56 BERNARDINO TEI.ESIO Vincenzo Bombini, Sertorio Quattromani (il Montano), Giulio Cavalcanti, il buon Gaeta, che avrebbe trattato l’estetica secondo i prin- cipii telesiani, avanzando tutti gli altri, erano (avverte, in nota, lo stesso Campanella) ac¬ cademici cosentini. Egli poi, secondo la stessa nota, « filosofo dei principii e fini delle cose », avrebbe elevato a più alto segno la nuova scuola: « Rinnovò », com’egli dice, «la filosofia, ed aggiunse la metafisica, e politica ecc., e la accoppiò con la teologia » 35 ). Certo, la me¬ tafisica delle primalità campanelliana manca nel Telesio. Ed è pur vero il giudizio di un altro grande ammiratore del nostro co¬ sentino, Francesco Bacone, che la filosofia telesiana in sostanza toglie di mezzo l’uomo e la sua azione sulla natura (arles mecha- nicae, quae materiam vexant ) per non guar¬ dare altro che la fabrica mundi, riuscendo una specie di filosofia pastorale o arcadica, che contempla il mondo placidamente e quasi in ozio 36 ); filosofia, che Bacone amava met¬ tere insieme con quella dei pensatori greci anteriori a Socrate e di taluni moderni, come il tedesco Paracelso, il danese Severino, l’in¬ glese Gilbert, l’italiano Patrizzi, fondatori di LA FILOSOFIA DEL TELESIO 57 nuove sette filosofiche, ideatori di altri si¬ stemi astratti intorno alla natura delle cose, senza conseguenza per ciò che concerne le sorti umane: di quei sistemi, che egli sde¬ gnava come facili a disseppellirsi dalla tra¬ dizione dei più antichi filosofi e magari ad inventarsi di pianta 37 ): egli, che avrebbe vo¬ luto che il filosofo guardasse con un occhio alla natura, e con l’altro alle umane uti¬ lità 3S ). Alla filosofia telesiana è estraneo il grande concetto del regnimi hominis, proprio di Bacone. Ma questa filosofia pastorale per Bacone era appunto una metafisica: una di quelle filosofie che a lui pareva si potessero adombrare nel mito di Cupido, dell’antico Cupido: il primo degli dei, e anteriore a tutte le cose, salvo il caos suo coevo; senza padre esso, e primo principio dell'ordine che sorse nel caos, ossia dell’origine dell’universo; una filosofia insomma delle cause prime e delle leggi supreme, oltre le quali non è dato pro¬ cedere. Lasciamo stare l’analogia che Bacone, come già il Patrizzi 39 ), vedeva tra la fisica del vecchio Parmenide e la nuova dottrina di Telesio: analogia da lui stesso ridotta al suo giusto valore, quando avverte che ai 5 » BERNARDINO TELESIO principii parmenidei il filosofo Cosentino ag¬ giunse del proprio la materia, perchè depra¬ vato dai concetti peripatetici 4 °); che è come dire che la dottrina telesiana, in conclusione, non è nè parmenidea, nè peripatetica, ma te¬ lesiana. E certamente il raffronto con l’eleate non regge per nessun verso, chi consideri il valore della « doxa » rispetto al pensiero me¬ tafisico di Parmenide 4 '), e tenga conto del ca¬ rattere schiettamente dualistico della teoria esposta nella « doxa », e interpetri, d’altra parte, il pensiero telesiano in relazione a quello che se ne può dire propriamente la naturale matrice, la metafisica aristotelica, già così distante dalla posizione eleatica. Certo, senza essere una metafisica, la filo¬ sofia telesiana non avrebbe potuto esercitare l’azione storica che esercitò, in Italia attra¬ verso Campanella, Bruno e tutto il natura¬ lismo meridionale del secolo xvir, per tutta Europa attraverso Bacone, che lo ha sempre presente, ora accettando, ora criticando le particolari sue teorie, ma avendolo sempre in gran conto come « il migliore dei mo¬ derni » 42 ). Un riformatore della filosofia, — quale egli fu generalmente celebrato dai contemporanei e da quelli che dopo di lui I.A FILOSOFIA DEL TF.I.ESIO 59 sentirono il bisogno di appoggiarsi a lui per continuare la guerra del pensiero nuovo con¬ tro J 'aristotelismo, costretto a rinchiudersi sempre più nelle scuole della tradizione in¬ feconda, — deve, almeno implicitamente, dare u n nuovo orientamento, e cambiare l’aspetto della realtà tutta agli occhi dei pensatori. E questo fece Telesio. È pur vero che egli è, come dice Bacone, più valente a distruggere che a costruire 43 ); ma è anche vero che la sua critica demoli¬ trice è essa stessa una costruzione. Non possiamo ora esporre tutte le critiche particolari, che egli con lena che non viene mai meno rivolge alla metafisica, alla fisica, alla psicologia, all’etica e alle minori dottrine di Aristotile; e tanto meno possiamo seguire l’ardito pensatore nelle singole teorie, che le sue nuove osservazioni, e, più che tutto, rav¬ viamento generale del suo intelletto, gli fanno sostituire alle antiche. Ma basta per questo rispetto notare, che l’ampiezza della ricerca e la compattezza delle soluzioni adottate in tutti i campi, a cui si era estesa la filosofia aristotelica, dimostrano che nel De rerum natura contro l’aristotelismo si afferma e si accampa una nuova intuizione del mondo: 6o BERNARDINO TELESIO la quale riceve infatti tutto il suo significato storico dalla sua posizione verso l’aristote- lismo rimesso a nuovo dalla erudizione filo¬ logica del rinascimento, e liberato dagli adat- o tamenti medievali della scolastica; e questo significato conserva, nel suo assoluto valore storico, per molti e gravi che sieno gli er¬ rori commessi a sua volta dal Telesio nella sua nuova costruzione: poiché una filosofia non attinge il momento suo di vita eterna e non vive nella storia, se non pel principio che l’anima. A cogliere questo principio non vi affidate alla euida dello stesso autore; non guardate subito al titolo della sua opera; a quel titolo che promette di farvi intendere la natura se¬ condo i suoi principii, quasi Aristotile con le sue teorie le avesse fatto violenza, imponen¬ dole i suoi ingiustificati preconcetti. Su questo motivo polemico il Telesio insiste; se non che è il motivo che in varia forma si ripresenta in ogni polemica filosofica, la quale non può impiantarsi nella fatua pretesa di sostituire le idee nostre a quelle degli altri, ma la ve¬ rità all’errore: e l’errore apparisce sempre come una costruzione arbitraria della mente soggettiva, ripugnante alla essenza propria LA FILOSOFIA DEL TELESIO 6l della realtà, che tutti i filosofi vogliono inten¬ dere; la verità, invece, come la intuizione diretta, la traduzione fedele la ricostruzione genuina del reale nella purezza della sua og- gettività. E se la natura vernini, nel suo senso più profondo, è la realtà stessa, da Telesio non veduta se non come natura, il titolo di quest’opera, chi s’arrestasse all’intenzione dell'autore, accennata nell’aggiunta iuxtapro¬ pria principia , sarebbe un titolo adatto a tutte le opere filosofiche innovatrici, com¬ prese quelle stesse di Aristotile. Ed è, al con¬ trario, un titolo significativo e caratteristico rispetto all’indirizzo mentale telesiano, quan¬ do si faccia convergere su di esso la luce spe¬ ciale e intima della sua filosofia. Non vi arrestate nè meno alle proteste metodiche, di non voler seguire altro che il senso, quasi la filosofia telesiana dovesse riu¬ scire un puro empirismo. Gilè tale questa filosofia non è; e se l’intonazione della sua polemica antiaristotelica piacque all’orecchio dell’autore del Novum Organimi , egli è che anche Bacone, come molti altri pensatori dopo di lui, s’illuse credendo che il metodo sia un antecedente della filosofia, e questa un prodotto di esso: laddove metodo e filosofia 62 BERNARDINO TELESIO sono una cosa sola, nel senso che la filo- 1 sofia è il concreto e il metodo l’astratto: ] onde non si ha una filosofia perchè si ha un metodo, ma proprio l’opposto. Hn da prin¬ cipio la mente del pensatore ha, sto per dire, una certa impostazione, quindi un certo mondo che essa intravvede, e che l’occupa e le pone innanzi, urgente, il suo problema: quasi la macchia, la prima oscura intuizione creatrice dello artista, che è già opera d’arte. E in quel germe c’è la filosofia con la sua logica: la filosofia, che non potrà poi avere altro svolgimento da quello che le è asse¬ gnato per la sua logica innata. E quanto al Telesio in particolare, il mo¬ tivo più potente, quella che può dirsi la prima radice del suo filosofare antiaristotelico, non consiste in una o più difficoltà che l’espe¬ rienza sensibile opponga, secondo lui, ai prin- cipii di Aristotile; nè è codesta esperienza la fonte, a cui egli ordinariamente ricorre per lo sviluppo e l’elaborazione del suo pensiero. La sua natura, è vero, è la natura sensibile, materiale; nè egli, in quanto filosofo, conosce realtà che possa concepirsi scevra di mole materiale. Tutto ciò che razionalmente gli riesce d’intendere delle funzioni spirituali, T.A FILOSOFIA DEL TEI.ESIO 63' è per lui bensì spirito; ma non nell’accezione moderna di questa parola, anzi come la ma¬ teria che più sia stata assottigliata dal calore. £ la natura materiale e sensibile non pare possa definirsi altrimenti che per quella realtà che è per il senso, e quindi per una filoso¬ fia che non ammetta altro organo di co¬ noscenza che il senso. Ma anche questa determinazione è appena la superficie della filosofia telesiana e di tutte le altre .simili. L’affermazione del senso, quando ha una reale importanza nella storia della filosofia, può rispondere a un doppio bisogno: al bisogno ideale dell’empirismo, che nega la metafisica come scienza dell’as¬ soluto, che il senso non coglie: che è la tesi, p. es. di Kant nella Critica della ragion pura e la tesi a cui si arrestarono nel secolo xix i seguaci di quel positivismo filosofico, il cui unico valore si riduce alla negazione della filosofia. O risponde al bisogno, che fu pro¬ prio di Bacone, e più tardi della logica nuova della filosofia moderna, nel significato che ri¬ mase affatto oscuro nel cancelliere inglese, pur grande animatore del pensiero europeo, della mediazione dell’universale, della con¬ cretezza storica del pensiero, che non è quale 6 4 BERNARDINO TEI.E5IO Platone e Aristotile lo immaginavano, una rete bella e fatta e astratta di concetti universali, ma vita sempre nuova, ed eterna come tale, di essi nei particolari: ossia affermazione del¬ l’individuale di contro al generale, della lo¬ gica reale di contro a quella speculazione a cui gli antichi trovavano adeguata soltanto la mente divina; e Platone, in fondo, nè anche quella, se si intende a rigore il mito delle contemplazioni sopracelesti del Fedro. Ma Telesio non è un empirista, alla ma¬ niera dei positivisti e molto meno di Kant. E, d'altro lato, in lui non c’è sentore, chec¬ ché si contenesse nelle opere logiche non per¬ venute fino a noi, di una concezione storica e realistica del pensiero. Egli è un metafi¬ sico; e un metafisico materialista. E tanto egli rispetta il senso, quanto lo aveva rispet¬ tato il primo sistematore del materialismo, quel Democrito, che fu uno dei primi meta¬ fisici di grande stile in Grecia, e che, per la sua distinzione di qualità primarie e qualità secondarie, può a buon dritto ritenersi il vero padre dell’ idealismo, quale, movendo dalla stessa distinzione, ripetuta dal Locke, ebbe a concepirlo, con uno sforzo che mandò a monte per sempre il materialismo, il Ber- I.A FILOSOFIA DEL TELESIO 65 keley. E l’organo, con cui il Telesio costrui¬ sce la sua metafisica è quello che è servito e servirà sempre a tutti i metafisici, il pen¬ siero puro; per cui la realtà — non l’appa¬ rente, ma la vera, 1 assoluta realtà, a cui ogni forma reale si riduce, da cui tutto ciò che passa proviene, e a cui tutto ciò che passa ritorna, laddove essa sta eterna non è punto realtà sensibile, ma realtà pensata. Pensata sotto tre attributi o forme fonda- mentali, il cui giuoco soltanto può farci inten¬ dere la totalità delle infinite variazioni fugaci dell’universo sensibile: due nature agenti, secondo l’espressione telesiana, e una pas¬ siva: il caldo, che è principio di luce, di movi¬ mento, di vita in tutte le sue forme; e il suo contrario, principio di tenebre, di inerzia, di morte: l’uno con l’altro in eterno contrasto nella materia; che è il terzo principio, la mole che occupa lo spazio. Porza e materia, come oggi si direbbe; e la forza duplice, e in lotta seco stessa a produrre l’alterna vicenda della natura, che è nascere e perire continuo; ossia un continuo nascere che è pur perire; e un perire continuo, che è pur nascere 44 ). Una forza e materia, che, si badi, nella loro assoluta universalità, sono veri e propri G. Gentile, Bernardino Telesio. 5 66 BERNARDINO TELESIO principi! nel senso aristotelico, e non hanno nulla di sensibile ed empirico, benché l a loro manifestazione avvenga negli oggetti del I senso 45 ). Che anzi l’intuizione centrale, e come il nocciolo del pensiero telesiano è ap¬ punto una negazione più risoluta, più ener- 1 gica che non fosse in Aristotile, della empi- ^ ricità o realtà immediata di cotesti principi^ e quindi nell’affermazione del carattere rpeta- fisico e meramente trascendentale di essi. 1 Giacché questo, a’ suoi occhi, è l’errore aristotelico generatore di tutti gli altri da lui a uno a uno combattuti: la separazione di ciò che in natura è uno ed insepara¬ bile: che male aveva separato prima Pla¬ tone, e che Aristotile non era riuscito più a unificare: la forma e la materia delle cose: J ciò che ciascuna di queste è, e per cui si pensa, l’idea, e quello che alla filosofia an¬ tica, come al pensiero volgare, si rappresenta quale sostrato necessario alla realizzazione dell’idea. Intesa la natura come divenire o generazione continua di forme, questo dive¬ nire si schematizza come movimento, che av¬ viene nella materia, ma è l’attualità della forma. Ora il principio del movimento, cioè la radice delle forme, che è come dire della I.A FILOSOFIA DEL TELESIO 67 realtà, in quanto divenire naturale, anche per /Aristotile è in qualche cosa che, per essere principio e non principiato, vera e assoluta causa e non più effetto, deve trascendere ne¬ cessariamente la natura, che è movimento, e d essere immobile. Cioè forma pura. Onde la natura, benché concepita come unità perenne di materia e di forma, poiché la forma, in fondo, la riceve da fuori, per sé, senza questa animazione estrinseca, viene ad essere ridotta quasi a inerte materia: cioè mera possibilità, o potenzialità astratta delle forme. Donde quell’assenza di valore nella natura e nell’uomo, — parte di essa, — che abbiamo detto essere stata legata dall’an¬ tichità alla filosofia del medio evo, e che lo spirito del cristianesimo doveva superare. Telesio, il materialista, che cinque anni dopo la sua morte sarà segnato all’Indice, si mette per questa via nuova, desiderata dal cristia¬ nesimo; benché sulla nuova via, che è lunga e non facile a percorrersi, si arresti al ma¬ terialismo, certamente insufficiente a giusti¬ ficare il valore, nonché dell’uomo, della stessa natura. PI la sua novità può riassumersi in questi termini: la forma che, per Aristotile, come forma assoluta, era fuori della materia, 68 BERNARDINO TELESIO per Telesio è dentro, e una con questa: WS natura, che per Aristotile, come pura naturaci era mera possibilità, e non era realizzata se * non per cause estrinseche, per Telesio è l a sola realtà; e però si spiega iuxta propria 1 principia. La mira, a cui questi confusamente, ' come accade sempre nelle rivoluzioni ideali j quando tutto il mondo rientra nel caos, donde la mente aspira tosto a ricostruire il mondo nuovo (e di qui, la incontentabilità del Tele¬ sio, che lavora tutta la vita all’opera sua!); n la mira, a cui egli tende, è la ristaurazioni dell’unità, lacerata dal dualismo aristotelico. Considerate infatti il nesso dei tre prin¬ cipi'!, materia, caldo e freddo, da lui stabiliti. Il caldo, principio del movimento, della vita, del senso, adempie nel suo sistema lo stesso 1 ufficio della forma in Aristotile; e se si con¬ sideri che, data la funzione assegnatagli da Telesio, per cui il calore, principio di movi¬ mento, natura agens, non si può confondere come entità metafisica, col calore fisico, sen¬ sibile, che è sempre una certa mole, un certo j corpo caldo, la differenza, in questo punto, tra Aristotile e Telesio è più nella parola che nel concetto, sebbene al secondo la pa¬ rola prescelta paia meglio corrispondere alla LA FILOSOFIA DEL TELESIO 69 concretezza determinata e reale della sua forma. La materia poi, Telesio stesso lo dice, era già un principio aristotelico. Profondo invece è il divario tra le due filosofie nel modo di concepire il terzo prin¬ cipio: e questo divario, riverberandosi nel concetto degli altri due, lo trasfigura e dà a tutta la intuizione telesiana un carattere radicalmente diverso. Il divenire naturale, come ogni divenire, non si spiega, ammesso pure il sostrato di esso, senza una dualità di termini contrarii e contrariamente agenti s n quel sostrato. Se il divenire è vivere, il vivere non si può concepire se non come morire, oltre che vivere; ossia come un con¬ tinuo rinascere dalla morte, una continua vitto¬ ria su quello che sarebbe la cessazione della vita. Generazione è termine correlativo di corruzione, secondo il linguaggio aristotelico. Se nella superficie del gran mare dell’es¬ sere affiora una forma nuova (e questo sempre nuovo affiorare è la natura per Aristotile), una forma vecchia deve scomparire: la na¬ scita è sempre una morte. Ma morte di che? Della forma no, la quale per sè è fuori della natura e non soggiace all’alterna vicenda del vivere o del morire, e nè anche della 70 BERNARDINO TEJ.ESIO materia, ricettacolo della novella forma. L’una e l’altra sono eterne. Una risposta, nella p 0 . sizione aristotelica, che stacca materia e forma, e fa il movimento estrinseco alla materia, è impossibile. Ma, se vita è morte, mistero questa, mi¬ stero quella. In che consiste quella novità, che è l’entrar del vivente nella vita? Donde viene egli? Che era quel suo non essere, a cui sottentra ora il suo essere? I due problemi sono un solo problema; appunto questo: se l’essere è la forma, che è il non essere delle cose? Il non essere di Aristotele non poteva essere, e non fu un concetto, ma una parola messa lì, dove il concetto non era possibile, destinata a diventare, come tutte le parole siffatte, l’enimma e il tormento dei commen¬ tatori ; la stéresis, o privaiio , come tradussero gli scolastici. La privazione, che egli attri¬ buisce alla materia, quasi un certo desiderio e sentore o odore della forma assente, non è materia per se, perchè designa una rela¬ zione, non è forma, di cui è appunto la man¬ canza; e non è unità di materia e forma. È, ripeto, una parola, ma una parola, che, messa lì nel sistema, rende, o pare che renda, importanti servizi al pensiero. Infatti, senza LA FILOSOFIA DEL TELESIO 71 jj essa, la vicenda delle forme non sarebbe j n nessun modo pensabile: e il vivo sarebbe eternamente vivo; ma di una vita identica a lla morte, perchè senza mutamento in sè, che è come dire senza vita. Il terzo principio aristotelico, dice Telesio, è meramente negativo: non ens, non agens 46 ). Cioè, egli dice, per combatter più efficace¬ mente gli aristotelici, coi quali gli toccava fare i conti, Aristotile non l’intese, non lo poteva intendere così; ma così l'intendono invece i peripatetici; e la materia invece deve essere, più ignobile bensì, da meno della forma, ma positiva anch’essa, perchè cooperi con la prima alla generazione naturale; e an¬ ch’essa agente. E però il suo freddo, come egli lo concepisce, è il contrario, il non essere del calore; ma un non-essere, che, essendo tale rispetto al calore, in se stesso è: nè più nè meno del calore; e però agisce davvero, op¬ ponendosi a questo, contrastandogli il passo, limitandolo, e concorrendo, quindi, con esso alla vita della natura. Poiché la forma telesiana è il caldo, quel che precede la forma non è il nulla, la pura privazione, ma il freddo: ciò che succede, del pari, non è nulla, ma il freddo. Per Telesio 72 BERNARDINO TELESIO questo precedere e questo succedere è sol 0 relativo: chè la forma, assolutamente, \ n quanto caldo, non viene mai meno. Cioè; , se il freddo è negativo, ma reale quanto il caldo, anche il caldo è reale in quanto ne¬ gativo rispetto al freddo: e la vera realtà insomma non è mai nè caldo assoluto, nè freddo assoluto; ma caldo che vince il freddo, o freddo che vince il caldo: ciascuno presup¬ ponendo e limitando il suo contrario, ed es¬ sendo presupposto e limitato da esso. Onde la realtà, è, in fondo, la loro unità nella lotta, e a volta a volta un momento della risolu¬ zione del loro immanente contrasto, un effetto unico della loro azione reciproca. 11 che importa che la sostituzione del fred¬ do alla privazione aristotelica è il supera¬ mento della trascendenza della forma, il di¬ fetto fondamentale della filosofia peripatetica, anzi, nel suo significato generale, di tutta la filosofia greca, come avvertimmo a principio. Telesio con la sua coppia di contrarii coo¬ peranti nella materia, libera la natura, che è la realtà a lui nota, dalla trascendenza, e ne fonda per la prima volta, dopo lo svi¬ luppo della metafisica teistica, l’autonomia, o com’egli diceva, la nozione iuxta propria LA FILOSOFIA BEL TELESIO 73 principia', poiché ora possiamo intendere il valore speciale di questo suo motto, che è una bandiera spiegata al vento, a cui lo spi¬ rito moderno guarderà come a suo proprio segnacolo di libertà e di gloria. E la materia? Per Telesio non più è il non-ente platonico e aristotelico, ma il reale sostrato, e come a dire, la realizza¬ zione della contrarietà caldo-freddo che in essa si attua. Le due nature agenti hanno come loro termine correlativo, e quindi come implicito in se medesime, cotesta natura pas¬ siva. Onde, se il caldo implica il freddo e viceversa, entrambi implicano insieme la ma¬ teria. E la realtà, che è atto, non è tre ma uno: e questo uno, essendo l’unità o sintesi attuale dei tre principii, solo astrattamente distinguibili, è la materia che è calda e non è calda, perchè è fredda e insieme non è fredda; è quello che è e non è insieme, la genesi, il divenire aristotelico, restituito alla logica del suo processo immanente. Onde la filosofia telesiana è un naturali¬ smo monistico; la realtà è l’opposto dello spirito, la natura che si rappresenta come materia: ma questa materia è movimento, e 74 BERNARDINO TEI.F.SIO in quanto movimento assume tutte le forme mondane, dal corpo fisico al pensiero. Po¬ trebbe parere una filosofia tornata, nel bel mezzo del secolo xvi, alla ingenua intuizione dei filosofi ionici del vi e v secolo av. Cr.; se questa filosofia ora non risorgesse dal fermento della metafisica platonizzante del- l’aristotelismo, che ha sdoppiata la realtà fisica dei più antichi presocratici, e creata l’idea o forma, e tutto un mondo estramon- dano, che il filosofo della rinascenza deve distruggere: ed è appunto nella demolizione di questo mondo separato, ignoto ai filosofi ionici, l’intonazione e il valore nuovo della filosofia del Telesio, demolitrice più che co¬ struttrice (destruendo quatti ostruendo melior ): poiché la vera costruzione all’uscire del medio evo, quando lo spirito aspirava a sgombrare il campo innanzi a sè, per istaurare la filo¬ sofia adeguata alla vita nuova del cristiane¬ simo, non poteva essere se non demolizione. La filosofia del Cosentino, lungi dall affac¬ ciarsi con l’ingenuo occhio di un lalete allo spettacolo della natura, che gli è di fronte, sente con la riflessione del moderno, se stesso nel flusso delle cose naturali, e nell’afferma¬ zione energica dei principi proprii, onde la I.A FILOSOFIA DEL TELESIO 75 natura si spiega, affermazione che rivendica la natura in libertà, prorompe l’istinto del¬ l’uomo nuovo, ricreato dall’intuizione cristiana e portato a cercarsi dentro, come sostanza, del proprio essere, la divinità. Guardate a quel ragguaglio e quasi- livel¬ lamento, che Telesio fa delle operazioni su¬ periori dello spirito umano con le inferiori; e di queste con le funzioni psicologiche degli animali, non distinte altrimenti che per grado, ma identiche qualitativamente; e poi del sen¬ tire col fatto fisiologico; che non è se non movimento di uno spirito, materia estrema- mente assottigliata dal caldo: e poi quella sua estensione del senso, a tutto il caldo e a tutto il freddo o come bisogna intendere, a tutta la materia che, anche quando è fredda, poiché il freddo è un prevalere sul caldo, è, un po’ almeno, anche calda; e considerate che, — negata ogni finalità intesa a mo’ di Aristotile, ossia come mèta estrinseca del processo naturale, rappresentata dalla forma separata, — dell’anima umana, così naturali¬ sticamente considerata, ei raccoglie lo sforzo supremo, che è l’attività etica, nella spontanea tendenza alla conservazione di sé, onde non solo l’uomo, ma tutte le cose in natura tendono 76 BERNARDINO TELESIO a perseverare nel loro proprio essere «),■' Ebbene: quest’autoconservazione, in cui si assomma e concentra sostanzialmente, nella sua espressione finale, tutta la vita della na¬ tura, è l’umanità dell’uomo, che è moralità, ed è, insieme, tutto l’operare, anzi l’essere attuale della natura. Ma l’uomo la sorprende come conato istin¬ tivo in se medesimo; e se chiude gli occhi alle forme più alte della propria spiritualità, e si rannicchia dentro questo senso oscuro, che può attribuire alla natura universale, egli è perchè, non sapendo ancora in che modo le forme superiori dello spirito possano con¬ cepirsi quasi la sostanza di tutto, compresa quella stessa natura, che par materia, movi¬ mento e nulla più, il filosofo ha' bisogno di affermare di sè solo quel tanto, che gli con¬ senta tutta una concezione della natura iuxta propria principia. , Strano a dirsi: il filosofo, incapace ancora di spiegarsi lo spirito, lo redime, lo afferma, negandolo : rimpicciolendosi e stringendosi dappresso a quella natura che cominciava a liberare dalla trascendenza, per partecipare al benefizio di quella prima libertà. Strano, ma vero, per chi voglia penetrare nel segreto LA FILOSOFIA DEL TELESIO 77 jalla rinascenza: questo naturalismo materia¬ listico era la prima affermazione, con carat¬ tere schiettamente cristiano, della libertà dello spirito. V È tutto ciò chiaro e netto nel pensiero di Bernardino Telesio? Nella Bibbia si legge che Dio, dopo aver creato l’universo, vidi/ cuncla quae fecero./, et erotti valde bona. Dopo di allora, ogni volta, lo spirito creatore prima ha creato, e poi s’è compiaciuto, come oggi Cosenza si compiace pel Telesio, dell’opera sua. La co¬ scienza critica, che è la storia, vien dopo. Accennammo già che Telesio, come Vico, si travagliò tutta la vita nella sistemazione e formulazione del suo pensiero: segno che, come Vico, ei non pervenne mai alla vi¬ sione lucida e piena di quanto gli si agitava nella mente. E come oggi l’oscuro pensiero di Vico s’intende in tutto il suo valore, se si libera da talune incoerenze, incertezze, e ambiguità della sua forma nativa, secondo che riesce possibile a noi, che sul suo pen¬ siero torniamo con la riflessione più ma- 7S BERNARDINO TELESIO tura di tutta la filosofia posteriore; nell a ! stessa guisa, leggendo Telesio, scoperta l a logica del suo pensiero nella storia più airi- 1 pia della filosofia, che lo preparò prima e poi lo continuò, noi possiamo vedere in lui pjj, addentro ancora che egli non vedesse: e fare j quindi, il giusto conto di talune oscillazioni che intorbidano qua e là la sua vista specu¬ lativa, e hanno impedito a' suoi critici, da Bacone in poi, di scorgere l’intima coerenza della sua filosofia. Il disegno suo era grandioso, poiché col suo nuovo intuito doveva ripercorrere tutto l’universo, armeggiando sempre contro Ari¬ stotile, che, in persona de’ suoi pedanti, fana¬ tici e petulanti seguaci, rincalzava sempre alle spalle. Qual meraviglia che qua e là tentenni, e gli tremi il polso? Qual meravi¬ glia, innanzi tutto, che egli non si fermi a definire con sufficiente chiarezza la logica del suo pensiero, quella logica che nel suo pensiero c’era, e di cui si serviva infatti nella polemica contro Aristotile? 11 medesimo per < l’appunto accadde, ripeto, a Vico; e in grado minore è accaduto sempre a tutti i filosofi. In ciò il difetto maggiore della filosofia tele- siana: onde vi accade di sorprenderla talvolta LA FILOSOFIA DEL TELESIO 79 irresoluta innanzi a questioni, la cui soluzione è data irrefutabilmente dal reale principio di essa. Mi si consenta un esempio. Tutte le cose sentono o no? Per Campanella, che, come ogni continuatore, è governato dalla logica del sistema che sviluppa, non c’è dubbio. Nel De rerum natura di Telesio, invece, ci sono luoghi in cui, spuntata la questione più determinata, se il caldo e il freddo sentano, ora si dice che bisogna manifestamente attri¬ buire il senso ad entrambi; ora che bisogna attribuirlo almeno a uno dei due 48 ). Gli faceva intoppo infatti la difficoltà che il senso è moto dello spirito, ossia della sostanza più atte¬ nuata dal caldo: si che se il senso dipende dallo spirito, e però dal caldo, non può com¬ petere al freddo, che ne è il contrario: chè altrimenti il freddo, contrastando il caldo, verrebbe, producendo la morte, a distrug¬ gere, come senso, il senso. E il Fiorentino, che è l’interpetre più autorevole del Telesio, si caccia nel ginepraio anche lui, e nota a questo punto: « Che se al freddo si volesse togliere ogni senso, per rimuovere l’inconveniente anzidetto, come si guarderebbe egli dal suo avversario? Come ne respingerebbe l’attacco, e come si trincererebbe nella propria sede? 8o BERNARDINO TELESIO Onesta, a parer mio, è la capitale contrad¬ dizione della fisiologia telesiana» 49 ). Contraddizione insolubile, dico io, se il freddo e il caldo non si riconducono all’ufficio di principii metafisici, che essi hanno nel si- telesiano: contraddizione, che, in una forma o in un’altra, sarebbe poi la contrad¬ dizione di tutte le filosofie, che ammettano un divenire o un modo cpial sia di attività, e non mantengano rigorosamente la logica di una tale concezione del reale. Nel caso del Telesio essa nasce dal non badare che. se la natura deve spiegarsi dal contrasto del freddo e del caldo, il freddo e il caldo, presi ciascuno per se, sono fuoii della natura, pnn- cipii o categorie, dal cui incrociamento si ge¬ nera, anzi nella cui sintesi insuperabile consi¬ ste il reale. 11 senso, perciò, come forma ie<ì|l della natura, non può essere una pfoprietà nè del caldo, in quanto puro caldo, nè del suo contrario; sibbene degli enti, delle cose naturali, che, in quanto sempre calde e fredde insieme, avendo sempre un qualche grado di calore, e però uno spirito piu o meno tenuoa non possono non avere tutte un certo gradoj proporzionato, anzi equivalente di senso. Che era infatti la soluzione del lelesio, quando LA FILOSOFIA DEL TELESIO 8l attribuiva, il senso anche al freddo, che allora intendeva non più come astratta natura agente, f L a come questa natura agente concorrente con la contraria nella materia, ossia come natura agente concreta nell’unità di sè e della sua contraria. Da questa e simili incertezze si scorge di sicuro che il Telesio non aveva la chiara consapevolezza della natura metafisica de’suoi principii, nè perciò del reale fondamento, su cui. nel suo pensiero, appoggiavasi quella sua bonaria satira delle formae stertenles , di quelle forme che, secondo l'aristotelismo, rus¬ savano di qua della realtà 5 °). Non importa: il freddo, come natura agente positiva, ha questo valore, sostituendosi alla privazione aristotelica. La natura deve avere nelle sue viscere l’eterna opposizione, dal cui travaglio si genera la vita in tutte le sue forme. Questo è il naturalismo telesiano; per questo naturalismo Bernardino Telesio sta all’avan¬ guardia della rinascenza, e potè a buon diritto : esser detto il migliore di quelli che per Bacone erano i filosofi moderni; e a ragione possiamo dire anche noi che accenni all’età moderna. Accenna, bensì; e resta un uomo della ri- [ nascc.nza. La nebbia ondeggia ancora attorno G. Gentile, Bernardino Telesio. 6 82 BERNARDINO TELESIO alla luce del suo pensiero. La sua natura, 1 quella natura che ha in se stessa le ragioni di tutta la sua vita, non riempie tutto i| quadro della coscienza di Telesio. Da una parte e dall’altra di essa c’ è qualche cosa che non è natura, e che Bernardino non può cancellare: e sono insieme due termini cia¬ scuno dei quali accenna all’altro, e si congiun¬ gono idealmente e adombrano, e offuscano tutto il quadro, così luminoso a chi non tra¬ scorra a’ suoi margini, ma lo fissi nel mezzo. Fatta comune agli uomini e ai bruti la ra¬ gione, anche questa, pel Telesio, è un pro¬ dotto naturale, una funzione dello spirito caldo. Con questa ragione non solo si coglie il particolare, ma si confrontano insieme i varii particolari, si raccolgono in uno le so¬ miglianze, si costituiscono gli universali: essa unifica il senso e l’intelletto, che Aristotile distingueva nettamente. Ma con questa ra¬ gione non si compie lo sviluppo dell’uomo, e della natura. Il compimento della ragione, anima naturale, è rappresentato dall’anima creata da Dio, e infusa nei singoli uomini, innestata nelle totalità del corpo individuale, e principalmente nello spirito, quasi propria forma; onde la sostanza, che nell’uomo LA FILOSOFIA DEL TELESIO S3 ragiona, non è, al dire del Telesio, una e sem¬ plice, ma composta dell’anima creata e dello spirito proveniente dal seme 5I ). E in ciò con¬ siste la vera ed essenziale differenza tra la ra¬ gione umana e la belluina. Come si costi¬ tuisca l’unità dell’anima umana, posta la sua anima naturale, che è spirito, e la sua anima creata soprannaturale, Telesio non dice, e non può dire; la risposta non entra nella catena delle sue deduzioni. Se la vita dell’anima umana si limitasse dentro i termini della natura, dell’anima creata, che aristotelica¬ mente, e tomisticamente, viene a informare lo spirito di ogni individuo, non ci sarebbe ra¬ gione mai di parlare. L’anima dell’uomo, che come senso e come appetito, per la sua co¬ noscenza e per la sua finalità, dipende mec¬ canicamente dalle leggi cieche della natura, potrebbe parer tuttavia autrice di atti pravi; ma questi, come semplici effetti naturali, non potrebbero incorrere nel castigo della giusti¬ zia divina, a non voler concepire Iddio come odiatore iniquo delle sue stesse opere. Ond’ è che il governo e il freno dello spirito, e la responsabilità conseguente dell’uomo, — la sua libertà, diremmo noi nel nostro linguaggio, postulata daH’obbligo che l’uomo ha di render 8 4 BERNARDINO TERESIO conto de’ suoi atti, — ci astringe ad ammet¬ tere l’innesto di un’anima superiore, capace non pur di resistere all’ impeto e alle illecebre dello spirito, ma di rattenere e reprimere lo spirito corrente ai perversi piaceri e alle azioni indegne, e di tendere col suo vigore al proprio fattore, per ricongiungersi alle cognate so¬ stanze e fruire con loro della beatitudine eterna. Giacché, dice il Telesio, l’uomo, a diffe¬ renza degli altri animali, non intende nè ap¬ petisce soltanto le cose sensibili e mortali, che hanno attinenza unicamente alla conser¬ vazione presente di se stesso, ma intende anche e appetisce le cose divine e immor¬ tali, spettanti alla sua conservazione eterna. Sicché aH’uomo pare sia da attribuirsi un doppio appetito, c un doppio intelletto: ine¬ rente, l’uno e l’altro, principalmente allo spi¬ rito: ma l’uno da ricondursi all’anima creata da Dio. l’altro alla natura dello spirito stesso. C’è l’appetito sensitivo proprio di questo, e si rivolge alle cose sensibili, che paiono beni, ancorché non siano veramente tali; e c’è la volontà propriamente detta, indiriz¬ zata ai beni veri, futuri ed eterni. I critici hanno osservato che le funzioni di quest’anima creata, in quanto forma dello LA FILOSOFIA DEL TELESIO S5 spirito, e propriamente dell’ intelletto nativo e dell'appetito sensibile, nel Telesio sfumano per modo da lasciar trasparire che quest’ani¬ ma piovuta dal cielo è un « soprappiù » nel sistema telesiano; « una essenza inutile ag¬ giunta all’uomo per un certo ossequio alla religione», una concessione fatta ai tempi, alle tradizioni, alla fede; e che non guasta nulla 52 ). Ma ciò non è esatto. È vero che tutte le funzioni intellettive dell’anima im¬ mortale hanno bisogno del concorso dello spirito, e che per Telesio non è possibile ra¬ gione, che per lui, in sostanza, è senso, che non sia corporea M ): laddove l’altra anima per se stessa ragiona senza bisogno di sussidio esterno. Ma tutto ciò si riferisce al sensibile, ossia a quanto, come oggetto di conoscenza o di appetito, è termine del senso. La fun¬ zione specifica dell’intelletto aggiunto e della volontà si riferisce invece al soprasensibile, all’eterno, al divino; e al sensibile soltanto per subordinarlo, reggendo lo spirito e le sue native energie, ai fini oltremondani. Rispetto a questi, lo spirito è cieco, non solo perchè non conosce e non vagheggia il soprasensi¬ bile, ma perchè non è capace di conoscere adeguatamente e giudicare secondo il suo 86 BERNARDINO TELESIO giusto valore lo stesso sensibile. Non basta che l’anima creata non abbia oggetto mon¬ dano e naturale, perchè la si dichiari una concessione ai tempi e alla fede; quasi che il Telesio, filosofando con maggiore libertà, * potesse farne a meno. Ma è vero che essa è un residuo irriducibile del suo pensiero, rispetto al naturalismo, che è la sua vera, viva filosofia. E vero che essa rimane nel¬ l’organismo del pensiero telesiano una idea morta, che non può entrare, e non entra, nel circolo del sistema. E non è la sola, come s’è già accennato. Quest’anima creata, che è la facoltà del di¬ vino, o il senso della religione, quella che il Campanella, spirito assai più profondamente religioso del Telesio, svolgerà nella impor¬ tante sua teoria della mente, si collega, come è ovvio, con l’idea di un Dio creatore, esterno alla natura, e al meccanismo di essa studiato dalla filosofia telesiana: di un Dio, che è anzi esso la ratio cognoscendi dell’anima creata. Giacché senza Dio, l’abbiamo visto, Telesio non si sarebbe imbattuto in quest’ani¬ ma, bastando alla vita terrena e naturale quella che risulta dal giuoco del caldo e del freddo. Ma chi si sforzi di sapere o di acqui- LA FILOSOFIA DEL TELESIO 87 stare la virtù ch’egli dice sapienza, non può, secondo il Telesio, non vedersi sorgere in¬ nanzi l’idea di Dio. La sapienza 54 ) è virtù dello spirito, ma n0 n dello spirito solo. È cognizione che lo spirito si procura e deve procurarsi ai fini stessi dell’autoconservazione, di tutti gli esseri naturali e di se medesimo e del corpo a cui è insito, e senza di cui non potrebbe stare. Ma è anche cognizione dello spirito integrato e perfezionato dalla sostanza in lui immessa da Dio; ond’è eccitato e spinto di continuo a cercar di conoscere anche Dio e gli enti divini o soprannaturali, che la scienza non vedrebbe mai nella natura iuxta propria prin¬ cipia ; poiché quest’anima aggiunta, secondo le espressioni platonizzanti usate in questo luogo dal nostro filosofo naturalista, « sa-, piente per sé non pure delle altre cose, ma di Dio stesso e degli enti divini, ossia del proprio padre e fattore e delle sostanze a lei cognate (chi invero potrebbe dubitarne?), ma quasi cacciata in esilio, in carcere e in tenebre, e però orbata d’ogni conoscenza e divenuta insipiente, aspira ansiosamente a ritornare alla sua natura e perfezione; e finché non l’abbia riacquistata, non può non 88 BERNARDINO TELESIO dolersi assai e crucciarsi e dispiacere a se stessa ». Sicché lo spirito ha la tendenza a sapere, oltre l’oggetto suo naturale, anche quest’oggetto trascendente, la cui cognizione, secondo il Telesio, non conferisce alla con¬ servazione o vita dello spirito in quanto spi¬ rito, nè sarebbe mai ricercata dallo spirito, se questo non fosse mosso dall’anima creata. Semplice tendenza, di certo, perchè la cogni¬ zione di Dio supera di grandissimo tratto le forze proprie dello spirito: a cui l’anima fa sentire un bisogno superiore, ma non comu¬ nica la capacità di darvi soddisfazione. Onde lo spirito, per il concorso di questa sostanza psichica soprannaturale, ha un nuovo pro¬ blema senza una nuova soluzione; aspira a speculare anche Dio; ma con la ragione non può assolutamente: « la quale », dice Telesio, « può giungere a spiegare, e spiega infatti il mondo tutto; e intende inoltre tutte le cose in esso comprese essere state create da un Essere sapientissimo, potentissimo e ottimo». Ma questi stessi attributi non può penetrarli in tutta la loro grandezza; ed è lontanissima dal conoscere gli altri. La ragione, a guar¬ dare il fulgore divino, ne resta abbagliata e cieca, peggio dell’occhio che si affisi nel LA FILOSOFIA DEL TELESIO 89 sole. E però la vera sapienza superiore, la celebrazione di questa virtù culminante dello spirito umano, non è quella che vuole inten¬ dere con la ragione, ma quella, che messa da parte la ragione, si propone di vedere Dio e Tesser suo e i suoi attributi « nelle sacre e divine lettere e nelle stesse parole di Dio ». Sapienza che, in questa cima, assomiglia, dice il Telesio, l’uomo agli enti divini, anzi, quanto è possibile, a Dio. Ideale, cui dunque non è dato alla ragione che spiega la natura elevarsi da sè; ma che alla ragione per altro è impossibile non proporsi, poiché la sua spiegazione naturale non è senza residuo; e quando essa scruta il suo mondo, non può non scorgervi dentro Torma profonda della sapiente azione creatrice di quel Dio, che gl’ incitamenti dell’anima creata gli faranno cercare nella rivelazione divina. «Giacché», conchiude il Telesio, «chi, vedendo la costru¬ zione del mondo e la costituzione degl’ indi¬ vidui, ma sopra tutto degli animali, non vede che Dio è sapientissimo, e che delle virtù, che noi possiamo pensare in lui, la principale debba essere la sapienza; ei può ben dirsi non solo empio e selvaggio ( ferus ), ma a dirittura senza intelletto ». 90 BERNARDINO TELESIO Ora sarebbe falsare la storia e non inten¬ dere l’anima e la mentalità di Bernardino non vedere in questo concetto della sapienza l’espressione sincera del suo pensiero. Ma sarebbe anche far torto all’acume specula¬ tivo del filosofo; il quale avrebbe bensì dato prova di più intrepida cecità materialistica a disconoscere affatto le prove della sapienza divina, ossia la razionalità e spiritualità di tutta la natura, così come egli invece la vedeva più vivamente lampeggiare nella fina¬ lità dell’organismo animale; e avrebbe potuto dissimulare la meraviglia del caso, che il naturai meccanismo delle nature agenti pro¬ duca il miracolo del mondo e del pensiero; ma, per fare una costruzione più armonica e coerente, l’avrebbe lasciata campata in aria. Il puro meccanismo non è intelligibile. E Telesio che a redimere la realtà dalla trascendenza, non sa intenderla se non mec¬ canicamente, e però vuotata dello spirito che la sorregge e l’avviva, ha bisogno di legarla e quasi sospenderla, da un capo e dall’altro, allo spirito, al pensiero, alla legge, che è la sola àncora, a cui la realtà possa fermarsi. Onde la sua natura, guardata dentro, e ri¬ condotta sì a’ suoi principii, che sono in LA FILOSOFIA DEL TELESIO 91 lei; ma dalle prode apparisce creata da Dio e a Dio ritornante con l’anima oltremondana. Come la sua origine è fuori di lei, ed essa non può sorgere da sè, così la sua fine, che è il suo fine, non dipende da lei, e richiede un nuovo intervento di Dio, che suggelli l’opera sua destando nella natura una supe¬ riore e definitiva potenza, che la riporti a lui. Onde tutta l’immanenza, che è il pen¬ siero nuovo del Telesio, resta, come doveva restare, quasi avvolta e chiusa nel bozzolo della vecchia trascendenza. Che sarà il destino e il segno caratteristico della filosofia di Bruno e di Campanella e di quanti tentativi si fecero allora o si son fatti di poi per intendere iuxta propria principia una natura, una realtà, che non sia la realtà dello stesso pensiero, che aspira a intendere: quale Cartesio la vide, e quasi la sentì per la prima volta, quando, sequestratosi idealmente dal gran rumore del mondo che si dice esteriore, ascoltò l’intima voce dell’essere che continuava a parlargli dentro; e scoprì il mondo nuovo della filo¬ sofia moderna, il quale ha veramente in sè tutte le ragioni del proprio essere. Onde il mondo, a cui Telesio tenne fisso il suo sguardo tenace per quasi cinquant’anni 92 BERNARDINO TEI.ESIO con l’ansia nel cuore e il bisogno di com¬ penetrarlo della sua ragione, è un mondo ormai scomparso dai nostri occhi, e non può destare più il nostro interesse. I suoi scritti, dentro ai quali pur s’agitò l’anima sua po¬ derósa, son divenuti desolatamente aridi per noi, e semplici documenti per gli storici, cui spetta di ravvivarne il senso che ebbero per I elesio e pel tempo suo. Ma negli sforzi del Telesio per ricostruire una natura, che avesse in sè tutti i suoi principii, gli storici scorgono la prima grande battaglia combattuta, sulla soglia dell’età moderna, per rivendicare la libertà e il valore immanente della vita; e però essi additano nel Cosentino uno degli eroi del pensiero umano. NOTE NOTE 1) Sul carattere antistorico della scienza qual’è presup¬ posta dalla logica aristotelica v. anche la mia prolusione Il concetto detta storia della filosofia nella Rivista filoso¬ fica di Pavia del 1908. 2) V. la mia Storia detta filosofia in Italia (in corso di pubblicazione nella collez. della Storia dei generi letterari del Vallardi) lib. n, cap. t. 3) Su questo significato della filologia del nostro uma¬ nesimo nel sec. xv cfr. la mia Storia cit., lib. 11, cap. 11. 4) Cfr. la mia nota Veritas fitta temporis nella Miscel¬ lanea in onore di R. Renier, di prossima pubblicazione. 5) Metal., lib. n, c. 16 e Potter, vii, 6. 6) Renan, Averroes 5 , pp. 55-6. 7) Opere di G. Galilei, ed. naz., xn, 130. 8) Antibarb. ed. Leibniz, Francof., 1674, pp. 2, 5, 6. 9) Il Fowler nell’Introd. alla sua edizione del Nov. Or¬ ganimi, Oxford, 1889, p. 81. 10) Bruno, Opere italiane, ed. Gentile, 1, 196. 11) Per la vita del T., quando non siano citate altre fonti, mi attengo al Y Orazione del D’ Aquino e alla accu¬ ratissima monografia del Bartelli (v. Bibliografia, 11), a cui si deve la scoperta di molti documenti inediti e un acuto esame dei ragguagli biografici antichi. 12) G. Bruno, De immenso, in Opera lai. conscr., ed. Fiorentino, 1, il, 290. 13) De rer. natura, ni, 1; cfr. proemio alla edizione 1565 in Bibliografia, 1, 1. 14) Bacone, De principiis alque originibus secondimi fabulas Cupidinis et Coett, in Philosophical Works, ed. Ellis e Spedding, m, 108, 96 NOTE 15) De rer nal., 1, 17. Lo stesso luogo trovavasi nel¬ l’edizione 1570 al lib. n, c. 19. Cfr. l’accenno nel proemio all’ed. 1565 (in Bibliografia 1, 1): « non nisi inclinata iam aetate ». 16) Cfr. proemio all’ed. 1565 del De rer. nal. in Bi- bliogr. i,i. E il D’ Aquino, Ora-.-, p. 21, dice che il Te- lesio la lingua greca « la parlava, e scriveva così bene che parea nato in Atene al tempo di Platone o di Tucidide ». 17) Su I Martirano v. la monografia di F. Pometti (Roma, 1897 nelle Meni, della R. Acc. Lincei) e cfr. la re¬ censione del Croce in Gior. stor. d. lett. Hai., xxxi (1898), pp. 116-22. 18) D’Aquino, Orazione 2 , p. 19. 19) Bartelli, Noie, pp. 26-27. 20) Proemio all'ed. 1565. 21) D’Aquino, p. 11, Cfr. Bartelli, p. 31. 22) Che il De rer. vai. sia stato scritto in casa dei Carafa è detto da Bernardino nella dedica dell’opera a Ferrante Carafa, ed. 1586. V. Bibliogr., 1. Cfr. le osser¬ vazioni del Bartelli, p. 29. E v. il proemio all’ed. 1565. 23) Lelio Capilupi, A Bernardino Telesio, son. nel libro v delle Dime di diversi illustri signori napoletani c di altri ingegni, Venezia, 1555, p. 424: rist. dal Daniele in Antonii Tiiylesii Consentivi qui saec. XVI clamit Carmina et epistolae, Neapoli, mdcccviii, p. 36 e da Luigi Telesio in D'Aquino, Orazione 2 , p. 61. 24) Per questa data v. lett. del Quattromani cit. dal Bartelli, p. 33. 25) V. proemio ai primi due libri De rer nal., ed. 1565, in Bibliografia, 1, 1. 26) V. Antonio Persio in Bibliogr., 1. 27) D’Aquino, OrazP, p. io. 28) Cfr. Fiorentino, B. Telesio, 1, 103. 29) Riferito dal D’Aquino, Oras?, p. 11. Il brano del Quattromani è citato dal Fiorentino, i, ioi. 30) Vedi un brano della ded. in Nicodemi, Addizioni co¬ piose della Bibl. nap. del doti. N. Toppi. Napoli, 1682, p. 53. 31) V. Fiorentino, o. c. i, pp. 359-60. NOTE 97 32) V. Fiorentino, ti app. pp. 375 ss. 33) Manso, Vita di T. Tasso nelle Opere di T. T., Pisa, 1832, voi. xxxiii, p. 264. 34) « Onde tu, generosa, Città, che sai quante opere sono rimaste delle sue da imprimersi e le vedi nelle mani di diverse persone disperse, fa, ti prego, che un tesoro cosi grande, e così occulto, per la tua dovuta gratitudine risorga... Intorno agli ottanta anni fe’ queste ultime opere. E se pure non saranno più perfette delle altre, trattarono (sic) di nuove materie, e non mai udite insino a questo tempo... »: D’Aquino, Oraz . 2 , pp. 3 2 " 33 * , 35) V. son. e nota in Campanella, Opere , ed. D’An¬ cona, 1, 103. 36) De princip. atque origin ., p. no. 37) Non. Org., 1, 1 16; De augm., lib. ni. c. 4 - 3 IO - 38) De interpret. naturae, in Philos. IVorks, ed. cit., in, 786. 39) V. lett. del Patrizi al Telesio in Fiorentino, 11, 375 - 40) De princip. atque origin., p. no- 41) La « doxa » parmenidea è la pura fenomenologia; e la scienza vera per Parmenide è metafisica monistica. 42) Pei rapporti tra Telesio e Bacone v. Ellis, pref. a Bacone, Philosophical H'orks , 1, pp. 49 ' 53 - 43) Destruendo quatti ostruendo utelior; in De princ. atque origin., p. 94 - 44) V. i primi capitoli del De rer. natura. 45) Cfr., p. e., De rer. nat., in, 2 « Rerum principia, e quibus res Constant, cum antiquioribus fere omnibus tum Aristoteli, tria visa sunt, agenda contraria duo et materia una etc. » Cfr. lib. ili, c. 1. 46) De rer nat., in, 4 - 47) Per la teoria della conoscenza e l’etica telesiane v. la tesi dello Heiland cit. nella fìibliografia , li. 48) V. De rer. nat., 1, 6: dove, dopo aver ripetuta¬ mente asserito che il senso è necessario al caldo e al freddo, conchiude: « Nec vero, nisi caloris frigorisque, aut alte- rius saltem, itaque caeli terraeque, aut alterius, pro- prius sit sensus, animalibus, quae ab ipsis constituta sunt, G. Gentile, Bernardino Telesio. 7 9« NOTE insit ullus: qui enim, quae nec cacio inest nec terrae, iis quae a caelo terraque fiunt, indi queat facultas? (ed. Spam¬ panato, p. 27). Ma nell’ediz. I57o (1, 34) aveva sostenuto « sentiendi facultatem naturae agenti utrique traditam esse, et in ea sola caelo terram convenire; al exquisitiorem oninino eam calori tributam esse ». 49 ) Fiorentino, lelesio, 1, 269. 50) V. De rer. noi., n, 1. 51) V. De rer. nat ., vm, 15. 52) Fiorentino, P. Potnponazzi, Firenze, 1868, un. 387 390; cfr . B . Telcsio, i, 319-20; G. S. Felici, Le do tir . Jilos.-relig. di 7 . Campanella , p. 42. 53 ) V. De rer. nat., v, 40. S4 ^.Y' P* rer ‘ na/ ’’ lx » 6 ’ e intorno al concetto della necessita di un Dio creatole per spiegare l’origine del mec- canismo, cfr. De rer . nat., i, io. i APPENDICE BIBLIOGRAFICA I SCRITTI DI B. TELESIO Bernardini Teeesii | Consentiti | De rerum natura iuxta propria | principia liber primus, | et secundus | Romae. | Apud Antonium Biadimi Impressorem Came- ralem. | Anno. M.D.LXV. (Nel frontespizio e nel verso della carta per la sottoscrizione v’è l’impresa: la fenice tra le fiamme col motto Fit Aeterna Quibus). Pagine 177 (non ha numero la 2 n ): S innum. a princ. e 2 in fine; in V. Catalogo delle ediz. romane di A. Biado Asolano ed eredi (in Indici e calai, del Ministero della P. I.) Roma, 1896, p. 101. A p. 176-7 un Errata-corrige segna pel Proemio qui appresso riprodotto quattro correzioni, che si trovano già eseguite in tre copie posseduta dalla Bibl. Coni, di Palermo (segn. i-in, C. 2) e dalla Vittorio Emanuele di Roma (segn. 68, 13, C, 36; e 68, 13, D, 24). cioè Fac. prooem. Proaemicm Prooemium iamdiu liane ne ver. 25 tam diu 26 hinc 5 prooe. 23 nec Il che dimostra che il proemio, terminata la stampa del vo¬ lume, venne ristampato Ma il primo proemio ci è stato conservato in un importan¬ tissimo esemplare della stessa Bibl. Vittorio Emanuele di Roma, 102 APPENDICE BIIÌJ.IOGRAF1CA segn. 71, 3, D, 26, insieme con un frontespizio finora ignoto ai bibliografi, diverso da quello qui sopra descritto pel motto del¬ l’impresa che è: soms, kit aeterna QL'ibus, pigna igniris URI. Importantissimo è questo esemplare, oltre che per nume¬ rose postille ed aggiunte sparse nei margini e in carte interfoliate, anche e sopra tutto per sei carte che vi si trovano legate tra il proemio e il primo libro, contenenti una redazione nuova dei capitoli I-IV e xix-xxtn del primo libro. Al cap. xix precede (c. 4 r) la didascalia: « Quae segmentar capila loco 19, 20. 21, 22 et ponendo sunti. Di molto interesse riuscirebbe un mi¬ nuto confronto di queste due primitive redazioni, documento assai significativo (cfr. sopra pp. 48-9, 77) della irrequietezza con cui il Telesio, fin dal primo momento che diè in luce il primo ab¬ bozzo dell’opera sua, si diè a rifarla, insoddisfatto e desideroso di una più convincente e sicura sistemazione del proprio pensiero. Riproduco qui appresso il proemio di questa prima edizione, modificandone soltanto la punteggiatura. PROOEMIUM. Nulli quod mihi contigit evenisse unquam reor, ut qui mortalium omnium minime ambitiosus, et minime gloriae appetens, animoque maxime remisso, et, si quis alius unquam, unius cognitionis grada, nullius amplius rei, philosophiae studiis vacarim, omnium ambitiosissi- mus videri queam tumidissimusque et vel honores vel edam dividas aucupari; qui, non contentus Aristotelis doctrina, quem tot iam saecula numinis instar hominum genus universum veneratur, et, veluti a Deo ipso edoc- tum et Dei ipsius interpretem, summa audit ’cum ad- iniratione et cum religione edam summa, novam ipse invehere tentem. Sed qui nostra perleget facile is, quod re vera est, intelliget spero non alterius rei cupiditate ab Aristotele me descivisse, quem et ipse nullo forte ntinus multos annos colui suspexique, sed veritads tan¬ tum grada, et ipsum in hoc sequutus Aristotelem ve¬ ntateli! rebus omnibus praelionorandam praedicantem, SCRITTI DI B. TERESIO 103 et veritatis grada amicum edam praeceptoremque suum incusare nihil verentem. Non siquidem minima quaedam aut abstrusa occultaque prave Aristotelem docentem, et quorum aegre cognido liaberi queat, culpantem me vi- debunt, sed in universo fere naturali negotio sensui et sibi ipsi repugnantem, in plerisque igitur non a nobis primum oppugnatum damnatumque, sed iamdiu et ab aliis longe plurimis longeque clarissimis viris, et a suo- rum edam multis, et longe praestandssimis, et a nullo defensum satis. Ut, nisi vel laborem aliam indagandi viam pertaesi homines forent, vel velutì praesdgiis capti, vel, quod de multis suspicari edam licet, non sapientiae gra¬ da, sed se ipsos ostentandi venditandique philosophati, contend igitur Aristotelis vel Platonis verba sentendas- que proferre, et Aristotelis praeserdm nominis fulgore mortalium oculorum aciem perstringere, non igitur ra- tione ulla, nec, quod magis edam oportebat, sensu ullo propria dogmata firmantes, at sola Aristotelis auctontate; iamdiu defecisscnt ab homine reor omnes, et novam hanc, sensum sequuti, indagassent viam, quae sese om¬ nibus manifestasset, et multo quam nobis prompdus acu- tiore praeditis ingenio, et quibus ab ineunte aetate in magno ocio philosophiae vacare licuit; nam nobis, cras- siore tardioreque, ut ingenue fateamur, datis ingenio, non nisi inclinata iam aetate id facere permissum est, neque extremum hoc, nec diuturnum vitae tempus li¬ bere nulloque impedimento, sed plurimis molestissimis- que implicitis occupadonibus, in maximas angustias inaudito illorum scelere coniecds, a quibus summe amari nos colique et foveri oportebat maxime. At, ut dictum est, unius sapientiae grada philosophantes, ne- quaquam Aristotelis dicds, ubi rebus non consentirent, acquiescere potentes, quae praeserdm sibi ipsis dissen- tirent; suos itaque perpetuo inter se disceptantes digla- diantesque intuentes, et longe diversissimis delatos viis, 104 APPENDICE BIBLIOGRAFICA at quibus ipsum sequi videantur Aristotelera ; nuilam certe rem, quam tractarent, in aperto, et veluti in luce ponerent et sensui offerrent, quod oportebat maxime, sensiles edocentia res, sed rationes tantum continentia, quae veluti mentem ligarent, repugnare illis ignaram, at assentiri nolentem, nequaquam sensui consentientes, qua- les esse oportere, quae veritatem continent, ipse inpri- mis admonet Aristoteles; et ncque propterea tot sua tenebria occultantem illuni existimare potentes, quo, ut suis placet, ignavos deterreret, quibus nimirum pulcher- rimarum rerum invideret cognitionem, non eadem omnia obvolventem caligine videntes, at obscuriora abstrusio- raque quae sunt, quae igitur illustranda aperiendaque essent maxime, adeo profunda, ut linceus nullus supe¬ rare et pervadere illapi queat, aperta magis et quae penitus innotuisse visa sunt, nulla plerunque, valde exili interdum, ut suspicari liceat propterea id esse ab eo factum, ut ne, sui penitus dissimilis in dissi¬ milimi! traditione visus, non aeque omnium sciens vi- deri queat, est et quae in nimia ponere velit luce, ut suis edam ambidosius circa quaedam revolvi videatur, sua ostentans, et pluribus quam opus est firmans illa radonibus. Tum neque ignavis modo sua invidisse Ari- stotelem intuentes, sed summe edam strenuis et summe industriis viris, tot iam igitur saecula, tot, non inquam viri, sed nationes illius scripta perscrutatae rimataeque, nulla fere in re, quae fuerit hominis sentenda inspicere potuere; digladiantur itaque, ut dictum est, inter se Pe¬ ripatetici omnes, non in duas divisi partes, sed in longe plurimas, et nullus illius dieta explicans reliquis placet: adsunt qui nullum e tot interpretimi milibus non dam- nent, et ne Graecos quidem ipsos, ipsumque Aphrodi- seum Aristotelis mentem latuisse non contendant. Et non hoc modo, sed nullum sibi ipsi in Aristotelis scripds explicandis satis placentem videntes, et propriae expo- SCRITTI DI B. TELESIO 105 sitioni oranino acquiescentem, quam nimirum nullus an¬ gustiò omnibus liberam, et vel aliis Aristotelis dictis, vel rebus etiam ipsis non repugnantem videre queat; sed perpetuo anxios omnes intuentes haerentesque et, quot vis soiutis nodis, ab aliis tamen retentos; nequaquam igitur id voluisse Aristotelem suspicantes, ignavos nimirum et caecutientes homines a suis repellere tenebris illa ob- volventem et veluti spinò saepientem, qui nulli innotuit unquam et neque innotescere posse ulli videtur; sed vel aeque omnibus rerum cognitionem invidòse; quo nihil inhumanum, impium nihil fieri queat magis, et nihil ab Aristotelis etiam ingenio alienum magis, propria bona propriamque pulchritudinem nequaquam obtegentis un¬ quam, neque hominum exòtimationem contemnentis, at summe etiam illam ambientò; qui igitur si rerum causas, et res ipsas inspexisset omnes, libens, reor, illas homini- bus patefacisset omnibus, ut summe illuni amarent et colerent etiam omnes solum rerum naturam intuitum et manifestantem ipsam omnibus; vel, quod verisimile fit magò, nequaquam propriò positionibus contentum, et nequaquam illis confisum, sedulo, quod aliis faciendum praeceperat, fecisse, quae scilicet non penitus innotue- rant, summis illa obvolvisse tenebris: id volentem om- nino, non ignota nimirum sibi illa filóse homines suspi- cari, sed abstrusiora quam quae omnibus innotescere et manifestari queant omnibus; se ipsos igitur damnare omnes, illum admirari semper. Haec suspicantes, et nequaquam, quod prius fecera- mus, Dei ore loquutum fuisse Aristotelem amplius iudi- cantes, potuisse itaque et ipsum errare, et in multò omnino errasse illum, et in maximi momenti maximeque sensui expositis rebus Galenum adeo aperte demonstrantem vi- dentes, ut qui ulterius Aristotelis sententiam tueri in illis velit, non pervicax modo et positionis tenax, sed stu- pidus etiam videri queat; omissis Aristotelis decretò pia- io6 appendice bibliografica citisque, diu inultumque rerum naturarli et ipsas intuiti res, alio et quae prima Aristoteli videntur corpora et re- liqua fere omnia sese habere conspeximus, quam quo ab Aristotele posita erant pacto; et illud itaque necessario est visum, vel non ab illis principiis prima constimi corpora, vel non ab omnibus. A calore porro et frigore omnia fieri intuiti, nequaquam in hoc ab ilio dissentire visum fuit; in eo igitur quod reliquum erat, non scilicet ab humiditate itidem et siccitate, ut agentibus causis, quas praeser- tim non se ipsas generare constituereque, nec se ipsas mutuo corrumpere, sed a calore et frigore fieri cor- rumpique, et videbamus ipsi, et alibi Aristotelem edo- centem audiebamus. Et illud itaque insuper necessario, duo nimirum prima esse simpliciaque corpora, et cae- lum ex iis alterum, omnia e caeli in terram actione constimi videntes, et summe rebus omnibus terrae op- positum caelum; et nequaquam necessariam et neque firmam Aristotelis rationem intuentes, qua caelo calo- rem abnegat, sed mille labefactari aptam modis; tum et pacto nullo calorem a caeli motu, quo Aristoteli pla¬ cet pacto, fieri posse videntes. His positis firmatisque, mirum quam nullo fere temporis momento, quam nullo negotio nulloque labore et rerum aliarum omnium et animae ipsius substantia atque operatio innotuerit. Mul- tos iam annos et laboribus vigiliisque multis quaesita in Aristotelis libris, et inventa nunquam, ipsa sese ul¬ tra conspicienda nobis obtulit anima, et sua manifestavit omnia; et effectuum insuper aliorum omnium causa, iis positis principiis, visa est assignari posse pulcherrime, quae in Aristotelis doctrina perraro conspecta est satis. Quod igitur nunquam in animum induxeram prius, niliil a me monumentis dignum investigari posse credens, cogitationes et ipse meas litteris mandare constimi, nefas putans veritatem, quae inventa visa fuerat, abdi caelari- que {sic}', multo igitur labore iam inde a pueritia intermis- SCRITTI DI E. TELESIO °7 sum scribendi munus repetitum est, et integrum natu¬ rale negotium conscriptum, et ad ea deventum particu- laria, quae nec attigere antiquiores, et neque attìngere, reor, sperarunt unquam, nusquam a positìs, ne trans- versum quod aiunt unguem, discedenti principiis, et niliil asserenti unquam, quod non necessario a princi¬ piis manet fluatque. At neque adhuc mihi confisus, cui, ut dictum est, extremum modo vitae tempus phi- losophari licuit, et nequaquam in magno ocio magna- que animi tranquillitate, neque in publicis inclitisque Italiae Academiis a praestante aliquo viro edoceri, sed in magnis plerunque solitudinibus, molestissimis op¬ presso impedimentis, Graecorum monumenta evolvere. Latina non satis percipienti, ignotis referta vocibus. Fa¬ cile igitur suspicari vererique potenti, et revera suspi- cantì interdum verentique deceptum me (neque enim fieri posse, ut tot prestantissimi viri, tot natìones, at- que adeo humanum genus universum tot iam saecula Aristotelem coluerit in tot errantem tantisque) Madium Brixianum adire et consulere visum est, quem et in philosophia excellere videbamus, et cuius mihi iamdiu animi ingenuitas innotuerat; ut, si a prestantissimo viro cogitationes meae non improbatae forent, nequaquam supprimerentur illae; sin minus, errores intuitus meos, quod reliquum vitae esset, et ipse Aristotelem suspice- rem venerarerque. Brixiam itaque ad Madium profec- tus, et itineris mei exposita ratione, nequaquam ille, quod multi fecerant, et quod facturum et illuni minitati fuerant, inauditum reiecit; at summa diiigentia plures dies, quibus apud illum fui, et summa cum animi tran¬ quillitate et audiit et perpendit omnia. Principia niliil improbavit, et quod non e principiis flueret, videre ni- hil potuit. Aristotelem in nullis certe satis defendere est visus; damnavit etiam illum prima constituentem cor- pora, nequaquam res ipsas intuitum tot illuni taliaque toS APPENDICE BIBLIOGRAFICA posuisse aftirmans, at proprias sequutum positiones, ne- que igitur talia esse illa, qualia Aristoteli ponuntur, et ipsius positiones ab innumeris, iisque inexplicabilibus excipi difBcultatibus, quas, a suis descriptas, ostendi nobis curavit. Vir videlicet genere quidem nobilissimus, at multo animo magis, et nihil nisi ipsam colens su- spiciensque veritatem, nihil, quem ipse interpretabatur, cui igitur veluti iuramento obstrictus videri poterat, ve- ritus Aristotelem, quin, ubi parum placeret, oppugna- ret illum, et damnaret etiam defendi impotentem. Nihil itaque ab ilio audiens, quod vel nostra labefacta- ret, vel quod Aristotelis positiones a nobis oppugnatas tueretur stabiliretque, et neque ab aliis ullis, quibus cum multis Romae eximiis quidem viris communicare vel dis- serere illa licuit, et a multis, ut mea ederem ■) impulsus, nihil id facere amplius veritus sum. At a multis reiectus impedimentis, quae me usqueadeo retardant, ut, quod ma- thematicorum affirmant multi, suspicari interdum liceat, quae nimirum haud contemnenda bona benigna nobis pollicentur sidera, retardari a maligno, quae non inter- cipiuntur, omnia, nec commentarios reliquos edere -“) licuit, nec integrum de natura opus; sed primos tantum libros, eosque non satis perpolitos, at tales etiam edere 3) visum est, ut quid de illis sen^ant homines videam, et< quae etiam obiiciant, iterum et reliquos, et hos etiam politiores editurus, si nihil, quod nostra labefactet, obie- ctum fuerit. Neque eqim, si hi steterint libri, et fun- damenta in iis posita, ne stent reliqua omnia verendum est quicquam, his innixa omnia; si ruerint haec, nihil opus est alia edi 4), ex his fluentia nianantiaque, ut si 1) aederém. 2) aederr. 3) cledere . 4) ardi. SCRITTI DI B. TELESIO I 09 edam perpolita essent omnia, edenda ') liaud videantur tamen. Reliquum est, ut omnes orem atque obtester, qui mea legere non gravabuntur, ne inimico haec in- spiciant animo neve ut reiecturi qualiacunque sint, veluti iuramento Aristoteli obstricti, sed amplexuri, si arriserint, ut veritads amantes decet et illam sectantes solam. Tum, ne cursim ut legantet veluti vorent, sed per- pendant singula. Et illud inprimis, num quae caelo ca- lorem dantes, et caelum terramque prima ponentes cor- pora, et e caeli in terram actione caetera generantes omnia, et caeli motus causam exponentes (quae omnia in primo posita sunt explicataque commentario) recte solutae sint, quae nos excipere videntur difficultates, et num iis, quae sensu percipiuntur, dieta nostra con- sentiant omnia. Tum quae haec facientem premunt Aristotelem angustiae, in secundo expositas 1 2 3 ) commen¬ tario. Sic enim visum est nostra prius ponere, tum aliena refellere; prius videlicet, quo res constìtutae vi¬ deantur pacto, edocere, tum alio esse non posse deco¬ rare. Hoc qui fecerit, recte is iudicium 3) de utrisque ferre posse videtur; qui enim minora subierit incommoda, is veritatis proximior videri debet, at nondum tamen veritatem adeptus, quae nullas patitur angustias, diffi¬ cultates nullas, nec sibi dissentit unquam, sed penitus sibi ipsi cohaeret, et una efficitur omnis, tum vel igna¬ vissimi crassissimisque hominibus aperit manifestatque quaevis omnia, omnia sensui exponcns apertissime; hu- iusmodi nulli reor Aristotelica videri queant; nostra ne sint, ii recte iudicabunt, qui illa, quod Aristoteles facien- dum praecepit, non ut adversarii, sed ut iudices arbi- trique legerint consideraverintque religione, qua erga 1) aedenda. 2) Da riferirsi ancora a per pendant. 3) iuditium. I IO APPENDICE BIBLIOGRAFICA I Aristotelem obstricti videntur, exsoluti, et tantisper illius positionum decretorumque obliti. Si qui nostra oppu¬ gnare voluerint, id illos insuper rogatos velim, ne me- cum, ut cum Aristotelico, verba faciant, sed ut cum Aristotelis adversario, neque igitur sese illius tueantur positionibus dictisque ullis, at sensu tantum et ratio- nibus ab ipso habitis sensu, quibus solis in naturalibus habenda' videtur fides. Tum ne ut nobis notas illius af- ferrant distinctiones terminosque, quas ingenue fateor percipere me nunquam satis potuisse, propterea, reor, quod non sensui expositas nec huiusmodi similes con- tinent res, sed summe a sensu remotas, et ab his etiam quae percoepit [sic) scnsus, quales tardiore qui sunt cras- sioreque ingenio, cuiusmodi mihi ipsi et nulla animi molestia esse videor, percipere haud queant. Quae igi¬ tur contra nos afferent, exponant oportet, et veluti in luce ponant, tarditatis meae, si libet, commiserti, et re¬ bus agant, non ignotis vocibus, quae, nisi res contineant, vanae sint inanesque. Illud prò certo habere omnes volumus, nequaquam pervicaci nos esse ingenio, aut non unius amatores veritatis, et libenter itaque errore^ nostros animadversuros, et summas illi gratias habituros, qui, quarn solam quaerimus colimusque, patefecerit ve¬ ntate m. Bernardini Telesii | Consentini | De Rerum Na¬ tura iuxta propria prin | ci pia, Liber primus, & Se- cun | dus, denuo editi. | Cum Licentia Superiorum. | Neapoli | Apud Iosephum Cacchium | Anno MDLXX. Il frontespizio reca la figura femminile di cui a p. 39. Sono cc. 95 num. soltanto nel redo. V’ è soppresso il proemio della edi¬ zione pretedente; e vi sono introdotte molte modificazioni. SCRITTI DI B. TELESIO I I I Gli esemplari di questa edizione si trovano sempre legati con i tre opuscoli stampati a Napoli nel 1570. Un esemplare, con correzioni di mano del Telesio, proveniente dalla bibl. di Domenico Cotugno, si conserva tra i mss. della Nazionale di Napoli (xiv, E, 68): ed è degno di considerazione perchè attesta ad oculos come il Telesio, dopo questa 2» edizione, che già era un rifacimento, continuasse a tormentare la sua opera prima di ridurla alla forma definitiva, in cui la diè in luce di¬ ciottenni dopo. Le varianti (comunicatemi dall’amico prof. Spam¬ panato) concernono, la maggior parte, la forma; ma sono parti¬ colarmente notevoli le numerose cancellature di lunghi brani, consigliate per lo piu dal disegno del nuovo assetto che l’au¬ tore intendeva dare alla materia. Così, per non dire delle brevi frasi, vi si vedono cancellati i seguenti brani: Lib. 1: c. 3 v 1 . 27-c. 4 r 1 . 8: siquidem ... inluebere vcluii ; c. 6 r 1 . 29-c. 6 v 1 . 6: ibi modo... assumit uttatn\ cc. 7 r e 7 v interamente; c. 8 r-S v tutto il cap. n; c. 9 v 11 . 5-9: videri... viribus) c. io 1 . 19 debet... fino alla fine della facciata; c. 11 r 11. 17-19 robustioreque... possimi ; c. 11 r 1. 31-38 e c. 11 v 11. 1 _ 3 » c - *3 v 11 - 1-19; c. 14 r 11 . 19-38 e 14 v tutta; c. 16 Z/-17 r tutto il cap. 22; c. 20 r lì. 18-24: Ai natura?... interdum ; cc. 20 7'-23 v \ i capp. 30-33 e parte del 34 fino alle parole ubi ro- b us liu s ; c. 25 r 11. 15-28 e 25 v 1-17; e nini) c. 34 r 11. 8-14 e 19-21; c. 34 v 11. 10-15; c » 3^ r Ih 5 _ & : Al sensus... omnes ; 40 v 11 . 19-24: omnino... quaevis. Lib. 11: c. 42 /- 11 . 15-19: FA nequa- quam... forma ; c. 42 v 11 . 35-7 Al neque mutaiionem ; c. 46 r a 47 r: capp. 6 e 7; c. 47 z> 11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp. 11 e 12; c. 50 v a 51 v : cap. 14. Ma per mostrare con un solo esempio, tratto da un luogo del De retimi natura contenente alcuni periodi famosi (cfr. anche in questo voi. p. 40: quei periodi in forma poco diversa erano nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr. sopra pp. 102-3) come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo della sua opera, giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione Cacchi con le correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la redazione corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di quelle correzioni. Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni dell’autore: Quoniam, quae in superiore Commentario exposita sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius I ! 1 2 APPENDICE BIBLIOGRAFICA omnino de singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfini- que sententiam. Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus primum corpus Aristoteli videtur; sed et aqua itidem, et qui nos ambit aer, et is, qui Coelo subiacet et cum Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum non ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, de- bilitatasque, at non eas tamen modo, quae unius sint corporis, sed omnes simul sibi ipsis commistas, cont- plicatasque, pene et unum factas inesse; e simplicium itaque complexu, commistioneque effecta mista Aristo¬ teli dicuntur: et nequaquam a propria Coelum natura, propriaque calefacere substantia, caloris omnino expers, nec calorem suscipere ullum aptum, commune sublu¬ naribus habens nihil, penitusque diversa praeditum na¬ tura, sed sublunarem aerem commovens, conterensque: et nec a propria omnino forma '), propriaque moveri substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a nostris dissidentia; ipsius explicanda est, excutiendaque de singulis sententìa: neque enim et aliorum itidem re- censendae sunt, examinandaeque opiniones, ab ipso satis reiectae Aristotele, et non penitus etiam notae nobis. Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno itaque vacuis labore aliena exponendi reiiciendique, no¬ stra tantum explicanda. esset sententia; at non admissis modo illorum placitis decretisque, sed ea acceptis fide ac religione, ut si ex ipsius naturae ore prolata essent: non igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, in- dagandaque cuipiam videtur, at tantum quid de quaque Aristoteles senserit, speculandum. Non id ignoscant raor- tales rogandi, quod videlicet in singulis examinandis 1) et neqnaquam a propria Coelum.., forma, cancellato. 2) itaque rei ti ullius. SCRITTI DI B. TKLESIO 113 Arislotelis sententiis haereamus '): at quod dissentire ab ilio audeamus, et non illum numinis instar venere- mur; qui si illius dicto audiant, aut factum incitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant : quin gratias potius habeant, et idem ipsi faciant omnes: ipse enim Aristoteles veritatem amicis omnibus prae- honorandam admonet, et veritatis gratia praeceptorem etiam amicumque incusare nihil vereri videtur. Huius certe nos amore illecti, et hanc venerantes solam, in iis, quae ab antiquoribus tradita fuerant acquiescere impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspe- ctam (ni fallimur) tandem aperire illam mortalibus vo- luimus, nec liberi nec probi liominis officio fungi iudi- cantes, si generi illam hurnano invidentes, at invidiam ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur, ut clarius illa elucescat, agentia rerum principia inqui- rentem, et prima constituentem corpora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et Coeli Solisque motu calorem generantem, et motores immotos, a quibus Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quae in su¬ periore nobis tractata sunt Commentario, in quibus (ut dictum est) omnibus summe a nobis dissentit, explican- tem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula ratio- nesque examinemus. Ed ecco che cosa diventerà questo capitolo nella redazione definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato, pp. 179-81), dove sarà il 1° del libro III. 1) Cancellato questo periodo Non id... haereamus, c corretto: {specu- landnm) quovis labore nostro, quovis (?) ahorum itidem fastidio, singulae eius positiones quam diligentissime et saepius eadem interdum esponen¬ do f ex am in a n daeque omnino sunt (?). Nihil si in iis tractandis plus iusto immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse existimantcs... G. GENTILE, Bernardino Telesio. 8 APPENDICE BIBLIOGRAFICA 114 Repeluntur complura quae superioribus traditi sunt commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs quae infra sunt expendendae. Materia non una ei duplex natura agens, et unus calor frigusque unum, mundi huius universi principia, nec quod terrain mareque et stella? inter quodque ipsas inter stellas locatum est ens, unam idemque et ab una eademque universum constitutum natura, nec duo tan¬ tum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli so- lisque natura e terra effecta, quemadmodum nobis, Ari¬ stoteli videntur. Ille enim sublunaria omnia una eadem¬ que e materia; quae supra lunam sunt entia, caelum stellasque omnes, ex alia constare et quae nihil illi con- gruat naturarumque quas illa suscipit prorsus incapax sit; et quod inter lunae orbem terramque et mare est ens, in duo, in ignem aéremque (ignem enim supre- mam eius portionem quae lunae orbi subiacet, aerem vero infimam liane quae terram ambit, appellat), divi- sam esse affirmat. Et praeter caelum quattuor esse prima corpora, terram, aquam, aerem, ignem, decernit: mi- nimeque ad horum constitutionem calorem modo fri¬ gusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut agentes naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequa- quam earum unam sed oppositionis utriusque alteram affert; et duplicem omnino singulis agentem assignat naturane dictisque e quattuor corporibus, at veluti mu- tuis vulneribus confectis afflictisque et pugnam pertaesis tandem et sibi ipsis commixtis, pene et unum factis omnibus, entia reliqua constituit omnia. Et caelum stel¬ lasque omnes propria natura et quae a calore frigore- que et ab humiditate siccitateque prorsus diversa sit, do- nat. Itaque calor qui a sale fit non ab eius natura nec a propriis eius viribus, sed ab eius fit motu, a quo sic caelo suppositus ignis et bona aéris pars agitetur, conteratur, SCRITTI DI B. TELESIO 115 accendatur accensusque ad terram usque detrudatur; et nequaquam a propria caelum natura propriaque sub¬ stantia sed ab immotis moveri motoribus statuit. Longe tandem mutuo in omnibus fere dissentimus. Quas ob res Aristotelis explicanda excutiendaque est de sin- gulis sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones, satis ab ipso, ut videtur, reiectae et quae, nulli admis- sae, ab ullius removendae sunt animo. Utinam cum Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi rei- ciendique labore vacuis, nostra tantum explicanda esset sententia. At quoniam non admiserunt modo illorum placita et decreta, sed ea acceperunt fide et religione ac si ex ipsius naturae ore prolata essent; itaque rei nullius amplius natura inspicienda indagandaque cuipiam videtur. sed tantum quid de quaque Aristoteles senserit speculandum: utique quovis labore nostro, aliorum etiam fastidio quovis, singulae illius positiones quam diligen¬ tissime, et saepius eaedem interdum, exponendae exa- minandaeque sunt. Nihil, si in iis tractandis plus iusto interdum immoremur, mortales nobis ut ignoscant, sed quod a summo naturae interprete dissentire audeamus et non numinis instar illum veneremur, rogandos esse existimamus: qui, si illius dictum audiant aut factum imitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant, quin gratias potius habeant idemque ipsi faciant omnes. Ipse enim liber in philosophando Ari¬ stoteles veritatem amicis omnibus praehonorandam ad- monet, et veritatis gratia praeceptorem etiam amicumque incusare nihil veretur. Huius certe solius nos amore illecti et hanc venerantes solam, in iis quae ab antiquo- ribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum naturam inspeximus, et conspectam, ni fallimur, tandem mortalibus aperire voluimus; nec liberi nec probi homi- nis officio fungi iudicantes, si generi illam humano in- videntes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam APPENDICE BIBLIOGRAFICA I 16 occultaremus. Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia re- rum principia inquirentem et prima constituentem cor- pora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et càeli'solisque motu calorem generantem et motores im- motos, a quibus caelum moveatur, indagantem, ea de- nique, in quibus omnibus summe a nobis dissentit, explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius dieta rationesque examinemus. 3- Bernardini Telesii Consentini De Ret urn natura \ iuxta propria principia | libri IX | ad illustriss. et Excel- lenriss. D. Ferdinandum Carrafam Nuceriae Ducem | Neapoli | Apud Horatium Salvianum | M.D.LXXXVI. In f. Sul frontespizio è riprodotta la figura femminile dell’ed. 1570. Questa edizione definitiva (di cui il Graesse, vi, ij, p. 47 ri¬ corda copie con la data 1587) è riprodotta nelle due seguenti: 4- Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in quo continentu.r: I. Philippi Mocenic! Veneti Universaliutn Institutio- num ad hominum perfectionem, quatcnus industria paruri potest, contemplationcs quinque ; II. Andreae Caesat.pini Aretini Quaestionum Peri- pateticarum, libri v; III. Ber. Telesii De rerum natura , libri ix. Genevae, apud Eustach. Vignon, MDLXXXV1I1; in f. Nè anch'io I10 potuto vedere questa edizione; che il Nicekon (Mèmoires, xxx, 108-9) dice conforme all’ed. del 1586. Lo Spam¬ panato, pref. alla sua ed. p. xxi, erra dicendo genovese questa ristampa e credendo relative al De rcr. fiat, le opere del Moce- nigo e del Cesalpino. SCRITTI DI B. TELESIO I i; 5- Bernardini Thelesii Consentini De rerum natura iuxta propria principia , Coloniae, Excudebat Petrus Moulardus, MDCXLVI. Questa edizione è citata da L. Telesio, in Bernardini Thy- lesii Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell 'Orazione del D’Aquino, p. 71.— Il Fiorentino, Pomponazzi, p. 384, cita una edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli 1637»: che dice appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella Bibl. Naz. di Bologna. Se non che, come m’informa l’amico prof. Flores, questa Biblioteca possiede soltanto l’edizione 1586, e del resto l'Aldrovandi mori nel 1605. È piuttosto da tener presente il se¬ guente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p. 9): « Onde de’ suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che sono stati dati più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra(?) ed in Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue opere grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò di avanzargli, e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro, dove egli per sua modestia ponea solamente il suo nome ed il suggetto dell’opera, l’hanno ornato grandemente d’un altro nuovo titolo nel quale si contiene, che quella opera è piena di molta dottrina, e che è necessaria agli studiosi delle lettere così umane come divine ». 6 . Bernardini Telesii | De rerum natura \ a cura di | Vincenzo Spampanato, | volume primo | A. F. Formiggini editore in Modena [ 1910 ]. Pp. xxn-332 in-8«. È il 1“ volume dei Filosofi italiani, col¬ lezione promossa dalla Soc. filos. italiana, diretta da Felice Tocco. Precede una pref. del Tocco e una dello Spampanato. Il (piale pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r. nat., e forse un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni 1565 e 1570 e gli opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione del ritratto inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella Biografia degli uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi (1822). n 8 appendice bibliografica Riproduco qui appresso la dedica e il proemio, premessi dal Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la stampa del Salvianl. a ) Illustrissimo atque exceli.entissimo domino don Ferdinando Carrafae duci Nuceriae Bernardinus Telesius consentinus. Commentarios de rerum natura, quos, ut probe no- sti, excellentissime Princeps, magnis laboribus diutur- nisque confeceram vigiliis, edendos tandem visum cum csset, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse duxi- mus; nani et domi tuae conscripti fuerant, et plurtmis magnisque beneficiis, quae in me contuleras, debeban- tur. Et amplius etiam, quod Aristotelis doctrinam (quam adeo Alexander excoluit veneratusque est, et quae sub Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit in honore) ut sensui et sibi ipsi passim repugnantem cum damnemus, aliamque et longe ab illa diversam cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis, qui imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub herois praesidio emittendos esse duximus, qui nec in- genio nec iudicio nec animi magnitudine nec virtute omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui in multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum unus tu talis, excellentissime Princeps, non nobis modo, sed sanis hominibus visus es omnibus, ltaque nihil ve¬ nti quod opibus potentiaque ab ilio exsupercris, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus. No¬ stra siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi ipsi nec sacris etiam litteris repugnat unquam, quin adeo bis et illi concors est, ut ex utrisque enata vi- deri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab m- vidorum calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue SCRITTI DI B. TELESIO 119 effundat amplificetque, nullis regum opibus nuliaque potentia sed tua modo opus habet ope; qui sic animi bonis, quae dieta sunt, nihil ab Alexandro exsuperaris, quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam inge¬ nio iudicioque te ilio quam longissime praestantiorem esse, vel doctrina, quam uterque admittendam decrevit, manifestai. ,Quam enim ille amplexatus veneratusque est et summis praemiis summisque dignara existimavit honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam ipsi, quin et Deo optimo maximo, passim repugnat. Itaque soli calorem lucemque abnegat: et mundum nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed voluti casu quodam enatum ponit; et rerum humana- rum administrationem cognitionemque Deo demit om- nem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in com- mentariis apertissime ostensum est, sibi ipsi etiam passim dissentit adversaturque ; ut existimare liceat vel in praeceptoris gratiam, nihil eius fundamentis positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro ad- missam fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut ingenio iudiciove tibi conferri possit. Nam tu doctri- nam nostram non statim, sed ibi tandem admittendam perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et sibi ipsi universa et sacrae etiam scripturae bene concors visa est. Ut, quod dictum est, ingenio iudicioque multo te Alexandro praestantiorem esse necessario existiman- dum sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio iudiciove donatus ille fuisset, et sensui et sibi ipsi et sacris divinis litteris passim dissentientem Aristotelis doctri- nam admittendam duxisset unquam. Animi porro ma¬ gnitudine fortitudineque nihil Alexandrum te prae¬ stantiorem fuisse res, a te in Peloponneso gestae, manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum equitibus in Christianorum exercitum, turbatum iam trepidan- temque, irruentibus (qui omnino nisi a te repressi 120 APPENDICE BIBI.IOGRAFICA reiectique fuissent, magnimi nostris incommodum illaturi erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut Ale¬ xander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam coniectis et a te retentis tuaque praesentia et fortitudine confirmatis, sponte tua te opposuisti; et longe illorum plurimis interfectis, reliquos in fugam coniecisti peni- tusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum, sum- mum iam in periculum adductum et in fugam iam con- versum confirmasti conservastique : talem omnino te praestitisti, ut eorum, qui pugnantem te conspexere, nulli dubium esse posset, quin, si unquam exercitus ductandi magnaque bella gerendi occasio tibi oblata foret, bellicam Alexandri gloriam aequaturus et supe- raturus etiam esses. At pares, quae dictae sunt, vir- tutes in utroque ut sint, puriores certe in te splendent, neque enim, quod in ilio passae interdum sunt, ab immixtis vitiis in te obscuratae sunt unquam. Et ne- quaquam, ut ille, deos tu colis ab hominibus effictos multisque obnoxios vitiis; sed Deum venerans, caeli terr:eque conditorem et qui unigeniti Filii sui morte humanum genus servari substinuit, sanctissimaque eius praecepta summa observas cum religione. Minus etiam generis claritate ab Alexandro exsuperaris, siquidem Car- raforum ■) familia multis iam saeculis plurimorum ma- gnorumque principum coronis et regio etiam diademate effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniae regnum re¬ gio cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum magnorumque sacrorum antistitum puniceis pileis et pontificia etiam corona exornata est: ut ambigere non liceat, quin generis etiam claritate nihil ab Alexandro exsupereris. Quoniam igitur, Alexandro collatus, nec generis claritate nec ullis animi bonis inferior videri ) Spamp. Carra/arum. SCRITTI DI B. TF.LESIO I 2 I potes; age, commentarios nostros (propterea in primis tibi dicatos, quod Alexandro si ■) quidem fortuna impe- rioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel magnitu¬ dine vel aliis ullis animi bonis ab ilio J ) exsuperaris, quin in multis tu illum exsuperas) libens suscipe. Et si Aristo- telis voluminibus, quae tantis Alexander praemiis tan- toque digna existimavit honore, niliil deteriores tibi visi sint; et nostri mores nostrumque ingenium, quod pe- nitus tibi perspectum sit oportet, nihil me unquam (cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum erga me beneficiorum immemorem ingratumque futu- rum suspicari sinent 3 ); non quidem, ut non minoribus praemiis nos prosequaris, rogamus (quae scilicet a prae- senti fortuna tua exspectari non possunt et quae nulla a te expetimus, satis superque a benigni tate tua ditati), sed ut non minore me prosequaris benevolenza et, quod hactenus strenue fecisti, Peripatedcorum iniurias calurn- niasque repellas. Nihil omnino, quam Aristoteles Ale¬ xandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore, quam ab ilio habitus fuit, nos a te in honore haberi homines intelligant. Hoc vero, ut praestes, percupimus et summopere te rogamus. Vale, o praesidium et dulce decus meum. 1) Spamp. Quod si. 2) Spamp. Ab Alexandro. 3) Spamp. Sinant. I 22 APPENDICE BIBLIOGRAFICA f>) Bernardini Telesii Comentini De rerum natura iuxta propria principia Liber primus: Prooemium '). Mandi constructionem corporumque in eo contentoram magnitu- dinem naturamque 2) non ratione, quod antiquiorihus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab ipsis liaben- dam esse rebus. , Qui ante nos mundi huius constructionem rerum- que in eo contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt, diu¬ turni quidem vigiliis magnisque illam indagasse 4) labo- ribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim iis illa innotuisse videri queat 5), quorum sermones omnes et rebus et sibi etiam ipsis dissentiant adversique sint? Id vero propterea iis evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ), quod, nimis forte sibi ipsis confisi, nequaquam, quod opor- tebat, res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus ma- gnitudinem ingeniumque et facultates '), quibus donatae videntur, indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia contendentes decertantesque, mundi ipsius principia et caussas 8 ) ratione inquirere ausi, et, quae non invenerant, inventa ea sibi esse existimantes volentesque, veluti suo arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e quibus 1) Questo Proemio formava il cap. i del lib. i nella ediz. 1570 con alcune varianti che saranno qui appresso indicate: rultima delle quali assai notevole. 2) coni etti or uni naturam. 3) rerumqtu naturam. 4) indagasse illatn. 5) videri potest. 6) evenisse videtur. 7) id rebus ingenium easque facultates. 8) causas. SCRITTI DI B. TELESIO 123 constare is videtur, nec magnitudinera positionemque, quam sortita apparent, nec dignitatem viresque ‘), quibus praedita videntur, sed quibus donari oportere propria ratio dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi homines piacere et eo usque animo efferri oportebat, ut (veluti naturae praeeuntes, et Dei ipsius non sapien- tiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam etiam i) affectantes) ea ipsi rebus darent, quae rebus inesse intuid non forent et quae ab ipsis omnino habenda erant rebus. Nos non adeo nobis confisi, et tardiore ingenio et animo donati remissiore, et humanae omnino sapientiae amatores cul- toresque (quae quidem vel ad summum pervenisse vi- deri debet, si, quae sensus patefecerit et quae e rerum sensu perceptarum similitudine haberi possunt, inspe- xerit), mundum ipsutn et singula eius partes, et partium rerumque in eo contentarum passiones, acriones, opera- tiones et species intueri proposuimus. IUae enim 4), recte perspectae, propriam singulae magnitudinem, hae 5 ) verum ingenium viresque et naturam manifestabunt. Ut si nihil divinum, nihil admiradone dignum, nihil etiam valde acutum nostris inesse visura fuerit, at nihil ea tamen vel rebus vel sibi ipsi repugnent unquam; sen- suin videlicet nos et naturam, aliud praeterea nihil, se- cud sumus, quae, perpetuo 6 ) sibi ipsi concors, idem semper et eodem agit modo atque idem semper ope- ratur. Nec tamen, si quid eorum, quae nobis posita sunt, sacris litteris catholicaeve ecclesiae non cohaereat, tenendum id, quin penitus reiciendum, asseveramus 1) ejfmxere et corporibus. e quibus constate is videtur. non ram tua- gnUudinem eamque dignitatem et vires. 2) modo sapientiam. 3) etiam potentiam. 4) aciiones atque operationes intueri. 5) magnitudinem ac speciem, hae. 6) s unirne. 124 APPENDICE BIBLIOGRAFICA contendimusque. Nequeenim humana modo ratio quaevis, sed ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis non congruat, abnegandus omnino et ipse etiam est sensus *). 7- Bernardini | Telesii | Consentini | De hìs, quae in Aere fiunt; et de Terrae- \ motibus. Liber (Jnicus | cum Superiorum facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'ac- chium. | Anno MDLXX. Carte. 14 nuin. nel redo. Sul frontespizio è la solita figura fem¬ minile, eom’è anche nei due opuscoli seguenti. Precede questa dedica: Illustrissimo et Reverendissimo Tolomeo Gallio Cardinali Comensi ac Archiepiscopo Sipontino Bernardinus Telesius S. P. D. Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem sem- per cupivi, et quo nihil mihi iucundius contingere pos- set, venire tecumque vivere non licet; nec vero alia ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque ma¬ nifestare; utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Com- mentarium De iis quae in aère fiunt, ad te mittere statui. Minus certe munus, quam quod tuis erga me meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia in re studium voluntatemque tuam a me desiderati passus sis, tum vero studiorum meorum egregius imprimis fautor sem- per fuisti. Multo etiam minus quam quod virtutes tuae expostulant, surnma integritas, summaque in omnes cha- ritas; non illae quidem ad homines alliciendos simulatae, 1 ) Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen... est sensus. SCRITTI DI B. TELESIO 125 a ut segnes unquam, sed verae puraeque, et unius honesd grada scraper vigiles semperque operantes; et summa prudentia, rerumque omnium cognido. Emicue- runt quidem illae, cum sub Pio IIII. Pontif. Max. Chri- stianam Rempublicam tu imprimis tractares, administra- resque; et ita eraicuere, ut multo spiendidius emicaturae viderentur, si tempus unquam nactae forent, in quo liberius splendere possent. Summam praeterea animi tui magnitudinem quis non summopere amet summeque ve- neretur? Qua effectum est, ut nullis bonorum quorumvis accessionibus quicquam elatus aut immutatus omnino esses unquam; bona scilicet quaevis, et quae virtus tibi pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere me- hercule semper minora; itaque nihil illa te extulere unquam. Me quidem diu penitusque egregias animi tui virtutes et mores cum sancdtatis tum vero et iucun- ditatis plenissimos intuitum tanta illae erga te venera- done tantoque animi tui amore desiderioque inflamma- runt, ut nec venerari te satis, nec colere amareque, et tecum esse satis desiderare posse videar. At multo, ut dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere, scio, contentus eris ; Deum Opt. Max. imitatus, qui non quas non habemus opes, nec opes omnino ullas, sed veram modo pietatem, esto et modici thuris evaporationem a nobis poscit. Tum qualecunque id est, perpetuum erit, spero, tuorum erga me meritorum, et meae erga te observantiae charitatisque signum. Vale. 8 . Bernardini | Telesii | Consentini | De color um generatione | Opusculum. | Cum superiorum facultate | Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium. | Anno MDLXX. In-4 1 cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica, in alcuni esemplari premessa ai due libri del De t er. natura del '70 per errore di chi legò con essi questi opuscoli. 26 APPENDICE BIBLIOGRAFICA Illustr. mo Io anni Hieronymo Aquevivio Hadrianensium Duci Bernardini Telesius, CONSENTINUS S. P. D. Multos equidem iam annos surama te prosequor veneratione, summoque tui videndi desiderio teneor. Neque enim unus aut alter te cum caeteris animi bo- nis virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicio- que longe acerrimo praeditum disciplinisque omnibus apprime ornatum mihi praedicavit; sed communis om¬ nium consensus, et eorum praecipue qui et te magis norunt, et qui, quae in te sunt, bona reliquis exqui- sitius intueri possunt: in primis Marius C/aleota (qui vir et quantus!): hic quideni te non summis aetatis nostrae hominibus, sed antiquis illis haeroibus ac divinis viris conferre nihil veretur; nec vero Rempublicam vel manu vel consilio adiuvandi occasionem nactus si sis umquam, quin illorum gloriam exaeques, aut etiam exsuperes du- bitat quicquam. Admirabilem scilicet intuitus naturam tuam, et cum reliquarum honestarum disciplinarum tum vero philosophiae studiis diu summaque excultam diligen- tia, summa itaque erga te charitate ac veneratione sum¬ moque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per mo- lestias, quibus multos iam annos assidue opprimor, mihi licuisset, promptius, mihi crede, ad te quani ad fortuna- tissimos reges advolassem; et praesens animi mei propen- sionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me tibi. Id quando adhuc facere non licuit studiorum meo- rum monumentum quippiam tibi offerre visum est, quod meae erga te observantiae signum esset: itaque commen- tarium De colorum generatione ad te mitto. Libens, spero, munus, qualecumque est, accipies, in quo nimi- rum hominem, qui te nunquam vidit, virtutum tuarum pulchritudine ac fulgore incensum intuebere. Nani, si SCRITTI DI B. TELESIO 127 probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut videtur, colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opi- bus a te omnibus carius aestimatum iri certo scio; ut qui illustrissimorum maiorum tuorum more rerum cogni- tionem rebus omnibus ac regnis edam ipsis praehaben- dam semper duxeris. Vale. 9- Bernardini | Tei.esii | Consendni | De mari, \ Li- ber Unicus. | Ad Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | So¬ riani Comitem. | Neapoli, | Apud Iosephuin Cacchium, 1570 . In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia Superiorum. Sono cc. 12 numm. nel recto-, in-4®. Precede questa dedica: Illustriss. Ferdinando Carraeae Soriani Comiti Bernardini Telesius S. P. D. Cum primum literas tuas accepi, quibus declarabas te in iis, quae de mari ab Aristotele tradita erant, acquie- scere minime posse, et quid de eius natura et motibus sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi plurimis (ut nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem gererem tuique desiderio sadsfacerem, commentari uni, quem iam pridem de eo conscripseram, rudem adhuc, quantum per praesentes occupadones licuit, polivi. Et praeter morem nostrum, prius quae ab Aristotele tra¬ dita sunt, in eo exponuntur examinanturque, ut fa¬ cile homines intelligerent iure te in iis acquiescere non potuisse: tum nostra apponuntur. Perleges vero tu il¬ luni, et si tibi probatus sit talisque visus, qui et tuo sub nomine in lucem prodire queat, prodeat. Neque I 28 APPENDICE BIBLIOGRAFICA enim, quae tu admittenda decreveris, alii ut damnent vereri licet; libens certe confectum tibi opus, qualecum- que id sit, accipies; summara in eo meam erga te charitatem observantiamque intuitus et grati animi si- gnum cura erga te, tum et erga illustrissimos parentes tuos, Alfonsum Nuceriae Ducem, virum unum omnium optimum constantissimumque, et loannam Castriotam, quae cum maxime fortunae corporisque bonis affluat, et tantis omnino, quantis plura ne optare quidem liceat, si cum alias eius animi virtutes, tum vero, quae aegre si- tnul coire videntur, lenitatem sublimitatemque summe in ilio coniunctas, pene et unum factas quis inspiciat, vix illorum splendorem intueatur; ut mihi quidem nostrae aetatis homines nihil ea amabilius, nihil etiam divintus conspicere posse videantur. Haec vero tu eius paren- tisque tui splendorem summamque utriusque generis claritatem ne novis luminibus non illustres dubitandum est quicquam. Nam mihi quidem te illosque intuenti, quae in illorum utroque corporis animique bona sunt, ex utroque hausisse videris omnia: minimeque vel eo- rum vel avorum gloria vel tantarum opum possessione, totve ac tantorum populorum dominatione contentus tuo tibi ut studio tuoque labore novum decus novos- que honores acquiras summa attendis cum diligentia. Age vero, qua coepisti perge, et mihi crede, non sum- mam modo gloriam, sed veram adipisceris felicitatem, summae nimirum fortunae summam adiicies sapientiam. Vale. io. Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de natu- ralibus | rebus libelli \ ab Antonio Persio editi. | Quo¬ rum alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti pro- deunt. | Sunt autem hi | de Cometis, et | Lacteo Cir- culo. | De liis, quae in Aere fiunt. | De Iride. | De Man. SCRITTI DI B. TELESIO 129 | Quod Animai universum. | De Usu Respirationis. | De Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. | Unicuique libello appositus est capitum Index. | Cum privilegio | [insegna tipografica) | Venetiis M.D.XC. | Apud Felicem Valgrisium. Dopo la pref. Antonine Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a opusculorum, diviso in due parti: — Prima pars, in qua precipua Metereologica continentur; _ Secunda pars, in qua, quae Parva naturalia dici possimi, tractantur. Nella 1“ classe sono compresi i quattro opuscoli De Cometis et tacteo circolo, De bis quae in apre fiunl (dedicati entrambi a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova Luigi Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio). Nella 2 a altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab unica animae substantia gubernatur contro Calenum (a Giov. Vincenzo Tinelli), De usu respirationis (a Giovanni Micheli), De coloribus (a Benedetto Giorgi), De saporibus (a Fed. Pendasio), De somno (a Girolamo Mercuriale). Il volume consta di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn. in fine e dei 9 opuscoli ciascuno dei quali con numerazione a sé, sul recto, e con frontespizio particolare; tranne il primo. Il I- 1 I op. di cc. 26 (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc. 20; il IV (De mari) di cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; il VI (De usu) cc. 8; il VII (De color.) cc. 15; l’VIII (De sapor.) cc. 15; il IX (De somno) cc. 15. Riporto la prefazione generale e le sin¬ gole dediche. «) Antonius Persius CANDIDO LECTORI. Novem haec Bernardini Telesii physica opuscula, quo¬ rum tria tantum antehac excusa fuerunt, eodem omnia volumine complexa, ut publici iuris efficienda curarim id fuit causae potissimum, Candide lector, quod, cum paucissima eorum exempla circumferrentur, adeo ut jpsi mihi, qui Telesio inter vivos agenti coniunctissimus, G. Gentile, Bernardino Telesio. 9 APPENDICE BIBLIOGRAFICA 1.^0 ac, ni fallor, carissimus fueram, antequani unius ex sin- gulis compos fierem, sudandum fuerit, liuic malo quani primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili perirent omnino, vel ne quis eos tanquain proprii sibi partum ingenii vindicans, suuni iis noinen, Telesii ex- puncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in com- mune proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse ut milii persuaderem effecere multi, quos novi egomet consimilem lusisse ludum. Ac profecto nostra liac tem¬ pestate, si ulla unquam alia factum est, malis hisce ar- tibus prò sapientia uti licet. Ut autem rem piane intelligas, erant ex his tres tan¬ tum modo, ut dixi, excusi libri, De his quae in aere fiunt scilicet unus, alter De mari, tertius De colorum generatione. Ac De mari quident ille non- nullis auctior capitibus tibi datur, quae nos in ipsius calcem omnia reiecimus. Qui vero De coloribus est, longe prodit alius, non verbis tantum, sed et sententiis atque opinione. Caeteri omnes nunc primum publi- cantur. Ex iis, qui mihi a Telesio missi fuere (sunt autem hi; De somno, De saporibus, De bis quae in aere, De mari), hi longe aliis emendatiores exhi- bentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (cu- ravit eos mihi Franciscus Mutus, praestanti vir doc- trina ac Telesianae philosophiae cognitione liaud levi praeditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni etiam tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divi- nandum mihi fuerit in plerisque locis. Cum autem in iis exentplaribus, quae nacti sumus, loci nulli neque Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum, qui a I elesio laudantur authores, neque in contextu, neque in mar¬ gine notati extarent, nos eos omnes in tuum commo- dum, Amice Lector. ad oram cuiusque libelli rite ad- scripsimus. Ad haec schemata quaedam in libello De SCRITTI DI B. TET.ESIO '.il iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta, quod nullum eorum in nostris codicibus vestigium exta- r et, accurate delineavimus, ut facilius id, quo de agitur, intelligeres. Atque haec nos tibi tanquam in alieno solo (ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus, pro- pediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli nostri, quae tibi forte non ingrata videantur, multo li- beralius deprompturi. Quod reliquum est, Lector Imma¬ nissime, quo nobiscum ab illius sapientissimi viri ma- nibus gratinili aliquam in eas, ac magis udlitati publi- cae consulamus, si forte meliores, quam nostri sunt, codices fuerit nactus, ut et ego meliores edere possim, mihi eos, quaeso candidus imperti; si non, his utere mecum. Vale. f >) Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente: Antonius Persius IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO PRAESTANTISSIMO S. P. D. Quod in studio mathematices, quo maxime omnium semper es delectatus, in primisque astronomicae facul- tatis, totus usque sis, laudo te, mi Tomaie, vehementer, ac vere virum censeo, qui non te otio, quod plerique ista fortuna, hoc est opibus, abundantes homines faciunt, corrutnpi sinas; sed, cum ingenio iudicioque cum paucis sis conferendus, animum tuum optimis artibus perpoli- tum nobilissima rerum excelsissimarum excolis cogni- tione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel imper- fectam perfecta inferiorum rerum scientia multo duxerit esse praestantiorem. Utere igitur fortunae bono dum per florentem aetatem tuam licet, et viaticum senectuti para. 132 APPENDICE BIBLIOGRAFICA Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis ani¬ mimi: amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberali- tate hac tua, omnique officiorum genere, quae ego abs te expertus non vulgaria, perlibenter soleo praedicare. Et quo extaret eoruni significano diuturnior, a me tibi nun- cupati ut exirent duo hi Telesii nostri libelli De come- tis et lacteo circulo unus, De iis quae in aere fiunt alter, libentissime curavi: simul ut haberes oc¬ casionerei de rebus coelestibus, coeloque proximis, quo te rapit astrorum studium, novam Telesii nostri dispu- tationem alacrius legendi. Cuius tu philosophiam magno animo amplexatus maxima cum iudicii et ingenii laude tueris. Ac liber ille quidem, quo De iis, quae in aere fiunt, disseritur, editus antehac est, nunc emacu- latior prodit. Alter vero nunc primum publici iuris ef- ficitur. Vale, et Persium tuum ex animo nunquam elabi tuo patiare. Patavio Kalendis Aprilis. MDXC. c) Illustrissimo ac reverendissimo Aloysio Cornelio episcopo Paphiensi et Patavino designato. Antonius Persius. S. P. D. Post nobilem illum universae terrae cataclysmum, ex quo Noe, cum familia servatus, humanum genus re- paravit, apud Ethnicos quoque pervulgatum, ac Deuca- leonearum undarum nomine a poeds significatimi, scrip¬ tum fecit Moses summi ille Dei scriba atque interpres, Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis inter se atque humanum genus constituti, ut quoties id in coelo appareret toties divinae potentiae beneficiique nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc mihi, SCRUTI DI B. TELESIO 1 .1 ,ì dura eximii philosophi Bernardini Telesii libellum De iride in lucem proferre cogitarem animo repetenti cu¬ pido incessit, ut haud ita dissimilis in re simili tui erga me animi significatio exstaret, operam dare. Est igitur a me curatimi, ut ii, in quorum oculos haec Telesiana Iris incurreret, de tuorum in me magnitudine merito- rum brevi hac ad te epistola quoquo pacto admoneren- tur. Namque, ut alia praeteream, maximorum semper in loco beneficiorum mihi delatum putabo, quod in ali- qua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi addictissimorum numero censeri velis. Cum enim per- crebuerit te non nisi doctos, probos ac sapientes viros, tui scilicet simillimos, amare, fovere atque ornare so¬ lere, cum tu non solum maiorum splendore summaque familiae nobilitate, verum edam doctrinae, probitatis ac sapientiae laude nemini concedas (quarum quidem vir- tutum singulare specimen in administradone Episcopatus Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico patruo tuo, prudentissimo viro delata maximo cum ecclesiae Patavinae fructu quotidie exhibes); quid mihi proficisci abs te maius atque optabilius unquam posset, quam ex tua consuetudine, qua me dignum tua esse voluit humanitas singularis, tantarum mihi virtutum famnia, ac nomen aliquod comparare? Quod igitur opusculum hoc tuo sacratum nomini dicarim, id primum boni ut consulas vehementer cupio; deinde ut tuam in me animi propensionem, in qua maximam existimadonis meae par- tem esse positam inteiligo, (quod facis) tueare te iterum rogo obsecroque. Vale. Patavii. 134 APPENDICE BIBLIOGRAFICA d) Antonius Persius Francisco Patricio Platonicae Philosophiae in Ferrariensi Gymnasio Professori Celeberrimo S. P. D. Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis coninto- raremur, me tibi novam Telesil Philosophiam ac phi- losophandi rationem saepius commendare, et te hortari, ut libros eius de natura legeres diligenter. Quod ubi est a te factum, cum multa offenderes in iis, quae ve¬ lini Democritea Delio quopiam natatore indigerent, me identidem tanquam in eorum lectione diutius versatuni, ac Telesii familiarem consulebas, ego igitur libenter et obscura quaecunque tibi essent interpretabar, et obii- cientium sese dubitationum scrupulos eximebam, quod poteram. Ita ad calcem usque operis cum legendo per- venisses, tum honorifice de eo loqui caepisti, ut ipsurn veteribus philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me rogatus in eam philosophiam dubitationes tuas nonnul- las, quas ad Telesium transmisi. Ex eo candidissimus philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum exigere non sii gravatus. Cum igitur libellum eius De mari ab ipso primum editum, atque aliquibus ex eius- dem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum, de- nuo imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum nullum Patricio aptiorem in venire me posse existimavi, tuaeque idcirco ipsum fidei commendare decrevi. Tu, si constans es in summi viri laude, ut te esse mihi et natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi pa- trocinium suscipias libenter, ac tuam in eo tuendo non SCRITTI ni n. TELESlO t35 vulgarein eruditionem plaudentibus omnibus explicabis. Feceris autem mihi pergratum, si meis verbis coni- raunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum et tuum et Telesii praeclarum propugnatorem ingenii, et eruditionis laude ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi nomine dixeris, cura ego ipsius beneficio plerosque ex iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus, expectare, ut eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Aucto- ris nondum editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei mutuo memor est. Patavio. Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ): Tria haec, quae sequuntur capita de maris aestu, a Telesio quidern et ipsa elucubrata sunt, sed tamen ab eodem in prima huiusce libelli editione consulto prae- termissa; idque ea, ut puto, de causa, quod in hac con- teraplatione nondum sibi piane satisfaceret. Erat enim tum in alienis, tum maxime in propriis sententiis iudi- candis sane quam difficilis atque morosus. Itaque nihil edere ille solebat, quod non longa adhibita discussione lente prius ac fastidiose probasset. Nos tamen, ne ea quidern intercidere aequum putantes, quae ipse rudia atque imperfecta reliquerat, pauca haec de manuscripto exemplari diligenter excepta, priusquam ea sibi aliquis vindicaret et ut sua venditaret, in calce huiusce libelli excudenda curavimus. <?) Perii.i.ustri atque omni doctiunae genere EXCULTISSIMO VIRO Io. VlNCENTIO PlNELLIO Antonius Persius. S. P. D. Nullus est in hac urbe solum, sed ne in tota qui- dem Europa locus, quo maiores doctorum atque insi- gnium in qualibet liberali arte virorum concursus ac 136 APPENDICE BIBLIOGRAFICA frequentiores fiant, quam ad aedes tuas, Ioannes Vin¬ centi Pinelle, nostrae decus aetatis atque ornamentum. Confluant enim ad te quotidie ex diversis orbis regioni- bus, qui te aut officii causa invisant, aut de gravi ali- qua disputatione consulant, aut ignotam sibi antea fa- ciem tuam conteniplentur. Ita fit, ut cum istic plures eodera tempore convenerint, nullus sit dies, quo non de quam dignissimis scitu rebus sermones habeantur. Multique, quorum hic sedes est ac domicilium, limina ista tua inprimis terunt. Sic enim illi, ac recte quidem, et mecum sentiunt, nullum esse ludum, Academiam nul- lam, unde quis doctiorem se ac prudentiorem abiisse gloriari possit. Experior id ego in me ipse quotidie, qui tamdiu frequento aedes tuas, neque aliud est, quo ma- lim hic esse quam diutissime. Quicum enim honestius atque eruditioribus colloquiis diem traducam, ne fingi qui¬ dem potest. Collocuti autem praeter caetera saepe sumus de Telesina philosophia, quam, etsi longissime a Peri- patetica abhorrentem, sic tamen laudas, ut admirandum esse Auctorem eius ingenue fatearis. Quapropter amo liberale ingenium tuum, ac te virum omni doctrina po- litissimum quamplurimis doctissimis viris antepono, qui non solum singulari sapientia, veruni edam animi can¬ dore ac probitate incomparabili familiam tuam clarissi- mam maximis augeas ornamentis. Non oblitus, puto, es te disputationes illas a Telesio adversus Galenum ha- bitas in eo libro, quo demonstratum animai universum ab unica animae substanda gubernari, mirifice commen¬ dare. Ea me igitur pulcherrimi operis a viro laudads- simo profecta laus de eius libri editione cogitantem ad- monuit, ut eum sub fulgore tui nominis in hominum aspectum ac lucem proferrem, ut quem prius habuit lau- datorem, eum deinceps patronum sordretur. Tuum erit nostrum in tui optione iudicium comprobare, studiumque agnoscere ac voluntatem in Te singularem. Vale. Patavii. SCRITTI DI B. TÉLESlO <37 /) Illustrissimo Ioanni Michaelio PATRICIO VENETO, EQU1TI PRAECLARISSIMO, ac D. Marci Procuratori meritissimo Antonius Persius. S. P. D. Non ignoras, Ioannes Michaeli, Venetae Reipublicae columen, unicum prudentiae, eruditionis, humanitatis exemplar, Telesii, dum viveret, praeclarum de virtute tua iudicium, atque ex iudicio studium in te singulare, quo, etsi magnis locorum intervallis disiunctum, tanto tamen prosequebatur ac colebat, ut, quamvis decrepitus iam senex ; ad me saepe scripserit se Venetias tui unius in- visendi caussa cogitare. Fecissetque ille omnino, si lon- gior ei lucis usura contigisset, aut ex ingentibus illis molestiarum ac perturbationum fìuctibus, ex morte fi- lio, quem unice diligebat, a sicario quodam illata, prae- sertim obortis, quibus extrema iam aetate est conflictatus, emergere unquam ac se vindicare potuisset. Noverat te ille Romae familiariler, felicibus illis atque eruditis tem¬ poribus; mirificum ex mirifica tua sapientia, eloquentia, Gomitate fructum coeperat. Itaque iure absentis postea desiderium non nisi cum vita deposuit. Ego igitur, qui te non minus Telesio Venetiis ac Patavii colui, obser- vavi observoque in dies magis ac magis tum iisdem, quibus ille, nominibus, tum ob praeclara tua in me me¬ rita, qui me et publice et privatila disputantem aucto- ritate tua summa protegere non sis dedignatus, ut tuae in Telesium prius deinde in me ipsum benevolentiae gratique utriusque nostrum in te animi significati ex- staret aliqua diuturnior, hunc Telesiis ipsius libellum De usu respirationis tuo nomini amplissimo dicare operae praetium duxi. Tu prò tua sapientia et huma- nitate, si non re, saltem utriusque nostrum animo tibi appendice bibliografica 138 satisfacies, et mea in te officia tibi grata esse hoc tuo officio, quoti mihi gratissimum erit, declarabis. Vale. Patavio. .e) Clarissimo viro Benedicto Georgio Patricio Veneto Antonius Pf.rsius S. P. D. Tuum, Benedicte clarissime, sensum, cum meo in amicis eligendis tam belle congruere, ut eosdem tibi l'amiliares optaris, quibus ego per multos annos fami¬ liarissime utor, in magna felicitatis rneae parte ponen- dum existimo. Facis enim, ut ego non eos solum, quos tanto antea probarim, tuo iam accedente iudicio, habeam cariores, veruni et ut de me ipso, qui tantum iudicio va- luerim, sentiam praeclarius. Tuum enim civem Aloysium Solinum, ac Patavinum fere civem tot annorum Patavii incolam Paulum Aycardum, ex quo primum bue appuli, amavi et colui ob summam rerum omnium doctrinam, incomparabile iudicium, humanissimos ac suavissimos mores, amore omnium atque honorificentissimo virorum honestissimorum praeconio dignissimos. Eosdem postea cum abs te tantopere diligi atque amari sensi, et eos et me quoque ipsum, iudicio permotus tuo, plus quam antea, si modo voi untati meae erga illos accessio fieri potuit, amare coepi. Si te igitur nullo alio tuo merito, hoc certe uno, quod ut mihi magis placeam ac tribuam in causa fueris, sunimam debeo benevolentiam. Sed mei in te studii atque observantiae caussae aliae multae sunt, quibus ego impulsus libellum Telesii de colorum va¬ rietale et caussis tibi dicatum edere constitui, ut scilicet voluntatem erga te meam illustri aliqua significatione declararein. Ad haec, si usus venerit, ut eum tua et SCRITTI l>l H. TELEStO 139 doctrina et eloquentia tectum sartumque praestes ab aculeis reprehensorum, libenter curavi ut nonien tuum clarissimum prae se ferret imprcssus. Neque enim dubito, quin maximum apud omnes hoc tuum patrocinium sit pondus habiturum. Perspectum iam enim est ac notum, quanto te discipulo gloriaretur dignus ille tnagnorum philosophorum magister Iacobus Zabarelia, nobis im¬ portuna morte praereptus. Cuius sane viri quoties mihi venit in mentem, venit autem saepissime, toties ego Patavinae, in qua profitebatur, Academiae ingemisco, quae tot tantisque infra paucos annos orbata viris, ci- vem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret, rednere diutius in vita non potuerit, cum tamen ea de- cesserit aetate, quae senectutem vix a limine attingebat. Verum alieno quidem patriae et amicis, sibi autem, hoc est nomini, et gloriae suae liaud quam importuno tempore cessit e vita, relictis ingenii sui monumentis, nunquam intermorituris. Cuius vocem porticus illae eru- ditae Lycei Patavini frustra nunc, frustra, inquam, de- siderant. atque eum, si possent, suum ipsae civem, qui philosophiam non praeceptis tantum ac scriptis, verum et factis praeclarissime exprimebat, omnium virtutum, imprimis humanitatis ac modestiae, singulare exemplunt erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra philosophos ri- derent, qui non tam in academiae porticis prò Peripa- teticae doctrinae primatu, quam in publicis hisce, quae promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus te- runtur, prò peripatetica, hoc est, ambulatoria (ut sic dixerim) praerogativa tanquam prò aris et focis ridi- culc dimicant, quasi in eo sitae sint Graeciae divitiae, si cui occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus partem, videlicet parietem ambulanti concedas. Sed iam nos iis homulis et xaipeiv dicamus et vyicuveiv. Te vero iterum iterumque rogo, ut animum tuum familiae tuae splendidissimae nobilitate dignissimum mihi benevolum 1 4 « APPENDICE BIBI.IOGRAEICA ae meae summae in te observantiae memorerà tueri, munusculumque hoc, novum piane munus (cum libel- lus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem multis additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum an- tea edito conferas, mirum quantum ab eo difierre de- prehendas) tanquam maximum a maximo ad te missum animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale. h) Antonius Persius Eminentissimo Phii.osopho Federico Pendasio,. S. P. D. Si quantum Aristoteli philosophorum filii, tantum tibi, Federice Pendasi, philosophorum memoriae nostrae facile princeps, ipsum debere Aristotélem dixerim, nae ego vera praedicarim. Illustrasti etenim publicus tot an- nos in ceteberrimis Italiae Gymnasiis interpres Aristote- licam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab in- teritu aberant, erutori ac vindicatori iHi gratiae debea- tur. Quos si nobis inimicum fatum ad exitium usque invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus Aristo- teles, iacturamque tantam undequaque compensare. Ita- que subinvideo Ascanio fratri, quod ipsi, te Bononiae degente, Bononiae degenti fruì licet, ac de te non pu- blicos solum, sed, quae tua in omnes privatimque in ipsum est benignitas, domesticos haurire sermones. Fe- rebam ego antea tui desiderium paullo lenius, dum vi- veret alterum Italiae lumen Iacobus Zabarella philoso- phiae scientia, ut tibi uni secundus (quem scilicet ille sibi non solum praeferebat, sed auctorem ctiam recte philosophandi fuisse olim praedicabat), sic caeteris omni¬ bus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc, SCRITTI I>! R. TEt.ESIO M quo familiarissime utebar, extineto, nisi tua me aliquando usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi profecto acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et stu¬ diose legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis lumina haud vulgaria conspiciantur probe novi, cuius- modi sunt Telesii philosophica monumenta, idcirco ut ex ungue leonem agnosceres: ad haec ut sententiarum novitate animum tuum consuetis fessum contemplatio- nibus recreares, liunc eius De saporibus libellum tan- quam èvSóoipav ad reliquam ipsius philosophiam cogno- scendam, et, ut sapiat, iudicandam ad et mittere, adeoque tuo inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies igi- tur hilari fronte hanc meae in te benevolentiae atque observantiae significationem, ut meum in te studium nunquam in posterum obliviscaris. Vale. Patavii. Antonius Persius PRAECLAR 1 SSIMO MEDICO Hieronymo Mercuriali S. P. D. Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit, Hiero- nymeMercurialis, medicorum choryphaee, ut Agamemno- nem de sonino excitaret, misisse ipsi somnium a poeta perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias, hoc est, ne me tibi e memoria atque ex animo excidere patiare, tui amantissimum studiosissimumque tui nunquam oblitum, non vanum aut mendax aliquod somnium, sed erudi- tum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio tum, cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui somnum arcere quovis somnio validius possit. Hunc ego, et ut sedulum monitorem, et ut non obscurum mei in te animi interpretem ad Te destinavi, dum aliud * TOSINO U2 APPENDICE 11IBI-IOGRAEICA quaero tibi mnemosynon, quo pateat illustrius non so¬ limi quantuni tibi ipse ego debeam deferamque, ve¬ runi edam quam ab aliis omnibus esse deferenduni exisdniem; etsi tu unica de te clarissimae Bononiensis Academiae existimatione (ut communem eruditorum om¬ nium sensum praetermittam) contcntus esse potes, quae te tanto studio ac contentione ad eminentissimam me- dicinae cathedram ingentibus atque ante te nemini pro¬ positi praemiis pertraxit. Atque hoc sapienter B0110- nienses, ut alia omnia, sapienter te quoque ipsum, qui condicionem acceperis, fecisse sapientissimus quisque existimat, cum tibi in ea urbe domicilium statueris, quae bonorum omnium ornatu ac copia comparari cum ur- bibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non iniuria et te ego Bononiae, et tibi Bononiam invideam, hoc est summorum virorum doctrinae et huraanitatis laude ce- leberrimorum Bononiae degentium consuetudinein. Pe- regrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem morer. De civium numero unum tantum honoris caussa com- memorabo, Camillum Palaeottum, tuorum, ut tu te me¬ rito gloriaris, principem amicorum; quem virimi pri- mum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus, cum in eo omnia maiora opinione ac fama deprehende- rim. Itaque Alexandrum Burghium summa insignem timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem at¬ que ab eo cognoscerer et auctor et interpres mihi fuit. Obsecro igitur te, vir preclarissime, per humanitatem et comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis restituere valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentis¬ sime commendes, et a me salutem dicere ne graveris. Te vero mei muneris ne poeniteat, siquidem id, quod ab optimo in te est animo profectum, optimum putas. Vale, et diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio. In fine della raccolta sono 3 cc. di Errata-corrige , SCRITTI DI B. TELESIO 43 1 I. Due opuscoli inediti del Telesio De fulmine e Quae et quomodo febres facilini furono per la prima volta pub¬ blicati dal Fiorentino, Telesio , n, pp. 325-374, insieme con la risposta del Telesio al Patrizi: Soluliones Thyìesii, pp. 391-98- Dal Fiorentino fu anche ristampato il Carmen ad Ioannam Castriotam del Telesio (pp. 311-2), inserito nel volume Rime et versi in lode della illustriss. et eccel- len/iss. S. D. Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa dì Nocera et Marchesa di Civita Santo Angelo , scritti in lingua toscana, latina et spagnuota da diversi huomini illustri in varii et diversi tempi et raccolti da Don Sci¬ pione de’ Monti, Vico Equense, 1585; già ristampato da S. Spiriti, Memorie , pp. 92-3 e da Luigi Telesio, o. c. pp. 55-6. Circa l’apocrifità dell’epigramma per la storia di Scipione Mazzella v. Bartelli, Note, p. 55 n. Manoscritti e opere smarrite. Oltre la notizia importante dataci da Giov. Paolo d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del Persio (cfr. so¬ pra pp. 130-1 e 135), è da considerare la lettera del Quattromani, su cui richiamò già l'attenzione il Ni- codemi nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del dott. N. Toppi, Napoli, Castaldo, 1683, p. 53: e l’accenno dello stesso Telesio De rer. nat., v, 1: « Tum maris aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt iridisque et colorum exortus in propriis est explicatus commenta- riis. Metallorum lapidumque et reliquorum, si quae APPENDICI-: BIBLIOGRAFICA 144 alia supersunt, quin in superioribus manifestatus sit, pa¬ rimi cannino deesse videri potest, et alias, si coeptis faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo De pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. Al- magiA, I.e dottr. geofisiche di B. Telesio, p. 333, II SCRITTI SU B. TELESIO* La Filosofia di Berardino Telesio ristretta in brevità, et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico Cosentino [Sertorio Quattromani] , in Napoli, ap¬ presso Giuseppe Cacchi, 1589. Ora/ione di Gio. d‘Aquino in morte di Bernardino Telesio, philosopho eccellentissimo, agli Accademici Cosen¬ tini. In Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596. Rist. a Napoli, Fratelli Traili, MDCCCXL a cura di L[uigi) T[klesio], Precede (pagine xxvi) una lettera del T. al marchese di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del Telesio a Giovanna Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti, l’epigramma a Sci¬ pione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile, il son. di Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio. Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini v. Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Ac¬ cademia Cosentina, voi. Ili, pp. 345 sgg. Francesco Bacone, De principiis atque originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis et Telesii et praecipue Democriti philosophia, tractata iti fabula de Cupidine ; in Philosophical Works edited by Ellis and Spedding, in, pp. 63-118 (con pref. del- l’EUis e note). La prima volta questo opuscolo fu pubblicato da Isacco Gru- ter in Franc. Baconi de Verulamio Scripta in naturali et uni¬ versali philosophia, Amsterdam, 1653, pp. 208 sgg. * Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie generali della filo¬ sofia soltanto quelle che contengono esposizioni originali. G. Gentile, Bernardino Telesio. 10 146 appendice bibliografica Iohannis Imperiala Musaeum kistoricum et pky- sicum, Venetiis, ap. Iuntas, An. MDCXL, pp. 79-80. A p. 78 c’è un ritratto del Telesio. Pel cui valore storico si osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto che le ima- gines del Museo storico sono ad vivum expressae, e nella pre¬ fazione al lettore: « Icones ad vivum ubique locorum a nobis anxio perennique studio conquisitas, vix cogere in unum licuit paucas, nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam interdum, prout minus congrua censebatur, abolendo, aliquam reformando, et cum probatioribus conferendo, quo studiosa cupidaque huius- modi elegantiarum tua non falleretur fiducia». Petri Freheri Theatrum viro rum eruditione claro- rum, Norimbergae 1688, p. 1484. C’è un ritratto del Telesio, riprodotto da Rixner e Sibek innanzi al vojutne qui sotto citato. Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia Ber¬ nardini Telesii commentarmi ad illustrandas historiam philosophicam universam et literariam saeculi XVI C/iri- stiani sigillativi, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. Breit- Kopfium, 1733 in 4 0 . Nei Nova Acla eruditorum di Lipsia, MDCCXXXI 1 I, pa¬ gine 551-3 c'è una recensione di questa monografia. I. Bruckeri, Historia critica philosophiae, to. iv, pars 1, Lipsiae, MDCCXXXXIII, pp. 449-460. Mémoires pour servir à filisi, des hommes illustres dans la republique des le/tres avec un catalogne raisonné de leurs ouvrages par le R. P. Niceron barnabite, to. xxx, Paris, 1734. PP- 194-1 io. H 4 - Salvatore Spiriti, Memorie degli scrittori cosen¬ tini , Napoli, 1750, pp. 83-93. J. G. Buhle, Gesch. d. neueren Philosopkie seit der Epoche d. Wiederhers/ellung der Wissenschaften, SCRITTI SU B. TELESIO 147 Gòttingen, 1800-1805, Bd. il, Abth. 11, pp. 648 ss.; trad. frane. Jourdan, Paris, 1826, II. n, pp. 563-71. P. L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie [conti¬ nuata da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud, 1819. I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al Telesio sono un’aggiunta di F. Salfi. Rixner e Siber, Leben und Lehrmeinungen berukm- ter Physiker am Ende des XVI und am Anfange des XVII fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach, 1820) ( B. Te¬ le sius) . Oltre una biografia del Telesio, contiene la traduzione'(molto libera) di molti brani del De rei' . natura. Giuseppe Boccanera da Macerata, Bernardino Te¬ lesio, nella Biografia degli uom. illustri del Regno di Napoli , to. vni, Napoli, N. Gervasi, 1822 (col ritr. del Morghen). Francesco Saverio Sai.ki , Elogio di Bernardino Telesio, 2“ ediz., Cosenza, Migliaccio, 1838 (di pp. 48 in-16 0 ). Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza, Migliaccio, 1S42. La prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata Morgana di Reggio Calabria, 15 marzo 1838; e contro di esso allora com¬ parve un opuscolo: Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel giorn. intitolato La Fata Morgana... Su la vita e la filosofia dì Bernardino Telesio, in Napoli, nella Stamp. della Società Filomatica, 1839 (cit. da F. Bartelli, Note, p. 70). Ferdinando Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-, negli Atti della Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi di G. Migliaccio, 1842, voi. 11, pp.15-115. In risposta al tema assegnato dall’Accademia l’anno 1838: « Esporre con lucidezza e precisione il sistema filosofico di B. T., e far conoscere quale e quanta influenza abbia esercitato sul progresso delle scienze, e quali scrittori, sian essi calabri o stra¬ nieri, abbiano maggiormente contribuito a propagare la nuova dottrina Telesiana ». APPENDICE BIBLIOGRAFICA 148 Chr. Bartholmèss, De Bernardino Telesio, Paris, 1849. H. Ritter, Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I della Gesch. d. neutra Pkilos. ) , Hamburg, Perthes, 1850, PP- 56 i- 7 S- J. E. Erdmann, Grundriss der Geschichte der Phi- losophie, 1 , Berlin, 1869, i, 243- PP- 523-26. F. Fiorentino, Bernardino Telesio , ossia studi sto¬ rici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano, Firenze, Le Monnier, 2 voli. 1872, e 1874. Della psicologia del T. il Fior, s’era occupato nel Pompo- nazzi (v. sopra p. 98). A proposito del volume del Telesio furono pubblicati i seguenti scritti del Ferri e del Francie. Luigi Ferri, La filosofia della natura e le dottrine di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole i/al., a. 1873. Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études histort- ques sur l’idée de la nature pendant la renaissance ita- lienne par F. Fiorentino, in Journaldes Savanls, a. 18731 pp. 548 sgg. e 687 sgg. M. Carriere, Die philosophische Weltanschauung der Reformationszeit* , Leipzig, 1887, 11, 34 ss. La prima ediz. è del 1847. Telesio, rivista di scienze lettere ed arti, Cosenza, a. 1, fase. 1, 28 febbr. 1886 (direttori Vincenzo Iulia e Domenico Bianchi). Ne conosco 3 fase., che non contengono nulla sul Telesio, salvo un cenno neil’art. di G. M. Greco, Il Qualiromani cri¬ tico (nel fase. 3 del 30 aprile 1886, pp. 154-5) a 8 a teoria del¬ l’anima del filosofo cosentino, difesa dalle critiche del Fiorentino. SCRITTI SI! B. TELESIO 1 49 K. Lasswitz, Geschichte der Atomisti): vom Afitte/- alter bis Newton, Hamburg u. Leipzig, 1890, I B., pp. 312-14- Karl Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des Bernardinus Telesius ; Inaug.-Dissert., Leipzig, 1891 (pp. 52 in-8“). A pp. 1-2 c’è una bibliografia della letteratura telesiana. Felice Tocco, Le fonti più recenti della filosofia del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai Rend. Lincei). A pp. 72-5 i rapporti del Bruno col Telesio. Cui è da ag¬ giungere l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis di Bacone, ed. cit., p. 75 n. Gio. Sante Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose di T. Campanella con particolare riguardo alla filos. della rinascenza italiana. Lanciano, Carabba, 1895. A pp. 34-51 sono studiati i rapporti del Camp, col Telesio. St. de Chiara, Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi- Zumbini, xix aprile mdcccxcvii (Cosenza, tip. ApreaJ, pp. 8 in-4 0 . Spigolature dall’archivio cosentino relative al nome della madre del T. e ad alcuni de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è detto: c Un solo, il Bruckero, dice ch'egli sia nato nel 1508: ma questo non è assolutamente possibile, perchè nel sett. del 1508, come abhiam visto [«nelle schede del notar Benedetto Arnone, sotto la data del 6 di sett. 1508, i capitoli di un secondo matri¬ monio, che Giovanni Telesio, padre del nostro Bernardino, con¬ trasse con la signora Vincenza Garofalo »], il padre passava a se¬ conde nozze. La data del 1509, poi, si desume anche dalla se¬ guente notizia cortesemente comunicatami dal mio nob. amico Luciano de Matera e da lui ricavata di su un antico ms.: « A di 8 di sett. 1588 si sepelì nella sua sepultura della sua cappella dentro la Chiesa magiore il filosofo Bernardino tilese d’età d’anni settantanove ». APPENDICE BIBLIOGRAFICA 150 Francesco Bartelli, Note biografiche (B. Telesio e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A. Troppa, MCMVI. Sul Telesio, pp. 7-73. È il miglior saggio biografico che si abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga • esplora¬ zione dei documenti inediti cosentini. I Roberto Almagià, Le dottrine geofisiche di B. Te - lesto: primo contributo alla storia della geografia scien¬ tifica nel cinquecento, Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli Scritti di geografia e storia della geografia pubbl. in onore di G. Dalla Vedova). Duilio Ceci, Bernardino Telesio (con bibliografia) ne La cultura contemporanea , Roma, a. n, n. 3, 1 feb¬ braio 1910, pp. 41-45. Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: « Fran¬ cesco Bonci, Il volgarizzamento dello scritto latino di B. (sic) T: I colori presso gli antichi Romani, Pesaro, Federici, 1894. Ma si tratta del De coloribus di Antonio Telesio. Erminio Troilo, Bernardino Telesio, Modena, For- miggini, 1910 (pp. 77 in-i6° picc.; col ritr. del Morghen; N. 11 dei Profili del Formiggini). I 53970 \ INDICE Avvertenza.. Bernardino Telesio. » Sommario: I. Il medio evo (9-20); II. Uma¬ nesimo e rinascimento (21-38); III, Vita e scritti del Telesio (38-54); IV. La filosofia del Telesio ( 54 - 77 ); V. Chiarimenti (77-92). Note. » Appendice bibliografica. » I. Scritti di B. Telesio. » II. Scritti su B. Telesio. » 5 7 93 99 101 ■45 GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori BIBLIOTECA DI CULTURA MODERNA Elegante collezione in-8 1. P. Orano — Psicologia sociale (esaurito). •2. B. King e T. Okkv — 1/ Italia d'oggi (3» edi¬ zione) . 4, 3. E. Ciccotti — Psicologia del movimento socialista . * 4. G. Amadori-Virgiu — L’Istituto fami¬ gliare nelle Società primordiali . . * -,f>0 5. A. Martin — L’Edncazione del carattere (esaurito). 6. G. De Lorenzo — India e Buddhismo antico (2* edizione). * L— 7. V. Spinazzola — Le origini ed il cammino dell’Arte.» 3,50 8. R. de Gourmont — Fisica dell’Amore. Mag¬ gio su l' istinto sessuale . » 3,50 y. C. Cassola — I sindacati industriali. Car¬ telli - Pools - Trusts . » 3,50 10. G. Marchesini — Le finzioni dell’anima. Saggio di Etica pedagogica .... » 3, — 11. E. Kbioh — 11 Successo delle Nazioni. . » 3, — 12. C. Barbagali .0 — La fine della Grecia an¬ tica . » 5,— 13. F. Novati — Attraverso il Medio Evo . » 4,— 14. I. E. Spingarn — La critica letteraria nel Rinascimento.. — 15. T. Carlyle — Sartor Resartus (2* edizione) » 4,— 16. F. Carabki.lbse — Nord e Sud attraverso i secoli. » 3,— 17. B. Spaventa — Da Socrate a Hegel . . » 4,50 18. A. Labriola — Scritti vari di filosofia e politica a cura di B, Croce. ...» 5,— GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori 19. A. I. Balfour — Le basi della fede . . L. 3, — 20. C. Db Freycinet — Saggio sulla Filosofia delle Scienze ......... » 3,50 21. B. Crock — Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel. » 3,50 22. L. Hearn — Kokoro. Cenni ed echi dell’in¬ tima vita giapponese .» 3,50 23. F. Nietzsche — Le origini della tragedia » 3,— 24. V. Imbriani — Studi letterari e bizzarrie satiriche. » 5, — 25. L. Hearn — Spigolature nei campi di Bml- dho .» 3,50 26. C. W. Saleeby — La Preoccupazione ossia la malattia del secolo. » 4,— 27. K. Vossi.br — Positivismo e idealismo nella scienza del linguaggio. » 4,— 28. G. Arcoleo — Forme vecchie, idee nuove » 3,— 29. Il pensiero dell’Abate Galiani - Antologia di tutti i suoi scrìtti editi e inediti . » 5,— 30. B. Spaventa — La filosofia italiana nelle sne relazioni con la filosofia europea \ 3,50 31. G. Sorbi. — Considerazioni sulla violenza » 3,50 32. A. Labriola — Socrate. Nuova edizione . » 3,— 33. G. Kohlkr Moderni problemi del Diritto » 3,— 34-1. K. Vossi.br — la Divina Commedia stu¬ diata nella sua genesi e interpretata — Voi. I - Parte I. Storia dello svolgi¬ mento religioso-filosofico. » 4,— 34 -n. _ Voi. I - Parte lì. Storia dello svol¬ gimento etico-politico. » 4, — 35. G. Gentile — Il Modernismo e i rapporti tra religione e filosofia.» 3,50 36. G. B. Festa — Un galateo femminile ita- liano del trecento. » 3,— 37. S. Spaventa — La politica della destra . » 5, — 38-1. J. Royce — Lo spirito della filosofia mo¬ derna— Parte.,1. Pensatori e Problemi » 4,— 38-U. — Parte II. Prime linee d’un sistema . » 4,— GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori 39. R. Rrnier — Svaghi critici . 40. E. Gbbhart — L’Italia mistica ■ 41. A. Farinelli — Il romanticismo in Ger¬ mania .* ‘ ' 42. A. Tari — Saggi (li Estetica e di Meta¬ fisica . . 43. E. Romagnoli — Musica e Poesia nell an¬ tica Grecia . ; • ‘ ’ 44. F. Fiorentino — Studi e ritratti • 45. G. Fkrrarelli — Memorie militari del Mezzogiorno d'Italia . 46. B. Spaventa - Principii di Filosofia . 47. A. Anile - Vigilie di Scienza e di Vita » 48. J. Royce — La Filosofia della Fedeltà . 49. R. W. Emerson — L’anima, la natura e la saggezza - Saggi 50. G. Rbnsi — Il genio etico ed altri saggi 51. G. Gentile — Bernardino Telesio • • • 3,50 5- 3,50 3.50 4.50 L- 2.50 tS 39 u I ✓ <• «. '
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