II.
Andrea Dorisi.
Per oltre la metà del XVI secolo campeggia nella storia di Genova la figura di un Ammiraglio condottiero, come lo qualifica il Petit suo ultimo biografo, che impresse larga orma di sè anche nella storia di tutta Italia, per non dire nella storia europea del suo tempo: voglio dire Andrea Doria, che i concittadini
contemporanei proclamarono padre della patria, ma che la storia critica lo dimostra poco degno di tale nobile qualificativo.
Nacque Andrea in Oneglia il 30 novembre del 1466 dalla potente famiglia dei Doria che aveva dato illustri capitani del popolo alla repubblica, ma d'un ramo le cui ricchezze erano piuttosto scarse essendo limitate a pochi feudi della riviera di ponente. Alla morte del padre, la madre, una Doria Caracosa, dovette alienare una parte delle proprietà feudali: il che dimostra che non erano punto ricchi.
Andrea s' applicò agli studi con molto amore e il Capelloni, suo biografo del tempo, scrive che « attendeva alle lettere, nelle quali dimostrava perfetto ingegno »; ma, vero figlio della spiaggia ligure, come dice il Petit, s'innamorò di questo Mediterraneo che ondeggiava sotto il suo avido sguardo. Mortagli la madre, si recò in Genova, giovane diciassettenne, smanioso di operare, ed attratto in ispecial modo dalle cose della guerra; ma poichè in patria vide in quei giorni essergli difficile la carriera, nel 1484 abbandonò Genova recandosi a Roma, dove entrò al servizio del papa Innocenzo Vili genovese, quale uomo d'arme. Alla corte di Roma, dice il Sigonio, altro suo biografo, rese grandi servigi tanto privati che pubblici, si fortificò il corpo ed esercitò l'intelligenza. Morto però Innocenzo ed eletto papa Alessandro VI Borgia, lasciò Roma; fu per breve tempo alla corte del duca d'Urbino e quindi si recò a Napoli entrando al servizio della corte aragonese. Combattè contro l'esercito di Carlo Vili in difesa di Ferdinando d'Aragona e del suo successore Alfonso; ma quando questi rifuggiatosi in Sicilia perdette ogni speranza di trionfo, il Doria intraprese un viaggio in Terra Santa e fu allora creato cavaliere dai Templari. Tornato in Italia quando Ferdinando il Cattolico pigliando per sè la causa aragonese mosse guerra ai francesi padroneggiami nel reame di Napoli,- invitato da Giovanni della Rovere, entrò nell' esercito di Francia.
Difendendo la Roccaguglielma dei Della Rovere con sessanta soldati contro le truppe spagnuole guidate da Gonzalvo di Cordova, il Gran Capitano fece meraviglie di prodezza e di abilità da meritarsi le lodi del generale avversario; e quando dovette abbandonare il castello, della Rovere lo mandò in Francia alla corte di Luigi XII a reclamare certi sussidi promessigli. Ritornato dalla missione, prese parte alla guerra di Fermo contro Ascoli; quindi morto Giovanni della Rovere e nominato tutore del suo figliuoletto ne prese le difese contro Cesare Borgia, salvando la vedova e il figlio dagli artigli feroci del Valentino.
Nel 1503 la Corsica s'era ribellata all'ufficio di S. Giorgio, e a comandare le sue truppe l'ufficio aveva scelto Nicolò Doria; il quale non sì tosto seppe della morte di Alessandro VI e dell'elezione di Giulio della Rovere chiese licenza e andossene in Roma. A supplirlo, l'ufficio di S. Giorgio chiamò allora Andrea Doria che riuscì in breve tempo a domare la rivoluzione , arrestando ed inviando in Genova Ranuccio della Rocca che n' era il capo.
Nel 1512 lo vediamo da guerriero terrestre trasformarsi in comandante delle galere della repubblica di Genova, e in tale qualità cooperare colla nave di Emanuele Cavallo ad allontanare i soccorsi al presidio francese assediato nella Briglia; anzi taluno ne attribuisce a lui tutto il merito.
Entrati i francesi in Genova coll'Adorno, il Doria riparò a Spezia con Giovanni Fregoso; ma l'anno seguente coi Fregosi ripigliò il suo ufficio in Genova, gettando si può dire allora le basi della sua fama d'ammiraglio, combattendo vittoriosamente i pirati barbareschi che infestavano le coste del Mediterraneo.
Nel 1522, caduta nuovamente Genova in mano degli Adorno, spalleggiati da Carlo V, Andrea Doria rifuggiossi a Monaco con quattro galere, entrò a servizio di Francesco I re di Francia e, a quanto pare, fu complice e istigatore dell' assassinio di Luciano Grimaldi principe di Monaco ch'era disposto ad aiutare i Grimaldi di Genova fautori di Spagna.
Comandante della flotta francese, il Doria libera Marsiglia dall' assedio che vi avevano posto gli spagnuoli, predando le loro navi e facendo prigioniero il principe d'Orange. Con un ardito colpo di mano s'impadronisce, a nome del re di Francia, di Savona e subito dopo di Varazze. Ugo di Moncada, celebre capitano spagnuolo, accorre per ripigliare Varazze, ma il Doria ne mette in fuga le navi e fa prigioniero lo stesso Moncada con molti ufficiali.
Fatto a sua volta prigioniero Francesco I sotto Pavia il 24 febbraio 1525, il Doria disegnò liberarlo quando Io conducevano per mare in Ispagna; ma, dietro preghiera dello stesso re, si ritirò. Chiesto quindi un congedo, entrò a servizi del papa Clemente VII dei Medici, ed in qualità d' ammiraglio pontificio pigliò parte alla guerra della Lega Santa contro Carlo V. Ritornato poscia a servizio di Francesco I, liberato dalla prigione, cooperò a cacciare gli spagnuoli da Genova sostituendovi la signoria francese.
In ricompensa dei servigi prestati, il Doria ebbe P ordine di S. Michele e la nomina di ammiraglio; ma non durò molto nella carica.
III.
Andrea Doria caccia i francesi da Genova.
Scadendo nel giugno del 1528 la convenzione che Andrea Doria aveva col re di Francia, a confermarla egli domandava che fossero rispettati i patti conclusi nel 1515 colla repubblica di Genova e mantenuti esattamente quelli pattuiti fra loro, cioè il regolare pagamento degli stipendi, la proprietà dei prigionieri fatti in guerra e altri che ometto per brevità; altrimenti chiedeva licenza.
Il Doria era malcontento di Francesco I che non lo trattava alla stregua dei suoi meriti; e più era verso di lui creditore di forti somme, delle quali mai poteva ottenere il pagamento; quindi scrisse in quei termini piuttosto risentiti, che parvero un atto di ribellione al re e ai suoi cortigiani che non avevano simpatia per l'ardito ammiraglio. Onde fu decretata
la rimozione del Doria dalla carica tenuta e la sostituzione di lui con Antonio de la Rochefocauld di Barbezieux, imponendo a quest' ultimo di recarsi coll' armata in Genova e, mediante una lettera menzognera del re, d'impossessarsi della persona del Doria, e delle sue galere.
Avvertito Andrea della trama, riparò nel castello di Lerici, e quando il Barbezieux lo mandò a chiamare a nome di Francesco I, all'ufficiale che gli presentava la lettera rispondeva: Dite al signor di Barbezieux che udrò con piacere quanto egli ha da dirmi per comandamento del Re; ch'egli venga e, se gli basta l'animo, eseguisca il rimanente delle sue commissioni.
Carlo V che molto desiderava i servigi del Doria colse l' occasione propizia e gli fece fare proposte dal marchese del Vasto e da Ascanio Colonna perchè si assoldasse con lui, impegnandosi a guarentire l'indipendenza di Genova tosto ne fossero scacciati i francesi; quali proposte egli accettava, e coll'imperatore pattuivate firmava le condizioni della sua condotta tra il 19 luglio e l'n agosto del 1528. Messe subito in pronto le sue dodici galere, Andrea salpava per Napoli ne scioglieva l' assedio tenutovi dai francesi e tornava nel Genovesato gettando l'ancora nel golfo di Spezia.
In Genova era grande il malcontento della signoria francese e per la non osservanza dei patti, e per la disgiunzione di Savona da Genova, mantenuta malgrado le fervide rimostranze degli anziani e dell' ufficio di San Giorgio e gli avvisi dello stesso regio governatore Teodoro Trivulzio. Aggiungi la peste e la carestia che desolavano la città, tanto che Agostino Pallavicino il 2 aprile del 1528 affermava: « che la miseria era giunta a segno che se non vi si fosse posto un pronto riparo, era necessità andare ad abitare altrove, piuttosto che rimanere in questa città, che altro non era se non nido di pietre ».
Il Doria era deciso a cacciare dalla sua patria la signoria francese; e i suoi concittadini erano ben disposti a secondarlo. Così il 9 settembre partì da Spezia con 13 galere e agli 11 entrò nel porto di Genova. Il governatore Trivulzio sospettando di quello ch'era, invitò il Senato a mandare legati al Doria per iscoprirne le intenzioni, e intanto a preparare le difese; ma i quattro deputati del senato tosto furono a bordo della nave capitana, si restrinsero a colloquio segreto col Doria e lo informarono che in Genova tutto era pronto a riceverlo quale liberatore, che pochi erano i soldati del governatore, mentre la cittadinanza altro non bramava che di cacciare l' aborrita signoria.
Due giorni appresso, nottetempo s'avvicinava sotto le mura della Malapaga, inalberava lo stendardo imperiale e, divise le sue genti in due schiere, l'una faceva scendere presso la villa di Paolo Sauli in Carignano, l'altra per la porta del Molo s'introduceva in città, correndone le vie gridando: S. Giorgio e Libertà.
In un baleno Genova è nelle mani dei soldati del Doria, e i pochi soldati francesi col loro governatore si rinchiudono nel Castelletto. Allora l' ammiraglio scese dalla sua nave, ed entrato in città, sulla piazza di S. Matteo, invitò il popolo a dichiarare se voleva liberarsi dalla servitù francese; al che tutti risposero favorevolmente, onde il domani il Senato decretava decaduta la signoria del re di Francia, Andrea Doria Padre della Patria, e che l'ufficio dei riformatori continuasse in carica per sei mesi a governare lo stato.
Partecipala la notizia ai principi e al pontefice, fu pure significata al conte di Saint-Pol governatore dei francesi in Lombardia, che con numerose truppe divisava volgersi a ripigliare possesso di Genova. Ma qui si allestivano sollecitamente gli armamenti della difesa, e lo stesso Doria, Sinibaldo Fieschi, Lorenzo Cibo, Battista Lomellino ed altri ricchi signori versarono cospicue somme nella cassa della repubblica per provvedere al bisogno; intanto si cingeva di rigoroso assedio il Castelletto.
L'avvicinarsi dell'esercito francese, indusse i genovesi a togliere l'assedio al Castelletto per tenersi pronti alla difesa della città; ma il Saint-Pol dopo alquante minaccie e intimazioni, essendo con poche truppe e non tutte fedeli, ritirossi in Alessandria. Perciò ripreso l'assedio al Castelletto, il Trivulzio reputò conveniente trattare la resa. La repubblica gli fu larga ne' patti, e tosto ebbe in mano la fortezza, salvo alcuni bastioni, tutta a furore di popolo la fece distruggere. Anche la città di Savona assediata dall'esercito genovese, visto che di Francia non poteva più ricevere alcun aiuto, si arrese sulla fine di ottobre, ed ebbe distrutte le mura e le fortificazioni. Novi, tenuta da madama Origo Gambaro vedova di Pietro Fregoso, cadde in potere di Genova per tradimento; Gavi fu ceduta per denari dal conte Guasco, e colla forza la famiglia Trotti dovette lasciare sgombra Ovada.
Così sulla fine del 1528 la Liguria era libera della signoria francese e tutta unita per opera di Andrea Doria.
Monday, August 15, 2011
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