Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Thursday, May 24, 2012

Edipodia operistica

Speranza Quello di Edipo è un mito cardine della cultura occidentale, che ha lasciato nell’arco dei secoli un’eredità letteraria e teatrale immensa, creando una complessa rete di modelli e derivazioni. La fonte originaria, oggi perduta è "L'Edipodia" di Cinetone, poema epico dell’VIII secolo a.C., che descrive la leggenda del re di Tebe in tutti i suoi dettagli, ma Edipo compare: nel XXIII canto dell’Iliade, nell’XI canto dell’Odissea, nelle Fenicie di Euripide e nelle due celebri tragedie di Sofocle "Edipo re" ed "Edipo a Colono" (oltre che in "Antigone") che sono la fonte nota per tutte le versioni successive. Alle tragedie di Sofocle si ispirano ad esempio l’"Edipo" di Seneca e "La Tebaide" di Stazio, che a sua volta è servita da modello a un poema epico del XII secolo, "Le roman de Thèbes", in 12 libri, che riprende e sviluppa i temi dell’antico ciclo epico tebano, narrando la lotta mortale fra i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, per il controllo politico di Tebe. Le rivisitazioni letterarie del mito di Edipo, alimentate tra Otto e Novecento dalla riflessione filosofica, dalla psicanalisi, dalla duttilità stessa di una vicenda capace di apparire sempre moderna, si legano anche ad una vasta produzione nel campo del teatro musicale, nelle sue diverse forme, a partire dall’opera. IL PRIMO EDIPO OPERISTICO: Il primo compositore a dedicare un’opera ad "Edipo" fu ****** Johann Hugo von WILDERER ******* (1670-1724), allievo di Giovanni Legrenzi (compositore di "Eteocle e Polinice" -- Festeggia mio core, 1675-1680, Venezia), figura importantissima nell’ambiente musicale di Heidelberg, e nella creazione della famosa orchestra di Mannheim. La prima delle sue undici opere è appunto "Edipo e Giocasta" (1696, libretto: Pallavicini-Moniglia) tre atti su libretto di ---> Giovanni Andrea Moniglia --- rielaborato da Stefano Benedetto Pallavicini, opera che rimanda agli stilemi del melodramma veneziano del tardo Seicento, priva di grandi contrasti drammatici, fatta di recitativi e arie raccordati tra loro molto liberamente. Fu accolta con grande favore al suo debutto, nel ***1696***** per l’inaugurazione dell’Hoftheater di Düsseldorf, e valse al compositore, appena ventiseienne, il titolo di vice Kapellmeister (Wilderer fu poi nominato Kapellmeister nel 1703). IL SECONDO EDIPO: 1729: Torri. Libretto: Lalli. Fu invece all’Hoftheater di Monaco che, il 22 ottobre 1729, andò in scena l’"Edipo" di Pietro ---> Torri (1650-1737), allievo di Agostino Steffani, celebre organista, anch’egli attivo in Germania alla corte di Baviera, dove mise in scena molte delle sue trenta opere. La tragedia per musica "Edippo" scritta su libretto di Domenico Lalli, sintetizza i caratteri musicali del suo stile maturo, nella semplicità dell’accompagnamento strumentale, nella ricercatezza vocale, ereditata da Steffani, nel gusto per la declamazione di impronta francese. IL TERZO EDIPO: Guillard, 1785 Dall’"Edipo a Colono" di Sofocle Nicolas-François Guillard (1752-1814) trasse nel 1785 un libretto in tre atti, utilizzato prima da André Grétry, per una tragédie-lyrique rimasta però incompiuta (al primo atto) e mai rappresentata, poi da Antonio Sacchini (1730-1786), che con "Edipo a Colono" concluse la sua carriera di operista in Francia, con un grande successo. Ma si trattò di un successo postumo perché dopo una prima rappresentazione a corte, a Versailles il 4 gennaio 1786 (di fronte al re e alla regina di Francia di cui Sacchini era un protetto), l’opera fu ostacolata da gelosie ed invidie, ed ebbe il suo primo allestimento pubblico all’Opéra di Parigi solo il 1 febbraio 1787, quando il compositore era ormai morto da quattro mesi. Ma si trattò di un’edizione sontuosa, diretta da Jean-Baptiste Rey, con i più grandi interpreti dell’epoca - il baritono Auguste Chéron --- EDIPO il soprano Anne Chéron (Chimène), il tenore Étienne Lainez --- POLINICE il baritono Louis Chardin (Thésée) - e "Edipo a Colono" rimase in cartellone all’Opéra per decenni (si contano ben 583 recite dal 1787 al 1844). Il libretto di Guillard si ispira con molta libertà alla tragedia di Sofocle, senza rispettare i canoni della tragédie-lyrique. Innanzitutto perché l’intreccio amoroso è soppiantato da altri temi, come la pietà filiale, il rimorso e il perdono, la sacralità del potere, ma anche perché la dimensione più cupa della tragedia si manifesta solo nei fantasmi del passato, e ciò che muove i personaggi è l’aspirazione alla pace, alla riconciliazione con gli dei. Nel dramma tutto è in pratica già avvenuto e l’azione, povera di accadimenti, è tutta incentrata sulla figura di ---> Polinice, figlio di Edipo ed erede al trono di Tebe che chiede a Teseo, re di Colono e di Atene, un aiuto militare contro il fratello usurpatore. Insieme si recano al tempio per invocare la protezione degli dei che si mostrano però risentiti verso Polinice, reo di avere esiliato il padre dalla città. Edipo, giunto a Colono con la figlia Antigone, viene difeso da Teseo di fronte al popolo che cerca nuovamente di cacciarlo. E il vecchio re alla fine perdona Polinice, convinto del suo pentimento e acconsente alle sue nozze con Erifile, figlia di Teseo. Opera dalla «fluidità mozartiana» (St.Foix), "Edipo a Colono" fu ammirata per la morbida cantabilità, per il grande equilibrio della scrittura armonica, per alcune pagine di grande intensità emotiva (come il duetto tra Edipo e Antigone), per le sontuose scene corali che rappresentano anche una importante tappa verso il grand-opéra di Spontini. Prima della fine del secolo appare sulle scene francesi un’altra opera ispirata a Sofocle, ma incentrata, a differenza di quella di Sacchini, sul dramma dell’incesto. Mereaux: "Edipo e Giocasta" -- 1791 Si tratta di "Edipo e Giocasta" di Nicolas-Jean Le Froid de Méreaux (1745-1797) basata su un libretto del conte Duprat de la Touloubre, e messa in scena a Parigi nel 1791. (cfr. Sacchini) --- L'EDIPO DI ZINGARELLI-Sografi, Venezia, 1802. In Italia la fortuna operistica di Edipo passa attraverso la musica di Nicola Antonio Zingarelli (1752-1837), con la tragedia per musica in due atti "Edipo a Colono", scritta su libretto di Antonio Simeone Sografi (1759-1818), rappresentata alla Fenice di Venezia il 26 dicembre 1802. Il compositore napoletano che fu compagno di studi di Cimarosa al Conservatorio di Santa Maria di Loreto, poi maestro di Bellini e Mercadante, erede di Paisiello come maestro di cappella della Cattedrale di Napoli, offre in questa partitura un saggio del suo grande mestiere unito ad un gusto un po’ calligrafico, del suo rispetto per la sintassi operistica ereditata dalla tradizione dell’opera napoletana (tanto da essere spesso considerato un epigono). Ma l’Ottocento offre poi poche versioni operistiche della tragedia di Edipo (mentre, come vedremo più avanti si assisterà ad una grande fioritura nel genere delle musiche di scena), spesso dominate dal tema del fato crudele e implacabile, elemento caro alle letture romantiche. Sulla traduzione tedesca dello stesso libretto usato da Sacchini, nel 1836 andò in scena un imponente "Edipo a Colono" in tre atti composto dall’austriaco Anselm Hüttenbrenner (1794-1868), che fu allievo a Vienna di Salieri e intimo amico di Schubert e di Beethoven. Del 1893 è "Edipo re", opera in tre atti del padovano Vittorio Maria Vanzo (1862-1945), compositore, pianista e direttore d’orchestra di fede wagneriana (nel 1883 ha diretto il Lohengrin a Parma, nel 1891 la prima italiana della Valchiria, nel 1897 la prima scaligera del Crepuscolo degli Dei), l’unica completata delle sue tre opere, ma mai messa in scena. Stessa sorte per un’opera di Karel Kovafiovic (1862-1920) compositore, arpista e direttore d’orchestra nato a Praga, che compose nel 1894 un "Edipo re" su libretto di Antonín Nev˘símal, l’unica sua opera non rappresentata. Incompiuto è invece rimasto l’"Edipo re" di Ruggero Leoncavallo, composto su un libretto di Gioacchino Forzano che segue fedelmente la vicenda sofoclea. Leoncavallo cominciò a scriverla nel 1919 per il baritono Titta Ruffo, ma morì prima di averla portata a termine (mentre già progettava Tormenta, un’opera ispirata alla cronaca nera sarda), e la partitura fu poi completata da Giovanni Pennacchio. L’atto unico, messo in scena alla Chicago Opera il 13 dicembre 1920, è un tipico esempio di opera scritta su misura per un interprete, per sfruttare le straordinarie doti di cantante e attore di Ruffo (ad esempio nell’impegnativo e toccante monologo conclusivo) che fu molto elogiato dalla critica americana (si scrisse che la sua immedesimazione nel personaggio di Edipo era tale che non si distingueva l’attore dall’uomo). L’opera fu riproposta subito a New York, mentre dovette aspettare il 1958 per avere la sua prima europea, in un allestimento dell’Accademia Chigiana diretto da Bruno Rigacci, con la regia di Forzano. Alla fine degli anni Venti, in Francia, videro la luce due importanti drammi ispirati al mito di Edipo, quello di Jean Cocteau e quello di André Gide. L’"Edipo" di Gide, del 1930, è una tragedia scopertamente autobiografica, sulla rinuncia, la fine delle certezze, il fallimento della libertà; una versione cristiana della tragedia antica, dove Edipo non teme gli dei e rivendica l’affermazione di sé, Tiresia lo scongiura di pentirsi affinché Dio possa perdonarlo, Giocasta insiste perché la faccenda si taccia. E alla fine Edipo si acceca, ma per orgoglio, in segno di sfida. La Machine Infernale di Cocteau è invece un grande gioco letterario nel quale solo il quarto atto corrisponde alla tragedia di Sofocle: vi è descritta infatti tutta la vicenda di Edipo, dal fantasma di Laio che tenta invano di avvertire Giocasta (atto I), all’ingresso trionfale di Edipo a Tebe (atto II), al matrimonio di Edipo e Giocasta (atto III) fino all’atto IV nel quale viene accentuata l’ironia tragica della vicenda, palesando il ‘meccanismo infernale’ del destino che si accanisce su una famiglia, e mettendo in gioco una serie di anacronismi che imprimono un segno di grande modernità alla pièce. Oltre alla Machine Infernale, scritta nel 1927 e andata in scena nel 1934 alla Comédie des Champs-Élysées, Cocteau trasse dalla tragedia di Sofocle anche il libretto (tradotto in latino dal dotto prelato Jean Daniélou) per l’"Edipo re" di Stravinskij. Quest’opera-oratorio in due atti fu diretta per la prima volta dallo stesso autore, in forma di concerto, al Théâtre Sarah Bernhardt di Parigi, il 30 maggio 1927, e successivamente presentata in forma scenica, il 23 febbraio 1928, alla Staatsoper di Vienna, con Otto Klemperer sul podio. Opera caratterizzata da un tono epico e antirappresentativo, piena di arcaismi (a partire dalla lingua latina, una lingua rituale, «materia non morta, ma pietrificata, diventata monumentale e immunizzata contro ogni trivializzazione »), nata dalla volontà di separare il mito dal pubblico moderno: attraverso la presenza di un narratore che appare sulla scena, secondo le intenzioni di Cocteau, spiegando l’azione all’inizio di ogni scena, in francese e con un tono compassato; uno stile musicale asciutto e solenne; una struttura drammaturgica fatta di pezzi chiusi, ma montati secondo chiare simmetrie; una scenografia priva di profondità, con i personaggi vestiti in modo tale da muovere liberamente solo testa e braccia; una sorta di ricercata ‘disumanizzazione’ dei personaggi, che non dialogano realmente tra loro, ma cantano le loro parti con distacco. Sul testo di Cocteau nel 1940 ha composto un’opera anche Maurice Thiriet (1906-1972) compositore francese allievo di Koechlin e di Roland-Manuel, noto come autore di musiche per il cinema (Les visiteurs du soir, Les enfants du paradis, Fanfan la Tulipe); l’opera, intitolata OEdipe Roi, è andata in scena a Lione nel 1962, ma nel frattempo Thiriet aveva scritto altri lavori sui testi di Cocteau ispirati a Edipo: le musiche di scena per il dramma di Cocteau, nel 1941, e un oratorio, eseguito l’11 gennaio 1942 da Charles Münch a Parigi con lo stesso Jean Cocteau come voce recitante. Le due tragedie di Sofocle sono state riunite da Edmond Fleg nel libretto che è servito a George Enescu per il suo "Edipo": tragedia-lirica in quattro atti e sei quadri" frutto di una lunga gestazione durata dal 1910 (i primi schizzi) al 1931 (stesura dell’orchestrazione), rappresentata per la prima volta il 13 marzo 1936 all’Opéra di Parigi, sotto la direzione di Philippe Gaubert. Il progetto iniziale di Fleg (1874-1963), illustre rappresentante della tradizione ebraica di lingua francese, era quello di creare un dittico formato da "Edipo re" e "Edipo a Colono". Ma poi l’intera vicenda è stata compattata in un’unica opera in quattro atti che descrive la parabola di Edipo dalla sua nascita nel palazzo di Laio, oscurata dalla profezia di Tiresia (atto I), fino al suo arrivo da vegliardo ad Atene (atto IV). Ma ci sono anche alcuni rilevanti cambiamenti rispetto alla vicenda narrata da Sofocle (ad esempio l’uccisione di Laio per legittima difesa, la vista riacquistata da Edipo nel momento della morte), che tratteggiano l’immagine di un Edipo molto umano, che si oppone alla sorte crudele e che ribadisce fino alla fine la sua innocenza. Nella musica di Enescu si mescolano echi di Fauré, spunti neoclassici, elementi folklorici (nelle melodie del pastore, nel ricorso ai quarti di tono, nelle eterofonie di tradizione bizantina), una scrittura vocale che passa dal canto allo Sprechgesang, in una solida struttura portante tenuta insieme da alcuni Leitmotiven. Nello stesso anno della prima dell’OEdipe di Enescu a Rouen e a Strasburgo andava in scena l’"Edipo re" di Paul Adrien Bastide (1879-1962), prolifico operista che utilizzò per quest’opera un libretto di Marie-Joseph de Chénier (sempre da Sofocle), e le impresse un colore vocale scuro per la presenza di cinque voci di basso in altrettanti ruoli principali (a parte quello di Giocasta, affidato a un mezzosoprano, quello di Edipo affidato a un tenore, mentre Antigone ha un ruolo parlato e Ismene è un personaggio muto). Una delle chiavi di lettura più ricorrenti nelle rivisitazioni moderne dei miti antichi è stata quella psicanalitica, soprattutto per la tragedia di Edipo. Ma è una chiave che Carl Orff rigettò nettamente nella composizione dell’opera "Edipo re". Si rivolse anzi ad un insigne grecista, Wolfgang Schadewalt, che aveva stigmatizzato le false interpretazioni dell’Edipo re, sottolineando come non si trattasse di un dramma del destino, perché non era esclusa la libertà di agire. Oedypus divenne quindi per Orff, che mirava a penetrare lo spirito classico della tragedia di Sofocle, un personaggio inconsapevole della colpa originaria, un eroe intellettuale che ricerca la verità e la ricostruisce con logica implacabile, macchiandosi così di una colpa peggiore, quella dell’orgoglio (hybris). A questo Trauerspiel Orff lavorò per sette anni, basandosi su un autentico capolavoro letterario, la traduzione in versi dell’Edipo re di Sofocle fatta da Friedrich Hölderlin nel 1804. L’opera andò in scena l’11 dicembre 1959 al Württembergisches Staatstheater di Stoccarda. con la direzione di Ferdinand Leitner, la regia di Günther Rennert e un cast d’eccezione: Astrid Varnay (Giocasta), Fritz Wunderlich (Tiresia), Gerhard Stolze (Edipo), Will Domgraf-Fassbaender (sacerdote). Orff (che si era basato sulla traduzione di Hölderlin anche per l’opera Antigonae del 1949). La musica scarna, essenziale, priva di residui operistici tradizionali, corrispondeva perfettamente all’assunto drammaturgico: imperniata intorno a un centro tonale fisso (di do maggiore), ma con frequenti stratificazioni politonali, dominata dalla forza plastica del ritmo, dalla melodia della lingua, dal declamato di Edipo che trascolora nell’arioso, nel melologo parlato, nello Sprechgesang, nella Sprecharie. Anche il coro appare quasi afasico, scarnificato, ridotto o a un lento salmodiare a cappella (che rimanda ai misteri medievali del Mysterienspiel al quale il compositore lavorava nello stesso periodo), o a nudi intervalli cantati dai singoli coristi. La centralità della parola è messa in risalto anche dall’accompagnamento strumentale (affidato a un organico che comprende sei tromboni, celesta, organo e numerosi strumenti a percussione, anche esotici) che si riduce a terrei pedali armonici, a zone nebulose (che accompagnano soprattutto le parole di Tiresia), o a sezioni dai ritmi secchi e scanditi. Del tutto diverso l’idioma musicale di un altro Oedipus in lingua tedesca, scritto dall’austriaco Helmut Eder (1916) che fu allievo proprio di Orff, oltre che di Hindemith e di Johann Nepomuk David, e autore di sei opere per il teatro. Questo Oedipus, che mescola insieme modi antichi e tecniche seriali, fu composto tra il 1958 e il 1959, su un libretto di Heinrich Weinstock tratto da Sofocle, e andò in scena a Linz nel 1960. La versione metrica di Hölderlin dell’Edipo fu nuovamente utilizzata per un’opera da Wolfgang Rihm (1952), nel suo Oedipus messo in scena il 4 ottobre 1987 alla Deutsche Oper di Berlino, con la regia di Götz Friedrich. Il compositore di Karlsruhe, autore di importanti opere nel repertorio contemporaneo, a partire dal celeberrimo Jakob Lenz, ha creato il libretto intrecciando i versi di Hölderlin con altri due testi (l’Oedipus: Reden des letzten Philosophen mit sich selbst di Friedrich Nietzsche, e l’Ödipuskommentar di Heiner Müller), trasformando quello di Edipo in un mito del nostro tempo, interpretando la vicenda non in forma lineare e narrativa, ma come un processo di coscienza, come una forma di rappresentazione a più strati. Fedele all’idea di una musica «impenetrabile, chiara, confusa e appassionata, precisa e stupefatta come è anche l’esistenza umana», sempre alla ricerca di un impulso vitale nella musica, basato non sulla sua struttura, ma sul suo potenziale espressivo, sulla sua molteplicità di significati, e anche sulla sua illogicità - Rihm, che era stato allievo di Wolfgang Fortner, Humphrey Searle, Karlheinz Stockhausen, Klaus Huber, negli anni Settanta fu l’esponente di punta della Neue Einfachkeit (nuova semplicità), movimento che nasceva come reazione al dogmatismo e al razionalismo della Neue Musik - Rihm anche in quest’opera gioca su una vasta gamma di espressioni, sfruttando l’impatto sonoro di un organico formato da fiati (quattro trombe e quattro tromboni), percussioni (alcune suonate anche da Edipo e Giocasta sulla scena) e da diversi gruppi corali, di uomini, di donne, di bambini, e anche da un coro parlato. Gli sfoghi degli ottoni e il respiro affannoso dei legni diventano così un’immagine sonora vividissima dei tormenti di Edipo e sono un chiaro esempio della natura eloquente e drammatica di questo Musiktheater nel quale Rihm cerca anche una texture assai densa, sovrapponendo l’azione cantata con le parti corali registrate e le parti parlate, fino alla conclusiva incursione di due violini che aprono uno squarcio sonoro del tutto inatteso. Nel Novecento operistico il mito di Edipo è approdato anche in Spagna, sulle coste della Catalogna, con Edipo y Yocasta di Josep Soler (1935), opera dodecafonica basata sull’Oedipus di Lucio Anneo Seneca (da Seneca è tratta anche la prima opera di Soler, Agamemnon del 1961) e messa in scena al Teatro Liceu di Barcellona in 30 ottobre 1974 (con la parte di Giocasta affidata a Martha Mödl). Il compositore spagnolo, allievo a Parigi di Leibowitz, e molto influenzato dalla musica di Schönberg e di Berg, utilizza in quest’opera un’unica serie dodecafonica, ma senza ricorrere a complessi artifici contrappuntistici e lasciando spesso emergere elementi tonali. L’elettronica fa invece la sua comparsa nell’opera in un prologo e due atti (su testo poetico di Hèlene Cixous) Le nom d’OEdipe composta nel 1977 da André Boucourechliev eseguita prima in forma oratoriale il 27 maggio 1978 alla Maison de Radio-France (che aveva commissionato il lavoro), poi messa in scena il 26 luglio dello stesso anno nel cortile d’onore del Palazzo dei Papi di Avignone. L’opera, che presenta il dramma di Edipo attraverso gli occhi di Giocasta, e che richiede un organico particolare, con coro misto a dodici voci, ensemble strumentale e dispositivo elettroacustico, appare tutta giocata sullo sdoppiamento tra canto e recitazione dei vari personaggi, su due livelli che interagiscono continuamente tra loro grazie anche all’elettronica (Giocasta I: soprano drammatico; Giocasta II: voce recitante; Edipo I: baritono; Edipo II: voce recitante; Tiresia I: voce recitante; Tiresia II: ruolo quasi muto). Dieci anni dopo, il 17 giugno 1988, veniva applaudita con una standing ovation alla Carl-Orff Saal di Monaco l’opera Greek di Mark-Anthony Turnage, una provocatoria trasposizione della storia di Edipo ambientata in un crudo East End londinese, capace di toccare temi di scottante attualità come il razzismo e la piaga della disoccupazione nell’Inghilterra thatcheriana. L’opera, basata su un libretto dello stesso Turnage e di Jonathan Moore, tratto dall’omonimo dramma di Steven Berkoff (a sua volta basato sul romanzo Oedipus-in-the-east-end), ha per protagonista uno skinhead di nome Eddy Rex che, stanco della sua vita tra pub e famiglia, approfitta della predizione di una chiromante (avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre) per andarsene mentre in paese dilaga la peste. Qui comincia la sua parabola: entra in un bar dove si azzuffa con il proprietario e lo uccide a calci, poi si innamora della moglie di lui (che rivede in Eddy le sembianze del figlio perso in una località balneare) e la sposa. Dieci anni dopo lo ritroviamogestire il bar e fare ottimi affari. La pace è interrotta dall’arrivo dei suoi genitori, mentre la peste imperversa e si crede che la causa siano due sfingi fuori delle mura della città. Eddy le affronta, risponde ai loro enigmi e le uccide. Quando viene a sapere che i suoi genitori lo hanno trovato nell’acqua vicino al molo di Southend, si dispera, vorrebbe cavarsi gli occhi ma, mentre risuona una marcia funebre, cambia idea e accetta la sua vita incestuosa e tuttavia felice e piena di amore. Intorno a questa vicenda dal linguaggio spesso brutale (prima di essere incisa dalla Decca, Greek era uscita in un cd della Argo con l’avvertenza sulla copertina «This opera contains bad language») Turnage crea una musica aggressiva e piena di colori, urbana, drammatica, teatralmente efficacissima, che mostra l’impronta jazz e rock tipica del compositore inglese (che è stato allievo di Knussen e Lambert al Royal College), mescolata con echi di Kurt Weill, di Britten (delle Church Parables), di Stravinskij (modificato però con un lirismo berghiano). L’ultimo Edipo in versione operistica lo troviamo il 7 marzo 2003 al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles: si tratta di OEdipe sur la route di Pierre Bartholomée, opera in quattro atti, commissionata dallo stesso teatro e derivata dall’omonimo romanzo di Henry Bachau, scrittore, poeta, psicoterapeuta belga nato nel 1913. Bachau ha ripreso il mito ma lasciando ampio spazio al piacere della narrazione, intrecciandolo con altri miti della tradizione occidentale, aggiungendovi altri personaggi nati dalla sua immaginazione. Edipo, giocattolo degli dei, dopo che la tragedia si è compiuta, lascia Tebe. Cieco, bendato, sopraffatto dal peso della sua colpa, parte con la figlia (sorella) Antigone in un viaggio che lo condurrà a Colono. Percorso interiore, catartico, che porta alla chiaroveggenza, ma anche un’avventura che si snoda tra grotte, laghi sotterranei, incontri misteriosi (con il bandito Clios, con Diotima, incarnazione della saggezza e della compassione, con la Sibilla), duelli e agguati, e che si intreccia in continuazione con il canto, la danza, i sogni. La lettura del romanzo aveva profondamente colpito il compositore, attratto non solo dalle sue potenzialità drammatiche, ma anche dalla musicalità della lingua, dalla fitta rete di simboli e di temi («Questo romanzo è talmente ricco che offre materia a dieci opere: ci sono così tanti punti di vista, di storie nelle storie, un racconto dal quale nascono altri racconti […] tutti questi elementi tematici si intrecciano e poco a poco devono convergere verso la luce, l’armonia»). Sul libretto, scritto dallo stesso Bachau come una parafrasi poetico-drammatica del romanzo, Bartholomée (nato a Bruxelles nel 1937, celebre pianista, fondatore dell’Ensemble Musiques Nouvelles, professore di analisi musicale al Conservatorio di Bruxelles e poi all’Università di Louvain, direttore stabile dell’Orchestre Philharmonique de Liège) ha creato una partitura intessuta non di leitmotive, ma di timbri conduttori (come la tuba associata di Edipo), sfruttando anche una vasta sezione di percussioni, e inserendo numerosi interludi orchestrali tra le scene. Ha affidato al coro pochi interventi, senza farlo mai apparire sulla scena, mentre per i personaggi principali ha scelto dei ruoli vocali molto classici (quella di Edipo è una parte di basso-baritono, scritta su misura per José van Dam, Antigone è un soprano lirico, spesso spinto verso il registro acuto, Clios un tenore, Diotime un mezzosoprano). ***************************** THE VERY FIRST "EDIPO" (operistico) -- 1585. La storia di Edipo in teatro è spesso legata alla storia delle musiche di scena che ci riporta indietro nel tempo fino al 3 marzo 1585 -- all’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza. In quell’occasione fu rappresentato l’Edipo re di Sofocle nella traduzione ("Edipo tiranno") del nobile veneziano Orsatto Giustiniani, noto come letterato e umanista. Per questo spettacolo scrisse le musiche Andrea Gabrieli, maestro dello stile concertato e policorale, che collaborò con Palladio, Giustiniani e con Angelo Ingegneri nel tentativo di ricreare la struttura musicale della metrica greca. Secondo le testimonianze dell’epoca le musiche che accompagnavano la tragedia di Sofocle erano diverse, e di diversi autori - tra i quali probabilmente Marc’Antonio Pordenone (1535-1590) compositore padovano che in quegli anni era al servizio degli Accademici Olimpici di Vicenza -. Ma ci rimangono solo i quattro cori di Gabrieli Chori in musica composti da M. Andrea Gabrieli, sopra li chori della tragedia di Edippo tiranno (pubblicati a Venezia da Gardano nel 1588): ---> santo oracol di giove, qual è colui, o voglia’l ciel, misera humana prole. Si tratta di cori da due a sei voci, caratterizzati da una sostenuta declamazione del testo, e da un solenne stile accordale, quasi dei recitativi ante litteram, a più voci, anche per il frequente uso della nota puntata (che sottolinea le esclamazioni) delle pause teatrali (per dare gli stacchi fra un inciso e l’altro), per i valori metrici non più corrispondenti alla quantità prosodica ma improntati alla massima fluidità dell’eloquio. Dall’Edipo re di Sofocle è tratto anche l’OEdipe Pierre Corneille, rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1659. Nell’introduzione a questa tragedia in cinque atti, Corneille avverte il lettore di avere «preso un’altra strada» rispetto a quella degli autori greci, facendo perdere alla vicenda il suo ca rattere ieratico e complicandola con alcuni elementi aggiunti: Dirce, figlia di Laio, considera Edipo come un usurpatore del suo potere, e rifiuta di obbedirgli quando lui le chiede di sposare Emone, figlio di Creonte, perché è innamorata di Teseo. La peste intanto fa strage nella popolazione tebana ed Edipo consulta le potenze infernali: l’ombra di Laio risponde dicendo che il male sarà vinto, solo quando sarà versato il sangue della sua prole per espiare un delitto impunito: Dirce, che pensa di essere l’unica figlia di Laio, vorrebbe sacrificarsi, ma Teseo, per salvarla, dichiara di essere lui figlio di Laio. Alla fine l’omicida si rivela essere Edipo, che lascia il trono a Teseo. Come in Sofocle Giocasta si suicida, ma Corneille non riprende il tema dell’accecamento di Edipo, e il coronamento dell’amore tra Dirce e Teseo addolcisce la tragedia familiare. Corneille ha voluto dunque fare dell’Edipo un dramma politico, dove Edipo si batte per conservare il potere, e quando riconosce che ha commesso un parricidio, abdica ma non senza avere fatto riconoscere di essere stato re legittimo di Tebe. Per la rappresentazione di questa tragedia all’Hôtel de Bourgogne, il 24 gennaio 1659, Jean-Baptiste Lully ha composto un’ouverture e cinque intermezzi danzati (tra i quali il celebre Menuet des Thébains) che si collocano al culmine di un processo di sperimentazione che porterà il compositore, dal 1664 al 1671, a iniziare un sodalizio con Molière creando il genere della comédie-ballet (una commedia intercalata da divertissements collegati da un canovaccio che mira ad introdurli nella narrazione). La musica di questi Entr’actes d’OEdipe fu successivamente utilizzata da Lully per il Petit Ballet de Fontainebleau del 1664. Come Corneille anche Voltaire, sessant’anni dopo corresse il mito di Edipo nella sua tragedia OEdipe, una delle sue prime prove letterarie, scritta nel 1718 quando era ancora ventiquattrenne, ma che consacrò la sua fama. È una tragedia dal tono romanzesco, gran parte della quale è occupata dall’amore virtuoso tra Giocasta e Filottete, l’amante che ella aveva ripudiato per sposare Laio, e che all’inizio della tragedia viene accusato dai tebani di esserne l’assassino, mentre la rivelazione della verità affiora lentamente nel corso dei cinque atti. In Inghilterra una importante rilettura teatrale del mito di Edipo è stata quella di John Dryden (1631- 1700) che insieme a Nathaniel Lee (1653-1692) creò nel 1678 il fortunato dramma "Edipo", una versione della tragedia sofoclea spaventevole e dalle tinte assai accese. Dryden, poeta e drammaturgo inglese, autore di una trentina di lavori per il teatro, ideatore del genere della tragedia eroica, scrisse anche alcuni libretti per Henry Purcell, tra i quali The State of Innocence (1677) e King Arthur (1691). THE PURCELLIAN "EDIPO" -- the songs (or 'airs') -- 1678 E fu Purcell nel 1692 a scrivere le musiche di scena per Oedipus, musiche che si compongono di un preludio, due songs ---> Hear, ye sullen powers below Come away, do not stay ---- e due terzetti Music for a while Laius! Hear, hear). Sulla stessa tragedia di Dryden e Lee ha composto uno dei suoi masque John Ernest Galliard (1687-1749), compositore e oboista inglese di origine tedesca, allievo di Farinelli e Steffani a Hannover, fondatore dell’Academy of Ancient Music. Masque in un atto, rappresentato per la prima volta a Londra il 2 marzo 1736, che come gli altri lavori teatrali e pantomime di Galliard mostra l’influenza di Purcell e di Händel e usa l’inclinazione per i soggetti mitologici (tra i suoi lavori per il teatro sono da ricordare Calypso and Telemachus Oper, Pan and Syrinx, Circe, The Triumphs of Cupid, Jupiter and Europa, Apollo and Daphne, The Rape of Proserpine, Perseus and Andromeda, Julius Caesar). E sulla tragedia di Dryden e Lee è ancora ritornato Thomas Augustine Arne (1710- 1778) - figura di spicco nella musica teatrale in Inghilterra dopo la morte di Händel, grande didatta (ebbe tra i suo allievi Charles Burney), autore di cinquanta lavori teatrali di grande successo nella Londra del Settecento, e noto per aver iniziato ad applicare in Inghilterra modelli dell’opera italiana - con le musiche di scena per la rappresentazione messa in scena al Drury Lane di Londra il 19 novembre 1740. ----> "L'EDIPO DI ROSSINI" In Italia fu Rossini a cimentarsi con le musiche di scena per una rappresentazione dell’"Edipo a Colono" di Sofocle. Gliele aveva commissionate, intorno al 1814, Giambattista Giusti, un letterato di Lucca attivo a Bologna per una sua traduzione della tragedia sofoclea fatta nel 1807 e pubblicata a Parma nel 1817. La composizione di queste musiche di scena - si tratta di una Sinfonia iniziale (composta da un Andantino in do maggiore seguito da un Allegro nel relativo minore e una ripresa dall’Andantino sul quale si apre la scena) e di quattordici brani che comprendono recitativi, arie per basso (corifeo) e cori - fu causa di una serie di dispute tra il compositore e il letterato perché Rossini, che si era dedicato alla stesura di queste musiche tra il 1815 e il 1816, non completò l’orchestrazione rendendo impossibile l’esecuzione. La parte orchestrale fu poi completata da un altro musicista di cui si ignora l’identità (che scrisse le parti mancanti direttamente sull’autografo di Rossini - la partitura fu riportata alla luce nel 1933 e pubblicata per la prima volta nel 1985 dalla Fondazione Rossini di Pesaro), mentre nel 1844 Rossini adattò due cori dell’"Edipo Coloneo" per una nuova composizione intitolata La foi, L’ésperance, La charité: trois choeur religeux. Sulla traduzione in tedesco (fatta da Jacob Christian Donner) della stessa tragedia ha scritto le musiche di scena nel 1845 Felix Mendelssohn Bartholdy, per una rappresentazione avvenuta al Königlich Schauspielhaus di Potsdam il 1 novembre 1845. La partitura di questo Oedipus in Kolonos op. 93, per voci recitanti, basso, doppio coro maschile e orchestra, consta di nove pezzi corrispondenti ai vari ingressi del coro e del corifeo, spesso in dialogo con i personaggi sulla scena, nei quali Mendelssohn si emancipa dalle rigorose strutture ritmiche, modellate sugli antichi metri greci, che aveva adottato per i cori dell’Antigone op. 55 (sempre da Sofocle). Nel 1804 il drammaturgo russo Vladislav Aleksandrovi˘c Ozerov (1769-1816) aveva ottenuto un grande successo con la tragedia Edipo ad Atene, individuando uno stile che ibridava la forma classica (su modelli francesi) con elementi preromantici e patriottici (e che lo porterà a creare cinque anni dopo Polissena, considerata la più importante tragedia russa d’impronta classica), e ispirandosi a una rielaborazione francese dell’originale sofocleo fatta nel 1778 da Jean-François Ducis (1733-1816) con il titolo OEdipe chez Admète. Per il dramma di Ozerov compose le musiche di scena Modest Musorgskij, limitandosi però a tre cori, dei quali peraltro ci è pervenuto solo il primo (scena del tempio) composto tra il 1858 e il 1860 ed eseguito per la prima volta a San Pietroburgo il 18 aprile 1861; degli altri due, probabilmente del 1861, si ha notizia solo da una lettera del 26 settembre 1861 inviata da Musorgskij a Balakirev. I tre cori vennero successivamente utilizzati nell’opera Salammbô, composta tra il 1863 e il 1866, anch’essa rimasta incompiuta. Per l’Edipo re di Sofocle ha composto ancora le musiche di scena, nel 1874, Eduard Lassen (1830-1904), compositore belga di origine danese, vincitore del Prix de Rome nel 1851, ammirato e protetto da Liszt; e nel 1887 l’irlandese Charles Villiers Stanford (1852-1924), prolifico autore di musiche di scena, formatosi su modelli tedeschi e brahmsiani, sui quali innestò elementi di tradizione celtica, ma noto anche come direttore d’orchestra e grande didatta (al Royal College e a Cambridge ebbe tra i suoi allievi Ralph Vaughan Williams, Gustav Holst, Frank Bridge, Arthur Bliss e Percy Grainger). Johann Gottfried Heinrich Bellermann, (1832-1903), noto anche come musicologo e autore di importanti trattati sulla polifonia e sul contrappunto, ha composto musiche di scena e cori per König Oedipus op. 29 nel 1882, e sei anni dopo i cori per Öedipus auf Kolonos op. 36. Le teorie di Nietzsche sull’origine della tragedia hanno esercitato una grande influenza sul teatro che si ricollegava ai miti classici nel Novecento. Ne è un esempio Ödipus und die Sphynx (Edipo e la Sfinge), tragedia in versi, del 1906, di Hugo von Hofmannsthal che riprende la vicenda del sofocleo Edipo re, ma deformandola, ambientandola in una atmosfera viennese d’anteguerra, sensuale e viziata, facendo perdere al tema dell’incesto la sua dimensione oscura e tragica, glorificando, alla fine dell’opera le nozze tra Edipo e Giocasta. La fioritura teatrale novecentesca legata al recupero e alla reinterpretazione in chiave moderna delle tragedie antiche si è accompagnata con una ricca produzione musicale che riguardava ancora le musiche di scena ma cominciava ad esplorare anche altri generi. Al 1900 risale la prima esecuzione del prologo sinfonico Ödipus op. 11 di Max von Schillings (1868- 1933), una delle sue composizioni più note ed eseguite, d’impronta tardoromantica e wagneriana. Del 1962 le musiche di scena Günter Bialas (1907-1995) per una rappresentazione di Ödipus der Tyrann. L’Edipo a Colono ha invece ispirato due cantate scritte nel 1901 da due compositori begli, ma uno vallone di Liegi, Charles Radoux-Rogier (1877-1952) l’altro, Flor Alpaerts (1876-1954), fiammingo di Anversa: la cantata OEdipe à Colone per soli, coro e orchestra di Radoux-Rogier (che fu anche critico musicale e studioso del folklore della Vallonia, vincitore del Prix de Rome nel 1907 con la cantata Geneviève de Brabant) fu eseguita per la prima volta a Bruxelles; la cantata Kolonos di Flor Alpaerts (che nel 1906 compose anche le musiche di scena per Konig Oidipoes, per un organico cameristico formato da flauto, celesta e quintetto d’archi), per soprano, tenore, basso, coro misto e orchestra, si basa su un testo del poeta fiammingo Pol de Mont (1857-1931). Per OEdipe à Colone (nella traduzione francese di Georges Rivollet), ha scritto le musiche di scena anche Joseph Guy Ropartz (1864-1955) – compositore bretone allievo di Massenet (come Enescu) e di Franck al Conservatorio di Parigi -, partitura per cori e orchestra (dalla quale il compositore ricavò anche una suite per orchestra) portata a termine nel 1914 ed eseguita per la prima volta al Théâtre d’Orange a Parigi il 22 luglio 1924 sotto la direzione di Gabriel Pierné. E nel 1949 troviamo le musiche di scena per Oedipus at Colonus scritte da Robert Kemsley Orr, compositore scozzese (che fu pilota della RAF durante la Seconda Guerra Mondiale), formatosi al Royal College di Londra, ma perfezionatosi anche all’Accademia Chigiana di Siena sotto la guida di Alfredo Casella e poi a Parigi con Nadia Boulanger. Ildebrando Pizzetti, Frank Martin e Ernst Kfienek si sono ispirati ad entrambe le tragedie di Sofocle. Pizzetti, molto sensibile alla cultura antica, ha composto, con il titolo Edipo re, tre preludi sinfonici, eseguiti al Teatro Olimpia di Milano nel 1903, caratterizzati da musicalità scabra, trattenuta, priva di estroversioni timbriche e orchestrali («La musica di un’opera sinfonica, di un’opera puramente strumentale esprime anch’essa, sia pure senza parole, un conflitto drammatico o il superamento di esso, se è musica; se no, non è musica, è giuoco di suoni, è rumore»); nel 1901 aveva già composto un’ouverture sinfonica intitolata Edipo a Colono, e per una rappresentazione dell’Edipo a Colono messa in scena al Teatro greco di Siracusa il 24 aprile 1936, scriverà anche le musiche di scena. Le musiche di scena di Frank Martin composte nel 1922 sia per OEdipe roi (nella traduzione di Jules Lacroix), per cori maschili, cori femminili e ensemble strumentale, sia per OEdipe à Colone (nella traduzione di André Secretan), per soprano, baritono, piccolo coro e piccola orchestra, sono tra le sue prime composizioni, e le sue prime musiche in assoluto scritte per il teatro. Nate da una commissione della Comédie de Genève, mostrano ancora un impronta raveliana, insieme alla ricerca di carattere arcaizzante, ottenuto anche integrando nelle parti strumentali un clavicembalo, destinato a diventare un tratto caratteristico dello stile di Martin. Nel 1965 anche Kfienek ha composto le musiche di scena per le due tragedie di Sofocle, nella traduzione tedesca di Rudolf Bayr, König Ödipus op. 188a e Ödipus auf Kolonos op. 188b messe in scena entrambe al Festival di Salisburgo il 27 luglio 1965, con la regia di Gustav Rudolf Sellner, le scene e i costumi di Fritz Wotruba. Tra i generi di teatro musicale che hanno riportato nel Novecento la tragedia di Edipo sulle scene non va infine trascurato il balletto e le diverse forme moderne di rappresentazione coreografica. In Francia uno dei più prolifici compositori di balletti è stato Henri Sauguet (1901-1989), allievo di Koechlin, amico di Diaghilev, Satie, Milhaud, Poulenc, autore di 26 balletti di grande successo, come La Chatte del 1927 (composto per Diaghilev) o Les Forains del 1945 (dedicato alla memoria di Erik Satie). Tra questi La rencontre ou OEdipe et le Sphinx (intitolato poi semplicemente The Sphynx), scritto su un soggetto di Boris Kochno (come Les Forains), che andò in scena l’8 novembre 1948 al Théâtre des Champs-Élysées a Parigi, con la coreografia di David Lichine, e con le scene e i costumi di Christina- Jacques Bérard. Ispirato al mito di Edipo è anche un celebre balletto di Marta Graham, Night Journey (Viaggio nella notte) con la musica del compositore americano William Schuman (1910-1992), che con questo lavoro conobbe uno dei suoi primi successi, imponendo il suo stile caratterizzato da venature neoclassiche e jazz, da un fitto contrappuntismo, armonie politonali, e un grande dinamismo ritmico. Night Journey fu realizzato su commissione della Elizabeth Sprague Coollidge Foundation, e andò in scena a Cambridge, nel Massachuset, il 3 maggio 1947, con la Graham nella parte di Giocasta, Erik Hawkins in quella di Edipo e Marc Ryder in quella di Tiresia. Marta Graham (che in quegli anni aveva trovato una fervida fonte di ispirazione nella mitologia classica, con Cave of the Heart ispirato a Medea, o Errand into the Maze ispirato alla figura del Minotauro) rievoca la tragica storia di Edipo e Giocasta e la loro relazione incestuosa con una danza esplicitamente erotica, sullo sfondo di una scenografia, di Isamu Noguchi, carica di simboli: un grande letto modellato come una pelvi di una donna, elementi anatomici come il cordone ombelicale che diventa la corda con la quale Giocasta si impicca, il coro delle furie che attraversa la scena come uno stormo di uccelli del male. In America anche un compositore iconoclasta e fuori dagli schemi come Harry Partch (1901-1976) ha dedicato una sua importante composizione al mito di Edipo, la dance music King Oedipus del 1951. Il compositore californiano, che ha vagabondato per l’America facendo i mestieri più disparati, dal raccoglitore di frutta al boscaiolo, è celebre anche come inventore di nuovi strumenti (basati su una scala non temperata di 43 suoni), alla costruzione dei quali riuscì a dedicarsi grazie a una borsa di studio Guggenheim. Oedipus fu per Partch un ossessione che durò almeno venti anni, a partire dalla scoperta del testo di Sofocle nella traduzione di William Butler Yeats che poi utilizzò nella sua dance music messa in scena al Mills College di Oakland, in California, il 14 marzo 1952. Si tratta di uno spettacolo fortemente drammatico ed emozionale, nel quale Partch affida il testo a sette voci, un coro femminile, e quattro voci recitanti, e utilizza alcuni strumenti tradizionali (un clarinetto, due violoncelli, due contrabbassi) affiancandoli a quelli di sua invenzione: la kithara (rielaborazione dell’antico strumento greco con 72 corde di cui alcune raggiungono la lunghezza di 1 metro e 77 centimetri), il chromelodeon (organo ad ance con l’ottava divisa in 43 parti), l’harmonic canon (uno strumento a forma di tavolino con 44 corde accordate all’unisono, ma con ponti mobili regolabili), la diamond marimba (36 tavolette di legno di pernambuco, raggruppate in sei strutture accordali), le chamber bowls (campane fatte con damigiane di pyrex divise a metà), le adapted guitars I e II (chitarre con 6 e 10 corde che si suonano con plettri di plastica), e infine due marimbe che Partch inventò proprio per King Oedipus, la bass marimba (strumento di undici piastre e risuonatori, lungo m. 2,13 e alto m. 1,74) e la marimba eroica (strumento amplificato elettronicamente, con 5 grandi tavole di legno, la più lunga delle quali misura due metri e 44 centimetri, e produce un suono di 21 vibrazioni al secondo). La partitura fu rimaneggiata nel 1954 con un testo nuovo scritto dallo stesso compositore (perché gli eredi di Yeats avevano negato i diritti) cambiando molta parte anche della musica, e in questa versione fu presentata nell’ambito del Sausalito Art Festival, sulla spiaggia di San Francisco, con Allan Louw nella parte di Edipo e con lo stesso Partch nei due ruoli di Tiresia e del pastore. Ci fu poi una versione definitiva del 1967 e lo spettacolo fu ripreso nel 1997 al Metropolitan Museum of Arts, diretta da Dean Drummond, con Joe Garcia nei panni di Edipo. (G. Mattietti).

No comments:

Post a Comment