Niobe è un personaggio della mitologia greco-romana, figlia di Tantalo e sorella di Pelope.
Il nome di sua madre è discusso dai mitografi; talvolta è ritenuta Eurianassa, figlia del dio fluviale Pattolo, oppure Euritemiste, figlia del fiume Xanto; ma sono conosciute ancora altre variazioni: una la vuole figlia di Clizia, una delle figlie di Anfidamante, oppure, nella versione più comune, della pleiade Dione[1].
Sposò Anfione, re di Tebe, da cui ebbe sette figli e sette figlie. Ella era così orgogliosa di loro che ardì burlarsi della dea Latona, che aveva avuto solo due figli, i gemelli Apollo e Artemide. Latona allora incaricò i suoi figli di vendicare l'offesa, ed essi, con le loro frecce, Apollo mirando ai fanciulli, e Artemide alle fanciulle, uccisero i figli di Niobe. Gli unici due figli di Niobe a salvarsi furono Cloride e Amicla: secondo altre versioni invece tutti i suoi figli rimasero uccisi. Secondo l'Iliade di Omero i giovani uccisi rimasero insepolti per dieci giorni, finché gli dèi stessi non si occuparono della tumulazione.
Secondo quanto narra Ovidio, Niobe, in lacrime, si tramutò in blocco di marmo dal quale scaturì una fonte.
In una roccia che si trova sul monte Sipilo in Lidia, presso Magnesia, si è voluta scorgere la Niobe divenuta pietra.
Il mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute.
Note
- ^ Hazel-Grant, Dizionario della Mitologia Classica, 1979
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