SCRITTI DI BERTRANDO SPAVENTA
A. SCRITTI PUBBLICATI DALL'AUTORE 1. Sulla quantità considerata nella sua espressione, in “Giornale abruzzese” [Napoli], maggio 1840, pp. 65-74. Allo stato attuale delle ricerche, è il primo scritto pubblicato da S. Un manoscritto dell’articolo — datato: Montecassino, giugno 1840, e firmato: B. De Laurentiis — è conservato nella Biblioteca civica di Bergamo in n. 116]. Il breve saggio non sviluppa argomenti di carattere filosofico; tratta dell'oggetto e dei metodi dell’analisi matematica, richiamando l’attenzione del lettore sulla cosiddetta “serie di Taylor”, introdotta dal matematico Brook Taylor nello scritto Metbodus incrementorum diretta et inversa (1715). Il saggio Sulla quantità è stato ristampato da Domenico D’Orsi nella raccolta degli Scritti inediti e rari di S. [123], pp. 11-20. 2. Pensieri sull'insegnamento della filosofia, in “Il Costituzionale” [Firenze], nn. 253 e 254, 3 e 4 maggio 2400 1850. È il primo scritto di S., fin quI conosciuto, che tratti di un argomento filosofico. Fu scoperto da Gentile dopo la pubblicazione del suo Bertrando Spaventa [204], sicché non comparve nella riordinata e accresciuta bibliografia inserita nella monografia gentiliana. I Pensieri indicano nella filosofia della storia la dottrina capace di introdurre i giovani ad una retta comprensione della filosofia hegeliana; e costituiscono un documento importante per la ricostruzione del primo “programma” filosofico di S. Sono stati ristampati da Gentile [109] nel “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91- 99 (= Opere, III, pp. 831-846). 3. II Socialismo e il Comunismo in Francia — supplemento alla storia del secolo per L. Stein Professore in Kiel. Prima versione dell'originale tedesco di Bertrando Spaventa, in “Il Nazionale” [Firenze], n. 218, 14 settembre 1850; e in “Rivista italiana” [Torino], nuova serie, I, settembre 1850, pp. 332-333. È un “avviso” scritto da S. allo scopo di raccogliere sottoscrizioni per la sua traduzione — forse mai pubblicata — della nota opera di L. von Stein, Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs (1842, 1848; ampliata e ripubblicata nel 1850 col titolo: Geschichte der sozialen Bewegung in Frankreich vom 1789 bis auf unsere Tage). Il testo dell’avviso pubblicato nel “Nazionale” di Firenze è stato rintracciato e ristampato da Sergio Landucci, nel saggio I/ giovane Spaventa fra hegelismo e socialismo [282], pp. 693-695; quello, identico, apparso nella “Rivista italiana” di Torino, è stata, ripubblicato da Domenico 2401 D’Orsi, nella sua edizione degli Scritti inediti e rari di S. [123], pp. 27-29. 4. Studti sopra la filosofia di Hegel, Torino 1851, pp. 78. In questo estratto sono raccolti due saggi apparsi sulla “Rivista italiana” [Torino], nuova serie, novembre e dicembre 1850. Sono firmati: Bertrando Spaventa; non sono stati mai ristampati integralmente (v. p. 1036). Gli Studi sono un documento di primaria importanza per intendere la direzione in cui si muovono le idee filosofiche del giovane S. Offrono al lettore, nella prima parte, una “idea generale” del sistema hegeliano, costruita attraverso brevi riassunti delle opere di Hegel; nella parte seconda, propongono una traduzione — che è una parafrasi, e, sia pure in modesta misura, un commento — della Vorrede alla Fenomenologia dello spirito. 5. La rivoluzione e l’Italia: I. Diritto della rivoluzione, II I filosofi III. Le conquiste della rivoluzione, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 130, 135 e 141; 3, 8 e 15 giugno 1851. Con questa serie di articoli si apre la collaborazione di S. al giornali torinese “Il Progresso”, un foglio di sinistra, del cui consiglio di direzione faceva parte Agostino Depretis. Un primo, importante gruppo di scritti ali S. dedicati alla polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, e pubblicati sullo stesso giornale, è stato identificato e ristampato da Gentile nel volume La lbertà di insegnamento [108]; nello stesso anno (1920), Gentile ristampava nella rivista “La Critica” le False accuse contro l hegelismo, due articoli del “Progresso” dei quali l’a. aveva annunziato la 2402 ristampa, con quel titolo, nella raccolta dei suoi Saggi di critica, interrotta dopo il primo volume [107, 77]. A questi scritti rintracciati da Gentile (il quale, nel 1924, scriveva che molti altri articoli anonimi dello Spaventa sono nello stesso giornale [“Progresso”], facili a identificare per la materia e per la forma”), si aggiungono ora, con La rivoluzione e l’Italia, altri articoli identificati da I. Cubeddu, che rende conto del suo lavoro nello scritto Bertrando Spaventa pubblicista (giugno-dicembre 1851) [275]. Nello stesso articolo (p. 52 sg., nota) sono elencati alcuni scritti del “Progresso” che, per il contenuto e per lo stile, potrebbero attribuirsi a S., ma per i quali non è stato possibile trovare ragioni più persuasive della loro paternità. Gli articoli scritti per il “Progresso” costituiscono il documento più interessante delle convinzioni etico-politiche del giovane filosofo; in quelli identificati da Cubeddu sono più evidenti le tracce della lettura del libro di Stein, Der Socialismus und Communismus, che S. si propose di tradurre. Oltre quella gentiliana, già citata, degli scritti sulla libertà di insegnamento e delle False accuse, si veda, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 66 sgg., la ristampa, con il titolo Rivoluzione e utopia, della serie La rivoluzione e l’Italia, della serie Le utopie [12], e dell’artiilo Rousseau, Hegel, Gioberti [14]. 6. L’Armonia e l’Assemblée Nationale: I. L'idea, ILL L’uomo, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 137 e 138, 11 e 18 giugno 1851. Scritti in polemica con il quotidiano cattolico torinese “L’Armonia”, questi due articoli sono apparsi anonimi, e 2403 non sono stati fin qui ristampati [cfr. n. 275]. 7. Il sedicente partito cattolico, in “Il Progresso” [Torino], II n. 143, 18 giugno 1851. Articolo non firmato; non è stato mai ristampato [cfr. n. 275]. 8. L'Accademia di filosofia italica, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 147, 24 giugno 1851. Articolo identificato da Gentile nel suo Bertrando Spaventa [204], p. 38 sg. nota (= Opere, I, pp. 32 sg. n. 2), ma non incluso poi da lui nella biblioorafia degli scritti di S. Non è stato mai ristampato; ma cfr. n. 9. 9. Una riunione dell’Accademia di filosofia italica, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 150, 27 giugno 1851. Seguito dell’articolo precedente. Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel volume La libertà di insegnamento [108], pp. 135-138 (= Opere, IIL pp. 765-769). 10. La libertà di insegnamento [1851]. Gli scritti raccolti sotto questo titolo furono identificati dal Gentile, e da lui ristampati in un volume apparso nel 1920 [108]. Sono tredici articoli, tutti dedicati alla polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, che apparvero nel “Progresso” del 1851 (anno II), tra il 27 luglio e T'11 dicembre. I primi cinque portano le date: 27 e 31 luglio, 7, 20 e 24 agosto; altri due articoli, destinati Az corzpilatori della “Croce di Savoia”, sono del 3 e 12 settembre; gli ultimi sei, scritti in polemica col giornale “Risorgimento” (Filosofia 2404 politico-offaciale), sono del 5, 8, 11 e 30 novembre, e del 3 e 11 dicembre. Sono probabilmente di S. altri tre articoli che riguardano la stessa materia, e che apparvero sul “Progresso” il 12 agosto (Ura lezione ai fautori della libertà di insegnamento), il 4 ottobre (La lbertà di insegnamento e il ministro della Pubblica istruzione) e il 28 ottobre (La lbertà dei gesuiti) dello stesso anno. Cfr. I Cubeddu, Bertrando Spaventa pubblicista [275], p. 52 sg., nota. 11. False accuse contro l’hegelismo [1851]. È il titolo sotto il quale S. intendeva raccogliere e ristampare, nei Saggi di critica [77], gli articoli: L’hegelismo messo in croce, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 204, 29 agosto 1851. Lettere filosofiche. Lettera prima, in “Il Progresso” [Torino], 11, n. 239, 9 ottobre 1851. I due articoli, firmati: Uro studente di filosofia, enunciano o riprendono questioni discusse da S. dalle colonne del giornale torinese: la distinzione di socialismo, comunismo e hegelismo; il problema del rapporto tra il cosiddetto “panteismo” hegeliano e la libertà dell’individuo; quello del rapporto di religione e filosofia; l’idea della filosofia “come principio di rigenerazione nazionale”, ecc. Sono interessanti anche perché contengono molti riferimenti a testi di Hegel, di Schelling, di Giordano Bruno, di Karl L. Michelet, ecc. Il primo articolo è una risposta allo scritto di D. Berti: I/ diritto individuale e il panteismo in politica, apparso nel giornale “La Croce di Savoia”, di ispirazione cavouriana. S. non giunse a ristampare questi articoli, che furono ripubblicati dal Gentile nel 1920, con il titolo voluto 2405 dall’autore [107]. 12. Le utopie, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 206, 215, 223, 234, 237, 241; 31 agosto, II e 20 settembre, 3, 7 e II ottobre 1851. Si tratta di sei articoli non firmati che, riprendendo da L. Stein la distinzione di “utopie” e “idee storiche”, discutono il significato delle lotte politiche e sociali degli ultimi sessant’anni. La serie è stata ripubblicata nel “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 67 sgg. [118]. 13. La scienza de’ fratelli della dottrina cristiana, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 298, 17 dicembre 1851. Anonimo, mai ristampato [cfr. n. 275]. 14. Rousseau, Hegel, Gioberti, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 305, 26 dicembre 1851. Pubblicato anonimo, questo articolo è dedicato alla discussione del rapporto che si istituisce tra “libertà oggettiva” e “libertà soggettiva” nelle dottrine di Rousseau, di Hegel e di Gioberti; e contiene interessanti riferimenti, oltre che a testi hegeliani, al Rinzovamento civile d'Italia. Le argomentazioni di S. si sviluppano secondo una linea identica a quella con cui lo stesso tema è introdotto nei precedenti Studi sopra la filosofia di Hegel [4]; lo stesso discorso svolgerà S. nel 1855, in un articolo di risposta al Tommaseo [51]. Lo scritto Rousseau, Hegel, Gioberti è ristampato nel 2406 “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 90-93 [118]. 25. Principii della filosofia pratica di Giordano Bruno, in Saggi di filosofia civile, tolti dagli Atti dell’Accademia di filosofia italica, Genova 1852, pp. 440-470. S. aveva dato pubblica lettura di questo saggio a Torino, la sera del 24 giugno 1851, nel corso di una riunione dell’Accademia di filosofia italica, fondata da T. Mamiani. Il lavoro su Bruno - ispirato alle idee di rinnovamento politico e sociale, che S. sosteneva negli articoli pubblicati dal “Progresso” — è stato ristampato dall’a. nei suoi Saggi di critica 177], pp. 139-175. Una lunga recensione dei Princìpî è apparsa nell’Appendice alla filosofia delle scuole italiane di A. Franchi, Genova 1853, pp. 217-243 (la recensione è ricordata da G. Vacca, 141 bis, p. 10). Si legge a p. 217 sg. (e cfr. p. 234 sg.): “il discorso di Spaventa, l’unico in cui la filosofia apparisca trattata da un filosofo, l’unico di cui avrebbero potuto gloriarsi gli At d’un’Accademia, diventa la censura più severa, per non dire la satira più acerba, dell’Accademia italica e della sua filosofia; poiché le dottrine dell’ardito discepolo di Bruno distruggono ad una ad una le teorie monche, zoppe, tisicuzze, eunuche di Mamiani e Boncompagni”. Ma v. anche pp. 235 sgg., dove si nega l'esattezza “storica” del giudizio per il quale principio del cristia nesimo sarebbe l'identità di natura divina e natura umana; Franchi vuol sottolineare la totale divergenza di cristianesimo e “razionalismo”, l’abisso che separa le dottrine teoriche, morali, sociali del cristianesimo e la “democrazia moderna”, figlia della Rivoluzione dell’89 e della filosofia (p. 239). 2407 16. Frammenti di studii sulla filosofia italiana del secolo XVI, in “Monitore bibliografico” [Torino], 1852, nn. 32- 33, pp. 48-54. Nella sua bibliografia delle opere di S. [204], Gentile segnala che lo scritto era preceduto dalla seguente avvertenza: “L'importante articolo che pubblichiamo è parte di un lavoro dell’egregio filosofo sig. B. Spaventa sopra la filosofia del secolo XVI, particolarmente su quella di Giordano Bruno”. Lo scritto non è stato mai ristampato; ad esso accenna lo stesso S., citandone qualche brano, nella prefazione ai Principi di filosofia, del 1867 [76]. 17. La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna, in “Il Cimento” [Torino], 15 febbraio 1854, pp. 342-360. È il primo scritto di rilievo [ma cfr. n. 35] stampato nel periodico “Il Cimento”, rivista di scienze, lettere e arti diretta da Zenocrate Cesari e pubblicata a Torino dal 1852 al 1856 (anno della fusione con la “Rivista contemporanea”, diretta da Luigi Chiala). Del “Cimento” S. fu assiduo collaboratore: vi stampò, oltre a numerose recensioni, e a polemiche assai note (come quella con la “Civiltà cattolica”), studi di ampio respiro sulla filosofia italiana del Rinascimento. Il saggio La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna, firmato con la sigla D. L. [De Laurentiis], fu scritto in occasione della traduzione italiana, a cura di Pietro Torre, della Storia della filosofia del diritto di Fr. J. Stahl (Torino, 1853); è importante per il rapporto che S. istituisce tra il pensiero di Gioberti e — attraverso Stahl — gli sviluppi 2408 della filosofia classica tedesca. Il saggio è stato ristampato da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 213-245 (= Opere, II, pp. 207-236). 18. Recensione: Studi sopra Gans relativi al diritto romano, di A. Tarchiarulo Napoli 1853; in “Il Cimento” [Torino], 31 marzo 1854, Recensione anonima, non segnalata da Gentile, e attribuita a S. da A. Plebe [252]. 19. Tommaso Campanella. [Recensione delle] Opere di T. Campanella, precedute da un discorso sulla vita e le dottrine dell'autore per Alessandro D'Ancona, Torino 1854; in “Il Cimento” [Torino], 31 agosto 1854, pp. 265- 281. Recensione, non firmata, dell’edizione D'Ancona delle Opere di Campanella. Nell’indice del fascicolo l’autore della recensione è indicato con la sigla B. S. Lo scritto è stato ristampato da S. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 3-32, come introduzione agli altri studi campanelliani [21, 46], raccolti nello stesso volume. 20. Congratulazioni e quistioni alla “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 15 settembre 1854, pp. 370-376. Articolo, non firmato, con il quale si apre la serie degli scritti polemici contro la “Civiltà cattolica”. È stato ristampato da Gentile nel volume La politica dei gesuiti [101], pp. 1-16 (= Opere, II, pp. 747-761). 2409 21. Tommaso Campanella. Teoria della cognizione, in “Il Cimento” [Torino], 30 settembre 1854, pp. 425-440; 31 dicembre 1854, pp. 1009-1030. Dopo la recensione al D'Ancona [19], che intendeva inquadrare la personalità di Campanella nella storia del pensiero moderno, questi saggi sulla gnoseologia campanelliana — apparsi nel “Cimento” con la firma: Bertrando Spaventa — offrono un raffronto della dottrina del pensatore italiano con gli sviluppi della nuova filosofia (in particolare, Cartesio, Kant, Fichte, e Hegel). Lo scritto è stato ristampato da S. nei Saggi di critica [77], pp.33-101. 21. Schelling, in “Il Cimento” [Torino], 15 ottobre 1854, pp. 521-532. Articolo non firmato, scritto in occasione della morte del filosofo tedesco. È interessante come documento delle letture che S. andava utilizzando in questi anni (tra l’altro, lo Hegels Leben [1844] di K. Rosenkranz), e per i riferimenti ai motivi “rivoluzionari” presenti nella filosofia del giovane Hegel e del primo Schelling; infine per il giudizio — negativo - sugli ultimi sviluppi del pensiero schellinghiano. Larghi brani dell’articolo sono citati da Sergio Landucci, Il giovane Spaventa tra begelismo e socialismo [282], pp. 684- 686, 688-690; il saggio è ora ristampato per intero, a cura di D. D’Orsi, negli Scritti inediti e rari di S. [123], PP. 47-58. 23. Recensioni: De immacolato Deiparae semper Vitginis Concepiti Caroli Passaglia e Societ. Jes. Commentarius Pars I, 2410 Romae MDCCCLIV (Della concezione immacolata di Maria Vergine ecc.); Elementi di filosofia del prof. Pier Antonio Corte, vol. 2. Etica e storia della filosofia, Torino, Tip. Favale e Comp., 1854; Che cosa è il Diritto, ossia Introd. alla scienza della filosofia del diritto per Antonio Bartoli Avveduti, Firenze 1854. Dispensa 1; in “Il Cimento” [Torino], 31 ottobre 1854, pp. 660-668. Scritti non firmati, ristampati in parte (con esclusione del discorso sugli Elementi di filosofia di P. A. Corte) in La politica dei gesuiti [101], pp. 219-239 (= Opere, II, pp. 945- 963) 24. Nuove congratulazioni e quistioni alla “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 16 novembre 1854, pp. 689-704. Articolo firmato con la sigla: S.; ristampato in La politica dei gesuiti [101], (= Opere, pp. 763-796). 25. Recensioni: Proposta di alcune difficoltà, che si oppongono alla definizione della immacolata concezione della B. Vergine Maria, Torino, Tipografia del Progresso, 1854; Lettera di un sacerdote cattolico ai Vescovi della Chiesa di Dio per rappresentar loro, che la sentenza dell’immacolata concezione della B. Vergine Maria non può essere definita dottrina di fede cattolica, Torino, Tipografia del Progresso, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 novembre 1854, pp. 763-768. 2411 Le recensioni sono firmate: SS.; e sono state ristampate dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 241-252 (= Opere, II, pp. 964-975). 26. Recensione: L’origine e l’ufficio della filosofia dimostrati col fatto da Epifanio Fagnani, Torino 1854, Pelazza, tipografia Subalpina; in “Il Cimento” [Torino], 30 novembre 1854, pp. 866-871. Recensione firmata con la sigla: SS.; non è stata mai ristampata. 27. Recensioni: Questioni di Stato del conte Clemente Solaro della Margarita..., Torino, tipografia Speirani e Tortone, 1854; Della responsabilità dello scrittore, orazione recitata nella ... Università di Torino al 3 novembre 1854 dall'avvocato D. Pier Alessandro Paravia..., Torino, Stamperia Reale, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 dicembre 1854, pp. 986-996. Queste recensioni, firmate: SS., sono precedute da una breve nota intitolata: Le rostre riviste e la “Civiltà cattolica”. La recensione del libro del Solaro è stata ristampata da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 253-267 (= Opere, Il, pp. 976-988); sull'argomento della seconda recensione S. ritorna in un numero successivo del “Cimento” [34]. 28. I Sabbati de’ Gesuiti [1855-56]. Si tratta di 29 articoli stampati — anonimi — dallo S. 2412 nell’appendice del giornale “Il Piemonte”, quotidiano politico diretto da Luigi Carlo Farini, in due serie, tra il 16 gennaio 1855 e il 28 marzo 1856 (il 30 marzo dello stesso anno, “Il Piemonte” cessava le pubblicazioni). I primi tre Sabbati sono stati ristampati dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 179-216 (= Opere, 11, pp. 909- 941); ma l’intera raccolta degli articoli si può leggere ora negli Scritti inediti e rari di S. a cura di D. D’Orsi [123], pp. 213-489. Ci limitiamo qui a riprodurre le date degli articoli: PRIMA SERIE: I, “II Piemonte”, 16 gennaio 1855; I1, 10 febbraio; III, 20 febbraio; IV, 10 marzo; V, 15 marzo; VI, 1° aprile; VII, 20 aprile; VIII, 10 maggio; IX, 17 maggio; X, 29 maggio; XI, 13 giugno; XII, 10 luglio; XIII, 19 luglio; XIV, 4 agosto; XV, 17 agosto; XVI, 28 agosto; XVII, 15 settembre; XVIII, 29 settembre; XIX, 17 ottobre; XX, 7 novembre; XXI, 25 novembre; XXII, 9 dicembre; XXIII, 23 dicembre; XXIV, 1° gennaio 1856. SECONDA SERIE: I, 10 febbraio 1856; 11, 7 febbraio; III, 27 febbraio; IV, 9 marzo; V, 28 marzo. 29. Recensione: Prospetto filosofico della storia del mondo umano di Cesare della Valle, duca di Ventignano, Napoli, Alberto Detken libraio editore, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 gennaio 1855, pp. 66-70. La recensione è firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata in Da Socrate a Hegel [98], pp. 277-286 (= Opere, II, pp. 265-273). 30. Del principio della riforma religiosa, politica e 2413 filosofica nel secolo XVI, in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 97-112; 15 marzo 1855, pp. 369-384; 15 ottobre 1859, pp. 568-577. È un ampio studio, che apparve, firmato, nel “Cimento”, e che l’a. ristampò nei suoi Saggi di critica [77], pp. 269-328, con la data: Torino, 1854-1855. II saggio, che riprende e sviluppa il tema della genesi del pensiero moderno nell’età del Rinascimento, appare interrotto con la terza puntata; nel ristamparlo, S. osservò che esso può considerarsi ancora valido come introduzione alla “moderna filosofia italiana”, e che se ne debbono considerare prosecuzione e compimento le lezioni napoletane del 1861 [68]. 31. Una nota della “Civiltà cattolica” contro “Il Cimento”, in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 144-146. Articolo firmato con la sigla: S.; è stato ristampato dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 55-61, con il titolo: Lazzenti della “Civiltà cattolica” (= Opere, II, pp. 797- 803). 32. Recensione: Principi elementari di filosofia morale ad uso delle scuole secondarie, 2a edizione, Torino, tip. Paravia e comp., 1854; in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 158-164. La recensione, firmata: SS., non è stata mai ristampata. 33. Del sistema della Curia romana opposto all'autonomia dello stato, in “Il Cimento” [Torino], 16 2414 febbraio 1855, pp.231-238. L’articolo, firmato SS., fu scritto in occasione della stampa della A/locuzione della Santità di Nostro Signore Pio IX del 22 gennaio 1855, seguita da una esposizione corredata di documenti, ecc., Torino, tipografia Franco, 1855. È stato ristampato dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 269-281 (= Opere, II, pp. 989-1005). 34. Recensioni: Ancora dell’orazione sulla Responsabilità ecc. del prof. Paravia; Maria Teresa e Maria Adelaide. Squarci di lezioni del prof. Paravia, Torino, tip. Marietti, 1855; Il governo di Piemonte e la corte di Roma, per Massimo d’Azeglio, Torino, Tip. Franco, 1855; in “Il Cimento” [Torino], 28 febbraio 1855, pp. 336-344. Recensioni firmate: SS. Per la prima, cfr. n. 27. La recensione al D'Azeglio è ristampata in La politica dei gesuiti [101], pp. 283-285 (= Opere, II, pp. 1006-1008). 35. La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 15 marzo 1855, pp. 438-445. L’articolo — firmato con la sigla: S. — appartiene alla serie dedicata alla polemica con la “Civiltà cattolica”. Non fu segnalato da Gentile: lo ha identificato e ristampato Domenico D’Orsi, nella raccolta degli Scritti inediti e rari di S. [523], pp. 189-202. Al D’Orsi (op. cit., pp. 181 sgg.) sembra che il contenuto di questo articolo (e quello di uno scritto successivo, anche questo da lui identificato: cfr. n. 2415 39) presenti una sostanziale affinità con l’argomento di una “lettera” pubblicata dalla rivista torinese nel 1852 (A/ direttore del giornale “Il Cimento”. Frammento di una lettera sulla “Civiltà cattolica”, “Il Cimento”, I, 1852, pp. 334-338), lettera della quale dovrebbe essere considerato autore lo stesso Spaventa. 36: Recensione: Corso d’estetica, letto nell'Università di Padova nell'anno 1844-45 dal prof. Vincenzo De Castro, seconda edizione, Milano, Borroni e Scotti, 1855, vol. I; in “Il Cimento” [Torino], 31 marzo 1855, pp. 549-555. La recensione, firmata con la sigla: SS., non è stata mai ristampata. 37. Recensioni Opere complete di Emm. Kant tradotte in francese da G. Barni, con introduzioni analitiche e critiche. 1. Critica della ragione pratica ecc. 2. Elementi metafisici della dottrina del diritto, Parigi, 1848-1854; G. Barni (Esposizione critica della filosofia pratica di Kant); in “Il Cimento” [Torino], 16 e 30 aprile 1855, pp. 653-659, 746-752. Recensione, firmata SS., delle traduzioni kantiane di Jules Barni, e dell’ Exazzen des Fondements de la métaphysique des moeurs et de la Critique de la raison pratique dello stesso Barni (Parigi, 1851). Lo scritto è stato ristampato da Gentile nella raccolta Da Socrate a Hegel [98], pp. 123-150, con il titolo: La filosofia pratica di Kant e Jules Barni (= Opere, II, pp. 125-150). 2416 38. Recensione: Alcune considerazioni intorno alla separazione dello Stato dalla Chiesa, del sacerdote Giacomo Margotti, dottore in teologia, Torino, tip. Deagostini, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 maggio 1855, pp. 849-855. Recensione firmata con la sigla: SS.; ristampata da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 287-300 (= Opere, II, pp. 1009-1020). 39. Gli scolastici immaginarii della “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 16 maggio 1855, pp. 855-856. Breve risposta alla “Civiltà cattolica” — firmata con la sigla: S. — a proposito della interpretazione delle dottrine politiche di Suàrez e di Mariana. Lo scritto segue immediatamente, nelle pagine del “Cimento”, alla recensione del libro del Margotti (v. n. precedente). Non è stato segnalato da Gentile; lo ha ristampato D. D’Orsi negli Scritti inediti e rari di S. [123], pp. 205-206. 40. Hegel confutato da Rosmini. Saggio primo, in “Il Cimento” [Torino], 31 maggio 1855, pp. 881-906. L’articolo — firmato: B. Spaventa — denuncia i fraintendimenti sostanziali che stanno alla base di alcune critiche di Rosmini alla filosofia di Hegel. La seconda parte del saggio, che avrebbe dovuto illustrare la soluzione — dal punto di vista hegeliano — delle difficoltà sollevate da Rosmini, non fu mai pubblicata. Ma la critica di S. ebbe un seguito in un articolo contro il Tommaseo [51]. 2417 Lo scritto su Rosmini è stato ristampato da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 151-191 (= Opere, II, pp. 151-188). 41. Recensione: Storia di uno studente di filosofia, di Giuseppe Piola, Milano, tip. G. Bernardoni, 1855; in “Il Cimento” [Torino], 31 maggio 1855, pp. 951-956. Recensione firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 287-298 (= Opere, II, pp. 274-284). Lo scritto ha suscitato di recente qualche interesse, per i severi rilievi di S. alle acritiche osservazioni del Piola sul socialismo (cfr. ad es. i saggi di Berti e di Landucci, nn. 255, 282). 42. L'Accademia di filosofia italica e Terenzio Mamiani. [Recensione dei] Saggi di filosofia civile tolti dagli atti dell’Accademia di filosofia italica, Genova, Grondona, 1855, vol. 2; in “Il Cimento” [Torino], 16 giugno 1855, pp. 1021-1033. Articolo firmato: B. Spaventa. Contiene, in fondo, un indice dei lavori pubblicati dall'Accademia, che non compare nella ristampa della recensione, inserita dall’a. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 343-366. 43. Dell’importanza civile del teatro drammatico, in “Il Cimento” [Torino], 30 giugno 1855, pp. 1108-1127. Il saggio è attribuito a S. da Domenico D’Orsi, che ristampa l’articolo nella sua raccolta degli Scritti inediti e rari del filosofo [123], pp. 65-88. Alla base dell’attribuzione sta 2418 il fatto che l’articolo è firmato con una sigla (= S.), che l’autore soleva apporre ad alcuni scritti pubblicati nel “Cimento”. Il saggio sembra peraltro presentarsi come stravagante, per dir così, nella produzione spaventiana di questo periodo: non tanto per l'argomento trattato, quanto per le idee che vi sono espresse (e, più che espresse, insinuate) e per la forma in cui tali idee vengono offerte al lettore. Il tema non è, di per sé, sconcertante: l’autore vuol sostenere il valore del teatro drammatico come strumento di educazione intellettuale, morale e sociale, in quanto esso è capace di presentare in veste sensibile l “idea”, di avvicinare il “popolo minuto” al mondo del sapere. Ma l’autore, nel giustificare la funzione mediatrice della letteratura drammatica, sembra inclinare verso una convinzione che mi appare alquanto distante dalle tesi difese altrove dallo S., in questi stessi anni: finisce infatti col suggerire la superiorità della “fantasia” e del “sentimento”, del “cuore” e della “fede”, sulla “ragione” e sull’ “intelletto”. E, similmente, il beneficio che la letteratura drammatica può arrecare alla società, vien fatto derivare dalla sua naturale capacità di insegnare le “vedute medie”, di additare una via che è egualmente distante da ogni estremismo. 44, Recensioni: Corso sommario di filosofia razionale, del P. Vittorio Mazzini. Filosofia speculativa e filosofia morale, vol. due, Genova 1851-1853. La scienza della lingua di Guglielmo di Humboldt e la filosofia hegeliana, per Enrico Steinthal, Berlino; in “Il Cimento” [Torino], 15 luglio 1855, pp. 58-65. Recensioni firmate con la sigla: SS. Non sono state mai 2419 ristampate. 45. Metodo della “Civiltà cattolica” nel rispondere al “Cimento”, in “Il Cimento” [Torino], 31 luglio 1855, pp. 135-140. Articolo firmato con la sigla: SS., e ristampato da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 63-78 (= Opere, II, pp. 805-820). 46. Tommaso Campanella. III. Metafisica, in “Il Cimento” [Torino], 15 agosto 1855, pp. 189-212. L'articolo, che fa seguito alla recensione al D'Ancona e al saggio sulla gnoseologia di Campanella [19, 21], è firmato: B. Spaventa; è stato ristampato dall’autore nei Saggi di critica [77], pp. 102-135. È un esame della metafisica campanelliana, della quale S. intende cogliere e sceverare gli elementi nuovi, attraverso un raffronto con gli ultimi sviluppi del pensiero moderno. L'analisi viene spinta fino al tentativo di un confronto con il problema della logica e della fenomenologia di Hegel. L’articolo doveva essere seguito da un saggio sulla Teoria della volontà; ma l’ultima parte di questi studi campanelliani non fu mai pubblicata (cfr. Saggi di critica, p. 135 nota). 47. La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”. La teocrazia, in “Il Cimento” [Torino], 31 agosto 1855, pp. 307-314. Articolo firmato con la sigla: SS.; ristampato da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 79-96 (= Opere, II, pp. 821- 836). 2420 48. La logica o il problema della scienza nuovamente proposto all'Italia da Paolo Morello, in “Il Cimento” [Torino], 15 settembre 1855, pp. 374-388. Recensione del libro del Morello (La logica ecc.), pubblicato a Firenze (Barbera, Bianchi e Comp.) nel 1855. È firmata: B. Spaventa; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 299-321 (= Opere, Il, pp. 285-305). Una diversa redazione della recensione è stata rintracciata da P. C. Masini; cfr. Ur “pamphlet” antidemocratica... [116], pp. 308 sg. 49. I trionfi dei gesuiti, in “Il Cimento” [Torino], 30 settembre 1855, pp. 494-500. Articolo firmato con la sigla: AA. È ristampato in La politica dei gesuiti [101], pp. 97-110 (= Opere, II, pp. 837- 848). 50. La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”. Gli Scolastici, in “Il Cimento” [Torino], 31 ottobre 1855, pp. 658-669. Articolo firmato con la sigla: SS. Ristampato parzialmente (manca una breve parte introduttiva) in La politica dei gesuiti [Joi], pp. 111-28 (= Opere, II, pp. 849-864). 51. Sopra alcuni giudizi di N. Tommaseo, in “Il Cimento” [Torino], 15 novembre 1855, pp. 730-741. L’occasione a questa risposta di S. venne offerta dalla commemorazione di Rosmini, che Tommaseo aveva 2421 pubblicato nel 1855, in più puntate, nella “Rivista contemporanea” di Torino (cfr. ad es., nel fascicolo di settembre, pp. 25 sg., una chiara allusione alle argomentazioni sviluppate da S. in Hegel confutato da Rosmini [40]). L’articolo — che è firmato: B. Spaventa — è importante anche perché ribadisce il raffronto tra Hegel e Gioberti — già proposto dalle colonne del “Progresso” — a proposito dei concetti di legge, volontà generale, ecc. [Rousseau, Hegel, Gioberti: 14]; e perché riprende il motivo dell’accostamento Gioberti-Stahl [17]. Lo scritto è ristampato in Da Socrate a Hegel [98], pp. 193-212 (= Opere, II, pp. 189-206). 52. Gli Scolastici. Suarez, in “Il Cimento” [Torino], 30 novembre e 15 dicembre 1859, pp. 851-867, 957-970. Articoli firmati con la sigla: SS., e ristampati in La politica dei gesuiti [101], pp. 129-178 (= Opere, II, pp. 865-907). 53. Gli Scolastici. Concetto e metodo della dottrina tomistica, in “Il Cimento” [Torino], 30 dicembre 1855, pp. 1038-1045. È l’ultimo degli articoli di S., apparsi sul “Cimento”, dedicati alla interpretazione delle teorie politiche dei gesuiti del XVI secolo, in polemica con la “Civiltà cattolica”. Gentile lo aveva ristampato già nel 1905, in Da Socrate a Hegel [98], pp. 51-64 (con il titolo: Concetto e metodo della dottrina tomistica del diritto = Opere, II, pp. 57-68), prima ancora di raccogliere gli altri scritti di S. sull'argomento nel volume La politica dei gesuîti [101]. 2422 54. Dell’amore dell'eterno e del divino di G. Bruno, in “Rivista enciclopedica italiana” [Torino], I (1855), dispensa prima, pp. 44-58. Il saggio è dedicato alla esposizione del contenuto degli Eroici furori. È stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica [77], pp. 176-195. 55. La “Civiltà cattolica” e la “Rivista contemporanea”, in “Il Piemonte” [Torino], II, n. 14, 16 gennaio 1856. L’articolo è stato ristampato dal Gentile nell’appendice (Le tribolazioni di B. Spaventa giornalista, pp. 183-193: dove sono riprodotti alcuni documenti delle vicende capitate allo S. in seguito alla fusione del “Cimento” con la “Rivista contemporanea” di Luigi Chiala) del suo Bertrando Spaventa [204], pp. 189-193 (= Opere, I pp. 163-166). 56. Recensione: Della filosofia dopo Kant, ragionamenti di Michele Baldacchini, Napoli 1854; in “Il Cimento” [Torino], gennaio 1856, pp. 65-72. Recensione firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 322-337 (= Opere, II, pp. 306-319), con il titolo: La filosofia dopo Kant secondo Michele Baldacchini. 57. Saggi sulla filosofia del Mamiani (Critica dell’infinità dell’attributo), in “Il Cimento” [Torino], febbraio 1856, pp. 122-146. Nell’articolo S. critica l’interpretazione proposta da T. 2423 Mamiani — nella prefazione alla traduzione italiana del Bruno di Schelling, a cura di M. Florenzi Waddington [1844] — della dottrina spinoziana della relazione sostanza- attributi. È da collegare agli studi che S. andava svolgendo in questi anni sulla filosofia di Spinoza, e di Giordano Bruno. L’articolo è stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica [771], pp. 367-403. 58. Recensione: La Enciclopedia scientifica, per T. Mora e F. Lavarino, Torino 1856; in “Il Cimento” [Torino], febbraio 1856, pp. 212-220; e in “Il Piemonte” [Torino], II, n. 51, 28 febbraio 1856. Recensione, firmata con la sigla: SS., e pubblicata nell'ultimo fascicolo del “Cimento”, che quindi fu assorbito nella “Rivista contemporanea”. Nel “Piemonte”, lo scritto è firmato con la sigla: Z. Non è stato mai ristampato. 59. Il sensualismo in Francia. [Recensione di] Études morales sur le temps présent, par E. Caro, prof. ecc. (Paris 1856, Hachette éditeur); in “Rivista contemporanea” [Torino], maggio 1856, anno III, vol. VI, pp. 780-793. Recensione firmata con la sigla: S.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 247-273 (= Opere, II, pp. 237-261). 60. Recensione: Compendio di logica, secondo l’ultimo programma, 2424 ecc., del prof. Giuseppe Tesio (Torino, Tip. scolastica di Sebastiano Franco e Comp., 1856); in “Rivista contemporanea” [Torino], giugno 1856, anno III, vol. VII, pp. 173-176. Recensione firmata con la sigla: S. Non è stata mai ristampata 61. Recensione: Philosophie sensualiste au dix-buitième siècle par M. Victor Cousin (troisiîme éd. revue et corrigée, Parigi 1856); in “Rivista contemporanea” [Torino], agosto 1856, anno III, vol.; VII, pp. 494-464. La recensione è firmata con la sigla: S. È stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 103-122 (= Opere, II, pp. 107-124). 62. Recensione: Considerazioni sulla dottrina di Socrate del prof. G. M. Bertini (estratte dalle “Memorie della R. Accademia delle scienze” di Torino, serie II, torno XVI); in “Rivista contemporanea” [Torino], settembre 1856, anno IV, vol. VIII, pp. 89-114. Lo scritto, come molte altre recensioni di S., è in realtà un ampio studio; e tratta del pensiero di Socrate secondo i principi dell’hegelismo. A questo articolo — che è firmato: B. Spaventa — doveva seguirne un secondo, mai pubblicato: cfr. le notizie di Gentile premesse alla ristampa del saggio, da lui ripubblicato in Da Socrate a Hegel [98], pp. 1-50, con il 2425 titolo: La dottrina di Socrate (= Opere, II, pp. 11-56). 63. Recensione: Logique, par A. Gratry ... (2 voll., Paris 1855); in “Rivista contemporanea” [Torino], ottobre-novembre 1856, anno IV, vol. VIII, pp. 276-288. La recensione è firmata: Bertrando Spaventa; non è stata mai ristampata. 64. Recensione: Della logica o della teoria della scienza, libri tre di Vincenzo Garelli, Oneglia, Tip. Tasso, 1856; in “Rivista contemporanea” [Torino], marzo 1857, anno V, vol. IX, pp. 474-480. È l’ultimo scritto pubblicato da S. nella “Rivista contemporanea”. Non stato mai ristampato. 65. Articoli per la Nuova enciclopedia popolare [1859- 1860]. Nel 1858 l'editore Pomba preparava una nuova edizione — che cominciò a pubblicarsi in quell’anno, ed ebbe diverse ristampe — della sua Erciclopedia popolare (Torino, 1842 sgg.). A proposito della collaborazione di S. a questa iniziativa, riassumiamo in breve le notizie fornite da Gentile nella bibliografia degli scritti del filosofo inserita nel suo Bertrando Spaventa [204], pp. 204 sg. Quando, con lettera del 7 dicembre 1858, Francesco Predari, direttore dell’opera, propose a S. di collaborare all’Enciclopedia, si stava preparando il materiale relativo alla 2426 lettera E. Il primo articolo fornito da S. fu: Ellenismo; l’ultimo — a quanto pare — fu l’importante scritto su Kant [66]. S. collaborò all’Enciclopedia fino ai primi mesi del 1860. Sul verso della lettera d’invito del Predari, S. ha annotato le “voci” — articoli interamente rifatti, oppure corretti sul testo della prima edizione dell’opera — via via consegnate all'editore. Ecco l’elenco delle voci annotate: E/leziszo, Empirismo, Ente supremo, Epicuro, Epitteto, Facoltà dell'anima, Fanatismo, Fantasma, Fatalismo, Fede, Felicità, Fenomeno, Ferecide, Fichte, Ficino, Filosofia, Galluppi (un brano di questo articolo si può leggere in G. Gentile, Bertrando Spaventa [204], pp. 95 sg. = Opere, Ig pp. 83 sg.), Germanica filosofia, Giamblico, Gioberti (corrisponde in parte al capitolo su Gioberti delle lezioni napoletane del 1861: cfr. nn. 68, 99), Giudizio. È probabile, scrive Gentile, che S. abbia anche provveduto alla stesura di qualche altro articolo, compreso tra gli esponenti Giudizio e Kant. Come risulta dalla stessa lettera del Predari, S. avrebbe dovuto compilare anche gli articoli: Italica filosofia, Ermeneutica, Errore, Esegesi, Esistenza, Esoterico, Esperienza, Essenza, Essere, Eudemonismo, Evidenza. Gentile dà notizia, infine, di una lettera di Luigi Pomba allo S. del 2 gennaio 1861, che conteneva un invito a continuare la sua opera per l’Enciclopedia; e di una lettera di Antonio Tari del 28 luglio 1861, che proponeva a S. di trattare per una eventuale sua collaborazione alla stessa opera. 66. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, estratto dalla Nuova enciclopedia popolare, Torino 1860, pp. 72. Cfr. n. precedente. 2427 L’articolo, che si ispira largamente all’interpretazione hegeliana di Kant, contiene un ampio raffronto, assai articolato, degli sviluppi del criticismo in Germania e in Italia. Era stato scritto da S. già nel 1856, come risulta da una sua lettera del 10 dicembre di quell’anno al fratello Silvio (Silvio Spaventa, Da/ 1848 al 1861... [125], pp. 209- 212); ma probabilmente, prima di darlo alla stampa, il filosofo ebbe modo di integrarlo e correggerlo. È stato ristampato da Gentile negli Scritti filosofici di S. [96], pp. 1-79 (= Opere, I, pp. 173-255); il saggio è composto di una breve introduzione, e di tre parti, intitolate rispettivamente: I) Principio speculativo della filosofia di Kant; 2) Il kantismo in Italia (Galluppi e Rosmini); 3) Il CHITICISINO. 67. Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo, prolusione alle lezioni di storia della filosofia nell'Università di Bologna, Modena 1860, pp.39. È la nota prolusione in cui viene proposta la tesi della “circolazione del pensiero italiano” nel pensiero europeo, e vengono offerti i primi risultati dei nuovi studi sulla filosofia contemporanea in Italia, collegati ai lavori torinesi su Bruno e Campanella, e integrati da una nuova valutazione della dottrina di Giambattista Vico. Il discorso di S. è ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 115-152 (= Opere, I, pp. 293-332). 68. Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre — 23 decembre 1861, Napoli 1862, pp. IX214. 2428 È il testo che raccoglie i risultati fondamentali delle ricerche di S. intorno al “carattere” e allo “sviluppo” della filosofia italiana dall’età del Rinascimento fino al Gioberti. La prefazione è datata: Napoli, ottobre 1862. Il volume contiene: I) la prolusione Della nazionalità nella filosofia (con una appendice sulla filosofia indiana); 2) le dieci lezioni sulla storia del pensiero italiano, dai filosofi del XVI secolo ai contemporanei; 3) lo Schizzo di una storia della logica, che rende conto dello sviluppo “della filosofia occidentale” (i.e. della filosofia tedesca) considerato “dal punto di vista logico” (sono protagonisti di questa storia Kant, Fichte, Schelling e Hegel). Una nota allo Schizzo contiene un breve scritto su Spizoza e Cartesio, che riprende alcuni temi dei primi studi torinesi su Spinoza (l’interpretazione di Mamiani, la controversia Erdmann-Fischer sul concetto di attributo, ecc.). Per il “manifesto” che annunziava la pubblicazione dell’opera, proponendone la vendita per sottoscrizione, cfr. n. 69. Il volume è stato ristampato da Gentile nel 1908 e, in terza edizione, nel 1926, sempre con il titolo: La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99 = Opere, IL pp. 405 sgg.). 69. La filosofia di Gioberti, vol. I, Napoli 1863, pp. XIII-543. Alla prima parte dell’ampio studio, considerato da molti critici a partire dal Gentile, che lo definì il “capolavoro” di S.) l’opera maggiore del filosofo, doveva seguire un secondo volume, che non fu mai pubblicato. Questo “primo” volume è diviso in quattro libri, che sottopongono a critica: 4) la 2429 dottrina della conoscenza di Gioberti; 5) il carattere dogmatico della costruzione della formula ideale: l’ente crea l’esistente; c) il contenuto della formula, identico al contenuto del panteismo (Gioberti = Spinoza); d) il tentativo di Gioberti di ricorrere alla “rappresentazione” religiosa, per scongiurare l'esito panteistico della dottrina. Un quinto libro, che avrebbe occupato l’intero secondo volume, doveva dimostrare il passaggio dell’ultimo Gioberti (soprattutto dell'autore delle Postuzze) all’idealismo. Nella prefazione dell’opera, datata: Napoli, ottobre 1863, l’a. dichiara che i risultati dello studio su Gioberti costituiscono il presupposto e il fondamento delle tesi esposte nelle prime lezioni napoletane [cfr. n. precedente], e che il seguito del suo lavoro sarebbe stato costruito attraverso un raffronto minuzioso tra la dottrina di Gioberti e quella di Ilegel. Della Filosofia di Gioberti usciva, nel 1870, una curiosa “edizione”: Bernardo [sic] Spaventa, La filosofia di Gioberti, volume unico, Napoli, Tipografia del Tasso (le copie del 1863 recavano l’indicazione: Napoli, Stab. tipogr. F. Vitale). Ma in questa “edizione” appare cambiato solo il frontespizio; e lo stesso deve dirsi della “seconda edizione”, Napoli, Domenico Morano, 1886. Come la Prolusione e introduzione [68], e insieme ad essa, la Filosofia di Gioberti fu pubblicata per sottoscrizione, e annunziata con un manifesto, che riproduciamo qui dalla bibliografia gentiliana del 1924 [204], pp. 206-208: “I. La Prolusione tratta della Nazionalità della Filosofia. — Sono possibili, dopo il medio evo e ne’ tempi moderni, tante filosofie nazionali, quanti sono i popoli civili di Europa? O invece quelle che si dicono filosofie nazionali non sono altro che momenti particolari dello sviluppo comune della filosofia moderna nelle diverse nazioni? Si può dire, p. e., che ci sia una filosofia italiana essenzialmente diversa da una 2430 filosofia francese, inglese, tedesca, come si dice che ci è stata una filosofia greca essenzialmente diversa da una filosofia indiana? E in generale, il genio proprio originario d’una nazione, il quale si specchia e riconosce così nettamente nella lingua, nella letteratura e nell’arte in generale, e ne’ costumi, deve e può discernersi anche — oggigiorno e in Europa — in quella forma e attività universale dello spirito, che si chiama filosofia? E discernersi in essa, non già come differenza e carattere naturale, letterario o artistico, ma come intuizione universale o pensiero della realtà delle cose: come problema, indirizzo, soluzione? “L’autore, compendiando gli ultimi risultati della storia della filosofia, ed esponendo la differenza essenziale della nazionalità moderna dall’antica, mostra che — se è vero che la filosofia indiana e la greca sono, più o meno, intimamente nazionali — comune, invece, ed unico è il carattere, lo sviluppo e l'indirizzo generale della filosofia ne’ popoli moderni; che, se ci ha una differenza tra il genio filosofico italiano e quello delle altre nazioni, o in altre parole se esso ha o almeno ebbe un privilegio sopra gli altri popoli — questo fu solo l’aver precorso due volte i due principali periodi della filosofia moderna: cioè il cartesiano ne’ filosofi del Risorgimento e specialmente in Bruno e Campanella, e il kantiano in Vico; e val quanto dire il nuovo Nazuralismo e il nuovo Spiritualismo; e che se noi vogliamo ancora e possiamo avere un privilegio, questo è quello di precorrere ed effettuare un nuovo e più largo indirizzo, una nuova e più ampia soluzione del problema dello spirito. Ma ciò a un patto; e questo è di non rigettare tutto quel che si è fatto da un gran pezzo fuori d’Italia o meglio che in Italia, ma studiarlo, comprenderlo, appropriarcelo; e solo così, entrati in più largo orizzonte, conosciuto meglio noi medesimi e ritemperata la nostra vita nella perpetua corrente della vita 2431 universale, fare un gran passo innanzi, non nel vuoto, ma colla piena coscienza delle nostre forze, del nostro cémpito, del compito comune. “E posto anche, che ci sia stata o ci sia una filosofia propria italiana, distinta essenzialmente o opposta a quelle delle altre nazioni, quale è e dove si trova ella mai? Si sa, che di libertà filosofica in Italia ce n'è stata sempre poca o niente, e chi se l’ha presa, gli è costato assai caro. Dov'è dunque la filosofia italiana, ne’ libri delle vittime o in quelli de’ persecutori? Il problema più difficile per noi — quello senza la cui soluzione noi non possiamo fare e progredire davvero — è il riconoscere qual sia e dove sia il vero pensiero italiano. Finché non si fa ciò — e il farlo non è cosa così agevole — il gridare nazionalità in ogni cosa servirà bene a eccitare e intorbidare il sentimento e talvolta anche le passioni, ma non produrrà niente di serio nella scienza. “La Introduzione è lo sviluppo e la dimostrazione della intenzione principale della Pro/ustone. L'autore espone il carattere e il progresso del pensiero italiano nei maggiori nostri filosofi dal secolo XVI sino al nostro tempo: Campanella, Bruno, Vico, Galluppi, Rosmini, Gioberti; e dimostra come questo pensiero non solo non si oppone al pensiero europeo, ma concorda schiettamente con esso; che Campanella e Bruno sono i precursori di Cartesio e Spinoza (e in parte di Locke e Leibniz); che Vico, esigendo una nuova Metafisica e fondando la filosofia della storia, anticipa il nuovo antropologismo, quello che il Gioberti chiama trascendente e identico al vero ontologismo; che Galluppi, Rosmini e Gioberti rappresentano in Italia questo nuovo indirizzo; e che Gioberti specialmente non è, come si crede, l’antitesi di tutta la filosofia moderna, ma differisce dall’ultimo gran filosofo europeo in tutt'altro che nel vero principio, metodo e risultato della sua filosofia. 2432 “IL Questa breve storia del pensiero italiano, considerato in sé stesso e nella sua intima connessione col pensiero europeo, è come una naturale introduzione alla seconda opera di maggior mole: la Filosofia di Gioberti. “Quest'opera è divisa in cinque parti; la prima delle quali concerne la teorica giobertiana della conoscenza, e le altre quattro il sistema propriamente detto. “Nella prima parte l’autore espone gli elementi del conoscere secondo Gioberti: intuito, riflessione (psicologica e ontologica), parola, sovrintelligenza; e dimostra come il concetto di questi elementi e della loro relazione (del conoscere) cangi e si sviluppi nella mente del Gioberti di maniera, che la teorica sembri una continua contradizione. E pure ciò che pare contradizione non è altro nel Gioberti, che una determinazione sempre più schietta e profonda del proprio pensiero. “Secondo l’autore, ci è nel Gioberti davvero una contradizione, radice di tutte le altre, la quale si manifesta chiaramente nella prima forma del sistema; e tutto il progresso della speculazione del nostro filosofo consiste nel risolverla. Così quel che pare contradizione e non è, è appunto la soluzione della vera contradizione. “Conforme a un tal concetto l’autore espone nelle tre altre parti questa contradizione, e considera il sistema nella sua prima forma. L'ultima parte comprende la soluzione più o meno reale della contradizione, e la seconda forma del sistema. “Tutta questa esposizione — così della teorica della conoscenza come del sistema — è fatta di maniera, che la vera e nuova forma della filosofia giobertiana apparisca come il risultato necessario della critica della prima: come una nuova posizione, che deriva per una dialettica 2433 necessaria dall’antica. Quel che nella storia della filosofia si vede comunemente solo nella successione de’ filosofi, cioè che l'uno compia l’altro risolvendo le contradizioni del suo predecessore, qui si vede in uno stesso filosofo: Gioberti nella seconda forma non fa che compiere e quasi ricreare sé stesso. — Tutta l’opera è corredata di documenti, specialmente dove l’interpretazione e la critica possono parere arbitrarie e forse troppo lontane dal modo comunemente ricevuto d’intendere il Gioberti”. 70. Le prime categorie della logica di Hegel, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, I (1864), pp. 123-185. È il testo che racchiude il primo — e assai noto — tentativo spaventiano di interpretazione delle prime categorie della logica hegeliana [cfr., per gli altri scritti di S. sull'argomento, i nn. 76, 93, 103]. Suscitò già qualche interesse in ambiente hegeliano [cfr. n. 1441; doveva essere discusso più tardi da Gentile come documento della nascita del “nuovo idealismo” [cfr. in particolare il n. 103]. Il saggio, preceduto da una breve introduzione, si divide in tre parti: i) Esposizione de’ concetti: essere, non essere, divenire, esserci; 2) Obbiezioni e risposte; 3) Il movimento come primo (Trendelenbnrg). Fu letto all'Accademia napoletana in tre sedute, il 16 agosto, e il 6 e 30 settembre 1863. Un riassunto della memoria fu pubblicato nella “Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”, II (1863), nn. 1-4 (1, 10, 20 novembre, e 1 dicembre 1863). Lo scritto si può leggere ora nella raccolta gentiliana degli Scritti filosofici di S. [96], pp. 185-252 (= Opere, I, pp. 367- 437). 2434 71. Spazio e tempo nella prima forma del sistema di Gioberti, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, III (1864), pp. 137-163. Nella concezione giobertiana dello spazio e del tempo appaiono manifeste le difficoltà e le contraddizioni della formula ideale, e, quindi, dell’intero sistema. È questo il tema della “nota”, letta all'Accademia di Napoli il 7 agosto 1864, e ristampata più tardi negli Scritti filosofici [96], pp. 153-184 (= Opere, I, pp. 333-365). 72. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, II (1865), pp. 293-348. Ristampato dall’a. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 196- 255. Tema centrale dello scritto è l’analisi del concetto di “mente” in G. Bruno: S. si propone di mostrare che non è legittimo identificare l’intuito intellettuale di Bruno con un atto di fede, o con una forma di apprensione nondiscorsiva, mistica, dell’assoluto. Ma il saggio è noto anche perché contiene una importante e assai discussa digressione sul tema della separazione dello stato della chiesa. 73. Il concetto dell’infinità in Bruno, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, V (1866), pp. 155-164. Sul concetto di infinito in Bruno e Spinoza (e Hegel). L’avvio al discorso di S. è dato da una osservazione contenuta nella Storia della filosofia moderna di H. Ritter: in Bruno vi sarebbe confusione di infinito e indeterminato. Lo 2435 scritto di S. risale certamente, nel suo nucleo originario, al periodo torinese: nel ristamparlo nei Saggi di critica [77], pp. 256-267, l’a. vi appose la data: “Torino 1853. Napoli 1866”. 74. Il concetto dell’opposizione e lo spinozismo, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, VI (1867), pp. 89- 98. In Spinoza è già presente l’esigenza di attribuire alla sostanza una negatività interna, che consenta di superare gravi difficoltà della dottrina (il parallelismo degli attributi). Questa esigenza è soddisfatta dalla logica hegeliana, con il concetto di opposizione; il tema è, per l’a., ancora attuale, e viene riferito alle discussioni sul metodo delle scienze comparate. Il saggio fu letto all'Accademia napoletana il 7 luglio 1867; lo ha ristampato Gentile negli Scritti filosofici [96], pp. 277-290 (= Opere, I, pp. 463-476). 75. La Scolastica e Cartesio, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, VI (1867), pp. 102-112. È una nota letta all'Accademia di Napoli il 18 agosto 1867. L’autore l’ha ripubblicata nei Saggi di critica [77], pp. 329-340, in appendice alla ristampa del saggio Del principio della riforma.., nel secolo XVI [30], come “chiarimento” tratto dalle lezioni bolognesi di storia della filosofia (1860- 61), e dalle lezioni napoletane del 1864-65. 76. Principii di filosofia, vol. I, Napoli 1867, pp. XXXV-248. 2436 L’opera, che si pubblicava a dispense, è rimasta interrotta. Comprende una prima sezione (La conoscenza) che riassume parzialmente il contenuto della Feromzenologia (è caduta tutta la parte cosiddetta “storica” del testo hegeliano), e una seconda sezione (La logica), che riproduce liberamente il contenuto della Wisserschaft der Logik, fino alla prima parte della logica dell’essenza (capitolo secondo della prima sezione: la differenza). L'esposizione della logica hegeliana accoglie i risultati del saggio sulle Prizze categorie [70], e si appoggia spesso ai manuali più noti, circolanti in ambiente hegeliano (Kuno Fischer, Karl Rosenkranz ecc.). Nelle “aggiunte” che S. introduce nel corso dell’esposizione sono frequenti i riferimenti e i confronti con i filosofi italiani, anche contemporanei. S. aveva esposto, e continuò ad esporre più volte la Logica di Hegel nei suoi corsi napoletani: secondo una testimonianza di Maturi, raccolta da Gentile, tre volte tra il 1862 e il 1869. In base a un manoscritto affidatogli da Maturi, Gentile poté pubblicare nel 1911 l'esposizione completa della logica di Hegel fatta dallo S. (102 = Opere, III, pp. 1-429). Interessante — e assai nota — la prefazione dei Principi; nella quale l’a. rifà la storia del proprio cammino, e ribadisce le ragioni del suo idealismo, in un clima filosofico ormai mutato o prossimo a mutare radicalmente. 77. Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, vol. I, Napoli 1867, pp. VIII-403. L’a. cominciò a raccogliere e a ristampare i suoi scritti in questo primo volume di Saggi, rimasto poi unico. Una “seconda edizione” della raccolta porta la data del 1886; ma anche in questo caso, come per la Filosofia di Gioberti [69], 2437 è mutata solo l’indicazione dell’editore (Morano, anziché: Stab. tip. Ghio), e quindi il frontespizio. Nel volume sono ripubblicati, raggruppati sotto quattro titoli, i nn. 19, 21, 46 (con il titolo: Tomzzaso Campanella), 15, 54, 72, 73 (con il titolo: Giordano Bruno), 30 (con il titolo: Del principio della riforma ...), 42 e 57 (con il titolo: Terengio Mamiani) di questa bibliografia. Alle pp. VI-VIII, l’a. ci offre un elenco generale dei saggi che si proponeva di ristampare nei prossimi volumi. Oltre a quelli già compresi in questo primo, avrebbero dovuto essere ripubblicati — raggruppati, anch’essi, sotto diversi titoli — gli scritti che in questa bibliografia compaiono con i nn.: 40, 51 (titolo: Roswzini) 66, 37 (Kant) 68, 71 (Gioberti) 70, 11 (Hegel) 62 (Socrate) 67 (Carattere e sviluppo ecc.) 61, 59, 48, 29, 36, 41, 56, 58, 64, 32, 44, 55, 38, 35 (Scorse bibliografiche). Un ultimo gruppo di nove saggi, sotto il titolo: Polerzica con la “Civiltà cattolica”, doveva comprendere una scelta degli articoli pubblicati nel “Cimento”; ma i titoli forniti in questo elenco non corrispondono sempre a quelli originali. L’elenco dei saggi compilato da S. fornì a Gentile un valido strumento per rintracciare molti scritti del filosofo, ed un primo criterio generale per la sua edizione delle opere del maestro [96]. La raccolta spaventiana dei Saggi di critica è stata ristampata nel 1928 con il titolo: Rinascimento, Riforma, 2438 Controriforma [112]. 78. Paolottismo, positivismo, razionalismo, lettera al prof. A. C. De Meis, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, II (1868), vol. I, fasc. 5, pp. 429-441. La “lettera”, che porta la data: 8 maggio 1868, è una chiara testimonianza dell’ “umanismo” di S.;} ed è anche un attacco violento rivolto contro certe alleanze strette in quegli anni tra cattolici e positivisti. Ricca di “sarcasmo heiniano”, come notò il Gentile, ha conservato gran parte della sua freschezza, ed è uno dei documenti che più hanno attirato l’attenzione dei critici. È ristampata negli Scritti filosofici [96], pp. 291-314 (= Opere, I, pp. 477-501), con una serie di note che ne chiariscono la genesi e i numerosi riferimenti. 79. Studi sull’etica hegeliana. L’assoluto, il relativo e la relavione assoluta, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, III (1869), serie II, vol. I, fasc. 4, pp. 911-558. È il “proemio” agli Studi sull’etica hegeliana [cfr. n. seg.], del quale l’a. ha anticipato qui la pubblicazione. Il proemio ha, del resto, una sua autonomia: è destinato ai sostenitori del positivismo, per mostrar loro che nell’idealismo hegeliano sono già accolte, anzi soddisfatte, le esigenze fondamentali della filosofia positiva. 80. Studi sull’etica hegeliana, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, IV (1869), pp. 271-440. Cfr. n. precedente. Libera esposizione dell’etica hegeliana, che ripercorre i 2439 motivi centrali della Filosofia del diritto. Occasione esterna dello scritto fu un rilievo di T. Mamiani, il quale osservò che la filosofia di Hegel comporta la negazione della vita morale. L’esposizione di S. si apre con un esame dei presupposti metafisici dell’etica; e contiene, nel suo sviluppo, interessanti riferimenti a questioni attuali (alle polemiche sulla pena di morte, per esempio, e alle difficoltà interne alla monarchia costituzionale). Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel 1904 (97 = Opere, I, pp. 595 sgg.). 81. De’ limiti della cognizione, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, X (1871), pp. 71-75; e in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. II, pp. 43-56. Nel “Giornale napoletano” alla ristampa, col titolo Su limiti della cognizione, della nota del 1871 (pp. 43-47) è aggiunta la discussione di un’opera del Savarese del 1856 (pp. 47-56). L’intero saggio è ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 315-332 (= Opere, I, pp. 503-521). 82. Recensione: La vita di Giordano Bruno, scritta da D. Berti, Torino 1868; in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. I, pp. 1-25. Severa recensione dell’opera del Berti; ripubblicata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 65-102 (= Opere, II, pp. 71-105). 2440 83. Sulle psicopatie in generale, in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. I, pp. 127-136; 186- 192; 321-352; 353-377. A proposito di una lezione di Salvatore Tommasi Sulle psicopatie, il cui testo fu pubblicato nel “Morgagni” [Napoli], luglio-agosto 1871, pp. 445-458. Con questa serie di articoli S. interviene anche nella polemica nata dalle osservazioni di Luigi De Crecchio (pubblicate dallo stesso “Morgagni”), alle quali rispose Tommasi in due lettere che replicano ad altrettanti scritti polemici del De Crecchio. La lezione Sulle psicopatie e le due risposte si possono leggere in S. Tommasi, I/ naturalismo moderno, scritti vari a cura di A. Anile, Bari 1913, pp. 155-170, 171-182, 183-193. La discussione sulla natura delle psicopatie è ripresa da S. sul piano di un discorso che abbraccia il problema generale del rapporto tra fatti organici e funzioni psichiche; il filosofo vuoi mostrare che l’idealismo hegeliano ha già superato le difficoltà “metafisiche” che sembrano rinascere sul piano della scienza. L’anima si distingue certo dal corpo, non però in virtù di una distinzione reale, sostanziale, ma come “funzione” e “processo” psichico, come “senso di sé” irriducibile ad una somma di elementi fisici o chimici: in questo senso le psicopatie non possono ridursi ad una semplice alterazione fisica o chimica dell’organismo. Gli articoli di S. sono ristampati in Da Socrate a Hegel [98], pp. 339-430 (= Opere, II, pp. 321-404). La citata raccolta di scritti del Tommasi contiene in appendice un saggio di G. Gentile, La filosofia di Salvatore Tommasi (pp. 273-298), in cui sono accostate la prolusione del medico-filosofo: Il naturalismo moderno (del 15 2441 novembre 1866), e alcune pagine dei Principi di filosofia di S4 [76]: 84. Note sulla metafisica dopo Kant, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XII (1873), pp. 87-90. È una breve nota che riprende l'argomento già introdotto nel proemio agli Studi sull’etica begeliana [79], e che fu letta all Accademia napoletana il 17 ‘agosto 1873; è stata ristampata da Gentile nella raccolta degli Scritti filosofici [96], pp. 333-338 (= Opere, I, pp. 523-529). 85. La legge del più forte, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XIII (1874), D. 75-85. Saggio breve, ma importante, che discute dal punto di vista idealistico la dottrina di Darwin. Fu letto all'Accademia napoletana il 3 settembre 1874; lo ha ristampato Gentile nella raccolta degli Scritti felosofici [96], pp. 339-352 (= Opere, I, pp. 531-544). 86. Idealismo o realismo? Nota sulla teoria della conoscenza: Kant, Herbart, Hegel, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XIII (1874), pp. 87-97. La breve nota, letta all’Accademia di Napoli il 6 settembre 1874, è stata ristampata negli Scritti filosofici [96], pp. 353-366 (= Opere, I, pp. 545-559). 86 bis. Una delle principali difficoltà della Fenomenologia dello spirito, in “Rendiconto delle tornate 2442 e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XV (1876), pp. 10-14. Riproduce, con lievi modifiche, alcune riflessioni che si leggono in una lettera al fratello Silvio dell’ottobre 1857 (cfr. Silvio Spaventa, Da/ 1848 al 1861... [125], 19232, pp. 239- 243). 87. Gli spaventiani spaventati, in “Fanfulla” [Roma], 26 marzo 1876. È uno scritto satirico, in forma di lettera, documento della polemica nata dalle critiche di F. Acri allo scritto di F. Fiorentino: Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 1860 (1874). La lettera si può leggere in F. Fiorentino, La filosofia contemporanea in Italia [158], pp. 467-471. 88. Kant e l’empirismo, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), pp. 41. È un ampio studio (ristampato da Gentile negli Scritti filosofici [96], pp. 81-114 = Opere, I, pp. 257-291), nel quale si intrecciano motivi tratti da antiche riflessioni, rinnovate a contatto o in polemica con gli sviluppi del “nuovo” empirismo, nato in Germania come revisione o come critica radicale dei risultati della filosofia di Kant. Il saggio anticipa una serie di argomentazioni e di conclusioni che saranno elaborate in un manoscritto del 1881, edito nel 1915 dal Gentile con il titolo: Introduzione alla critica della psicologia empirica [105]. 89. Osservavi ioni del socio Spaventa sulla 2443 interpretazione letta dal socio Bonghi di un luogo di Platone (Repubblica, X, 611a), in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), pp. 7. Le Osservazioni sono ristampate in Scritti filosofici [96], pp. 367-376 (= Opere, I, pp. 561-569). Nella ristampa, Gentile fornisce chiarimenti sulla discussione sorta attorno alla memoria del Bonghi: Una prova dell'immortalità dell'anima nella “Repubblica” di Platone (pubblicata nello stesso volume degli “Atti”). 90. La sintesi a priori e il nesso causale, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), pp. 14-16; e in “Giornale napoletano della domenica”, I, n. 18, 30 aprile 1882. È il sunto di una memoria letta all’Accademia di Napoli il 2 aprile 1882. È ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 379-382 (= Opere, L pp. 573-576); nel pubblicarlo, Gentile osserva che il sunto anticipa in forma contratta gli argomenti sviluppati nel secondo capitolo di Esperienza e metafisica [94], sicché la memoria intera si identifica con quel capitolo dell’opera di S. pubblicata postuma, nel 1888. 91. Un luogo di Galilei, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), pp. 5-8. Sunto di una memoria letta all’ Accademia napoletana il 3 luglio 1882; è ristampato in Scritti filosofici [96], pp. 383- 387 (= Opere, I, pp. 577-581). Cfr. le notizie date da Gentile intorno a questo breve scritto: il luogo di Galilei riguarda il 2444 rapporto tra intelletto divino e intelletto umano, ed è tratto dalla Giornata prima, in fine, dei Dialoghi sui massimi sistemi; il sunto (e quindi la memoria) ha una evidente relazione con il capitolo XII di Esperienza e metafisica [94]. 92. Un fatto logico e un problema metafisico, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (settembre 1882), pp. 3-10. La logica formale ci insegna che da ogni determinazione del pensiero è possibile derivare sempre una nuova (anche solo formalmente) determinazione; ma è incapace di attingere il principio di questa “generazione”, di cogliere quella “produttività più alta e originaria” che sembra identificarsi con la “produttività del pensiero in generale”: così conclude S. questa nota letta all’ Accademia di Napoli il 4 settembre 1882, e ristampata poi dal Gentile negli Scritti filosofici [96], pp. 389-399 (= Opere, I, pp. 583-594). 93. Esame di un’obbieione di Teichmiiller alla dialettica di Hegel, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XVIII (1884), pp. 28. Questa memoria apparve negli Atti dell’Accademia napoletana dopo la morte di S., ma era già uscita in estratto — riferisce Gentile, ristampandola negli Scritti filosofici [96], pp. 253-276 (= Opere, I, pp. 439-462) — l’anno stesso della scomparsa del filosofo (1883); il quale ne aveva letto un sunto il io dicembre 1882, che fu pubblicato nel “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (novembre- dicembre 1882), pp. 23-24. 2445 La memoria riprende il problema della interpretazione della logica hegeliana, già impostato nel saggio sulle Prize categorie [70], ampliandone e in parte rinnovandone la discussione sotto lo stimolo delle riflessioni, maturate negli ultimi anni, sui progressi delle scienze naturali e della nuova psicologia. L’obbiezione alla dialettica di Hegel, a cui S. si riferisce, è nello scritto Die wirkliche und scheinbare Welt, 1882, dell’herbartiano G. Teichmiller; il quale ricorda lo scritto e la figura dello S. nella sua Religronsphilosophie, del 1886. B. SCRITTI PUBBLICATI DALLA SCUOLA 94. Esperienza e metafisica. Dottrina della cognizione, Torino 1888, pp. XIX-274. Importante lavoro, pubblicato postumo a cura di Donato Jaja, il quale rende conto dei criteri adottati per l'edizione nella prefazione indirizzata a Silvio Spaventa. Jaja accenna agli ultimi studi di S., che, a partire dal 1870, si interessò esclusivamente della nuova filosofia dell’esperienza (p. VII), e vide e volle mettere in chiaro il concetto di una “nuova” metafisica, che non è quella avversata dai positivisti. Su questa idea e sul problema della nuova metafisica Jaja ritornerà, con un riferimento diretto a S., nella sua prefazione agli Scritti filosofici [96] curati da Gentile. Il manoscritto di Esperienza e metafisica fu elaborato da S. tra il 29 novembre 1881 e i primi di dicembre del 1882; rifluiscono in esso alcuni brevi scritti dati alle stampe in precedenza [cfr. nn. 90, 91]. Nel volume è ristampato, in appendice, l’abbozzo di un saggio su Protagora del giugno- luglio 1880, che ha una evidente relazione, per la data della composizione e per il contenuto, con il frammento sulla 2446 dialettica hegeliana edito da Gentile nel 1913 [103]. L’introduzione dell’a. all'opera, per la quale sembra avesse scelto egli stesso il titolo con il quale fu poi pubblicata, è un interessante bilancio della storia della filosofia negli ultimi vent'anni. La domanda, che presenta in forma semplificata il problema implicito in tutte le discussioni e in tutte le polemiche più recenti, riguarda la possibilità di una metafisica, dopo la critica kantiana. Il tema è trattato da S. attraverso una serie di riferimenti a Kant, in primo luogo, poi alla Ferorzenologia e ai problemi della logica hegeliana, a Darwin, a Spencer, a Stuart Mill, e, in generale, alle correnti e alle dottrine che confluiscono nel cosiddetto positivismo; il lavoro appare interrotto in quelle pagine nelle quali l’a. riprende il tema già abbozzato in Ur luogo di Galilei [91]. 95. Una legione di Bertrando Spaventa (la prima dell’anno 1864-65), pubblicata da Sebastiano Maturi, Napoli 1901, pp. 19. Sul rapporto tra scienza (= scienze particolari) e filosofia (“quella sola che realizza l’umanità del sapere”). La lezione non è stata mal ristampata. C. OPERE EDITE DA GIOVANNI GENTILE* 96. Scritti filosofici, raccolti e pubblicati con note e con un Discorso sulla vita e sulle opere dell'autore da Giovanni Gentile e preceduti da una prefazione di Donato Jaja, Napoli 1900, pp. CLII-408. Nella raccolta sono ristampati (pp. 1-399 = Opere, I, pp. 171-594) gli scritti di S. ordinati in questa bibliografia con i 2447] nn. 66, 88, 67, 71, 70, 93, 74, 78, 81, 84, 85, 86, 89, 90, 91, 92: La breve prefazione di Jaja (pp. VII-XVII) condensa in poche pagine una decisa — e chiara, nella sua tematica semplificata — interpretazione della filosofia di S., interpretazione che costituìù per lo stesso Jaja un presupposto del proprio pensiero, e che era destinata a passare nella rielaborazione attualistica della problematica spaventiana. Il punto di partenza della nuova filosofia è nell’idealismo kantiano (preparato da Vico: secondo la “scoperta” di S.); è, chiarisce Jaja, nel tentativo di “spiegazione o intellezione, prima che degli avvenimenti che la storia registra, del grande, unico, perenne e perpetuo avvenimento, che è l’atto stesso dell’intellezione, l’atto del conoscere, il conoscere” (p. IX). Questa è l’eredità, questo il problema dell’idealismo “nuovo” (o “post-kantiano” o “assoluto”). La filosofia si riduce all’analisi della “potenza conoscitiva”; analisi iniziata da Kant, completata, nelle linee essenziali, da Hegel, ma “aperta sempre al pensiero speculativo”, giacché “per la difficoltà sua e per la nuova soluzione che prepara a tutti i problemi della vita, deve essere un farsi e rifarsi perenne nella umana coscienza”. Conclude Jaja: “Se analisi è luce, non poca è la luce di cui si ha bisogno, perché la potenza conoscitiva, così varia e complessa nei suoi elementi e nella costituzione sua, e nondimeno una sempre e identica a se stessa in tutti i periodi di sua storica esistenza, in tutta la sua sterminata esistenza, passi dallo stato iniziale dell’esser suo al suo stadio finale, non sopprimendo alcuno dei suoi interni stimoli, ma dando a tutti una più ordinata e sana e compiuta soddisfazione. Di quest’analisi splendono gli scritti, che in questo volume si ripubblicano, di B. Spaventa, e tutti gli altri suoi” (p. XIV). 2448 Il “discorso” di Gentile Della vita e degli scritti di B. S. (pp. XXI-CLII; ristampato con integrazioni e modifiche nel 1924, cfr. 204), che si conclude con la prima bibliografia delle opere del filosofo (pp. CXLI-CLII), è diviso in sette paragrafi. Il primo (pp. XXI sgg.) raccoglie le notizie intorno agli studi e alle vicende di S. fino al 1850; va notato l’accenno all’influsso esercitato da O. Colecchi, il rilievo dato alla figura di S. Cusani (e alla sua “retta” interpretazione del concetto kantiano di categoria), infine l’assunzione delle idee espresse da Silvio S. sul “Nazionale” (“un giornale... politico filosofico arieggiante in qualche modo quelli della sinistra hegeliana tedesca”, p. XXXI) come documento delle prime convinzioni etico-politiche di S. Il secondo paragrafo (pp. XXXV sgg.) tratta degli esordi di S. scrittore a Torino (Studi sopra la filosofia di Hegel, primi lavori su Bruno, ecc.), con qualche riser va sul carattere “tra l’enfatico e il declamatorio” di questi scritti (p. XLII). Agli articoli contro la “Civiltà cattolica” è dedicato il terzo paragrafo (pp. XL11I sgg.): fornisce le notizie essenziali intorno alla polemica, e ai periodici “Il Cimento” e “Il Piemonte”, che l’ospitarono; e qualche indicazione sulle rassegne e sulle recensioni apparse sul “Cimento” e sulla “Rivista contemporanea”, nel decennio torinese di S. (1850-59). G. sottolinea il pregio anche letterario degli scritti polemici di S., nei quali l’a., “ingegno satirico”, Si serve con bravura dell’ “ironia”: un’ironia che coincide con la stessa “ironia della storia”, che veniva “ineluttabilmente trionfando degli antichi pregiudizi e interessi” della “vecchia reazione” contrapposta alle “nuove libertà” (p. LIV). Il quarto paragrafo, il più ampio di tutti (pp. LV-XC), è dedicato alla teoria della “circolazione del pensiero italiano”: che è — giudica ora G. — “il maggior titolo” di S. storico e filosofo (p. LV), un’ “intuizione geniale”, “che è, 2449 ripeto, la parte più originale dell’opera sua” (p. LKXXTX). G. distingue due parti o momenti nella costruzione della teoria, analizzandone minutamente l’elaborazione: gli studi sul Rinascimento (Bruno, Campanella, e il loro rapporto con Cartesio e Spinoza), poi quelli su Galluppi, Rosmini e Gioberti (con particolare attenzione al volume del 1863) e la posizione del rapporto Vico-Kant (che, malgrado Jacobi, non ha veri precedenti, e resta una “scoperta” autentica di S.). Nel quinto paragrafo (pp. XC-CXV) G. ricorda le vicende relative alla chiamata di S. a Napoli, introduce una rapida, netta caratterizzazione dell'ambiente napoletano (sono rimaste le pagine su “il tipo del giobertiano di Napoli”: pp. XCIII sgg.), riassume la polemica con L. Palmieri sulla “nazionalità” della filosofia. Passa quindi a trattare dei corsi di S. e dei suoi studi hegeliani, in primo luogo della memoria su Le prize categorie “dove si agita e risolve in maniera originale il problema fondamentale della dialettica hegeliana, che è pure il problema fondamentale di tutta la filosofia di Hegel” (p. CI). Lo studio di S., qui riassunto, è giudicato “assai rilevante”; G. ne richiama i precedenti (K. Werder, K. Fischer), lamentandosi — con Labriola — della scarsa attenzione che questi lavori hanno destato fuori d’Italia. Si occupa poi dei Prizcipi di filosofia e degli Studi sull’etica hegeliana, battendo sul carattere non dommatico dell’idealismo di S. (“non si chiuse mai in quell’astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere sperimentale”, p. CVII), ricordando l'affermazione — contenuta nei Principi — del carattere pratico del sapere (“la chiave d’oro della nuova gnoseologia dopo Kant”, già individuata da Marx, e ancora da sviluppare convenientemente, p. CVIII sg.), e riferendo estesamente le discussioni sulla pena di morte e la posizione assunta da S., diversa da quella del Vera (distinto da S., secondo uno 2450 schema ormai corrente, come campione dell’ “ortodossia”). Ricorda, G., il corso di antropologia del 1863-64, e conclude: “Di tal fatta erano tutti i suoi corsi. L’anima ispiratrice era sempre l’hegelismo; ma la sentenza hegeliana riceveva il conforto della storia ed era posta a cimento con le più recenti dottrine; infine raffrontata sempre a quelle dei nostri filosofi e come italianizzata e fatta nostra” (p. CXIII). Con le notizie intorno alla fondazione del “Giornale napoletano di filosofia e lettere” e alla lotta contro il “paolottismo” fiorentino si apre il sesto paragrafo (pp. CXVI-CXXXIII); che discute ampiamente lo scritto sulle psicopatie, l’interpretazione del darwinismo (“e anche in questa accettazione del trasformismo naturale il Nostro opponevasi agli insegnamenti di Hegel”, p. CXXII), infine Esperienza e metafisica (con i testi connessi), analizzando la tematica della “nuova metafisica” (il concetto di apriori, del trascendentale, ecc.; interessante, a p. CKXXIII, la saldatura tra questi studi e il saggio sulle Prizze categorie: “Questa sintesi [i.e. la sintesi apriori “presupposta” da Kant] da Hegel è rintracciata nella sua prima origine, nella forma più astratta, indeterminata: nel concetto del divenire dell'essere che è non essere, in quanto è pensiero, come l’autore aveva dimostrato nella memoria sulle Prizze categorie”). L'ultimo paragrafo (pp. CXXXIII-CXXXTX) tratta dello scritto contro Teichmuller sulla dialettica hegeliana, e si chiude con un “ritratto” del filosofo (G. si richiama anche alla commemorazione di Fiorentino: cfr. n. 163) e con una dedica “ai giovani” del volume: che imposta «i problemi fondamentali del pensiero moderno” e offre un sicuro orientamento per il futuro sviluppo degli studi filosofici, riassumendo l’opera di S. “le nostre tradizioni genuine, donde bisogna trarre gli auspici”. Dopo la bibliografia degli scritti di S. — che G. 2451 ripresenterà, corretta anch’essa e accresciuta, nella monografia del 1924: cfr. n. 204 — il curatore introduce una breve nota per chiarire i criteri della raccolta, tracciando anche il piano dei prossimi volumi. Gl Scritti filosofici raccolgono per ora i saggi più rilevanti, e “originali”, dell’a., dispersi in atti accademici e riviste non facilmente reperibili. L’elenco dei saggi spaventiani, introdotto dal filosofo nella raccolta del 1867 [cfr. n. 77] costituì per G., oltre che una guida per la ricerca, un criterio di scelta (G. rispetta l’esclusione dalla ristampa degli Studi sopra la filosofia di Hegel, e dei Frammenti del 1852); e un criterio, infine, per l'ordinamento degli scritti. 97. Principi di etica, Napoli 1904, pp. XXIII-181. Ristampa degli Studi sull’etica hegeliana (80 = Opere, I, pp. 595 sgg.). Alle pp. 173-181, G. inserisce due brani tolti dai Principi di filosofia [76]: dalle pp. 94-97 (Concetto della filosofia. Relazione della filosofia con l’esperienza); dalle pp. 65-75 (Il processo dell’autocoscienza riconoscitiva). Nella prefazione (ristampata in G. Gentile, Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, pp. 141-158), dopo aver difeso lo stile e il linguaggio filosofico di S., G. si sofferma su due punti di qualche importanza; il rapporto tra diritto e moralità in Hegel (e in S.), il concetto e la collocazione del “sopramondo” (arte, religione, filosofia) nel sistema. Particolarmente interessante l’intervento sulla prima questione: la precedenza — ideale — del diritto (del diritto “astratto”, che non va confuso col diritto positivo, col diritto come legge) rispetto alla morale, come suo elemento costitutivo, non autorizza l’identificazione della dottrina hegeliana con quella “associazionistica”, che fa del sentimento del dovere un semplice effetto della sanzione. La 2452 discussione di questo punto consente a G. di toccare la questione dello “stato etico”, e di respingere l’interpretazione secondo la quale Hegel fa dipendere la morale dallo stato. È lo stato, anzi, che si fonda sulla morale; “né può dirsi, che Hegel torni col suo ideale dello stato al concetto pagano, per cui l’uomo esisteva per lo stato, e non lo stato per l’uomo... [perché] uomo e stato sono unu et idem” (p. XIX = Opere, I, p. 607). G. risponde così, senza nominare l’autore, a un rilievo di F. Masci (“Kant aveva considerato lo stato come mezzo, Hegel lo concepì come fine. Retrocesse così fino al concetto pagano, che l’uomo esiste per lo stato, non lo stato per l’uomo...”: La libertà nel diritto e nella storia secondo Kant e Hegel, Napoli 1903, p. 43). 98. Da Socrate a Hegel, nuovi saggi di critica filosofica, Bari 1905, pp. XVI-430. Ristampa (cfr. ora Opere, II, pp. 1-104) degli scritti ordinati in questa bibliografia con i nn. 62, 53, 82, 61, 37, 40, 51, 17, 59, 29, 41, 48, 56, 83. La prefazione di G. (ripubblicata in G.G., Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, pp. 167-175) spiega, in primo luogo, il sottotitolo (“nuovi saggi”): la raccolta viene presentata come “compimento” del “disegno dell’autore”, parzialmente realizzato con i Saggi del 1867 [77]. Un volume a sé costituiranno gli articoli ristampati poi sotto il titolo La politica dei gesuiti [101]; altri scritti (le False accuse contro l’hegelismo, 11) non sono stati ancora rintracciati dal curatore; G. dà notizia, infine, della scoperta dello studio Sulla quantità [I]. Non era prevista da S. la ristampa de La filosofia neocristiana e il razionalismo in Alemagna, ma il curatore ha voluto includere l’articolo, per il suo pregio 2453 intrinseco, e per la diffusione che ebbe in Italia la filosofia del diritto di J. Stahl, criticata qui da S. Concludono la prefazione alcune osservazioni sulla “forma clandestina” che ebbe l’attività letteraria del filosofo, e l'invito a riannodare, attraverso S., il “filo prezioso” della tradizione filosofica italiana; degna di rilievo la proposta — già introdotta, in forma diversa, nel Discorso del 1900 — di un parallelo S. — De Sanctis: “quello che furono per la letteratura i Saggi critici del De Sanctis, furono per la filosofia i Saggi di critica dello Spaventa” (p. XIV = Opere, II, p. 8). Tra le recensioni, va ricordata quella, positiva, di M. Losacco (Pagine sparse di B. S., “Fanfulla della domenica”, 20 maggio 1906; poi in M. L., Educazione e pensiero, Pistoia 1911, pp. 195-201), che sottolinea l’importanza degli articoli sulle psicopatie (de La frlosofia neocristiana e il razionalismo inAlemagna e di altri scritti spaventiani dedicati a Schelling discorre M. Losacco nella rassegna: La filosofia dello Schelling in Italia, in “La cultura contemporanea” [Roma], V, 1913, pp. 198-212; cfr. in particolare pp. 208-210). Una stroncatura di Giuliano il Sofista [= Giuseppe Prezzolini], in “Leonardo”, III (1905), ottobre-dicembre, pp. 204-209, denuncia il “profondo e fondamentale misticismo, accompagnato da forme teologiche e da espressioni religiose”, della dottrina di Hegel e di Spaventa. 99. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, nuova edizione con note e appendice di documenti, Bari 1908, pp. XXII-307; terza edizione, Bari 1926, pp. XXIII-307. Ristampa, con il titolo cambiato dal curatore “in quello più determinato che era suggerito dallo stesso argomento del libro”, della Prolusione e introduzione del 1861-62 (68 = 2454 Opere, II, pp. 405-719); con l’aggiunta, in appendice, delle lettere (anch’esse del 1861-62) tratte dal carteggio tra Silvio e Bertrando S., e già pubblicate da G. nel 1901 [127]. La prefazione di G. (ristampata con il titolo La filosofia italiana e B.S. in G. G., Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 197-208) è particolarmente importante, per due motivi. Primo, perché G. ribadisce la continuità tra il programma spaventiano del 1862 e il compito attuale della filosofia (sua giustificazione come “sapere assoluto”). La ricostruzione dei momenti attraverso i quali S. conquistò per sé, in queste lezioni, l’unità del punto di vista storico e del punto di vista scientifico (“il libro pare una polemica, ed è una ricerca; pare una mera storia, ed è una fenomenologia dello spirito, cioè vera e propria filosofia”) introduce G. alla discussione (allargata attraverso un rinvio esplicito allo scritto del 1907 I/ circolo della filosofia e della storia della filosofia) del secondo punto: identità di filosofia e storia della filosofia (grande storico è chi realizza, come S., la legge dell’identità di filosofia e storia della filosofia), identità e distinzione di storia delle idee e storia biografica, di storia delle idee e storia della civiltà. Se una riserva si può avanzare contro questa “storia” di S., essa riguarda la denuncia della responsabilità della chiesa cattolica, che avrebbe impedito il libero sviluppo del pensiero italiano del Rinascimento, e determinato il “vuoto” tra Campanella e Vico, tra Vico e Galluppi. Ma la prospettiva storiografica di S. resta, agli occhi di G., salda e valida tuttora. L’edizione del 1926 si avvale di un accurato raffronto con il testo del 1862 e scioglie e rende espliciti molti riferimenti di S. ai filosofi del Rinascimento. Tra le edizioni scolastiche della Filosofia italiana, va ricordata, in primo luogo, quella curata dallo stesso Gentile 2455 per la casa editrice Sansoni, Firenze 1937; poi un'edizione a cura di G. Tarozzi, Torino 1937; una a cura di E. Vigorita, Napoli 1938; una a cura di G. Ponzano, Padova 1941; e quella più recente curata da B. Widmar, Roma 1955. 100. Due frammenti di uno scritto inedito di B. Spaventa contro il positivismo (I. La relatività della conoscenza secondo E. Littré; II. La smaterializzazione del cervello), in “La Critica”, VII (1909), pp. 479-484; VII (1910), pp. 67-73. Si tratta di due frammenti dell’Introduzione alla critica della psicologia empirica, pubblicata per intero nel 1915 [105]. 101. La politica dei gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. Polemica con la “Civiltà cattolica” (1814-T1), Milano- Roma-Napoli 1911, pp. XXXIV-312. Sono ripubblicati qui, nell’ordine, gli articoli e le recensioni contrassegnate in questa bibliografia con i nn. 20, 24,31, 45, 47, 49; 50,52, 28, 23,25, 21,,33,34; 38(ctr. Opere, II, pp. 721-1020). Molto importante la prefazione (si può leggere anche in G. G,, Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 173- 196, dov'è ristampata con il titolo Gt scritti politici di B. S.) anche come documento della presa di posizione di Gentile, in questi anni, sulla questione dei rapporti tra lo stato e la chiesa. La prefazione si può dividere in due parti. La prima contiene una analisi delle opposte ragioni che si scontrano nelle polemiche sulla separazione della chiesa dallo stato, in Piemonte, nel decennio di preparazione. Sono due logiche che si oppongono; quella dei gesuiti, più stringente, ma 2456 formale (la logica “della morte”), e quella della politica di Cavour, la logica “della vita”, una logica forse “zoppicante”, ma conforme alla realtà, che “non è così impeccabilmente logica, come la vorrebbe la logica dei gesuiti; e si contenta, anzi vive di contraddizioni che è atta essa stessa a risolvere” (p. XI = Opere, II, p. 727). La vera religione dello Statuto era quella consentita dalla eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la religione dello stato “che non riconosce se non se stesso, e nel cittadino non vuole se non il cittadino: la religione immanente al luogo della cattolica apostolica romana” (p. XII = Opere, II, p. 728). Nella seconda parte, G. chiarisce le occasioni delle polemiche di S., ricostruisce il programma del “Cimento”, traccia un profilo dei suoi collaboratori, e riconosce a S. un gran merito: “B. S. con la sua filosofia diede alla politica cavouriana la coscienza della logica che vi era immanente: che non era propriamente la logica della separazione della chiesa dallo stato, ma della negazione (e conservazione) della chiesa nello stato” (pp. XXIX sg. = Opere, II, p. 742). La fede nella immanenza del divino in tutte le forme della vita, e quindi nello stato, in quanto tale, consentì a S. di muovere, fin dal 1854-55, “in soccorso della politica emancipatrice dello stato”; la lotta non ebbe allora pieno successo, ma dagli scritti di S. è possibile trarre ancora serie indicazioni. “E poiché la lotta non è terminata e c’è sempre una chiesa, in Italia, contro lo stato, e questo ha sempre bisogno di acquistare la coscienza distinta della propria laicità, che è la infinità stessa, di cui parlava lo Spaventa, quel che la sua opera politica non ottenne nel decennio, l’otterrà senza dubbio, senza fretta, lungo il cammino della nostra democrazia nella libertà” (p. XXXII = Opere, II p. 744). Da La politica dei gesuiti edita da Gentile dipendono due edizioni più recenti di questi articoli di S.: la scelta a cura di 2457 F. Fergnani (B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano 1951; cfr. n. 249), e quella curata da F. Alderisio (B. S., Lo stato moderno e la libertà di insegnamento, Firenze 1962 [cfr. n. 272]). Agli studi di S. sulle dottrine dei gesuiti, anticipatori, nel secolo XVI, di Rousseau e della sovranità popolare, si riferisce in più luoghi G. Saitta, La scolastica del secolo XVI e la politica dei gesuiti, Torino 1911, pp. XI-311, soprattutto nella seconda parte (pp. 113 sgg.), in cui sono esaminate le dottrine di Suàrez, Bellarmino, Mariana. Va segnalato infine un articolo pubblicato sull’ “Avvenire d’Italia” del 28 febbraio 1935 (I/ domina dell’immacolata e B.S.) che contiene un aspro attacco contro il filosofo (ma anche grossolani errori a proposito del testo spaventiano; cfr. La leggenda dell’idealismo, “Giornale critico della filosofia italiana”, XVI, 1935, pp. 426 sg... 102. Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di parti inedite, Bari 1911, pp. XI-456. Ristampa dei Principi di filosofia (76 = Opere, III, pp. 1- 429) con l’aggiunta dell’ultima parte, rimasta fin qui inedita. Maturi — che ebbe modo di ascoltare più volte, tra il 1862 e il 1869, il corso di logica di S. — fornì a G. una copia dell'intero testo spaventiano. “Così abbiamo finalmente in Italia una esposizione completa di questa logica, e una esposizione magistrale, che viene incontro al bisogno sempre più vivo e sempre più largamente sentito, di essere guidati a penetrare nel segreto processo di questa nuova intuizione del mondo (ancora da conquistare nella sua integrità), che è risoluzione assoluta della natura nello spirito, della realtà nella sua coscienza, dell'esperienza nella logica pura” (p. X = Opere, III, p. 6). 2458 Gentile ha curato anche una edizione scolastica di Logsca e metafisica, Firenze 1933; un’altra edizione per le scuole è quella a cura di E. Vigorita, Torino 1940. 103. Frammento inedito, in G. GENTILE, La riforma della dialettica begeliana, Messina 1913, pp. 45-71; ora in G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, vol. XXVII, pp. 40-65. Il frammento, come ha stabilito Gentile, risale al 1880- 1881. Riprende, e conclude — anche attraverso riferimenti polemici alla Logigue de Hegel di A. Vera — la discussione sulle Prizze categorie, del 1863-64 [70], correggendo la prima interpretazione o “riforma” della dialettica hegeliana (“prima non appariva bene che il pensare è, per dir così, l’essere stesso dell’essere; appariva quasi come una funzione meramente soggettiva”, Opere, XXVII, p. 63) e richiamando nel discorso altri studi (più recenti, come lo scritto sulle psicopatie [83], pp. 52 sg., e La legge del più forte [85], p. 53; ma anche l’analisi della distinzione giobertiana di riflessione psicologica e riflessione ontologica, pp. 54 sgg). Il testo spaventiano (ora in Opere, III, pp. 431-462) è stato pubblicato da G. in appendice al primo scritto (La riforma della dialettica hegeliana e B. S., con appendice; porta la data: 1912) della raccolta, che da quel famoso studio prese il titolo generale; e viene presentato come il documento che giustifica lo schema di derivazione: Hegel- Spaventa-Gentile. Il frammento presenta una impostazione del problema della dialettica hegeliana molto prossima alla soluzione attualistica (anche nella espressione verbale: “In altri termini, lo spettatore è anco attore. O, come dice Hegel in generale: la categoria non è soltanto essenza o semplice unità dell'ente, ma è tale unità solo in quanto è attualità 2459 mentale. E attualità vuoi dire atto: l’essere è essenzialmente atto del pensare”, pp. 47 sg.; cfr. pp. 55, 60 sg.); nei paragrafi settimo e ottavo del suo studio, G. ripercorre l’intero sviluppo della riflessione di S. sull’argomento, dallo scritto del 1863-64 (dove la soluzione del filosofo sarebbe identica a quella di Fischer) alla risposta a Teichmiiller [93], e, finalmente, a questo inedito che, pur vicino all’attualismo, è gravato ancora da oscurità (cfr. p. 39: “Ebbe lo Spaventa consapevolezza della portata di questa sua scoperta? L’oscurità stessa della sua esposizione fa pensare di no...”). 104. La materia della sensazione, Palermo 1913, pp. 16. È un breve frammento dell’Introdugione 4/la critica della psicologia empirica [105], pubblicato in un opuscolo nuziale. 105. Introduzione alla critica della psicologia empirica, estratto dagli “Annali delle Università toscane”, Pisa 1915, pp. VI-98. È il testo - completo — di un manoscritto che, secondo G., fu composto da S. nell’estate del 1881: come primo abbozzo di Esperienza e metafisica [94], e come sviluppo delle indagini già avviate nella memoria Kant e l’empirismo [88]. Gentile ne aveva già pubblicati alcuni frammenti nel 1909-10 [100] e nel 1913 [104]. Interessante il giudizio di G. su questa — pur non completamente svolta — critica dell’empirismo; nella quale è documentabile l'accostamento dell’a. “alla concezione del formalismo assoluto, ossia dell’impossibilità di postulare una materia fuori dell’atto o forma del conoscere” e quindi l'intenzione sua di “risolvere... la matura, l’antico presupposto dello spirito, nell’atto spirituale... Così gli 2460 ultimi capitoli di questi frammenti cessano evidentemente di essere una polemica, e mostrano come per necessità la psicologia empirica, attraverso la teoria della conoscenza, vada a finire nella metafisica dell'anima come atto” (p. VI; cfr. ora Opere, II, pp. 463-589, e, per il luogo cit. della presentazione di Gentile, p. 469). 106. L’anima e l'organismo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, I (1920), pp. 312-321. È il testo delle prime lezioni di un corso di antropologia, tenuto da S. nell’anno 1863-64. Per l’esposizione dell’antropologia hegeliana — riferisce Gentile — S. teneva conto anche di sviluppi posteriori della dottrina; in particolare della Psychologie dell’hegeliano J. Schaller. Cfr. n. 115 e v. Opere, III, pp. 591-608. 107. False accuse contro l’begelismo, in “La Critica”, XVIII (1920), Pp. 246-253, 312-320. Ristampa dei due articoli ordinati in questa bibliografia con il n. 11. Nella breve introduzione, Gentile pubblica anche una lettera di S. a Eugenio Camerini, dell’11 febbraio 1860; lettera che ha consentito di rintracciare questi articoli nel quotidiano torinese “Il Progresso” (cfr. ora Opere, III, pp. 609-637). 108. La libertà d'insegnamento. Una polemica di settant'anni fa, Firenze 1920, pp. 187. Alle pp. 41-131 sono ristampati (e in Opere, III, pp. 673- 763) gli articoli ordinati in questa bibliografia con il n. lo. Nell’appendice, pp. 135-138, si può leggere l’articolo già 2461 indicato qui con il n. 9; altri documenti della polemica, in gran parte articoli di Domenico Berti, apparsi sui giornali “La Croce di Savoia” e “Il Risorgimento”, sono ristampati alle pp. 139 sgg. I documenti essenziali che servono a ricostruire le polemiche sulla libertà di insegnamento in Italia, dal 1840 fino a questi interventi di S. (1851), sono raccolti e illustrati nell'ampia prefazione di Gentile (pp. 7-40 = Opere, III, pp. 641-672), il quale dà anche importanti notizie sul programma e sui col-laboratori del giornale torinese “Il Progresso”. Una edizione più recente dei tredici articoli sulla libertà di insegnamento ha curato nel 1962 F. Alderisio [272]. 109. Pensieri sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91-105. Ristampa (pp. 91-99) dell’articolo ordinato in questa bibliografia col n. 2. Seguono (pp. 99 sgg.) sei lettere o frammenti di lettere di S. a De Meis (cfr. n. 126 e Opere, III, pp. 831-855). D. SCRITTI PUBBLICATI DA ALTRI AUTORI 110. Una prolusione inedita di Bertrando Spaventa a un corso di diritto pubblico, a cura di A. Guzzo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, V (1924), pp. 280-296. È il testo della prolusione di Modena del 25 novembre 1859. Alle pp. 293-296 è riprodotto uno schema delle lezioni modenesi, tratto da un altro manoscritto di S. Cfr. n. 122, 2462 111. Lezioni inedite di B. Spaventa, a cura di A. Guzzo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (19295), pp. 198-222, 291-295, 360-369. Il primo gruppo di questi inediti (pp. 198-222, 291-295) è costituito dagli appunti — di mano “di uno o più scolari modenesi” — relativi a cinque lezioni sulla filosofia greca dettate da S. per la parte storica del suo corso del 1859-60 (v. lo schema pubblicato da Guzzo nel 1924: cfr. n. precedente). Il secondo gruppo (pp. 360-369) raccoglie gli abbozzi, di mano dello S., di tre lezioni tenute nell'università di Bologna il 10 maggio e il 16 dicembre 1860, e 11 marzo 1861. 112. Rinascimento, Riforma, Controriforma e altri saggi critici, Venezia 1928, pp. 363. Ristampa dei Saggi di critica del 1867 [77] nella collana “Storici antichi e moderni” della Nuova Italia} con l’aggiunta di un indice dei nomi. 113. Uno scritto inedito di Bertrando Spaventa sul problema della cognizione e in generale dello spirito (1858), a cura di F. ALDERISIO, in “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche”, serie VI, vol. IX, fasc. 7-10, luglio- ottobre 1933, pp. 564-667. F. Alderisio descrive e commenta (pp. 564-583) l'importante inedito da lui scoperto in una delle buste dei manoscritti di S. conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, identificandolo con l’abbozzo in “parentesi” scritto 2463 tra il gennaio e il marzo del 1858, di cui S. dà notizia al fratello Silvio in una lettera dell’8 febbraio dello stesso anno (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861 [125], 19232, pp. 248 sgg.). Una più recente edizione dell’inedito a cura dello stesso Alderisio è: B.S., Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, Torino 1958, pp. XLIII-156 [cfr. n. 266]. 114. Rime satiriche di B. Spaventa sul connubio Sella- Nicotera, in “Rinascita”, XI (1954), p. 32. Queste “rime” sono conservate nel fondo Spaventa della Società napoletana di storia patria. 115. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXIV (1955), PP. 489-495. Si tratta di alcuni estratti di F. Tocco, relativi a lezioni sulla filosofia della natura di Hegel, tenute da S. nel 1863 (i primi appunti sono del 1° gennaio). E. Garin, nel pubblicare questi estratti da lui scoperti, discute anche dei rapporti di Tocco con il maestro. Gli estratti sono stati poi ripubblicati in E. Garin, La cultura italiana tra ‘800 e ‘900, Bari 1962, pp. 67-76. Cfr. anche n. 106. 116. Un “pamphlet” antidemocratico inedito di Bertrando Spaventa (1880), a cura di P. C. MASINI, in “Rivista storica del socialismo”, II (1959), pp. 304-326. Alle pp. 316-326 è riprodotto — con l’aggiunta di note 2464 esplicative — il testo di un pamphlet scritto da S. nell’agosto 1880 contro Pietro Siciliani; è intitolato: Le conferenze pedagogiche a Firenze. Lettera a Fanfulla di Minchione Chiappanuvole maestro elementare inferiore a Peretola. L’opuscolo, già pronto per la stampa, come risulta dalle bozze corrette rinvenute (insieme al manoscritto originale) nella Biblioteca comunale “Angelo Mai” di Bergamo, doveva essere pubblicato anonimo; rimase inedito per una “indiscrezione dello stampatore’, come attesta una dichiarazione sul frontespizio del figlio di S., Camillo. Presentando il testo spaventiano, che contiene aspre invettive non solo contro Siciliani, ma anche contro De Sanctis, P. C. Masini propone un riesame della collocazione politica di S., “difensore del vecchio ordine culturale e politico di stampo moderat”. Il pamphlet contribuirebbe a rivedere la proposta della “linea” S.-Labriola-Gramsci, lanciata a partire dal 1952, e a smentire il rilievo di una evoluzione dell’ultimo S. verso il positivismo o il materialismo (cfr. in particolare le pp. 310-314). La scoperta dell’opuscolo del 1880 è il frutto di una esplorazione delle carte spaventiane conservate presso la Biblioteca comunale di Bergamo; alle pp. 304-310 sono riportate notizie su manoscritti editi e inediti del filosofo, dei quali M. fornisce un primo inventario. V. su questo punto l’introduzione premessa a questa bibliografia, pp. 863 sg. Sul lavoro di M. cfr. E. Garin, Un ‘pamphlet’ antidemocratico inedito di B. Spaventa, “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXVII (1959), pp. 572-574. Discutendo del testo di S. e della interpretazione di M., Garin rende noto l’annuncio di una traduzione spaventiana dell’opera di L. Stein, Der Socialismus und Communismus 2465 des heutigen Frankreichs, diffuso nel 1850 da una “Stamperia degli artisti tipografi” di Torino [cfr. n. 3]. Interessanti anche i rilievi di Garin sui rapporti di S. con i positivisti (in particolare con P. Siciliani). 117. Il lavoro e le macchine, a cura di D. D'ORSI, in “Sophia”, XXXI (1963), n. 3-4, pp. 254-259; e in “Dialoghi”, XI (1963), n. 3-5, pp. 191-197. Cfr. n. 123. 118. Rivoluzione e utopia, a cura di I CUBEDDU, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 66-93. Ristampa di dieci articoli, pubblicati nel 1851 nel giornale “Il Progresso” di Torino, e elencati in questa bibliografia con i nn. 5, 12, 14. Cfr. n. 275. 119. L'essenza metempirica del filosofare, a cura di D. D’ORSI, in “Dialoghi”, XII (1964), n. 1-3 (gennaio- giugno), pp. 39-50. Cfr. n. 123. 120. II Socialismo e il Comunismo in Francia — supplemento alla storia del secolo per L. Stein Professore in Kiel. Prima versione dall'originale tedesco di Bertrando Spaventa, a cura di S. LANDUCCI, in “Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinell”, VI (1963), Milano 1964, pp. 693-695. Ristampa del n. 3 di questa bibliografia. Cfr. n. 282. 121. Uno scritto ignorato e una lettera inedita di B. 2466 Spaventa, a cura di D. D’ORSI, in “Rivista abruzzese” [Lanciano], XVIII (1965), n. I, pp. 4-19. Contiene: un annuncio della traduzione di Stein [3], e una lettera di S. a P. Villari del 14 ottobre 1850 [cfr. 123, 141]. 122. Della libertà e nazionalità dei popoli, a cura di D. D’ORSI, in “Rivista abruzzese” [Lanciano], XVIII (1965), n. 3, pp. 97-114; n. 4, pp. 144-152. Edizione critica della prolusione di Modena (cfr. 110). 123. Scritti inediti e rari (1840-1880, con prefazione e note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, pp. XVI-590. Questa raccolta di testi editi e inediti di S. si divide in tre parti, più un’appendice di documenti. La prima parte (Scritti rari o ignorati o inediti, pp. 1-88) comprende la ristampa dello scritto Su/la quantità [1], un annuncio della traduzione dell’opera di Stein sul socialismo e il comunismo in Francia (3; pubblicato dal D’Orsi anche nella “Rivista abruzzese”, 1965 [cfr. n. 121]), il frammento I/ lavoro e le macchine (già pubblicato dal curatore nel 1963; cfr. n. 117), scritto nel 1851 sotto lo stimolo della lettura di Stein (v. p. 34), l'articolo su Schelling del 1854 [22], e finalmente un articolo sul teatro drammatico apparso anonimo nel “Cimento” [43] e qui attribuito a S. Nella seconda parte (pp. 89-178) sono raccolti tre scritti filosofici inediti: una Fenomenologia del 1865 (pp. 101-152; pubblicata contemporaneamente in “Sophia”, 1965, pp. 349-366, 1966, pp. 344-368; e v. sopra, p. 864), uno scritto del 1880, Esperienza e coscienza (pp. 157-162), e uno del dicembre 2467 dello stesso anno, L'essenza metempirica del filosofare (pp. 169-178), tratti entrambi dalle carte Spaventa della Biblioteca Nazionale di Napoli (le prefazioni del curatore a questi tre inediti erano state già pubblicate nel 1965 [285], il testo dell’ultimo inedito nel 1964 [119]). La parte terza (Scritti polemici ignorati e rari, pp. 179-489) raccoglie: due articoli pubblicati nel “Cimento”, del 1855 [cfr. nn. 35, 39], e i ventinove articoli della serie I Sabbati dei gesuiti, pubblicati nel “Piemonte” [cfr. n. 28]. Nell’appendice (pp. 491 sgg.) sono riportate trentasette lettere di S. [cfr. n. 141]. Delle singole prefazioni ai testi spaventiani, è da vedere in particolare quella dedicata alla Ferorzerologia del 1865 (pp. 93-100), un testo che, secondo D’Orsi, “finirà col modificare il tradizionale canone esegetico, invalso dal Gentile, secondo cui la lettura dell’ultimo Gioberti avrebbe indotto lo Spaventa a mutare o estinguere i suoi più radicati e appassionati interessi per la Ferorzenologia di Hegel e per le conseguenti interpretazioni via via formulate dagli esegeti tedeschi della destra hegeliana” (p. 95; sull'importanza che il curatore attribuisce al testo spaventiano, cfr. anche pp. 99 sg.). Nella prefazione generale alla raccolta, D’Orsi anticipa le linee di una sua lettura di S., molto distante dalle interpretazioni più recenti, e dalla stessa interpretazione di Gentile (si può qui segnalare l'utilizzazione di testi spaventiani nel volume di D’Orsi Lo spirito come atto puro in Giovanni Gentile, Padova 1957). Il curatore intende rivalutare una fondamentale dimensione “spiritualistica” del pensiero di S., il quale risulterebbe, nell'intero arco della sua attività, un “moderato”, sia in politica che in filosofia. Nelle polemiche contro i gesuiti, S. combatte le “esagerazioni pratiche” dell’ortodossia (dommatismo, fanatismo), non il principio cattolico (p. XII sg.); la sua polemica può definirsi “anticlericale”, ma “non antireligiosa o, peggio, ateistica” (p. 2468 XIV; per i Sabbati, cfr. p. 208: essi “stimolano la riflessione sui problemi della Politica e della Religione e assicurano come un duplice antidoto agli opposti inconvenienti della fragile fede e dell’intransi genza dommatica”; cfr. inoltre la prefazione alla terza parte della raccolta, pp. 181 sgg.). Nella prefazione a I/ lavoro e le macchine, pp. 33 sg., dichiarando la dipendenza dello scritto dall’opera di Stein, D’Orsi parla di un “chiaro atteggiamento etico-politico che, per equilibrio e serietà d’indagine, può ritenersi, nell’ambito della vexatissima questione sociale, ‘una voce di ragione tra tante grida”” (con questo titolo apparvero sul “Lucifero” di Napoli, nell’aprile-maggio 1848, alcuni articoli firmati con la sigla: Sp., che il D’Orsi attribuisce senz’altro a S.; sul “Lucifero”, giornale moderato e giobertiano prima del 15 maggio 1848, e, in seguito, conservatore, cfr. A. Zazo, I/ giornalismo politico napoletano nel 1848-9, “Archivio storico delle province napoletane”, XXXI [1947-1949], pp. 252, 289). D’Orsi rende nota (p. XVI) la sua intenzione di portare a compimento una edizione critica di tutte le opere, edite e inedite, di S., a cui seguirà la pubblicazione di una monografia sul filosofo napoletano. A p. 88 n. è annunciata intanto la prossima pubblicazione di un volume che raccoglie le Lezioni inedite di Filosofia del diritto (1859- 1860). Su questi Scritti inediti e rari curati dal D’Orsi, cfr. P. Piovani in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLVI (1967), pp. 160-161. 124. Un articolo inedito di B. Spaventa circa l’unità organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenza di questa con la filosofia di Spinoa, a cura di F. ALDERISIO, in 2469 “Giornale critico della filosofia italiana”, XLV (1966), pp. 218-225. Alle pp. 222-224 è riprodotto il testo fin qui inedito dell’ “avvertenza” di S. a un suo articolo su Giordano Bruno, mai pubblicato. Il manoscritto dell'articolo non è stato rintracciato. Secondo A., 1’ “avvertenza” è del 1870-1872; insieme all’articolo, avrebbe costituito l’ultimo lavoro di S. dedicato a Bruno, scritto, probabilmente, per il “Giornale napoletano di filosofia e lettere”. E. CARTEGGIO 125. S. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere scritti documenti pubblicati da B. CROCE, Napoli 1898, pp. TX-314:; Bari 1923?, pp. XII-373. I rinvii alle pagine si riferiscono alla seconda edizione. Fondamentale raccolta di materiali — lettere, articoli, frammenti di studi ecc. — che illuminano le vicende personali e la biografia politica e intellettuale dei fratelli S. I documenti sono collegati da brevi narrazioni, chiarimenti e giudizi di Croce, che spesso riguardano da vicino anche B. S. Una aggiunta all’avvertenza del curatore nella seconda edizione — notevolmente accresciuta — porta la data: agosto 1917, Di B. S. sono riprodotte nel volume: quarantadue lettere al fratello, la prima del 22 dicembre 1847, l’ultima del 16 dicembre 1861 (p. 361, nota 2); una lettera al ministro sardo Cristoforo Mameli, del 1850 (p. 76 sg., n. 3); una lettera a Mamiani del 15 settembre 1854 (p. 210 sg., n. 2); una lettera al padre del 26 maggio 1859 (p. 298 sg.); due lettere alla moglie, dell’8 e 10 novembre 1860 (p. 356 sg.). A p.5, n. I, 2470 si legge un brano di una “confessione” del filosofo (1876), a proposito della sua ordinazione sacerdotale. Le lettere di Silvio al fratello sono più di ottanta, e vanno dal 30 settembre 1849 al 28 ottobre 1860. Si segnalano in particolare le lettere “filosofiche” (sul pensiero italiano del Rinascimento, su Rosmini, Gioberti, sulla Ferorzenologia di Hegel, ecc.) che i fratelli si scambiarono tra il 1854 e il 1858 (pp. 176-188, 202-215, 231-268). La raccolta comprende anche: una lettera di P. Villari a B. S., dell’ottobre 1850 (p. 77 sg., nota); due lettere allo stesso di Antonio Ciccone (11 luglio e 28 [?] luglio 1860, pp. 342 sg., 347); due lettere a B. S. di A. C. De Meis, del 23 luglio e del 10 novembre 1860, pp. 346 sg., 355 sg. Francesco D’Ovidio presentò il libro di Croce all Accademia di scienze morali e politiche di Napoli il 26 giugno 1898, con un discorso che è ristampato alle pp. 86- 96 della raccolta intitolata: Rirzpianti, Milano-Palermo- Napoli 1903, pp. XVI-464. Dal discorso di D’Ovidio si può ricavare qualche aneddoto o qualche coloritura diversa di notizie riguardanti la biografia di B., oltre che di Silvio, e i rapporti tra i due fratelli. Ma sul libro di D’Ovidio v. B. Croce, “La Critica”, I (1903), pp. 218-223. 126. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa, pubblicate da G. GENTILE, Napoli 1901, pp. 32. Quattro lettere, del 9 febbraio e 4 giugno 1868, del 22 gennaio e 6 aprile 1869. Ristampate in G. Gentile, A/bori della nuova Italia, varietà e documenti, parte seconda, Lanciano 1923, pp. 145-167. 127. G. GENTILE, Per la storia aneddota della filosofia italiana nel secolo XIX, in Raccolta di studi critici dedicati 2471 a A. D'Ancona, Firenze 1901, pp. 335-358. Quattordici lettere del 1861-62, tratte dal carteggio dei fratelli S. Le lettere di B. sono undici: del 27 novembre, dell’8, 17 e 28 dicembre 1861, dell’8, lo, 21, 22 febbraio, del 22 marzo, del 16 giugno e I luglio 1862. Vedile anche ristampate in appendice a B. S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99; e in Opere, II, pp. 679-719). Cfr. anche n. 139. 128. Documenti inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal carteggio di Bertrando Spaventa), a cura di B. CROCE, in “Ia Critica”, IV (1906), pp. 223-240. Lettere a S. — corredate di notizie e schiarimenti — di F. Hoffmann (12 ottobre 1865: tentativo di promuovere in Italia la divulgazione della filosofia di F. v. Baader), di A. Angiulli (15 dicembre 1862), di H. F. Amiel (24 aprile 1868), di K. L. Michelet (6 agosto 1870), di A. Labriola (1875), di R. Hamerling (19 ottobre 1877), di T. v. Varnbiiler (17 maggio 1879), di G. Teichmiller (9 agosto 1882). 129. Documenti inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal carteggio di Bertrando Spaventa), a cura di G. GENTILE, in “La Critica”, IV (1906), PP. 397-410, 483-496. Nella prima parte, una lettera a S. di F. del Zio (30 giugno 1861), lettere e brani di lettere allo stesso di M. Florenzi Waddington, una lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880. Nella seconda parte, lettere e brani di lettere di F. Fiorentino allo S., scritte tra il 1863 e il 1871. Con notizie e 2472 schiarimenti del curatore. I Documenti sono ristampati, con aggiunte, in G. Gentile, Frammenti di storia della filosofia, serie prima, Lanciano 1926, pp. 181-236. 130. B. CROCE, Ricerche e documenti desanctisiani, VII, Dal carteggio inedito di Francesco De Sanctis (5865- 28(9), puntata quarta, pp. 32; IX, Dal carteggio inedito di A. C. De Mess, pp. 36; in “Atti dell’Accademia Pontaniana” di Napoli, XLV (1915). Nel primo fascicolo sono pubblicate, in appendice (pp. 29-32), tre lettere di S. a De Meis, del zo novembre [cfr. n. 133] e del 16 dicembre 1851, del 5 agosto 1855. Nel carteggio inedito di De Meis si leggono (pp. 1-16) dodici lettere di S. allo stesso: del 13 febbraio 1856, dell’11 marzo, 19 e 20 maggio, 13 giugno 1860, del 23 giugno 1868, del 23 febbraio e 3 aprile 1869, del 30 maggio 1870, del lo luglio 1871, del 14 dicembre 1872, del 13 marzo 1874. 131. R. ZAGARIA, Per la biografia di Pasquale Villari, in “La Rassegna” [già “Rassegna bibliografica della letteratura italiana”, fondata da A. D'Ancona], serie III, vol. V, n. 6, dicembre 1920, pp. 333-379. Riporta (pp. 343-355) tredici lettere di Villari a S., le prime dodici scritte tra il 1861 e il 1869, l’ultima del 1881. Cfr. n. 140. 132. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, Firenze s. d. [1924], pp. 217. 2473 Cfr. n. 204. Nell’appendice (pp. 181 sgg. = Opere, I, pp. 157 sgg.) sono pubblicate: una lettera di S. a De Meis del 23 febbraio 1856, una lettera di L. Chiala a S. del 4 aprile 1856, due lettere di S. a T. Mamiani (13 luglio e 10 ottobre 1854), due di Mamiani a S. (3 giugno 1852, 12 ottobre 1854). Nel testo: a pp. 55 sg. (= Opere, I, pp. 48 sg.) si legge una lettera di B. al fratello Silvio sull’abolizione delle facoltà di teologia, del io febbraio 1876; a pp. 94 sg., nota 2 (= Opere, I, p. 83) una lettera di De Meis a S. del 2 marzo 1863; alle pp. 162 sgg. (= Opere, I, pp. 140 sgg.) la lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880 [cfr. n. 129], e due lettere di De Ivleis a S.: la prima, s. d., in risposta alla precedente, l’altra del 10 gennaio 1881. Due lettere allo S., di L. Pomba (2 gennaio 1861) e di A. Tari (28 luglio 1861) sono segnalate nella bibliografia, p. 205 (e v. 65). 133. B. S., Pensieri sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite, a cura di G. GENTILE, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91-105. Cfr. nn. 2, 109. Alle pp. 99-109, sei lettere o frammenti di lettere di S. a De Meis: del 30 marzo 1850, s. d., del zo novembre 1851 [ma cfr. n. 130], del 16 dicembre 1852, del 14 dicembre 1872, del maggio 1880 (= Opere, III, pp. 847-855). 134. S. SPAVENTA, Lettere politiche (1865-1893), edite da G. CASTELLANO, Bari 1926, pp. 185. Continuazione del carteggio pubblicato da B. Croce 2474 [125]. Il nucleo più importante è costituito da circa 140 lettere o brani di lettere di Silvio a B. S., scritte tra il 20 settembre 1861 e il 25 ottobre 1882; contengono interessanti ragguagli e giudizi, oltre che sulle vicende e sugli uomini politici del periodo, su alcuni casi più minuti della vita dei due fratelli (reazioni ai tumulti nell'Università di Napoli, del 1862; rapporti col giovane Labriola, nel 1863; ecc.). Sono anche riprodotte dieci lettere di B. S. al fratello: del 13 giugno, del 7 e 25 luglio 1863 (pp. 56 sg.), del 9 aprile e del settembre 1866 (pp. 95 sg., 102 sg., nota), del 2 settembre 1868 (p. 116), del 21 aprile 1869 (p. 120), del 22 dicembre 1873 (p. 128), del 25 maggio e 15 giugno 1874 (pp. 130, 132 sgg.). Interessante la lettera-prefazione (datata: giugno 1925) di B. Croce al curatore, pubblicata anche su “La Critica” (XXIII, 1925, pp. 316 sgg.). Croce dissocia gli ideali politici di Silvio dal “concetto speculativo dello stato” elaborato dal fratello “senza particolare esperienza e intelligenza della materia, estraendo e compendiando la Filosofia del diritto dello Hegel” (p. 7). E intende soprattutto respingere, così, il recente tentativo di “presentare Silvio Spaventa come luomo e il pensatore politico al quale dottrinalmente risalgono la teoria e la pratica del partito ora dominante in Italia” (p.5). 135. A. ROMANO, La vita culturale italiana dopo il 1860 dal car teggio degli hegeliani meridionali, I. Un isolato: Vittorio Imbriani, in “Civiltà moderna”, V (1933), settembre-ottobre, pp. 473-483. Cfr. n. 138. Da un complesso di settantanove tra lettere e biglietti, 2475 scritti dall’Imbriani a S., l'a. sceglie e riproduce brani che contengono notizie sull'ambiente hegeliano tra il 1870 e il 1880. Le lettere riportate vanno dal dicembre 1871 al dicembre 1879. 136. B. CROCE, Voci da un ergastolo politico. Lettere inedite di Silvio Spaventa (1850-1856), in “Quaderni della Critica”, Il (1946), quad. 4, pp. 99-109. Undici lettere di Silvio al fratello, ritrovate fortunosamente dal Croce; integrano la raccolta del 1898, 1923”[.125]; 137. 123 lettere inedite di Antonio Labriola a Bertrando Spaventa, a cura di G. BERTI, in “Rinascita”, X (1953), supplemento al n. 12, pp. 713-736; XI (1954), supplemento al n. I, pp. 65-87. La prima lettera è del 1870-71, l'ultima del 6 gennaio 1883. Importante l’introduzione del curatore (pp. 713-718): le lettere, che contribuiscono a chiarire i modi e i tempi del passaggio di L. al socialismo, sono la testimonianza di un legame che corrisponde perfettamente, sul piano delle relazioni personali e private, a un rapporto di “filiazione spirituale”. Gli originali sono conservati nel fondo S. della Biblioteca della Società di storia patria di Napoli. 138. Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli hegeliani di Napoli, a cura di N. COPPOLA, Roma 1964, pp. 582. Sono pubblicate qui (pp. 34-166) diciotto lettere di S. a V. Imbriani (26 maggio e In novembre 1869, 17 [?], 17 2476 aprile, 27 agosto, 17, 20 e 27 settembre, 7 novembre, 3, 6, 18, 19, 22 e 23 dicembre 1871, I e 6 dicembre 1872, 29 settembre 1878), e settanta circa lettere o biglietti di Imbriani a S., spesso non datati, ma scritti anch'essi a partire dal 1869. Si leggono anche qui, indirizzate allo stesso S., una lettera di F. Tocco, s. d. (p. 99 sg.), una lettera di D. Jaja del 30 novembre 1872 (p. 112 n.), e una di D. Marvasi del 9 gennaio 1875 (p. 143). Le altre lettere indirizzate all’Imbriani sono di Silvio Spaventa, A. Vera, G. B. Passerini, A. C. De Meis, P. Siciliani, F. Tocco, F. Fiorentino, D. Marvasi, A. Tari e F. Toscano. Le lettere qui raccolte fanno parte di un blocco di autografi scoperti da C. nel 1935, e la cui pubblicazione era stata già iniziata in “Accademie e biblioteche d’Italia”, X (1936), n. 5-6, pp. 403-418; XI (1937), nn. 1-2, pp. 79-94, n. 5, pp. 483-494; XIII (1938-1939), n. I, pp. 51-66. Per diversi riferimenti ai fratelli S. cfr. anche Vittorio Imbriani intimo. Lettere familiari e diari inediti, a cura di N. Coppola, Roma 1963, pp. 402. Cfr. n. 135. 139. Lettere inedite di Bertrando a Silvio Spaventa, a cura di V. MASEL-LIS, in “Critica storica”, IV (1965), pp. 691-710. Da un fondo spaventiano conservato presso l’archivio provinciale De Gemmis di Bari sono tratte le dieci lettere qui pubblicate, che portano le date: 25 gennaio, 27 marzo, 21 e 27 settembre 1861, 29 gennaio, 17 marzo, 31 maggio, 28 ottobre 1862, 19 e 31 ottobre 1864. Sono da collegare soprattutto alla raccolta, curata da Gentile, e pubblicata nel 1901 [127]. 2471 140. G. VACCA, Nuove testimoniane sull’hegelismo napoletano, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli”, LXXVI (1965), pp. 26-73. La memoria è divisa in due parti. Nella prima (pp. 26-63) sono riprodotte circa cinquanta lettere o brani di lettere — la maggior parte inedite, o pubblicate solo parzialmente da precedenti editori, soprattutto da Croce [125] — di S. al fratello Silvio, scritte tra il 20 aprile 1857 e il 28 giugno 1881. Le lettere contengono giudizi e informazioni politiche, notizie relative alla attività didattica di S. (soprattutto a Modena), ai rapporti del filosofo con P. Villari (v., a pp. 55- 57, tre lettere di Villari a S. del 19 luglio 1861, del 21 marzo 1862, del 21 luglio 1868; e cfr. n. 131), a un intervento di A. Tari in favore di Labriola (v. una lettera di Taxi a S. del 23 luglio 1861, pp. 45 sg. nota 30), ecc. Nella seconda parte del lavoro (pp. 63-73) sono riprodotte lettere o brani o citazioni tratte da lettere a S. di P. Siciliani (7 giugno 1871, 29 aprile 1877), di F. Masci (1876, maggio 1881, 16 aprile 1876), di F. D’Ovidio (1871-72), di B. Labanca (4 febbraio 1872, 23 maggio e 14 giugno 1880, 26 gennaio, 29 marzo e 24 maggio 1881, 29 dicembre 1882), di F. Del Zio (15 aprile 1861). 140 bis. Dodici lettere inedite di Antonio Labriola a Bertrando Spaventa, a cura di G. VACCA, in “Studi storici”, VII (1966), pp. 757-766. Sono lettere scritte tra il 1867 e il 1882, ritrovate nell'Archivio De Gemmis di Bari [cfr. n. X39]. 141. B. S., Scuitti inediti e rari (1840-1880), con 2478 prefazione e note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, pp. XVI-590. Chin: 123; Nell’appendice di documenti (pp. 491-579) sono pubblicate trentasette lettere di S.: a) sedici a P. Villari (12 luglio, 14 ottobre, 1 dicembre 1850, 11 marzo 1851, 5 agosto [1851?], 1 maggio [1852?], 11 febbraio 1853, 23 marzo 1854, aprile 1854 [?], 14 gennaio 1857, ottobre 1857 [2], 28 giugno, 12 e 14 luglio, 2 agosto e 19 novembre 1869); b) una a F. Le Monnier (23 marzo 1854); c) una a E. Camerini [18562]; d) una a A. De Gubernatis (13 febbraio 1865); e) quindici a V. Imbriani (26 maggio, 11 novembre 1869, 17 [marzo?], 17 aprile, 27 agosto, 17, 20 C 27 settembre, 3 ottobre, 6 novembre 1871, 7 novembre [18712], 18 e 19 novembre, 22 C 23 dicembre 1871; alcune date coincidono con quelle di lettere già pubblicate da N. Coppola: cfr. n. 138); f) tre a T. Mamiani (11 novembre 1869, 5 marzo 1870, 15 marzo 1871). A p. 170, n. 6, è riportato un frammento di lettera (1856?) “ad un amico”, del quale non è indicato il nome. 141 bis. G. VACCA, Gli hegeliani di Napoli nella politica e nella scuola. Carteggi, estratto dagli “Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari”, 1966, pp. 91. Le lettere qui pubblicate sono state ritrovate nella biblioteca provinciale De Gemmis di Bari. La raccolta comprende: otto lettere di Bertrando al fratello Silvio, sei del 1850-54, una del 1859, una del 1862; due spezzoni di lettere del filosofo a Labriola, del 1873 e 1874; una lettera dello stesso a D. Tartaglia, del 1861; una lettera di 2479 Bertrando alla moglie, del 17 novembre 1859. Inoltre: lettere allo S. di T. Mamiani, di P. Villari, di F. Selmi, di D. Marvasi, di A. Ciccone, di S. Tommasi, di D. Tartaglia, di A. Labriola [cfr. 140 bis], di P. Acri, di V. Imbriani, di F. Masci, di F. Tocco, di L. Miraglia, di L. Barbera, di P. Siciliani, di F. Fiorentino, di D. Jaja. Infine, lettere di P. Villari a D. Marvasi, di L. Settembrini a Silvio S., di Silvio S. a E. Pessina, di F. Selmi e C. Monzani a Silvio S., di L. Barbera a R. De Cesare, di F. Tocco a F. Fiorentino, di P. Del Giudice a L. Miraglia, di F. Fiorentino a Silvio Spaventa. 142. Trenta lettere inedite di Bertrando Spaventa al fratello Silvio (1850-1861), a cura di G. VACCA, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli”, LXXVIII (1967), pp. 327-395. Le lettere qui pubblicate (v. pp. 341 sgg.) sono tratte da copie di mano di Giovanni Beltrani, conservate nella biblioteca comunale Giovanni Bovio di Trani. Vanno dal gennaio 1850 all’aprile 1861; il nucleo più importante è del 1854-56, sicché la raccolta integra soprattutto il carteggio “filosofico” dei fratelli S., noto attraverso l’edizione curata da Croce [125]. Le lettere offrono nuovi dati sull’attività di S. nel periodo torinese, indicazioni sugli studi, su lavori inediti e sull'attività giornalistica del filosofo, e contengono giudizi su avvenimenti e uomini politici. I documenti più interessanti sono analizzati dal curatore alle pp. 332-340; importanti i chiarimenti di Vacca sulla complessa vicenda dell'archivio epistolare del filosofo, venduto dal figlio Camillo e solo in parte recuperato da Croce [cfr. anche 136]. 2480 PARTE SECONDA SCRITTI SU BERTRANDO SPAVENTA 143. P. LUCIANI, Del libro di B. Spaventa intitolato “La filosofia di Gioberti”. Considerazioni, Napoli 1864, pp.21. Non è un’analisi minuziosa del libro di S., né vuole esserlo (p. 44); per affrontarla, l’a. aspetta la pubblicazione del secondo volume. Ma intanto, secondo L., va segnalata subito la minaccia di “intedeschimento”. S. accoglie da Hegel gli strumenti della sua critica e finisce col travisare completamente il pensiero di Gioberti. Non ha capito, soprattutto, il significato e la funzione dell’ “intuito”, perché vuol risolvere tutto nel “soggetto”; sicché gli sfugge il senso delle “formula ideale”, e vede dappertutto contraddizioni. Cfr. n. 147. 144. K. L. MICHELET, Spaventa uber Hegel in der Akademie zu Neapel, in “Der Gedanke” [Berlino], V (1864), fasc. 2, pp. 114 117. Recensione del saggio: Le prime categorie della logica di Hegel [70], condotta sul testo del sunto pubblicato dalla “Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”, novembre-dicembre 1863. Nel corso dell’esposizione M. introduce due rilievi particolari. A_p. 115, afferma che è sbagliato attribuire a Hegel, come fa Trendelenburg (e S. seguendo Trendelenburg), l'intenzione di ricavare l'identità di essere e nulla dalla loro indeterminatezza (l’essere è il nulla = l’indeterminato è l’indeterminato); e rimanda, per questo punto, ad un suo intervento pubblicato nella stessa rivista (III [1862], pp. 207-210). A p. 116 osserva ancora 2481 che Hegel ha già posto in rilievo quella “differenza” nella indeterminatezza o identità di essere e nulla, di cui S. è andato in cerca nel suo saggio. Eccellente sembra tuttavia a M. la confutazione di Trendelenburg fatta da S. (da un “non hegeliano”, p. 117); ma il recensore non capisce a quali rappresentanti della scuola alluda il filosofo napoletano, quando afferma che alcuni hegeliani pretenderebbero che l’essere si muova da sé, senza il pensare. La memoria di S. è giudicata assai acuta, e ingegnosa; se tondo M., S. si muoverebbe, in questa sua interpretazione e apologia di Hegel, verso conclusioni simili a quelle raggiunte da K. F. Solger nei suoi Gespriche tber Sein, Nichtsein und Erkennen. 145. [G. SALVIA], La più bella questione surta non ha guari dalla Università di Napoli, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Napoli], I (1864), pp. 202-208, 323-328, 389- 399, 469-477. L’articolo non è firmato, ma il nome dell’autore si ricava dall’intervento successivo di M. Tuddone [cfr. n. 148]. La “più bella questione” è quella della “nazionalità” della filosofia. Le prime pagine (202-208) riproducono i tratti essenziali della prolusione di L. Palmieri del 16 novembre 1861, e una prima parte della prolusione spaventiana Della nazionalità nella filosofia [68]; le pp. 323-328 sono dedicate ancora alla esposizione del discorso di S.; nelle puntate successive, sono svolte le considerazioni dell’a. sulle due prolusioni. Sostenere la “nazionalità” della filosofia (come fa Palmieri) è questione di logica o di dialettica? Sembra che non ci possa essere “nazional filosofia” con le regole del ragionare, ma solo con quelle del disputare. L’a. vuole evidentemente salvare le argomentazioni di Palmieri, 2482 correggendole tuttavia e riproponendole sul piano della scienza: “Mi viene dunque in mente di cangiare, se io potessi, l'espediente dialettico in argomentazione scientifica, trovando in certa guisa il passaggio dagli argomenti suoi [= di Palmieri], presi 44 borzinerm, e senza più individuati, agli argomenti che vi corrispondono in uso non pur della logica ma della scienza, che val sicuramente generali” (p. 474). E corregge il discorso di Palmieri distinguendo “tre capi” dell’argomentazione: 1° “impronta” e l' “indole nazionale”, le “tradizioni”, e l “atteggiamento non servile” delle arti e delle scienze. Ora, per quel che ci riguarda, l’ “impronta” e l “indole” sono “cattoliche” entrambe. La “tradizione” è quella antichissima “delle ripruove e delle discussioni” (la tradizione degli eleatici). Quanto all’ “atteggiamento non servile”, che nasce dalla piena adesione della coscienza, anche per questo motivo l’hegelismo non può essere importato tra noi (come può Hegel aver detto in coscienza che l’essere è il nulla, il bene male, e il sì no?). 146. T. STRAETER, Briefe tber die italienische Philosophie, in “Der Gedanke” [Berlino], V (1864), fasc. 4, pp. 263-267; VI (1865), fasc. 1, pp. 71-77, fasc. 2, pp. 123-135, fasc. 3, pp. 153-163, fasc. 4, pp. 230-243. Sono, in tutto, nove lettere scritte da Napoli tra il 5 dicembre 1864 e il 20 luglio 1865. La prima (1864, fasc. 4), offre un ritratto dell'ambiente universitario napoletano (si parla anche di F. Tocco, che disserta in sede di esame sulle prime categorie della logica di Hegel). L’a. esprime la convinzione che la filosofia moderna può trovare nuova vita solo a Napoli; indica poi nella teoria della “circolazione” di S. lo strumento più efficace per eliminare dalla coscienza degli italiani i residui di cattolicesimo medievale, e per 2483 favorire la costruzione di uno stato moderno. La seconda lettera (1865, fasc. 1), tratta del Volksgeist napoletano (avverso per sua natura ad ogni forma di assurda e fantastica trascendenza) e parla della prolusione spaventiana del 1861; si conclude con un ritratto del filosofo: “Er ist dabei eine màachtige, imposante Persònlichkeit, gross und stark gebaut und von jenem phlegmatisch kraftigen Temperament, dem Hegel bekanntlich die gròsste Energie und Griindlichkeit vindicirt” (p. 76). Nella terza, quarta e quinta lettera (1865, fasc. 2), l’a. ritorna ancora sull'ambiente napoletano (Vera, S.-Vera, ecc.), e ricorda la prolusione bolognese di S. È nella terza lettera che Strter introduce un raffronto fra Vera e S. (e Tari), assai fortunato (Gentile lo cita nel Discorso del 1900; Croce lo ricorda nel suo panorama della vita letteraria a Napoli dopo il 1860; ecc.): S. e Tari rappresentano a Napoli quella corrente a cui appartengono in Germania K. Fischer e i suoi scolari, e che si orienta verso una revisione della dialettica hegeliana su basi kantiane; Vera è la copia dignitosa, italo-francese, del “vecchio hegeliano” tedesco, degli “ortodossi” di stretta osservanza (p. 123). La sesta lettera (1869, fasc. 3) riassume la “circolazione” del pensiero italiano, loda il saggio sulle Prime categorie, e espone l’interpretazione spaventiana di Gioberti. Le lettere settima, ottava e nona (1865, fasc. 4), sono dedicate agli scritti di S. su Bruno e Campanella. 147. P. LUCIANI, Gioberti e la filosofia nuova italiana, 3 voll., Napoli 1866, 1869, 1872, pp. XXVIII-303, 335, 514. Cfr. n. 143. Tutti gli scritti di Gioberti — le opere “essoteriche” (miranti “più a rinverdire il passato, che a gittare i semi 2484 dell'avvenire”; che riguardano la pratica piuttosto che la teoria, e oppongono il “nazionale” al “forestiere”) e le opere “acroamatiche” (le opere postume: hanno “carattere più scientifico che pratico”; riguardano l “avvenire” della filosofia, della religione, della civiltà, e mirano a “scoprire il nuovo aspetto della scienza e del cattolicismo, la nuova forma civile d’Italia, la dialettica del secolo ventesimo”; vol. III, p. 429) — appaiono composti secondo un disegno ben preciso e trovano una collocazione esatta entro un edificio armonico, perfettamente coerente. Negando che vi sia contraddizione, in Gioberti, tra filosofia essoterica (esposta e analizzata da L. nei primi due volumi) e filosofia acroamatica (studiata nel terzo volume), l’a. intende togliere alla ricostruzione critica resa pubblica da S. nel 1863 [69] il suo fondamento: non è vero che Gioberti si è arrestato a metà strada, lungo la via che porta a Hegel (di qui deriverebbero le contraddizioni — in realtà, inesistenti — denunciate da S.), ma, anzi, è andato “oltre” Hegel. Se si perde di vista il carattere unitario e armonico del pensiero di Gioberti, se ci si arresta al Gioberti “essoterico” (al Gioberti in apparenza “clericale”, “regressivo”, ecc.) si favorisce lo sviluppo dell’hegelismo in Italia. Se si coglie il vero senso delle Postuzze, si capirà che Gioberti è coerente, non solo, ma supera Hegel nella dottrina di Dio, dell'uomo e dell’universo (vol. III, pp. 456 sg.; e v. pp. 460-468 per un confronto Hegel-Gioberti, che va tutto a vantaggio del secondo; così come è superiore il “moto civile” italiano a quello tedesco). S. ha giudicato Gioberti dall’alto di alcuni presupposti hegeliani (identità di pensiero divino e pensiero umano; dottrina del sensibile e dell’intelligibile, e del loro rapporto, ecc.) e si è preclusa la via al retto intendimento del pensiero giobertiano; S. non capisce la soluzione “platonica” di 2485 Gioberti, non capisce la dottrina dell’ “intuito”, capace di superare lo psicologismo inaugurato da Cartesio (vol. I, pp. 96 sg.) e “concluso” da Hegel (vol. II, pp. 278 sg.), travisa — da psicologista — la distinzione giobertiana di psicologismo e ontologismo (vol. I, pp. 267 sgg.), attribuisce falsamente a Gioberti un’oscillazione tra due diversi concetti di intuito e di riflessione (vol. II, pp. 304-306), non intende l’affermazione di Gioberti: l’ente è concreto (vol. 11, pp. 306 sg.), non intende il concetto di creazione (vol. II, pp. 378 sg.), non riesce a capire quale posto occupi la Protologia nel sistema (vol. II, pp. 379 sg.), stravolge la teoria giobertiana dell’intelligibile (vol. II, pp. 320-323). Queste le critiche principali mosse dall’a. a S.; su di esse, e sul giobertismo di L., v. ora G. De Crescenzo, La fortuna di Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d'Italia, Brescia 1964, pp. 569 (la prima parte del volume, Pietro Luciani e il giobertitmo meridionale, è un rifacimento e approfondimento di uno studio pubblicato a Napoli nel 1960, con il titolo Pietro Luciani e il giobertismo). Si legge qui qualche riserva sul tentativo di confutare “speculativamente” Hegel in base al Gioberti; ma “... i lavori storiografici di Pietro Luciani sul Gioberti costituiscono il validissimo precedente, purtroppo ignorato, di tutta quella odierna storiografia filosofica che ha reagito opportunamente alla artificiosa interpretazione idealistica del Gioberti, la quale, iniziatasi con Bertrando Spaventa, si è poi continuata col Fiorentino, col Gentile, col Saitta, con l’Anzilotti e col Caramella” (pp. 67 sg.). 148. La questione della nostra Università superiormente lasciata a mezzo che si ripiglia qui e si termina da M. TUDDONE, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Napoli], 2486 III (1867), pp. 452-479. L’autore del precedente intervento [cfr. n. 145] è G. Salvia. Bisogna dargli un seguito, perché “quello che rende monca finoggi la trattazione, e bisognevole di un supplimento, si riduce a chiosare e discutere in simil guisa, per la logica un poco ma più per la dialettica le cose replicate in contrario [a Palmieri] dallo Spaventa” (p. 453). Per far questo l’a. divide la prolusione di S. in tre parti: “’’esordio con la proposizione” (concetto di filosofia nazionale), la “confermazione” (le prove storiche), la “conclusione” (la vera filosofia attuale è europea). La discussione è molto faticosa, ma la conclusione è chiara: “questo discorso sulla nazionalità della filosofia nostra è un cavalletto ben tormentoso per l’autore; il quale avria certo preferito ad essa ogni altro tema, mettendosi al sicuro dai divincolamenti, che gli convenne sopportare, e più o meno nascondere, questa prima volta che ascendea in cattedra” (p. 455). Per l’hegeliano S., è impossibile accettare l’idea di una filosofia “nazionale” italiana. 149. R. MARIANO, La pbilosophie contemporaine en Italie. Essai de philosophie hégélienne, Parigi 1868, pp. 162. Si occupa di Galluppi, Rosmini, Gioberti, A. Franchi, e, nella conclusione, di A.Vera. Ma nell’introduzione discute (pp. 13-22) la questione della filosofia “nazionale” e la tesi spaventiana della “circolazione” del pensiero italiano, per rigettarla; v. in particolare la lunga nota alle pp. 14-20. S. subordina — falsamente — l’oggetto della filosofia allo spirito nazionale, costruisce un’assurda equazione: Gioberti=Hegel, introducendo un elemento di confusione; 2487 travisa Hegel, non solo, ma la storia della filosofia e la stessa filosofia. A_p. 20 qualche riga sui Princìpi di filosofia [76], appena pubblicati: quello di S. è un linguaggio tortuoso e ambiguo, un hegelismo che non è hegelismo, una logica che vuol essere nuova, ma lo è in modo pericoloso: genera l'equivoco, la confusione e l’indisciplina delle menti. Molti anni dopo, nel vol. X degli Scritti vari (Dall’idealismo nuovo a quello di Hegel, Firenze 1908) M. accenna a S. come responsabile dei nuovi sviluppi dell’idealismo in Italia (cfr. la recensione di B. Croce, in “La Critica”, VI [1908], pp. 204-206). Un tono diverso nei giudizi di M. si coglieva nelle pagine di Uorzini e idee (vol. VII degli Scritti vari), Firenze 1905. A p. 16 sg., S. è elogiato per gli studi su Bruno; alle pp. 313 sgg. (nel “saggio biografico” su A. Vera [Napoli 1887], qui ristampato, pp. 227 sgg.) si legge che S. è stato “un logico e un metafisico di prima grandezza”, sordo alle tentazioni positivistiche, scettiche o neokantiane. La sua figura è inseparabile da quella del Vera; ma non riconobbe lo S., col Vera, il carattere solo universale della filosofia; se è vero che il pensiero moderno nasce col Rinascimento, l’interpretazione di Gioberti è tuttavia audace. Di Uomini e idee scrisse F. Tocco (Fra biografie e quadri storici, “Il Marzocco”, Firenze, 25 giugno 1905), cogliendo l’occasione per discutere dei rapporti di S. col Vera, e per ricordare l’insegnamento del maestro: v. l'introduzione di questa bibliografia, p. 873. 150. F. MORGOTT, Hegel in Italia, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Torino], IV (1868), pp. 62-80; V (1869), pp. 16-38. Si ricava da una nota che l’a., allora professore di filosofia a Bichstadt, in Baviera, stava lavorando a una storia della 2488 fortuna di Hegel in Italia, da pubblicare in tedesco. La traduzione dell’articolo è del prof. F. Rossi. La prima parte è un’esposizione del pensiero di Vera (pp. 68 sgg) e di S. (pp. 75 sgg.); per S. l’a. si serve — e lo dichiara — dei Briefe di Straeter [146]. M. si rammarica che ci siano in Italia filosofi che hanno abbandonato la tradizione, abbracciando una filosofia straniera. Segnala tuttavia con o cimento — nella seconda parte — il vasto moto di reazione all’idrillilnto liano guidato da V. De Grazia, da M. Liberatore, dalle riviste “La scienza e la fede” e “Civiltà cattolica”, e, ancora, da T. Mamiani, da N. Toni da V. Di Giovanni, da G. Allievo e A. Galasso, da A. Conti. 151. P. SICILIANI, GX begeliani in Italia, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, II (1868), vol. I, fasc. 6, pp.516-549. È un’ampia rassegna, in cui si discorre dei Principi di filosofia di S. [76], del libro di De Meis: Dopo la laurea, del saggio sull’immortalità dell'anima di M. Florenzi Waddington, del Pietro Pomponazzi di F. Fiorentino, A proposito della “circolazione”, pur respingendo, almeno in soluzioni di S. (la relazione Gioberti-Hegel è estrinseca), l’a. loda l’ “accortezza” e la “prudenza” del filosofo, che ha saputo introdurre l’idealismo assoluto in Italia presentandolo come il frutto della nostra più autentica tradizione. Nel saggio sulle Prizze categorie [70], S. ha certo contribuito a rendere più “logico” il sistema di Hegel, ma non l’ha reso, per questo, più vero; l’a. si dichiara suo conto incapace di penetrare quel buio dell’ “indeterminato”, da viti vrebbe svilupparsi la logica. Sulle Prize categorie, Siciliani ritorna anche nel libro Su/ 2489 rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Firenze 1871, pp. XVII-542, nel quale propone “via di mezzo” tra i due estremi rappresentati dall’hegelismo e dal positivismo, appellandosi a Vico (v., ad es., pp. Il, 31). Per le Prize categorie, cfr. pp. 396 sgg.: quando S. risponde a Trendelenburg, “giusto nel momento che s’hanno a decidere le sorti della logica obbiettiva, giusto nell’istante supremo in cui la logica dee poter rivestire natura e valore di metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e invoca il pensiero, invoca l’astraente, invoca l’astrazione, e così dileguatasi a un tratto l’obbiettività, ci fa divagare nel mondo delle pure forme, ed eccoci di bel nuovo ricacciati e ravviluppati per entro alle fitte maglie della tela di ragno!” (pp. 403 sg.). Il libro è da vedere anche per molti altri riferimenti a S.: nell’avvertenza, sul tema del “rinnovamento” della filosofia italiana, è discussa, accanto a quelle di Mamiani, Rosmini e Gioberti, la posizione di S. (specialmente della Filosofia di Gioberti; e cfr. su questa opera anche le pp. 205 sg., 374, 455). Alle pp.115 sgg., 170 sgg., si discute l’interpretazione spaventiana di Vico; sul rapporto Vera-Spaventa, v.. pp, 126 sgg.; sulla “circolazione”, pp. 189 sgg., 194 sgg.; sull’interpretazione di Rosmini 368 sgg. Siciliani fa comparire S. tra gli interlocutori della “giornata sesta” (367-492) de La critica nella filosofia zoologica del XIX secolo. Dialoghi, Napoli 1876, pp. XXXI- 555. Il dialogo si svolge tra rappresentanti, sostenitori e critici di tre scuole: quella dei cuvieristi, quella dei trasformisti e quella degli idealisti. Nel dialogo si colgono allusioni all’intervento di S. nella polemica sulle psicopatie [83], e alla sua discussione sul metodo delle scienze comparate [74]; ma la conversazione investe soprattutto le teorie esposte da De Meis ne I tipi animali; e, più in 2490 generale, il valore metodologico della dialettica hegeliana. 152. A. TAGLIAFERRI, Ur saggio della modestia e serietà filosopra dei nostri filosofi hegelisti, in “Il Campo dei filosofi italiani” Torino], IV (1868), pp. 324-352; e in A. T., Saggi di critica filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 1882, pp. 1-28. Lo scritto di T. è una pronta replica alla “lettera” Paolottismo, positivismo, razionalismo [78]. Il tono è indignato e predicatorio; l’a. definisce “indegno” di un filosofo lo scritto di S., respinge l’aggettivo “paolotto”, denuncia l’altezzosità di S. nei confronti di Mamiani, accetta — ma a disdoro dell’hegelismo — la continuità (anzi, per T., l'identità) tra materialismo del Settecento e Fiosofia hegeliana, condanna l’adorazione del Dio-stato. Respinge, ancora, il nesso Vico-Kant stabilito da S. (Vico distingueva tra intelletto divino e intelleno umano, e il verumz ipsum factum non è accettabile fuori di quella distinzione), e si duole delle “nebbie teutoniche” trapiantate in Italia. Nelle ultime pagine, si scusa della “vivacità” del proprio intervento, provocata del resto dal tono “beffardo” di S.; e dichiara di riconoscere la parte di vero che c’è in Hegel: “l'universalità e la comprensione del concepire” (ma l’universalità è dall’armonia del cosmo, non dall’unità sostanziale di Dio e mondo) e la “presenzialità” del divino nel mondo e nell’uomo (che non va intesa, tuttavia, né come assoluta immedesimazione né come assoluta separazione). Cfr. anche n. 156. 153. A. C. DE MEIS, Deus creavit, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, III (1869), serie II, vol. I, 2491 fasc. 5-6, pp. 724-773. È un dialogo, in cui si discute il problema studiato da S. nelle Prize categorie della logica di Hegel [70]; uno degli interlocutori (Giorgio) espone e soomene la soluzione spaventiana. Gentile interpreta il Deus creavit — nelle sue Origini della filosofia contemporanea in Italia (v. nell'edizione e nel volume citato più avanti [cfr. n. 193] le pp. 61 sgg.) — come una disputa ideale tra i due filosofi; per A. Del Vecchio Veneziani (La vita e l’opera di Angelo Camillo de Meis, Bologna 1921, pp. XXIV-333) il dialogo è nato probabilmente da una conversazione realmente avvenuta (v. pp. 118 sgg.). Il volume della Del Vecchio Veneziani è utile per seguire alcune vicende di S. attraverso la biografia dell’amico (e, per un confronto tra S. e De Meis, v. pp.320 sg.). Due pagine dell’opera di De Meis Dopo la laurea (2 voll., Bologna 1868-69; vol. I, pp. 289 sg.) sono dedicate a un elogio di S.; del De Meis si veda anche il discorso tenuto a Bologna per l’inaugurazione dell’anno accademico 1886-87, Darwin e la scienza moderna (Bologna 1886, pp. 35), in cui l’a. aderisce alla nota tesi spaventiana secondo la quale l’idealismo hegeliano è la “profezia”, cioè l’ “organismo” e la “correzione” anticipata dalla scienza moderna (v. pp. 32 sg.). Cfr. anche nn. 161, 162. 154. L. FERRI, Essaz sur l’histoire de la philosophie en Italie au dix-neuvième siècle, 2 voll, Parigi 1869, pp. IX- 496, 359. S. ha ragione come filosofo, quando cerca di trovare nell’ultimo Gioberti un punto d’incontro con la filosofia 2492 tedesca: questo punto d’incontro, di fatto, c'è (F. ne tiene conto: la discussione dell’ultimo Gioberti fa da introduzione all'esposizione dell’idealisimo italiano; il libro quinto, dedicato ai filosofi idealisti, si intitola: Derrière philosophie de Gioberti). Ma ha torto come storico, perché, come Hegel, procede del tutto apriori; la storia è, per lui, una generazione o genealogia di sistemi; S. predilige le ipotesi e ignora i fatti, l’osservazione dei fatti: di qui la debolezza della teoria della circolazione e della ricostruzione storica proposta nelle prime lezioni napoletane. Nella Filosofia di Gioberti [69] S. non discute le dottrine del filosofo tenendo conto del loro sviluppo storico; le diverse fasi del pensiero giobertiano sono per lui compresenti, e S. ha buon gioco nel moltiplicare le contraddizioni del sistema. A S. sono dedicate in particolare le pp. 193-206 del secondo volume (capitolo terzo del libro quinto). 155. P. SICILIANI, Su/ rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Firenze 1871, pp. XVII-452. Choi. 156.A. TAGLIAFERRI, I/ materialismo plebeo e il materialismo aristocratico (1872); in A. T., Saggi di critica filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 1882, pp. 73-100. L’articolo è datato: agosto 1872; ma non ho rintracciato indicazioni relative alla prima pubblicazione. È un’analisi della polemica sulle psicopatie [83]. Tra l’idealismo di S., il “semi-materialismo” di Tommasi e il “puro materialismo” di De Crecchio, le differenze sono solo accidentali (quello di De Crecchio è, semmai, un materialismo “plebeo” o “schietto”; il materialismo di S. è “aristocratico” © 2493 “ipocrita”). Gli autori della polemica sono concordi nel riconoscere che l’anima senza il corpo non è, e riducono l’uomo alla sua pura “esistenza fenomenica”: tanto basta a qualificarli. S. critica, e con validi argomenti, il materialismo volgare; ma il suo idealismo non gli fornisce un principio capace di scongiurarne le conseguenze morali, religiose, e sociali (l’a. accenna anche ai “comunisti” di Parigi, che hanno senz'altro ragione, se si nega l’al di là). L'hegelismo ha una parte vera e buona [cfr. n. 152], ma è viziato alla base dalla identificazione di Dio e mondo. Per avvalorare il rilievo della insufficienza della morale idealistica, T. esamina, nelle ultime pagine, la recensione di S. a La vita di G. Bruno scritta da D. Berti [82]. E conclude: “Nel vostro aristocratico materialismo, non vi lasciate vincere di lealtà e sincerità da’ materialisti plebei, che voi combattete, ma che pur sono i vostri fratelli carnali”. Dei Saggi di T. v. la recensione di B. Labanca in “La filosofia delle scuole italiane”, XIV (1883), vol. XXII, pp. 302-314. 157. F. ACRI, Critica di alcune critiche di Spaventa, Fiorentino, Imbriani su i nostri filosofi moderni. Lettera... al prof. Fiorentino, Bologna 1875, pp. 153. Cfr. n. 158. 158. F. FIORENTINO, La filosofia contemporanea in Italia. Risposta... al professore F. Acri, Napoli 1876, pp. XVI-474, Nel volume è ristampato, alle pp. 1-89, il testo italiano di uno scritto di F. del 1874: Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 7860, 2494 già pubblicato in tedesco nel secondo volume del periodico Italia edito da K. Hillebrand (un estratto dell’articolo, che porta la data 19 settembre 1874, e che era probabilmente posseduto dallo S., è conservato presso la Biblioteca civica A. Mai di Bergamo: F. F., Die philosophische Bewegung Italiens seit 1860, Separatabdruck aus K. Hillebrands Italia, Bd. II, Lipsia, s. d., pp. 56). Alla Philosophische Bewegung Italiens replicò F. Acri con una Critica di alcune critiche... [v. oltre; e cfr. n. 157]; a cui F. fa seguire ora, alle pp. 91- 464 de La filosofia contemporanea in Italia, una Risposta al prof. F. Acri. La polemica ebbe ancora un seguito con la pubblicazione dell’opuscolo di F. Acri I critici della critica... [v. oltre; e cfr. n. 159]; nel 1911, Acri ristamperà tutti i suoi interventi nella vicenda, in una raccolta intitolata Dialettica turbata [186]. Nelle Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia (pubblicate anche in F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli 1876, pp. 1-75), l'a. ricorda che la ricostruzione di tutta la storia della filosofia italiana, dal Rinascimento a oggi, è opera di B. S., il cui lavoro “sta a capo di tutto quel movimento storico e critico, che dura tuttavia, e che è il carattere precipuo della nostra filosofia presente” (p. 12). Parla del gruppo dei primi hegeliani, e riassume i risultati dei lavori storici di S., soffermandosi sugli studi bruniani, sulla Filosofia di Kant, del 1860 (“il miglior modello di critica filosofica, che vanti l’Italia contemporane”, p. 23), e sull’interpretazione di Galluppi, Rosmini e Gioberti; la critica di S. a Gioberti è la più ampia e la “più profonda” tra quelle elaborate dal maestro (p. 29). S. non è un ripetitore di Hegel, ma ne ha compreso lo spirito; l’a. accenna all’originalità delle Prime categorie (p. 31), alla valutazione positiva della scuola di Herbart, per la psicologia (p. 32), e al riconoscimento della “ragionevole 2495 esigenza” del positivismo “per lo studio dei fatti storici” (ivi). S., ribadisce Fiorentino, non è un hegeliano ortodosso, e crede in una “nuova” metafisica, i cui caratteri sono delineati nella lettera del 1868 Paolottismo, positivismo, razionalismo. Alle pp. 33 sgg., F. tratta di Vera (e dei suoi rapporti con S.), di Mariano, di Franchi, di Mamiani (e del “mamianista” L. Ferri; l'a. coglie l’occasione per ribattere le obbiezioni a S. contenute nell’ Essai del 1869 [cfr. n. 154]), del Fornari, ecc. Il giudizio decisamente negativo espresso, nelle Considerazioni, sul Fornari (già attaccato da V. Imbriani per la sua “estetica”), e, più ancora, l'adesione incondizionata alle tesi storiografiche di S., provocarono la prima reazione di F. Acri. Nella Critica di alcune critiche (il libro è stato recensito favorevolmente da T. Mamiani in “La filosofia delle scuole italiane”, VII [1876], vol. XIII, pp. 138-142; v. la ristampa della recensione in Dialettica turbata cfr. n. 186], pp. 127-132), Acri sostiene che il panorama delineato da Fiorentino è altrettanto sbagliato quanto lo è la ricostruzione spaventiana della filosofia moderna: l’interpretazione di Galluppi (pp. 9-39), l'interpretazione di Rosmini (pp. 40-68) e quella di Gioberti (pp. 68-113). Acri cerca di mostrare l'infondatezza delle conclusioni di S., contrapponendo ad affermazione negazione e a negazione affermazione (come dice lo stesso a.). Va segnalato anche, in queste pagine, il tentativo dell’Acri di provare che la “lettura” spaventiana di Spinoza discende direttamente dalle pagine della Geschichte der neuern Philosophie di K. Fischer (sull'argomento Acri ritornerà in uno scritto del 1877 edito a Firenze: Una nuova esposizione del sistema di Spinoza, ristampato nel 1911 [cfr. n. 186]; vedine la recensione in “La filosofia delle scuole italiane”, VIII, 1877, vol. XVI, pp. 255-258). Alle pp. 135 sgg. della Critica, Acri si occupa 2496 dello scritto di Imbriani su V. Fornari estetico, apparso nel “Giornale napoletano” del 1872. Nella Risposta di Fiorentino al prof. Acri (La filosofia contemporanea..., pp. 91 sgg.) sono ribattute una per una le obbiezioni di Acri a S. (cfr. in particolare pp. 175-329). S. non intervenne direttamente in questa polemica contro Acri; cfr., nella Filosofia contemporanea, una sua lettera a Fiorentino del 10 marzo 1876 (pp. IX-XV; a p. XVI, una lettera allo stesso di V. Imbriani). Nello stesso volume, pp. 467-471, è ristampato tuttavia l’articolo scritto da S. contro Fornari e pubblicato nel 1876 dal “Fanfulla” di Roma [87]. Dell’opuscolo di Acri in risposta alla risposta di Fiorentino [cfr. n. 159]va detto che l’a. racconta, nella prima parte, un sogno, in cui S., Fiorentino e Imbriani compaiono in veste di filosofi che bisticciano (il caposcuola rampogna i discepoli per l’imprudenza dei loro attacchi); nella seconda parte l'argomento è continuato sotto forma di dialogo tra l’a. e un amico. La polemica tra gli hegeliani e F. Acri è ricordata da diversi autori (v. sopra, introd., pp. 871 sg.); ma v. le pagine di Croce ne La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900 [cfr. n. 185] e, soprattutto, il volume di L. Russo su F. De Sanctis (nell’ed. cit. al n. 210, pp. 249 sgg.). 159. F. ACRI, I critici della critica di alcune critiche, cioè i professori Spaventa, Fiorentino e Imbriani apparsi in sogno al professore Acri, Bologna 1876, pp. 44. Cfr. n. 158. 160. P. SICILIANI, La critica nella filosofia zoologica 2497 del XIX secolo. Dialoghi, Napoli 1876, pp. XXX1I-555. Christi. dl 161. R. DE CESARE, Bertrando Spaventa, in “Fanfulla della domenica” [Roma], V (1883), n. 9, 4 marzo; ristampato da G. Gentile in “Giornale critico della filosofia italiana”, VII (1926), pp. 378-382, con il titolo: Una notizia biografica di B. Spaventa. Necrologio del filosofo. De Cesare afferma, tra l’altro, che B. collaborò con articoli al giornale di Silvio, il “Nazionale”. Nel ristampare il breve profilo biografico di S., Gentile segnala l’importanza di quella indicazione, ma anche alcune inesattezze dell’a. (p. 382). Qualche anno dopo, Gentile renderà nota la fonte dell’articolo (e delle inesattezze): il testo di alcuni appunti di De Meis, consegnati a De Cesare per la pubblicazione del necrologio (A. C. De Meis, Ricordi di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXI [1940], pp. 279-281). 162. A. C. DE MEIS, Bertrando Spaventa, in “Gazzetta dell'Emilia”, XXIX, 23 febbraio 1883. Il testo di questo necrologio è riprodotto a p. XVII n. I della bibliografia degli scritti di De Meis raccolta nel volume di A. Del Vecchio Veneziani [cfr. n. 153]. 163. F. FIORENTINO, Commemorazione di B. Spaventa, letta nell'aula magna dell’Università di Napoli il 22 aprile 1883, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXII (1883, aprile), pp. 35-59. 2498 È il primo ampio saggio biografico su S.; citato come fonte dal Gentile nel suo Discorso del 1900 [cfr. n. 96]. F. ricorda, oltre alle vicende del filosofo, le sue opere principali, delineando in breve anche la tesi dello scritto, ancora inedito, Esperienza e metafisica [94]. Tratto fondamentale del filosofo, l’ “ingegno critico”, e l'indipendenza del pensiero; doti che ben corrispondono alla fermezza del carattere, alla severità, all’austerità e alla franchezza, talvolta “ruvida”, dell’uomo. La commemorazione è pubblicata anche nel “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, febbraio-marzo 1883, pp. 473-499, negli “Atti” dell’Accademia di Napoli, XVIII (1884; con una bibliografia e indicazioni su lavori inediti di S.), nelle Onoranze funebri a Bertrando Spaventa [164], pp. 37-63. Vedila ora in Fiorentino, Ritratti storici e saggi critici, Firenze 1935, PP. 299-319. 164. Onoranze funebri a Bertrando Spaventa, Napoli 1883, pp. 63. Contiene: una premessa di D. Jaja (pp. 3-5), il testo dei discorsi pronunciati da A. Vera (pp. 9-10), da E. Pessina (pp. 11-17), da R. Bonghi (pp. 18-19), da L. Miraglia (p. 20), da D. Jaja (p. 21), da G. Abignente (pp. 22-23), da R. Cotugno (pp. 24-25), da O. Testa (p. 26). A p. 27, il frammento di un discorso di F. D’Ovidio; alle pp. 37-63, la ristampa della commemorazione di F. Fiorentino [163]. 165. K. WERNER, Die ttalienische Philosophie des neunzehbnten fabrbunderts, 5 voll., Vienna 1884-1886, pp. XV-472, XV-426, XIV-424, IX-281, XI-427. 2499 La seconda parte (Die pantbeistischhe Transformation des Ontologismus im italienischen Hegelianismus, pp. 232-333) del terzo volume (Die kritische Zersetzunr, und speculative Umbildung des Ontologismus) è dedicata agli hegeliani. L’a., ricorda le tesi delle prime lezioni napoletane di S., e illustra i caratteri che distinguono le due principali correnti dell’hegelismo, rappresentate da Vera e S. (Vera ortodosso; S. media Hegel con la tradizione idealistica italiana, e con le esigenze del realismo contemporaneo, antiidealistico). A_S. sono dedicate in particolare le pp. 264-287; per esporne la filosofia, W. riassume gli Studi sull’etica hegeliana [80]. 166. F. MASCI, Relazione per la proposta di un monumento a Bertrando Spaventa, s. 1., s. d. [Napoli 1885 21,pps12. Ribadisce un giudizio sul quale concordano gli scolari di S.: il filosofo napoletano fu soprattutto un ricercatore, uno spirito critico, che non trasmise dogmi ai suoi discepoli, ma volle e seppe sviluppare in loro l’attitudine alla ricerca. S. ebbe il merito di far conoscere all’Italia la filosofia di Kant, e l’idealismo assoluto; agli occhi dell’a., quest'ultimo appare come un semplice momento, certo necessario, ma ormai superato dal “ritorno” a Kant e della “vigorosa ripresa dell’empirismo” (v. in particolare pp. 7 sgg.). Una recensione dello scritto di M. si legge nella “Filosofia delle scuole italiane”, XVI (1885), vol. XXXI, pp. 303-305. 167. M. KERBAKER, Per l'inaugurazione dei monumenti a L. Settembrini e B. Spaventa, Napoli 1886, pp. 24. Nel discorso di K., Settembrini e S. sono riavvicinati e 2500 elogiati: a) per l’ “indipendenza” del loro pensiero (pp. 5 sgg.; in S. “la libera attività del pensiero era più inquisitiva che ermeneutica”; l’a. sottolinea il temperamento socratico, la capacità critica del filosofo; il miglior frutto di questa virtù è rappresentato dalle lezioni sulla filosofia italiana: “comprese pel primo lo Spaventa l’importanza del problema storico, quello cioè di scoprire le vere e genuine tradizioni filosofiche del genio italiano e quindi la sua propria attitudine e vocazione scientifica”, p. 12); b), per “il senno moderato e moderatore, il senso della giusta misura nel giudicare i fatti del mondo reale e trarne le norme regolatrici della civil convivenza”, pp. 15 sg. (cfr. pp. 17 sg.: S. “non credeva che il riscatto morale del popolo italiano fosse compiuto pel sol fatto della sua emancipazione civile e politica. Scorgeva invece e predicava la necessità che si rifacessero faticosamente i materiali dell’edificio, si sostituisse cioè a poco a poco, nella coscienza pubblica, il concetto dello stato organico, operaio, intraprendente a quello dello stato meccanico, stazionario, pacifico”). 168. V. LAUREANI, Giordano Bruno e Bertrando Spaventa, Lanciano 1888, pp. 14. Sembra promettere, all’inizio, un discorso sulle interpretazioni spaventiane di Bruno; ma si esaurisce in un generico profilo del pensiero di S. 169. L. FERRI, Ur Zibro postumo di Bertrando Spaventa. La dottrina della cognizione nell’Heghelianismo, in “Rivista italiana di filosofia”, anno IV, vol. I (1889), marzo-aprile, pp. 129-158; Il problema della coscienza divina in un libro postumo di Bertrando Spaventa, in “Rivista italiana di filosofia”, anno V, vol. I (1890), 2501 maggio-giugno, pp. 257-279. Due saggi su Esperienza e metafisica [94]. Nel primo, F. dichiara di accogliere la critica spaventiana del realismo ingenuo, ma di dover rigettare la concezione idealistica della “natura del vero, ossia della relazione del pensiero con l'essere” (p. 135). S. difende contro i kantiani il concetto dell’ “assoluto metodologico inseparabile dall'andamento del pensiero in quanto esso è guidato... [dalla]... presunta e dimostrabile unità” di “assoluto naturale, dialettico e religioso” (p.. 138); respinge l’idea spenceriana dell’inconoscibile, il concetto di “posizione assoluta” di Herbart, e la soluzione darwinistica, che poggia “sopra fatti esteriori e dati empirici” (p. 139). Crede di aver dimostrato che l’uomo è “capace di pareggiare col pensiero l'essere”, che è capace di “conseguire il pensiero assoluto, l'assoluto sapere” (p. 141). Ma il timore del dualismo spinge S. “a diminuire da una parte l’ingerenza dell'esterno, e accrescere talmente quella dell'interno nella funzione conoscitiva, che alla fine la seconda rimane sola” (p. 145; e cfr. tutta la discussione di pp. 151 sgg., dove si denuncia l’indebita identificazione idealistica di processi della coscienza e processi della conoscenza, che conduce all'affermazione della presenza dell'essere infinito nell'uomo: F. pensa che si debba mantenere un concetto “ben circoscritto” dell’ “immanenza divina”, per salvare sia la “personalità” divina, sia quella umana, pp. 156 sg.). Per F. si deve continuare a riconoscere la presenza di dati irriducibili all’attività psichica; la relatività della conoscenza non va intesa semplicemente in relazione alla sua estensione, giacché si fonda sulla “materia” stessa del conoscere (p. 147). Nel secondo saggio, riprendendo il tema, già affrontato 2502 nella prima parte, del rapporto tra pensiero divino (“inconscio”, secondo S.) e pensiero umano (nel quale soltanto si realizzerebbe il sapere come coscienza), F. difende contro S. le ragioni del teismo. 170. S. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere scritti documenti pubblicati da B. Croce, Napoli 1898, pp. IX- 314; Bari 19232, pp. XII-373. Gfr: n.125, 171. G. GENTILE, Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa, in B. S., Scritti filosofici, raccolti e pubblicati... da G. Gentile, Napoli 1900, pp. XXI-CLII. Cfr. n. 96. 172. D. JAJA, Prefazione a B. S., Scritti filosofici, raccolti e pubblicati... da G. Gentile, Napoli 1900, pp. VILXVII. Cfr. n. 96. 173. B. VARISCO, Razionalismo e empirismo, in “Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini”, III (1902), vol. VI, n. 3, pp. 298-315. L’a. si propone di “esporre e di criticare i concetti fondamentali del razionalismo kantiano e dell’hegeliano; e di dimostrare la possibilità d’un empirismo, soddisfacente alle esigenze, che queste due dottrine hanno avuto il merito di mettere in luce”. Nella sua ricerca, V. tiene presenti i saggi spaventiani raccolti negli Scritti filosofici [96]. L’a. 2503 riconosce a S. il merito di aver sostenuto le ragioni del “meccanismo”, di averne ammessa la necessità per la conoscenza dei fenomeni psichici. Ma al di là di alcuni parziali riconoscimenti, va detto che è fallita la “correzione” di Kant, tentata da Hegel e da S. L'esigenza di salvare l’oggettività del conoscere non può ritenersi soddisfatta attraverso la “prova” dell'identità di essere e pensiero, escogitata da S. nelle Prizze categorie. E la radice della difficoltà va ritrovata, in fondo, nello stesso Kant, che ha considerato la sensazione come un fatto soltanto soggettivo, e non come un dato che si “impone” a noi. All’articolo di V. replica prontamente Gentile [cfr. n. 174], rivendicando a sé il diritto di rispondere in nome di S., e ribadendo, tra l’altro, la necessità di riprendere la tradizione rappresentata dal filosofo napoletano. La risposta alle difficoltà di V. è già contenuta nel saggio sulle Prize categorie. Il critico fraintende S. (e Hegel), perché confonde fenomenologia e logica, confonde una questione di ordine gnoseologico con una questione di ordine logico © metafisico. Un argomento, su cui Gentile insiste per avvalorare questa sua osservazione, consiste nel rilievo della impossibilità di richiamarsi al principio di contraddizione, nella discussione del rapporto essere-nulla: impossibilità ben nota, oltre che allo S., allo stesso Trendelenburg, ma non intesa da Varisco. Alla risposta di Gentile, V. replica con lo scritto: Per /a critica, sulla stessa rivista, nel fascicolo di ottobre del medesimo anno (pp. 377-399). Gentile chiude la discussione con: Polemica hegeliana, Napoli 1902, pp. 22. I due scritti di Gentile vedili anche ristampati in Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, pp. 45-67, 69-87. 174. G. GENTILE, Filosofia e empirismo, in “Rivista di 2504 filosofia, pedagogia e scienze affini”, III (1902), vol. VI, nn. 5-6, pp. 588-604. Cfr. n. 173. 174 bis. N. Lo PIANO, L’begelismo a Napoli, Potenza 1903, pp. 72. Nel saggio sono indicate le ragioni — politiche e religiose, oltre che filosofiche — della fioritura dell’hegelismo a Napoli, e quelle del suo arresto o della sua “mancata diffusione”. Il secondo tema è trattato — tra l’altro — attraverso il ricorso a note argomentazioni (cfr. p. 68: “Alla mente italiana, dotata da natura di forme troppo originali per soffrire qualunque maniera d’imitazione; al pensiero italiano, naturalmente bisognoso di realtà e di vita, mal si convengono le astrazioni, spesse volte, troppo vuote dei Tedeschi”); ma proprio questo taglio del discorso consente all’a. di lodare in S. la figura del mediatore (v. il paragrafo XV, pp. 69-71, Ragioni del maggior credito e fama dello Spaventa rispetto agli altri begeliani; e cfr. p. 69: “Ha seguito Hegel non da noioso ripetitore, né da fedele e servile interprete, ma se ne è assimilato lo spirito più che le formule e le parole. È l’anello di congiunzione tra l’idealismo di Gioberti e quello di Hegel; è un moderatore o meglio il termine medio tra la filosofia esclusivamente nazionale e l’hegelismo puro...”). Nei paragrafi decimo e undicesimo (pp. 45-58) l’a, riassume Ia storia della filosofia italiana elaborata da S., la sua interpretazione delle prime categorie della logica di Hegel, e le tesi di Esperienza e metafisica; in alcuni punti (v. ad es. p. 55, per il parallelo S.-Marx) il saggio sembra riflettere — ma senza espliciti riferimenti — qualche indicazione contenuta nel discorso premesso da Gentile all’edizione degli Scritti 2505 filosofici di S. [96]. 175. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Principi di etica, Napoli 1904. Cfr. n. 97. 176. N. SCHIAVONI, Silvio e Bertrando Spaventa, lettera all'avv. Michele Crisafulli (13 dicembre 1903); in Onoranze al prof. Vincenzo Lilla, Messina 1904, pp. 311- 314. È un “ricordo” dei fratelli S.; ma riguarda soprattutto Silvio. 177. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Da Socrate a Hegel, Bari 1905. Cfr. n. 98. 178. R. MARIANO, Uorzini e idee (vol. VIII degli Scritti vari), Firenze 1905, pp. 488. Cfr. n. 149. 179. F. TOCCO, Fra biografie e quadri storici, in “Il Marzocco” [Firenze], 25 giugno 1905. Cfr. n. 149. 180. B. CROCE, Giovanni Bovio e la poesia della filosofia, parte prima, in “La Critica”, V (1907), pp. 335- 2506 361. Contiene alcune pagine su Vito Fornari e B. S. (sullo S. v. in partico lare pp. 343-348), ristampate più tardi in B. C., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, qui le citazioni sono tratte dalla seconda edizione (1921) del primo volume (lo scritto: V. Fornari-B. Spaventa occupa le pp. 379-391 SU 8. v. pp. 385-391). Fornari viene incontrato da C. in “una visita di congedo, se non proprio di riverenza, alla prosa italiana del buon vecchio tempo, con le sue avvizzite graziette e moine” (p. 379). S. Si schierò contro la tradizione dei “linguai e frasaioli” (p. 385), in forza del suo atteggiamento critico (anche rispetto a Hegel), e della sua attenzione alle nuove forme di pensiero. È un merito che gli va riconosciuto, “quale che sia il giudizio che si porti sulla sua filosofia” (p. 385). A Fornari S. oppone l’ “asciuttezza del discorso, che aborre la divagazione e la chiacchiera” (p. 386), e una eloquenza, che è tuttavia “virilmente semplice”. Croce ricorda il vigore polemico del vecchio hegeliano, precisando che il “suo temperamento lo portava non all’ironia, ma al sarcasmo e alla rappresentazione grottesca” (p. 388). Di questo tratto del carattere di S. costituisce un documento la lettera contro Fornari, del 1876, G/ spaventiani spaventati [87]. 181. G. BARZELLOTTI, Due filosofi italiani, Augusto Conti e Carlo Cantoni, in “Nuova Antologia”, 16 luglio 1908, pp. 177-192; e in G. B., L’opera storica della filosofia, Milano, s.d., pp. 305-334. Nelle ultime pagine dell’articolo, B. muove alcune obbiezioni al “programma” degli hegeliani di Napoli — e, in 2507 particolare, di S. — che provocarono una risposta di Gentile [cfr. n. 182]. 182. G. GENTILE, Per la sincerità della critica e per l'esattezza storica. Risposta al prof. Barzellotti, in “La Critica”, VI (1908), pp. 395-400; e in G. G., Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 209-216 (con il titolo: False accuse contro lo Spaventa. Risposta...). La risposta di G. all’articolo di B. [cfr. n. 181] è una difesa della tesi della “circolazione” e un richiamo a una più corretta lettura degli scritti di S. Secondo B., S. avrebbe voluto trapiantare in Italia il sistema di Hegel, questo prodotto “nazionale” della Germania, senza tener conto delle differenze specifiche dei due linguaggi e delle due mentalità, italiana e tedesca; avrebbe mostrato, ancora, di mancare affatto di “senso storico” nella sua interpretazione di Rosmini e di Gioberti, e con la sua affermazione del carattere “solamente europeo” della filosofia moderna. Nella sua risposta, G. mostra che le accuse di B. si fondano su di una interpretazione affrettata de La filosofia italiana; e che, in particolare, l’attribuzione a S. del giudizio: la filosofia è solamente europea, nasce da un errore materiale di lettura. 183. G. GENTILE, prefazione a B. S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari 1908; terza edizione, Bari 1926. Cfr. n. 99. 184. R. MARIANO, Dall’idealismo nuovo a quello di Hegel (vol. X degli Scritti vari), Firenze 1908, pp. XXXII- 2508 459. Cfr. n. 149. 185. B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, in “La Critica”, VII (1909), pp. 325-351, 405-423; VII (1910), pp. 211-221, 241-262. Ampio panorama (ristampato in B. C., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici; qui si cita la sesta edizione, Bari 1954, vol. IV, pp. 267-355) della cultura universitaria e extrauniversitaria di Napoli nella seconda metà dell'Ottocento; con indicazioni ancora preziose sulla vita delle accademie e delle biblioteche, sulle riviste, sul teatro e sul giornalismo; sulla Società di storia patria, ecc. Il nome di S. vi compare più volte, e subito a p. 271 (S. rappresentò “nel modo più visibile” la “trionfante rivoluzione intellettuale”); qui il filosofo è legato al De Sanctis (e al Tari e al Settembrini) con un giudizio (erano, più che insegnanti, “educatori ed eccitatori di tutte le forze morali”, p. 295) che sarà poi ripreso e variamente accentuato da altri studiosi. Le pp. 271 sgg. offrono un quadro assai particolareggiato delle reazioni all’hegelismo di S. da parte dei giobertiani, dei seguaci di V. Fornari, e di alcuni “ultraprogressisti” in filosofia e politica (più o meno influenzati dal Mazzini). Degli scolari di S. (ma la sua scuola fu tutt'altro che una “chiesa”, p. 282) Si discorre alle pp. 281-286. Oltre alle pagine (con richiami alle testimonianze degli stranieri: di T. Straeter [cfr. n. 146], di M. Monnier, di I. Taine, ecc.) sulla vita dell’università napoletana, e sulla sua decadenza dopo il 1883-85 (v. pp. 328 sgg.), sono da vedere in particolare quelle dedicate alle riviste (pp. 306-314), che contengono le indicazioni essenziali sugli scritti polemici di hegeliani e 2509 antihegeliani (polemiche di Fiorentino, Imbriani, S., con V. Fornari, F. Acri, ecc.). 186. F. ACRI, Dialettica turbata, Bologna 1911, pp. VIII-262. Nella prefazione l’a. dichiara i sentimenti (assai delicati, e malinconici) che prova nel ristampare i documenti della disputa del 1875-76. Ripubblica qui: 1) con il titolo La 7754 disputa con il Fiorentino e lo Spaventa e l’Imbriani, pp. 1- 103, la Critica di alcune critiche del 1875 [157]; 2) col titolo Un sogno di B. Spaventa, pp. 104-110, la lettera di S. Gl spaventiani spaventati [87], con commenti in parentesi; 3) col titolo: Sogno di F. Acri, e Un dialogo dopo il sogno, pp. 111-122, 123-127, lo scritto del 1876: I critici della critica... [159]; alle pp. 127-132, la recensione di Mamiani alla Critica del 1875 [158]; alle pp. 133-243, la Nuova interpretazione dello Spinoza [158], seguita, pp. 244-262, da: I/ Fiorentino e lo spirito dello Spinoza celato entro una fiammella. 187. G. GENTILE, prefazione a B. S., La politica dei gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. Polemica con la “Civiltà cattolica” (1854-1855), Milano-Roma-Napoli 1911. Cfr. n. 101. 188. G. GENTILE, prefazione a B. S., Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di parti inedite, Bari 1911. Cfr. n. 102. 2510 189. B. CROCE, Noterelle di critica hegeliana. I. Il “primo” o il “cominciamento”, in “La Critica”, X (1912), pp. 370-374. La breve nota (ad essa si può collegare, per un riferimento esplicito a S., la discussione dello studio di A. Moni, La dialettica positiva ossia il concetto del divenire, Teramo 1910, apparsa nella stessa annata della “Critica”, pp. 294-310; i due scritti di C. sono stati poi raccolti nel Saggio sullo Hegel, Bari 1913, pp. 177-184, più volte ristampato) precisa in termini chiari e definitivi la distanza che l’a. volle frapporre fra sé e il vecchio hegeliano (per altri giudizi di C. su S., formulati per lo più incidentalmente in pagine non dedicate al filosofo, v. l’introduzione di questa bibliografia, pp. 880 sgg.). C. non attribuisce dignità di problema alla questione del “primo scientifico” o del “cominciamento”, e rifiuta come vana ogni esercitazione, per ingegnosa che sia, sul tema delle prime categorie della logica di Hegel. Dando credito alla richiesta di una “prova” per il principio della scienza, S. ha finito con l’escogitare una soluzione davvero insostenibile: quella che fa nascere la filosofia da un dato immediato epperò non provato (il “primo” della fenomenologia), e che indica poi nell’ “idea”, assunta come maximum di intelligibilità (il “più che intelligibile”), il risultato ultimo del suo processo; sicché può dirsi che S. si muove sul piano di un duplice empirismo, “un empirismo del fenomeno e un empirismo del soprafenomeno o misticismo”. L’errore sta nel continuare a mantenere — pur dopo aver negato l’esistenza di una verità esterna al pensiero — la distinzione empirica o didascalica della fenomenologia dalla logica, e del non filosofo dal filosofo; distinzione che appare, ancora, indebitamente presupposta, quando S. indica nella “risoluzione” del ZIL1 soggetto la possibilità di un cominciamento necessario per la filosofia. 190. G. DE RUGGIERO, La filosofia contemporanea, Bari 1912, p. 485. Sullo S., v. le pp. 399-411 (nella quinta edizione in due volumi, Bari 1947, pp. 137-147 del secondo volume). Qui il giudizio di De Ruggiero è positivo, in linea con l’interpretazione di Gentile. Nelle Prime categorie S. svolge, attraverso Hegel, tutta la ricchezza del cogito cartesiano; della logica di Hegel conserva “lo scheletro”, sviluppandone il significato “più profondo”, intendendola cioè nel suo “motivo storico”, come preparazione dell’ “assoluto psicologismo” o “assoluto empirismo”. S. mantiene, certo, la partizione del sistema, distingue ancora la fenomenologia dalla logica, i.e. la verità “per noi” dalla verità “in sé”, e Si mostra, in questo senso, “platonico”, al di qua del “nuovo” idealismo. Ma c’è anche lo S. immanentista, lo S. della lettera Paolottismo, positivismo, razionalismo, e dell’introduzione ai Principi di etica, che raggiunge l'identità di pensiero in sé e di pensiero in noi, di conoscenza e scienza, e che afferma la coincidenza dell’e eterna soluzione” con l “eterno problema”: un motto, che è “linsegna della nostra vita speculativa”. Da confrontare anche l’articolo di De Ruggiero: Echi platonici nella filosofia italiana contemporanea (in “La Voce”, IV [1912], n. 51 [19 dicembre]), che accetta la linea di sviluppo: Rosmini- Gioberti-Spaventa. A S. sono dedicate le ultime pagine di G. De Ruggiero, I/ pensiero politico meridionale nei secoli XVII e XIX, Bari 1922, pp. 303. Quello di S. (e di De Meis) è “uno stato liberale secondo ragione”, che differisce dalla concezione 4312 che ne ebbe il “classico” liberalismo europeo, fondato sui diritti e la libertà dell’individuo. Ma Y “astratto razionalismo” di S. e De Meis “venne in buon punto incontro alla prassi politica dei ‘patrioti’ e formò la filosofia della Destra liberale italiana. Una dottrina che deduceva l’autorità e la legge dalla libertà, celando in un nembo la dea generatrice, doveva esser propizia all’azione storica di quelle minoranze che compirono l’unificazione ed a cui solo una finzione razionalistica poteva attribuire un titolo di rappresentanza universale. L’energica affermazione dell'autorità dello stato, dedotta dai principi stessi dell’autocoscienza, corrispondeva alla pratica dell’accentramento e della burocratizzazione; il legalismo e il costituzionalismo come criteri superiori per dirimere tutti i conflitti degli interessi particolari, erano le armi appropriate a un ceto di proprietari, cosiddetti liberali, una volta pervenuti al potere” (p. 301). Sicché “la dottrina filosofica ribadiva un complesso d’interessi conservatori e, in certa misura, reazionari”; la “grandezza storica” (compimento dell’unità) della Destra appare “quasi del tutto estranea a ciò che le ha conferito la qualifica liberale” (ivi). Nel volume della sua Storia della filosofia moderna dedicato a Hegel (Bari 1948), De Ruggiero ricorda S. solo per affermare che la sua opera è affatto inutile in un “riesame storico-critico del sistema hegeliano”. S. conserva “L’intonazione teologica” di Hegel, e non importa che il suo teologismo assuma i toni di un teologismo “laico”. La critica moderna rompe l’involucro del sistema hegeliano, per coglierne e svolgerne l’interna ricchezza; S. si muove nella direzione opposta, “verso l’involuzione del sistema” (pp. 278 sg.). 2513 191. V. FAZIO ALLMAYER, I/ compito della filosofia italiana, in “La Voce”, IV (1912), n. 51 (19 dicembre). L'articolo di F. A. è il primo di una serie di scritti su La filosofia contemporanea in Italia, tema a cui è dedicato questo numero de “La Voce” (gli altri contributi sono di G. Gentile, F. Momigliano, A. Carlini, G. Natoli, L. Salvatorelli, G. Lombardo-Radice, B. Croce, T. Parodi, G. De Ruggiero [cfr. n. 190], G. Saitta). L’impianto dell’articolo — scritto con indubbia decisione e chiarezza — riflette le —linee’essenziali del programma spaventianogentiliano (e dell’ultimo Gioberti), accentuando una tematica (necessità di riassorbire la filosofia della natura e la logica nella fenomenologia dello spirito) che l'a. ha sviluppato per suo conto nell’elaborazione del proprio idealismo. Con S. e Gentile, F. A. legge nell’autentica tradizione italiana “la più forte tendenza verso l’immanenza e la libertà”; “noi siamo avviati alla concezione della logica come storia, sviluppo dello spirito umano concreto, e quindi al rifacimento della Feromzenologia dello spirito in cui, oltrepassato il dispiegamento della coscienza particolare riferentesi all'oggetto naturale, mostrata l'identità di coscienza ed autocoscienza fin nel primo atto dello spirito, si abbia il dispiegamento della coscienza umana come atto concreativo della storia umana, del mondo umano, quindi come storia e logica allo stesso tempo. Così riporteremo ai concreti problemi della vita e della storia quell’idealismo che altrove svapora nel misticismo o si deposita nel naturalismo”. Per questo articolo, l’a. fu chiamato in causa nel corso della polemica Boine-Prezzolini; e intervenne con una breve risposta ne “La Voce”, VI (1914), n. 13 (13 luglio), pp. 30 sg. 2514 Il compito della filosofia italiana apre la raccolta degli studi ristampati nel volume di F. A. Ricerche hegeliane, con prefazione di G. Saitta, Firenze 1959, pp. XVI-325; il saggio del 1912 è qui pubblicato con un titolo diverso, (Spaventa e l’hegelismo) e “con alcune lievi modifiche dove era invecchiato per la contingenza di certe affermazioni”. Nelle Ricerche è ristampato anche, con il titolo Genzile e la riforma della dialettica hegeliana, pp. 20-42, uno studio già apparso nel “Giornale critico della filosofia italiana” del 1947 [cfr. n. 243]. Per S. v. le pp. 36-40: la riforma gentiliana non si trova già in S., il quale “è ancora legato alla partizione della Enciclopedia hegeliana e ciò a cui è arrivato è che non ci è categoria senza pensare (mentalità) oggettivo, e che il pensiero oggettivo è presente al pensiero soggettivo, senza di che questo non è pensiero. Si potrà ancora sostenere perciò che per lui c’è una esigenza realistica [qui l’a. introduce un riferimento agli studi spaventiani di F. Alderisio], la quale invece è superata dal Gentile per cui tutta la realtà si identifica con quella vita del soggetto, in cui il mondo vive, e rivive; e rivivere è vivere” (pp. 39 sg.). 191 bis. RODOLAN, Ieri e oggi. Bertrando e Silvio Spaventa, in “La Nazione” [Firenze], 7 aprile 1912. Sulle ragioni che hanno portato lo S. al sacerdozio, e sulla riconoscenza di Silvio per l’ “olocausto” del fratello. 192. G. GENTILE, La riforma della dialettica hegeliana e B. Spaventa, con appendice (1912), in G. G., La riforma della dialettica hegeliana, Messina 1913, pp. 1-71; ora in G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, vol. XXVII, pp. 1-65. 2919 Cfr. n. 103. 193. G. GENTILE, La filosofia in Italia dopo il 1850. VI. Gli hegeliani. V. La riforma dello hegelismo (Bertrando Spaventa), in “La Critica”, XI (1913), pp. 365-384, 441-463; XII (1914), pp. 34-56, 133-146. Dei saggi gentiliani sulla filosofia italiana della seconda metà dell’Ottocento, raccolti poi dall’a. sotto il titolo: Le origini della filosofia contemporanea in Italia, viene tenuta presente in questa bibliografia l’ultima e definitiva edizione (nelle Opere complete di G. G. a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, voll. XXXI- XXXIV) costruita attraverso il confronto delle edizioni del 1917 e del 1925 (migliorate nello stile, ma mutilate di molti riferimenti ai testi e delle bibliografie) con il testo apparso ne “La Critica” tra il 1903 e il 1914. Il saggio su S. è ristampato nel vol. XXXIV delle Opere complete, pp. 83- 189; ma sono da vedere anche i volumi precedenti: il XXXI, per alcuni riferimenti ai rapporti tra Mamiani (e il mamianista Ferri) e S., il XXXII, che contiene, nelle pagine sul Tommasi, indicazioni sulla polemica intorno alle psicopatie, e notizie sui rapporti di Angiull i e Siciliani con lo S.; infine, nel vol. XXXIII, sono da vedere il capitolo su F. Fiorentino, le pagine su F. Masci e le pagine che introducono alla storia degli hegeliani di Napoli. Il saggio su S. del 1913-14, scritto quando erano oramai acquisiti (soprattutto con la pubblicazione del Framzzzento sulla dialettica del 1880-81: cfr. n. 103) i documenti fondamentali su cui si basa l’analisi di G., fissa in termini conclusivi l’interpretazione avviata nel Discorso del 1900 [96]. Le pagine su Bertrando Spaventa e la riforma dell’hegelismo sono precedute da due capitoli, intitolati: 2516 Pietro Ceretti e la corruzione dell’hegelismo (con paragrafi dedicati a P. D’Ercole, A. Tari, e alla Florenzi Waddington) e: A. C. De Mess e la filosofia della natura (sono da vedere le pp. 59 sgg., sui rapporti De Meis-S., dove si ragiona come e perché il primo non intese “il motivo segreto e le conseguenze” degli studi spaventiani sulla logica hegeliana); e precedono l’ultimo capitolo delle Origizi, dedicato agli Scolari di Bertrando Spaventa, S. Maturi e D. Jaja, da vedere anch'esso, per il rapporto istituito tra maestro e discepoli: Maturi subisce l’influsso anche di Vera, e dà un peso eguale alle due posizioni, distinte anzi opposte nella interpretazione corrente; Jaja “s’afferra al filo che già aveva porto lo Spaventa per uscire da quel labirinto del congegno della logica hegeliana, determinato dal rapporto delle prime categorie” (p. 206) e lavora all’elaborazione della metafisica della mente (p. 208). L’ultimo paragrafo dello scritto su S. riprende e conclude il giudizio avanzato nella dedica degli Scritti del 1900 [961: la filosofia di S. accoglie e compone “tutte le esigenze varie ed opposte che s’eran venute agitando nel pensiero italiano nella seconda metà del secolo XIX”, dando ad esse “legittima soddisfazione” (p. 187) e additando la via dell'ulteriore progresso. La ricostruzione del “punto di vista spiritualistico raggiunto dallo Spaventa” (p. 186) è preparata, in primo luogo, da una breve presentazione della figura del filosofo ($$ 1-2, pp. 83-85), lodato come “uomo di parte” orientato “verso la concretezza” storica, e opposto, così, all’ortodosso Vera (sui diversi interessi — per la filosofia della natura e della religione in Vera, per la logica e la teoria della conoscenza in S. — dei due filosofi, e per la presentazione della loro opposizione secondo lo schema: metafisica dell’ente-metafisica della mente, v. pp. 140 sgg.) e ai mistici 237 Tari e Ceretti; in secondo luogo ($$ 3-32, pp. 86-129), da una riesposizione degli studi e scritti spaventiani sul Rinascimento, su Spinoza e sulla filosofia italiana contemporanea: soprattutto della Fy/osofia di Gioberti, qui giudicata il “capolavoro” di S. Nel corso di questa riesposizione, e già a proposito dei primi studi bruniani di S., G. osserva che “questa sua storia della filosofia, che qui si viene studiando, non è che una prima immagine della sua filosofia” (p. 109); richiama cioè un problema affrontato nella prefazione a La filosofia italiana [99] già dato per risolto, in quella stessa prefazione, attraverso la costruzione teorica della identità di filosofia e storia della filosofia. Nelle Origzzi, questa teorizzazione riaffiora in più punti, e soprattutto nelle pp. 147 sgg., dove si parla della “perfetta fusione di trattazione storica e filosofica” che solo può realizzare chi, come S., ha interesse di “intendere tutto il processo, come il processo genetico del risultato” (pp. 148 sg.). Ora, approfondito e conosciuto veramente il “risultato” (e cioè “rivalutata” via via la filosofia di Galluppi, Rosmini, Gioberti), è abbandonato da S. l’astratto appello al sistema di Hegel, del 1850: il problema non era più quello “dei rapporti tra i filosofi del secolo XVI e la posteriore filosofia europea” (i.e. l’enciclopedia di Hegel), bensì “quello dei rapporti degli ultimi tre filosofi italiani... con la filosofia tedesca da Kant a Hegel”. La teoria della “circolazione del pensiero” nasce quando il processo della filosofia moderna appare a S. non più “rettilineo e centrifugo, rispetto a noi”, ma anzi “come un moto circolare, che ritorna al suo punto di partenza” (p. 117). Ora, l'abbandono o la correzione del programma del 1850 era reso possibile — sottolinea G. — dall’atteggiamento indipendente assunto da S. nei confronti dello stesso Hegel; “Spaventa, avendo fatto suo succo e sangue la sostanza del 2518 pensiero hegeliano, non pensava né scriveva col modello innanzi, né si faceva dei paragrafi dell’Erciclopedia la regola del proprio giudizio” (p. 129); e G. si compiace di additare almeno un luogo della Filosofia di Gioberti (1863, pp. 48 sg.) in cui S. mostra di avere, del pensiero, “un concetto conforme bensì alla Ferorzenologia hegeliana, ma non forse alla Enciclopedia, in cui il pensiero nostro, libero, personale, presuppone la logica in sé, nella stessa relazione che la riflessione giobertiana ha con l’intuito come sua base autorevole” (p. 131). Il vero significato della “circolazione” sta allora nella critica o meglio “autocritica” del processo storico del pensiero italiano che in S. si compie: “la vera importanza della critica dello Spaventa sul Galluppi, sul Rosmini e sul Gioberti è di rappresentare il progresso del pensiero italiano dopo Gioberti” (ivi). Con questo riconoscimento — e qui G. si discosta dai suoi precedenti studi, e approfondisce un’obbiezione avanzata nella prefazione a La filosofia italiana [99] — cade tuttavia lo stesso concetto della “circolazione”: “concetto, diciamolo pure, alquanto fantastico, implicando quello di una nazionalità come una sfera chiusa di vita spirituale: che, a sua volta, è concetto non sostenibile né storicamente, né filosoficamente, fondato su una rappresentazione fantastica della nazione, come qualche cosa di esistente in sé, in conseguenza di certi dati naturali” (p. 132). Certo, lo schema “rigido” della “circolazione” fu reso da S. più flessibile con la “scoperta” del nesso Vico-Kant ($$ 36-38, pp. 134-140), anche se il filosofo non riuscì a individuare la vera origine storica della dottrina vichiana (gli sfuggì l “aspetto incontestabilmente kantiano del De antiquissima”, p. 136) e della esigenza metafisica che pure ad essa riconobbe. Tuttavia, l’obbiezione di G. all'idea spaventiana del “circolo” resta: e viene giustificata, a) sul piano storico, 2519 attraverso numerosi riferimenti (pp. 133 sg.) che mostrano come la “circolazione” sia stata “continua” (p. 134), e h) sul piano filosofico, in virtù dell’equazione: nazione=spirito=universale (“e se la concretezza dell’universale importa le differenze, queste non cancellano mai quello: e la varietà della storia non è che l’eterna variazione dell'uno e l'eterna unificazione del vario”, p. 133). La “circolazione”, per G., è “continua”, perché coincide col dialettismo del pensiero in atto. Le pagine, già richiamate, che chiariscono il rapporto Vera-S. (pp. 140-143) avviano G. allo intelligenza” dell’hegelismo spaventiano. Unico problema di S. quello della logica o teoria del conoscere, sviluppato nella linea della sinistra hegeliana (pp. 144 sgg.) così come l’intende G., nella linea cioè di una ricerca volta all’ “affermazione dell’essere come mente” (p. 141) contro le concezioni imperniate sulla rappresentazione religiosa del logo (p. 145). Ma il “problema della mente” come problema del conoscere diventa centrale in S. non attraverso una mera “riduzione” della filosofia a gnoseologia; è, infatti, sul piano storico — sul piano di quel reale processo storico che va da Kant a Hegel — che la critica del conoscere si è rivelata a S. nel suo valore: non pura gnoseologia, ma metafisica (p. 148). G. ripercorre allora ($$ 44-50, pp. 149-159) le pagine dello Schizzo di una storia della logica [68] dedicate allo svolgimento del problema della conoscenza in Kant, Fichte, Schelling, Hegel; insistendo per suo conto — ma con l’indubbio conforto dei testi — sull'importanza della lettura spaventiana di Kant (della Critica della ragion pura, non della Critica della ragion pratica né della Critica del giudizio; e, all’interno della prima Critica, dell’Analitica piuttosto che della Dialettica, p. 151), che offrì al vecchio maestro un criterio fondamentale per 2520 orientare la sua ricerca teoretica e la stessa sua interpretazione di Hegel. Il Kant di S., il Kant “inteso a dovere” (i. e. il Kant della “vera sintesi a priori”, “unità del senso e dell’intelletto, in cui consiste l’atto dei conoscere”, p. 152), “rimase per lui sempre la vera pietra di paragone dello stesso hegelismo” (p. 151), e di ogni altro idealismo; il cui problema, come è noto, è presentato, nello Schizzo, secondo questo semplice schema di sviluppo: l’unità (di senso e intelletto, di essere e pensiero) richiesta da Kant, “pensata” da Fichte (ma solo “pensata”, come processo formale) e intuita da Schelling (ma solo intuita) come processo reale, fu “provata” da Hegel. O meglio: Hegel si accinse alla “prova” (a “pensare il pensiero come l’in sé della realtà”, p. 159); S., sottolinea G., non ci appare mai persuaso che Hegel fosse riuscito nell’intento attribuitogli, così come non ci appare mai convinto di essere riuscito a condurre a termine la “prova” richiesta (ivi). G. può procedere ormai ($$ 51-58, pp. 159-171) alla individuazione del “vero” hegelismo di S., il quale accenna in più luoghi — e a volte dà inizio — ad un reale progresso da compiere rispetto a Hegel, spesso restando impigliato in difficoltà delle quali gli rimase per lo più ignota la radice (p. 160). Un primo tipo di difficoltà si rende manifesto già nell’ambito delle riflessioni emergenti nello Schizzo, e sviluppate in Logica e metafisica, intorno al tema del “primo scientifico”. La “prova dell’identità” si scinde in S. (come già in Hegel; e per Hegel v. in particolare il $ 55, pp. 165- 167) in due prove, quella della fenomenologia (la “mente” non è semplice soggettività, ma è processo reale, è mente assoluta) e quella della logica (il processo della mente è logico; il logo non è oggetto d’intuito). La distinzione delle due prove comporta la separazione della logica dalla fenomenologia, e rende necessario l'abbandono del pensiero 2921 5 2% fenomenologico per attingere il pensiero logico, l’ “in sé della natura e dello spirito, destinato a non coincidere mai col “per sé” o col “per noi” (p. 165). S. volle certo affermate l’ “unità originaria” di fenomenologia e logica (pp. 166 sg.), e questo è un merito che gli va riconosciuto; ma la particolare soluzione da lui ora proposta (il principio della scienza — il “primo scientifico”, immediato in quanto primo — è mediato, provato, in quanto si identifica con l’ultimo grado della fenomenologia) appare “illusoria” e accolta solo “per effetto d’una mera abitudine scolastica” (p. 163; si ricordi un’obbiezione simile di Croce, che definisce “didascalica” la distinzione accolta da S.: cfr. n. 189). Il rilievo di G., che individua, senza appesantirne le conseguenze, l'accettazione da parte di S. del sistema hegeliano nella sua architettura fondamentale (implicante perciò l'esclusione della Fezorzenologia come semplice “propedeutica”), sembra confortato da un’osservazione precedente, in cui si parla delle “difficoltà insormontabili che [S.] incontrava sempre nel concetto della natura che non è per lui, come il logo, reale soltanto nel pensiero (ossia, analogamente, nel concetto della natura) ma in se stessa, benché non per se stessa” (p. 146). Su questo punto però, G. si affretta a ricorrere ai testi, in particolare alla lettera Paolottismo [78], per documentare l’avversione del filosofo al teismo e al naturalismo, egualmente travolti “dalla sua tendenza al più schietto e assoluto idealismo spiritualistico e umanistico” (ivi). E a gettare una miglior luce su quelle riflessioni di S. intorno al rapporto di pensiero logico e pensiero fenomenologico, interviene l’analisi degli studi sulle prime categorie della logica hegeliana: lo scritto del 1863-64 [70], preparato dalla critica di Gioberti (p. 169), e, soprattutto, il Frazzzzento inedito del 1880-81 [103], dove l'essere è finalmente colto come “atto del pensare”; con 2322 questa “nuova soluzione lo Spaventa toccava il più alto segno a cui era indirizzata fin da principio la speculazione dell’idealismo trascendentale; e iniziava una radicale riforma dello hegelismo, ricollocando la logica al suo natural posto, al fastigio della fenomenologia, ma nella stessa fenomenologia; scrollando dalle fondamenta la nuova fortezza in cui con Hegel s’era andato a chiudere il vecchio ente — il trascendente — sotto nome di logo, sovrastante alla natura e allo spirito” (p. 170). Un altro gruppo di paragrafi ($$ 59-70, pp. 171-185), che prepara la conclusione del saggio, è dedicato da G. agli studi di S. sul positivismo, o sul “nuovo empirismo”: l’ultima fatica del filosofo. G. vuoi giustificare la “affinità sorprendente” dell’idealismo spaventiano con l’empirismo “raccomandato” dai positivisti (p. 171); ci ricorda (pp. 171 sgg.) che lo stesso filosofo nella prefazione ai Principi del 1867 si dichiarò positivista, e volle essere riconosciuto come tale, in forza di una concezione dell’uomo (l’ “uomo è essenzialmente storia”) che ha il suo sviluppo più conseguente negli Studi sull’etica hegeliana, del 1869: dove S. oppone alle anime sensibili — a chi si compiace di separare il dover essere dall’essere, la legge dal fatto, e così via — una concezione “rigorosamente immanentista”, che si presenta con un “aspetto pauroso di cruda storicità, ossia di schietto naturalismo” (p. 174). In che senso si muove la critica di S. al positivismo, se il suo idealismo immanentistico toglie l'opposizione di assoluto e relativo, apriori e aposteriori ecc.; se può apparite, come apparve ai difensori della tradizione, una sorta di “materialismo aristocratico”? (p. 171; cfr. n. 156). “Dove s’era dunque cacciato lo spirito coi suoi imprescrittibili diritti”? (p. 176). Alla domanda, osserva G., si può rispondere solo se si sappiano collocare i concetti filosofici nel contesto del loro ptocesso storico: 2523 materialismo, naturalismo e empirismo sono momenti dell’idealismo “vero”, “storico”, introdotto da Kant come “sviluppo” dell’empirismo di Locke e di Hume (e già, per quanto riguarda S., va rilevato che la sua critica dell’intuito fatta nella Filosofia di Gioberti “è, per indiretto, la celebrazione dell’empirismo lockiano”, pp. 177). L’empirismo avversato da S. è quello che non riconosce la propria origine storica (e quindi la propria giustificazione speculativa) nello sviluppo dell’idealismo cartesiano, come critica dei “residui platonizzanti e scolastici” di quella filosofia (p. 178); è l’empirismo che non riconosce più la propria funzione nella critica dell'esperienza, contro la vecchia metafisica dell'ente (p. 179). S. ha contribuito (soprattutto in Kant e lempirismo [88], e negli scritti postumi Esperienza e metafisica [94] e Introduzione alla critica della psicologia empirica [105]) a svelare l'equivoco (astrazione dal processo storico) per cui si contrapponevano ancora, dai contemporanei, idealismo e positivismo; tenendo fede, per suo conto, a quel “principio della certezza del vero o della storicità dell’eterno, che era stato il primo motivo della filosofia cartesiana e l’idea madre del Saggio di Locke” (pp. 181 sg.). Di qui l’interpretazione spaventiana di Galileo (p. 182), ripresa in Esperienza e metafisica, nel contesto della sua critica dell’ “ontismo: della filosofia che concepisce la realtà come ente o enti (materia o idea)”, p. 183; di qui l’affermazione di un “fenomenismo” assoluto (la realtà è “fenomeno a se stessa, fenomenizzarsi eterno”, p. 184), che accoglie e legittima le esigenze del vero idealismo e del vero positivismo. Il “nuovo fenomenismo” di S., conclude G. M 71-73, pp. 185-189), fu “annunziato”, più che “svolto”, nell'opera pubblicata postuma nel 1888; ma qui il vecchio maestro giunse a rivendicare l’ “essenza spirituale del mondo, meccanizzatasi nell’astratto spiritualismo platonico 2524 e cartesiano” (p. 185). Agli occhi di G., S. raggiunse proprio in queste pagine quel “punto di vista spiritualistico” che l’attualismo era destinato a svolgere, sviluppandone coerentemente il principio. Il “preattualismo” di S. è disegnato con estrema chiarezza e decisione: per il “nuovo” fenomenismo, “gli enti son negati nella loro astrattezza, dove non è dato scorgerne se non l’ombra fissa e fallace: ma riaffermati nella vita concreta che essi vivono in seno alla realtà spirituale, come saldi momenti del pensiero. La storia è la teofania di questa filosofia: ma questa storia non è la dura storia che l’uomo si trova innanzi, già realizzata e diventata una necessità che allo spirito simponga come limite naturale; è invece la storia che l’uomo non trova mai innanzi a sé, come un passato, ma che egli realizza, creandola. Tutto quello che è già, è ente. E l'ente come tale nasce dalla riflessione e dall’analisi della vera realtà, che non è, ma diviene, facendosi da sé” (p. 185). 194. M. MISSIROLI, La monarchia socialista. Estrema destra, Bari 1914, pp. 224. Della Monarchia socialista v. anche la seconda edizione, Bologna 1922, pp. 145. Su S. Si veda specialmente il quinto capitolo (I/ pensiero della Destra, prima edizione, pp. 73-83; seconda edizione, pp. 71-79), che ricorda gli scritti sul problema del rapporto dello stato con la chiesa, quello contro Tommaseo sul tema: Rousseau-Hegel-Gioberti [51], ecc. La tesi è riassunta in modo chiaro nella prefazione alla seconda edizione: “lo stato moderno, inteso come stato etico, non è realizzabile, se non nelle nazioni, che abbiano superato l’idea cattolica mediante la Riforma protestante”. S., e con lui De Meis e Gioberti, nell’alternativa: ritorno al puro cattolicesimo e rinuncia alla rivoluzione, oppure 2525 riforma religiosa, ha scelto la seconda via (pp. 4, 10). Cfr. la recensione di G. Gentile alla prima edizione della Monarchia socialista in “La Critica”, XII (1914), pp. 234 sg. 195. Un giudizio di Bovio su B. Spaventa, in A. CARLINI, La mente di Giovanni Bovio, Bari 1914, pp. 183-184. Ristampa di uno scritto (Augusto Vera) pubblicato nel 1885 sul “Giordano Bruno” di Napoli. S. è elogiato da Bovio, come il filosofo che seppe rendere esplicito il “lato nuovo” di Hegel. Il “giudizio” offre nelle prime righe una nuova presentazione del rapporto Vera-Spaventa: “Spaventa, geometra; Vera, dotto...” (nello stesso volume, p. 185, Si legge il testo di un’epigrafe dettata da Bovio per lo Sl 196. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Introduzione alla critica della psicologia empirica, estratto dagli “Annali delle Università toscane “, Pisa 1915. Cfr. n. 105. 197. C. CIPRIANI, La psicologia di B. Spaventa, Bologna 1916, pp. 15. Rapida esposizione e analisi delle vedute di S. intorno alle origini della percezione, ai rapporti tra fisiologia e psicologia, ecc.; il saggio segue il testo della Introduzione alla critica della psicologia empirica, pubblicato dal Gentile nel L915:[1051. 2526 198. V. FAZIO ALLMAYER, I/ problema della nazionalità nella filosofia di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, I (1920), pp. 173-190. Ricostruisce, con numerose citazioni dalle opere di S. e molti riferimenti e raffronti con le dottrine dei suoi contemporanei (Gioberti, in particolare, e Mamiani, Luigi Ferri, ecc.), la genesi e lo sviluppo dell’idea di nazionalità in S.: dalla primitiva negazione (contrapposta alla “boriosa” affermazione dei sostenitori di una tradizione propria, perché esclusiva, del pensiero italiano), al riconoscimento della necessità di una filosofia italiana nella lotta per l’unità nazionale; infine, al pieno superamento del concetto naturalistico di nazione (la nazione come “destino”) nell’idea dello “spirito che si crea in una forma determinata”. Un momento decisivo in questo itinerario di S. è rappresentato dalla elaborazione di un nuovo concetto di universale-concreto, che supera ad un tempo le posizioni di Gioberti e di Hegel; Hegel pensava “che il mondo germanico dovesse assorbire la nazionalità in quanto rappresentante della verità, e non intendeva lo spirito degli altri popoli né [la] personalità autonoma di ciascuno di essi”. Sono “indizi luminosi” di questo processo di superamento la riforma della dialettica hegeliana proposta nel 1863 e nel 1880-81, le “lunghe meditazioni sulla Fenomenologia”, il rifiuto della filosofia della natura, la critica del realismo e del positivismo in funzione di un idealismo “che è storia, vivezza di problemi, vera ricerca dell’identità del reale col razionale e del razionale col reale...” (p. 188). L’articolo è ristampato in V.F.A., Il problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi, Firenze 1942, pp. 131-154. 2527 199 G. GENTILE, prefazione a B. S., La libertà d'insegnamento. Una polemica di settant'anni fa, Firenze 1920. Cfr. n. 108. 200. A. DEL VECCHIO VENEZIANI, La vita e l’opera di Angelo Camillo De Meis, Bologna 1921, pp. XXIV-3 33. Ct. :455, 201. S. CARAMELLA, Il liberalismo hegeliano del Mezzogiorno. I. Bertrando Spaventa, in “La Rivoluzione liberale”, I (1922), n. 28 (28 settembre), p. 105. Il saggio, completato con due articoli su De Meis e Silvio Spaventa già pubblicati nello stesso periodico nel 1923, è ristampato nel volume: La filosofia dello stato nel Risorgimento, Napoli 1947, pp. 90 (lo scritto su S. occupa le pp. 47-55). Come si conciliano la sovranità dell'idea e l’autonomia dell’individuo? Qual è, cioè, “la libertà propria dello stato liberale?”. Questo il problema di S., problema che investe “la legittimità del liberalismo”. Per Hegel resta incerto se lo stato integra o disindividua il singolo. La richiesta spaventiana di una “mediazione tra il singolo e l’universale, tra la storia e l'assoluto” è studiata attraverso la lettura delle polemiche coi gesuiti [101], della Libertà d'insegnamento [108] e dei Principi di etica (97; e C. attribuisce senz'altro a S. un articolo del “Nazionale” del 5 marzo 1848). S. non riesce a conciliare i due termini, e resta fermo alla 2528 conclusione “che l’individuo trova nello stato valori più alti del suo spirito pratico, e nel suo aderire allo stato riconosce in esso raturaliter il suo più vero sé. Si son fatti molti passi innanzi e chiarite molte relazioni: ma la domanda non ha avuto né avrà pià da Spaventa una risposta diretta. Lo stesso conflitto tra libertà e tradizione, stato di diritto e stato di fatto, viene risolto senza nessun riguardo all’individuo (che invece lo sente più che mai), ma solo in rapporto allo stato per sé preso”. Ma S. è anche il critico del costituzionalismo del 1821 e del ‘48; e quando afferma che la costituzione non è uno schema astratto che si sovrappone alla vita dello stato storico, positivo in quanto storico, indica una via che sarà seguita “con più coerenza” dal fratello Silvio. “L'opposizione del singolo e della collettività, della coscienza e dell’autorità, rimasta impigliata nelle maglie della dialettica in Bertrando Spaventa, troncata imperiosamente a favore del secondo termine dal De Meis, appare nel nostro [= Silvio] meno ardua perché storica...”. 202. G. DE RUGGIERO, I/ pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari 1922, pp. 303. Cfr. n. 190. 203. C. CURCIO, I/ pensiero politico di Bertrando Spaventa, Napoli 1924, pp. 62. È una rapida ricostruzione e, per lo pè, nella stessa intenzione dell’a., una parafrasi delle tesi esposte da S. nei Principi di etica [97], nella Politica dei gesuiti [101], nella Libertà d'insegnamento [108], ecc., a sostegno di un ideale di stato liberale, che il C. ripropone in questa forma “per mostrare... quale sia il pensiero di un liberale autentico... 2529 del cui nome si son fatto scudo molti e molti per dire cose assai diverse, nonché tra loro, da quello che fu lo spirito del filosofo meridionale”. 204. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, Firenze, s.d. [1924]; pp:217. Nuova presentazione del Discorso premesso agli Scritti filosofici di S. (cfr. n. 96 = Opere, I, pp. 1-170). G. dichiara nella prefazione di ristampare il saggio del 1900 “con nuove cure e parecchie aggiunte, ma senza mutare una linea a quello che una volta dissi, o sapevo dire” (p. 9 = Opere, I, p. 7). L'aggiunta piè rilevante è costituita da un nuovo capitolo (VII. Contro la nuova corruzione italiana, pp. 161-171 = Opere, I, pp. 139-148), costruito con la riproduzione di una lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880, e di due lettere dello stesso De Meis a S., del 1880-81: tre denunce amare — e, a giudizio di G. (p. 162 = Opere, I, p. 140), parziali — del “positivismo” ormai imperante nella vita politica italiana, dopo l’avvento della Sinistra al potere. Va segnalata inoltre, nell’Appendice (pp. 181-199 = Opere, I, pp. 157-170), la pubblicazione — sotto il titolo Le tribolazioni di B. S. giornalista —di documenti relativi alla collaborazione di S. alla “Rivista contemporanea” (una lettera a De Meis del 23 febbraio 1856, un promemoria di S., una lettera a S. di L. Chiala del 4 aprile 1856, infine la ristampa dell’articolo di S. La Civiltà cattolica e la Rivista contemporanea, apparso sul “Piemonte” del 16 gennaio 1856; su queste “tribolazioni” di S. giornalista vanno confrontate ora le integrazioni e precisazioni di S. Landucci, De Sanctis e Tommaseo. Lettere inedite, “Belfagor”, XVII, 1962, pp. 207 sg., nota); e, sotto il titolo B.S. e l’Accaderzia di filosofia italica, la pubblicazione di due lettere di Mamiani 2530 a S. (3 giugno 1852, 12 ottobre 1854), e di due lettere di S. a Mamiani (13 luglio 1854, 10 ottobre 1854). Alle pp. 201-215, la Bibliografia degli scritti di B. S., accresciuta e corretta. Le “nuove cure” e le aggiunte minori (o le variazioni introdotte nel testo del 1900) sono dovute alla pubblicazione di nuovi documenti (come le Ricerche e documenti desanctisiani [cfr. n. 130] di Croce), e alla scoperta dei nuovi testi spaventiani editi dallo stesso G. tra il 1900 e il 1920 (il Framziento inedito sulla dialettica, l’Introduzione alla critica della psicologia empirica, ecc.). Così, si legge ora che la teoria della “circolazione” del pensiero italiano è “uno dei maggiori titoli scientifici del nostro filosofo” (p. 63, e cfr. p. 102 = Opere, I, pp. 55, 90) e non più, senz'altro, il maggiore (com’era detto nel testo del 1900); appare modificato il giudizio sulle Prize categorie (tentativo di soluzione, rispetto al Framzzzento del 1880-81); e così via. Degna di rilievo è infine la prefazione della monografia (pp. 7-9 = Opere, I, pp. 3-7); per la ripresa dell’accostamento S.-De Sanctis (già sottolineato nella prefazione a Da Socrate a Hegel; cfr. n. 98), che si specifica ora nel senso di una preminenza del primo sul secondo (“lo Spaventa, dalla parte sua, ridusse a concetto filosofico quello che in De Sanctis fu intuito largo, comprensivo, luminoso, ma non sempre coerente e fermo”); per le riserve mantenute a proposito della teoria della “circolazione” (cfr. allora i rilievi nelle Origini della filosofia contemporanea in Italia: n. 193; e, prima ancora, i rilievi della prefazione a La filosofia italiana, n. 99); per il compiacimento, infine, con cui G. può annunciare, dopo venti anni, il “successo” della lezione spaventiana. 2531 205. V. PICCOLI, Storia della filosofia italiana, Torino 1924, pp. VII-338. Su S. cfr. in particolare alcune pagine del ventisettesimo capitolo (La lotta delle tendenze, pp. 271 sgg.). Malgrado alcuni riconoscimenti parziali, è respinta la ricostruzione spaventiana della storia della nostra filosofia, il cui carattere fondamentale va ritrovato, afferma l’a., nell’ “esigenza di un trascendentalismo che è, necessariamente, antihegeliano” (p. 282). Il nome di S. è ricordato nel primo capitolo (La tradizione filosofica nazionale); anche qui si leggono analoghi rilievi, che interessano soltanto come documento della più ampia discussione sul problema della tradizione del pensiero italiano. 206. B. CROCE, Documenti di vita italiana. V. Silvio Spaventa, in “La Critica”, XXIII (1925), pp. 316-318. È la prefazione di C. alle Lettere politiche di S. Spaventa, a cura di G. Castellano [134]. 207. C. LICITRA, La storiografia idealistica. Dal “programma” di B. Spaventa alla scuola di G. Gentile, Roma 1925, pp. 224. Nel primo capitolo (I/ programma di Bertrando Spaventa, pp. 21-31), la. ribadisce che lo schema delle lezioni napoletane di S. è ancora valido come “programma di tutta l’attività storiografica e filosofica del nostro secolo” (p. 26); si tratta tuttavia di uno schema, che nasconde in forma contratta i suoi possibili sviluppi. Si veda allora il terzo capitolo (La filosofia italiana attraverso gli studi di Giovanti Gentile, pp. 595-116), in cui si mostra come Gentile abbia ZII portato a compimento il disegno del maestro, superandone le residue incertezze (e, per l'impostazione teorica del discorso dell’a., cfr. il quinto capitolo, Criteri storiografici dell’idealismo assoluto, pp. 133-143). 208. G. SAITTA, Bertrando Spaventa, in “Il Giornale della cultura italiana” [Bologna], I (1925), fasc. 1, pp. 7-8. Scritto dopo la pubblicazione della monografia gentiliana del 1924 [204], il breve articolo mette in rilievo la solidità e la “serietà” del pensiero di S., e l'attualità delle opere del filosofo meridionale. 209. G. GENTILE, Una notizia biografica di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VII (1926), pp. 378-382. Cfr. n. 161. 210. L. RUSSO, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1860-1885), Venezia 1928, pp. 399. Lavoro fondamentale per la ricostruzione dell'ambiente, degli schieramenti, delle polemiche, delle varie relazioni — scontri, alleanze — tra le diverse “culture” che si incontrano nello sviluppo della cultura nazionale italiana. Dell’opera viene qui seguita la terza edizione, Firenze 1959, pp. XIV- 415. Sono da vedere le pagine della prefazione alla seconda edizione — qui riprodotte, pp. XI-XIV — dove sono indicati i motivi ispiratori e le conclusioni generali della ricerca, in termini suggestivi e ancora stimolanti (De Sanctis riformatore “di uomini, cioè di indirizzi mentali e spirituali”; con lui la “cultura dell’Italia in esilio”, maturatasi 2533 tra il 1848 e il 1860, trionfa a Napoli; collocazione della cultura napoletana nella geografia culturale d’Italia; contributo di Napoli alla formazione di una “cultura nazionale”; ragioni del successo della cultura vichiana napoletana nel Novecento; ecc.). 2534 Nel primo capitolo (La decadenza dell’Università borbonica e la riforma del De Sanctis), alle pp. 30 sgg., sono rievocate le sommosse studentesche contro la nuova università, che toccarono da vicino lo S. Sul carattere dell’insegnamento e sull’ “antiaccademismo filosofico” di S. si vedano le pp. 90-102 del capitolo terzo (La nuova cultura e gli hegeliani); di seguito, alle pp. 202 sgg., è ripreso il tema dell’antitesi Vera-S. Nel sesto capitolo (Gli scienziati e la reazione alla metafisica) è ricostruita — pp. 181-184 — la polemica sulle psicopatie, tra il Tommasi e S. (accostati, poi, a p. 186: l’ “unità scientifica” promossa da Tommasi “poteva dirsi analoga a quell’altra che lo Spaventa realizzava nel campo della filosofia”). S., De Sanctis, De Meis sono riavvicinati fra loro, pp. 197 sg. (nel capitolo settimo: La cultura extrauniversitaria), in virtù del più avveduto e critico “positivismo” (“essi, che agli ebbri gerarchi del nuovo movimento, parevano già filosofi oltrepassati, ‘metafisici estetici’, ‘idealisti’, forse restavano ancora i più illuminati veggenti e teorizzatori e interpreti della nuova filosofia, maestri che, nella coscienza dei limiti di quella, precorrevano già alla sua correzione e al suo svolgimento”); dopo aver ricordato i difficili rapporti degli hegeliani con il “transfuga dell’idealismo”, P. Villari (pp. 214 sgg.), sono ribadite da R. le ragioni “morali” dell’avversione (condivisa dall’a.; v. pp. 195 sgg., 225 sg.) di S. al “facile” positivismo, alleato ai paolotti (pp. 217 sgg.). Il capitolo ottavo (Conflitti tra il vecchio e il nuovo, pp. 227 sgg.) è in gran parte dedicato alla battaglia degli hegeliani contro V. Fornari, e alle polemiche con F. Acri (per gli interventi di S. v. in particolare pp. 252 sgg.). I capitoli nono (Polerziche politiche, pp. 259 sgg.), decimo (Silvio Spaventa e il liberalismo di Destra, pp. 283 sgg.), undicesimo (L'educazione nazionale e il pensiero dei napoletani, pp. 309 2393 sgg.) e dodicesimo (I/ De Sanctis educatore politico, pp. 339 sgg.) sono dedicati alla ricostruzione delle posizioni assunte dagli esponenti della cultura napoletana sul terreno dei conflitti etico-politici; sono pagine che tendono a concludersi con un elogio di quella “medietas” politica che De Sanctis seppe dimostrare (p. 343 sg.), e il cui senso mancò agli altri hegeliani, fatta eccezione per Silvio S. (“il solo napoletano che possa stare accanto a De Sanctis” per l’ampiezza delle vedute politiche, p. 380). Silvio S. è del resto salvato dall’accusa di statolatria, e lodato (come fece già Croce) per la sua battaglia intesa “a frenare l'eccessiva ingerenza autoritaria dello stato” (p. 287). Sul De Meis, e su B. S., per le opinioni espresse da loro sul tema dell'educazione religiosa e del rapporto dello stato con la chiesa, cade un pesante giudizio di “astrattezza” e un’accusa di “confusione”. S. “dialettizzava le relazioni tra la chiesa e lo stato, come fossero due concetti puri, e si trattava invece di due istituzioni storiche; e la separazione giuridica egli interpretava come separazione dialettica...” (p. 318). S. non vedeva “il pericolo dello stato etico” da lui teorizzato: “intesa la dottrina dello stato etico, come s'intende per lo più, come uno stato che dirige, che insegna, che moralizza, che ordina culti, avremmo uno stato pedantesco e autoritario e, in fatto di religione, avremmo lo stato teologo, lo stato calvinista, o, per rimanere nell’ambito della tradizione italiana, una specie di potere temporale, in laico ammanto” (e mazziniani, democratici e neoriformatori avrebbero ragione di considerare loro maestri lo S. e il De Meis, p. 319). Il “senso etico” nello stato moderno appare meglio salvaguardato dai politici che adottarono la formula cavouriana, intuendo (come intuì Silvio S.) che “la migliore soluzione del conflitto” era la “perpetuazione del conflitto stesso”, garanzia a un tempo della libertà religiosa e della 2536 libertà di pensiero (p. 321). Il nome di S. torna ancora nelle pagine conclusive (Napoli e la cultura nazionale, pp. 383 sgg.), che riassumono i caratteri generali della cultura napoletana, “lontana e comune genitrice della nostra presente cultura nazionale” (p. 390). E vi torna in ogni paragrafo: sia che si tratti di ribadire la “tendenza antiletteraria e antiaccademica” di quella cultura (tendenza condivisa da S. nella sua concezione della filosofia come “consapevolezza”, “riflessione di vita”); sia che si tratti di sottolinearne l'esigenza “cosmopolitica” (ma in senso nuovo, e moderno; la scienza e la filosofia diventano veramente nazionali “per la mediazione di una coscienza europea”) o la “tendenza critica e razionalistica”; sia che si tratti infine di lodare 1’ “antiteocratismo” dei vecchi maestri — fondato su una nuova fede religiosa, immanentistica — o il loro “animus critico” (come “senso storico dei problemi”: la “riforma del sistema hegeliano avviene allora più che per trasmutati sillogismi, per energica espressione della sua sostanza storica”, p. 395). Tra le recensioni, si ricorda qui quella di A. Omodeo, in “La Critica”, XXVI (1928), pp. 355-360 (ristampata in A. O., Difesa dei Risorgimento, Torino 1955, pp. 520-526). Omodeo raccoglie e ripete le obbiezioni allo “stato etico”, che può rovesciarsi in stato autoritario; la moralità è, kantianamente, “forma”, che vive nella coscienza dell’individuo. 211. C. MAZZANTINI, Lo begelismo in Italia, in Hegel nel centenario della sua morte, supplemento speciale della “Rivista di filosofia neoscolastica”, XXIII (1931), pp. 1-52. 2351 Nello sviluppo interno del pensiero di S. è prefigurato l’intero svolgimento dell’hegelismo in Italia; di quel movimento che, nato con un orientamento umanistico- storicistico, sembra destinato a rovesciarsi in un positivismo integrale. Come attestano i più recenti sviluppi del neohegelismo: malgrado le resistenze dei maestri (di Croce, con la sua distinzione di teoria e pratica, e di Gentile, con la distinzione di io empirico e io trascendentale), gli ultimi seguaci della dottrina tendono verso un fenomenismo puro o assoluto positivismo. A S. sono dedicate specialmente le pp. 19-25. M. richiama i motivi centrali del suo pensiero (la storia della filosofia italiana — che viene respinta, soprattutto l’interpretazione di Rosmini —, la dottrina svolta nelle Prizzze categorie [70], ecc.), e pone in rilievo la naturale convergenza dell’ “umanismo” di S. col positivismo. S. sperò di poter costruire un “positivismo idealistico assoluto su basi hegeliane”, p. 21; ma ci sono, per l’a., antitesi inconciliabili tra idealismo e positivismo, anche se appaiono facili e suggestive certe concordanze (carattere “mondano” del filosofare, ecc.). 211 bis. D. CANTIMORI, Sulla storia del concetto di Rinascimento, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, serie seconda, I (1932), fasc. 3, pp. 229-268. Su S. vedi in particolare il paragrafo sesto (La circolazione del pensiero italiano e l’importanza del Rinascimento per la filosofia europea), pp. 255-261; e per un raffronto col De Sanctis, il paragrafo successivo, pp. 161 sgg. Scrive l’a. che per S. la filosofia del Rinascimento “non è soltanto | ‘aurora’ della Riforma religiosa, vero sole meridiano della civiltà e della filosofia, ma costituisce di per sé la ‘riforma filosofica. L’unilateralità schematica e sistematica dello 2538 Hegel e del Brucker è superata. La valutazione positiva della Riforma infatti è mantenuta, in quanto il Rinascimento acquista il suo valore dal paragone con essa, ed è considerato come un altro aspetto storico di quella ‘rivoluzione degli spiriti’, che si manifestò come protesta e come Riforma in altri paesi. Così il concetto di ‘Riforma’ è allargato, ed il suo valore non è più derivato dalla sua significazione per la storia ecclesiastica, ma dalla sua importanza per la storia del pensiero” (p. 258). Anche se permangono qua e là, in S., suggestioni hegeliane (il Rinascimento come “germe indistinto e incosciente”, “torbido e inconsapevole”), il filosofo italiano ha colto, meglio di Hegel, l'intimo nesso di riforma religiosa e rivoluzione filosofica; nella storia della filosofia il pensiero del Rinascimento è “equivalente” — e non “subordinato” — alla Riforma: due aspetti di un'unica “rivoluzione spirituale”. Nello stesso paragrafo, utili indicazioni sui riflessi di questa prospettiva e “scoperta” spaventiana nella teoria della “circolazione”, e in tutta la ricostruzione storica del pensiero italiano elaborata dall’hegeliano di Napoli. 212. E. GUASTALLA, Vincenzo Gioberti nella critica di B. Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, I (1932), fasc. 4, pp. 349-357. Ricostruisce con accuratezza i termini in cui si esprime la critica di S. alla filosofia di Gioberti. Si tratta della nota interpretazione che, dopo aver denunciato la contraddizione tra il principio o contenuto (lo spirito) e la forma o metodo (l’intuito) della metafisica giobertiana, ritrova, nelle Postume, i germi del superamento idealistico del dualismo di ente e esistente, Dio e mondo. A questa interpretazione vengono mossi dall’autrice due rilievi. In primo luogo, S. 2359 sopravvaluta le opere postume, che sono un complesso di appunti frammentari, di materiali disorganici. In secondo luogo S., chiuso come è in una sua “visione unitaria” e semplificatrice dei problemi, perde di vista tutta la ricchezza e la vitalità di quel dualismo, che è certo presente in Gioberti. “Lo Spaventa non intende ‘il fuori’ dello spirito umano, e gli sfugge quell’elemento che si oppone allo schematico dottrinarismo ed è senso naturale e spontaneo, per cui l’Uno si moltiplica ed ha due lati, l'oscuro e sovrintelligibile ed il chiaro e intelligibile: quello oggetto di fede; questo, di ragione” (p. 354). L’idealismo di Gioberti non ha mai abbandonato del tutto “il suo carattere ontologico-obbiettivo”, il riferimento all’essere immutabile, “principio fondamentale del teismo, base della distinzione sostanziale di Dio e mondo”. Il motivo profondo che si esprime nella doppia formula giobertiana è l'affermazione del valore e della necessità dell'’immanentismo e del trascendentismo, al di là di ogni tentativo di concludere per la sola trascendenza o per la sola immanenza (p. 356). 213. S. CARAMELLA, Urnzversalità e nazionalità nella storia della filosofia italiana, in S. C., Senso comune, teoria e pratica, Bari 1933, pp. 129-174. Il saggio era stato già pubblicato negli “Annali dell’Istituto superiore di Magistero di Messina”, 1930-1932. La teoria della “circolazione” è viziata dalla “concezione della storia della filosofia come concatenazione dialettica di sistemi fondati sul problema della conoscenza e come derivazione di essi e dei loro problemi l’uno dall’altro”. L’a. si dimostra molto sobrio nel porre in rilievo le forzature e gli squilibri cui il disegno storiografico di S. ha dato luogo, e preoccupato piuttosto di sottolineare la necessità, che da 2540 quella critica risulta, di allargare le maglie dello schema spaventiano, tra l’altro rinsanguando la storiografia filosofica con quella politica e culturale; il che consentirebbe di presentare in forma nuova il problema spaventiano del rapporto di nazionalità e filosofia, e di prospettare una più ampia continuità tra Rinascimento e Risorgimento, individuando i caratteri distintivi della tradizione italiana nella storia del pensiero europeo (umanismo e laicismo, ma non antiteologismo, cioè conciliazione, “nel contrasto”, di filosofia e religione; storicismo, coscienza dei valori storici, piuttosto che scientismo, ecc.). 214. G. GENTILE, Hegel e il pensiero italiano, in “Leonardo”, 1933, n. 2, pp. 185-190; e in Verbandlungen des dritten Hegelkongresses vom: 19. bis 23. April 1933 in Rom, a cura di B. Wigersma, Tùbingen-Haarlem 1934, pp. 9-20. È il discorso inaugurale del terzo congresso hegeliano (Roma, 1933); vedilo anche ristampato in G. G., Merzorie italiane e problemi della filosofia e della vita, Firenze 1936, pp. 205-220. L’a. vuol chiarire in che senso noi italiani siamo hegeliani, “a modo nostro”. E si appoggia alla ricostruzione storica fatta da S. nelle lezioni napoletane del 1861 (la “prima storia della filosofia italiana”), ne ripete le grandi linee, e loda la scoperta di Vico, e la nuova concezione della dialettica introdotta da S. Interessante la presentazione del parallelo S. — De Sanctis, che offre alcune varianti rispetto a precedenti formulazioni del G. “Entrambi hegeliani, sebbene il De Sanctis, ingegno più geniale e robusto, dopo i primi passi si muovesse poi sempre con maggiore originalità e franchezza; ma entrambi sollevati dallo studio di Hegel al concetto della 2541 vita, che fu il nerbo di tutto il loro pensiero”. 215. Uno scritto inedito di Bertrando Spaventa sul problema della cognizione e in generale dello spirito (1858), a cura di F. ALDERISIO, in “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche”, serie VI, vol. IX, fasc. 7-10, luglio- ottobre 1933, pp. 964-667. Cfr. nn. 113 e 221. 216. T. BARTOLOMEI, Bertrando Spaventa, in “Acta Pontificiae Academiae Romanae S. Thomae”, I (1934), pp. 94-125. Per S. l’uomo “è l’assoluto, l’unico e vero spirito, miscuglio d’eternità e di tempo, d’istantaneo e di successivo, d’intuito e di discorso. È questo il cavallo di battaglia di tutti i panteisti, ma anche il lato debole del loro sistema” (p. 100). Il lato debole consiste nell’ “accozzaglia di attributi contraddittori” (finito-infinito, atto potenziale-atto puro, ecc.). Gli idealisti moderni propongono, sia pure in forma rinnovata, gli stessi argomenti già in uso presso i neoplatonici, presso i panteisti indiani ecc.; e cadono sotto le stesse obbiezioni e la stessa condanna. Alle pp. 105 segg., si legge una critica di S. storico della filosofia. 217. S. CONTRI, Per una nuova interpretazione della storia dell’hegelianesimo in Italia, in “Sophia”, II (1934), pp. 125-127, 305-319. L’a, ricerca le ragioni, storiche e no, dell’atteggiamento 2542 negativo assunto dal neoidealismo italiano nei confronti del problema della costituzione della scienza, per confortare una sua tesi, qui accennata, che concilia e accorda la scienza con la filosofia (i. e. con la metafisica aristotelico-tomistica). In Hegel il problema si presenta come difficoltà del rapporto fenomenologia-logica; di fronte alla soluzione “arbitraria”, “dogmatica” dell’Hegel della maturità (autofondazione della logica o metafisica), S. (su di lui v. in particolare pp. 311 sgg.) scelse una posizione di “centro”, quella per cui si cerca di dimostrare la derivazione della logica dalla fenomenologia, ovvero la “coordinazione in ordine sistematico di gnoseologia e metafisica”. Ma l'esigenza rimase insoddisfatta (Logica e metafisica è una mera ripetizione della logica di Hegel). Gli epigoni imboccarono la strada della “sinistra”: “soppressione della logica a profitto della gnoseologia” (mentre la “destra” insiste nella presentazione “dommatica” della logica). Se è vero lo schema, l’a. spera di aver indicato “il senso di una nuova linea d’interpretazione della storia delle correnti idealiste in Italia”. 218. G. GENTILE, Bertrando Spaventa nel primo cinquantenario della sua morte, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, serie seconda, III (1934), fasc. 2, pp. 165-182. È il testo di un discorso letto nell'aula magna dell’Università di Torino il 31 gennaio 1934 (vedilo anche in G. G., Memorie italiane e problemi della filosofia e della vita, Firenze 1936, pp. 121-149). Il discorso ripropone e chiarisce i “concetti originali” introdotti dallo S. nella filosofia italiana: la teoria della “circolazione del pensiero”, la riforma della dialettica hegeliana e il nuovo concetto 2543 dell'esperienza come “esperienza attiva”, raggiunto attraverso il superamento del positivismo e dell’empirismo e naturalismo posthegeliani. 219. E. GUASTALLA, La fortuna di Bertrando Spaventa nell’idealismo attualistico, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, III (1934), fasc. 4, pp. 334-346. Richiama i temi e i motivi che giustificano lo sviluppo della linea: Hegel-Spaventa-Jaja-Gentile. Ma l’autrice vuole soprattutto mostrare la necessità di abbandonare l’idealismo mistico o dogmatico per riguadagnare il senso di una problematicità più ricca e articolata (l’a. sembra rifarsi ad alcune indicazioni di A. Banfi, del quale v. l’articolo Lineamenti della tradizione speculativa italiana, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, I [1932], fasc. 2, pp. 97- 114). “La lettura attenta e diretta delle opere dello Hegel ci mette di fronte ad una implicita problematicità del reale, che scompare del tutto nello Hegel dello Spaventa, ma è appunto a quella implicita problematicità dello Hegel che dobbiamo volgere l’occhio attento...” (p. 345). 220. A. PASTORE, Sulla “Parentesi” inedita di Bertrando Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, III (1934), fasc. 4, pp. 273-290; e in A. P., Scritti di varia filosofia, Milano 1940, pp. 197-218. A proposito della recente pubblicazione della “parentesi” del 1858 [cfr. n. 113]. Le riflessioni spaventiane del ‘58, posteriori alla prima edizione della Protologia, costituiscono il primo documento fondamentale della scoperta del vero Gioberti da parte di S. Ma questa scoperta, secondo P., si deve interpretare nel senso che fu proprio la Protologia ad 2544 “aprire la nuova via ai pensiero di Spaventa, destandolo dal suo anti-giobertismo che era un equivoco e sostanzialmente portandolo a prendere maggiore e migliore notizia di sé”. L’a. rivendica la necessità di guardare al pensiero giobertiano come a un tutto unitario; non ci sono due Gioberti, il vecchio, e quello delle Postuzze, ma uno solo: ed è quello che S. cominciò a scoprire nel 1858, scoprendo se stesso. 221. F. ALDERISIO, L'esigenza realistica nell’idealismo di B. Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, IV (1935), fasc. 2, pp. 99-132. L’autore riprende e sviluppa alcuni temi, da lui già introdotti nella presentazione della Parentesi del 1858 [cfr. n. 113], e che ora vengono approfonditi attraverso l'esame delle ultime opere di S., soprattutto l’Introduzione alla critica della psicologia empirica [105] e Esperienza e metafisica [94]. Nei suoi ultimi lavori, S. si domanda in che senso il pensiero possa ammettersi come causa delle cose. E la risposta è complessa: ci sono per S. “due fasi dell’essere (le mezze cose, e la vera realtà attinta dall’essere rel pensiero e co/ pensiero)”; e c'è anche “un duplice porre la realtà da parte del pensiero (prima inconsapevole e naturale e poi cosciente: sintesi apriori primitiva e sintesi secondaria)” (p. 125). L’attualismo ha avuto il torto di assolutizzare — peccando così di unilateralità — l’ “esatto e importantissimo senso spirituale e idealistico” della soluzione spaventiana; amputandola della affermazione realistica, del riconoscimento della realtà delle “cose”, che S. non avrebbe mai negato, perché riteneva di non poter sacrificare “la innegabile diversità della realtà (il che di essa) dal pensiero”, da quel pensiero che ne ricerca e afferma il cos'è, e che in tal 2545 modo trae il reale alla sua verità (p. 126). S., secondo Alderisio, sarebbe più vicino a Hegel di quanto non faccia pensare la lettura gentiliana: questa convinzione verrà ribadita dall’a. in un più ampio lavoro del 1940 [232] nel quale è ristampato anche il presente articolo. 222.F. FIORENTINO, Ritratti storici e saggi critici, raccolti da Giovanni Gentile, Firenze 1935, pp. VI-361. Cfr. n. 163. 223. A. BRUERS, Pensatori antichi e moderni, Roma 1936, pp. 308. Contiene (pp. 233-237) la ristampa di uno scritto del 1926, nel quale si contesta la soluzione data da S. al problema della nazionalità della filosofia. Il “genio italiano”, dichiara B., è “sintetico”, ed ha una “tradizione specifica” che si esprime nella “formula” del “trascendentalismo”; nell’affermazione cioè della trascendenza come “legame potenziatore di tutte le dottrine e attività umane”. 224. F. ALDERISIO, Revisioni e orientamenti idealistici, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, VI (1937), fasc. 3, pp. 201-224. Sono i primi due capitoli di un lavoro, che l’a. continuò a pubblicare nella stessa rivista (1938, 1939), e che ristampò poi in un volume del 1940: l’Esazze della riforma attualistica dell’idealismo in rapporto a Spaventa e a Hegel [232]. 225. P. CARABELLESE, L’idealismo italiano. Saggio 2546 storico-critico, Napoli 1938, pp. 379; Roma 19462, pp. XII-304. Tesi centrale del libro: l’Italia “ha una sua originalità speculativa”, che si manifesta soprattutto nel nostro “idealismo storico”; si tratta di un idealismo “oggettivo” (affermazione dell’ “immanenza dell’Oggetto vero nei soggetti certi”), che si deve distinguere e opporre all’idealismo soggettivo, così come è lecito distinguere e opporre, storicamente, il Rinascimento alla Riforma e Rosmini a Fichte e a Hegel. Per S. va tenuto presente, allora, il capitolo sesto (Caratteri dell’idealismo storico italiano; nella seconda edizione, pp. 85 sgg.) e, in particolare, il paragrafo 36: L’idealismo italiano nella filosofia europea: inversione e integrazione delle tesi di Spaventa. S. ha voluto dimostrare il carattere europeo della filosofia italiana, e si trattava di fare proprio il contrario, di commisurare la filosofia straniera a quella italiana; di affermare la “vitalità” del nostro pensiero nel pensiero filosofico moderno, non la “circolazione” del pensiero italiano in quello tedesco. Annotazioni particolari a p. 12 (contro S.: non è vero che dalla Controriforma in poi non ci sia stata libertà filosofica in Italia), a p. 50 (S. e Gentile hanno costruito una interpretazione sbagliata di Vico: il vero Vico sta nel De antiquissima), a p. 118 (sul rapporto S.-Gentile-Croce: nei primi due è presente almeno l’esigenza dell’oggettività, a Croce sfugge persino il senso del problema), a pp. 125 sgg. (sul rapporto S.-Gentile; per C. tra i due filosofi c'è una linea di sviluppo perfettamente coerente). 226. B. DONATI, L'insegnamento della Filosofia del diritto e l’attività didattica di Bertrando Spaventa alla Università di Modena nel 1859-60, in “Rivista 254/ internazionale di filosofia del diritto”, XVIII (1938), pp. 541-571. L'articolo è, in gran parte, frutto di ricerche di archivio. Sono raccolti qui e illustrati i dati relativi al conferimento, a S., della cattedra di Filosofia del diritto nell’università di Modena, al programma del corso e all’attività didattica del filosofo, al suo trasferimento a Bologna e all’insegnamento “interinale” a Modena, in relazione alla nomina del fratello Silvio. Importante l’analisi del discorso inaugurale del 25 novembre 1859 [110], e il rilievo della sua autonomia rispetto alle altre prolusioni di S.: il discorso di Modena è il tentativo di costruire e di sostituire la “biografia della nazione” a quella delle grandi personalità. 227.5. PELLEGRINI, Nazionalità e universalità della filosofia nel pensiero di B. Spaventa, Firenze 1938, pp. 45. Due modi di intendere lo svolgimento storico della filosofia: Hegel e Vico. “In Hegel, la preoccupazione che nella sua filosofia sistematica si esprime col concetto dello spirito obbiettivo dà luogo alla tipizzazione di gradi o momenti o atteggiamenti dello spirito in singole e diverse nazioni. Nel Vico la sistematicità delle forme acquista una sua concretezza nella vita di ciascun popolo” (p. 44). Nel concetto della “circolazione” del pensiero S. fa rivivere la prospettiva vichiana, che sola offre la possibilità di conciliare l’universalità della filosofia con la sua “nazionalità”. Ma in S. è presente anche (per motivi polemici, e di “accondiscendenza storica”, p. 45) la visione hegeliana; e i due motivi non giungono a fondersi. “In lui c’è la salda preoccupazione di affermare l’elemento universale come costitutivo della filosofia e, nello stesso tempo, lo sforzo di rendere giustizia alla esigenza storicistica che è nel 2548 concetto, si potrebbe dire, nazionalistico della filosofia. Non si può dire che agli abbia potuto dare la vera risoluzione del problema, la quale avrebbe trasceso i limiti generali entro cui è contenuta tutta la speculazione spaventiana. La vera risoluzione suppone una filosofia dello spirito che faccia consapevolmente centro lo spirito come atto, e che in questo veda il determinarsi delle forme che sono della storia effettiva” (p. 42 sg.). La “realtà” della nazione va cioè, attualisticamente, “dedotta” dal pensiero, che solo può presentarla come “fatto necessario”. Sull’opuscolo v. una nota del “Giornale critico della filosofia italiana”, XX (1939), pp. 103-104, che richiama in breve i termini della discussione del problema dal punto di vista dell’attualismo. 228. E. VIGORITA, Bertrando Spaventa, Napoli 1938, Di22 Cfr. n. 229. 229. E. VIGORITA, Gerovesi, Galluppi, Spaventa, Napoli 1938, pp. 173. A S. sono dedicate le pp. 87-173. Lo scritto vuol soddisfare una duplice esigenza: a) quella di “delineare lo svolgimento e illustrare le conclusioni” — “con maggior chiarezza e ampiezza che non si sia fatto fin qui dagli studiosi del filosofo abruzzese” — delle ricerche che condussero alla tesi della “circolazione”; b) quella di mostrare che, se S. non giunse a dare unità sistematica al suo pensiero, ci sono tuttavia nella sua opera “motivi originali” o “originalmente elaborati” che sono ancora da mettere in luce (p. 134). Quanto al primo punto, l’a. trascrive 2549 diligentemente dalle lezioni sulla filosofia italiana, dagli studi su Bruno e Campanella. Per il secondo punto, riassume accuratamente Logica e metafisica, le Prime categorie, il frammento sulla dialettica del 1880-81, i Principi di etica. Ne vien fuori l’immagine di uno S. che non si discosta molto da quello presentato da Gentile, sia nella valutazione della teoria della “circolazione” (equilibrio di “universalismo” e “nazionalità”, pp. 128 sgg.), sia nel giudizio complessivo sull’hegelismo del filosofo napoletano. S. si mostra indipendente da Hegel almeno in quattro punti: 1) rielaborazione in senso attuali neo della dialettica hegeliana; 2) concetto dell’apriori come “attività immanente allo spirito”, i. e. come “potenza umana”; 3) riconoscimento del valore dell’attività pratica dello spirito nel costituirsi della conoscenza; 4) risoluzione del dualismo di logica e fenomenologia sul piano di un «empirismo assoluto”: l'identità di pensiero ed essere non è meramente logica, ma “viene ad identificarsi con lo stesso processo genetico della coscienza” (p. 167). Il testo di un opuscolo di V. (Bertrando Spaventa, Napoli 1938, pp. 29) presenta in forma abbreviata il contenuto dei primi tre paragrafi (pp. 89-133) del saggio su S. pubblicato nel Gerovesi, Galluppi, Spaventa. 230. A. BECCARI, Nazionalità e circolazione della filosofia italiana, in “Atti della Società italiana per il progresso delle scienze”, maggio 1939, pp. 549-554. Cfr. n. 231. 231. F. MONTALTO, Carattere nazionale della filosofia italiana nel pensiero filosofico di B. Spaventa, in 2550 “Atti della Società italiana per il progresso delle scienze”, maggio 1939, pp. 555-558. È il testo di una relazione presentata nella ventisettesima riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Bologna 4-11 settembre 1938. S. avrebbe scoperto che “il genio italico è precursore’; l’a. sviluppa questa tesi riferendosi direttamente alla situazione politica italiana del momento (qualche richiamo a S. anche nel libro di Montalto L’intuizione e la verità di fatto, Roma 1930, specialmente nel terzo capitolo). Nello stesso fascicolo è pubblicata una relazione di A. Beccari (Nazionalità e circolazione della filosofia italiana, pp. 549-554), nella quale si afferma che S. non appare libero da pregiudizi universalistici, e dal “fanatismo per gli oltremontani” (oggi “l’esperienza storica... ci ha abituati a rifiutare simili intimità universali con nazioni con le quali preferiamo non identificarci”). S. ebbe anche il torto di affermare che la religione cattolica ha ostacolato il progresso del sapere. 232. F. ALDERISIO, Esazze della riforma attualistica dell’idealismo in rapporto a Spaventa e a Hegel, Todi s.d. [1940], pp. 163; seconda edizione accresciuta, Napoli s. d. [1959], pp.211. Alle pp. 129-162 della prima (ma cfr. 224) edizione — che viene tenuta presente qui — è ristampato il saggio del 1935: L'esigenza realistica... [cfr. n. 221]. L’a. si domanda se S. sia soltanto un precorritore dell’attualismo, oppure se il suo pensiero “possa e debba... essere rivendicato a se stesso”, come “riviviscenza” — non come ripetizione — dell’hegelismo, del quale il filosofo 2551 corregge qualche punto, ma intende tuttavia e fa suo e conserva “il motore dialettico” (p. 7). Quello di S. è “il miglior punto di vista filosofico” guadagnato dal pensiero italiano; ma venne frainteso, oltre che da Gentile e dai gentiliani, da Benedetto Croce, del quale l’a. respinge i giudizi negativi (capitoli primo e secondo). Neppure gli attualisti hanno colto l’esatto senso del rapporto S.-Gentile, e cioè il carattere tutt'altro che lineare e pacifico dello “svolgimento” prospettato in quel rapporto. Solo A. Carlini ne ha tentato una revisione, accentuando il peso della trasformazione del pensiero di S. operata da Gentile, ma in un senso per cui il nesso viene pur sempre riaffermato come passaggio “da attualismo ad attualismo” (p. 18). L’analisi delle pagine dedicate da Gentile all’interpretazione di S. conferma, secondo l’a., che ci fu un “rivolgimento del pensiero del Gentile dopo il 1903” (p. 21), che rimane oscuro, ma che non è, in ogni caso, imputabile a S., proprio perché consiste nella trasformazione dell’originario idealismo realistico, hegeliano e spaventiano, a cui Gentile rimane ancora fedele nel discorso La rinascita dell’idealismo (1903), in un idealismo empirico o soggettivistico di stampo berkeleyano. Lo scritto di A. prosegue con un esame della Interpretazione e critica del Gentile al dialettismo hegeliano delle prime categorie (capitolo terzo, pp. 29 sgg.; qui si osserva che il “pensare”, in S. e in Hegel, ha un significato “cosmico, prespirituale e presoggettivo”, che Gentile volle poi negare), passa allo studio della Interpretazione gentiliana del dialettismo del Fischer (quarto capitolo, pp. 51 sgg.), poi alla discussione della Interpretazione gentiliana del dialettismo di Bertrando Spaventa (capitolo quinto, pp. 64 sgg.). Alle pp. 69 sgg., l’a. osserva che Gentile ha “isolato” le pagine di S. da lui analizzate nella Riforzza della dialettica hegeliana sciogliendole dai testi ai quali sono di fatto ZIIR collegate, da Esperienga e metafisica e dall’Introduzione alla critica della psicologia empirica, due scritti nei quali risulta evidente l’esigenza realistica dell'autore [cfr. nn. 103, 94, 105]. Segue un capitolo sul Frazzzzento del 1880-81 (capitolo sesto, pp. 80 sgg.). L'ultimo capitolo (pp. 102 sgg.) si intitola: Senso e valore della memoria del 1864 su le prime categorie. La “dichiarazione” finale di Spaventa in Esperienza e metafisica (1882). Nella “dichiarazione finale” S. riesce a correggere il carattere soggettivistico della soluzione del 1864, mostrando “una intelligenza acutissima ed una rielaborazione e ripresentazione, insieme personale e fedele, del punto di vista della logica di Hegel” (p. 114). Nell’epilogo (pp. 119 sgg.), A. indica le prospettive che vengono aperte da questa nuova interpretazione di S., che ne afferma il “real-idealismo”, e che lascia prosperare tutta la ricchezza del pensiero del filosofo napoletano e di Hegel: l'abbandono dell’equivoca critica alla tripartizione del sistema hegeliano, e la ripresa o la rielaborazione di tutte le “categorie logiche, naturali, spirituali” in funzione della possibile “fondazione razionale di una dottrina tanto della filosofia che della scienza” (p. 119). Nella seconda edizione sono aggiunti: un “discorso preliminare” (pp. 5-18), nel quale l’a. ripercorre la storia dei suoi studi spaventiani, e una “postilla” all’epilogo (pp. 164- 175), che discute testi crociani. 233. A. C. DE MEIS, Ricordi di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXI (1940), pp. 279-281. Cfr. n. 161. 2553 234. M. GRILLI, The Nazionality of Philosophy and Bertrando Spaventa, in “Journal of the History of Ideas”, II, 3, giugno 1941, pp. 339-371. Contro le posteriori distorsioni “ultranazionalistiche” dell'idea di filofia nazionale, l’a. avvia qui un tentativo di chiarificazione, seguendo gli sviluppi del concetto di nazionalità della filosofia nel pensiero italiano del Risorgimento, e, in particolare, negli scritti di S. L'articolo riassume le posizioni dei protagonisti della nota discussione (Mamiani, Gioberti, Rosmini, Vera, Silvio Spaventa [riferendosi allo scritto del 1844, reso noto da Croce], Stanislao Gatti, e, infine, Bertrando S.), dopo averne individuato i motivi ispiratori in Herder, Fichte, Hegel (concetto di Vo/ksgeist e sua necessaria relazione al Weltgeist). Una distinzione preliminare guida l’analisi dell’a.: quella che oppone le vedute dei negatori della nazionalità della filosofia (“the universalists”, Vera) alle ragioni dei nazionalisti di stampo giobertiano, e che da entrambe dissocia “the cosmopolitan view”, affermazione della “traducibilità” delle idee pur nel riconoscimento della varietà della loro applicazione nei diversi paesi. L’a. ripercorre le fasi della formazione del pensiero di S. sull'argomento, soffermandosi sulla prolusione bolognese e, soprattutto, sulle prime lezioni napoletane. Il filosofo, sottolinea G., non fa cadere l’accento sulle differenze delle filosofie nazionali, ma cerca di individuare “la speciale funzione assegnata a ciascuna di esse nel contesto del pensiero europeo” (p. 367): la via di S. è quella del cosmopolitismo. “From the national to the international and back again — in the resolution of this dialectical antithesis — Spaventa, the Hegelian, sees the development of philosophy” (p. 369). Era una prospettiva destinata al 2554 successo, efficace; al di là dei limiti in cui si restringe il programma di Mamiani, al di là dell’ “esagerato” patriottismo di Gioberti e della “sterilità” di Rosmini, S. “dared to propose a clear-cut program of thoroughgoing reorganization for the future of philosophic studies in Italy” (p. 371). E nella linea indicata da questo programma si muoveranno Gentile e Croce, consapevoli degli errori di un vacuo universalismo, ma anche della necessità di partecipare al più largo moto della filosofia mondiale (p. 369). 235. F. L. MUELLER, La pensée contemporaine en Italie et l’influence de Hegel, Ginevra 1941, pp. XVII-345. La prima parte del libro (La tradition hegélienne en Italie, pp. 1-28) è dedicata agli hegeliani dell'Ottocento (S., Vera, De Sanctis, Labriola). La seconda (pp. 83-202) e la terza parte (pp. 203-304), rispettivamente, a Croce e a Gentile; l’ultima (Philosopbie et culture en Italie, pp. 305-340) alle scuole di Croce e Gentile, e alle relazioni del neoidealismo con la vita politica e sociale italiana. Su S. si vedano in particolare i capitoli primo (La philosophie è Naples et le Risorgimento, pp. 3-16), secondo (B. Spaventa interprète de la philosophie italienne, pp. 17-25) e terzo (Spaventa contre le posttivisme, pp. 26-56) della parte prima; che contengono, nell’ordine, una rapida presentazione del filosofo e delle sue vicende, una esposizione delle tesi de La filosofia italiana (che l’a. non intende discutere singolarmente e in modo specifico, cfr. p. 96), e finalmente un riassunto degli studi sulla dialettica hegeliana; qui l’a. consente nel giudicare la soluzione di S. come una “véritable ébauche” dell’attualismo. Le opere di S. sono il frutto di uno spirito critico, più che di un pensiero veramente costruttivo; l'originalità del filosofo si manifesta soprattutto nella 2399 ricostruzione della storia della filosofia italiana. A distanza di anni, S. ci appare come un vero precursore, il cui programma risulta pienamente giustificato e confermato dalla rinascita e dal successo del nuovo idealismo, nei primi anni del nostro secolo. 236. M. F. SCIACCA, La filosofia italiana, Milano 1941, pp. 150. Cfr. in particolare i capitoli secondo (La filosofia italiana secondo B. Spaventa e G. Gentile) e terzo (Critica della tesi Spaventa-Gentile), pp. 9-37. Per l’a. “non bisogna commisurare la filosofia italiana a quella europea, ma la filosofia europea a quella italiana, perché siano messi in luce e fissati nei loro momenti inconfondibili e precisi il carattere e il valore del nostro pensiero, la perenne e potente vitalità di esso entro il pensiero filosofico europeo” (pp. 35 sg.; cfr. pp. 39 sgg., dove è discussa la tesi di P. Carabellese [cfr. n. 225]). Il rifiuto degli schemi artificiosi di S. (e di Gentile) e il rilievo dell’antitesii tradizione italiana (anti immanentistica, cristiana) — idealismo tedesco, acquistano un significato più specifico nelle pagine dedicate dall’a, a Rosmini (cfr. p. es.: La filosofia morale di A. Rosmini, Roma 1938, pp. 165; Antonio Rostrini nella storiografia italiana, in AA. V V.,, Studi rosminiani, Milano 1940, pp. 175 sgg.), che respingono l’interpretazione soggettivistica sostenuta da S.- Gentile. Cfr. anche n. 246. 237. G. ALLINEY, I pensatori della seconda metà del secolo XIX, Milano 1942, pp. 423. Nel capitolo terzo (GL hegeliani) della seconda parte (Gt 2556 oncologi) sono dedicati a S. (e al rapporto S.-Gentile) tre paragrafi (7-9), pp. 264-294. Il paragrafo settimo (Bertrando Spaventa) espone gli studi del filosofo napoletano su Kant e sulla filosofia italiana, su Gioberti e sulle prime categorie della logica di Hegel (i saggi sulla dialettica hegeliana documentano, secondo l’a., la persistenza di un’oscillazione tra fichtismo [dialettica del pensare] e hegelismo [“magia” del sistema]). L’ottavo paragrafo (Spaventa e Gentile) richiama le difficoltà — per l’a., insuperabili — intorno a cui si affaticano invano gli epigoni di Hegel: la “condanna” dell’idealismo sta nella perdita dell’ “oggetto” (p. 284). Nel paragrafo nono (Urzanismo dello Spaventa) è respinta la teoria della “circolazione” e, con essa, il giudizio per cui S. riassumerebbe in sé tutta la problematica filosofica del secolo scorso; l’a. richiama i tratti dell’ “umanismo” di S. (il suo crudo storicismo, la sua fede immanentistica) e accentua il rilievo della sua vicinanza alle posizioni dei positivisti. Alle pp. 406-412 è collocata una bibliografia degli scritti di e su S., che non aggiorna completamente la bibliografia gentiliana del 1924 [cfr. n. 204]. 238. [G. BERTI], Materiali in preparazione del centenario di Antonio Labriola, in “Stato operaio” [New York], II (1942), agosto, pp. 185-189; III (1943), marzo- aprile, pp. 61-63, maggio-giugno, pp. 92-94, dicembre, pp. 122-126. L’a. cominciò a pubblicare questi Mazerzali nel fascicolo di ottobre-novembre, anno I, 1941, di “Stato operaio” (la stampa dei Materiali si arresta col numero del dicembre 1943). Qui sono indicati i fascicoli in cui si discute di S., e del rapporto S.-De Sanctis e S.-Labriola, in una prospettiva che anticipa il disegno dell’ampio studio pubblicato dal B., 2091 nel 1954, sulla rivista “Società” [255]. 239. M. BUCCELLATO, Di un saggio sulla dottrina di Socrate di B. Spaventa, in “Sophia”, XII-XIV (1944-46), ottobre-dicembre 1946, PP. 294-307. Analisi del saggio pubblicato da S. a proposito delle Considerazioni sulla dottrina di Socrate di G. M. Bertini [62]. L’a. sostiene che lo scritto di S. non fornisce nessun contributo originale, giacché dipende direttamente e passivamente dalle pagine di Hegel e, soprattutto, di Zeller (un accenno alla nessuna originalità di S. storico della filosofia si trova nello stesso fascicolo di “Sophia”, in un noto articolo di A. Tilgher sulle fonti dell’attualismo, pp. 280-293). 240. A. GUZZO, Maturi, Brescia 1946, pp. 160. Cfr. n. 251. 241. C. PAPA, La storiografia filosofica hegeliana in Italia nella seconda metà del secolo XIX, in “Rivista di storia della filosofia” [in seguito: “Rivista critica di storia della filosofia” ], I (1946), fasc. 3, pp. 301-319. Gli autori studiati nell’articolo sono: S., F. Fiorentino, F. Tocco. All’interno della stessa scuola hegeliana si è determinata una reazione ai canoni storiografici dell’idealismo, con l’abbandono delle esigenze e preoccupazioni speculative che caratterizzano la posizione di S., e con il maturarsi di una “tendenza filologica” che affiora già in Fiorentino e appare ulteriormente sviluppata da F. Tocco. 2558 242. S. CARAMELLA, La filosofia dello stato nel Risorgimento, Napoli 1947, pp. 90. Cfr. n. 201. 243. V. FAZIO ALLMAYER, La riforma della dialettica hegeliana, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXVI (1947), pp. 101-116. Cfr. n. 191. 244. E. GARIN, Storia dei generi letterari italiani. La filosofia, 2 voll., Milano 1947, pp. IX-3 8 5, VIII-687. Cfr. n. 290. 245. G. DE RUGGIERO, Hegel, Bari 1948, pp. 306. Cfr. n. 190. 246. M. F. SCIACCA, La filosofia nell'età del Risorgimento, Milano 1948; seconda edizione con il titolo: Il pensiero italiano nell’età del Risorgimento, Milano 1963, pp. 494. Su S. v. in particolare le pp. 440-450. L’a. ripete [cfr. n. 236] i rilievi contro l’interpretazione “tendenziosa” di Rosmini, di Gioberti, e, in generale, contro gli schemi della ricostruzione della storia della filosofia italiana proposta da S. Acuta e sottile, ma discutibile, è giudicata l’analisi spaventiana della sintesi apriori; incerta, la riforma della dialettica tentata nelle Prize categorie [70]. Il filosofo 2999 continua a oscillare tra soluzione soggettivistica e soluzione realistica, tra la riduzione della logica a psicologia e il riconoscimento dei diritti della metafisica. 247. F. BATTAGLIA, L'insegnamento di Bertrando Spaventa a Bologna, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXVIII (1949), pp. 339-347. Chiarisce e precisa, in base a documenti d’archivio, le vicende del passaggio di S. da Modena a Bologna, e illustra la sua attività nell’ateneo bolognese; soffermandosi tra l’altro sulla nota prolusione del 1860 [67], che non fu letta, qui si dimostra, il 10 maggio, come è stato detto per una confusione col discorso proemiale alle lezioni di storia della filosofia. 248. A. L. DE GAETANO, Machiavelli e alcuni discepoli della scuola idealistica. La politica e lo stato dei fratelli Spaventa, in “Italica” [The Quarterly Bulletin of the American Association of Teachers of Italian, Menasha, Wisconsin], XXVII (1950), pp. 214-224. Si vedano le pp. 214-218, per un raffronto tra le teorie politiche di Bertrando S. e quelle di Machiavelli, un autore mai discusso negli scritti del filosofo meridionale. Le conclusioni si leggono a p. 218: “Quanto ai fini, non vi sono divergenze per lo Spaventa e il Machiavelli. Entrambi vogliono uno Stato forte e libero dal clero. I mezzi possono essere anche gli stessi, e Spaventa cerca di giustificarli. Le disparità si riscontrano nel confrontare due concetti diversi della verità, cioè il concetto della verità razionale dello Spaventa col concetto della verità effettuale del Machiavelli”. 2560 249. F. FERGNANI, L’opera e l'eredità di Bertrando Spaventa, in B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano 1951, pp. TII-XXXI. Cfr. n. 101. L'introduzione di Fergnani è divisa in due parti. Nella prima (La posizione filosofica, pp. III sgg.), l’autore indica la necessità di allargare l’ “angolo visuale piuttosto ristretto” con cui Gentile guardò al filosofo hegeliano, lasciando “in ombra” la relazione Spaventa-Labriola. S. ci appare sempre orientato verso la “concretezza”, sia quando si tratti di cogliere il nesso di riflessione teorica e situazione storica, sia quando si tratti di considerare lo sviluppo storico della filosofia, o di impostare il problema del rapporto: filosofia nazionale-filosofia europea. Tanto basterebbe per comprendere perché “linsegnamento dello Spaventa sia entrato quale importante coefficiente nella elaborazione del materialismo storico compiuta da Antonio Labriola”. Ma ci sono punti di contatto più specifici. Risentono della lezione spaventiana l’ispirazione “strettamente monastica della concezione labriolana della storia”, le critiche di Labriola a E. v. Hartmann e a Spencer, e ancora l'affermazione dell'identità di lavoro e di storia, di teoria e prassi. Nella formulazione dell’identità di “conoscere e fare, e nella critica dell’Assoluto trascendente che lascia fuori di sé il relativo, sono, certo, i motivi più vitali dell’insegnamento dello Spaventa passati nel Labriola e confluiti poi nel ripensamento gramsciano della filosofia della prassi” (p. XV). Solo che S. sembra restaurare nell’ “al di qua” quella trascendenza che la vecchia metafisica aveva collocato in un mondo soprannaturale e sovrintelligibile: è questo il limite dell’ “immanentismo idealistico” di S. Nella seconda parte 2561 (La concezione politica, pp. XVI sgg.), l’autore afferma la profonda unità e continuità tra opere teoriche e opere polemiche di S., e il carattere progressivo della sua concezione dello stato e del rapporto stato-chiesa, politica- filosofia. Per aver innestato “la concezione dello stato etico nelle sue esperienze e convinzioni di liberale del Risorgimento italiano” (p. XX), S. sembra anche in grado di superare i limiti “burocratico-corporativi” della filosofia statuale di Hegel. La dottrina della eticità dello stato prospetta, naturalmente, una inversione mistificata del rapporto società civile-stato; una inversione che va rovesciata e che sarà rovesciata solo da un movimento “radicalmente innovatore”. Ma allora si renderanno plausibili ed effettivamente operanti le istanze di immanentismo e laicismo assoluto, di organicità ed unitarietà del convivere umano, che sono implicite nella concezione degli S. (p. XX1V). Nelle ultime pagine, l’autore segnala la profonda attualità delle polemiche spaventiane: oggi, dopo la “capitolazione ideologica della borghesia”, la solidarietà dell'ordine borghese con la chiesa cattolica può essere denunciata con le stesse accuse che S. rivolgeva contro la collusione di ancien régime e gesuiti, di chiesa romana e movimenti reazionari. 250. G. ARFÈ, L’begelisno napoletano e Bertrando Spaventa, in “Società”, VIII (195 2), pp. 45-62. Gentile ha deformato la figura di S., lasciando sullo sfondo o travisando il ruolo svolto dal filosofo nella cultura italiana del secolo scorso. La prospettiva gentiliana va rovesciata: l’originalità del filosofo “non è grande”, la sua opera teorica “di secondo piano”, ma importante è la battaglia politico-culturale condotta dal vecchio hegeliano, 2562 che ebbe “alta e sicura fede nella libertà”, fu animato da una “profonda religiosità laica”, e combatté per l’affermazione di un ideale giacobino dello stato, concepito come strumento per la realizzazione delle più moderne e progredite forme di vita sociale. “In Spaventa le formulazioni teoriche restano confuse, ma gli atteggiamenti pratici affermati con appassionata decisione” (p. 49). Se la posizione teorica di S. è ambigua, lo è anche nel senso che poteva dar luogo a sviluppi diversi: Labriola fu «spaventiano di sinistra». 251. Gli hbegeliani d’Italia. Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile, a cura di A. Guzzo e A. PLEBE, Torino 1953, pp. XIX-154. Antologia di testi di Vera, S. (pp. 39-72; da Logica e metafisica), Jaja, Maturi, Gentile. La scelta dei testi è curata da A. Plebe, autore anche dei brevi profili di Vera (pp. 3-8), di S. (pp. 33-38), di Jaja (pp. 75-78), di Gentile (pp. 141- 144). Guzzo ha firmato la presentazione di Maturi (pp. 101- 105), la prefazione e la prima parte dell’introduzione (pp. IX-XVIII), conclusa da Plebe (pp. XVIII sg.). Il volume è completato da una rapida nota bibliografica (pp. 151-153). L’antologia è costruita con l’intento di mostrare i tratti originali — e, complessivamente, poco “hegeliani” — dell’hegelismo italiano dell'Ottocento, fino a Gentile. Guzzo ricorda una conferenza di Gentile del 1942, “che purtroppo egli non scrisse” (cfr. l’introduzione alla raccolta La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, scritti di G. Tarozzi, V. Alemanni, A. Carlini, M. Marasca, U. Scatturin, A. Plebe, Torino 1954, pp. XIV-146; cfr. inoltre A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienga idealistica in Italia, Padova 1964, pp. 203: il libro è utile anche per diversi accenni a S., 2563 e ai suoi rapporti con i discepoli), e nella quale fu espressa forse la valutazione più serena di quei pensatori, e della loro importanza per il pensiero italiano: “gli hegeliani nell’ultimo ventennio dell’Ottocento raccolsero dai loro maestri e trasmisero ai loro discepoli alcuni concetti delicati e difficili che, estranei alla mentalità positivistica trionfante, sarebbero andati perduti se essi non li avessero affermati così a lungo da riuscire a dar la mano ai giovani che contribuirono alla rinascita dell’idealismo nel primo decennio del Novecento”. Tra questi concetti, in primo luogo, quello del “trascendentale” (p. XVI; per i giudizi di Guzzo su S., cfr. pp. XIV sg.). Plebe individua due caratteri specifici dell’hegelismo italiano: “il desiderio di studiare Hegel per ‘riformarlo’; l'interesse limitato ad alcuni problemi, che fa sorgere un'immagine convenzionale di Hegel, propria degli interpreti italiani” (p. XVIII; e cfr. p. XIX: abbandono dei “grandi problemi della metafisica hegeliana” — con qualche eccezione in Vera —, attenzione esclusiva per alcuni temi della logica, ecc.). Con questo programma e con questa eredità si spiega la scarsa o nessuna incidenza, nell’Italia del primo Novecento, degli studi di Dilthey, di Lasson, ecc. Nella presentazione di S., Plebe accenna alla discussione di alcuni temi (accettazione, da parte di S., dello schema: Kant- Fichte-Schelling-Hegel; impianto fenomenologico- gnoseologico della logica, ecc.) che sono sviluppati in uno scritto dello stesso anno [cfr. n. 252]. Plebe attira l’attenzione del lettore su una caratteristica oscillazione del vecchio maestro, che si presenta ora come riformatore, ora come ripetitore di Hegel; e sottolinea il forte interesse di S. per il positivismo. Sui rapporti degli hegeliani fra loro, sono da vedere in particolare le pp. 4 sg. (Vera e S.), 75 sg., 78 (Jaja più vicino al gnoseologismo spaventiano), 142 (Gentile erede di S. e dell’hegelismo italiano dell'Ottocento). Le 2564 pagine di Guzzo su Maturi (pp. 101 sgg.) ricordano l’evoluzione del filosofo dal gnoseologismo spaventiano a un idealismo non del tutto concorde con la lettura attualistica di S. e di Hegel. Su questo punto si veda anche il volume di Guzzo Maturi, Brescia 1946, pp. 160; in particolare le pp. 138-144, dove è impostato il problema del rapporto tra Maturi e S., nel quadro di un più ampio discorso che chiama in causa Hegel e Vera, e che è svolto in funzione di una “possibilità di sviluppo critico” del pensiero del Maturi. 252. A. PLEBE, Bertrando Spaventa a Torino, in “Filosofia”, IV (1953), pp. 305-322; Bertrando Spaventa a Napoli, in “Filosofia”, IV (1953), pp. 601-624. Il saggio è stato ripubblicato dall’a. nel volume Spaventa e Vera, Torino 1954 (aggiuntovi uno studio su Vera, a cui si accenna più avanti); e nella raccolta: La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento [256]. In queste pagine, P. ha voluto “delineare la figura di Spaventa come hegeliano e come filosofo”, muovendosi al di fuori dello “schema di derivazione” Hegel-S.-Gentile, “che è uno dei non pochi preconcetti inesatti che ancora dominano la storia della filosofia” (p. 624). In base ai risultati raggiunti dall’a., lo “schema di derivazione” appare meno giustificato nella prima parte (l’hegelismo di S. è assai distante dalle intenzioni e dai testi di Hegel) che nella seconda: motivi spaventiani passano senz’altro in Gentile. Ma S. non sta tutto nel Frazzzento inedito del 1880-81 [103], né si può dire che Gentile “abbia ereditato lo spirito e l’anima di Spaventa. Spaventa fu un logico, Gentile un’anima intimamente religiosa; Spaventa amava guardare il positivo, mentre Gentile amava guardare lo spirito puro” (pp. 623 sg.; e cfr. p. 618: Gentile “preferirà ignorare” 2565 quegli aspetti del pensiero dell’ultimo S., che documentano il suo orientamento verso una forma di “idealismo positivo”, che trovò la sua migliore espressione nell'opera di D. Jaja Sentire e pensare). Le conclusioni di P. sono raggiunte attraverso vari confronti, spesso dettagliati, di scritti di S. con pagine di Hegel, o con pagine di note esposizioni o rielaborazioni del sistema hegeliano. Si tratta di raffronti operati successivamente all’interno di diverse fasi di sviluppo del pensiero di S., e che tendono pertanto a misurare la persistenza di alcuni fraintendimenti, passati definitivamente nel disegno di un idealismo soggettivistico o gnoseologistico, più fichtiano che hegeliano. Il saggio Bertrando Spaventa a Torino si apre con un'analisi degli Studi del 1850. Dalla lettura della Vorrede della Feromenologia (la sola opera di Hegel che, secondo P., il filosofo mostra di conoscere direttamente, in questi anni) S. ricava già un’idea assai personale delle intenzioni dell'autore: l’opera di Hegel sta tutta nella polemica antikantiana e antischellinghiana della Vorrede, e la logica hegeliana è, o sarà, un semplice sviluppo della fenomenologia. Le False accuse del 1851 documentano il persistere e il radicarsi di un’idea mai abbandonata da S.: l’idea “della soggettività dell’essere logico hegeliano”; e registrano ancora, come già gli Studi, l'accettazione convinta dello schema di derivazione: Kant-Fichte-Schelling-Hegel. L'articolo su Schelling (1854) mostra un notevole arricchimento delle letture spaventiane, e segna anche l’inizio di un “caratteristico ondeggiamento per cui Spaventa, da una parte, vuol riformare Hegel, dall’altra si mostra come suo docile e fedele espositore” (p. 310). In una recensione del 1854, non segnalata da Gentile [18], S. manifesta la sua “fiducia illimitata” in Gans e negli altri hegeliani tedeschi. Nello Hegel confutato da Rosmini (1854), 2566 S. appare ormai padrone della Scienza della logica e dell’Erciclopedia, ma la distinzione di Denken e Gedanke, da lui sostenuta, è ancora ispirata da preoccupazioni gnoseologistiche che non possono trovare giustificazione in Hegel. E il gnoseologismo di S. diventa sempre più dominante nella recensione al Barni (37; “Sin da ora egli è convinto della continuità di sviluppo da Kant a Hegel. Che questa sia un'idea molto suggestiva è dimostrato dal successo che ebbe non solo in Italia, ma anche in Inghilterra, ad opera dello Stirling [The secret of Hegel, 1865]; ma che essa sia una via molto pericolosa, che può portare ad un completo fraintendimento di Hegel, è stato mostrato da cinquant'anni in qua, attraverso la pubblicazione degli scritti inediti hegeliani”, p. 311) e, in generale, nelle pagine e negli studi di S. dedicati a Kant. Degli influssi degli hegeliani tedeschi P. tratta diffusamente nelle pp. 313 sgg.; segnalando le citazioni da Werder, da Erdmann, da Weissenborn, Rosenkranz, ecc., le probabili suggestioni esercitate da Karl Philipp Fischer (autore della Speculative Charakteristik und Kritik des Hegelschen Systeras, 1845, e dei Crundgtige des Systems der Philosophie, 1848), e, infine, la utilizzazione, da parte di S., della Logik und Metaphysik (1852) di Kuno Fischer, citata ben diciotto volte in Logica e metafisica, e seguita anche in pagine che semplificano eccessivamente o addirittura travisano la Scienza della logica (P. riporta alcuni esempi, tratti dall’esposizione della dialettica della parvenza, e della dialettica delle forme del giudizio). Di Fischer, S. condivide l'entusiasmo per Kant, e da Fischer accoglie le “forzature” del testo hegeliano che tendono ad attenuare o addirittura a mutare in lode la polemica antikantiana di Hegel. È nota poi l’affermazione di Fischer, secondo la quale la logica “comincia” con il Willensakt des Denkens: qui S. trova una 2567 conferma per il proprio soggettivismo, e qui siamo anche alle origini dell’attualismo gentiliano. A conforto della interpretazione soggettivistica della logica hegeliana, S. trae dai suoi studi sui filosofi italiani (soprattutto Campanella) quella idea della “mente” o “mentalità” che passerà senz'altro nella caratterizzazione spaventiana del problema della filosofia moderna. La seconda parte del saggio (Bertrando Spaventa a Napoli) è dedicata, in primo luogo, all'esame della riforma dell’hegelismo tentata da S.; al tentativo cioè di “chiarire e sviluppare un hegelismo di tipo italiano (cioè di tipo gnoseologico-soggettivistico), sistemandolo con più rigore di quel che fece Gioberti” (p. 601). Persiste anche ora l’oscillazione tra lo S. riformatore e lo S. ripetitore di Hegel, una oscillazione forse inspiegabile, ma che non impedisce, in ogni modo, di ricostruire con chiarezza le linee della singolare impresa di S. L'analisi delle Prize categorie [70] è preparata: 4) da un paragrafo, in cui P. mostra la fedeltà di S. alla “logica del giudizio” (la critica che S. muove a Kant — necessità del passaggio dal giudizio al sillogismo — “non esce essa stessa dalla mentalità diadica ed è una critica rivolta da un punto di vista non meno soggettivistico di quello kantiano”, perché “quel che importa a S., a differenza di Hegel, non è già la circolarità logica, bensì l’attività dello spirito”, p. 603); b), da alcune pagine sull’interpretazione spaventiana della logica dell'essenza, che occupano una posizione centrale nel saggio di P. (pp. 604-608); qui si rende manifesta, nella sua intera misura e nelle sue gravi conseguenze, la distanza che separa la logica di S. da quella di Hegel. Il movimento che conduce dall'essere all’essenza è visto da S. come un processo gnoseologico, e qui è l'origine del fraintendimento radicale: “se ... come voleva Hegel, Spaventa avesse visto il passaggio dall’essere all’essenza 2568 come processo di auto-internamento, di auto-giustificazione dell'essere, il problema delle prime categorie sarebbe passato in secondo piano di fronte a quelli della logica dell'essenza, che ne sono il fondamento” (p. 606). Coerente con questo fraintendimento è l’introduzione dell’attualità mentale nella logica dell’essenza, ravvisabile, secondo P., nelle pagine di S. dedicate al concetto di “esser-posto», alla discussione dell’ “identità” e del “fondamento” (pp. 607 sg.). La fedeltà alla logica del giudizio, l’ “incomprensione” della logica dell’essenza, e l’assunzione dell’ “identità” come “atto” illuminano il significato delle Prize categorie, che confermano il carattere soggettivistico e gnoscologistico della logica spaventiana, di quella logica per la quale il filosofo ha richiesto, fin dal 1850, una fondazione gnoseologica. Le ultime pagine dell’articolo sono dedicate ai rapporti di S. col positivismo (pp. 616 sgg.) e, soprattutto, a Esperienza e metafisica [94]. Due convinzioni sempre più radicate nella mente di S., e già rese pubbliche negli scritti polemici: “l’affermazione dell’assoluta immanenza della ragione (e quindi la sua identificazione con la mente umana), e l’affermazione della naturalità del principio di ogni cosa.” (p. 616), preparano il maturarsi di un orientamento assai favorevole al positivismo, o almeno a quella forma di “idealismo positivo” che fu poi condiviso da Jaja. Anche questa evoluzione è spiegabile con il particolare impianto dell’interpretazione di Hegel: il kantismo (o neokantismo) e il “fenomenologismo gnoseologico” che stanno a fondamento di Esperienza e metafisica hanno un’origine assai lontana. E l “aporia fondamentale” dell’ultimo scritto di S. (come può giustificarsi una metafisica che deve “stare” al “dato”?) coincide con quella dell’interpretazione spaventiana di Hegel (come è possibile fondare la logica sulla fenomenologia, “lassoluto sul 2569 relativo, l’unità sul dualismo”?; pp. 620 sg.). Se questi rilievi sono esatti, Esperienza e metafisica costituisce il vero “testamento spirituale” di S.; il Frazzzzento sulla dialettica del 1880-81 [n. 103] non aggiunge nulla, secondo P., alla riforma del 1863, anzi oscura in più punti quella soluzione. Che è stata una soluzione feconda, per un certo aspetto (per lo sviluppo dell’attualismo), ma anche piena di pericoli: “Spaventa, identificando l’essere con l’atto del pensare, rende impossibile (senza accorgersene) il consistere delle determinatezze, che vengono tutte affogate nell’unità dell’atto” (p. 623). Dell’a. si veda anche il saggio: Augusto Vera, filosofo della mediazione, in “Filosofia”, V (1954), pp. 640-657 (Vera accoglie da Hegel il problema di una mediazione “metafisica” di reale e razionale, che in S. vive solo nella forma ristretta della mediazione “concettuale”; il saggio è ristampato in A. P., Spaventa e Vera, cit.). P. accenna ancora a S. (e a Esperienza e meta-fisica) nello scritto: L’empirismo come filosofia e come antifilosofia, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXVII (1959), pp. 301-311. Cfr. inoltre di Plebe la voce “Spaventa” in Enciclopedia filosofica, vol. IV, Venezia-Roma 1957, coll. 824-827. 253. F. ALDERISIO, Cownoscenza scientifica e conoscenza filosofica, Napoli 1934, pp. 112. Del libro esiste una seconda edizione riveduta e accresciuta, Napoli 1963, pp. 190. Per S. è da vedere soprattutto il capitolo settimo (La gnoseologia vichiana e galileiana nella rivalutazione critica di B. Spaventa, prima edizione, pp. 85-100). L’a. discute in particolare: la “lettera” Paolottismo, positivismo, 2570 razionalismo, del 1868; Un luogo di Galilei, del 1882; Esperienza e metafisica (1888). In questi scritti spaventiani, e specialmente nell’ultimo, “risultano vigorosamente illustrati non solo il vero significato del collegamento gnoseologico tra il Vico e il Galilei, ma anche la verità e il senso più alto che si possa dare all’altro rapporto... tra la gnoseologia e metafisica del Vico e quelle tedesche del periodo da Kant a Hegel”. 254. G. ARFÈ, Labriola e Spaventa, in “Mondo operaio”, VII (1954), n. 7 (aprile), pp. 17-18. È riprodotta qui in breve la tesi già prospettata dall’a. in un articolo precedente [cfr. n. 250]. 255. G. BERTI, Bertrando Spaventa, Antonio Labriola e l’hegelismo napoletano, in “Società”, X (1954), pp. 406- 430, 583-607, 764-791. La tesi centrale dello scritto di B. si lascia riassumere agevolmente: da S. (“la mente filosofica dirigente dell’hegelisrno napoletano”, p. 415) al Labriola si delinea uno sviluppo dello storicismo italiano — certo complesso, ma coerente nel suo interno svolgimento, e conforme alle tendenze già dominanti negli hegeliani più avanzati — che trova il suo naturale punto di arrivo nella prima elaborazione del marxismo, in Italia. Gli intellettuali che si raccolsero attorno a S. e a De Sanctis costituirono un gruppo omogeneo, legato da tre caratteristiche: “lo stretto legame con la vita, con la lotta politica, con la storia”; l’avversione per l’ “idealismo dommatico, ortodosso...”; infine “il tentativo, nel gruppo a tutti comune, di un superamento dell’hegelismo che avveniva in tutti in una ZIFA analoga direzione: dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un tentativo di filosofia dell'esperienza, di filosofia del reale” (p. 411). Nella prima parte del lavoro, B. studia soprattutto le riflessioni di S. sulla “grande questione della filosofia: materialismo-idealismo” (p. 415). Sono riflessioni in cui si rispecchia lo sforzo di comprendere la necessità del passaggio dal “vecchio” al “nuovo” (v. Esperienza e metafisica), anzi lo sforzo di favorire questo passaggio, pur tra incertezze che finirono per arrestare il cammino di S. (e di De Sanctis: sull'indirizzo e sui limiti comuni al De Sanctis e allo S., v. pp. 413 sg.). Il discorso sui “limiti” di S. non è mai abbandonato dall’a. “Dare un giudizio d’insieme su B. Spaventa non è semplice” (p. 428), proprio per le “contraddizioni” che permangono nella sua opera. E come è giusto sottolineare “la contraddizione tra il drastico radicalismo del suo pensiero e il suo moderato liberalismo” (p. 419), così è necessario respingere l’idea di una evoluzione chiara ed esplicita di S. dall’idealismo al materialismo (p. 429). Tuttavia i limiti di S. si collocano ai confini estremi di una posizione già prossima al suo rovesciamento. Allo S. “giacobino”, rappresentante di un “Illuminismo sui gezeris”, di un “illuminismo dopo Hegel”, bastava avvertire “che il prius doveva consistere non nella educazione della plebe e nella sua elevazione a popolo, ma nel cambiamento dei rapporti sociali (che avrebbe esso di conseguenza portato a questa elevazione)”, per trovarsi nella posizione che fu poi di Labriola (p. 421; cfr. p. 420, e, per il “cauto” atteggiamento di S. nei confronti dell'illuminismo francese, pp. 417 sgg.). Allo stesso modo, S. appare assai prossimo al materialismo nella polemica col Tommasi: “è nello studio Sulle psicopatie in generale che Spaventa arrivò alla formulazione ultima della sua filosofia, allorquando, ZITZ criticando radicalmente la definizione spiritualistica della psicopatia del Tommasi, combattendo il concetto di una esistenza sostanziale dell'anima, affermò che lo spirito era ‘nulla senza la materia’, gli parve cioè, lo spirito, materia e nient'altro che materia, ma materia che nega e supera se stessa, ‘ed è quella che è solo in quanto la supera” (p. 424). Lo scritto del 1872 Si colloca nel punto estremo di “un momento decisivo” della evoluzione di S., che ha inizio nel 1864. In questi anni, guidando Labriola, S. “riprese a considerate Feuerbach” (p. 422; e B. ritorna spesso sulle tracce di un incontro Spaventa-Feuerbach, che gioverebbe, tra l’altro, a spiegare le ragioni di un rifiuto, l’identificazione di tutto il materialismo con il materialismo settecentesco). Anche qui, B. nega di voler “puramente e semplicemente instaurare un parallelo storico-filosofico tra Spaventa e Feuerbach”; suggerisce tuttavia che un tale parallelo “sarebbe... forte di molte solide ragioni” (p. 429; e v. anche pp. 605-607). In nessun modo, comunque, sarebbe possibile negare l’energica tendenza del filosofo “a non lasciarsi incasellare... nell’una scuola o nell’altra, sotto l'una o l’altra denominazione. In lui, in altri termini, l'assoluto non era più lo spirito come in Hegel... e ... nemmeno la materia ...: l'assoluto, per lui, era il divenire — ma profondamente differenziato — dell’ ‘una e unica sostanza’. Qui non regge più il paragone con gli hegeliani spiritualisti o con Feuerbach. Qui è Spaventa” (p. 430). La seconda parte del saggio è dedicata alla interpretazione neoidealistica di S. L’a. discute in breve i giudizi incerti — e viziati, in ultima analisi, “da una antipatia preconcetta” — di Croce (pp. 583-586), per affrontare partitamente i tre temi — teoria della “circolazione”, riforma della dialettica, “tentativo di una filosofia dell’esperienza come esperienza attiva” — su cui si sofferma l’interpretazione 2573 di Gentile. Quanto al primo punto: Gentile tende a rovesciare la prospettiva spaventiana, attribuendo alla “circolazione” quella priorità che spetta invece al “nesso dialettico vita sociale-pensiero-storia”; sicché l’idea di S. diventa “una banale teoria dei vasi comunicanti” (pp. 589- 591). Secondo punto (pp. 591-601). La riforma della dialettica tentata da S. si costruisce in due momenti ben precisi: a) riconoscimento che “il processo dialettico avviene interamente nella natura”, dando luogo al differenziarsi di spirito e materia come forme distinte di un’unica sostanza; b) su questa base, ma solo su questa base, affermazione dell'autonomia del pensiero e trascrizione “logica” delle leggi del divenire naturale. Dato l’impianto del suo discorso, S. non avrebbe mai potuto concludere, come Gentile, che il divenire è solo divenire del pensare (p. 598; e, per un confronto S.-Engels, v. pp. 599 sg.). Infine: nel concetto di “esperienza attiva” Gentile vede anticipata la costruzione attualistica della identità di teoria e prassi. Ma la forte accentuazione spaventiana del “lato attivo” dell’uomo va interpretata tenendo presenti le indicazioni di Esperienza e meta-fisica: l’esperienza è storia, ed è storia in quanto è lavoro; qui s'incontrano S. e Labriola (pp. 601-605). Nell'ultima parte del saggio, B. richiama, in primo luogo, l’attenzione del lettore sulle dimensioni politiche delle polemiche sostenute da S. negli anni dell’esilio torinese. Sono vicende non trascrivibili interamente sul piano di una storia delle idee; non si intendono appieno, se non si ha presente il quadro dell’ “accerchiamento ideologico e politico”, il quadro delle “generali e minacciose ostilità” (p. 767) che colpirono gli hegeliani meridionali, a Torino. B. ricorda soprattutto l’attacco di Gioberti ai giovani hegeliani (democratici, quindi socialisti, comunisti) dalle pagine del Rinnovamento. La risposta di S. (nell’articolo contro 2574 Tommaseo [51]) è “abile”, se si vuole; ma va notato che mai il filosofo si difende dissociandosi dagli hegeliani di sinistra, e sottoscrivendo una professione di “fede moderata” (p. 768, e cfr. p. 770). Un’altra importante testimonianza di questo atteggiamento è offerta dalla recensione alla Storia di uno studente di filosofia di G. Piola (pp. 768 sgg.; e cfr. n. 41). Sono fatti che trovano la loro giusta interpretazione in Gramsci, e che indicano una diversa collocazione politica degli intellettuali meridionali, rispetto a quella dei liberali piemontesi e lombardi. Da “Hegel gli hegeliani napoletani avevano elaborata tutta una dottrina sulla funzione degli intellettuali ai quali sarebbe spettato il compito di elevare la plebe a popolo e di creare, quindi, le condizioni pregiudiziali per una futura democrazia: che essi vedevano possibile soltanto proiettata in un lontano avvenire” (p. 771). Sarà, anche questo, un limite del loro democratismo; ma intanto sta a indicare la presenza di una ispirazione democratica, che B. trova confermata nel programma politico degli hegeliani nel 1848 (“utopistico, ma non certo conservatore”) e nelle prime formulazioni dello “stato etico” (pp. 773 sgg.). Le originarie convinzioni progressiste di un De Meis non si oscureranno mai del tutto, neppure nel Sovrano; e i Princìpi di etica di S. (pp. 776-779) confermeranno, ancora, la presenza vitale di un disegno rivoluzionario (e sia pure di una “rivoluzione intellettuale”). “Dopo il ‘60 Bertrando più di Silvio sentì la necessità di conservare al liberalismo il suo slancio rivoluzionario, il suo momento di rottura col passato” (p. 780). E mantenne una pur “inconfessata collaborazione” con i positivisti più avanzati, lungo una strada percorsa anche dal Labriola, che seppe distinguerci positivismo da positivismo (pp. 782 sgg.). Anche su questo piano Labriola si incontra col vecchio maestro, e meglio di ogni altro scolaro di S. (p. 785). Le ZITI ultime pagine dello studio di B. (pp. 787 sgg.) fissano le tappe del progressivo distacco di Labriola dallo illuminismo posthegeliano” dello S. e dalla concezione dello stato etico. In una lettera del luglio 1875 [cfr. n. 137] B. individua il momento in cui, agli occhi di Labriola, appare ormai “rovesciata”, con la subordinazione della rivoluzione intellettuale alla rivoluzione sociale, la posizione del maestro. Negli anni in cui Labriola veniva via via precisando il suo orientamento verso il socialismo, non venne mai meno tuttavia l’amicizia per il vecchio hegeliano (come non venne meno, più tardi, l'amicizia per Silvio). Anche questo dato esterno conferma in qualche modo i risultati di tutta la ricerca. Sui rapporti personali di Labriola e S., cfr. le lettere pubblicate a cura di B. [137]. Per alcune pagine dello stesso autore che anticipano il discorso del 1954, cfr. n. 238. 256. La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, scritti di G. TAROZZI, V. ALEMANNI, A. CARLINI, M. MARESCA, U. SCATTURIN, A. PLEBE, Torino 1954, pp. XIV-146. Contiene la ristampa, col titolo Bertrando Spaventa hegeliano eflosofo (pp. 85-126), del saggio pubblicato da A. Plebe in “Filosofia”, 1953 [z52]. Accennano variamente a S. i saggi qui raccolti (e anch'essi già pubblicati nella rivista “Filosofia”) di V. Alemanni (Pietro Ceretti, pp. 17 sgg.), di A. Carlini (F. Acri, pp. 33 sgg.), di M. Maresca (I/ pensiero filosofico di Filippo Nasci, pp. 51 sgg.). Cfr. inoltre n. 251. 257. P. SALVUCCI, Di alcuni recenti interessi per i 2576 neohegeliani italiani dell'’800, in “Studi Urbinati”, XXVIII (1954), n. 1-2, pp. 420-423. La rassegna è dedicata all’antologia a cura di A. Guzzo e A. Plebe [251], ai saggi di A. Plebe del 1953 [252], all’articolo di G. Arfè del 1952 [250], allo scritto di F. Battaglia del 1449 [247]. 258. P. TOGLIATTI, Per una giusta comprensione del pensiero di A. Labriola, in “Rinascita”, XI (1954), pp. 254- 256, 336-339, 387-393, 483-491. Per S., si veda il quarto paragrafo (Movimento e crisi del pensiero italiano dell'Ottocento, pp. 483-491). L’a. rileva gli aspetti “contraddittori” della posizione del filosofo (S. afferma che la filosofia nasce dalla storia, ma tenta poi una deduzione logica del processo storico; ci offre una corretta valutazione del naturalismo, e di Darwin, ma resta imbrigliato nell’interpretazione “kantiana” di Hegel e precorre, nelle Prize categorie, l’attualismo, ecc.); ma conclude segnalando quelle pagine spaventiane (in particolare, la p. 138 di Esperienza e metafisica, dove è affermata l’identità di storia e lavoro) che ci consentono di comprendere come dalla scuola del “più grande dei filosofi hegeliani d’Italia” sia potuto uscire Antonio Labriola. 259. F. ALDERISIO, R:presa spaventiana, in “Il Saggiatore”, V (1955), pp. 159-168, 325-365; VI (1956), pp. 157-208. Il saggio di A. (vedilo anche ristampato in volume: Ripresa spaventiana. Considerazioni sull'idealismo assoluto, sul materialismo evoluzionistico e sul materialismo storico, Napoli 1959, pp. 174; in questa edizione “riveduta e ZII accresciuta” l’aggiunta più notevole è lo scritto: Ri/lessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi, pp. 149 sgg.) è una rassegna assai minuziosa di recenti studi spaventiani. Nella prima parte (pp. 159-168), dopo un breve accenno al giudizio negativo sul filosofo napoletano espresso da G. De Ruggiero nel suo Hegel (1948), l'a. ripropone le linee della propria interpretazione di S., costruita a partire dal 1933 in una serie di scritti ordinati in questa bibliografia con i nn. 113, 221, 224, 232, 253. S., secondo A., non fu, né volle essere, un “riformatore” della dialettica hegeliana, nel senso voluto dall’attualismo; intese semmai proporre una migliore interpretazione della deduzione delle prime categorie della Scienza della logica. Gentile costruì il proprio idealismo attuale indipendentemente da S.; la sua lettura del Frammento inedito del 880-81 è sostanzialmente sbagliata, e costituisce, in ogni caso, un riconoscimento post festum. Nella seconda parte (pp. 325-365), A. discute due scritti: quello di G. Berti, del 1954 [255], e il saggio di P. Togliatti, dello stesso anno [258]. A. respinge la tesi di una evoluzione di S. verso il materialismo, anche nella sua formulazione più cauta (S. avrebbe “vissuto” la contraddizione di idealismo e materialismo). Ma è giusto poi, secondo l’a., rivalutare, nell’opera di S., gli aspetti di un orientamento politico progressista; lo stesso Gentile, individuando nel riconoscimento spaventiano della natura “pratica” dell’autocoscienza la “chiave d’oro” della “nuova” gnoseologia, di Marx e di S., ha fornito una prima indicazione sul carattere “progressivo” di questi sviluppi paralleli di pensiero, nati da una comune ispirazione hegeliana. Su questo punto, l'a. si sofferma nel paragrafo intitolato: Breve indagine sul pensiero etico politico di Spaventa riguardante lo sviluppo storico della coscienza sociale 2578 (pp. 340 sgg.). La terza parte della Ripresa (pp. 157-208) è dedicata allo studio di A. Plebe del 1953 [252]: un saggio, a giudizio dell’a., “troppo denso e forse scarsamente elaborato”, che si riassume “in una critica negativa ed acerba”. Contro le stesse intenzioni del suo a. (rottura dello schema: Hegel-S.-Gentile), lo scritto di Plebe finisce per dar credito all’interpretazione gentiliana di S., solo rovesciando il giudizio di valore sui motivi dell’apprezzamento di Gentile per il vecchio maestro. A. discute e respinge via via le conclusioni di Plebe, difendendo l’autentico hegelismo di S., la sua corretta lettura dei testi e la sua interpretazione del sistema, per nulla ispirata dal proposito di una vistosa “riforma”. Né sembra giustificato, per A., assumere Esperienza e metafisica come il testo di un “idealismo positivistico”. La revisione delle analisi di Plebe, condotta attraverso una ricostruzione diversa ma altrettanto particolareggiata dei testi in discussione, e qui non riproducibile nel dettaglio, si conclude con la riaffermazione della “profonda hegelianità” del filosofo napoletano. 260. N. BADALONI, La filosofia di Giordano Bruno, Firenze 1955, pp. 369. Si veda soprattutto il capitolo quinto (Intorzo alla fama del Bruno, pp. 279-366), nel quale sono ricordati (pp. 310 sgg.) gli studi spaventiani sull’argomento. Gli scritti di S. sono accostati a quelli di Labriola e di De Sanctis (i quali seppero cogliere il “messaggio di liberazione umana” racchiuso nelle pagine del filosofo); ma all’a. sembrano poi viziati da un’analisi svolta in termini speculativi, e sorda alla comprensione del “fondo materialistico” del pensiero bruniano. Si vedano anche le pp. 54. sgg. (sull’interpretazione, in S., del mito di Atteone) e le pp. 113 ZIT9 sgg., 186 sg., sulla ricostruzione spaventiana della morale e della politica di G. Bruno. 261. I CUBEDDU, Interpretazioni di Bertrando Spaventa, in “Rassegna di filosofia”, IV (1955), pp. 38-47. Breve resoconto degli scritti di G. Arfè [254], di G. Berti [255; limitato alle prime due parti del saggio], e di A. Plebe [252]. 262. E. GARIN, Cronache di filosofia italiana. 1900- 1943, Bari 1955, 19592; ristampa in due voll., Bari 1966, pp. VII-637. Cfr. n. 290. 263. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXIV (1955), pp. 489-495. Cfr. n. 115. 264. G. FICHERA, Il problema del cominciamento logico e la categoria del divenire in Hegel e nei suoi critici, Catania 1956, pp. 166. I critici di Hegel studiati dall’autore sono K. Fischer, S. e Gentile. Sullo S., v. in particolare il capitolo quarto, L’interpretazione spaventiana, pp. 99-137, che discute le Prime categorie [70] e il Frammento inedito del 1880-81 [103]. Tesi centrale: nell’impostazione del problema del cominciamento c’è, in Hegel, un vizio di fondo, che riaffiora e permane nel discorso degli interpreti. Si vedano le pagine 2580 in cui l’autore conclude su S.: “la soluzione spaventiana vale, a nostro avviso, solo a chiarire l’insolubilità del problema del cominciamento logico e l’inconcepibilità dell'Essere, del Nulla e del Divenire come categorie, nella cui determinazione è implicito l'equivoco hegeliano di isolare i momenti strutturali della dialettica’ del pensiero (l’affermazione, la negazione, il superamento), per farne altrettante determinazioni categoriali che, come tali, presuppongono e non pongono il farsi o il dialettizzarsi del pensiero logico. Ecco perché Spaventa, allorché vuol mantenere la posizione hegeliana circa il problema del cominciamento, e parte dall’Essere come il puro Immediato, si avvolge nelle medesime aporie hegeliane di presupporre al processo del pensiero ciò che dovrebbe essere invece un suo prodotto. E quando [= nel Framzzento inedito] chiarisce l'equivoco, assumendo l’Essere come pensiero, deve sostanzialmente abbandonare il problema della deduzione del divenire: il divenire non può essere dedotto, ma è se mai implicito nell’autoriflessione dell'Essere, come pensare, essendo il pensare T'Essere stesso dell’Essere’”” (pp. 136- 137). 265. Sviluppi dello begelismo in Italia. F. De Sanctis, S. Tommasi, A. Labriola. Una antologia dagli scritti a cura di M. Rossi, Torino 1957, pp. CXI-201. A S. sono dedicate in particolare le pp. XVI-XXV dell’introduzione di Rossi, precedute da una ricostruzione dell'ambiente napoletano del 1840-48, in cui sono indicate le ragioni del prevalente interesse dei primi hegeliani per i problemi teoretico-gnoseologici, e quindi per l’interpretazione fischeriana del pensiero tedesco. All’a. la “circolazione del pensiero” appare una veduta “ingenua, 2581 semplicistica e unilaterale”, che ha avuto tuttavia il merito di sprovincializzare la nostra cultura, ponendola a contatto col pensiero europeo. Manca però in S. una reale esperienza e quindi una giusta valutazione dell’illuminismo. La riforma della dialettica hegeliana proposta da S. costituisce senz'altro la premessa da cui discende l’attualismo di Gentile. L’a. osserva che “il tentativo estremo di eliminare ogni residuo ontologico oggettivo, per quanto possa sembrare legittimo in quanto si operi sul vuoto e astratto primum che è l’essere”, si allarga fatalmente ad ogni determinatezza. Il tentativo può sembrare giustificato rispetto a Hegel, perché in Hegel c’è, appunto, anche questo aspetto; ma c’è anche l’altro, per cui la dialettica deve provarsi con il contenuto determinato delle scienze, della natura e della storia. Dall’attenzione per il lato formale nasce l’attualismo, dall’attenzione per i contenuti la nuova dialettica, della sinistra hegeliana e di Marx. S. anticipa, dunque, Gentile. Ma non trae tutte le conclusioni della sua riforma, e lascia vivere il sistema. Questa contraddizione, “positiva”, dal punto di vista di R., è il riflesso di un’altra contraddizione: tra lo S. prcattualista e lo S. liberale, l’esule, l’antigesuita, il filosofo attento all’evoluzionismo e al positivismo. L’accoglimento di Hegel corrispondeva alla volontà di uscire dal marasma intellettuale di Napoli. Ma S. “cercava la libertà e incontrò la monotriade dialettica”; “i suoi interessi etici di liberale procedettero paralleli ai suoi interessi teoretici, vi rimasero giustapposti, e con essi non s'incontrarono mai”. Tant'è vero, che nei Principi di etica S. lascia cadere la deduzione della monarchia ereditaria e ignora tutte le pagine reazionarie della Filosofia del diritto: “liberalizza” Hegel sopprimendo — semplicemente — il reazionario (a p. LIX cfr. anche un’annotazione particolare a proposito della polemica sulle psicopatie: S. ci offre una 2582 “stranissima soluzione”. che “contamina” il realismo herbartiano con la dottrina hegeliana dell’autocoscienza). Dalla linea S.-Gentile diverge la linea De Sanctis- Tommasi-Labriola, la linea “umanistica” dell’hegelismo italiano già proposta da F. Lombardi nel suo Ludovico Feuerbacb (1935) e ribadita in scritti posteriori. Degli Sviluppi dell’hegelismo cfr. la recensione di N. Merher, in “Società”, XIV (1958), pp. 125-132; e, per un successivo dibattito: G. Mastroianni, M. Rossi, N. Mediar, A proposito di alcuni studi recenti sul Labriola, in “Società”, XV (1959), pp. 1011-1032. 266. F. ALDERISIO, Introduzione a B. S., Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, Torino 1958, pp. IX-XXXVII. Nuova presentazione dell’introduzione al testo spaventiano del 1858 [113], qui ritoccata e adattata a “finalità didattiche”. L’a. riafferma la “piena e congeniale aderenza” dello scritto di S. “col principio e senso fondamentale dell’assoluto razionalismo di Hegel” (p. XXXIII). 267. V. FAZIO ALLMAYER, Ricerche hegeliane, con prefazione di G. Saitta, Firenze 1959, pp. XVI-325. Cfr. n. 191. 268. F. E. MARCIANO, Storia della filosofia italiana, Romza 1959, pp. VII-425. A S. sono dedicate le ultime pagine dell’ottavo capitolo, 2583 che espone il pensiero italiano dell'Ottocento (cfr. in particolare le pp. 334-337). Ma il nome del filosofo è citato spesso nell’introduzione, che riprende e dibatte la questione della “filosofia nazionale”, e quindi del “carattere” della filosofia italiana. La tesi di S. (e di Gentile) vien fatta reagire con quelle di M. F. Sciacca [cfr. nn. 236, 246], di P. Carabellese [cfr. n. 225], e con le vedute di F. De Sarto, che l’a. è incline ad accettate (la filosofia italiana è filosofia dell'esperienza, è sperimentalismo, ha carattere realistico, ecc.). 269. Un “pamphlet” antidemocratico inedito di Bertrando Spaventa (1880), a cura di P. C. MASINI, ir “Rivista storica del socialismo”, II (1959), pp. 304-326. Cfr. n. 116. 270. E. GARIN, Ur “pamphlet” antidemocratico inedito di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXVIII (1959), pp. 572-574. Cfr. n. 116. 271. A. BERTONDINI, Irtorno al “Socrate” di Labriola e Spaventa, in “Studi Urbinati”, XXXV (1961), n. 2, pp. 236-248. Dalla lettura dello scritto di Labriola su Socrate è possibile far affiorare il rifiuto della impostazione speculativa che caratterizza l’analisi spaventiana [62] delle Considerazioni di G. M. Bertini. 2584 272. F. ALDERISIO, Introduzione a B. S., Lo stato moderno e la libertà d'insegnamento, Firenze 1962, pp. V- XXXVII. Cfr. nn. 101, 108. L'’introduzione contiene utili indicazioni per favorire una prima lettura delle due polemiche di S., i cui testi — si legge nella “postilla”, pp. XXXVIIT-XLI — ben si prestavano, per la loro “affinità” e “complementarità”, per la “comune ispirazione filosofica ed ideologica, tutta protesa verso l'ammodernamento della cultura e dell'educazione e verso il rinnovamento più profondo della filosofia e della vita politica in Italia”, ad essere presentati in un’unica raccolta antologica (tra le recensioni dell’antologia cfr. S. C. Landucci in “Critica storica”, II, 1963, n. 1, pp. 112 sg.; e L. Pinto, in “Il Baretti”, IV, 1963, n. 21, pp. 168-171). 273.S. MAZZILLI, L’hegelismo in Italia, in “Cynthia”, 1962, n. 1-2, pp. 28-32. È l'undicesima puntata di un lavoro, che ha come sottotitolo costante: La problematicità. Qui sono avanzate esplicite riserve contro la teoria della circolazione e contro l’interpretazione spaventiana di Hegel (cfr. il saggio precedente, intitolato I/ divenire Iriadico, 1961, n. 5-6, pp. 39-43: non è vero che Hegel volle “provare l'identità”, come pretende S.; ma v. anche le pagine dedicate a L’attualismo, 1962, n. 4-5, pp. 27-33: è vero che S. ebbe una concezione intellettualistica dell’“atto”, ne vide l'impotenza ad autodeterminarsi; questo, che a Gentile apparve un limite, è per l’a. un pregio della posizione di S., il quale sembra offrirci una confutazione anticipata dell’attualismo). 2585 274. P. ZAMBELLI, Tradizione nazionale italiana e sovranità etica razionale nel’ideologia degli hegeliani di Napoli, in Problemi dell’unità d'Italia, atti del secondo convegno di studi gramsciani (19-21 marzo 1960), Roma 1962, pp. 521-572. Contiene una minuziosa analisi e ricostruzione — con ricchi riferimenti bibliografici - del pensiero etico-politico di S.: dai primi documenti (Pensieri sull’insegnamento della filosofia [2]; l’a. tocca con la dovuta cautela la questione della collaborazione di S. al “Nazionale” del fratello Silvio) ai Principi di elica [97]. La posizione di S. appare all’a. assai “avanzata”, pur nei limiti suggeriti dalla lettura delle pagine dedicate da Gramsci al Risorgimento italiano. Muovendo da una primitiva avversione al Cousin, e dai suggerimenti del fratello Silvio, S. sviluppò il disegno di una storiografia fortemente critica, ispirata da una corretta concezione del nesso che collega la filosofia con il processo storico (va riconosciuto, del resto, che “per la provincia filosofica italiana lo ‘storicismo’ hegeliano non trovò superatori fino al 1895 del primo saggio di Labriola”, p. 535); altrettanto progressive appaiono le vedute di S. sul problema della “nazionalità” della filosofia. Se è lecito riconoscere la disinvoltura “speculativa” dell'equazione: Gioberti = Hegel, assai più importante è individuare e ribadire il valore “pratico”, “efficace”, dell’operazione compiuta da S. (p. 556). Nella Libertà d'insegnamento [108] è disegnato il concetto della moralità autonoma dello stato, i. e. il concetto dello stato-guida, che prepara il momento della libertà, difendendo e promuovendo gli interessi dei cittadini (pp. 537 sg.); ci muoviamo qui su di un piano ben diverso da quello su cui Gentile affermerà il suo ideale dello “Stato forte” (cfr. p. 568: appare equivoca all’a. l'annessione 2586 di S. all’attualismo fascista; ai principi di S. si è potuto richiamare il gruppo liberale borghese più avanzato, rappresentato da Gobetti). L'analisi dei Principi di etica consente di concludere che nella prospettiva di S. “i problemi della tradizione nazionale e della autonomia razionale e etica dello stato vengono a convergere con un'impostazione che (se mantiene ovviamente il limite di classe di tutte le ideologie borghesi, che non prendono in considerazione le classi subalterne ed i loro specifici problemi, fittiziamente ridotti e dissolti nell'unità nazionale) pur rappresenta la raggiunta maturità della ideologia liberale in Italia; essa venne condivisa da tutto il gruppo d’opinione che faceva capo ai due Spaventa, a De Meis e a Francesco Fiorentino” (p. 563). Negli scritti della maturità non tornano più le rivendicazioni democratiche (l’appello alla “ragione”, che si identifica con la richiesta del suffragio universale e della gestione repubblicana dello stato) del 1850-51; ma resta e si afferma ancora l’idea dell’ “evoluzione progressiva delle costituzioni” (p. 567). S. Si muoverà certo entro prospettive “borghesi”, e nutrirà forse eccessiva fiducia negli “espedienti” costituzionali; ma vi sono, nel suo pensiero, spunti e riconoscimenti che meriteranno di passare negli scritti e nell’opera del suo allievo Labriola. Nello studio della Z. si dà notizia di una lettera inedita di S. a G. Del Re, del 12 ottobre 1850, che costituisce un altro documento relativo al progetto di traduzione del volume di L. Stein sul socialismo e il comunismo in Francia. 275. I CUBEDDU, Bertrando Spaventa pubblicista (giugno-dicermbre 1851), in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 46-65. Lo scritto presenta la ristampa dei testi ordinati in questa 2587 bibliografia con i nn. 5, 12, 14 [e cfr. n. 118]. L’autore rende note le ragioni che consentono di attribuirne la paternità allo S. (pp. 50 sg.); riproduce i titoli di altri articoli pubblicati sul “Progresso” di Torino e attribuibili anch'essi, ma con qualche dubbio residuo, al filosofo (pp. 52 sg., n. I); indica nello scritto di L. Stein Der Socialismus und Communismus des beutigen Frankreichs la fonte di alcuni articoli spaventiani (pp. 55 sgg.). L'autore conclude (pp. 62 sgg.) con una cauta valutazione di questi testi “democratici” di Spaventa, nei quali il filosofo esprime convinzioni successivamente attenuate o abbandonate. 276. S. LANDUCCI, Di un celebre paragone tra Rivolnione francese e filosofia classica tedesca, in “Belfagor”, XIII (1963), n. I, pp. 88-93. Analisi della formulazione spaventiana del nesso: Rivoluzione francese-pensiero tedesco (in Paolottismo, positivismo, razionalismo, 78), estesa dall’a. all'esame della presentazione del paragone nel discorso di De Meis Darwin e la scienza moderna. L’a. conclude per la derivazione da Heine (fonte anche del Carducci) del paragone spaventiano; e ne individua, attraverso le varianti introdotte da S., gli elementi di originalità. Si legge a p. 93 che S. — con De Meis — volle prospettare e sostenere un “idealismo filosofico” che è “il corrispettivo teoretico delle possibilità pratiche di razionalizzazione dcl mondo, di umanizzazione della realtà, potentemente messe in luce dalla Rivoluzione francese...”. 277. F. TESSITORE, Crisi e trasformazioni dello stato, Napoli 1963, pp. 259. Si veda in particolare, nel primo capitolo (I compiti dello 2588 stato), il quinto paragrafo (I/ significato dello stato per Silvio e Bertrando Spaventa, pp. 24-44), che contiene un raffronto delle posizioni di Silvio e di B. sul concetto dello stato libetale e sul problema delle garanzie costituzionali (e cfr., per B., un’osservazione di pp. 30 sg.: lo S. “trascurava, quasi subito, l'interesse generoso di Hegel, che pur a tratti lo attirava, per le manifestazioni ‘oggettive’ del diritto, della moralità, dell’ethos, e seguiva... la via meno certa, meno hegeliana: quella di formulazioni nell’intimo neogiusnaturalistiche, che ritrovano un’assonanza, certo non fortuita, con lo statalismo di Fichte”). 279.1. CUBEDDU, Berztrando Spaventa, Firenze 1964, pp. 306. Il libro si divide in quattro capitoli. Nei primi due (La nazione vivente, pp. 11-64; Ragione e libertà, pp. 65-118) sono studiati gli scritti spaventiani del 1850-56, dal programma degli Studi sopra la filosofia di Hegel [41] e dei Pensieri sull'insegnamento della filosofia [21], al frammento sulla riforma filosofica, politica e religiosa nel XVI secolo [30]; attraverso gli articoli pubblicati sul “Progresso” nel 1851 (è ripreso qui, pp. 70 sgg., il tema del rapporto S.- Stein), le polemiche con la “Civiltà cattolica”, gli scritti sulla libertà di insegnamento, i saggi su Bruno e Campanella. Un riepilogo (pp. 110-118) di questa prima parte discute l “ampiezza e la struttura specifica... della problematica nella quale si compongono e prendono rilievo gli interessi più vivi del filosofo”, in quegli anni; si allarga “alla considerazione del rapporto di Spaventa a Hegel e agli hegeliani, del significato che è possibile attribuire agli studi sul Rinascimento, e all’atteggiamento genericamente negativo nei confronti dei filosofi italiani contemporanei”; e si 2589 conclude “con qualche osservazione sugli orientamenti pratici e politici del giovane filosofo” (p. 110). Quanto al primo punto, l’a. indica in che senso e entro quali limiti le prime riflessioni e polemiche di S. presentino “uno sviluppo affine alle grandi linee della polemica di Hegel contro Schelling, contro l’empirismo e contro le filosofie della riflessione in genere” (p. 111). Nei saggi sul Rinascimento, viene messo in rilievo un “duplice orientamento” del filosofo, il quale, per un verso, tenta di rielaborare in modo autonomo i temi speculativi individuati in Bruno e Campanella, per un altro verso impegna quegli autori in un confronto esplicito con gli sviluppi dell’idealismo tedesco; con risultati non del tutto convincenti, o non ancora convincenti, prima che S. abbia raccolto i frutti degli studi su Spinoza e Jacobi, e della nuova lettura di Gioberti. I lavori sui Rinascimento vanno ricondotti tuttavia alla “più estesa prospettiva nella quale si inquadrano le esigenze e le convinzioni etico-politiche del giovane Spaventa”, che tenta di cogliere e di elaborare i primi germi di una concezione “organica” della società, nella quale sia dato finalmente “al’uomo di conciliare la propria individualità, la soggettività dei suoi impulsi e dei suoi bisogni, con la necessità della legge” (pp. 115 sg.). In quella prospettiva appaiono all’a. semplicemente riaccostati elementi attinti da diverse matrici (come per es. la critica di Rousseau, che coesiste con la piena affermazione della sovranità popolare). All’a. non sembra dubbio, tuttavia, che le formulazioni di S. “non costituiscono né vogliono costituire un vero e proprio programma politico chiaramente e concretamente articolato, e quindi valutabile e criticabile in quanto tale. Il quadro .... programmatico ... di quelle dichiarazioni va trasposto e interpretato su quello stesso terreno sul quale fermentano i propositi di una rigenerazione morale e intellettuale del 2590 popolo, che deve attuarsi attraverso una totale rivoluzione filosofica” (p. 117). Se è possibile ascrivere alla concezione di S. un limite, “che deriva dal carattere parziale della prospettiva in cui si muove il filosofo”, non sarebbe giustificato “svalutare i contributi particolari che Spaventa ha voluto apportare nella discussione di problemi concreti e attuali, come è risultato dall'esame delle polemiche sostenute in questi anni dalle colonne dei periodici piemontesi” (pp. 117 sg.). Il terzo capitolo (Fede e sapere, pp. 119-186) esamina gli scritti spaventiani dcl 1856-59. Tra i lavori studiati in queste pagine vanno segnalati, oltre ai primi saggi su Bruno e Spinoza, l'importante articolo su La filosofia di Kant e la sua relazione con la filosofia italiana, del 1856-60 [66], un manoscritto inedito di 66 pagine intitolato a Jacobi e qui datato: 1856-57 (per l’analisi dell’inedito, v. pp. 151 sgg.), e la cosiddetta “parentesi” del 1858, pubblicata da F. Alderisio nel 1933 [113] e qui discussa alle pp. 167 sgg. L’ultimo capitolo (La metafisica perplessa, pp. 187 sgg.) è dedicato all'esame delle prime lezioni napoletane e della Filosofia di Gioberti. [69], il “capolavoro” di S., minuziosamente ricostruito dall’a. (pp. 197-236); segue un ampio paragrafo dedicato agli scritti sulla logica e sull’etica di Hegel (pp. 236-274); le pp. 274-289 sono dedicate a Esperienza e metafisica [94], e agli scritti sulla psicologia empirica. Un riepilogo (pp. 290 sgg.), che discute tra l’altro lo scritto del 1881: Kart e l’empirismo [88], chiude anche questa seconda parte del lavoro. Per una presentazione sintetica delle conclusioni, si vedano le pp. 290-291: “Se volessimo indicare in breve, trasponendo queste considerazioni sul piano di un bilancio complessivo, quale sia il limite che ci sembra risultare dall’analisi della produzione scientifica di Spaventa, dopo il 1860, dovremmo 2591 parlare di una riflessione critica che ha spunti e accenti fortemente originali, che abbiamo visto maturarsi sul terreno di una sostanziale armonia con gli interessi e con le esigenze espresse nel programma del 1850, ma che non è riuscita a tradursi — e a placarsi — nella elaborazione di una dottrina altrettanto autonoma e originale. Nel corso dell’ultimo capitolo abbiamo sottolineato di volta in volta quali siano le oscillazioni, le suggestioni, e soprattutto le esitazioni che è legittimo porre in rilievo attraverso la lettura delle opere più fortunate ed anche più mature di Spaventa. La considerazione non ci dispensa dal compito di giustificare, almeno in forma sintetica, il titolo che abbiamo voluto dare all’ultima parte di questo lavoro. In esso si esprime la convinzione che l’interpretazione di Spaventa data da Gentile sia sostanzialmente aderente ai motivi fondamentali e alle esigenze autentiche del pensiero del maestro. Accentuando il tema della perplessità, abbiamo inteso indicare quali e quanti tributi il filosofo ha voluto pagare all’enciclopedia hegeliana, pur continuando a prospettarsi la necessità di prolungarne e di rielaborarne, in forma originale, i risultati e l'insegnamento. Non ci è sembrato proficuo ricercare minuziosamente quali fraintendimenti si frappongano fra l’analisi di Spaventa e il testo di Hegel. L’adesione del filosofo al programma della prefazione alla Ferorzenologia e, più in generale, alle pagine nelle quali Hegel sviluppa con maggiore asprezza la sua critica dei filosofi contemporanei, avrebbe dovuto consentire al maestro — tale era l'intenzione di Spaventa — la ricostruzione della vera ‘enciclopedia giobettiana. Ma il filosofo, a nostro avviso, si è dimostrato consapevole, e fin nelle sue ultime pagine, che questo programma non era giunto al suo perfetto compimento”. I risultati ultimi della ricerca sono resi anche più espliciti nella prefazione (pp. 5- 2392 6): “il proposito di ricondurre a unità l'insieme dei motivi che si innestano nella speculazione di Spaventa, di ricostruirne la fisionomia complessiva e di riprodurne la problematica in un linguaggio non troppo distante dalla nostra sensibilità, riesce a raggiungere il proprio scopo — è una conclusione certamente non nuova, della quale intendiamo tuttavia assumerci la nostra parte di responsabilità — soltanto accogliendo la critica spaventiana di Gioberti come l’unico strumento che ci consenta di penetrare agevolmente il senso riposto fin nelle pagine più disperse e frammentarie del filosofo, e più lontane, fra loro, nel tempo, dai primi scritti torinesi del 1850 alle ultime polemiche contro il positivismo. Svuotata dei toni e degli accenti ormai estranei al nostro gusto e ai nostri interessi, liberata dalle incrostazioni che costituiscono l’inevitabile residuo nella produzione di un autore dotato di una personalità per molti versi fortemente recettiva, la critica di Spaventa, largamente imperniata sulla polemica con il giobertismo, è in grado di restituirci l’esatta misura dello hegelismo di cui si nutrì il filosofo; il quale seppe mostrarsi hegeliano, per quel tanto che riuscì a tenere insieme le innegabili doti e tentazioni sistematiche con una polemica aderente al “carattere” e allo “sviluppo” proprio del pensiero moderno, italiano e europeo. Questo convincimento implica che si ritenga ancora esatto e accettabile, nelle sue linee essenziali, il giudizio che sull’opera di Spaventa volle dare Giovanni Gentile; il che non significa, ovviamente, accogliere anche le conclusioni teoriche dell’attualismo, ma, più semplicemente, attribuire a Spaventa il merito o la responsabilità di aver avviato — tra incertezze e perplessità che sono pure messe in luce in queste pagine — un’interpretazione di Hegel alla cui storia il suo nome ci appare tuttora indissolubilmente legato”. 2593 279. G. DE CRESCENZO, La fortuna di Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d’Italia, Brescia 1964, pp. 569. Cfr. n. 147. 280. A. GUZZO, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova 1964, pp. 203. Cfr. n. 251. 281. S. LANDUCCI, Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano 1964, pp. 512. Cfr. n. 287. 282. S. LANDUCCI, Il giovane Spaventa fra hegelismo e socialismo, in “Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli”, VI (1963), Milano 1964, pp. 647-707. Il titolo non vuole indicare un’incertezza o un’oscillazione che sia da addebitare al giovane S. democratico, collaboratore del “Progresso” e autore degli Studi sopra la filosofia di Hegel. La ristampa degli articoli su La rivoluzione e l’Italia e Le utopie [118], scritti negli stessi mesi in cui il filosofo combatteva dalle colonne del giornale torinese la sua polemica sulla libertà d’insegnamento, offre ormai — secondo L. — il materiale necessario per ricostruire nella sua intera e coerente fisionomia un momento ben preciso della biografia di S.; quel momento in cui si intrecciano, sostenendosi e confermandosi a vicenda, un hegelismo “assai preciso e articolato” (anche se “‘interpretato’ o fortemente sollecitato”, p. 661) e una autentica fede 2594 democratica e repubblicana, traducibile in termini di “démocratie sociale, alla francese” (p. 657); per cui gli scritti spaventiani del 1851 vanno a collocarsi “accanto alle opere dei repubblicani non mazziniani fiorite in questi stessi anni e caratterizzate dal continuo riferimento alle vicende francesi” (p. 658). Sullo stesso terreno in cui si incontrano hegelismo, democrazia e socialismo, fermentano i propositi di rigenerazione civile e intellettuale della società italiana, che caratterizzano il primo “programma” di S.; alle discussioni di questo tema L. contribuisce anche ripubblicando un “annuncio” della traduzione spaventiana di Stein [120], rimasto finora ignoto. L’ampio saggio di L. offre al lettore, in sessanta pagine, tante analisi, riflessioni, suggerimenti, non riproducibili qui nei particolari. In generale, il discorso è sviluppato con la preoccupazione di aderire alle varie utilizzazioni — da parte di S. — delle due fonti, Hegel e Stein, nella specifica situazione politica e culturale di quegli anni; sicché il rilievo di residue “astrattezze” non nasce da un impianto già “ideologico” della lettura (cfr. p. es. p. 663: “tutte le rappresentazioni dell’hegelismo italiano che partono da pregiudiziali equazioni ‘ideologiche’ (hegelismo = speculazione, o hegelismo = conservatorismo, ecc.), talvolta non distinguendo sufficientemente neppure tra Hegel e i vari ‘hegeliani’, non possono che fallire il bersaglio”). Nelle prime pagine del saggio, L. difende le convinzioni democratiche e repubblicane di S. (anche contro le riserve di altri interpreti [cfr. n. 275], p. 655; e v. ancora, per questi dissensi interpretativi, pp. 661, 673, 704), accettando la derivazione steiniana degli articoli sul “Progresso” (p. 649), ma rivendicando l’autonomia della lettura spaventiana in molti punti (v. pp. 650, 660, 671, 682). Nel democratismo di S. cè un’ “indubbia precarietà”; c'è una “astrattezza 2595 teorica” nella posizione del filosofo che, dopo il 1851, comincia a orientarsi verso un atteggiamento da ultimo conservatore-autoritario. Gioverà tener presenti i due aspetti dell'ideologia di S. (e di molti hegeliani, con lui): l’aspetto, appunto, “conservatore” dello “stato etico”, e quello “giacobineggiante e antidottrinario”, che ha la sue radici nelle polemiche torinesi del 1850-51, e che continuerà ad operare anche dopo il 1860 (pp. 656 sg.). Ma c'è, poi, “astrattezza” e “astrattezza”; c’è il socialismo “escatologico” e “universalistico” di La rivoluzione e Le utopie, c'è il più corposo antidottrinarismo della polemica sulla libertà d'insegnamento, in cui la prospettiva escatologica, a contatto con problemi attuali e reali, si precisa come “tentativo di sollecitare da sinistra un’evoluzione in senso più democratico della politica del Regno sardo” (pp. 681 sg.: e cfr. p. 695). Gli articoli sul socialismo hanno certo un “carattere tutto teorico, ideologico’: “la formula democraticorepubblicana del popolo oppresso” non coglie gli effetti specifici del “meccanismo del profitto industriale” (p. 671); ma da Stein S. mostra di ricavare anche indicazioni sul rapporto tra das Gesellschaftliche e das Wirtschaftliche (ivi; cfr. p. 649). Nella ricerca delle dimensioni reali, storiche, che strutturano gli orientamenti del giovane S., acquistano allora particolare rilievo, per il L., le prime battaglie del filosofo: la sua critica della religione (pp. 652 sgg.; e cfr. p. 654, sull’uso “non speculativo” della dialettica hegeliana dello spirito assoluto), gli scritti sul problema della libertà d’insegnamento (contro le tesi del “Risorgimento”, organo dei cavouriani), e la polemica contro la “Civiltà cattolica”, e contro la critica cattolico-reazionaria dell’hegelismo (matrice del socialismo, del comunismo ecc.; v. soprattutto le pp. 663 sgg.). Se si tiene presente il contesto storico (anche sotto il profilo della diffusione delle idee) da cui emergono questi 2596 primi scritti di S., sarà possibile trovare una collocazione reale per il socialismo “astratto” del loro autore; la prospettiva “escatologica”, espressa in termini “ideologici”, “speculativi”, non si traduce mai in mera esercitazione “retorica”: sicché non sarebbe giusto sommergere le formulazioni spaventiane sotto il peso dell’Ideologia tedesca (cfr. pp. 651, 658, 680), né sarebbe esatto, neppure filologicamente, rintracciarne i limiti nel peso esercitato dagli schemi di una filosofia della storia già distorta in senso speculativo. Giacché l’hegelismo del primo S. è tutt’altro che “accademico”; il rapporto filosofia hegeliana- democrazia francese si costruisce, in S., attraverso il richiamo alle pagine più “progressive” di Hegel (e alle pagine della Filosofia della storia, prima ancora che a quelle della Filosofia del diritto): si vedano i rilievi di L. a proposito della concezione della libertà come libertà “categoriale”, dell’ “assunzione estremamente seria, e praticizzata, dei concetti hegeliani di Fresbeitsbewusstsein e di freie Personlichkeit”, della giustificazione delle rivoluzioni in base allo “scarto” tra “ragione” e “esistente”, tra la realtà e le (nuove) idee, tra la realtà e gli istituti giuridico-politici ormai superati (pp. 660-663). Nella critica spaventiana di Rousseau — sviata, in certa misura, dagli equivoci giudizi di Hegel — va dato rilievo all’ “intenzione giacobina, contro i criteri formalistici di rispetto delle forme liberaldemocratiche” (p. 672 sg.). Nella critica degli appelli alla natura va letto il rifiuto di quella “tipica commistione del naturalismo biblico teologico con il naturalismo ideologico della moderna economia politica” che è prospettata nel Rirzovamento di Gioberti (p. 675). “In queste prese di posizioni, non si ha se non un’accentuazione estremamente progressiva della concezione hegeliana della storia: è del tutto superata l’identità settecentesca di ratura e 2597 ragione; tra i due termini è istituita una scissione radicale, e quella razionalità reale che domina nella storia universale è considerata foto coelo diversa e opposta alla immediata natura. Questo è il grande acquisto intellettuale ormai raggiunto dallo Spaventa” (ivi). È l'acquisto “vichiano” e “hegeliano” di S., la scoperta del “lato attivo” dell’uomo, nel suo rapporto con la natura; scoperta celebrata da Marx, e da Labriola (p. 676). Tutto questo implica l'abbandono del naturalismo illuministico, in una prospettiva ancora illuministica “se per ‘illuminismo’ si vuoi semplicemente intendere, categorizzando il termine, il particolare radicalismo di una critica razionalistica dell’esistente storico” (p. 677). In che senso le pagine di Hegel riescano a confortare questo orientamento di S. — che si sostiene, tra l’altro, in base a numerosi richiami a Kant, e al Kant della Critica della ragione pratica —, L . lo ricava da un’analisi (pp. 683-693) dell’articolo su Schelling, del 1854, qui largamente riprodotto [22]. Nel necrologio di Schelling vengono alla luce le “origini” della riflessione di S., “l’ispirazione rivoluzionaria, ‘francese’, l'ispirazione della Filosofia della storia... [e la]... polemica contro l’intuizionismo irrazionalistico, la rivendicazione della ragione e delle determinatezze in contrasto col formalismo insieme intellettualistico e mistico’ (i. e. l'ispirazione della Prefazione alla Fenomenologia): i due temi (pp. 690 sg.) che strutturano gli Studi sopra la filosofia di Hegel e che rappresentano i due aspetti di una stessa polemica, contro Gioberti (pp. 692 sg.; alle pp. 687 sg. v. anche alcune osservazioni sulle radici del parallelo Rivoluzione francese — filosofia tedesca in S., per il quale cfr. n. 276). Nell’ultima parte del saggio (pp. 693 sgg.) L. riproduce e commenta l’ “annuncio” della traduzione di Stein, da lui 2598 scoperto [cfr. n. 120]; un testo più “moderato” degli articoli del ‘51, ma che interviene anch’esso a confermare il quadro delle “origini” del pensiero di S.: le — prime — fonti hegeliane (Feromenologia e Filosofia della storia) confluiscono in una Weltgeschichte, la cui prospettiva universalistica appare anche come il riflesso del riconosciuto “carattere internazionale dei fenomeni economici e dei problemi sociali in età moderna” (p. 698). A p. 696 si legge questa osservazione: “In certo senso si potrebbe dire che la lettura dello Stein tenne il luogo, per Spaventa, di quegli studi degli economisti moderni che lo Hegel aveva compiuto in gioventù e dei quali il nostro autore poteva avere qualche sentore solo attraverso la biografia del Rosenkranz”. Ora L. conclude: “Così, attraverso questa presentazione [scil. l’ “annuncio” del 1850], l'interesse di Spaventa per lo Stein appare tutt'altro che estemporaneo nella biografia intellettuale del filosofo: in qualche modo parallelo a quello per Hegel. Da un lato una traduzione dal francese, dall’altro una traduzione dal tedesco; ma traduzioni che volevano essere interpretazioni, non ‘calchi’. Non provincialismo, ma neppure vacuo cosmopolitismo...” (p. 699). Dunque queste “origini” forniscono indicazioni concrete anche rispetto agli sviluppi posteriori del programma degli Stud:: alla teoria della “circolazione” e alle tesi sulla “nazionalità” della filosofia. Resta il problema del passaggio di S. (e degli altri hegeliani) dal democratismo avanzato degli inizi al più tardo conservatorismo, “certo illuminato ma anche assai chiuso e non di rado arcigno” (p. 703). Lo studio di L. si chiude con un richiamo alle indicazioni di Gramsci sulle ragioni di “classe” che determinarono l'assorbimento nelle file dei moderati di quegli intellettuali democratici. 283. G. OLDRINI, Gt begeliani di Napoli. Augusto 2399 Vera e la corrente ortodossa, Milano 1964, pp. 299. La figura di Augusto Vera merita “la più attenta considerazione e il più attento esame” per “la complessa natura delle intersezioni della sua filosofia con i problemi della società contemporanea lungo tutto l’arco del Risorgimento europeo, in paesi chiave (Francia, Inghilterra, Italia) e in nodi storici culminanti (il 1848, l’unificazione italiana, la Comune, i prodromi dell’imperialismo)” (p. 13). L'impostazione e il metodo della ricerca, che tiene conto del vario e complesso intreccio di prospettive filosofiche e atteggiamenti pratici, sotto la spinta degli eventi via via maturati nella storia italiana e europea, consentono di offrire allo studioso di S. (e della sua scuola) nuove prospettive: in primo luogo, la presentazione del rapporto S.-Vera (del rapporto tra idealismo “critico” e idealismo “ortodosso”) al di fuori dello schema tradizionale, che oppone i due filosofi come rappresentanti di due diversi orientamenti speculativi, in ultima analisi come due diverse “personalità” filosofiche. Interessa lo studioso di S. e della scuola spaventiana soprattutto il secondo capitolo della parte seconda, intitolato: Le lotte filosofiche interne del circolo di Napoli, pp. 164-239. L’unità apparente (e necessariamente apparente, se si bada alle diverse “radici della formazione hegeliana di Vera”, che “non sono le stesse di quelle del gruppo spaventiano dei fuorusciti”, p. 168; ma su questo punto, si veda tutta la prima parte del lavoro, dedicata alla “genesi dell’hegelismo napoletano”, alla “formazione filosofica” e alla “svolta hegeliana” di Vera) che caratterizza il “fronte hegeliano” di Napoli fino al 1863-64, comincia a incrinarsi visibilmente nei primi scontri tra “ortodossi” e “critici” sul problema della nazionalità della filosofia (pp. 167-171); la portata e le ragioni del dissidio che 2600 contrappone l’uno all’altro i due orientamenti si rendono più esplicite attraverso l’analisi delle divergenze rilevabili nella presa di posizione di S. e di Vera sulla questione del rapporto fenomenologia-logica (pp. 172-180; cfr. pp. 177 sg.: dal momento che S. nella fenomenologia “non sottolinea come Vera — o non sottolinea accentuatamente come V era — il momento della denegazione del processo di elevazione della coscienza a scienza in favore dello sbocco nel ‘sapere assoluto’, può anche mantenere nei confronti della riforma ‘auspicata da Trendelenburg un atteggiamento molto più elastico e libero... può... scorgere nel ‘movimento’ assunto come ‘primo’ ... il lato realmente attivo, positivo, che lo assimila al ‘pensiero’, poiché anche il pensiero, in se stesso, è movimento: movimento logico”). Il contrasto tra le due scuole si approfondisce sotto la spinta di nuove tendenze (naturalismo, positivismo...) che si impongono come riflesso del “progresso impetuoso dell’attività pratica” (p. 181), e che contribuiscono alla formazione di una “terza scuola” (Siciliani; Fiorentino, Tocco, poi Masci; ecc.), ancora in qualche modo controllata o almeno ispirata da S.; la nuova scuola si presenta come “fronte unico” contro l’ortodossia, e costringe gli ortodossi ad arroccarsi “in una strenua difesa a qualunque costo della filosofia della natura di Hegel” (p. 194). La paura del positivismo e del materialismo spinge sempre più decisamente Vera sulla strada che sbocca nella presentazione della scienza e della metafisica “come rigidi estremi contrapposti” (p. 197). Ma se il destino di Vera e degli ortodossi si consuma, attraverso il progressivo “isolamento” del gruppo, nella totale autodissoluzione della dottrina (pp. 228-239), il profilarsi di una “sinistra materialista” come espressione di una spinta popolare sempre più minacciosa e temuta blocca gli intellettuali borghesi meridionali più avanzati su posizioni di difesa. Per 2601 l’analisi del fenomeno, allargata all’individuazione dei suoi fattori economici e politici, si vedano le pp. 201-215. “Gli intellettuali borghesi meridionali si stabilizzano sulle proprie posizioni egemoniche di classe, cessano di rappresentare, sia nei confronti dell'evoluzione sociale del paese, sia nei confronti della classe borghese in generale, una forza viva, attiva, storicamente progressiva, e preoccupati più di non cedere terreno, di non farsi soverchiare dalla pressione popolare in crescita, che di promuovere una spinta in avanti, perdono in capacità di iniziativa, organizzazione, penetrazione” (p. 207). Matura così la formazione di una “nuova destra” (Maturi, Jaja) nel circolo di Napoli. “Come le pericolose oscillazioni della struttura quanto mai instabile della società spingono la borghesia a puntare sulla dissoluzione dei vecchi partiti politici, così altrettanto, in filosofia, la vecchia destra ‘ortodossa’ e la vecchia sinistra ‘critica’sono travolte e dissolte dal movimento della nuova generazione intellettuale; e come gli ideologi borghesi giustificano l’operazione dell’ ‘endosmosi istorica” e del ‘trasformismo’ col pretesto di sbarrare la via alla marea montante del proletariato e di salvare in questo modo il patrimonio di libertà e di civiltà faticosamente acquistato nei lunghi anni delle lotte risorgimentali, così col pretesto di salvare tutt’intera l'eredità culturale dei vecchi maestri del circolo, di Vera e di Spaventa, la tendenza trasformistica del tardo idealismo filosofico napoletano giustifica il rilancio del loro insegnamento in guisa volutamente così truccata... da presentarne l’apporto in sostanza come identico, come due facce della stessa medaglia” (pp. 215 sg.). Ma né Spaventa né De Sanctis appaiono travolti in questo processo involutivo: si vedano le pagine dedicate al loro “tentativo di un superamento ‘critico’ interno dello hegelismo” (pp. 220- 225), seguite da un paragrafo sulla “eredità spaventiana di 2602 Antonio Labriola” (pp. 225-227). Riprendendo, tra l’altro, la proposta di G. Berti [cfr. n. 255], l’a. scrive: “Contro la chiusura filosofica della ‘nuova destra’, contro l’involuzione trasformistica, in politica, della Sinistra storica, De Sanctis e Spaventa attuano in filosofia e in politica, per quanto riescono, rimedi lungo un arco che va, politicamente, dalla fondazione di una ‘giovane sinistra’ costituzionale... alla lotta per la moralizzazione e la riforma dello ‘spirito di consorteria prevalente nell’andazzo di una politica governativa che alimenta discriminazioni e privilegi in favore delle classi agiate, e a una linea programmatica di rinnovamento profondamente democratico del paese, di ricambio dei quadri dirigenti, di irradiazione e diffusione della libertà, della civiltà, della cultura, di una moderna concezione laica del mondo; e che ha d’altra parte il suo correlativo, sul piano delle idee, in un forte movimento di pressione per una svolta anche filosofica a sinistra, inaugurata proprio dal tentativo di Spaventa e De Sanctis di un superamento ‘critico’ interno dello hegelistno, che in loro avviene, come si è detto, nella stessa direzione: dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un assorbimento della metafisica nella ‘filosofia del reale’”” (pp. 22330.) Oltre ai rimanenti, numerosi richiami a S., si veda, a p. 250, il testo di una lettera inedita di Vera a S. sul rapporto di politica e religione, lettera che è l’“unico documento epistolare che ci resta” dei rapporti tra i due filosofi. Di G. Oldrini v. anche La crisi della cultura filosofica napoletana sul declino dell'Ottocento, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXI (1966), pp.141-177, 264-284. 284. B. WIDMAR, Antonio Labriola, Napoli 1964, pp. 2603 561. Viene citato qui soprattutto per il primo capitolo (pp. 393-441) della seconda parte, dedicata a Labriola e i suoi critici; il capitolo presenta un’ampia rassegna di studi, fra i quali il saggio di Berti del 1954 [255], lo scritto di Togliatti dello stesso anno [258], gli articoli di A. Plebe del 1953-54 [252], la Ripresa spaventiana di F. Alderisio [259], gli Sviluppi dell’hegelismo di M. Rossi [265], ecc. Per i rapporti S.-Labriola vedi anche il primo capitolo della parte prima (La giovinezza di A. Labriola, pp. 9-81). L’a. tende ad attenuare il nesso S.-Labriola, rifiutando la tesi proposta da G. Berti (per il rilievo dei limiti della posizione di S., cfr. anche l’introduzione di W. All’edizione de La filosofia italiana, da lui curata [cfr. n. 99], pp. 5-19). 285. D. D'ORSI, Uxa scoperta di notevole importanza; il testo inedito della “Fenomenologia” di Bertrando Spaventa, in “Sophia”, XXXIII (1965), n. 1-2, pp. 138-147. Ctr.fa- 123; 286. E. GARIN, Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico, introduzione a A. LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, Bari, 1965, p. VII- LXV. Cfr. n. 290. 287. S. LANDUCCI, L’hegelismo in Italia nell’età del Risorgimento, in “Studi storici”, VI (1965), pp. 597-628. Alcuni temi già individuati in precedenti analisi [cfr. n. 2604 276, 282] sono ripresi qui e riproposti nel più ampio disegno di “un problema autentico nostro, di noi italiani” (p. 597, n.): un problema di “tradizione”, nei confronti di quell’hegelismo che “non è stato solo un movimento accademico, di professori, ma è stato un elemento della vita civile della nazione nel momento culminante del suo Risorgimento” (p. 615). C'è una duplice “eredità teorica” dello S. La scoperta della dimensione “pratica” dell’autocoscienza, nella rielaborazione della Ferorzenologia (pp. 605 sg.); la rivalutazione del “positivo umano” (pp. 607 sgg.); la reinterpretazione della logica hegeliana nei termini di una metodologia imperniata sulla “definizione genetica” e il disegno di una antropologia filosofica, non naturalistica (p. 610): questa è l'eredità ripresa da A. Labriola. C’è anche l'eredità dell’ultimo S., raccolta da Jaja e da Gentile: la “rivendicazione dell’apriori gnoseologico”, che mette capo a “una forma di umanismo spiritualistico” (p. 611); l’ultimo S. lavora alla “conservazione del sistema [hegeliano]... con modificazioni al suo interno” (p. 614; sul “riformismo” di S. in sede di logica, cfr. pp. 603 sg., e relativa nota). Più complesso appare il discorso sullo S. politico. Per lui (come per De Sanctis, De Meis, ecc.) si “fanno subito avanti problemi di sviluppo ideologico legati allo sviluppo politico del nostro paese”; problemi che non si risolvono registrando -— semplicemente — la “conversione” di alcuni intellettuali democratici a posizioni di moderatismo variamente colorato, o rubricando, per S., le polemiche contro la “Civiltà cattolica” e le riflessioni sul rapporto stato-chiesa sotto la voce: “anticlericalismo” di moda (pp. 614, 627). Dal 1848 l’hegelismo italiano acquistò un vigore “civile” che non andò perduto dopo il 1860. “Se nacque in provincia e finì poi come fenomeno ‘europeo’, nel suo momento di maggior vigore l’hegelismo italiano fu altro: un fatto nazionale — 2605 come interpretazione della rivoluzione ‘nazionale’ che s'andava compiendo e sollecitazione per uno sviluppo moderno, avanzato, di essa; e come teoria, in una parola, della connotazione eminentemente politica che avrebbe dovuto assumere il concetto di nazionalità” (p. 616). Riaffiorano ora nel discorso di L. temi già emersi nello scritto sul giovane S. [282]: l’appello alla Filosofia della storia, il motivo hegeliano-illuministico della ragione che “rovescia l'esistente”, il superamento del cosmopolitismo astratto (Vera) e del cosmopolitismo reazionario, controriformistico (Gioberti), nelle prime lezioni napoletane. Nella teoria della “circolazione”, al di là degli schemi e delle forzature, va letto “l’avvertimento di un problema reale, e di un grande problema, anzi la prima esatta presa di coscienza di esso in senso critico, il problema stesso al quale si ritroverà di fronte anche il Labriola in rapporto al materialismo storico”: il problema della tradizione nazionale. “Che l’hegelismo di Spaventa non sia stato solo teoria della rivoluzione nazionale, ma anche, in connessione, posizione del problema stesso della ‘tradizione nazionale’, comporta di nuovo ch’esso non risulta chiuso nella sua epoca storica, bensì lascia un’altra eredità che attraverso una linea precisa torna a giungere a noi. Inoltre, della concreta ricostruzione spaventiana rimangono indicazioni non più smentite: Bruno, Campanella, Vico” (p. 620). E restano la battaglia contro il giobertismo, contro l’ “abito retorico” e la “mentalità retrograda” dei secoli bui, resta la rivendicazione dell’Italia del “libero pensiero” contro l’Italia “dei carnefici e degli oscurantisti” (p. 621). Le ultime pagine (622 sgg.) ribadiscono il “carattere accentuatamente radicale” che l’hegelismo di S. seppe mantenere anche negli ultimi scritti dedicati alla discussione di questioni etico-politiche; i motivi ispiratori del “giovane” 2606 S. continuarono ad operare nella difesa dello stato laico, che trae “la sua legalità dalla sovranità popolare anziché dal diritto storico o da consacrazioni superiori”, e nella delineazione di un “ethos nuovo” (p. 627 sg.). Questa è l'eredità che rimane, malgrado le formulazioni “ideologiche” di cui pur appare rivestita; “se una memoria tragica si è storicamente interposta fra noi e la formula dello ‘stato etico’, ben di qui si impone di riattingere nella sua genuinità il contenuto di quell’eticità reale che allora rivendicarono, quando si costruiva una realtà nuova, i nostri hegeliani” (p. 628). Dello stesso autore va segnalato anche il volume: Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano 1964, pp. 512. Il nome di S. è avvicinato più volte a quello del De Sanctis, per indicare i numerosi punti di contatto tra i due autori, sul piano di un comune impegno culturale sviluppato in una direzione “nazionale” e non astrattamente intellettualistica o anacronisticamente cosmopolitica, con. la piena consapevolezza del compito “politico-pedagogico” che spetta al lavoro degli intellettuali. 288. F. ALDERISIO, Ur articolo inedito di B. Spaventa circa l’unità organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenga di questa con la filosofia di Spinga, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLV (1966), pp. 218-225. Cfr. n. 124. 289. D. D’ORSI, prefazione a B. S., Scritti inediti e rari (1840-1880), Padova 1966, pp. IX-XVI. Cfr. n. 123. 2607 290. E. GARIN, Storia della filosofia italiana, 3 voll., Torino 1966, pp. XIV-495, VII+496-954, VII+955-1383. Da vedere l’ “avvertenza” del 1966, per il raffronto tra questa edizione e la precedente [cfr. n. 244]. La seconda edizione presenta integrazioni e correzioni soprattutto nell’apparato delle note, “trasformato in un inizio di bibliografia essenziale ma sistematica”, che rende conto di nuove e mutate prospettive storico-critiche. Le pagine che riguardano direttamente S. appaiono sostanzialmente identiche nelle due edizioni. Si vedano, dell’introduzione del 1966 (vol. I), soprattutto le pp. 10-14 (= 1947, vol. I, pp. 7-10), dedicate alle tesi delle prime lezioni napoletane di S. (con qualche riserva sulla storiografia spaventiana “fatta di precorrimenti”, ma anche col riconoscimento della sua fecondità), nel corso di una rassegna delle diverse interpretazioni e valutazioni della tradizione filosofica italiana nella storiografia illuministica e risorgimentale, fino a Croce e Gentile e agli storici più recenti (su S., cfr. ancora pp. 22-24). Nel capitolo sugli hegeliani italiani, a S. sono dedicate dieci pagine (vol. III, pp. 1229-1238 = 1947, vol. II, pp. 627-636). L’itinerario di S. si snoda, secondo G., senza fratture lungo una linea la cui coerenza risulta soprattutto se si tengono presenti il programma di rinnovamento culturale e i bersagli polemici del maestro; le pagine sulla nazionalità, la tesi della “circolazione”, la ricerca di un hegclismo “autonomo” (S. “intendeva ascendere alla sua logica attraverso una sv4 fenomenologia”) si accordano bene con le ultime indagini sul “valore dell’esperienza”, rivalutata appieno in nome di un “assoluto umanismo”, che è “rigida aderenza all'attualità spirituale nella sua storica concretezza”. Un “epilogo” (rinascita e tramonto dell’idealismo, vol. II, 2608 pp. 1261 sgg.) aggiunto nella edizione del 1966, indica già nel titolo il taglio con cui è condotto il discorso sulla filosofia italiana del Novecento. Si conclude accennando a una “problematica nuova”, ispirata alla lezione di Gramsci; e si apre con un richiamo alle reali, autentiche esigenze di S., filosofo “della rivoluzione” negli anni giovanili, aperto più tardi a una problematica ‘positiva’, anche se antipositivistica, mai chiuso entro “limiti provinciali”; interprete, sì, di Galluppi, Rosmini e Gioberti, teorico certo della “circolazione”, ma “sotto la doppia urgenza di un processo politico in atto, e di una presa di posizione polemica all’interno di quel processo politico medesimo”. La figura di S. appare nella sua giusta luce, più che nelle interpretazioni “speculative” dei suoi scritti, nella lettura attenta delle sue pagine polemiche, contro la tradizione platonizzante della filosofia italiana, contro il “rinnovamento” del Mamiani; si disegna chiara nella «più sfumata discussione del positivismo: una discussione, questa, ben consapevole dell’importanza dell’avversario”. Qui, S. si incontra con De Sanctis (vol. III, pp. 1262-1264). Questa insistenza sull’umanismo di S., sul carattere “positivo”, “critico” del suo filosofare; questa nuova presentazione del parallelo S.-De Sanctis (e del rapporto S.- Labriola), rimandano alla lettura di altre pagine di G. Intanto, al primo capitolo delle Cronache di filosofia italiana (nell'edizione del 1966 [Bari], pp. 1-20; cfr., in particolare, pp. 14 sgg.). Poi, allo scritto Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico, premesso a A. Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari 1965, pp. VII-LXV. Sono da vedere, qui, soprattutto le’ pp. XXII-XXX, sull’insegnamento di S. dopo il 1862, e sul peso che ebbe, quell’insegnamento, nella formazione di Labriola. Il “rapporto fra Labriola e S., così come l’hegelismo e 2609 l’herbartismo coesistenti dialetticamente in Labriola, e il suo atteggiamento tanto duramente polemico contro il positivismo, e poi il suo movimento verso il marxismo, non si intendono se non si restituisce il suo volto al magistero napoletano di S. dal ‘62 in poi, così poco hegeliano ‘ortodosso’, ma anche così lontano dalle vie percorse, attraverso l’esperienza feuerbachiana, dai ‘giovani hegeliani” tedeschi” (p. XXIX). L'incontro S.-Labriola ha avuto un significato decisivo, che va ribadito, non certo “ai fini di più o meno artificiose genealogie (Hegel-S.-Labriola) o di improponibili simmetrie (Hegel-S.-Labriola, corze Hegel- Feuerbach-Marx). Quel che importa sottolineare è altro: è la trascrizione della ‘circolazione’ operata da Labriola sul terreno storico, nel senso che nell’Italia comunale si individua l’avvio della società borghese (‘comincia prima che altrove... e poi si arresta’), ponendosi così il problema dei motivi di quell’arresto, e l’esigenza di una consapevolezza, necessaria per rientrare nel circolo del processo politico europeo” (p. XX sg.). Non basta, però: c’è un passaggio reale, un legame che resta, tra il rigore critico e scientifico del maestro, e quello dello scolaro, avviatosi poi su altra strada. Da S., Labriola eredita l’ “immagine della filosofia come ‘scienza’, come elaborazione di concetti, come coscienza critica”, “contrapponendola alla ‘filosofia scientifica”; con S., Labriola vede in Hegel “un punto fermo, ma non un sistema definitivo”; più tardi, “vedrà analogamente in Marx una conquista in campi determinati, una tappa necessaria, un’acquisizione metodica essenziale, non un’ ‘onniscienza’, una enciclopedia da ripetere per sempre” (p. XXXII). In questa prospettiva si può parlare di un nesso S.-Labriola, presentato qui in pagine che vogliono servire a illuminare la figura e l’opera di entrambi i filosofi. 2610 291. M. A. RASCHINI, Validità e limiti dell’interpretazione spaventiana del Rosmini e del Gioberti, in “Giornale di metafisica”, XXI (1966), pp. 265-269. “Lo Spaventa afferma che la coscienza o unità originaria del conoscere come puro conoscere, in quanto è sintesi, è relazione tra i termini ad essa immanenti. In questo concetto fondamentale di relazione sta il problema attraverso cui cercare l’incontro; esso è veramente il centro della problematica post-kantiana e, per quel che ci interessa, spaventiana, rosminiana, giobertiana”. Su questo piano, che fissa i limiti entro i quali è autentico l’incontro di S. con Rosmini e Gioberti, può svilupparsi un discorso che indica nel concetto di “relazione” proposto da S., e nella dialettica che dovrebbe esprimerla, la “contrazione di una tesi più ampia”, di una più valida “mediazione” che, in Rosmini e Gioberti (e sia pure con qualche differenza tra i due autori), è aperta alla ricerca di una fondazione ontologica. 292. G. VACCA, Recenti studi sull’hegelismo napoletano, in “Studi storici”, VII (1966), pp. 159-209. L’ampia rassegna prende in esame tutti gli studi apparsi nell’ultimo quindicennio, ma si richiama anche a lavori e prospettive meno recenti (Croce, Gentile, L. Russo...) per presentare un preciso raffronto delle diverse linee in cui si svolgono, convergendo o divergendo fra loro, le varie interpretazioni. Il discorso critico di V. — sviluppato in forma autonoma nella ricerca condotta dall’a. sul nesso di politica e filosofia nello S. [cfr. n. 295] — è ispirato dalla esigenza di riconoscere nel momento etico-politico e politico-culturale il filo conduttore di tutta l’opera del 2611 filosofo napoletano. Tra le opere richiamate o esaminate dall’a. interessa qui segnalare: gli studi di G. Arfè [254], G. Berti [255], P. Zambelli [274], I/ giovane Spaventa di S. Landucci ([282]; ma anche il lavoro su De Sanctis e la relazione del 1965 [287]), lo Spaventa e Vera di A. Plebe [252], i lavori di I. Cubeddu [275, 278] e di G. Oldrini [283]. 293. M. AGRIMI, Bertrando Spaventa e l'eredità hegeliana, in “Trimestre”, I (1967), n. I, pp. 141-153. Ampia nota, che prende l’avvio dal recente volume di G. Vacca [cfr. n. 295], “un lavoro rigoroso e certamente il più completo ad articolato sull'argomento, che inquadra l’accurata informazione critica e la dettagliata e lucida ricostruzione dello svolgimento del pensiero spaventiano in una più ampia prospettiva storiografica” (p. 150). A proposito del libro di Vacca, l’a. conclude: “Una così energica rivalutazione di Spaventa non può comunque non determinare un riesame della linea di svolgimento del pensiero italiano contemporaneo: linea peraltro in più parti indistinguibile o appena tratteggiata. Può muovere da Spaventa un filone di pensiero in direzione di una filosofia della prassi? Non è facile ammetterlo, e comunque si dovrebbe passare per mediazioni e recuperi molto difficili. Ma sono ancora ammissibili ricerche di genealogie filosofiche ‘nazionali’, in cospetto di eventi storici che ci costringono a ‘pensare mondialmente’? Gramsci, come si sa, su questo terreno urtava non di rado in contraddizioni e incertezze...” (p. 152). Per l’a., resta aperto il problema di “stabilire le ragioni per cui, malgrado l'appassionato sforzo spaventiano, l’hegelismo non riuscì a divenire l’ideologia politica e culturale del nuovo Stato nazionale...” (p. 148; 2612 cfr. p. 152: “lhegelismo spaventiano esce dalle pagine del Vacca ricco di una carica innovatrice e progressista, che non sembra però incidere sulla vita nazionale del tempo”). Per qualche suggerimento offerto dall’a., si veda, tra l’altro, pp. 148. sg.: la teoria spaventiana della circolazione, l'adattamento dell’hegelismo “all’antica tradizione italiana” finisce col ricongiungersi — o comincia a ricongiungersi — con le intenzioni di uno storicismo pacificatore, che ha perduto il senso della lezione illuministica, il senso della “insopprimibile distanza” e dello “scontro dialettico tra ‘razionale e reale’, tra ‘verità’ e ‘storia’, tra ‘pensiero’ e ‘realtà’, condizione indispensabile di una tensione costruttiva e progressiva rivolta a trasformare la realtà...”. 294. S. ONUFRIO, Lo “stato etico” e gli hegeliani di Napoli, in “Nuovi Quaderni del Meridione”, V (1967), pp. 76-90, 171-188, 271-287, 436-457. Alle pp. 76-90 e 171-188, ampia rassegna degli studi sul pensiero politico degli hegeliani napoletani, pubblicati a partire dal 1920 (l’a. esamina tra gli altri i lavori di De Ruggicro [202], S. Caramella [201], L. Russo [210], il S/vz0 Spaventa di P. Romano [P. Alatri; 1942], gli studi della Zambelli [274] e di G. Berti [255], il volume di G. Oldrini su Vera [283]). Alle pp. 271-287 Onufrio affronta un riesame degli articoli del “Nazionale” (anche in connessione con le indicazioni di G. Vacca [295]); e nelle pagine 436- 457 offre al lettore una analisi degli scritti politici di S. — dagli articoli sul “Progresso” ai Principi di etica — che, pur accogliendo diverse indicazioni dei più recenti studi sull'argomento, si conclude con il rilievo dell’ispirazione sostanzialmente liberale della filosofia politica del vecchio hegeliano. 2613 295. G. VACCA, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa, Bari 1967, pp. 301. Tutti gli scritti di S. sono sorretti da “un’intenzione politico-culturale, risalente ad una precisa’ visione dell’unificazione nazionale e della necessaria ricostruzione culturale. La curvatura ideologica con cui Spaventa visse i fatti e le passioni del Risorgimento italiano, si delinea dunque come il filo rosso della sua filosofia”. L'analisi, condotta attraverso il continuo riferimento al terreno in cui si incontrano passione politica e riflessione teorica, restaura la connessione “genetica” dell’ “intero impianto” della filosofia di S. e consente la presentazione di uno S. “modernissimo e ‘europeo’, che andava smarrito nella prospettiva attualistica” (p. 7). La monografia di V. è sviluppata nella linea dei recenti studi, che tendono a recuperare la dimensione etico-politica dell’opera di S. (per una discussione di questi scritti impostata dall’a. del libro, cfr. n.292). V. disegna tuttavia con tratti più decisi la figura del primo S. democratico, ricollegando gli scritti sul “Progresso”, anche quelli ristampati nel 1963 [118], all’attività del “Nazionale”, e restaurando le linee di una “formazione politica militante” dei due S.; e rimette in discussione l’opera dello S. maturo, dello storico, del riformatore della dialettica e del critico del positivismo, che nasconde “a livelli sempre nuovi e a volte estremi di mediazione” (p. 66; cfr. pp. 119, 171), senza però abbandonarla, l’ispirazione e le esigenze originarie (l’ultimo capitolo si intitola: Storicismo e antropologia. La filosofia come fondazione metafisica della prassi). Il primo capitolo (Il “Nazionale” e il ‘48 napoletano nella formazione degli Spaventa, pp. 9-62) si conclude con 2614 un’importante appendice (pp. 63-84), in cui l’a. affronta il problema della formazione di B. nel decennio 1840-50, riprendendo l’ipotesi della sua collaborazione attiva al “Nazionale” e alla rivista di Silvio del 1844. È evidente lo stretto rapporto (identità di temi, e finanche di espressioni letterali) che lega gli articoli di B. del 1851 a quelli del “Nazionale”, attribuiti a Silvio. Le origini delle convinzioni democratiche e repubblicane degli S., la fonte — non libresca — del socialismo (si parla però di “una non ben precisa forma di socialismo” a p. 88; e cfr. p. 90 e relativa nota 13, a p. 144) di B., piuttosto che nella lettura del noto libro di L. Stein sul socialismo e comunismo in Francia, vanno ritrovate nell’azione politica dei due fratelli, nella loro appartenenza ad “uno schieramento politico che concepiva la lotta per l'indipendenza strettamente intrecciata alla lotta per l'emancipazione politica e costituzionale, senza ancora una precisa subordinazione della seconda alla prima” (p. 13). Contro il vecchio giudizio di Croce, V. parla dello schietto “liberalismo democratico’. (e non, semplicemente, “progressista”) degli S.; i quali, quando cederanno all'iniziativa piemontese, rimarranno tuttavia sempre fedeli alla loro concezione dello stato come formazione storica destinata ad evolversi sotto la spinta di nuove idee e dì nuovi bisogni (p. 16). AI di là di una prima caratterizzazione degli schieramenti politici e delle varie correnti compresenti, anche contraddittoriamente, nella stessa redazione del “Nazionale”, la ricostruzione della linea seguita dagli S. viene precisandosi attraverso la lettura del giornale di Silvio: V. documenta le “simpatie repubblicane” del “Nazionale” (p. 28 sgg.), ravvisa nei suoi articoli la difesa di una democrazia “piena, politica e sociale’, contro il contrattualismo giusnaturalistico (p. 31), chiarisce il carattere “strumentale” dell’ “albertismo” di Silvio e 2615 dell’accostamento al programma neoguelfo (pp. 33 sgg.), distingue dall’ “unitarismo” e dal “gradualismo” tattico (p. 36) un complesso di richieste illuminate da principi più avanzati. E l’analisi si concentra su due temi che saranno costantemente presenti nei primi scritti di B. a Torino: l’idea di nazione e di stato, e la sovranità popolare (pp. 36 sgg.). Quanto al primo: il rapporto fra Stato e nazione è costruito secondo una dialettica idea-esperienza, dover essere-essere, che comporta e mantiene una polarità, per cui giammai l'essere annichila il dover-essere” (pp. 39 sg.). E, per il secondo punto, V. spiega la coesistenza della difesa della sovranità popolare con la critica della “volontà generale”, riadducendo quest’ultima non ai paragrafi antigiacobini della Filosofia del diritto di Hegel, ma alla convinzione che la legge del numero, meccanicamente intesa, serve a contrabbandare una forma particolare di volontà, in luogo della volontà del popolo. Emergono ancora, a chiusura del capitolo, tre punti importanti: il rilievo di una prima critica del diritto di proprietà come diritto innato (pp. 43 sg.); quello dell’apertura alle masse popolari, come sostegno indispensabile della rivoluzione; infine, in connessione con il punto precedente, la “formulazione di una teorica politico- pedagogica dello stato — che sarà compito degli Spaventa maturi sviluppare —, nella quale è sempre più chiaramente visibile la preoccupazione di accompagnare la fondazione del nuovo Stato alla fondazione di una reale egemonia borghese” (p. 46). Il secondo capitolo (Politica e filosofia nel primo Spaventa, pp. 85-152), studia gli scritti spaventiani del 1850-51, rilevando il carattere “pratico” dell’hegelismo di S., accolto in origine come strumento di rottura dell’egemonia eclettica operante nel liberalismo moderato napoletano (p. 121). Questa genesi dell’idealismo spaventiano va tenuta presente 2616 per una corretta lettura delle pagine “hegeliane” di questi anni. La difesa, dalle colonne del “Progresso”, della democrazia repubblicana e l'affermazione della necessità della “riforma sociale”, condizione anch'essa della pacifica convivenza di libere nazioni, vanno ricondotte ad un’autonoma concezione della storia, in cui è accentuato “laspetto deontologico del principio della libertà e della razionalità del reale” (p. 92). La funzione degli intellettuali così come è prospettata da S. richiama l’immagine illuministica del philosophe, piuttosto che la figura dell’ “eroe” hegeliano (p. 94). La distinzione di “utopie” e “idee storiche”, e la critica delle “utopie”, si sviluppa in virtù di “un criterio di discriminazione fra filosofie teologiche e filosofie scientifiche”, conformemente al “principio di una perfetta rispondenza, sempre, del pensiero con determinate posizioni della vita” (p. 97). Quello di S. è uno “storicismo avanzato”; la realtà è storia in quanto “opera umana”, “lavoro”; e 1° “assoluta mediazione” coincide col processo infinito della prassi (p. 101). La concezione politico- pedagogica dello stato, primo nucleo dello “stato etico”, nasce da una critica degli stati liberali sorti dalle rivoluzioni borghesi; nella polemica spaventiana sulla libertà d'insegnamento è posto in primo piano il problema “dell’eguaglianza materiale delle condizioni sociali dei destinatari dell’insegnamento” (p. 106). S. mira ad “una egemonia ideale laica come portato e cemento di una moderna costruzione pubblica dell’organizzazione della cultura” (p. 114); la richiesta si fonda sulla “concezione della filosofia come coerenza e rigore di principi, come unità logica del pensare e dell’operare degli uomini”: un “dato permanente del ‘carattere’ di Spaventa” (p. 115). La fedeltà a Hegel degli scritti del 1850-51 è apparente; nel processo di “adattamento dell’hegelismo alle lotte rivoluzionarie del 2617 Risorgimento” (p. 127). Si determina una elaborazione autonoma di temi hegeliani che tocca questioni di principio e di metodo. L’a. torna ora sulla “caratterizzazione deontologica del nesso reale-razionale” (p. 125), che distingue la filosofia di S. dalle ricostruzioni speculative del processo storico; l'identità di pensiero e essere affermata negli Studi del 1850 implica che la riflessione possa “spaziare fino ad identificarsi con tutta la storia degli uomini, nel senso di costituirne e rivelarne l’unità, l’intercompenetrazione e la conoscibilità da parte dell’uomo, come conseguenza dell’essere quella opera sua” (pp. 132 sg.). La riflessione non è abbandonata al gioco dell’ “astrazione indeterminata”; S. sa che la “concretezza” del nesso delle determinazioni astratte (ma non, appunto, “generiche”) fissate dalla riflessione non riposa su una mera “autoconsapevolezza dell’unità dell'esperienza, che rifiuti, in ultima analisi, la differenza”; lo sa “per un’originaria intelligenza della dialettica come nesso del pensiero come riflessione con l’essere come lavoro umano” (p. 135), come mostrano proprio le sue pagine sul tema del lavoro, visto sempre alla luce di rapporti e relazioni concrete (pp. 135 sg.). Le pagine conclusive del capitolo offrono un primo quadro dei motivi che caratterizzano l’autonomia dell’hegelismo spaventiano (uso determinato della astrazione, consapevolezza del nesso storico di filosofia e vita, critica della metafisica teologica, teorizzazione del primato del fare, rifiuto, in ultima analisi, della “scissione hegeliana degli opposti”, pp. 138 sgg.). I mutamenti che affiorano nel programma di S. dopo il 1851 sono studiati nel terzo capitolo (Etica e politica della maturità, pp. 153-217), che si conclude con un’analisi degli Studi sull’etica hegeliana (pp. 192 sgg.). Negli anni in cui il filosofo dà la sua adesione alla politica ufficiale del 2618 Piemonte, va registrato un atteggiamento più distaccato — ma sempre “oggettivo” — nei confronti del socialismo (p. 157). La democrazia difesa da S. perde molti contorni specifici; il riferimento alle lotte sociali in Francia sembra abbandonato per il richiamo a un liberalismo di tipo inglese. È cambiato, del resto, il bersaglio della polemica: ora S. combatte i clericali, i fautori dell’assolutismo, anche a difesa delle “grandi conquiste della civiltà borghese”, ma “senza identificarsi”, sottolinea V., “specie sotto il profilo delle matrici culturali — con i valori della civiltà liberale” (p. 160). S. si mostra del resto ancora un giacobino nella nota discussione del rapporto religione-filosofia, stato-chiesa (e qui V. respinge i rilievi di “astrattezza” avanzati da Croce e da L. Russo [cfr. nn. 206, 210]). S. difende una “concezione dello stato ‘in termini di egemonia’, destinata ad una resa dei conti critica con l'ideologia liberale” e che “non ha nulla a che spartire con le successive ideologie totalitarie” dello stato etico (p. 162; e cfr. pp. 183, 186, 192 sgg.); è in questa prospettiva — di “critica dei limiti formalistici della democrazia liberale” (p. 170) — che vanno letti gli articoli sulla politica dei gesuiti e il rifiuto della rousseauiana volontà generale (pp. 163-170). Ed è ancora questa prospettiva che consente di far riaffiorare tutti i contorni del “disegno politico” implicito negli studi sulla filosofia italiana e sulla filosofia classica tedesca, disegno che presenta ormai in forma molto mediata, ma non stravolta, l’originaria ispirazione democratica del suo autore. “L’unificazione reale della società, che ancor il ‘51 era un compito politico, per Bertrando, è divenuto, al momento dell’unità, un compito di i/luminazione culturale e ideale” (p. 182). S. Si limita ora a “vagheggiare una missione pedagogicopolitica della scienza in quanto tale” (p. 180); elabora temi e affina strumenti “ideali” di unificazione (l’ “unità dello spirito”, 2619 della “mente”, 1’ “identità di conoscere e fare”, l “autonomia del pensiero” e la sua “infinità”) che valgono come premesse di una realtà ancora da costruire; ma abbandona, anche, le analisi storiche in termini di dialettica delle “classi”, e accorda la sua preferenza a categorie come “nazione”, “spirito nazionale”, ecc. (p. 183, e cfr. p. 189). Senza riprodurre le numerose osservazioni che riguardano gli altri scritti spaventiani (soprattutto le lezioni napoletane del 1861) vediamo come l’a. si serve di questi rilievi per la lettura degli Studi sull’etica begeliana [80, 97]. La preferenza accordata a certe categorie (la comunità nazionale, identificata senz'altro con la comunità etica) può condurre e di fatto conduce S. ad un uso non corretto della astrazione (assunzione di strutture particolari dello stato nazionale moderno come contenuto “puro” dell’ethos). Un caso macroscopico è offerto dalla deduzione della “eternità” delle classi e della divisione in classi in base allo schema generico della divisione del lavoro. Tuttavia nelle riflessioni sullo stato, ‘organo essenziale del disegno egemonico dello Spaventa” (p. 192), Si assiste “ad una più corretta combinazione del metodo dialettico. con. un uso relativamente determinato dell’astrazione” (p. 197). Lo stato è la “mediazione vivente dei processi storici che maturano nella società civile”, è l’unità-risultato “della più ampia e libera partecipazione dei singoli a formare la volontà politica che nello stato si fa soggetto” (p. 199). La concezione dello stato come funzioneverità della società civile è costruita proprio attraverso la denuncia di una serie di mediazioni mancate: come mostrano, p. es., le pagine sulla “costituzione”, nelle quali si legge la condanna di chi vorrebbe mantenere lo stato al di sopra delle lotte sociali, “mentre il problema è di fondare uno stato etico, capace di interpretare e di tradurre in istituzioni, al limite sempre 2620 nuove, tutta l’eticità di un popolo: i suoi bisogni materiali e spirituali, le sue ragioni, le ragioni della sua storia” (p. 200). Certo, l'esigenza di un legame più stretto dello stato con la società civile è in primo luogo, in questi anni, ricerca di un “consenso ideale delle masse popolari italiane al nuovo stato”, su di un piano “culturale” (pp. 202 sg.); ma la critica del contrattualismo e della concezione sostanzialistica dello stato, costruita in virtù di una logica che sa vedere la matrice comune delle opposte teorie, liberale e assolutistica, corrisponde ancora a una concezione democratica: “purché con tale aggettivo si intenda non già riferirsi alle esperienze storiche degli stati liberal-democratici”, ma ad “una forma di stato, se si vuole originale, che abbia una funzione attiva e motrice verso la società civile, nell’intento di superare la propria scissione da essa, prodotta dalla civiltà borghese...” (p. 204). L’ultimo capitolo (pp. 219-295) è dedicato all’interpretazione della “metafisica” di S., i. e. della sua filosofia della “relazione” o “mediazione assoluta”, sviluppata attraverso una critica sempre più approfondita di Hegel e nella prospettiva di una nuova impostazione del rapporto teoriaprassi, scienza-filosofia. Nelle pp. 221-233 sono anticipate le conclusioni generali, attraverso un diretto riferimento ai risultati acquisiti nei capitoli precedenti. La costruzione della filosofia come fondazione metafisica della prassi avviene in varie tappe. La prima è individuata nella cosiddetta “parentesi” del 1858 [113], che studia il rapporto fenomenologia-logica, giungendo tuttavia a un risultato ancora “idealistico” (nel senso dell’idealismo soggettivo: il soggetto è, immediatamente, autocoscienza, e non viene superato il parallelismo di natura e pensiero; pp. 237-240). Le riflessioni sullo stesso tema raccolte nelle prime lezioni napoletane (1861) rappresentano un secondo momento 2621 della costruzione: qui S. continua ad avvertire l’insufficienza dell'identità logica di essere e pensiero (tutto è logico, ma la logica non è tutto) e cerca, invano, di uscire dallo schema della mera pensabilità attraverso “il sistema della logica e della fenomenologia, combinate”; invano, giacché la fenomenologia, che dovrebbe fondare la logica, non riesce a fondare neppure se stessa, dato che la coscienza è assunta originariamente come un fatto che non si prova (pp. 240- 244). L'identità (e l'opposizione) immediata — e quindi “inerte” — che si presenta nella coscienza, come fenomeno, si riproduce come tale sulla soglia della logica; Trendelenburg rischia di avere ragione. Tra le riflessioni del 1861 e il saggio sulle Prize categorie (quarta fase) si collocano le lezioni di antropologia del 1863-64, e la Filosofia di Gioberti (1863): in queste pagine V. rintraccia (pp. 244-249) l'acquisizione di un punto di vista (è il “vario sensibile” che “discrimina” l’esperienza del soggetto; il vero immediato-mediato è la natura, non la coscienza; e il rapporto di materia e idea è un rapporto di “continuità e compenetrazione dialettica”, p. 247) che prepara la soluzione delle Prize categorie (pp. 249-253). Qui S. afferma l’ “identità del puro pensiero-essere con il puro pensiero-volere”: autocoscienza, certo, ma come “risultato e espressione formale di quell’eterna mediazione con se stesso che è il soggetto pratico-storico”, cioè come “il più alto attributo” dell’ “uomo storico concreto” (pp. 249, 244). Il pensiero dal quale non si esce, che nella massima astrazione (l’astrazione da sé) ritrova se stesso e la conferma di sé, “non è se non la prova della infinità e della processualità del pensiero come esserci, esistenza, esperienza” (p. 251), la necessità, pensata, dell’infinita attività umana: attività, i. e. “risoluzione”, “deliberazione”, “e non certo solo giudizio” (p. 252). Ai due momenti immediatamente precedenti — che 2622 rappresentano la “fase più acutamente evolutiva” degli studi hegeliani di S. (p. 254) — si ricollega Logica e metafisica: la lettura del manuale (pp. 253-267) conferma la analisi degli scritti sull’antropologia e sulle Prizze categorie. “Le categorie che Spaventa deduce dialetticamente attraverso tutta la logica, partendo dal puro essere, sono quelle delle scienze nei loro diversi gradi e momenti. Tutte queste categorie culminano nella posizione della diade logica per eccellenza: la posizione del soggetto e dell’oggetto; e una volta posta questa, provano di dipendere da essa, che è la posizione del nesso dialettico assoluto capace di comprenderle (produrle) tutte in quanto posizione dell’uomo storico concreto. La logica prova allora la storicità di tutto il sapere, nel duplice senso che esso dipende e riceve senso e valore dalla posizione storica del soggetto umano. E la prassi umana, che è tutto il reale, è veramente tale in quanto si conosce: si fa sistema, logismo, scienza (certezza di sé)” (p. 259). E questa è l “istanza umanistica” di S. “Il suo problema è di costruire scientificamente la certezza umana del mondo in quanto mondo naturale-umano. E tale disegno la sua filosofia esegue provando questa certezza, in ultima analisi, in uno schema logico risultante dalla suprema astrazione di cui il pensiero come tale è capace rispetto a se stesso in quanto determinato” (p. 263). La filosofia come mediazione o “relazione assoluta” è “intelligenza del contesto umano nel quale le scienze particolari ricevono significato” (p. 265); non dissoluzione delle scienze, ma esigenza “di una loro integrazione umanistica, presentata in maniera speculativa” (p. 265); non “sistema” come “riduzione del mondo a filosofia” (= auto-coscienza), ma “sistema dell’esperienza in ogni momento del suo farsi”, “critica della ragione storica e scientifica” (pp. 266 sg.). Come risulta dalla lettura di Esperienza e metafisica, e degli scritti ad essa collegati (pp. 2623 267 sgg.), le riflessioni sul rapporto scienza-filosofia, che caratterizzano l’ultima fase del pensiero di S., confermano i risultati fin qui acquisiti: S. ricerca i “princìpi che presiedono all'elaborazione delle scienze umane nella loro autonomia e distinzione dalle scienze naturali” (p. 270), sul piano di una metafisica delle e idee che non rinnega la continuità-distinzione di physis e psiche, ma solo colpisce le “rozze” metafisiche che vorrebbero ricondurre la psicologia, dal terreno delle scienze storico sociali, su quello del naturalismo meccanicistico. La polemica antipositivistica e antinaturalistica e la critica a Hegel appaiono, del resto, complementari: si vedano (a proposito del rapporto scienza- filosofia) le indicazioni di pp. 267 sg., 272 sg. L'appello a Kant e la difesa del “trascendentale” — in Esperienza e metafisica 6 non’ rappresentano una “ricaduta nell’epistemologismo” (pp. 274 sg.), ma continuano a ribadire “la posizione della conoscenza come assoluta produzione”. In che senso poi le ultime opere di S. accentuino e specifichino la distanza che ormai separa il filosofo da Hegel, si legge alle pp. 280 sgg. Nello scritto contro Teichmiiller, la “negazione” è difesa come semplice “ipotesi” dell’ “unità razionale” di una esperienza non defraudata dei suoi nessi empiricoprammatici (pp. 282 sg.). Ancora: la nota critica a Hegel — che rifiutò l’evoluzione naturale — investe uno dei caposaldi del sistema hegeliano: l’ “opposizione” di natura e spirito (p. 286). Riflessioni altrettanto eterodosse si leggono in Esperienza e metafisica, a proposito di Aufhebung e salto qualitativo (pp. 283 sgg.). Da queste pagine, e da quelle precedentemente esaminate, V. ricava due osservazioni: l'accoglimento del meccanismo, che scongiura la trasfigurazione dei processi naturali in processi ideali, “è la premessa di quel definitivo ripudio della filosofia come sistema analizzato in Esperienza e metafisica”. 2624 Ma è anche vero che S. non conclude senz’altro per la risoluzione della filosofia nelle scienze, “senza residui”; e continua a mantenere l’hegelismo come termine di confronto con le scienze. Le due osservazioni si fondono e autorizzano una conclusione: “il problema filosofico di Spaventa è sempre più chiaramente quello di provare l’unità razionale dell’esperienza e l’unità critica del sapere” (pp. 286 sg.). “Vi è perciò, in Spaventa, lo sforzo di esprimere nella filosofia il senso della scienza moderna, di rendere esplicito, in quella, l’interno problema di questa” (p. 287). S. ha scritto che la metafisica hegeliana è la “profezia” della “scienza della moderna esperienza”. Ma Hegel “avrebbe certo ricusato una tale lettura della sua filosofia” (p. 288). Tra le pubblicazioni apparse dopo il 1967 ci limitiamo a segnalare qui: BORTOT, L’hbegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze 1968, pp. 127; ONUFRIO, Vico maestro di Bertrando Spaventa, in “Nuovi Quaderni del Meridione”, VI (1968), n. 21-22, pp. 238-249; I/ primo begelismo italiano, a cura di G. Oldrini, con prefazione di E. Garin, Firenze 1969 (riproduce testi di D. Mazzoni, G. Passerini, S. Cusani, S. Gatti, F. De Sanctis, A. Vera e B. Spaventa. Di S. sono ristampati i Pensieri sull’insegnamento della filosofia [2] e, in parte, gli Studi del 1850 [4]. Molto. importante l'introduzione, che offre un quadro assai chiaro delle vicende dell’hegelismo italiano nel decennio 1840-1850; ricchissime le indicazioni bibliografiche); B. SPAVENTA, Unificazione nazionale ed egemonia culturale, a cura di G. Vacca, Bari 1969 (nell’antologia sono ristampati: un brano degli Studi sopra la filosofia di Hegel [4], alcuni articoli apparsi sul “Progresso” [cfr. 5, 10, 11, 12], lo scritto I/ lavoro e le macchine [117], una scelta dalla Politica dei 2625 gesuiti [101], lo scritto Del principio della riforma [30], brani della corrispondenza tra i fratelli S. [125], la prolusione di Modena [no], lo scritto Paolottismo, positivismo, razionalismo [78], una scelta dai Princìpi di etica [97]. Seguono tre-dici lettere inedite di A. De Meis a B. Spaventa e G. Ricciardi, già pubblicate in “Il pensiero politico”, I, 1968, fasc. 2, pp. 225-251; nella stessa annata della rivista cit., n. 3, pp. 408-437, era già apparsa, con il titolo Introduzione alla riflessione politica di B. Spaventa, l'introduzione all’antologia del 1969); G. VACCA, Lo hegelismo a Napoli, in “Rinascita”, 12 settembre 1969. Alcune Lettere inedite di B. S. a Vittorio Imbriani ha pubblicato A. Pellicani in «Realtà del mezzogiorno», ottobre 1969, pp. 881-891. Pagine di Gentile sullo S. si leggono ora in G. GENTILE, Storia della filosofia italiana, a cura di E. Garin, 2 voll., Firenze 1969 (con una notevole introduzione, che discute tra l’altro della interpretazione gentiliana dell’opera e delle tesi storiografiche di S.). Importanti, anche per seguire le vicende della stampa degli Scritti filosofici [96], le lettere di Croce a Gentile (1896-1899) pubblicate nel “Giornale critico della filosofia italiana”, XLVII (1969), pp. 1-100; e i due volumi delle lettere Gentile-Jaja (in G. GENTILE, Opere, a cura della Fondazione Gentile per gli studi filosofici, voll. I-II del Carteggio a cura di M. Sandirocco, Firenze 1969). Si ricordano infine i saggi di E. Garin, Problemi e polemiche dell’ begelismo italiano dell'ottocento (1832-1860), di V. A. Bellezza, La riforma spaventiano-gentiliana della dialettica hegeliana, di I. Cubeddu, B. Spaventa riformatore di Hegel nella cultura italiana del 900, raccolti nel volume Incidenza di Hegel (Napoli 1970), a cura di F. Tessitore (pp. 625-662, 683-756, 757-790; v. anche, nella stessa opera, la bibliografia a cura di G. Cacciatore Hegel in Italia e in italiano, pp. 2626 1057-1129). OPERE DI SPAVENTA PUBBLICATE DAL 1970 AL 2007 La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, A. MARCHESI (a cura di), Minerva italica, ISTE: Opere, CUBEDDU I. (a cura di), Sansoni, Firenze 1972, 3 vol. Un frammento inedito di Bertrando Spaventa su Vico e Darwin, SAVORELLI A. (a cura di), in “Bollettino del Centro di studi vichiani”, IV (1974), pp. 171-175. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, P. OTTONELLO (a cura di), Marzorati, Milano 1974. Opere psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi alla ricostruzione integrale del pensiero di B. Spaventa: inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti critici, in “Le ragioni critiche”, IV, (1974), pp. 433-490; V (1975), pp. 54-88; 168-198. Lezioni di antropologia, D. D'ORSI (a cura di), Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1976. Psiche e metafisica, D. D’ORSI (a cura di), Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1978 Una lettera di Bertrando Spaventa a Pasquale Villari, M. T. RASCAGLIA (a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1981. Lezioni inedite di Filosofia del diritto. Modena 1860, G. TOGNON (a cura di), in “Archivio storico bergamasco”, II (1982), pp. 37-60; 275-290. 2627 Esperienza e metafisica, A. SAVORELLI (a cura di), Morano, Napoli 1983. Prolusione di B. Spaventa al corso di Filosofia del diritto (Modena, 4 gennaio 1860), G. TOGNON (a cura di), in E. GARIN, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, Bibliopolis, Napoli 1983, pp. 41-89. Nuovi testi di Bertrando Spaventa, in Rivoluzione, partiti politici e stato nazionale, R. DI ATTILIO (a cura di), Giuffrè, Milano 1983. R. H. LOTZE, Elementi di psicologia speculativa, Traduzione italiana di Bertrando Spaventa, D. D’'ORSI (a cura di), Casa Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1983. Epistolario, RASCAGLIA M., (a cura di), Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1995. Lettera sulla dottrina di Bruno: scritti inediti, 1853- 1854, SAVORELLI A e RASCAGLIA M. (a cura di), Bibliopolis, Napoli 2000. Giordano Bruno [edizioni per la scuola], La città del Sole, Napoli 2001. Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti inediti, D. D'ORSI (a cura di), Cedam, Padova 2001. Studi sopra la filosofia di Hegel. Prime categorie della logica di Hegel, E. COLOMBO (a cura di), CUSL, Firenze 2001. Le “Lezioni” sulla storia della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-1862, F. RIZZO (a cura di), Siciliano, Messina 2001. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, SAVORELLI A. (a cura di), Storia e letteratura, Roma 2003. La filosofia del Risorgimento: le prolusioni di Bertrando 2628 Spaventa, La scuola di Pitagora, Napoli 2005. Saggi di critica filosofica, critica e religiosa, DE GIOVANNI B. (a cura di), La scuola di Pitagora, Napoli, 2008. OPERE SU SPAVENTA PUBBLICATE DAL 1970 AL 2007 R. FRANCHINI, La cultura a Napoli dal 1860 al 1960, in AAVV, Storia di Napoli, vol. X, Napoli contemporanea, E.S.I., Napoli 1971, pp. 159-217, ora anche in I/ diritto alla filosofia, SEN, Napoli 1982, pp. 307-375. Nella prima parte del saggio, dedicata alla cultura filosofica napoletana dal 1860 al 1900, si mostra grande attenzione alla prolusione, con cui iniziò l'insegnamento napoletano di Spaventa, sulla Nazionalità della filosofia. Oltre a ricordare le numerose contestazioni subite da Spaventa orchestrate dall'abate Vito Fornari, da Capocelatro, Mola e Crocchetti, si precisa che l’opposizione al pensiero del filosofo abruzzese era assai forte persino nelle aule universitarie, citando il caso di Tulelli, Professore di filosofia morale ed allievo di Galluppi e dallo stesso Tari, benché legato a Spaventa da una amicizia di vecchia data, per finire con il caso di Vera, hegeliano di prospettive radicalmente differenti da quelle di Spaventa. La superiorità di Spaventa rispetto a questi suoi rivali si manifesta, secondo, Franchini, se si tiene conto della discepolanza del filosofo di Bomba, nella quale si possono annoverare personalità come Angiulli e Labriola, quest’ultimo influenzato poi dalla corrente degli herbartiani. Franchini ricorda anche l’altra figura di grande levatura della tradizione classica napoletana, Francesco De Sanctis, che 2629 però non viene mai posto in conflitto o in contrapposizione rispetto a Spaventa. Viene menzionata, inoltre, l’esperienza del “Giornale Napoletano di filosofia e lettere”, diretto da Spaventa, Imbriani e Fiorentino. Il saggio prosegue poi analizzando le altre fasi dello sviluppo culturale della città di Napoli a partire dal periodo 1900-1940, affrontando la prima e la seconda scuola crociata, oltre al tema della filosofia nell'Università tra il 1920 ed il 1960. E. GARIN, La “fortuna” nella filosofia italiana, in AAVV, L'eredità di Hegel dopo due secoli dalla nascita, pp. 77-89, in “Terzoprogramma”, 1971, 3. Nell’intervento di Garin la “presenza” di Hegel viene giudicata non neutrale né accademica (p. 78) e proprio per questa vittima di alterne fortune. Se Romagnosi non esitava a definire nebulosa la nozione di “spirito del mondo”, benché nemmeno Mazzini svalutasse a tal punto l’hegelismo, Spaventa e De Sanctis terranno una posizione diversa, se non addirittura opposta. A ragione si precisa quale fosse l’importanza della Filosofia della storia nella stesura del 1830-31 per la penetrazione del pensiero hegeliano in Italia: da Passerini, che ne curò la prefazione nel ‘40, a Cattaneo, molti intellettuali si accorsero del genio del filosofo di Stoccarda. All’Hegel rivoluzionario di Napoli, segue, nel percorso spaventiano, una più attenta lettura della Fenomenologia negli anni ‘50, che lo porterà ad una nuova interpretazione della filosofia italiana ed europea: Garin ripercorre con puntualità le tappe di questa evoluzione, dai primi studi del ’50-’53, fino alla prolusione napoletana del °61, passando per le crisi e le svolte del ‘55 (comuni a Spaventa e De Sanctis). L’autentica esigenza di creare una ideologia di supporto alla rivoluzione italiana condusse 2630 all’interpretazione della filosofia hegeliana come alternativa al neotomismo in Italia. Garin sostiene che ai tempi eroici dei primi hegeliani si scivolò nell’aneddoto pittoresco: non solo Maturi, ma nemmeno Jaja riuscì a recuperare la forza di Spaventa o De Sanctis. Soltanto grazie a Croce e Gentile Hegel tornò ad essere studiato e commentato, dando vita poi nel corso del Novecento alle correnti più disparato, citato a sostegno sia dell’esistenzialismo, sia della teoria dello Stato etico. L. MALUSA, Bertrando Spaventa interprete della filosofia di G. B. Vico, in AAVV, Saggi e ricerche su Aristotele, Marsilio da Padova, M. Eckhart, Rosmini, Spaventa [etc], Editrice Antenore, Padova, 1971, pp. 71- 108. La rilevanza di Spaventa nel panorama culturale italiano si coglie anche considerando la sua influenza sul modo di fare storia della filosofia. Il suo scontro con Palmieri sul ruolo della scolastica all’interno della tradizione italiana. Venendo all’analisi di Vico, si deve rilevare che l’indubbia affinità con Vico sulle questioni relative alla distinzione del mondo in natura e spirito trovano però un luogo di scontro a proposito del ruolo del cogito, sostenuto da Spaventa e avversato dal filosofo napoletano. Avendo come obiettivo quello di guadagnare grazie all’analisi del pensiero filosofico italiano progressiva indipendenza dall’autorità della Chiesa, non stupisce che Spaventa abbia svalutato il ruolo della grazia e della Provvidenza presente in Vico. Se la linea Vico- Kant-Hegel divenne quasi un dogma della filosofia neohegeliana italiana, ciò è dovuto indubbiamente all'influenza di Spaventa che per primo percorse le tracce di questo rapporto. 2631 E. GARIN, Hegel nella storia della filosofia italiana, in “De Homine”, 38-40, 1971, pp. 68-86. Garin rileva il che “il nome di Hegel è indissolubilmente legato alla storia d’Italia” (p. 70), considerando non solo l’hegelismo napoletano, ma anche i successivi sviluppi legati al fascismo. Riferendosi a Orestano, Gentile e Padre Agostino Gemelli, Garin mostra l’influenza della filosofia hegeliana nel dibattito culturale italiano, accennando a quel singolare destino per cui il filosofo di Stoccarda che aveva inteso la filosofia come nottola di Minerva inaugurò quella stagione in cui la filosofia contribuì ad influenzare direttamente gli eventi storici e non solo a comprenderli ex post. Proprio su questo punto decisiva è la figura di Bertrando Spaventa, che rivisitò il sistema hegeliano in chiave antigesuitica. Garin cita anche Passerini come precursore e Villari come compagno dello Spaventa in questa difficile operazione intellettuale: riportando un lungo intervento di Spaventa del 1850 Garin vuole trasmettere il clima di entusiasmo che caratterizzò l'avvento dell’hegelismo nella Napoli prequarantottesca. L'esigenza di un’ideologia del Risorgimento, avvertita da Mamiani e Gioberti, fu soddisfatta proprio da Bertrando Spaventa con l’immagine del “sacro filo della tradizione”, benché Garin rivaluti la posizione di Rosmini e Gioberti rispetto al giudizio negativo di Spaventa, il quale fu molto tentato — a giudizio di Garin — dalla soluzione dell’attualismo ed del soggettivismo. L’articolo prosegue sottolineando l’atteggiamento sarcastico assunto da Spaventa di fronte al tentativo di accostamento di Hegel a Comte: proprio l’importanza del ruolo del positivo rendeva del tutto contraddittoria la posizione del positivismo. L'intervento di 2632 Garin termina citando le posizioni di Labriola, Gentile e Croce di fronte al sistema hegeliano. M. QUARANTA, Posttivismo ed hegelismo in Italia, in L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. VI, Dall’Ottocento al Novecento, Garzanti, Milano 1971, in particolare le pagine 215-225. Le sezioni VII e VIII del saggio di Mario Quaranta sono dedicate rispettivamente alla vita e opere di Spaventa e al suo pensiero. Nella prima si analizza la vita del pensatore abruzzese e si elencano gran parte delle sue opere, nella seconda ci si concentra sui tre contributi essenziali: un riesame della tradizione filosofica italiana, in particolar modo con la teoria della circolazione; una reinterpretazione di Hegel tale da escludere qualsiasi intento materialistico o teologico; la proposta di una serie di strumenti concettuali contro il positivismo, attraverso la figura di Kant, al fine di rivalutare umanesimo. D. CANTIMORI, La circolazione del pensiero italiano e l’importanza del Rinascimento per la filosofia europea, in Storici e storia, Einaudi, Torino 1971, pp. 446-254. Il breve capitolo dedicato all’interpretazione del Rinascimento di Bertrando Spaventa mostra il tentativo di superamento della visione neoguelfa di Gioberti e di maggiore profondità rispetto a quelle di Mazzini e Ferrari. In particolare si evidenzia quanto stretto sia il nesso tra la teoria della circolazione ed il concetto di nazionalità: se è vero da un lato che lo Spaventa definisce la filosofia moderna come europea, ciò non significa l’eliminazione del concetto di nazione, anzi, proprio dal contributo delle 2633 diverse nazioni si può parlare della modernità all’insegna dell'Europa. Naturalmente il Rinascimento italiano in quanto per primo ha turbato l’uniformità di pensiero imposta dalla Scolastica. In tal senso si rileva una dipendenza profonda da schemi illuministici più che dalle tesi hegeliane, che continuano comunque ad essere il panorama di riferimento. Il pensiero di Spaventa viene dunque definito come quella consapevolezza di sé che era mancata al pensiero italiano al suo primo sorgere e che fu assunta dal pensiero tedesco grazie alla Riforma protestante. Problema di Spaventa non era solo quello di superare Rosmini e Gioberti, bensì di assegnare un senso e uno scopo alla tradizione filosofica italiana. La rivendicazione dell’Italia come nazione e come tradizione filosofica mirava ad un inserimento all’interno del contesto europeo. G. TARALLI, Bertrando Spaventa tra Stato etico e democrazia, in “Trimestre”, V, 1971, pp. 409-424. Il grande problema del rapporto tra nazionalità e libertà, già posto da Mazzini, tormenta anche il pensiero di Spaventa, con l'aggravante di una piena consapevolezza della debolezza delle istituzioni democratiche, elemento che rese assai difficile il governo della Destra storica. Taralli espone come chiave interpretativa forte l’acattolicesimo spaventiano, derivante senz’altro dalla mondanizzazione dello spirito di matrice hegeliana: le aporie presenti nel pensiero spaventiano dipenderebbero in tal senso dalle tensioni irrisolte tra Illuminismo ed hegelismo; se da un lato è vero che la ragione storica avrebbe dovuto assicurare una risoluzione delle contraddizioni, il conflitto tra Spaventa e la corrente socialista testimonia una tensione irrisolta tra Stato e società, tra governo e rivoluzione. 2634 E. GARIN, Rassegna di studi spaventiani, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXVII, 1972, pp. 332- 335. In questo breve intervento Garin sottolinea l’importanza dell’interpretazione del pensiero di Spaventa proposta da autori quali Felice Battaglia, Italo Cubeddu, Sergio Landucci e P. C. Masini, per concludere citando i due volumi del Vacca.. S. ONUFRIO, Lo “Stato etico” e gli hegeliani di Napoli, Celebes, Milano 1972. Il testo ripropone gli interventi di Onufrio apparsi sui “Nuovi quaderni del Meridione”, nn. 1,18,19, 20 (1967), nn. 21, 22 (1968), 24 (1969), nn. 25, 26 (1969) e sulla “Rassegna di Politica e storia” n. 164 (giugno 1969), già parzialmente presenti nella bibliografia di Italo Cubeddu del 1972. Il primo capitolo riepiloga lo status quaestionis, mediante una rassegna delle tesi di De Ruggiero, Santino Caramella, Russo e Tagliacozzo. Il secondo capitolo è dedicato alla storiografia marxista e al tentativo di sostituire a Gentile la figura di Labriola come autentico discepolo ed erede di Spaventa. Il terzo capitolo si concentra sugli sviluppi della concezione dello Stato in Spaventa dall’attività giornalistica piemontese ai Principi di Etica. Il capitolo quarto prende in considerazione il tema dello Stato etico nelle riflessioni della Destra storica. L’ultimo capitolo esamina il rapporto tra Stato e nazionalismo oltre alle reazioni della Destra storica dopo l'avvento della Sinistra storica al potere. Il libro si conclude con tre appendici: G. B. Vico e il liberalismo moderato; Vico maestro di Spaventa; Unificazione nazionale 2635 ed egemonia nazionale (commento al testo di G. Vacca). I. CUBEDDU, Bibliografia in B. SPAVENTA, Opere, Sansoni, Firenze 1972, 3 vol. L’amplissimo studio di Cubeddu è suddiviso in due sezioni, la prima è dedicata alle opere edite di Spaventa, la seconda elenca le opere scritte sul pensiero del filosofo abruzzese fino al 1969; si compone di un’ampia introduzione, una prima parte sugli scritti di Bertrando Spaventa ed una seconda parte relativa ai saggi e gli studi sulla figura del pensatore abruzzese. F. TESSITORE, La cultura filosofica tra due rivoluzioni (1799-1860), in Storia di Napoli, vol. IX, Dalla restaurazione al crollo del Reame, E.S.I., Napoli 1972, pp. 225-293. Il saggio di Tessitore si articola in quattro sezioni, la prima dedicata all’eco vichiana in Cuoco, Salfi, Jannelli e Delfico, all'insegna di quella umanologia che tenta di recuperare l’ “uomo intero”, secondo differenti prospettive; alla trattazione dell’eclettismo napoletano legato ai nomi di Manna, Piccolini, Borrelli e Bozzelli, segue una rapida presentazione di Galluppi e del suo rivale Collecchi. La terza sezione si concentra sul passaggio dall’eclettismo all’hegelismo e affronta le figure di Cusani e Gatti, precisando l'influenza francese nella scoperta dell’idealismo tedesco in Italia. L’ultima parte del lavoro è esplicitamente legata all’hegelismo e allo storicismo: un ruolo di primo piano è svolto da De Sanctis, di cui si sottolinea l’esigenza di purismo e la tensione verso la semplicità della lingua, atteggiamenti che lo portarono a respingere, sulla scorta 2636 della lezione vichiana, l’apriorismo del sistema ed il panteismo hegeliano. Alcuni brevi cenni alle teorie del Gioberti (che ricevettero la benedizione di Papa Pio IX) introducono la personalità di Bertrando Spaventa, fiero sostenitore di Hegel, tanto da considerarlo una sorta di demiurgo del mondo, in polemica con il Palmieri. N. SICILIANI DE CUMIS, Herbart e Herbartiani alla scuola di Bertrando Spaventa, in “Giornale Critico della Filosofia italiana”, 1973; 52, pp. 517-561. De Cumis non vuole solo mostrare l’ormai indiscutibile legame, confermato da più parti, tra Spaventa e Herbart, ma in particolare anche l’attenzione di cui questi è oggetto anche da parte del Fiorentino e del Labriola, fino a suggerire l'ipotesi che Spaventa sia stato un caposaldo nella formazione del Labriola proprio per averlo introdotto allo studio del filosofo tedesco, quasi vi fosse una “curvatura herbartiana dello hegelimso nel Labriola”. La stessa contrapposizione tra Spaventa e Herbart vorrebbe essere se non attenuata per lo meno sfumata e a sostegno di queste tesi De Cumis indica un’ampia raccolta di luoghi nei quali Spaventa parla esplicitamente delle tesi herbartiane, per sottolineare l’accordo tra i due per lo meno su alcune istanze dell’hegelismo. E. GARIN, Noterella spaventiana, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXVIII, 1973, pp. 342-345. Il testo appare quasi come una recensione delle Opere di Spaventa curate da Cubeddu, sottolineandone anche alcune carenze, come ad esempio il mancato inserimento del testo Esperienza e metafisica. A questo proposito si sviluppa il 2637 tema del rapporto tra Spaventa e le nuove scoperte scientifiche del suo tempo, prima tra tutte la teoria della selezione naturale. Per rafforzare la sensazione della problematicità del rapporto si cita il frammento datato 21 luglio 1875. Obiettivo di Garin è mostrare che in Spaventa non si accetta il meccanicismo, ma vi si vuole contrapporre l’idea di disegno, di teleologia, senza con questo dover ammettere l'intervento soprannaturale. G. OLDRINI, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Laterza, Bari 1973. Nel volume di Oldrini il nome di Bertrando Spaventa risulta il più citato dopo quello del De Sanctis. Alcune sezioni del testo, che tuttavia affronta un tema assai vasto, sono dedicate specificamente al filosofo, ad esempio come modello paradigmatico di intellettuale fuoriuscito da Napoli che contribuisce ad alimentare focolai rivoluzionari e liberali nel Piemonte degli anni ’50. Si segnala anche il peso dell’autore nell’evitare qualsiasi compromesso tra hegelismo ed ideologie, nella ricerca di una terza via tra realismo e idealismo. P. PIOVANI, I/ pensiero idealistico, in AAVV., Storia d’Italia, V. 2.1 I documenti, Einaudi, Torino 1973, pp. 1549-1581. La figura di Spaventa viene posta in risalto soprattutto in relazione al primo punto della trattazione, dedicato alla predicazione dell’idea hegeliana e nel terzo, in cui si mostrano i tentativi di superare l’hegelismo in nome del realismo, anche per contrastare lo strapotere del positivismo. Da ultimo, nel quinto punto, si evidenzia la 2638 differenza di interpretazione del pensiero spaventiano proposta da Croce e Gentile. G. BROCCOLINI, Vincenzo Finamore e le origini dell’hegelismo in Italia, in “De Homine”, 51-52, 1972, pp. 149-184. Per evitare di conformarsi alla vecchia interpretazione dell’idealismo napoletano secondo cui all’ortodossia di Vera si contrappone il criticismo di Spaventa, si deve tentare, secondo Broccolini, di leggere l'evoluzione della cultura filosofica napoletana indipendentemente dai suoi sviluppi economici e sociali. Broccolini sostiene l’analogia tra la legittimazione hegeliana dello Jurkertum prussiano e quella napoletana della nuova classe egemone; il parallelismo prosegue individuando in De Sanctis, Tommasi, Villari e Labriola gli Strass, Bauer, Feuerbach e Marx napoletani. Il retroterra da cui emerge l’hegelismo napoletano deve essere comunque ricercato nelle vicissitudini del 1799: l’intelligentia partenopea sfrutterà Hegel per “patinare di nuovo l'antico” (p. 160). Non sono risparmiate le critiche alla conoscenza frammentaria di Hegel da parte di Spaventa, di contro alla conoscenza integrale che poteva vantare Vera. L’analisi della Napoli prequarantottesca attraversa le figure di Colecchi, Cubani e Gatti, rispetto ai quali le elaborazioni di Spaventa sono giudicate “tardive” (p. 170). Vincenzo Finamore sl inserisce in questa rassegna e si ascrive immediatamente a questa figura la paternità della teoria della circolazione del pensiero e dell’analisi della logica hegeliana, al fine di mostrare quanti e quali punti oscuri si possono ancora rintracciare nello studio dell’hegelismo italiano. 2639 T. SERRA, Oltre la lettura idealistica di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della Filosofia italiana”, 1974; 53, pp. 175-202. La possibilità di un superamento dell’interpretazione idealistica di Spaventa si basa, secondo Teresa Serra, su una rivalutazione storicistica dell'autore. L'ombra nella quale rimase Spaventa anche rispetto a Rosmini e Gioberti non si può spiegare soltanto con la clandestinità della sua attività di pubblicista peraltro giustamente segnalata da Gentile: se è vero che il legame Spaventa Hegel non può essere radicalizzato, d’altra parte non può nemmeno svaporare, eliminando il carattere sistemico e logico del pensiero spaventiano. La versatilità di Spaventa ne fa un precursore dell’attualismo Gentiliano da un lato e un anticipatore del Labriola dall’altro: certamente sottolineare la forte laicità, il rigore scientifico ed il vigore storicistico consente a Teresa Serra di mostrare come il pensiero del filosofo di Bomba si presti a diverse interpretazioni. Spaventa supera l’astratto coscienzialismo, ma senza giungere alle conseguenze che la Serra definisce antispeculative, di Feurbach e Marx. Persino l’ultima fase, legata alla polemica con il positivismo, mira a riproporre l’istanza e la concretezza del sistema. P. OTTONELLO, Introduzione a B. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Marzorati, Milano 1974. Nella breve presentazione vengono sottolineati i caratteri salienti del programma di riabilitazione della filosofia italiana agli occhi del dibattito filosofico europeo: mostrare l'originaria presenza di temi filosofici tipici della modernità europea nel pensiero rinascimentale voleva produrre il 2640 duplice effetto di rivalutare la filosofia italiana e di aggiornarla al dibattito europeo. A. SAVORELLI, Ux frammento inedito di Bertrando Spaventa su Vico e Darwin, in “Bollettino del Centro di Studi vichiani”, IV, 1974, pp. 171-175. Il frammento, recuperato nella Biblioteca civica “A. Mai” di Bergamo, testimonia gli intensi studi spaventiani degli anni ’70 attorno a Vico e al problema della scienza. È Savorelli a segnalare che Spaventa, come ogni buon hegeliano, esclude l’intervento soprannaturale, ma senza con ciò cedere ad una mera dimensione evoluzionistica, da inserire in quella totalità spirituale di cui le scienze naturali fanno parte. Duro è l’attacco verso la critica tradizionalista a Darwin, legata a Vera e alla sua scuola. Del manoscritto di diciotto pagine è riportata soltanto la seconda parte (fogli 7- 11). A. CAMILLERI, Problemi inediti dell'ultimo Spaventa, Scuola salesiana del libro, Catania 1974. Il primo ed il secondo capitolo del libro sono dedicati rispettivamente alla biografia e alla bibliografia dell’autore, mentre il terzo si dedica all’analisi di Esperienza e metafisica all’interno della parabola del pensiero spaventiano, ricordando il silenzio editoriale dal 1870 e la polemica con i positivisti che caratterizzerà i suoi ultimi dieci anni di vita. La rivalutazione del ruolo dello spirito, come attività che ricrea l’oggetto rappresenta l'elemento essenziale del pensiero spaventiano, capace di conciliare, in tal modo, teoretica e pratica. Obiettivo centrale della polemica sono teismo e materialismo, analizzati nel quarto capitolo in 2641 relazione alla nuova teoria dell’evoluzionismo: è nota la volontà di conciliare dialettica hegeliana e darwinismo, superando da un lato il dualismo proposto dal teismo, dall’altro l’insano monismo su cui si basa la concezione materialistica. Il problema della conoscenza trova nel quinto capitolo un’ampia trattazione, grazie alla quale si evidenzia l’affinità di Spaventa con la filosofia idealistica ed il suo rifiuto dell’origine biologica e psicologica del pensiero: tale tema impone di ritornare sul rapporto tra darwinismo e metafisica, già nel capitolo successivo. Attraverso un uso abbondante di citazioni da Esperienza e Metafisica Camilleri ripercorre l'itinerario di Spaventa, disposto ad accogliere quanto vi sia di valido anche nella posizione dell’avversario, senza alcun pregiudizio di carattere teoretico. Oltre alla figura di Darwin, obiettivo della critica spaventiana è il positivismo di Spencer, colpevole di concepire l Assoluto come separato dalla realtà e quindi totalmente inconoscibile: il capitolo settimo mostra l’inconciliabilità di questa posizione con l’hegelismo di Spaventa. La prospettiva si allarga sulla critica dell’empirismo in generale, dove emerge la crescente influenza della filosofia kantiana sul pensiero dell’ultimo Spaventa: si tratta quasi di un prologo al capitolo nono in cui si affronta il problema della coscienza e della conoscenza, da intendere all'insegna del processo come attività assoluta. Le considerazioni critiche finali sono precedute da una introduzione al manoscritto inedito dal titolo Che cos'èè il materialismo, riportato al termine del libro. I. CUBEDDU, Bertrando Spaventa. Edizioni e studi (1840-1970), Sansoni, Firenze 1974. Il testo ripropone per intero la bibliografia curata da 2642 Cubeddu per l'edizione Sansoni delle Opere di Spaventa, apparsa nel 1972. Si mantengono le stesse scansioni: un’ampia introduzione, seguita da una prima parte sugli scritti di spaventa e una seconda sui testi scritti sulla figura di Spaventa. Si deve aggiungere, inoltre, una appendice dedicata a Spaventa come riformatore di Hegel nella cultura italiana del Novecento, in cui sono presentate le differenti interpretazioni, da quella di Gentile a quella di Vacca, passando per Berti, Garin e Landucci. T. SERRA, Bertrando Spaventa. Etica e politica, Bulzoni Editore, Roma 1974. Il volume, introdotto da una breve presentazione di Negri nella quale si sottolinea l’immanentismo dinamico di Spaventa, mira a ridimensionare il duro giudizio di Benedetto Croce secondo il quale l’autore abruzzese sarebbe stato soltanto un purus logicus, concentrando l’attenzione sul rapporto conoscere-fare. Innanzitutto un tratto essenziale viene individuato nell’attenzione al religioso, benché assunto nell’immanenza del divino: per questo la visione logico-metafisica della mente viene valutata senza perdere la ricchezza dell'orizzonte storico. Si vuole rimarcare l’idealismo di Spaventa, avverso ad ogni degenerazione materialista e determinista, senza dimenticare però la sua attenzione per la scienza e la storia. Se troppo spesso il logicismo hegeliano viene interpretato come foriero di una insuperabile staticità del reale, l’interpretazione spaventiana mostra l’insostenibilità di tale tesi. Eterno è il dualismo che genera e assicura una continua evoluzione sul piano storico, scientifico e politico: in questo senso il dualismo dell’autore è contrapposto al monismo del suo più grande divulgatore e allievo (benché indiretto) Giovanni 2643 Gentile. La seconda parte del testo è dedicata specificamente a problemi di carattere politico, legati soprattutto alla contraddizione tra Stato etico ed purzanitas: il tentativo di divinizzare lo Stato da parte del filosofo di Bomba non giunge mai ad un profetismo metafisico; si mantiene sempre un atteggiamento di grande umiltà nei confronti della storia. Opere psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi alla ricostruzione integrale del pensiero di B. Spaventa: inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti critici, in “Le ragioni critiche”, IV, (1974), pp. 433-490; V (1975), pp. 54-88, 168-198. Il primo articolo si apre con una presentazione di D’Orsi nella quale si rivendica il profilo antidogmatico del pensiero spaventiano, fortemente debitore nei confronti dell’hegelismo; si evidenzia la discontinuità tra il corso del 1863 sulla Filosofia della natura rispetto a quello del ’63-°64 sull’antropologia, che raccoglieva una serie di appunti e di riflessioni cui l’autore non aveva mai dato una forma sistematica. Elemento essenziale del corso, secondo D’Orsi è la distinzione tra la meccanica ripetitività dell'animale e la possibilità di mutazioni da parte dello spirito. Citando un passo di Gentile, dove si presenta Spaventa come uomo dal pensiero tormentato sino agli ultimi giorni di vita, si sottolinea che l’inesausto tentativo di conciliare analisi e critica concerne non solo il suo ruolo di filosofo e di storico della filosofia, bensì anche quello di pensatore che si interroga di fronte ai progressi del pensiero scientifico. Il primo articolo prosegue riportando la prima parte del testo originale di Spaventa dal titolo L’arnzzza universale (pp. 465- 490); i due articoli successivi, riportano il secondo capitolo 2644 Animali e uomo, e il capitolo terzo intitolato Dall’universalità alla particolarità dell'anima. A. ASOR ROSA, La cultura, in AAVV., Storia d'Italia, IV, 2. Dall’Unità ad oggi, Einaudi, Tornino 1975, pp. 821- 1664 e particolarmente pp. 821-999. Spaventa viene citato, insieme a Villari, come uno dei maggiori responsabili della rinascita di Campanella e Bruno (p. 844). Asor Rosa presenta anche un breve estratto di Spaventa tratto dagli Studi sopra la filosofia di Hegel (p. 852), ma il tema cardine rimane l'influenza dell’autore abruzzese nel dibattito sull’hegelismo all’interno della Destra storica (p. 881-882): alla sintesi speculativa per un certo verso raggiunta tra il sistema hegeliano e il liberalismo di sicuro non seguì una attuazione pratica e politica. M. A. RASCHINI, L’idealismo anglosassone, francese e italiano, in Grande antologia filosofica, vol. XXII, Il pensiero contemporaneo, Milano 1975, pp. 607-614. Spaventa è qui presentato come autore di grande vigore, all’insegna della continuità tra Kant e Hegel, a differenza di Vera. L’opera di Spaventa viene giudicata come fenomenismo che tuttavia non riuscì né a rinnovare il sistema hegeliano, né ad instaurare un proficuo dialogo con il positivismo. L. GENTILE, La Scolastica, Cartesio e Bertrando Spaventa, in “Filosofia” 1975; 26; pp. 139-148. Dal parallelismo tra Cartesio e Spaventa, entrambi contestatori della scolastica, ma altresì allievi dei Gesuiti, 2645 Gentile individua proprio nel dualismo intelletto-verità il luogo di dissidio tra Spaventa e la filosofia scolastica. Rivendicando il ruolo attivo del soggetto e l’immanenza del reale, Spaventa critica aspramente la prova ontologica di Anselmo preferendovi quella cartesiana, benché anche quest’ultima risulti imperfetta. Gentile tende a rilevare che il punto di vista dal quale Spaventa polemizza contro la Scolastica prima e Cartesio poi, può inficiare la validità stessa della critica, dal momento che l’idea di Dio come mediazione assoluta non sarebbe accettata da nessuno dei due avversari. V. CAVALLO, Note sulla cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, in “Protagora”, 1976, pp. 7-50. L’ampio articolo di Cavallo tratteggia per sommi capi il panorama culturale napoletano, all'insegna di una rivisitazione del ruolo e della figura del De Sanctis, mediante la quale si rivaluta anche Spaventa, De Meis, Vera, Imbriani e Villari. Concentrandosi sul libro di Oldrini del °73, del quale si sottolinea la visione organica che evita di proporre trattazioni isolate dei diversi autori, un ruolo di primo piano viene ravvisato nell’analisi dell’arretratezza culturale di Napoli nell’ultima parte del XVIII secolo, dovuta alla mancanza di personalità di spicco e ad una ripresa dell’autorità religiosa appoggiata dai Borboni per evitare il dilagare di movimenti rivoluzionari. Cavallo cita due passaggi di Spaventa sul tema della rivoluzione proprio per rilevarne la stretta relazione con la filosofia hegeliana, presente già negli anni ‘40 e affermata definitivamente solo negli anni ’60. L’articolo si conclude sottolineando la reinterpretazione in chiave speculativa del darwinismo offerta da Spaventa. 2646 D. D'ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Lezioni di antropologia, Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1976, pp. 2-70. Per avvalorare l’immenso lavoro filologico svolto sulle carte Spaventa al fine di correggere in alcuni tratti la versione gentiliana, D’Orsi ricorre ad una vera e propria comparazione dei luoghi in cui sono poste le differenze più significative, con l’intento di rilevare che la tensione al vero, anche in un senso filologico, contribuisce a mantenere aperto il sistema spaventiano. Oltre all’analisi di alcune interpretazioni storiche offerte da Spaventa, l’attenzione si concentra sugli effetti che il materialismo provocava nel filosofo abruzzese, sempre impegnato nell’affermare una discontinuità tra natura e spirito, non certo nell’ottica di una separazione tra le due sfere, ma nella consapevolezza che la nascita della coscienza non potesse essere spiegata in soluzione di continuità rispetto alla natura animale. S. LANDUCCI, Hegelismo e positivismo in Italia, in AAVV., Storia della filosofia contemporanea, vol. IX, Vallardi, Milano 1976, pp. 365-398. L’intervento di Lancucci si apre con una rassegna della traduzione spiritualistica, cui segue la trattazione dell’hegelismo napoletano, capitolo nel quale si nominano oltre a Passerini, Spaventa, De Meis e Vera, anche gli eredi di quella tradizione come Jaja e Gentile. Un'attenzione particolare è dedicata a Spaventa e al suo primo corso napoletano nel quale viene presentata in forma compiuta la teoria della circolazione. Gli inizi della ripresa del pensiero scientifico sono affrontati proprio attraverso la figura di 2647 Spaventa che nel ’67 individua proprio il positivismo ed il materialismo quali nuovi avversari dell’idealismo al posto dello spiritualismo. Si accenna ‘anche alla polemica sull’eredita di Galilei, nominando la figura di Villari e Gabelli. Le sezioni successive sono dedicate al pensiero di Ardigò in connessione alla morale dei positivisti, alla psicologia e all'evoluzione cosmica. Sergio Landucci conclude con la presentazione della cultura positivistica e con il marxismo di Antonio Labriola, di cui si ricorda l'appartenenza alla scuola spaventiana. G. VILLA, Bertrando Spaventa in Piemonte (1850- 1859), in “Studi piemontesi”, V, 1976, pp. 53-68. La breve rassegna del clima culturale del Piemonte degli anni ‘40, in cui si evidenzia la censura di giornali e libri, le difficoltà di Gioberti, il domino incontrastato di Rosmini, contribuisce a mostrare perché l’attività di Spaventa si stata particolarmente tormentata durante il decennio torinese. Lo scontro con il teismo di Bertini farà di Spaventa il campione della nuova filosofia hegeliana, sui principi della quale giungerà a proporre persino una modifica dello Statuto, in nome dell’istanza nazionale. Già negli scritti del ‘54-55 il filosofo abruzzese studia le relazioni tra Risorgimento italiano e idealismo tedesco; individuando nella libertà assoluta il principio della modernità, Spaventa potrà avvalorare la tesi di un pensiero italiano costretto in catene nel XV secolo e rinato in Germania nel XIX secolo. In questa ottica sono collocate le dispute contro la logica di Rosmini, il teismo di Schelling e la disputa con i Gesuiti. L. MALUSA, La storiografia filosofica italiana nella seconda metà dell'Ottocento, I Tra positivismo e 2648 neokantismo, Marzorati, Milano 1977. L’ampio volume di Malusa contiene una prima parte interamente dedicata alla scuola di Bertrando Spaventa e a Francesco Fiorentino. Di Spaventa si parla già nell’Introduzione (pp. 50-54), individuando nella sua opera uno dei maggiori contributi all'elaborazione dell’hegelismo. Degno di nota è il fatto che, insieme a Gentile e Fiorentino, Spaventa è l’autore più citato nel testo di Malusa. I primi due capitoli della prima parte, esplicitamente incentrati su Spaventa (pp. 71-95), lo presentano come il maggior pensatore del Meridione della seconda metà dell'Ottocento: indubbi restano i meriti per aver elaborato la tesi della circolazione del pensiero italiano. Il compito di aggiornare il dibattito e la cultura della penisola per dare vita ad una unità autentica viene considerato sia un impegno speculativo, sia una missione civile. Spaventa, che combatteva senza posa il dilettantismo e ogni tendenza divinatoria, non pretese mai di aver concluso la scienza, ma si sforzava sempre di sviluppare una critica capace di riaprire il sistema. Se è vero che nessun allievo seguì Spaventa sulla via troppo ardua di una storiografia speculativa, si deve ammettere che la serietà speculativa dei suoi discepoli, pur allontanando i consensi, mantenne vivo il suo pensiero, ancorché in un circolo assai ristretto di pensatori. P. PICCONE, From Spaventa to Gramsci, in “Telos. A Quarterly Journal of Radical Thought”, n. 31, 1977, pp. 35-65. Nel tentativo di far risalire le influenze esercitate sul pensiero di Gramsci non più soltanto ad Antonio Labriola, 2649 ma all’hegelismo napoletano della seconda metà del XIX secolo, l’autore mostra quale peso abbiano avuto le speculazioni di Bertrando Spaventa sullo storicismo assoluto di Gramsci, poco incline alle grandi astrazioni, incapaci di cogliere la multidimensionalità della vita reale. Dopo una rapida panoramica sulla ricezione di Hegel in Europa, ad esempio in Gran Bretagna grazie ai lavori di William James, Stirling e Green, si sottolinea come in Italia l’hegelismo abbia avuto un impatto non solo accademico, ma socio politico assai profondo. Per sottolineare il legame Spaventa- Gramsci si cita la famosa lettera dell’8 ottobre del 1851 in cui dice di temere di più le idee e l'influenza del papato che non i cannoni austriaci. Il pensiero hegeliano, giunto in Italia grazie alla mediazione francese (viene citato naturalmente il nome di Victor Cousin) fu bollato subito come pensiero della Rivoluzione francese, precursore dell’ateismo e del socialismo: contro questa tesi si è battuto Spaventa, cercando di mostrare la continuità tra il Rinascimento italiano e l’idealismo tedesco. Se è vero che il nazionalismo spaventiano verrà poi strumentalizzato da Gentile e dal fascismo, è anche vero che la tesi della circolazione del pensiero era l’unico modo per non presentare Hegel come pensatore straniero “piovuto dal cielo”, come afferma Piccone. Il parallelismo Spaventa- Gramsci viene ribadito sottolineando che entrambi hanno vissuto il fallimento di una rivoluzione, hanno cercato di interpretare la sconfitta in senso concettuale negli anni successivi, e sono stati apprezzati soltanto due decenni dopo la morte. L'articolo si conclude sottolineando la differenza tra hegelismo ortodosso di Vera e hegelismo critico di Spaventa, continuato idealmente da Gramsci. A. SAVORELLI, Da Darwin a Vaihinger; scienza e 2650 filosofia nell'ultimo Spaventa, “Atti dell’Accademia di scienze morali”, Napoli, LKXXVIII, 1977, pp. 57-80. Tema di fondo dell’articolo è la volontà spaventiana di garantire alla metafisica una funzione all’interno dello studio scientifico. Nonostante la fase sistematica si fosse già conclusa negli anni ’60, sarebbe errato interpretare il cedennio successivo se non alla luce di una esigenza di sistematicità. Lo stesso antipositivismo cui si ispira da principio il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” non mirava alla rigida contrapposizione, bensì a mostrare lo sviluppo interdipendente di filosofia e scienza. Savorelli sottolinea come gli appunti di Spaventa testimonino la lettura di Leclair, Schuppe, Goring, Bagehot e Vaihinger, quest’ultimo in particolare criticato proprio perché le sue categorie empiristiche potevano essere ottenute mediante un procedimento dialettico. L’esigenza del fenomenismo di Vaihinger di trovare la legge fondamentale della realtà contraddiceva, secondo Spaventa, l’idea della sensazione come posizione assoluta. La rivisitazione persino dell’evoluzionismo in chiave hegeliana mostra un intento preciso: eliminata la trascendenza, si doveva recuperare una prospettiva teleologica per non cedere al mero determinismo meccanicistico. Savorelli segnala come l’attenzione alla scienza verrà segnalata anche dal Gentile, per il quale però soprattutto certe tematiche non costituiscono più motivo di interesse. C. CESA, Hegel in Italien. Positionen im Streit um die Interpretation der Hegelschen Rechtsphilosophie, in “Allgemeine Zeitschrift fur Philosophie”, 1978, a. III, n.2, pp. 1-21. 2651 A differenza che in Francia, in Italia lo studio dell’hegelismo fu recepito solo all’insegna del rinnovamento della nazione e dell'idea di Sato. La prima traduzione italiana di Hegel apparve in Svizzera e solo nel 1848 i Lineamenti di filosofia del diritto furono tradotti a Napoli, città simbolo degli studi hegeliani in Italia. Dopo aver rilevato che in Spaventa e De Meis la perspicacia speculativa si univa ad una incapacità pratica (ovviamente diverso è il giudizio su De Sanctis), Cesa mostra a quali opere si deve la diffusione del pensiero politico di Hegel. Si sottolinea la l’attività giornalistica di Silvio Spaventa, anche al fine di dimostrare la differenza di opinione dei due fratelli sul concetto di Rivoluzione. Dopo aver analizzato l'influsso e la diffusione del pensiero hegeliano sulla prima generazione (significativi in tal senso gli accenni al pensiero di Vera), ci si concentra sulla seconda generazione, in particolare su Croce e Gentile. D. D’ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Psiche e metafisica, Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, 1978, pp. VII-CXVII. Nell’introduzione al volume D’Orsi sottolinea le significative variazioni al testo spaventiano in seguito al suo lavoro filologico, anche attraverso una valutazione comparata con i testi editati dal Gentile e utilizzati poi da Cubeddu nella edizione del 1972. Si sottolinea la sfortuna delle vicende editoriali di Spaventa, benché in chiave filosofica si possa interpretare questo fenomeno come tensione che anche a livello filologico e non solo contenutistico contribuisce a mantenere aperto il sistema. Venendo specificamente al testo, Spaventa appariva turbato dal materialismo, a motivo del fatto che l’anima doveva 2652 essere mantenuta come garante dell'unità organica e sistemica del mondo spirituale. La continuità scimmia-uomo era un elemento inaccettabile per l’autore abruzzese, sempre preoccupato di opporre al mero meccanicismo l’idea di una unità viva, tipica della concezione organicistica. F. TESSITORE, Bertrando Spaventa e il “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, Bibliopolis, Napoli 1978. Presentando le vicissitudini dell’organizzazione si un giornale filosofico a Napoli, tentativo più volte fallito e più volte tenacemente ripetuto fino alla sua definitiva riuscita, soprattutto in risposta alla “Nuova Antologia” nata a Firenze nel 1866, Tessitore si concentra sulle polemiche suscitate dall’articolo piuttosto polemico di Spaventa sulla Vita di Giordano Bruno scritta dal Berti nel 1867. Elemento essenziale per comprendere il senso e l’intento con cui venne fondato il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” è comprendere l’espressione di Spaventa secondo il quale si rendeva necessario “ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica”. Al termine del volume sono inserite sei lettere di Spaventa (Carte Fiorentino, 8c, busta 63) e quattro lettere di Vittorio Imbriani (Carte Filosofiche, busta B 2/5). G. BRESCIA, Editori e autori dell’idealismo. LL Bertrando Spaventa postumo nel carteggio del fratello Silvio, Donato Jaja e Benedetto Croce, in “Rivista di studi crociani”, XVII, 1, gennaio-marzo, 1980, pp. 68-76. L’articolo rileva come alla complicata vicenda della stesura degli appunti da parte di Spaventa, che secondo Gentile scrupolosamente scriveva i suoi testi senza mai 2653 pubblicarli, sia seguita una seria problematica anche nell’editarli. Il Loscher fu editore soltanto di nome, perché l'onere della pubblicazione dei manoscritti di Spaventa fu assunta dal Vecchi di Trani, con il quale si avviò una fitta corrispondenza da parte di Silvio Spaventa, Jaja e Croce. Il travaglio editoriale angustierà Spaventa e Croce per tutto l’87, anche a motivo dello smarrimento della pagina ventuno del manoscritto nella tipografia del Vecchi, puntualmente ricordata da Brescia. R. FRANCHINI, La storiografia filosofica da Spaventa a Gentile, in “Nord e Sud”, 1980, pp. 131-146. Ora in I/ diritto alla filosofia, SEN, Napoli 1982, pp. 229-249. La “Rivista di filosofia” avviata da Silvio Spaventa viene considerata da Franchini come anticipazione della teoria della circolazione che sarà poi affermata con ben altro tenore dal fratello Bertrando quasi vent'anni dopo. Anche Silvio, non solo Bertrando, vedeva una strettissima connessione tra la rinascita della tradizione filosofica e la rinascita nazionale. Introdurre Hegel all’interno del dibattito filosofico italiano rappresentava un azzardo, a causa delle forti resistenze del neoguelfismo e del neotomismo; l’unico modo per inserire l’idealismo tedesco in Italia, rendendolo accettabile senza farlo percepire come elemento straniero, consisteva nel rivalutare il pensiero rinascimentale italiano come anticipatore degli sviluppi della filosofia moderna. In particolare Bruno come antesignano di Spinoza ed Hegel da una parte e Vico come precursore di Kant dall’altra. Si ricorda anche lo sfortunato episodio del rifiuto dell'editore Le Monnier di pubblicare l’opera di Spaventa su Bruno, nonostante l’influenza e l’insistenza del Villari. Nazionalità e precorrimento sono i tratti tipici del 2654 pensiero di Spaventa secondo Franchini. La seconda parte dell'intervento riguarda Gentile e la sua assimilazione del concetto di storia della filosofia mutuato da Spaventa, che tuttavia non viene mai citato esplicitamente: Gentile attribuirà piuttosto molto peso all’influenza di Windelband. Il saggio si trasforma poi in una valutazione del pensiero stesso di Gentile, il cui errore principale, secondo Franchini, sarebbe stato quello di non aver distinto tra teoretica e pratica, tentando di mostrarne la profonda identità. G. MICHELI, Scienza e filosofia da Vico ad oggi, in Storia d’Italia-Annali, 3. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento ad oggi, Einaudi, Torino 1980, pp. 549-675. Alla figura di Spaventa sono dedicate alcune pagine in cui si tratta la sua critica ai principi della filosofia vichiana sulla scorta del pensiero hegeliano (pp. 582-585). Si accenna anche alla sua teoria della nazionalità della filosofia, rimasta in Gentile. Forse un po’ troppo sbrigativamente si annovera il pensatore abruzzese tra coloro che adattarono il pensiero kantiano ed hegeliano alla cultura napoletana, in parte tradendone gli effettivi contenuti. Brevi cenni sull’attività di Spaventa sono presente anche nella trattazione del rapporto tra Illuminismo e positivismo. A. SAVORELLI, Le carte Spaventa della biblioteca nazionale di Napoli, Bibliopolis, Napoli 1980. Il preziosissimo lavoro di catalogazione delle carte Spaventa eseguito da Savorelli trova una testimonianza editoriale in questo volume nel quale l’autore lamenta l’incompiutezza del lavoro fino a quel momento eseguito 2655 sulle carte ed in generale mostra il livello di dispersione dei lavori del filosofo abruzzese, dovuto non tanto, come voleva il Gentile, alla sua attività pubblicistica su giornali e alla mancata pubblicazione in vita dei suoi studi, quanto piuttosto ai litigi occorsi tra il fratello Silvio e il figlio Camillo. Un secondo momento di dispersione riguarda il periodo successivo alla morte del Maturi. Si accenna anche al ritrovamento di alcune carte presso la Biblioteca civica “A. Mai” di Bergamo da parte di Masini nel 1959. Sicuramente, però, la situazione più complessa è legata alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Se si tiene conto del lavoro filologico di Jaja, Masci e Maturi, oltre a quello di Gentile (che sicuramente occupa un posto di eccezione nella riscoperta del pensiero di Spaventa) e quello di D’Orsi nel dopoguerra, risulta frustrante che vi siano ancora delle notevoli lacune nello studio dell’autore: soprattutto per quanto riguarda il periodo precedente al 1850 e il primo periodo di Torino. A. GUZZO, Hegel in Italia, in “Filosofia”, XXXII, 1981, 4, 497-506. Nell’articolo l’importanza del Cousin per la diffusione di Hegel in Italia viene avvalorata dall’interesse del Galluppi per l’intellettuale francese. Non si dimentica la lettura di Hegel da parte di Rosmini e Gioberti, ma ci si concentra soprattutto sullo studio dell’autore tedesco, approfondito a più riprese, da parte di Spaventa: da Torino, a Modena, a Napoli. Guzzo collega la lettura di Spaventa alla nuova corrente europea inaugurata dallo Zeller con la formula “Zurick zu Kant”; in dialogo ed in polemica con questa tesi, Spaventa non accentuò mai le differenze, quanto piuttosto la continuità tra Kant ed il movimento 2656 dell’idealismo tedesco. Nella seconda parte dell’articolo l’attenzione si concentra su Gentile e Croce (di cui Guzzo riporta l’incontro con Nyman e Martinetti): le divergenze di pensiero tra i due non intaccheranno la solida amicizia, compromessa solo dopo il delitto Matteotti e la presa di posizione di Gentile a favore del fascismo. G. LANDUCCI, Scienza, cultura e ideologia nello stato unitario, in Storia della società italiana, vol. XVIII, Milano 1981, pp. 201-249. Fin dalle premesse emerge il contributo portato da Spaventa alla riforma dell’università avviata da De Sanctis, precisando l’importanza della prolusione del 10 maggio 1860 e l’opposizione al darwinismo, appoggiata dall’amico De Meis. Due fattori sono individuati come caratteri imprescindibili del pensatore abruzzese: il riferimento alla nazionalità e la strenue lotta contro ogni forma di materialismo. Al positivismo dilagante De Sanctis e Spaventa opposero la validità della critica e della dialettica come metodo del conoscere. La presentazione della riforma intellettuale avviata dal De Sanctis precede una disamina dello scritto postumo Esperienza e metafisica, nel quale si ribadiva il rifiuto ad ogni concezione che affermasse l’inconoscibilità o peggio l'assenza dell’assoluto. Spaventa al termine è definito “l’intelletto filosofico più dignitoso che l’Italia unita aveva avuto” (p. 248). A. SAVORELLI, Alla vigilia di un centenario dieci anni di studi su Bertrando Spaventa (1971-1981), in “Cultura e società”, 1982, pp. 113-118. Nel suo breve articolo Savorelli ripercorre le linee guida 2657 della diffusione del pensiero di Spaventa, dominata per tutta la metà del XX secolo dalle tesi gentiliane, criticate soltanto nel secondo dopoguerra da interventi militanti, con l’intento di recuperare la linea Spaventa-Labriola-Gramsci. Il lavoro di Teresa Serra del ’74 mostra già l’infondatezza delle interpretazioni marxiste, mentre la lettura di Oldrini è ricordata a proposito della distinzione tra hegelismo ortodosso di Augusto Vera ed hegelismo critico di Bertrando Spaventa. Si accenna all’articolo di Cumis del ’76 sui rapporti tra Spaventa ed Herbart e alle Lezioni di Antropologia curate da D’Orsi. Al termine Savorelli propone la tesi secondo cui l’originalità ed insieme il limite di Spaventa sarebbe stato quello della rinuncia all’eclettismo in favore di un sistema che tenesse insieme le differenze. G. OLDRINI., L’hegelismo italiano tra Napoli e Torino, in “Filosofia”, XXXIII, 1982, p. 247-270. Volontà dichiarata di Oldrini è mostrare la linea di continuità tra il periodo napoletano prequarantottesco e gli sviluppi torinesi, soprattutto in virtù dello stretto rapporto tra la scientificità come metodologia filosofica e la cultura dell’Italia unita, nel senso che si reputava necessaria una trattazione scientifica del pensiero per farne emergere la nazionalità. Oldrini individua nel coscienzialismo di Galluppi e nell’eclettismo di Cousin il retroterra dello sviluppo dell’hegelismo a Napoli; dopo l’esperienza del “Museo di letteratura e filosofia” di Gatti e Cubani, il tenore culturale della città subì, se non un tracollo, per lo meno una drastica involuzione. Il processo di sviluppo dell’hegelismo continuò a Torino, soprattutto grazie all’apporto degli esuli meridionali tra i quali spiccano Spaventa e De Sanctis. 2658 G. TOGNON, Bertrando Spaventa. Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena 1860. (1) e in “Archivio storico bergamasco”, n. 1, anno II, Maggio 1982, pp. 37- 60. L’articolo di Tognon illustra le disavventure della biblioteca dei fratelli Spaventa, trasferita a Bergamo, divisa tra Silvio e il figlio di Bertrando, Camillo, con riferimento alle carte recuperate da Croce e donate alla Biblioteca di Napoli. Si elogia il lavoro di riordino e catalogazione di Savorelli. Si riporta poi il testo parziale delle lezioni di “Filosofia del diritto” e di “Storia della filosofia” tenuti a Modena e Bologna. Alla difficoltà nel ricostruite il calendario delle lezioni supplisce una notevole chiarezza del progetto steso da Spaventa all’inizio dei corsi. Si riporta il manoscritto per i primi sei fogli (MM 760/18). G. TOGNON, Bertrando Spaventa. Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena 1860. (2) in “Archivio storico bergamasco”, n. 2, anno II, Novembre 1982, pp. 275-290. La brevissima introduzione di Tognon ribadisce l’influenza di Hegel sulle lezioni di Spaventa, in particolare l’Hegel della Fenomenologia e dei corsi sulla Filosofia della storia. Spaventa coglie l'occasione per sottolineare che in Italia manca completamente la coscienza del diritto. Secondo Tognon “mai filosofo straniero divenne più italiano di quanto lo fu lo Hegel dello Spaventa”. Segue lo scritto di Spaventa che completa la pubblicazione del Maggio ’82. (MM 760/18 e MM 760/22). A. SAVORELLI, Note sul Vico di Bertrando Spaventa, 2659 in “Bollettino del Centro Studi Vichiani”, 1982-83, 12-13; pp. 101-130. Vico costituisce un caso quasi unico di riscoperte e abbandoni continui da parte degli studiosi, ed è in questo senso che Gentile poteva parlare di storia a doppia faccia, di sporadici omaggi in uno sfondo di completa dimenticanza. Merito di Spaventa è quello di aver rivalutato la figura di Vico agganciandola al panorama europeo, in quanto precursore dell’idealismo. Savorelli tende comunque a ridimensionare l’importanza della lettura spaventiana di Vico, in quanto si appoggia in larga misura a canoni e modelli di critica vichiana ottocentesca; la stessa lezione VI del corso del 61-62, dedicata a Vico, sembra inserita di getto in uno schema completamente indipendente ed autonomo. Savorelli riconosce, d’altra parte, il ruolo essenziale che la lettura di Vico ebbe nello sgretolamento delle teorie hegeliane sulla filosofia della storia: nel frammento del 1875 Spaventa giunge a considerare addirittura Vico e non Hegel come filosofo della storia. La crisi dell’idealismo cui Spaventa assiste nell’ultimo decennio della sua vita lo portò a rivalutare Vico, ma non come radicale critica dello Hegel, bensì piuttosto come interpretazione alternativa della filosofia della storia che tuttavia mantiene imprescindibile la distinzione tra mondo della natura e mondo dello spirito. M. BISCIONE, Rinascimento, Riforma, Restaurazione cattolica nel pensiero di Bertrando Spaventa, in “Clio”, XIX, 1983, pp. 277-288. A partire dalla scarsa diffusione all’estero come tratto che accomuna l’opera di De Sanctis e di Spaventa, Biscione tenta una messa a fuoco del personaggio in quanto storico 2660 della filosofia, anche per smarcarlo dall’interpretazione in chiave esclusivamente idealistica proposta da Gentile e dominante almeno per tutta la prima metà del Novecento. Se da un lato hanno un valido fondamento le critiche del Croce relative ad una trascuratezza da parte di Spaventa verso i dettagli storici in favore della prospettiva teoretica, bisogna precisare che non si tratta di puro razionalismo, bensì piuttosto di una fede moderna nella storia. Benché si tenda ad accentuare l’influenza di Michelet e di Mazzini, non si può negare una larga concessione nei confronti delle suggestioni hegeliane. La filosofia della storia proposta da Spaventa coincide, in sostanza, con la teoria della circolazione del pensiero italiano: ruolo principale è svolto dalla figura di Campanella, senz'altro tra le più studiate da Spaventa, insieme a quella di Bruno. L’interpretazione che Spaventa propone del Rinascimento e della restaurazione cattolica assume una notevole distanza rispetto alle teorie hegeliane, anzi, per certi versi le sue tesi sulla soggettività liberata anticipano di qualche anno le tesi di Burckhardt. Dal lavoro di Campanella del 1854, che l’autore definisce poco più che una osservazione supportata da alacre speranza, furono necessari anni di studio prima di giungere alla teoria della circolazione intesa come autentica metafisica della storia. E. GARIN, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, Bibliopolis, Napoli 1983. Il testo di Garin si apre con la citazione di una lettera del Labriola che informa Engels della connessione trovata da Spaventa tra hegelismo e darwinismo già nel 1864. Se è vero che negli sviluppi successivi della tradizione hegeliana la nottola lascia il posto alla talpa che trasforma il terreno 2661 lavorando nel sottosuolo, risulta inefficace l’idea di Passerini secondo la quale la filosofia della storia di Hegel non tiene conto del futuro: piuttosto lo spirito che si diffonde nel mondo mostra il potere del concetto che vuole ricreare la realtà. Garin precisa che Spaventa non tradì mai il suo autentico maestro, lo Hegel, a differenza di quanto accadde per il De Sanctis, cui Hegel aveva “seccata l’anima”: l’interpretazione originale del pensiero hegeliano, mai allinsegna di una mera ripetizione meccanica, portò Spaventa ad utilizzare gli strumenti della dialettica per ribadire l’importanza dei due soli (Rinascimento italiano e Idealismo tedesco) e per legittimare l’intima affinità tra i due, accomunati da una intrinseca avversione a qualsiasi forma di dogmatismo. In appendice è riportato un intervento di Tognon, la prolusione bolognese, di cui si sottolinea una correzione di data (30 aprile e non 10 maggio come si riporta solitamente) e infine una lettera di Bertando Spaventa al fratello Silvio datata 27 ottobre 1859. G. OLDRINI, U/tizzi contributi alla storia della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXXVIII, 1983, pp. 325-357. Mostrando l’interconnessione tra la storia della vita reale e la storia della cultura nella Napoli dell'Ottocento, Oldrini si sofferma sul centralismo della classe dirigente italiana e sulla malformazione dello sviluppo del meridione come fattori della crisi della città negli anni ’30. Oldrini lamenta numerose lacune della storiografia sulla pubblicistica e sul vichismo napoletano, contestando la tesi di Broccolini, secondo cui Spaventa sarebbe un epigono di Finamore. Veri snodi critici sono i legami tra hegelismo e Destra storica da 2662 un lato e ridimensionamento dell’hegelismo e del vichismo in favore del positivismo dall’altro. Per questi motivi si apprezza il monumentale lavoro di Malusa del ‘77, dedicato al positivismo e al neokantismo, benché alcuni limiti siano rintracciati per esempio nell’eccesso di analisi espositive e in alcuni difetti di interpretazione sul pensiero del Fiorentino. R. FRANCHINI, Cozze riscoprire Bertrando Spaventa, Il Tempo, Roma 20/2/1983. Di contro all’interpretazione comune di Bertrando Spaventa come bieco immanentista, Franchini rivendica tutto il criticismo del filosofo abruzzese, sottolineando che “non credette mai all’unicità e alla definitività della costruzione hegeliana”; oltre allo straordinario sforzo di chirificazione del pensiero di Hegel, si deve aggiungere la capacità di elevare il dibattito italiano ai livelli di quello europeo, tratto che dovrebbe delegittimare ogni tentativo di interpretare la sua esperienza filosofica all’insegna del provincialismo. Alla base del pensiero spaventiano Franchini individua l’unità del sapere, esposta nella prolusione del 1862. G. MARTANO, Bertrando Spaventa e la filosofia del Rinascimento, in “Discorsi”, 1983, pp. 266-278. La nomina di Bertrando Spaventa a Professore di Logica e Metafisica dell’Università di Napoli, voluta da De Sanctis, scandalizzò il resto del corpo docente, a causa dell’elogio del panteismo germanico proposto dal filosofo abruzzese: suo autentico obiettivo, d’altro canto, era mostrare l’intima affinità tra il pensiero idealistico tedesco e quello rinascimentale italiano. L’assunzione della realtà soltanto nel 2663 suo essere pensata costituiva il nucleo dell’insegnamento spaventiano, per cui Cusano, Valla, Pomponazzi, Telesio e lo stesso Leonardo con il suo richiamo alla “sperienza” dovevano essere visti quali precursori di Kant ed Hegel. Privilegiato fu il rapporto con Bruno e Spinoza, che Spaventa associò tra loro, ma non sulla base di interpretazioni teologizzanti. Da ultimo Campanella viene certamente considerato come filosofo della Restaurazione cattolica, ma non di può dimenticare il suo senzzr di sentire, l’importanza del ruolo della soggettività, benché ancora compromesso da un residuo naturalistico. Il carattere precursore di Vico rispetto all’idealismo tedesco è dichiarato da Spaventa con il preciso intento di mostrarne le affinità nella trattazione del materiale storico. Tutto questo percorso deve essere valutato alla luce della profonda fede che Spaventa nutriva verso il progresso, alimentato da costanti e continui sforzi umani. P. DI ATTILIO, Rivoluzione, partiti politici e stato nazionale. Nuovi testi di Bertrando Spaventa, Giuffrè, Milano 1983. Il primo capitolo del libro analizza la formazione del giovane Spaventa, riferendosi all’influenza di padre Testi al monastero di Montecassino; proprio in quegli anni emerge già una vocazione più pratica del fratello Silvio rispetto all'anima teoretica di Bertrando. Il capitolo secondo si concentra sulla prolusione di Modena del 1859, dove si mostrava la nuova scienza storica in contrapposizione al puro arbitrio della libertà da un lato e alla bieca necessità meccanicistica dall'altro. Nella disamina degli articoli pubblicati sul “Progresso”, all’interno del capitolo terzo, si sottolinea l’importanza e la superiorità delle idee nel creare 2664 l’unità, laddove al Dio Cannone veniva contrapposta la Dea Ragione. A. SAVORELLI, Riforma della dialettica, riforma del sistema: crisi e trasformazioni dell’'hegelismo in Spaventa (1861-1883), in B. SPAVENTA, Esperienza e metafisica, Napoli, Morano, 1983, pagg. 7-80. Savorelli sottolinea che la prima fase degli anni ’60 è legata ad un utilizzo della filosofia hegeliana nel senso di una filosofia della storia che attraverso la teoria della circolazione del pensiero italiano consolida su basi metafisiche l'indipendenza e l’unità d’Italia, mentre invece già dalla seconda metà degli anni ’60 sino al 1883 Spaventa dovette affrontare la cosiddetta crisi dell’idealismo (già un quegli anni lo Zeller si faceva promotore dell’esigenza di ritorno a Kant). I temi sollevati dalle teorie di Darwin e dal positivismo imponevano un serio confronto con il sistema della dialettica: il progressivo sgretolamento del sistema comportò per Spaventa non un abbandono del pensiero hegeliano, quanto piuttosto il consolidamento di un nucleo originario di verità metafisiche idealistiche, non certo nel senso di una rigidità dogmatica, quanto piuttosto di apertura del sistema a nuovi sviluppi che tuttavia, lungi dallo smentire, contribuivano a confermare la logica dialettica correttamente interpretata. M. LEOTTA, La filosofia di A. Tari, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1983. In particolare pp. 17-84. L’opera, che analizza il pensiero di Tari secondo una triplice scansione, ossia Metafisica, Estetica e Filosofia della natura, prevede un’ampia Introduzione dove si presenta una 2665 biografia molto dettagliata dell’autore: in queste pagine il riferimento a Spaventa è assai frequente. Si ricorda la passione per la matematica che accomunava i due pensatori, l'amicizia nata nel soggiorno a Montecassino nel soggiorno tra il ‘38 ed il ’40, durante il quale Tari insegnò a Spaventa i rudimenti della lingua tedesca ed infine la collaborazione all’Università di Napoli dopo la riforma avviata da De Sanctis. Nell’introduzione sono anche riportate due lettere di Tari a Spaventa, la prima datata 18 luglio 1861 e la seconda 30 ottobre 1973, nelle quali si ringrazia il filosofo abruzzese per l’aiuto offerto in occasione della nomina di Tari rispettivamente a Professore straordinario nel 1861 e la ben più sofferta ed attesa nomina del ‘73 a Professore ordinario. Nell’ultima parte dell’Introduzione si riportano anche alcune parti della lettera con cui Tari raccomandava a Spaventa Antonio Labriola, allora giovane studente di filosofia notato da Tari per la sua vivacità intellettuale. D. D’'ORSI, Introduzione a R. H. LOTZE, Elementi di psicologia speculativa, Casa Editrice G. D'Anna, Messina- Firenze 1983. La prefazione di Antimo Negri elogia D’Orsi come il più fedele studioso di Bertrando Spaventa. L’Introduzione di D’Orsi interpreta il binomio Lotze-Spaventa come anticipazione di quella collaborazione tra filosofo e psicologo tanto comune nel Novecento. Di entrambi si sottolinea l’anticonformismo rispetto al positivismo e al materialismo imperanti negli anni ‘70 e ’80. Lotze in Germania e Maine de Biran in Francia adottano una visione non riduzionistica della mente umana, privilegiando l’impenetrabilità dell’intimità dell'anima. Il recupero di un'ottica speculativa e metafisica, precisa D’Orsi, implica 2666 una ripresa della prospettiva teleologica ed una esaltazione della valenza critica della soggettività. L’affinità elettiva e speculativa tra Bertrando Spaventa e Lotze è dovuta al medesimo atteggiamento di rifiuto della trascendenza e insieme di rifiuto del mero materialismo; nel caso di Spaventa D’Orsi sottolinea quanto la vicenda personale di Spaventa, che è stato prete per circa un decennio prima dell’esilio torinese. Questa psicologia speculativa — secondo D’Orsi — appare quale autentico gioiello speculativo. All’Introduzione segue la traduzione di Bertrando Spaventa degli Elementi di psicologia, preceduta da una serie di appunti e preliminari che costituiscono il materiale preparatorio. R. ROMEO, Cavour e il suo tempo (1854-1861), Laterza, Bari 1984, vol. III, pp. 107-109. Nell’ampio studio di Romeo sulla figura di Cavour, articolato in tre libri, alcune pagine dedicate esplicitamente a Spaventa si trovano nell’ultimo volume, dove lo si presenta come autore di una nuova interpretazione di Hegel come filosofo dell’innovazione, contro le tesi che circolavano a Napoli prima del ’48 per cui il filosofo tedesco era considerato filosofo del fatto compiuto. Altri cenni sporadici a Spaventa riguardano la sua attività di scrittore su “Il Cimento”, assieme a De Sanctis (p. 112) ed il suo giudizio negativo sulla situazione piemontese espresso in una lettera al fratello Silvio (p. 381). F. BARONE, Bertrando Spaventa e il positivismo, in “Libro aperto”, A. 5, n. 1 (1984), pp. 25-37. Barone ricorda di aver attraversato il pensiero di Spaventa 2667 nei suoi studi sul positivismo, riferendosi in particolare alle opere psicologiche edite dal Gentile. Prendendo spunto dalla famosa lettera del Labriola ad Engels in cui Spaventa viene presentato come conciliatore tra Darwin e Hegel, Barone concorda con l’opinione di Gentile secondo la quale Spaventa fece sempre i conti onestamente con il positivismo, benché lo stesso Gentile svaluti troppo il ruolo ed il peso della scienza nel suo sistema: certamente il gran valore assegnato alle riflessioni politiche e metafisiche contribuisce a porre in secondo piano il rapporto di Spaventa con la scienza. L’elemento che ogni autore tende a sottolineare, da Cubeddu a D’Orsi passando per Vacca, è la volontà di evitare ogni riduzionismo fisiologico a proposito della psichicità, rivendicando la superiorità dell’atto rispetto al fatto da cui prende avvio ogni analisi scientifica. Barone non risparmia critiche all’interpretazione superficiale dell’evoluzionismo darwiniano proposta da Spaventa, ma concorda sull'efficacia e l’attualità delle analisi critiche di Spaventa ai concetti utilizzati dalla fisiologia. L'articolo confluirà poi nel volume Dalla scienza della logica alla logica della scienza. F. FOCHER, Spaventa di fronte al positivismo, in “Criterio” 1984, pp. 46-61. Dopo aver presentato Spaventa come uno di quegli intellettuali convinti che la propria epoca coincidesse con la piena manifestazione del regno dello Spirito, Focher precisa che le riflessioni del filosofo abruzzese, nel tentativo di rendere popolare Hegel e non volgare, come scrisse al Villari, risultano ancora assai attuali sul piano politico, molto meno su quello scientifico, a causa delle grandi novità della scienza del XX secolo. Per recuperare il valore della 2668 critica spaventiana al positivismo, si deve quindi porre in risalto il valore che assume l’uomo nel contesto storico: la storia è positivismo, è l'assoluto fare umano. In questa chiave è possibile vedere in Spaventa un elemento di stringente attualità in quanto esalta l’uomo in quanto essere libero e assoluto. L’articolo di Focher sarà inserito tra gli interventi che compongono il libro Dalla scienza della logica alla logica della scienza. A. SAVORELLI, Hegel e Gioberti: Prime reinterpretazioni e revisioni in Bertrando Spaventa, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 1984; 14 (4), 1415-1439. Il rapporto tra Spaventa e Gioberti ha subito numerose modifiche nel corso degli anni: Savorelli rileva che al superamento di una lettura e di una comprensione generica dell’hegelismo segue una rivalutazione da parte di Spaventa del pensiero italiano ed in particolare di Gioberti. Se è vero che nel ‘49 Gioberti viene denigrato da Spaventa, già nel ’55 si assiste ad una parziali rivalutazione del suo pensiero, in quanto conciliatore della nuova visione del mondo hegeliana con il cattolicesimo. Nel ’57, tuttavia, Gioberti è di nuovo “un fanfarone” e soltanto negli anni ’60 ‘anche per consolidare la tesi di circolazione del pensiero italiano Gioberti viene definitivamente rivalutato. Savorelli, tuttavia, non accetta l’idea che l'apprezzamento per il teorico del neoguelfismo sia dovuto solo ad una esigenza del momento, ma tende piuttosto ad inserirlo all’interno di una più vasta operazione di aggiornamento del dibattito filosofico italiano. Gioberti verrebbe rivalutato anche come risposta ad Hegel: la stessa riforma della dialettica mira ad un superamento della dicotomia arbitrio/necessità all’interno della filosofia 2669 della storia. A questo proposito Savorelli avanza l'ipotesi che anche lo Schelling sia stato utilizzato da Spaventa non tanto per confutare, quanto piuttosto per integrare e consolidare le tesi hegeliane. La medesima integrazione e difesa di Hegel avviene sul campo politico: Savorelli tende a precisare che la soluzione individuata da Spaventa in questo campo è il calco di quella attuata sul piano logico e metafisico. AAVV., Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, Pironti, Napoli 1986. Il volume raccoglie una serie di saggi ed è introdotto da Raffaello Franchini con un analisi sui caratteri del pensiero spaventiano in rapporto al tema della nazionalità. Il saggio di Francesco Valentini riguarda il rapporto Hegel-Spaventa in relazione alla Scienza della logica. L'intervento di Italo Cubeddu si concentra sul binomio Gentile-Spaventa e sull'importanza della circolazione a proposito della riforma della dialettica hegeliana. Vittorio Stella contribuisce a mostrare l'influenza di Spaventa sul pensiero di Gentile e di Croce, pur nella diversità delle loro interpretazioni sulla vicenda del filosofo abruzzese. Arturo Martano presenta Spaventa storico della filosofia, la cui teoria della circolazione si muove all’insegna della fede nel progresso della storia (articolo apparso in “Discorsi”, 1983, vedi sopra). Mentre Valerio Verra approfondisce i nessi tra Spaventa ed il trio di logici tedeschi Trendelenburg- Werder-Fischer, Fulvio Tessitore si occupa del nesso decadenza-rinascenza, evidenziando due linee di continuità, Machiavelli-Lutero e Cartesio-Lutero, nella quale si inserisce anche la figura di Galileo. D’Orsi si sofferma sui criteri ecdotici nella ricostruzione filologica del pensiero di 2670 Spaventa. Franco Barone e Ferruccio Focher specificano il rapporto tra Spaventa e la scienza della seconda metà dell'Ottocento (rispettivamente in “Libro aperto” e “Criterio”, 1984, vedi sopra). Girolamo Cotroneo distingue all’interno della scuola spaventiana la direttrice Maturi-Jaja da quella di Tocco e Masci. Roehssen esamina la figura del fratello di Bertrando Spaventa. A questi saggi si aggiungono interventi di Pasquale Socco, Primo Di Attilio, Alessandro Savorelli, Clementina Gily Reda e Giuseppe Brescia. Al termine del volume è presentata una bibliografia di testi scritti tra il 1970 ed il 1983 su Bertrando Spaventa, curata da Savorelli, Rascaglia e Reda, come prosecuzione della bibliografia ragionata di Italo Cubeddu del 1972. 2671 I. CUBEDDU, Da Spaventa a Gentile: Kant e il neotdealismo, in La tradizione kantiana in Italia, Atti del convegno della Società filosofica italiana (Messina 15-17 novembre 1984), Edizioni G.B.M., Messina 1986, I, pp. 325-350. Secondo Cubeddu l’interpretazione del pensiero kantiano offerta da Spaventa dipende nelle sue linee essenziali dalle critiche presenti in Fede e sapere, benché il difetto del dualismo e della “tenerezza per le cose del mondo” non impedisca al pensatore di Bomba di ammirare l’idea dell’unità della coscienza e della sintesi a priori. Assai apprezzato risulta il capolavoro su Gioberti, nel quale Kant, pur non essendo un protagonista assoluto, non è mai relegato al ruolo di semplice comprimario. Passando al Novecento, Cubeddu si sofferma sulla posizione gentiliana che aveva proposto un ritorno da Kant a Hegel, ravvisando nell’intrascendibilità del pensare il guadagno comune di entrambi. A tal proposito si cita il saggio sulla Riforzza della dialettica del 1912, dove si tenta di correggere la posizione kantiana mediante l’hegelismo, corretto esso stesso nel Sistema di logica, nel quale si propone una categoria unica del pensare. Cubeddu precisa come Spaventa non abbia mai compiuto quella riforma neohegeliana di Kant, in quanto non considerò la conoscenza come pura unità analitica della mente. P. MARCHI, Spaventa e Popper, in “Criterio”, 1986, pp. 65-76. Molti sono i preamboli necessari a Marchi per introdurre questo insolito parallelismo: nonostante la diversa, per non 2672 dire opposta, interpretazione che i due autori offrono di Hegel e dell’idealismo tedesco in generale, l’elemento comune ai due pensatori è il rifiuto di qualsiasi prospettiva riduzionistica. Non è certo necessario precisare quanto Spaventa sia sensibile alle sollecitazioni delle scienze del proprio tempo, senza però mai rinunciare all'importanza dell’analisi critica, possibile solo tramite il pensiero filosofico: le sue tesi contrarie ad ogni riduzionismo dell'anima (del pensiero) al semplice cervello o ad un insieme di elementi materiali sono ben note. A partire da un percorso intellettuale decisamente differente, anche Popper si oppone alla “chiusura del mondo fisico”, dimostrandosi non molto lontano, su questo punto, dallo Spaventa di Psiche e Metafisica. Popper, particolarmente, rinvia all'esistenza di tre mondi, quello materiale, quello della coscienza e quello della cultura, interagenti tra di loro, ma di certo non riducibili al primo. Infine, mediante alcune citazioni dall'opera di Popper Lio e #/ suo cervello, si tende a sottolineare come l’autore sia convinto che l’io possieda il cervello e non viceversa, avvicinandosi molto in tal senso alle tesi spaventiane del “senso di sé” come nucleo profondo del pensare. AA.VV., Gli begeliani di Napoli e la costruzione dello stato unitario, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1987. Già nell’Introduzione al volume il ruolo svolto dai fratelli Spaventa assume un'importanza centrale nella costruzione teorica e pratica dello stato unitario. Se il lungo intervento di Croce si riferisce spesso alla figura di Bertrando Spaventa, nella lettera di Strater, pubblicata per intero nel volume, appare evidente l'ammirazione nei confronti del filosofo di 2673 Bomba per aver posto in relazione pensiero italiano e pensiero europeo. La prima parte dell’opera, curata da Saverio Ricci, sottolinea il declino culturale di Napoli causato dalle emigrazioni degli intellettuali nel ’99 e nel ’21; altro elemento cruciale è la sostanziale inefficacia del tentativo di educazione delle masse che portò alla repressione del ‘49. La seconda sezione, di Maria Rascaglia, mostra quale fosse l’arretratezza del Piemonte in campo culturale rispetto a Napoli e quindi le difficoltà di De Sanctis e Spaventa, costretti all’attività di giornalisti. Ben diversa la situazione al ritorno a Napoli dove ai due protagonisti si aggiunge anche la figura di Vera. La terza parte è dedicata alla scuola di Bertrando Spaventa, in particolare a Francesco Fiorentino e Antonio Labriola. Una quarta sezione è dedicata al fratello Silvio. Il volume si conclude con due appendici di Giampiero Griffo e Piera Russo. A. SAVORELLI, Spaventa e Galileo, in Galileo a Napoli (F. LOMONACO e M. TORRINI a cura di), Guida, Napoli 1987, in particolare pp. 469-481. L’intervento di Savorelli tende a precisare che le letture spaventiane e le sue tesi sui precorrimenti, benché segnate da forti deformazioni e distorsioni, rappresentano un contributo originale e sempre innovatore rispetto al dibattito storico-filosofico dell'Ottocento. Galileo non solo non è un autore classico della trattazione spaventiana, anzi, viene citato raramente nei suoi lavori e solo nel 1882 viene studiato in maniera specifica. Spesso Spaventa attenuò il lato di modernità attribuito dalla critica a Galileo, che fu pertanto escluso dalla ricostruzione del pensiero italiano, in quanto considerato un uomo di scienza piuttosto che un 2674 intelletto speculativo; ben nota è la ritrattazione a pochi mesi dalla morte. Essenziale, secondo Savorelli, l’influenza di Natorp nella riscoperta di un Gelileo criticista e non semplice empirista: sotto questa luce Galileo fu assimilato forse troppo frettolosamente da Spaventa alla linea Kant- Hegel, accentuandone alcuni tratti, come ad esempio lo studio dell'a priori che lo distingueva dall’ingenuità dei positivisti della seconda metà dell'Ottocento. Forse eccessive sono le tesi di un Galileo precursore di Kant, anche perché lo studio di Spaventa assume un taglio speculativo più che storico, avendo come obiettivo la confutazione di alcune tesi di Vaihinger. G. OLDRINI, Filosofia e coscienza nazionale in Bertando Spaventa, Quattroventi, Urbino 1988. L’idea che l’assoluto avesse definitivamente perso il proprio carattere trascendente non deve condannare al determinismo immanentista, bensì aprire la strada all’idea della ragione come autentica creatrice di storia. Le due anime che si mostrano in Spaventa, ossia il demone speculativo da un lato e la necessità di una diffusione di Hegel sul piano filosofico e politico, determinano il contrasto con il neotomismo che in quegli anni voleva proporsi, grazie al sostegno di Corinaldi e Liberatore, come autentico erede della tradizione filosofica italiana. Oldrini non manifesta particolare entusiasmo per le continue alterazioni del testo spaventiano dovute a ricerche filologiche proposte da D’Orsi e sottolinea che il cuore del discorso dell’abruzzese era l’affermazione dell’hegelismo di contro al cattolicesimo neotomista. Nel volume sono presenti interventi di Alessandro Savorelli, Franco Ottonello, Luciano Malusa, Guido Oldrini, Giuseppe 2675 Tognon, Giovanni Mastroianni e Roberto Racinaro. F. TESSITORE, M:nghetti, Spaventa De Sanctis: le trasformazioni del liberalismo, in AAV., Marco Minghetti statista e pensatore politico dalla realtà italiana alla dimensione europea, R. GHERARDI e N. MATTEUCCI (a cura di), Il Mulino, Bologna 1988, in particolare pp. 47-66. Nella triade citata il nome Spaventa si riferisce al fratello Silvio, ma la perspicacia di alcune analisi lasciano intravedere un pensamento profondo della forma Stato, nel quale non si può non ravvisare l’influenza del pensiero del fratello Bertrando. La posizione di Silvio è riassunta mediante alcune citazioni sull'unità di Italia e la necessità di una forte attività amministrativa, che si conciliava non molto bene con le tesi di Minghetti di restringimento dei compiti dello Stato. Tessitore assegna a De Sanctis il maggior rigore nel trattare la contraddizione tra libertà e governo, nella quale si ravvisa il pericolo della decadenza della cultura e dello spirito d’iniziativa della neonata nazione italiana. F. OTTONELLO, Pasquale Galluppi nell’ “infedele” interpretazione di Bertrando Spaventa, in “Rivista Rosminiana di Filosofia e Cultura”, 1988; 82 (1), pp. 41- 50. L'infedeltà dello Spaventa, “senza cui non si viene a capo di nulla”, è presente anche nel commento alla filosofia del Galluppi, che il filosofo di Bomba strappò dall’oblio in cui era piombato. La critica alla teoria dell’oggettività della sensazione è fondata sull’impossibilità di percepire una esistenza esterna, benché in senso hegeliano si debba parlare 2676 di un “oggetto dell’atto chiamato coscienza”. Nella presenza di una sostanza esterna da percepire Spaventa vede ripresentarsi il fantasma del noumeno kantiano: proprio estremizzando i tratti del Galluppi, però, Spaventa riesce a trarne i germi di uno sviluppo futuro; non ripetendo mai in modo meccanico il pensiero altrui, Spaventa riesce a valorizzare le tematiche trattate, come ad esempio nel caso del famoso “luogo d’oro”. A. MARTONE, Lo scarto del linguaggio: eredità vichiane in Bertrando Spaventa, in Furor verba ministrat. Eredità vichiane e Illuminismo in alcune teorie linguistiche della cultura napoletana tra ‘700 e ‘800, Franco Angeli, Milano 1989, pp. 79-108. Spaventa viene qui presentato come pensatore intimamente legato a Vico, in quanto filosofo della storia, nello sforzo di una riunificazione del sapere e persino nel tentativo di dotare il pensiero filosofico italiano di una propria autonoma tradizione. Vico stesso fu inserito da Spaventa nella sua teoria sulla circolazione del pensiero. Rimane tuttavia una incolmabile distanza tra Vico e Spaventa, il quale sembra non essere molto sensibile alla glottogonia vichiana. A. SAVORELLI, Bruno Tulliano’ nell’idealismo italiano dell'Ottocento (con un inedito di B. Spaventa), “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXX (1989), pp. 45-77. Savorelli ribadisce il merito di Bertrando Spaventa di aver dato impulso agli studi bruniani, seguito dai suoi discepoli Felice Tocco e Francesco Fiorentino: lo spiacevole episodio con l’editore Le Monnier testimonia, d’altra parte, 2677 l’arretratezza culturale in cui versava all’epoca l’Italia, nella quale non riuscì a trovare spazio il primo studio scientifico sulla figura del Nolano. L’inedito di Spaventa, infatti, rimane il primo saggio che tenti di analizzare il pensiero bruniano in chiave sistematica. Proprio in questo senso assume valore l’attenzione dedicata da Spaventa alle opere cosiddette lulliane o mnemotecniche, che secondo Brucker e Buhle erano da considerare la parte più oscura dei testi di Bruno. Il testo di Spaventa si fonda su una critica del Ritter e su un confronto costante con il pensiero di Lullo, Cusano e Spinoza. Certamente di grande importanza è stata l'influenza di Barholméss, la cui interpretazione indica in Bruno un anticipatore dell’idealismo tedesco: è noto quanto questa tesi sia essenziale anche rispetto alla teoria della circolazione del pensiero italiano. Savorelli precisa che ogni tentativo di porre in luce il misticismo di Bruno è considerato vano ed errato da parte del pensatore abruzzese, che dedica attenzione alle opere lulliane proprio per mostrarne la relazione con la teoria della conoscenza proposta da Bruno. Il carattere di precursore della modernità attribuito al pensatore di Nola, tuttavia, subirà lungo l’itineratio spaventiano anche drastiche limitazioni, dovute, per esempio, alla sua errata comprensione del cristianesimo. Nella trattazione del ’61-’62 Bruno non è più lullista e l’ultimo vestigio lulliano del saggio torinese è un breve saggio dei Principi di filosofia: le differenze sono dovute ai diversi intenti interpretativi secondo Savorelli. Un segno dei tempi è il progressivo disinteresse da parte di Spaventa e De Sanctis nei confronti di Bruno. Al termine dell'intervento di Savorelli si riporta una sezione del Saggio inedito di B. Spaventa su Bruno (1854-1854). Manoscritto 3.6.4 conservato alla Biblioteca nazionale di Napoli. 2678 L. MALUSA, L'idea di tradizione nazionale nella storiografia filosofica italiana dell'Ottocento, Tilgher, Genova 1989. La figura di Spaventa è presente in tutto il testo, dedicato nella prima parte all'idea di “tradizione nazionale” nella storiografia filosofica e nella seconda ai rapporti tra la tradizione filosofica italiana e la “Civiltà cattolica”: ben si comprende come la personalità di Spaventa svolga un ruolo di primo piano in entrambe. Nelle pagine centrali della prima parte si sottolinea il ruolo che Spaventa attribuì al genio italico nella distruzione dell’immobilismo cui per secoli la Scolastica aveva costretto il pensiero. Il “primato” della filosofia tedesca nel panorama europeo dipendeva strettamente da quel criticismo che per la prima volta trovò in Italia la propria espressione. Inutile ribadire quali furono i risvolti politici di una tale prospettiva filosofica: il pensiero spaventiano era in grado di assicurare l'immanenza del pensiero, superando le istanze clericali, senza cadere nell’aridità dell'Illuminismo. Si citano le ricostruzioni storiografiche di Garin e la progressiva appropriazione del pensiero spaventiano sulla linea Spaventa-Labriola-Gramsci (e Togliatti), che consentì di sottrarre l’autore abruzzese all’esclusivismo dell’interpretazione attualistica. Nella seconda parte si definisce Spaventa autentica “bestia nera” (p. 69) del periodico gesuita: la critica della filosofia hegeliana, principale obiettivo della rivista, non poteva esimersi da ripetuti attacchi anche nei confronti del pensatore abruzzese, quando ancora questi non aveva elaborato il proprio pensiero in maniera sistematica. Non sfugge all'analisi che all'origine dello scontro si poneva la convinzione che Tommaso d'Aquino e non Hegel dovesse 2679 essere il modello della filosofia italiana. G. MOSSANO, Bertrando Spaventa e la psicologizzazione dell’a priori nel neocriticismo italiano, in “Accademia di scienze morali e politiche”, volume XCIX, Napoli 1988, pp. 279-304. L'intervento di Mossano analizza la sostituzione dell’incantesimo idealistico mediante l’incantesimo psicologico, ossia quella comprensione della critica kantiana che scivola dall’appercezione trascendentale all’a priori come funzione ordinatrice dell’esperienza. Se ancora in Spaventa il problema critico è inteso come problema della conoscenza sul piano trascendentale, nella generazione successiva molti sono i tentativi di fornire interpretazioni differenti della tesi kantiana. Mossano ricorda come Spaventa avesse cercato ci riassorbire il positivismo nell’hegelismo, dal momento che il soggetto è ciò che letteralmente “fa”, costruisce il proprio oggetto. Dalle analisi del pensiero di Masci, tuttavia, si deduce come già in Spaventa “le forme kantiane siano intese in senso dinamico ed evolutivo, reale e non ideale” (p. 282). Questa tesi viene però corretta attraverso una lunga citazione tratta da La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia europea grazie alla quale si vuole dimostrare come la concezione di Spaventa intenda il giudizio non soltanto come formativo, ma costitutivo dell'oggetto. Mossano ricorda come Masci abbia apprezzato il tentativo di sintesi del maestro tra hegelismo e darwinismo, soprattutto nelle opere dell’ultimo decennio di attività. È importante sottolineare come il nuovo empirismo proposto da Spaventa (fondato cioè sul superamento della contrapposizione tra realismo e idealismo) non distrugga il lato attivo e originario della 2680 soggettività, ma lo possa riconfermare, in una accezione in cui Kant si incontra con Hegel. Ciò che deve essere tenuto fermo, secondo il pensatore abruzzese, è il carattere non biologico, né psicologico del problema della conoscenza, che è essenzialmente critico. Analizzando il dibattito critico, Mossano individua in Tocco e Cantoni due assertori del limite intrinseco della prima Critica legato alla mancanza di una psicologia nell’architettura kantiana; diversamente Chiappelli tenta una mediazione, cercando quale tendenza psicologica si conformi maggiormente al problema del criticismo. Non mancano i riferimenti, in questo caso, alle tesi di Spencer, contro il quale, però, più volte Spaventa si espresse negativamente. Al termine si citano i giudizi del Gentile sulla errata interpretazione del criticismo offerta dal Masci. In conclusione si torna a ribadire l’esigenza si stabilire una radicale distinzione tra il lato empirico- evolutivo e quello trascendentale, ricordando come solo dopo il 1945 a psicologia si sia affrancata dalla filosofia. M. RASCAGLIA., Venti lettere inedite di Angelo Camillo de Meis a Bertrando Spaventa, in “Giornale Critico della Filosofia italiana”, 1990; 10 (1), pp. 39-74. Nella presentazione di questo nuovo, ennesimo impegno di ricostruzione del carteggio spaventiano, Maria Rascaglia indica come preciso intento la ricostruzione delle vicende biografiche di De Meis e Spaventa, in relazione al ventennio (1861-1882) coperto dalle venti lettere inedite. Molti sono i temi trattati, dove autentico protagonista romane la figura di De Sanctis, oggetto di continue polemiche sia sul piano politico sia sul piano del suo mestiere di critico letterario. Si sottolinea anche la tormentata vicenda della pubblicazione dell’articolo di Spaventa Paolottismo, positivismo, 2681 naturalismo: nelle lettere De Meis giustifica le correzioni apportata prima della stampa per ammorbidire almeno in parte i toni e la satira pungente dello Spaventa. Viene posta in risalto dalla Rascaglia anche la lettera del 22 luglio 1869 in cui De Meis si difende dalla accusa dell’Imbriani di “non far deduzione”. Sullo sfondo rimane una sfiducia nella gestione politica dell’unità di Italia, soltanto a volte mitigata da un cauto ottimismo, come in occasione del governo Minghetti del °73. G. OLDRINI, Napoli e i suoi filosofi. Protagonisti, prospettive, problemi del pensiero dell’Ottocento, FrancoAngeli, Milano 1990. Il volume raccoglie una serie di interventi di Oldrini sulla cultura filosofia napoletana dell'Ottocento. Il ruolo di Spaventa appare con grande chiarezza nel VI capitolo, dedicato all’hegelismo italiano tra Napoli e Torino (saggio apparso in “Filosofia” nel 1982) e nel VII capitolo sull’hegelismo ‘critico’ del filosofo abruzzese (apparso già nel 1988). Il capitolo IX, sulle ragioni dello Stato etico, inedito, confronta le posizioni di Vera con quella dei fratelli Spaventa, mostrando la loro progressiva interpretazione dell’hegelismo da supporto alle teorie rivoluzionarie a sfondo teorico del concetto di Stato etico, inteso come ciò che dà direzione, unità e senso alla dimensione economico- sociale. V. VITIELLO, Bertrando Spaventa e il problema del cominciamento, Guida Editori, Napoli 1990. Punto focale dell’interpretazione di Vitiello è il dualismo di essere e pensare che Spaventa eredita dalla tradizione 2682 filosofica. Acquisita la novità kantiana di una conoscenza che non è più fatto, bensì attività, Spaventa mostra come Hegel sia la sintesi tra il soggettivismo radicale di Fichte e l’oggettismo schellinghiano. Punto focale proposto da Vitello è l’indeducibilità del pensare dall’essere nella filosofia antica e l’indeducibilità del reale dal possibile nella filosofia moderna (p. 16): la filosofia hegeliana vuole dar ragione a Fichte senza smentire Schelling (p. 18); su questo punto l’interpretazione di Spaventa raggiunge un'intensità che verrà persa nei suoi eredi, persino in Gentile, che rimane chiuso nella logica fichtiana. Il circolo Fenomenologia-Logica deve essere intepretato alla luce della separazione del sapere dal suo contenuto come atto di volontà: il puro essere che ne risulta, come pura relazione a sé del pensare, dovrà mostrarsi capace di dedurre da sé l’intera ricchezza degli enti. Di fronte al pensare si erge dunque un Essere che è prima e fuori del pensare (p. 51). Qui si apre l'enigma della “genesi del No, dopo e nonostante il sì” (p. 61). G. CALABRÒ, La concezione etica dello Stato in Bertrando Spaventa, in Silvio Spaventa (S. RICCI a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1991, pp. 263-274. Il breve intervento di Calabrò riassume innanzitutto il contributo kantiano alla filosofia del diritto, in particolare sul rapporto tra morale e diritto nella cornice dello Stato. Il problema di Hegel, invece, riguarda proprio la conciliazione tra diritto e Stato in ordine al tema della volontà libera del singolo individuo. Spaventa rientra in questa trattazione, come scolaro di Hegel, definito “tutt'altro che inerte”: le sue speculazioni acquistano uno spessore mai più raggiunto 2683 dalla tradizione liberale. Spaventa sostiene che l’equilibrio di ragione e storia si trova proprio nella prospettiva dello Stato nazionale, anzi, sostiene esplicitamente che la pluralità degli Stati in quanto espressione della naturalità dovrà essere risolta in una figura ulteriore che non sarà lo Stato degli Stati, bensì è l’umanità, già attiva e perfettamente concreta. Per Spaventa, ancor più esplicitamente che in Hegel lo Stato è delimitato sia dall'alto che dal basso; centrale, sia in Spaventa che nel suo maestro ideale rimane il problema del rapporto tra individuo e Stato. Se da un lato il filosofo di Stoccarda mostra la concretezza della libertà nella prospettiva etica universale, il pensatore abruzzese rimane ad un livello più schematico e astratto, benché egli stesso avverta l'esigenza di una conciliazione tra sovranità statale e libertà individuale. M. MORETTI, Savio Spaventa e Villari, in Silvio Spaventa (S. RICCI a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1991, pp. 303-386. L’intervento di Moretti individua le tappe salienti che hanno caratterizzato il rapporto intellettuale e politico tra Silvio Spaventa e Villari, di cui si hanno notizie dettagliate grazie al loro scambio epistolare. Uno dei momenti di maggiore tensione tra i due si verifica dopo la lettera al De Meis scritta da Bertrando Spaventa nel ’68, tensione che verrà acuita in seguito al progetto di far eleggere Bertrando nel collegio di Gesso Palena nel 1870. Le frizioni tra Silvio Spaventa e Pasquale Villari rientreranno già verso la fine del 1870, mentre il rapporto con Bertrando rimarrà in gran parte compromesso. Il testo prosegue sottolineando le differenti prospettive dei due autori sul problema meridionale, sul ruolo dell'educazione e sulla riforma 2684 universitaria. TERESA SERRA, B. Spaventa interprete di Galluppi, in AAVV. Studi galluppiani. Atti del convegno galluppiano di Tropea del 28-30 maggio 1987, Brenner, 1991, pp. 281- 298. Il kantismo del filosofo di Tropea viene individuato da Teresa Serra quale autentico punto di riferimento dell’interpretazione spaventiana: tenendo presente che Galluppi lavora fino al 1831 in totale isolamento dal mondo, ritirato nelle “nuvole filosofiche”, per approdare poi a Napoli nove anni prima dell’arrivo dei fratelli Spaventa, non è difficile supporre una lettura dei suoi testi da parte di Bertrando già prima dell’esillio torinese. La nota ammirazione per il Colecchi porterà ad uno scontro con il filosofo di Tropea, che pure aveva il merito di aver superato un certo provincialismo della filosofia italiana. Già nel 1850 i giudizi su Galluppi non appaiono lusinghieri: l'influenza hegeliana porta Spaventa ad una radicale svalutazione dovuta alla mancata comprensione di Kant ed alla inaccettabile prossimità con Locke. Tale prospettiva sarà sconfessata nel 1860, nella prolusione in cui si annunciano Galluppi, Rosmini e Gioberti quali autentici filosofi italiani, ma le radici di un tale ripensamento devono essere rintracciate proprio nella svolta hegeliana del ’56, che offrì la possibilità a Spaventa di recuperare in una luce innovativa l’intero percorso del pensiero europeo: Galluppi rientra così nella filosofia cristiana, benché i tre autori dell'Ottocento non possiedano l’originalità del loro precursore Vico, di cui rappresentano soltanto una maturazione. La riabilitazione della sensibilità di Galluppi implica un suo riavvicinamento alle posizioni kantiane: in questo consiste, secondo Teresa 2685 Serra, la novità dell’ottica spaventiana, che non fu comunque immune da polemiche. N. CAPUTO, Prospettive real-idealistiche per una nuova metafisica, Morano, Napoli 1991. Il testo, suddiviso in sei capitoli e una conclusione, si apre con il problema di rivalutare l’umanesimo, superando il dualismo tra scienza e filosofia, non però in senso fenomenologico, come è stato suggerito da più parti nel corso del Novecento, o mediante teorie crociane, bensì alla ricerca di un umanesimo integrale che riabiliti Vico e Hegel. Il secondo e terzo capitolo propongono una critica serrata delle principali esegesi spaventiane: dal giudizio di Garin, all’'errata comprensione del rapporto tra politica e teoresi proposta da Vacca; non viene apprezzata né l’interpretazione dualistica di Spaventa offerta da Teresa Serra, né quella di Vito Bellezza, dipendente dalla visione gentiliana. Anche il volume di Cubeddu del ’64 viene svalutato. Sui risultati dell’indagine storiografica su Spaventa si citano i lavori di Savorelli sulle riserve antignoseologiche del filosofo abruzzese; le edizioni di alcune opere curate da D’Orsi per mostrare il legame con il pensiero di Lotze, i mutamenti di prospettiva di Cubeddu. Superate, nel quarto capitolo, le interpretazioni sul teologismo di Spaventa proposte da Croce e sul misticismo legate all’opera di De Ruggiero, il capitolo quinto mostra come unica possibilità di intendere il pensiero di Spaventa il real-idelismo di Felice Alderisio, che rivaluta l’unità di realismo e idealismo soprattutto nell’ultima fase del suo pensiero, segnata dal confronto con Kant. L’attualismo gentiliano, le tesi di Guzzo, Carabellese e Calogero sono considerate deviazioni rispetto alla strada tracciata da 2686 Spaventa. L’esame delle teorie di Berti sull’assoluto di Spaventa ed i vari tentativi di interpretazione marxista da parte di Togliatti e Plebe si rivelano insufficienti secondo Caputo, almeno tanto quanto le proposte di analisi dell’hegelismo proposte da Kojève e Vitiello. La polemica contro l’indirizzo epistemologico di Barone, il convenzionalismo di Geymonat, l’irrazionalismo di Abbagnano e l’antiidealismo proposto da Filiasi-Carcano è affrontata nell'ultimo capitolo. La conclusione propone un superamento di attualismo, marxismo e positivismo facendo riferimento ai testi cardine del pensiero di Spaventa quali Logica e metafisica da un lato ed Esperienza e metafisica dall’altro. G. LANDOLFI PETRONE, Ux inedito di Bertrando Spaventa sul Concetto di Filosofia, in “Studi filosofici”, 1991-92, pp. 195-212. La breve presentazione dello scritto Sopra Kant (Carte Spaventa 1.1.16) di Petrone si concentra sulla novità assoluta della trattazione spaventiana di Kant nel 1851-52, sottolineando che la linea Kant-Hegel rafforza l’idea dell'impronta tedesca della filosofia europea. La tematizzazione di Kant avviene circa tredici anni dopo la prima lettura della Critica della ragion pura, primo testo filosofico cui l’autore si avvicinò nel 1838-39. Spaventa rileva come la dialettica sia già in Kant il tratto centrale della riflessione come insieme di identità e non identità. Petrone sottolinea anche il rilievo dato da Spaventa alla distinzione kantiana tra filosofia e senso comune. Alla recensione segue poi il saggio spaventiano. I. BERTOLETTI, Dialettica del cominciamento. Un 2687 saggio di Vincenzo Vitiello su Bertrando Spaventa, in “Humanitas”, 1992, pp. 122-126. Il commento di Vitiello si concentra sul problema del Primo, diversamente interpretato a seconda che ci si trovi in Fenomenologia o in Logica. Al di là delle singole polemiche con Trendelenburg, nelle quali tuttavia Spaventa dimostra grande padronanza della materia logico-metafisica, l’intervento di Vitiello risulta interessante perché proietta il pensiero di Spaventa oltre lo stesso Hegel, verso un Essere che è prima e fuori dal pensiero. Lungi dall'essere la rivisitazione di un presupposto realistico, Vitiello interpreta questa posizione collegandola alla presenza di un limite del pensiero che è volontà. Esaltata la fecondità del ripensamento di Spaventa offerto da Vitiello, Bertoletti considera le prospettive ermeneutiche che si aprono a partire da questa lettura, prospettando in Spaventa un anticipatore di Wittgenstein e Adorno. F. M. DE SANCTIS, Lorenz von Stein e il giovane Spaventa, in Dall’assolutismo alla democrazia, Giappichelli editore, Torino 1993, pp. 185-197. Il settimo capitolo del testo di De Sanctis mostra l’interesse di Spaventa per il testo di von Stein I/ socialismo e il comunismo in Francia: la petizione per la traduzione del testo in italiano fu sostenuta dall’abruzzese in un articolo apparso sul “Nazionale” di Firenze. Si avanza l'ipotesi che i nuclei teorici dello Stein siano lo sfondo concettuale di molti articoli apparsi sul “Progresso”. E. GARIN, Tra due secoli. Socialismo e Filosofia în Italia dopo l’unità, De Donato, Bari, 1993. 2688 Non molti nomi sono citati quanto quello di Bertrando Spaventa, a dimostrazione dell'importanza e della rilevanza dell'autore nel contesto italiano dopo l’unità. Soprattutto nella prima parte, dedicata agli hegeliani dell’Ottocento, Spaventa occupa un luogo centrale, anche per l’influenza esercitata sul pensiero di Labriola. G. OLDRINI, La “Rinascita dell’Idealismo” e il suo Retroterra Napoletano, in “Giornale Critico della filosofia italiana”, 1994, 73 (2-3), pp. 205-225. Oldrini comincia con il rilevare che il destino comune dei due grandi leader della tradizione classica napoletana, De Sanctis e Spaventa, fu quello di non avere una scuola in grado di continuare e diffondere i loro insegnamenti. La rinascita dei due autori è dovuta, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, all'operato, rispettivamente di Croce e Gentile. Di contro all’atrofia culturale che imperava in quegli anni a Napoli, questi ultimi rivendicano un ruolo decisivo all’idealismo storico, nonostante le differenze, anche radicali, sui singoli temi: in questa ottica sono interpretati da Oldrini anche gli attacchi ai letterati ed eruditi dell’epoca. L’involuzione della cultura napoletana è intesa come conseguenza del parassitismo della classe borghese e della boria accademica, cui l’idea di un idealismo storicistico promossa da Gentile e Croce impresse certamente una svolta. C. TUOZZOLO, Schelling e il “cominciamento” begeliano, Città del sole, Napoli 1995. Significativo è il fatto che i titoli di ben due capitoli su tre 2689 nel libro recano il nome di Spaventa. Il punto di partenza è la valutazione della critica schellinghiana al pensiero hegeliano: da qui si mostra il profondo legame Werder- Fischer-Spaventa, in quanto linea di pensiero che recupera le critiche di Schelling. La tendenza di autori come Spaventa consiste nell’identificare il primo della logica con il Dio di Schelling: non vuoto e astratto cominciamento, bensì atto di volontà pura. Si evidenzia anche l’interpretazione spaventiana del passaggio dallo Spirito Assoluto presente al termine della Ferorzenologia e l’Essere astratto da cui comincia la Scienza della Logica: l’inizio della logica non è il depotenziamento del risultato della Fezorzerologia, bensì l’essere già ricco di differenze, dalle quali si può effettuare l’astrazione. Il problema concettuale ravvisato da Tuozzolo in Spaventa è l'impossibilità di conciliare la dottrina creazionista di Schelling con l’incrollabile caposaldo hegeliano della identità tra logica e metafisica. Per questo l'operazione di molti studiosi di Hegel, tra cui anche Spaventa, sarà quella di tentare una conciliazione ed integrazione del pensiero di Hegel mediante le ultime speculazioni di Schelling. M.RASCAGLIA, Introduzione a Epistolario, Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1995. La premessa di Oldrini è seguita da un intervento di Maria Rascaglia che include un apparato bibliografico relativo alle fonti e alle prime edizioni dei carteggi. Rivendicare l’importanza del patrimonio epistolare come punto di osservazione privilegiato per comprendere la vita e l'evoluzione intellettuale dell'autore assume senso soprattutto nel caso di Bertrando Spaventa, a causa della dispersione editoriale subita dagli scritti. Se nei carteggi, in 2690 cui il fratello Silvio rimane sempre un interlocutore privilegiato, si può recuperare lo stile arguto e la vis polemica del filosofo, si deve aggiungere che emergono anche una serie di nuovi progetti editoriali, mai portati a termine, oltre alla ben nota traduzione dell’opera dello Stein. Nelle lettere rivolte al fratello soprattutto è possibile specificare meglio lo stato d’animo di Spaventa nel decennio piemontese e soprattutto le preoccupazioni dovute alle ristrettezze economiche. Maria Rascaglia rivendica l’importanza di uno studio attento dell’epistolario anche per comprendere il legame tra Spaventa e Fiorentino ad esempio, sviluppato su due livelli: al rapporto maestro- allievo ormai conosciuto, si aggiungono anche dettagli importanti sulla collaborazione in campo pubblicistico. Oltre agli attacchi e all’ironia nei confronti della “colonia romana” composta da Berti, Mamiani e Ferri, emergono anche le considerazioni sulla situazione politica e amministrativa in cui Spaventa fu coinvolto, prima come membro della Commissione di indagine del consiglio superiore della Pubblica istruzione, poi come deputato dal "70 fino alla caduta della Destra storica. In realtà molte sono le occasioni nelle quali si possono rilevare atteggiamenti di sconforto e di sfiducia nell’attività politica, rispetto alla quale il fratello Silvio diventa simbolo di una battaglia anche morale. Sulla dispersione dell’epistolario hanno influito certamente la morte prematura dello Spaventa e i diversi orientamenti assunti dai principali allievi della scuola. N. SICILIANI DE CUMIS, Il “tecnico” e l’ “educativo” da Spaventa a Labriola, in “Scuola e città”, 1996, pp. 99- IBS De Cumis affronta da subito la vexata quaestio dei molti e 2691 diversi Spaventa proprio al fine di valutare i nessi tra Spaventa e Labriola in rapporto alla “politica immanente”. Evidenziare le conseguenze della lezione spaventiana, proprio a partire da Labriola, di cui si riporta uno stralcio della famosa lettera del ’94 indirizzata a Engels, è essenziale per mostrare la relazione tra i due. La prospettiva tecnica e meccanica in Spaventa si spiega soprattutto in rapporto alla dimensione etico-sociale, che sarà decisiva anche per la dimensione educativa del pensiero di Labriola. In realtà entrambi concordano sul carattere antipositivistico dell'educazione e sulla necessità dell'incrocio di politica e scienza. Pur sottolineando la diversità di esiti cui sarà condotto il Labriola marxista, a motivo del materialismo, della mutata concezione della storia e delle differenti concezioni metodologiche ed epistemologiche, De Cumis nota una certa affinità tra le tesi di Labriola del ’96 e quelle di Spaventa del ‘51. Certamente non si possono dimenticare le influenze del liberalismo sullo Spaventa giovane giornalista de “Il Progresso”, rispetto al diverso orientamento assunto da Labriola, per cui non si può liquidare quest’ultimo semplicemente come “allievo”. Non solo Spaventa già aspira a quella universalità delle intelligenze quale compito essenziale della filosofia politica, ma sul piano etico-politico-pedagogico le sue affermazioni risultano addirittura più ardite di quelle di Labriola: De Cumis precisa che anche Spaventa analizza la dialettica servo-signore in chiave rivoluzionaria, rintracciando in questa dinamica una lotta contro l’egoismo naturale, mentre Labriola si schiera già nell’ottica di una maggiore passività nei confronti della storia, il cui ritmo è già scandito da leggi universali ben individuate. D. LOSURDO, Da fratelli Spaventa a Gramsci: per una 2692 storia politico sociale della fortuna di Hegel in Italia, Città del sole, Napoli, 1997. Il testo si compone di sei capitoli nei quali si analizza l’influenze della filosofia hegeliana sul pensiero politico europeo ed in particolare su quello italiano, avendo sempre come riferimento la figura dei fratelli Spaventa. Il primo capitolo si concentra sul declino della filosofia hegeliana e sul suo totale fallimento registrato nel ‘48. Se è vero che Hegel aveva trasmesso al mondo l’assoluta mondanità e politicità dell’uomo, le vicende di Napoli saranno decisive per confutare l’interpretazione di Hegel come filosofo dello status quo. Il fallimento del °48 portò ad un abbandono della politica e ad un ritorno tra le braccia della natura, dal quale poi sarebbe scaturito il positivismo. Il secondo capitolo è dedicato al rapporto tra rivoluzione e nazione, di cui si seguono parallelamente il filone tedesco, con Strauss e Vischer, quello francese di Thiers e Guizot, ed infine quello italiano, proprio tramite i fratelli Spaventa, che mai accetteranno l’idea di una scienza positiva, ma rintracceranno nella storia l’autentico fare positivo dell’uomo, strettamente connesso alla sua nazionalità. Risultato di un tale “nazionalismo” è la teoria della circolazione del pensiero, che da un lato assume lo sfondo di filosofia della storia proposto da Hegel, dall’altro anticipa i germi del moderno, rintracciandoli nel Rinascimento italiano, più che nella Riforma,nonostante le resistenze di neoguelfi e mazziniani. Il terzo capitolo mostra il recupero europeo in chiave politica della tradizione inglese in contrapposizione allo stato etico hegeliano dopo le rivoluzioni del 48, cui si contrappone in Italia un’esperienza liberale che invece ha in Hegel, più o meno consapevolmente, il proprio teorico. Comincia in queste 2693 pagine il lavoro di Losurdo teso a smantellare la linea Hegel- Spaventa-Gentile a favore della linea Spaventa-Labriola- Gramsci. Nel quarto capitolo si riassumono i motivi principali dell'opposizione della Chiesa alle tesi hegeliane, contro cui Spaventa dovrà lottare scrivendo numerosi articoli. Soprattutto nelle tesi di Rosmini è rintracciata una teoria che, svalutando lo Stato in favore del ruolo della Chiesa, ripropone le tesi liberiste dello Stato minimo, fieramente osteggiato dai fratelli Spaventa. Il quinto capitolo si concentra sull’adesione di Gentile al fascismo intesa come progressiva separazione proprio dalle idee di Bertrando Spaventa, soprattutto rispetto all’idea del valore assoluto del singolo. Il sesto capitolo contesta alcuni stereotipi secondo cui il pensiero tedesco rappresenta una china che da Lutero giunge ad Hitler, mostrando come, più che Gentile, Gramsci ed il suo “comunismo critico” accolgano l'eredità spaventiana. A. SAVORELLI, Bertrando Spaventa e la via stretta tra Bruno e Hegel, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1998; 18 (1), pp. 33-43. Il confronto Bruno-Spinoza era un luogo privilegiato del dibattito filosofico dell'Ottocento. Spaventa può associare i due sulla scorta della lezione hegeliana, evidenziandone anche i rispettivi limiti, come ad esempio l'eccessivo formalismo e l’assenza del ruolo del soggetto come fonte di movimento della realtà. Anche Fischer influenzò le tesi di Spaventa che, contro Hegel, vide in Spinoza il filosofo della differenza: Savorelli suggerisce di legare questa differente interpretazione alla riforma della dialettica hegeliana, benché rimanga alta la considerazione di Spinoza come superamento del presupposto neoplatonico e naturalista. 2694 L’idealismo, rafforzato da questi confronti tra Bruno e Spinoza, permette di affrontare con risultati migliori il positivismo che si diffondeva in quegli anni. Anche Sigwart esprime opinioni simili a quelle di Spaventa sul rapporto Bruno-Spinoza, benché il dibattito che in quegli anni animava la Germania non avrebbe poi trovato altrettanta fortuna in Italia, che pure avrebbe dovuto prestare verso tali autori un’attenzione anche maggiore di quella tedesca. L. MALUSA, I filosofi e la genesi della coscienza culturale della “Nuova Italia” (1799-1900). Stato delle ricerche e prospettive dell’interpretazione, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1997. Benché la figura di Spaventa sia presente in molti dei saggi di cui il libro è costituito, sono essenzialmente due gli interventi dedicati esplicitamente al pensatore abruzzese. Innanzitutto il testo di Oldrini Bertrando Spaventa e l'Europa (pp. 201-212), che anticipa il saggio del 1998 dal titolo L’idealismo italiano tra Napoli e l’Europa. Al testo si deve aggiungere una breve postilla di Enrico Rambaldi (pp. 213-216). L'altro saggio di Nicola Siciliani De Cumis riprende l'articolo apparso nel 1996 I/ “tecnico” e | “educativo” da Spaventa a Labriola. M. FERRARI, I/ primo volume dell’epistolario di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1998, 78 (3), pp. 451-457. Oltre a sottolineare l’indubbio merito di aver raccolto 181 lettere, Ferrari si riferisce soprattutto alla lettera indirizzata al Villari, in cui Spaventa ribadisce l’importanza dello studio del pensiero tedesco. Ferrari sottolinea quale sia il vantaggio 2695 che l’epistolario può offrire per ricostruire la vita dell’autore, soprattutto nel caso di una vita particolarmente travagliata e sconosciuta come quella di Bertrando Spaventa. Il corpus dell’epistolario sembrerebbe confermare l’ipotesi dei “molti Spaventa”. G. OLDRINI, L’idealismo italiano tra Napoli e Europa, Guerini, Milano 1998. La figura di Spaventa è presente in quasi tutti i capitoli del libro: si ricorda l'amicizia con De Meis, il rapporto col fratello Silvio, il confronto con il positivismo (suo e del suo allievo Angiulli), l’ultimo capitolo ripropone l’articolo del °94 La “rinascita dell’idealismo” e il suo retroterra napoletano, apparso sul “Giornale critico di filosofia italiana”. In particolare il capitolo quinto è dedicato alla figura di Bertrando Spaventa, nel suo rapporto con l’idea di Europa. Oldrini introduce alcune premesse per analizzare la figura del filosofo abruzzese: innanzitutto l’arretratezza politica e sociale nella quale fiorisce l’hegelismo napoletano; la sfasatura cronologica e il ritardo storico nell’assimilazione dell’idealismo; la necessità di superare il ritardo culturale dell’Italia; l'esigenza di applicare le categorie di Hegel al Risorgimento italiano; la lotta contro il provincialismo ed il materialismo; il confronto polemico con il positivismo. Oldrini critica molte delle interpretazioni del pensiero spaventiano proposte da Gianni Micheli, Asor Rosa, Franchini, Marchi e Vitiello. L'intervento di Oldrini si conclude con l’idea che l’indagine storiografica su Spaventa si trovi in un periodo di stallo e si auspica un rilancio degli studi. M. RASCAGLIA, Bruno nell’epistolario e nei 2696 manoscritti di Bertrando Spaventa, in Brunus redivivus: momenti della fortuna di Giordano Bruno nel XIX secolo, E. CANONE (a cura di), Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa Roma 1998. Maria Rascaglia rintraccia negli Studi sopra la filosofia di Hegel il primo nucleo embrionale della ben nota tesi della circolazione del pensiero italiani, progetto confermato in una lettera a Villari del ‘51: in quelle occasioni Bruno è presente come autore di riferimento ed eroe della libertà del pensiero italiano nella fase rinascimentale. L’idea di uno studio approfondito della figura del Nolano è confermata dalla lettura di Bartholméss e Ritter, benché l’interpretazione hegeliana sarebbe rimasta dominante. Rascaglia analizza in maniera approfondità la relazione tra Spaventa e Mamiani, che comincerà a deteriorarsi proprio a causa dei dissensi sul panteismo, finché Mamiani divenne uno dei bersagli preferiti di Spaventa nelle sue polemiche. Rascaglia mostra come la lettura stessa degli scritti di Bruno segua un preciso ordine logico: il confronto tra Bruno e Spinoza obbliga Spaventa ad anticipare la lettura di De /a causa, principio et uno e di De l'infinito, universo e mondi rispetto al De rzirim0, De mondo e De immenso; tutte queste indicazioni sono essenziali se si tiene conto che l'intento di Spaventa era proprio quello di ricostruire in maniera sistematica il pensiero bruniano. Al progressivo interesse di Villari corrisponde l’indifferenza di Mariani. Dopo aver citato il famoso tentennamento di Spaventa ed il rifiuto di Le Monnier di pubblicare i tre studi su Bruno, Rascaglia precisa che il primo studio sarà pubblicato a Napoli nel 1866, il secondo su “Il Cimento” nel 1856 e l’ultimo sarebbe rimasto inedito. Se nel primo quinquennio dell’esilio torinese la figura di Bruno sarà oggetto di attenzioni sempre 2697 maggiori, negli ultimi anni il confronto con Gioberti, la parentesi fenomenologica del ’58 e la riscoperta di Kant e Vico allontaneranno Spaventa dal filosofo di Nola, salvo una sua riscoperta nei primi anni ’60. All’intervento di Rascaglia seguono circa sessanta pagine di analisi dei contributi allo studio di Bruno presenti nei manoscritti di Spaventa, di cui si riportano interi brani. G. CHIMIRRI (a cura di), La filosofia morale italiana tra neohegelismo, attualismo e spiritualismo, Mimesis, Milano 1999. Nella presentazione di Chimirri si fa riferimento all’attualità dell’idealismo senza dimenticare la pluralità di prospettive da cui l’idealismo può essere inteso e sviluppato; dopo aver tematizzato i motivi di frizione tra l’idealismo e la scolastica, si mostra quale sia il ruolo dell’etica nel pensiero dell’idealismo, per concludere con alcune riflessioni critiche. Si riporta, proprio per esemplificare il rapporto tra etica ed idealismo, un brano dai Principi di Etica. C. TUOZZOLO, Dialettica e norma razionale, Giuffrè, Milano 1999. Rispetto alle diverse polemiche sul presunto monismo spaventiano, anticipatore in qualche modo delle tesi gentiliane sulla dialettica hegeliana, Tuozzolo vuole ribadire insieme il carattere di un “pensiero incapace di sfiducia in se stesso”, ma insieme la capacità di Spaventa di non compiere mai il passo, di mantenersi nel guado, approfondendo il nucleo problematico, consapevole che ogni soluzione torna ad essere problema. Si presenta un’analisi dei principali scritti di logica di Spaventa, il saggio su Le prize categorie 2698 della logica di Hegel e Logica e Metafisica, per mostrare come progressivamente negli anni ‘70 torni la meditazione sulla scienza e sul ruolo di Kant. La logica e la fenomenologia dell’ultimo Spaventa seguono la linea di interpretazione di Alderisio, secondo cui, se è vero che Spaventa eliminò progressivamente le differenze tra Denken e Nachdenken, non giunse mai alla pura identificazione dei due, come accadde in Gentile. L’ultimo capitolo è dedicato alla presenza di un ineffabile come dimensione precedente al sistema della scienza. A SAVORELLI e M. RASCAGLIA, Introduzione, in B. SPAVENTA, Lettera sulla dottrina di Bruno. Scritti inediti 1853-1854, Bibliopolis, Napoli 2000. La costruzione dell'immagine di Hegel come profeta del nuovo immanentismo è il risultato di un lungo lavoro da parte di Spaventa. L'intenzione di trattare la personalità di Bruno affiora già in una lettera al Villari del 1851, ma verrà iniziato concretamente soltanto nel 1853, grazie alla disponibilità da parte dell’editore Le Monnier di pubblicare un’opera in tre tomi, di cui due dedicati ai testi del Nolano ed uno all’interpretazione spaventiana del filosofo di Bruno. Quello che sarebbe stato il primo studio italiano su Bruno e uno dei primi a livello europeo verrà poi rifiutato dall'editore, e rimarrà sostanzialmente sconosciuto persino alla filologia spinoziana tedesca, da sempre molto sensibile ai precorrimenti bruniani. Le fonti principali di Spaventa furono il manuale del Ritter e il testo Jordazo Bruno di Bartholmèss, ma certamente dominante è la prospettiva hegeliana: obiettivi prioritari di Spaventa furono la ricostruzione del pensiero di Bruno in chiave sistematica e anticipatrice della dialettica di Hegel. In contrapposizione 2699 alla storiografia dominante che presentava Bruno come un autore oscuro, Spaventa ne sottolinea i tratti di eroe e martire, marcando le differenze rispetto alla figura di Nicola Cusano. Indugiando sul rapporto Bruno-Spinoza, un classico filosofico dell’Ottocento, se ne rileva l’affinità, di contro all’interpretazione corrente sostenuta da Hegel e Cousin. Gli studi su Bruno si inseriranno poi nella teoria della circolazione, in cui saranno tenute insieme da un lato la continuità del pensiero italiano con quello europeo, dall'altro la valorizzazione della filosofia italiana del XIX secolo, due linee che nell’introduzione, sono definite non sempre convergenti. Da segnalare, infine, è l'evoluzione nel giudizio sulla figura di Bruno: gli studi sulla Ferorzenologia ed il recupero di Kant (soprattutto a partire dal ‘56) non consentiranno più di vedere nel filosofo di Nola una anticipazione, ma soltanto la preistoria della dialettica, analisi sulla quale si verifica una significativa convergenza con la filologia tedesca ed in particolare con Sigwart. Alla presentazione seguono la Lettera sulla dottrina di Bruno (ms 3.6.4 datato 1853-54) e Della coincidenza degli opposti (ms. 3.5.3. pp. 93-122) entrambi presenti nella Biblioteca Nazionale di Napoli. L. GENTILE, Coscienza nazionale e pensiero europeo in Bertrando Spaventa, Edizioni Noubs, Chieti 2000. Il libro si articola in cinque capitoli, il primo dei quali mostra come filosofia e cultura non siano mai disgiunte nel pensiero di Spaventa: la rigorosa riflessione di carattere metafisico sul reale non è mai astratta dai concreti problemi storici e dalla situazione politica. L'analisi del rapporto tra oggettività storica e soggettività filosofica occupa l’intero secondo capitolo, nel quale si tematizza uno dei problemi 2700 maggiori dello Spaventa, ossia l'armonizzazione tra genio italiano e modernità europea. Il tentativo di rivalutare la tradizione rinascimentale italiana come anticipatrice degli sviluppi europei fino all’idealismo tedesco non poteva che sviluppare un’avversione nei confronti della scolastica. A proposito della volontà di aggiornare il dibattito filosofico italiano, nel terzo capitolo si mostra l’itinerario spaventiano, dagli studi sulla fenomenologia dello Spirito ai rapporti con Gans e Michelet, per arrivare a Darwin ed Herbart. Nel capitolo successivo si prendono in esame soprattutto le influenze di Werder e Fischer sul pensiero spaventiano, al fine di contribuire alla vexata quaestio sulla riforma della dialettica hegeliana. A conclusione si evidenzia l’attenzione che l’autore nutriva per le nuove correnti come il positivismo, lo scientismo, l’evoluzionismo, nello sforzo di reintrodurre un principio teleologico dopo il definitivo abbandono di qualsiasi fattore soprasensibile, carattere che accomuna tanto la scienza dell’apoca, quanto l’hegelismo. D. D'ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti inediti, Cedam, Padova 2001. L'introduzione avvia una disamina del nuovo materiale ritrovato da D’Orsi, relativamente ai cinque nuovi foglietti recuperati, alle voci dell’Erciclopedia Popolare italiana del 1860 ed altri contributi. Vi è anche spazio per una polemica con Tessitore a proposito della misteriosa figura di Basilio Scalzi, che secondo D’Orsi altro non era che uno pseudonimo di Bertrando Spaventa, mentre per Tessitore si trattava di un epigono della scuola di Spaventa. D’Orsi si occupa anche di stabilire un possibile nesso tra gli studi di Bertrando sulle Psicopatologie e la Psicopatologia generale 2701 di Jaspers, dal momento che entrambi si concentrano sul problema dell'unità psichica come autentico problema di carattere filosofico. Il testo include la riproduzione dei cinque foglietti stampati, le voci curate da Spaventa per l’Enciclopedia, alcuni appunti autografi e la riproduzione dei 4 articoli sulla Gita a Montecassino. G. ORIGO, Crisi e trasformazione della metafisica nel maturo Spaventa, Edizioni FERV, Roma 2001. Tema centrale del libro è il testo postumo Esperienza e Metafisica (1888), nel quale Spaventa tenta non solo di arginare la nuova ondata di scientismo che attraversava il suo tempo sotto il nome di positivismo ed evoluzionismo, ma anche di confrontare queste due nuove linee di pensiero con la dialettica e la riflessione speculativa. Origo sottolinea che il tentativo di Spaventa non è arroccarsi nella fortezza della metafisica, quanto piuttosto evidenziare l’ingenuità dei presupposti filosofici. da cui queste nuove correnti dipendono. L’intrascendibilità del pensiero, quella stessa che Spaventa ribattezzerà ‘metafisica della mente” costituisce il patrimonio filosofico di cui l’autore abruzzese non è in alcun modo disposto a privarsi. F. RIZZO, Bertrando spaventa. Le lezioni sulla storia della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-1862, Armando Siciliano Editore, Messina 2001. Il primo capitolo del testo analizza la dipendenza dell’interpretazione del pensiero di Spaventa dalle figure di Gentile e Croce, autori delle principali pubblicazioni con le quali l’autore abruzzese venne letteralmente riscoperto tra la 2702 fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. Pur prendendo in considerazione le critiche relative alla mancanza di valore storico della teoria della circolazione, troppo legata ad un accanimento speculativo, Francesca Rizzo rivendica la possibilità di sviluppare un europeismo più maturo proprio a partire dalla inattualità del pensiero di Spaventa, ingiustamente accusato di provincialismo e di eccessiva dipendenza dal sistema hegeliano. Il capitolo secondo si apre con una contestualizzazione del clima culturale nel quale spaventa tenne la sua prima lezione presso l’Università di Napoli: la trasformazione di ogni nazione in una stazione del progresso dello spirito, il cui agere non abita nessun luogo non comportano il rischio della fantasia al potere, ma si presentano come l’unico modo per evitare di costruire la storia della filosofia quasi fosse un inventario. Il capitolo terzo rifiuta l'accusa di deduttivismo storico e ripercorre le prime lezioni del corso del 61-62, nel quale viene stigmatizzata la dogmaticità del pensiero italiano, capace di soffocare i grandi del Rinascimento. Il capitolo quarto ripercorre le lezioni su Campanella, Bruno e Vico. Molto saggiamente il nome di Galileo è posto tra parentesi, dal momento che Spaventa ne tratterà soltanto in Esperienza e metafisica. Il capitolo quinto è dedicato all’ultima filosofia italiana, in particolare le lezioni su Galluppi, Rosmini e Gioberti, fortemente svalutati rispetto alla genialità delle intuizioni dell’idealismo. Essenziale novità per Spaventa rimane il problema della conoscenza, tema principe della filosofia da Kant in poi. Il testo prosegue con l’analisi delle interpretazioni del pensiero di Vico proposte da Francesco Fiorentino e Giovanni Gentile e si conclude riportando il testo della prima lezione del corso tenuto da Bertrando Spaventa nell’anno 1864-1865. 2703 L. LA PORTA, Recensione a G. ORIGO, Crisi e trasformazione della metafisica nel maturo Spaventa, Edizioni FERV, Roma 2001, in “Rinascita della scuola”, 2001; 25, (2), p. 124. La breve recensione tende a sottolineare il rapporto tra criticismo kantiano e neoidealismo italiano. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, V. A. BELLEZZA (a cura di), Le lettere, Firenze 2001. L’ampio volume preparato agli inizi degli anni ’70 riporta quasi tutti i testi prodotti da Giovanni Gentile come commenti alle opere di Spaventa in occasione delle varie pubblicazioni. La prima parte raccoglie tre complessi studi sulla figura del filosofo abruzzese: il primo coincide con la biografia inserita anche nella edizione delle Opere del ’72, il secondo riguarda la riforma dell’hegelismo, il terzo è un bilancio a cinquant'anni dalla morte del filosofo. La seconda parte riprende le prefazioni e le note di Gentile a diversi scritti spaventiani, per la maggior parte inseriti già nelle Opere del ‘72. Al termine è inserita una Appendice che raccoglie altri interventi di Gentile. Una breve nota di Vito Bellezza conclude il testo. E. COLOMBO, Introduzione a B. SPAVENTA, Studi sopra la filosofia di Hegel. Prime categorie della logica di Hegel, CUSL, 2001. Il saggio mostra i motivi di scontro con le obiezioni di Trendelenburg che tendevano a mettere in discussione la concretezza del sistema hegeliano. Anche con l’aiuto della logica di Fischer, Spaventa vuole ribadire il nucleo centrale 2704 della sua visione ossia che la logica è metafisica. L’autore sottolinea anche il ruolo essenziale che nel pensiero di Spaventa svolge la Fenomenologia quale “ancilla scientiae alla soglia del tempio”. A. SAVORELLI, Gentile editore e interprete di Spaventa. L'ultimo volume delle “Opere”, in “Giornale Critico della filosofia italiana”, 2002, 22(2), pp. 320-330. Savorelli attribuisce la riscoperta di Spaventa a merito esclusivo del Gentile, il quale costrinse gli italiani a cibarsene. La mancanza di una scuola capace di sostenere e diffondere l'insegnamento di Spaventa contribuì ad un inesorabile declino: la polemica tra Gentile e Croce contribuì quantomeno a risollevare le sorti del filosofo abruzzese. È stato Gentile a interpretare in chiave squisitamente filosofica la teoria della circolazione del pensiero, benché la riforma avviata dallo Spaventa sia stata interpretata come inizio dell’attualismo più che come crisi dell’hegelismo. Savorelli aggiunge una appendice sul libro di Francesca Rizzo in cui spaventa è presentato come un classico della cultura italiana dell’unità assieme a De Sanctis, Labriola e Villari. P. DE LUCIA, Donato Jaja e il significato teoretico e storico della filosofia rosminiana, in “Filosofia oggi”, 2002, 25:43) 339-373. L’articolo propone una disamina del rapporto tra lo spiritualismo rosminiani e l’attualismo gentiliano, anche con l'intento di valutare la consistenza della tesi sul presunto carattere cattolico del suo idealismo sottolineata già da Del Noce e Carabellese. Punto focale della ricerca è mostrare la 2705 dipendenza degli studi jajani dall’interpretazione spaventiana secondo la quale Rosmini sarebbe il Kant italiano. Elemento centrale che accomuna i due pensatori è la cosiddetta mentalizzazione del fondamento. Spaventa riconobbe a Kant il merito di aver risolto il problema della conoscenza in base ad un principio superiore (l’unità sintetica originaria cui equivale il rosminiano sentimento fondamentale). Spaventa denuncia poi l’imperfezione dualistica che caratterizza tanto Kant quanto Rosmini, Jaja riprende nei suoi studi la critica spaventiana al Rosmini, il quale non colse il superamento kantiano della concezione della estraneità dello spirito rispetto alla realtà esterna. Il Bullia criticherà Jaja per non aver tenuto conto, all’interno di questa sua valutazione, della dottrina della creazione che svolge un ruolo essenziale nella teosofia rosminiana. Rimane dunque la possibilità di istituire un parallelo tra i due sulla base del fatto che per entrambi pensare equivale a giudicare, ma senza dimenticare le differenze nel rapporto con la realtà esterna: il giudizio di Jaja e gi sviluppi gentiliani hanno salde radici, dunque, nella lettura spaventiana. A. SAVORELLI, Introduzione a B. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Storia e letteratura, Roma 2003. Savorelli ricorda che il testo, pubblicato nel 1862, non solo è il più discusso ed il più innovatore degli scritti di Spaventa, ma è anche l’unico che l’autore abbia condotto a termine, date le disavventure editoriali di opere quali Logica e Metafisica e la dispersione dei suoi saggi filosofici. La scelta di Gentile di modificare il titolo originario nell’attuale tende a sottolineare che l’interpretazione storica fornita da Spaventa è innanzitutto una operazione filosofica, anzi, forse 2706 l’unica autentica storia della filosofia italiana. Savorelli tenta di ricostruire le fonti cui Spaventa si è ispirato, dai testi di Cattaneo alle tesi di Gatti e Cusani, dovendo però riconoscere che l'apporto di Spaventa in termini di chiarezza e originalità è stato determinante, soprattutto grazie alla conoscenza profonda dei testi hegeliani che i suoi contemporanei non possedevano. Savorelli concentra la propria attenzione su alcuni aspetti decisivi del contributo spaventiano come la capacità di agganciare la filosofia italiana al pensiero europeo e di contrastare le tendenze neoguelfe. Dopo aver messo in luce che l’eroe della Rinascenza italiana è senz'altro Giordano Bruno, Savorelli chiarisce che l'elaborazione di una nuova prospettiva storica mediante la quale comprendere il Rinascimento non segue un percorso lineare, ma subisce una drastica rivoluzione dovuta all’approfondimento del pensiero hegeliano. A motivo della sua sincera ammirazione per l’idealismo tedesco Spaventa, benché rivaluti la filosofia italiana dell'Ottocento a integrazione della sua teoria della circolazione, non smetterà mai di evidenziarne le lacune. Savorelli conclude mostrando come Gentile abbia manifestato un chiaro dissenso su diversi punti rispetto alle tesi spaventiane, in alcuni casi fino a tradire le intenzioni del filosofo abruzzese: vero merito di Spaventa rimane in ogni caso quello di aver fornito all’Italia una chiave di lettura della modernità, o meglio una alternativa al neoguelfismo da un lato e all’empirismo dall’altro. V. VITIELLO, Hegel in Italia. Dalla storia alla logica. Guerini e Associati, Milano 2003, in particolare le pagine 211-248. Vitiello individua l’hegelismo di fondo di Spaventa 2707 nell’attenzione dedicata al problema della relazione. Hegel si pone, nel pensiero del filosofo abruzzese quale risposta ad una domanda: come dare ragione a Fiche senza smentire Schelling? Tale la questione filosofica che coinvolge in realtà l’intero pensiero moderno. La risposta si trova nella reciproca fondazione di Fenomenologia e Logica (benché in realtà profonda sia la differenza tra il “primo” dell’una e dell’altra), fondazione rimasta incompresa tanto da Gentile quanto da Croce. Servendosi anche dei contributi di Fischer e Werder in quanto oppositori di Trendelenburg, Vitiello mostra quale sia lo sfondo storico di quella identità tra pensiero e realtà che si trova oltre la relazione medesima. Alla base della Logica si trova la volontà. L'analisi della contraddizione intrinseca all'essere conduce alla consapevolezza che l’Essere dell'inizio della logica non è interamente riconducibile al pensiero. Qui si avverte l’intima prossimità di Spaventa a quel Prius di Schelling che non è pensiero, bensì volontà. Al fondo rimane l’enigma della vita, senza ragione. G. ORIGO, Bertrando Spaventa. Interprete della circolazione filosofica italiana, Edizioni FERV, Roma 2003. Obiettivo dichiarato di Bertrando Spaventa era quello di creare un autentico spirito nazionale rifacendosi alla tradizione filosofica rinascimentale e mostrandone il carattere precursore rispetto al pensiero europeo moderno. Il pensiero moderno non è nazionale, ma innanzitutto europeo: nel testo si sottolinea la distanza su questo punto tra Vico e Kant: benché alcune riflessioni del filosofo napoletano possano essere lette come anticipazioni del pensatore tedesco, rimane al fondo una differente 2708 consapevolezza, dal momento che Kant è conscio di inserirsi in un dibattito europeo, non così Vico. La dimensione europea del moderno non significa rinuncia, bensì valorizzazione delle componenti nazionali: il carattere della circolazione filosofica italiana è intrinsecamente hegeliano. Il progetto di una connessione tra Rinascimento e idealismo matura progressivamente durante il periodo torinese, ma trova il suo pieno e compiuto sviluppo soltanto nel periodo napoletano, anche grazie alla posizione accademica dello Spaventa, prima costretto a brevi interventi sottoforma di articoli di giornale. Oltre alla necessità di una rivalutazione del pensiero di Rosmini e Gioberti al fine di portare a termine una sorta di rivincita sul genio germanico, essenziale è individuare nelle meditazioni spaventiane un problema di logica della storia per cui furono i fatti a condannare Bruno. A. SAVORELLI, Croce e Bertrando Spaventa, in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 2003 Ja-A23 (1), 42-58. Se già nel 1907, in occasione del confronto diretto con Hegel, Croce “dovette riprendere in mano anche i testi dello zio Bertrando”, la sintonia si deteriorerà progressivamente negli anni, benché secondo Savorelli Croce non sarebbe mai giunto ad una rottura definitiva, né a pronunciare una condanna senza appello. L’ambiguità dell’atteggiamento di Croce è legato da un lato alla critica della dialettica hegeliana che dal 1912 investirà non solo Hegel, ma anche Spaventa, dall’altro alla sostanziale accondiscendenza di Croce all’interpretazione di Vico proposta da Bertrando Spaventa. Nel 1909 Spaventa è ancora un “gagliardo tentativo di alta cultura”, ma dal 1912 si avrà, secondo Savorelli, una accelerazione critica nei suoi confronti: 2709 sottolineando le origini “clericali” e la statolatria (presupposto dell’adesione di Gentile al Fascismo), Croce prenderà le distanze dal filosofo abruzzese, benché nel ’48 la rilettura di Hegel passasse nuovamente dagli scritti di Spaventa. A. SAVORELLI, Croce e Spaventa, in A. SAVORELLI, L’aurea catena. Saggi sulla storiografia filosofica dell’idealismo italiano, Le lettere, Firenze 2003, pp. 271- 299, Il testo riprende le tesi dell’articolo apparso sul “Giornale critico della filosofia italiana”, Ja-A23 (1), 42-58. AA.VV, La filosofia del Risorgimento. Le prolusioni di Bertrando Spaventa, La scuola di Pitagora editrice, Napoli 2005. Il libro presenta la lezione proemiale al corso di filosofia del diritto letta il 4 gennaio 1860 all’Università di Modena e le due prolusioni alle lezioni rispettivamente al corso di storia della filosofia tenuto all’Università di Bologna nel 1860 e al corso di filosofia teoretica dello stesso anno, tenuto all’Università di Napoli, oltre alla “Nota alla prolusione. Introduzione alla filosofia indiana”. I testi sono preceduti dal già menzionato saggio di Garin Filosofia e politica in Bertrando Spaventa; al termine sono riportati due brevi interventi di T. Stràter e di B. Croce. G. ROTA, La circolazione del pensiero secondo Bertrando Spaventa, “Rivista di Storia della Filosofia”, 2005, n.4, pp. 655-686. 2710 Gramsci, che certo non stimava Spaventa, a motivo della sua provincialità e della mancanza di stimoli da parte del suo tempo a pensare in maniera epocale, attribuisce comunque al filosofo di Bomba una certa importanza in relazione alla teoria della circolazione del pensiero. “Siamo arrivati tardi dopo essere stati i primi” è una formula che riassume con incisività e concisione il pensiero di Spaventa, che voleva superare la miseria delle gare di parte che ancora caratterizzavano il dibattito italiano per elevarlo sulla scienza europea. Per attualizzare Hegel in Italia non si poteva utilizzare la figura di Lutero, destinato comunque sempre a rimanere un forestiero. La Chiesa cattolica che per Hegel era ormai passiva nella storia, risultò per Spaventa una zavorra estremamente attiva: abbandonato Lutero, dunque, si guarda a Bruno e Vico. Rota accenna anche alla polemica con Mariano, secondo il quale il genio italico non era un tema che potesse assumere rilievo scientifico. Rota conclude precisando che, sebbene si debba a Gentile la riscoperta di Spaventa, questi non condivideva la filosofizzazione della storia attuata dal suo maestro ideale su due punti: Gentile non accettava la diagnosi di encefalogramma piatto dell’Italia del XVI e XVII secolo, rifiutando altresì la concezione ancora troppo naturalistica del concetto di nazione formulata dal filosofo abruzzese. N. CAPUTO, Bertrando Spaventa e la sua scuola. Saggio storico-teoretico, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli, 2006. Il libro si divide in tre parti. La prima dedicata alla delicata sintesi che Spaventa tentò di sviluppare tra hegelismo e liberalismo, in cui si sottolinea l’importanza del Collecchi nella formazione del filosofo abruzzese, 2711 l’importanza di una esegesi unitaria degli scritti spaventiani, l’importanza dell’attività di pubblicista nel periodo torinese e la parentesi del 1858 sulla logica di Hegel. La seconda parte riguarda la linea mediana tra realismo e idealismo che Spaventa cercò dagli anni ’60 in poi, dove si segnala l’importanza di una interpretazione originale della dialettica hegeliana anche rispetto al confronto con le correnti scientiste dell’epoca, senza dimenticare l’intenso studio sulla politica hegeliana e sul problema del sopramondo. L'ultima parte è dedicata alla scuola di Spaventa, in particolare in riferimento alla crisi dell’hegelismo e al binomio Croce- Gentile, cui l’autore contrappone il real-idealismo di Alderisio. Si menzionano anche le interpretazine materialistica di Labriola e l’hegelismo critico di Sebastiano Maturi, per concludere con una disamina dell’idealismo di Jaja e dello spiritualismo critico di Filippo Masci. M. RASCAGLIA, Paolottismo, positivismo, razionalismo (la stesura originaria di Maria Rascaglia), in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, vol. 2, 2006, n.2, pp. 220-236. Una brevissima introduzione, dove si ricorda l’importanza del riordino dei materiali scompigliati dai bombardamenti del ‘43 nella sede della Società Napoletana di Storia Patria e l’importanza della figura di De Meis nella corrispondenza dei fratelli Spaventa, accompagna il testo della lettera datata 8 maggio 1868, indirizzata prima a Fiorentino e poi in un secondo tempo proprio al De Meis da Bertrando Spaventa. Lettera nota poi con il titolo di Paolottismo, positivismo, razionalismo. Oltre alla versione iniziale della lettera, sono state inserite i passi della minuta che consentono di comprendere il lavoro di revisione compiuto da Spaventa. Elda G. ORIGO, Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e difesa della filosofia italica, Bibliosofica, Roma 2006. Sin dalla Prefazione l’obiettivo dichiarato di Origo è una rivalutazione della filosofia italica, mentre nell’Introduzione si rivendica l’opera di ricomposizione della tradizione italiana operata da Spaventa di contro ad una arbitraria dissoluzione a causa della quale si sorvola troppo spesso sui nessi che legano Bruno, Campanella, Galilei e Vico. Innanzitutto mettere a fuoco il concetto di conato in Bacone e in Bruno consente a Origo di evidenziare subito l’opera di disincantamento attuata da Bruno nei confronti della teologia dogmatica che non compie alcuno sforzo filologico: l’universo come articolarsi che trascende se stesso prepara la via a Galilei, oggetto di studio del secondo capitolo del testo. La medesima volontà di superare le visioni dogmatico- esaustive muove Galilei verso una trasformazione epocale, di portata senz’altro europea: la ricostruzione dello scienziato è sempre anche costruzione, anticipando così la lezione dello stesso Vico; di nuovo l’articolazione discorsiva delle forze costituisce la chiave di lettura del gran libro della natura, benché Origo tenga a precisare come l'equilibrio tra lo scienziato ed il filosofo sia destinato a rimanere precario. L'esigenza di scandagliare ancora più a fondo i contributi scientifici del Rinascimento conduce Origo a esaminare nel terzo capitolo il ruolo di Vico, Bacone e Grozio. Vico è citato non solo per l’idea di mutamento che si realizza nelle tre età della storia, ma anche per la concezione della pubblica giurisprudenza, in connessione con la figura di Grozio e con la sua “destabilizzazione ermeneutica” (p. 99) che conduce ad una preponderanza del diritto umano su quello naturale. A tali studi, come precisa Origo, si 2713 ricollegherà Spaventa anche nella sua polemica con i Gesuiti, ulteriore occasione per sostenere l’unità riflessiva di verocerto di contro al monismo scolastico. Prima di affrontare, nel quarto capitolo, il rapporto tra storicismo vichiano e spaventiano, Origo presenta alcune indicazioni per una ricostruzione filologico-giuridica del rapporto Vico- Grozio. L’affinità tra Vico e Spaventa implica sempre, tuttavia, il riconoscimento di una essenziale distanza, dovuta all'influenza hegeliana: il progetto vichiano appare sotto molti aspetti innovativo, ma rimane incompiuto. A conclusione si vuole rimarcare la capacità della filosofia italica di scardinare la dogmatica scolastica di stampo accademico. G. ORIGO, Giordano Bruno visto da Bertrando Spaventa, Bibliosofica, Roma 2007. Nella prospettiva di Origo Spaventa incontra Bruno come l’allievo si imbatte nel vecchio Maestro, ponendo in evidenza in particolare le categorie del precursionismo e dell’eroicità del pensiero. Il parallelismo tra le due figure, non solo su un piano intellettuale, bensì coinvolgendo anche quello biografico, percorre i cinque capitoli in cui si snoda il testo. Essenziale è comprendere, innanzitutto, la posizione di Bruno sulla posizione fede-ragione, laddove 1° “intellego ut credam” è pensato come sforzo e tensione continua del pensiero contro ogni pregiudizio alla ricerca di Dio: già in questa luce è possibile individuare l’eroismo come tratto che caratterizza gli sforzi umani e la vittoria della filosofia sulla teologia, nel senso preciso del dubbio che inquieta il dogma. Il terreno dello scontro, attorno a cui ruota il secondo capitolo, viene individuato nell’ambito accademico, che attraversava una forte crisi in Italia già durante il XIV 2714 secolo, proprio a motivo dei contrasti tra teologia e filosofia: di fronte alla rigidità istituzionale imposta dalla Chiesa anche in ambito culturale, Origo vede in Bruno il nuovo “filologo”, capace di analizzare la realtà partendo da punti di vista differenti; inevitabile, anche in questo caso, come in quello della tolleranza accademica, discusso nel terzo capitolo, la ripresa del parallelismo tra Bruno e Spaventa. Origo pone addirittura un parallelismo esplicito tra l'università di Padova del XIV secolo e quelle di Torino, Bologna e Modena del XIX secolo. Superare i limiti imposti dall’autoritarismo accademico accomuna Spaventa e Bruno, presentati come menti “eroiche” nel penultimo capitolo, di contro all’intolleranza prevaricatrice di quei grammatici e pedanti che Bruno non esitava a chiamare asini, assuefatti ed abituati alla stabile quiete del reale, perché incapaci di cogliere la coincidenza degli opposti. Il progresso filosofico, reso possibile appunto da quegli sforzi eroici di pochi pensatori, rivela, all’interno del quinto capitolo, il ruolo della magia come ricerca sconfinata ed inesausta. E. GARIN, Bertrando Spaventa, Bibliopolis, Napoli 2007. Il testo si compone di una serie di saggi. Oltre al già menzionato Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, Noterella spaventiana e Rassegne di studi spaventiani è presente un intervento dal titolo Da ur secolo all’altro, che si apre con la famosa lettera del luglio 1862 in cui si associa Napoli alla filosofia, continuando poi citando l’altrettanto nota lettera del Villari del ‘50 sull'importanza della filosofia per creare l’unità d’Italia. Nel testo Felice Tocco alla scuola di Bertrando Spaventa, l’alllevo è considerato come il maggior storico della filosofia del suo secolo, non solo per la ZI19 vastità delle sue nozioni ma anche per l’approfondimento su questioni come la logica e l’anima intesa come intimo fonte della conoscenza del reale. A questo intervento si deve aggiungere Ur “pamphlet” antidemocratico inedito di Bertrando Spaventa, incentrato sullo scritto destinato al “Fanfulla”. Di qui l'occasione per approfondire il rapporto polemico tra Spaventa e molta parte della sinistra hegeliana. Di argomento più vasto è lo scritto Filosofia a Bologna fra Ottocento Novecento, dove si mostrano pregi e difetti dell’interpretazione del Rinascimento proposta da Spaventa, anche in polemica con alcuni suoi contemporanei, desiderosi di annunciare la definitiva liquidazione di ogni metafisica.
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